About Rob.

di AllHailTheGlowCloud
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vol.1 A sort of - Irony can be such a good friend, sometimes. ***
Capitolo 2: *** Vol.2 Mistakes - I have never wanted to hurt you, my friend. ***
Capitolo 3: *** Vol.3 Unforgivable - I sometimes regret something, but neither I know what it was. ***



Capitolo 1
*** Vol.1 A sort of - Irony can be such a good friend, sometimes. ***


About. 1 A sort of - Irony can be such a good friend, sometimes.

Vol.1 A sort of.

 

Irony can be such a good friend, sometimes.

 

 

« Such a lonely day
Shouldn’t exist
It’s a day that I’ll never miss
Such a lonely day
And it’s mine

The most lonely day of my life

 

And if you go, I wanna go with you

And if you die, I wanna die with you »

 

(Lonely day, System of a Down)

 

 

 

Meggie. Capelli rossi e un sorriso che avrebbe fatto sciogliere anche una statua di marmo.

Aveva frequentato la stessa scuola elementare di Rob per due anni nei quali non avevano fatto in tempo quasi nemmeno a parlarsi, poi lei si era trasferita. A quel tempo suo padre aveva uno di quei lavori che ti costringono a cambiare città una volta ogni due anni o anche di meno se ti va male. Poi era tornata, cinque o sei anni dopo. Dopo che i genitori avevano divorziato era tornata lì con la madre, e stavano dalla sorella maggiore di quest’ultima. Avendo degli amici, o amici di amici, in comune, finirono per uscire insieme qualche volta, scoprendo di avere un botto di cose in comune.

Si scambiarono i numeri di telefono, e iniziarono a sentirsi e vedersi sempre più spesso, un periodo.

Rob era anche molto amico di un certo Ronnie, suo compagno di banco nonché fedelissimo compagno di cazzeggio dalle medie. Erano inseparabili quei due, già da prima che subentrasse Meggie. Poi Ronnie decise che ne aveva le palle piene e mollò la scuola, mentre Rob continuò, ma la loro amicizia non fu intaccata da questo.

Per forza di cose, Ronnie e Meggie finirono per conoscersi, e scoprirono anche loro di avere tutto in comune, diventando ben presto molto intimi, prima che chiunque, tra cui Rob, se ne rendesse conto.

C’era poi il ragazzo di Ronnie (sì, esatto, Ronnie non faceva distinzioni di sesso), un tale James. Un tipo in gamba, a posto, con cui Rob legò molto fin da subito. Nel giro di un paio di giorni erano culo e camicia anche loro.

Sì, Rob era timido da pisciarsi sotto all’idea di conoscere gente nuova, ma se trovava qualcuno che riteneva alla sua altezza bastavano due ore per diventare come amici di una vita. Ci si affezionava e basta. Nessuno poteva farci niente, era come se fiutasse una preda. E da allora instaurava un rapporto del tutto simile a quello tra fratelli, tra madre e figlio, o tra Rob e i suoi gatti. Una cosa seria insomma.

Gatti…Rob ne aveva quattro che vivevano con lui e i suoi. Sua madre non impazziva all’idea a dire il vero, quella donna non impazziva per gli animali, tra l’altro aveva da sempre un’assurda fobia per i cani di grossa taglia, e gli uccelli. Traumi infantili si suppone…ma non si sa, Rob non indagò mai a riguardo. Il padre invece ne era entusiasta. Quattro come dicevo, due, fratello e sorella, lui nero come la pece e lei arancione. Amore e Psiche si chiamavano, li aveva battezzati lui. Erano poco più che due cuccioli. Poi c’era Emma, una gattona bianca e panciuta, un po’ anziana dall’età indefinita, la quale era comparsa da sola da quelle parti e se l’erano ritrovata in casa senza che nessuno sapesse da dove era sbucata. La tennero comunque, dato che probabilmente era randagia. Poi saltò fuori Box, il cucciolo più vivace che avessero mai visto. E di gatti se ne intendevano! Accadeva che da poco Emma avesse partorito, ma è una storia triste, dei suoi cuccioli non ne sopravvisse uno. Tempo due giorni dopo, il padre si presentò a casa con Box tra le braccia: una piccola palla di pelo isterica bianca e nera. Emma lo adottò. La cosa fu davvero sorprendente, ma di una tenerezza tale che perfino la madre di Rob non si lamentò.

Tornando a noi. Era un’allegra e spensierata banda di sedicenni affiatatissimi, nessuno avrebbe dubitato che sarebbero andati nella tomba ancora amici come allora, ma la realtà riesce sempre a sorprendere le aspettative.

Le cose da mesi tra Ronnie e James non andavano affatto bene. Solite cose, gelosie, “non è più come prima”, “chi era quella?!”…la storia tra loro finì, e non bene.

Ronnie non voleva più saperne di James, lo accusava di essere uno stronzo, un gran figlio di puttana e sperava che finisse sotto un camion col rimorchio, e cose così.

James, da parte sua, era ancora innamoratissimo. Non che anche lui non avesse fatto la sua parte in quanto a cazzate in quella storia, ma non se lo meritava proprio secondo Rob.

Cadde in depressione, una cosa bruttissima, e toccò a Rob consolarlo. Sebbene stesse cadendo in depressione anche lui a forza di patire i suoi piagnistei, fu grato che James e Ronnie fossero stati insieme in ogni caso. O non avrebbe avuto occasione di conoscere quella persona che lui riteneva fantastica, e non riusciva davvero a capire come Ronnie avesse potuto stancarsi di lui o quel che era. Davvero, uno così non si incontrava tutti i giorni, fosse stato al suo posto se lo sarebbe ammanettato al polso pur di non farlo scappare, ma ehi! lui non c’era dentro, e non credeva assolutamente di saperne più di loro. Prese semplicemente le cose così come venivano, e cercò di convincere James a fare altrettanto. La cosa non fu facile per nessuno. Tanto poi che Rob era sempre stato convinto che quei due non si sarebbero mai lasciati, e che nel loro gruppo perfetto sarebbe rimasto sempre lo stesso perfetto equilibrio. Fu come assistere ad un divorzio. Orribile.

Dopo quei fatti, pur avendo cercato di restare il più possibile neutrale e imparziale, la sua più grande paura di quel periodo si avverò: sbilanciarsi e finire per amare l’uno e odiare l’altro.

Non arrivò a tanto logicamente…ma finì davvero per allontanarsi da Ronnie, e ne soffrirono davvero molto entrambi.

Ma cosa poteva farci? A sentire le storie dei modi orribili in cui aveva trattato James, e ogni volta che si incontravano, il che accadeva decisamente molto meno spesso di prima, lo sentiva usare quel tono di disprezzo nel chiedere notizie dell’altro e ogni volta si sentiva rispondere “tsk, fa solo la vittima, come ha sempre fatto” e cose così. Non poteva sopportarlo, specie perché sapeva benissimo che James era davvero innamorato di Ronnie, e ancora di più perché aveva sempre saputo che tipo di persona davvero speciale Ronnie fosse. Solo Meggie ne era al corrente, ma a suo tempo anche Rob aveva preso una sbandata assurda per Ronnie. Poi, questo apparte, perché gli passò nel giro di una decina di mesi, aveva sempre idolatrato Ronnie. Per anni era stato la persona più importante della sua vita, e da qualche parte nel suo cuore, lo era ancora. Solo aveva imparato a cavarsela anche senza di lui, poi aveva altri amici molto importanti ora, quindi non si sentiva più solo quando Ronnie non era lì o non rispondeva al telefono.

Il ruolo di Meggie in tutto questo fu a suo modo fondamentale. Già da prima che tutto questo casino cominciasse, (da quando si era iniziato a fiutare fumo nell’aria anche se l’incendio era ancora un fiammifero, diciamo) Rob si era attaccato tantissimo a lei, era un punto di appoggio, un faro, oltre che un ottimo riparo dove tornare sempre quando tutto in torno si faceva cupo e irritante.

Stando con lei tutto il resto spariva, o perdeva consistenza, importanza, perdeva il senso delle distanze e delle proporzioni. Staccava la spina, almeno per un po’.

Quella donna era per lui come una cazzo di droga. Inutile dire che ne era innamorato perso. La cosa andava avanti da più di un anno, anche se se chiedeste a lui vi direbbe che lei gli era sempre piaciuta fin dalla prima volta che l’aveva vista. Era un tipo romantico Rob.

Lei era diversa da lui in moltissime cose. Tanto per cominciare era una tipa assurda.

Era la persona più paziente che avesse mai incontrato. Lui era irascibile, irritabile e sfiorava l’isteria. Anche in quanto a paranoia non scherzava. Lei vedeva tutto in modo semplice invece.

La sua visione così semplicistica della vita lo affascinò, col tempo iniziò pure ad irritarlo, ma apprese ad adottarla anche lui a suo modo. Per tutto il resto erano due fottute gocce d’acqua. Amava parlare con lei di ogni genere di cose, e si sorprendeva sempre quando scopriva una nuova cosa sul quale la pensavano allo stesso modo. Per lui era anche una sorta di hobby, si stava facendo una sorta di collezione mentale di quelle stronzate. Alla lunga però gli fotterono Pat, senza contare che lo convinsero sempre di più che lei doveva essere la donna della sua vita. Dire che ne era straconvinto sarebbe un eufemismo bello e buono.

A quei tempi era solito riferirsi al proprio cervello col nome di Pat, diminutivo più gentile di Pattumiera, e ne parlava come se si trattasse di un entità separata da lui, con la quale era quasi sempre in disaccordo e con cui discuteva ad alta voce, inquietando gli altri, anche se tra di loro ormai non se ne stupivano più. Anzi, erano soliti domandargli “oggi Pat?” e lui rispondeva “è in vacanza” o  “l’ho lasciato a casa” o “Ssh dorme!”. Diceva anche “Il buon vecchio Pat mi ha suggerito un idea!”, “Pat ha rotto le palle sta sera”, e “Cazzo, Pat non mi da tregua!” e tutte stronzate di questo tipo.

Dicevo, allora Pat cercava di fargli capire che tutte quelle paranoie non erano buone per lui, ma era più forte di tutto, non riusciva proprio a piantarla.

E venne quel giorno in cui ci fu una sorta di inghippo.

Aveva sentito per telefono Meggie, avevano parlato di quanto si stessero annoiando, e lui le disse di star studiando, ricordando anche a lei che doveva farlo, e la telefonata si concluse così.

Dunque, Rob sapeva che quel pomeriggio Meggie doveva vedersi con Ronnie, li aveva sentiti mentre ne parlavano qualche giorno prima. Non si sentì tutta via di chiedere se poteva venire anche lui, non amava autoinvitarsi, mai, in nessun caso. Aspettava perciò che fosse Meggie ad invitarlo.

Ebbene, non lo fece.

Rob stette a casa aspettando una telefonata che non arrivò, e la cosa lo depresse molto.

Il giorno dopo incontrò Ronnie, che gli riferì ciò che Meggie gli aveva detto quando aveva chiesto di lui: “Rob è a casa, deve studiare tutto il pomeriggio, non può venire”. La cosa non aveva senso, dato che dalla loro telefonata era impossibile che Meggie l’avesse frainteso, ma Ronnie non seppe fornirgli altre spiegazioni. Sentì più tardi James (a proposito, di quei tempi James sembrava stare davvero meglio, ormai della sua depressione era rimasta solo l’ombra, e il vizio di fumarsi qualche sigaretta in più) e gli raccontò i fatti. Non seppe cosa risponderli, anche lui era sinceramente sorpreso. Capitò per caso che non ebbero possibilità di vedersi per un bel po’proprio in quei giorni.

Era assurda come cosa…era incredibile a pensarci bene, cioè, sarebbe stata interessante da studiare, pensò Rob “dovrebbero farci ricerche su cavie umane, e corsi di riabilitazione, come con l'alcol e la droga o quel che è.”

Era incredibile come bastasse che si rendesse conto che in quel dato giorno non l’ avrebbe vista perché iniziassero a formarsi i peggiori pensieri, tipo "chissà che starà facendo, magari oggi gli sto sui coglioni e non mi vuole tra le palle" o "ecco, oggi non può uscire e non si sforza di trovare una soluzione, si vede che non gliene frega proprio niente" o "avrà messo una scusa perché ha di meglio da fare, magari si vede con uno...chissà a chi sta pensando ora...".

Sono come delle bollicine d'aria che si formano piano piano, una ad una e ti invadono la testa, poi esplodono di botto tutte insieme e BAM! non ci capisci più un cazzo, sai solo che è una giornata di merda, e che qualsiasi tempo faccia, qualsiasi cosa ti accada o ti dicano, che mangi o che bevi, non cambierà il fatto che è una giornata del cazzo e che avresti preferito non esserti alzato affatto.

E stette così per giorni.

Nausea e costante voglia di spaccare tutto.

Erano come gli effetti di un astinenza da una qualche droga strana. Solo che lui non ne assumeva. Cioè, si era fatto una canna qualche volta, ma non c’entrava un emerito cazzo.

Lui amava quella donna, ma lei si limitava a dire “saresti il ragazzo ideale, magari fossero tutti come te!”. Ma non accadeva mai un fottuto cazzo di niente.

Una sorta di scherzo del cazzo, ecco cos’era quella situazione.

Eh, sì- concluse -a vita è una gran burlona. Fa tutti questi scherzi e si crede tanto divertente, lei…evidentemente pensa che sennò ci annoieremmo.

 

La sua sottile ironia fu ciò che lo salvò dal suicidio nella maggior parte dei casi.

 

 

 

 

 

Note:
Miei cari…era da un bel po’ che non scrivevo, eh? Ma forse era meglio così…anche se questa stronzata che ho tirato fuori dalla mia testa mi piace pure, in qualche modo.

O non l’avrei scritta, semplice.

Che diavolo è “About Rob”? Beh, è una cazzata tanto per cominciare. E’ ideata per concludersi nel giro di due o tre capitoli (anche perché vorrei approfondire meglio alcuni dei personaggi), ma potrebbe anche diventare una long-molto-molto-long (cosa che spero vivamente che non accada) o concludersi qui, restando una shot.
E’ cosa di più autobiografico abbia scritto, sebbene abbia cambiato tanti di quei dettagli che se non lo sapessi direi che con la mia vita non c’entra un cazzo.

Il perché dei System? Boh…ultimamente sono la mia colonna sonora in pratica, e quella canzone ci sta da dio con tutta la faccenda, a parer mio. E c’è solo il mio di parere, dato che la faccenda è mia.

Ad ogni modo…quanto sono scurrile! °-°

Devo smettere di dire le parolacce, porca merda! è-é

Culo! Chiappe! Cazzo! Stronzate! Puttana!

Ok, basta davvero.

Ci sentiamo quando ci sentiamo, dato che sono talmente altalenante che potremmo non vederci per mesi…o potrei postare altri 5 capitoli tra un ora. Bu’h!
Adieu.

 

 

CULO!  8D


Daruku

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Capitolo 2
*** Vol.2 Mistakes - I have never wanted to hurt you, my friend. ***


About. 2 Mistakes - I have never wanted to hurt you, my friend.

Vol.2 Mistakes.

 

I have never wanted to hurt you, my friend.

 

 

« Screaming at the window

Watch me die another day

Hopeless situation

Endless price I have to pay

Sanity now it’s beyond me

There’s no choice »

 

(Diary of a madman, Ozzy Osbourne)

 

 

 

Situazioni di stallo come quella in cui si erano cacciati tutti quanti, erano di quelle che Rob più mal sopportava in assoluto.

Era un po’ come se fossero tutti e quattro intrappolati in un cazzo di loop spazio-temporale, in un errore dell’universo che nemmeno le forze cosmiche riuscivano a risolvere.

Dopo aver chiarito la situazione con Ronnie, era giunto alla conclusione che, semplicemente, non gli fotteva un cazzo. Voleva troppo bene a quella testa di cazzo per troncare la loro amicizia come invece avrebbe voluto fare. La loro, insomma, era una situazione che non si poteva risolvere. E non gli fotteva nemmeno di risolverla: le cose, tutte, gli stavano bene così come stavano. Sviluppò una sorta di indolenza che era come una maschera che si modellava sopra ogni cosa, a seconda del caso, capace di coprire ogni singolo pezzo di materia in maniera diversa.

Dello stesso avviso era James, e sì, Rob si stupiva ancora dell’empatia che i due erano capaci di provare. Era una simbiosi a distanza la loro.

Una simbiosi necessaria e insolubile, inevitabile, che presto rivelò loro nuovi interessanti aspetti della loro amicizia.

Per farla breve, le conseguenze delle loro azioni sembravano distribuite a casaccio da una scimmia bendata che le estraeva da un sacco, lanciandole alla cazzo contro chi capitava, come i coriandoli a carnevale.

Data questa premessa, la cosa ebbe inizio in maniera stupida. Un bacio innocente, buttato là. Una malsana idea di James. Una cosa tira l’altra, come si dice, e non ci volle molto prima che Rob si ritrovasse con l’affare di James a fare su e giù per il culo.

Lì, una bottarella tra amici. Potevano vantarsi di aver elevato la propria amicizia ad un livello superiore, eppure preferirono tenere la novità per loro, tanto non sarebbe più successo, tanto più che non erano nemmeno ubriachi o cosa, quindi non sapevano come spiegarlo.

La cosa andò avanti così per un po’ di tempo, facendo finta di niente con gli altri e non parlandone più neanche tra di loro. Un giorno poi Rob aveva accumulato sufficiente frustrazione, tra scuola, casa e Meggie, e, diciamolo, gli giravano parecchio le palle. Ma aveva bisogno di sfogarsi, di staccare un attimo la spina dalle stronzate quotidiane. Con la scuola che andava sempre peggio e i suoi genitori che si facevano sempre più insopportabili, stare in casa era escluso. Vedere Meggie lo avrebbe solo snervato ulteriormente. No, lui sapeva di cosa aveva bisogno. In quei casi, c’era solo un luogo dove poter andare, e infatti si diresse subito lì dopo la scuola, senza passare nemmeno da casa per avvertire.

“Vengo lì”
“Ti aspetto”

Fu la breve telefonata.

James gli aprì subito la porta.

“Non ne posso più… non ne posso veramente più”

“Rob… dimmi, parla”

“No, non mi va veramente di parlarne… non saprei nemmeno da che parte cominciare” sbuffò Rob.

“Dai, sfogati!”

“Non mi va”

“Ho capito…” James sorrise rassegnato e si diresse in cucina “vuoi una birra?”

“Sì, ti prego” rise Rob buttandosi di peso sul divano in salotto.

Poco dopo James tornò con la birra.

Poco dopo avevano perso il conto di quante ne avevano bevute.

Rob non ci stava capendo più una beneamata cippa. Lo scombussolamento mentale che aveva era annacquato di birra, si susseguivano pensieri ed immagini di vario tipo, poi gli balenò in testa il ricordo di quella sera. James era veramente sexy senza vestiti, si disse, e così provvedette a privarlo di questi.

Rotolarono a terra ridendo come due imbecilli, e non seppero come, ma in qualche modo riuscirono a raggiungere il letto.

Insomma la storia è quella, “non accadrà più” e invece riaccadde, e non una sola volta.

Il tutto sempre in gran segreto, naturalmente, sia mai che gli altri venissero a saperlo, non seppero perché ma entrambi sapevano che sarebbe stato tutto un gran casino altrimenti.

E come dargli torto.

Meggie non era la tipa da comprendere il senso dell’esistenza dei cosiddetti “scopamici”, e Ronnie…beh, Ronnie era pur sempre l’ex di James. Basta e avanza, no?

Da lì, le cose sembrarono andar bene per un bel po’ di tempo, tempo espresso in settimane,

ma poi, come avrete intuito, la faccenda iniziò a complicarsi.

E’ scontato dire che Rob non volesse mandare a puttane l’amicizia di James, ma di recente quel ragazzo era diventato pressoché intrattabile.

Si lamentava sempre se Rob non poteva uscire con lui, o venire a casa sua, insomma, se non potevano passare insieme ottantaseimilaquattrocento secondi al giorno.

Fin qui nulla di strano, di diceva Rob, anzi, non negherò che la cosa gli faceva anche piacere, dato che di solito era lui quello scassa-coglioni che se non stava con James (o con chicchessia) moriva.

Il punto fu il progressivo diminuire delle scopate. Eh sì, nessun problema era mai parso tanto grande. Non che Rob fosse un ninfomane, un perenne arrapato o cosa, anzi. Tuttavia, come tutte le cose, quando l’abitudine prende il sopravvento sulle necessità, si finisce per impazzire un pochino.

Era da capire perché James si fosse tirato indietro.

Rob si era fatto tutte le sue congetture sulla questione, e vi dirò che non fu sorpreso quando, poi, scoprì la verità.

Ma facciamo un passo indietro. Rob si sentiva l’esofago annodato ogni volta che ci pensava, ovvero circa il 98% della giornata. Stava male ogni volta che un suo amico stava male. No, un momento, non un amico qualsiasi. Non è che fosse così psicolabile di norma, ma mi pare di aver già nominato una certa empatia, giusto?

Di casi come quelli parlo.

Giunse il momento in cui Rob decise che era il caso di chiarire, mannaggia a lui e a questa sua fissazione ridicola.

Troncò lì, disse “lasciamo perdere ‘sta storia, facciamo tornare tutto come prima”, ma a quelle parole James scattò come una molla - sì, è il paragone esatto, tipo le scatole a carica con dentro i clown, avete presente? Solo che lui aprì le gambe.

Alla fine di ciò, Rob era ancora più confuso.

Non ci capiva un cazzo. Prima James non voleva scopare, poi decidevano di lasciar stare e gli saltava di nuovo fuori la voglia. La cosa peggiore, per come la situazione era venuta a crearsi, era che Rob non aveva nessuno con cui poterne parlare. A chi chiedere aiuto? A chi chiedere consiglio? Con chi sfogarsi?

In queste condizioni di solito andava da James, e rimediava anche una birra e una botta in omaggio, ma ora quella era la tana del lupo. Però non stava mica scappando dal lupo lui. No, anzi, forse non c’è metodo migliore di studiare il comportamento di una bestia, se non quello di viverci a più stretto contatto possibile.

Allora ci fu il cambio di strategia decisivo. Andò dritto da James e gli chiese: “Che hai? Spiegami, parlami, dimmi che ti succede”.

Punto.

Tanto facile era, anche fin troppo facile, non poteva bastare. E invece bastò, toh! James sputò il rospo.

Furono parole difficili da dire, perché nemmeno lui stesso ne era convinto, anzi, aveva lottato contro se stesso come un imbecille per tutto il tempo per convincersi del contrario.

“Credo di provare qualcosa di più di una semplice amicizia per te, Rob”.

Era fatta, oh. Aveva ottenuto la cazzo di risposta che voleva, e che risposta coi contro cazzi aveva ottenuto!

Rimase interdetto, ma non per più di un millesimo di secondo, come avevamo detto. Del resto in realtà lo sapeva benissimo pure lui.

Ora, quello stronzo era come un verme che si insinua in un bel frutto maturo, e lo divora tutto piano piano, dall’interno, così che fuori esso resta intatto, e solo alla fine. Solo dopo. Allora anche l’esterno inizia a marcire e saltano fuori gli altarini.

Quel vermiciattolo biancastro e viscido era penetrato nel loro rapporto, iniziando a divorarli dal profondo, e non c’era via di debellarlo. Non c’era via d’uscita.

Dirlo agli altri? E Come spiegare un cambiamento tanto improvviso? No, avrebbero dovuto spiattellare tutto da cima a fondo, e non c’era verso.

Tenerlo per loro due, ecco la solita soluzione, ormai dovevano avere una sorta di tessera dell’abbonato, o una cosa del genere, magari se insistevano a lungo avrebbero regalato loro un set per cucito o una batteria di pentole, o che so io.

Ora sì che era tornato tutto come prima. Uscivano tutti insieme come di norma, appena potevano uscivano da soli, avevano i loro piccoli segreti, e la complicità non faceva che aumentare.

L’unica differenza sostanziale, era che ora qualche sana scopata ogni tanto era più che lecita.

E via così per un mese o anche più.

Ciò che i due non potevano sapere, era che nel frattempo anche gli altri due avevano i loro piccoli segreti.

E se Rob non avesse scoperto questi suddetti, la sua vita sarebbe continuata felice ancora per un bel po’. Certo, con James non poteva durare per sempre, ma loro vivevano troppo al minuto per pensarci. Ronnie fu una testa di cazzo, di nuovo. Sempre in buona fede, come al solito, mai che quello avesse cattive intenzioni nei confronti di Rob, ma finiva sempre per ferirlo.

Questa volta diede un consiglio, un semplice consiglio ad una certa ragazza dai capelli rossi.

Oh, che cazzo di sfiga, proprio ora che le cose andavano così bene.

Che consiglio? Facciamo ancora un passo indietro.

Meggie aveva recentemente iniziato a provare qualcosa per Rob.

Rob era un ragazzo semplice, multisfaccettato, ma a modo suo semplice. Aveva lunghi capelli castani liscissimi, teneva il viso pulito, fatta eccezione per delle basette non molto lunghe. Vestiva sempre come uno straccione, chiunque non lo conoscesse gli avrebbe regalato volentieri i propri spiccioli per fare pranzo. Mica per altro, gli piacevano i suoi quattro stracci, e non se ne separava mai.

Meggie si stava innamorando di questo tipo, e si confidò con Ronnie, il quale, da bravo coglione quale era, consigliò lei spensieratamente di rivelare i propri sentimenti senza pensarci troppo.

Che poi in realtà anche Meggie era dello stesso avviso, o non l’avrebbe fatto. Non era la tipa da seguire i consigli.

Due confessioni nel giro di così poco tempo, tutte in una botta. Rob poteva dire di aver fatto tombola. Ma ora, cosa fare?

Rob era un ragazzo buono, ma tremendamente egoista. Sempre pronto ad aiutare i propri amici, e il proprio tornaconto. Non avrebbe mai fatto qualcosa per ferire un amico.

Ma da quanto cazzo di tempo era che andava dietro a Meggie, porca troia?

Era l’occasione che aspettava tipo da sempre, e non poteva, non poteva lasciarsela scappare.

Là, tenere un segreto con qualcuno è la migliore saldatura per un rapporto, ma nascondere un segreto a qualcun altro è il sistema migliore per distruggerlo.

Tenere il piede in due staffe, Rob. Non si sarebbe mai aspettato di finire in una situazione del genere, lui. Ma che altro fare?
Sporgersi troppo da una parte piuttosto che da un’altra avrebbe significato ferire l’uno o l’altro, e in ogni caso sofferenza anche per lui stesso, che ora li amava entrambi.

Egoista, doppiogiochista, instabile, direte voi. Ma vi siete mai trovati in questa situazione? Provare a mettervi nei quattro stracci di Rob e vedete cosa riuscite a combinare. Tacete, e cercate di capire piuttosto.

Il suo cuore era diviso a metà, le sue giornate, la sua vita, egli stesso era diviso a metà.

Ogni volta che James affondava in lui pensava al profumo del capelli di Meggie, e ogni volta che toccava lei gli venivano in mente le mani callose e poco curate di lui.

Stava impazzendo. Ogni volta tornava a casa e piangeva. Da solo. Come un idiota.

Anche quando le lacrime finirono, continuò a piangerci su. Notti insonni e decine di pacchetti di sigarette, e ogni volta si presentava da uno o dall’altro con occhiaie peggiori della volta precedente.

Naturalmente aveva fatto sì che i due non potessero incontrarsi per un po’, ma prima o poi si sarebbero sentiti. Avrebbero scoperto, avrebbero saputo, ma non avrebbero capito.

Viveva nel terrore, ormai non era più un uomo, era l’ombra di un’angoscia che si spingeva avanti a forza di nicotina.

Ma poi arrivò la luce, uno spiraglio.

Improvvisamente nulla gli parve più ovvio, e non poté fermarsi dal seguire quell’idea folle.

Tanto ormai era folle anche lui, non avrebbe distinto un’idea sana da una malata in ogni caso.
Tanto vale – si disse.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

LOL.

Non so che altro dire, e sapete perché? … No, vabbè, questo dopo, partiamo da altri punti.

First: innanzi tutto, ho deciso di staccarmi totalmente dalla realtà, perché scrivere cose troppo autobiografiche, sebbene sia quasi ciò che mi riesce meglio, non mi piace. Mi mette a disagio.

Quindi qui e da qui in poi vige il buon vecchio “ogni riferimento a persone e fatti realmente avvenuti è puramente casuale” :D

Second: Metà l’avevo già pronta da un po’, dato che l’idea per questo e per il seguente (che prima o poi scriverò) c’erano già quasi dall’inizio. Solo ho avuto un po’ di difficoltà di adattamento allo stile. Come noterete, è leggermente diverso dal primo capitolo, ho cercato di mediare.

And Last, but not least(?): Ozzy. Cioè. Un uomo un perchè. Ma adesso che c’entra? Beh, c’entra e non c’entra, perché innanzitutto. L’idea per questa fanfiction m’è venuta dopo aver letto la sua geniale autobiografia. (Io amo follemente quell’uomo, sappia telo). Poi per la canzone lassù all’inizio, là! *indica* Vi dirò, in un primo momenti quasi ce l’avevo messa solo per seguire la prassi già iniziata nel primo capitolo, ma poi si è rivelata una scelta più che azzeccata visto lo sviluppo che ha avuto la storia. Buh. Non so se voi avrete la stessa impressione però. Ecco, questo era il motivo del “lol” iniziale.

 

P.s: nota nella nota (lol) quando dico “Ora, quello stronzo era come un verme che si insinua in un bel frutto maturo…” etc, specifico perché non so se sono stata chiara, ma non sapevo come altro esprimermi, lo spiego comunque per evitare malintesi. E’ riferito all’amore che i due iniziano a provare l’uno per l’altro. Cinismo puro, lo so, e mi sento potente >:D

 

 

Daruku

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Capitolo 3
*** Vol.3 Unforgivable - I sometimes regret something, but neither I know what it was. ***


About. 3 Ungorgivable - I sometimes regret something, but neither I know what it was.

Vol.3 Unforgivable.

 

Sometimes I regret something, but neither I know what it was.

 

 

« Too late, my time has come,

Sends shivers down my spine,

Body’s aching all the time.

Goodbye, everybody. I’ve got to go,

Gotta leave you all behind and face the truth.

Mama, ooh,

I don’t want to die,

I sometimes wish I’d never be born at all. »

 

(Bohemian Rhapsody, Queen)

 

 

 

 

 

Era solito non rispondere al telefono, per cui in un primo momento nessuno ci fece caso.

Non si presentava a scuola da giorni però, e a casa sua non c’era, nessuno aveva idea di dove fosse finito, né la sua famiglia, né i suoi amici.

Meggie continuava a blaterare di avvertire la polizia o qualcun altro, ma credeva forse che i genitori non ci avessero già pensato?

James non la reggeva più. Ronnie piangeva.

Qualche giorno dopo il telefono ancora non squillava. Dove poteva essersi cacciato quell’imbecille?

Erano passate delle settimane, a scuola nemmeno ripetevano più il suo nome durante l’appello.

La sua camera era ancora così com’era stata lasciata. Un bordello di vestiti e libri e altre cianfrusaglie buttate ovunque sulla scrivania e sul letto. L’unica cosa in ordine erano dei libri e dei manga, riposti accuratamente su una mensoletta in un angolo della stanza, non lontano dal letto. Accuratamente ricoperti di polvere.

La porta era chiusa.

Passarono dei mesi, sua madre non la finiva più di cacciare fuori vecchie fotografie e dire “oh, guarda com’era carino qui!” e “oh, guarda, qui faceva la quinta elementare!” e “oh, guarda, il nostro Robert in quest’occasione o in quell’altra”. Suo padre si incazzava come una bestia tutte le volte, non voleva che se ne parlasse come un ricordo. Quello non era un ricordo, era suo figlio, e prima o poi sarebbe tornato.

Era il 20 Gennaio 2013. Un anno esatto dalla sua scomparsa.

Oh, quante cose s’era perso Rob.

Ronnie aveva rischiato di finire dentro per una zuffa con dei poliziotti in borghese incontrati per caso. Da quella volta non s’era quasi più visto in giro.

James, dopo aver provato di tutto e di più, ora stava cercando di disintossicarsi. I suoi lo avevano messo in uno di quei centri di recupero, ora stava meglio. I suoi voti erano addirittura migliorati.

Meggie se n’era andata a vivere in America giusto un paio di mesi prima, giusto in tempo per prepararsi e cominciare il nuovo quadrimestre nella nuova scuola. Viveva con gli zii. Era anni che diceva di volerlo fare.

Emma era morta. Era vecchia quella gatta, nessuno aveva idea di quanti cazzo di anni avesse. Morta nel sonno, nessuna malattia. Le era andata meglio così, del resto.

Amore e Psiche avevano messo al mondo tre cuccioli, due maschi e una femmina.

Box era l’unico che, ancora, a l’una e un quarto, cascasse il mondo, stava davanti alla porta e lo aspettava, Rob. A quell’ora tornava a casa da scuola tutti i giorni, per fare pranzo.

Molti anni dopo, Meggie tornò col suo fidanzato statunitense, un tale biondo di nome Daniel.

Ci passò per caso di lì, ma volle fermarsi a fare un saluto.

Non c’era più nessuno. Nella vecchia casa ora viveva una giovane famiglia di indiani, composta da padre, madre, e due figlie, più uno in arrivo.

Era molto cortesi, li invitarono in casa a prendere una tisana non meglio specificata con loro.

Seduti intorno al tavolo rotondo del salotto, Meggie osservava i tappeti e le tappezzerie. In tutta la casa c’era uno strano odore d’incenso, gradevole, ma insolito, mentre dalla cucina arrivava il profumo delle spezie e del curry. Tutto era cambiato.

Dissero di essersi trasferiti lì da quasi otto anni ormai, età della figlia maggiore.

Meggie chiese di poter fare un giro della casa. Le fu concesso.

“Tu eri un’amica di Robert?” chiese ad un certo punto la donna.

Si voltò di scatto mentre saliva le scale, gli occhi sgranati e il cuore in panne.

“Sì, ero una sua amica, ma…”
“I suoi genitori, i precedenti inquilini, ci parlarono di lui” si affrettò a spiegare.

Non rispose, riprese la sua salita.

Arrivata al piano superiore si diresse subito verso la sua stanza. La porta era ancora chiusa, si affrettò ad aprirla con il cuore in gola.

Delusione, anche lì tutto era cambiato.

Cosa si aspettava? Dopo dieci anni, non c’era più nulla in quella casa che potesse anche solo assomigliare a ciò che era prima. Eppure i ricordi affioravano comunque.

Si asciugò una lacrima con la manica della camicia.

Salutarono la famiglia indiana e lasciarono quella casa senza voltarsi indietro nemmeno una volta.

Una volta in auto, una volta lontani, Daniel domandò:

Chi è Robert?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Sì, lo so, non c’entra una cippa con i capitoli precedenti secondo molti punti di vista.

Tanto per cominciare, lo stile è completamente diverso. Do una breve spiegazione, giusto per chiarire il mio punto di vista, poi lascio a voi l’interpretazione.

In pratica, essendo sparito quello che era il protagonista, questo capitolo viene scritto più come una cronaca, che come un diario, come invece accadeva negli altri due. Ovviamente, lì era più come se fosse Rob a raccontare, è scontato che il punto di vista fosse il suo, ma qui Rob non c’è. Quindi, a chi passare la palla? A nessuno, anche per mantenere una sorta di distacco dagli eventi. Prendere questa o quella parte avrebbe reso tutto troppo soggettivo.

Non so se mi sono spiegata, non so se vi fa la stessa impressione, ma questa è la mia.

E’ anche decisamente più corto, ma questo è stato un caso. Mentre lo ideavo sembrava molto più lungo.

Ora uno sfizio personale: volutamente non ho specificato che fine ha fatto Rob. Nel precedente capitolo si parlava di un’idea folle, e in questo si scopre che è sparito. Ma dov’è? Che ha combinato? E’ morto? E’ vivo? Chi è Rob?

Vorrei sapere cosa vi aspettavate, e, alla luce di questo capitolo, che fine credete che abbia fatto.

Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Non lo so nemmeno io! :3

Detto questo, spero sia stata di vostro gradimento, per me è stato un piacere scriverla, e ne vado molto fiera.

*20 Gennaio 2013: data a caso, non sapevo quando ambientare tutto questo, ma mi sono detta che era il periodo migliore. Senza un perché, è a metà dell’anno scolastico, principalmente. Poi 20 perché boh, cioè, è la data del mio compleanno, per cui è la prima che m’è venuta in mente. Fantasiaaa portami viaaaa’h!

P.s: Bohemian Rhapsody. Non siete sicuri nemmeno voi che quella canzone c’entri molto, vero? Però le parole sono giuste in fondo, no? Vi dirò che sta volta ho avuto difficoltà a trovare la canzone giusta, ma alla fine ho deciso di usare, ancora una volta, una canzone con cui recentemente sono in fissa, e che per ciò mi ha spesso accompagnato nella stesura di questa fic. E poi io amo questa canzone, è un capolavoro punto e basta, e questo basta e avanza. ♥

 

P.s2(?): dopo una settimana e più senza scuola non mi ricordo più come si scrive. Vi dico solo che avevo scritto “scuola” con la Q all’inizio, LOL. Sono l’unica così disastrata?

 

Daruku

 

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