Was it love since the beginning?

di despicableandri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You damn. ***
Capitolo 2: *** Talking. ***
Capitolo 3: *** Explosion. ***
Capitolo 4: *** What's damn wrong with me? ***
Capitolo 5: *** Joy and pain. ***
Capitolo 6: *** Fool me, fool me.. ***
Capitolo 7: *** Little revenge. ***
Capitolo 8: *** Decision. ***
Capitolo 9: *** I just can't live without you. ***
Capitolo 10: *** I'd tell you a thing. ***
Capitolo 11: *** Again... nothing. ***
Capitolo 12: *** Need a distraction. ***
Capitolo 13: *** Kisses. ***
Capitolo 14: *** Never let you go. ***
Capitolo 15: *** New scoop. ***
Capitolo 16: *** Being happy. ***
Capitolo 17: *** She don't like the lights. ***
Capitolo 18: *** The end. ***



Capitolo 1
*** You damn. ***


“Già scappi?” chiedo, stiracchiandomi sul letto sfatto e sentendo il suo odore arieggiare tra le mie lenzuola.
“Vuoi che resti?” ribatte lui, sporgendosi quanto bastava per puntare lo sguardo nel mio.
“No. Sparisci” sussurro, lanciandogli i boxer. Si riveste velocemente. Lo fa sempre.
“A mai più arrivederci, mia signora” anche questo dice sempre, con lo stesso tono deciso e senza enfasi. Mi bacia per l’ultima volta, leggero e distante, come se non vedesse l’ora di lasciare la camera d’albergo che mi paga lui e tornare a rispondere a domandine in un qualsiasi talk show. Anche questo fa di consuetudine, però poi torna, sempre.
Avevamo sbagliato entrambi ad iniziare questa storia, ma ora ne eravamo drogati. Dipendo da quelle notti in cui ci siamo solo io e lui, e poi tutto svanisce, scompare. Al risveglio c'è solo un bel ricordo e una vita normale. Ogni giorno.
 
1.
 
“Successo qualcosa?” chiedo armeggiando con il cellulare alla ricerca del vivavoce. 
La mia migliore amica Shereen trovava sempre i momenti peggiori per telefonare e questo è sicuramente uno di quelli. Tra meno di mezz’ora dovrei essere dall’altro lato della città per scegliere qualcosa da far indossare al ragazzino in non ricordo quale trasmissione, ma mi sono appena svegliata.
“No, volevo darti la buonanotte!” sbotta lei allegra mente la sento sbadigliare dall’altro capo del telefono.
“Sai che da me sono quasi le undici del mattino, vero?” sospiro, infilandomi alla bene e meglio un paio di jeans chiari e un maglione beige.
“Davvero? Da me sono le due del mattino!” risponde semplicemente. Povera ragazza, si dimentica sempre del fuso. Non eravamo mai state così lontane per così tanto tempo. Da cinque mesi lavoravo per Bieber, dovevo semplicemente scegliere cosa avrebbe indossato ovunque andasse, anche se doveva solo scendere con la madre. 
Mi paga bene, giro per il mondo gratis e lavoro facendo shopping. Non potrei chiedere di meglio.
“Stavi con qualcuno?” ammicca improvvisamente, mentre mi lego i capelli in una crocchia scomposta sulla nuca.
“So chi intendi e no, è passato ieri sera” sussurro, come se non volessi neanche ammetterlo. Me la immagino sorridere col telefono tra la spalla e l’orecchio, mentre si ripassa lo smalto sulle unghia già laccate.
“Ti lascio al tuo splendido lavoro, buona giornata dolcezza!” mi saluta e attacca. Sospiro.
Butto il telefono e il portafogli nella borsa ed esco di corsa dalla stanza. Bum.
Come non detto. Vado a sbattere contro qualcuno, qualcuno della mia stessa altezza e un delizioso profumo che conoscevo fin troppo bene.
“Devi farlo proprio sempre?” sussurro allontanandomi e aggiustandomi gli occhiali sul naso.
“E tu devi essere sempre così costantemente in ritardo?” sbuffa lui, guardandomi dall’altro in basso.
“In realtà sei tu quello che viene costantemente presto!” controbatto, ammiccando con lo sguardo al cavallo dei suoi pantaloni. Lo sento schioccare la lingua contro il palato, visibilmente non contento della mia risposta.
“Se non avessi quest’intervista ti porterei di nuovo nella tua stanza per farti ricredere, Abigail” risponde tranquillo, voltandosi. Lo seguo nella macchina e per il resto del tragitto non mi guarda neanche mentre scherzo con Kenny.
Fuori dalle quattro mura della sua o della mia stanza è come se fossi davvero solo una sua dipendente, colei che gli suggerisce come vestirsi e basta.
“Hai portato entrambe le giacche?” mi chiede, facendo cozzare il mio ginocchio col suo per ricevere la mia attenzione.
“Si, sceglieremo sul posto quale andrà meglio con luci e palco. La routine, Bieber” sospiro.
“Ed è esattamente per questo che ti ho suggerito mia nipote per questo genere di cose!” aggiunge Kenny, sorridendo ad entrambi guardandoci dallo specchietto retrovisore. Sento lo sguardo di Justin perforare il mio proprio come se volesse dire ‘ e poi io me la sono portata a letto’, ma cerco di non pensarci.
Kenny non è uno zio per me, è come il mio migliore amico ed è la prima volta che gli mento su qualcosa. Ed è anche qualcosa di serio.

 
“Cosa ci fai qui?” mormoro come se potessi disturbare qualcuno nella stanza vuota. Lo vedo sorridere nel buio.
“Son tornato” sussurra lui. Maledetto. Apro un po’ di più la porta e lui non se lo fa ripetere due volte. Entra nella mia stanza e mi cinge i fianchi, chiudendo la porta con un colpo secco del tallone.
“Avevi promesso che ieri notte era l’ultima” quante volte l’avevo detta questa frase in quattro mesi?
“Ho mai mantenuto promesse con te?” mi risponde lui, lasciandomi un bacio leggero sul labbro inferiore, per poi scendere al collo. Maledetto, sempre di più.


 
"non so come chiamarlo" s corner. (?)
Tadàn. :3
Finalmente sono tornata a scrivere in questo fandom. avevo parecchie storie su Bieber ma a questa tengo particolarmente.
Shereen, è un personaggio ispirato a una mia amica reale, a cui tengo davvero. Si chiama Mars e mi aiuta sempre bnfkj. (cliccate
qui per a sua storia, è sui one direction, è magnifica, parola mia!)
Spero vi piaccia, davvero.


-Andrea.
( @horansmile ) ♥

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Capitolo 2
*** Talking. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
Innanzitutto vi chiedo umilmente scusa cc
sono cinque mesi che non aggiorno, sono pessima lo so! ho avutop parecchi problemi e ogni volta che provavo a scrivere non mi usciva granchè.
quindi ho scrittoil capitolo a singhiozzi e ora è finalmente pronto. vi prometto che pubblicherò molto più spesso HAHAHAHAHAHAHA
veramente, chiedo perdono anche se so di non essere perdonabile cc
per chi non ricordasse neanche di cosa stiamo parlando, fortunatamente questo è solo il secondo capitolo, quindi basterà rileggere il primo.
non so che dire HAHAHAHAH non l'ho neanche riletto, ma o che è n'altro capitolo palloso kdjvnftvjkgb
c'ho messo un casino a scriverlo e secondo me è uno dei peggiori.  fatemi sapere comunque se vi piace, come sempre u.u
e grazie mille a tutti quelli che hanno recensito il primo capitolo, l'hanno messo tra le storie preferite, seguite o da ricordare. grazie. 
al più presto possibile questa volta, spero in tante recensioni come al primo capitolo erkvgnregv


-Andrea.
( @horansmile ) ♥



Da piccola immaginavo il mio futuro come un enorme castello, un prato che non finiva mai, dei fiori bianchi come il manto del mio cavallo, e poi il mio principe azzurro.
All’età di nove anni cambiai idea. Mi vedevo cantante, con un milione di persone ai miei piedi, schiacciati contro la transenna sotto al palco ad urlare un mio ritornello.
Ma la migliore era quando avevo sedici anni e tutto ciò che volevo era vedere tutti parlare di me, solo di me. Probabilmente perché avevo vinto un qualche premio o avevo recitato come protagonista femminile in un film da milioni di incassi. 
Adesso sono tra le sue braccia, con i miei sogni solo nella testa. Eppure stranamente il mio futuro lo vedo esattamente così e non so ancora dire se sia una cosa positiva o una negativa.
 
2.
 
“A che pensi?” la domanda mi sorge spontanea, anche se cose del genere non sono proprio da noi. Non so perché, ma questa volta è rimasto in camera mia e siamo a fissare il soffitto da un quarto d’ora, stretti in una sorta di abbraccio. Ho la fronte poggiata sulla sua spalla e il suo odore, che ormai sa di casa e di sesso insieme, mi fa sentire quasi completamente bene. Mi accarezza distrattamente la schiena nuda passandomi un dito proprio sulla spina dorsale. Su e giù. Come se fosse un gesto normale.
“Non trovi che sia tutto così strano?” la sua voce impastata dagli infiniti quarti d’ora di gemiti misti a silenzio suona roca nella stanza vuota. Alzo lo sguardo su di lui, staccandomi di poco dal suo petto caldo.
“Strano?”
“Già, strano. Io e te. Non mi sarei mai immaginato di trovarmi in una situazione simile. Insomma, io ero il ragazzino dal faccino dolce e il caschetto biondo. Gli occhi color nocciola e  tutte quelle canzoni dolci e roba simile;  e poi vengo a letto con te senza manco sapere qualcosa su di te.  Suona così incoerente” sospira, portando anche lui lo sguardo nel mio. Non capisco le sue parole. Se qualcuno mi avesse detto solo due minuti fa che stesse pensando a questo, gli avrei riso in faccia e anche pesantemente. Ma ora è il suo sguardo cupo e allo stesso tempo così chiaro a fissarmi.
“Cos’hai mangiato per cena? Era così pesante?” ironizzo, staccandomi completamente da lui e mettendomi a sedere sul materasso. Si aggiusta alla bene e meglio anche lui, riprendendo un po’ di quella fermezza acida di sempre.
“Non sto dicendo che me ne pento, o che non lo rifarei. Dico solo che fa strano, non trovi?” mi fissa di nuovo e sembra così insicuro e solo. Non so cosa mi stia prendendo, ma mi viene uno strano formicolio alle braccia e un enorme impulso di abbracciarlo. Non rispondo, ma continuo a tenere gli occhi nei suoi, mordendomi il labbro inferiore.
“Io – cioè, io non mi sarei mai immaginato così. Se il mondo lo sapesse, farei una pessima figura e tutta la mia immagine crollerebbe, non trovi?” continua rivolgermi domande alle quali non so esattamente cosa rispondere e l’impulso di tornare con la fronte sulla sua spalla e stringerlo, sentire il suo odore nelle narici si fa sempre più imponente.
“Forse tutti semplicemente non accettano che in realtà sei cresciuto. A quindici anni è facile avere una faccia d’angelo e sembrare innocente. Ma sei cresciuto e questo nessuno può negartelo. Dovresti smetterla di tormentarti tanto su cosa penserebbero gli altri di ogni cosa che fai. So che c’è il pericolo che milioni di ragazzine inizino a prendere esempio da te, ma se si fanno condizionare così tanto significa che hanno un cervello solo per comodità. Hai i tuoi diciannove anni ed è normale non pensare più a tutte le parole fatte di zucchero e smielate del mondo, ma voler solo del sano sesso. È la tua vita, la tua vita da adulto e credo che dovrebbero anche loro smetterla di chiederti i essere ancora quello di una volta. Che poi secondo me sei sempre stato un pervertito nell’anima” le parole iniziano ad uscire rapide dalle mie labbra, non so cosa stia dicendo, vedo solo un sorrisino nascergli sulle labbra piene e mi sento meglio.
“Hai perfettamente ragione. La vita è mia, decisioni mie. Immagine mia. Dovrei parlarti più spesso” lo dice sorridendo e mi viene da sorridere in risposta. Sono le tre del mattino e forse siamo parecchio assonnati tutti e due. Forse è questo che ci sta facendo delirare. Solo ora mi rendo conto che ha ragione. Sembra tutto così strano e quasi credo che tra un po’ uscirà qualcuno da qualche parte di questa stanza d’albergo  a dirmi ‘Just kidding! I'm an actor, these are all actors, and you're on MTV's Disaster Date!’ .
Ma tutto questo non accade. Restiamo stesi sul letto, in silenzio, a fissare il soffitto come fosse un cielo stellato. Mi sembra tanto una di quelle sere passate all'insegna del relax con Shereen, a parlare del più e del meno stese sul suo letto. Mi manca Shereen, non la sento da un giorno intero e mi sembra un’eternità. Un po’ come quando non sento Justin bussare alla mia porta per più di quattro ore, quei suoi occhi color miele, che sanno di malizia e piacere che cercano i miei nei pochi metri quadrati della stanza. 
Oddio, che cazzo sto dicendo. È vero che mi piace stare con lui anche se andiamo solo a letto, ma a questo punto esagero. Posso vivere senza di lui, ma senza di Shereen no. Ecco.
“Ora sei tu la pensierosa” mi fa notare, e sorrido al soffitto bianco.
“Stavo pensando a Shereen” mento, anche se poi non è del tutto una bugia. Mi si avvicina un po’ strisciando con la schiena sulle lenzuola arrotolate.
“Chi è Shereen?” quasi mi sconvolge il fatto che non solo nella mia testa Justin non sa proprio nulla di me. Iniziamo a parlare, parlare di tutto. Dopo neanche mezz’ora ho imparato più cose di quanto abbia fatto in cinque mesi.
“Adesso conosci qualcosa di me, ti sentirai meno in colpa venendo su questo letto?” chiedo, facendo scoppiare entrambi in una fragorosa risata. Siamo ancora spalla e spalla e sento il suo respiro nell’aria. Sembra più leggero, come rincuorato. Persino il suo sorriso sembra più bellogrande.
 “Mi sento già meglio, in effetti” eccolo, il Justin di sempre, con il suo sguardo malizioso, anche se il tono della voce potrebbe sembrare addirittura dolce.  Quasi mi salta addosso e in pochi secondi mi ritrovo con la schiena appiccicata sul materasso con lui che si poggia sui gomiti per non pesarmi troppo. Nonostante il suo respiro caldo sul collo e la leggera pressione sul mio corpo, ho quasi paura che scompaia.
“Grazie” mi sussurra vicino all’orecchio, per poi mordere il mio labbro e poi il collo. E infine, addio al raro e unico momento di comunicazione.
Il giorno seguente non mi sorprende il fatto che Justin non è al mio fianco. Mi alzo dal letto con fatica e imprecando. Ho tutti i muscoli indolenziti e gli occhi pesanti per la scarsa oretta di sonno. Justin è rimasto nella mia stanza fino alle cinque per parlare, con piccoli break per, come lo ha definito Justin, scambiarci altro tipo di informazioni. Sorridendo mi avvio verso la valigia per pescarne un jeans e una di quelle maglie larghe super-comode. Oggi è giorno di partenza, tra un’oretta prenderemo un aereo per andare a Londra per non so quale premiazione. Mi vesto in fretta e passo un po’ di correttore sulle occhiaie decisamene troppo vistose e, non so neanche perché, anche un po’ di mascara sulle ciglia.
Mi sono messa in testa di raggruppare le ultime cose in meno di due secondi, così da prendere la mia borsa e andare alla pasticceria dietro l’angolo per fare colazione, ma prima di riuscire a prendere il beauty, qualcuno bussa.
“Abby, sono Justin” diciamo che dopo ieri non potrei sorprendermi più di tanto. Apro la porta e poi torno a ficcare tutte le bottigliette varie nel beauty, incastrandole con non poca difficoltà. Quando riesco a ficcarci tutto e ad incastrare anche lui nella valigia mi sento una specie di dio e mi giro con  un’espressione vittoriosa – che penso appari più ridicola che altro – verso Justin, che mi fissa sorridendo mantenendo un sacchetto bianco che credo appartenga proprio alla pasticceria.
“Hai un sedere perfetto” si giustifica, per poi venire verso di me. Mi posa un bacio casto sulle labbra, quasi impercettibile e mi passa il sacchetto. L’odore di cornetti alla crema appena sfornati e cappuccino mi fa vibrare piacevolmente le papille gustative.
“Ho portato la colazione. Cappuccino con scaglie ci cioccolato e cornetti alla crema. La tua colazione preferita, o sbaglio?” mi fa l’occhiolino e ricordo di averglielo detto ieri.
Iniziamo a mangiare seduti sul mio letto, che per la prima volta ci vedeva parlare, sorridendo e con tutti i vestiti ancora addosso. 
Stavamo iniziando a parlare di quale fosse stata la nostra città preferita durante l’ultimo tour, quando il mio telefono inizia a squillare, e le note di Never Say Never riempiono la stanza.
Justin alza lo sguardo su di me, sussurrando un ‘che pessimo gusto’ con un tono decisamente ironico.
“Zio Kenny?” il mio tono invece è sorpreso, avevo letto il suo nome sul display del cellulare. Raramente mio zio mi chiamava al cellulare.
“Hei, Abby. Sai dov’è Justin? Aveva promesso un saluto dal balcone della sua suite prima di andare ma non lo troviamo da nessuna parte e il suo cellulare è spento” 
“Si è qui con me, stavamo facendo colazione insieme, mi aveva accennato a questo saluto ma..” lascio la frase in sospeso perché in realtà non so come continuarla. Vedo Justin guardami sospettoso per poi tirarsi una mano sulla fronte, ricordandosi di tutto.
“Oh, davvero? Non pensavo foste così amici!” risponde allegro e quasi me lo immagino a sorridere allo schermo del cellulare. Sposto lo sguardo da quello di Justin, arrossendo. Anche mentre mangia un cornetto sa essere più sexy del dovuto.
“Già, ultimamente parliamo un po’ di più. Comunque ora te lo rispedisco in camera sua, a dopo zio” e attacco. Sospiro e guardo Justin raccattare tutto nella busta bianca e lanciarla come fosse una parla da basket nel canestro, che in questo caso è il cestino della mia camera d’albergo.
“Devi andare in camera tua, c’è il saluto alle fan che sembrano essersi accampare lì sotto” lo avverto.”Già lo avevo proprio dimenticato. Grazie mille Kenny!” sorride e – Dio mio! – che sorriso.
“E si puo’ sapere perchè hai spento il cellulare?” gli chiedo iniziando ad uscire dalla stanza seguita da lui. Lascio la valigia lì perché so che Kenny verrà  prenderle cinque minuti prima di partire.
“Perché volevo passare del tempo in santa pace con te” risponde e mi volto a guardarlo, inarcando un sopracciglio.
“Okay, okay. In realtà mi si è scaricata la batteria in pasticceria e siccome tra un po’ dobbiamo partire mi è sembrato stupido metterlo a caricare”
“E bravo Bieber!” dico e mi avvicino lentamente a lui, faccio per baciarlo ma invece mi allontano velocemente, mentre con una mano gli scompiglio il ciuffo tanto curato. Inizio a correre verso la sua stanza e lo sento imprecare alle mie spalle mentre cerca di prendermi.
Quando arrivo alla sua porta mi ci appoggio con le spalle per riprendere fiato e subito mi sento intrappolare i fianchi dalle sue mani. Rido e cerco di aggiustarglielo. Stranamente me lo lascia fare.
“Questa me la paghi, davvero” sussurra cercando di riprendere fiato. Mentre stavo per mordergli il collo qualcuno tossisce. Merda. Alziamo entrambi lo sguardo senza muoverci di un millimetro per ritrovarci uno Scooter a braccia conserte. Già una volta ci aveva beccato stesi uno affianco all’altra sul divano del camerino di Justin, dopo un concerto. All’inizio ci intimò di svegliarci, poi si accorse che eravamo mezzi nudi e richiuse la porta non proferendo una parola. Non ci aveva mai più chiesto nulla dell’argomento. 
“Sempre così vicini, non è vero?” immediatamente ci separiamo e come se niente fosse successo Justin sfila dalla tasta dei suoi pantaloni decisamente troppo a vita bassa la chiave della stanza.
Senza alzare lo sguardo dalla moquette del corridoio, che ora mi sembra la cosa più interessante e bella del mondo, entro nella stanza di Justin – minimo tre volte più grande della mia – seguita dai due.
“Bene. Che stavate facendo?” 



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Capitolo 3
*** Explosion. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
ecco, questa volta non vi ho fatto aspettare così tanto dai u.u li ho contati, solo dieci giorni! HAHAHAHAHAHAH
in questo capitolo inizia il vero cambiamento della storia, anche se dovete ricordare sempre che niente è come sembra u.u
nella parte finale sono stata un pò più esplicita delle altre volte, soprattutto perchè dovevo far capire bene le emozioni di Abby dbkbhtgrf
vi ringrazio delle tante visualizzazioni. delle sei recensioni allo scorso capitolo, delle undici preferite, delle tre ricordate e delle unidici seguite. 
grazie mille di tutti insomma, siete fantastiche :)
spero che vi piaccia! a presto fbjgnfgtkrhb

-Andrea
( @horansmile ) ♥

 

Ti accorgi di provare qualcosa per qualcuno quando senti i sentimenti esploderti dentro. Letteralmente.
Li senti, energici e prepotenti, contro le pareti del tuo corpo che ti colmano di essi, facendoti quasi sboccare. Li senti invaderti e finalmente ti accorgi di provarli.
Non mi ero mai accorta dell’effetto che mi facesse il mio nome sussurrato,  uscito dalle sua labbra piene o il suo sorriso, rivolto solo a me e a nessun altro.
Non mi ero mai accorta di avere una bomba ad orologeria dentro, pronta ad esplodere.

 

3.

 “Bene, cosa stavate facendo?”
Ci guarda sospettoso per un minuti buono mentre io e Justin ricambiamo lo sguardo, dritto negli occhi. Un minuto buono. Il cuore accelera. Ho paura che ci faccia una specie di ramanzina, per poi intimarci di non vederci più. Oppure mi licenzia. Dio, se non mi fa più vedere Justin mi licenzia sono morta.
Sto quasi per aprire bocca, quando una grossa risata di Scooter mi sconcerta.
“Oh, avanti. Stavo scherzando. Potete fare ciò che vi pare” continua a sorriderci e quasi posso sentire un sospiro di sollievo anche da parte delle tende. Justin mi lancia un sorriso fugace, prima di andare allo specchio, aggiustarsi ancora una volta i capelli e poi affacciarsi al balcone spinto da Scooter.
Immediatamente le urla di centinaia di ragazze e  forse anche qualche ragazzo riempiono l'aria e i miei timpani. Posso  sentire anche le loro emozioni urlare felicità, le lacrime solcargli le guance, le mani che si muovono freneticamente per farsi notare, i cartelloni sventolati e tutta l’energia che emanano. Justin inizia a sventolare la mano,salutandole, e dice qualcosa riguardo al fatto che vorrebbe abbracciarle tutte per ringraziarle e le urla aumentano. Sto quasi per emozionarmi anch’io, quando ancora una volta le urla aumentano ancora di più, ma come segno di protesta perché Justin è rientrato. 
Scuoto la testa. Troppe emozioni.
“Sono qualcosa di unico. Ogni volta che le vedo ricordo perché ho iniziato a cantare” dice, più rivolto a Scooter - che annuisce comprensivo – che a me.
“Secondo me, farebbero di tutto per vederti per pochi secondi. Cosa si prova ad essere l’idolo di un trilione di persone?” fingo un tono da intervistatrice, appena Scooter ci lascia soli per permettere a Justin di finire di preparare i bagagli. Ridacchia.
“Ti senti importante. Ti senti vivo. Provi un affetto enorme per un trilione di persone che neanche conosci” risponde, infilando l’ultimo paio di scarpe – di un set da un milione di esemplari, ne sono sicura – nella valigia e chiuderla.
“E cosa si prova a trasformarsi da dolce ragazzino a cattivo ragazzo?” lo prendo in giro e gli strappo una vera risata.
“Sei una stronza”

Una volta scesi dall’aereo e usciti dall’aeroporto mi sento così indolenzita da non riuscire neanche a camminare. Sento gli occhi pesanti e un’enorme voglia di dormire. In macchina verso l’hotel resto in silenzio, con l’iPod nelle orecchie. Appena arriviamo in hotel mi dileguo nella mia camera. Poso le valigie su un tavolino in un anglo della stanza, mi faccio una doccia, tiro fuori il beauty e qualcosa per andare a cena, ma poi ordino col servizio in camera delle lasagne – sono troppo stanca per poter uscire da qui o alzarmi dal letto – chiamo Shereen e infine mia madre.
Faccio per stendermi nuovamente sul letto quando qualcuno bussa alla porta. Lo maledico mentalmente, poi vado ad aprire.
“Buonasera dolcezza!” Justin entra quasi saltellando nella stanza.
“Come fai ad essere così energico dopo ore in aereo?” chiedo sedendomi sul bordo del letto dopo aver chiuso la porta.
“Abitudine. Che facevi?” risponde sedendosi accanto a me.
“Niente, mi godevo il silenzio e questo comodissimo materasso”  
“Io invece ho appena finito di fare una live, ne avevo voglia” risponde senza che glielo chiedessi “mi hanno chiesto di uovo chi sei e perché mi sei sempre intorno da un po’” continua a finalmente gli presto attenzione.
“ Cos’hai risposto questa volta?” l’ultima volta aveva detto che ero la sua migliore amica, solo dopo si era ricordato che era la stessa cosa che diceva per Selena e quindi la maggior parte delle persone non ci aveva creduto. Ci aspettavamo domande del genere.
“Ho detto che sei una mia cara cugina in realtà, una che non vedo spesso a cui ho offerto un lavoro per averla più vicina. Hanno detto che sono dolcissimo, non lo sono?” risponde ridacchiando e sorrido.
“Ma non sono qui per questo, ti ho portato una cosa” riporto lo sguardo su di lui curiosa.
Mi fa penare un po’ sorridendomi e continuando a tenere una mano nascosta nella tasca interna della felpa, poi finalmente ne caccia un dvd. Mi sporgo di più verso di lui e vedo che è quello di Titanic.
“Come fai a sapere che lo adoro?” chiedo, posando immediatamente lo sguardo verso di lui.
“Guarda lo sfondo del tuo cellulare, scema” sussurra sorridendo, indicandomelo e per poi alzarsi e inserire il dvd nel lettore della tv di fronte al letto.
Mi siedo per bene sul letto, fin quando non mi raggiunge togliendosi le scarpe e accoccolandosi contro di me facendomi sorridere. Fa partire il film col telecomando e inizialmente parla solo il film, poi Justin inizia a fare commenti su qualsiasi cosa dicano i personaggi e sbuffando gli tiro una cuscinata.
“Non dovevi farlo” sussurra e gli faccio una linguaccia. Ridacchiando, spegne la tv e il lettore, poi quasi mi salta addosso spingendomi contro il materasso. Mi posa le labbra sul collo e sospiro.
Inizia a baciarmi, gli sfilo la felpa e sta quasi per ricambiare con la maglia, che era ancora quella di stamattina. quando all'improvviso si ferma per sorridere contro la mia spalla.
“Oppure preferisci farlo in una macchina come quei due?” rido pensando che scherzi, ma cambio idea quando lo vedo alzarsi e cacciare dalla tasca le chiavi della sua auto sorridendomi malizioso.
“Tu sei pazzo!” sbotto ridendo.
“Tanto a quest’ora non c’è nessuno giù al garage che ti costa?” e prende a farmi una faccina da cucciolo bastonato che mi fa cedere, sorridendo.
Scendiamo in ascensore fino all’ultimo piano, e finalmente arriviamo al garage. Ancora non credo a cosa sto facendo. Se non fosse per la sua stretta sulla mia mano penserei che fosse tutto un sogno. Sento la forza e l’energià rientrare in me ad ogni scalino e il sonno abbandonarmi completamente, rimpiazzato da una vitalità innata.
Quando arriviamo alla sua macchina, apre velocemente la portiera posteriore e mi fa cenno di entrare. Le luci sono minime, ci sono solo due punti illuminati dell’enorme stanza e noi siamo nella penombra quasi romantica.
Preme il corpo contro il mio e mentre mi mordicchia il lobo, spogliandoci a vicenda, gli sussurro un altro ‘sei pazzo’ e come risposta ricevo un bacio tanto passionale quanto paradisiaco. Potrei morire adesso e non fregarmene nulla. Gemiamo sottovoce, per paura che qualcuno ci possa scoprire, e dopo aver sospirato il suo nome l’unica cosa che vedo sono i vetri appannati, come la mia vista e i miei sentimenti.
Diventiamo una cosa sola e tutto perde i contorni, tutto perde significato. Siamo io e lui, noi. Il buio e una macchina. La sua pelle contro la mia. Il suo respiro contro il mio. Le sue labbra che danzano con le mie.
Sudore. Passione. Energia. Amore.
E poi l’esplosione, mentre il mondo scompare e ci accasciamo l’uno sul corpo dell’altro, ansimando.
“È stato fantastico” mi sussurra all’orecchio, dopo aver ripreso fiato. Sento il suo cuore riprendere a battere normalmente sotto il mio orecchio.
“Hai avuto un’ottima idea” rispondo, perdendo finalmente i sensi e abbandonandomi tra le sue braccia e quelle di Morfeo.    

                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

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Capitolo 4
*** What's damn wrong with me? ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
haloa fanciulllle. :3
innanzitutto voglio dirvi che ho cambiato niiiccck (ma va!)
prima ero horasmile, ora sono livingforhim. mi sento tanto capitan ovvio HAHAHAHAHA
poi voglio ringraziarvi per tutto. recensioni, sguite, preferite. tutto :')
poi ancora(?) volevo dirvi che questo capitolo è un pò bruttino, perchè non ho avuto ispirazione per tutti i 12 giorni in cui non ho aggiornato (già, li conto çç) quindi scusatemi,e  chiedo perdono già prima che leggiate lol
però sto cercando comunque di aggiornare ogni dieci giorni, in modo di avere tutto il tempo.
vabbè, come sempre chiedo qualche recensione per farmi capire cosa vi piace e cosa non. uu.
scusate per gli errori di battitura, sono troppo pigra per rileggere çç
grazie ancora,  buona lettura.
withlove. 


-Andrea.
( @believinmyidol ) ♥
eggià, ho cambiato anche nick di twittaaah HAHAHAH seguitemi e  menzionatevi se non vi seguo eh u.u


 

Quando inizi a fantasticare su qualcosa, perdi di vista ciò che è nella realtà.
Forse, quel vestito che tu pensavi ti stesse una meraviglia, che avresti indossato a quel falò sulla spiaggia e che avrebbe fatto andare fuori di testa quel tipo carino in realtà è solo un pezzo di stoffa, che magari costa pure troppo per il tuo portafogli rattoppato.
 Ed è esattamente questo che è successo a me. Ho fantasticato troppo su delle emozioni, e ora mi ritrovo a dover sopportare qualcosa di troppo grande per il mio povero cuore.
Perchè infondo sapevo che il detto 'non giudicare un libro dalla copertina'  l'avevano inventato per me ma me ne accorgo solo quando non riesco più a fare a meno del suo odore tra le mie lenzuola.
Proprio come quando compri un libro per la copertina figa, e poi ti accorgi che è la solita merda quando l'hai già comprato e hai sprecato tempo a leggerlo. Ma cosa succede se ti sei pure affezionata alla parte peggiore della storia?

 

4.



“Questo” richiama la mia attenzione Justin,  ancora alle prese con la scelta del colore di jeans perfetto mentre io gli avevo già rifatto mezzo guardaroba. Mi mostra un jeans un po’ stretto sulle caviglie e – come suo solito – abbastanza a vita bassa, di un colore rosso vivo, poi me ne mostra un secondo, stesso modello, ma blu cobalto “ o questo?”
“Il rosso, senza dubbio, ti dona di più” gli suggerisco di nuovo, tornando alle mie camicie e cercando di tenere lontano lo sguardo da quelle fossette sulla fronte che gli si formano quando è concentrato.
“Sicura? Il blu è di moda quest’anno..” mormora, fissando i due jeans come se potessero parlargli e aiutarlo. Dio, dannate e bellissime fossette.
“Justin, sinceramente, con tutti i soldi che hai potresti comprarti l’intero negozio, prendili entrambi!”  è la quarta volta che glielo dico.
“No, prenderò quello rosso, infondo sei tu quella esperta” fa lui, sorridendomi. Sento il cuore rallentare per un secondo, per poi riprendere a battere con un ritmo impressionante. Cerco di non pensarci e scuotendo la testa torno con lo sguardo alle camicie cercandone una della sua taglia quando sento le sue mani sui miei fianchi minuti. Merda. Mi sfiora il collo col naso. Il mio cuore sta per esplodere. Di nuovo.
“Hai cambiato profumo?” sussurra. Un lieve – lievissimo ed impercettibile – strato di barba riesce a pizzicarmi la pelle.
“Justin, potrebbero vederci” so che non mi ascolterà minimamente. Come non mi ascolta il cuore. Più gli dico di smettere più continua ad accelerare. Entrambi mi ignorano, e Justin peggiora il tutto continuando ad accarezzare dolcemente il mio fianco destro.
“Mi piace questo nuovo” continua, come se non gli avessi detto nulla. Sospiro.
“Scrollati, siamo in pubblico” rispondo rude, e molla la presa immediatamente. Sento il calore abbandonarmi completamente.
“Ti fai troppi problemi, i giornali pensano che tu sia una mia cara cugina” chissà perché ora a sentirmelo dire mi da quasi fastidio. Sono ben altro di una cugina. Cugina è restrittivo.
“Peccato non sappiano anche che andiamo a letto insieme, davvero. Un enorme peccato!” continua e ridacchio, forzandomi al massimo per farlo apparire quanto più reale e spontaneo possibile.


Ho una domanda che mi sta torturando da stamattina, al centro commerciale. Guardo Justin stiracchiarsi per poi stendersi a pancia in su sul mio letto.
“Cosa pensi di noi?” chiedo, rompendo il silenzio. Sorride al soffitto.
“Siamo del sano sesso” mi risponde, ripetendo le parole che gli avevo detto proprio io qualche giorno fa. Ma cosa mi passava per la testa a quei tempi?!
Insomma, quello in macchina non era stato semplice sesso, non era stato come le altre volte. E non lo dico solo perché eravamo in un’auto, ma perché le avevo sentite.
Avevo sentito le mie emozioni perforarmi per farmi capire che non era un passatempo, un hobby, qualcosa per imparare cose nuove. Era uno sfioramento di pelle, violento e passionale. Un incontro di due corpi, eccitati. Due corpi intrecciati, uniti. Sensazioni e sentimenti forti. Era decisamente qualcosa in più.
Continua a sorridere al soffitto e mi viene voglia di strappargli quel dannato sorriso e buttarlo giù dalla finestra.
Non c’è niente da sorridere, niente da essere felici. Scopro di provare qualcosa per te e tu che fai? Mi dici che per te sono solo una scopata e basta?
Calmati, Abby. Calmati. Respira.
“Cosa c’è che non va?” mi richiama alla realtà, quella in cui m’ero solo immaginata di poter avere un rapporto civile dove il sesso fosse un dettaglio e non il protagonista. Sento quel ‘qualcosa’ dentro di me sbriciolarsi sotto il peso delle sue parole.
Vorrei dirgli che tutto non va, tutto. Il fatto che mi sono concessa a lui così in profondità da non poterne più uscire fuori salva. Il fatto che ormai senta i suo sapore non sono completa. Senza lui, non sono competa.
“Niente, niente che non va” sorrido, rimangiando tutte le parole e fingendo un sorriso sereno.
Cosa c’è in me che non va? Perché preferisco tenere tutto dentro me anziché sputargli in faccia la realtà?
Perché sai che si allontanerebbe e tu non lo vuoi.
Stai zitta, fottuta voce.


Due mesi dopo.

Chiaro, per lui sono solo del sano sesso e a me da fastidio. Ma dopo due mesi, sono ancora qui, nel suo letto accanto al suo corpo caldo, a chiedermi cosa non va in me.
Voglio il mio male, pur di averlo vicino e vederlo sorridere grazie a me. Sono incredibile, senza speranza. Un fottuto caso perso. Devo distrarmi.
Mi alzo lentamente per non svegliarlo e mi rivesto in fretta, ma poi decido che sia orribile andarsene senza neanche salutare. Quindi mi stendo di nuovo accanto a lui e prendo il cellulare, iniziando a scattare foto a Justin che dorme beato. È così innocente e tenero mentre dorme. Vorrei mordergli le guancie piene e baciargli le labbra morbide.
Posto una sua foto su twitter senza pensarci troppo su.
Esito un po’ sulle parole ‘bellissimo amico di letto’ che fanno parte del tweet, alla fine opto per ‘il mio bellissimo cuginetto che dorme’ e premo Tweet, smettendoci di pensare.
“Che fai, parli ancora con Tom?” cazzo, quando s’era svegliato?
Avevo detto a Justin che uscivo con un certo Tom per vedere che reazione aveva, visto che in questo periodo siamo fermi nello stesso posto per un altro mesetto per l’incisione del nuovo cd. Solo che Tom non esiste e lui neanche se ne frega, e continua a ‘volermi’. Ed io, da brava idiota, continuo a cedergli.
“Si, è così tenero.  Geloso?” chiedo, anche se so benissimo che non potrebbe mai essere geloso di me. Non sposto lo sguardo dal cellulare. Non lo faccio mai quando parliamo di ‘Tom’. Altrimenti gli spiffererei tutta la verità e mi darebbe fastidio fargli notare che in realtà nessuno mi fila.
“No, niente gelosia per te. Però se vuoi chiama Dominique, lei ne ha abbastanza per tutti, immagino” inizia a farneticare, smanettando anche lui con l’iPhone.
Dominique, invece, è una cosiddetta ragazza facile che ha fatto da comparsa in un suo video,e  che nella settimana di riprese s’è fatto tutto il cast e Dio solo sa se erano tutti ragazzi. Justin l’ha prima rifiutata e poi le ha chiesto d’uscire e lei ha pensato che fosse ‘diverso’.
 In realtà l’ha fatto perché aveva perso una scommessa con Kenny. Fatto sta che ora escono e spero che Justin continui a rifiutarla per tutta la vita. Quello è compito mio, almeno questo!
“Giuro, è così.. snervante!” continua e gli rivolgo uno sguardo confuso. Scrolla la testa, tornando immediatamente all’iPhone.
“Non la vedo da sette ore contate e ho un trilione di chiamate perse e messaggini inutili. Si è appiccicata addosso ed è gelosa di tutte e.. o mio dio che cazzo di foto hai messo?” il cambio di voce repentino mi fa alzare lo sguardo dalle lenzuola stropicciate. Poi mi viene in mente la foto di twitter e sorrido.
“Eri tenero” sbotto, quasi pentendomi.
“Ero tenero?! Se la vede Dominique – cosa sicuramente possibile visto che è su twitter, la può vedere il mondo intero, cazzo! – non vorrà più vedermi e non verrà più a letto con me! Perché metti foto del genere?” ragazzo che mentre dorme è tanto carino ma che appena apre a bocca non fa che uccidermi, che hai detto?
“Voi avete fatto sesso?” sussurro e fa uno strano ghigno con le labbra. O mio Dio.
“Siamo due persone che escono. Certe cose capitano” dice con un tono da idiota, come se stesse insegnando ad un bambino come allacciarsi le scarpe.
“No, due persone che escono vanno al cinema, si tengono per mano sulla spiaggia per baciarsi al tramonto e all’alba, vanno a prendersi un gelato, un frappè, un hot dog e chi più ne ha più ne metta ma non vanno oltre, non vanno a letto. Andare anche a letto insieme è avere una relazione. E tu non ne hai una con Dominique!” non faccio a tempo a rendermi conto che ciò che sto dicendo è del tutto insensato e senza fondamenta che l’ho già riversato su di lui, che non smette di ghignarmi in quel modo.
Ormai l’ho detto. È andata. Passano un bel po’ di secondi finchè risponde.
“Gelosa, Abby?” ma che domande, idiota. Se sono gelosa? Ovvio. Solo io posso averti.
“No, mai.”fingo un altro sorriso e torno al mio adorato sfondo del cellulare, pur di non guardarlo.
“Ah menomale. Lei lo è di te. Anche se non capisco perché, lei è più brava di te a letto e fa dei..” lascia la frase in sospeso, perché mi alzo velocemente dal letto, sbuffando.
“Vaffanculo, bastardo” sospiro, sperando che non mi senta e sempre velocemente fuggo dalla stanza, sbattendo la forza con tutta la forza che la rabbia contro me stessa e la sua faccina da angelo mi sta donando.
Perché continuo, imperterrita, a farmi del male? Cosa c’è di maledettamente sbagliato in me?

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Capitolo 5
*** Joy and pain. ***


Hai presente quell’orribile sensazione nello stomaco quando stai facendo qualcosa di sbagliato, qualcosa che ti farà stare male, e tutti te lo fanno notare, ma tu non sai più come uscirne?
Io si, e credo sia la cosa peggiore che possa succede ad una ragazza che ha una cotta per una superstar che pensa solo a portarsela a letto.
So che sto soffrendo, so di starci male, so di morire ogni volta che mi parla di tutte le altre, ma so anche che non riesco a far smettere al mio cuore di urlare e scalpitare quando mi tiene tra le sue braccia, quando mi sussurra cose all’orecchio. Non riesco a smettere di sorridere pensando ai pochi momenti in cui è persino dolce con me. Non riesco a fare a meno di lui e del suo, di sorriso.
E per ora, tra il mio bene e il suo sorriso, scelgo lui, che  è la miglior tortura della vita.
 

5.

 
“Ma ti pare che non ci abbia già provato, She? Ma è difficile, sai..” rispondo. Sono a telefono con Shereen, le avevo raccontato che stavamo incidendo un nuovo album, e quindi alloggiavamo io, Justin e Kenny in un appartamento abbastanza grande ma ben nascosto e in un quartiere indiscreto, ma non ce l’ho fatta a trattenere la domanda più importante perché pensavo fosse l’unica che poteva aiutarmi. Invece non sa neanche lei cosa possa fare per uscire fuori da questa storia. Anche lei m’ha detto che devo allontanarmi. Ma come faccio? Comunque lavoro per lui. E seppure mi licenziassi dovrei sopportare la sua immagine in tv, nei video, su tutti quei giornaletti.. la sua voce alla radio, le sue canzoni canticchiate da tutte quelle ragazzine. Sarebbe una tortura peggiore del poterlo avere solo quando gli pare..
“Forse dovresti dirgli tutti, semplicemente. E magari comportarvi da amici” dice allora, con tono pacato come se stessimo decidendo se indossare dei jeans chiari o quelli scuri.
Non ne voglio più parlare. Né io né lei, ma soprattutto io, non sappiamo che fare. E mai lo saprò probabilmente. Perché una parte di me vorrebbe restare lì, col suo fiato sul collo, le sue mani sulla mia pelle, i suoi occhi nei miei e tutte quelle cose che mi fanno essere viva, felice anche se per poco; mentre l’altra parte di me, sicuramente più intelligente e ragionevole, razionale, vuole andarsene e lasciarlo lì per essere felice sempre.
Ma non so da quale parte stare.  Non so niente, nulla. Nada de nada.
“Dio, che mal di testa” sussurro sospirando. Sembrava che il cervello mi volesse uscire dal cranio, per tutto quello stress. C’è pure mia madre che continua ad inondarmi di messaggini, chiedendomi se ho intenzione di andarla a trovare con zio Kenny questo weekend.
“Ti lascio alla tua emicrania da stress, piccola. Ho un appuntamento con tuo fratello” cosa? Sheeren con mio fratello? O il mondo sta andando a rotoli o sono io che sto sognando tutto.
“Si beh, gli opposti si attraggono. Ieri abbiamo passato tutta la giornata a parlare e oggi ci siamo dati un appuntamento” risponde con tono felice, come fosse una bambina che ha appena ricevuto una fetta enorme della sua torta preferita e quasi la posso vedere gongolare sorridendo.
“Potevi anche dirmelo in un sms, bastarda. Comunque vai, che odia chi è sempre in ritardo, e tu non sai neanche cosa significa arrivare in tempo” a attacco.
Come possono due opposti così.. opposti come mio fratello e Shereen uscire insieme non ne ho idea.
Mio fratello è il tipo che insegue la perfezione a qualunque costo, è sempre in perfetto orario, spacca il secondo ogni volta, mai in anticipo, mai in ritardo. ha sempre avuto i voti più alti della classe, i capelli più ordinati al mondo probabilmente. A prima vista può risultare un semplice sfigato.
Mentre Shereen vive alla giornata, se non all’ora. non fa programmi, va dove le dice la testa in quel momento e fa ciò che le pare, se le va. È come paragonare il diavolo e l’acqua santa, un top scollato a una di quei maglioni della nonna, il nero al.. e ovviamente qualcuno bussa alla mia porta proprio durante uno di questi momenti filosofici.
Vado ad aprire lentamente e controvoglia per tre ottimi motivi. Primo, ho mandato al diavolo Justin, ho una strana sensazione nello stomaco e non voglio vedere nessuno; secondo, ho paura che sia Justin e terzo  sono quasi le tre del mattino.
“Muoviti Abby!” Justin, giustamente non sa aspettare. Quando apro la porta entra spedito nella stanza sorridendo, come sempre. Sorride sempre. Ogni sorriso è un battito in meno.
“Accomodati pure..” sussurro flebile richiudendo la porta con cura manco fosse di itale importanza che si chiudesse ermeticamente. Anche respirare diventa difficile quando gli sono vicino.
“Hai presente Dominique?” Cristo. Vorrà per caso raccontarmi quanto siano splendide e piacevoli le sue prestazioni? Mi viene da prenderlo per il ciuffo e spiaccicarlo sulle pareti lilla di questa camera.
Annuisco soltanto, per non dire cose di cui potrei pentirmi.
“Bene, dimenticala. Non è vero non ci sono mai andato a letto, era solo per vedere la tua reazione. In realtà vuole arrivare ergine al matrimonio, te l’aspettavi? Fa solo dei servizietti niente male, pensando che così resti casta e pura. In realtà è solo meno troia di quanto la gente crede” sento quel peso sullo stomaco alleggerirsi un po’, ma non del tutto. Comunque la vedeva. Comunque la toccava.
“Come mai mi dici questo?” dico cercando di mantenere un tono vago, ma lo vedo sorridere ancora di più  perché anche lui ha percepito la nota di felicità.
“Il colore dei tuoi occhi. Sono diventati più scuri quando sei fuggita dalla mia stanza” risponde sedendosi al mio fianco, guardandomi dritto negli occhi come se potesse leggerci dentro le risposte alle mie domande.
“Non capisco cosa c’entra..”
“I tuoi occhi sono più belli di quelli di Dominique, mi piace osservarli quando stiamo insieme. Sono grandi, luminosi. Verdi come l’erba appena tagliata, freschi. Ma soprattutto dicono ciò che tu vorresti tenere nascosto, piccola” continua e improvvisamente mi sento completamente nuda d’avanti ai suoi occhi, anche se distante due palmi dal suo corpo e con tutti i vestiti addosso. Sento il suo sguardo scrutarmi dentro e scoprire tutto ciò che non vorrei venisse a galla. La verità, maledetta verità.
“Per caso è un complimento?” chiedo sorridendo mio malgrado. Annuisce convinto.
“In fondo sei la mia migliore amica ultimamente. una migliore amica con alcuni benefit. Come il film” risponde facendomi l’occhiolino. Ovviamente deve sempre rovinare tutto ricordandomi del fatto che gli servo solo a sfogare i bollenti spiriti.
"Dominique ha tante cose che tu non hai, però continuo a preferire te" perchè continua con queste frasi odiose? ma ci prova gusto a vedermi soffrire in silenzio per la gelosia?
"Perchè continui a stare ancora con lei, allora?" chiedo acida.
"Te l'ho detto, i suoi servizietti.." e lascia la frase a metà.  'Non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta'. Un altro consiglio che non riuscirò mai a prendere.
"Io nei tuoi occhi leggo solo egoismo e malizia. Non provi niente, nulla" e questa volta sono davvero piccata. Come può avere il croaggio di dire certe cose in mia presenza, cazzo.
Mi si avvicina lentamente e con quei suoi occhi lussuriosi mi seduce, ancora. Non smetterà mai di farlo, perchè prova paicere nel evdermi sottomessa a lui.
Se solo sapessi come ribellarmi, coem riuscire a fare a meno di lui..
E ancora una volta mi ritrovo a rotolare tra le lenzuola, attaccata al suo corpo e al suo respiro sul mio collo, il suo  ansimare. In balia del suo sguardo ci vivo e ci potrei morire da un momento all'altro. Potrei non accorgermi dl pericolo imminente e lasciarmi trasportare nella morte.
Sono un’idiota, lo ammetto.
Un’autolesionista senza una lama di metallo, ma con le sue parole e il suo fintamente dolce sorriso.



Ma pure avendoti qui ti sentirei distante…

E sarà bellissimo 
Perché gioia e dolore han lo stesso sapore con te 
Vorrei soltanto che la notte ora velocemente andasse 
E tutto ciò che hai di me di colpo non tornasse.


 

"non so come chiamarlo" s corner. (?)
eccomi tornata, come promesso entro dieci giorni. anzi, penso di essere addirittura in anticipo HAHAHAHAHA
però credo di avervi anche deluse un pò, perchè il capitolo è cortissimo e probabilmente anche peggiore del precedente kjgvhtrnrt
maaaaa torniamo a noi.
tipo che sono rimasta sconvolta çç sono emozionatissima, vi giuro.
ho ricevuto tantissime recensioni, i preferiti schizzano e anche tutte le altre cose. vedervi così attive, vedere che la mia storia vi piace così tanto mi fa tipo saltellare di gioia! HAHAHAHA
persino 19 mi piace al coso di facebook(?) del capitolo precedente, ce, mi fate morire dalla felicità davvero çç
grazie mille, grazie davvero a tutte voi, siete fantastiche.
volevo inoltre chiarire che questo è un orribile capitolo di passaggio, mi rifarò con il sesto che prometto di pubblicare entro dieci giorni u.u
scusate, come sempre, per i probabili errori di battitura.
withlove, 


-Andrea.
( @believinmyidol ) ♥


ps. la canzone citata nell'ultima parte del capitolo è 'i scatterò una foto' del mio amatissimo Tiziano Ferro uu. 

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Capitolo 6
*** Fool me, fool me.. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
ottttimo, come promesso sono riuscita ad aggiornare entro dieci giorni, anzi, credo che anche questa volta sono in anticipo LOL
questo capitolo è luuunghissimo, ed è il primo che va fuori trama. ovvero, avevo in mente una trama ben precisa, ma poi ho visto che ci sono storie simili e quindi non vorrei accuse di plagio o comunque rotture di maroni, quindi l'ho cambiata.
infatti devo trovare anche un nuovo nome per la storia çç ma vabbeeeeh
mi dispaice rompere i vostri cuori, ma qui justin fa la poarte del cattivo e a tutte quelle che me lo scrivono nelle recensioni vorrei dire che molto probabilmente non avrà un lieto fine come quello che immaginate. uu.
HAHAHAHAH mi dispiace davvero çç
vi ringrazio, per tutte le recensioni, i preferiti e tutto çç siete meravigliose.
spero che vi piaccia, e che lasciate recensioni per farmi capire cosa ve ne paare. 
ci si rivede tra dieci giorni uu.

withlove, 

-Andrea.
( @believinmyidol ) ♥
 

Chiunque lo abbia detto ha ragione, l’essere umano è masochista.
Ci lamentiamo di cosa ci succede ma non cerchiamo mai di migliorarlo, piangendo sul latte versato.
Ma io credo di essere più masochista di tutti gli altri messi insieme, accettando qualsiasi condizione pur di stargli vicina, vederlo e poter ascoltare la sua voce, o farlo sorridere grazie a qualche mia battuta.
Masochista e stupida, ecco cosa sono.. ma ormai sono nella sua trappola, tanto vale aspettare la salvezza o continuare a soffrire. Per lui.

 

6.



“Quindi parti davvero?” mi chiede Justin, Che domande. Infilo il beauty nel trolley e ovviamente quando vado a chiuderlo non riesco neanche a far muovere la cerniera.
 “No, caro. Faccio le valigie per tenermi in allenamento. E chiudi tu il trolley che ho già perso tutte le mie energie per riempirlo” sussurro buttandomi a peso morto sul letto.
Alla fine avevo accettato di andare con zio Kenny da mia madre per il weekend, forse per prendermi 48 ore di pausa dalla mia vita abituale che ultimamente non mi dava tregua.
“A che ora parti?” chiede ancora, chiudendo molto semplicemente la cerniera per poi abbandonandosi anche lui sul letto. Controllo l’orologio, sono le undici e tra una mezz’oretta mio zio verrà a bussare alla porta della mia camera per caricare le valigie nell’auto e trasportarmi in aeroporto. Chiunque noterebbe che non c’è neanche un briciolo di volontà nelle mie azioni. Se non fosse che non vedo mia madre da quasi tre mesi e i miei due fratelli, insieme a Shereen, rimarrei volentieri qui.
“Tra un po’ zio Kenny verrà a bussare. Come mai tutte queste domande?” rispondo curiosa. Sembra quasi che non voglia che parti.
“Ah. E quando pensi di tornare?” come suo solito, ignora le mie domande. Sbuffo e gli rispondo comunque.
“Lunedì per quell’intervista in tv dovrei esserci, tranquillo”
“Non ero preoccupato per l’intervista!” sbotta con tono offeso. Ma cosa sta succedendo?
“Sembra che tu non voglia che io parta” dico improvvisamente. Non so chi me l’abbia fatto dire, ma l’ho detto. Sento le parole bruciare ancora il gola.
“Un po’ è così. Mi mancherai” e mi guarda dritto negli occhi. Occhi color nocciola contro occhi fatti d’erba fresca.
Dio, non guardarmi più così o potrei morire. Da quando penso queste cose?!
Ritorno in me scuotendo leggermente la testa. Come a scacciare una mosca fastidiosa.
“Dominique ti terrà distratto, non preoccuparti..” rispondo sprezzante e fredda. Cambia immediatamente sguardo, e da quasi dolce passa a distaccato e vuoto. Entrambi rizziamo a sedere, percorsi da una scossa di adrenalina.
“Ultimamente sei sempre così fredda. Ti da così fastidio che io esca con qualcuno?!” urla quasi. Se mi da fastidio?! Ma sta impazzendo?
“Ma ti senti quando parli? Facciamo sesso da mesi, abbiamo una sottospecie di relazione, anche se solo di letto e all’improvviso esce questa puttanella. Come dovrei sentirmi?!” gli urlo contro, lasciando fuoriuscire le parole senza controllarle. Dove le ho trovate tutte queste parole ora?
“Ma quale relazione. Tra me e te è sempre stato solo sesso, i patti erano chiari!” stiamo alzando i toni e il mio cuore ha smesso di battere.
“Smettila di ripetere che sono solo sesso per te, e poi non c’erano patti, nessuna stretta di mano, nessun accordo” gli ricordo e non sa cosa rispondere. Siamo entrambi dalla parte del torto e il mio cuore continua a non battere, come morto. Perché dentro sono morta. Morta e sepolta.
Mi sta uccidendo lentamente mentre io non riesco neanche a scalfirlo con un graffietto.
“Tu smettila di essere gelosa per Dominique, mi sembra che io non ti abbia mai detto niente quando ti sentivi con Tom e gli mandavi un messaggio subito dopo aver provato piacere grazie a me!”
Fatelo smettere di parlare, vi prego.
“Vuoi sapere una cosa? Tom è mio fratello e ti ho mentito per – aspetta, com’è che hai detto l’altro ieri? – vedere qual’era la tua reazione. Volevo solo vedere se ti interessasse di me, e la risposta è stata negativa. Quindi non conta”
“Ma io sapevo che ci uscivi, mica sapevo che era tuo fratello!” perché ci stiamo urlando contro?
Neanche il tempo di replicare che tre colpi secchi alla porta ci fanno ammutolire, mentre le nostre urla sono ancora sospese sulle nostre teste. Zio Kenny irrompe sempre. Grazie a Dio.
“Abby è tutto pronto, prendo le valigie e ti aspetto in macchina” dice velocemente, ammiccando a Justin nell’ultima parte come se si aspettasse che ci dovessimo salutare con tanto di abbracci.
Mentre io e Justin restiamo in silenzio ai due lati del letto a fissarci, mio zio sempre velocemente afferra il trolley e le trasporta con facilità fuori la stanza, socchiudendo poi la porta con un piede.
“Perfetto, allora vado. Divertiti. Ci vediamo lunedì” dico queste frasi meccanicamente, come se fossi un robot senza emozioni. Dentro sono completamente svuotata dalla vitalità. Morta, come mi riduce sempre.
“Ti chiamerò” sospira mentre mi avvicino alla porta, tenendo in spalla la mia borsa.
“Non togliere tempo alla tua bambolina” rispondo mimando i suoi lunghi capelli lisci e biondi con le mani.
“Eddai Abby..” sento solo questo perché poi gli sbatto la porta in faccia e chiudo con lui per due fottuti giorni.

Sono da poco arrivata a casa dei miei, ed è esattamente come l’ho lasciata sette mesi fa.
Tutto intorno a me sa d’infanzia e adolescenza passata. Innocenza e purezza.
Salutare i miei genitori dopo tutto questo tempo mi fa sentire finalmente piena di vita, felice. A casa.
Avevo dimenticato cosa si provasse a sedersi tutti a tavola, mia madre, mio padre e i miei due fratelli più zio Kenny e abboffarci del roast beef, piatto preferito di tutta la famiglia nonché specialità della mamma.
Quasi mi sembra che la vita che ho fatto per sette mesi – viaggi in continuazione, valigie mai realmente disfatte, disordine, hotel, interviste e studi televisivi ogni giorni, centri commerciali sempre diversi, stress e troppo movimento – si perda nella tranquillità del cielo azzurro quasi senza nuvole e nella voce calda di papà,a  cui sto raccontando cosa ho fatto nell’ultimo periodo.
Quando vado a dormire sono un pò intontita, visto che lo stomaco pieno di cibo e la mente piena delle chiacchiere della mamma, però mi ricordo comunque di aver lasciato il cellulare in carica e di non averlo controllato per tutta la giornata.
Ed ecco che Justin e  il suo tono quasi pentito nel dire ‘ti chiamerò’ tornano in mente.
Quasi mi spavento quando leggo di avere due messaggi in segreteria, e una decisa di messaggi.
Li apro con mano tremante come se avessi paura che un Justin dall’espressione da cucciolo abbandonato esca da uno di quei messaggi ed io non potrei resistergli. Sospiro e inizio a leggerli.
Sono tutti simili a ‘scusa se ti ho ferita, davvero già mi manchi’. Pft, a prendere per il culo è sempre stato bravissimo. Anche i due messaggi in segreteria sono simili, e si sente ancora quel tono pentito.
Nel secondo dice ‘sto andando a dormire, ti chiamo domani, rispondi’. Quanto sto odiando il fatto che c’è solo un ora di fuso orario tra me e lui e non posso dirgli che mentre lui dorme io sono sveglia e mentre lui è sveglio, io dormo.
Spengo il cellulare dopo aver mandato un sms a She per avvisarla che domani sarei andata a trovarla e poi vado a dormire, cercando di non pensare a Justin.
La mattinata seguente era passata velocemente. Avevo fatto colazione a casa di Sheeren mentre mi chiedeva di parlare di tutto ciò che avevo visto e fatto durante i mille viaggi fatti ; appena accennò a Justin notò il mio cambiamento d’espressione e capii che non volevo parlarne.
Adoro la mia migliore amica. Mi aveva portato a fare shopping in un nuovo centro commerciale che aveva aperto due mesi prima e avevo speso quasi il doppio del mio stipendio solo in accessori e scarpe.

A pranzo siamo in una pizzeria vicino casa sua con i miei fratelli. Mi fa ancora strano vedere lei e Derek abbracciarsi o tenersi per mano. Si sono anche scambiati un bacio parecchio appassionato mentre io e Thomas guardavamo il menù.
Continuano ad essere due contrasti viventi ma li invidio quasi. Stanno così bene insieme che mettono allegria solo a vederli.
Ho il sorriso stampato in faccia. Non mi succedeva da così tanto..

Vorrei che il weekend fosse stato più lungo. Sono già in macchina con zio Kenny mentre messaggio con Sheeren,che a sua volta sta parlando con Derek e Tom al telefono. Già mi mancano.
Sto completamente ignorando le chiamate e gli sms di Justin. Per una volta sono io la superficiale, ed ho ancora bisogno della serenità che mi infondono la mia famiglia e la mia migliore amica. Ho bisogno di non pensare a quanto io sia presa da lui e a quanto lui riesce a farmi mettere da parte me stessa per lui.
Però ad essere sincera mi manca. Mi manca, ed anche tanto.
Saluto Sheeren e i miei fratelli per abbandonarmi al mio iPod, e lasciando la musica scorrere cerco di non pensarci.

Appena poggio il trolley sul parquet tirato a lucido della mia camera nell’appartamento che Justin aveva fittato, mi rendo conto di quanto quelle quattro mura non hanno niente che mi ricordi casa.
Quando sento bussare ho quasi il terrore di voltarmi, ma lo faccio comunque.
Solo nel momento nel quale i nostri occhi si incatenano di nuovo, mi piomba addosso la consapevolezza di quanto mi sia mancato, nonostante tutto.
La mia pelle inizia a fremere, alla ricerca della sua, e potrei giurare di sentire le mie mani urlare il bisogno di toccarlo.
“Mi sei mancata” l’ha già detto troppe volte ultimamente. probabilmente ha passato il weekend con l’iPhone in mano facendo copia e incolla.
“Anche tu” dico poi, sincera. Lo vedo sorridere.
“Allora perché mi hai completamente evitato?”
“Perché volevo farlo. Basta. Sei pronto per l’intervista?” chiedo voltandomi di nuovo.
“Si, certo ma.. vieni qui!” dice e all’improvviso mi fa voltare abbracciandomi. Cosa diamine sta succedendo?! Mi trovo così vicina a lui e so che tra un po’ mi bacerà e poi faremo quello che abbiamo sempre fatto, e dopo ancora dovremo cercare una scusa plausibile per il ritardo. ma niente di tutto questo accade, anzi, mi lascia andare continuando a sorridere.
“Perché non mi hai baciato?” la curiosità mi uccide.
“Perché ho deciso che non vale la pena distruggere i tuoi sentimenti, quindi voglio solo esserti amico. Voglio averti vicina, anziché litigare” oh mio dio. Ma che sta dicendo? Non era questo che intendevo, no ti prego.
“Avermi vicina c-come amica, intendi? Come amica e basta?” balbetto ed annuisce felice. Ommioddio. Ditemi che è uno scherzo.
“Ottimo” sussurro, cercando di fingere un tono felice almeno un briciolo del suo, ma non credo di esserci riuscita.
“Quindi resterai con Dominique..” e più che una domanda è un affermazione. Annuisce ancora, mentre ci dirigiamo alla sua auto per andare all’intervista.
Avrei preferito che continuasse a prendermi in giro, a tutto questo.. qualcuno mi aiuti. 
 

love me, love me, say that you love me
fool me, fool me, oh how you do me
kiss me, kiss me, say that you miss me
tell me what I wanna hear
tell me you love me





PUBBLICITA' a fanfic che mi hanno colpita ultimamante:

 A day, i'll be your girlfriend. di drewsmile 

 I will be rising from the ground, like a Skyscraper. di xdemijonas 

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Capitolo 7
*** Little revenge. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
buongiorno, buonasera, buonpomeriggio o siccome sono le due del mattino, buonanotte gente :)
eccomi come sempre in anticipo HAHAHA
da quando vi ho fatto aspettare cinque mesi, ora posto addirittura in anticipo. mi amo da sola. LOL
alllloooorra., volevo dirvi più cose. innanzitutto, ho deciso che non cambierò più nome alla storia.
quello, infatti, resterà invariato, ma sicuramente cambierà la trama. :)
seconda cosa, vi ringrazio tantissimo di tutte le visualizzazioni, recensioni, preferite, seguite, tutto. siete fantastiche.
sono anche entrata nelle storie più popolari del fandom, per la seconda volta **
ok, sto al puniltimo posto HAHAHA però è un inizio.
dipende tutto da voi u.u e vi ringrazio tantissimo
tutto questo supporto mi fa sentire addirittura brava. :3
e comunque ho capito che adorate molto di più i capitoli lunghissimi, quindi cercherò di farli sempre quanto è più lunghi possibile.
voi cerchereste di scrivere recensioni con più di dieci parole?çç
mi arrivano un botto di messaggi privati costellati da 'bello, continua'. mi fareste più felice.

ancora grazie mille e , come sempre, mi scuso per gli errori di battitura perchè, come sempre, non ho riletto il capitolo. kjbntrjkh
alla prossimaaa! (cioè tra meno di dieci giorni :3 )


-Andrea.
( @believinmyidol ) ♥









Non riesco a capire cosa mi succeda. Sembra che non sia più io a comandare la mia vita, ma lui.
Sono schiava della mia vita comandata da lui. Ne sono dipendente e non faccio nulla per evitarlo.
Se lui mi dicesse ‘salta!’ io gli chiederei sicuramente ‘quanto in alto?’ anziché lasciarlo perdere. E qualcosa cosa mi fa estremamente paura.
Mi manca da morire, ma il problema principale è che per lui ora esiste solo quella sottospecie di scheletro vivente dai capelli biondi.
Aveva ragione Bella Swan, quando diceva ‘L’amore è irrazionale, più ami qualcuno, più perdi il senso delle cose’.

 

7.

 
“Dio Sheeren, aiutami. Non resisto più” sospiro rigirandomi nel mio letto. Sono ancora in quell’orrenda stanza che non sa di me, dalle pareti azzurrine e dal parquet tirato a lucido.
Sono passati tre mesi, due settimane e un giorno da quando Justin ha deciso di voler essere solo un amico, per me, ed io ho passato il novanta percento delle mie giornate a telefono con Sheeren, sperando in un suo miracolo. Ma purtroppo niente.
“Devi dirglielo, devi dirglielo e basta. Non c’è altra soluzione, Abigail. Svegliati da questa maledetta vita dove sei la vittima e rialzati” ripete, forse per la decima volta solo nelle ultime 48 ore. Ma questa volta ha detto il mio nome per intero, il che significa che è molto decisa, che a sua volta significa che se non lo faccio sarebbe capace di arrivare fin qui con tanto di fucile, portarmelo alla gola e spingermi fino alla stanza di Justin.
Rabbrividisco al pensiero. Io a Justin non voglio dire proprio niente. non voglio dargli la soddisfazione di sapere che io gli sono sempre stata dietro come un cagnolino fedele, pronta a subirmi giornate dove mi abbandonava completamente, senza neanche la ciotola piena di croccantini.
Perché sto parlando di cani? Oddio, il cervello mi scoppia.
“Ma cosa dovrei dirgli, eh? Dovrei per caso fargli sapere che sono diventata ormai dipendente da lui? Che sono tre mesi che mi manca fare sesso con lui? Sei impazzita o mio fratello ti ha dato alla testa, She?!” sbotto, e il mio tono suona più disperato di quanto volessi. La loro storia va a gonfie vele e quasi li sto odiando, ma penso sia solo un po’ di sana invidia. Irradiano dolcezza e tenerezza da tutti i pori e questo mi fa sentire ancora più sola.
Odio dover essere così nei confronti della mia migliore amica. Insomma, non lo siamo mai state.
“Non mi interessa, Abby. Ma ti vedi? Dovresti essere felice di non dover più sentirti usata e invece stai sempre peggio. Ma non vedi come ti sta riducendo, piccola?” nell’ultima parte il suo tono passa da arrabbiato a dolce. Ha solo un anno in più a me, e all’inizio mi riteneva la sua sorellina più piccola, quindi quel tono dolce, quasi da mamma protettiva, mi faceva sentire capita e in qualche modo aiutata.
“Si, lo so..” rispondo, senza saper realmente cosa dire. Tutto mi sta semplicemente facendo girare la testa. Quasi non vedo più i contorni delle cose. Tutta questa situazione mi sta facendo perdere la razionalità che c’era in me. Sembro una di quelle adolescenti al primo giorno di liceo. Spaesata, confusa, incompresa, invisibile. Sola, dannatamente sola. Senza di lui, mi sento sempre sola.
Faccio un respiro profondo. Con calma.
Quando mi decido ad aprire la porta però, mi prendo altri due minuti buoni – scanditi dal ticchettio del mio orologio, unico rumore nel corridoio silenzioso – per sistemare bene nella mente tutte le parole, una ad una.
Avevo attaccato con Sheeren tre orette prima, mi ero fatta un bagno rilassante di almeno un ora, e ci avevo impiegato un eternità ad arricciarmi i capelli. Di solito, lo facevo per calmarmi prima di un compito in classe o un’interrogazione. Mi rilassava e mi riempiva la mente.
Poi avevo ripassato il mio intero armadio per scegliere cosa mettere, avevo attraversato il corridoio così lentamente che probabilmente la tartaruga più lenta del mondo mi avrebbe superato, per poi ridermi in faccia. Ogni passo era una riflessione a sé. E alla fine avevo deciso.
Anche se sono ormai dieci minuti che fisso la porta. Quasi sono tentata dal raggiungere di nuovo la mia e serrarmi nella stanza, visto che è di fronte a questa.
Respiro l’ultima volta e spinta da qualcosa di invisibile – forse il sostegno di Sheeren – tiro giù la maniglia ed entro nella stanza di Justin.
Improvvisamente, i contorni delle cose tornano ad essere completamente visibili ai miei occhi e la scena è inconfondibilmente ciò che penso.
Gli occhi di Justin incontrano per un secondo i miei, e lo vedo arrossire. In meno di trenta secondi, neanche stessi facendo una maratona, faccio un passo in dietro, apro la porta, esco e richiudo immediatamente la porta. Ho il fiatone. Non avevo mai visto Justin arrossire così tanto. Cerco di respirare normalmente, ma ho un grosso groppo dentro che di certo non mi aiuta.
Dopo neanche mezzo minuto, Justin esce dalla stanza a petto nudo. Le sue gote sono tornate alla loro colorazione naturale, vorrei succedesse anche al mio cuore che minaccia di morire.
“Scusa, pensavo non ci stessi in casa” sussurra leggermente imbarazzato, mentre sento i fruscii del tessuto sulla pelle di Dominique mentre si riveste. Da quanto ho il super udito? Ma soprattutto, perché mi fa così male?
“N-no, non ti preoccupare. Volevo solo dirti una cosa, scusa se  ti ho d-disturbato” balbetto e lui inizia grattarsi la nuca.
Non è la prima volta che l’ho visto nudo, ma è la prima volta che l’ho visto fare qualcosa nudo con qualcun’altro. Alla faccia della ‘voglio restare vergine fino al matrimonio’.
“A quanto pare, però, non vuole più arrivare vergine all’altare” continuo, dando una voce ai miei pensieri.
Sorride imbarazzato e annuisce.
“Già, a quanto pare..” sussurra rialzando il capo per guardarmi in faccia. Ah, finalmente. Anche se era un’altra la domanda che mi tormenta
“Ma.. è la v-vostra prima volta?” gli chiedo infatti, balbettando ancora. Torna a guardare il parquet del corridoio, leggermente più scuro di quello delle camere. Io avrei preferito questo, con l’azzurro delle parti della mia. Perché diamine parlo del parquet?!
“N-no” balbetta lui in risposta e gli torna una delle fossette sulla fronte, di solito segno di concentrazione, ma nei mesi avevo imparato che spesso gli si formavano anche in situazioni imbarazzanti.
Oh, caro mio, potrai anche essere imbarazzato, ma io sono distrutta.
Okay, respiriamo. Respirare è la prima regola, sempre.
Oddio, ma che diamine sto dicendo. Qualcuno freni il mio cervellocuore in caduta libera.
“Ottimo, ci rivediamo. A più tardi, Justin” sbuca all’improvviso la biondina dalla porta, di nuovo in tiro, con i capelli cotonati e perfettamente su, il trucco marcato e con un’espressione completamente indifferente stampata in faccia.
Ma come si fa ad essere annoiati ed indifferenti dopo essere uscite dalla camera di Bieber?
“Okay, Dominique, usciamo stasera?” sussurra speranzoso Justin ma Dominique, neanche mi stesse imitando nella mia corsa contro il tempo di pochi minuti fa, è già fuori la casa maneggiando con il suo blackberry.
Non ho parole. Hai la possibilità di stare tutto il giorno con il biondino che ho di fianco e preferisci messaggiare con qualcun’altra biondina ossigenata dagli occhi neri col tuo cellulare?
La gente ha ragione, il mondo sta andando a rotoli. Ma rotoli impressionanti. O forse semplicemente lei.
“Come non detto” sussurra poi con tono deluso. Mi viene da abbracciarlo.
“Se vuoi, puoi uscire con me” sbotto improvvisamente, mimando con le mani la nuvoletta di un caffè fumante e lo vedo sorridere.
“Certo, così mi puoi dire anche quella cosa” afferma, prima di farmi un occhiolino, per poi filare un secondo nella sua camera per infilarsi una t-shirt bianca e delle converse rosse.
Già, io ancora dovevo dirgli quella cosa. Fremo al pensiero. Come glielo dico?

Quando arriviamo al primo caffè vicino casa nostra, ho dimenticato la questione ‘quella cosa ’ grazie alle chiacchiere allegre con Justin. È bello parlare con lui camminando tranquillamente tra la gente.
Il locale è abbastanza vicino l’appartamento, ma circa quattro volte gruppetti da tre o quattro ragazze ci hanno fermato per qualche foto o un autografo, una mi ha perfino chiesto se fossi davvero io la cugina che si vedeva in copertina su un giornale che non avevo mai visto. Ero davvero sorpresa.
“Eccoci qui. Vai a sederti ordino io. Cappuccino con scaglie di cioccolato, vero? Ormai ho imparato!” se mi fa un altro occhiolino così svengo qui, sotto l’arco della porta in vetro traslucido e legno mogano di questo bar che odora di zucchero filato.
“Okay, però poi mi dici quanto ti devo, ci conto” gli rispondo, iniziando a cercare un tavolino libero con lo sguardo. Mi spinge leggermente col gomito, sorridendo.
“Non fare l’idiota, non è da te!” e ridacchiando va al bancone. Scuoto la testa sorridendo e sedendomi ad un tavolino più isolato rispetto agli altri, vicino ad una piccola finestrella che dava su un parco. Delle bambine stanno saltando la corda ridendo come matte. Che tenere.
Mentre le guardo, quasi non mi accorgo di Justin che tiene i due caffè in bilico in una sola mano, mentre nell’altra mantiene un vassoio di biscotti di pastafrolla con scaglie di cioccolato.
Oddio, si è davvero ricordato che li adoro?
Mentre parliamo sembra quasi si sia dimenticato che ha accettato di uscire solo per sapere cosa avevo da dirgli, quindi sono tranquilla e serena.
O almeno lo ero, prima di sentire Justin chiedere innocentemente: “Ah, ma cos’era quella cosa di cui volevi parlarmi?” e per poco non mi affogavo col cappuccino.
Inizio a guardarmi intorno. Questo posto sa di casa e antiquariato. È quasi tutto in legno, ed è parecchio piccolo anche se stipato di tavolinetti e persone. Ha tanto l’aria di uno di quei localetti che andavano di moda una trentina d’anni fa, con quelle lucine al neon e le luci offuscate.
Quando inizio a descrivere in mente i posti, paragonandoli a qualcosa di molto vecchio, è perché sono più agitata dell’agitazione fatta persona.
E adesso cosa gli dico? Che mi manca da morire andare a letto con lui?
Prendo un altro respiro profondo. Se oggi avessi dovuto pagare i miei profondissimi respiri, avrei speso una cifra enorme.
“Mh, vedi.. volevo dirtelo da un po’, in realtà. Circa da due mesetti” cerco di prender tempo per pensare ma mi riesce difficile.
“Wow, e te lo fai uscire solo ora? Sapevo fossi molto chiusa, ma non fino a questo punto” sta zitto e lasciami pensare, ti prego. Alla fine opto per una mezza verità.
“Mi ha fatto piacere uscire con te. quello che volevo dirti era che mi sei mancato tanto, sai, da quando abbiamo smesso di.. mh, insomma, essere più intimi. Non ci vediamo più spesso..” sto iniziando a sparlare, me lo sento, e prima di dire cose che non dovrei dire a nessuno, chiudo da sola la bocca, aspettando una sua reazione. Sorride apertamente. Uno di quei suoi sorrisi a tre milioni di denti che ti lasciano senza fiato.
“Anche tu mi sei mancata parecchio. Prometto che da oggi in poi, torneremo qui tutti i – e qui controlla il suo iPhone per vedere che giorno è – mercoledì della settimana!” sbotta allegro.
Okay, chissà perché adesso adoro i mercoledì più di qualsiasi altro giorno della settimana. Anche se non ha accennato nessuna sensazione di nostalgia al fatto che mi manca l’intimità con lui, credo di averglielo fatto capire davvero, infondo. In realtà mi mancano quei momenti di estrema dolcezza che parecchi mesi fa condividevamo. Erano una novità, ma poi c’ho fatto l’abitudine. Mai fare l’abitudine a qualcosa di troppo bello per essere vero.
E infatti, ecco che Justin inizia a controllare ossessivamente lo schermo del suo cellulare, e quando gli chiedo cosa diamine abbia mi risponde semplicemente che Dominique non risponde ai suoi sms.
Improvvisamente ripenso all’espressione annoiata o diffidente che ha sul volto quando è con Justin, mentre lui ha rinunciato alla sua facciata da duro e anche un po’ puttaniere per stare con lei.

Non posso crederci. Siamo tornati immediatamente, quasi di corsa, a casa perché Justin ha ricevuto un sms di Dominique che recitava testuali parole: O TI MUOVI A VENIRMI A PRENDERE, O STASERA NON SI FA PROPRIO NIENTE, e lui da bravo cagnolino è fuggito da lei, lasciandomi sola a giocare a carte con mio zio Kenny. Ma lo strazio è durato ben poco, perché è tornato dopo neanche un’ora e mezza dicendo che Dominique dopo ‘aver ricevuto le sue effusioni’ l’ha letteralmente cacciato di casa.
Due secondi fa, quando ha sbattuto la porta di camera sua con una faccia da cane abbandonato, mi sono resa conto che in realtà mi manca lui e basta, e vederlo soffrire mi sta facendo soffrire il doppio. Ma so che infondo se lo merita. Mi ha fatto cadere nella sua trappola senza pentirsene e poi mi ha abbandonato per miss ‘fai come ti dico altrimenti finisce male’.
Ed ora mi ritrovo innamorata e a giocare a briscola – gioco ereditato dalla conoscenza di parenti italiani, davvero poco divertente – con mio zio mentre lui si strazia per quella.

Se qualcuno di potente lassù esiste, non gli perdonerò mai di avermi donato tanta incapacità nei rapporti umani, ma lo ringrazio della semi-vendetta che mi sta offrendo.

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Capitolo 8
*** Decision. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
innanzittutto, non posso ancora credere che io dia ancora questo nome all'angolo delle note d'autore, ma vabbè. LOL
questo capitolo è stato più un parto che un vero e proprio capitolo, quindi appena sono riuscita a finirlo me lo sono voluta levare d'avanti e l'ho pubblicato, lo trovo parechcio bruttino però non so.
più che altro è di passaggio, anche se non ve lo aspetterete, però è solo di passaggio.
quiiiindi, vi ringrazio del supporto, siete fantastice e sono già al ventesimo posto nella classifica delle storie con più preferiti, siete le mie preferite **
grazie ancora, e scusatemi come sempre per gli errori di battitura (ed il pessimo capitolo), prima o poi inizierò a pagare qualcuno affinchè legga i capitoli prima che io li pubblichi uu.


alla prossimaaa! (cioè tra meno di dieci giorni :3 )

-Andrea.
( @believinmyidol ) ♥





Mia nonna mi diceva sempre, con il suo accento marcato italiano, che l’essere umano non è fatto per essere felice, deve sempre complicarsi la vita, pensando di migliorarla.
Ha inventato il computer, credendo di rivoluzionare un mondo e in effetti c’è riuscito, ma poi con la tecnologia avanzata un trilione di persone persero e perdono il posto di lavoro ogni giorno, e la gente sta impazzendo insieme alla televisione.
Ogni volta, questo era il suo esempio. Io invece oserei dire qualcosa di simile alle tre parole Justin Drew Bieber.
Avevo accettato io quel dannato lavoro, ero andata a cercarlo io dopo il primo bacio, e sono stata io ad urlargli contro cose che avrei dovuto tenermi dentro.
Sono o non sono un perfetto essere umano?


8.



Oggi mi sento stranamente stupida. Come se non fossi me stessa, come se una di quelle cheerleader bionde che sanno solo agitare pompon e fare acrobazie di cui non sanno fare lo spelling si fosse impossessata del mio corpo.
Da quando Justin mi aveva fatto la promessa di vederci ogni mercoledì, erano passati sette giorni. Oggi è mercoledì, un pomeriggio a cui è stato legato un cielo chiaro e con poche nuvole, un sole splendente e un’Abby stupida, una sorta di bambina innamorata.
Justin non aveva accennato nulla di oggi, o della probabile uscita insieme al caffè. Niente. Se se ne fosse dimenticato morirei, ho bisogno di avere ancora un minimo contatto con lui, visto e considerato che lo vedo a stento per mezz’ora al giorno, ovvero ai pasti e mentre lo aiuto a scegliere i vestiti da indossare per dei video diary che sta filmando mentre incide il nuovo album.
In uno sono comparsa anch’io. È stato venerdì, mentre ero intenta a scegliere una t-shirt da abbinare ai famosi jeans rossi che comprammo insieme.
Al pensiero dei jeans rossi e della scenetta quasi romantica al centro commerciale di parecchi mesi fa mi si stringe lo stomaco e un groppo peso inizia a farsi sentire sul petto.
Se si è dimenticato del nostro quasi appuntamento posso anche considerarmi la ragazza più sfigata e sola del pianeta. Ho bisogno di lui.
Inizio a mordermi frenetica il labbro, fin quando qualcuno non spalanca la porta di camera mia.
Finalmente, gli occhi color nocciola mista ad ambra pura, le labbra piene e l’odore familiare della persona che volevo vedere si affacciano dall’arcata, per incontrare la mia figura seduta scomposta sul letto e sorridermi come nessuno sapeva fare. O almeno, nessuno sapeva farlo scatenando poi in me le stesse emozioni forti.
Buenas tardes, mi senorita” annuncia facendomi scoppiare a ridere. Quando parla spagnolo ha un’espressione così buffa che nonostante la dizione perfetta e anche la traduzione ottimale, farebbe scoppiare a ridere chiunque
“Buongiorno anche a te Bieber” lo saluto scivolando giù dal letto. Mi sistemo i pantaloncini di jeans alla bene  e meglio. A parte quelli, indosso una fascia che lascia scoperte tutte le spalle e anche un filino di scollatura di un bel verde acceso, in coordinata alle ballerine, anch’esse verdi.
Devo essere sincera. Mi sono vestita così per vari motivi, tra i quali il fatto che mi fa piacere che Justin ora mi stia guardando con occhi adoranti, il verde mi sta benissimo e mi risalta gli occhi – punto decisamente a mio favore, e anche una cosa che Justin adora, e perché fa un caldo asfissiante.
Ma in realtà, il motivo principale è il primo. Neanche mi avesse letto nel pensiero, dopo una manciata di secondi si affretta a sorridermi di nuovo, dicendo “Complimenti per la mise. Il verde è decisamente il tuo colore!” gli sorrido di ricambio. Da quando io e Justin scherziamo così amorevolmente?
E poi, caro mio, abbiamo un caffè e dei biscotti che ci aspettano!
“Allora andiamo,senorita?” chiede sorridendomi, per poi incamminarsi verso l’uscita del nostro appartamento.
Come sempre, mentre percorriamo i pochi metri che ci dividono dal mio mocaccino e dalla mia ora intera con Justin, veniamo interrotti due o tre volte dalle sue fan. Sono così tenere. Appena lo vedono potrei giurare di sentire i loro cuori smettere di battere finché la loro macchinetta fotografica non fa click.
Appena sorpassiamo i vetri rosati e traslucidi incorniciati dal mogano della porta del locale, l’aria di qualcosa di antico ed affascinante ci avvolge, e sorrido all’istante.
Questo posto sa di felicità, felicità e del noi che si viene a formare quando io e Justin ci guardiamo negli occhi parlando del più e del meno.
Anche cose del genere diventano eventi a sé quando non passi abbastanza tempo con la persona di cui sei innamorata.
Sorpasso sul fatto che mi sono sorpresa di me stessa per averlo ammesso almeno nella mia mente, al contrario di quello che pensava Sheeren e mi incammino verso quello che era stato anche la settimana scorsa il nostro tavolino, libero per chissà qualche segno del destino. Sembra di camminare in un film dove va tutto alla perfezione ai due protagonisti finchè si baciano appassionatamente o tutto si capovolge. Anche se spero che il copione del nostro film sia più simile alla prima che alla seconda opzione.
“Vado a prendere i nostri cappuccini con scaglie di cioccolato, Abby, aspettami qui!” e chi si muove!
Lo aspetto seguendolo da lontano con lo sguardo e  mentre aspetta al bancone che il tipo riccioluto gli serva la sua ordinazione si gira verso di me facendomi un occhiolino. Mio dio.
Appena torna per sedersi di fronte a me, sorseggiando i nostri cappuccini al cioccolato, iniziamo a parlare e mi perdo nel suono della sua voce. Mi racconta di una livechat con le fan e di quanto sia stato divertente parlare con loro, mentre io gli parlo di un film che ho visto ieri al cinema con Sophia, una nostra collaboratrice per il trucco . Tutto sembra perfetto. Sembra, per l’appunto, fin quando il suo cellulare non inizia a squillare.
“Scusa un secondo..” sorride imbarazzato indicando il cellulare, scuoto la testa sorridendogli, incitandolo a rispondere e mi ammutolisco.
Non gli da neanche il tempo di rispondere al cellulare, che la sua voce squillante ed autoritaria lo richiama all’ordine.
“Perché non rispondi ai miei messaggi? Avevamo detto alle quattro a casa mia!” sbotta Dominique e quasi godo nell’immaginarmela furente dall’altro capo della chiamata, con il blackberry in vivavoce mentre si piastra di nuovo i capelli e si ripassa la matita nera sugli occhi già perfettamente truccati.
Justin controlla un secondo l’orologio e per sicurezza lo imito, fissando le quattro cifre sullo schermo del mio cellulare. Sono quasi le sei del pomeriggio. Siamo scesi di casa alle quattro. Justin le ha dato buca per restare con me? Una sensazione di calore mi si sprigiona dentro e la sento scivolarmi nelle vene.
“S-si scusa, adesso vengo, non ti preoccupare” sussurra e tutte le sensazioni felici scompaiono. Ora sta dando buca a me per tornare da lei?!
“Sarà meglio per te, nanerottolo” e riattacca. Oddio. Sento ora le vene respingere la felicità, che svanisce ogni millesimo di secondo di più. Come mi ero potuta illudere di questa maniera?
“Quindi adesso tornerai dalla tua bionda” sbotto improvvisamente mente ripone l’iPhone nella tasca. Il mio tono suona così acido che persino il dolce sapore della cioccolata che avevo in bocca sparisce all’istante.
“ Ci eravamo dati appuntamento un’ora e mezza fa, scusami, me ne ero proprio dimenticato” mormora imbarazzato e nervoso, mentre recupera la sua giacca dallo schienale della sedia imbottita e se la infila velocemente. Usciamo quasi di corsa dal locale ed io non posso credere alle mie orecchie.
“Ti stai dimenticando di esserti dimenticato anche del nostro, di appuntamento! E menomale che eri stato tu a decidere che ci saremo visti ogni mercoledì!” gli urlo contro e arrossisce ancora di più. Siamo fermi nel bel mezzo di una stradina affollata, uno di fronte all’altra,  ma io vedo solo lui e la mia rabbia crescente.
“Io.. dio, perdonami” sussurra ancora, ma mi viene solo da prenderlo a bastonate.
“Ti perdono un corno, Justin! Quella bionda ossigenata ti sta portando lentamente via da chi ti vuole veramente bene come me e Kenny e tu l’assecondi in tutto. Ricordi quei discorsi sul fatto che la vita è solamente tua e che le persone non devono modificartela? Eri d’accordo con me, quindi ora spiegami perché una tizia del genere debba farti cambiare idea!” ogni parola che dico mi fa bruciare la gola tanto sto urlando, ma devo pur sfogare in qualche modo. Quasi non ci vedo più dalla rabbia e probabilmente c’è anche qualche lacrima che minaccia di scendere giù per le mie guancie.
“Io.. cioè, lei non mi sta condizionando la vita. È una mia scelta quella che sto facendo” dice ed il suo tono può anche sembrare sicuro ma gli si legge negli occhi che vorrebbe di più.
“Ah, ma davvero? Sei davvero così stupido, Justin? È davvero una tua scelta quella di essere trattato come un oggetto che viene usato solo quando e dove vuole una stupida bambina viziata?” urlo ancora e le parole che mi escono dalla bocca suonano come qualcosa di già sentito.
Ricordo che Sheeren urlava qualcosa di molto simile nel mio orecchio, dalla cornetta del telefono, anche nell’ultima chiamata che le ho fatto e le chiedo scusa mentalmente per non averle dato ascolto in tutti questi mesi.
“Ma cosa vuoi saperne tu di come ci si sente e di come mi tratta!” urla improvvisamente e mi sento spiazzata. Io so bene come ci si sente, razza di idiota.
“Vuoi sapere perché so bene cosa si prova? Vuoi sapere perché so che non è una tua scelta?! Perché provo le stesse fottutissime cose con te, imbecille!” sono sicura che tutti ci stiano fissando attorno e sento anche i rumori dei flash ma chi se ne fotte. Ormai sto per urlargli contro che lo amo e lui non se neanche accorto di niente. Vorrei scoppiare a piangere e rifugiarmi tra le braccia di mio zio Kenny.
Mi guarda sorpreso e confuso, sussurrando un “Ma che cosa dici?” ed io faccio fuoriuscire dalle labbra strette una risata acuta dovuta al nervosismo.
“Sei un cieco, non ti accorgi mai di nulla se si parla di me. Io provo le tue stesse cose sulla mia pelle, le provo perché vorrei passare tutta la giornata con te mentre devo accontentarmi di quando sei tu a bussare alla mia porta o a richiamarmi da te con uno squallido sms. Ci si sente come uno zerbino, uno di quegli oggetti usa e getta. Uno schifo” gli spiego e leggo nei suoi occhi tutto ciò che gli passa per la mente. Vedo le rotelle immaginarie del suo cervello elaborare le mie parole per arrivare alla stessa conclusione che conosco io e poi gli leggo il completo sconforto che questa scoperta spigiona in lui. Sento una lacrima sfuggire alla mia barriera mentre sussurro le ultime parole del discorso.
“Le provo perché sono innamorata di te, e tu non lo sei di me. Quindi ti lascio alla tua bionda, Justin” e volto le spalle, strofinando il palmo sinistro contro lo zigomo. Mi sento afferrare dalle sue grandi e calde mani sulle spalle, ma me lo scrollo di dosso per iniziare a correre quanto è più lontano possibile. Lo sento dietro di me, che mi insegue gridando il mio nome ma in realtà è solo un suono indistinto tra il rumore delle auto bloccate nel traffico, i discorsi mischiati della folla tra la quale sto facendo zig-zag per scappare da lui  sul marciapiede e i tonfi che il mio cuore fa, scivolando sempre più in basso.
Arrivo al nostro appartamento e mentre continua a dire frasi che non capisco apro tremante la porta per poi filare in camera mia.
Lo guardo per l’ultima volta fisso negli occhi, li vedo disperati e nei suoi posso vedere i miei, dove le lacrime e il dolore fanno da padroni. ‘Addio Justin’ dico a me stessa e gli chiudo la porta della mia stanza in faccia, proprio mentre stava per proferir parola.
Mi accascio sul pavimento, con la schiena appoggiata al legno scuro della porta e mi lascio cadere libera nella disperazione e nel fiume di lacrime che sto creando.
La decisione che ho preso è una, ed una sola: devo lasciare per sempre lui e questo dannatissimo appartamento.

Inventerai che non hai tempo 
Inventerai che tutto è spento 
Inventerai che ora ti ami un po' di più 
Inventerai che ora sei forte 
E chiuderai tutte le porte 
Ridendo troverai una scusa 
Una in più.. 
{Tiziano Ferro - Ed ero contentissimo}

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Capitolo 9
*** I just can't live without you. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
buongiorno gente, come state? :3
io una meraviglia, 71 preferiti, 168 recensioni di cui 32 solo dell'ultimo capitolo!
Voi mi volere morta, no neanche morta, proprio spappolata dalla felicità(?). HAHAHAAHAHAHA
siete fantastiche, è una sensazione unica vedere che vi piace così tanto ciò che scrivo io. wow. vi adoro e vi mando un abbraccio virtuale, ad ognuna di voi, anche a voi che leggete solo e fate aumentare le visualizzazioni fino alle stelle. grazie di tutto.
allooorra, tornando alla storia, il capitolo è leggermente più piccolino rispetto agli ultimi che erano più lunghi, però boh, mi andava di farlo così, di solito in certi casi non ci vogliono troppe parole, davvero.
Spero vi piaccia, perchè a mio parere è uno dei miei capitolo preferiti dopo il secondo e quello precedente uu.
so che mi vorrete uccidere con forconi e fuoco subito dopo aver letto ( e spero anche recensito, così muoio felice HAHAH scherzo uu.) quindi vado a cercarmi un rifugio abbastanza resistente e sicuro. LOL
a prestissimo, e come sempre sto aggiornando ogni settimana quasi lo stesso giorno, amatemi uu.


-Andrea.
( @swagonciastin ) ♥  si ho cambiato di nuovo nick di twitter çç fatemi sapere se vi piace, vi prego, ci sto in fissa lol
ps. la canzone che accompagna la storia è Always - Saliva. Ascoltatela mentre leggete, rende il concetto e.e






Prendere decisioni non era mai stato il mio forte, e ritrovarmi di nuovo di fronte al fatidico bivio, con due strade completamenti differenti, non è una sensazione così nuova; infatti sono tutte le altre a fare differenza, ultimamente.
Sono le due strade che formano il bivio il problema vero e proprio. Il cervello ha già scelto la sua, ma il cuore è fermo all'incrocio, ancora indeciso.
Ma questa volta metterò d’avanti prima la ragione, e poi i sentimenti, visto che con questi ultimi ne sono uscita sempre ferita.


9.

 
Mentre faccio le valigie, in una fretta disumana, sento il mio corpo impazzire. Non vedo l’ora di andarmene e chiudere con il mondo intero che parla di Justin Bieber.
Non resisto un giorno di più, quello che sto provando è dolore fisico e mentale, è doloroso. È letale.
Sto di nuovo morendo dentro e arriverò a vivere come un vegetale senz’anima e pronto a subire di nuovo il suo dolore ancora, e ancora, e ancora.
Impacchettando tutte le felpe e le magliette nel bagaglio, mi rendo conto che Justin non sembra per niente preoccupato, ascolto la voce del telecronista spiegare la partita che sta andando in onda, la cui voce viene ogni tanto coperta da qualche urletto smozzato e contrariato, immagino.
Non sento nulla. Non sento che potrei mancargli, non sento che potrebbe interessargli se adesso sbattessi la porta con tutta la rabbia che ho in corpo e fuggissi da quest’appartamento.
Scuotendo la testa alla vista di una lacrima scendere – anch’essa dolorosamente – dal mio zigomo dritta sul maglioncino verde acqua che mi aveva regalato mia madre per lo scorso natale, ritorno ad impacchettare roba nella valigia.


I feel like you don’t want me around
I guess I’ll pack all my things
I guess I’ll se you around.
It’s all been bottled up until now..


Quando il mio sguardo finisce sulla felpa rossa appesa alla testata del letto, i ricordi che avevo cercato di far affogare nel mare di notti insonni al gusto di gelato al cioccolato e di lacrime riaffiorano così velocemente che mi sento girare la testa, quindi mi siedo lentamente sull’orlo del letto, per riprendermi.
Ricordo quando era la mia prima settimana, ed ero sempre attaccata a Justin e mio zio Kenny per imparare qualsiasi cosa del mio e del loro lavoro.
Il terzo giorno, verso le tre del mattino eravamo ancora nella sala di registrazione per incidere un singolo, e quando uscimmo fuori faceva un freddo biblico. Justin sorridendomi e dandomi della novellina – perché non avevo pensato che avremmo finito così tardi e che avrebbe fatto così freddo – mi appoggiò la sua felpa, rosso fuoco, sulle spalle.
Ora, penso sia stato quello il momento in cui mi sono segretamente innamorata del suo sorriso ampio e rassicurante. Se solo lui fosse come il suo dannato sorriso.
Stringo la felpa al petto come se potesse proteggermi anche da tutto questo, oltre che dal dolore.
Mi immagino Justin al telefono con quell’oca.. “si amore, Abby se n’è andata, abbiamo casa tutta per noi; si tesoro, ti ho fatto fare il bucato, ho pagato io e nel pomeriggio lo vado a riprendere alla lavanderia; certo amore, ti ho fatto la spesa e le pulizie di casa”. Mi viene quasi voglia di aprire la porta e schiaffeggiarlo per tutta l’indifferenza che mi sta spudoratamente mostrando.
Ora che ci penso, non mostrava nostalgia neanche quando la mattina presto dopo aver fatto l’amoresesso fuggivo in camera mia.
Come ho potuto illudermi che una come me avesse fatto breccia nel cuore della super star. Mi sento così stupida..
Mi sono fatta usare per tutto questo tempo.. però le sue risate con me erano sincere, glielo leggevo negli occhi.
Con me era felice, perché ha preferito quella cosa orrenda?
Con me ci parlava, chiacchieravamo dei nostri problemi, ci raccontavamo di tutto, anche se non dall’inizio, con lei no. Perché ha preferito lei?
 

I hear, a voice says ‘don’t be so blind’
It’s telling me all these things
that you would probably hide..

 
“Perché sei una stupida, ecco perché, mia cara Abby” mi direbbe Sheeren. Quando io le parlavo di cosa succedeva con Justin, lei mi faceva sempre una predica lunghissima, che finiva sempre con la stessa frase: “Non dare mai ad un uomo tutto ciò che vuole, così ha ancora una ragione per perdere davvero la testa per te”. Ecco dove ho sbagliato.
Io a Justin ho sempre dato tutto, ma proprio tutto.
Non gli ho mai negato di usarmi, mai negato di cambiare immediatamente modo di fare. Non gli ho mai detto di smettere di ignorarmi se c’era qualche altra ragazza in giro.
Gli ho sempre perdonato tutto, allontanando chiunque abbia un cervello sano da me. Sono sola, sono sola nella mia inquietudine. Sola nei miei tormenti. Sola nelle mie colpe.
La cosa peggiore è che tutto questo me lo merito, me lo merito dannatamente.
Amo Justin. So di amarlo. E lo odio per questo.
Ormai non posso più vivere senza di lui, è la mia droga. Quei pochi momenti felici che passavo – ormai – con lui erano il mio ‘contentino’ per tutti quelli infelici, e a me stava bene. Però il troppo stroppia.
Non posso più stargli vicino, non posso più sopportare niente di tutto questo. Sono un essere umano, ho solo carne ed ossa, non riesco più a sopportare tutto questo.
Mentre prima avevo una specie di super velocità, ora la lentezza mi domina.
Prendo la felpa rossa che avevo delicatamente appoggiato in cima alle cose impacchettate nella valigia e la getto con violenza contro il legno della testata. Il tonfo sordo e poi i pochissimi secondi di discesa contro il legno assomigliano al rumore di ogni pezzettino del mio cuore che scivolava via ad ogni mossa di Justin, ad ogni sorriso compiaciuto di Dominique.


I love you, I hate you,
I can’t get around you.
I breathe you, I taste you,
I can’t live without you.
I just can’t take anymore this life of solitude,
I guess that I’m out the door and now I’m done with you..

 

Chiudo la cerniera della valigia e con un colpo secco la poggio a terra, trascinandola sul parquet. Lo  scricchiolio quasi impercettibile della plastica rovinata dai troppi pavimenti percorsi contro il parquet mi accompagna fino al corridoio e poi finalmente in sala, dove  volto immediatamente le spalle al divano dove la figura di Justin si stende comodamente contro la pelle lucida e nera. Recupero la mia borsa, l’ultima mia cosa all’infuori della valigia e finalmente mi volto verso Justin.
L’immagine che mi si prospetta è decisamente il contrario di quella che mi immaginavo di vedere. Certo, la partita sta andando ancora in onda. Ma il resto non è come pensavo.
Justin volta lo sguardo verso di me, soffiandosi il naso per poi lanciare il  fazzolettino sul tavolinetto di legno di fronte a lui. L’ultimo di un mucchio di fazzolettini.
Ha gli occhi rossi come il naso e come la sua felpa. Rossi come chi ha pianto per molto tempo. Rossi come il sangue.
Ha uno sguardo orribile. Dalle lacrime minuscole e lente che scendono sul suo viso, fuoriesce tristezza e disperazione. Ma soprattutto senso di colpa. Almeno sa che è tutta colpa sua se io ho gli occhi più rossi dei suoi.
Lo guardo ora, così disperato e solo, quasi quanto me e la domanda che mi distrugge è una sola. Perché? Perché mi fa tutto questo se io sono sempre stata dalla sua parte, se io gli ho dato tutto, se io lo amo come mai nessuno lo ha amato?
Perché, Justin? Perché mi stai distruggendo così?

I left my head around your heart
why would you tear my world apart?



“Mi dispiace” sussurriamo all’unisono, l’uno con gli occhi in quelli dell’altro. Sto per morire, me lo sento.
“Dimmi che non andrai da nessuna parte con queste valigie” mormora con la voce roca dal pianto, passando lo sguardo sulla valigia e la borsa da viaggio al mio fianco. Scuoto la testa.
“Ho smesso di mentire” il mio tono di voce è orribile e cupo. Vorrei non aver proferito parola ma esser fuggita dalla porta enorme di fronte a me.
Justin riporta lo sguardo su di me e tutto ciò che vedo è un ventunenne nel mare della disperazione. Un po’ l’immagine che dovrebbe vedere Sheeren quando pensa a me.
Tutto questo non mi fa bene. È come se l’altra parte di me volesse rimanere con lui per soffrire, ancora, ma almeno soffrire insieme.
Ma questa volta vinco io. Vince la me egoista che pensa a se stessa.
Sposto lo sguardo dagli occhi non più nocciola intensi di Justin e mi incammino a passi svelti, trascinandomi il trolley, verso la porta d’ingresso. Lo sento alzarsi, ma non si avvicina.
“Ti prego fermati, parliamone” mi blocca, mentre ho la mano sulla maniglia.
“Non c’è niente di cui parlare, te ne rendi conto, Justin? Io non posso vivere senza di te, io ho bisogno di te, e tutta la tua superficialità nel rapporto con me non fa che distruggermi. Quindi preferisco finirla qui” lo dico con voce calma e tranquilla, come se gli stessi spiegando che vado via per lavoro e sono solo leggermente scocciata di questo.
Lo guardo per l’ultima volta negli occhi, e nei suoi leggo tutto ciò che provavo io quando lui mi lasciava sola, ancora in intimo, nella mia stanza. Ma questa volta non mi farò abbindolare da nessuna faccia da cucciolo.
“Addio” dico. Una sola parola, netta, decisa. Falsa. Non potrò mai dirgli addio davvero. Ma ora devo andarmene da qui.
Apro finalmente questa dannata porta e respiro aria che non sa di Justin Bieber.

 

as I walk out your door
all I hear is the sound

always, always, always, always, always, always, always...
I just can't live without you.

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Capitolo 10
*** I'd tell you a thing. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
macciao bella genteee u.u cit. gabibbo, ma vabbè HAHAHAHAHA
allora, ho due grandi annunci da darvi, yeah.
innanzitutto, vi adoro, siete fantastiche, cioè, 37 recensioni, mio dio, vi adoro çç
ma torniamo agli annunci. primo, partirò per l'Inghilterra il sei agosto e tornerò il venti, parto con l'inpdap e blablabla. Insomma, a stento potrò telefonare ai miei, figurarsi aggiornare, ma vi giuro che continuerò a scrivere e mi farò perdonare con uno di quei capitoloni lunghi quanto la muraglia cinese, o comunque fooorse, publicherò una os e magari vi consolerete con quello, chi lo sa HAHAHAHA
secondo grande annuncio,  in questo capitolo sperimento una cosa nuova, ooovverro, il parere di Justin. vedo le vostre recensioni e ci buttate su fango a morire - anch'io lo farei, se non conoscessi la storia eheh - quindi, anche se in questo capitolo di lui non si capisce proprio nulla visto che anche per abby è un capitolino di passaggio, nei prossimi vi farò chiarezza :3
beeene, vi ringrazio ancora, vi voglio bene çç
mi scuso per gli errori, odio rileggere i capitoli HAHAHAHAHAHA
aspetto tantiiissimi vostri pareri, sappiate che con le recensioni mi fate felicissima, per non parlare dei 78 preferiti :)

a presto, spero.
con amore,

-Andrea.
( @swagonciastin ) ♥





Chi ama, soffre. È un dato di fatto.
Soffre perché ama, e ama perché cerca di non soffrire.
Ma ci sono diversi modi per amare, diversi modi per soffrire, ma soprattutto diverse ragioni per fare entrambe le cose.
A volte cercando di riparare, si finisce a farsi solo più male o peggio, a far del male agli altri.


10.


Justin.

Accarezzo lentamente la maniglia della porta spalancata di quella che è stata la camera di Abby per mesi.
Ho un sorriso vuoto stampato in faccia scorrendo lo sguardo sulle pareti vuoti e la felpa rossa, unica cosa che ricordasse la sua presenza in tutta la stanza.
Quel tessuto rosso risveglia in me qualche ricordo ma credo sia troppo vecchio per poterlo portare interamente a galla, però sono sicuro si trattasse di qualcosa che mi fece ridere, ridere di Abby ed affezionarmi a lei. Quella felpa sa di noi. Stretta al petto.
La stanza vuota, senza i suoi poster e le foto con famiglia e amiche, sembra quasi inabitabile e desolata. Inesistente. Uno di quei posti sovrannaturali che si vedono nei film.
Sembra che le pareti facciano di tutto per ricordarmi tutto ciò che ho fatto ad Abby, il punto preciso dove lo facemmo in piedi, o quello dove la spinsi il primo giorno e lei mi succhiò un piccolo pezzo di pelle del collo.
Perché riesco a ricordare solo questo genere di cose di Abby? Perché non riesco a ricordare della felpa rossa, del suo libro preferito, della sensazione che provavo mentre mi abbracciava e basta oppure se le piaceva la cucina giapponese.
Non ricordo nulla, vuoto immenso.
Facevo caso solo alle sue curve promettenti e quando ho conosciuto Dominique ho perso di vista anche quelle, facendo fuggire via da me Abby. Sono stato giusto un po’ stronzo, diciamo.
Ora non so che fare, lei ha tutta la ragione del mondo per odiarmi finché non muoio. Se solo.. potessi farmi perdonare, il che è impossibile. La farei comunque soffrire perché io non la amo.
Non la amo come mi ama lei, certo la potrei amare come una delle migliori amiche della mia vita ma.. io non la amo. Ed è questo che ci fa stare peggio, ne sono sicuro. È colpa mia.
Lei era così piena di vita e vederla piangere, per me, è stato un colpo al cuore. Lei mi ama ed io l’ho trattata come una bambola gonfiabile. Il discorso fila, davvero.
Ma ora cosa potrei fare? Le ho chiesto di restare a se fossi stato in lei avrei iniziato a prendermi a pugni. Sono una causa persa..
Quando sento il campanello bussare, chiudo svelto la porta della stanza di Abby, come avrei fatto se ci fosse stata, per paura di darle fastidio. Scuoto la testa ma la lascio ugualmente così, mi fa capire quanto sia idiota e imbecille quella stanza vuota.
Corro ad aprire sperando che sia Abby pronta a tirarmi qualcosa in faccia, giusto per scaricare la frustrazione, invece mi trovo una Dominique vestita e truccata in maniera parecchio strana.
Sia chiaro, strana rispetto ai suoi standard. Al posto della mini gonna laccata e striminzita indossa un paio di jeans che le fasciano completamente le gambe lunghe ed una t-shirt anonima, senza neanche l’ombra della scollatura usuale. Per non parlare dei capelli, ora di un bruno chiaro raccolti in una coda di cavallo e il trucco quasi inesistente.
“Chi sei tu e cosa ne hai fatto della mia Dominique?” calco il tono sulla parola ‘mia’. Anche se sono sicuro di non amarla o di essere innamorato di lei, sono certo di essere davvero preso da lei, una specie di cotta. Una di quelle pesanti.
A volte mi tratta uno schifo e ha l’atteggiamento da vera puttana, potrebbe anche essere che dopo averlo fatto con me chiama uno di quei suoi amichetti per ripetere il tutto, però io non riesco più a resisterle.
La vedo sbuffare, per riavviarsi una ciocca di quei capelli bruni che le stanno anche meglio dell’infinita chioma bionda e mi spinge all’interno del mio appartamento.
“Devo parlarti. Spero non ti incazzerai, ma è una cosa seria” dice svelta facendo gesti agitati con le dita. Le faccio strada fino al divano in pelle, i fazzoletti sono ancora arrotolati e abbandonati sul tavolino di vetro, simbolo della mia stupidaggine.
“Parlami” la invito a continuare, accomodandomi sul divano, lasciandole la poltrona sempre in pelle proprio di fronte a me. Si siede veloce ed inizia a tamburellare con il piede a ritmo dei suoi gesti agitati. Ma cosa diamine le è preso?
“Allora. Il punto principale è questo. Ti ho mentito.” E alza lo sguardo verso di me, uno sguardo pieno di sensi di colpa, quasi come i miei mezz’ora fa con Abby.
“Cosa?” sussurro e sorride amaramente.
“Preparati, è una storia lunga”
 
 
Abigail.

Quando arrivo all’aeroporto ho già detto tutto a Shereen, a cui è preso quasi un colpo. Diceva cose tipo che nulla era andato come doveva, che le dispiaceva per me e che mi aspettava per uno di quei nostri pigiama party passati ad ingozzarci di popcorn e gelato.
Mi imbarco senza pensare a nulla ed il volo sembra quasi una passeggiata fino al momento in cui il mio iPod decide che ho ascoltato abbastanza musica per oggi e si spegne. Dannato aggeggio tecnologico. Lo getto nella borsa, sperando che la ragazzina sedicenne alla mia destra stia ascoltando buona musica da quegli auricolari enormi e che il tizio appoggiato bellamente sul sediolino beige non russi.
Detto fatto. Il tizio riccioluto russa, ma almeno la ragazzina sta ascoltando Selena Gomez. Come persona non mi è mai stata molto simpatica, ma è davvero bella e piena di talento. Beata lei.
Ascolta qualche altra canzone, una mi sembrava dei Green Day e l’altra era sicuramente Katy Perry. Sta filando tutto estremamente liscio.
Ho quasi paura che da quelle enormi cuffie esca Justin ad urlarmi in faccia quanto adori la sua nuova ragazza, a cantarmelo con la sua magnifica voce. Sono un caso perso..

Tornare a casa non mi è mai sembrato così liberatorio. Nell’adolescenza odiavo stare a casa mia, spesso fuggivo alla villa vicino alla spiaggia di un cugino già maggiorenne di Sheeren, oppure da mia nonna, che mi accoglieva con una bella torta pan di stelle – la mia preferita – e spesso anche la pizza fatta in casa, all’italiana. Da quando sono partita, però, ho sempre avuto nostalgia di quelle quattro mura così tanto evitate prima d’allora. Ho lasciato un messaggio in segreteria a mio zio Kenny. Prima gli prenderà un infarto per la mia repentina sparizione, poi chiamerà mia madre in preda al panico e allora ci penserà lei a spiegargli la situazione, a grandi linee ovviamente.
Al telefono mentre ero al checkin le ho solo detto di aver litigato pesantemente con Justin e di voler scappare da lui, e lei – nostalgica delle domeniche passate insieme in cucina ad impasticciarci le mani, probabilmente – mi ha accolto a braccia aperte.
Mentre riattraverso il percorso dall’aeroporto a casa mia penso a tutte le volte che avevo pensato di fuggire anche da Justin e non l’avevo fatto. Tutte quelle volte che anziché scappare mi richiudevo tra le sue braccia.. sono stata un’idiota e anche un’imbecille. È tutta colpa mia se adesso mi trovo anche senza lavoro.
Cerco di non pensarci, pago il conducente del taxi e busso felice al campanello di casa mia. Casa dolce casa, giusto?
Come previsto, mia madre quasi mi strozza per abbracciarmi, mentre mio padre si limita ad un abbraccio normale. I miei fratelli mi rispondono ironicamente che avrebbero preferito rivedermi quanto più tardi possibile e con mia non-del-tutto sorpresa noto la vaporosa chioma mossa di Shereen fare capolino, si è tinta i capelli di un rosso fuoco che le dona davvero tanto.
Corro ad abbracciarla. Mi è mancata un casino. Mangiamo giapponese appena ordinato tra le risate generali per poi chiuderci nella camera dei ragazzi.
Anche se la mia camera è fantastica – la vetrata che da sul tramonto è davvero d’aiuto – la camera dei miei due fratelli è la mia preferita. Mi ricorda i pomeriggi passati insieme a vedere film a casaccio o a giocare ai videogames. Ricordo che io perdevo sempre, e loro mi rallegravano con un abbuffata di crepes e con il solletico. Questa stanza sa di casa, di famiglia, felicità. Una sensazione che avevo dimenticato nell’ultimo periodo.
“Senti Abby, ti abbiamo portato qui per dirti una cosa, è una cosa seria” dice improvvisamente She, sedendosi calma sulle ginocchia di mio fratello Derek. Improvvisamente una coltre di agitazione percorre la stanza per arrivare dritta alla mia schiena. Cosa sta succedendo?
“È qualcosa di così grave, avete delle facce serie!” li prendo in giro cercando di sorridere ma il fatto che mio fratello Tom stia tamburellando con le dita della mano sinistra sul manico della poltroncina girevole della sua scrivania mi mette un ansia assurda, altro che sorriso.
“Dipende dai punti di vista. Dai, siediti che ti spieghiamo” mi risponde Derek, indicando con un movimento del mento la seconda poltroncina con lo schienale appoggiato alla sua scrivania, più piccola ma più nuova.
Mi siedo cauta, aspettando che qualcuno parli, e quando finalmente Shereen apre la bocca spero d star già sognando: “Spero solo non ti arrabbierai, non è una cosa che abbiamo fatto con cattiveria o che”.
Cosa diamine sta succedendo?

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Capitolo 11
*** Again... nothing. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
ma haloa mie piccole fanciulle. 
dopo quasi un mese, tra valigie, aerei e quindi giorni di vacanza, sono riuscita a buttare giù qualcosa, ma soprattutto a postarvela u.u
premetto che ultimamente ho fatto più lavatrici di vestiti che mi ero portata in vacanza che docce e che ho dovuto anche stirare quei bastardi dei vestiti(?). quindi, ho scritto, riletto alla bene e meglio e postato in meno di quarantotto ore, qqqquindi(ancora) chiedo scusa per eventuali errori o minchiate, per esempio il problemino con il font che non riesco a risolvere.
dopo questa piccola premessa, vi chiedo scusa ancora per il ritardo, e vi lascio a questo capitolo più lungo del solito. una sorta di regalo visto che ho postato a quasi un mese di distanza u.u
vi ringrazio anche dei 90 preferiti, delle 13 ricordate e delle 69 seguite. delle 23 magnifiche ersone che mi hanno messa tra i loro autori preferiti, e per ultime ma non meno importanti le 37 recensioni all'ultimo capitolo. siete fantastiche. grazie ancora, davvero. vi adoro.
detto questo, vi lascio all'undicesimo capitolo, che so già amerete, non so, un mio parere uu.

a prestissimo!
con amore,

-Andrea.
( @swagonciastin ) ♥




 

Ed ero contentissimo ma non te l' ho mai detto 
E dentro urlavo 
Dio ancora 
Ancora 
Ancora


{Ed ero contentissimo – Tiziano Ferro}
 
 

Tu, hai dato più sole alla mia vita 
Tu, l'hai spento lasciando una ferita 
Tu, tu eri indispensabile per me... 
Io da te oramai non voglio niente
Il tuo amore uccide e poi si pente 
Ma perdono non cercare qui... 

{Niente – Alessandra Amoroso}

 

 
 

11.

 
 

Justin.
 

Mi sistemo più comodamente sulla poltrona e guardo Dominique con una certa impazienza. Non l’ho mai vista così prima d’ora. O almeno credo. Visto gli avvenimenti degli ultimi cinque minuti, cioè da quando Dominique ha bussato alla mia porta, non ci sto capendo granché.
“Innanzitutto, non era mia intenzione finirci così dentro, ti spiego. Io avrei dovuto mollarti molto prima ma alla fine uno si affeziona” incomincia, senza alcun imbarazzo, fissandomi negli occhi. Annuisco, invitandola a continuare con il futuro monologo che prevedo uscirà dalle sue labbra.
“Allora. Io sono un attrice, avevo detto a una mia amica che mi serviva un po’ di pratica allora lei ha attaccato con la storia della sua migliore amica a cui tu affliggevi il cuore con del semplice sesso e niente più” e qui si ferma, forse ad osservare la mia bocca assumere la forma di una o perfetta.
L’immagine di Abby che piange rannicchiata tra il piumone e le lenzuola del suo letto mi fa scorrere un brivido su tutta la schiena e Dominique non aspetta un’altra mia reazione, ricominciando a parlare.
“In sostanza, mi stava proponendo di fingere di essere una dai facili costumi per dare una piccola vendetta a Ally, Bibi, una cosa simile e..”
“Abby!”la interrompo con violenza, come se sbagliare il suo nome fosse uguale a pronunciare quello di Lord Voldemort. Ma che diamine mi prende? Mi guarda sconcertata, poi scuote la testa e riprende, ancora.
“Si, Abby. Questa mia amica, Sheeren, mi ha chiesto quindi di pagarti con la stessa moneta. Ho fatto girare la mia brutta e finta reputazione da ragazza facile finché non è arrivata a te, lì sono venuta fuori e il resto lo sai. Avrei dovuto fare come tu facevi con lei, e un po’ ci sono riuscita, vero?” chiede, con lo sguardo pieno di speranza. Una fitta allo stomaco. Ho una cotta per una ragazza che non esiste, dio mio. Sono ridotto male.
“Mi stai dicendo che.. è stata tutta una farsa? Tutto?” chiedo boccheggiando.
Annuisce incerta, e con voce flebile riprende il discorso: “Non volevo causare tutto questo casino, la cosa sarebbe dovuta finire molto meglio. Tu avresti dovuto aprire gli occhi e correre tra le braccia sempre spalancate per te di Abby, anziché farla scappare”.
Mi sento incredibilmente vuoto. Non so più a cosa credere, o a cosa mi sia successo negli ultimi mesi. Però una domanda mi frulla in testa.
“Io.. Abby.. oh, mio Dio. L’ho fatta soffrire così tanto da dover inscenare tutta questa farsa?”
Dominique scuote energicamente la testa in un gesto abbastanza teatrale.
“Abby non sapeva assolutamente nulla della nostra scenetta, anche lei è stata vittima del nostro sbaglio”
“Se adesso qualcuno facesse una centrifuga dei pensieri di tutto il mondo, sarebbero ancora più chiari dei miei…” sussurro portandomi qualche dito a massaggiarmi le tempie.
“Quindi io ho lasciato fuggire via Abby dopo averle spezzato il cuore per una ragazza dai facili costumi per la quale credevo di avere una cotta?” contino, più a me stesso che a Dominique.
“Oh, avevi una cotta per Dominique?” e scoppia a ridere. Come fa a ridere in una situazione così disperata?
Sento una cosa strana scivolarmi nello stomaco. Senso di colpa misto a.. mh, credo sia nostalgia.
Mi stanno passando in mente tutti i mesi passati e si, Abby adorava mangiare giapponese.
Ricordo un po’ tutto, ma la cosa che mi fa soffermare un secondo di più sul fotogramma mentale è quando lo facemmo nella mia auto, nel garage dell’hotel, dopo aver visto Titanic.
Quando, sfiniti, ci accoccolammo l’uno all’altra capii che non era stato lo stesso e non era colpa della macchina. C’era un certo formicolio allo stomaco ma l’avevo tralasciato ed ora solo il pensiero mi fa contorcere le viscere.
“Merda, sono un coglione” sbotto all’improvviso ridestando Miss risatina facile dalle sue risate.
“Ce ne siamo accorti Bieber, ma io posso darti ancora una mano. Piacere, Martha Evans, nonché tuo unico contatto con Sheeren, migliore amica di Abby!” mi sorride entusiasta, porgendomi la mano.
Okay Bieber, è il momento di capire cosa provi per Abby.
“Mi aiuterai a capire cosa provo per Abby? Perché molto probabilmente non ci arrivo da solo..” mormoro, con ancora il viso chiaro contornato dalla chioma bruna di Abby che gironzola nella mia mente tranquillo.
Non riesco a credere di non essermi mai accorto della sfumatura nocciola nei suoi occhi color prato, o del neo subito sotto l’angolo esterno dell’occhio sinistro.
“Anche questo era risaputo, non ci sei arrivato in un anno, figurati se ci arrivi ora. a cosa pensi? Hai lo sguardo nel vuoto” mi apostrofa per poi, sempre in atteggiamenti teatrali,  prendermi in giro fissando interessata lo stesso punto su cui cade il mio sguardo. Un vasetto di ceramica fatto a mano. Che diamine è quel coso?
Come se mi avesse letto nel pensiero, Martha si alza e, ora davvero interessata, prende con mano delicata l’oggetto in questione per esaminarlo da vicino.
“Viene dall’Italia,  c’è una dedica in italiano per te: ‘Buon compleanno, idiota. Baci, Abby’” 
Sorrido, ripensando al mio ultimo compleanno. Le avevo detto che volevo una nuova cornice per il mio compleanno, in modo da incorniciare la mia nuova foto autografata a Beyoncé. Così lei per pendermi in giro mi aveva regalato un vasetto in ceramica e anche la corn..
“Ma questa è la famosa cornice!” Martha mi fa sussultare, per poi farsi prendere da un’altra delle risapute ondate di risa. Ecco, di questo stavo parlando. La cornice.
In effetti Abby me l’aveva regalata una cornice, ma anziché essere una di quelle semplici in plastica o legno  da dedicare a Beyoncé, era una sempre in ceramica di un rosso vivo, col nome di Abby scritto dappertutto con varie calligrafie, in blu, e all’interno una sua foto con la sua firma. Mi scappa un altro sorriso.
“Mi pare che ti aveva minacciato di spezzarti le gambe se la spostavi da questa mensola, giusto?” mi chiese riponendo i due oggetti dov’erano. Annuisco, sempre sorridendo.
“Ma lo disse con un sorrisone stampato in faccia. Non sarebbe risultata minacciosa neanche se avesse avuto un ascia nella mano destra. I suoi occhi esprimono tenerezza e quella fossetta sulla guancia sinistra..” sospiro, passandomi ancora una mano sulle palpebre. Sono un idiota. Mi sono lasciato scappare la perfezione dalle mani per dello stupido sesso.
“Non ti fermare, continua, siamo sulla strada giusta!” mi sorride entusiasta. La guardo sconcertato, indeciso se mandarla a quel paese, ma poi ripenso alle sue parole. Ho bisogno di lei, conosce Sheeren, che conosce Abby come se fosse sua sorella.
“Una fossetta le si formava sempre sulla guancia sinistra, proprio sullo zigomo pieno. Mi divertivo a giocarci infilandoci l’indice. Soprattutto dopo essere andati a letto. si stendeva tranquilla sul mio petto ed io le accarezzavo il punto dove sapevo sarebbe spuntata quell’adorabile fossetta, e lei sorrideva, esaudendo i miei desideri. Sembrava grande abbastanza da farci entrare solo le mie dita, perfetta per farle incastrare. Come le sue labbra, la lingua. Anche il sesso con lei era come un puzzle. Due pezzi da far congiungere” inizio a far uscire un fiume di parole che non pensavo neanche di avere nella mente. Mi escono spontanee, sono tutte state pensate solo ora. Solo ora, infatti, ricordo della sensazione di pace e serenità che mi riscaldava quando giocavo con quella fossetta, o la complicità quando eravamo nelle situazioni più intime.
“Cazzo Bieber, allora sei davvero un idiota! Ma perché voi ragazzi combinate sempre guai!” sbotta con un’espressione serissima.
“Grazie Martha, ma credo di essermene accorto da solo, questa volta, di aver fatto una minchiata” sospiro.
Prima ero cieco, non vedevo nulla. Non percepivo neanche i miei stessi sentimenti, forse ero troppo condizionato dal voler sembrare quello che non ero.
Non mi ero mai accorto di quanto in realtà tenessi ad Abby. Probabilmente non ricambio appieno i suoi sentimenti – non ancora – ma solo ora posso sentire il mio cuore fare una capriola ogni volta che la vedo nei miei pensieri, e il senso di vuoto e abbandono che mi riempie da quando Abby ha sbattuto la porta di casa.
“Mi perdonerà mai?” mormoro speranzoso, come se stessi esprimendo un desiderio e Martha fosse la mia fata turchina.
“Non credo sarà molto facile, ma insomma. Tu sei quello che le ha rubato il cuore, o sbaglio?” mi sorride, cercando di consolarmi e in effetti la speranza inizia a costruirsi un muro da sola nel mio cuore, ma è troppo debole; infatti, una manciata di secondi dopo, mi ferisco da solo borbottando un :”Ma sono stato sempre io quello che gliel’ha distrutto”





                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         
Abigail.
 

“Cosa?!” urlo appena She finisce di parlare. “Come avete potuto dare vita ad un teatrino simile?! Quella puttana mi ha portato via Justin!”sfogo tutto l’odio represso per la chioma bionda ed ossigenata, anche se ora so essere una finta parrucca comprata anche in saldo.
“Calma Abby, Dominique non esiste, il nostro intento – nostro e di Martha – era solo quello di aiutarti. Non doveva finire così..” cerca di aiutarmi mio fratello Tom. Di solito riesce a farmi tornare il sorriso o a tranquillizzarmi in dieci secondi, ma non ora.
“Accetto le vostre scuse, però potevate trovare qualche idea migliore. Se non fosse per quella Dominique – oh, She, ho capito che era una farsa ma capiscimi! – io sarei ancora tra le braccia di Justin..” sussurro la parte finale, odiandomi. Ero davvero felice prima, quando gli servivo solo a sfogare i suoi ormoni per poi farmi gettare come un profilattico?
“Avanti Abby, non fare l’idiota. Sai bene come ti abbia usata in questi mesi. Solo perché riuscivi ad averlo  vicino non significa che stavi bene. Devo ricordarti le nottate a telefono con Sheeren?” sbotta mio fratello Derek e mi viene voglia di prenderlo a pugni.
“So benissimo di essere un’idiota, mi sono accorta della situazione da sola. La cosa è degenerata. All’inizio eravamo, come dire, amici di letto. Ma si sa, queste cose non funzionano, qualcuno finisce con l’innamorarsi e questa volta è capitato a me. Non posso farci nulla e anche se la colpa è anche di Bieber non riesco ad odiarlo, non riesco a farlo pienamente. Io lo amo, sai cosa significa?” e qui Derek arrossisce visibilmente. Improvvisamente mi ricordo anche di un’altra telefonata, alle due del mattino. Derek terrorizzato, ancora sveglio, che mi chiedeva consigli su come dire a Sheeren che l’ama. Gli chiedo scusa con lo sguardo e lui mi strizza l’occhio. Sospiro.
“Vi perdono, ma solo perché alla fine siete comunque riusciti a salvarmi dalla situazione di merda in cui vivevo. Grazie” sussurro accennando un sorriso. Uno piccolo, ma pur sempre un sorriso.
Prima ero una finta  cieca, non vedevo come soffrivo, mi bastava tornare a sfiorare quelle labbra piene, perdermi nei suoi occhi color nocciola e stavo bene, facevo finta di non sapere dell’esistenza di tutte le altre, di Dominique, della sua strafottenza per me e della sua superficialità. Del suo non amarmi. Ero cieca.
Ma ora sono libera. Libera dalla parte stupida di me stessa. Non mi lascerò più usare dal suo faccino perfetto e dalla sua finta dolcezza. Ho smesso di farmi abbindolare.
“Visto che ora siamo tornati tutti sereni che ne dite di un bel giro al parco?” chiede Derek, stringendo la mano di Sheeren, in modo che si girasse per rubarle un piccolo bacio sul naso.
“Se la smettete di fare così tra una frase e l’altra vengo dove volete!” sbotto infastidita, sorridendo comunque ai due. Certo, un po’ ero invidiosa della loro storia tutta rose e fiori, ma sono pur sempre la mia migliore amica e il mio fratellone. Come potrei odiarli per essere così teneri?
“Io sono con lei!” mi appoggia Tom e quindi ci alziamo, dirigendoci al piccolo parchetto a qualche passo da casa nostra. Ricordo che da piccola mi piaceva stare stesa sul prato, preferibilmente vicino uno dei pini più antichi, ad osservare gli uccellini cantare nel cielo sereno oppure scherzare con i miei fratelli e She. Quel parco è un po’ come tornare per qualche oretta dietro nel tempo.
Iniziamo infatti a rincorrerci come deficienti, e quando mi giro per vedere che fine avessero fatto gli altri tre mi ritrovo con la schiena su un petto che respira.
“Io.. sono mortificata. Mi scusi, non stavo prest..” inizio, cercando di alzarmi e poco dopo si alza anche il ‘petto che respira’ rivelando una serie di addominali e pettorali leggermente scolpiti. Un ragazzo più o meno della mia età con un viso abbastanza conosciuto coronato da una chioma biondiccia mi sorride.
I suoi occhi color cioccolato scrutano la mia figura, come se fossi qualcuno di familiare che non riesce ad identificare.
“Tranquilla, sono anch’io che mi son messo nel bel mezzo del prato.  Piacere Christian” continua a sorridermi, con i suoi denti perfettamente bianchi ed allineati. Se continua così potrebbe accecare me e tutto il resto del parco.
“Abigail, ma meglio Abby” rispondo, cercando di ricambiare il sorriso. Non so perché, ma mi risulta stranamente familiare la sua figura, e anche lui sta pensando la stessa cosa, infatti mi distoglie dai suoi addominali con un: “Ma ci siamo già visti? Perché mi sembri così familiare!”
“Già, lo penso anche io! Io vivevo qui fino a un anno fa, magari ci siamo beccati spesso” ipotizzo e annuisce, sta per dire qualcosa ma viene interrotto da un’affannata Sheeren.
“Non ci presenti il tuo nuovo amico?” e sorride apertamente a Christan, porgendogli la mano: “Piacere, Sheeren”.
“Christian, piacere mio” sorride lui di ricambio stringendogliela e posso sentire lo sguardo di Derek perforargli il cranio.
“Loro sono i miei fratelli, Derek e Tom” dico, ed indico rispettivamente i miei fratelli. Tom saluta Christian con un gesto della mano, mentre Derek gli riserva un occhiata torva. Ah, la gelosia.
“Beh, piacere di averti conosciuto e scusa ancora per averti investito. Ci vediamo!” lo saluto, seguendo i tre che mi avevano  già abbandonato e lasciata sola con Mister bellezza.
“Oh, certo. A presto!” e mi giro, prima che inizi a dare retta allo strano impulso di sedermi lì sul suo asciugamano e parlarci per ore.
‘Sei uscita da questo genere di cose, Abby. Pensa a te stessa’ mi dice la vocina nella mia testa mentre mi riavvio i capelli dietro l’orecchio ma, mentre raggiungo gli altri che si avviavano già verso l’uscita, non riesco proprio a trattenermi e mi volto, trovando Chrstian  guarda-i-miei-muscoli-mentre-prendo-il-sole con gli occhi puntati proprio su di me.

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Capitolo 12
*** Need a distraction. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
hallo gente, e come promesso, prima di un mese lol HAHAHAHAHA
per farmi perdonare dal ritardo passato, e anche per il fatto che anche questa volta vi ho fatto aspettare un po’, questo è uno dei capitoli più lunghi che io abbia mai scritto in tutta la mia vita.
ed è solo per voi, mie care uu.
sapete perché? Perché ho ricevuto 39 recensioni all’ultimo capitolo, 308 recensioni a tutta la storia, e ho raggiunto almeno le 1000 visualizzazioni a tutti i capitoli (alcuni ne hanno anche più di 2mila, il primo quasi 5mila), ed anche 106 preferiti, 19 ricordate e per finire 91 seguite. Ommioddio. Grazie, grazie mille. Non finirò mai di ringraziarvi. Siete uniche. Non so cosa farei senza di voi, ecco uu.
quindi, senza trattenervi un secondo di più, vi lascio.
penultima cosa, vi chiedo ancora scusa se per leggere lo scorso capitolo avete dovuto faticare, ma non è stata colpa mia, ho avuto qualche problema con il font e non sapevo rimediare LOL
ultima cosa, gradirei davvero tanto se chiunque avesse twitter e leggesse questa storia mi followasse (trovate il mio nick sotto nella firma), siate certe che ricambio appena mi tweettate che la leggete. È che vi ho tutte in una lista, così è più semplice :3
grazie mille ancora, vi adoro.

a prestissimo!
con amore,

-Andrea.
( @swagonciastin su twitter e su instagram, seguitemi!) ♥

 

12

 
 
 
Justin

Guardo fisso lo schermo del cellulare, come se potesse uscirci Abby in carne ed ossa.
Sono indeciso se chiamarla o no. Da quando Martha mi ha lasciato solo a fissare il mio cellulare sto lottando contro l’impulso di chiamarla.
Martha mi ha detto che non mi crederebbe mai se di punto in bianco, proprio quando lei se n’è andata,. Io le dicessi che sono cambiato e che sto iniziando a capire cosa provo per lei; anzi, credo che tornerebbe solo per tirarmi qualcosa in testa.
Quindi finalmente prendo una decisione, ed opto per aggiornare i miei tre migliori amici, Chris, Ryan e Chaz, sulla storia di Abby. Gli avevo raccontato qualcosa e ricordo anche di avergli mostrato una foto, o forse no.
Digito velocemente le parole ed ogni volta che sto per scrivere Abby mi fermo un secondo. Vedo nella mia mente, come se stesse succedendo di nuovo, le sue lacrime scivolare lente sul viso, mentre mi dice addio.
Ho pianto anch’io. non ricordo, sinceramente, il motivo preciso. Volevo solo farlo e come un bambino ho iniziato a singhiozzare, accucciato contro la testata del divano. Probabilmente, il mio cervello già sapeva che avrei fatto la stronzata di lasciarla andare.
Quando ho finito di scrivere il messaggio lo inoltro a tutti e tre, sperando in una loro risposta, che subito arriva. Vogliono organizzare un party per ‘distrarmi’ domani sera, a casa mia, ma penseranno a tutto loro. Okay, ci sto, ho bisogno di distrarmi. E i party con i miei amici hanno sempre funzionato, giusto?
Decido quindi di richiamare Martha e chiederle se le va di venire domani sera, e lei accetta, chiedendomi anche se posso darle un passaggio da casa sua al centro commerciale, perché le si è rotta la macchina e quindi, dopo venti minuti, mi ritrovo sotto casa sua ad aspettarla.
Sembra di essere tornato a qualche giorno fa, quando anche se sapevo che nel garage aveva una bellissima macchina dovevo scorazzarla in giro per le strade della città e stranamente mi piaceva; ma ora che so tutta la verità è come se anche tutto ciò che provavo con lei fosse svanito, crollato come tutta la finta recita. Sospiro, quando finalmente esce da casa sua, in jeans, converse e felpa. Fa ancora strano vederla così, un po’ mi ero abituato a pensare a lei come la ragazza dai capelli ossigenati e le gonne più corte di un iPhone.
“Scusa il ritardo, ero a telefono con il meccanico, dice che non è molto grave e che domani posso già andarla a ritirare, scusa ancora” mi sorride prendendo posto sul sediolino accanto al mio.
“Tranquilla, davvero. Poi anche io dovrei prendere qualcosa per domani sera, quindi mi aiuterai a scegliere” sorrido di ricambio, anche se mi è venuta una leggera fitta al petto all’immagine di me e Martha che ci aiutiamo nello shopping. Quella era una cosa che faceva solo Abby prima, solo lei sapeva cosa mi stava bene o meno.
Sposto lo sguardo da Martha che sta aggiornando il suo profilo di twitter  per tenerlo fisso sulla strada. Mi sono già pentito di essere sceso per fare shopping. Sarà più di un anno che non lo faccio da solo, e sono sicuro che qualsiasi cosa vedrò, un jeans, una camicia, delle adidas, mi tornerà in mente lei e il suo sguardo concentrato, come se ogni t-shirt fosse stata inventata per una precisa occasione e lei dovesse scovarle tutte. Scuoto la testa per tornare alla realtà.
Sei stata tu a farla scappare, coglione. Ora ti tieni la tua vita, così com’è.
Potresti stare zitta, cara coscienza? Grazie eh.
Quando parcheggio, Martha salta giù dalla macchina euforica, indicandomi immediatamente un negozio costosissimo nel quale voleva andare. Ricordo quando feci la stessa cosa ed Abby mi riprese, prendendomi saldamente per mano e portandomi in un negozietto più nascosto. La sorpresa fu enorme.


“Justin, per favore, smettila di dimenarti!” Abby mi trascinò fino al marciapiede opposto, per poi entrare in un vicoletto mentre io cercavo di opporre leggermente resistenza.
“Ma perché? Io voglio quella camicia, proprio quella lì che costa un botto di dollari e non sono tuoi problemi se costa tanto!”sbottai io, mentre lei, ignorandomi, continuava per la sua strada.
“Justin, fidati, è la cosa migliore che ti potesse capitare, soprattutto per quando le fan ti saltano addosso, credimi. Ricordi quante giacche, felpe, maglie e jeans abbiamo dovuto buttare dopo una sola volta che li hai messi, per il fatto che si sono completamente sfracellati? Ora non sarà più un problema!”  e qui mi sorrise apertamente, piantandosi d’avanti ad una vetrina di uno dei negozi più piccoli della strada.
Entrai dubbioso, riflettendo su ciò che diceva e quando intravidi proprio la camicia che volevo la mia bocca formò una perfetta o.
“Ciao Sandy, tutto okay?” Abby salutò tranquilla la commessa, che però, notando anche la mia presenza, si affrettò a raggiungerci per salutarci meglio.
“Eggià, volevo farti un regalo, contenta?” continuò Abby e notai gli occhi della donna imperlarsi e sorrisi, a disagio.



In quel negozietto minuscolo c’era stipata quasi tutta la collezione Armani e tante altre di cui avevo sentito parlare. Solo che mancava la targhetta griffata e la cifra a tre zeri. In poche parole, quella donnetta copiava le marche più famose, riproducendo i loro capi a un terzo del prezzo e con materiali migliori. Un paradiso, per chi ha fan che ti stracciano volentieri l’unico modello della nuovissima giacca in pelle più costosa al mondo. Mentre accompagno Martha a sbirciare dalla vetrina, ripenso a tutto quello che faceva Abby.
Aveva promesso a quella donna che mi avrebbe portato lì, e lo fece. Aveva promesso che mi avrebbe fatto conoscere le sue figlie, gemelle, mie fans e lo fece. Faceva davvero tanto per gli altri.
È sempre stata generosa con tutti, c’è sempre stata per tutti.
Quasi mi viene da piangere pensando a cosa ho fatto io per lei, invece.
“Guarda questo, è perfetto.. ma mi sa che dovrò lavorare per altri sei mesi per riuscire a comprarmelo tutto!” piagnucola Martha, interrompendo i miei pensieri. È col naso schiacciato contro la vetrina, ad ammirare quello che credo sia vestitino al quando semplice, monospalla, stretto sul petto per poi allargarsi all’altezza della vita, di un blu scuro. È molto semplice, però non è il genere di cose che Abby avrebbe comprato. E perché diamine penso a cosa vorrebbe comprare lei?
“Vieni, ti faccio vedere una cosa” dico voltandomi ed attraversando, mi dirigo verso il marciapiede opposto e poi la stradina che conoscevo bene, visto che Abby mi ci portava spesso lì.
Sentivo i passi di Martha dietro ai miei, mentre arrivo proprio d’avanti alla vetrina. Lei mi guarda un po’ confusa ed io le sorrido, incoraggiante.
“Buon pomeriggio Sandy!” saluto la donna dietro al bancone, intenta a catalogare gli ultimi capi. Quest’ultima alza lo sguardo e mi sorride apertamente, mentre Martha alza timidamente la mano in segno di saluto.
“Cercate qualcosa?” ci raggiunge, entusiasta. Martha sta per negare, quando io la precedo.
“Si, in effetti. Un vestitino, giusto Martha? Uno monospalla, blu scuro, molto semplice credo di averlo visto nella vetrina di Dolc..” inizio a spiegare ma ora è la donna a fermarmi, con un semplice gesto della mano.
“Ho capito, l’ho finito proprio ieri e credo sia anche perfetto per questo splendore. Forse non dovremo ritoccarlo” annuncia, per poi sparire dietro una porticina in legno.
“Che diamine stiamo facendo?” mi sussurra Martha, ed io sorrido al pavimento.
“Ti sto facendo comprare lo stesso vestitino che hai visto lì, però questo sarà accessibile al tuo portafogli ed è fatto a mano! Un affare, credimi, Abby mi ha fatto scoprire questo piccolo mondo, e lei è una delle più esperte che conosco in questo campo. Fidati” le sorrido, e si tranquillizza solo al nome di Abby.
Poco dopo Sandy torna con il vestito tra le mani e trascina Martha in un piccolo camerino.
Quando usciamo da quelle quattro mura, Martha mi rivolge un sorrisino soddisfatto. Ha avuto quello che voleva pagando solo trenta dollari, al posto di trecentosessanta.
“Grazie” dice, per poi voltarsi di nuovo verso il centro commerciale.
“Di nulla, ora ti mancano solo le scarpe, dolcezza!” rispondo io, fingendo un tono eccitato e facendola ridere.
 

Sono esausto, avevo dimenticato quanto fosse stancante una giornata full immersion nello shopping.
Butto malamente il sacchetto dell’unica cosa che ho comprato sulla poltrona, per poi dirigermi verso il telefono fisso ed ordinare giapponese. Ho preso solo una cosa, delle nuove supra bianche, perché so già cosa mettere. Metterò il pantalone rosso che mi convinse a prendere Abby, quando io optavo per quello blu, con una t-shirt semplice, e il solito cappellino rosso.
Ho preso solo le supra perché sono l’unica cosa che so scegliere bene da solo, ormai. Ogni volta che prendevo qualcosa in mano mi sentivo insicuro, neanche dovessi fare la scelta del secolo quindi dopo tre o quattro tentativi ho lasciato perdere..
Mi manca Abby, mi manca così dannatamente tanto. Mi manca tutto di lei, e la cosa che mi distrugge è che sarà difficile riaverla, o semplicemente rivederla.
Perché sei un coglione!
Beh, questa volta hai ragione tu, vocina nella mia testa.
 


Abigail

“Allora, era carino quel Christian!” sbotta Sheeren appena finito di masticare l’ultimo boccone di pizza. Doveva essere la cena di tutti, ma solo lei ha mangiato più di cinque tranci.
“Potresti smettere di ripeterlo, per favore?” chiede Derek, cercando di tenere un tono di voce pacato, ma si vede dal modo con il quale getta il cornicione del suo trancio nel piatto che preferirebbe spezzare il collo al povero ragazzo.
“Concordo con Derek, anche se si, hai ragione lo era” sbuffo, solo per farla smettere. Infatti, mi sorride compiaciuta anche se capisco dallo sguardo che ha capito che l’ho detto solo per farla contenta, poi si butta tra le braccia di Derek per stampargli un bel bacio a stampo, che fa tornare il sorriso anche a lui.
“Però ha troppo l’aria da fighetto, chissà chi si crede di essere. Non credo sia un ragazzo per bene, o comunque, non me la conta giusta..” attacca Tom. Ecco, ci risiamo. Disse parole simili per Justin, per Louis, per Luke, per Dylan, per Ryan e anche per mio cugino Stefan. Mio fratello Tom vuole sempre proteggermi, anche se – come Dylan e Luke, i ragazzi in questione sono costretti a parlarmi e starmi vicini a causa del lavoro.
“Ah, fratellino, grazie di essere la mia guardia del corpo, ci metti l’anima!” lo prendo in giro e tutti ridono, tranne Tom che assume un’aria contrariata.
“Ti devo ricordare che cosa hai combinato appena ti sei allontanata da me, piccola?” mi risponde poi, ed io gli sorrido, anche se un po’ mi fa male dover stare sempre lì a ripensare a cosa ho combinato e in che guaio mi sono cacciata.
Però ora ho chiuso, ho chiuso con la parte masochista di me stessa, ho chiuso con un lavoro che comprendeva anche il portarsi a letto Bieber, ma soprattutto ho chiuso proprio con Bieber. Ho intenzione di non rivederlo mai più.
A proposito di rivedere, quel Christian l’unica cosa che mi ha suscitato è stata confusione. Sono sicura di averlo già visto da qualche parte, e il fatto di non sapere dove mi provoca uno strano presentimento. Ma forse sono solo pazza, quindi, per stasera, lasciamo perdere.


“Buongiorno, bella addormentata!” la voce di Sheeren mi fa sussultare, allontanandomi dai miei sogni e dalla pace dell’essere addormentati.
“Ti sto odiando She, lo giuro” la saluto di rimando, stropicciandomi gli occhi. La sento ridacchiare e non è l’unica nella stanza, probabilmente anche Derek è lì a deridermi.
“Ripeto, buongiorno. Oggi andiamo a fare colazione fuori!” e con un gesto repentino spalanca le tende della mia camera da letto.
“Grazie She, ma stai peggiorando la tua situazione, diamine!” le urlo contro, mentre apre il mio armadio e ne pesca uno short beige abbinato ad un maglioncino in filo leggero marrone. Sa bene che adoro quel maglioncino, e sa anche che tra un po’ le spezzerò le gambe. Infatti mi saluta con un bacio lasciato all’aria, avvisandomi di vestirmi in fretta.
Mi alzo, quindi, dirigendomi lentamente al bagno per una doccia veloce. La mia camera da letto è l’unica al piano inferiore – tutte le altre sono al primo piano, la mia al piano terra, quindi sono anche l’unica ad avere una veranda e il bagno in camera. I privilegi d’essere l’ultima insomma.
Indosso l’outfit scelto da Sheeren con un paio di stivaletti di un colore davvero molto simile a quello del maglioncino e, dopo aver rifatto alla bene e meglio il letto, esco dalla mia camera trovandomi tre facce ad aspettare il mio arrivo.
Sheeren, stretta in uno di quei suoi vestitini da giorno a stampa floreale che le stanno così dannatamente bene, Derek che le tiene saldamente la mano e Tom, che mi offre la mia borsa in cuoio che di solito lascio all’ingresso.
“Pronta?” chiede, porgendomela. La prendo in spalla e li guardo.
“Mi state inquietando. Vi prego, smettetela di essere così anormali!” li scimmiotto, uscendo poi di casa. L’aria è calda per essere i primi di maggio, ma non mi lamento.
Ci incamminiamo verso Starbucks. Abituata al caffè italiano, un semplice espresso in quel posto faceva schifo, però hanno un frappuccino irraggiungibile.
Dopo aver scelto uno dei primi tavolini nel locale – l’odore di caffè, biscotti appena sfornati e zucchero che ci invade le narici – Derek e Tom, conoscendo perfettamente i gusti di tutti, si avviano ad ordinare, infilandosi nella fila di massimo tre o quattro persone. Adoro venire qui la mattina presto, verso le dieci di mattina, di solito c’è troppa gente anche per una bottiglina d’acqua.
“Hei, che ci fai di nuovo qui? Oh, ciao Abby” una voce alquanto familiare, alle mie spalle ci saluta. Vedo prima la faccia di Sheeren sbiancare, poi mi giro e mi trovo Christian – questa volta il suo petto era fasciato da una t-shirt sulla California – con un cappuccino nella mano destra.
“Ciao, vuoi sederti con noi?” lo saluto di ricambio, invitandolo al tavolo e cercando di far finta di non aver sentito nulla della frase di Christian.
“Certo, grazie” mi sorride sedendosi accanto a me. Quando tornando, Derek gli rivolge uno sguardo scocciato mentre Tom uno di quegli sguardi che di solito la gente rivolge ai criminali che vedono al telegiornale.
“Ed eccoci, finalmente!” sbotta Derek, ma punta lo sguardo in quello di Sheeren, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Ecco, cosa intendevo quando dico che mi inquietano.
Iniziamo a parlare del più e del meno, Christian sembra integrarsi immediatamente nei discorsi nonostante Tom si sta impegnando nell’essere freddo quando lui parla.
Nonostante tutto, va tutto liscio finchè non squilla il telefono a Christian, che con un sorriso si congeda ed esce dal locale per parlare al telefono.
Fisso per un massimo di tre secondi a testa tutti e tre i miei accompagnatori nonché assalitori nel sonno. Derek sta per dirmi qualcosa quando lo blocco.
“Cosa cazzo avevate in mente, mh? Mi avete svegliato solo per farmi incontrare con Christian? Voi siete impazziti, a chi è venuta quest’altra geniale idea?” chiedo, trattenendomi dall’urlare in quando il locale sta iniziando ad affollarsi.
Mentre aspetto una risposta posso sentire Christian rispondere a quel qualcuno al telefono – “Certo amico, è tutto okay, senti, posso portare una ragazza e magari dei suoi amici?” – ed arrossisco senza un apparente motivo.
“Senti, è stata un idea di She, parla con lei, io non voglio saperne nulla” se ne lava immediatamente le mani Tom, sedendosi più tranquillamente sulla sedia, è sempre teso quando deve mentirmi.
“Grazie mille, Tom, davvero. Comunque, niente. Sapevamo fosse qui, ci ha chiesto di te e ci ha detto che voleva chiederti una cosa e quindi..” inizia a spiegare She, costretta poi a fermarsi dal ritorno di Christian, che con nonchalance, all’oscuro del ‘complotto’ alle mie spalle, si siede sempre sorridendo. Sorridere così tanto non ha delle conseguenze serie?!
“Cosa mi sono perso?” chiede, ironico ed io, non del tutto di mia spontanea volontà, gli rivolgo un sorrisone.
“Ah, assolutamente nulla. Solo che Sheeren e i miei fratelli..” sto per continuare, quando Sheeren, quasi urlando finisce la frase al posto mio, non esattamente come l’avrei finita io.
“Che Sheeren e i miei fratelli stanno per andare via, eh?” la guardo di sottecchi e ci sorride, tranquilla, trascinando Derek con se, dietro ai due Tom si alza di malavoglia, lanciando un’ultima occhiata al poveretto.
“Ah, bene, ti abbandonano sempre così facilmente, eh?” dice, con tono ironico, riferendosi al giorno prima e alla scenetta nel parco. Ridacchio.
“Già, mi succede spesso” mormoro, giocherellando con la briciole di quello che era il mio cookie.
“Senti, ti andrebbe di venire ad una festicciola con me, questa sera? È a casa di un amico, gli serve per distrarsi da una ragazza, sai.. i sensi di colpa!” mi sorride, per nulla imbarazzato.
Mi riavvio i capelli, in una disperata ricerca di tempo, ma alla fine accetto di botto e sembra contento.
“Possono venire anche Shereen e i tuoi fratelli, ovviamente. Ti offro un passaggio ora, se vuoi, così mi fai vedere dove venirvi a prendere” continua, raccogliendo tutti i bicchieri dal tavolo. Lo imito e ci alziamo per gettarli via.
“Okay, vada per il passaggio, anche se abito a dieci minuti a piedi da qui!” lo avviso, sorridendo. Forse ha il sorriso contagioso.Ed è anche carino. Smettila Abby, per favore.
“Questo significa che ora ce ne metterai cinque!” mi prende in giro, accompagnandomi all’auto – un enorme e lucida auto nera.
L’odore di macchina nuova appena uscita dalla concessionaria mi fa venire in mente quando aiutai Justin a scegliere la sua. Ricordo la sua solita espressione concentrata di quando viene messo di fronte ad una scelta, e poi quella sollevata di quando scelsi io di farla con gli interni in pelle anziché in cuoio. Sembrava un bambino ogni volta che gli chiedevano di scegliere qualcosa, e menomale che era la sua macchina. Però era così tenero che..
“A cosa pensi?” mi interrompe Christian, facendo partire il motore ed uscendo dal parcheggio del bar.
“Oh, a nulla. Gira a destra” e così via finchè non arriviamo a casa mia, solo quattro minuti e trentasei più tardi.
“Perfetto, credo di saperci arrivare di nuovo, o almeno, di ricordarmelo fino a stasera!” sorride e frettolosamente viene ad aprirmi la portiera. Wow, in che era siamo, ottocento?
Però è carino da parte sua essere così gentile, no? Smettila Abby!
“Beh, allora grazie, a stasera!” lo saluto e lui torna in macchina.
“Perfetto, allora alle nove. Il mio amico abita ad un ora di fuso orario da qui!” mi saluta anche lui, per poi sparire.
Anche Justin abita ad un’ora di fuso da qui, che poi fa strano dirlo, visto che il nostrosuo appartamento è a neanche ottanta kilometri da qui.
Basta Abby, devi smetterla di pensare sempre e costantemente a Justin!

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Capitolo 13
*** Kisses. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
okay, innanzitutto, potete benissimo odiarmi :)
so bene di essere in un ritardo così grande che mi odio già da sola, quindi se proprio volete unirvi io sto qui uu. HAHAHAHAHAHHA
vi chiedo davvero scusa, ma tra scuola e altro non sono proprio riuscita a finire il capitolo prima, infatti appena ho scritto l'ultimo punto - cioè tre minuti fa, ma sono dettagli - ho postato; fregandomene della pagina di diario piena zeppa di esercizi di matematica e fisica e qualche capitolo di letteratura. Cose da niente, dicono. LOL
ma tornando a noi, come sempre vi ringrazio dell'appoggio siete fantastiche, io vi amo davvero. 34 recensioni e 113 preferite. ma cosa siete?! kbjgntrkjhr grazie mille :)
le canzoni nell'introduzione sono - ma mi pare ovvio - 'La dfferenza tra me e te' e 'Hai delle isole negli occhi' di Tiziano Ferro. non so se lo avete notato, ma lo adoro HAHAHAHA ogni sua canzone è perfetta, e poi sembra che la sua voce e le sue parole siano perfette alla trama che scrivo. quindi vi sorbirete altre sue tremila citazioni uu. HAHAHAHAHA

e si, ragazzuole, avevate ragione. eheh. poi scoprirete di cosa parlo. 
e per farmi perdonare dell'immenso ritardo, ecco a voi un capitolone, nel vero senzo della parola. il contatore di word, conta ben 3.946 parole. :3
buona lettura!


a prestissimo!
con amore,

-Andrea.
( @swagonciastin su twitter e su instagram, seguitemi!) ♥









E il tuo sorriso spegne i tormenti e le domande 
A stare bene, a stare male, a torturarmi, a chiedermi perchè.


 
Hai delle isole negli occhi, e il dolore più profondo riposa almeno un’ora solo se ti incontro.


 
13.

 


Abigail.

“È in ritardo di soli tre minuti e quaranta secondi, smetteresti di blaterargli contro?” sbotto con tono decisamente accusatorio, voltandomi di scatto verso Tom, alle prese con uno dei suoi monologhi su Christian e  su quanto non dovremo fidarci di lui.
Sto odiando il fatto di avere dei fratelli maggiori, davvero.
“Ha ragione, rilassati” lo spintona Derek, controllando comunque l’orologio.
“Siete davvero tremendi, voi due!” li prende in giro Shereen, scoppiando in una di quelle risate epiche che quasi copre il rumore leggero della vibrazione del mio cellulare.
Lo prendo in mano immediatamente. Un messaggio : “Sono fuori, uscite pure. Vostro tassista.
“Eccolo, finalmente. Così smettete di blaterare” sbuffo divertita, camminando agile sui tacchi. Da poco avevo imparato a portarli come se fossero semplici Converse. Per il lavoro che faccio, serve imparare certe cose. E poi a Justin piaceva così tanto l’effetto che i tacchi davano alle mie gambe.
E perché diamine siamo finiti a Justin, eh Abby, spiegamelo!
“Dirti che sei uno schianto farebbe somigliare questa scena a qualsiasi film romantico registrato negli ultimi venticinque anni, quindi è sottinteso!” alzo lo sguardo su Christian, che senza ombra di rossore o imbarazzo, mi sorride tenendo aperta la portiera del passeggero.
“Sei sempre troppo pieno di complimenti, Chris” gli rispondo, cacciando immediatamente Justin dalla mia testa e sedendomi cauta sul sediolino. Christian aspetta prima che anche Derek, Tom e Sheeren siano a bordo per poi risalire e mettere in moto il motore.
Non riusciamo a stare un secondo zitti. Abbiamo affrontato due diverse discussioni sullo sport, abbiamo cantato a squarciagola qualche canzone che passava alla radio e poi siamo tornati allo sport. Tom inizia a tranquillizzarsi nei confronti di Christian, forse perché ha scoperto che sostiene la sua stessa squadra di football; persino quando il biondo sostiene che potrei portare qualsiasi squadra alla vittoria visto che distrarrei gli avversari con le mie forme lo vedo più tranquillo, e cioè anziché fulminarlo con lo sguardo e minacciarlo sottovoce si è ammutolito per cinque minuti, per poi spostare l’attenzione su una canzone degli anni ottanta che passava alla radio.
Dopo un’ora piena di viaggio, tra chiacchiere e risate, quasi non mi accorgo che la strada che stiamo percorrendo – una di periferia, arricchita da villette separate e circondate da aiuole ben curate – mi sembra abbastanza familiare, ma cerco di non pensarci. Ho girato parecchi angoli della terra nell’ultimo periodo. Anche qualche posto in cui abbiamo sostato per la pausa toilette potrebbe sembrarmi familiare.
“Avvisiamo i gentili passeggeri che l’orologio locale segna le undici, ripeto, sono le undici!” annuncia Christian, imitando una di quelle voci metalliche che elencano i voli agli aeroporti.
“Già, mi ero dimenticata del fuso orario!” sbotta Sheeren, controllando l’orario sul suo cellulare che portava ancora le dieci. In realtà, me ne ero dimenticata anche io. Ma ora la mia mente sta collegando le cose a cui non ho fatto neanche caso.
“Stiamo per arrivare, ragazzi. Ci siamo!” continua Christian, premendo ancora un po’ sull’acceleratore. Rabbrividisco e non so neanche perché. Mi sporgo un po’ dal mio posto, per leggere una delle targhette sui cancelletti delle ville e quasi sussulto nel vedere che è proprio il viale parallelo a quello di Justin. Il cuore inizia a battermi così velocemente che potrei morire d’infarto in questo istante.
“Hei Abby, hai una faccia. Tutto okay?” mi chiede Derek, con tono apprensivo, poggiando il mento sullo schienale del sediolino.
“C-certo!” balbetto cercando di suonare rassicurante, mentre il mio sguardo si sofferma su Christian. C’è solo un modo per scoprire se tutto questo è vero o me lo sto solo immaginando.
Apro la mia pochette a tempo record e sfilo il mio cellulare. Lo sblocco e clicco immediatamente sul motore di ricerca. Digito il nome di Christian Beadles, unica cosa che ricordo di un amico di Justin e quasi vorrei distruggere il mio cellulare per la lentezza con cui sta cercando nel web.
Quando finalmente smette di caricare, le foto dello stesso biondino seduto al mio fianco appaiono sullo schermo e vorrei scoppiare a piangere. Come ho fatto a non accorgermene? È uno dei tanti motivi per cui odio la mia memoria di merda. Vorrei scappare da questa maledetta auto e tornare a casa, al sicuro, lontano da Bieber.
“Sicura di stare bene?”mi chiede Christian, cercando di scoprire cosa c’è di tanto sconvolgente sullo schermo del cellulare. Chiudo velocemente tutto e ripongo il cellulare dov’era, in modo che non potesse vedere proprio nulla.
“Certo, è tutto okay, tranquillo” e non mi sorprende vedere che svolta esattamente dove avrei svoltato io per tornare a quella che ho chiamato casa.
Forse questo Christian Beadles è uno che assomiglia davvero tanto al Christian che conosci tu.
Oh certo, caro cervello. E come spieghi che sono completamente uguali e che hanno addirittura lo stesso nome?!
E se avesse un altro migliore amico che deve distrarsi da una ragazza che abita vicino a Justin?
Ti prego, sta’ zitto. Non è proprio il momento adatto per sparare cazzate.
“Eeeee eccoci!” cantilena Christian, superando il cancello automatico che riesce ad aprire con un telecomando – lo stesso che ho ancora nella tasca interna della mia borsa – e parcheggiando nell’enorme cortile che ci si presenta d’avanti. Se fossi uscita e sarei andata a destra, continuando dritto, avrei  imboccato la scorciatoia per il centro e quindi il nostro bar, se invece fossi andata a sinistra il centro commerciale, e proprio di fronte, invece, avevo la famosa villetta. Era più piccola rispetto alle altre, ma considerando il fatto che la villa è stata progettata per una famiglia di cinque persone e noi eravamo solo in tre è abbastanza grande.
Rassegnata, mi alzo dal sediolino seguita dalla mia compagnia e in religioso silenzio ci avviamo verso la porta di legno che conoscevo fin troppo bene. Nonostante la sorpresa e la voglia di scappare, c’è qualcosa di caldo, di accogliente nel mio stomaco. Come un senso di tranquillità soppressa, un senso di casa, di pace. Tutto questo non ha senso, dovrei avercela con Justin, dovrei avercela con il malcapitato Christian che all’insaputa di tutto mi ha portato esattamente al mio inferno personale.
Christian suona al campanello e neanche il tempo di staccare il dito dal metallo lucido che la porta si spalanca.
“Ti ho visto arrivare, amico!” oddio. Muoio. Riesco a scorgere il viso di Justin per pochi secondi – giusto in tempo per finire la frase, senza spostare lo sguardo da Christian – prima che finisca tra le braccia del biondo, ma il mio cuore sta già perdendo battiti allo stesso ritmo della musica elettronica che bombarda i nostri timpani. Aiuto, vi prego.
“Piacere, io sono Jus..” inizia Justin, appena si stacca da Christian e  guardando prima i miei fratelli, poi Sheeren e alla fine, sgranando gli occhi, me. Si blocca con la mano a mezz’aria e la bocca semi aperta, ferma in una i muta.
Guardo con la cosa dell’occhio i miei tre accompagnatori. Tom ha la faccia di uno che ha appena visto un fantasma, anzi, il fantasma della persona che odia di più al mondo. Derek stringe così forte la mano a Sheeren che lei la sfila con forza dalla stretta, guardando in cagnesco il canadese di fronte a noi.
Improvvisamente, guardando bene quegli occhi color nocciola, il senso di pace si allarga fino ad arrivare al cuore, che inizia a battere di nuovo freneticamente. E chi lo ferma più.
“Che ci fai qui?” mi chiede Justin, con espressione seria, riportando la mano floscia sul fianco. Non riesco più a sentire la musica, le risate delle ragazze oche all’interno della casa, neanche la presenza degli altri quattro. Siamo solo io e lui, incatenati con lo sguardo.
“Io non.. non sapevo di venire a casa tua, non me lo aspettavo neanche io” cerco di rispondere, ma vengo superata dalla voce di Christian.
“Voi due vi conoscete?! Oddio non dirmelo! Lei è quella Abby?” chiede più a se stesso che a Justin, in quanto quest’ultimo sembrava in completa trance.
“Si, è lei. Ci lascereste un secondo soli, per favore?” Justin sembra essersi ripreso, finalmente. La scena, vista da fuori, potrebbe sembrare surreale.
Guardo gli altri dritto negli occhi, uno ad uno, implorandoli di restare esattamente dove sono o al massimo di riportarmi a casa, ma esattamente al contrario di ciò che gli sto chiedendo, annuiscono tutti e mentre Tom lancia l’ultima frecciatina a Justin filano tutti all’interno dell’appartamento, chiudendo la porta. La musica ora suona più ovattata e riesco a sentire il mio cuore sbattere contro la gabbia toracica.
“Non dovevo essere qui, non sapevo di chi fosse il party” mi giustifico, guardando dappertutto tranne che nei suoi occhi. Conosco bene l’effetto che mi fanno, conosco bene quanto possano illuminare l’intera America quando sorride. Quindi, semplicemente, evito.
“Non mi importa. Mi sei mancata. Non pensavo che un’assenza potesse essere così presente nella vita di qualcuno. Io.. io credo di aver capito, Abby” sospira, spostandosi veloce verso il basso cancelletto che circondava le aiuole e appoggiandosi con le mani. Non so perché, ma lo raggiungo comunque e sorride di soppiatto. Dannato bastardo.
“Justin, qualsiasi cosa tu abbia capito è semplicemente troppo tardi. La verità la sai. Sai bene ciò che provo ed io so bene come sei fatto. Non voglio più saperne nulla di te e della tua vita, finché non smetterai di rovinare la mia” sbotto, facendo prendere vita a tutti i pensieri tristi e negativi che ogni qualvolta sono sola mi affliggono. Lui è ancora ben presente in me, nella mia testa, nel mio cuore. Restare con lui non farebbe altro che impregnare la sua presenza in me, neanche fossi una spugna.
“Ti prego Abby, lasciami parlare. So che è difficile crederlo, mi conosco e anche io credo di sapere bene come ero neanche due giorni fa. Sono uno stronzo, e ti chiedo scusa. Ma ho davvero capito cosa provo, Abby, anche io provo qualcosa per te” sussurra e se non lo conoscessi fino in fondo ci avrei già creduto.
Ha quel non so che nella voce che ti fa stare così.. così bene.
Quanto mi mancava la sua voce, la sua pelle chiara, i suoi occhi e le sue labbra. Dio, le labbra. Neanche immagina quanto vorrei credergli, quanto vorrei tornare tra le sue braccia, sentire il suo calore e la sua pelle.
Neanche immagina quanto io sia innamorata di lui.
“Non riesco a crederti, non riesco più a farlo, non riesco a fidarmi anche se il mio cuore mi dice l’esatto contrario, capisci? Non ci riesco ed è colpa del nostro passato, Justin, è colpa tua” scuoto la testa, come a lasciar uscire dalle orecchie tutte le immagini di me e Justin, stesi sul letto a parlare, nel bar a chiacchierare come due veri migliori amici, abbracciati a vedere Titanic, mano nella mano a girare negozio. Non mi ero mai sentita così bene come in quei momenti, ma so bene che ero l’unica a provare quei brividi al contatto con la sua pelle..
“Abigail, ascoltami. So bene di aver sbagliato, ero accecato dal concetto di divertirsi. Ma io ho bisogno di te, mi manchi. Ti ho sempre in testa come, come un ritornello. Come un dannato ritornello, sei sempre lì a vagare nella mia mente. Ti prego, Abby, dammi una seconda possibilità, posso farcela” mi guarda dritto negli occhi ed è dannatamente sincero. I suoi occhi sono persino un po’ lucidi e ho l’impulso di gettarmi contro di lui, inspirare il suo odore e farmi cullare dalle sue bracci tenendo il viso nell’incavo del suo collo.
“Voglio solo essere felice, Justin..” il mio tono di voce suona come una preghiera e anche lui lo percepisce, perché allunga una mano a stringere la mia. Forte, sicura, rassicurante. Come la stretta di un padre.
”Resta con me, sii felice insieme a me, torna” sussurra, tirandomi leggermente finché i nostri nasi non si sfiorano.
Il suo respiro contro il mio, il suo cuore che batte insieme al mio. Io e lui. Sono due le strade che mi si presentano d’avanti, una più insicura dell’altra, e non so quale scegliere.
Da un lato, potrei scegliere di cadere tra le braccia di Justin, lasciarmi andare a lui e dargli una seconda possibilità. Dall’altra, invece, l’esatto contrario; potrei andarmene e dimenticarlo una volta per tutte.
E alla fine, tutto quello a cui la mia strada mi porta sono le labbra di Justin.


 

Justin.

Baciare qualcuno non è mai stato così perfetto. Ho il cuore a mille e sono, finalmente, completo.
Come il solito puzzle, ci uniamo e tutto, intorno a noi, perde il proprio significato. Non avevo mai provato una sensazione del genere con lei, ma d'altronde prima non facevo neanche caso all’altra faccia della nostra medaglia, mentre ora posso giurare di sentire anche le farfalle nello stomaco che però rispetto ai nostri movimenti e alla nostra passione – nonostante il bacio sia davvero casto -  non contano nulla.
La stringo tra le braccia, con la speranza che possa percepire tutto il mio calore, e quanto mi sia mancato farlo.
La sua risposta arriva timidamente, come se avesse paura a farlo, ma subito dopo che le ho posato un ultimo bacetto a stampo, così delicato che chiamarlo sfioramento sarebbe più appropriato, allaccia le sue braccia sui miei fianchi, e lasciando andare il capo sul mio petto. Tutto quello che sento, o meglio dire che voglio sentire, sono i nostri respiri. Affannati, come se avessimo lottato ferocemente per ritrovarci abbracciati.
“Non credere che sia tutto finito qui” sussurra, schiacciata contro la mia t-shirt.
“Non l’ho mica dato per scontato, ma credimi, sono cambiato del tutto grazie a tutta questa storia della farsa nonostante tutto. Non sono più il – com’è che mi hai chiamato? – puttaniere stronzo della situazione” le rispondo, baciandole delicato una porzione della fronte.
“Me lo hai promesso, Bieber. Fammi soffrire di nuovo e ti ammazzo” ridacchia, ma è sincera. E ci credo. L’ho trattata davvero male. L’ho usata, e una creatura così dolce e bella non merita tutto quello che le ho fatto.
“Grazie di avermi dato un’altra possibilità, fiorellino” mormoro, con un tono di voce così basso che se qualcun altro si fosse unito all’abbraccio avrebbe avuto difficoltà a sentirmi.
“Fiorellino è inaccettabile” dice dura, e sento le sue labbra piegarsi in un sorriso contro la pelle.
“Però sei delicata, bella e profumata come un fiorellino” le rispondo, ridacchiando e lei si allontana da me, tenendo comunque le mani intrecciate dietro la mia schiena.
“Avevo completamente rimosso dalla memoria questo tuo lato dolce” il suo tono è amareggiato e vorrei schiaffeggiarmi da solo come un idiota, che è un po’ quello che sono, comunque.
“Solo perché non te l’ho mostrato abbastanza, fiorellino” e qui sbuffa.
“Ma che fiorellino. Dai andiamo, infondo quella gente non aspetta altro che te e un nuovo scoop” mi sorride, facendo scivolare la mano destra sulla mia, sul suo fianco, ed intrecciandole facendomi capire a cosa alludeva con lo scoop.
E così’, mano nella mano ci avviciniamo alla porta di ingresso. Mi sento così felice che se non andasse contro la mia reputazione inizierei a ballare come un matto per tutta la mia sala da pranzo allestita a discoteca.
 


 
Abigail.

Okay, forse nessuno, e dico nessuno, appoggerà la mia decisione ma io conosco Justin. Ci sono stata a stretto contatto per più di un anno e condivido casa sua da quasi metà di questo tempo. So riconoscere quando è sincero. So riconoscere quando si sente in colpa. Ora, però, devo solo andarci con i piedi di piombo. Nessuna decisione affrettata, nessuna parola che lasci intendere perdono. Sono ancora delusa e ferita dai suoi comportamenti, e di certo due frasette dolci e qualche bacio non cambieranno la situazione. Il signorino dovrà prima faticare per ricevere di nuovo l’Abby che aveva.  Ora mi tocca solo dirlo a Sheeren – che informerà i miei fratelli in un secondo momento, altrimenti potrebbero scatenare una lotta a mani nude proprio nel bel mezzo della festa.
Entriamo nell’appartamento sempre mano nella mano e con lo sguardo cerco Sheeren, quando la trovo mormoro un “Aspetta un secondo” a Justin che dubbioso mi lascia andare. A passo deciso cammino vero la mia migliore amica, cercando di costruire un discorso nella mia mente, ma appena mi avvicino è lei ad aprire la bocca per prima.
“Vi ho visti dalla finestra. Sei impazzita o cosa?” mi chiede, urlandomi all’orecchio ogni parola in modo che la potessi sentire bene. Le faccio segno di aspettare e guardandomi intorno – lo stesso divano di pelle, le mensole con la mia cornice bene in mostra, l’arco che porta alla cucina e infine il corridoio che porta alla zona notte – individuo il nostro percorso. La prendo per la mano e la tiro dietro di me, facendomi spazio tra la folla. Quando raggiungiamo la mia ex camera da letto, tiriamo entrambe un sospiro di sollievo. C’è davvero un mucchio di gente la fuori.
“E così questa è camera tua?” chiede Sheeren, accarezzando una cornice sulla cassettiera che conteneva una foto mia e di Justin al McDonald’s.
“Già, lo era. Ma non siamo qui per questo. Allora, ora ti spiego e non fare quella faccia, non sono pazza. Conosco Justin. Abbiamo parlato ed è sincero, She, l’ho letto nei suoi occhi. Vuole riprovarci ed anche io voglio tentare di nuovo. Gli ho dato una seconda possibilità e sa bene che ancora devo perdonarlo per ciò che mi ha fatto”
Non mi fa neanche finire la frase che subito prende il mio viso tra le mani, guardandomi dritto negli occhi come se potesse leggerci i miei pensieri e tutta la verità.
“Sei sicura di quello che stai facendo?” annuisco, decisa.
“Sei sicura che questa volta riuscirai a non uscirne distrutta?” annuisco di nuovo, un po’ meno determinata ma comunque sincera.
“Perfetto. Mi fido di te e so che bene o male sai badare a te stessa. Sii prudente, mi raccomando” lo dice con un tono solenne e saggio, come se fosse mia madre. Ed in effetti, anche se non lo si potrebbe mai pensare, Sheeren è una delle persone più sagge che conosco e spesso mi caccia fuori dai guai con la sua astuzia da adulta.
“E ora andiamoci a divertire, bellezza!” mi sorride, con sguardo divertito, uscendo fuori dalla porta ma lo scenario che ci si presenta non è esattamente uguale a quello da cui siamo venute. Infatti la musica risuona ancora tra le pareti ma non c’è più tutta la folla di prima. Torniamo in sala e Justin mi sorride da lontano.
“Ho cacciato tutti, non c’era più bisogno di loro” dice, e si guarda intorno. La stanza è costellata di drink mezzi pieni.
Derek e Tom mi guardano perplessi, mentre Christian è accasciato sulla poltrona, con sguardo assente e quella che riconosco come Martha saluta con un gesto della mano Sheeren al mio fianco.
Justin cammina fino all’angolo della stanza, dove la console da dj sta ancora suonando, e la spegne. L’aveva comprata si e no due mesetti fa ma non pensavo sapesse anche usarla.
La situazione è ancora una volta surreale. Mi avvicino lenta alla comitiva, posizionandomi tra i miei fratelli e Justin.
“Justin, loro sono i miei fratelli, Derek e Tom. Derek e Tom, Justin” li presento, indicando rispettivamente i due che un po’ meno dubbiosi stringono la mano al biondo, ancora sorridente.
Poco dopo il momento imbarazzante delle presentazioni ci ritroviamo tutti seduti sui due divani in pelle a parlare e mangiare pop corn come se fossimo grandi amici da sempre. Derek si è tranquillizzato appena She gli ha raccontato qualcosa nell’orecchio, lasciandosi andare, mentre Tom nonostante si noti che Justin gli è anche simpatico, è ancora un po’ sospettoso; ma la persona che mi incuriosisce di più è Christian, che sembra quasi addormentato. Parla così raramente che prima mi ero quasi dimenticata di lui.
“Mi sa che è proprio ora di andare, si sono fatte le tre e io domani dovrei lavorare” dice Martha, alzandosi dal divano. Recupera il giubbotto di pelle dalla spalliera e se lo infila.
“Andiamo anche noi? Sto morendo di sonno” si risveglia Christian e nonostante la sua fosse una domanda si alza anche lui e si infila la giacca.
“Ci sentiamo domani, okay?” Sheeren saluta Justin, sorridendo. Tutti e tre si alzano per ricomporsi mentre io vengo bloccata dalla presa di Justin.
“Non vuoi rimanere qui stanotte?” mi chiede, all’orecchio e il mio cuore sussulta.
“Non credo sia il caso Justin, ci sentiamo domani” gli sorrido cercando di stare calma. Annuisce non molto convinto e poi mi bacia. È così bello giocare con le sue labbra che non smetterei mai.
“Allora andiamo si o no?” sbuffa Tom.
Il viaggio di ritorno è silenzioso. Sheeren è in dormiveglia sulla spalla di Derek che a sua volta dormicchia con la testa su quella di She, mentre Tom fissa sbadigliando il paesaggio fuori dal finestrino. Christian, a differenza di tutti è il più sveglio ma anche il più freddo. Non ci scambiamo neanche una parola, soprattutto perché sembra essere altrove.
Quando finalmente il mio corpo cade sul materasso comodo del mio letto, mi dimentico di tutto.
 

“Abby, svegliati!” qualcuno bussa insistentemente alla mia porta. No, ti prego. Non di nuovo.
Mugugno qualcosa e mi rigiro nelle coperte, sperando sia un rimasuglio del sogno che stavo facendo. Per qualche secondo regna il silenzio, poi quel qualcuno, che a quanto pare non si è reso ancora conto che qui c’è qualcuno che dorme, torna a bussare alla porta.
“Abby apri questa porta, è importante!” la voce è abbastanza familiare ma sono ancora intontita dal sonno che mi è stato rubato così bruscamente, quindi non so dire bene di chi sia. Mi alzo di malavoglia. Tutto, pur di tornare a dormire quanto prima.
Neanche il tempo di aprire la porta che un Christian decisamente troppo arzillo sorpassa la soglia della mia porta e richiude quest’ultima dietro di se, facendomi indietreggiare velocemente.
“Che ci fai qui e come sei entrato in casa? Qui dormono tutti” lo ‘saluto’ sbadigliando.
“Innanzitutto  è quasi l’una del pomeriggio quindi mi ha aperto tuo fratello, e poi devo parlarti”
“Di cosa devi parlarmi proprio ora, di così urgente?” sbuffo quasi arrabbiata allontanandomi da lui per sedermi sul letto. Subito mi segue, intrecciando più volte le mani come se non sapesse cosa dire, agitato.
“Una cosa importante, quindi smettila di sbuffare” faccio uno sforzo per non sbadigliargli in faccia e mi siedo un po’ più composta.  Silenzio. Riesco a sentire il campanello bussare e mio fratello Derek salutare qualcuno e dirgli che non è il solo ad averci fatto visita oggi. Dopo quasi mezzo minuto di silenzio non riesco a trattenermi.
“Ti decidi a dirmi questa cosa o dobbiamo aspet…” e improvvisamente la mia bocca viene interrotta da quella di Christian, misteriosamente pigiata contro la mia. Perché mi sta baciando?! Sento la sua lingua premere insistente contro le labbra e lotto per staccarmi, tenendole bene salde tra di loro, ma Christian mi tiene stretta tra le braccia. I passi di quel qualcuno si fanno pericolosamente vicini alla mia porta e non so perché ma inizio a tremare, mentre Christian continua a non staccarsi da me.
“Che cazzo sta succedendo, Abby?!”  la voce è arrabbiata ma forse me la sto sognando.
Di scatto Christian si stacca da me ed io prendo un sospiro di sollievo che mi si blocca in gola non appena vedo che la voce non era un sogno ma apparteneva a qualcuno. Qualcuno che ora mi guarda con uno sguardo misto a delusione e sorpresa.
Chiunque stia lassù, mi salvi.












ANGOLO PUBBLICITÁ
 

Ci tenevo ad elencarvi un pò di storie che mi hanno colpito, se ci fate un salto fate felice me, ma sopratutto le meravigliose meraviglie(?) che hanno scritto le meravigliose meraviglie(?!) delle loro fanfic :3

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1278451 "Quel bellissimo ma sfortunato 20 luglio 2008" della mia favola personale, Stuprauhl. Parola di lupetto, è una delle più belle mai lette prima.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1265556  "You’ve blown away my life, and I shouldn’t have fallen in love with you. It’s wrong." della bravissima lovatosdonuts. ha una trama così particolare che anche se fosse scritta in chicchinese la leggerei.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1272430  "Renegade" della mia fantastica Giuls, Neverlethimgo, che come sempre non delude nessuno e sforna un'altra delle sue storie uniche.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1247804 "I will be rising from the ground, like a Skyscraper" di xdemijonas
, una delle poche long sui One direction se seguo, ed è davvero bellissima!

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1226566 "Please, don't be in love with someone else" di stylessmurf, la mia mitica mars. altra long sui one direction dove ci sono anche io :3

arrrrrivederci.♥


 

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Capitolo 14
*** Never let you go. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
da notare che dopo quattordici capitoli e quasi un anno dopo non so ancora come diamine chiamarlo sto corner, ma okay LOL
innanzitutto uno di quei ringraziamenti da grande star va a tutte voi che continuate a seguirmi nonostante le tremila cose che quei pezzi di merda die prof vi assegnano. siete fanatstiche. vi adoro, grazie mille di tutto!

bene, tornando alla storia, siccome ho visto che vi piacciono i capitoli lunghi lunghi ed i momenti dolci, so che amerete anche questo capitolo uu. HAHAHAHAHAHAHAHA
innanzitutto, mi scuso se all'inizio è un pò palloso, l'ho scritto praticamente una riga alla volta. più che un capitolo io lo chiamerei parto. çç
però mi sono impegnata per farlo essere quanto più lungo possibile, come chiedete spesso.
e mi disapcie deludere le vostre aspettative(?) ma questa volta non basterà una cosa così piccola come un bacio a rovinare il nuovo amore, e oltre a questo piccolo indovinello(??) vi lascio al capitolo uu.

vi aspetto ancora in numerose, i vostri pareri sono la cosa più bella del mondo :)
grazie mille, davvero!


a prestissimo!
con amore,
-Andrea.
( @swagonciastin su twitter e su instagram, seguitemi!) ♥






 
amare non è un privilegio è solo abilità
è ridere di ogni problema, mentre chi odia trema.
cose che spesso si dicono improvvisando
e se m’innamorassi davvero, saresti solo tu
l’ultima notte al mondo io la passerei con te
mentre felice piango.



 

14.





 
Justin.

Sorpresa. Rabbia. Gelosia. Odio. Violenza. Frustrazione.
Mi si blocca il fiato in gola, in un inutile tentativo di salutare la bruna che mi è di fronte.
Le sue labbra sono su altre labbra che non appartengono a me. Mi sembra così ingiusto, così inappropriato. Chiunque la penserebbe come me, quelle labbra non combaciano, quelle labbra non sono fatte per stare insieme. E se ieri mi avesse baciato solo per vendetta, solo per farmi provare cosa io le ho fatto provare? E se fosse tutta un’altra messa inscena? E se lei non volesse più stare con me?
Mi sento paralizzato, come incollato al pavimento e non so che fare. Vorrei urlare e spaccare questa maledetta casa.
“Justin, io..” è la voce di Christian la prima a rompere il silenzio denso di suspense che si è formato tra di noi, ma ora non voglio parlare con lui. Quindi, riprendendo possesso delle mie abilità fisiche e mentali porto il mio sguardo solo su di Abby, che mi guarda impaurita.
“Justin, devi credermi, io non c’entro niente con tutto questo” lo dice quasi tremando, alzandosi velocemente e venendo verso di me. Si ferma a pochi centimetri di distanza, ma mi rifiuto di guardarla negli occhi.
“Eppure mi sembra che erano le tue di labbra attaccate a quelle di Christian, non quelle del cuscino!” sbotto, facendomi prendere dal bollore che mi sta mandando a fuoco le viscere. Vorrei  prendere a pugni qualsiasi cosa.
“È colpa mia Justin, sta dicendo la verità. Non prendertela con lei” anche questa volta è Christian il primo a parlare,e istintivamente guardo per la prima volta Abby in quei suoi grandi occhi verdi. Traboccano di tristezza e verità e mi viene quasi l’istinto di abbracciarla.
“Credimi, solo colpa mia. Sono stata io a baciarla, lei non voleva” so che Christian sta parlando con me, ma io sono ancora incatenato allo sguardo di Abby. I suoi occhioni sono così espressivi, così magnetici che non mi ero accorto della piccola lacrima nell’angolo dell’occhio.
Ti prego, angelo, non piangere o sarò costretto a spezzare le ossa a qualcuno.
Caccio un sospiro lento, cercando di eliminare tutta la voglia di tirare un pungo in pieno viso a Christian, e riprendo a parlare, staccando gli occhi da Abby.
“Perché?” unico suono che fuoriesce dalle mie labbra. Nella mente continua a brancolare la stessa immagine e non riesco a pensare bene neanche a come formulare la frase. Se è questo che ha provato Abby per tutto questo tempo vedendo me e ‘Dominique’, vorrei essere risucchiato dalla terra per tutto quello che le ho causato.Non dovrebbe neanche darmi queste spiegazioni, tecnicamente non stiamo assieme. Per lei non sono nulla. E allora perché piange?
“Senti amico, voglio essere sincero. Non avevo nessuna intenzione di baciarla, non so cosa mi sia preso. Okay, ho una cotta per lei, ma passerà. Davvero, non so cosa mi sia preso, io.. posso solo chiedervi scusa” abbassa il capo, pentito. Mi sembra tanto di avere d’avanti il Christian quindicenne, quando la mamma lo beccava a marinare la scuola. Christian è sempre stato il tipo impulsivo, e a pensarci bene non sarebbe mai il tipo da tradire un amico.
Non sto capendo più niente. Tutta questa situazione mi sembra abbastanza surreale. Guardo prima Abby, ancora alle mie spalle e poi Christian, con il viso ancora rivolto verso il basso.
“Possiamo far finta che non sia successo niente? È stato tutto un errore, intesi?” sussurra Abby, affiancandomi. Guarda prima me, che annuisco flebile, poi si avvicina un po’ di più a Christian gli prende il mento e gli fa alzare lo sguardo. In tutto ciò che fa, emana sicurezza, amore. Come una madre che vuole rassicurare il figlio.
“Chris, lascia perdere. Acqua passata. Accetto le tue scuse, anche io ci sono passata. Non sai neanche quante volte avrei voluto prendere per i capelli quella biondina e baciare Justin, senza alcun ritegno e alcuna ragione logica. Mi dispiace sia successo tutto questo. Facciamo come se non fosse mai successo, ok?” l’enfasi che da all’ultima frase, ripetendo le stesse parole di poco prima, mi fanno capire che anche se la situazione ci farebbe somigliare a ragazzini di dodici anni, lei è saggia. È matura, e molto probabilmente a causa di tutto il dolore che ha provato. E sapere che la maggior parte di quel dolore gliel’ho procurato io mi fa rabbrividire. Christian annuisce, sussurrando l’ultimo scusa prima di voltare le spalle e andarsene.
“Ti prego, perdonami. Tutte quelle parole a Christian.. Dio, se potessi tornare indietro” farfuglio, attirandola a me,  mentre ancora mi da le spalle. Appoggia la sua schiena al mio petto per qualche secondo, beandosi del nostro calore, quindi ne approfitto per posare la fronte sulla sua spalla e inalo tutto il profumo possibile.
La sua pelle sa di casa, di felicità, di amore, dolcezza e passione allo stesso tempo.
In questo istante potrei paragonare ciò che sento a cosa provai al mio primo concerto. È come essere in cima al mondo, volare, sentirsi liberi ed appagati.
Ma appena si allontana da me, quasi repentinamente, tutto l’oblio scompare.
“Però c’è una cosa che dobbiamo chiarire”  afferma seria, voltandosi verso di me e chiudendo la porta della sua camera. Mi guardo intorno e tirandola leggermente per la mano – provo ad intrecciare le dita con le sue, e lei sorridendo prima accetta stringendole in una stretta sicura, poi le lascia andare completamente – la faccio sedere sul letto, accanto a me. La guardo, aspettando che parli e dopo essersi lisciata il pantalone del pigiama fino alle ginocchia, comincia.
“Io e te tecnicamente non stiamo assieme, giusto? Insomma, non stiamo uscendo né niente. È come se avessimo fatto la pace” in effetti, è esattamente così.  Annuisco e lei sembra delusa.
“Hai detto di voler essere felice, quindi voglio ricominciare tutto t’accapo, dedicandomi solo a te” le sorrido e un sorriso nasce anche sulle sue labbra. Sembra di vedere il paradiso, ma se fossi Dio farei di tutto per non farmici entrare. Io non lo merito dopo tutto quello che ho causato a questa piccola creatura.
“Come mai sei venuto qui?” chiede curiosa, avvicinandosi un po’ di più a me. Ecco, quasi me ne ero dimenticato! E menomale che sono venuta a prenderla un oretta prima del previsto.
“Lavati e vestiti baby, ti porto in studio. Oggi finalmente si ricomincia a registrare” annuncio felice e alla parola studio anche lei è felice. Mi viene a mente un episodio di quando registrammo l’ultimo album, la feci sdraiare su uno di quei quadri pieni di tasti e tastini per la registrazione e quando tornò in studio tutto lo staff  ci guadagnammo le urla della maggior parte di loro. Sorrido al ricordo.
“Corro!” sbotta, prima di sparire dietro una porta alla nostra destra.
L’aspetto paziente, ascoltando il suono dell’acqua  e canticchiando qualche canzone del cd nella mente. Quando sto per pescare l’iPhone dalla tasta per non addormentarmi, lei compare con solo un asciugamano avvolto sul petto, lasciando libere le gambe slanciate e le spalle minute, mentre i capelli le ricadono ancora spettinati sulla schiena.
“Sei bellissima” sussurro, dando vita ai miei pensieri e lei, subito dopo essere arrossita, sorride fiondandosi sull’armadio. Decide di indossare dei jeans stretti ed una camicetta a quadroni sui toni del rosso, abbinandola a quelle che credo siano ballerine, poi torna in bagno per cambiarsi e darsi ‘una mano di trucco’, come dice lei. Ed io, povero ragazzo, sono costretto ad aspettarla ancora.
Dopo un quarto d’ora  buono esce di nuovo dal bagno, vestita di tutto punto e i capelli legati in una treccia che finisce sulla sua spalla sinistra. È una dea.
“Andiamo? Fai sempre tardi!” scherza, iniziando ad uscire dalla camera. La seguo e, saltando in macchina tutta contenta – neanche fosse una bambina a cui hanno promesso di andare al luna park – canticchia qualche canzone per tutto il viaggio, costringendomi a seguirla.
Superata una canzone della Minaj, decide di inserire un mio cd. Non riesco a vedere quale sia il titolo avendo gli occhi sulla strada, ma con la coda dell’occhio la vedo armeggiare attenta con i tasti dello stereo, fino ad arrivare ad una canzone precisa. Inizio a canticchiare la melodia di Never let you go, ma appena parte la mia voce mimo solo le parole con le labbra.
“Eddai, canta ancora un altro po’, io sono stonata!” mi chiede ed io scuoto la testa, sorridendo.
“Ti prego, è la mia canzone preferita” mi supplica, portando una mano a coprire la mia sul volante. Il calore della sua mano fa aprire immediatamente le mie labbra che iniziano ad andare a tempo con le parole del Justin quindicenne che fuoriesce dalle casse.
Abbassa un po’ il volume, in modo che la mia voce sovrasti quella dello stereo e appoggia la testa al sediolino, godendosi la mia voce ad occhi chiusi. Non riesco a pensare ad altro a parte a quanto sia bella. Quando muove le labbra seguendo le parole, ma senza azzardarsi a proferire una sillaba. Quando pronuncio l’ultima strofa, e lei stizzita rimanda la canzone d’accapo. Come ho fatto a perdermi tutto questo fino ad ora? Come ho fatto ad essere così cieco?




Abigail.

La sua voce mi ha sempre tranquillizzata ed ora mi sento come si sentirebbe uno di quei ricconi in una spa o sulla riva di una spiaggia bianchissima. Così bene che non mi accorgo neanche che siamo arrivati.
Justin smette di cantare, spegnendo l’auto e così lo stereo. Fingo un lamento, facendolo sorridere mentre scende dall’auto. Ci incamminiamo nell’enorme edificio.
La gente ci saluta e ci ridà il benvenuto. L’aria che si respira qua dentro è strana. Da un lato c’è la felicità di registrare, seguita dalle risate per le mille gaffe e scherzi tra staff che verranno ma dall’altro c’è lo stress per la decisione della base migliore, del tono di voce adatto, la paura che non piaccia ai fans.
Ma di solito nella saletta dedicata a Justin, lo stress dura pochissimo. Justin è davvero fantastico. Sa fare il suo lavoro neanche lo facesse da decenni, e poi sa benissimo cosa piace alle sue fans; è come se fossero in completa sintonia, come se le conoscesse tutte.
Ma, sinceramente, a chi non piacerebbe quella voce melodiosa? Non riesco proprio a capire quegli haters ancora fermamente convinti che non sappia cantare anche se quando apre la bocca potrebbe essere scambiato con un angelo!
“Ti ho per caso dello qual’era il numero della nostra saletta?” mi chiede, interrompendo il fiume dei miei pensieri. Ci metto due secondi a riprendermi, arrossendo alla frase che la mia mante ha appena pronunciato, e poi scuoto la testa, negando. Ecco, solito di Justin. Dimentica spesso le cose.
“Bene, come primo giorno!” sbotta lui, ridacchiando, poi prende il cellulare dalla tasca e manda un messaggio, credo a Scooter.
“Sette!” urla improvvisamente, facendomi sussultare. Sorridendo, mi prende per mano e mi accompagna per vari corridoi stretti tappezzati di copertine d’album ingrandite fin quando un numero sette blu ci si para d’avanti. Entrando, respiro il profumo di plastica, moquette e un po’ di polvere dovuta alle tremila tende. mi è mancato tutto questo.
Immediatamente Scooter e mio zio Kenny vengono a salutarci, soffocandomi di abbracci, infine una donna bassina dai lunghi capelli castani si avvicina e vedo Justin perdere le forze, subito prima di saltare addosso alla povera donna che felice quanto lui, lo abbraccia.
Suppongo sia la famosa madre, me ne aveva parlato di più ultimamente. Sarà più di un anno che non si vedono realmente. So cosa si prova, anche io ho visto così raramente i miei genitori e fratelli nell’ultimo periodo che quasi avevo dimenticato il suono delle loro voci. È il prezzo di un lavoro del genere.
“Che bello rivederti!” lo sento sussurrare, ancora ancorato alla madre. È una scena così tenera che se potessi gli farei una fot.. hei aspetta! Recupero il cellulare dalla tasca della giacca e scatto una foto.
La pubblico su twitter, con la didascalia “Incontri di famiglia”  - ricordandomi che la gente sa che io sono la cugina di Justin e quindi nipote di mh… Pattie? Si, mi sa che si chiama proprio Pattie – per poi menzionare sia Justin che Pattie, e infine anche Scott e zio Kenny, che si intravedono sullo sfondo. Sorrido al cellulare mentre carica.
“Heilà, tu sei la famosa nipote di Kenny?” una voce mi fa alzare lo sguardo dallo schermo luminoso. Una voce profonda, saggia ma dolcissima al contempo. Due occhi azzurri, rassicuranti e felici, mi salutano.
Pattie si è staccata da Justin, che sorride alle sue spalle.
“Si mamma, lei è Abigail, meglio conosciuta come Abby. È la mia costumista” e qui mi fa un occhiolino che, ringraziando il signore, nessuno vede.
“Oh, piacere di conoscerti! Pattie, madre della superstar” sorride anche lei e mi porge una mano che prontamente stringo. Mi ispira una dolcezza assurda.
“Sei riuscita a fargli levare la mania dei capellini di lana?” mi chiede, curiosa e speranzosa. Una risata generale percuote la saletta, ancora semivuota.
“Mi dispiace deluderla, ma no. Purtroppo mi ha minacciata di morte lenta e dolorosa se avessi provato a buttarglieli, quindi ora appena mi distraggo un secondo se ne infila uno sulla testa ed esce di casa anche se ci sono un sole splendente e settanta gradi!” un’altra risata prende tutti. Ecco, è questo quello che intendevo prima.


 

*


Siamo qui da tre o quattro ore ore, e Justin è ancora alla prima strofa della prima canzone, e sto parlando solo di arrangiamento testi. A quanto ho capito, ci sono problemi di durata. Le parole non riescono ad andare a ritmo.
“Dai riprova così” sento dire da qualcuno dello staff, aldilà del vetro. Sia io, che Justin che Pattie abbiamo un paio di cuffie per ascoltarli. Justin ha voluto dentro anche me e sua madre; ‘perché mi date sicurezza’ si è giustificato, ma io ci sarei andata anche solo per tenergli il microfono.
Justin ripete il verso, ma ancora non va.
“Secondo me dovrebbe allungare la o iniziale e restringere la e finale” sussurro a Pattie, spostandole una cuffia. Lei ci riflette un secondo, canticchiando sulla melodia nella sua testa, per poi sorridere.
“Hai ragione! Perché non lo suggerisci?” mi chiede, indicando tutte le persone di fronte a noi.
“N-non credo che la mia opinione valga qualcosa qui, infondo, cosa en so io?” balbetto, fissando le mie ballerine.
“Come vuoi” sussurra ancora, ma poi richiama l’attenzione del produttore con un battito di mani.
“Hei, perché non proviamo ad allungare la o iniziale e a restringere la e finale? È un’idea di Abby!” dice poi, parlando chiaro nel microfono delle cuffie e il tizio dietro al vetro prima ci pensa, come ha fatto lei, poi annuisce.
Justin mi lancia un’occhiata tra il sorpreso e il felice, poi riprende a cantale la strofa, mentre tutti noi aspettiamo il verso in questione e quando arriva, Justin ruba qualche secondo alla e per darli alla o con quella sua voce fantastica ed in effetti suona bene. Tutti se ne accorgono e mi sento le guance arrossire perché tutti stanno guardando me sorpresi e compiaciuti, soprattutto Justin, che continuando finalmente la strofa, mi dedica uno dei sorrisi più belli del mondo.
“Perfetto, pausa!” sbotta Scooter, una volta che Justin ha finito di cantare la prima strofa. Tutti tiriamo un sospiro di sollievo. Meno una!
“Hei, sei stata brava, non è che vorresti passare dallo staff personale a quello di registrazione?” mi prende in giro Justin, sfilandosi le cuffie per poi sfilarle anche a me, sorridendo. Gli ho un piccolo buffetto sul braccio prima di seguirlo fuori da quella stanzina tappezzata da tende. Iniziamo tutti a sgranocchiare qualcosa. Quando si registra non esistono veri e propri pasti, ma si mangia quando si può. Un po’ come un eterno viaggio del college. Justin afferra due panini al pollo e una coca light, per poi prendermi per mano e trascinarmi di nuovo dietro al vetro. Chiude la porta con cautela.
“Siediti per terra. Io preferisco mangiare qui, mi concentra di più e poi possiamo stare un po’ più soli” mi suggerisce, sedendosi affianco a me.
“Soli dici? Ti sei dimenticato che ci sono vetri dappertutto? E i vetri sono trasparenti!” gli faccio notare, ridacchiando ed addentando uno dei panini al pollo che mi offre.
“Stupida..” sussurra sorridendo e per i seguenti cinque minuti siamo intenti a mangiare il nostro pseudo pranzo, osservati da un po’ tutto lo staff. Posso sentire gli occhi di mio zio seguiti a quelli di Pattie e Scooter sulle nostre figure.
“Senti, veniamo al dunque. Volevo chiederti una cosa” annuncia poi, dopo aver bevuto un sorso di coca e guardandomi fisso negli occhi. Il mio cuore inizia a battere irrefrenabilmente. Oddio, questi occhi.
“C-cosa?” balbetto in preda all’ansia e lui sorride.
“Tranquilla, Abby. È una cosa bella” sussurra, avvicinandosi. Dio ti prego no. Ho ancora il fiato che sa di pollo. Bevo velocemente della coca.
“Lascia giudicare me, no?” gli dico, cercando di spostare lo sguardo da quelle pozze color nocciola ma non ci riesco.
“Okay, allora. Vorrei dedicarti una canzone nel mio nuovo album, posso?” istintivamente lo abbraccio, quanto più forte possibile e lui ridacchiando ricambia, posandomi un leggero bacio sul collo.
Ancora, splendore, ti prego.
“Lo prendo per un si?” mi chiede ironico, staccandosi di poco dall’abbraccio.
“Certamente. Hai scritto una canzone per me?” gli rispondo io, speranzosa ma lo sguardo che mi rivolge – tra il pentito e il dispiaciuto – mi fa capire di no ed io lo stringo ancora un po’ per fargli capire che infondo non è quello che importa.
“Purtroppo non l’ho scritta per te, è vecchia, ma sono sicuro che ti piacerà. E poi, è esattamente quello che sto provando” sussurra, tornando a guardare fisso nei miei occhi.
“Never let you go” mormoro, sorridendo istintivamente, seguita da lui. Sta per baciarmi, lo sento. Oddio si avvicina. Posso sentire il suo fiato pizzicarmi le labbra.
“Hei ragazzi, riprendiamo?” vaffanculo, destino. Scooter irrompe nella saletta e Justin si alza immediatamente prendendolo per un braccio.
“Voglio parlarti di una cosa, perché non pensiamo oggi pomeriggio a queste nuove, vorrei iniziare questo album con una dedica” lo sento annunciare, per poi lasciar andare la porta e quindi la sua voce oltre il vetro.  Stava per baciarmi. Ho sentito la voglia, la necessità di toccare quelle labbra dappertutto.
Mai come ora, vorrei finire immediatamente queste dannate registrazioni.
 

 

*


“Justin, sei stato bravissimo, è stupenda” sussurro ammaliata, mentre le ultime note della nuova Never let you go risuonano ancora nelle cuffie. È davvero la mia canzone preferita, ma cantata dal Justin ventunenne proprio a me è la canzone più bella del mondo. Per più di quattro ore sono stata costretta ad aspettare fuori dalla sala, nel corridoio tappezzato di copertine d’album, mentre lui incideva ed ora la sto ascoltando. È come se fosse mia, anche se non c’ero.
Potrei morire di troppa felicità da un momento all’altro.
“Solo per te piccola” sussurra lui di rimando, abbracciandomi da dietro e regalandomi un alto bacetto sul collo. Vorrei rimanere così per sempre, ma sfortunatamente il nostro tempo in sala registrazioni è finito.
Tutti hanno già iniziato a recuperare cose da ogni angolo della stanza, mentre io e Justin restiamo ad ascoltare ancora abbracciati la sua nuova canzone. È così perfetta. E lui lo è ancora di più.
Quando anche le luci iniziano a spegnersi, Pattie annuncia di andarsi a prendere un caffè caldo e prontamente zio Kenny si offre di accompagnarla.
“Andiamo?” ci chiede Scott, interrompendo il mondo perfetto che mi ero creata nella mia mente.
“Un’ultima volta, per favore, Scooter” lo supplico e con un mini sorrisino ci lascia perdere, uscendo per chiamare qualcuno.
“Ti piace così tanto?” mi fa Justin, avvicinando una di quelle sedie girevoli alle sue ginocchia, si siede, trascinando il mio corpo sulle sue gambe. Mi lascio andare sul suo petto, posando la testa sulla sua spalla.
“Si, e pensare che la stai dedicando a me..” lascio la frase in sospeso, mentre mi sfilo le cuffie. Le prende dalle mie mani e le posa velocemente al loro posto.
“Ne sei felice?” chiede, apprensivo. Ridacchio. Gli interessa davvero allora?
“Si Justin, felicissima. Sono parole stupende e .. spero che manterrai la promessa, questa volta” mormoro amareggiata, nascondendomi tra il suo mento e la sua spalla.
Prende ad accarezzarmi la schiena, mentre Never let you go risuona lontana e a bassa voce dalle cuffie. È un po’ come quando papà mi prendeva come una principessa dal divano e mi portava nel mio letto, sussurrandomi cose dolci per la buonanotte e abbracciandomi finché non cadevo in un sonno spensierato. Istintivamente chiuso gli occhi, lasciandomi completamente andare al suo odore.
“Mi dispiace davvero per tutto quello che ti ho fatto, piccola. Ti ho fatto soffrire così tanto.. se potessi mi vendicherei contro me stesso. Sei così tenera..” è impazzito, me lo sento.
Mi accarezza lento la guancia, le labbra, le palpebre e nel frattempo mi tiene ancora stressa a se.
Pensa che io stia dormendo.. però, quanto è dolce. Si è pentito, e non riesce a capacitarsi del fatto che io l’abbia perdonato davvero. Forse è davvero cambiato. Forse è vero che capisci l’importanza di una persona quando la perdi. Forse è vero che lo amo ancora, anzi, è vero che non ho mai smesso.
Mugugno qualcosa quando ripassa con l’indice sul mio labbro superiore, fingendo di svegliarmi.
“Scusa, sono così stanca” mento e mi sorride, come se dicesse ‘Buongiorno’.
“Tranquilla, credo che tutti lo siamo, e stiamo solo al giorno uno” ridacchia per poi sfregare il naso contro il mio. Da quanto è così tenero?
Improvvisamente si spengono tutte le luci. Rabbrividisco. Ho paura.
Penso di non averlo mai detto a nessuno ma io ho una tremenda paura del buio. Mi stringo di più a Justin.
“Credo se ne siano andati tutti. Ora come diamine facciamo?” gli sussurro, terrorizzata.
“Tranquilla, non ci hanno chiesto di tornare con loro perché li avevo avvisati che ti avrei portato in un posto. Mi sa che siccome siamo chiusi in questa casa discografica ora non possiamo più andarci, ma sfruttiamo tutto questo a nostro favore..” mi risponde, con un tono di voce che fa ballare una ritmata samba al mio stomaco. Ti prego, non ora Justin.
Lo sento sempre più vicino nel buio, avverto il suo calore ovunque, ma sono quasi sicura di aver visto qualcosa di sospetto sul riflesso del vetro. Ho paura, mo vorrei anche baciarlo. No ho più paura.
“Justin scusami, ma ho troppa paura del buio!” sbotto, alzando di qualche tono la mia voce, presa dall’ansia. Ridacchia un po’, ma poi prende ad accarezzarmi i capelli.
"Ci sono delle torce che mia madre portò qui un annetto e mezzo fa perché ha la tua stessa fobia. Alzati un secondo, ti tengo per mano” mi rassicura. Mi alzo, cauta e seguita dalla sua presenza. Tengo stretta la sua mano neanche fosse la luce e aspetto paziente che prendi queste dannate torce.
Il rumore di qualcosa che si apre, qualcuno che fruga nel qualcosa, il qualcosa che si chiude. E puff, luce.
La stanza assume uno strano aspetto ora, invaso dalla luce di due torce a pila, giallastra e abbastanza flebile. Riuscivo a stento a vedere la poltrona, a pochi passi da me.
“Ci dobbiamo accontentare, mi sa” lo dice tra il divertito e  il premuroso,e  un po’ mi sento irritata. Come può divertirsi mentre io penso che dall’altra parte del vetro possa esserci un mostro o un fantasma pronto ad ucciderci?
“Se continui a ridacchiare quando credi che io non ti stia guardando ti ammazzo, Justin” lo ammonisco, avvicinandomi quanto è più possibile a lui.
“Scusa, non lo faccio più. Stai tranquilla, ci sono anch’io e ti assicuro che qualsiasi cosa brutta accada a causa del buio deve vedersela con me prima di farti del male!” annuncia fiero, come farebbe un padre nel rassicurare la propria figlioletta dopo un incubo. Mormoro un grazie e istintivamente lo abbraccio, ancora. Ecco, tra le sue braccia la luce sembra arrivare in punti più lontani.  
So bene che in realtà riesco a vedere un po’ meglio perché l’occhio si sta abituando, ma è più carino pensarla alla mia maniera.
“Comunque, come sapevi di queste torce?” chiedo curiosa e lui in tutta risposta slaccia l’abbraccio per prendermi per mano. Mi porta fino alla porta in vetro per entrare nella saletta registrazioni e mi fa cenno di aprirla mentre lui tiene ben salde le due torce, mi trascina poi verso una tenda color cenere, vicino al muro laterale.
“Cosa stai cercando di dirmi, Bieber?” chiedo ironica e lui sorride, si accovaccia al pavimento posando le tue torce su di esso e poi solleva di poco la tenda, rivelando un piccolo disegnino qualche centimetro al di sopra del battiscopa.
“Vieni a vedere, Abby, non ti mangerà!” mi prende in giro, strattonando la mia mano. Decido di assecondarlo e cerco di decifrare la minuscola scrittura.
‘La nostra prima volta’ recita la scrittura di Justin, seguita da piccoli disegnini sconci rappresentanti ciò che probabilmente era appena accaduto. Ora ricordo.
“Non mi dire!” sbotto portando una mano alla bocca. Anche se potrebbe sembrare una cosa orrenda, è anche qualcosa di nostalgico vedere certe cose. La nostra prima volta, wow.
Lo facemmo sul pavimento. Tutto partì dal pomeriggio prima quando ci scambiammo dei semplici baci abbastanza passionali sulla console, rovinando il lavoro di ore. Eravamo attratti l’uno dall’altra e in una delle tante pause pasto lasciammo tutti fuori.
Fortunatamente Justin è conosciuto per le sue pause, durante le quali vuole stare da solo con un microfono ed una chitarra nella sua sala registrazioni, e quindi nessuno sospettò di niente.
“Ero un deficiente, ti ho fatto anche senza capelli” mi suggerisce, indicandomi uno dei disegnini. Lo spintono e lui lascia cadere la tenda.
“Ho chiesto esplicitamente questa saletta alla reception per registrare.  Volevo questa, solo questa. Racchiude qualcosa di importante, se lo vediamo da un punto di vista esterno, giusto?” mi chiede, stendendosi sulla moquette poco illuminata dalle torce e attirando giù anche me.
Annuisco distratta cercando di ricordare tutto, nei minimi particolari. Non era per niente dolce, era solo sesso. Sesso, passione, violenza. Attrazione fisica e niente più.
Queste pareti stanno assistendo ad un grande cambiamento, ed io sono così incredula. Mi sembra tutto impossibile, come se da un momento all’altro suonasse la mia sveglia e niente di tutto questo sia mai successo. Un sogno.
Sento Justin lasciarmi un bacio sulla tempia, prima di mettersi a cavalcioni su di me. Fa aderire lentamente i nostri corpi, mantenendosi sui gomiti per non pesarmi addosso, anche se non mi dispiacerebbe affatto.
“Posso baciarti, Abby?” mi chiede ma non riceve risposta, perché mi fiondo su quelle labbra soffici come se non ci fosse un domani, come se questo fosse il nostro ultimo bacio. Ho bisogno di queste labbra quasi quanto i miei polmoni hanno bisogno dell’ossigeno. L’adrenalina mi pervade, mi sento così viva che urlerei. Mi sento bene, felice.
Ribalto le posizioni, posizionandomi su di lui. Voglio di più, ho bisogno di qualcosa di più.
Scendo a baciargli il collo e dei mugolii soffocati escono dalle sue labbra socchiuse. Una melodia. Quanto mi è mancato tutto questo, il suo sapore, il suo calore. Lui.
“Abby, non riuscirei a fermarmi, ti prego” sussurra, gemendo quando oltrepasso il colletto della t-shirt per baciargli il petto.
“Non voglio che ti fermi Justin. L’ho capito, sei cambiato e ti sto dando una seconda possibilità. Non mi farai più del male, mi fido di te” gli rispondo, sincera. Ci pensa qualche secondo per poi lasciarmi un bacio a stampo sulle labbra.
“Mai più piccola mia, promesso. Non ti farò soffrire mai più” e riprende a baciarmi con passione.
I nostri corpi avvinghiati, i nostri sospiri. Le nostre pelli nude ed accaldate a contatto. Ecco di cosa avevo bisogno. Dolcemente, come se stessimo avendo la nostra luna di miele, ci esploriamo a vicenda, conoscendoci meglio, sempre più a fondo.
Quando entra in me mi sento finalmente completa. Ogni spinta è come un flebile ‘ti amo’ detto tra i gemiti che soffochiamo l’uno contro la pelle dell’altro,  e raggiungere l’orgasmo non è mai stato così appagante, così stupefacente.
“Sei la cosa più bella che io abbia mai visto” mi sussurra ancora con il fiato corto, lasciandomi un bacio alla base del collo e abbracciandomi. Mi volto tra le sue braccia e poso la testa sul suo petto leggermente sudato. Benvenuta tranquillità.
 


Justin.

Ho fatto l’amore, ho fatto l’amore con Abby. È stato come quando si ha la prima volta con la persona che più si ama al mondo, e forse è esattamente quello è appena successo. Tiro un sospiro, sentendo finalmente il mio battito tornare regolare. La amo.
Tutto ciò a cui riesco a pensare è a quanto io possa amarla e  a quanto sia stato stupido ad arrivarci solo ora.
Le accarezzo distratto i capelli, massaggiando con le dita la nuca. So bene quanto le piaccia, infatti sorride contro la mia pelle. Quando un brivido la percuote, mi ricordo che siamo nudi, stesi su una moquette fredda.
“Aspetta un secondo” mormoro, alzandomi comunque di mala voglia. Stamattina avevo pensato che, oltre a portarla in sala registrazione, l’avrei portata anche al lago. Spesso mio nonno mi ci portava a pescare, e dio volevo condividere quel posto magnifico con lei. Quindi, avevo chiesto a Kenny di prepararmi qualcosa, tipo magliette di ricambio e qual cosina da mangiare.
Frugo un po’ sotto il tavolo operativo, e trovo finalmente il mio borsone.
Tornando da Abby la trovo in slip neri e alle prese con il gancetto del reggiseno, per poi mandarlo al diavolo – lanciandolo contro la parete – con qualcosa di simile a ‘tanto mi uccideresti soltanto’. Sorrido alla vista.
“Tieni, mettila o ti prenderai qualcosa” dico, passandole una delle due felpe che Kenny mi aveva portato e un pantaloncino da ginnastica femminile pescato da chissà quale posto. Mentre infilo la mia, di felpa e un pantalone della tuta, l’osservo. È così aggraziata, perfetta in ogni movimento. Confermo la mia tesi, è una dea. Ma una di quelle più belle al mondo.
Mi sento di nuovo sulla moquette, facendo in modo che il borsone mi faccia da cuscino e subito Abby posa la testa sul mio petto, cingendo i miei fianchi con un braccio.
“Buonanotte” sussurriamo all’unisono. Mi guarda negli occhi sorridendo.
Posso notare i suoi occhi dirmi uno dei ‘Ti amo’ più sinceri del mondo. La stringo forte a me.
“Anche io ti amo piccola mia, anche io” sussurro quando ormai lei già dorme ed io la seguo, dando fine a una delle giornate più belle della mia vita.

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Capitolo 15
*** New scoop. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
Ommioddio.
Sono due mesi e qualcosa che non aggiorno, e il sei gennaio questa storia farà un anno. aiuto, mi dispiace troppissimo. 
tipo che adesso mi rintano in una gabbia sotto tortura da sola HAHAHAHAH
sono davvero tanto dispiaciuta di aver aggiornato dopo millenni, sono stata una ragazza cattiva, lo so HAHAHAHA
spero che siate tutte ancora molto interessate alla storia come prima, ho finito il capitolo tre minuti fa e anche se non l'ho riletto, lo voglio subito postare perchè mi sento terribilmente in colpa.
ancora scusa, lasciatemi pure recensioni infuocate ed odiatemi, per favore HAHAHAHAHA
spero mi perdoniate leggendo questo lungo capitolo, persino word dopo sette pagine  e mezzo, fitte fitte, stava iniziando a stancarsi di me. hope you'll like it!
grazie mille di tutto, davvero.


a prestissimo!
con amore,
-Andrea.
@swagonciastin su twitter e su instagram, seguitemi!) ♥



Hai presente quando indossi qualcosa che ti va alla perfezione? Che ti senti bella quando la hai? Che non ti va largo, stretto, o lungo di maniche. Vedi, tu sei così per me, mi vai alla perfezione, i nostri corpi si incastrano alla perfezione. Io con te mi sento bella, bella come non mi sono sentita mai. Forse perchè i tuoi occhi mi guardano così bene. Forse perchè tu mi ripeti che sono così bella, anche vestita di tutti i miei sbagli. Forse perchè l'amore ci rende belli, ma belli davvero


 
15.


 
Justin.
 
Apro gli occhi lentamente. Mi fa male tutto e l’unica cosa che percepisco è un secondo respiro, regolare e leggero. Una luce fioca penetra stancamente nella stanza attraverso la porta d’ingresso, riflettendo aloni violacei sul vetro insonorizzato della sala di registrazione.
Lascio cadere lo sguardo sulla pelle chiara e le labbra rosee di Abby, che alzando le spalle ad intervalli regolari ed accennando un sorriso, dorme tra le mie braccia. Sorrido anch’io. Quant’è bella.
Le immagini di ieri mi passano veloci nella mente come un flashback di un sogno, anche se sento ancora sulla pelle i suoi sospiri, il suo calore, le sue mani minute e i suoi occhi ammalianti che scrutavano il mio corpo come se fosse la prima volta.
Cosa ho fatto di così buono da meritarmi tutto questo?
La padrona del respiro regolare e leggero emette un gemito, come ad aver percepito che mi sono svegliato e la sto osservando come si osserverebbe il primo fiocco di neve dell’inverno.
“Buongiorno fiorellino” sussurro, strofinando il naso tra i suoi capelli. Il suo odore ha un vago sapore di armonia, tranquillità. Come quando da piccolo mi stendevo alla riva del lago, con il nonno; il sole splendeva alto illuminando tutto intorno a noi, l’erba un po’ più alta del dovuto che solleticava la pelle, e la completa sensazione di pace.
“Oddio, Justin. Ti ho già detto che è orrendo come soprannome, cambialo. Dannazione!” grugna ancora in dormiveglia e con la voce impastata dal sonno. Ridacchio stringendola un po’ di più al mio petto.
“Gli altri soprannomi potranno essere belli quanto vuoi tu, ma ciò non toglie che tu sia bella, delicata e anche profumata come un fiorellino” la prendo in giro e, anche se controvoglia, sorride contro la mia pelle.
Si stiracchia un po’ per poi allungare le sue labbra piene fino al mio collo, ci lascia un bacio quasi impercettibile e poi prende a strofinarci contro il naso.
“Buongiorno anche a te, rosellina” mormora, prima con tono sensuale, poi prendendomi in giro.
“Hei!” fingo di prendermela e con uno spintone – ma stando attendo a non farle del male – la faccio aderire con la schiena al pavimento freddo e mi posiziono su di lei.
“Cosa vuoi farmi, rosellina?” continua ridendo, per poi farmi una linguaccia. Accetto la sfida, tesoro.
“Stai osando sfidarmi, fiorellino?” le dico sporgendomi fino al suo orecchio. Le alito le parole una ad una, con tono sensuale vicino al lobo e la sento fremere. Uno a zero per Bieber.
“Non ho paura di te!” recita in tono solenne mentre con le mani percorre la mia schiena su e giù, come un rito, facendomi tremare ogni qual volta le sue dita calde vadano a finire sulla mia spina dorsale, al di sopra della felpa.
“Dovresti, invece!” sbotto e per distrarmi dalla strana piega che stava prendendo il gioco inizio a farle il solletico. Ride come farebbe una bambina, ride apertamente, ride ad ogni mio tocco. Ride, ed è la cosa più bella del mondo.
“Chiedo pietà, hai vinto” soffia stremata tra una risata e l’altra ed io la smetto e, rimanendo con le ginocchia sul pavimento parallele ai suoi fianchi, la guardo dall’alto, sorridendo. In soli due giorni ho sorriso così tante volte che è impossibile non averci preso l’abitudine.
“Anche se sei un po’ banale, dai. Il solletico!” sbotta divertita cercando di liberarsi dalla mia stretta sui suoi fianchi.
“Non ti lascerò andare, piccola” le dico improvvisamente serio. Ritorno piegato su di lei, che prontamente mi cinge il collo con le braccia sottili.
“Non farlo mai, mai più” mi supplica, come farebbe una bambina che ha dovuto aspettare sotto la pioggia che il suo papà l’andasse a prendere all’uscita dalla scuola.
“Non mi perdonerò mai per come ti ho trattato, per essermi accorto di cosa stavo lasciando andare troppo tardi, di tutti i miei errori..” sospiro, più a me stesso che a lei ma so bene che ha sentito tutto. Mi stringe più forte e avvolge le mie labbra nella passione delle sue. Finalmente.
Lascio scivolare le mie mani sotto la sua felpa, sul ventre piatto. Ogni volta che i nostri corpi si toccano, anche in minima parte, è come se qualcosa partisse in entrambi, qualcosa di esplosivo che ci obbligasse a toccarci, a volerci.
Riesco a staccarmi dalla mia felicità solo quando realizzo che la sveglia del mio cellulare ha cominciato a squillare. Dannata sveglia.
Abby mi sorride un po’ colpevole dandomi un ultimo bacio a stampo, sa benissimo che non sarei stato in grado di lasciare andare via le mie labbra dalle sue.
“A che ora metti la sveglia?” chiede, ancora a pochi millimetri da me.
“Sono le otto e mezza mio fiorellino, bisogna tornare a casa se vogliamo essere presentabili per una nuova giornata di lavoro” dico, cercando di darmi da solo tutta la forza per alzarmi e andarmene da questo piccolo paradiso che abbiamo creato in un’innocua saletta di registrazione.
“E va bene Justin!” sospira spingendomi ad alzarmi. Ah, se non ci fosse lei.
 

Dopo aver infilato i vestiti del giorno prima e ficcato i ‘pigiami’ nel borsone ci incamminiamo verso l’uscita nei corridoi semi bui dell’edificio. Fortunatamente c’è già qualcuno all’entrata pronto ad aprirci la porta, anche se è abbastanza sorpreso di vedere altre anime vive oltre a se stesso in quel posto.
Con un’alzata di spalle, Abby lo saluta sorridente e prendendomi per mano mi trascina all’aria aperta. Immediatamente i raggi del sole colpiscono la mia pelle donandomi un nuovo calore dopo una nottata semi gelida su di un pavimento, ma all’improvviso è un altro tipo di luce che circonda me e Abby, che ora stringe convulsivamente la mia mano.
“Justin, sono vere le voci? Avete davvero passato la notte in sala registrazione?” “Justin, lei non è tua cugina? Cosa ci fate mano nella mano?” “Justin, un sorriso per favore!”
Aiuto. Dov’è Kenny quando serve?
“Spostatevi!” grido, passando i miei occhiali da sole ad Abby che afferrandoli mi segue tra i vari flash e microfoni intorno a noi. Mentre le voci dei paparazzi e dei giornalisti continuano a farci domande sulla nostra situazione e su che diamine ci facevamo lì dentro, riusciamo ad uscirne e la mia macchina, guidata probabilmente da Kenny mi appare come un miraggio.
Ormai è un’abitudine farsi spazio tra i fotografi, ma per Abby è una delle prime volte e ho davvero paura che si possa fare male. A volte questi bastardi sono sanno neanche cosa sia l’educazione.
“Forza, veloce!” la intimo, correndo verso l’auto che frena esattamente d’avanti a noi. Velocemente Kenny fa scattare la sicura ed io ed Abby saliamo a tempo record sull’auto, sui sediolini posteriori.
“Wow, giusto in tempo!” Abby tira un sospiro di sollievo, lasciandosi andare contro la mia spalla.
“Già, e voi dovreste stare un tantino più attenti!”neanche mi ero accorto della sua presenza ma mia madre si sporge dal suo sediolino, accanto a Kenny, con un’espressione che esprime tutto il suo disappunto, nonché un po’ di preoccupazione. Saranno anche passati anni, ma è pur sempre una madre e si preoccupa di ogni minima cosa come ogni madre premurosa farebbe.
“Ha ragione, ci scusi. Siamo stati imprudenti” Abby si scusa immediatamente arrossendo un po’ sugli zigomi. È così tenera; infatti mia madre si addolcisce immediatamente e ci sorride.
“Non ti preoccupare tesoro, e smettila di darmi del lei, infondo io sono tua zia, non è così?” dice sorridente, facendo un occhiolino sia a me che a Abby. Oh, Dio Sacro. Ancora una volta Kenny si è lasciato scappare tutto.
“Perdonami fratello, sa essere molto convincente con dei muffin al cioccolato!” si scusa Kenny guardandomi dallo specchietto retrovisore per un secondo, poi riporta lo sguardo sulla strada.
Tutti sorridiamo. Finalmente, l’aria che si respira è aria familiare.
 


Abigail.

Sinceramente, non pensavo che rientrare in quella casa mi avrebbe fatto quest’effetto. Quasi fremevo, con le ginocchia molli aspettando che Justin aprisse la porta. Siamo soli,  zio Kenny è riuscito a trascinarsi via la madre di Justin, fermamente convinta a voler rimanere per prepararci un’ottima colazione.
Ho sentito mio zio dirle qualcosa sul nostro litigio, di quando io me ne andai, con lacrime e valigie sotto braccio; e poi le ha detto che l’unica cosa di cui avevamo bisogno era tranquillità e intimità, solo noi due, per chiarire qualsiasi cosa è da chiarire.
Lo zio ha sempre avuto uno spiccato sesto senso, avverte qualsiasi cosa di cui hai bisogno per stare bene e te la offre su d un piatto d’argento. È come se sapesse leggere nella tua mente.
Sorridendo, Justin si volta verso di me. Ha un sorriso che ti lascia senza parole. Anche quando ci conoscevamo da due, o tre giorni, l’ho sempre pensato. È una di quelle persone nate per sorridere, nate per far notare alla gente quanto il loro sorriso sia stato creato per abbagliare la vista.
Con una mossa teatrale e anche abbastanza comica, si inchina di fronte a me e aprendo la porta con il tallone, mi lascia passare come se fossi la regina d’Inghilterra.
Sfila premuroso la giacca ad entrambi, con lentezza e precisione, come se avesse paura di farmi male, ma poi le getta veloce contro il divano. Il suo nuovissimo interessamento a me e questa sua dolcezza mi stanno leggermente mandando in paradiso. Non l’avevo mai visto così, non l’avevo mai visto così mio e così.. uomo dei sogni, diciamo.
“Cosa desideri per colazione, mio docile fiorellino? “ mi chiede, mentre scompare dietro l’arco della cucina. Non l’avevo neanche mai visto ai fornelli, qualche volta aveva cucinato un piatto di spaghetti ma li avevo già trovati bell’e pronti in tavola. La sua immagine d’avanti al lavandino mentre sciacqua due tazze mi fa venire in mente le scenette delle famiglie felici che passano in tv, o nei film. Una di quelle famiglie perfette, in cui moglie e marito si dividono i compiti, apparecchiano o cucinano assieme la colazione e poi un bimbo paffutello e dalle guanciotte rosee compare dall’arco della porta.
Caccio quei pensieri via da me.
“Cioccolata calda, cioccolata calda e pancakes” mormoro, andando in suo aiuto.
Mi gioco tutto il denaro che ho ora nel portafogli che non sa neanche dove siano la padella giusta e tutti gli ingredienti. Mi sorride riconoscente mentre pesca da una delle mensolette color pesca un ricettario scritto a mano.
“Secondo te dovremmo fidarci delle ricette di Kenny?” chiede, esaminando le pagine un po’ ingiallite finche non viene alla voce ‘pancake’.
“Guarda che mi offendo, sono ricette di famiglia!” lo prendo in giro, mentre in un pentolino lascio cuocere un po’ di latte e la polvere di cacao, mescolando per non far attaccare tutto al fondo.
“Lascia fare a me, Abby. In bagno ci sono ancora il tuo accappatoio e lo spazzolino” sussurra, tutto concentrato mente lavora l latte e le uova in una terrina color canarino.
“Sicuro?” chiedo, continuando a mescolare il latte ora insieme a un po’ di farina per addensarlo un po’. Quando mi sembra perfetta, spengo il fuoco e la lascio riposare. Mi sento prendere per i fianchi e sospiro, piacevolmente sorpresa.
“Davvero, non preoccuparti” sussurra contro la pelle sensibile del mio collo, subito dopo ci lascia un bacio leggero come una piuma.
“Allora vado, continui tu?” chiedo, voltandomi tra le sue braccia – che, pronte, mi avvolgono in un abbraccio sicuro e accogliente – ed indicando la cioccolata e le due tazze. Annuisce sorridente, prima di posare le sue labbra sulle mie. Mi lascio prendere da questo bacio, accarezzandogli distratta la nuca.
“Torna presto!”  scherza lasciandomi andare dalle sue braccia e spingendomi verso il corridoio.
Scuotendo la testa divertita, penso a quanto tutto questo sia surreale. A quanto io abbia dovuto aspettare qualcosa di così piacevole e di quanto adesso questo qualcosa stia colmando tutti i buchi sul cuore con un dolce fremito, tutte quelle ferite lasciate sulla pelle lacerata da un Justin arrogante, malizioso e menefreghista. Se è cambiato così tanto significa che ci tiene davvero a me.
Prima raramente era dolce, di solito succedeva quando non lo facevamo per molto. All’inizio pensavo che fosse solo un modo per riattrarmi quanto più velocemente possibile nel suo letto, poi iniziai ad illudermi.
Ricordo ancora quanto faceva male la delusione che mi colpiva dritta al petto.
Presa dai pensieri, entro distrattamente nella mia ex-camera. Avevo dimenticato quanto fosse illuminata e del bel gioco di luci che si veniva a creare con le tende rosse e blu.
Quando feci le valigie per fuggire, lasciai qui uno dei tanti regalini di Justin. Intimo, ovviamente. Su questo non sbagliava mai. Forse anche lui ha un certo sesto senso. Riusciva sempre a prendere cose del mio gusto, senza che mi chiedesse quale questo fosse.
Apro il primo scomparto della cassettiera che usavo per la biancheria e ne pesco l’unico oggetto presente. L’ho messo solo una volta, in occasione di un premio. Non eravamo ancora qui, credo fosse stato a Londra. Io e Justin facemmo una scommessa. Se avesse vinto – come accadde – avremmo fatto sesso tutta la notte.
Scaccio ancora una volta il ricordo dalla mente. È l’unica cosa intima pulita che ho ora, quindi devo accontentarmi. Teoricamente è abbastanza semplice, se non fosse coperto da uno strato di ricami neri sarebbe un normalissimo completino bianco perla. I ricami sono delicati. Justin li paragonò alle mie mani quando lo accarezzavo.
Mi volto verso l’armadio, ma poi ricordo che è completamente vuoto. L’unico indumento è la felpa rossa buttata sul letto, ancora piena di significati e abbandonata contro i cuscini da giorni. La pesco senza penarci troppo. Fortunatamente si abbina alle mie stesse ballerine del giorno prima e al jeans attillato che indossavo ieri.
Tenendo tutto con una sola mano, apro la porta del bagno e la richiudo poco dopo. Non l’ho mai chiusa a chiave, che senso avrebbe?
Velocemente mi faccio la doccia e mi accoccolo nel mio accappatoio. Passo una mano tra i capelli che ho lasciato raccolti per non bagnarli e mi asciugo. Sembrano passati anni dall’ultima volta che ho fatto una doccia qui, esattamente come adesso.
Il bagno è la cosa che più mi piaceva di questa casa. La vasca, enorme, è al centro della stanza proprio come si vede nelle case dei ricconi nei film, le piastrelle sui toni del blu contro le pareti si intrecciano a quelle dorate, come le rifiniture della vasca. L’aria si colora sempre un po’ di giallo per colpa delle tendine, anch’esse dorate. Solo questo bagno, è poco più piccolo dei tre di casa mia messi assieme.
Prendemmo questo appartamento anziché quello alla fine della strada perché sia a me che a Justin piaceva da morire il bagno. Era una cosa stupida, ma siccome era una delle poche cose in comune, Justin decise di prendere questa.
Mi vesto velocemente e aggiusto alla bene e meglio i miei capelli. A differenza di Justin, che prima di uscire passava ore e ore d’avanti allo specchio solo del decidere come farsi i capelli, a me è sempre piaciuto lasciarli cadere liberi sulle spalle o tenerli in una spessa treccia da un lato.
So che Justin li preferisce sciolti, così da poterci giocherellare distrattamente quindi – non senza ritenermi un po’ stupida ed arrossire di fronte alla mia immagine riflessa nello specchio, li lascio liberi.
Butto tutto nella cesta dei panni sporchi, in un angolino e poi mi dirigo verso la cucina.
Un Justin a petto nudo, ancora un po’ umido sulle piccole ma grandi e anche lievemente muscolose spalle, mi si para d’avanti, alle prese con i pancake. Ne ha disposti almeno una decina al centro del tavolo, le due cioccolate calde, una vicino all’altra, da un lato del piatto e lo sciroppo d’acero e la nutella a finire il quadretto. Ha apparecchiato per due, uno di fronte all’altro e su uno dei due piatti c’è un piccolo fiorellino bianco. Lo riconosco all’istante. Sono le margheritine che il nostro vicino ha nel giardino. Sorrido al pensiero di un Justin carponi sul prato a strapparne uno di nascosto. Per me.
Non ci accorge di me, e dopo aver posato le posate accanto a tutti e due i piatti si gira verso i fornelli per prendere l’ultimo pancake e poggiarlo delicatamente in cima alla fila al centro della tavola. Lo osservo, cauta, appoggiata all’arco della porta. Si gira ancora una volta, mostrandomi la schiena delineata e rosea mentre sciacqua tutte le cose che ha utilizzato e le posa nella lavastoviglie.
Mi avvicino lentamente e senza fare il minimo rumore mentre ripone l’ultima ciotola nella lavastoviglie e poi, fulminea, gli cingo i fianchi come aveva fatto poco fa lui con me. Odora del mio stesso bagnoschiuma, avrà fatto una doccia veloce mentre cuoceva i pancake. Lo abbraccio mentre chiude con un colpo secco lo sportello dell’elettrodomestico, poi si gira verso di me, prendendomi anche lui per i fianchi e alzandomi anche un po’ da terra.
Anche all’inizio della nostra ‘relazione’, adorava farlo ed io adoravo restare sospesa in aria per quei pochi secondi, sorretta solo ed unicamente dalle sue braccia.
“Buon appetito, piccola” annuncia, spostando poi con una sola mano – per non lasciarmi andare – la sedia di fronte al piatto con la margheritina. Sorrido sedendomi e la afferro, annusandola, per poi riporta al lato del piatto, tutta contenta.
Mangiamo tranquillamente, sorridendoci e parlando del più e del meno, proprio come una vera coppia. Tutto questo mi procura una strana sensazione nello stomaco. Piacevole, ma strana.
Improssivamente si ferma a fissare la mia felpa, come per leggerci qualcosa sopra poi, sorridendo, si batte una pacca sulla fronte, ricordando qualcosa.
“Ah, ecco!” sbotta e lo guardo sorpresa e confusa. Mi sorride.
“Quando te ne andasti la osservai per dieci minuti buoni senza capire, ora mi è tornato tutto alla mente. Eri tenera sai, infreddolita e inesperta, all’inizio” mi prese in giro, dando un morso all’ultimo pancake per poi porgermelo, chiedendomi con i gesti se ne volessi ancora anche io. Nego con un cenno della testa.
Da una parte me la sono presa che non ricordasse cose del genere, ma lascio andare ancora una volta i pensieri. Non devo essere stupida. Non ho mica dimenticato il Justin stronzo di sole due o tre settimane fa.
Ripuliamo insieme la tavola e poi gli ordino di ficcarsi immediatamente qualcosa o prenderà la febbre. In realtà non voglio che stia a petto nudo, da un momento all’altro potrei saltargli addosso e non avere più il potere sui miei sensi. Sarebbe imbarazzante, soprattutto dopo, quando arrivati alla casa discografica dovremo spiegare il ritardo ed i capelli arruffati.
Gli propongo una camicia a quadri sul giallo e sul blu, abbinandola a uno dei suoi paia preferiti di scarpe, delle supra gialle con la suola blu. Mi sorride infilandosi il tutto, con il jeans che aveva già addosso. È una meraviglia. Quando sta per virare verso il cassetto dove ha i suoi cappellini di lana, un mio ‘Mh mh’ di rimprovero lo fa ridacchiare sotto i baffi.
“Scherzavo!” mi prende in giro, scegliendo alla fine uno di quei cappellini da baseball, sempre giallo e blu.
Sexy, è dannatamente sexy anche mentre si aggiusta un cappellino sui capelli perfetti.
“Allora, andiamo piccola?” mi chiede, afferrando le chiavi della sua auto dallo vuota tasche all’ingresso.
“Come diamine ha fatto la tua macchina ad arrivare qui se noi siamo andati con quella eri alla casa discografica e al ritorno ci ha salvati zio Kenny?” chiedo, curiosa, infilandomi la giacca.
“Ha una copia delle chiavi a posta, a volte mi fa cambiare auto al ritorno da qualche parte, se vede che ci sono troppe fan” spiega, pratico.
“Ah, giusto” sussurro, mentre mi prende per mano. Anche se dobbiamo percorrere neanche venti metri per arrivare alla macchina, apprezzo il suo gesto e gliela stringo mentre chiude la porta con quattro mandate di chiave.
 

 
Guardo Justin scivolare stanco su una delle poltroncine della saletta di registrazione. Stanno lavorando sodo da stamattina alle dieci e dopo quasi dodici ore di lavoro sono tutti stremati. Quasi tutti iniziano già ad andarsene, salutandoci e augurandoci la buonanotte. Come fanno i bambini, trascino la mia poltroncina con le rotelle fino alle ginocchia di Justin, dove poggio le mani per fermarmi. Sorride nel vedermi arrivare.
“Tutto ok superstar?” gli chiedo e lui annuisce, debolmente. Chiude gli occhi e appoggia la testa contro lo schienale. Restiamo in silenzio e lo sento respirare calmo.
“Piccola?” mi richiama, dopo un quarto d’ora di silenzio. Anche io avevo chiuso gli occhi, stanca. Li riapro e me lo trovo a dieci millimetri di distanza. Dai suoi occhi è scomparsa tutta la stanchezza, sostituta da un enorme sorrisone. Sorrido anch’io, riflettendo il suo. Succede sempre così.
“Stasera ti porto una parte, ti va?” mi chiede, poggiando entrambi le mani – grandi e calde – contro le mie guancie. Annuisco e lui mi bacia leggermente le labbra.
“Non c’è bisogno di tornare a casa, prendi questo e va un secondo al bagno. Andrai benissimo” mi sussurra contento, mentre anche Pattie e lo zio lasciano la stanza esattamente come ieri. Si allontana da me, alzandosi dalla sua poltroncina e mi porge un pacchetto che non avevo notato fino ad ora. lo guardo sospetta e lui se ne accorge.
“Fidati, e sii veloce, o resteremo qui ancora una volta!” mi prende in giro, spingendomi fuori dalla saletta verso il bagno. Mi ficco dentro ed apro il pacco. Contiene uno dei miei jeans preferiti, un maglioncino elegante color rame e anche uno dei miei accessori preferiti, forse le uniche scarpe col tacco che metto molto volentieri. Sono delle decolleté di vernice, un po’ più scuri del maglioncino.
Senza farmi molte domande – probabilmente avrà chiamato Sheeren e lei avrà scelto il mio outfit ricordandosi tutti i miei capi preferiti – li indosso velocemente come mi è stato richiesto e ritorno dove lo lasciato Bieber. Anche lui si è cambiato. Indossa una camicia blu, leggermente aderente, che gli sta una meraviglia e delle supra blu. Secondo me, anche a quarant’anni continuerà a mettere quasi sempre quelle scarpe.
Mi sfila gentilmente i vestiti che ho levato da mano e li ripone in uno zainetto che lascia sotto alla console della saletta, poi chiude tutto e ci incamminiamo l’uno accanto all’altra verso l’auto. Ho di nuovo una strana sensazione allo stomaco, come se avessi la sensazione di non essermi truccata abbastanza per l’occasione o di non aver acconciato i capelli in modo adeguato; anche se è una cosa infondata, non so neanche dove diamine stiamo andando.  Neanche l’avesse avvertito, appena arriviamo alla macchina Justin mi sorride, accarezzandomi i capelli e sussurrandomi un “Sei bellissima” che mi lascia sorridente accanto alla portiera.
Il viaggio è breve, quasi immediatamente arriviamo in una piazzola allestita a garage abbastanza grande da contenere una quindicina di auto e qualche moto. Justin parcheggia velocemente e poi mano nella mano ci dirigiamo verso quello che sembra un ristorante. Leggendo il nome, ricordo di averlo sentito nominare da uno degli amici famosi di Justin, forse Taylor Swift che era stata a trovarci quando avevamo appena affittato la villetta.
Justin continua a sorridere come un ebete anche quando entriamo nell’edificio. Caldo, accogliente e sui toni del bronzo. Le pareti sono piene di quadri che non riconosco e tutto l’arredo è costituito da mogano e rifiniture di bronzo o blu. Qui e lì ci sono piccoli tavoli con dei biscotti che hanno tutta l’aria di esser stati appena sfornati, qualche bibita o prestigiose bottiglie di vino. Si rivolge al maitre, chiedendo di un certo Steve Wall. Il ragazzo bruno, con la divisa del ristorante, ci sorride riconoscendo Justin e  annuisce a sentir dire quel nome. Ci accompagna in una sala più grande, costellata di tavoli sempre in mogano apparecchiati perfettamente con tovaglie blu e bianche e bicchieri di vetro. I centrotavola sono carinissimi. Rose blu e candele bianche. Justin individua il proprio tavolo in un angolino un po’ appartato e mi ci accompagna, salutando e ringraziando il ragazzo.
Non ci sediamo ad un tavolo per due, ma ad un tavolo per quattro, occupato già a metà da una donna giovane e quello che credo debba essere suo marito, date le fedi e le loro mani incrociate sulla tovaglia immacolata. Sorrido imbarazzata presentandomi e Justin ridacchia. Bastardo.
“Sei ancora più della di come ti ha descritto, splendore! Io sono Anne-Marie, neo moglie del qui presente Steve. Siediti pure!” mi accoglie gentile la donna, bionda e snella. Posso immaginare benissimo le sue lunghe e toniche cosce fuoriuscire dal vestitino nero che indossa. Avrà si e no tre anni in più a me.
“Già, e io sono Steve. Che piacere vedervi, non finirò mai di ringraziarti. Il capo vuole darmi il triplo del mio stipendio come extra per questo scoop, è il miglior regalo di nozze che potessi ricevere!” si anima il ragazzo, anche lui in camicia. È giovane come la moglie e quasi piange dall’emozione nel vederci lì, con loro.
“Ora che siamo qui, posso sapere di che diamine state parlando?” chiedo confusa, sedendomi su una delle due sedie lasciate libere. Justin sorride, sedendosi accanto a me e risponde, subito dopo aver lanciato un occhiata a Steve.
“Steve si è sposato da poco, è un mio amico di scuola e il capo della rivista per cui lavora voleva licenziarlo perché non aveva più scoop da una vita ormai, impegnato nel matrimonio – e qui sua moglie sorride al proprio marito, dolcemente – allora ho colto la palla al balzo per raccontare uno scoop nuovo di zecca..” spiega, lasciando la frase a metà.
Lo guardo in attesa di sapere quale sia questo scoop ma il nostro scambio di sguardi viene interrotti dalla voce di Anne-Marie.
“Allora è vero, state davvero insieme e lei non è tua cugina?” chiede, innocente, senza sapere di aver causato in me una tempesta.
“Vuoi davvero farlo?” chiedo sorpresa, a un passo minuscolo dalle lacrime. Lacrime di felicità. Justin vuole dire di me al mondo intero.
“Perché no?” sussurra tranquillo e, scusandosi con un gesto della mano con gli altri due al tavolo che sorridono in ricambio, si sporge verso di me regalandomi uno dei baci più dolci che abbia mai ricevuto. 



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Capitolo 16
*** Being happy. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
merda. già, mi sa che sono ancora nella merda.
so bene di aver promesso di postare più spesso ma è stato un periodo abbastanza .. tormentato, ecco. e ho lasciato il capitolo a metà per settimane. fino a stamattina. finita la scuola, ho ripreso in mano le redini della mia vita sociale e ho cominciato a scrivere, e da quelle scarse 2000 parole che word gentilmente mi segnalava sono arrivata a 5000. non scherzo, sono davvero 5000. :')
sono cambiate tante cose da quando ho postato.. storie che nessuno consoceva hanno superato la mia in quasi tutte le liste, ho perso parecchi preferiti, quasi una trentina. ma sapete cosa? meglio pochi ma buoni.
ringrazio tutti quelli che nonostante la mia - odiosa - pausa continueranno a leggere la storia. e mi sa che è doveroso fare un riassunto.
quindi vi lascio al riassunto e poi al capitolo :)


grazie mille di tutto, davvero.

a prestissimo!
con amore,
-Andrea.
@swagonciastin su twitter e su instagram, seguitemi!) ♥



Abigail, detta Abby è nipote della guardia del corpo di Justin Bieber, cioè Kenny che decide di affidare lo stile della superstar alla nipote, in quanto brava nel campo della moda. I due finiscono quasi subito al letto, incastonati nel circolo vizioso dell'atrazione fisica ma lei, inguaribile romanticona, ci resta completamente immersa e ci si innamora soffrendo come un cane quando nelle loro vite compare una 'tizia', Dominique, capelli biondo ossigenato e gonne inguinali che diventerà un'altra amichetta di letto della superstar che però non riuscirà comunque a tenere le mani lontano da Abby che, a sua volta, innamorata si lascerà trasportare. Quando Abby decide che tutto ha un limite, torna dalla sua famiglia dopo aver confessato tutto a Justin e scopre, in contemporanea con Bieber, che in realtà Dominique era un'attrice ingaggiata dalla migliore amica di Abby, Sheeren e dai suoi due fratello, Tomhas e Derek. Quindi Bieber, credendo di averla persa per sempre, capsice in realtà quanto tenesse a lei e decide, sotto influsso dei suoi migliori amici, di organizzare una festa per distrarsi. Nel frattempo Abby, ormai a casa e intenzionata a levarsi dalla testa Justin, incontra Chris e crede di esserne attratta ma decide di tenersene lontana visti i precedenti. Quando Chris decide di portarla ad una festa, lei viene a scoprire che è proprio quel Chris tanto amico di Bieber e si ritrova sotto casa sua. I due fanno pace, cambiandosi un bacio dopo il quale Justin le dichiara fedeltà e le chiede scusa per tutto, lei lo perdona ma è ancora titubante. Il giorno seguente, Justin va a prende Abby a casa per portarla alle prove del suo nuovo disco ma la trova a baciarsi con Chris, che nel frattempo aveva preso una cotta per la sottoscritta. Chris confessa di aver baciato lui Abby, e che quest'ultima non c'entri niente. I due fanno ancora una volta pace e felici e contenti dichiareranno alla stama di stare finalmente insieme :)




Il passato riaffiora, il passato fa male. I ricordi, le foto, i tormenti. Ma infondo, tutto ciò che abbiamo fatto, abbiamo vissuto, abbiamo scelto, ci ha portato tra le mani ciò che oggi facciamo, viviamo e scegliamo. Come potremo dimenticare, come potremo scegliere qualcosa di diverso, amare qualcun altro? Come potrei io, tornare indietro e scappare via da Justin prima di restare scottata?
Ho sempre pensato che se avessi avuto la possibilità di tornare indietro avrei cancellato la possibilità di incontrare Justin dal mio destino ma ora, qui, tra le sue braccia e immersa nel suo amore, tra le sue lenzuola senza aver fatto l’amore… ora, come potrei dire lo stesso? Ora che il dolore per le bruciature sembra ovattato, quasi un piacevole brivido sottopelle? Come potrei?


 
16.


Abigail.


Alzarmi di prima mattina non era mai stato il mio forte, ho sempre odiato farlo. Quell’aria fresca che solletica facendoti venire la pelle d’ora, quel cielo chiaro, quasi incolore. Eppure questa volta qualcosa mi ha spinto fuori dal letto alle sei e mezza del mattino. In venti miseri minuti ho preparato la colazione a Justin alla bene e meglio, ma manca il pezzo forte. Guardo l’orologio per l’ultima volta. Le sette e sette. Si può andare, a passo lento.
Quasi a rallentatore, giro le chiavi nella toppa della porta di ingresso  e sento già nei polmoni l’odore della brina. Mi faccio coraggio e  stringendomi in un giubbino di jeans di Justin mi incammino verso l’edicola all’angolo.
Il signor Tingler mi accoglie con un sorriso silenzioso, allo scoccare delle sette e un quarto. In perfetto orario, Abby!
Ancora indaffarato ad ordinare i giornali del mattino, appena scaricati, mi chiede cosa mi interessi, con un tono che lascia intendere quante poche volte da sei mesi a questa parte ci siamo ritrovati insieme lì, per di più a quest’ora. In effetti, ci siamo visti davvero poche volte, e ricordo di aver comprato solo una volta in questo posto. Eppure il signor Tingler mi aveva presa a cuore, mi sorrideva come un padre che vede la propria bambina fuori scuola ogni volta che passo per l’edicola.
“Anzi, forse so bene perché sei qui. Diciamo che offre la casa” continua, sorridendo ancora – come diamine fa a quest’ora?! – e porgendomi una rivista, o megliola rivista completamente sigillata e immacolata. Con mani tremolanti l’afferro, ricambiando tutto quel buonumore.
“Ne potrei avere due? E comunque non vale, glielo devo!” affermo convinta poggiando le monete sul bancone dell’edicola. E di nuovo il gentil signore mi sorride passandomi un’altra rivista, come se potesse leggere la mia agitazione da quindicenne e prendersene gioco scherzosamente.
Non avevo ancora guardato la rivista. Non l’avevo analizzata, letto i titoli degli articoli, visto la foto in copertina. Per evitare reazioni, preferisco tornare prima a casa. Decisamente a passo svelto, ringrazio il signor Tingler e mi dirigo al mio appartamento.
E se son venuta con qualcosa fra i denti? E se il sorriso di Justin mi offusca? E se quel tizio della cena si è inventato tutta l’intervista scrivendo di me come una che vuole rubargli soldi e fama? E se invece al contrario sembrassi una deficiente?
Smettila Abby.
Quasi camminando sulle punte mi dirigo in cucina, con le due copie della rivista strette al petto manco fossero due preziosi tesori. Le poggio sul vassoio fingendomi distratta dai toast con la marmellata che avevo preparato per Justin; mi affretto a cacciare i croissant dal microonde dove li avevo lasciati per non farli freddare, insieme ai due caffellatte.
Da brava mammina, aggiungo anche una mela al tutto. Mi incammino verso la camera da letto in cui io e Justin avevamo dormito. Già, dormito. Senza preliminari, senza passione. Solo.. amore, ed è stato fantastico. Le lenzuola lo avvolgono fino a metà petto, lasciando intravedere la leggerissima peluria bionda del petto e qualche tatuaggio, un ormai quasi-scomparso succhiotto all’altezza del pettorale destro – avvampo – e quel viso angelico. Sorride leggermente anche mentre dorme.
Appoggio silenziosamente il vassoio sul ‘mio’ comodino. Lo definisco mio perché ci sono i miei occhiali da lettura che uso la notte, per leggere qualche riga prima di addormentarmi, Il Seggio Vacante della mia dea Rowling e una foto di Justin e me portata dalla mia ex camera.
Carponi, salgo sul letto fino ad arrivare a toccare con le ginocchia un suo fianco caldo coperto dal lenzuolo azzurrino. Datemi cinque minuti e gli salto addosso.  Sa essere così dannatamente sexy anche mentre dorme innocentemente. Lo accarezzo lentamente con i polpastrelli, dall’attaccatura dei capelli, alla punta del naso perfettamente dritto, alle labbra piene e morbide, il collo liscio e infine i pettorali leggermente scolpiti. Lascio la mano sul suo petto, ad ascoltare il suo battito. Tum tum. Tum tum. Tum tum.
“Buongiorno, paradiso” oh mio dio. Scattai ritta a sedere sul letto, con sguardo colpevole e il cuore a mille.
“Mi hai fatto spaventare a morte, Justin, diamine!” lo ammonisco, buttandomi poi su di lui che mi accoglie a braccia aperte, stringendomi contro il petto. Ci divideva solo il lenzuolo. Il suo corpo nudo, il lenzuolo, e il mio coperto ancora dai leggings neri, la canotta e il giubbotto di jeans.
Mi sfilo con non poca fatica quest’ultimo lanciandolo, o meglio, con l’intenzione di lanciarlo su una poltrona accanto la cabina armadio, ma con il risultato di un giubbotto sul pavimento.
“Che schiappa amore” oddio, il cuore, oggi vuole proprio uccidermi. Nascondo il viso contro il suo petto, sotterrando un ‘ti amo’ nella mia gola. La sua risata cristallina fa vibrare i miei timpani nella maniera più dolce possibile.
“Hai preparato questo per me Abby?” chiede, tra lo stupito, il divertito, e il felice.
“Nah, ho deciso di metter su qualche kilo” lo prendo in giro, alzandomi e prendendo il vassoio.
“Dai, sembro un malato se non lasci neanche che prenda un vassoio” risponde a tono, pizzicandomi un fianco. Anche lui ora siete dritto sul materasso che cigola leggermente e blocca per un minuto intero lo sguardo sulla rivista. Ah, me ne ero quasi dimenticata. È arrivato il momento.
Porto anche io lo sguardo su una delle copie, afferrandola per guardarla da vicino.
Io e Justin, a quel tavolo durante quella cena sorridiamo ai lettori con la felicità negli occhi. Nuova fiamma per il ragazzino di Baby. Quella nuova fiamma, ragazzi e ragazze, sono proprio io.
Mi passa per la testa l’immagine di me con i capelli bianchi, seduta in veranda a bere thé freddo e raccontare ai miei nipoti di questa storia, di come una tizia con qualche nozione sulla moda perse la testa per la pop star più famosa dell’epoca e se la portò a letto sfociando in una storia d’amore. Perché ormai è chiaro, è una storia d’amore quella tra me e Justin, vero?
Guardo la foto e noto che io e Justin abbiamo molte cose in comune. Gli occhi chiari, la carnagione da mozzarella, le labbra piene e un sorriso smagliante di felicità. Adoro quel sorriso.
“Siamo belli, eh?” sussurra, come se riuscisse a leggermi nel pensiero e sinceramente ultimamente lo sospetto.
“Tu lo sei, io sembro anemica e deficiente” sbotto, ricavandone un altro pizzico.
“Smettila di dire stronzate!” mi risponde, con una nota di sincero disappunto. Gli sorrido, per poi tornare alla rivista. Faccio scorrere l’indice sul titolo dell’articolo e cerco la pagina su cui continua. Pagina 6. Bel numero.  Mi ci fiondo come se fosse l’unica cosa per salvare l’umanità da una pioggia di meteoriti e con la coda dell’occhio vedo Justin avere comportamenti simili.
Tutto ciò che leggo è ciò che è uscito per davvero dalla bocca di Justin, mi definisce una ragazza radiosa e solare, romantica, dolce, buona, simpatica, affidabile e sincera, una perfetta coinquilina e cuoca. La ragazza perfetta. Un calore nuovo mi scalda completamente. Sapere che Justin mi vede così mi rende più felice del signor Tingler di prima mattina.
Dopo quasi una pagina intera prendo parola anche io. Dopo aver definito con solo tre parole Justin, sia a lavoro che nella vita privata – disordinato, infantile, bello – Justin parla della nostra storia. Ovviamente, non può dire tutta la verità. Afferma che la storia della cugina era tutta una bufala, che sono la nipote di zio Kenny e che sono la ragazza a cui tiene di più. Aiuto. Molto probabilmente rispose a questa domanda mentre ero in bagno altrimenti sarei svenuta lì, in quel ristorante.
“Hai visto, non sembri una deficiente!” mi canzona lui, finendo di leggere prima di me – ogni cinque righe venivo catturata dalle immagini di me e Justin proposte nelle pagine .
“Sono davvero la ragazza perfetta?” gli chiedo, avvicinandomi un po’ a lui. Solo ora realizzo che ancora devo baciarlo, il che mi manca da morire.
“Se non lo fossi non saresti qui con me, ora, dopo tutto” sussurra, come se si vergognasse e afferra uno dei toast alla marmellata. Mando giù come un boccone amaro i flash back senza dargli troppo peso e inizio a mangiare anche io.
“Hai spento gli occhi, fiorellino” prende il vassoio dalle mie ginocchia posandolo sul materasso – quel caffellatte ha davvero rischiato la vita – e mi prende per i fianchi. Mi avvicina a sé e appena ne ho la possibilità mi accoccolo contro il suo petto, sperando che il passato possa passarmi di mente.
“Mi affligge, Justin. E se un giorno ti innamorerai di un’altra? E se tornassi ad essere il Justin di una volta?” mormoro, come se avessi paura delle mie stesse parole. Si irrigidisce tra le mie braccia e non posso fare a meno di crollare.
“Mi sa che è arrivato il momento.. sono così teso, dio” farfuglia, incespicando con le parole. Ecco, ora mi dice che in questi tre giorni che stiamo insieme si è sentito con un’altra. O che una di quelle ochette è incinta, o che non vuole più vedermi. Aiuto.
“Aspettami qui, ok?” e mi lascia sola sul letto matrimoniale a guardare il caffellatte.
Lo sento armeggiare con i cassetti. Aprirli, chiuderli, imprecare contro il terzo della cassettiera dell’ingresso – è difettoso da sempre – e alla fine esultare. Ok, caro caffellatte, mio fedele  e taciturno compagno d’attesa, la cosa inizia a farsi interessante e inquietante al tempo stesso. Mi batte così forte il cuore, come quando manchi uno scalino, come quando hai l’esame più difficile della tua vita, come quando Justin Bieber entra dalla porta della vostra camera da letto con una scatolina rettangolare e sottile rossa, ben impacchettata. E se mi chiede di sposarlo?!
Non fare l’imbecille, Abby.
“Lo so, è una sciocchezza, ma mi sono reso conto che da quando ci conosciamo non ti ho mai fatto un regalo serio, e quindi..” e qui mi passa la scatola. Assomiglia così tanto a un bambino che confessa alla madre di aver fatto qualcosa di sbagliato che mi viene voglia di dirgli che è tutto ok, che non sono sua madre e lo coprirò.
Afferro la scatolina con mani tremanti, ma non pesa quasi per niente. Sembra vuota, o comunque qualsiasi cosa sia lì dentro sembra inconsistente, non pesa e non fa alcun rumore contro le pareti di cartone. Se è uno scherzo gli spezzo il collo come si fa con le galline.
“Oh avanti Abby, metti più ansia di Chi vuol esser milionario!” sbotta, sorridendomi contento. È contento. Quindi è qualcosa che non mi farà arrabbiare. Ok, basta, apro.
Sollevo il coperchio minuscolo e scarlatto, portando alla luce una di quelle bustine gialle della posta, quelle che puzzano e che bisogna leccare per chiuderle. Cos’è, una multa da pagare?
“Justin ma cosa diamine…” inizio, ma ovviamente mi blocca.
“Puoi aprirlo e basta, per favore?” mi supplica, prendendo da sé la busta delle poste e gettando in un qualche posto indefinito della stanza la povera scatolina. A questo punto la apro e basta.
Strappo via un bordo della busta – “Fai attenzione, fiorellino, potresti rovinarli!” – e ne escono quattro biglietti, due andata e due ritorno. Biglietti aerei. Biglietti aerei , per due persone, per Londra. Londra.
Insieme ci saremo stati probabilmente un miliardo di volte, ma quante volte ho potuto coronare il mio sogno di viverla senza chissà quante sfilate, premiazioni, prime d film, concerti. Quante volte ho sognato di baciarlo lì, d’avanti la folla, nel bel mezzo di Oxford Street? O fare con lui un giro sul London Eye? O semplicemente essere nel mio mondo con lui?
Mai. Ecco quante volte, mai.
“Come facevi a saperlo?” chiedo stupita, fissando i biglietti come se potessero parlarmi.
“Zio Kenny. Ma l’idea è stata mia!” si appresta a chiarire, proprio come un bambino che vuole farsi perdonare. L’impulso di abbracciarlo così forte da fargli male non è ancora arrivato neanche al cervello, quando sono stretta tra le sue braccia. Al sicuro. A casa. In paradiso.
“Ah, il mio ragazzo” sussurro, sprofondando nel suo petto come se non ci fosse un domani.
“Il tuo ragazzo” ripete, e il suono che esce dalla sua bocca è diecimila volte più armonico di quello uscito dalla mia, diecimila volte più bello, diecimila volte più suo e.. perfetto.
“Mio” ripeto a mia volta, guardandolo fisso negli occhi. Ti amo.
“Justin, io..” non so bene chi mi ha fatto aprire le labbra, ma ho sentito il bisogno di farlo, ed ora, qui, tra le sue braccia, non riesco a dirgli la verità. Non riesco a dirgli che lo amo, diamine, lo amo più di ogni altra cosa.
“Cosa, fiorellino?” mi incita, sfregando il suo naso contro il mio. Voglio morire così, lo giuro.
“Io.. ecco vedi, io mi stavo chiedendo dove alloggeremo, ecco” farfuglio. Nei suoi occhi si legge bene che ha capito tutto, che ha capito che sto mentendo ma, dopo avermi scrutato un po’, lascia perdere sorridendomi rassicurante.

 


Justin.

La conosco. Ormai sono anni che quasi viviamo assieme, che andiamo a letto insieme e tutto. Si vede che mente ma non voglio rovinare nulla.  Non voglio rovinare questa settimana da soli, questo nostro tutto. Non mi va.
Infondo che colpa posso darle? Io non riesco a dirle neanche ti amo..
Dio, quanto la amo. Come ho fatto a maltrattare qualcosa di così bello per tutto questo tempo?
Dentro di me non lo avrei mai ammesso, ma probabilmente l’ho sempre amata. Ero ancora condizionato dal mio essere una superstar mondiale, ho dovuto solo ritrovare il Justin che scrisse Never Let You Go. E grazie a lei, ce l’ho fatta. Lei è stata il mio ossigeno sotto l’immensa pressione dell’oceano. Mi ha salvato dalla melma in cui stavo sprofondando con il suo sorriso pieno.
Da quando Martha mi confessò la storiella della messa in scena, mi sono sentito sempre un verme nei suoi confronti, sempre in debito per tutto ciò che le ho fatto; e lei ha solo un enorme cuore per permettermi ancora di stare con lei. È un angelo, ecco cosa.
“Anzi sai cosa, non importa, basta che siamo insieme!” sbotta all’improvviso, sorridendo ora come una bambina e buttandosi sul vassoio ancora pieno per addentare il suo croissant.
Giusto, me ne ero quasi dimenticato.
“Mi darai una mano a fare la valigia, vero? Non ne sono capace, nonostante gli anni…” sussurro imbarazzato e la sento ridacchiare mentre mangia. Che suono melodioso e perfetto.
“A proposito quando partiamo?” chiede tornando con lo sguardo sui biglietti momentaneamente abbandonati in uno degli angoli del vassoio.
Ecco, ora verrà il panico.. tre, due, uno..
“Diamine Justin, ma è domani mattina alle sette!” e improvvisamente schizza giù dal letto facendo volare in aria i biglietti e le riviste – fortunatamente il vassoio e il suo contenuto restano saldamente ancorati al letto – e si precipita fuori dalla stanza.
Già la vedo lì, nel ripostiglio a pescare le valigie, fin troppo evidenti in quanto le usiamo più del dovuto. Sento le ruote di queste scricchiolare sul parquet del corridoio e poi finalmente torna nella stanza.
“Bene, uomo di casa. Iniziano i lavori forzati!” e finisce tutto con un sorriso abbastanza malefico.
 
“Ti prego, pietà!” sussurro stremato, poggiandomi sull’espositore degli assorbenti del centro commerciale. Qualcuno mi salvi.
“E se mi viene e non li ho? Sai che disastro girare per Londra tutta sporca di sangue mestruale?!” mi urla contro e qualcuno si gira verso di noi guardando prima lei, poi me. Cazzo. È successo già sei o sette volte.
Non solo siamo stati pressoché mezz’ora a scegliere qualche crema formato mini sia più adatta all’idratazione notturna della pelle di Abby (anche se per me è già perfetta così), a fare scorpacciata di medicinali vari, ora mi toccano anche gli assorbenti e per la decima volta qualche assalto di flash.
Ho cercato di mimetizzarmi. Ma fino a quanto posso mimetizzare una star mondiale?
Un signore grassoncello e dall’aria tutt’altro che contenta, mi si avvicina con una testolina bionda alle sue spalle. Avrà si e no tredici anni e mi guarda sognante dietro gli occhiali. Mi scappa un sorriso.
“Hei, Justin Bieber, ti ha riconosciuto subito, è molto timida. Potresti..?” il signore, con tono semi-supplichevole, mi passa quello che sembra il foglietto della lista della spesa.
“Certamente, come ti chiami piccola?” mi sporgo verso la ragazzina, che ora sorride ancora di più.
“Io.. io mi chiamo Angel” sussurra imbarazzata e sorride.
“E somigli anche ad un angioletto!” sbotta Abby, ricambiando il sorriso e porgendomi uno di quei pennarelli indelebili che ha sempre con se. Dove sarei io se non avessi te, amore mio?
Oh, ehm, grazie Abby” mormora rossa in viso Angel e vedo Abby spalancare gli occhi. È sorpresa, è contenta. È bellissima.
Scrivo velocemente sul foglietto e poi lo porgo alla ragazzina che lo stringe felice.
“Grazie mille, Bieber!” e se ne vanno, anche se sembra che la ragazzina cammini a un metro da terra, tanto  è felice.
“Mi ha riconosciuto!” sorride entusiasta Abby e, senza neanche pensarci o rendermi conto che siamo in mezzo alla folla e tutti potrebbero iniziare a scattare, a chiedermi e fare domande, l’afferro per i fianchi e la bacio.
“Le nostre immagini stanno già facendo il giro del mondo, siamo io e te, insieme” sussurro e lei non potrebbe essere più felice.
“Quanto suona bene..” si lascia scappare, abbracciandomi e poggiando la testa contro la mia spalla.
Ridacchio e la stringo forte: “Allora, piccola, scelti questi dannati aggeggi?”
“Oddio hai ragione!”
E per un’altra ora andiamo avanti così. Riusciamo a prendere gli assorbenti, il deodorante, il dentifricio e gli spazzolini nuovi. Se non ci fosse stata lei non avrei neanche saputo scegliere cosa portare.
“Bene, quale bagnoschiuma preferisci?” è di fronte ad una parete coperta da scaffali sommersi da mille diversi bagnoschiuma in formato viaggio.
“Quello che hai scelto per te va benissimo” affermo esausto, ma poi mi avvicino a lei “Tanto se ne prendessi uno diverso si mischierebbe lo stesso con il tuo, mentre faremo la doccia insieme” mormoro prendendola per i fianchi, da dietro, e baciandole quella porzione fin troppo sensibile che ha dietro l’orecchio. Rabbrividisce. Sorridendo, continuo, mordendole il lobo e la sento trattenere un gemito – invano – mordendosi le labbra. Sento tutto il sangue del mio corpo fluire verso il basso ventre e ringrazio Dio di essermi messo uno di quei pantaloni larghi sulla patta, altrimenti avremo avuto un serio problemino. Altro che sangue mestruale a Londra.
“Justin diamine, siamo al centro commerciale!” e purtroppo è già tornata in sé.
“Allora andiamo a pagare e fuggiamo via da questo inferno!” la supplico e, vedendo la malizia nei miei occhi mi sorride.
“Okay, andiamo alla cassa, ma tu calma – per ora- i bollenti spiriti” mi fa l’occhiolino per poi scendere con lo sguardo sul mio inguine. Cazzo, mi sa che i pantaloni larghi non sono serviti a niente. Comunque sia, colpa sua.

Quella mattina la sveglia mi sembra un martello pneumatico. Io e Abby avevamo passato l’intera giornata di ieri a selezionare qualsiasi cosa, anche ciò che sembrava meno utile possibile dopo di che siamo passati ai vestiti e qui Abby, come suo solito, ha dato il suo meglio. Distinti per quaranta cambi d’abito a testa, si era decisa che forse sarebbero bastati per una settimana e abbiamo iniziato a fare le valigie. Dio mio, è stato così difficile.
Far entrare tutto ciò che ti serve in una settimana che non sei a casa in uno spazio poco più grande di un cassetto è stata una delle imprese più dure della mia vita, ma per fortuna Abby era proprio accanto a me che, ogni qual volta infilassi qualcosa nella mia valigia, e puntualmente sbagliavo, era pronta a prendermi in giro e trattenendo una risata mi correggeva.
Durante le registrazioni o qualche spot pubblicitario a cui avevo partecipato mi era toccato anche svegliarmi prima e fare le ore ancora più piccole, ma un lavoro del genere è riuscito a sfinire sia me che Abby, facendoci crollare nel giro di una manciata di secondi.
Non avendo la forza fisica di alzare  un braccio dai fianchi di Abby, grugnisco, sperando che lei, come tutte le poche mattine che abbiamo passato insieme, facesse questo sforzo per me. La sento gemere ancora in dormiveglia, per poi alzare flebile una mano e colpire una sola volta in modo deciso la sveglia che smette immediatamente di torturare i nostri timpani.
“Ti dico un segreto, non odiarmi” mi sussurra, la voce ancora impastata dal sonno, girandosi lentamente verso di me e strofinando le labbra contro le mie. Mai più di ora, non troverei mai le forze di alzarmi da questo materasso.
“Spara” sbotto, assecondandola nei movimenti e cercando di attirarla sempre più a me. Le sue gambe tra lei mie, le nostre braccia incrociate e i respiri l’uno nell’altro. Più di così potremo diventare solo un’unica cosa.
“Ho messo la sveglia un’ora prima. Ieri abbiamo dovuto fare le cose di fretta e.. si, mi andava di provare quelle cose della doccia. Sai, bisogna allenarsi, si può scivolare, si può cedere” e dicendo queste parole rifugia il viso in quei pochi centri menti tra il mio collo e il materasso. Tipico di Abby, sfacciata ma al tempo stesso timida come una bambina. Quasi la posso vedere arrossire contro il copriletto chiaro e mi viene da sorridere.
“Mi sembra un’ottima idea, Abigail. Non sia mai succeda qualcosa di grave” dico in tono solenne sfuggendo alla sua presa e scivolando giù dal letto con un’energia nuova, fresca  e genuina uscita da chissà dove. Quella ragazza, che lo voglia o meno, che lo faccia in maniera provocante o no, riesce a svegliare il meglio di me,a  portare fuori un sorriso, la voglia di ridere e fare cose belle e piacevoli.
Caspita, se la amo.
Sento i suoi passi dietro ai miei mentre corro nel corridoio verso il bagno. So quanto Abby adori quel bagno. La luce che filtra dalle tendine dorate colora sempre la stanza di un giallino tenue, rilassante e eccitante allo stesso momento. Come se si fosse a lume di candela.
Quando apro la porta il suo piede la blocca prima che possa chiudersi alle sue spalle e l’afferro deciso con entrambi i palmi dietro la sua schiena, spingendola verso di me e facendole notare chi si era svegliato con noi quella mattina. Geme contro la mia clavicola e credo di impazzire.
“Fammi tua, anche nella vasca” sussurra e si, impazzisco.
“Siamo in ritardo, diamine!” sbotta Abby, trafficando da una stanza all’altra per vedere se abbiamo preso tutto, mentre si infila la tuta che aveva scelto per il viaggio.
Nonostante sia una cosa così semplice, pantaloni grigio chiaro, t-shirt aderente blu con un minuscolo scollo a v e una felpa dello stesso colore dei pantaloni, è sempre una dea.
“Colpa tua!” ammicco, sorridendo malizioso e lei arrossisce urlandomi un “Ne è valsa la pena!” mentre infila nella sua borsa i due kway.
“Tutto pronto, perfetto. Tu sei pronto?” mi dice guardandomi. Anche io indosso dei pantaloni larghi e una semplice t-shirt bianca, per stare comodo. Il viaggio è lungo e molto probabilmente io e Abby finiremo per aggrovigliarci sui sediolini come ogni volta.
Il volo è privato. Saremo in pochi su quell’aereo, si e no dieci persone. Nessuno si preoccuperà di noi, con molta probabilità nessuno farà neanche caso a Justin Bieber e alla sua nuova – bellissima – ragazza.
Annuisco sorridendole e prendo entrambi i bagagli. In silenzio li trascino nel corridoio seguito da Abby, sento la sua trepidazione e la sua eccitazione anche a metri di distanza.
“Sono così contenta, non mi sembra vero. Solo io e te, e  Londra!” sbotta tutta contenta, infatti, appena entriamo nell’auto e si allaccia la cintura. Sembra una bambina alla quale hanno promesso di andare al lunapark.
“Ed io sono contento che tu sia contenta” le sorrido, ingranando la marcia e partendo. La cittadina a quest’ora è ancora spenta. Non è aperto nessuno, i lampioni sono le uniche forme di vita, ancora accesi dalla notte precedente che riflettono la loro luce giallognola sull’asfalto umido di brina.
Per questo avevamo scelto questo posto come rifugio per registrare. Ormai sono anni che veniamo qui mentre registro e più di qualche autografo non è mai successo niente.
Se fossi andato ad un centro commerciale, per esempio, di Londra, molto probabilmente non ne sarei uscito vivo o comunque con tutte le ossa al loro posto. E poi si sta bene qui, l’aria fresca, le strade libere dal traffico, il sole quasi tutto l’anno. Si sta bene.
“A che pensi?” chiede Abby, guardando fisso una mappa di Londra che aveva scaricato e stampato quella mattina. Si, assomiglia proprio a una bambina a cui hanno promesso di andare al lunapark.
“A tutto il tempo durante il quale abbiamo convissuto in qualche hotel, o in questa casa” sussurro, guardando la strada. Mi fa strano parlare ad alta voce in questo silenzio mattutino.
“Basta pensare al passato, Justin. Conviviamo ora, viviamoci ora” mi risponde lei, sporgendosi per lasciare un bacio delicato e dolce sulla mia guancia.
“Devi essere un angelo per avermi perdonato tutto” il mio tono è di rimpianto, pieno di sensi di colpa. Non avrei mai dovuto trattarla come un oggetto. Lei è perfetta, in tutto. Ha un fisico mozzafiato, e un carattere così dolce e divertente che starei ora a guardarla vivere nel mondo senza stancarmi mai.
“Forse lo sono, ma non mi interessa. Tutto quello che voglio essere adesso è la tua ragazza. Fine” e il discorso finisce così, con me e lei che ci sorridiamo guardandoci negli occhi. Sono giorni che va avanti così e ancora non mi sembra vero. Poterla guardare così intensamente e provare tutto quell’uragano di emozioni nello stomaco. È fantastico.
 


Abigail.
 
“Siamo arrivati vero?” è l’ottava volta che lo dico, rannicchiata contro il petto di Justin. Da ormai ore avevo lasciato la mia postazione per sedermi con lui. Siamo otto persone nell’aereo, uno di quelli più piccoli che Justin ha quasi sempre usato per muoversi senza creare troppo scompiglio, almeno sull’aereo.
“No, piccola” mi sorride divertito “ appena sentirai gli altoparlanti dire di allacciarci di nuovo le cinture, allora si, saremo quasi arrivati” e mi accarezza dolcemente una guancia, quasi come se mi stesse cullando.
Di solito dormo mentre voliamo, non ho mai avuto paura dell’aereo, anzi, mi ha sempre rilassato. Ma questa volta non ho chiuso neanche mezzo occhio. Mi sono lasciata coccolare da Justin e dalle immagini di me e lui a Trafalgar Square, da soli, esattamente come due innamorati.
“Vuole un altro bicchiere di tè freddo alla pesca, signorina?” mi chiede l’assistente di volo, spingendo il carrello delle bevande per lo stretto corridoio tra le poltrone ampie e comode.
“Si, grazie” dico afferrando il bicchiere gelato che la bionda mi porge cordiale e iniziando a sorseggiare il contenuto, imbronciata proprio come una bambina stufa di aspettare.
“Meriti una foto” ridacchia Justin, infilando la macchina fotografica professionale che si porta un po’ ovunque intorno al collo e scattando due o tre volte l’immagine del mio viso, imbronciato, intento a bere.
“Voglio scendere e visitare Londra con te” dico, fingendo un tono da bambina viziata e scatenando in lui una risata melodiosa e viva.
“Sei troppo tenera, piccola. Mi viene voglia di mordere queste guancie piene che hai” mi sussurra imbambolato, giocherellando con la fossetta che mi si forma sulle guancie quando sorrido o aspiro dalla cannuccia. Lo ha sempre fatto. Anche quando andavamo semplicemente a letto, una volta soddisfatti iniziava ad accarezzarmi leggero con il polpastrello proprio nel punto preciso in cui, sorridendo, sarebbe poi uscita quella fossetta che ha sempre amato. Ho sempre pensato che abbia iniziato a tenere prima a lei e poi a me.
Mi lasci andare nei suoi occhi e sulle sue labbra, che delicate indugiano sulle mie facendomi impazzire.
“Ti prego” gemo, e – finalmente- ridacchiando le posa sulle mie iniziando le danze.
Ancora devo abituarmi al fatto che dopo un bacio non finiremo obbligatoriamente in un letto, che non finirò con il piangere al cellulare con Sheeren mentre Justin va a sbattersi qualcun altro.
“Ti amo” ecco, mi sono decis.. aspetta. Non l’ho detto da sola. Ho sentito anche la sua voce sussurrare quelle due semplici parole contro le mie labbra.
“Ridillo” sussurriamo ancora, insieme, scoppiando a ridere l’uno contro l’altro.
“Non ci credo..” fa lui, guardandomi come se fossi la cosa più bella del mondo, la luce del sole dopo una settimana di tempesta, il cioccolato dopo un mese di dieta.
“Credici, Justin. Ti amo, infinitamente. Da sempre” confesso, guardandolo fisso negli occhi. Ce l’ho fatta. Gliel’ho detto.
“Anche io, angioletto, lo giuro” mormora contro il mio orecchio e quasi dimentico di essere su di un aereo, aspettando di atterrare nella città dei miei sogni, mano a mano con lui- non importa più dove siamo, dove andremo, cosa faremo. Mi ama, ed io amo lui. Improvvisamente la voce metallica che fuoriesce dagli altoparlanti ci riporta alla realtà, facendoci allontanare l’uno dall’altro per scoprirci arrossati in volto ed emozionati.
Mi allaccio la cintura e vedo Justin fare lo stesso, più felice che mai; sapere che sono stata proprio io a procurargli quel sorriso mi fa stare dannatamente bene.
“Sei felice?” mi chiede, sincero. Come potrei non esserlo, ora che so che mi ami come io amo te?
“Mai stata più felice di così, Justin” e lo bacio ancora, sentendomi in pace con il mondo e con me stessa.

  

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Capitolo 17
*** She don't like the lights. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
buongiorno ragazzzzzzze. :)
come promesso, non ho aggironato dopo tre mesi, sono stata veloce ed è venuto anche pittusto lungo.
mi dispaice per eventuali errori, perchè presa dalla smania di postare l'ho riletto davvero in fretta e mi scuso anche se fa un pò schifo. 
grazie mille a tutto quello che fate per me, le recensioni, le quasi mille visualizzazioni all'ultimo capitolo nonostante io l'abbia postato dopo mesi. siete fantastiche e siete la ragione per cui scrivo. davvero, grazie mille.


grazie mille di tutto, davvero.

a prestissimo!
con amore,
-Andrea.
@swagonciastin su twitter e su instagram, seguitemi!) ♥


 
She don’t like the fame, baby when we’re miles apart
And she getting to the point where it’s too much for
And she wanna trhow us alla way, it’s too much for
She can’t hide away cause the world knows who we are

She don’t like the lights.



 
 
17.
 


Abigail.

“Oh, mio Dio. Scherzi? “ è tutto quello che riesco a dire.  Scesi dall’aereo, siamo usciti da un’uscita secondaria per non farci notare – cosa che comunque non è andata a buon fine perché tra flash e autografi abbiamo perso venti minuti – e abbiamo preso un taxi dai vetri oscurati per arrivare.. qui. Nel paradiso.    
Non credo di essere esattamente nel centro di Londra, dall’aeroporto ci abbiamo messo due ore per arrivare qui e sinceramente ne è valsa la pena. Un po’ come  la strada sulla quale si affaccia il nostro appartamento, ci siamo ritrovati in un vialetto curatissimo e pieno di fiori, con villette quadrate  divise l’una dall’altra con staccionate in legno, dalle pareti di legno curato, proprio come le finestre, le porte e .. tutto.
A guardarla fuori sembra una di quelle casette per famiglie, in montagna, tutte di legno , dove si beve cioccolata calda vicino al camino per scaldarsi le dita dei piedi dopo una lunga giornata sulla neve.
Justin sorridendo mi prende per mano e , cacciando una chiave dalla tasca dei pantaloni, mi accompagna oltre la staccionata di quella che sembra la più piccola e poi lungo un piccolo sentiero nel nostro giardino fatto di pietre incastonate nel terreno. È tutto perfetto e dannatamente rilassante.
Sembra di essere completamente soli, lontano dai flash, lontano dallo smog della città, lontano dallo stress per la registrazione, lontano da tutti. Solo io e Justin.
“Ora è nostra, l’ho comprata. Possiamo venirci per i week end, possiamo venirci per stare un po’ soli, possiamo venirci esattamente quando ti pare” mi sussurra, impegnato ad aprire la pesante porta di legno.
“Non ci credo…” passo la mano sul legno lavorato delle pareti e davvero non mi sembra vero. Una casa a due ore da Londra, dove posso andare quando mi apre, con l’amore della mia vita, nella tranquillità assoluta. Oltre ad avere capelli più lunghi, cosa potrei chiedere di più dalla vita?
Quando Justin apre la porta, mi sembra ancora più irreale. La stanza è davvero piccola, ma per due persone basta e avanza. La luce è calda lì, filtrata dalle tendine arancioni delle due piccole finestre presenti, rende tutto molto accogliente e stranamente familiare. C’è una libreria sulla parete accanto la porta, alla mia destra,  già piena di libri e – con mia grande sorpresa – di foto mie e di Justin, delle nostre famiglie e di qualche concerto, mentre alla sinistra c’è un tavolino in legno con sopra un vaso di fiori, rose bianche, le mie preferite. Al centro della stanza c’è un divano in pelle beige, per tre persone e di fronte un enorme camino in muratura e affianco delle scale.
Mi ricorda proprio la casetta in montagna dei miei.
Entro superando uno scalino, seguita da Justin che continua a sorridere. Lui ha già visto tutto, immagino,e  ha fatto già riempire questa casa di foto nostre, dei miei libri e fiori preferiti. Tutto questo riesce quasi a cancellare completamente il Justin stronzo e puttaniere di poche settimane fa.
Vado verso destra ignorando momentaneamente le scale, in un minuscolo corridoio di neanche un metro che contiene solo una porta. Le pareti sono coperte da un mosaico di piccoli tasselli sui toni dell’arancione.
“Il bagno” sussurra Justin e apre la porta dalle mie spalle. È davvero piccolo e non ha né doccia, né vasca.
“Dove vuoi farla la doccia insieme, nel lavandino?” lo prendo in giro, uscendo da corridoio per trovarmi in una fantastica e piccola cucina in muratura.
“Deficiente, aspetta” ridacchia lui, cingendomi la vita e facendo aderire il suo petto alla mia schiena. Al centro della stanza dalle pareti di un panna chiarissimo, c’è un piccolo tavolo per quattro in legno chiaro con quattro sedie dello stesso legno e alle spalle, sempre in color panna, la piccola cucina con fornelli, forno, fornetto a microonde e mobiletti con le ante nello stesso legno del tavolo. Una finestra alla nostra destra illumina il tutto. Ci sono i piatti, i canovacci, le stoviglie e sicuramente nei cassetti i bicchieri, le tovaglie, i libri di ricette…
Io e Justin, in teoria, abbiamo già un appartamento in cui viviamo insieme da molto, ma questa casetta la sento più nostra di qualsiasi altra cosa. Justin ha saputo mescolar ei nostro stili, semplice, rustico, accogliente, creando una specie di oasi fatta di legno e mattoncini nella città che più adoro.
“Ti va di salire al piano di sopra?” chiede esitante e posso sentire l’elettricità crescere intorno a noi. Di sicuro c’è qualcosa, al piano di sopra, che mi lascerà ancora di più senza parole.
Ritorniamo nel piccolo salotto e poi saliamo le scale in ciliegio. L’aria qui ha un buon odore.
Mi ritrovo in una camera da letto, capiente abbastanza da contenere un armadio in ciliegio che prende tutta la parete alla nostra destra e un letto con annessi due comodini sempre in ciliegio su quella di sinistra. Già mi immagino qui, stanotte, abbracciata a Justin dopo aver visto tutta Londra dal London Eye… fantastico.
“Il meglio deve ancora venire” mi sussurra Justin nell’orecchio, facendomi rabbrividire. Mentre salivamo le scale aveva sciolto quell’abbraccio che aveva formato in cucina ma mi stava talmente vicino che potevo comunque sentire il suo respiro sul collo e la cosa mi faceva sentire bene, contenta e protetta.
Sulla parete di fronte alle scale c’è una porta, inutile dire che anch’essa è in ciliegio, e ora sono quasi sicura che lì dentro ci sia una vasca.
La apro delicatamente e, come mi aspettavo, mi ritrovo in un bagno grande quando la cucina di sotto, circondato dalle stesse pareti in mosaico arancione del bagnetto accanto al salotto, con l’unica differenza di un enorme vasca da bagno circolare in muratura, e quindi coperta anch’essa dalle piccole mattonelle arancioni, nel bel mezzo della stanza. Mio Dio.
“Ed è qui, che intendevo fare il bagno insieme” mi giro di scatto e lo bacio con talmente tanta passione e trasporto che mi sento tremare le gambe.
Sono dannatamente felice, sto così bene che niente potrebbe rovinare tutto questo. Niente.
 
“Dai, Justin, andiamo!” lo incito, scendendo di corsa le scale. Si, abbiamo fatto già il bagno assieme e si, abbiamo appena fatto l’amore sul nostro bellissimo e morbidissimo letto nuovo. Mi sembra ancora tutto così surreale.
“Hei, bambolina, di questo passo mi farai perdere tutte le forze!” mi urla dal piano di sopra, mentre io mi aggiusto la camicetta bianca che ho indossato su degli shorts di jeans chiaro e le mie Converse bianche.  Anche Justin ha optato per qualcosa di fresco e comodo, con le immancabili supra grigie, un bermuda di jeans che gli arriva fino al ginocchio e una t-shirt grigia.
“Sei bellissima!” mi fa abbracciandomi e sollevandomi dal pavimento di parquet.
“E tu sei il fidanzato perfetto e ricco che tutte vorrebbero, ma tutte per davvero, tutte le tue fan” gli sussurro, fingendo un tono presuntuoso e una smorfia.
“Sono fortunate ad avere un idolo come te. Anche se poveri fidanzati.. sai quante pretese devono soddisfare?” lo prendo in giro, tornando l’Abby di sempre. Mi sorride, mettendomi giù.
“Ti venire ai tuoi concerti e scavarsi la fossa per due o tre ore, sai che nooooia mortale!” lo canzono, facendo una smorfia di disgusto.
“Hei, mi sono offeso davvero questa volta!” mi risponde, fingendo una faccina triste da cucciolo che sinceramente gli viene proprio bene.
“Dai andiamo, cucciolo bastonato” continuo, prendendolo per mano.
Usciamo da quella casetta perfetta e mentre Justin chiude la porta mi rendo conto che in realtà non possiamo andare proprio da nessuna parte. Non so neanche dove siamo, non abbiamo una macchina, e siamo a due ore di macchina da Londra.. e a piedi?
“Ti stai sicuramente chiedendo come faremo, giusto?” mi chiede Justin, passandomi accanto e sorridendo beffardo.
“Perché mi tieni nascoste così tante cose? Le sorprese non mi piacciono poi così tanto..” mormoro e lui sorride ancora di più prendendomi per mano. Mi rendo conto solo ora che, distratta e concentrata sulla casa, non avevo notato che la macchina che ci aveva accompagnato fin qui ora era bella che parcheggiata accanto la casetta di legno, con le chiavi nel quadro.
“Non mi dire… avrei dovuto aspettarmelo, Justin Bieber” e lui ride. Ha una risata così bella che renderebbe felice chiunque.
“Destinazione, Londra! Si accomodi, milady” apre la portiera del passeggero e con fare elegante mi fa accomodare.
“Se non avessi sfondato nel campo della musica, avresti avuto davvero un ottimo e florido futuro da apri-porte nei migliori hotel del mondo” lo prendo in giro, facendolo ridere ancora.
La mia, da quando l’ho incontrato, è la vita perfetta.
 
Se per la casa ci sono rimasta di stucco, ora lo sono ancora di più. Abbiamo parcheggiato l’auto in Soho Square e camminando un po’ mano nella mano siamo arrivati ad Oxfort Street. Il mio respiro si è bloccato proprio a metà tra i polmoni e il naso. Aiuto. Il sogno di una vita intera qui, d’avanti ai miei occhi. Mi guardo intorno e quasi ancora non ci credo.
“Milady, inizia il nostro tour” afferma Justin, con un vero tono da guida turistica che mi fa scoppiare a ridere lì, nel bel mezzo della strada.
Iniziamo a camminare e , mentre lui se la ride, io continuo a girare la testa a destra e a sinistra. Foot Loker, Primark, Forever21. Potrei morire dalla troppa felicità.
Camminiamo per un tempo indefinito, non riesco a capire quanto perché sono troppo distratta dal fantastico panorama in cui siamo immersi, senza sentire minimamente il caldo sulla nostra pelle. Visitiamo finalmente Trafalgar Square e vedere finalmente la fontana, i cavalli, i leoni enormi.. è tutto così fantastico che non riesco neanche ad esprimerlo a parole.
“Voglio andare sul London Eye, Justin” gli chiedo con un tono quasi da supplica. È lui che mi sta guidando, non so come fa ma conosce esattamente tutta la strada che abbiamo fatto fin qui. Ci hanno fermato un paio di volte, con molta discrezione, per qualche foto o un autografo ma sinceramente non ho avuto tempo per pensarci su abbastanza..
“Non possiamo oggi, domani ho prenotato una piccola crociera sul Tamigi e subito dopo ci andremo, è quasi ora di cena e sarà meglio incamminarci verso la macchina” fa in tono da padre. Sa bene che vorrei restare qui a vita, quindi, quasi con forza, mi prende per mano e mi trascina di nuovo a Soho Square.
“Grazie mille di tutto Justin, è fantastico..” mormoro, arrivati nell’auto. Mi sfilo le scarpe e mi preparo al ‘piccolo’ viaggetto verso casa.
“Farei di tutto per te, fiorellino”
“Speravo avessi dimenticato questa sottospecie di soprannome” rispondo infastidita, sistemandomi comoda sul sediolino e continuando a guardare tutto dal finestrino. Ancora non ci credo di essere a Londra con Justin Bieber. Potrei scrivere un libro e farne fare un film dalla Warner Bross.

Due ore dopo, casa dolce casa. Corro immediatamente ad aprire la porta e quasi resto di nuovo incantata a guardarla dall’interno.
“Va a darti una rinfrescata di sopra, io ti aspetto qui” mi dice, sfilandomi la t-shirt – aiuto – e gettandosi sul divano.
“Mh, okay..” fa strano che non venga con me, ma posso capire tutta la sua stanchezza.
Salgo le scale e apro le valigie ancora non disfatte.
“Domattina dobbiamo disfarle queste, Justin!” urlo e lo sento mugugnare qualcosa, probabilmente con la testa tra i cuscini del divano.
Dopo aver scelto una felpa leggera e un paio di shorts della tuta, decido che forse dopo la vasca da bagno e il letto, bisogna inaugurare anche il divano quindi prendo dalla valigia anche un paio di slip neri in pizzo coordinati ad un reggiseno, che non lasciano molto spazio all’immaginazione.
Pensando già alla sua faccia e al suo sguardo sulle mie forme, vado a farmi una doccia veloce giusto per rilassarmi un po’ e far riposare i piedi.
“Ti sei persa nella vasca, amore?” chiede Justin, dietro la porta. in effetti, avevo perso un po’ più di tempo a farmi massaggiare la schiena dal getto caldo dell’acqua.
“Scusami, ho finito” mi affretto a dire, strofinando energicamente uno degli asciugamani sul mio corpo per far asciugare in fretta tutte le goccioline. Indosso velocemente l’intimo e poi la tuta e finalmente, esco trovandomi faccia a faccia con Justin. Anche lui ha messo la tuta, lasciando ancora scoperto il petto. Passo leggermente i polpastrelli sui suoi muscoli appena scolpiti.
“Mh, mi fai dimenticare il motivo per cui sono venuto qui, Abby” sussurra, chiudendo gli occhi e sento i suoi muscoli stendersi sotto il mio tocco.
“Cosa volevi fare?” sussurro maliziosa, avvicinandomi pericolosamente al suo collo.
“No. No, ti prego,  non ora piccola, aspetta” si affretta a dire, bloccandomi in uno dei suoi abbracci.
“Oh, mh, okay. Pensavo ti piacesse” fingo un tono triste e lui di tutta risposta mi prende in braccio stile principessa e mi lascia un leggero bacio sul naso.
“Ovvio che mi piace, lo adoro.. ma..” dice, mentre scendiamo le scale, ma arrivati all’ultimo gradino smette lasciando la frase in sospeso. Ha spento tutte le luci e solo un minuscolo bagliore viene dalla cucina. Senza lasciarmi andare, si dirige verso quella a passo lento.
Appena superiamo l’arco della porta, tocco di nuovo il parquet con i piedi nudi e non credo – di nuovo – ai miei occhi.
Ha apparecchiato la tavola, qualche candela al centro, per il resto tutto è immerso nella penombra. È così romantico.
“Oh, il mio romanticone!” mi giro a baciarlo e  le sue braccia scendono a cingermi la vita, stringendomi forte a se.
“Non lasciarmi mai..” gli sussurro e lui di tutta risposta intrappola il mio labbro inferiore tra i suoi denti, facendomi eccitare all’inverosimile.
“Mai” sbotta con tono fermo, per poi lasciarmi andare e , allontanando una delle sedie dal tavolo, mi fa accomodare.
“So che non è il massimo, però non ho avuto il tempo di fare nient’altro” mi fa, in tono di scuse, cacciando dal forno due cartoni della pizza.
“Justin, è tutto perfetto, davvero, non mi interessa di cosa cucini o mangiamo” gli dio, notando un po’ di dispiacere nelle sue iridi color miele.
“Resti il ragazzo perfetto che voglio” gli dico guardandolo negli occhi e baciandolo appena si avvicina a me per posare  la mia pizza – ora in un piatto preso da uno di quei mobiletti – sul tavolo.
“Ti amo tantissimo” sussurra ancora sulle mie labbra, prima di allontanarsi per posizionarsi di fronte a me, con la sua pizza.
“Anche io”
“Davvero ottima, non pensavo che anche qui le facessero così buone” affermo pulendomi gli angoli della bocca con un fazzoletto.
“Una pizzeria italiana poco lontana da qui. quando hanno riconosciuto la voce me l’hanno portata immediatamente fin qui” afferma fiero e mi viene da ridere. Mi alzo e mi vado a sedere sulle sue gambe e lui subito mi stringe a se.
“Che ne dici se adesso ci stendiamo un po’ sul divano a farci le coccole, mh?” chiede, sfiorando con le labbra il mio collo nudo, facendomi tremare come una foglia.
“Ottima idea, Bieber” e dopo una manciata di secondi mi ritrovo stesa sul divano, completamente poggiata su Justin, le gambe intrecciate e le fronti che si sfiorano.
“Ho una tale voglia di te…” infila due dita tra il mio fianco e il pantaloncino della tuta, tastando per il pizzo dei miei slip.
“Speravo li avessi messi, ti stanno da Dio!” afferma eccitato, travolgendomi con un bacio pieno di passione e desiderio che mi fa mancare l’aria.
Con fare seducente, posiziono le ginocchia accanto ai suoi fianchi, poggiandone sopra il peso e iniziando a far scendere la zip della felpa.
Lui sorride malizioso e, portando le mani dietro la mia schiena, mi riporta su di lui facendo cozzare il mio petto contro il suo. Gemiamo all’unisono.
Ma c’è qualcosa, lì fuori, dietro le tendine arancioni, che sovrasta per poco i nostri gemiti. Decido di ignorarli, notando che anche Justin ci ha fatto caso. Gli accarezzo languida i pettorali, lambendo il suo collo con la lingua e freme sotto il mio tocco, eccitandomi ancora di più.
Ancora quei dannati rumori. Rumori di passi e.. flash. Non ci credo. Come diamine hanno fatto a capire dove siamo?! Posso capire nel bel mezzo di Londra, ma qui?..
“A- aspetta, ok? Cerco di risolvere io..” balbetta Justin, chiudendo la zip della mia felpa e aggiustandosi i capelli arruffati.
Imbronciata, me ne resto sul divano mentre lui scosta prima una delle tendine, provocando una raffica di flash tutti contro quella povera finestra, e poi decide di uscire dalla porta.
Non mi interessa ciò che sta dicendo. Volevano il loro scoop? L’hanno avuto, io e Justin siamo insieme  e lui mi ha portata a Londra. Perfetto. Invece no, devono sempre rovinare tutto.
Dopo pochi minuti entra, lasciandosi alle spalle l’ondata di paparazzi.
“Se ne andranno o ci faranno compagnia anche mentre dormiamo, mh?” sbotto in modo molto acido, pentendomene quasi subito.
“Io.. vado a dormire” sussurro poi, salendo le scale per poi ficcarmi sono la coperta del letto matrimoniale.
Sento Justin spegnere le candele e salire le scale nel buio. I flash hanno smesso di animare l’aria del vialetto silenzioso e l’unica cosa percepibile nell’aria è Justin che , salite le scale, scopre la sua parte del letto dalle coperte e ci si infila.
“Scusami..” mi sussurra all’orecchio, stringendomi forte contro il suo petto. Oddio, come ho potuto prendermela con lui.
“Non è colpa tua.. è solo che.. era il nostro paradiso, così intimo.. non ci pensiamo, ok? Buonanotte” gli bacio delicata il naso ma so bene che non gli basta, infatti poco dopo ruba le mie labbra in un bacio casto e dolce.
“Buonanotte”
 
“Cristo, è la cosa più bella che io abbia mai visto, dopo te” affermo dolcemente, stringendo la sua mano nella mia nel piccolo abitacolo che Justin ha esplicitamente chiesto (e pagato) di lasciare vuoto solo per noi due. Dall’attacco dei paparazzi di ieri, Justin per tutto il tempo si era preoccupato che nessuno sia avvicinasse abbastanza con i flash, ma quanto puoi evitare una cosa del genere in una città come Londra?
Tutt’ora a metri e metri d’altezza, potevo vedere o meglio sentire gli obiettivi delle fotocamere professionali puntate sulla nostra cabina, ma sto cercando di non badarci.
“Dopo te, vorrai dire”  afferma lui, baciandomi la nuca. È tutto così perfetto.. ma so bene che rimessi i piedi a terra saremo travolti ancora, e ancora.
La crociera sul Tamigi anche era stata un fiasco, anziché goderci i fantastici ponti abbiamo dovuto coprirci gli occhi dai flash per metà del tempo.
Quando scendiamo dal London Eye, infatti, veniamo travolti da altri mille flash.
“Come mai ti sei preso questa vacanza dalla registrazione, Justin?”
“Quindi è vero che la vostra è una relazione?”
“L’hai deciso tu o l’ha deciso lei di venire qui?”
“Credi che durerà, Justin?”
Tremila domande seguono ad ogni flash e sto per impazzire.
“Perché non tornate a casa dalle vostre cazzo di famiglie a farmi un po’ di cazzi vostri?” sbotto senza neanche rendermene conto e per un attimo tutto – i flash, i microfoni, le bocche e gli occhi dei giornalisti o dei paparazzi – si blocca intorno a me. Oh, cazzo.
Già mi vedo i titoli dei giornali di gossip di domani. La fidanzata sboccata di Justin Bieber. Mi sono scavata la fossa, come sempre.
Justin mi prende per mano, una stretta abbastanza fredda e forte e mi trascina verso l’auto. Dopo vicoli e vicoletti finalmente arriviamo e ci rinchiudiamo nell’abitacolo sospirando.
“Ma cosa diamine ti è preso?!” mi urla contro appena fa partire il motore. Non mi ha guardata neanche un secondo, ha gli occhi fissi sulla folla di obiettivi e microfoni alle nostre spalle.
“Avresti preferito che ci inseguissero anche al cesso, Justin? Sono stufa di trovarmeli ovunque.. ti chiedo scusa, ma non ne posso più”
“Oh, ma davvero? Te l’hanno detto che la vita di una star è fatta di cose del genere si o no?! Ti prenderanno per una stronza e le cose andranno solo a peggiorare!” continua ad urlarmi contro, come un padre con la propria bambina disobbediente.
“Smettila di urlarmi contro, sono maggiorenne  e so badare a me stessa!”
“Non alla tua bocca!”
“Ma che cazzo stai dicendo? Io odio quei dannati tizi, perché non si fanno i fatti loro e fanno vivere noi in pace come persone normali?”
“Perché non siamo persone normali, Abby! Ma cos’hai nel cervello? È il loro lavoro!”
“Ah, ora te li difendi anche? Ma che carini! Ma non vedi che ci stanno rovinando la vita?”
“La mia vita è questo. Lunghi viaggi lontano da casa, belle vacanze ma anche paparazzi e fan. Fin’ora il lato bello t’era piaciuto, giusto?” fa uscire quelle parole dalle labbra con tono violento, crudele. So bene a cosa sta pensando, gli si legge negli occhi. Io amo i suoi fan quasi quanto lui e adoro quando vengono vicino con fare esitante per chiedere un autografo. Io non odio quello, odio l’esagerazione di tipi come i paparazzi. Come può solo pensare una cosa del genere su di me.
“Fai una cosa, vaffanculo” sbotto, arrabbiata e sentendo le lacrime pizzicare agli angoli degli occhi.
Afferro la piccola borsa che avevo portato con me quel giorno e pesco dall’interno il mio cellulare e le cuffie.
“Abby.. non intendevo dire..” immediatamente lo vedo rallentare l’auto e girarsi verso di me, preoccupato e pentito.
“ Lo hai detto, quindi  per me possiamo anche finirla qui” affermo, infilando le cuffie e facendo partire le canzoni al massimo del volume. Non ascolto né quelle né Justin.
Quante volte l’ho confortato, quante volte l’ho appoggiato in qualche gesto che ha fatto per i fan? E come vengo ripagata?
L’intero viaggio lo passiamo distanti, io non guardo lui e lui non guarda me, io non gli rivolgo la parola e lui non la rivolge a me. Ma tutto questo mi fa male. Eravamo venuti qui per stare un po’ insieme, e invece quei dannati giornalisti non hanno fatto altro che allontanarci.
Improvvisamente Justin devia e ci troviamo in una stradina acciottolata. Si ferma accanto a quella che sembra una caffetteria e scende dall’auto. Bene. Mi sfilo le cuffie, ormai inutili perché non ho ascoltato neanche una canzone, ma neanche una nota.
So bene che non avrei dovuto rispondere in quel modo ma che bisogno c’è di prendersela così tanto con me e non con loro?
Lo vedo tornare poco dopo e distolgo lo sguardo, cercando di concentrarmi ancora. mi ha dato fastidio che mi abbia urlato contro in quel modo quando nel torto marcio c’erano i paparazzi, e poi che lui credesse che io volessi di lui solo la fama e i soldi.. ma che bastardo.
Entrando nell’auto, mi offre un sacchettino e un enorme cappuccino.
“ Cappuccino con scaglie ci cioccolato e cornetti alla crema. Non dimentico..”sussurra dolcemente, avvicinandosi per baciarmi una guancia.
“Non ti perdonerò così facilmente Justin, ma sei sulla buona strada” mormoro in risposta, sorseggiando un po’ di cappuccino.
“Hai ragione, sono stato uno stronzo. Tu sei una persona fantastica, soprattutto con i fan. Non avrei mai dovuto fare una cosa simile.. aggiusteremo tutto, promesso. arrivati a casa faremo una twitcam con i fan, insieme, e spiegheremo tutto. E poi ti ho preso i cornetti!” sbotta, con una faccia da cucciolo irresistibile.
“Mi giuri che non hai mai pensato una cosa simile di me? Sai bene che non lo farei mai.. non mi sono fatta trattare come una pezza per mesi solo per la fama, te lo assicuro”
“Io .. no, mai, mai pensata una cosa simile, te lo giuro. So benissimo di essere stato una merda, ok?” è mortificato, sinceramente mortificato. Si vede quando mente e quando è sincero. Gli sorrido.
“Si, sei uno stronzo, ma vada per i cornetti della pace” sbotto, addentandone uno con gusto. Sono davvero ottimi e il fatto che si sia ricordato qualcosa che gli dissi molti mesi fa mi rende abbastanza felice.
“Sei proprio la ragazza che amo, e che fotografino questo!” fa in rimando, sporgendosi oltre il freno a mano per posarmi un sono bacio sulle labbra facendomi ridere.
“Sappi che non te ne do neanche un po’, sono miei!” fingo un tono da bambina capricciosa, stringendo al petto il sacchetto dei cornetti e il cappuccino.
“Me lo merito, milady”
“E smettila di chiamarmi così!”
“Preferisci fiorellino?”
“Oh, Gesù.. vivo con un idiota!” e continuiamo così per un’altra ora finchè, stanchi di parlare, non ci buttiamo nel letto e  - finalmente – facciamo di nuovo l’amore.

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Capitolo 18
*** The end. ***


"non so come chiamarlo" s corner. (?)
No vabbe, ragà.. non potete capire. So di essere mancata per così tanto tempo che forse non ricordo neanche precisamente il progetto iniziale che avevo per questa storia, ma ho deciso comunque di finirla.
Non so se vi interessa, ma non ci sono stata per motivi – strano ma vero – un pochino seri. Innanzitutto, ho la maturità a giugno e la cosa è più difficile del previsto. Poi sono stata molto più tempo vicino a mio nonno, purtroppo gravemente malato, che tra l’altro ho perso qualche giorni fa.. quindi vabbe, svariate cose.
Ho deciso di concludere la mia storia con questo capitolo che forse non interesserà a nessuno hahahahah e forse neanche voi ricorderete bene la storia, quindi farò iniziare questo capitolo con un riassunto della storia. è un po lunghetto, cosi da compensare i lunghi mesi di assenza.
Buona lettura ragazze – e ragazzi, qualora ci fossero.  Spero tanto che vi piaccia, fatemi sapere sempre quello che pensate e in cosa posso migliorare (ovviamente, tralasciano i miei tempi di rilascio capitoli, questo s’intende!!).
a prestissimo, sicuramente con altre storie!
con amore,

-Andrea.
@despicableandri su instagram, seguitemi!) ♥
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Abigail, detta Abby è nipote della guardia del corpo di Justin Bieber, cioè Kenny che decide di affidare lo stile della superstar alla nipote, in quanto brava nel campo della moda. I due finiscono quasi subito al letto, incastonati nel circolo vizioso dell'attrazione fisica ma lei, inguaribile romanticona, ci resta completamente immersa e si innamora soffrendo come un cane quando nelle loro vite compare una 'tizia', Dominique, capelli biondo ossigenato e gonne inguinali che diventerà un'altra amichetta di letto della superstar che però non riuscirà comunque a tenere le mani lontano da Abby che, a sua volta innamorata, si lascerà trasportare. Quando Abby decide che tutto ha un limite, torna dalla sua famiglia dopo aver confessato tutto a Justin e scopre, in contemporanea con Bieber, che in realtà Dominique era un'attrice ingaggiata dalla migliore amica di Abby, Sheeren e dai suoi due fratello, Tomhas e Derek. Quindi Bieber, credendo di averla persa per sempre, capisce in realtà quanto tenesse a lei e decide, sotto influsso dei suoi migliori amici, di organizzare una festa per distrarsi. Nel frattempo Abby, ormai a casa e intenzionata a levarsi dalla testa Justin, incontra Chris e crede di esserne attratta ma decide di tenersene lontana visti i precedenti. Quando Chris decide di portarla ad una festa, lei viene a scoprire che è proprio quel Chris tanto amico di Bieber e si ritrova sotto casa sua. I due fanno pace, cambiandosi un bacio dopo il quale Justin le dichiara fedeltà e le chiede scusa per tutto, lei lo perdona ma è ancora titubante. Il giorno seguente, Justin va a prende Abby a casa per portarla alle prove del suo nuovo disco ma la trova a baciarsi con Chris, che nel frattempo aveva preso una cotta per la ragazza. Chris confessa di aver baciato lui Abby, e che quest'ultima non c'entri niente. I due fanno ancora una volta pace e felici e contenti dichiareranno alla stampa di stare finalmente insieme. Il mattino seguente, dopo che i due protagonisti hanno letto l’articolo, ritornano a galla ricordi del passato e la tristezza che ne segue, tutte cose che Justin mette a tacere con la sorpresa dell’ anno: un viaggio nella città preferita di Abby: Londra, e l’acquisto di una villetta tutta loro nella periferia della suddetta città. Arrivati nella metropoli inglese, però, la situazione da meravigliosa si tramuta in decisamente fastidiosa a causa dei paparazzi che non danno fiato alla coppia neanche per due secondi durante il loro viaggio romantico. Nonostante tutto Abby e Justin riescono a sanare la loro neonata storia d’amore e fanno la pace.

 
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Due persone se sono destinate a viversi, un modo lo trovano.
 É solo questione di pazienza. E di coraggio. E di lotta.
Noi abbiamo lottato per averci. Noi lo sapevamo che eravamo destinati.
Non può essere altrimenti.

 
18.

“Dai, cazzo, Justin!” afferro un braccio ancora coperto dalle lenzuola chiare e, dopo averlo trattenuto tre secondi in aria, lascio che precipiti precisamente sulla faccia del diretto interessato, sperando che si svegli. È sempre così con Justin, è sempre stato così. Io puntuale, lui ritardatario. Lo è con gli appuntamenti come lo è stato con i sentimenti. Ma come diceva mia nonna: ‘spesso il risultato giustifica l’attesa’, e questo valeva decisamente per la mia storia con Justin. Stare con lui era come stare in paradiso e non per i soldi o i viaggi, quelli sono dettagli sullo sfondo, sono semplicemente piacevoli. È lui che ti fa sentire in paradiso. Ti fa sentire il suo angelo personale.
“Dobbiamo già alzarci?” la voce rauca è ovattata, coperta anch’essa dal velo delle lenzuola come il suo proprietario. Il tessuto leggero evidenziava ogni suo muscolo, rilassato ma evidente. Ogni linea del suo corpo era delimitata, la si poteva seguire con lo sguardo anche se io avrei preferito tracciarla una ad una con i polpastrelli delle dita e assaggiarne il sapore, pelle contro pelle. Ma siamo in ritardo – come sempre con Justin, e quindi non mi sembra il caso di stuzzicare il leone.
“Mi sa proprio di si, amore mio” dico in tono più conciliante, sfilandomi l’accappatoio e pensando già a cosa indossare.
“Dio Abby, così non vale!” sospira mentre, girata verso l’armadio posso sentire il rumore di lenzuola che scivolano via da un corpo  e piedi nudi che camminano sulla moquette. Otto secondi dopo la mia schiena nuda e ancora un po’ umida è a contatto con i suoi pettorali e addominali scolpiti dai mesi di palestra intensiva e le sue braccia ancora calde per il tepore delle lenzuola mi avvolgono tutta. Mi bacia delicato la nuca e scende verso la base del collo, solleticandomi con un accenno di barba e il naso che strofina i capelli. Ma la cosa che noto di più in questo mento è la sua erezione, non del tutto sveglia ma neanche del tutto dormiente; preme contro il mio osso sacro in quanto la differenza di altezza tra me e lui è decisamente ampia, ma è eccitante da morire.
“Il tuo culo sodo e nudo a prima mattina è il miglior buongiorno del mondo” sussurra all’orecchio, lasciandoci un bacio.
“Che romanticone, Bieber. Sei sicuro di aver scritto tu tutte quelle canzoni?” domando divertita, scegliendo un paio di jeans chiari a vita alta e una camicetta a quadri dall’armadio.
“All’epoca, non avevo ancora fatto né sesso né l’amore con te” ridendo, il mio ragazzo si allontana da me e l’effetto è immediato: sono eccitata da morire e un brivido mi percorre la spina dorsale dalla base del collo fino all’osso sacro, proprio dove era appoggiata la sua mascolinità fino a due secondi fa. È proprio così. Abbiamo fatto prima del sesso e poi abbiamo cominciato a fare l’amore. l’atto in se per se non è cambiato granché e questo lo sappiamo entrambi, ma è cambiato ciò che proviamo quando lo facciamo.
“Ti sveglierò ogni mattina una mezz’oretta prima, per poter usufruire del tuo alzabandiera mattutino come Dio comanda” dichiaro, facendogli un occhiolino e mettendo in primo piano i miei seni sui quali torreggiano due capezzoli turgidi a beneficio del mio interlocutore.
“Smettila, siamo in ritardo e sai che mi fai impazzire!”bofonchia entrando nel bagno. È così da mesi ormai, la nostra routine. Non avrei mai pensato che ce ne sarebbe stata una, una proprio per noi due. Facciamo tardi quasi tutti i giorni, mi lavo e mi vesto a tempo record mentre cerco di svegliare Justin e decido i suoi vestiti in base ai vari impegni quotidiani mentre lui fa la doccia. Amo poter rispondere a chiunque me lo chiedi ‘Si, è proprio il mio ragazzo’, oppure ‘Esatto, viviamo insieme e ci amiamo da morire’. Ci è voluto un po’ a convincere tutti quelli che mi circondano che la cosa andava solo a giovare su di me. Justin mi aveva fatto più male di qualsiasi altro individuo al mondo eppure era stato l’unico a saper rimediare al danno compiuto. Ora sprizza amore da tutti i pori anche se in alcuni momenti, come appena sveglio, mostra ancora quel lato un po’ macho, malizioso e dannatamente sexy di quello che è ormai mia abitudine chiamare ‘vecchio Justin’.
“Non so come tu faccia, ma sembra che tu mi legga nel pensiero cosa vorrei indossare ogni giorno” Justin spunta dallo stipite in legno laccato del bagno con in dosso solo l’asciugamano immacolato a coprire quella parte del corpo che – come lui stesso sa bene – mi avrebbe facilmente convinto a fare un pochino di ritardo in più anche oggi.
“Sai, mi sembra –anche se non ricordo con precisione – che questo sia proprio il mio lavoro, poi non so.. magari sbaglio!” sbotto ironica, strizzando le mie cosce nel jeans e infilandoci la camicia. Lo osservo mentre si veste intrecciandomi i capelli. È così aggraziato quando si muove che sembra balli ogni secondo della sua vita. Io, nella fretta che ha lui, sarei inciampata sei volte nell’asciugamano ai suoi piedi e avrei messo la t-shirt al contrario. Fortuna mia non essere io quella in netto ritardo.
“Dai, andiamo” si sistema i capelli allo specchio che costituisce il retro della porta della nostra camera da letto e si infila sulla testa un cappellino da baseball in tinta.
“Ah Dio, quasi dimenticavo!” si ferma poi all’improvviso mentre sta per uscire dalla camera dell’albergo in cui stiamo alloggiando questa settimana per girare un video. Io, agile come ho già specificato, finisco dritta dritta contro la sua schiena e lui, sapendo bene del mio problema d’equilibrio, si gira in fretta e mi afferra quasi per le ascelle. Mi rimette ad altezza uomo e mi bacia appassionatamente, il sapore del dentifricio appena usato sulla bocca di entrambi, le lingue che si cercano e danzano insieme lentamente, come se avessimo tutto il tempo del mondo. Lo stringo a me, aggrappandomi alle sue spalle. Si stacca da me all’improvviso così come mi si era attaccato e mi sorride come un bambino a cui è stata promessa una doppia razione di torta dopo pranzo.
“Buongiorno amore della mia vita” sussurra a un millimetro dalle mie labbra ancora schiuse.
“Ancora..” bofonchio, avvicinandomi di nuovo a lui, tirandolo per le spalle.
Mi accontenta in parte, poggiando delicato le sue labbra sulle mie ancora una volta ma questa volta solo per una frazione di secondo poi mi lascia andare. Le sue mani dalle ascelle per sostenermi erano scese quasi alla base della mia schiena per abbracciarmi e non me ne ero manco accorta. . Mi lascio abbandonare dal tepore che la vicinanza del suo corpo mi provoca e ci avviamo entrambi verso l’ascensore al piano. Mi sorride mentre scendiamo velocemente e mi tiene stretta per la mano, carezzandomi con il pollice il palmo della mano ma tenendo ben salde le altre quattro dita sulle mie. Sa bene che potrei scappare da un momento all’altro. Sa bene che chiunque ricorderebbe le ferite lasciate aperte sulla pelle dai mesi di completa indifferenza ed arido freddo. Eppure io stringo di più la presa sulle sue dita, come a dire ‘tranquillo, non vado proprio da nessuna parte’. Il dolore era stato parte del mio viaggio verso il paradiso. Con il senno di poi, mi sta anche bene.

 
*

“Stanco” la voce di Justin è affaticata e roca dopo le prove, gli occhi appesantiti dalle ore di lavoro e dalle luci abbaglianti del set, la sua pelle quasi arancione sotto l’alone di luce dei fari della strada.
“Stanchissima” sussurro io, avvicinandomi a lui sul sedile posteriore dell’auto che mio zio Kenny sta guidando verso l’hotel. Mi appoggio alla sua spalla e lo abbraccio con tutte e due le braccia, facendo incontrare le mani sul suo fianco sinistro. Mi bacia una tempia delicato, chiudendo gli occhi e abbandonandosi tra le mie braccia.
“Zio, andiamo al Mc, adora le nuggets di pollo!” sussurro  mentre cerco di cullarlo tra le mie braccia e lui me lo lascia fare.
“La mia piccina” mormora stringendomi a sua volta, sorridendo contro la pelle sensibile del mio collo.
La sosta al Mc dura poco. Grazie a Dio qualcuno ha inventato il servizio per le auto, cosi che nessuno di noi è dovuto entrare nel locale super-affollato ad ordinare il cibo. Velocemente, rientriamo all’hotel dove la ragazza strizzata in un tailleur grigio perla nella hall, i capelli tirati in uno chignon stretto e alto sulla testa, guarda la busta di carta per alimenti come se fosse tossica ma non apre la bocca, riconoscendo Justin. Divoriamo quasi il cibo e poi, tutti e tre, ripuliamo il tavolo della sala da pranzo della suite prima che una qualsiasi persona simile alla ragazza della reception possa avere qualcosa da ridire. Zio Kenny, sbadigliando, si congeda e lascia la stanza, raccomandandosi, come ogni sera ‘non fate tardi domani, siete un disastro!’.
Guardo l’orologio sulla parete color ocra ansiosa, aspettando la mezzanotte come manna dal cielo. Tra esattamente quattro minuti saranno tre mesi dal giorno in cui mi venne a prendere con la sua auto dalla casa di mia madre, viaggiammo per ore e incise, solo ed unicamente per me, una nuova versione di Never let you go e dopo, come se quasi un anno di dolore fosse stato cancellato dalla mente di entrambi, facemmo l’amore come e nello stesso posto della prima volta. Ho faticato molto per trovare qualcosa di speciale da regalargli, qualcosa che gli ricordi quel giorno come quello in cui ho deciso di amarlo a pieno e lui di amare me.
Lo guardo quasi di nascosto mentre ci infiliamo io il pigiama e lui i pantaloni di una tuta, lasciando – come sempre – nudo il petto, come unico scopo quello di farmi impazzire.
L’orologio segna mezzanotte. Mezzanotte e due secondi.
“Amore, auguri” sussurriamo insieme, come se tutto fosse programmato, come se anche lui avesse tenuto gli occhi fissi sul quadrante rotondo e bianco appeso alla parete. Sorridiamo entrambi, guardandoci negli occhi e avvicinandoci piano, già seduti nel letto, in un abbraccio che non ha niente di malizioso ma sa solo d’amore puro.
“Ti amo ogni giorno di più, sei una cosina così piccola tra le mie mani.. non voglio farti male mai più, non voglio farti più soffrire, non voglio vederti ne piangere ne stare male a causa di nessuno, non voglio sentire la tua mancanza mai..” mormora contro il mio orecchio, tenendomi stretta. Lo stesso timore del mattino lo attaglia sempre, come uno spettro della sua stessa cattiveria, lo segue ovunque come un’ombra, se ne pentirà per sempre e non se lo perdonerà mai. Non si perdonerà mai, come invece ho fatto io.
“Non pensare al passato. Non pensare a tutto ciò che non avresti voluto e non vuoi fare più. Pensa ad ora, pensa a noi nel presente”. Come un bambino mi guarda fisso negli occhi, colpevole, come a chiedere scusa implicitamente allo stesso tempo per l’atteggiamento passato e per il timore presente. Poi cambia improvvisamente espressione, come quando in tv appare una lampadina in cima alla testa dei protagonisti e credono di aver avuto l’idea del secolo.
“Non solo voglio pensare al presente amore mio, pensiamo al futuro. Tu sei l’unico futuro che voglio. Solo tu. Sposami” lo dice con uno sguardo febbrile, come se volesse farlo adesso, come se potesse pescare un prete, una chiesa, un altare e tutti gli invitati dal comodino e celebrare il matrimonio seduta stante. Qualcosa deve avergli colpito il cervello, oppure l’aria di questa città è davvero troppo inquinata.
“Tu sei pazzo” dico solo, ridendo “sei stanco e al tempo stesso sovraeccitato per il video e per le nuggets, lascia perdere..” sciolgo l’abbraccio e apro il mio comodino, estraggo una scatola quadrata e piccola e cerco di nasconderla immediatamente alla sua vista, dietro la schiena mentre mi rivolgo di nuovo a lui.
Quello che mi ritrovo di fronte non era quello che avevo lasciato. Justin è contrariato, il suo sguardo è deluso, e nella sua mano destra vi è una scatolina grande quanto un quarto della mia.
“Ero serio, volevo chiedertelo davvero, cazzo. Non così, e su questo siamo d’accordo. Ma ero serio” lo dice così velocemente che quasi non realizzo. Merda. Ripenso alle sue parole. ‘Sposiamoci’. Mi si ferma quasi il cuore. È serio, diamine.
“Non so Justin.. è presto, infondo siamo giovani, tu hai il tuo nuovo tour con il nuovo video.. io volevo iscrivermi a quell’università online.. è un grande impegno, sai, non si decide di sposarsi da un momento all’altro”farfuglio, gesticolando e sudando soprattutto le mani. Ad ogni parola il suo sguardo è più cupo e la presa sulla scatolina di pelle aumenta fino a che le sue nocche non diventano completamente bianche, poi rilassa completamente la mano lasciando cadere il pacchetto sulle lenzuola, abbandonato.
“Tu non vuoi” dice, determinato. Fermo. Deciso. Deluso.
“So che sono tre mesi che ti dico che resterò per sempre con te e che non voglio altro nella vita, e sai bene che è così, non potrei mentirti così spudoratamente. Però non ce la faccio, è troppo ed è troppo presto. Probabilmente non ne sei sicuro neanche tu, Justin. Ripensaci, non voglio dirti no, è solo che.. è troppo presto” cerco di farlo ragionare, lo sguardo fisso sulla scatola di pelle. Sono a metà tra prenderla e lanciarla fuori dalla finestra e prenderla e scoprire quale tra i tanti anelli Justin abbia scelto solo per me, pensando e volendo solo me. Ma io non posso, insomma. Siamo giovani, ognuno la sua carriera e la sua vita. Lui è cambiato tutto d’un tratto ed io lo amo come mai prima d’ora, però nessuno direbbe che è una grande idea. E poi ho lo stomaco contratto. Nessuno si sposa sapendo che nel proprio stomaco sta avvenendo una guerra civile.
“Vaffanculo, credevo che le tue parole avessero un senso. Io ti amo Abby, più della mia stessa vita, molto di più di quanto amassi me stesso tre mesi fa e di quanto faccia ora. Sono cambiato per te e non me ne pento. Voglio sposarti e voglio che tu sia mia moglie, la mia donna ed io il tuo uomo, per sempre. Ma forse non è quello che vuoi tu” la sua voce si affievolisce, fino a tanto che quel ‘tu’ è così basso che ho solo ipotizzato come potesse finire la frase perché alle mie orecchie non è più giunto alcun suono. Una parte di me vorrebbe dire ‘si, diamine, sposiamoci domani, tienimi stretta come fino a due minuti fa per tutta la vita’, l’altra parte di me vorrebbe solo riflettere sulla questione e trovare un’argomentazione valida al mio no. Resto in silenzio. Non voglio sposarmi. Non posso sposarmi.  Non posso dirgli di si solo per farlo contento, dopo lo deluderei solo di più. So solo che è sbagliato, è tutto sbagliato. Troppo presto, troppo giovani, troppo impulsivo.
Prima che me ne renda conto, si alza dal letto lasciando la scatolina proprio dov’era, simbolo della sua delusione.
“Dove vai?” riesco a bofonchiare, alzando lo sguardo sulle sue spalle tese. Si gira verso di me e nei suoi occhi non c’è più stanchezza, sonno o delusione, ma solo tristezza. L’ho ferito eppure non riesco a sentirmi completamente in colpa. In cuor mio so di aver risposto sinceramente. Non gli ho detto ne no ne si, sono nel mezzo.
“Guardo un po’ di tv nella sala da pranzo” e si chiude la porta alle spalle. Il divano in pelle nera nella stanza adiacente a quella da letto è ad angolo e così grande che quattro persone della mia altezza ci sarebbero entrate stese tranquillamente. Già mi vedevo stesa accanto a lui, abbracciati uno contro l’altro, a coccolarci mentre la tv parlava da sola. Ma il suo questa volta non era un invito, non era una battutina maliziosa. Si era chiuso quella porta alle spalle come a voler mettere un muro tra me e lui, come a dire ‘ora lasciami solo’. E cosi faccio. Senza neanche guardare la scatolina alla mia destra, mi lascio scivolare sul cuscino avvertendo subito i quattro spigoli della scatola sotto di esso. Senza alzarmi o sollevare il cuscino, la trascino fino a metterla vicino all’altra. Una grande l’altra piccola, sembrano una madre ed un bambino. Una madre sposata con un marito con cui ha avuto un bambino. Dannata me. Spengo la luce dalla pulsantiera sulla testiera del letto e resto stesa per ore a pancia in su nel letto freddo senza il calore del corpo di Justin. Dalla stanza a fianco non giunge il solito rumore ovattato della tv al minimo volume, solo silenzio. Posso quasi vedere Justin rannicchiato sul divano, la coperta che gli regalò la madre due o tre anni fa stesa su di lui. Non voglio questo. Non voglio allontanarlo proprio ora da me. Ma non sono sicura neanche che sposarsi sia una cosa ragionevole e giusta al momento. Dovrei correre di la e abbracciarlo e dirgli che andrà tutto bene, che ci penseremo insieme e che prenderemo la decisione giusta e invece mi lascio scivolare in un sonno debole, agitato e spesso interrotto.
Quando la sveglia suona  le mie condizioni d’umore sono peggiorate e non ho voglia neanche di spegnere quel dannato aggeggio che sta perforando i miei timpani. Controvoglia, lo faccio comunque e il mio primo pensiero è vedere se Justin è ancora li. Se lo conosco almeno un po’ sarà uscito prima di me, avrà fatto colazione al bar dell’albergo e ora starà girovagando in tuta ed occhiali scuri per la città. Stupida me e la mia insicurezza. Avrei dovuto parlargli e chiarire. Avrei potuto provare a convincerlo che non era la cosa giusta, non lasciarlo andare così. Stupida. Stupida. Stupida. Me lo ripeto in mente come se fosse un mantra e riesco quasi a sentire la voce di Sheeren che mi accusa. Se lei fosse qui saprebbe cosa dirmi e cosa fare e tutto prenderebbe una piega migliore. Aspetta.. se lei fosse qui. Grazie ventunesimo secolo! Afferro di corsa il cellulare abbandonato sul comodino – evito di guardare dal lato del letto sul quale le due scatole sembrano amoreggiare tra loro – e nelle chiamate rapide trovo subito il numero della mia migliore amica.
“AIUTO” scandisco bene ogni lettera appena sento che dall’altra parte qualcuno ha risposto alla chiamata.
“Dio, Abby, sei in pericolo?”è la voce di mio fratello Derek, nonché ragazzo della mia migliore amica, a rispondere alla mia chiamata.
“Cazzo Der, passami Sheeren” sbraito, il tono più incazzato con me stessa che con quel poveretto di mio fratello.
“Subito capo!” e una manciata di secondi dopo la voce della mia migliore amica fa capolino dalla cassa del mio smartphone.
“Ho un problema, grande!” e spiego, nel dettaglio, tutta la giornata di ieri, partendo dal risveglio, da quella stretta di mano timorosa e rassicurante assieme fino ad arrivare  alla proposta. Cerco di descriverle al meglio anche i miei sentimenti, sperando di risultare più chiara di ciò che sono stata ieri con Justin. Mentre racconto ho messo il vivavoce così da poter parlare e vestirmi al tempo stesso, voglio comunque andare al lavoro o sul set o ovunque io debba andare per trovarlo.
“Diamine, Abb, è un bel guaio.. hai sempre avuto un po’ paura di parlargli apertamente, ricordi? Solo che qui la cosa è un pochino più seria. Sei riuscita a dirgli ‘ti amo’ quando era tutto preso da un’altra, sei riuscita a sbattergli una porta in faccia e non tornare da lui finché non è stato lui a farlo.. perché ora non riesci a dirgli anche questo?” il suo tono – come sempre – è tra l’accusatorio e quello che io chiamo ‘tono-mamma’, sta cercando di aiutarmi.
“Cosa devo fare?” piagnucolo, riprendendo il cellulare abbandonato sul comodino e stringendolo tra le mani.
“Va da lui, idiota, e calmalo e scusati per ieri e digli semplicemente cosa provi. Se ti ama davvero, capirà e ti aspetterà” la sua voce è sicuramente più determinata della mia, sicura di sé, come se per fare cose del genere esistesse un manuale, una specie di ricetta da seguire in ordine e lei lo avesse fatto milioni di volte.
“Almeno provaci, Abby, non lasciartelo scappare completamente.. e poi, di solito sono gli uomini a scappare di fronte alla parola matrimonio!” il suo tono ora è scherzoso e so che cerca di tirarmi su, ma io mi sento solo più confusa: tra il senso di colpa e l’autoconservazione.
“Ho deciso, vado sul set. Dovrei trovarlo li, no?” saluto la mia amica e quell’impiccione di mio fratello poi infilo il cellulare nella borsa. Guardo per la prima volta le due scatole abbandonate sul materasso. Nella notte devo averle spostate perché ora sono più vicine ma ancora non si toccano. Decido di prenderle e portarmele con me. Infondo, se ho detto no devo restituire a Cesare quel che è di Cesare. Deve essere sul set, altrimenti ha fatto tardi. E se ha fatto tardi, non è con me. Se non è con me con chi sarà?

 
*
 
“Eccovi finalmente, Abby. Aspetta, dov’è Justin?” zio Kenny non aspetta neanche di veder comparire interamente la mia figura prima di parlare e quando poi nota l’assenza di Justin il suo volto è quasi sconvolto. Sono tre mesi che entriamo insieme, entriamo insieme ovunque, mano nella mano, sorridendo o raccontandoci qualcosa o mangiando insieme un cornetto. Non ci posso credere neanche io al fatto di entrare da sola qui oggi.
“Zio, abbiamo discusso. Anzi, non so se era una discussione o un litigio. Non abbiamo neanche parlato granchè..” borbotto, lo sguardo fisso sulle mie mani, le dita che si intrecciano e sciolgono tra loro.
“Ti esprimi come un libro stracciato” sbuffa mio zio, avvolgendo le mie spalle con il suo enorme e pesante braccio destro. Mi spinge dolcemente verso le poltroncine trucco e mi ci fa sedere, incitandomi poi a parlare con un velato gesto della mano. Non so se svuotare il sacco o meno. Non so se Justin avrebbe voluto farlo sapere così alla mia famiglia o almeno al membro della mia famiglia che gli è più vicino. Non so neanche se avesse voluto dirlo a qualcuno prima che io dicessi si. Guardo mio zio dritto negli occhi. È mio zio, mi vuole bene. Quando decido che posso raccontarglielo, lascio che le parole e le sensazioni escano dalla mia bocca come un fiume in piena. Avendolo spiegato ben tre volte di seguito – una alla me interiore, una a Justin e una alla mia migliore amica – ora mi sembra quasi naturale spiegare le mie sensazioni, come se avessi fatto ordine nei cassetti del cuore e della mente. Ora sento che potrei spiegarlo anche meglio a Justin, farmi capire. Guardo nervosamente lo schermo del cellulare durante il mio monologo, come se aspettassi che anche Justin ora sapesse bene cosa dirmi e volesse parlarmi. Come se aspettassi una sua chiamata, un messaggio, un’email, un messaggio in segreteria. Ma niente di tutto questo accadde fino alla fine della mia spiegazione.
“Lo sai, è cambiato proprio tanto per te. Vi ho osservato nell’ultimo periodo e si vede da come ti tiene stretta al petto che non vuole lasciarti mai più. Da parte mia, non capisco perché tu ne sia così tanto spaventata. Insomma, siete giovani e tutto, ed è anche normale avere paura di una cosa così seria e nuova.. ma teoricamente lo hai amato prima tu, hai voluto stare con lui mesi e mesi prima che lui si rendesse anche conto di tenere a te. Sai, tesoro, io non sono poi così bravo con le questioni di cuore e non ti dico neanche di dire ‘si’ se non te la senti. Una cosa la so per certa però: se continui a parlarne con me o Sheeren la situazione non cambia. È da lui che devi andare!” e indica l’uscita del locale nel quale hanno allestito il set, come se Justin fosse proprio dietro quella porta. Non faccio neanche in tempo a pronunciare questa frase nella mia mente che la sua figura spunta dalla porta nera e lucida che sto osservando, come se il richiamo della mia sofferenza l’avesse fatto arrivare lì, come se il fatto che io stessi pensando e parlando di lui lo avesse fatto arrivare lì. Non mi degna neanche di uno sguardo e, in ritardo di mezz’ora, entra nel suo camerino con al seguito il solito capannello di truccatori e acconciatori.
Va bene, posso capire il suo comportamento. Infondo non gli ho parlato neanche io, ne ho cercato di parlargli. Non posso colpevolizzarlo per questo. Eppure.. avrei voluto tanto che venisse qui e, d’avanti a tutti, mi avesse fatto di nuovo la proposta. Non so perché, non so cosa avrei risposto ora. Avrei solo voluto che avesse fatto così.

 
*
Cinque ore e trentacinque minuti dopo, Justin ritorna nel camerino per rimettersi i vestiti con cui era giungo qui. Nonostante quello che avrebbe potuto provare, è stato splendido come sempre d’avanti le telecamere. La sua voce e il suo sguardo erano dessert per gli obiettivi, tutte le scene girate erano stupefacenti. Cinque ore e trenta minuti di noia. Nessuno mi ha rivolto la parola, nessuno mi ha guardata, nessuno mi ha ascoltata. E con nessuno intendo principalmente Justin. Non ho fatto molta attenzione agli altri presenti. Quando vedo uscire tutti dal suo camerino per lasciare che si vesti, inizio a pensare che dovrei entrarci io. Ora o mai più, comunque. O torno a casa che abbiamo già fatto pace o ci torno per farci le valigie. Conosco Justin: se qualcosa va per le lunghe la decisione è drastica. Mi incammino a passo deciso ma quando la mia mano avvolge la maniglia in plastica scura della porta del camerino sento il mio battito cardiaco velocizzarsi e rimbombare nella gabbia toracica. Riesco a sentire solo quello, il ritmo incalzante e sempre più veloce sovrasta anche quello dei miei stessi pensieri. Nonostante ciò, faccio comunque pressione sulla maniglia e quasi a rallentatore la porta si apre. Quando mi rendo conto che non c’è nessuno in vista, lascio che i miei polmoni incamerino l’aria. Non mi ero neanche resa conto di star trattenendo il fiato. Justin deve essere nel bagno a farsi una doccia o a sciacquarsi un po’ il viso. Lascio che i miei polpastrelli scivolino sugli oggetti stipati nel camerino. Il divano in pelle, le sedie del trucco in legno e tela, i tavolini il cui legno è visibile solo per una manciata di centimetri quadrati grazie a tutte le cose che vi sono poggiate. Tutt’intorno alla cornice dei due specchi sulla parete che ho di fronte ci sono foto mie e di Justin, sul set e non. Alcune scattate con i nostri cellulari, altre ad alta definizione, prese da servizi insieme. Siamo splendidi. Il mio sorriso va da un orecchio all’altro e si unisce al suo, l’uno non potrebbe esistere senza l’altro. I suoi occhi guardano nell’obbiettivo ma il suo corpo è sempre a contatto con il mio. Che siano le nostre dita a sfiorarsi, oppure le nostre braccia, le nostre fronti, le nostre spalle, le nostre schiene; qualsiasi cosa. Ma non siamo mai separati. Come potrei separarmi da Justin?
“Hei” la voce della persona che mi stringe da dietro nella foto che sto osservando, sfiorandola con le dita, mi sorprende talmente tanto che la lascio andare e cade sul tavolino già sovraffollato.
“Scusami” gli dico subito, di getto. Voglio scusarmi delle mie insicurezze, delle mie paure, delle mie parole sconnesse, del mio timore di perderlo e di essere entrata qui senza permesso – non che negli ultimi mesi me ne servisse uno. Voglio talmente scusarmi che non mi rendo neanche conto che la mia voce si era unita alla sua, che aveva pronunciato la stessa singola parola della mia.
“Perdonami, ti va se inizio io?” sussurro come se fossimo vicini un millimetro. So che lui mi ha sentito e mi ha capito, ma non mi risponde. Resta in silenzio e io prendo questo silenzio come un si.
“Mi dispiace aver detto subito no, mi dispiace non averti spiegato bene le cose come stanno per me. Anzi, mi dispiace non esser riuscita a trovare spiegazioni plausibili per il mio no. Ho solo paura, capisci? È una cosa enorme per noi due e di mezzo ci sono carriera e vita. Siamo giovani e credo sia normale che una cosa del genere possa spaventare”lascio che le parole fluiscano proprio come era successo ore fa con mio zio, solo che diventa tutto più difficile se lo guardo dritto negli occhi. Nonostante questo, però, non oso abbassare lo sguardo. Devo cercare di passargli la mia confusione con ogni mezzo a mia disposizione.
“Voglio davvero passare la mia vita con te, tutta la mia vita. Ho solo paura di un passo così grande” mentre parlavo mi avvicinavo gradualmente alla sua figura, come e avessi paura di poterlo spaventare con un movimento brusco e quindi farlo scappare via da me. Sono a due spanne dal suo petto che si alza e s’abbassa al ritmo regolare del respiro. Vorrei tanto tuffarmici e tenerlo stretto fino alla fine dei giorni.
“Posso?” chiede, con voce flebile, dopo non meno di due minuti intrisi di un silenzio innaturale. Annuisco flebilmente. Il suo sguardo è ancora triste come quello di ieri, eppure con un movimento veloce porta le sue mani sulla parte bassa della mia schiena e mi avvicina a se. Ora i nostri petti si toccano e posso sentire il suo cuore battere contro il mio orecchio. Allenta la presa in modo da permettere alle mie braccia di cingerlo a sua volta e lascio che il suo profumo torni a vivere nei miei polmoni.
“Innanzitutto, mi sei mancata terribilmente. Non facciamolo mai più” e così dicendo il suo sguardo si ammorbidisce, chiude per un secondo le palpebre poi riprende a parlare “so bene che la mia proposta era enorme. So bene che siamo giovani e tutti quei blablabla che hai ripetuto. Volevo chiederti scusa per non averti chiesto il tuo parere ma averti preso alla sprovvista. Ti amo più della mia vita e se non ti senti pronta, io aspetterò. Non mi interessa quanto, non mi interessa nulla. L’importante è che io stia con te”.
Le sue parole arrivano dritte al mio cuore, facendogli perdere un battito. Nonostante io avessi deluso le sue aspettative era stato lui quello a scusarsi. Io lo amo e lui mi ama. È disposto ad aspettare che io sia pronta ad una cosa così impegnativa come il matrimonio come io sono stata disposta ad aspettare che lui si accorgesse di amarmi. So che la cosa giusta da fare adesso è una sola, ma prima vorrei sapere una cosuccia.
“Dove sei stato stamattina?” chiedo ed il mio tono risulta più accusatorio di quello che avrei voluto. Non sono una di quelle ragazze troppo gelose o morbose, ma non sapere dove sta – soprattutto se abbiamo appena litigato o discusso o quello che era – mi ha innervosita parecchio.
“Volevo riportare l’anelli indietro alla gioielleria. Arrivato fuori al negozio mi sono reso conto di averlo lasciato all’albergo, sul nostro letto. avevo paura di svegliarti se fossi tornato a prenderla allora mi sono fermato in un bar a fare colazione” sorride prima di rispondermi. Sorride complice, sapendo benissimo quanto io sia stata in ansia. Ora va molto meglio e sono molto più tranquilla. Mi stacco da lui e sorridendogli anche con lo sguardo, cerco alla cieca nella borsa la scatola più grande. Gliela porgo sicura e aspetto che la apra. Ne esce prima un bigliettino. Non riesco a leggere cosa c’è scritto nella mia scrittura, ma recito nella mia mente ‘auguri per il nostro terzo mesiversario, ti amo, Abby’. Sorride, poggiando il cartoncino e il coperchio della scatola sul tavolino stipato di roba. Dalla scatola le dita di Justin cacciano un portachiavi con una nostra foto plastificata e dietro tutte le date che ho ritenuto importanti per la nostra storia.
“Lo so che non è niente di che, avevi pensato che ci servisse un portachiavi per la nostra casetta di Londra” sussurro imbarazzata, come sempre quando consegno a qualcuno un regalo.
“Ti rendi conto che è semplice e stupendo? Esattamente come te!” mi stringe ancora di più con la mano libera mentre con l’altra tiene lontano dai nostri corpi stretti la scatola.
“Ti amo” lo diciamo insieme, come la prima volta che ce lo siamo detti, in aereo verso la sorpresa che mi aveva preparato, ovvero la casa di Londra.  Senza pensarci due volte, infilo di nuovo la mano destra nella borsa e senza che se ne accorga caccio fuori la seconda scatolina, quella più piccola, e la tengo stretta tra le dita come se fosse la cosa più fragile del mondo. Sciolgo l’abbraccio e con decisamente molto imbarazzo ma anche determinazione, poso la borsa sul bracciolo del divano e mi inginocchio li, d’avanti a lui. A metà tra il divertito e il sorpreso mi guarda dall’alto. Prendo un lungo respiro prima di lasciare che la mia mano destra si tenda in avanti, la scatolina ancora chiusa sul mio palmo. L’anello è mio, non avrebbe senso mostraglielo.
“Justin Drew Bieber, nonostante al nostro primo tentativo abbiamo quasi finito per non parlarci per un giorno, mi sono spaventata a morte e non abbiamo dormito nello stesso letto, accetteresti di sposarmi e passare con me il resto della tua vita, rendendomi così ancor più felice di quanto tu non faccia già?” lo dico con gli occhi lucidi, la mano tremante e il cuore a mille; ma la voce non trema e neanche la mia paura. Sono determinata, decisa, irremovibile. Voglio sposarlo. Voglio essere a tutti gli effetti la sua donna, la signora Bieber. Anche lui con  gli occhi lucidi ed un sorriso aperto e sereno, si inginocchia di fronte a me e afferra con le mani i due lati del mio viso per regalarmi il bacio più dolce che abbia mai avuto.
“Dio mi maledica se non è la cosa che voglio di più al mondo” sussurra ancora contro le mie labbra, riappropiandosene poco dopo. Si allontana da me solo per afferrare la scatolina dalla mia mano, aprirla e cacciarne una fascetta argentata, semplice e poco bombata, interrotta solo da una sequenza di tre pietre. Le due laterali sono minuscoli diamantini trasparenti, al cui centro vi è uno smeraldo circolare che sembra brillare anche nella penombra del camerino. So che l’ha scelto verde perché risalta i miei occhi, che gli sono piaciuti sin dall’inizio della nostra avventura insieme.
“È la cosa più bella che abbia mai visto” mormoro mentre lascio che Justin lo infili all’anulare della mia mano sinistra.
“Spero tu intenda dopo di me” sbotta divertito e dopo avermi infilato l’anello che sembra davvero brillare di luce propria come un mio sole personale, si alza e mi aiuta ad alzarmi, cingendomi immediatamente in un abbraccio caldo e confortante.
“Hai ancora paura?” sussurra ogni parola lentamente, dritta nel mio orecchio ed io mi aggrappo alle sue spalle come a sottolineare ciò che sto per dire.
“Se ci sei tu non posso aver paura di niente” e lo bacio di nuovo, coronando questa seconda proposta.


Dieci anni dopo

“Daddy è a casa, donne!” neanche il tempo di finire, che il rumore di piedi scalpitanti sulla moquette rompe l’insolito silenzio che ho trovato a casa mia.
“Papà!”gridano in coro le gemelle una volta giunte alla base delle scale per poi corrermi incontro e abbracciarmi entrambe in vita. Le mie gemelle. Mi sono mancate da impazzire. Sono stato via un giorno intero per cercare di convincere quelli che ora sono ‘i nonni’, ovvero i miei genitori a spostare la cena di natale nella nostra nuova villa in Canada, per festeggiarla tutti insieme – e per dare la notizia, ovviamente -  e per farmi aiutare da mia madre per i regali di Natale. Anche i genitori di Abby verranno qui per natale. Lo festeggeremo tutti insieme
Le abbraccio più strette che posso, inginocchiandomi per arrivare con il viso al loro e baciandole entrambe numerose volte sulle guance o suoi nasini piccoli quanto una ciliegia.
“Come è andata con i nonni, sono convinti?” la figura di mia moglie, molto più alta vista da quaggiù, appare dal soggiorno ancora dentro ai jeans attillati e la blusa scura che avrà indossato per tutta la mattina. Fortunatamente, essendo l’addetta al design della mia equipe, non è dovuta andare in maternità quando ha avuto le gemelle. Sarebbe stata insostituibile.
“Verranno, papà?” chiedono in coro le bimbe, districando un po’ l’abbraccio per guardarmi dritto negli occhi. Da quando sono nate non hanno mai partecipato a un natale tutti insieme. Eravamo sempre a casa dei miei nonni con mia madre e la sua nuova famiglia o a casa di mio padre. E poi a casa dei genitori di Abby. Non che i miei genitori non vadano d’accordo, solo che da anni hanno famiglie diverse.
“Beh, mie principesse e mia regina, devo darvi una notizia. È stata dura, ho dovuto convincere la nonna che non sarà lei a cucinare ma in quello non ci sono riuscito. Abbiamo patteggiato, verrà due ore prima per dare una mano! Grande traguardo, lo so benissimo. Comunque, torniamo alla notizia. Siete pronte ad aprire tutt’e due le montagne di regali di natale lo stesso giorno?!” mi rivolgo direttamente alle bimbe, ricevendo uno dei sorrisi che solo un padre può ricevere. L’ho imparato dalla prima volta che le ho viste, oltre lo schermo dell’ecografia. Le ho tenute strette in mano, avvolte nell’asciugamano dell’ospedale, ancora umide per il bagnetto appena fatto. Sono creature mie, nate dall’amore tra me e Abby. Sono le nostre bambine. È il miracolo della natura. E questo miracolo può essere compreso solo da chi ha i propri figli tra le braccia. Ora hanno sei anni e sono tutt’oggi un fenomeno unico e irripetibile. I miei fenomeni.
Altri gridolini di gioia e mi sono anche guadagnato un altro super-abbraccio.
“Ora a nanna, bimbe, dai” so benissimo che nella mente di Abby, ogni qual volta le vede ridere, piangere, giocare insieme tra di loro o con noi, passano le stesse immagini che vedo io, gli stessi pensieri. Essere genitori è un lavoro difficile, ma la paga è inestimabile.
Obbediscono immediatamente, e questo mi fa intuire che abbiano fatto un patto con la mamma: ‘a nanna appena papà torna e l’abbiamo salutato’. Le guardo salire le scale nei loro pigiamini, uno rosa l’altro lilla. Hanno ereditato i capelli da Abby ed ora hanno due chiome lunghe e folte, tutte boccoli. Da me hanno preso gli occhi color nocciola e – lo dico senza presunzione, sia chiaro – l’abilità di cantare. Sin da quando erano più piccole e incominciavano a dire le prime parole ho avuto la speranza che almeno una di loro cantasse. Non so perché, ma è come se le avessi passato un’eredità unica, originale e tutta nostra. Quando un giorno rientrando a casa dalle prove le ho sentite cantare la sigla di un cartone, ho capito che Dio mi aveva ascoltato. Come ho già detto, solo il fenomeno della natura più bello che abbia mai visto.
“A nanna anche noi, signorina” dico determinato, una smorfia tutta seria sul volto ma poi sorrido a mia moglie e la coinvolgo in un abbraccio passionale e romantico. Mi è mancata anche lei. Mi mancano sempre tutte quando non le vedo per qualche ora di troppo.
“Saluta papino come si deve!” la incito, sciogliendo l’abbraccio di quel poco che basta per far incontrare le nostre labbra. La bacio con tutto l’amore e la passione che ci avvolge dalla prima volta che l’abbiamo fatto.
Il giorno del nostro matrimonio, quasi nove anni fa, mi resi conto che quella fu la scelta migliore della mia vita. Non potevo chiedere di meglio al mondo, avevo già lei. È stato il giorno più bello della mia vita, dopo la nascita delle gemelle, che è avvenuta tre anni dopo il nostro matrimonio. Per il primo anno, quasi un anno e mezzo, non avevamo pensato affatto ad avere bambini. Tra il nuovo tour già organizzato e il disco in uscita sarebbe stato un inferno. Appena tornati a casa da mia madre, abbiamo incominciato a parlarne, abbiamo cominciato a fare l’amore quattro volte al giorno. Quando abbiamo scoperto delle gemelle eravamo diecimila volte più felici di tutti gli altri esseri viventi sulla terra. E ora stiamo aspettando un altro bambino. Abbiamo scoperto da un paio di mesi che avremo avuto un altro figlio o, come ha specificato il ginecologo, ‘forse altri gemelli’. L’idea non mi dispiaceva, quella dei gemelli. Due settimane fa il dottore ci ha detto che sarà maschio, uno solo. Mi sarà utile tra qualche anno che sia maschio, anche per badare le altre tre donne della casa. A natale dovremo dirlo a tutti. È per questo che abbiamo preso una casa nuova e più grande in Canada. Più grande per il nuovo arrivato e per i futuri, se mai ce ne saranno. Ed in Canada così che Abby potrà essere vicina sia ai miei che ai suoi genitori quando sarò in tour. Io avrei portato tutta la mia famiglia con me, ma penso sia un tantino scomodo. Comunque sia, abbiamo accordato di poterli farli venire con me in alcune tappe.
“Non vedo l’ora di dirlo ai miei genitori. Impazziranno davvero questa volta. Dopo Sheeren che aspetta un altro bambino da mio fratello Derek e mio fratello Tom che si sposa, mancavo io all’appello!” scherza Abby e io la stringo di nuovo a me. La mia vita è meravigliosa sin da quando l’ho incontrata. Come avrei potuto lasciarla andare via?
Magari l’ho scoperto dopo, di amarla e di tenere a lei più di qualsiasi altra cosa nell’universo ma l’ho fatto e non me ne pentirò mai. E poi, sono quasi sicuro di averla amata da sempre, da quando infreddolita le prestai la felpa, da quando quella mattina i nostri occhi si incontrarono più volte attraverso il vetro della saletta di registrazione. Quando qualcuno mi chiede se è stato amore fin da subito, quindi, io rispondo di si. Nessuno lo sapeva o se ne era reso conto. Ma io l’ho amata e l’amerò da sempre e per sempre.


The end.

Un grazie enorme a tutti quelli che hanno seguito la storia, l’hanno recensita o inserita in una lista nei loro profili. Siete le persone migliori del mondo, io lo so!
Spero davvero che la storia vi sia piaciuta, vi abbia fatto divertire ed emozionare come è successo a me scrivendola. Visto che ci siamo, vi auguro anche buon natale! E rinnovo l’augurio di vedere tutti coloro che hanno seguito questa storia partecipare alla crescita anche delle mie future storie!
Un bacione enorme,
sempre io e sempre con amore,

-Andrea.
@despicableandri su instagram, seguitemi!) ♥

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