The white Lily

di foxfeina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

“Robert, fa’ presto!” L’urlo della donna echeggiò con forza tra le mura di casa, raggiungendo il marito al piano superiore. L’uomo, che proprio in quel momento stava tentando di allacciarsi la scarpa sinistra, decise che non era poi una cosa così importante da fare. Lasciò che i lacci un po’ scoloriti ricadessero ai lati del suo piede, e si rialzò frettolosamente. “Sto arrivando, tesoro, sta’ calma!” Rispose, il respiro affannoso. Tentando di non perdere troppo tempo uscì dalla camera da letto e si diresse in quella della bambina. La piccola dormiva, beata, nel lettino. Robert si chiese come potesse, con le urla che Rose stava lanciando da almeno un’ora. Si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano, poi si chinò sulla bimba. “Principessa…?” Chiamò, con tutta la delicatezza di cui era capace. Sentì la moglie gemere, al piano di sotto. “ROBERT!”

Seppur a malincuore, l’uomo si protese in avanti e prese la bambina tra le braccia senza troppe cerimonie. Lei aprì gli occhi assonnati, un po’ spaventata e un po’ imbronciata. Nel giro di due secondi aveva già iniziato a lamentarsi. “Su, tesoro, dobbiamo andare…”

Robert cercava di consolare la figlia, mentre correva giù per le scale. La moglie era davanti la porta, la mano destra appoggiata allo stipite e la sinistra sul ventre prominente. Sul volto si leggevano dolore e disappunto.

“Possiamo andare, maledizione?” Chiese, a denti stretti, ignorando i piagnistei della figlia. “Non vorrai fare nascere la tua secondogenita in una macchina sporca e scassata, Robert Evans.”

L’uomo aprì la bocca per difendere la sua utilitaria ancora perfettamente funzionante, ma sembrò rendersi conto che non sarebbe stata una buona idea. Si limitò quindi ad una smorfia poco convincente e si diresse verso la porta d’ingresso, già aperta da Rose chissà quanto tempo prima. Con un gemito pensò alle spiegazioni che avrebbero dovuto dare ai vicini, per quella sveglia alle cinque del mattino: era davvero un’illusione sperare che non si fossero svegliati; sua moglie sapeva farsi sentire, quando ne aveva bisogno.

Petunia, tra le sue braccia, si dimenava e strillava a pieni polmoni. “Non possiamo lasciarla a qualcuno?”

Chiese, seppur con poche speranze, mentre percorreva insieme alla moglie il vialetto fino all’automobile blu. “A chi vuoi lasciarla, Robert?” Rispose, sarcastica, aprendo lo sportello del passeggero e prendendo posto con una smorfia di dolore. Una nuova contrazione la raggiunse e le fece stringere i denti, provocando un altro istante di panico nel marito, che si affrettò a sistemare bene la bambina recalcitrante sul seggiolino. Salì quindi in macchina e mise in moto. Nei suoi peggiori incubi (anche abbastanza frequenti e realistici), l’automobile non voleva saperne di partire, la chiave continuava a girare a vuoto. Ma le sue preghiere, evidentemente, erano servite a qualcosa: il rombo del motore quasi lo fece sospirare di sollievo. Un paio di vicini curiosi e assonnati, affacciati alle finestre, videro partire a tutta velocità la Lotus scolorita. Immaginavano benissimo dove fosse diretta.

 

*°*°*°*°*

 

I nervi di Robert Evans erano completamente a pezzi. Dopo la gravidanza complicata di Rose, avrebbe dovuto aspettarsi un’emergenza del genere, con quasi due mesi di anticipo? E’ la vita, si ripeteva. Senza il brivido, dove sta il divertimento? Ma, solo dopo due ore essere scappati di casa, iniziava a pensare che quella mattina fosse eccessivamente difficile da sopportare, brivido o meno.Appena arrivati in clinica, erano stati dottori ed infermieri ad occuparsi di Rose e della piccola che portava in grembo. Lui era rimasto con Petunia, in sala d’aspetto, a guardare l’orologio ad intervalli troppo brevi. La piccola si era stancata molto in fretta di quel noioso far niente; Robert era stato costretto a telefonare ad un amico di famiglia e chiedergli il favore di tenerla a casa sua, per quel giorno.

Erano ancora passate poche ore rispetto alle nove che erano trascorse in attesa della nascita di Petunia, ma l’uomo era trenta volte più stanco. Forse perché era consapevole, questa volta, di quello a cui andava incontro, forse perché la preoccupazione iniziava a farsi sentire. Desiderava solo che tutto finisse, e che potessero tornare a casa. Per un paio di istanti si era addirittura pentito di aver chiesto così tante volte a Rose un secondo figlio…

 

 

*°*°*°*°*

 

Le interminabili sette ore e mezza d’attesa e tutto ciò che seguì rimasero impresse nella mente di Robert in modo confuso, sfocato. Ricordava di aver bevuto almeno quattro caffè, di aver percorso praticamente ogni corridoio dell’ospedale tentando di scaricare l’ansia, di essere stato tranquillizzato da un infermiere divertito. Ricordava la voce di un’altra infermiera, poi, che gli si era avvicinata quasi senza che lui se ne rendesse conto: “signor Evans?” Si era girato verso di lei, e poi… che altro c’era da ricordare? Era rimasto immobile, la bocca semiaperta, a guardare lo scricciolo tra le braccia della donna. C’era voluto un minuto buono prima che trovasse la forza di prenderla tra le braccia; l’aveva guardata, la sua bambina, aveva osservato ogni dettaglio di lei: la pelle ancora un po’ arrossata, quelle manine così piccole, tante buffe rughe sulla pelle e un ciuffo ribelle di capelli rosso fuoco sul capo. Aveva sorriso come un idiota, ne era sicuro. Anche l’infermiera aveva sorriso. “Congratulazioni, è bellissima.” Robert aveva annuito, senza staccare gli occhi dalla bimba. “Come si chiama?” La domanda dell’infermiera l’aveva lasciato spiazzato. Conosceva benissimo il nome che lui e Rose avevano scelto, certo, ma gli ci volle qualche secondo per richiamarlo alla mente. “Oh, lei…” Aveva iniziato, spostando un po’ a fatica gli occhi sulla donna. “…si chiama Lily.” Poi li aveva riportati sulla bambina tra le sue braccia e le aveva sorriso di nuovo, sentendosi quasi sul punto di piangere. “Lily. La mia Lily.”

Che non ricordasse nulla di tutto il resto della giornata, be’, non era poi una cosa così strana.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Capitolo primo

 

 

Lily aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno: buio. Per un attimo quasi si imbronciò per il disappunto. Da quasi un anno, ormai, i genitori le avevano severamente proibito di raggiungerli nel loro letto finché non fosse sorto il sole. Per quanto Lily non fosse esattamente una bambina ubbidiente, aveva preso il compromesso un po’ come un gioco e – almeno per il momento - lo accettava. Si stropicciò l’occhio destro con una manina, poi si tirò su a sedere. “Sue?” Chiamò a voce bassa, iniziando a guardarsi nervosamente intorno e tastando le coperte. “Sue, vieni qui!” Sentì Petunia rigirarsi tra le coperte, nel lettino accanto, ma di Sue neanche l’ombra. Sempre più innervosita, Lily scostò le coperte e scivolò delicatamente giù dal letto, posando per terra i piedini nudi. Qualcosa di morbido rimase schiacciato sotto quello sinistro. “Sue!” Esclamò lei a voce un po’ più alta, chinandosi a riprendere la cerbiatta di peluche alla quale era legata in maniera quasi ossessiva. “Non si sta per terra, ora devi lavarti i piedi.” La rimproverò, imitando il tono che usava avere la madre nei suoi confronti quando qualcosa non andava bene. Strinse a sé la cerbiatta e lanciò un’occhiata frettolosa alla finestra della stanza; avrebbe voluto osservare bene all’esterno, per assicurarsi che davvero non ci fosse nemmeno un piccolissimo raggio di sole, ma era troppo alta per lei. E le persiane, naturalmente, erano anche per metà abbassate. Come suo solito, quindi, si avvicinò alla porta semichiusa e tese una mano (quella che non reggeva Sue) per aprirla. Sapeva che avrebbe cigolato, che Petunia si sarebbe svegliata e lamentata; ma la tirò comunque verso di sé. Eccolo, il cigolio.

La sorella, come previsto, mugolò sonoramente. Evidentemente, però, era troppo assonnata per lamentarsi ulteriormente, il che permise a Lily di lasciare la stanzetta e zampettare silenziosamente in corridoio. L’unica finestra che arrivava fino a terra – e che quindi le permetteva di guardar fuori – era quella della cucina, che dava sul giardino; questo Lily lo sapeva bene. Non rendendosi conto di quanto fosse fortunata che i pavimenti del piano superiore fossero ricoperti da una morbida moquette che isolasse il rumore dei suoi passetti, giunse fino alla scala che scendeva al piano di sotto. Si fermò in cima e sospirò, guardandola con aria già stanca. Per gli adulti è difficile capire quanto il loro mondo – costruito su misura per loro – sia difficile da affrontare quando sei alta solo novantacinque centimetri e vieni considerata da tutti “un soldino di cacio”.

Come quasi tutte le mattine Lily si apprestò ad iniziare la sua discesa; depositò Sue sul tavolinetto di fianco alla scala, accanto al vaso con i fiori belli ma finti. Lily odiava i fiori finti: non profumavano e duravano per sempre, le sembravano una presa in giro; in compenso, amava quelli veri.  “Non fare rumore, se ci scoprono è tutta colpa tua.” Sussurrò a Sue, per scaricare tutte le colpe sulla cerbiatta dagli occhi scuri. Si scostò dal viso una ciocca di capelli rossi, si aggrappò con entrambe le mani alle sbarre del corrimano ed iniziò a scendere, lentamente. Durante il giorno Lily rifiutava di scendere quella scala da sola: solitamente chiamava il papà, che ci metteva ben poco ad accorrere da lei per tenerle la mano. Petunia la prendeva in giro, ogni tanto, perché ormai lei saliva e scendeva quasi di corsa. Ma a Lily non importava, perché anche lei – di notte – era capace di scendere (e di salire!) da sola. Anche se non lo sapeva nessuno.

Impiegò parecchi minuti prima di toccare il pavimento del piano inferiore, nonostante la paura di cadere e farsi male fosse decisamente minore rispetto al desiderio di raggiungere la mamma e il papà nel lettone. 

Senza perdere ulteriormente tempo, corse fino alla cucina. I piedini fecero scricchiolare il parquet più di una volta, ma Lily non se ne accorse nemmeno. Eccola, finalmente: la finestra. Era il sole, quello? Senza pensarci due volte premette il viso e le mani contro il vetro, per osservare meglio. Una volta cresciuta, si sarebbe resa conto che i suoi genitori avevano sempre saputo di quelle sue avventure notturne: i segni lasciati sui vetri, la cerbiatta rigorosamente dimenticata sul tavolino… ma, finché si è solo bambini, è bello crogiolarsi nella convinzione di essere più furbi di chiunque altro. Gli occhi verdi spiarono attentamente fuori dalla finestra. Si illuminarono quando un pigro raggio di sole, guadagnato il suo spazio angusto in un cielo troppo nuvoloso, li sfiorò. “E’ giorno!” Esclamò sottovoce, poi – senza perdere ancora tempo – si girò e corse verso le scale. In preda alla sua euforia quasi rischiò di calpestare il povero gatto, appena svegliato dai suoi rumori, che si stiracchiava in mezzo alla cucina.  “Mosh, ma stai attento!” Esclamò contrariata fermandosi all’ultimo momento, a pochi centimetri dal felino. Il gatto, dal canto suo, non sembrava in vena di euforie o corse scatenate: si stiracchiò ancora una volta e poi si spostò, con una lentezza che a Lily parve esasperante. La bambina tornò alla scala, salì al piano di sopra tanto velocemente quanto le sue gambette corte le permettevano, corse fino alla camera dei suoi genitori passando davanti alla povera Sue, dimenticata sul tavolino. Aprì la porta della stanza imponendosi un minimo di delicatezza, poi sbirciò all’interno. Ci vollero pochi istanti perché il suo sguardo incontrasse quello del padre, già sveglio e girato proprio verso la porta. “C’è il sole!” Si giustificò all’istante la piccola Lily, indicando la finestra. Nessun raggio di sole avrebbe potuto trapassare le persiane abbassate, ma Robert Evans credette comunque alla sua bambina. Le sorrise, tendendo le braccia. “Lo so. Vieni qui.” Anche Lily sorrise, zampettando nella sua direzione e lasciandosi sollevare dalle braccia forti del papà. Robert la depose sul letto, in mezzo tra lui e la moglie, poi si posò un dito sulle labbra avvertendola di fare silenzio. Lily lanciò un’occhiata veloce alla mamma addormentata, indi annuì con serietà. “Dov’è Sue?” Chiese l’uomo sottovoce, l’ombra di un sorriso sulle labbra sottili. Gli occhi sorpresi e preoccupati di Lily la tradirono in meno di un istante, ma la piccola dissimulò come meglio poteva. “A letto. Sta dormendo.” Annuì, tentando di dare convinzione alle sue parole. “Ah.” Rispose Robert, allungando un braccio per stringere meglio la figlia. “Lasciamola dormire, allora.” Una manciata di minuti e qualche coccola dopo, anche Lily era sprofondata di nuovo in un sonno beato; e Robert con lei.

 

*°*°*°*°*

 

“Voglio la cioccolata!”

“Anche io, la cioccolata!”

“Mamma, Lily mi copia!”

“Non è vero, l’ho pensato prima!”

“La smettiamo di gridare?” Rispose Rose con un sospiro, lanciando un’occhiataccia al marito assorto nella lettura del suo quotidiano. Quasi sentisse addosso gli occhi della moglie, l’uomo alzò lo sguardo su di lei. Sollevò le spalle, come a dire “e che posso farci?”, ma ebbe il buonsenso di riporre il giornale e di rivolgersi alle bambine. “Se non state buone la mamma sarà costretta a preparavi il latte.”

Il silenzio, all’improvviso, tornò ad essere sovrano della cucina. Mosh miagolò, soddisfatto.

“Bene…” Robert fece un sorrisetto verso Rose, che si limitò ad alzare gli occhi al cielo. La Domenica era, senza ombra di dubbio, il giorno più difficile da vivere, per i coniugi Evans. Un po’ un paradosso, dal momento che era il loro unico giorno libero. Robert lavorava in una fabbrica di cotone, nella zona industriale non troppo lontana da casa. Le sue otto ore di lavoro al giorno lo lasciavano spossato, ma mai troppo per trascorrere del tempo con le sue bambine. Rose, dovendosi occupare di Petunia e Lily durante il pomeriggio, era riuscita a trovare un lavoro part-time come sarta. La gente della zona, che ormai la conosceva bene, le portava spesso abiti da cucire o rattoppare; farlo quando le bambine richiedevano attenzione non era semplice, ma lei trovava comunque il tempo.

Due tazze di cioccolata fumante vennero posate proprio davanti alle due piccole, che sorrisero con soddisfazione. Lily, precipitosa come sempre, prese in mano la sua e sorseggiò la bevanda. Una smorfia di disappunto. “E’ calda!” Si lamentò, tirando fuori la lingua un po’ ustionata. La sorella la guardò con aria altezzosa. “Si chiama cioccolata CALDA…” Lily le lanciò un’occhiata scocciata.

“Aspettate che si raffreddi.” Intervenne Rose con un sospiro, portando a tavola una busta di biscotti e prendendo posto accanto alla più grande delle sue figlie. Diede un bacio sulla guancia a Robert, poi iniziò a sorseggiare il suo tè. “Domani verrà la signora Law a prendersi la giacca…” Iniziò, rivolta al marito, con un sorrisino sulle labbra. Lui sorrise a sua volta, mentre soffiava piano sulla cioccolata di Lily, ancora troppo calda. “Sarai felice. Ti racconterà ancora di come suo figlio John si sia laureato a pieni voti nel miglior college inglese. Chi lo sa, magari ormai è anche prossimo a diventare un parlamentare!” Scosse la testa, divertito, poi avvicinò il cucchiaino alla bocca della bimba, che toccò la cioccolata con la punta della lingua. Considerandola accettabile, poi, afferrò il cucchiaino e decise di fare da sola.

Robert e Rose posarono gli occhi, orgogliosi, sulle loro piccole. Da quando Lily si era aggiunta alla famiglia, due anni e mezzo prima, la loro vita era sicuramente molto più complicata: il doppio del lavoro, per farla breve. Ma, come ogni buon genitore che darebbe la vita per i suoi figli, non avrebbero più potuto rinunciare a lei, né a Petunia. In effetti la più grande delle due bimbe aveva creato qualche problema, all’inizio: la gelosia non è semplice da reprimere, in tenera età. Rose, tuttavia, era stata sufficientemente abile a coinvolgere Petunia nell’aiutarla a badare a Lily: farla sentire una mammina era stato un espediente perfetto per non farle odiare la piccola. “Indovinate un po’ dove andiamo oggi…?” Chiese Rose, rivolta alle bambine, un sorriso stampato sul volto.

“Al parco!”

“Ci siamo andati Domenica scorsa, Lily…”

“Al lago!”

“Non si va al lago d’inverno, Tunia!”

“…e se stessimo a casa?” Propose Robert, speranzoso. Si zittì all’ennesima occhiataccia della moglie.

“Andiamo dalla nonna!” Esclamò infine Rose, tentando di sembrare entusiasta.

Petunia mugolò, Lily si coprì il visino con le mani.

Robert grugnì, tornando a rifugiarsi dietro il suo giornale.

 

 

*°*°*°*°*

 

Beth Owen era stata una donna forte ed energica, magari anche attraente, a suo tempo. Aveva sposato un uomo perbene, un lavoratore, seppur non ricchissimo.  Aveva avuto una figlia e l’aveva cresciuta praticamente da sola, dopo che un incidente sul lavoro le aveva portato via il compagno. Da quando Rose si era sposata ed era andata a vivere col marito, dunque, Beth aveva pensato bene di aver compiuto il suo dovere. Si era inacidita quando bastava per essere considerata un’ orrida vecchietta da tutto il quartiere e -soprattutto – si era abbandonata alla vita monotona e tranquilla che, a parer suo, ogni persona anziana aveva il sacrosanto diritto di trascorrere.  Era quindi escluso a priori che la figlia le portasse una di quelle sue pestifere bambine, chiedendole di tenerle per qualche ora. Una sola volta aveva acconsentito a farlo, e se ne sarebbe pentita per il resto dei suoi giorni. E sua figlia aveva anche l’ardire di considerarle bambine “normali”! Come potevano essere normali, due mocciosette di quella stazza che erano capaci di strillare per un intero giorno?? Le cause dei piagnistei delle bambine, in tutta sincerità, non l’avevano minimamente toccata. Fatto sta che da quel giorno Lily e Petunia erano ammesse in casa della nonna solo se “strettamente sorvegliate” dai genitori. Mentre Rose e il povero Robert si sorbivano le lamentele di Beth sulle pensioni troppo basse, le bambine ebbero il permesso di sgattaiolare in giardino, come sempre.

Era l’unica cosa che adoravano, di quella casa. Era piccolo, sul retro, circondato da una staccionata bianca e scrostata che necessitava di una mano di colore da almeno vent’anni, ma che a loro sembrava uscita da chissà quale fiaba. Petunia, come faceva di solito, si appostò nella piccola casetta di legno fradicio nella quale – una volta – anche sua madre si era divertita a fingersi una principessa. Lily invece, naturalmente, andò a parlare con i fiori. Sì, Lily adorava i fiori. E, in fondo in fondo, era fortemente convinta di poter parlare con loro, così come poteva parlare con Sue. I fiori la capivano.

Nonna Beth dice che ho i capelli cattivi” stava confidando, proprio in quel momento, ad una margherita un po’ solitaria. “Perché c’è il rosso.” Il visino tradiva chiaramente il suo disappunto per le parole della nonna. Se c’era una cosa che Lily adorava, erano i suoi capelli rossi. “Ma non sono cattivi, giuro!”

Se Petunia avesse guardato in quella direzione, forse avrebbe visto i petali della margherita stirarsi debolmente verso l’esterno, ma probabilmente l’avrebbe creduta una cosa non troppo strana, considerata la sua età. Così, in fondo, sarebbe stato in futuro, dopo aver visto per la prima volta – con enorme stupore – una rosellina aprirsi e richiudersi pigramente sotto i loro occhi.

 Ciò che di più meraviglioso c’è in ogni bambino, che sia un semplice Babbano o un futuro maghetto di prim’ordine, è la capacità di accettare il mondo così com’è, senza troppi pregiudizi o limitazioni. E le prime, piccole, magie spontanee di Lily furono soltanto un gioco tra bambine che si sentivano speciali, in un giardino che – evidentemente  – era pieno di cose. Chissà, magari nascoste tra gli alberi, prima o poi, avrebbero trovato delle fatine… e forse sarebbero anche riuscite a convincerle a nascondere per dispetto la dentiera della nonna.

Nessuna delle due si era ancora resa conto, e così sarebbe stato per alcuni anni ancora, che era solo una di loro ad essere speciale. E questo, per il momento, bastava a tenerle unite.

 

 

 

 

Incredibile ma vero. Iniziavo a dubitare io stessa di riuscire a pubblicare questo capitolo… spero mi dia la forza di continuare, seriamente.

Un ringraziamento mega-super-iper-enorme va alla mia beta, mazza, che mi ha aiutata tantissimo con i suoi consigli fantastici J Grazie di cuore, tesoro!

Detto questo… spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto. Sto cercando di introdurre tutti gli elementi che ritengo doverosi, parlando di Lily Evans, poco per volta.

Vi mando un bacio, e vi prego sentitamente di continuare a leggere e recensire!

A presto, fox.

 

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