Spiderwebs

di _Lightning_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Out Of The Scheme ***
Capitolo 2: *** What Happened, Holmes? ***
Capitolo 3: *** Never Forget ***
Capitolo 4: *** The First Wire ***
Capitolo 5: *** A New Pawn ***
Capitolo 6: *** The Queen Moves ***
Capitolo 7: *** My Game, My Rules ***



Capitolo 1
*** Out Of The Scheme ***


Chapter 1
-
Out Of The Scheme
 
 
Sherlock si sentiva piuttosto fuori luogo; cosa che non accadeva spesso.
Dopo aver tallonato Mycroft per i saloni che trasudavano lusso e opulenza da tutti i pori tanto da sfiorare il limite del buon gusto e cadere nel pacchiano, aver fatto una sosta obbligata al sontuoso buffet e aver saputo, intuito o dedotto la vita passata e futura della maggior parte degli invitati, Holmes decise che era arrivato il momento di agire.

Il quadro di fronte al quale si erano fermati doveva indubbiamente essere il pezzo forte della mostra, osservò distrattamente Sherlock mentre prestava a malapena ascolto al fratello che ne decantava lo splendore, la perfezione dei tratti e si addentrava in discorsi di filosofia artistica.
Soffocò uno sbadiglio, mentre annuiva di tanto in tanto per dare l'impressione di essere attento, ma in realtà non era minimamente interessato a quelle opere d'arte: non aveva accompagnato Mycroft alla mostra solo per sentirlo blaterare di questo o quell'artista.

Il suo obiettivo era ben altro.

Con studiata noncuranza svicolò dal raggio d'azione della parlantina di Mycroft approfittando della sua umana necessità di riprendere fiato, e si confuse con un gruppetto di gentiluomini assiepati di fronte a un altro quadro.

"E adesso, al lavoro!" pensò baldanzoso, allontanandosi verso l'ala opposta della mostra e trafugando un cappello e una sciarpa a un'anziana e ignara coppia strada facendo.

A dispetto di qualsiasi norma d'etichetta, si calcò in testa il cappello a falda larga e legò strettamente la sciarpa a ricami floreali al collo; ignorando stoicamente gli sguardi perplessi al suo bizzarro abbinamento, varcò la soglia della sala principale e la attraversò fino a raggiungere un corridoio, nel quale erano evidentemente esposti i pezzi meno preziosi, e dove ciondolavano pigramente un presunto critico d'arte, due perdigiorno evidentemente capitati lì solo per il rinfresco e la guardia addetta alla sorveglianza.
Ostentando la massima naturalezza, si piazzò esattamente di fronte al quadro che a colpo d'occhio gli era sembrato più pregiato, tirò fuori pipa e acciarino dalla tasca e si mise tranquillamente a fumare.
Tirò appena due boccate prima di venire bruscamente ripreso dal sorvegliante, che gli ingiunse di "far sparire quel coso pestilenziale e smettere di affumicare i quadri".
Il critico scosse con disapprovazione la testa al suo indirizzo, mentre gli altri due si diedero di gomito, forse sperando che una rissa movimentasse un po' la serata, ma furono delusi quando Sherlock spense la pipa in fretta e furia profondendosi in scuse e lasciando in sordina il corridoio, per poi eclissarsi nel salone gremito di ospiti.

Soppesò con un sorrisetto di malcelata soddisfazione la chiave del magazzino appena sottratta all'incauta guardia e mentre attraversava la sala cercò con lo sguardo Mycroft, trovandolo visibilmente rabbuiato per la sua assenza improvvisa.
Sherlock si sentì vagamente colpevole mentre sgattaiolava non visto proprio sotto il suo naso, diretto ai magazzini.
D'altra parte, suo fratello doveva aspettarsi un qualche secondo fine dietro quell'appassionata e spontanea offerta di accompagnarlo alla mostra di un suo conoscente altolocato, che probabilmente si credeva un Mecenate, ma in pratica non faceva altro che raccattare opere d'arte di secondo livello spacciandole per rivoluzionarie e aumentava così il suo prestigio.
Altro motivo per il quale Sherlock non vedeva l'ora di uscire di lì.
Mycroft era sicuramente preparato a una sua repentina ritirata strategica, visto che non era la prima volta che si volatilizzava nel bel mezzo di un'esposizione.

"Non sentirà troppo la mia mancanza." si augurò Sherlock, contando di finire alla svelta il lavoro.
 
* * *

L'aria fredda e umida della notte lo investì non appena mise piede nel curatissimo giardino all'inglese e si lasciava alle spalle le calde luci della villa camminando sul prato bagnato.
Rabbrividì e si strinse nella giacca fin troppo leggera, muovendosi furtivo tra le ombre dei cespugli e degli arbusti illuminati dai lampioni a gas, fino a raggiungere le stalle dove superò cautamente il recinto dei cani da caccia; da lì arrivò al cancelletto che sbarrava il cortile sul retro.
Usando una semplice forchetta sottratta poco prima al buffet, aprì con due abili manovre la serratura arrugginita e scivolò all'interno, facendo attenzione a non far cigolare i cardini.
Il vialetto un po' dissestato seguiva il perimetro della villa ed era illuminato da grandi rettangoli di luce dorata là dove si affacciavano le ampie finestre dei saloni.
Sherlock si tirò la sciarpa fin sopra il naso e si calò la falda del cappello sul volto: preferiva essere scambiato per un ladro o un tipo sospetto, piuttosto che essere riconosciuto subito, visto che quel che si apprestava a fare non poteva definirsi esattamente "legale".
Percorse rapidamente il viottolo, attento a non far scricchiolare troppo la ghiaia: non era del tutto sicuro che i cani fossero rinchiusi.
Arrivato non visto alla siepe di fondo, aprì svelto la porta del magazzino e la richiuse all'istante dietro di sé.

La penombra polverosa era stipata dei teli bianchi sotto i quali erano custoditi i pezzi non ancora esposti, e l'unica luce proveniva da un lanternino morente appeso al soffitto.
Da quel che aveva appreso, quelle dovevano essere le opere meno quotate, che erano destinate a non vedere mai la luce o a essere cedute al rigattiere di turno.
Ignorava su quale criterio le avessero giudicate, visto che anche i quadri attualmente esposti gli erano sembrati croste o dipinti da artisti da quattro soldi, ma evidentemente qualcuno doveva ritenerle ben più preziose di quanto sembrassero per prendersi la briga di farle rubare.

"E se quel qualcuno è Moriarty, mettergli i bastoni tra le ruote è sempre un piacere!" commentò tra sé, alzando appena i lenzuoli per trovare il quadro che gli aveva descritto il suo informatore.

O meglio, la sua informatrice.

Doveva ammettere di essere stato sul chi vive quando Irene gli aveva passato la soffiata di un imminente furto d'arte di cui non si era arrischiata a rivelare l'autore, nonostante Sherlock avesse subito intuito la mano di Moriarty, ma alla fine aveva messo da parte il suo scetticismo.
Il gioco valeva la candela: non si sarebbe mai privato della soddisfazione di giocare Moriarty e inoltre non si era mai tirato indietro di fronte a un rischio, per quanto grande.
Infine trovò quel che cercava, dopo essersi ricoperto di polvere da capo a piedi; sollevò con un ampio gesto il telo, scoprendo uno scorcio di Londra su Hyde Park, proprio come descritto da Irene.
Holmes cominciò ad estrarlo con delicatezza dalla cornice, pensando che dopotutto avrebbe fatto la sua figura nel suo studio a Baker Street: sarebbe bastato sviare le domande di Watson sulla sua dubbia provenienza.
Stava giusto per sfilarlo dalla cornice quando si bloccò, sul chivalà.
Due cose avevano fatto scattare un campanello d'allarme nella sua testa: una scia di profumo Francese decisamente fuori luogo in un magazzino ammuffito e un fazzoletto di pizzo con le lettere I.A. ricamate sull'angolo, abbandonato in bella vista sul tavolo di fronte.
Lo raccolse, guardandolo vagamente confuso.
Colto da un improvviso sospetto, afferrò il dipinto e lo girò; la sua espressione mutò dall'interdetto all'accigliato mentre scrutava con perplessità un disegno infantile a carboncino tracciato sul retro della tela: un omino con una canna da pesca e un pesce sotto la sua barca.
Sotto, vergato in una grafia ben più adulta:

"Who's the fisher, and who's the fish?"

Sherlock arrotolò con lentezza il dipinto, riflettendo.
Aveva messo in conto l'ipotesi di una trappola (non per nulla aveva portato il revolver) e anche quella di una semplice beffa.
Dare un bello smacco al suo orgoglio sarebbe stato tipico di Moriarty... ma non di Irene.
La ladra era indubbiamente lei, visto che aveva anche lasciato la sua firma... ma allora perché avvisarlo del furto?
Poteva averglielo ordinato Moriarty, certo, ma che senso aveva tutta quella messinscena per una semplice burla?
Moriarty poteva anche divertirsi a metterlo in ridicolo, ma di certo aveva altro da fare che scarabocchiare disegnini insulsi e far sfoggio del suo pessimo senso dell'umorismo.
Quel disegno... lo inquietava.
Cosa aveva voluto dire Moriarty?
Troppi interrogativi, troppi elementi fuori dallo schema.

"Fuori schema..."

La soluzione gli balzò davanti, crudele nella sua semplicità.
Non era Moriarty ad aver cambiato schema... era lui che aveva preso in considerazione lo schema sbagliato.

Sherlock abbandonò a terra il dipinto, fiondandosi verso la porta, incurante di lasciare tracce del suo passaggio.
Adesso si malediceva per non aver discusso con Watson quell'indagine imprevista e malediceva Watson per aver deciso di rinunciare a quella serata "intellettuale" in favore di una cena con Mary; giurò a sè stesso che appena ne avesse avuto l'occasione avrebbe fuso la fede nuziale già pronta ad essere indossata dal suo fidato compagno.
Confuso da quei pensieri del tutto fuori luogo, correva a rotta di collo sul vialetto, facendo schizzare ghiaia ad ogni passo e aizzando i cani al suo passaggio, scatenando un coro di ringhi e ululati.

Arrivò trafelato all'ingresso della villa, che ora sembrava stranamente cupa e grave, come se l'aria festosa e spensierata di poco prima fosse stata spazzata via da un vento polare.
Entrò a passo veloce, ostentando tranquillità, ma sentendosi in subbuglio.
Si accorse con inquietudine che l'atrio e il disimpegno erano deserti, così come il salone principale; si udiva un brusio concitato dal fondo del corridoio, dove era il salotto privato adibito a galleria.
Si precipitò in quella direzione, mentre il suo brutto presentimento diventava più vivido ad ogni passo.
Anche lì non c'era nessuno, ma voltandosi verso la porta che dava sull'altra sala scorse una vera e propria folla che inondava la stanza troppo piccola; con l'inconscio che borbottava oscuri presagi, varcò la soglia, vedendo un capannello di persone riunite intorno a qualcosa.

O qualcuno.

Invano scandagliò la sala alla ricerca della non trascurabile stazza di Mycroft e fu con un pesante senso di oppressione che si fece largo attraverso il muro umano che lo separava da quel che temeva.
Pur aspettandoselo, ebbe la netta sensazione di essere appena caduto dalla cima del Big Ben e non era sicuro di essere sopravvissuto.

Mycroft era disteso a terra con le braccia spalancate, gli occhi vitrei e stralunati fissi sul soffitto a specchio che ne rifletteva lo sguardo spento.
Sherlock scosse la testa, incredulo e provando la strana sensazione di sapere quel che era successo, ma non averne ancora la piena consapevolezza.

-Mycroft!- la sua voce gracchiante e irriconoscibile risuonò nella sala mentre crollava in ginocchio accanto al corpo, sapendo che il fratello non avrebbe più risposto.

-Signor Holmes!-

Registrò passivamente il suo nome che veniva ripetuto più e più volte, ma non si curò di rispondere; impedì al medico di toccare il cadavere, spinto da non sapeva quale volontà.

-Mycroft...-

Fu in uno stato di trance che gli prese la mano, senza sapere bene il perché, e vide che essa era stretta attorno a qualcosa.
La ragione in quel momento era assente, così fu l'istinto a dirgli di non farsi vedere: sottrasse il piccolo oggetto metallico dalla mano già quasi fredda e sentì qualcosa che gli pizzicava appena il palmo mentre lo metteva in tasca.
Fu con dita tremanti che chiuse gli occhi di Mycroft, per poi alzarsi di scatto.

Senza degnare di uno sguardo i presenti, si avviò a passo pesante verso l'uscita, stordito, ma allo stesso tempo padrone di sé stesso.
Aveva sempre ritenuto di avere un autocontrollo invidiabile, ma in quel momento era una sensazione spiacevole sentire quel dolore sordo alla bocca dello stomaco e un gran freddo nel resto del corpo, senza riuscire a liberarsene.
Di nuovo, un sentore di profumo Francese gli solleticò il naso, ma quando si girò vide solo volti sconosciuti che lo fissavano con un misto di pietà e compassione.

Voltò loro le spalle, turbato, e uscì di nuovo nella notte.

Il vento gelido e tagliente che si era alzato gli schiarì un po' le idee, così frugò nella tasca della giacca e ne tirò fuori l'oggetto che stringeva Mycroft; un proiettile ad ago brillò appena alla fioca luce dei lampioni, come una promessa di morte.
Holmes tirò un sospiro tremolante e si passò una mano sul volto, mentre le parole di Moriarty gli risuonavano in testa.

"Who's the fish, Holmes? Who's the fish...?"

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Note Dell'Autrice:

Ebbene sì, signore e signori... un'altra Long!
Non ho idea di dove troverò il tempo per aggiornare, ma cercherò di districarmi in qualche modo tra le mie (troppe) FF D:

EDIT: L'altro giorno andavo di fretta, così ecco un po' di spiegazioni in ritardo sulla storia, visto che molti mi hanno chiesto delucidazioni :)
Prima di tutto è ambientato a metà tra il primo e il secondo film, per non essere limitata dalla trama; per quanto riguarda il layout della storia... sì, sono tremendamente consapevole che aprendo la pagina ci si trova di fronte a una pappetta informe che deforma la pagina, ma io la visualizzo normalmente! D: Ho torturato fino allo sfinimento il povero editor e duellato a sangue con l'HTML, ma non se se abbia funzionato, visto che io lo visualizzo comunque bene ._. Scusate il disagio! D:

Ringrazio chiunque leggerà o recensirà! ù.ù
Grazie alla mia Beta _ Shadow _ <3

-Light-

 

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Capitolo 2
*** What Happened, Holmes? ***


Chapter 2
-
What Happened, Holmes?
 
 
Quando la signora Hudson si decise finalmente ad aprire allo scocciatore che tempestava di colpi la porta alle quattro del mattino, non fu sorpresa di trovarsi faccia a faccia con uno Sherlock Holmes fradicio, inzaccherato e barcollante.
In un certo senso era abituata alle sue stranezze e alla sua personalità stravagante che andava contro ogni buon costume.

-Signor Holmes! Bell'ora per rientrare!-

-Cause di forza maggiore mi hanno trattenuto più a lungo del previsto.- spiegò lui con la sua solita aria serafica.

-Posso entrare? Qui fuori si gela.- continuò, adocchiando all'infido strato di ghiaccio che ricopriva i gradini.

La signora Hudson lanciò un'occhiata disgustata allo stato dei suoi vestiti, a cominciare dalle scarpe completamente ricoperte di fango; rassegnata a dover ripulire tutto da cima a fondo, si fece da parte per farlo passare.
Holmes, fradicio fino al midollo, salì con lentezza le scale.
Uno sciacquio accompagnava ogni suo passo.
Arrivato alla porta dello studio, entrò piano senza neanche bussare, seguito dagli occhi vigili della padrona di casa che fissavano con rassegnazione la scia di fango che decorava la moquette.

 
*  *  *

 
Lo studio era ingombro, polveroso e come sempre dominio incontrastato del caos.
Sherlock lo considerò un fatto rassicurante. 
La comoda poltrona dove sedeva abitualmente era occupata da Watson, profondamente addormentato e imbozzolato in un'orrida coperta a patchwork verde e rossa.

"L'ultimo, delizioso regalo di Mary." giudicò Holmes, stizzito.

Gladstone dormiva beato ai piedi del dottore, che stringeva in mano quel che sembrava il referto di un'autopsia.
Un lieve ma costante russare risuonava nella stanza.
Sherlock decise di aspettare che Watson si svegliasse da solo per non turbarlo troppo: si sarebbe sicuramente sentito in colpa per non averlo accompagnato e in un certo senso il pensiero lo consolava.

"Forse così uscirà meno spesso con quell'arpia..."

Si fermò davanti alla finestra, osservando Baker Street.
La strada, a quell'ora del mattino, era desolata.
Un po' come lui in quel momento: si sentiva innaturalmente calmo e non provava alcun istinto violento o irragionevole.
Sentiva solo una grande stanchezza.

Era andato via dalla villa il prima possibile e aveva rimandato l'interrogatorio di Lestrade a quella mattina, dopo aver accusato un malessere inesistente.
La morte di Mycroft era stata classificata come "accidentale": un infarto, o forse un ictus, aveva giudicato il medico a colpo d'occhio.
Holmes aveva dato disposizioni affinché il corpo del fratello fosse esaminato unicamente dal dottore che in quel momento era tra le braccia di Morfeo sulla sua poltrona.
Nessuno sembrava aver preso in considerazione l'ipotesi di un omicidio, cosa che lo escludeva da eventuali sospetti e lo rendeva più libero di indagare.
Il fatto che sarebbe stato Watson ad occuparsi del cadavere gli dava un senso di sollievo: non avrebbe sopportato che a compiere l'autopsia fosse stato il medico legale di Scotland Yard.
Non era tra le sue conoscenze più gradite: gli dava l'idea di un avvoltoio che volteggia intorno a un animale moribondo.
Si riscosse, turbato da quell'immagine che gli ricordava spiacevolmente la sua situazione, con Moriarty che aspettava pazientemente il suo crollo per avventarsi su di lui e assestargli il colpo di grazia.

Un improvviso grugnito da parte di Watson lo distolse da quelle riflessioni.
L'amico si raggomitolò ancor di più sotto la coperta, abbandonò la testa sul bracciolo e riprese a russare.
Le pagine del referto piombarono su Gladstone, che schizzò via indignato e si allontanò dal padrone per accucciarsi ai piedi di Holmes.
Sherlock si chiese se non fosse il caso di svegliarlo: cominciava ad albeggiare ed era consapevole che ogni secondo perso permetteva a Moriarty di compiere un passo avanti a lui e di stringere la sua rete di intrighi.
Scosse la testa, stranamente sgombra; si sentiva vagamente frastornato ed era come se la sua acuta capacità d'osservazione e deduzione si fosse improvvisamente presa una pausa: osservando ciò che lo circondava, non riusciva a coglierne i minimi dettagli come era solito fare.

"E' dannatamente frustrante."

Si accese la pipa, meditabondo.
Aveva ancora un paio d'ore per riflettere e far ordine nei suoi pensieri.
 
 
*  *  *

 
Watson si svegliò con l'impressione di aver passato la notte su una lastra di granito.
Era intirizzito, si sentiva il collo rigido e dolorante e le gambe spiacevolmente addormentate.
Con uno sforzo eroico scalciò via la coperta e si drizzò a sedere, un po' troppo bruscamente, a giudicare dallo scricchiolio di protesta della sua schiena.
Dopo un enorme sbadiglio da slogarsi la mascella, si guardò intorno.

A giudicare dalle orme infangate e dal penetrante odore di tabacco, Holmes doveva essere rientrato.
Il puzzo di bruciato che aleggiava nello studio non prometteva nulla di buono, così come l'assenza di un paio di strumenti di analisi, provette e del becco di Bunsen.
Lottando contro il sonno, Watson si alzò barcollando e guardò alle sue spalle, dove Holmes era prevedibilmente intento a trafficare con provette e alambicchi.
Gladstone era steso lì vicino a pancia all'aria, apparentemente inanime.
Watson si svegliò del tutto.

-Holmes!-

-Bensvegliato, Watson.-

Il dottore si avvicinò con aria rassegnata al povero cane, tastandolo con cautela.

-Ha di nuovo ucciso il mio cane!-

-Il nostro, prego. Non si preoccupi! Gladstone sta solo sperimentando gli effetti di un'innocua dose di cicuta.-

-Cicuta?!-

-Le garantisco che sarà di nuovo in forma in men che non si dica.-

L'altro emise un verso esasperato.

-Si può sapere che cosa sta cercando di fare?-

-Sperimento gli effetti di vari veleni.-

-E usa il mio cane come cavia?!-

-L'alternativa era lei, ma dormiva così bene che sarebbe stato un crimine svegliarla.-

In quel mentre, Gladstone si rialzò di colpo tornando improvvisamente alla vita e fuggì dalla stanza, guaendo.
Sollevato, il dottore si rialzò e fece per avvicinarsi a Holmes, ma questi fece altrettanto e sgomberò il pavimento dai suoi strumenti di ricerca.
Watson scosse la testa, senza crucciarsi troppo: qualunque cosa stesse macchinando, l'avrebbe saputo presto.

-Allora, com'è andata la serata?-

-Magnificamente.- rispose Holmes con un'evidente dose di sarcasmo, mentre riponeva il becco di Bunsen.

-E la sua? Mary ha di nuovo ottenebrato la sua mente con proposte indecenti?-

-Holmes!-

-Mi riferivo al matrimonio.- specificò l'altro, con un tono che faceva sembrare l'odiata parola un terribile insulto.

Watson alzò gli occhi, prevedendo un discorso già affrontato innumerevoli volte e sempre opportunamente condito dalle osservazioni pungenti di Holmes, per il quale Mary era una sorta di mostro mitologico sorto dagli Inferi per rapirlo.
Aveva già sventato molti suoi tentativi di sbarazzarsi della fede nuziale... e di Mary.

-Lei, piuttosto, si è divertito?- chiese scettico: preannunciava già la risposta.

-Non esattamente.-

-Annoiato?-

-Catatonico.-

-Stanco?-

-Esaurito.-

Watson tirò un profondo sospiro.
Raccolse di malavoglia le pagine sparse sul pavimento, rassegnato a dover sorbire l'interminabile sequela di lamentele da parte del suo amato-odiato collaboratore.

-Non riesco a capire perché si sia offerto di accompagnare suo fratello: non è certo tipo da serate mondane.-

-Affatto.-

-Scommetto che d'interessante c'erano solo ricche e belle signore...- lo stuzzicò.

-Non solo quello, mi creda.-

Watson lo fissò sospettoso, senza sapere come interpretare la sua ambigua affermazione.
Radunò gli ultimi fogli disseminati sulla scrivania, nel vano intento di rendere vivibile lo studio, e intanto osservava di sottecchi Holmes, stranamente taciturno.
Oltre alla sua aria più stralunata del solito, lo insospettivano la sciarpa decisamente femminile annodata al collo (forse traccia di un travestimento... almeno, pregò che fosse così) e i vestiti umidi e infangati.
Non aveva nemmeno un bel colorito: sembrava covare i sintomi di un brutto raffreddore e i geloni sulle mani testimoniavano l'esposizione a un freddo intenso, come se avesse passato la notte all'addiaccio.

"Possibile?"

Il detective dovette accorgersi di essere osservato, perché distolse lo sguardo da qualcosa che teneva in mano e incrociò i suoi occhi azzurri e inquisitori.

-Il buffet però era ottimo.- ruppe infine il silenzio, con tono leggero e un sorrisetto tirato, ma con aria assente.

Sprofondò nella poltrona precedentemente occupata dal collega e fece una smorfia.

-Watson, si lasci dire che Mary ha un pessimo gusto nell'abbinare i colori.- commentò, sollevando la coperta rossa e verde con due dita, come se fossero i resti di qualcosa in decomposizione che era meglio non toccare.

-Glielo farò presente.- ribattè acidamente lui, strappandogliela gelosamente di mano e gettandola sull'altra poltrona.

-Sarà meglio...- Holmes non diede segno di voler cogliere l'ironia.

"C'è decisamente qualcosa che non va.
E' troppo tranquillo: sembra che si sforzi di comportarsi normalmente senza riuscirci."

Le sue tecniche di interrogatorio non erano all'altezza di quelle di Holmes, ma decise di far luce con cautela su quella serata che sembrava aver sconvolto tanto l'amico.

-Almeno i quadri erano belli?- tentò, senza riuscire a strapparlo dal suo ermetismo:

-Orridi.-

-Dio Santo, Holmes! Si può sapere che le prende?- sbottò Watson, esasperato.

"E tanti saluti ai metodi investigativi e alla cautela."

-Vorrebbe un resoconto della serata?-

-Direi che sarebbe molto gradito.- confermò il dottore, lasciandosi cadere alla scrivania e finendo di compilare il referto.

-In generale o nel dettaglio?- 

-In generale, la prego.- implorò l'altro, inorridendo al pensiero di dover ascoltare la vita privata di ogni singolo invitato.

-Bene...- Sherlock si accese con calma la pipa, guardando distratto fuori dalla finestra.

Watson riprese a stilare il rapporto, attendendo con santa pazienza che Holmes parlasse.

-La mostra, a mio modesto parere...-

Watson tossì forte, e l'altro lo ignorò:

-... è stato un enorme fiasco.-

-Non mi sembra un critico d'arte.-

-Neanche quello che si spacciava per tale alla villa lo era.- 

Il collega sbuffò e alzò le spalle, facendo cenno ad Holmes di continuare.

-Credo inoltre che Lord Kimberley dovrebbe avere l'accortezza di tenere le sue numerose amanti a distanza di sicurezza dalla moglie...-

-Mmm...-

-... non so so proprio come abbiano potuto passare inosservate! La loro colpevolezza era lampante!-

-Immagino.- mugugnò Watson, scrivendo imperterrito.

-Senza contare che i sorveglianti erano molto più ingenui di quanto mi aspettassi...-

-Ah, sì?- commentò l'altro, prima di congelarsi nell'atto di scrivere. -Aspetti. Come ha detto?-

-... è stato veramente un gioco da ragazzi ottenere la chiave del magazzino; e poi dovrebbero assicurarsi più spesso della tenuta delle serrature!-

-Holmes?- 

-Purtroppo, nonostante l'apparente semplicità del compito, il furto è andato a rotoli...-

-Cosa?-

-... lo stesso non si può dire del piano di Moriarty.-

-Cosa?!-

A quelle parole Watson balzò in piedi, senza parole: e così, ecco perché Holmes aveva tanto insistito per recarsi alla mostra!
E il fatto di essere stato in qualche modo raggirato da Moriarty spiegava il suo insolito comportamento.

-Lei!- sbottò, furibondo -Mi ha tenuto ancora una volta all'oscuro dei suoi piani!-

-In realtà le ho dato la possibilità di accompagnarmi, ma evidentemente Mary ha più fascino di me!- ribattè l'altro, piccato.

-Non metta in mezzo Mary! La sua avversione verso il mio ormai prossimo matrimonio... sì, Holmes, perché io mi sposerò!- affermò con veemenza quando lui alzò gli occhi al cielo.

-La sua avversione non giustifica il suo escludermi dalle indagini e andarsi a ficcare nella tana del leone senza nessuno a guardarle le spalle!-

Holmes rimase in silenzio, poi fece per parlare, ma fu interrotto:

-E non mi dica che sa cavarsela da solo!- lo anticipò, puntandogli l'indice contro.

-Stavo per dire il contrario, in effetti. Avrei tanto voluto che ieri sera ci fosse stato lei al mio fianco.- 

Holmes parlò a bassa voce, evitando di guardarlo.
Qualcosa nel suo tono fece svanire improvvisamente l'indignazione di Watson, sostituendola con una viva preoccupazione.

-Holmes, che cosa è successo?-

Il detective si prese del tempo per rispondere, sbuffando rapide nuvolette dalla pipa.
Infine si passò una mano tra i capelli e abbassò lo sguardo.

-Mycroft è morto.-

La frase cadde pesantemente nell'aria, come un masso in uno stagno profondo.
Il breve silenzio che seguì fu denso di tensione, mentre Watson spalancava gli occhi, colto alla sprovvista.

-Morto?- ripetè con un filo di voce.

-Ucciso.- specificò l'altro, estraendo dalla tasca un piccolo proiettile ad ago che spiegava i suoi traffici coi veleni di poco prima.

Watson scosse la testa, incredulo, e Sherlock distolse di nuovo lo sguardo dopo aver poggiato sul tavolo l'arma del delitto.
Non poteva dire di conoscere bene Mycroft: l'aveva visto un paio di volte in tutto, ma sentiva di condividere il dolore di Holmes per la sua perdita.

"Se solo fossi andato con lui..." si tormentò, divorato dal rimorso nel vedere il suo amico così sofferente.

-Moriarty?- si arrischiò a chiedere, cercando di essere delicato.

-E' il mandante.-

Watson rimase in silenzio, aspettando il resto.

-L'assassina è Irene.- sussurrò, e stavolta tolse dalla manica un fazzoletto ricamato, sul quale spiccavano le iniziali I.A.

Il medico si astenne dal commentare, ma si accigliò perplesso; d'altronde Holmes non sembrava aspettarsi un'opinione da parte sua.

-Holmes... mi dispiace.- fu tutto quel che riuscì ad articolare, e sperò che da quelle poche parole capisse che avrebbe voluto dire molto di più.

Lui lo fissò brevemente e annuì appena, poi, sorprendentemente, abbozzò un sorriso spento.

-Non è colpa sua.-

Watson deglutì a disagio; il fatto che Holmes avesse appena ammesso implicitamente di essere responsabile dell'accaduto dimostrava solo quanto l'avesse indebolito quell'improvvisa perdita.

-Watson?- Holmes si riscosse e lo fissò dritto negli occhi, serissimo.

L'amico sostenne il suo sguardo, invitandolo a continuare. 
Una luce fredda e diversa dalla sua solita vena di spavalderia brillò negli occhi di Holmes.

-Mi occuperò personalmente di questo caso.-

Watson non si scompose: se l'era aspettato, ed evitò di contestare quell'affermazione solo per non scatenare una lite.
Avrebbe comunque partecipato all'indagine, in un modo o nell'altro.
Si sentì comunque ribollire di rabbia, e fulminò l'amico con lo sguardo.
Holmes non se ne curò, riportando il suo sguardo sul fazzoletto candido che stringeva ancora in mano, con le dita contratte.

-La caccia è aperta.-

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Note Dell'Autrice:

Ecco a voi il secondo capitolo ^^
Questa FF mi sta prendendo molto *^*
Mi diverto un sacco a scriverla e spero veramente che i miei sforzi soddisfino anche voi :)

In questo capitolo ho fatto emergere un po' di più la personalità di Holmes e Watson, cercando di evocare alcuni elementi familiari del film, come i botta e risposta dei due e le torture al povero Gladstone XD
E dal prossimo, comincia il bello ò_ò Almeno, a parer mio, che mi sono ovviamente fiondata a scrivere i capitoli finali trascurando quelli imminenti u.u
Sono un'idiota QAQ

Ringrazio tantissimo chi ha recensito, cioè Artemis Hide, _Luna_ e Rogue 92 che hanno anche aggiunto la storia alle seguite insieme a adag46 e Charlie_Winchester (scusate se non metto il link alla vostra pagina, ma l'editor mi dà problemi D:)
Un abbraccio enorme alla mia Beta _ Shadow _che trova sempre un po' di tempo per me e che sopporta le mie follie e i miei scleri ;) 

Grazie a tutti :D

-Light-

 

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Capitolo 3
*** Never Forget ***


Chapter 3
-
Never Forget
 
 
"Those who are dead, are not dead: they're just livin' in my head... ,,

~ Coldplay - 49  ~
 
L'ultima volta che Holmes aveva messo piede in un cimitero era stato durante le indagini del caso Blackwood e avrebbe volentieri fatto a meno di ripetere l'esperienza così presto.
Il debole chiarore del sole appena sorto non bastava a dissipare la nebbiolina che serpeggiava tra le mute e grigie lapidi; dal terreno e dalle tombe ancora umidi di rugiada continuava a levarsi un denso vapore traslucido che Sherlock associò con un brivido alle anime dei defunti.
Un gatto rossiccio lo squadrava con solenne gravità dalla tomba sulla quale era accucciato, discreto guardiano di quel luogo di eterno riposo.

L'uomo distolse lo sguardo sentendosi inadeguato all'atmosfera di sommesso dolore, quando tutto quel che provava era una sensazione di profondo distacco.
Pochi avevano presenziato al funerale, ancora meno si erano trattenuti dopo la cerimonia e lui solo era rimasto di fronte alla tomba.
In realtà percepiva la presenza di Watson appena due tombe più in là, ma non si voltò, dandogli l'illusione di essere invisibile dietro il contorto alberello che ombreggiava una rozza lapide.

Holmes sospirò e affondò le mani nelle tasche della lunga giacca.
Alzò lo sguardo verso il cielo nuvoloso e ancora incolore; la luce illuminava appena i bordi frastagliati delle nubi cariche di pioggia che si addensavano lentamente sulla città.
Ecco, in quel momento percepiva il dolore come una tempesta lontana, appena visibile all'orizzonte e per il momento innocua; ne avvertiva però l'avvicinarsi e l'intensa elettricità che ne preanunciava l'arrivo.
In cuor suo sperava che la consapevolezza della perdita stesse alla larga il più a lungo possibile: doveva avere la mente lucida e sgombra per concentrarsi e punire chi aveva fatto quello a Mycroft; poi avrebbe potuto dar sfogo al suo dolore.

"To live in hearts we leave behind is not to die.", recitava l'epitaffio che Mycroft aveva richiesto nelle sue ultime volontà.
Holmes chinò il capo: avrebbe dovuto resistere e conservare gelosamente il ricordo del fratello, illudersi per un po' che il fratello vivesse ancora nella sua mente attraverso le nebbie della memoria.
La voce preocccupata di Watson lo strappò bruscamente dalle sue riflessioni:

-Holmes.-

Si riscosse, girandosi verso il dottore, che lo scrutava perplesso.

-Sta bene?-

Gli venne quasi da ridere a quella domanda, e sentì un sorriso amaro affiorargli in viso.

-Sì. Credo di sì.-

-La stavo chiamando da un po', ma non mi ha risposto. Mi ha fatto preoccupare.- bofonchiò Watson, imbarazzato da quella sua domanda decisamente scontata e fuori luogo.

-Sto bene.- ribadì l'altro -Ero solo un po'... assorto.- per un attimo la sua voce assunse la solita sfumatura di svagato interesse, per poi piombare nuovamente in un tono cupo.

Watson annuì mestamente e fissò la tomba davanti a loro, mentre un vento tagliente e foriero di cattivo tempo spazzava il cimitero.

-Mi dispiace.- mormorò infine, contrito.

-Non mi sta chiedendo scusa né per le sue domande inopportune, né per delle convenzionali condoglianze, o sbaglio?- chiese schietto, voltandosi verso il compagno, che si irrigidì visibilmente.

L'ultima domanda era evidentemente retorica, ancor di più se a pronunciarla era lui: difficilmente sbagliava un giudizio.
L'ultima volta era accaduto due giorni prima, e ne aveva il risultato davanti.
Watson attese qualche istante per cominciare:

-No, ha ragione; non è per questo che...-

-Allora,- lo interruppe con fermezza Sherlock, guardandolo negli occhi -si tenga le sue scuse.- affermò, in tono duro.

Watson si adombrò e sembrò vacillare a quelle parole.

-Non le merito.- soggiunse sottovoce Holmes, distogliendo lo sguardo; Watson sobbalzò e rimase di stucco di fronte a quel repentino cambio d'atteggiamento.

-Cosa intende con...-

-So perfettamente che vorrebbe farsi carico della morte di Mycroft, ma purtroppo o per fortuna, non saprei dirlo, l'unico che posso biasimare è me stesso.
Ammetto che sarebbe consolante avere qualcuno su cui addossare parte della colpa e da prendere a pugni in questi momenti neri.- aggiunse, senza guardarlo.

-Varrebbe il contrario?-

-Come, prego?-

Holmes si girò incuriosito verso l'amico, e il pugno di Watson lo investì in piena faccia.
Sherlock si ritrasse con un balzo e si piegò in due con un grugnito, tenendosi il naso sanguinante.

-Questo è per avermi tenuto all'oscuro di tutto e per non essersi fidato di me.- affermò Watson con durezza, per nulla pentito del suo gesto.

Abbassò il pugno ancora alzato e riprese:

-Non mi fa piacere rigirare il coltello nella piaga, ma visto che ha ammesso e accettato la sua parte di responsabilità, non sarò certo io a sollevarla dalle sue colpe.-

Holmes si raddrizzò, riprendendo il controllo; dalla mano premuta sul naso colava un rivolo di sangue.

-Io sono stato un idiota, perché non l'ho tenuta abbastanza d'occhio da capire le sue intenzioni.- dichiarò, mentre Holmes lo ascoltava in rispettoso silenzio.

-Lei invece, se mi avesse detto che cosa aveva in mente di fare, avrebbe potuto evitare tutto questo. Avremmo potuto.- si corresse, con particolare enfasi sul plurale. 

-Non la considero uno stupido, e lo sa; ma avere un aiuto e scegliere di ignorarlo è stupido.-

Watson fece una pausa, per dare il tempo al compagno di assorbire le sue parole e per riprendere la calma.

-Ha la fortuna di poter contare su qualcuno. Non se lo dimentichi mai.- concluse; gli voltò le spalle con decisione e lo lasciò solo di fronte alla tomba, avviandosi all'uscita del cimitero.

Holmes lo seguì con lo sguardo, pensoso, mentre accettava la verità di quelle parole.

Aveva sempre tenuto in gran conto l'opinione di Watson e apprezzava la sua grande schiettezza; si era quasi dimenticato di poter fare affidamento su di lui in qualsiasi circostanza, e provò un senso di vergogna al pensiero.
Si sentiva il morale sotto i tacchi, ma almeno adesso sapeva che poteva e doveva rialzarsi.
Lanciò un ultimo nostalgico e fuggevole sguardo alla lapide e seguì i passi di Watson, che lo attendeva al cancello d'ingresso.

-Come si sente, adesso?-

-Molto meglio. Illuminato, direi. Il dolore schiarisce enormemente le idee.- ribattè con voce nasale.
L'ombra di un sorriso balenò sotto i baffi di Watson, mentre gli tendeva un fazzoletto.

-Si dia una ripulita.-

Holmes si tamponò con sollievo il naso ancora sanguinante, sotto lo sguardo a metà tra il soddisfatto e il divertito del compagno.

-Dica la verità: non aspettava altro.- mugugnò il detective, guardandolo di sbieco.

Watson sogghignò.
 
*  *  *
 
-Allora; da dove si comincia?-

Era la prima volta che Holmes lo interrogava sulla successiva mossa da compiere durante un'indagine, e Watson si sentì lusingato.
Erano di nuovo nel loro studio a Baker Street, piacevolmente caldo e comfortevole dopo più di un'ora di carrozza sotto la pioggia battente che si era abbattuta all'improvviso su Londra.
Holmes non aveva parlato per tutto il tragitto, perso nei suoi pensieri, e Watson era lieto di sentirlo di nuovo parlare.

-Mi sono preso la libertà di raccogliere qualche informazione su... Irene.- esitò, ma lo sguardo fermo di Sherlock lo invitò a continuare, facendolo sentire leggermente a disagio: aveva ottenuto tutti quei dati semplicemente sfogliando la voluminosa cartella nella quale Holmes continuava imperterrito ad annotare ogni singola mossa o spostamento di Irene. Non aveva esattamente "indagato"...

Scosse la testa e riprese:

-Ho ottenuto da varie fonti un elenco di probabili città nelle quali si recherà nei prossimi mesi per conto di Moriarty, la prima delle quali è...-

-Amsterdam.- indovinò Holmes, assorto.

Watson gli lanciò un'occhiata non troppo stupita, abituato alle sue interruzioni, e si limitò ad inarcare un sopracciglio, in attesa. Aveva trovato il nome scribacchiato in un angolo, senza alcuna spiegazione, così come quelli di altre tre o quattro città.

-Ho saputo che ha intercettato non molto tempo fa un enorme carico d'oppio; inoltre ha inviato un messaggio criptato a un certo Goldschmidt, Olandese, residente ad Amsterdam e mente di molti loschi traffici nel quartiere malfamato della città. 
Risultava avere un'influenza politica abbastanza potente perché Moriarty prendesse in considerazione l'idea di farselo amico; e cosa c'è di meglio di una cospicua quantità d'oppio per iniziare una solida alleanza? Sa, spacciarsi per telegrafista ha molti vantaggi.- osservò infine, deliziato.

-Ammetto che ha un senso. Quindi Irene andrà ad Amsterdam per la prima volta solo per stringere un patto segreto?-

Holmes percepì il suo tono dubbioso.

-Cosa non la convince del mio ragionamento?-

Watson fece una pausa, durante la quale lo fissò intensamente.

-Ho esaminato il corpo, come mi aveva richiesto.- esordì, scrutando la reazione del compagno, che con suo sollievo non diede segni di turbamento; continuò:

-Il veleno contenuto nel proiettile non è molto comune: ha effetti molto simili a quelli del cianuro e viene estratto da una pianta piuttosto rara che non cresce certo nei dintorni di Londra. Mi insospettisce il fatto che...-

-L'Hortus Botanicus di Amsterdam.- lo interruppe Holmes, come folgorato.

-Era esattamente quello a cui avevo pensato.- confermò i suoi sospetti l'altro, rassegnato al fatto che Holmes anticipasse sempre e comunque i suoi ragionamenti.

-Bisognerà controllare qualche registro di spedizione e scoprire da chi è stato acquistato il veleno: non credo che Moriarty rischierebbe in prima persona.- riprese dopo un po', ricevendo da Holmes un vago cenno d'assenso.

Sembrava perso in altri pensieri.
Improvvisamente si riscosse, si alzò di scatto dalla poltrona e frugò brevemente nel cassetto della scrivania.
Tornò indietro con un rotolo di quella che sembrava pergamena, ma quando fu più vicino Watson si rese conto che era una tela di un quadro. 
Aggrottò la fronte, perplesso, e si accigliò ancor di più quando Holmes svolse la tela, rivelando dietro al dipinto il disegnino stilizzato di un omino che pescava.

-E questo cosa significa?- chiese, leggendo la scritta sotto al disegno, in una calligrafia chiara ed elegante.

-Significa-, Holmes sgomberò la scrivania con una manata mandando all'aria le scartoffie che la ricoprivano e spiegò la tela su di essa -che in questo momento siamo all'interno di un paradosso.- concluse, appoggiandosi al tavolo e incrociando le braccia con la pipa che gli penzolava dalle labbra.

Watson alzò gli occhi dal disegno e lo fissò eloquente.
Sherlock lo fece penare qualche secondo, poi si decise a spiegare:

-Moriarty ha un senso dell'umorismo davvero singolare. Ha iniziato lui questa battuta di caccia uccidendo Mycroft, ma in realtà l'obiettivo ero io; in questo momento, invece, sono io che sto cercando di stanarlo dalla sua tana, ma allo stesso tempo è lui che ha in mano le redini del gioco e può manipolarmi a suo piacimento. Siamo entrambi cacciatori ed entrambi prede. O se preferisce, pescatori e pesci. Interpretiamo due ruoli diversi nello stesso momento!-

-Molto filosofico, Holmes, ma a parte questo ha pensato, per esempio, ad effettuare un esame calligrafico?-

-Già fatto, mio caro Watson. E sono rimasto non poco perplesso.-

Indicò la prima lettera, una "W" perfetta che iniziava con uno svolazzo.

-L'unica persona che fa un ricciolo oblungo che si protende in alto a sinistra nello scrivere la "W" è Irene Adler.- pescò un foglietto dalla tasca della camicia; somigliava a una lettera e Holmes si premurò di celare abilmente ciò che

Watson non doveva leggere; lasciò scoperta solo la frase della "W" in questione.
Watson confrontò le due lettere e infine annuì: erano identiche.
Anche tutte le altre lettere corrispondevano, non lasciando adito a dubbi.

-Vede?- lo incalzò Holmes, impaziente.

-Vedo; sono state evidentemente vergate dalla stessa mano. Quella di Irene.- affermò con sicurezza l'assistente.

-Ed è qui che si sbaglia!- lo contraddisse l'altro, trionfante.

Watson trattenne un sorrisetto: era bello vedere che Holmes sembrava aver dimenticato su quale caso stessero lavorando e si fosse gettato a capofitto nelle indagini.

"Sembra quasi se stesso."

Solo una lieve ombra d'inquietudine tradiva la sua reale condizione.

-Watson, perché non replica con uno dei suoi commenti pungenti come sempre?- Holmes si finse indignato.

-E allora mi dica: dov'è che sbaglio?- sospirò Watson.

-La calligrafia è sì la stessa, ma non la mano che l'ha scritta.-

-Come può non essere di Irene se...- si fermò, dandosi dell'idiota. -Ma certo! Hanno copiato la sua calligrafia!-

-Adesso ci siamo. Un falsario molto abile, devo ammetterlo: io stesso ero stato tratto in inganno, all'inizio. Ma poi...- e puntò il dito sulla "H" di "Holmes", un po' sbilenca e leggermente più marcata.

-Qui ho notato una sbavatura che non sembrava causata da un semplice errore di distrazione... bensì dalla troppa attenzione.
Mi spiego: per copiare la calligrafia di qualcun altro, per forza di cose si scrive molto più lentamente di quanto si faccia di solito. Irene scrive la "H" in un modo molto particolare e complesso da imitare: persino il falsario si è trovato in difficoltà e ha lasciato una traccia: qui l'inchiostro è molto più del necessario e il solco più profondo, come se si fosse soffermato sul tratto.
Ho poi esaminato le altre lettere più attentamente e ho notato che questo fenomeno si ripeteva in tutte, dove più, dove meno.
Poteva anche essere causato da un certo nervosismo di Irene mentre scriveva, che l'aveva forse spinta a calcare più del necessario ma... c'erano semplicemente troppi dettagli che non tornavano ed era più ovvio prendere in considerazione anche questo, piuttosto che scartarlo, no?- Holmes si sfregò le mani con immensa soddisfazione e Watson giurò che non fosse semplicemente per il suo ragionamento impeccabile.

-Quindi, adesso sappiamo che forse non è stata Irene ad organizzare l'omicidio.-

-In realtà questo non la scagiona completamente, ma non posso fare a meno di chiedermi perché ordire tutto questo invece di chiedere direttamente a Irene di scrivere dietro il quadro.-

-Pensa che vogliano indirizzare i suoi sospetti su di lei?-

-Sì, è l'ipotesi più probabile. E io non mi tirerò indietro: potrebbe anche essere stato tutto pianificato, ma Irene è troppo importante per lasciarla andare via così. Come testimone e fonte d'informazioni, intendo.- aggiunse, dopo aver intercettato l'occhiata divertita di Watson.

-Ovviamente. E quindi si è diretta ad Amsterdam, come prima tappa. Ha idea del perché Moriarty abbia improvvisamente deciso di spedirla ai quattro angoli d'Europa?-

-Ma è ovvio, Watson, ovvio!- esclamò Holmes impaziente e si guadagnò un'occhiataccia da parte sua.

Sherlock aveva una concezione dell'"ovvio" che superava spesso le sfrenate fantasie di qualsiasi comune mortale.
Fortunatamente, in quel caso la spiegazione non era poi così intricata e bislacca come quelle a cui era abituato il povero dottore:

-Per sondare il terreno, farsi una mappa politica dell'Europa e presumibilmente per stringere alleanze utili ed eliminare eventuali ostacoli che potrebbero porsi sul suo cammino.-

-Cammino verso cosa?-

-Ci sto ancora arrivando, Watson. Non mi metta fretta. 
Per ora dovrò accantonare le mie indagini su complotti mondiali e simili e concentrarmi sul singolo dettaglio: non credo che l'omicidio di Mycroft rientri nei meccanismi di politica internazionale: è solo un modo per depistarmi e distogliere la mia attenzione da lui.-

-E lei cosa ha intenzione di fare?-

-Fingere di farmi depistare.- rispose con semplicità Holmes.

-Indagheremo sull'assassinio e lasceremo che Moriarty si gingilli con le sue fantasticherie, senza però perderlo d'occhio: non ho intenzione di mancare una sua singola mossa.-

-Crede che Moriarty possa scomodarsi per intralciarla in prima persona? Sarebbe molto più comodo ingaggiare qualcuno per eliminarla senza scalpore.-

-Dubito che la mia morte passerebbe inosservata-, osservò Holmes, immodestamente -ma sono convinto anch'io che farà così. Comunque, il suo piano, oscuro anche per me, è ancora agli albori e avrà bisogno di tempo per essere messo in pratica. Tempo che noi impiegheremo al massimo per trovare l'assassino. 
Se tutto va bene, tra un mese saremo di nuovo seduti qui ad aspettare che Moriarty inneschi la miccia del suo complotto.-  

Ci fu una pausa, durante la quale Holmes si accese la pipa con rinnovato vigore.
Gli occhi gli brillavano, come sempre durante un caso; Watson poteva quasi scorgere i pensieri che vi sfrecciavano dietro, fondendosi e collegandosi in ragionamenti logici.

-Amsterdam, la Venezia del Nord...- esclamò all'improvviso il detective, con aria sognante.

-Che aspettiamo a partire?-

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Note Dell'Autrice:

Salve a tutti :D
Questo capitolo è stato una tortura: scritto e riscritto da capo a piedi tre volte e modificato un'altra decina ò_o''
Spero almeno che sia leggibile! D:
Ringrazio tanto la mia adorata (e sfruttata) Beta, _ Shadow _ :3 Grazie per sopportarmi, nessuno aveva mai resistito tanto! ^_- <3
Grazie anche a Artemis Hide, _Luna_, Rogue92 che hanno recensito, _ Shadow _, Charlie_Winchester, adag46 che hanno aggiunto la storia alle seguite ^^
Thank you all ;D

-Light-



 

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Capitolo 4
*** The First Wire ***


Chapter 4
-
The First Wire

 
Il rintocco della campana risuonò squillante sulla Piazza Dam gremita di gente, facendo alzare in volo le decine di uccelli appollaiati sul cornicione e ignari dell'importanza dell'edificio sul quale posavano le loro piume.
Le tegole di ardesia blu del Palazzo Reale catturavano la luce del sole e la guglia del campanile sfolgorava di riflessi dorati, con il pinnacolo che sembrava a sua volta un piccolo sole in miniatura.
La grande piazza antistante all'edificio era movimentata da un via vai di carrozze e omnibus, da ricchi nobili a passeggio e da strilloni che scorrazzavano da una parte all'altra gridando a gran voce i titoli di giornale; le guardie sostavano impettite alle estremità della piazza e davanti al Palazzo, rabbrividendo per il gelo nelle loro divise e sbuffando nuvolette di vapore dalla bocca.

Un uomo sulla quarantina con due grandi baffi a manico d'ombrello sbucò da un vicolo laterale ai margini della piazza, si guardò un attimo intorno e poi si diresse deciso verso le vetture in sosta davanti alla chiesa.
Un'ombra scivolò subito dietro di lui e seguì la sua scia nella folla, confondendosi tra i gruppetti di persone affannate che correvano a destra e a manca in ritardo per chissà quali appuntamenti.
L'uomo si fece largo a spintoni fino alle carrozze e frugò un attimo nella giacca alla ricerca di qualche spicciolo, ma fece appena in tempo a tastare una moneta che tutte le carrozze furno occupate da uno sciame di impiegati e lavoratori ansiosi di tornare a casa; rimasero due carrozze, una piuttosto malmessa, l'altra appena più presentabile e l'uomo si diresse svelto verso quest'ultima.
Aveva appena allungato una mano verso la maniglia che un giovane lo anticipò, intrufolandosi all'interno e soffiandogliela sotto il naso.
Emise un verso d'esasperazione nel vedere la carrozza che partiva di gran carriera.

L'ombra osservava la scena, passandosi tra le mani un gruzzoletto di monete.
L'uomo si avvicinò sconfitto alla carrozza più vecchia, rassegnato a un lungo e scomodo viaggio fino a casa.
Anche questa volta aveva appena aperto bocca per prendere la carrozza che un'ombra sgattaiolò sotto il suo naso, facendo per entrare.

-Ah, no, stavolta no!- esclamò l'uomo, e afferrò l'ombra per il cappotto, trascinandola via dalla portiera.

-Ehi, niente risse per la mia carrozza.- borbottò il vetturino seduto a cassetta, stropicciandosi i baffetti e stringendosi nel mantello per il freddo.
L'ombra si voltò, rivelando un volto giovanile, con lunghe basette, un pizzetto curato e i capelli accuratamente tirati all'indietro, atteggiato a un sorriso di scuse.

-Perdonatemi, non intendevo essere scortese.- cominciò questi, con voce bassa e cordiale; aveva un forte accento straniero, ma il suo Olandese era sciolto e perfettamente comprensibile.
L'uomo lo fissò con sospetto, anche se un po' rabbonito.

-No, non vi preoccupate... ma questa carrozza è mia.- puntualizzò, posando una mano sulla maniglia con fare possessivo: non vedeva l'ora di tornare a casa, al caldo. 

-Oh, certamente, ma vedete, anch'io ho una certa fretta, e non ho certo il tempo di aspettare un'altra carrozza... a quest'ora, poi. Dove volete andare, Heer?...-

-Goldschmidt. Constantijn Goldschmidt.-

L'altro non accennò a presentersi, così l'uomo si affrettò a continuare:

-Devo andare nei pressi del porto della Compagnia delle Indie Orientali, quindi, se volete scusarmi io...-

-Ma che combinazione! Sono diretto proprio lì vicino: potremmo usare la stessa carrozza, non credete?- esclamò l'altro, aprendosi in un sorriso gioviale.

Un campanello d'allarme squillò nella mente di Goldschmidt, ma la sua urgenza di tornare a casa era più importante della sua diffidenza nei confronti di quel tizio, così mise a tacere i suoi sospetti.

-Uhm... sì, immagino di sì...-

-Volete decidervi? Non ho tutto il giorno.- li incalzò il vetturino, scontroso, ma con un brillio avido negli occhi, forse alla prospettiva di un doppio pagamento.

Goldschmidt gli disse l'indirizzo e salì per primo nella carrozza, sprofondando nei sedili tarmati.
Dentro c'era uno sgradevole odore di chiuso, come se la carrozza non venisse usata da tempo, ma attribuì quella stranezza ai probabili scarsi affari del vetturino.
L'altro uomo salì subitò dopo di lui, chiuse la portiera con un tonfo e poi si udì lo schiocco della frusta e lo sbuffare dei cavalli; la carrozza si mosse e il tramestio degli zoccoli unito al cigolio delle ruote furono gli unici rumori per la successiva decina di minuti.
Infine Goldschmidt ruppe quel silenzio imbarazzante:

-Come avete detto di chiamarvi?-

-Non l'ho detto, ma potete chiamarmi Locksher.- rispose l'altro, con un sorrisetto.

Goldschmidt non ebbe tempo di riflettere su quel nome insolito, perché la carrozza svoltò bruscamente a sinistra, infilandosi in una strada secondaria.

-Ma cosa?... Ehi! vetturino! Il porto è dall'altra parte!- urlò indignato, aprendo il finestrino per farsi sentire e facendo entrare una folata di vento gelido.

Non arrivò alcuna risposta.

-Maledetta carrozza.- sbottò tra i denti, e fece per raggiungere la maniglia per scendere seduta stante, ma quando si girò vide un altro uomo seduto di fronte a lui.

O meglio, era lo stesso, ma senza basettoni, con una capigliatura decisamente più disordinata e privo di pizzo.
Una luce divertita gli brillava negli occhi.

-Voi! Che cosa...? Chi diavolo siete?!-

L'altro, in tutta risposta, sollevò quelli che Golsdschmidt riconobbe come una parrucca, insieme a baffi e basette finte.
Goldschmidt si lasciò scivolare sul sedile, dopo aver constatato che la maniglia era bloccata dall'esterno.

-Sherlock Holmes, detective, amante dell'ignoto, appassionato dei misteriosi meccanismi della mente umana, scienziato a tempo perso e violinista dilettante.- si presentò l'uomo, con la massima naturalezza.

-Quello seduto suo malgrado a cassetta è John Watson, mio braccio destro... e medico, per vostra fortuna.
Non avete un bel colorito.- aggiunse, accennando al suo pallore innaturale.

Goldschmidt era ancora paralizzato al suo posto.

-E'... un rapimento?- riuscì a balbettare infine.

Con sua grande sorpresa, l'uomo di fronte a lui scoppiò a ridere.

-Rapimento? No, non avrei alcun interesse in un riscatto, ma diciamo che potrebbe essere definito come una... gita fuori programma.-

 
*                              *                              *

 
La carrozza imboccò un vicolo largo appena il necessario per farla passare, immerso in una luce grigia e smorta: il cielo era una strisciolina azzura racchiusa tra le mura degli alti palazzi.
Goldschmidt aveva riconosciuto da un pezzo la zona del De Wallen, e questo non contribuiva a rassicurarlo, anzi.

Il vetturino -"complice", si corresse mentalmente l'uomo, seccato- fermò i cavalli di fronte a un portone incassato nel muro annerito dal fumo.
Un tempo doveva essere stato massiccio e di un bel verde brillante, ma ora la vernice era scrostata e il legno era tarlato in più punti, anche se sembrava ancora abbastanza robusto da rallentare un ariete.
Sherlock scese per primo, evitando le pozzanghere ghiacciate sul selciato e tenendo aperta con falsa e ironica galanteria la portiera a Goldschmidt. Questi, ancora scosso dagli ultimi eventi, scese goffamente, scivolò sul ghiaccio apparentemente per caso e dovette aggrapparsi ad Holmes per non cadere. In realtà la sua mano era già andata alla tasca dove teneva la Derringer e fu con grande delusione che constatò la sua scomparsa. 
Il sorriso di condiscendenza che gli rivolse Holmes lo convinse che fuggire non sarebbe stato così facile come aveva pensato.
Infatti nel giro di un paio di secondi si trovò la sua stessa Derringer puntata contro.

Watson balzò giù dalla carrozza e si avvicinò a un mucchio di stracci abbandonati a terra, che si rivelò poi essere un uomo cencioso e lurido; dopo un rapido scambio di frasi, del denaro passò tra loro e il vagabondo salì a cassetta e spronò i cavalli, contando con meravigliato stupore le monete sonanti appena ricevute.
Goldschmidt assistette impotente allo scambio, fissando in cagnesco Watson, Holmes e la pistola puntata contro il suo petto.

Watson aprì con un cigolio assordante il portone e scivolò all'interno, sparendo all'istante; un cenno con la canna della pistola convinse Goldschmidt a fare lo stesso.
Si ritrovò in un piccolo e scuro disimpegno, con la carta da parati scollata e ammuffita.
C'era un forte odore di chiuso, come in una cantina.

-Benvenuto nel nostro provvisorio quartier generale.- disse la voce di Holmes dietro di lui, seguita dallo scatto della porta e da un tintinnio di catenelle.

-Certo, non è comodo e accogliente come il nostro studio a Baker Street, ma serve allo scopo, non credete?-

Goldschmidt annuì rigidamente, percependo ancora la pistola puntata contro la sua schiena e pensando che sarebbe stato altrettanto terrorizzato anche se si fosse trovato nella più ricca e luminosa sala del Palazzo Reale.
Fu condotto in una saletta adibita a salotto, con un'unica finestrella che dava sul canale adiacente.
Goldschmidt credette di riconoscere il Singel, e si sentì mancare al pensiero di essere nella zona peggiore del De Wallen.

Fu invitato ad accomodarsi su una poltroncina traballante di pelle logora; Holmes invece si appoggiò al davanzale della finestra e Watson chiuse e serrò la porta, rimanendovi davanti come se dovessero sfondarla da un momento all'altro.
Sembrava che quei due si stessero divertendo a tenerlo sulle spine, e non riusciva ancora ad escludere del tutto l'ipotesi di un rapimento a chissà quali scopi.
Sapeva abbastanza del mondo criminale (di cui una buona parte era sotto il suo stretto controllo), da temere la vendetta di un qualche rivale nel campo.
Certo, lui non era un uomo d' azione, quindi non conosceva così bene i loschi figuri di Amsterdam, ma non gli sembrava di aver mai sentito nominare quello "Sherlock Holmes"... non in quel contesto, almeno.
Aveva però il vago ricordo di averlo letto in una delle lettere ricevute negli ultimi mesi.

Nel dubbio, tremava in attesa sulla sua poltrona.

 
*                              *                              *

 
Watson dubitava seriamente che quella specie di grosso, grasso tricheco rubizzo sprofondato nella poltroma potesse essere uno dei capi della malavita di Amsterdam... ma nella sua lunga collaborazione col detective più imprevedibile del mondo aveva da tempo imparato che "l'apparenza inganna".
E non riusciva sicuramente a ricordare l'ultima volta che Holmes aveva sbagliato una deduzione.
Si concentrò perciò sulla prima fase del famoso metodo deduttivo di Holmes, cioè l'osservazione; sapeva che l'amico in quel momento stava facendo lo stesso: lo capiva dallo sguardo intenso con cui fissava Goldschmidt, come a imprimersi nella mente ogni suo dettaglio.
Gli scappò un sorriso: aspettava che Sherlock iniziasse il suo interrogatorio come un bambino aspetta l'inizio di una storia.
E, conoscendo Holmes, sarebbe stata una storia del tutto fuori dall'ordinario.
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Note Dell'Autrice:

Finalmente! :D
Dopo quattro stesure, ecco il quarto capitolo u.u
E' stato un arduo scoglio, devo ammetterlo... senza contare il continuo scervellarsi su deduzioni, indizi e domande da porre. Non sono completamente soddisfatta del risultato, soprattutto perché in questo capitolo ho lasciato i personaggi un po' in ombra e mi sono concentrata sulla trama.
Spero che la cosa non vi disturbi e non risulti pesante D:

Ordunque, ringrazio la mia Beta _ Shadow _ e poi Glaucopis, Artemis Hide, _Luna_ e Rogue92 che hanno recensito o aggiunto la storia tra le preferite e le ricordate :3
Grazie a tutti! :DDD

-Light-

P.S. Tutti i nomi di luoghi citati esistono veramente ad Amsterdam :)

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Capitolo 5
*** A New Pawn ***


 
Chapter 5
-
A New Pawn


Sherlock sembrava ipnotizzato, mentre tirava profonde e rapide boccate dalla pipa.

"Macchie sulla giacca. Lieve sentore di birra -di prima qualità- misto a oppio; occhiaie e riflessi lenti da dopo sbornia."

-Ditemi, Heer Goldschmidt... Il Pattino D'Argento serve buona birra?-

L'espressione dell'uomo si fece disorientata, poi assunse uno strano velo di sicurezza.
E Holmes seppe che stava per mentire.

"Fase uno: impressionare."

-Cosa volete che ne sappia?-

-Ma come? Non avete passato tutta la notte proprio in quel locale in compagnia di un venditore di oppio?- chiese innocentemente Holmes, con lo sguardo un po' perso che assumeva quando era concentrato.

Goldschmidt rimase con la bocca semiaperta, interdetto.

"Fase uno: parzialmente completata."

-Molto furbo da parte vostra farmi pedinare.- disse infine Goldschmidt con un sorriso da squalo che tradiva però una certa inquietudine.

-Sono indubbiamente molto astuto, ma non credo vi siate ancora reso conto di quanto.- ribattè immodestamente Holmes, e sorrise appena mentre continuava a disegnare, tramite pochi, piccoli dettagli, la vita di quell'uomo.
Per lui era come un libro aperto, e non gli fu difficile ricostruire quel tanto che gli bastava per metterlo con le spalle al muro.

"Residui di terra sotto le unghie; un biglietto che sporge dal taschino." annotò con soddisfazione.

-Avete una grande passione per il giardinaggio e la botanica, se non sbaglio.-

Goldschmidt trasalì.

"Fase uno: completata con successo."

-E' una cosa piuttosto risaputa.- affermò con noncuranza.

-Ne dubito grandemente. Quanti boss criminali possono permettersi di coltivare orchidee nella propria serra privata senza mettersi in ridicolo?-

L'altro tacque e serrò la mascella.

-Vostro nipote Alric...- cominciò Sherlock, approfittando della pausa, ma Goldschmidt lo interruppe, improvvisamente paonazzo.

-Non lo nominate in mia presenza!-

-Ottima recitazione, Heer Goldschmidt, ma nonostante l'odio che provate pubblicamente nei suoi confronti non potete negare di avere contatti piuttosto frequenti con lui.- Sherlock si avvicinò all'uomo e gli sfilò con rapidità il biglietto dalla tasca, che si rivelò essere un'entrata per l'Hortus Botanicus.

-Immagino che avere come nipote un guardiano delle serre giovi molto al vostro... hobby, chiamiamolo così, anche se il ragazzo non ha la vostra simpatia.-

-E' un pusiallanime! Un giovinastro senza nerbo e privo di qualsiasi senso pratico! Una vergogna per me e per la mia reputazione!- esplose l'omone, furibondo.

-Trovo invece che sia una mente brillante e piacevole da conoscere; forse è un po' ingenuo, vista la quantità d'informazioni che sono riuscito a spillargli sul vostro conto, non ultimo lo scambio di piante e semi rari a prezzi infimi.
Immagino che i vostri contrasti passino in secondo piano, riguardo a questo.-

-E' così.- cedette infine l'altro, ancora rosso di rabbia.

-Ma di tutte le faccende illecite sotto il mio controllo, perché vi interessano tanto i miei scambi all'Hortus Botanicus?- continuò, senza nascondere la sua perplessità.

"Fase due: disorientare. Completata."

-Poco più di un mese fa, dovrebbe esservi pervenuta una lettera da Londra nella quale si richiedeva una pianta molto rara custodita nell'Hortus Botanicus, ad ogni costo e con ogni mezzo.-

Il criminale si prese un minuto per riflettere, cercando di ricordare e di decidere se poter rivelare quell'informazione o se fosse stato meglio fare il finto tonto.

-Sì, ricordo qualcosa di simile.- confermò infine. 

-Una pianticella di nessun valore, richiesta da un certo Mortimer, o forse Montey...-

-Moriarty?- suggerì Watson, inserendosi per la prima volta nel discorso.

-Proprio lui. Un collega criminale di cui non so molto: preferisce agire nell'ombra e non è molto conosciuto qui ad Amsterdam.
Meglio così: la concorrenza qui è già più che sufficiente.-

-E cosa vi ha offerto in cambio?-

Goldschmidt gli rivolse uno sguardo duro.

-Qui si sta scendendo un po' troppo nel dettaglio. Sono affari miei, e ringraziate se sarete ancora vivi quando uscirò di qui.-

-Quello è un inconveniente di cui ci occuperemo al momento... per ora siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico.
O la pistola, in questo caso.- rispose tranquillamente Holmes, rigirandosi in mano la Derringer.

Goldschmidt non si mostrò particolarmente impressionato.
Era evidente che non sembrava temerli ormai più di tanto: aveva capito di non avere a che fare con qualche malavitoso sotto mentite spoglie, ma effettivamente con un detective e il suo aiutante: non erano una minaccia per chi aveva decine di sgherri ai suoi comandi.

-Questo è da vedere. Comunque, se proprio volete saperlo, aveva un grosso carico d'oppio su una delle sue navi, pronta a partire per Calais o Amsterdam a seconda della mia decisione.-

Holmes si protese in avanti, interessato.

-Avete incontrato qualche intermediario per stringere l'accordo?-

-Siamo rimasti in contatto per telegrafo o corrispondenza; mi aveva accennato che uno dei suoi uomini sarebbe venuto ad Amsterdam entro un mese e in effetti è stato così.
Mi hanno informato che il carico era arrivato in porto, e adesso rimane al sicuro nei miei magazzini; stavo giusto per andare a controllarlo... prima di venire "intercettato".- concluse con tono irritato.

Watson e Holmes si scambiarono un'occhiata: "uno dei suoi uomini". Nessun accenno a una donna.
Dunque, forse Irene non aveva mai incontrato Goldschmidt, ma non era escluso che si trovasse ad Amsterdam per tenerlo d'occhio e magari eliminarlo quando possibile.
Rimaneva un mistero chi fosse l'uomo incontrato da Goldschmidt, ma Holmes fece finta di niente per non mostrare di essere troppo interessato.

-Vi ha chiesto altro?- chiese ancora, dubbioso.

-Sì, in effetti: informazioni sulla situazione politica e sulla disponibilità dei Reali per delle azioni belliche.
Sembrava molto interessato al proposito, probabilmente per lo smercio di armi, ma il Paese non è assolutamente propenso alla guerra.
Viviamo pacifici, abbiamo i nostri affari più o meno leciti e non vogliamo che altri ci facciano i conti in tasca o decimino il nostro popolo.-

-E' quello che pensa lei o quello che vuole farci credere?- intervenne Watson, particolarmente sensibile all'argomento "guerra", e strinse con appena un po' più di forza il suo bastone da passeggio.

-Per una volta, le cose coincidono. Non ho alcun interesse ad aprire un mercato bellico, né a pagare un costo umano insostenibile.- concluse duramente.

Holmes sogghignò in direzione di Watson, con uno sguardo felino che sembrava dire "te l'avevo detto": l'ipotesi del complotto mondiale non era campata in aria come aveva pensato il Dottore.
Scese un breve silenzio denso di riflessioni.
Goldschmidt sembrava impaziente di uscire di lì per mettere alle calcagna di quei due un manipolo di uomini armati; Holmes fumava apparentemente distratto e Watson lo fissava nervoso, chiedendosi quanto ancora sarebbe durata la sua calma.

-Chi era l'uomo che avete incontrato?- chiese infine quest'ultimo, guadagnandosi uno sguardo di rimprovero da Holmes.

Goldschmidt s'irrigidì.

-Erano due, in realtà. Sebastian Moran, uno dei tirapiedi di Moriarty...-

Watson sussultò, ma Holmes sembrò non accorgersene.

-... e un individuo piuttosto conosciuto da queste parti, o perlomeno nell'Europa Orientale.-

-E perché?-

-E' un killer professionista.- enunciò laconico il criminale, e l'interesse di Holmes si riaccese all'improvviso.

-Ditemi tutto ciò che sapete su di lui, nei minimi dettagli.- scandì, con voce atona.

-Perché vi interessa sapere...-

-Fatelo e basta.- lo interruppe il detective, brusco.
Goldschmidt rimase perplesso per un secondo a quello scatto, visto che tutto sommato si era dimostrato essere un uomo tranquillo e pacato, ma si riprese in fretta.

-Neanche per sogno. Quello è un uomo pericoloso, e neanche io voglio inimicarmelo.
Mi ha stupito non poco vederlo prendere ordini da Moriarty; ho sempre pensato che non amasse avere un "datore di lavoro" fisso.
Non so altro.- terminò, chiudendosi allora in un ostinato silenzio.

-Ne sono convinto.- convenne Holmes, meditabondo come al solito.

-Bene, allora credo proprio che sia ora di chiudere questa spiacevole e imprevista riunione!- esclamò Goldschmidt, scattanto in piedi e calcandosi in testa il suo cappello.

Li squadrò con i suoi occhi porcini e iniettati di rabbia.

-Spero che avrete il buonsenso di non importunarmi ulteriormen...-

La finestra andò in frantumi con uno schianto e Goldschmidt crollò a terra a peso morto.
Watson e Holmes rimasero immobili per una frazione di secondo, esterrefatti, poi il medico si precipitò d'istinto verso il corpo esanime del criminale.

-Watson, giù!- Holmes ebbe appena il tempo di agguantere il compagno e spingerlo a terra prima che una seconda detonazione squarciasse l'aria.

Il proiettile si conficcò nel muro, lasciando un profondo cratere fumante.

-Mi lasci andare!- Watson si divincolò dalla presa dell'amico e si avvicinò carponi a Goldschimdt, ma bastò un'occhiata al foro sanguigno che gli trapassava il cranio per capire che ormai non poteva più fare nulla.

Sospirò frustrato e si voltò verso Holmes scuotendo la testa, ottenendo solo un grugnito in risposta.

-Grazie.- disse sentendosi un po' colpevole 

-Si figuri. Mi serve ancora tutto intero.- liquidò la questione l'altro, alzandosi per esaminare il proiettile.

-Hm. A quanto pare il nostro fantomatico assassino ha deciso di farsi vivo.- commentò, sbirciando verso la finestra, ma i tetti e la strada erano sgombri, così come il canale.

-Non è detto che lui e l'assassino di Mycroft siano la stessa persona. Potrebbe benissimo essere Moran.- lo corresse, riportandolo coi piedi per terra.

-Ne parla come se lo conoscesse.-

-Era un commilitone nella guerra in Afghanistan, ma ha disertato. Ed è un cecchino formidabile.- lo informò asciutto Watson, adocchiando al corpo di Goldschmidt.

-Possibile.- ammise a malincuore Holmes, avviandosi verso la porta.

-Dove sta andando?-

-Tra poco qui brulicherà di criminali, peggio di un formicaio d'estate: meglio non farci trovare, non crede?-

-Ma... è il nostro alloggio! Il nostro covo! Dove andremo fino a...-

-La nostra presenza è richiesta ad Amsterdam per un solo altro compito, e possiamo benissimo concluderlo entro cena. Non creda che mi sia occupato solo di Goldschmidt in questi giorni.- lo informò, uscendo in strada e camminando come se niente fosse.

-E va bene. Posso almeno sapere dove andiamo?-

-A cercare Irene.- annunciò, prima di sparire in un vicoletto laterale.

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Note Dell'Autrice:

Ecco subito subito il capitolo successivo :3 
Spero proprio che il colpo di scena finale sia stato, appunto, una sorpresa :3
RIngrazio tutti coloro che hanno commentato, recensito o aggiunto la storia alle preferite ^^

-Light-


 

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Capitolo 6
*** The Queen Moves ***


Chapter 6
        -
The Queen Moves

 
Se Amsterdam veniva chiamata la "Venezia del Nord" c'era sicuramente un buon motivo: oltre all'avere un'intricata e grandiosa rete di canali -la Grachtengordel- che la solcavano da ogni lato ed essere stata da sempre un fondamentale crocevia marittimo, Amsterdam condivideva con la più antica controparte Italiana l'atmosfera magica di una città galleggiante e di una cultura multiforme.
L'aspetto più nascosto e intrinseco che aveva la Serenissima, dato da un reticolo di calle, viuzze e vicoletti oscuri che s'inseguivano in un groviglio di canali bui e vegliati dai Leoni Alati di San Marco che le donavano quel fascino antico e insondabile, era mitigato ad Amsterdam dai colori chiari e brillanti degli edifici e dalla relativa modernità della cittadina, con vie e canali più ampi e una luminosità più accentuata che le davano un aspetto allo stesso tempo austero ma ospitale.
Centro di quella luce del Nord era Piazza Dam, che era stata e rimaneva da sempre il centro geografico ma soprattutto politico della città, con il Palazzo Reale che si ergeva magnifico e maestoso su un lato di essa.

Esattamente il tipo di posto che poteva interessare a una donna come Irene Adler.

Seduta su una panchina, assorta nella lettura di un qualche classico Inglese, sembrava solo una dei tanti avventori occasionali e non che gremivano la piazza di Domenica pomeriggio.
Irene guardò di sottecchi intorno a sé, come faceva metodicamente ogni decina di secondi, ma non notò nulla di strano, così si concentrò di nuovo sul suo libro.
I passanti non la notavano, o le rivolgevano appena un'occhiata distratta, del tutto ignari dei vari pugnali che celava nel vestito e negli stivaletti e della pistola nascosta nella borsetta.
Alzò ancora lo sguardo e rivolse un sorriso glaciale a un giovane che si era fermato a contemplarla, e questi svanì all'istante tra la folla, intimorito dallo sguardo feroce della donna.
Irene chiuse con un gesto deciso il libro e si guardò attorno con un'aria apparentemente rilassata, ma con i sensi ben vigili; diede una rapida occhiata alle guardie appostate al di fuori del Palazzo Reale, confrontandole involontariamente con quelle di Buckingham Palace e chiedendosi se il cambio della guardia, che stava aspettando paziente sin dal primo pomeriggio, fosse simile a quello che avveniva a Londra.

Non che la cosa avesse una qualche rilevanza con ciò che si apprestava a fare.
Si concesse un sorrisetto al pensiero.

In quel momento l'orologio stava per battere le quattro, e già il sole aveva incominciato la sua parabola discendente inondando il cielo di una tenue luce arancione; a nord, in netto contrasto, si scorgeva un fronte temporalesco che preannunciava neve.
Irene sperò che ciò non ritardasse il viaggio di ritorno per Londra che si era prefissata per quella sera stessa, nonostante non avesse ancora incontrato il famoso "uomo" che avrebbe dovuto contattarla lì ad Amsterdam.
Tutta quella strada per niente.

Stava giusto per farsi prendere dal disappunto quando l'orologio battè le quattro e le guardie cominciarono a muoversi e marciare attorno all'edificio cedendo il posto alle altre in arrivo.
Irene si rimproverò per essersi distratta e si alzò avviandosi rapidamente verso una stradina che conduceva dietro il Palazzo, dove aveva notato un ingresso che rimaneva incustodito per una manciata di minuti proprio in quel momento... che aveva appena mancato: una delle guardie sbucò da dietro l'angolo per piazzarsi di fronte alla porta.
Irene digrignò silenziosamente i denti, frustrata e tentata di mettere fuori gioco la guardia, ma sapeva che nonostante la sua abilità sarebbe stato un suicidio intrufolarsi a Palazzo con un cadavere alle spalle.
Avrebbe ritentato quella notte...

Si girò, con l'intenzione di dirigersi al porto -e dare un'occhiata a quel carico di diamanti di cui tanto si mormorava-, ma andò a sbattere contro qualcuno.
Qualcuno con un cappello calcato sugli occhi, naso aquilino e la barba sfatta, stretto in un completo che doveva aver visto giorni migliori.
Le ci volle qualche secondo per collegare quell'aspetto malmesso a una persona molto conosciuta:

-Colonnello?- esclamò, appena stupita.

Moran alzò il volto, rendendo visibili gli occhi scuri e seri, e annuì secco, invitandola a seguirlo con i suoi soliti modi bruschi.
Irene gli lasciò un po' di vantaggio per non dare l'impressione che si conoscessero ed iniziò a seguirlo, attenta a non perderlo tra la folla della piazza.
Il pedinamento durò quasi un quarto d'ora e li portò nel De Wallen, dove probabilmente si era stabilito Moran.
Irene si chiese perplessa e seccata perché non l'avesse già contattata al suo arrivo ad Amsterdam, tre giorni prima.

Finalmente Moran si fermò, imboccò una viuzza che costeggiava un canale secondario e scese le scalette di pietra lambite dall'acqua sporca, alla fine delle quali era ormeggiata, insieme a molte altre, una barca dall'aspetto non troppo stabile.
Moran salì sull'imbarcazione, che sprofondò di qualche centimetro e ondeggiò, ma sembrò reggere il suo peso.
Irene lo fissò dubbiosa e restia a salire su quel trabiccolo, ma quando Moran le fece imperiosamente cenno di raggiungerlo vinse la sua riluttanza e posò un piede sul legno scurito. L'uomo non accennò ad aiutarla: la galanteria non era mai stata il suo forte.

Infine si ritrovarono seduti a un tavolaccio nella piccola coperta a poppa, illuminata fiocamente da una lanterna a petrolio che ondeggiava dolcemente con il dondolio della barca.

-Come mai questo insolito "covo"?- commentò Irene, notando due mucchi di coperte in un angolo che dovevano essere la brandina di Moran e un vasto assortimento di fucili allineati contro la parete.

-Non sono affari tuoi.- rispose burbero lui, tamburellando con le dita sul tavolo.

-Cosa ci fai ad Amsterdam?- chiese infine, cogliendo Irene alla sprovvista.

-Speravo potessi dirmelo tu.- ribattè, poggiando il mento sulle mani intrecciate e scrutandolo perplessa.

-Mi stai prendendo in giro?- sbottò l'altro, agitandosi sulla sedia e poggiando la caviglia sul ginocchio per stare più comodo.

-Che motivo ne avrei?- Irene assunse un tono innocente, nonostante sentisse puzza di bruciato e una punta d'inquietudine.

Moran parve pensarci, ma sembrò non trovarne, perché grugnì qualcosa e le fece cenno di spiegarsi.

-Moriarty mi ha spedita qui per motivi che ignoro; dovevo essere contattata da qualcuno e ho pensato che fossi tu.-

-No, no. Non ne sapevo proprio niente. Sono qui per altri motivi.-

-Siete.- osservò Irene, accennando al fatto che c'erano due brandine e un po' troppi fucili per una persona sola, anche se patita delle armi come Moran.

-Siamo, sì. Ma non ti farebbe piacere sapere chi è, credo.-

-Il nuovo acquisto?- tirò a indovinare, e Moran annuì soltanto. -E cosa dovreste fare?-

-Le solite cose: spionaggio, ricettazione e omicidi.-

Irene non parlò, intenta a riflettere sulle ultime informazioni ricevute.
Aveva una discreta fiducia in Moran, così non pensò che la stesse ingannando in qualche modo, anche perché era del tutto incapace a mentire; per questo quando agivano in coppia era sempre Moran a fare il lavoro sporco e lasciava la parte di intermediaria a lei.
Quindi a mentire era Moriarty... e questo era anche peggio.
Aveva pensato che il suo rapporto piuttosto ambiguo con Sherlock fosse stato dimenticato, o almeno messo in secondo piano, ma gli ultimi fatti sembravano dimostrare il contrario: lei era una potenziale traditrice, e probabilmente era appena finita in una trappola.
Sperò che Holmes fosse al sicuro, ben rinchiuso a Baker Street, e che Watson facesse buona guardia su di lui: quell'uomo non riusciva a star fermo troppo a lungo.

-E il tuo "amichetto"?- riprese, sarcastica.

-Non chiamarlo così. Non mi è simpatico, neanche un po'. Mette i brividi, con quella faccia... comunque dovrebbe già aver eliminato il nostro primo bersaglio.-

-Chi è?-

"Chi era" si corresse tra sé, dubitando che fosse ancora vivo.

Moran si concesse uno dei suoi rari sorrisi.

-Non sono stupido, Irene. Non so cosa stia succedendo, ma da me non saprai una parola di più. Se non te l'ha detto il Professore, allora farò lo stesso.-

Irene fece a sua volta un sorriso suadente, mentre dentro si sentiva rodere di curiosità e preoccupazione.
Non si era realmente aspettata di sapere qualcosa di più da Moran: dopotutto Moriarty aveva fiducia assoluta in lui -in realtà ne dubitava grandemente- e lo considerava il suo braccio destro.
Si alzò lentamente; Moran rimase al suo posto, scrutandola torvo.

-Meglio che torni subito a Londra.- le disse in un borbottio.

-Prenderò la nave di questa sera.- lo informò di rimando.

-Prima è, meglio è. L'Ungherese non deve sapere che sei qui. Probabilmente qualcosa è andato storto nei piani di Moriarty, perché...-

-... noi non avremmo dovuto incontrarci.- completò lei, poggiando una mano sulla porta.

Moran le fece un cenno di saluto e Irene uscì, sentendosi i suoi occhi piantati nella schiena.
Raggiunse la banchina e si diede una rapida occhiata intorno, constatando di essere sola, poi si addossò alla parete di un vicolo e nascose un piccolo pugnale nel corpetto, certa che avrebbe dovuto usarlo, poi si avviò a passo svelto verso il porto.
Non le piaceva per niente quella zona: aveva sempre la pessima sensazione di essere spiata e...
Per la seconda volta quel giorno andò a sbattere contro qualcuno.
Mormorò un veloce "pardon" e fece per defilarsi, sovrappensiero, ma si sentì trattenere energicamente per il braccio.
In meno di un secondo si rese conto del pericolo ed estrasse il pugnale, ma le fu strappato di mano senza difficoltà.
Colse un sorrisetto divertito sotto la falda del suo cappello.

-Goedemorgen, Damen.-

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Note Dell'Autrice:

Olé, son tornata! :3
Mi rendo conto di avere dei tempi di aggiornamento ridicoli... peto umilmente venia, ma il tempo fugge e naturalmente meno ne ho e più ho da scrivere >_<
Comunque, in questo capitolo ho iniziato a infittire la trama (spero di essere stata chiara D:) e ho finalmente messo in gioco Irene :3 Non è esattamente il mio personaggio preferito, ma spero di averla resa bene ^^
Dunque, come sempre ringrazio tutti coloro che hanno recensito/letto/aggiunto la storia tra le seguite/ricorsate/preferite, e cioè: Artemis Hide, _Luna_, Rogue92, Glaucopis, manumanu1988, Ninaki, adag46, Charlie_Winchester e Jael (quanti siete! :D) 
Un grazie enorme alla mia Beta _ Shadow _ che resiste sempre e comunque alle mie follie e, anzi, ne rimane coinvolta XD
Grazie a tutti! ^^

-Light-

 

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Capitolo 7
*** My Game, My Rules ***


Chapter 7
-
My Game, My Rules
 



-Spero che sappia dove stiamo andando.-

-Non mi sottovaluti: ho un senso dell'orientamente da far invidia a un lupo di mare!-

-Se lo dice lei...- commentò Watson, affondando con uno sciacquio nell'ennesima pozzanghera e inzuppandosi l'orlo dei pantaloni.

Da quel che vedeva lui potevano aver percorso per ore la stessa identica banchina, tanto si assomigliavano i mille canali che si dipanavano in tutta Amsterdam.
Quando il suo compagno aveva annunciato tanto entusiasticamente che avrebbero cercato Irene, aveva creduto che sapesse esattamente dove si trovasse... prima di scoprire che aveva solo una vaga idea di dove si potesse trovare.
Lo stupiva il fatto che non avesse cominciato a informarsi sul suo conto non appena arrivati ad Amsterdam, ma d'altra parte pochi giorni prima era ancora convinto che potesse essere l'assassina di Mycroft.
In realtà dubitava che avesse mai preso in seria considerazione l'ipotesi: per il poco che sapeva, Irene non avrebbe osato torcere un capello a Holmes neanche indirettamente.
Rifletteva distrattamente su questo, mentre si arrendeva all'evidenza di aver appena rovinato irrimediabilmente i suoi pantaloni e non si curava nemmeno più di evitare le pozze che costellavano la banchina del porto.

Il Mare del Nord era calmo, ma pennacchi di schiuma solcavano le onde all'orizzonte, sotto la cappa plumbea che andava avvicinandosi alla costa.
La fissò preoccupato: dovevano ripartire per Londra quella sera, al più tardi verso le undici, e una tempesta non era affatto l'ideale per il suo stomaco già abbastanza suscettibile al mare in bonaccia.
Rinunciò a guardare quella nuova minaccia quando rischiò di cadere in acqua, inciampando in una gomena fradicia allentata intorno al suo ormeggio; riuscì in qualche modo a rimanere ben saldo a terra, salvo atterrare con un tonfo nell'ennesima, dannata pozza.
Sherlock non se ne accorse nemmeno... anzi, se ne accorse di sicuro, ma decise deliberatamente di lasciare a lui il compito di districarsi da quelle spire umidicce e di mantenere un contegno, cosa ben difficile con il fondoschiena bagnato.

-Holmes, glielo chiedo per l'ultima volta: dove-stiamo-andando?-

-Si calmi, Dottore. In realtà questa nostra amena passeggiata non è stata altro che un tragitto ben preciso per raccogliere informazioni.
Ora che le ho ottenute, mi basta utilizzarle nel modo giusto.-

Watson sperò ardentemente che fosse "giusto" anche per gli altri, visti gli standard di Holmes durante le indagini.
Holmes si bloccò nel bel mezzo della banchina, inspirò a fondo l'aria salmastra e si voltò verso il compagno, con una luce soddisfatta che gli brillava negli occhi.

-Irene usa come base un vecchio magazzino al Nuovo Porto, a poca distanza da qui. Non si aspetterà una nostra visita, quindi prepariamoci ad un'accoglienza non proprio calorosa.-

Watson lo fissò interdetto: lo aveva visto entrare in un pub, parlare con un vecchio fruttivendolo e con un barbiere a dir poco inquietante... e sembrava aver saputo tutto ciò che gli serviva per iniziare la caccia.
Fece una smorfia divertita: no, non si sarebbe mai abituato all'abilità investigativa di Holmes.

-Come spiegherà la sua presenza ad Amsterdam?-

-Dicendo, per una volta, la verità. Dubito che abbia saputo della morte di mio fratello.- i suoi occhi si oscurarono per un istante, come se vi fosse passata improvvisamente un'ombra di rammarico.

-Se ne fosse stata a conoscenza mi avrebbe perlomeno contattato; ma a quanto pare Moriarty non ha ritenuto opportuno informarla del delitto.
E poi mi ha detto lei stessa del "furto".- continuò, atono.

Watson annuì a disagio: Sherlock tentava di parlare con naturalezza, ma era evidente il suo sforzo di mantenere la calma nel parlare dell'omicidio.
Si sistemò il cappello in testa e riprese a camminare a passo svelto lungo il molo, tallonato da Watson.

-Secondo le mie supposizioni, che sono sempre esatte, anche Irene dovrebbe ripartire questa sera stessa; quindi noi ci offriremo semplicemente come accompagnatori per una graziosa fanciulla indifesa.- espose convinto, ma senza ovviamente convincere Watson, che vedeva molto più probabile l'ipotesi che Irene gli puntasse una pistola addosso non appena l'avesse visto.

Comunque, seguì Holmes attraverso un'intricata serie di canali e stradine, chiedendosi se sapesse davvero dove fossero o se stesse andando a tentativi; se anche fosse stato così, non lo dava a vedere.
Si fermò con decisione di fronte a un magazzino un po' dimesso, con un lucernaio che offriva un'ottima via d'accesso per chi voleva correre il rischio di rompersi l'osso del collo.
Come previsto, Holmes s'inerpicò sul basso muretto che costeggiava un lato dell'edificio e da lì sul più alto steccato che circondava il retro.
Watson lo seguì a ruota, rabbrividendo quando Holmes per poco non mancò l'appiglio del cornicione per issarsi sul tetto.
Correndo il rischio di essere visti da un momento all'altro, si calarono nel lucernaio, rivoltella alla mano, e scivolarono nel nascondiglio di Irene.
Rimasero fermi per una decina di secondi, non aspettandosi quel che si trovarono davanti.
Holmes fu il primo a riprendersi, con una sorta di calma rassegnata:

-Siamo arrivati tardi, a quanto sembra.- commentò, indicando con un gran gesto il magazzino completamente vuoto, senza alcuna traccia che potesse indicare la presenza di un essere umano.

-Potremmo semplicemente aspettare che ritorni.- ribattè Watson, poco convinto: l'assenza totale di mobilia ed altro lasciavano pensare che fosse già partita o avesse cambiato base.

-Credo che sarebbe un grosso sbaglio, Watson.- mormorò lui, chinandosi ad osservare delle tracce di fango sul pavimento di legno scheggiato.

-Non mi risulta che Irene indossi questo genere di scarpe; così grandi poi.- indicò la sagoma sbavata che si intravedeva per terra.

-Non siamo i primi a entrare qui senza permesso...- percorse il perimetro della stanza, apparentemente sovrappensiero, ma arrivato a un punto preciso si voltò e fece due passi verso il centro della stanza.

Ticchettò con la punta della scarpa per terra e annuì soddisfatto sotto lo sguardo perplesso di Watson, che si guardava intorno sospettoso.

-La prego di scostarsi dalla finestra.- lo avvertì Holmes all'improvviso, inginocchiandosi e sollevando con la lama del suo coltello a serramanico una sezione del pavimento, rivelando un doppiofondo, con vari fasci di documenti, tre pistole, una serie di coltelli e un flacone di cloroformio.

-Che bisogno c'era di nascondere le sue cose? Questo magazzino è di Moriarty e lei non sapeva del nostro arrivo.-

-Lei no... ma qualcun altro . La faccenda si complica... e si fa pericolosa.- rivolse un'occhiata all'altra finestra, ma questa si affacciava sul mare.

-Non ha creato lei questo doppiofondo. Guardi: il collante è ancora fresco e ci sono tracce di segatura negli angoli della stanza. Qualcuno voleva nascondere la presenza di Irene qui ad Amsterdam, anche se in modo piuttosto grossolano.
O forse voleva rivelare lui stesso la sua presenza.- aggiunse, illuminandosi per poi incupirsi all'improvviso.

-Potrebbe essere Moran?- chiese Watson, conoscendo meglio di Holmes l'uomo in questione.

-Moran è un meticoloso, da quel che mi ha detto; non lascerebbe mai segni del suo passaggio, o almeno, non così evidenti.
E poi dal poco che sappiamo potrebbe essere l'uomo che ha sparato a Goldschmidt e non l'avrebbe mai fatto davanti a noi, se avesse saputo della nostra presenza.-

-Quindi dev'essere il killer.- concluse Watson, con un brivido inquieto.

-Non è detto. Può darsi che Moran abbia scoperto troppo che noi eravamo lì e abbia agito di fretta per nascondere la presenza di Irene, sua complice in chissà quale affare secondario.
Sappiamo troppo poco su questo fantomatico assassino per imputargli questi crimini.
Senza contare che non sappiamo dove fosse quando è morto Mycroft, mentre Moran vive praticamente sempre a Londra, essendo il braccio destro di Moriarty.-

Watson rimase in silenzio, attendendo che Holmes prendesse una decisione.

-Dobbiamo assolutamente trovare Irene. Non è detto che sia al sicuro.- concluse infine, avvicinandosi al lucernaio.

-Sa, Watson? Ho l'impressione che Moriarty sia diventato un po' troppo furbo, ultimamente.- 

 
 
*                            *                               *


 
Irene raggelò, presa di sorpresa.
Due penetranti occhi verdi si piantarono nei suoi, assurdamente brillanti e vivaci.
Un sorrisino sfuggente che assomigliava più a un ringhio ferino aleggiava sulle labbra sottili del suo assalitore, che non accennava ad allentare la presa.
Irene sentiva il polso che iniziava a dolerle per la mancanza di sangue.
Riprese il controllo di se stessa, sapendo che non avrebbe potuto sfuggire da quella morsa.
L'uomo l'attirò a sé, senza abbandonare la sua espressione divertita, e lei si sentì rabbrividire, perché stringeva ancora in mano il suo coltello.

-Donàt... che sorpresa.- commentò a fatica, sforzandosi di apparire calma.

-Ma come siamo nervose... ti spavento, forse?- commentò lui ironico, smentendola all'istante con voce profonda e sibillina; aveva un forte accento dell'est e una cadenza melodiosa che faceva apparire le sue parole del tutto innocenti, nonostante la sua espressione quasi malefica.

-Neanche un po'. Ma levami. Le mani. Di dosso.- sillabò Irene, seriamente irritata e sentendosi fin troppo vicina a lui.

Coglieva il bagliore della lama a pochi centimetri dal suo fianco.
Donàt la lasciò all'istante e si levò il cappello in un beffardo gesto di scusa, rivelando i suoi capelli ricci e nerissimi e la cicatrice rosea che gli solcava la tempia scendendo fino alla mascella.

-Cosa ci fai qui?- domandò Irene nel tentativo di salvare la sua copertura.

-La cosa che so fare meglio: uccido. E Moran deve essere stato piuttosto stupito di vederti... o sbaglio?- continuò, rendendo vani i suoi tentativi di nascondere la verità.

Irene indietreggiò senza rendersene conto: quell'uomo la metteva a disagio, molto più di quanto non facesse Moriarty.

-Non stupirti, Irene. So già da molto tempo della tua presenza qui ad Amsterdam... oh, ti sorprende?- s'interruppe notando l'espressione confusa della donna.

-Moran ha detto...-

-Moran.- ripetè lui in tono derisorio. -Ingenuo e ottuso com'è... è stato facile ingannarlo.- commentò allargando il suo sorriso e avvicinandosi di un passo, sempre stringendo il coltello in mano.

Qualcuno imboccò il vicolo, vide la scena e, forse scambiandola per una rapina, fece immediatamente dietrofront.
Irene si rese conto che si sarebbe esposta troppo se avesse tentato di prendere lo stiletto nello stivale... e d'altra parte conosceva la personalità eccentrica di Donàt e il suo pessimo senso dell'umorismo.
Probabilmente quello era solo uno scherzo di cattivo gusto.
Quando però lui si avvicinò di colpo e la mise con le spalle al muro, tenendo la lama del coltello a pochi millimetri del suo volto, non ne fu più tanto sicura.

-Non credo che tu ti renda conto in che gioco sei capitata.- sibilò improvvisamente serio.

Irene era ammutolita, non capendo quel repentino cambio di atteggiamento.

-Ma d'altronde, anche questo faceva parte del piano. Ora, l'unica domanda è: chi sarà il primo? Tu... o Holmes?-

Irene sbarrò gli occhi.

-Sherlock è qui?! Ma come...-

Donàt le avvicinò pericolosamente il coltello alla guancia.

-Oh, ma non devi preoccuparti. E' vero, non dovevi sapere neanche questo e in teoria non avresti mai dovuto saperlo. Ma a me piace seguire le mie regole, quindi... perché non vai a cercarlo, ora?- si staccò da lei, che era rimasta a fissarlo sconvolta.

Roteò il coltello in mano, riprendendo il sogghigno di poco prima.

-Avanti, non hai molto tempo... il tempo di ricaricare un fucile. E poi si vedrà.- concluse, avviandosi alle scalette da cui era salita lei poco prima.

Irene rimase appiattita contro il muro per qualche istante, poi si slanciò verso l'uscita del vicolo con il cuore che batteva all'impazzata.

-Che vinca il migliore!- le urlò dietro Donàt, prima di scoppiare in una fragorosa risata che le gelò il sangue nelle vene.


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Note Dell'Autrice:

Avevo promesso un aggiornamento entro Pasqua... ed eccomi qui, per il rotto della cuffia :D
Il capitolo è un po' più corto rispetto alla media... perdonatemi! ^^''
Diciamo che è il mio regalo di Pasqua, non potendovi inviare chili di cioccolata per ringraziarvi di seguire ancora questa Long *-*

Beh, ho introdotto il mio nuovo OC, Donàt... spero che abbia fatto "colpo" *-* Esprimete le vostre opinioni senza riserbo! *voce di Holmes* :D
Ringrazio tanto Artemis Hide, Rogue92, _Luna_, manumanu 1988 e Glaucopis che hanno recensito gli scorsi capitoli ^^ grazie! :D
E un grazie megagalattico alla mia beta _ Shadow _, che mi sopporta tanto e che assillo troppo :3 <3

Alla prossima! :D

-Light-

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