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di Elpis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Grigia Routine ***
Capitolo 2: *** Romeo e Giulietta ***
Capitolo 3: *** Rottura ***
Capitolo 4: *** Baratro ***
Capitolo 5: *** Finzione ***
Capitolo 6: *** Ritorno ***
Capitolo 7: *** Incontro ***
Capitolo 8: *** Neve ***
Capitolo 9: *** Piano ***
Capitolo 10: *** Bacio ***
Capitolo 11: *** Rimpiazzo ***
Capitolo 12: *** Bentornato Akito-kun! ***
Capitolo 13: *** Desiderio ***
Capitolo 14: *** Salto ***
Capitolo 15: *** Gelosia ***
Capitolo 16: *** Equivoco ***
Capitolo 17: *** Addio ***
Capitolo 18: *** Vigilia ***



Capitolo 1
*** Grigia Routine ***


 


Grigia Routine 
 




I'm here without you baby
But you're still on my lonely mind
I think about you baby
And I dream about you all the time
I'm here without you baby
But you're still with me in my dreams
And tonight it's only you and me.” (1)
Here without you” 3 Doors Down

 


 


 

« A-chan! A-chan! »
La sua voce mi esplode nella testa. Quel tono squillante, quel brio incontenibile.
La guardo ed è radiosa come sempre. Mi fissa, i suoi occhi grandi contengono chiaramente un invito.
« Che aspetti A-chan? Vieni! »
Protende le mani verso di me e l’unica cosa che desidero è immergermi fra le sue braccia, sentire la freschezza della sua pelle, l’odore del suo respiro. Una brezza sottile le scompiglia le ciocche color mogano e le indirizza verso di me.
Voglio raggiungerla. Per tutta la vita ho voluto raggiungerla.
Faccio un passo in avanti, poi un altro. È strano, la distanza fra noi non diminuisce.
Sana mi guarda con il suo viso da bambina, per niente turbata. Continua a sorridermi e non sembra impaziente. Io però lo sono per entrambi. Aumento sempre di più la velocità dei miei passi e mi ritrovo a correre senza quasi accorgermene. Ma è tutto inutile.
La osservo allibito scivolare sempre più lontano da me. Il suono della sua risata diventa via via più flebile. Allungo la mano nel disperato tentativo di trattenerla…
Mi sveglio così, alle quattro di notte, nella mia stanza. Con una mano tesa verso il vuoto e il cuore che mi pesa come un macigno. Tiro un pugno alla parete che mi fa indolenzire le nocche. Avrei bisogno di molto di più per scaricare la rabbia. Mi tornano in mente le notti insonni passate a fare la maratona per le strade di Tokyo. Anche allora il pensiero di non averla vicina mi logorava.
Mi stendo, cercando di ritrovare un sonno che sembra sparito per sempre. Vorrei uscire e correre fino a sentire i polmoni bruciare, tendere i muscoli fino allo spasmo. Fregarmene di tutto e non rincasare fino a quando la mia mente non sarà di nuovo sgombra.
È la promessa che le ho fatto a trattenermi. Le sue ultime parole mi risuonano nella mente. “Io ce la metterò tutta per varie cose, quindi…! Coraggio! “(2)
Domani ho un esame, poi la riabilitazione e gli allenamenti. Devo dormire o non ce la farò e crollerò a metà mattinata. Lei ha lottato per rendere la mia vita migliore e io farò quello che posso per non mandare tutto a puttane.
Mi rigiro inquieto per ore. Infine mi addormento con il suo nome sulla punta delle labbra.
 

***
 

Il suono della sveglia mi perfora le orecchie. Agisco d’istinto, senza pensare, e le tiro un pugno che la scaraventa dalla parte opposta della stanza. Si sente un rumore sinistro, probabilmente si è rotta. Mi giro dall’altra parte, assonnato. Non passano neanche cinque minuti che Natsumi irrompe nella mia camera.
« Akito-kun! Che diavolo stai facendo? »
La sua voce è, se possibile, ancora più acuta di quella della sveglia.
« Ah! » esclama vedendone i resti ai suoi piedi. « L’hai fatto di nuovo? Ma quando imparerai ad alzarti come tutte le persone civili? Quante ne hai rotte questa settimana? Ho perso il conto! » grida stringendo le mani a pugno.
Non riprende mai fiato quella pazza isterica? Mi sollevo a sedere tenendomi la testa fra le mani.
Natsumi continua a blaterare ma non le presto più attenzione. Quasi quasi la preferivo quando non mi rivolgeva la parola.
Mi alzo e vado in bagno a sciacquarmi, passandole accanto come se non esistesse.
« Ehi, tu!... » mi bercia dietro con il pugno sollevato.
Continuo noncurante. Chiassosa. Come tutte le donne.
Il suo volto mi appare per un attimo, insieme a un flash di tutti i momenti in abbiamo litigato e l’ho lasciata così, con la mano sollevata, a lanciarmi improperi alle spalle. Solo che Kurata non si dava per vinta e mi inseguiva colpendomi e urlando fin che non le prestavo attenzione. Natsumi non è altrettanto battagliera – o forse dovrei dire rompipalle – e mi lascia in pace, tornando offesa in camera sua.
Osservo il mio viso allo specchio. L’espressione degli occhi è spenta e ho delle profonde occhiaie. In un anno e mezzo a Los Angeles il mio volto si è fatto più incavato e c’è un accenno di peluria bionda sulle guance. Chissà se Kurata mi prenderebbe in giro per questo.
Mi riscuoto dai miei pensieri e immergo la faccia sotto la cannella dell’acqua.
Agisco meccanicamente, senza concentrarmi sulle mie azioni, con come unico pensiero in testa che è un altro giorno, un giorno in meno.
Dieci minuti dopo mi ritrovo in cucina, con indosso i primi vestiti che ho trovato. Papà è seduto al tavolino con davanti una ciotola di porridge che gli ha preparato Natsumi. Da quando siamo a Los Angeles si è convertito allo stile di vita occidentale. Lo saluto con un cenno del capo e mi siedo al mio solito posto divorando la roba che ho davanti senza concentrarmi troppo sul suo sapore. Natsumi canticchia qualcosa davanti ai fornelli: sembra che si stia immedesimando sempre di più nel ruolo di padrona di casa. Papà invece sfoglia le riviste che si fa mandare tutte le settimane dal Giappone. Riviste che, inutile dirlo, sono piene di lei, dei suoi sorrisi e delle sue smorfie. Distolgo lo sguardo cercando di pensare ad altro.
« Sana-chan, ci manchi tanto sai? Diventi sempre più carina ».
Di nuovo. Un tempo papà parlava con il televisore quando appariva Kurata, adesso che negli USA non trasmettono canali giapponesi comunica con le riviste che esibiscono le sue foto. Mi chiedo se saremo mai una famiglia normale.
« Sei teso per l’esame, Akito-kun? » mi chiede Natsumi, togliendomi il piatto da davanti.
« Perché dovrei? » rispondo svogliato.
Mi guarda perplessa.
«Non hai il tema oggi? Credevo che scrivere in inglese ti riuscisse ancora difficile! »
« La scuola non è un problema » replico scuotendo le spalle.
Il punto non è scrivere in inglese, ma scrivere in generale. Riempire pagine e pagine con emozioni, sentimenti e bla bla bla. Che scocciatura. Prendo la cartella e mi avvio alla porta. Comunque sia non ho mentito a Natsumi: visto i buoni voti nelle altre materie, l’insegnate di inglese è tollerante.
Esco sbattendomi la porta alle spalle e mi incammino. Il mio sguardo è cupo, la mente assente. Ci sono momenti in cui la piega che ha preso la mia esistenza non mi pesa più di tanto. In cui penso che vivere non sia tanto male, anche se senza lei.
Sono i giorni in cui guardo la mano destra muoversi, le dita flettersi , anche se a fatica, e mi sento più leggero. Giorni in cui durante l’allenamento di karate riesco a mettere ko l’avversario che non ha menomazioni e riacquisto un po’ di fiducia in me stesso. Giorni in cui Natsumi mi parla senza urlare, con un tono di voce affettuoso che con me non ha mia usato prima.
Ma oggi non è uno di quelli. Oggi la mia grigia routine mi fa impazzire.
Mi sono svegliato con il piede sbagliato o forse è il fatto di averla di nuovo sognata. Il suo ricordo vivido mi brucia le viscere. È assente, eppure presente come non mai nella mia vita. Dannazione! Calcio con forza una lattina che mi intralcia la strada. Sono giunto di fronte all’edificio scolastico senza neanche accorgermene. Alcuni ragazzi mi salutano e io rispondo loro distrattamente. Non si può dire che a L.A. sia esattamente un lupo solitario, come mi chiamava Kurata alle elementari, ma non ho instaurato alcun legame speciale. Arrivato in classe sbatto lo zaino sul banco e mi siedo in attesa dell’inizio delle lezioni. Alcuni compagni chiacchierano lì vicino e cercano di trascinarmi nella conversazione. Rispondo a monosillabi, di alcuni non ricordo nemmeno il nome. Finalmente l’insegnate arriva ponendo fine a quel fastidioso brusio.
Le ore di spiegazione scorrono veloci e sono una distrazione gradita. Da quando mi sono trasferito non ho mai preso una nota e solo qualche saltuario rimprovero per i miei modi bruschi. A volte mi chiedo se nel vedermi ne sarebbe orgogliosa: è un pensiero sciocco ma tranquillizzante. Mi aiuta a ritrovare la pazienza quando vorrei solo prendere a calci il banco e andarmene sbattendo la porta.
Un ticchettio attira la mia attenzione. Fuori ha iniziato a piovere e visto che il mio banco è vicino alla finestra vedo le gocce scivolare in mille rivoli sul vetro. La pioggia non mi dispiace perché profuma l’aria di fresco. Mi chiedo che cosa ne pensi Kurata, forse lei è una di quelle che vorrebbe ci fosse sempre il sole. Il mio labbro si incurva in un accenno di sorriso. Che sciocchezza. Non credo che esista al mondo qualcosa di cui Kurata non sia entusiasta, pioggia inclusa. Il professore mi vede distratto e mi rimprovera. Avrei voglia di rispondergli “Si vede che lei è noioso”, ma mi trattengo.
Al suono della campanella dell’intervallo il mio umore è appena un po’ migliorato: ne è la prova il fatto che vedo Nathan avvicinarsi a me e rimango immobile, senza fuggire nel corridoio come l’istinto mi suggerisce di fare.
«Ehi, Akito! » mi saluta sorridendo.
« Hi » rispondo svogliato.
« Non avrai intenzione di passare tutto l’intervallo in classe vero? Andiamo a sgranchirci le gambe in corridoio ».
« Va’ tu. A me non fa voglia ».
Nathan mi guarda con un sogghigno divertito. Sembra che la mia faccia cupa non lo intimorisca.
« Hai paura di essere preso d’assalto dalle ragazze, eh? »
Gli lancio un’occhiataccia ma lui scuote la testa, divertito. In realtà non ha tutti i torti. Girare per i corridoi con uno stupido gruppetto di matricole che ti segue ridacchiando ed ammiccando è snervante. Ancor peggio quando si presentano o cercano di fare le gentili. Le ragazze americane sono più tenaci di quelle giapponesi: non basta una risposta scortese per farle demordere. (3)
« Certo che io non riuscirò mai a capirti. Avessi io uno stuolo di ragazze adoranti ai miei piedi! » continua imperterrito.
Mi irrita. Tiro fuori l’mp3 dallo zaino e sto già per infilarmi le cuffie quando le sue ultime parole mi gelano.
« Ma certo tu hai la tua attrice d’oltremare che ti aspetta… e che nell’attesa gira scene d’amore con un altro! »
Per un attimo vedo rosso. Scatto in piedi, l’mp3 cade con un tonfo ma non ci faccio caso. Ho afferrato Nathan per il bavero della giacca e lo sto fissando negli occhi. La mia mano prude dalla voglia di dargli un cazzotto tanto forte da chiudergli la bocca per sempre. Mi trattiene il suo sguardo, finalmente spaventato.
«Non parlare di Kurata. Non nominarla nemmeno, hai capito? » gli ringhio con la faccia a pochi centimetri di distanza. I miei occhi mandano lampi.
Nathan annuisce bisbigliando qualcosa di incomprensibile. Lo lascio andare.
« Scusami io… stavo scherzando… io… »
Non finisce la frase, si limita ad allontanarsi da me. Mi rimetto seduto e raccolgo l’mp3, ignorando gli sguardi esterrefatti dei miei compagni. Esteriormente sono calmo ma dentro non faccio che pensare a una sequela di colpi di karate. E il bersaglio è sempre la faccia di Nathan Spark.
Le lezioni rincominciano ma la mia mente è altrove. Non riesco a cancellare le sue parole dalla testa. La cosa che più mi fa incazzare è che sono la verità. Forse in quel preciso momento Kurata si trova tra le braccia di un altro. Il lapis che stringo tra le mani si spezza in due con sonoro crack. Mi tornano in mente le parole con cui mi ha annunciato il suo nuovo ingaggio.

«Hola Hayama! Todo bien?»
« Scema. Sono in America, non in Spagna sai? »
Una delle tante conversazioni telefoniche. Una tortura dolceamara che si ripete due o tre volte alla settimana.
« Ja, ja ».

Posso quasi vederla muovere quella sua buffa testolina avanti e indietro in segno di assenso.
« Quello è tedesco » la informo fingendomi scocciato.
« Uffa, sempre a voler fare il pignolo! Insomma ci sono novità? È successo qualcosa di bello? »
Kurata è sempre allegra, ma quel giorno è diverso, sembra addirittura entusiasta. Scommetto che c’è qualcosa che mi vuole dire.
« Niente di particolare. Tu? »
« Ho una fantastica notizia! » Come volevasi confermare. << Ti ricordi di quel nuovo lavoro che mi ha procurato Rei? Quello che ho accettato solo per zittirlo perché mi urtavano i suoi piagnucolii?»
« Mmm » mugugno.
Lavoro. Sinceramente speravo in qualcosa di meglio.

« Ho appena scoperto di cosa si tratta. Sono la protagonista di un film che parla della più bella storia d’amore della storia. Sei pronto? »
Mugugno di nuovo. La mia mancanza di interesse non sembra scoraggiarla.
« Romeo e Giulietta! » dice tutto d’un fiato.
In effetti quella risposta mi sorprende.

« Ti rendi conto, Hayama? Reciterò una tragedia del grande Shakesmere! »
« Si dice Shakespeare » la correggo automaticamente. Quella ragazza è senza speranza.
« Eh? Davvero? Comunque è una bella cosa, no? Rei dice che sarà una parte fondamentale per la mia carriera e …»
Ed eccola partita in quarta a descrivermi il cast, le musiche, i costumi, gli adattamenti e chissà cos’altro. Quando fa così non le sto dietro. Peraltro sono ancora sotto shock. Sana Kurata interpreterà Giulietta? Non riesco a immaginarmela in una parte così seria e tragica. Una fitta di gelosia mi trafigge le viscere.
« … e poi il regista ha detto che…»
« Chi è Romeo? » la interrompo più bruscamente di quanto avrei voluto.
« Ah, questa è un’altra bella notizia! Che sciocca me ne stavo per dimenticare! » sento un colpo, come se si fosse data una manata in testa. Probabilmente lo ha fatto per davvero.
« Il co-protagonista è Naozumi! »
In quale universo parallelo il fatto che quel damerino avesse l’occasione di metterle le mani addosso era una bella notizia? Al solo pensiero mi viene voglia di commettere un omicidio.
« Il regista lo ha scelto subito dopo aver pensato a me! Ha detto che siamo proprio una bella coppia».
Stupida Kurata. Come fa a dirmi quelle cose con tanta noncuranza?
« Ehi ma perché non dici niente? Cosa ne pensi Hayama? »
Penso che sei una cretina. Una cretina egoista.
« Hayamaaaaaaa! » urla perforandomi l’orecchio. << Mi senti? »
Una cretina egoista ed insensibile. Un’ottusa bambina viziata che non capisce niente dell’amore.
« Ehi, ma mi stai ascoltando? » continua a sbraitare. << Non è che sto parlando da sola? >>
« Kurata ho una domanda ».
« Ah, eccoti! Dimmi tutto ».
Sembra felice come una bambina di fronte a un uovo di Pasqua.

« Ti fanno fare Giulietta anche se sei piatta come una tavola? »
Dall’altra parte del telefono sento un urlo di svariati decibel di potenza.
« Voglio dire Giulietta dovrebbe essere un personaggio femminile, non è che gli rovini tutto? » continuo imperterrito.
« HAYAMAAA!! SCHIFOSO PERVERTITO DA DUE SOLDI! PER QUELLO CHE NE SAI POTREI ANCHE AVERE LA QUINTA ORA! »
Dopo poco che sono riuscito a farla sbollire mi saluta con un ciao ancora un po’ offeso.
Sospiro. Non c’è niente da fare. Anche se è una cretina, un’egoista e un’insensibile l’unica cosa che conta è la felicità di Kurata.







1. “Io sono qui senza di te amore,
ma tu sei ancora nei miei pensieri solitari,
Io penso a te, amore
Sogno di te continuamente,

Sono qui senza di te, amore
Ma tu sei ancora nei mie sogni
E stanotte ci siamo solo io e te”

2. frase presa dal manga

3. nel manga ( e nell’anime) Akito risponde male a una studentessa che gli chiede di fare una foto insieme e questa scappa piangendo.




Ciao a tutti!
Per prima cosa un grazie anche solo per aver letto fino alla fine il primo capitolo della mia fanfiction. In realtà è una specie di introduzione e mi rendo conto di non aver lasciato molti spunti per capire l’evolversi della storia… ma in questo come nel prossimo capitolo vorrei concentrarmi sul senso di vuoto che Sana e Akito provano per la loro lontananza ( anche perché mi è parso che nel manga questo aspetto non fosse molto evidenziato). Anticipo quindi che la prossima volta scriverò dal punto di vista di Sana e il titolo sarà “Romeo e Giulietta”. Vi lascio un piccolo spoiler:

“Naozumi pronuncia quei versi con una passione che mi chiude il cuore in una morsa.
Mi porge la rosa e io, come una stupida, penso che è dell’esatto colore delle sue labbra. Le nostre dita si sfiorano, i nostri sguardi si incrociano. Nao è sempre stato un bravo attore, ma in quel momento è straordinario. I suoi occhi sono così crudelmente sinceri che non ha bisogno d’altro per comunicarmi i suoi sentimenti. Quello sguardo… fino a quel momento solo lo sguardo d’ambra di Hayama era riuscito a farmi restare senza parole. Adesso invece mi perdo nel bldegli occhi di Kamura. Un brivido mi corre lungo la schiena quando realizzo con assoluta certezza che se il mio cuore non fosse stato già di Akito, con quello sguardo Naozumi me lo avrebbe rubato per sempre.”


 

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Capitolo 2
*** Romeo e Giulietta ***


 

Romeo e Giulietta


 

La ricchezza del mio cuore è
infinita come il mare,
così profondo il mio amore:
più te ne concedo, più ne possiedo,
perché entrambi sono infiniti.

Giulietta a Romeo Atto I


 


 

DRIN DRIIN DRIIIN

Il rumore delle campane scandisce i battiti del mio cuore. Sono appoggiata alla navata della chiesa e attendo con ansia l’arrivo di Hayama. Il vento mi accarezza la nuca scoperta e fa svolazzare il lungo abito bianco che scende fino a coprirmi le caviglie.
Intravedo una figura in lontananza e mi ci vuole un attimo per capire che è lui, che è qui, che sta venendo verso di me.
Vorrei corrergli incontro e annullare quella distanza che ci separa ma il terrore di inciampare sullo strascico e di rovinare tutto mi paralizza.

DRIIIIIIN

I suoi capelli biondi brillano alla luce del sole. Nello scorgere il suo viso  il mio cuore fa una capriola. Avanza sicuro verso di me, senza fretta, come se avesse tutto il tempo del mondo. Non appena mi vede gli angoli della bocca gli si incurvano in un malizioso sorriso carico di promesse.

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN

« Uaaah!! »
Scatto a sedere sul letto, confusa. Il rumore assordante della sveglia mi ha spaventata. Probabilmente è mezz’ora che suona ed io, come al solito, non me ne sono accorta. Mi affretto ad interrompere quel fracasso e nel vedere l’ora del display lancio un altro grido: sono le otto e quaranta, persino più tardi del solito. Getto le coperte per aria e schizzo fuori dal letto per fiondarmi nel bagno. Nella corsa per il corridoio travolgo Rei che arranca per casa in boxer, con gli occhi socchiusi e lo spazzolino ancora conficcato in bocca. Cade per terra come uno stoccafisso e mi guarda come se non si fosse neanche reso conto di quello che è successo. Ritrovo in un secondo l’equilibrio e riprendo a correre.
« Scusami Rei! Ti aiuterei ad alzarti, ma rischio di fare tardi a lezione! » gli rispondo senza fermarmi. Accidenti a me e al mio dannato coma mattutino!
« Sana-chan! » mi urla dietro. « Sana-chan oggi non vai a scuola! Ti sei dimenticata che devi girare le riprese per il film? »
La mia frenata è talmente brusca che rischio di inciampare e cadere giù dalle scale.
« Eh? » domando perplessa tornando sui miei passi.« Devi essere agli studi per le dieci. Ti stavo venendo a svegliare » spiega il mio manager dopo essersi rimesso in piedi.
« Davvero? Questo vuol dire che non sono in ritardo? Che notizia meravigliosa! » esclamo sollevata. Mi alzo in punta di piedi e do un bacio sulla guancia a Rei.
Entro in bagno di buonumore e mi sciacquo la faccia con cura. Mi applico sul viso una crema idratante e protettiva: alla lunga la luce dei riflettori può nuocere alla pelle e, si sa, il viso per una star è tutto. Del trucco invece non mi preoccupo minimamente: è inutile che faccia uno dei miei soliti pasticci quando c’è una professionista che mi aspetta agli studi.
Rientrata in camera prendo una matita e spunto un altro quadratino dal calendario che ho appeso a fianco del letto. Ancora 182 giorni. 182 giorni e rivedrò Hayama. Al solo pensiero mi tremano le gambe.
Il mio subconscio mi manda uno strano segnale. Possibile… possibile che stessi sognando proprio lui quando è suonata la sveglia? Ho un flash improvviso di Hayama con indosso lo smoking e di me che lo attendo con un pomposo abito da sposa. Scoppio a ridere così fragorosamente che le gambe mi cedono e mi ritrovo piegata in due. Akito che si veste in quel modo… e che per di più sorride!
Semplicemente impossibile! Neanche se vivessi cent’anni assisterei a un evento simile. Mi chiedo come abbia fatto la mia mente a partorire un’idea così buffa.
Dopo qualche secondo recupero la compostezza e mi asciugo le lacrime dagli occhi. Davvero ho sognato il mio matrimonio? Passato il momento di ilarità il pensiero mi fa arrossire. Immagino di nuovo Hayama con la camicia bianca e la giacca scura. Rivedo il suo volto e i suoi occhi, così oscuramente belli da farmi star male. Come una sciocca penso che il suo sorriso mi basterebbe come dono di nozze. Sana Hayama. Arrossisco ancora di più. Come fanno quelle due piccole parole a provocarmi tutto quello scombussolamento? La mente mi tradisce e mi manda l’immagine di me, un po’ più adulta, che stringo fra le braccia un Mini-Hayama con gli occhi ipnotici del padre. Ormai sono talmente accaldata che potrebbe anche uscirmi il fumo dalle orecchie.
Sbam. Sento il rumore di una porta chiudersi e con un sussulto mi riscuoto da quelle fantasticherie. Dove diavolo ho la testa quella mattina?
Apro l’armadio e indosso i pantaloni e la camicia blu che ho scelto la sera prima. Scendo le scale per andare a fare la colazione, cercando di scacciare i residui del sogno. Che poi non ho nemmeno intenzione di sposarmi all’occidentale, io! (1) Assurdo, assurdo. Assurdissimamente assurdo. Ma allora perché sto sorridendo come un’ebete?
Mammina è già seduta al tavolo e si diverte ad infastidire Rei tirandogli briciole di pane.
« Buongiorno a tutti! » esclamo saltando gli ultimi gradini ed entrando in cucina.

La signora Shimura mi mette davanti il piatto della colazione e Rei inizia l’elenco degli impegni della giornata. Io annuisco fingendomi attenta, in realtà non ascolto una parola. A volte fare l’attrice ha i suoi vantaggi.
« Allora figliola oggi girerai la scena del balcone? » mi chiedo mammina con un’espressione indecifrabile mentre Maro scorrazza allegro sulla sua testa.
Annuisco, felice che abbia interrotto il soliloquio del mio manager. Nei suoi occhi passa un guizzo che non promette niente di buono.
«Aprirai il tuo cuore a Kamura, giurandogli amore eterno » proclama con voce imperiosa mentre Maro si esibisce in un’efficace pantomima. « Il fuoco dei lombi ottenebrerà le vostre menti, il sangue vi scorrerà più veloce nelle vene facendovi dimenticare persino i vostri nomi…»
Adesso si è persino alzata, un piede appoggiato sulla sedia. Mammina è incorreggibile, ogni pretesto è buono per prendersi gioco di me.
« Maestra! Ma le sembrano le parole da usare… » cerca di interromperla Rei, senza successo.
« O Romeo, Romeo perché sei tu Romeo? » declama a gran voce. « Scommetto che la vostra passione incendierà il set. » conclude con uno sguardo malizioso.
« Ma cosa dici, mammina! » rispondo ridendo. Le punto un dito sotto gli occhi. « Io e Nao siamo solo amici, capito? A-M-I-C-I! » Scandisco bene per far penetrare il messaggio.
« Questo può essere vero per te » Nel pronunciare queste parole ritorna seria. « Ma Kamura ha da sempre un debole nei tuoi confronti. Mi chiedo che cosa ne pensi Akito ».
« Eh? Che cosa dovrebbe pensare? » le chiedo perplessa.
« Sei sicura che non sia per niente geloso? » mi domanda con espressione intensa.
Hayama…geloso?
« Ma figurati! » esclamo di getto. È un’idea quasi più stramba del sogno di prima. « Sa bene che si tratta solo di lavoro e poi non è certo la prima volta che recito film d’amore con Nao, no? »
Rei annuisce convinto.
« Ben detto Sana-chan! Non lasciare che simili pensieri ti distolgano dal lavoro! La carriera prima di tutto! E, a proposito, è ora di andare » conclude rapendomi dalla cucina.
Faccio appena in tempo a sentire le ultime parole di mammina che prende appunti per il suo nuovo libro: “Io e mia figlia tre”. « Nonostante ormai abbia quindici anni, in amore mia figlia non è granché maturata…»
Il mio manager mi trascina in corridoio e quasi mi spinge di peso sull’auto. Gli studi non sono lontani ma l’andatura da lumaca di Rei mi lascia tutto il tempo per riflettere. Hayama geloso di Naozumi. Cerco di scacciare q
uel pensiero fastidioso ma continua a tornarmi in mente e a farmi infuriare. Perché mammina ha dovuto mettermi in testa quella sciocchezza? Akito non mi ha mai detto niente del genere! Anche se con il suo carattere chiuso… Ma io me ne sarei accorta se il pensiero di me e Naozumi gli desse fastidio, no? Però in questioni di cuore non sono un’esperta, anzi sono proprio una frana. Quindi…quindi forse con il mio comportamento lo sto facendo soffrire? È un’idea così orribile che mi pento anche solo di averla pensata. Così non va, Sana. Devi stare calma e svuotare la mente per dare il massimo nelle riprese. Inspiro profondamente. Le mie sono solo inutili paranoie. Espiro l’aria dai polmoni. Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme come potrebbe Akito dubitare del nostro rapporto?
Con questi pensieri positivi e il ritrovato buonumore entro negli studi per essere subito assalita da una folla di truccatori, costumisti, assistenti e chissà cos’altro. Rei mi abbandona nelle loro mani e va a parlare con il regista, un tipo smilzo e all’apparenza effeminato ma che quando si arrabbia tira fuori una voce da baritono da far ghiacciare il sangue.
Chiudo gli occhi e cerco di rimanere ferma immobile mentre Sasha mi dipinge le labbra e passa un velo di ombretto sugli occhi. Alle mie spalle una ragazza nuova di cui non ricordo il nome sta cercando di domare i miei capelli per farli ricadere in morbide onde sulle spalle.
Quando ero più piccola sopportavo quella trafila a stento, considerandola un po’ una tortura. A undici anni consideravo il mio lavoro come un’attività divertente ma che mi sottraeva tempo ed energia, per non parlare dell’infinità di sacrifici che comportava. Avevo pensato più volte di smettere e di vivere finalmente una vita normale.
Dopo la mia strana crisi depressiva – quella che mammina aveva denominata malattia della bambola - mi ero tenuta per alcuni mesi lontano dal palcoscenico. Era stato allora che avevo realizzato quanto amassi essere un’attrice. Recitando potevo vivere più vite,
essere più persone, esprimere un ventaglio di emozioni diverse. Sorrido fra me e me. D’altronde per me è sempre così: non mi sono accorta di essere innamorata di Hayama fino a quando Fuka non me lo ha rubato e non ho intuito che recitare è la mia passione fino a quando non ho smesso per un po’. Sono proprio una sciocca se per capire di amare qualcosa devo ogni volta sperimentare il dolore di perderla.
« Pronta! » esclama entusiasta la truccatrice. « Stai proprio bene così, Sana-chan! »
Mi passa lo specchio così che possa osservarmi. In quei mesi il mio volto non è cambiato più di tanto, ma Sasha è stata davvero brava ed è riuscita ad evidenziare la forma dei miei occhi nocciola e a rendere più piene e morbide le labbra. Con un sospiro penso che il viso non è l’unica cosa ad essere rimasta uguale: anche il mio seno non vuol decidersi a crescere e mi chiedo se riuscirò mai a superare la seconda. Arrossisco ripensando alla conversazione telefonica con Hayama.
Scaccio quel pensiero fastidioso e mentre faccio un sacco di complimenti a Sasha infilo il costume di scena. È una semplice camicia da notte, bianca, appena un po’ aderente sui fianchi e che mi arriva quasi alle ginocchia. Sistemata in quel modo ho un’aria eterea e delicata, una dolce fanciulla alle prese con il primo amore. Chissà cosa penserebbe lui se potesse vedermi agghindata così.
Rei bussa al camerino e mi accompagna al set, ripetendomi per la trecentesima volta il copione: si vede che ha riposto veramente tante speranze in questo film. In realtà condivido buona parte del suo entusiasmo: ho recitato in vari ruoli nel corso della mia carriera ma quello di Giulietta è quello che preferisco in assoluto. Non so bene perché ma immedesimarmi nei suoi sentimenti mi viene naturale. Forse questo vuol dire che sono più femminile di quello che lui crede.
Il regista ha deciso di lasciare i dialoghi praticamente inalterati dall’opera originale ma di ambientare il film nella Verona del futuro.(2) Montecchi e Capuleti sono le due famiglie più ricche e potenti della città e non esitano a ricorrere a sicari o a duelli sanguinari per affermare la loro superiorità sull’avversario. In quel clima di violenza ci incontriamo io e Naozumi, i due amanti nati sotto contraria stella, e uno sguardo basta a legarci fino alla morte.
Quando Nao entra in scena non posso fare a meno di fissarlo ammirata. I pantaloni aderenti evidenziano le sue gambe muscolose e la camicia bianca a maniche larghe ha un leggero scollo che lascia intravedere un accenno di peluria sul petto. Mi rendo conto d’improvviso che nell’arco di poco tempo Nao è molto cambiato: il suo fisico è sempre snello e aggraziato ma più definito ( mi chiedo se abbia iniziato a fare palestra dopo aver scoperto che sono in grado di batterlo a braccio di ferro) ed anche i suoi lineamenti si sono fatti più virili. Adesso nessuno potrebbe più scambiarlo per una donna.
Mi vede e mi saluta con un sorriso caloroso che ricambio con trasporto. In quel periodo buio senza Akito, mi è stato vicino come nessun altro e si è sempre comportato come un buon amico. Il nostro rapporto è così spontaneo che a volte mi chiedo se davvero continui a provare dei sentimenti nei miei confronti e non abbia invece iniziato a considerarmi come una sorella.
È nel bel mezzo della scena che sono costretta a ricredermi.
Come da copione Kamura recide un fiore dal mio giardino e si issa sul balcone. Improvvisamente mi ritrovo il suo viso a pochi metri di distanza.
« Ti prendo in parola. Chiamami solo amore e avrò nuovo battesimo. Anzi, già non mi chiamo più Romeo ».
Naozumi pronuncia quei versi con una passione che mi chiude il cuore in una morsa.

Mi porge la rosa e io, come una stupida, penso che è dell’esatto colore delle sue labbra. Le nostre dita si sfiorano, i nostri sguardi si incrociano. Nao è sempre stato un bravo attore, ma in quel momento è straordinario. I suoi occhi sono così crudelmente sinceri che non ha bisogno d’altro per comunicarmi i suoi sentimenti. Quello sguardo… fino a quel momento solo lo sguardo d’ambra di Hayama era riuscito a farmi restare senza parole. Adesso invece mi perdo nel blu degli occhi di Kamura. Un brivido mi corre lungo la schiena quando realizzo con assoluta certezza che se il mio cuore non fosse stato già di Akito, con quello sguardo Naozumi me lo avrebbe rubato per sempre. Sono stata una sciocca a pensare che i suoi fossero i sentimenti di un fratello, non lo so e probabilmente mai lo saranno. È tutto molto triste: nel film Naozumi è il mio Romeo, ma nella vita reale si deve accontentare del ruolo di Paride.
« Stop! » grida il regista. « Kurata si può sapere cosa c’entra quell’espressione affranta? Romeo ti sta confessando il suo amore, dovresti avere lo sguardo rapito dall’estasi! »
Mi riscuoto dai miei pensieri e con un sussulto mi rendo conto di essermi persino dimenticata la battuta.
« Scusate tanto! » grido imbarazzata rivolta allo staff. « Non sbaglierò più, promesso! »
Riprendiamo a girare e stavolta mi immergo completamente nella parte, senza lasciarmi distrarre dai miei sentimenti. Proviamo un altro paio di volte, poi finalmente il regista è soddisfatto e ci fa fare una pausa mentre gli assistenti cambiano il set.
Mi siedo e bevo un bicchiere d’acqua mentre Rei mi cinguetta intorno e non fa che dirmi quanto sono stata brava. Gli sorrido e faccio dei commenti sciocchi ma con la mente ripenso a quanto è successo poco prima e mi incupisco di nuovo. Cerco con gli occhi Nao e mi pare che eviti di proposito il mio sguardo. Forse si pente di avermi mostrato così apertamente i suoi sentimenti.
Sbuffo, infastidita. È tutto così profondamente sbagliato! Kamura è un bravo ragazzo e un amico straordinario, l’ultima persona al mondo che dovrebbe soffrire per un amore non corrisposto. Si meriterebbe di conoscere una ragazza che lo renda felice.
Sospiro pensando a quanto possa essere strana la vita. Se solo non avessi incontrato Hayama, sarei potuta essere io quella ragazza. Avrei conosciuto Naozumi nel mio percorso per diventare un’attrice, il nostro rapporto di amicizia con il tempo si sarebbe evoluto e alla fine mi avrebbe fatto innamorare. Magari proprio in quella scena girata pochi minuti prima. Invece il mio destino è intrecciato indissolubilmente con quello di Akito e per il mio migliore amico sono solo fonte di sofferenza. Non posso fare niente per cambiare questa situazione, in realtà non ho neanche potuto scegliere. Dal giorno in cui Hayama mi ha aperto gli occhi e costretto ad affrontare i miei sentimenti fidanzandosi con Fuka, il mio cuore non ha mai titubato. Non c’è mai stato neanche un piccolo spiraglio per Naozumi; neanche per un secondo ho potuto offrirgli qualcosa di più della semplice amicizia.
Recitare quella scena con me deve essere stato doloroso per lui come strusciare del sale su una ferita ancora fresca. Vorrei con tutte le mie forze fare qualcosa per farlo stare meglio.
« Cinque minuti e riprendiamo! » sbercia il regista nel megafono e subito la costumista mi aiuta a cambiarmi dietro un camerino allestito alla bell’e meglio. Non ho più tempo per pensare a queste cose.
La scena che dobbiamo recitare è quella dell’Atto Terzo: Romeo è stato condannato all’esilio e dopo un’ultima notte d’amore con Giulietta, i due amanti sono costretti a separarsi. Sento una leggera ansia salirmi in corpo: il regista è un maniaco perfezionista e ha fatto riscrivere questa scena almeno dieci volte. Un’ora e mezzo dopo i miei sospetti sono confermati. Ripetiamo le solite battute ancora e ancora, provando a cambiare tono, espressioni, intensità. Proprio come temevo al regista non va bene niente.
« Stop! » urla all’quindicesima ripresa. « Ci fermiamo per cinque minuti » ringhia passandosi una mano fra i capelli; dopodiché si rivolge all’autoredel copione. Il mio manager li raggiunge e li sento discutere animatamente.
Che scocciatura. Mi appoggio alla parete cercando di riprendere il fiato. A forza di urlare ho la gola secca. Per quanto ancora dovrò provare la stessa identica scena? Sospiro affranta. Sento Rei urlare qualcosa al regista ma non gli presto attenzione. In questo momento l’unica cosa a cui riesco a pensare è la soba (3) della signora Shimura che mi attende al ritorno dagli studi. Sento lo stomaco gorgogliare.
Il mio manager viene verso di me e cerco di riprendermi un po’ per sembrare la Sana allegra e spensierata di sempre. In realtà da quando lui è partito i miei sorrisi spontanei sono molto più sporadici.
La faccia di Rei è pallida e sembra molto nervoso. Forse anche lui è stanco per la lunga giornata.
« Sana-chan il regista è convinto che serva una modifica al copione… » mi comunica con una voce così flebile che lo sento a malapena.
Dopo aver ascoltato le parole di Rei rimango per un attimo in silenzio, sicura di non aver capito bene. Quando finalmente metabolizzo il concetto ho un’unica reazione:
« CHE COOOOOOOOSAAAAAAAAA??? »
Il mio urlo è così forte da incrinare i vetri delle finestre.

 

 


(1) secondo il rito tradizionale giapponese la sposa il giorno delle nozze indossa un kimono, ma molte preferiscono seguire la moda occidentale. Nell’anime c’è una puntata nella quale i due maestri delle elementari litigano proprio sul vestito da indossare il giorno delle nozze.
(2)l’idea è ripresa dal film “Romeo+Juliet” di Baz Luhrmann ( che consiglio assolutamente di vedere)
(3) piatto tipico giapponese, simile a degli spaghetti in brodo





Leggendo alcune ff su Kodocha ho notato come spesso il personaggio di Naozumi sia dipinto a tinte fosche. In molte storie è descritto come un ipocrita opportunista che aspetta solo il momento giusto per fare la corte a Sana e rubarla ad Akito. In realtà a me il personaggio di Kamura piace un sacco, lo trovo un ragazzo molto maturo e sensibile, sempre disposto ad anteporre la felicità di Sana alla propria. D’altronde “al cuor non si comanda” e non si può fare una colpa a Nao se non riesce a dimenticare Sana, no? Per questo nella mia ff Kamura è descritto come un personaggio positivo ed avrà un ruolo centrale anche in seguito. Naturalmente ogni commento e/o critica è ben accetta! J
Il prossimo capitolo sarà scritto dal punto di vista di Akito, per il titolo non sono ancora sicura ma credo che sarà “Tempismo”. Un piccolo estratto:

<< Ho deciso di rimanere in America per un altro anno. Non voglio che tu mi aspetti ancora. >> Quelle parole mi escono con un rantolo dalle labbra. Aspetto di sentire una risposta e sono così coglione che una parte di me vorrebbe già rimangiarsi tutto o perlomeno che lei mi implorasse di farlo.
Ma Kurata non dice niente.
 

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Capitolo 3
*** Rottura ***


 

Rottura





 

L’amore è una tenera cosa? È troppo rude,
troppo brutale,troppo aspro e
punge come una spina.”

Romeo e Giulietta Atto I vv 25

 

 

 
 

 

Se c’è una cosa che mi piace di Los Angeles è che posso girare per le strade senza rischiare di trovarmi di fronte un cartellone pubblicitario o una locandina con la sua foto. Non ho davvero bisogno di qualcos’altro che mi faccia pensare a lei.
Corro per il parco, vedendo il sole sparire lentamente dietro gli alberi. Man mano che la luce diminuisce anche il mio umore diventa più cupo.
Dal giorno in cui ho resistito all’impulso di spaccare la faccia a Nathan sono passati tre mesi. Digrigno i denti e aumento ancora di più l’andatura. Il dolore al fianco è quasi insopportabile e il fiato mi brucia nei polmoni. Così va meglio. Se mi concentro solo su quello, riesco a smettere di pensare. A non far caso al fatto che sono passati solo tre mesi. E che a me sembrano secoli.
Speravo che con il tempo questo dolore sordo alle viscere sarebbe diminuito. Che mi sarei abituato a starle lontano. Invece ogni giorno che passa sono sempre più tentato di mollare questo fottuttissimo posto e prendere il primo volo per Tokyo. Scuoto la testa, cercando di allontanare quei pensieri.
In questo periodo io e Kurata non ci siamo sentiti molto. Le riprese, la conferenza stampa, le interviste. Ogni settimana c’è qualcosa di nuovo che la tiene impegnata. E ovviamente quel qualcosa lo deve sempre fare con lui, Naozumi Kamura. Il pensiero di quel damerino mi fa ribollire il sangue. Mi blocco in mezzo alla strada e inizio a tirare pugni immaginari. Alcuni passanti si fermano ad osservarmi, allibiti; ma basta un solo sguardo perché riprendano a passeggiare. Natsumi dice che a volte i miei occhi emanano dei bagliori inquietanti. Forse è così, ma in questo momento ho più che il diritto di essere incazzato. È più di una settimana che non le parlo. E nei pochi momenti che ha da dedicarmi, non fa che parlare di lui, di “Nao”.
Faccio un respiro profondo. Si sta ripetendo tutto di nuovo, un circolo vizioso da cui non riesco ad uscire. E questa cosa mi manda in bestia.
È tutto esattamente come tre anni fa, quando Kurata doveva girare quel film in mezzo alle montagne. (1) Anche allora non potevo vederla, né parlarle. Anche allora Kamura le stava appiccicato addosso e tentava di portarmela via. E ora, più che allora, le riviste non  fanno che parlare di loro, di come formino una coppia perfetta; di come, anzi, recitino così bene perché sicuramente il loro amore non è una finzione.
Dai pugni passo ai calci in aria. Naozumi Kamura come vorrei averti davanti in questo momento! Il numero dei passanti che si ferma a guardarmi sta aumentando. Qualcuno inizia anche a battere timidamente le mani. L’idea di dare spettacolo non mi piace per niente, per cui inizio di nuovo a correre, diretto verso casa. Kamura… possibile che una parte di me sia gelosa di lui? Di lui che può vederla tutti i giorni, sentirla ridere, stringerla tra le braccia. I miei occhi si incupiscono. Sarà meglio per Kamura, se quest’ultima parte non l’ha messa in pratica.
Inizio a rallentare, cercando di darmi una calmata. Non avrei commesso di nuovo lo stesso errore. L’ultima volta, per dar retta a quei reporter da strapazzo, avevo quasi rischiato di perderla per sempre e – come se non bastasse – con il mio comportamento idiota avevo ferito Fuka. Ma non stavolta. Non ora, che so che Kurata ricambia i miei sentimenti. Il nostro è un legame che merita fiducia.
Fiducia. Che strana parola. Mi chiedo se fino a quel momento abbia mai dato fiducia a qualcuno. O se qualcuno si sia mai fidato di me. Non mi viene in mente nessun altro che lei. Ed ecco venire quella strana sensazione, quella che provo spesso quando penso a Kurata. La strisciante certezza di aver iniziato veramente a vivere solo dopo averla conosciuta.
Arrivato di fronte al portone di casa entro senza far rumore e poso le scarpe. Comunque il peggio è passato. Kurata ha finito di recitare quel maledetto film e fra tre mesi sarò di nuovo a Tokyo. Devo solo resistere un altro po’.
« Oh, Akito. Non mi ero accorto che eri rientrato. Perché non vieni in cucina? Ho una sorpresa che viene direttamente dal Giappone » mi dice mio padre apparendo in corridoio.
Lo seguo, riluttante. Sono pronto a scommettere che la “sorpresa” sarà un’altra delle riviste su Kurata o – peggio ancora - un poster con un suo primo piano. Guardarlo sarà come ricevere un pugno dritto nello stomaco.
Entro in cucina e trovo un’eccitata Natsumi che saltella stringendo un piccolo involucro tra le mani.
« Akito-kun! » urla appena mi vede, saltandomi praticamente addosso.
« Ciao » la saluto un po’ allarmato.
« Akito-kun guarda cosa si è fatto spedire papà! »
Così dicendo mi allunga il pacchetto. Nonostante l’espressione allegra e festosa di Natsumi – o forse proprio per quello - ho un brutto presentimento. Mentre lo scarto un brivido mi corre lungo la schiena. Una parte del mio cervello si è resa conto di aver sotto gli occhi proprio quel film che mi aveva tolto il sonno per non so quante notti. Ma è un pensiero che sfiora appena la mia coscienza. E questo perché ho davanti il viso di Kurata.

Kurata girata di lato, con negli occhi un’espressione rapita. Kurata con una cascata di onde mogano a sfiorarle le spalle e con solo un vestito bianco – così sottile da lasciarmi intravedere le sue forme – a nasconderla dal mio sguardo bramoso. Kurata che è persino più bella di come me la ricordavo.
« Akito-kun? » mi chiama Natsumi, notando la mia mancanza di reazioni.
Sono paralizzato, non riesco a muovere neanche un muscolo. Avevo creduto che rivederla sarebbe stato come un pugno nello stomaco ma ero stato ottimista. Sono svuotato, privo di energie. Mi sento come se mi avessero appena asportato le viscere.
Non appena riesco a trovare la forza di distogliere lo sguardo dal suo viso mi rendo conto che non è l’unica ad essere presente in copertina. C’è anche Kamura. Ovviamente. Mi chiedo come ho fatto a non accorgermene prima, la sua immagine da sola occupa metà pagina. I loro sguardi si incrociano, le loro mani si protendono l’una verso l’altra. È lui che Kurata fissa con quello sguardo intenso. Le mie dita artigliano ferocemente la carta da imballaggio, sognando che si tratti della carne di quel damerino. Le viscere sono ritornate e sembrano imbottite di piombo.
« Non sei ansioso di guardarlo, fratellino? Così sarà un po’ come rivedere Sana, no? » prosegue Natsumi beatamente ignara del caos che si agita all’interno del mio corpo.
“Sarà un po’ come rivedere Sana”. Sì, certo. Peccato che la vedrò fra le braccia di Kamura.
« Allora Akito? Andiamo in sala a vederlo? » mi chiede mio padre, impaziente.
Sembra che non li sfiori neppure il sospetto che io quello stupido film non voglia guardarlo affatto. Una simile ottusità me la aspettavo da Natsumi, ma non da mio padre. Anche se quando si parla di Kurata sembra perdere buona parte della sua lucidità.
Annuisco, lottando per mantenere la mia aria indifferente. Per ricacciare dentro la rabbia che sento agitarsi prepotentemente nel petto. Ci sediamo tutti insieme sul divano e la tortura ha inizio. I minuti trascorrono lenti ed interminabili. Sento Natsumi blaterare qualcosa sulla bravura degli attori ma non le presto attenzione. In realtà non saprei riferire niente della trama, della sceneggiatura o del cast. L’unica cosa che guardo è lei e sono incantato dai piccoli cambiamenti che noto nel suo viso, nella sua voce, nella sua espressione. Poi entra in scena lui e provo l’impellente desiderio di prendere a calci qualcosa. Nel tentativo di non far notare la mia irritazione a papà e a Natsumi, assumo una posa rigida ed innaturale. Fuori sembro di ghiaccio ma dentro vado a fuoco.
Già è abbastanza brutto vedere Kamura che la corteggia , sapere che lui non sta recitando. Che le parole d’amore che pronuncia le pensa davvero. Il fatto di non poter dar sfogo in nessun modo alla mia rabbia mi sta facendo impazzire.
« E che desiderio puoi avere questa notte? » chiede Kurata sporgendosi ancora di più dal balcone, avvicinando il volto a quello di Kamura, lasciando che le sue mani le sfiorino i capelli.
« Scambiare il tuo amore con il mio » replica questo sfiorandole una guancia.
La risposta di quel damerino da strapazzo mi fa infuriare. Prima che me ne renda conto sono scattato in piedi, i pugni contratti, uno sguardo omicida che non sfugge a mio padre, né tantomeno a Natsumi.
« Akito-kun… » mormora questa, intuendo forse per la prima volta quanto poco mi sia gradito il loro “regalo”.
« Sono stanco. Vado a letto ».
Mentre salgo le scale mi rendo conto che il mio atteggiamento è irrazionale. Che lei sta solo recitando, che le parole che le ho sentito pronunciare non sono vere. Se solo non fossimo lontani mille miglia non starei così male. Mi basterebbe un suo sorriso per ritrovare la sicurezza di cui ho bisogno. Entro in camera sbattendo la porta. E incomincio a prendere a calci il muro, fregandomene se da sotto i colpi si sentono, se papà e Natsumi sono preoccupati, se solo un fottuto egoista si comporterebbe così.
Poi crollo sul letto. Il sonno scende misericordioso e mentre tutto diventa buio il mio ultimo pensiero è per lei, lei, l’unica ragazza capace di turbare la mia sanità mentale.

 

***

 


Il mattino dopo mi sveglio tardi, con la mente confusa. Per un attimo mi chiedo perché quell’isterica di Natsumi non mi abbia svegliato come sempre. Poi mi ricordo che è Domenica e crollo di nuovo nel letto, una mano a coprirmi gli occhi. Sana. Ovviamente la mia mente ripensa a lei. I suoi occhi profondi, le sue labbra morbide e piene. E quel vestito. Quel vestito bianco, aderente, che le lascia scoperte le gambe lunghe e affusolate. Ho la gola secca. Mi alzo di scatto dal letto e scendo al piano di sotto.
Stranamente la casa è silenziosa. Poi ricordo che Natsumi aveva detto che sarebbe uscita presto con delle sue amiche e ne capisco il motivo. Senza quella donna chiassosa c’è finalmente un po’ di pace.
« Buongiorno, Akito ».
Mio padre mi fissa dalla porta della cucina, in mano il cappotto e la valigetta. Anche se è Domenica il lavoro lo tiene impegnato. A quanto pare il suo capo non conosce il significato della parola “riposo settimanale”.
« Akito-kun stavo per uscire ma visto che sei sveglio, c’è qualcosa di cui vorrei parlarti ».
« Ok » rispondo con la voce ancora impastata. Poi ripenso alla scenata della sera prima e distolgo lo sguardo. C’è una strana tensione tra me e mio padre e, mentre lo seguo in cucina e mi accomodo sulla sedia davanti alla sua, non faccio che chiedermi se sia arrabbiato per il mio comportamento. Forse sta per farmi la paternale su quanto sia sciocco essere geloso per uno stupido film. Se è così non credo che riuscirò a sopportarlo.
« Allora… » inizia, esitante «quando abbiamo lasciato Tokyo ti avevo detto che sarebbe stato per due anni ».
Al solo sentire la parola “Tokyo” il mio cuore accelera i battiti. Alzo lo sguardo e lo fisso negli occhi scuri e cerchiati di papà. A quanto pare le mie deduzioni si erano rivelate errate.
« In questo periodo il lavoro è andato molto bene. Una settimana fa il capo mi ha persino offerto una promozione ».
Si interrompe, come alla ricerca del modo giusto per affrontare la questione. Se c’è una cosa che io e papà abbiamo in comune è la difficoltà ad esprimere a parole i pensieri che ci passano per la mente.
« È una bella notizia, no? » chiedo per incoraggiarlo. Una strana ansia mi si insinua sotto la pelle. Qualsiasi cosa debba dirmi vorrei solo che lo facesse il prima possibile.
Mio padre sorride, un po’ sollevato per le mie parole, ma è un sorriso tirato, che non raggiunge gli occhi.
« C’è una condizione. Dovrò rimanere a L.A. per un altro anno ».

Un anno. La mia mente si blocca, quell’unica parola vi rimbomba dentro. Un anno. 365 giorni. 908897 ore. 90897 minuti. Altri 979608 minuti lontano da lei.
« Ho già parlato con Natsumi e ha detto che per lei non ci sono problemi… »
E io che mi illudevo che il peggio fosse passato. Papà continua a parlare, un’espressione sofferente dipinta sul volto. Distolgo lo sguardo per evitare che legga nei miei occhi tutta la rabbia per il suo disgustoso egoismo. Per il suo mettere il lavoro sempre davanti a tutto, anche davanti a me.
« Akito-kun. Guardami, Akito-kun. » mormora questo.
Lo ignoro, fissando con insistenza un punto della parete accanto a me. Credimi papà, è meglio così. Non ti piacerebbe quello che vedresti adesso nei miei occhi.
« Non ti costringerò a restare. »
Sono quelle parole o forse il tono distrutto con cui le pronuncia a farmi cambiare idea. Con riluttanza ricambio il suo sguardo.
« Ho parlato con il dottor Barns e lui ha detto che certo un altro anno di terapia ti farebbe bene, ma che non è strettamente necessario. E alcuni miei amici di Tokyo sono disposti ad ospitarti a casa loro per tutto il tempo necessario. Certo, io vorrei che la nostra famiglia rimanesse unita, ma non sei obbligato a restare. La decisione spetta solo a te, Akito. »
Dopodiché si interrompe, fissandomi in silenzio. La mia rabbia in buona parte svanisce, sostituita da uno stato confusionale ancora più grande.
Mi sta chiedendo di scegliere fra Kurata e la mia famiglia. Come cazzo fa a chiedermi una cosa del genere? Un tempo l’unica cosa che volevo era che mi perdonasse per aver ucciso mia madre. Che smettesse di ignorarmi. Un tempo, prima di conoscerla, invidiavo gli altri bambini che avevano una famiglia normale. Ma adesso… qual’era la cosa che desideravo di più in quel momento? Il sorriso di Kurata appare nelle mia mente, come un faro nella notte.
I minuti di silenzio si protraggono.
« Non devi decidere subito » aggiunge mio padre. « Prenditi pure il tempo che ti serve. »
Dice quella frase con l’aria di pacata indifferenza di sempre. Ma per un attimo mi sembra di notare nei suoi occhi un guizzo di… dolore? Tristezza? Forse sperava che avrei risposto senza esitare che la famiglia veniva prima di tutto. Ma Kurata…
« Adesso scusami figliolo, ma devo proprio andare. Non ti dispiace fare colazione da solo, vero? C’è del latte in frigo » conclude prima di uscire.
Rimango immobile, sulla sedia, ancora sotto shock. Un anno. Merda. Come avrei fatto a dirlo a Kurata? Probabilmente avrebbe piantato un urlo da spaccarmi i timpani. Oppure addirittura…No, era un pensiero assurdo.Kurata mi avrebbe aspettato. Mi aveva promesso che avremmo superato qualsiasi difficoltà insieme. Ma avrebbe sofferto… cercando di non darlo a vedere, ma avrebbe sofferto. Per non parlare della mia di sofferenza. Perché dovevo condannarci a tutto questo?Due anni non erano più che sufficienti? Quanto ancora potevo tirare la corda prima che si spezzasse?
Lo stomaco mi brontola per la fame. Decido di accantonare per un po’ le preoccupazioni: rifletterò meglio a pancia piena.. Apro il frigo, svuoto il cartoccio del latte nella tazza e lo butto nella spazzatura. In un anno poteva succedere di tutto. E Kamura avrebbe di nuovo avuto campo libero. E se lei si fosse stancata di aspettare? E se…
Pianto un calcio così forte al cestino da farlo rovesciare; i rifiuti si spargono per tutto il pavimento della cucina. Di umore ancora più tetro inizio a raccoglierli e a rigettarli nel cesto di malagrazia. Mi blocco ritrovandomi fra le mani la custodia del film che guardavamo ieri sera. Me la rigiro tra le mani e la apro, controllando il dvd al suo interno. È “Romeo e Giulietta”, non ci sono dubbi. Ma che ci fa nella spazzatura? Dopo che papà se l’è fatto spedire apposta dal Giappone, dopo che Natsumi ha saltellato per casa come una pazza stringendolo fra le mani. Concludo che devono averlo buttato per sbaglio e lo appoggio sul tavolo. Cerco di mangiare i cereali, senza fissare quello stupido film, ma l'immagine di Kurata sembra chiamarmi dalla copertina. Con un sospiro mi alzo e mi trasferisco in sala, inserisco il dvd nel lettore e riprendo a vederlo dal punto in cui mi ero interrotto la sera prima.
Con la mente lucida e senza Natsumi e mio padre intorno, guardarlo è più facile. Perlomeno posso buttar fuori tutta la rabbia, senza lasciare che mi divori dall'interno. Se poi mi ripeto che si tratta solo di una finzione, riesco quasi a vedere Kamura dichiararsi a Kurata senza desiderare di ucciderlo. Truccato com'è nel film sembra ancora di più una donna. A volte mi sento davvero uno stupido ad essere geloso di uno così.
Faccio appena in tempo a formulare questa riflessione che vedo quella scena. E tutto il resto del mondo si ferma. Improvvisamente capisco perché il dvd si trova nella spazzatura. E forse anche il lampo di tristezza negli occhi di papà. Vorrei chiudere gli occhi e scappare da quella stanza, ma non riesco a muovere un solo muscolo. Continuo a fissare la tv, come ipnotizzato. E sento distintamente qualcosa rompersi dentro di me.
Davanti ai miei occhi Kurata e Kamura si stanno baciando. E non è un timido sfiorarsi delle labbra. Oh, no. È un bacio lungo, intenso, passionale. Un bacio in cui le lingue si intrecciano e si cercano con disperazione. Un bacio che sembra non finire mai.
Kamura posa le mani sulla sua esile vita e lei si stringe ancora di più a lui, circonda il suo collo con le braccia, sfiora con le dita i suoi capelli.Non riesco a pensare a niente. Una parte del mio cervello cerca ancora di negare la realtà, di trovare una giustificazione - una qualsiasi. L'altra parte si chiede se Kurata abbia mai baciato me con altrettanto trasporto. E lentamente la sento arrivare. Una furia cieca, un odio mai provato prima. Nel film loro continuano a stare abbracciati, noncuranti, come se non esistesse altro al mondo. Le loro labbra si staccano solo per un istante, il tempo di pronunciare una battuta, poi tornano a fondersi insieme, più affamate di prima.
In quel momento suona il telefono. Come in trance prendo il telecomando e pigio pausa. Il filmato si interrompe, immortalando davanti ai miei occhi l'unica scena che non credevo avrei mai visto. Sollevo la cornetta del telefono quasi senza accorgermene.
« Hayama? Sei tu? »
La sua voce. Che tempismo perfetto.
« Come va? » mi chiede senza darmi neanche il tempo di rispondere.
Come va. Una domanda semplice. Non dovrebbe essere complicato rispondere. Come va. Va che vorrei urlarti contro e pretendere una spiegazione per la scena che ho davanti agli occhi. Va che vorrei stringere le mani intorno al collo di Kamura fino a vedere diventare esangue quel bel faccino che si ritrova. Va che non mi sono mai sentito peggio in vita mia e non credevo che proprio tu potessi farmi sentire così.
Ma tutto questo ovviamente non riesco a dirlo. Non saprei nemmeno da che parte incominciare per descriverle quello che sto provando in questo momento.
« Ho deciso di rimanere in America per un altro anno. Non voglio che tu mi aspetti ancora. »
Quelle parole mi escono con un rantolo dalle labbra. Aspetto di sentire una risposta e sono così coglione che una parte di me vorrebbe già rimangiarsi tutto o perlomeno che lei mi implorasse di farlo.
Ma Kurata non dice niente. E quel silenzio si insinua piano fra di noi, separandoci più di quanto tutti quei chilometri hanno fatto finora.
« Spero che tu sia felice con Kamura. »
Sono le ultime che pronuncio prima di attaccare.


 


 


 

1. il film in questione è “La Villa Dell’Acqua” nel manga. Nell’anime invece il titolo è “La Casa Nel Bosco”



Un saluto a tutti quelli che hanno avuto la pazienza di arrivare fino al terzo capitolo della mia ff. Nella seconda puntata ho dato un’informazione sbagliata: avevo detto che il titolo del capitolo sarebbe stato “Tempismo”, ma poi ho cambiato idea; pensando che questo fosse più calzante.
Quanto alla storia, sta diventando più lunga di quelli che erano i programmi originari , spero solo di non annoiarvi… e mi rendo conto che i più, nel leggere questo capitolo, odieranno Sana. Nel prossimo episodio cercherò di spiegare il suo punto di vista e il perché del suo comportamento. Il titolo ( credo) che sarà “Baratro”. Spoiler:
Se ti viene voglia di piangere, vieni da me. Io ci sarò sempre.“
Bugiardo.
E allora le sento. In quel buio che mi divora l’anima, sento le prime lacrime bagnarmi le guance.


 

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Capitolo 4
*** Baratro ***


     

 

 

Baratro

 

 


 

“Se ogni essere umano perisse e lui sopravvivesse, io
continuerei a esistere; ma se ogni altra persona restasse a
questo mondo e lui dovesse essere annientato l’universo
si trasformerebbe in qualcosa di terribilmente estraneo.
Mi sembrerebbe di non farne più parte.”
"
Cime Tempestose" Emily Bronte

 

 

 

 

« Non voglio che tu mi aspetti ancora ».
In fondo è bastato poco. È stata sufficiente quella frase. Quell’unica, terribile frase.
E ho sentito il baratro aprirsi sotto i miei piedi.
Proprio come allora, quando Akito mi disse che se ne sarebbe andato a Los Angeles. Anche stavolta cerco di fuggire, di allontanarmi dal bordo. Ma non c’è niente da fare. Quell’oscura voragine mi attira fino a risucchiarmi. E sparisce tutto. Spariscono i suoni, gli odori, i colori.
Quella piccola parte di me che ancora lotta per rimanere attaccata alla realtà si rende conto che Hayama ha detto qualcos’altro ma non è che rumore indistinto. Non c’è nient’altro da aggiungere ora che lui mi ha lasciata.
A pensarci bene è persino peggio dell’altra volta. Allora avevo almeno la speranza che lui avrebbe continuato ad amarmi, che insieme ce l’avremmo fatta. Ma ora Hayama quella speranza me l’ha strappata dal petto e io mi sento morire. Vorrei morire perché lui non mi vuole più
. Non mi vuole più. Questa consapevolezza penetra in me lentamente e dolorosamente come un coltello che recide arterie, muscoli e arriva fino alle ossa. E alla fine lo trova. Trova il mio cuore e ci si conficca con prepotenza. E so già che quel coltello, nel mio cuore, ha scavato una ferita che non si cicatrizzerà mai.
Tuu. Tu-tu. Tuuuu.
Dall’altra parte del telefono Akito deve avere attaccato. Mi rendo conto solo in quel momento di essere rimasta immobile, pietrificata, con le gambe incrociate e la mano ancora sollevata all’altezza della testa. Quanto vorrei che fosse solo un brutto sogno, un incubo dal quale risvegliarmi. Per un attimo ci spero quasi. Poi sento una fitta al petto e il coltello affondare ancora di più nelle carni. E capisco che sono sveglia. Perché se fosse solo un sogno non potrebbe fare così male. Non potrebbe mai essere reale al punto di togliermi il respiro.
Le mie mani perdono la presa e la cornetta cade con un tonfo sul pavimento. Mi lascio scivolare sul letto e chiudo gli occhi.
Lui non mi vuole più.
Tutta la mia paura, tutte le mie paranoie per quello stupido film sono state inutili. Mi sento ancora più ingenua e sciocca nel ripensare a quante notti ho passato in bianco immaginando la reazione di Akito nel sapere che avevo baciato Nao. A quanto mi ero rigirata nel letto alla ricerca delle parole giuste da usare. “Era solo finzione, stavo recitando”. “Per me Naozumi è solo un amico, lo sai vero?”. A quante volte avevo cercato di introdurre il discorso nelle nostre conversazioni telefoniche. “Sai io e Nao... “ ma non ci ero mai riuscita. Perché temevo che non potessero esistere parole in grado di tranquillizzarlo. Che tutte le più belle parole del mondo non sarebbero valse uno dei nostri sguardi. Per questo avevo deciso di non dirgli niente. In America non avrebbero trasmesso il film. E appena fosse tornato… appena fosse tornato avrei potuto confessargli tutto. Una volta che avessi di nuovo potuto immergermi nell’oro dei suoi occhi, sfiorargli la mano con la punta delle dita.  Solo guardandolo negli occhi, sarei riuscita a spiegare quello che era successo…

« CHE COSAAAAAAAAAA?? »
Urlo come una forsennata.
« Sana-chan, lo sapevo che avresti reagito così; ma cerca di capire… » prova a convincermi Rei.
« MAI! Non bacerò mai, e dico mai, Naozumi! Non era nel copione! » continuo a lamentarmi come una pazza isterica, noncurante che tutto lo staff abbia interrotto la sua attività per fissarmi.
« SANA-CHAN » urla il mio manager afferrandomi per le spalle.
Il fatto è che Rei non usa mia quel tono con me. Si lamenta, piagnucola, a volte arriva anche a supplicare. Ma non mi grida mai contro. E lo stupore mi zittisce per un millesimo di secondo.  Questo per il mio manager è un lasso di tempo più che sufficiente.

« Lo so bene che non era nei patti e che non lo vorresti fare. Ma hai messo così tanto impegno ed energia in questo film – tutti noi lo abbiamo fatto – e non puoi buttare tutto all’aria proprio ora…>>
Oh, il caro vecchio senso di colpa. Rei era stato furbo a puntare sul mio buon cuore. Però c’era una cosa che non aveva preso in considerazione.

« Ma Akito… » mormoro mordicchiandomi il labbro.
« Si tratta solo di recitare! Quello fra te e Naozumi sarà un bacio finto. Hayama non è così sciocco da non rendersene conto ».« Ma… » provo a protestare di nuovo.
« Hai già perso una parte molto importante, per lui, ricordi? * Vuoi davvero che il tuo affetto per Hayama si frapponga sempre fra te e la tua carriera? Non girerai mai scene romantiche, solo per non ferirlo? »
La mia espressione è ancora dubbiosa, ma Rei sta guadagnando terreno e sembra esserne consapevole. Io voglio entrambi. Akito e il mio lavoro. È una richiesta così difficile?
« Sana-chan » Questa volta il mio manager pronuncia quelle parole con dolcezza. Si toglie gli occhiali da sole e mi fissa negli occhi. « Pensi che io non capisca la tua indecisione? Ti sei dimenticata quante volte ho dovuto vedere Asako fra le braccia di un altro? »
Ricambio il suo sguardo, colpita. A questo in effetti non avevo pensato.
« Non ti mentirò, Sana. Fa male. Ma amo Asako e non voglio essere un ostacolo per i suoi sogni. Non credi che Hayama ti direbbe la stessa cosa? »
Accidenti a Rei. Quando ha imparato ad essere così convincente?
« Non c’è proprio un altro modo? Il regista non potrebbe cambiare di nuovo il copione? » domando, aggrappandomi a quest’ultima speranza.
Il mio manager scuote la testa.

« Ok » mormoro infine, sconfitta.
Sospiro, vedendo Rei saltellare di gioia. E , al solo pensiero di quel dannato bacio, di quel
finto bacio, mi sento già in colpa.

 

Come ero stata sciocca. Bacio o non bacio, non sarebbe cambiato niente. Lui mi avrebbe lasciata comunque.
Dio, quanto fa male quel coltello nel petto.

Sento la bocca di Kamura sfiorare la mia. La sua mano, goffa, posarsi sulla mia spalla. E la punta della sua lingua farsi strada lentamente fra le mie labbra. Mi irrigidisco, ma solo per un attimo. Poi sento il respiro caldo di Naozumi e la sua lingua che mi solletica il palato. Mi viene quasi da ridere. Quanto è diverso dai baci di Hayama…
Finisce tutto molto velocemente. Nao si allontana dal mio viso, rosso come un pomodoro, un’espressione supplichevole negli occhi. Come se avesse qualcosa di cui farsi perdonare.

« CE L’HO FATTA! » grido facendo il segno della vittoria, rivolta a Rei e agli altri collaboratori.
Un gelido silenzio accoglie le mie parole. Li guardo, perplessa, e i più distolgono lo sguardo. Anche il mio manager sembra in forte imbarazzo e si allenta il nodo della cravatta con gesti nervosi.

« Be', che avete tutti? Ci sono riuscita, no? Sono rimasta immobile fino alla fine, non sono scappata come le altre dieci volte! Oh, insomma mi sono lasciata baciare! » esclamo, pretendendo una spiegazione.
Non che volessi l’applauso ma almeno un “Brava” o un”Bel lavoro”. Si rendevano conto di quanto era stato difficile per me girare quella scena?

« Facciamo una pausa. Kurata vieni un attimo con me, ti devo parlare. » dice il regista dopo un attimo di silenzio.
Lo seguo, ancora un po’ offesa per quella freddezza.

« Allora? Si può sapere dove è il problema? » esplodo appena ci troviamo un po’ più in disparte.
« Questo me lo dovresti dire tu, Kurata » replica spiazzandomi.
Lo fisso, perplessa. Sulla mia faccia si potrebbe leggere un grosso punto interrogativo.

« Non vorrà dire che devo rifare la scena? » sbotto stringendo le mani a pugno « Ma ho lasciato che mi baciasse! Ho fatto quello che… »
« È proprio questo il punto. Hai lasciato che ti baciasse ».
Inizio a pensare che il regista sia impazzito. Vedendo che non c’ero ancora arrivata, quello sospira e si decide a parlare in modo chiaro.
« Eri un pezzo di ghiaccio Kurata. Una statua. Come se l’idea di baciare Kamura ti disgustasse »
« Ma… » provo a replicare.
« Niente ma. La pietosa scena di poco prima non si avvicina neanche lontanamente a quello che avevo in mente » sospira di nuovo e mi fissa con un’espressione rapita. « Il bacio che devi recitare è il bacio d’addio. Giulietta sente il tempo scivolarle di dosso, avverte un dolore all’altezza del petto per ogni secondo che passa, perché sa che potrebbe essere l’ultimo con il suo Romeo. Si illude che il canto che ode non sia dell’allodola, che non annunzi l’alba imminente. Arriva a detestare con tutte le sue forze il giorno, il sole perché esse la separeranno dall’unico uomo che abbia mai amato, dall’unico che non pensava avrebbe mai potuto amare. Non riesce a staccarsi da lui, non più di quanto riesca a strapparsi il cuore dal petto. E le sembra impossibile che le siano state concesse così poche ore per essere felice, e così tanti giorni per affogare nell’infelicità. Rivedrà mai più il suo Romeo? La distanza distruggerà il loro amore? O sarà solo l’ennesima prova da superare? Trema al solo pensiero che il loro legame non si riveli così forte come aveva sperato. Una parte di lei vorrebbe trattenerlo, pregarlo di restare, implorarlo se necessario. Ma non può abbandonarsi al suogoismo, perché per Romeo questo sarebbe fatale. E ad essere al primo posto è la sua di vita, la sua di felicità. Ti rendi conto del perché il tuo bacio era del tutto inadeguato? Non rifletteva nemmeno una minima parte dello struggimento di Giulietta. Capisci quello che ti sto dicendo, Kurata? Riesci a immaginare un amore, così? »
Oh, se ci riuscivo. Non poteva immaginare quanto. Parlava di Giulietta ma quella che aveva descritto era la mia storia. Il mio senso di vuoto per la lontananza di Akito.
Ascoltando quelle parole avevo sentito qualcosa di strano succedere all’interno della mia testa. Come se i pezzi di un puzzle andassero finalmente al loro posto.

« Se hai mai provato qualcosa di simile, sappi che è quello che devi mettere in scena. Non mi accontenterò di niente di meno ».

“ Non…andarci… Non andarci, Hayama!” Quelle parole, le parole pronunciate appena Akito mi disse della sua partenza, risuonano nella mia mente. Certo che ero davvero tarda quando si trattava di questioni amorose. Non mi immedesimavo facilmente nei sentimenti di Giulietta perché ero più femminile di quanto credessi. Certo che no. Il motivo era che sapevo benissimo cosa si prova quando l’amore appena scoperto ti viene sottratto e tu non hai armi per lottare contro il destino.

Mi ero riscoperta Giulietta. Avevo recitato i versi di quella scena pensando solo a te, Hayama. Ma tu mi hai lasciata… questo Romeo non l’avrebbe mai fatto, questo credevo che
tu non l’avresti mai fatto.

Mi avvicino al set, in trance. Le parole del regista turbinano nella mia mente. “La distanza distruggerà il loro amore?” Mi avvicino a Nao e recito le mie battute quasi senza rendermene conto. “Trema al solo pensiero che il loro legame non si riveli così forte come aveva sperato”. Poi lui avanza di un passo e mi stringe a sé. E tremo. Tremo, mentre alzando lo sguardo fisso gli occhi che sono solo a pochi centimetri di distanza. Gli occhi di Naozumi sono blu come il mare. Ma non sono quelli che vedo. Davanti a me ci sono due occhi dorati. Due occhi cupi e schivi che solo raramente mostrano quello che si agita al loro interno. Chiudo le palpebre. Sento il tocco lieve di labbra sulle mie. Ricambio il bacio con trasporto. La parte razionale della mia mente si rende conto che quello che sto baciando è Naozumi. Ma è una vocina piccola e fastidiosa che zittisco facilmente. Le sue braccia circondano la mia vita, ma è alle
tue di braccia che penso. La lingua che incontra la mia è di Nao, ma stringo più forte gli occhi e immagino il tuo tocco. E le mie mani si insinuano fra i suoi capelli chiari, sognando però un colore e una consistenza diversa. Il mio corpo aderisce al suo, ma è a un petto più ampio quello a cui vorrei stringermi.
Voglio che sia la scena d’amore più bella che sia mai stata girata. Voglio che sia un tributo al nostro amore. Perché è solo pensando a
te,
Akito, che potrei girare una scena così…

Ma il nostro amore non era poi questa gran cosa, eh Hayama? È bastato non vederci per un anno perché tu ti scordassi di me.
Ognuno di noi ha una paura innata, radicata nei più profondi meandri del proprio cervello. Una paura irrazionale che non riuscirebbe a spiegare neanche a se stesso. E tu, Hayama, sapevi benissimo quale era la mia. Sapevi benissimo che a volte mi sveglio la notte urlando, con le lacrime agli occhi, per il terrore di essere abbandonata. Per l’orrore di ritrovarmi in una stanza vuota, senza più tutte le persone a cui voglio bene. Senza Rei, senza mammina, senza i miei amici. E senza di te. Questo è quello che mi fa gridare più forte.

Mi hai lasciata. Non mi ami più. Forse non mi hai nemmeno mai amata, perché che razza di amore è quello che non riesce a resistere a un anno di distanza?
E il mio incubo prende corpo. Sono in una stanza buia e tu non ci sei. Non ci sarai più per me, non mi verrai più incontro correndo su una bicicletta per rapirmi dalla folla dei giornalisti, non mi consolerai più sulla panchina del parco, non cercherai più di baciarmi a tradimento.
“Se ti viene voglia di piangere, vieni da me. Io ci sarò sempre.“

Bugiardo.
E allora le sento. In quel buio che mi divora l’anima, sento le prime lacrime bagnarmi le guance.


 



* Il riferimento è a una vicenda presente solo nell’anime e non nel manga. Kurata perde il ruolo di protagonista in un film perché si rifiuta di pronunciare la battuta “Sei figlio del diavolo” per non ferire Akito che questa frase se la sentiva ripetere innumerevoli volte da piccolo.

 

 



Eccomi alla fine del quarto capitolo. Si è basato prevalentemente su flashback e non ho portato più di tanto in avanti la trama, ma spero che sia servito a giustificare almeno un po’ il comportamento di Sana. Cosa mi dite? È comprensibile almeno un po’ il fatto che abbia baciato Nao?
Anche il prossimo episodio sarà scritto dal suo punto di vista (in realtà sarebbe dovuto essere un tutt’uno con questo ma sarebbe venuto troppo lungo e ho preferito spezzarlo). Si intitolerà “Finzione” ed ecco un piccolo estratto.

<< No… >> replica Tsuyoshi rinforzando la presa sul mio braccio, il respiro ancora affannoso. << Dobbiamo parlare… ti devo dire… che lui… >>
Il mio cuore salta un battito.
<< Akito… tornerà a Tokyo. >> riesce infine a concludere. << Arriverà dopodomani, Sanachan! >>
 

                                        

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Capitolo 5
*** Finzione ***


 

Finzione

 

 

 

E se Paride fosse stato qualcosa di più? Un
amico? Il migliore amico di Giulietta? E... se Giulietta
si fosse innamorata di Paride? Non come di Romeo.
Niente a che vedere. Ma abbastanza da desiderare che
lui sia felice?”
"
New Moon" Stephenie Meye

 

 

 

 

Il tempo passa. Anche se non sembra. Anche se ci impiega un'eternità.
Dopo quella telefonata sono rimasta a letto per una settimana. Sette giorni lunghi come sette anni.
Ho fatto nuovamente preoccupare Rei e mammina. Appena mi hanno visto in quelle condizioni hanno pensato ad una ricaduta, al ritorno della mia strana malattia depressiva.
Ma non questa volta. Stavolta non me lo sono potuta permettere. Perché stavolta non saresti venuto a salvarmi, Hayama, e io sono stanca di essere un peso per tutte le persone che mi circondano.
Per cui ho lottato contro il baratro, sola, con le poche forze che mi erano rimaste. E sono riuscita a risalirlo. Con i palmi graffiati e il cuore a pezzi ma ne sono venuta fuori. Anche senza di te. D'altronde come si può pretendere che il proprio aguzzino sia anche il proprio salvatore? Che ci ha spinto nella voragine, ci tenda poi una mano per risalirla? Assurdo. Anche per me che di cose assurde ne penso parecchie.
Non sono stata sola comunque. Mammina, Rei, Fuka, Tsuyohi, Aya... mi sono stati tutti vicini. E anche Naozumi, naturalmente. Lui, come al solito, più di tutti gli altri. Proprio per questo con lui è stato difficile più che con tutti gli altri fingere.
Dopo quella prima settimana di apatia ho chiesto al mio manager di riempirmi l'agenda di lavoro. Pubblicità, interviste, sitcom. Non aveva importanza cosa. Bastava solo mi aiutassero a non pensare.
Un mese. Due mesi.
Il tempo passa. E io mi sono sforzata – non mi sono mai sforzata tanto in vita mia – di essere la Sana allegra e sorridente di sempre. Lì per lì credevo anche di esserci riuscita. Di aver ingannato tutti. Ne ero felice perché almeno avrebbero smesso di preoccuparsi per me. Grazie a te, Hayama, ho imparato a fingere anche nella vita privata.
Ma era logico che lui, non sarei riuscita ad ingannarlo. Perché Naozumi mi aveva sempre guardato in modo diverso da tutti gli altri.
Tre mesi. Quattro mesi. Cinque, sei...
Dieci mesi dopo non ti ho ancora dimenticato. Non ne sono stupita. Sapevo che non ce l'avrei fatta. La notte ancora mi sveglio urlando il tuo nome. A volte le grida riesco a soffocarle nel cuscino, altre volte no e Rei accorre nella mia stanza e mi culla come una bambina.
Poi arriva la luce del giorno e io cerco di lasciarmi tutto alle spalle.
Un anno.
La mia carriera da attrice va a gonfie vele. Ormai uscire per le strade senza essere assalita dai fan è sempre più complicato. Forse dovrei assumere un bodyguard. Rido al pensiero della faccia offesa che farebbe Rei se glielo dicessi. Poi ricordo tutte le volte che tu mi hai protetta dai reporter o dagli sguardi avidi dei passanti. E allora mi rendo conto che quel coltello è sempre lì, saldamente piantato nel mio petto. L'impugnatura è invisibile, per questo mammina e i miei amici non lo notano. Ma c'è. Fa male.
Un anno e un mese. Un anno e due mesi.
Capita così, ancora. Penso a una cosa completamente diversa, a una delle mie solite sciocchezze e qualcosa mi fa ricordare te. Un sacco di cose mi fanno ricordare te. Tanto che a volte vorrei fuggire da Tokyo, cambiare città o forse addirittura nazione perché qui l'aria è satura di troppi ricordi. Ricordi di noi. Di quando il nostro amore non doveva avere fine. E ogni volta che la mia mente inciampa in queste riflessioni, sento il sorriso scivolarmi via dalla faccia. La maschera che ho duramente costruito si rompe in mille pezzi e non mi resta che scappare, rifugiarmi in un luogo isolato per evitare che gli altri vedano il mio viso. In quei momenti il coltello nel mio petto brucia come il fuoco. E le smorfie di dolore appaiono chiaramente sul mio volto colpevole di non averti dimenticato.
Un anno e tre mesi. Un anno e quattro mesi.
Un anno e cinque mesi e tu non ti sei mai fatto sentire. Non una telefonata, una cartolina, un semplice biglietto. Niente. Direste che ormai mi dovrei essere rassegnata. La parte razionale di me lo ha fatto. Si è convinta che probabilmente tu non tornerai mai più a Tokyo. E che se lo farai saremo come due estranei. Ma il mio cuore non vuole ancora arrendersi.
E ancora mi capitano quei momenti in cui a fingere di stare bene proprio non ce la faccio.
Un anno e sei mesi.
Un momento del genere mi capita proprio quando sono a lavoro, mentre sto girando uno spot pubblicitario insieme a Kamura.
Un dettaglio talmente banale che mi chiedo come ho fatto ad accorgermene. Fatto sta che mentre sono sotto i riflettori vedo passare un assistente con i capelli biondi, di un colore simile al tuo. Una cosa così insignificante. Eppure mi fa venire un blocco in gola e a pronunciare la battuta proprio non ci riesco. Guardo Naozumi e per un attimo i miei occhi hanno un'espressione terrorizzata. Nao capisce e allunga una mano a stringere la mia. Quel contatto, la sua pelle calda che sfiora la mia, mi dà la forza. Aiuta il mio cuore a rallentare i battiti. Stringo i denti e finalmente pronuncio la frase da copione. Riesco anche ad assumere un tono squillante e gioioso.
Il regista dice che lo spot va bene. Nessuno, nemmeno Rei, si è accorto di quanto sono stata vicina a crollare. Nessuno tranne Naozumi.
Mi libero velocemente dalla sua stretta e scappo a cambiarmi nei camerini, evitando il suo sguardo. Con la porta chiusa alle spalle posso finalmente rilassarmi e tirare un sospiro di sollievo. Ma sono stata un'illusa a credere che Kamura non mi avrebbe seguita.
« Sana-chan. Sono io, Sana-chan. Fammi entrare un attimo ».
Vorrei rispondergli che non mi fa voglia di parlare, che preferisco rimanere sola. Ma sarebbe come ammettere che sto male, che non ce la faccio. E questo Nao non deve saperlo.
Alzo lo sguardo da terra e lo fisso nello specchio attaccato alla parete. L'immagine di un ragazzina esile con due occhi enormi occhi sgranati ricambia il mio sguardo. Ho il respiro affannoso come se avessi corso per ore. Aspetto un paio di secondi, il tempo di assumere l'aria allegra di sempre. O almeno l'espressione più simile che riesco ad improvvisare.
« Naozumi-kun! » esclamo aprendo la porta di colpo.
Kamura ricambia il mio sguardo, la mano ancora sollevata per bussare sulla porta.
« Si può sapere che ci fai qui? Non lo sai che non si dovrebbe spiare nel camerino delle signore? » Parlo a raffica, come una macchinetta, con aria saputa e vagamente ironica.
« Sana-chan... »
« I giornalisti scriveranno che sei un pervertito, un maniaco! » continuo, cercando di ignorare l'interruzione. « E come dargli torto? »
Il mio volto si allarga in un sorriso malizioso e per un attimo mi sento soddisfatta perché la mia recitazione è stata credibile.
« Kurata... »
Quell'unica parola, pronunciata da Naozumi, basta a cancellarmi il sorriso dalla faccia. Nao non mi chiama mai Kurata. Sempre Sana o Sana-chan. E lui lo sa. La sua non è stata una svista, l'ha fatto apposta a chiamarmi così. Ha usato anche il tono che solo tu, Hayama, usi per rivolgerti a me.
Per la seconda volta nell'arco di pochi minuti ho un senso di nausea e mi manca il respiro. La mia espressione deve essere terribile, perché nel fissarmi gli occhi di Naozumi diventano cupi come il mare in tempesta.
Dopotutto non sono ancora tanto brava a recitare nella vita privata. Questa prova a cui mi ha sottoposto Naozumi l'ho fallita in pieno.
« Sana-chan! » sussurra questo prima di stringermi fra le sue braccia. « Puoi fingere con gli altri, Sana-chan, ma con me... con me non hai bisogno di recitare. A me puoi dirlo che soffri ancora per lui...»
Sento le lacrime scendermi copiose dagli occhi mentre nascondo il viso sul petto di Naozumi. Singhiozzi violenti scuotono il mio corpo mentre le mie dita artigliano ferocemente la sua camicia. Rimaniamo, così, avvinti per un tempo indefinibile.
Alla fine Naozumi mi scosta delicatamente e, con gli occhi a pochi centimetri di distanza dai miei, mi dice:
« L'unica cosa che voglio – che ho sempre voluto – è che tu sia felice, Sana-chan. Mi sono fatto da parte perché credevo che solo Hayama » e al sentire quel nome il mio corpo sussulta. « che solo lui, potesse farti sentire così. Ma quell'idiota è stato capace solo di farti soffrire. E per questo io non lo perdonerò mai ».
La voce di Nao assume un tono duro e violento, che non avevo mai sentito, che non si addice alla sua natura calma e gentile. Vorrei poter sfiorare quel viso contratto, stringere la sua mano chiusa a pugno. Rassicurarlo come mille volte lui ha fatto con me, anche solo con la sua presenza. L'odore fresco e pulito di Naozumi mi invade le narici, mentre gli appoggio timidamente una mano sul petto. A quel contatto appena accennato, gli occhi pieni di astio di Nao si abbassano sui miei e in attimo divengono di nuovo gentili, quasi imploranti.
« Tu devi dimenticarlo, Sana. Puoi... puoi usare me, Sana-chan » balbetta arrossendo ma continuando a sostenere il mio sguardo. « Usami per dimenticarlo! »
E mentre vedo il suo volto avvicinarsi lentamente al mio, annullare quella poca distanza che ci separa, anche una stupida come me capisce cosa Naozumi vuole fare.
Sta per baciarmi. Le sue mani appoggiate ai miei fianchi bruciano come ferro rovente. Non posso impedirmi di pensare che il suo viso - visto così da vicino -sia bellissimo. E io sono indecisa, paralizzata. Perché le sue parole non mi hanno convinto più di tanto, perché non sono sicura che mettermi con Naozumi sia sufficiente a dimenticare Akito. Ma ho un disperato bisogno di crederci. Di sapere che dimenticarlo sia possibile, che sia possibile andare avanti e lasciarmi il passato alle spalle.
Una parte di me lotta per respingerlo, per fuggire dalla morsa soffocante delle sue braccia. Ma il dolore al petto è così forte... se quel bacio servisse ad alleviarlo... almeno un po'...
Se il blu degli occhi Naozumi riuscisse ad affogare il liquido dorato del tuo sguardo, Hayama...
BEEP. BEEEP.
Il cellulare. Quando ormai le nostre labbra stavano per sfiorarsi. Mi allontano, rossa in viso e con un'espressione smarrita. Porto il cellulare all'orecchio e rispondo con difficoltà alle domanda di Rei. No, certo che non c'erano problemi. Mi andava bene di tornare da sola. Non ero affatto arrabbiata perché Asako aveva deciso di fargli una sorpresa e passarlo a prendere.
Chiudo la chiamata e guardo Naozumi che, se possibile, è ancora più imbarazzato di me. Vorrei fare una battuta per sdrammatizzare, ma ho la lingua incollata al palato.
La voce di Maeda, il manager di Kamura, grida il suo nome per il corridoio.
« Adesso devo andare. Ma prima o poi dovrai scegliere, Sana. E io non mi arrenderò fino a che non tornerai a sorridere ».
Pronuncia queste parole inchiodandomi con uno sguardo inteso e doloroso, dopodiché esce dalla porta e se la chiude alle spalle.
Con il cuore ancora in trambusto e mille pensieri che mi si agitano in testa raccolgo le mie cose e lascio il camerino. Mi incammino per le strade di Tokyo, tutto sommato contenta di essere da sola. Perché non so se sarei riuscita a nascondere a Rei il mio turbamento.
E quando ormai solo qualche isolato mi separa da casa vedo Tsuyoshi con in mano una borsa della spesa.
Oh, no. Ci mancava solo questa.
Non che il problema sia Tsuyoshi in sé. Il punto è che in questi giorni non fa altro che parlarmi di Akito, argomento che di solito è tabù. Ed io in questo momento ad affrontare una conversazione del genere proprio non ce la faccio. Non con ancora l'odore di Kamura sulla pelle.
Aumento il passo, cercando di non dare nell'occhio e svoltare l'angolo il prima possibile.
« Sana-chan! » urla Tsu, salutandomi con la mano.
Ovvio che fallivo. Una giornata come quella era da segnare sul calendario. E anche la tattica del “far finta di nulla” è impraticabile perché sta dando fiato a tutti i suoi polmoni per attirare la mia attenzione. Non mi resta che una soluzione: la fuga.
Certo non è una cosa molto matura, né tanto meno coraggiosa. Ma sono sicura che il giorno dopo, con la mente lucida, sarei riuscita a trovare una giustificazione e un modo per farmi perdonare.
Tsuyoshi non è mai stato particolarmente atletico, mentre io, quando mi ci metto, a correre sono una scheggia. Eppure, non so bene perché, il rumore dei suoi passi è sempre più vicino e infine la sua mano mi afferra il braccio. Forse il motivo è che sono davvero stanca di fuggire, forse una parte di me voleva che mi raggiungesse.
« Sa- na – chan... » mormora con il fiatone. « Che ti salta in mente... di fuggire in quel modo... »
« Ahahaha! » scoppio in un delle mie risata sguaiate. « Ma non l'hai capito che era una prova? Volevo solo vedere se la tua resistenza era aumentata! Bravo, Tsu devo dire che corri proprio veloce » continuo dandogli una pacca sulla spalla. « Adesso però devo proprio andare, scusa ma sono di fretta... »
« No...>> replica Tsuyoshi rinforzando la presa sul mio braccio, il respiro ancora affannoso. «Dobbiamo parlare... ti devo dire... che lui...»
Il mio cuore salta un battito.
« Akito... tornerà a Tokyo » riesce infine a concludere. « Arriverà dopodomani, Sana-chan ».
Il tempo di un respiro e Tsuyoshi si trova a stringere il vuoto fra le mani. Questa volta non riuscirebbe a raggiungermi nemmeno se fosse un atleta professionista.

 

 

 

 

E anche questo capitolo è finito. Ci avviciniamo al punto in cui Sana e Akito saranno finalmente l'uno di fronte all'altra. Un ringraziamento speciale a chi ha recensito la mia storia, in primis a Lorelag ( la frase iniziale ripresa da New Moon me l'hai ispirata tu, sai? ). Spoiler del prossimo episodio:

<< E non dirai niente nemmeno a me, non è così? >>
Ormai Tsuyoshi sembra essersi rassegnato.
<< Mmm >> mugugno in segno di assenso. Lo sento sospirare dall'altra parte della cornetta.
<< Allora non mi resta che salutarti, Akito-kun. Solo un'ultima cosa. >>
Rimango in silenzio, chiedendomi cosa abbia da dire.
<< Perché dovete rovinare sempre tutto? >>
 

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Capitolo 6
*** Ritorno ***


 



Ritorno

 

 

 

So close no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trusting who we are
And nothing else matters” *
“Nothing else matters” Metallica

 

 

 

 

Il rumore delle eliche, un sottofondo preciso e distinto, mi risuona nelle orecchie. Uno sguardo distratto al finestrino – appena il tempo di intravedere quelle nuvole bianche che spezzettano il blu del cielo – e il mio stomaco trova conferma dei suoi peggiori timori. Certo, non era la prima volta che salivo su quel raffinato strumento di tortura, più noto con il nome di aereo. Ma questo non cambiava il fatto che io detesto volare, che l'ho sempre detestato, che lo detesterò per sempre. Al solo pensiero di non avvertire la familiare sensazione della terra sotto i piedi sento lo stomaco rovesciarsi.
Chiudo gli occhi, cercando di non pensare al fatto che mi trovo a più di 10 km dal suolo, che in qualsiasi momento quel dannato coso sarebbe potuto precipitare, che allora ci saremmo schiantati al suolo ad una velocità elevatissima. Non sarebbe rimasto altro che fumo, fuoco e rottami. Non l'avrei più rivista
Scaccio quel pensiero, infastidito. Come se non bastassero le vertigini serviva anche il ricordo di Kurata ad accrescermi il senso di nausea. Che sciocchezza. Forse non mi arriva abbastanza ossigeno al cervello, ecco perché la mia mente ha partorito un'idea così assurda. Il suo ricordo non può farmi stare peggio, lei nonha più quel tipo di potere su di me. La nostra storia è finita, appartiene al passato. Dimenticata.
Sbircio dalle palpebre papà e lo vedo dormire beatamente, mentre Natsumi, due file più avanti, sembra completamente immersa in una stupida rivista di moda.
Serro ermeticamente le ciglia prima che il mio sguardo possa di nuovo soffermarsi sul paesaggio – sul niente – che si intravede dal finestrino. La mia mano stringe spasmodicamente il bracciolo. Dio, quanto è stato difficile dimenticarla.
I primi mesi erano stati un'agonia tale che avrei preferito aprire il portellone e gettarmi di sotto piuttosto che riviverli.

Il telefono squilla, di nuovo, e di nuovo quel tuffo al cuore nel leggere il suo numero. Quel piacere. Forte, prepotente, irrazionale, che non riesco a combattere. Il piacere di sapere che lei mi aveva cercato, che mi pensava ancora. E quel disgusto. La rabbia, l'odio al ricordo di quello che era successo, di quello che avevo visto, di quello che avevo detto. Due squilli. Stringo il cellulare tanto forte da rischiare di sbriciolarlo, la gola così secca che la sento bruciare. Tre squilli. La mia mano, traditrice, sta già per portarsi il telefono all'orecchio. Quattro squilli. Non avrei risposto. Ora che non è più mia, non voglio più nemmeno ascoltare le sue parole. Cinque squilli. Allora perché facevo così fatica a respirare? Sei squilli. Bugiardo. Sono solo un bugiardo. Io muoio dalla voglia di sentire ancora la sua voce. Sette squilli. Piacere e disgusto. Due forze opposte, incalzanti, che mi spingono in due direzioni diverse. Che mi lacerano. Mi spezzano in due. Così, mentre con una mano vorrei solo premere il tasto di avvio, con l'altra scaglio il cellulare contro il muro. Otto squilli. Poi più niente.
Niente a parte quell'acqua salata che mi riga le guance.


Kurata non era stata la sola a chiamare. Ci si era messo anche quel suo manager impiccione e ovviamente Tsuyoshi. Non mi ricordavo neanche più quanti miliardi di volte mi aveva chiamato Tsuyoshi.

« Akito, TI HA DATO DI VOLTA IL CERVELLO? Si può sapere perché hai fatto una cosa così insensata? Dopo tutto il tempo passato a correrle dietro! Dopo tutti quegli sforzi per far capire a voi due testoni, quanto fossero profondi i vostri sentimenti...»
Allontano la cornetta dall'orecchio e lascio che Tsuyoshi sfoghi la sua ira contro il muro. Di quello che pensavano gli altri, di Rei, Fuka, Aya, persino di Tsu – che era la figura più vicina ad un amico che avessi mai avuto – non mi fregava niente. Non dovevo spiegazioni a nessuno.
Mi riporto il telefono all'orecchio, giusto per sentire a che punto è arrivato.
« Per quale motivo non hai risposto le altre VENTIQUATTRO volte che ti ho chiamato? »

Perché non facevi che parlare di lei, brutto idiota. E avrei preferito che tu mi spaccassi mille banchi in testa piuttosto che ricordarmela.
« Ero impegnato. E se non la smetti di gridare attaccherò di nuovo ».

« Ma perché cazzo hai fatto una cosa del genere? »
Cazzo? Tsuyoshi, il bravo bambino che chiamava le insegnanti “mammina”, ha appena detto “cazzo”? Quasi quasi mi viene da ridere.
« Non ti riguarda » rispondo invece laconico.
« Come puoi dire una cosa del genere? Io sono il tuo migliore amico e Sana... »

Sana. Ecco il motivo per cui quella volta avevo risposto. Il motivo era sempre lei.
«Come sta? » chiedo con un tono più duro del solito, nel tentativo di nascondere il tremolio della mia voce.
« Come sta? COME VUOI CHE STIA? »

Ecco che rinizia ad urlare. Chissà come hanno fatto a fermarlo quando ha saputo quello che era successo. Chi lo ha colpito tra capo e collo ora che io sono troppo lontano? È sempre stato il mio compito.
« STA MALISSIMO OVVIAMENTE! »

Sta malissimo. Bastano quelle due parole e una sequela di immagini scorrono nella mia mente. Kurata offesa, imbronciata. Kurata ferita. Kurata che cerca di nasconderlo con un sorriso che può forse ingannare i suoi fan, ma che non inganna me che di quel sorriso mi sono innamorato. Kurata che piange. Il suo volto rigato di lacrime. Per colpa mia.
« Quanto? » chiedo mentre il sudore freddo mi scende lungo la schiena.
« Eh? Quanto cosa? » domanda Tsuyoshi perplesso, per una volta con tono di voce normale.
« Quanto sta male? »

Stavolta quella nota di panico nella mia voce non riesco proprio a nasconderla. Tsu sembra finalmente capire.
« Oh » mormora infatti. « No, non è come l'altra volta...»

Il suo volto privo di espressione. I suoi occhi vuoti. Il corpo, sempre più esile, scosso da conati di vomito. I lividi sul suo braccio lasciati dall'ago per le flebo. Il suo sorriso per sempre cancellato dalla faccia.
« Non ha di nuovo la malattia della bambola ».
Solo allora mi accorgo di aver trattenuto il respiro, in attesa di quella risposta. Lo rilascio lentamente, mentre il nodo che mi stringe il petto si allenta un po'.
« Ma come hai potuto farlo, Akito? Senza darle nemmeno una spiegazione! Perché non hai risposto nemmeno alle sue di telefonate? »

Non dovevo dare spiegazioni a nessuno – nemmeno a quel grillo parlante di Tsuyoshi – se non a lei. A lei non avrei potuto replicare che non erano affari che la riguardavano. Avrei dovuto riesumare dai più oscuri recessi della mia mente quel dannato bacio, quel bacio che avevo sepolto in profondità dentro di me, in modo da non doverci più fare i conti. Quel bacio così ardente che aveva marchiato a fuoco anche me. Non potevo. Non ci riuscivo.
« Non ho niente da dirle ».
« E non dirai niente nemmeno a me, non è così? »
Ormai Tsuyoshi sembra essersi rassegnato.
« Mmm >> mugugno in segno di assenso. Lo sento sospirare dall'altra parte della cornetta.
« Allora non mi resta che salutarti, Akito-kun. Solo un'ultima cosa ».

Rimango in silenzio, chiedendomi cosa abbia da dire.
« Perché dovete rovinare sempre tutto? »


Chissà forse il motivo è che semplicemente non eravamo fatti per stare insieme. Fin dall'inizio fra noi era sempre stato così, sempre nuovi ostacoli, nuovi problemi a dividerci. “Li supereremo insieme”. La sua voce mi risuona in testa, così distinta che potrebbe avermi sussurrato quella frase nell'orecchio.
Impossibile, Kurata. Ci sono cose che nemmeno il tuo ottimismo può superare.
E mi ritrovo di nuovo a chiedermelo per la centesima volta. Cosa sarebbe successo se lei non avesse avuto il tempismo di chiamarmi un attimo dopo aver visto quella scena? Forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse pensandoci a mente fredda le avrei dato almeno il tempo di spiegare.
Mi irrigidisco, le nocche della mano sbiancano per la tensione con cui stringo il bracciolo. Come cazzo avrei potuto pensare con freddezza a Kurata fra le braccia di un altro? Se anche ora, dopo più di anno, dopo che è finita e che ho smesso di amarla, il solo pensiero mi fa vedere rosso dalla rabbia? E cosa diavolo c'era da spiegare sul fatto che avesse baciato Kamura?
Avevo fatto l'unica cosa possibile. Avevo fatto la scelta migliore.

La mia mano che indugia per la millesima volta sul telefono. Dopo i primi giorni lei non mi aveva più chiamato. E allora ero stato io a desiderare con tutte le forze di farlo. E ad odiarmi per questo. Sollevo la cornetta, il numero già scritto, il dito appoggiato al tasto di avvio della chiamata. Un paio di secondi, scanditi solo dal ritmo del mio respiro. Poi il telefono lo poso e mi stendo di nuovo sul letto, come avevo fatto tante, troppe volte.
E il tarlo del dubbio scava nella mia mente, acuendo ancora di più la sofferenza e la gelosia. Un dubbio strisciante, che mi aveva tormentato anche prima che vedessi quell'odiato bacio.

Il dubbio che lui fosse migliore di me.

Che per una volta i reporter ci avessero visto giusto e che loro due fossero davvero una coppia perfetta. Avevano così tanto in comune: entrambi abbandonati dai genitori, entrambi parte dello stesso mondo luccicante, entrambi incapaci di partorire un'idea malvagia.
Io e Kurata invece eravamo così opposti: cane e gatto, fuoco e acqua, luce ed ombra. Mi sentivo proprio così: come se io fossi l'oscurità che inghiotte la luminosità di Kurata.
Il dubbio che lui la meritasse più di me.
Perché quel damerino viziato non avrebbe potuto fare del male ad una mosca. Perché per quanto odioso era un bravo ragazzo. E io invece ero un diavoletto. Non importava quante volte avrei chiesto scusa, in quanti modi avrei cercato di farmi perdonare, niente poteva cancellare tutti gli sbagli che avevo commesso.
Il dubbio che lui avrebbe potuto renderla più felice.
Le sarebbe sempre stato vicino. Non come me che me ne ero andato dall'altra parte del mondo, che l'avevo abbandonata. Non l'avrebbe mai fatta soffrire. Non le avrebbe mai rubato il sorriso.
Io non meritavo di essere felice. Ma Kurata... Kurata non avrebbe dovuto passare neanche un secondo senza sorridere, perché il suo sorriso scalda il cuore di tutti quelli che le stanno intorno. Anche ora, anche dopo quel bacio, l'unica cosa che voglio è la sua felicità.


« I signor passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo per atterrare nell'areoporto di Tokyo. Ripeto... »
La voce dell'altoparlante mi riscuote dai miei pensieri. Ritorno al presente con un sospiro di sollievo. Ripensare al passato non ha più senso. Un anno e mezzo di silenzio è stato più che sufficiente per dimenticarla. Poi sento l'aereo inclinarsi e mi ritrovo lo stomaco in gola.
Odio l'altezza perché per tutta la vita sono stato sul punto di cadere. Ogni giorno, ogni fottutissimo giorno della mia infanzia, mi sono sentito scivolare sempre più verso il basso verso un vortice di odio e disprezzo e invidia. Sempre più vicino a perdere l'equilibrio. Odiando, disprezzando e invidiando gli altri bambini che sorridevano ed erano felici. Con un piede già sospeso nel vuoto.
Stare in alto mi ricorda con crudele certezza quanto la mia vita fosse priva di senso, quanto sarebbe stato facile fare quel passo e lasciare che le tenebre mi inghiottissero del tutto.
Poi era arrivata lei e con la sua luce aveva fatto sparire l'oscurità. Il suo sorriso mi aveva fatto apprezzare la vita. Ma ora Kurata non c’è e io non ho mai sofferto tanto di vertigini.

« Comunichiamo ai signori passeggeri che l'atterraggio si è concluso con successo. Ringraziamo per il viaggio e vi auguriamo una buona giornata ».
Sono di nuovo a Tokyo.

 

 

*Così vicino non importa quanto lontano
Non può essere troppo lontano dal cuore
Abbi sempre fiducia in chi siamo
E nient'altro ha importanza”

 

 

 

Questo capitolo inizialmente non era previsto. Però, come penso abbiate notato, ho una certa predisposizione a sviscerare ogni aspetto della mente dei due protagonisti. Ho comunque ritenuto importante spiegare uno dei motivi fondamentali per cui Akito non cerca più di mettersi in contatto con Sana: il fatto che si sente inadeguato, che non si sente all’altezza di Kurata, che gli pare anzi di non meritare la felicità.
Nel prossimo capitolo finalmente Hayama e Sana si incontreranno e l'idea sarebbe quella di scrivere l'episodio da tutti e due i punti di vista, spero di riuscire a realizzarla! Un grazie enorme alle persone che hanno messo la mia ff tra le seguite/ricordate/preferite e ancora di più a chi ha recensito! Il titolo del prossimo capitolo sarà “Incontro” ed ecco l'estratto:

Troppo tardi mi rendo conto che i miei passi mi hanno condotto nel luogo che più di tutti avrei dovuto evitare.
Troppo tardi mi accorgo che invece di fuggire dal passato gli sono andato bellamente incontro, ci sono andato a sbattere.
È troppo tardi perché ormai ho di fronte agli occhi l'immagine di un'attonita Kurata che esce dal cancello di casa. 

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Capitolo 7
*** Incontro ***


  


Incontro


 

 

"Ha mai amato il mio cuore? 
Negate occhi: prima di questa
notte non ho mai veduto la bellezza."
"Romeo e Giulietta" Shakespeare

 

 

 

 

Scendo dall'aereo cercando di nascondere il tremolio che ancora mi scuote le gambe. Arranco dietro a Natsumi e a mio padre, sollevato che quell'orribile viaggio si sia infine concluso. Un cartellone bianco con delle scritte rosse attira subito la mia attenzione. “Bentornato Akito-kun” leggo sorpreso un attimo prima di scorgere le facce dei miei amici che mi attendono alla stazione. Ci sono tutti. Tsuyoshi, con un braccio possessivo intorno alla vita di Aya, Fuka che sventola la mano urlando qualcosa di incomprensibile, persino Gomi e – cosa ancora più incredibile - Mami. Solo in seguito avrei scoperto che si erano da poco messi insieme e che questo l'aveva praticamente supplicata di venire. Ci sono tutti. Anche Tsu che temevo non sarebbe più venuto dopo quel brutto litigio al telefono e Mami a cui alle elementari avevo fatto quello scherzo tremendo. Prima ancora che me ne renda conto i miei occhi saettano tra la folla alla ricerca del suo viso a cuore e di quei buffi codini. Ci sono tutti tranne lei.
Era logico che Kurata non fosse presente. Credevo davvero di trovarla, lì, ad aspettarmi insieme agli altri? Di sicuro si trovava negli studi a girare insieme a Kamura. Non che la cosa mi importasse.
Avanzo noncurante e li raggiungo, subito assalito da gridolini, domande e pacche sulla schiena. Normalmente non l'avrei presa molto bene. Probabilmente avrei urlato a Fuka di zittirsi che sembrava una gallina spennata e avrei dato un cazzotto a Tsu visto che non smetteva di tirarmi la manica. Quanto a Gomi ero sicuro che sarebbe bastata una delle mie solite occhiate minacciose per farlo tacere. Ma per stavolta farò un'eccezione. Forse è per il sollievo di essere uscito vivo da quella scatola infernale o forse perché dopotutto un po' i miei amici mi sono mancati, ma sento un'insolita sensazione di calore e faccio quasi fatica a reprimere un sorriso nell'osservare le buffe smorfie di Fuka, le spacconate di Gomi, i piagnistei di Tsu. Sono passati tre anni e per un attimo mi sembra che non siano trascorsi neanche tre giorni. Anche se devo riconoscere che qualche cambiamento c'è stato: Tsuyoshi si è fatto più alto anche se resta sempre una mammoletta impacciata, i capelli di Gomi sono finalmente ricresciuti e, forse in un lampo di ribellione, li tiene raccolti in un codino, Aya ha un'aria ancora più materna del solito. Quanto a Fuka... mi soffermo per un attimo ad osservarla da sotto le ciglia, senza farmene accorgere. D'altronde è così occupata a parlare con Tsu e a organizzare una delle loro assurde idee – una festa di bentornato se ho capito bene – che per l'attenzione che mi dedica potrei essere invisibile. Fuka è forse quella cui i cambiamenti sono più evidenti. Un vestito verde le fascia i fianchi, esaltandone il fisico snello ed asciutto. Una coda alta le raccoglie i capelli scuri, lasciando scoperto il viso che ha perso ogni rotondità dell'infanzia.
« Che cosa ne pensi, Akito -kun? »
Mi chiede girandosi di scatto. La fisso perplesso. Non ho ascoltato una parola della sua conversazione. Gli occhi di Fuka si posano su di me, spazientiti.
« Benissimo! Allora non ci resta che decidere il giorno... » dice riprendendo poi a confabulare con Tsuyoshi. A quanto pare il mio silenzio è stato interpretato come un'approvazione. Lo sguardo di Matsui mi fa tornare la familiare sensazione di un blocco di cemento nello stomaco. Ho sempre pensato che i suoi occhi fossero dannatamente simili a quelli di Kurata. Non identici, certo. Gli occhi di Fuka sono scuri come l'ebano, mentre i suoi occhi hanno una sfumatura calda, più viva. Non abbastanza uguali da essere confusi, ma abbastanza simili da ricordarmi lei, il suo viso, il suo modo di fissarmi.
Improvvisamente il brusio della gente in aereoporto inizia ad infastidirmi. La voce gracchiante dell'altoparlante, lo stridio di un carrello sospinto da un grassone, le urla di una bimbetta che tira le maniche della madre per avere un lecca-lecca. Tutti i rumori a cui prima non dedicavo la mia attenzione iniziano a darmi il tormento. Vorrei andarmene da quel luogo snervante invece mi ritrovo a tentare di tollerare quel trambusto.
Sospiro. Sono a Tokyo. I suoni, gli odori, il modo di parlare dei passanti. Mi è tutto familiare. Sono di nuovo a casa e non c'era giorno a Los Angeles che non desiderassi tornare qui. Allora perché mi sento soffocare? I miei amici mi vengono a prendere alla stazione dopo tre anni che non li vedo e io vorrei solo andarmene il più velocemente possibile. Le labbra mi si piegano in una smorfia amara. Sbagliato. Ecco come mi sento in questo momento. Profondamente sbagliato. La sensazione di calore provata poco prima mi scivola di dosso come un abito smesso e mi ritrovo a guardarmi intorno cercando di nascondere l'irritazione.
Intravedo un ciocca mogano e il mio cuore sussulta. Mi alzo in punta di piedi e sto già per correre dietro a quella ragazza ma in uno sprazzo di lucidità mi rendo conto che non è lei. È solo una ragazza come tante, con un viso come tante e un profumo come tante. Non è Kurata. Lei non c'è e io mi sento solo. Un pensiero mi ronza in testa ma lo scaccio prima ancora di averlo interamente formulato. Rilasso i muscoli e mi convinco che si è trattata solo di una debolezza mo mentanea. Kurata ed io siamo un capitolo chiuso.
Papà e Natsumi mi fanno cenno di raggiungerli, i bagagli depositati di fronte ai loro piedi. Saluto i miei amici e mi dirigo verso di loro con un malcelato sorriso: a quanto pare, oltre a non essere un tipo da addii non sono nemmeno un tipo da benvenuti.
Il viaggio in taxi passa velocemente e senza quasi rendermene conto mi ritrovo davanti alla mia vecchia casa. I muri sono scrostati e erbacce alte tre metri crescono in giardino. La cosa mi lascia del tutto indifferente. Vorrei poter dire la stessa cosa degli urli di Natsumi che sgrida mio padre per non aver incaricato un giardiniere di sistemare il prato. Intanto il mio umore non accenna minimamente a migliorare. Nel taxi, pigiato fra una valigia e l'altra, ho gettato un'occhiata fuori dal finestrino. Tokyo è come me la ricordavo: grigia, caotica e rumorosa. In effetti non saprei dire quale grande differenza ci sia fra questa e Los Angeles, o perché desiderassi tanto tornarci. A parte il piccolo dettaglio che qui non si può svoltare l'angolo senza trovarsi di fronte il sorriso di Kurata ritratto in un cartellone. Deve essere diventata ancora più famosa.
Gli strilli di Natsumi mi perforano i timpani. Mi carico una valigia in spalle e apro il portone.
L'unica cosa che voglio è sdraiarmi sul letto, in santa pace. Inizio a disfare gli scatoloni che io e mio padre abbiamo faticosamente portato dentro mentre Natsumi si arma di scopa e cencio. La mia stanza è polverosa e vuota. Pesco degli oggetti a caso e li dispongo sulla scrivania. Mi blocco, rigirandomi fra le mani un piccolo dinosauro con una sciarpa rossa intorno al collo. Quel piccolo dinosauro con la sciarpa rossa intorno al collo. Kurata.
La stanza diventa all'improvviso troppo piccola, claustrofobica. Mi sento quasi stritolare dalle pareti spoglie. Aria. Ho un bisogno disperato d'aria. Scendo le scale di corsa e non mi fermo di fronte alle proteste di Natsumi o all'espressione sorpresa di papà.
« Vado a fare due passi » ringhio a mo' di spiegazione prima di sbattere la porta.
Inizio a correre, senza meta, cercando solo di sfuggire a una valanga di ricordi troppo ingombranti per lasciarseli alle spalle. Anche se non la amo più, Kurata continua a darmi il tormento, maledizione! Sforzo ancora di più i muscoli mentre gli ultimi raggi del sole spariscono definitivamente. Il mio respiro affannoso forma delle nuvolette nell'aria gelida di Dicembre.
Troppo tardi mi rendo conto che i miei passi mi hanno condotto nel luogo che più di tutti avrei dovuto evitare.
Troppo tardi mi accorgo che invece di fuggire dal passato gli sono andato bellamente incontro, ci sono andato a sbattere.
È troppo tardi perché ormai ho di fronte agli occhi l'immagine di un'attonita Kurata che esce dal cancello di casa.
Rimango a fissarla, in perfetto silenzio, paralizzato. Per un attimo non mi sembra nemmeno possibile che sia veramente lei. Ma è Kurata, girata di tre quarti, con un cappotto pesante e bianco che scende fino a sfiorarle le ginocchia, le gambe coperte da leggings neri ed aderenti. I capelli sciolti sulle spalle. Gli occhi sgranati, le sopracciglia inarcate, le mani che ancora stringono il mazzo di chiavi. Il fruscio del vento le solleva le ciocche mogano solleticandole le guance.
Registro tutti questi dettagli in una frazione di secondo. Avevo sempre creduto che fosse Kurata quella troppo codarda per accettare la realtà. Quella che mentiva anche a se stessa pur di non dover fare i conti con i suoi sentimenti. È doloroso scoprire che se qui c'è un bugiardo, quello non posso che essere io. Davvero mi ero illuso di averla dimenticata? Di aver scordato quelle labbra rosse, dischiuse dalla sorpresa? Quella pelle pallida che brilla sotto la luce dei lampioni?
La bocca mi si piega in una smorfia amara mentre mi sento schiacciare dal peso della verità. Perché solo ora che ho davanti il suo volto mi sento finalmente leggero, il fastidio che mi ha tormentato per tutta la giornata si è magicamente dissolto. Adesso mi sento finalmente a Tokyo e capisco cosa ha in più questa città rispetto a tutte le altre nel mondo. Ha lei.
Solo fra le braccia di Kurata mi sento a casa.
È una certezza che mi piomba addosso e mi toglie il respiro. Sento la sudorazione aumentare, come se il mio intero corpo stesse andando a fuoco, bruciato da quegli occhi scuri che mi fissano smarriti e confusi.
Sana.
Sana, Sana, Sana. Quando ero a LA il suo nome evitavo anche solo di pensarlo, bandito dalla mente e dal cuore. Adesso che è di fronte al mio sguardo assetato quelle quattro lettere le vorrei gridare. Le sento premere in gola, così forti che faccio fatica a tener chiuse le labbra. Ma non posso pronunciarle. Se aprissi la bocca uscirebbe un gemito, una supplica. Sana.
Devo andarmene da lì. Devo andarmene prima di fare una delle mie solite sciocchezza, prima di perdere il controllo come tante– come troppe volte – quando lei è così vicina.
«H-hi » la saluto come un perfetto idiota.
La paralisi mi abbandona e con uno scatto la lascio alle mie spalle prima di perdere quel poco di raziocinio che mi è rimasto e di abbandonarmi all'istinto di stringerla fra le braccia.

Dicembre. E il vento che mi frusta la faccia.
Il tuo volto, a soli pochi passi di distanza. Le tue labbra che si dischiudono per pronunciare quella parola.
« Hi ».
Una tortura. Ecco come avrei definito questa interminabile giornata. Gelata dalla paura di non vederti e da quella ancora più grande di vederti e di leggere l'indifferenza nei tuoi occhi.
Costringendomi a rimanere a letto, a non precipitarmi all'aereoporto, a non sognare neanche di gettarti le braccia intorno al collo. Aggrappandomi a quel briciolo di dignità che mi era rimasta dopo che tu avevi calpestato tutto. Non ho raggiunto Fuka e Tsuyoshi nonostante ogni fibra del mio corpo mi implorasse di farlo. Seduta sul letto, con le ginocchia raccolte contro il petto, ho osservato il lento calare del sole. Mi sono sentita sollevata nel vederlo infine tramontare. E di nuovo spaventata, perché domani il sole sarebbe sorto di nuovo e io avrei rischiato di vederti, di incrociarti per sbaglio. E magari di scoprirti diverso. Dovevi per forza essere diverso. Non potevi essere lo stesso Akito che aveva promesso di non lasciarmi mai. Di che colore sono i tuoi occhi, Hayama, adesso che sei diventato un bugiardo? Sono cupi e scuri come quando avevi undici anni e mi pregavi di conficcare una lama nel tuo petto? O caldi e dorati come quando posavi lo sguardo su di me un attimo dopo avermi baciato? No, impossibile. I tuoi occhi devono essere freddi e duri come il marmo. Non voglio vederti. Voglio ricordarti sempre come eri a dodici anni, voglio ricordare il tuo sguardo quando mi amavi.
Non potrei accettare uno sguardo diverso su di me.
E adesso, dopo tutti i miei sforzi, dopo che mi sono sforzata di fingere, di imparare a seguire la mente e non il cuore, tu ti presenti davanti casa mia.
Mi sono rinchiusa in casa per tutto il giorno ma non è servito. Ho torturato il labbro con i denti, affondato le unghie nelle cosce ma è stato tutto inutile.
Tu sei qui.
E la prima, stupida cosa che penso è che avevo ragione. Sei diverso. Più alto, con le spalle più ampie. Un accenno di peluria sul mento. I capelli arruffati dal vento che ti cadono in ciocche scomposte sulla fronte. Sei diverso, ma i tuoi occhi hanno la stessa intensità di quella notte sotto il gazebo illuminato dalla luna.
Il volto di Akito è qualcosa che va al di là della bellezza. Sento una vampata di calore salirmi alle guance, il respiro mi rantola nel petto, la testa mi gira come se stessi per svenire da un momento all'altro. Eppure non mi sono mai sentita così bene. Il coltello nel mio petto si è dissolto, lo squarcio si è rimarginato senza lasciare segni. Mi basta guardarti, Hayama, per guarire da ogni ferita. E proprio nel momento in cui mi sento le ginocchia cedere, nel momento in cui sto per gettarmi tra le tue braccia, tu decidi di parlare.
Hi.
Tre anni che non ci vediamo e questo è tutto quello che hai da dirmi. Boccheggio come se tu mi avessi schiaffeggiato.
Illusa.
Davvero avevo creduto che non fosse cambiato niente fra di noi? Ti vedo abbassare lo sguardo e correre via e non riesco a reagire. Vorrei fermarti, chiederti spiegazioni, sentire ancora il suono della tua voce. Ma il mio corpo va a rilento e mentre protendo il braccio per fermarti, tu sei già lontano, troppo lontano. Di nuovo.
Quante volte un cuore può spezzarsi e continuare a battere? Quante volte puoi farmi questo e allontanarti come se niente fosse?
Una piccola, piccolissima, parte di me credeva che se tu mi avessi vista ti saresti pentito di avermi lasciato. Invece... invece c'è solo imbarazzo. Tre anni di lontananza e distogli gli occhi dai miei. Non riesci più neanche a guardarmi Hayama? “Ciao” è tutto quello che ci resta da dirci?
È finita. È finita per davvero.

Lo realizzo appieno solo in questo momento, con la mano ancora protratta verso il vuoto e la luna che illumina il punto in cui ti trovavi fino a un attimo fa. È finita così, senza una spiegazione, senza un rimpianto. Sento anche l'ultima esile speranza morirmi nel petto.
Non mi sono neanche resa conto di essermi incamminata per strada. Solo quando il mio dito di posa sul campanello di Kamura mi riscuoto dal torpore.






Anche questo capitolo si gioca tutto sull'equivoco: Hayama è così sconvolto dal rivedere Sana, si sente talmente schiacciato dai suoi sentimenti, che preferisce scappare prima di perdere il controllo; Sana fraintende l'emozione di Akito scambiandola per indifferenza e si sente nuovamente ferita, in un modo forse ancora più profondo. Se siete rimasti delusi perché alla fine il dialogo fra i due protagonisti si è ridotto a un'unica battuta, non preoccupatevi, nel prossimo episodio – intitolato “Neve” - la conversazione fra i due sarà molto più serrata ed incisiva. A proposito del prossimo capitolo, ho già iniziato a scriverlo e mi sono accorta che sarà più lungo ed importante degli altri. Per questo non sono sicura che riuscirò ad aggiornare come sempre sabato prossimo, mi scuso per il probabile ritardo! Per lo spoiler rimando al prologo, già abbastanza esaustivo. Detto questo non mi resta che ringraziare tutte le persone che mi hanno lasciato un commento o che hanno mostrato in un altro modo di gradire la storia; spero che mi farete sapere le vostre opinioni anche su questo episodio che io personalmente ho adorato scrivere! Un saluto a tutti!
 
 

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Capitolo 8
*** Neve ***


 

 

Neve

 

 

Without you
One night alone Is like a year
without you baby
Do you have a heart of stone
Without you
Can't stop the hurt inside
When love and hate collide”(1)
When love and hate collide” Lef Deppard

 

 

 

 

 

Le braccia di Naozumi intorno al mio corpo esausto sono la prima cosa che ricordo di quella sera. La sensazione ruvida ma calda della stoffa del suo maglione nero. La solidità del suo petto che si scontra sul mio. Con Naozumi accanto mi è più facile respirare.
Poi le sue parole soffocate contro la mia spalla.

« L'hai incontrato? »
Quand'è che ho iniziato a piangere? Me ne rendo conto solo ora che vedo il colletto della camicia di Nao bagnato di lacrime. Annuisco, la morsa alla bocca dello stomaco si fa più prepotente.
L'avevo visto e mi aveva respinta di nuovo.
Le braccia di Kamura mi stringono più forte contro il suo petto, spingendomi all'interno della casa. Chiude il portone con un calcio, continuando a tenermi stretta.
« Cosa vuoi fare adesso? »
È tormento quello che avverto nella voce di Naozumi? Non ne sono sicura. Non sono sicura di niente se non del fatto che non posso andare avanti così. Devo strappare il pugnale che mi trafigge il petto.
« Voglio solo dimenticarlo ».
La voce mi esce dalle labbra esile e strozzata. Ma Nao sente quelle parole e mi guarda con un'espressione che mi fa tremare le gambe. Non importa quanto sangue sgorgherà da quella ferita, non importa quanto sarà grande lo squarcio. Il mio cuore non può battere con una lama di ferro all'interno. Non più.
Naozumi china la bocca sulla mia e io mi aggrappo a lui come se ne andasse della mia vita. Le labbra di Nao sono implacabili, esigenti. Questo bacio non ha niente a che vedere con quello dolce ed impacciati che ci siamo scambiati sotto i riflettori. Stavolta non siamo Romeo e Giulietta. Siamo Sana e Naozumi, amici, colleghi, rivali e forse ora anche qualcosa di più. Io, che ho perso la mia sicurezza e lui, che è l'unico punto fermo nella mia vita. La sua lingua scava più in profondità, serrando la mia, spingendola a rispondere. Il modo in cui mi stringe a sé è quasi doloroso. Ed io sono arrendevole fra le sue braccia, l’intero corpo abbandonato contro il suo petto. Slaccia i bottoni del mio cappotto e mi aiuta a toglierlo. Lo getta con un gesto nervoso su una sedia, le sue dita riprendono a precorrermi la schiena, l'altra mano mi indugia su un fianco. Sento il suo sguardo trafiggermi, ma non riesco a guardarlo.
« Sei davvero sicura che sia quello che vuoi? »chiede sollevandomi il mento e costringendomi a fissarlo in viso. I suoi occhi sono cupi, quasi grigi. Argento e oro che si battono per trovare un posto nel mio cuore.
« Sì » mormoro semplicemente.
E quell'unica lacrima che mi scivola sulla guancia porta via la mia incertezza. Oro e argento non possono coesistere.

Prima o poi dovrai scegliere. Le parole che Naozumi aveva pronunciato solo tre giorni prima mi rimbombano nella mente.
« Dimostramelo ».
Quella parola è poco più di un sussurro mormorato contro la mia gola. Poi Nao vi posa le labbra e io cerco di non pensare a niente che non sia il suo tocco, la scia dei baci che mi lascia sulla pelle dalla mandibola fino alla clavicola.
Mi solleva fra le braccia e mi adagia sul divano, continuando a toccarmi, impedendomi di pensare. Solo quando la sua mano indugia nello sfilarmi il cardigan intuisco pienamente che quello che Naozumi mi sta chiedendo non sono solo baci o carezze. Vuole di più. Molto di più. Vuole qualcosa che non sarei mai in grado di fingere. Naozumi mi fissa con pacata tranquillità, abbastanza vicino da sentire il suo respiro riscaldarmi le guance, abbastanza lontano da lasciarmi la possibilità di fermarlo, di respingerlo se è quello che voglio. Ma è davvero quello che desidero? Potrei dirgli che non sono pronta e lui sicuramente capirebbe, come mi ha sempre capito in tutti quegli anni insieme. Basterebbe una parola, un gesto. La sua mano, ancora sospesa sul maglione, sembra attendere proprio questo, un segnale più esplicito del mio sguardo smarrito. Le mie dita scattano per allontanare le sue, ma sono bloccate dalle parole che mi risuonano nelle orecchie: “Sei sicura che vuoi dimenticarlo?”
. Dimenticare Akito.
Le mie labbra si piegano in una smorfia che spero essere somigliante a un sorriso mentre le mie dita coprono la mano di Naozumi, non per respingerlo ma per incoraggiarlo. Lo sguardo di Nao è così sorpreso, i suoi occhi così indifesi di fronte al mio gesto che mi viene spontaneo avvicinare le labbra al suo collo. Senza il cardigan, la mia pelle scoperta rabbrividisce per il freddo. Poi Naozumi si appoggia di nuovo a me, facendomi distendere sul divano.
Dimenticare Akito.
Mentre le mani di Kamura continuano a percorrermi il corpo, la sua bocca a reclamare baci. Timidamente cerco di sfilargli il maglione. Nao se lo toglie con un unico fluido gesto e sfiora con un dito il mio collo scendendo progressivamente più in basso. Indugia sul mio seno troppo piccolo e arrossisco furiosamente, lottando per reprimere l'istinto di coprirmi con le braccia. Stringo i denti cercando di non pensare ad altro che al suo tocco, alla freschezza di quel contatto.
Dimenticare Akito.
Slacciando uno dopo l'altro i bottoni della camicia di Nao, sfiorando timidamente il suo petto, indugiando sui suoi addominali appena accennati. Un gemito soffocato esce dalle sue labbra mentre mi stringe ancora di più a sé e affonda la testa fra i miei capelli, respirandone l'odore.
Dimenticare...
« Sana » mormora mentre lotta con il gancetto del reggiseno.
Sana. Il tono della sua voce si sovrappone a quella di Nao. Per un secondo ho la bruciante sensazione di essere osservata dal suo sguardo dorato. Mi irrigidisco e Nao riprende a baciarmi e accarezzarmi con più dolcezza come per tranquillizzarmi.
...
Akito.
Il suo tocco, così diverso da quello tenero e delicato di Naozumi. I suoi occhi dorati così profondi da inchiodarmi al pavimento. Il sapore della limonata la prima volta che le sue labbra si erano posate sulle mie. La sua bocca, esigente, imprevedibile. La sua bocca e il mio primo bacio.

La mano di Naozumi che mi accarezza una gamba, ancora coperta dai leggings, mentre finalmente riesce ad aprire e sfilare il reggiseno. Mi sento nuda e vulnerabile mentre il suo sguardo mi percorre il corpo. Le gambe mi tremano e non riesco ad impedirlo.
Akito
Il freddo della neve che si posa sulla mia pelle e risveglia ogni singola terminazione nervosa. Il piccolo pupazzo che ha fatto per me ad un passo di distanza. E lui e le sue mani che si posano sulle mie spalle. Il suo tocco, da cui non potrei mai fuggire. I suoi occhi sempre più vicini, le mie labbra che fremono dalla voglia di essere baciate. Potrei respingerlo e invece vorrei solo stringerlo a me.
La camicia di Naozumi che cade con un fruscio ai piedi del divano, i nostri corpi seminudi adagiati l'uno sull'altro. E la mia mente che continua a tradirmi con immagini che vorrei solo scordare.
Akito
Il bruciore sulla fronte, appena sbattuta contro la porta. Mi giro irata per quello stupido scherzo e mi ritrovo il suo volto a pochi centimetri di distanza, le sue braccia che mi bloccano contro la parete.
Il cuore mi si ferma per un attimo mentre ogni traccia di irritazione è cancellata dal sapore delle sue labbra. Allora è vero che un bacio basta per scacciare il dolore.
Senza quasi che me ne accorga mi ritrovo a sorridere. Naozumi solleva il viso, smettendo di baciarmi e mi guarda perplesso.
« Perché ridi Sana-chan? »
Akito
Sciocca. Sono una sciocca.
Una stanza d'albergo e le sue lacrime che gli solcano le guance.
Pensi che sarai l’unica a sentirsi sola quando ci allontaneremo? Anche l’altra volta quando non c’eri mi sentivo solo da morire!”
“Usami per dimenticarlo”. Le parole di Naozumi si mischiano a quelle di Hayama creandomi una gran confusione in testa.
Ma tu non diventare così per me. Sorridi! Sorridi… e dimmi che L.A. è vicina (2).” Akito.
“Prima o poi dovrai scegliere”Naozumi.
« Sana-chan? »
Scegliere. Che parola insensata. Quando si tratta di Akito io non posso mai scegliere.
« Non posso »bisbiglio alzandomi a sedere.
Perché io voglio Akito.È una consapevolezza che mi attraversa con la potenza di una scarica elettrica. Anche se è assurdo, sciocco e masochista, io vorrò sempre Akito. Nessun altro a parte lui.
«Scusami se puoi, Naozumi »aggiungo raccattando alla rinfusa i miei vestiti.


***


La guardo rivestirsi in fretta e furia senza riuscire a racimolare il coraggio di pronunciare una singola parola, nemmeno per dirle che ha lasciato il cappotto sulla sedia. Senza il suo corpo a premere contro il mio, brividi mi fanno accapponare la pelle. O forse è solo il disgusto per il vuoto che stringo fra le braccia. Mi alzo in piedi, incespicando sulle scarpe gettate ai piedi del divano. Avvicinandomi alla porta che ha lasciato socchiusa, la osservo fare la cosa che le riesce meglio in assoluto:
scappare.
La sua figura si fonde con le ombre della notte e, mentre le lacrime mi scendono lungo il volto, mi sembra di essere di nuovo il bambino piagnucolone e insopportabile che ero all'asilo. Era stato per lei che avevo deciso di cambiare. Ma non era stato abbastanza. Non era mai abbastanza, perché io non ero abbastanza. Perché abbastanza per lei è solo Akito Hayama.
Nel vederla fuggire così, nel bel mezzo della notte, pallida e sconvolta, mi sento morire dal senso di colpa. Davvero mi ero illuso che le cose sarebbero andate diversamente? Vorrei inseguirla, stringerla fra le braccia e dirle che va tutto bene, che l’ho già perdonata, che non c’è niente da perdonare. Invece rimango lì, impietrito allo stipite della porta senza riuscire a muovere un muscolo. Con la pelle d’oca sulle braccia nude per il freddo.

Vigliacco.

Penso a quella parola e non riesco a reprimere il tremito convulso che mi scuote le membra. Non potrei trovare una definizione più calzante. Perché solo un vigliacco l’avrebbe messa alla prova per trovare conferme. Conferme di cosa poi, quando è così evidente che Sana è ancora innamorata di lui.
Il pensiero della sua pelle morbida e della sua bocca premuta sul mio collo, mi manda in iperventilazione. Dovrei odiarla. Odiarla per tutti gli anni passati a morirle dietro e per il ricordo di quella notte che, lo so, mi avrebbe tormentato per sempre. Un assaggio di un qualcosa che mi era precluso, una goccia di acqua che aveva solo acuito la sete della mia gola riarsa. Dovrei odiarla e invece mi ritrovo solo, al buio, ad odiare me stesso, divorato dal senso di colpa per il modo in cui l’ho forzata. Perché l’avevo fatto? Per paura. Perché sono solo un dannato vigliacco. Perché avevo sentito il tempo scivolarmi di dosso e l’ansia mi aveva stretto il cuore in una morsa nel sapere che lui sarebbe ritornato, che un suo sguardo sarebbe stato sufficiente a spazzare via tutto quello che io avevo faticosamente costruito nei suoi tre anni di assenza. L’avrei persa di nuovo. Perché quando si trattava di Sana e Akito il tempo sembrava non avere importanza.
Una lacrima cade sul mio pugno contratto, le vene che palpitano sotto la pelle. Vorrei poter dire che è finita. Che ho avuto la dimostrazione di cui avevo bisogno. Ma so che sarebbe solo una bugia. Perché se lei tornasse indietro io di nuovo la accoglierei fra le mie braccia e di nuovo cercherei di soffocare le sue lacrime con i miei baci. Perché sono troppo vigliacco per ammettere che lei non sarà mai mia. Troppo masochista per accettare che la soluzione migliore sarebbe solo rinunciare.
“Io non mi arrenderò fino a quando non tornerai a sorridere “
Le labbra mi si piegano in una smorfia amara mentre ripenso alle parole che le ho detto solo pochi giorni prima. Parole che mi accorgo solo ora essere vane e prive di senso. Perché il vero sorriso di Sana è solo per Akito.


***


Neve.
Cristalli di ghiaccio si posano sulla mia felpa, mi inumidiscono i capelli, aderiscono alla mia pelle accaldata. Correre in quel modo, di notte, a Dicembre, è una cosa da pazzi. Ma da quando l'ho rivista non riesco a fermarmi.
Dovrei tornare a casa. Papà e Natsumi si staranno preoccupando. Il mio cervello mi urla disperatamente che mi sto comportando come un perfetto cretino e che probabilmente il giorno dopo non riuscirò ad alzarmi dal letto per la febbre. Ma le mie gambe semplicemente non vogliono dargli ascolto.
È più di un'ora che corro. Fitte lancinanti mi trafiggono il fianco e tra il sudore e la neve mi sento completamente fradicio.
La neve.
Un fiocco mi si posa sulle labbra, lo raccolgo con la punta della lingua e lo sento sciogliersi in bocca. Pungente, fresco e puro come Kurata.
Le sue guance arrossate dal freddo, il suo respiro caldo sulla pelle. Gli occhi sgranati dalla sorpresa nel vedermi avvicinare sempre di più. La sua lingua prima esitante, ma che dopo un attimo risponde timidamente alla mia. La neve mi ricorda il sapore morbido delle sue labbra il giorno della vigilia. Sono passati anni e mi sento come se l'avessi appena baciata. Il cuore sembra sul punto di esplodermi nel petto e so che il motivo non ha niente a che vedere con lo sforzo fisico.
La neve continua a cadere, imbiancando l'asfalto, coprendo gli alberi, ammantando tutto di bianco. Prendo una stradina laterale e mi ritrovo nel parco, mentre nel petto mi si agitano sentimenti contrastanti, sentimenti che credevo di aver dimenticato per sempre. Ho di nuovo dodici anni, confuso dai discorsi e dagli incoraggiamenti di Tsuyoshi, impacciato per quel pupazzo di neve, con il cervello che mi abbandona alla vista del suo sorriso entusiasta per quello stupido regalo.
Mi immobilizzo di botto, una frenata così brusca che rischio quasi di scivolare. Un'allucinazione. Questa è la prima cosa che penso nel ritrovarmela davanti, seduta su un'altalena nel bel mezzo della notte. Un'allucinazione prodotta dalla febbre che deve essermi venuta senza che neanche me ne accorgessi.
Kurata non si è ancora accorta di me. Ha lo sguardo rivolto verso il terreno, i capelli sciolti ed umidi che le nascondono il viso. Ma in questo momento è l'ultima cosa a preoccuparmi. Non mi interessa più nemmeno se è realtà o finzione. L'unica cosa che riesco a pensare mentre accelero il passo per andarle incontro è che è la solita scema.
Cosa diavolo ci fa da sola alle undici di sera in un parco deserto? Oltretutto senza cappotto, senza tentare neanche di ripararsi dalla neve che le si posa sulle spalle e sulle ciocche scomposte.
« Kurata! » le grido un attimo prima di posarle le mani sulle spalle.
Alza finalmente i suoi occhi ad incontrare i miei. La osservo attentamente e sento un brivido freddo attraversarmi la colonna vertebrale. Un brivido che non ha niente a che fare con la temperatura.
Il suo viso è umido, non saprei dire se per le lacrime o i fiocchi di neve disciolti dal calore della sua pelle. I capelli, molli e scuri come delle alghe, circondano il suo volto privo di ogni traccia di colore. Le sue mani sembrano blocchi di marmo adagiate sulle gambe.
Una paura profonda e irrazionale mi stringe le viscere in una morsa. Inizio a scuoterla con forza, per risvegliarla dal suo torpore. Il suo sguardo, vacuo e assente, si sofferma su di me come se facesse fatica a focalizzarmi.« Ha-Hayama? » chiede con un filo di voce.
La vedo in quel modo, fragile come una statua di sale, con le spalle scosse da tremiti e vorrei solo strozzarla.
« Si può sapere cosa stai facendo? Hai intenzione di morire congelata? » le urlo contro.
La mia voce ha un suono stridulo, aspro. Non saprei dire se è più grande la preoccupazione per la sua salute o la rabbia per la sua stupidità.
Kurata sgrana gli occhi, guardandosi intorno come se si rendesse conto solo in quel momento di dove di si trova. Osserva un fiocco di neve cadere sul suo pugno ancora contratto e mi guarda stupita. I suoi occhi adesso sono di nuovo normali, grandi e caldi come quando era una bambina di undici anni.
Sento la rabbia scivolarmi di dosso mentre mi tolgo la felpa per appoggiarla sulle sue spalle.
« Io... io... » inizia a parlare, ma si blocca, come annaspando in cerca di aria.
Prima ancora che me ne renda conto le mie dita le sfiorano esitanti una guancia. La sua pelle è gelida come la neve, ma mi tranquillizzo nel vedere che un po' di colore è tornato a dipingerle le gote. Non dovrei toccarla. Ne sono ben consapevole, ma mentre un brivido di tutt'altra natura mi attraversa il corpo, mi ritrovo a pensare che dopo tutto quella non è la sera adatta per farsi degli scrupoli.
Un lampo di stupore attraversa gli occhi di Kurata come se non si aspettasse quel gesto. Avanza di un passo appoggiando la testa sulla mia mano quasi a prolungare quel contatto. I miei polpastrelli accarezzano pigramente la sua pelle. Chissà cosa può averla sconvolta al punto da rifugiarsi su quell'altalena sgangherata con un tempo come questo. Vorrei chiederglielo ma temo la sua risposta. O meglio temo che non mi risponda, che mi dica che non sono affari che mi riguardano. Che non faccio più parte della sua vita.
« Baka (3).Avresti almeno potuto metterti qualcosa addosso » le dico guardando criticamente il leggero cardigan beige che le copre le forme.
La sto sgridando come se fosse una bambina piccola. Anche Kurata sembra accorgersene e pare recuperare un po' del suo spirito combattivo.
« Avevo il cappotto... » mormora distogliendo lo sguardo.
Si mordicchia il labbro, come sempre quando è nervosa. Un campanello di allarme scatta nella mia testa, ma con il suo viso così vicino è difficile pensare in modo razionale.
« ….ma l'ho dimenticato da Nao ».
Kamura. Basta quel nome e mi ritrovo un sapore di bile in bocca. Quindi si vedevano ancora. Era stata da lui fino a poco fa. Mi irrigidisco e non riesco a trattenermi dal chiederle:
« Cosa ci facevi da quel damerino a quest’or… »
Mi interrompo, gelato da un’intuizione. Le mie dita artigliano ferocemente il colletto del suo cardigan. Colletto da quale sporge chiaramente un'etichetta, bianca come la neve che ha il sapore delle sue labbra.
Il maglione di Kurata è a rovescio.
Allontano di scatto la mano come se mi fossi ustionato. Indietreggio di un passo, senza cercare neanche di nascondere la smorfia di disgusto che mi attraversa il viso.
« Che domanda sciocca » mormoro « È evidente quello che facevi a casa sua »
Kurata mi fissa con un'espressione perplessa. Avevo dimenticato quanto fosse tonta in queste cose.
« Eravate così presi che ti sei dimenticata anche come si fa a vestirsi? »
Quelle parole escono dalla mia bocca prima che riesca ad impedirlo. Il tono è così freddo e sprezzante che lei indietreggia come se l'avessi colpita. Vedo chiaramente l'espressione del suo viso passare dalla sorpresa all'imbarazzo nel momento in cui comprende il reale significato di quanto ho detto. Boccheggia, la bocca aperta da cui non esce un suono. Le guance le si tingono di rosso. Ma non nega. E nei suoi occhi trovo la conferma della mia insinuazione.
Aveva fatto l’amore con Kamura. No, aveva fatto sesso, mi correggo mentalmente perché l’idea è troppo insopportabile.
E così quel damerino ci è riuscito. Alla fine è riuscito a portarmela via. Il solo pensiero di Kurata nuda fra le sue braccia e sento le gambe cedere di colpo, il groppo in gola è così forte che per alcuni interminabili secondi non riesco neanche a parlare.
Che ironia. Che tremenda ironia aver scoperto di essere ancora innamorato di lei e di averla persa nell’arco di poche ore.
« Come puoi dire delle cose simili? » sibila Kurata.
Le mani strette a pugno attaccate ai fianchi, gli occhi che mandano lampi. A quanto pare si è ripresa dallo shock.
La sua reazione muta la mia disperazione in rabbia. Una rabbia vivida, pulsante, cieca. Un cancro che mi divora dall'interno e che vorrei solo sputare fuori dal mio corpo. Mi ritrovo a vomitarle addosso tutto il veleno che sento, che mi scorre nel sangue e che contagia ogni cellula del mio corpo. Gelosia. È gelosia il ferro rovente che sento corrodermi le carni? Si chiama gelosia l’artiglio che mi stringe il cuore in una morsa, stritolandolo come fosse un giocattolo? Gelosia. Non avevo mai capito appieno il significato di quella parola.
« Ma davvero? » le chiedo. Il tono della mia voce è freddo e impersonale. Esattamente l'opposto di come mi sento dentro. « Quindi immagino che tu fossi insieme a lui per giocare a carte. E che ti sia spogliata, per qualche oscuro motivo, qui fuori, in mezzo alla neve, visto che hai i vestiti al contrario ».

La sua mano saetta al colletto, capendo solo ora il perché del mio gesto di prima. Il rossore adesso le si è diffuso fino al collo.
« Io e Nao... »
Non le do neanche il tempo di continuare. Nao. Possibile che odi anche solo il modo in cui le sue labbra si muovono per pronunciare quel nome?
Scrollo le spalle, consapevole che quel gesto la infastidisce.
« In fondo è una cosa che dovevo aspettarmi. Dimmi Kurata, ci andavi a letto anche quando stavi con me? »
La smorfia addolorata che si dipinge sul suo volto mi dà un briciolo della soddisfazione che solo spaccare ogni singolo ossa di Kamura mi potrebbe dare.
Odio. Ti odio, Kurata.
« Davvero credi che potrei averti tradito? »
Ai lati dei suoi occhi si formano delle lacrime che cerca disperatamente di trattenere. Il suo sguardo, umido e lucido, si appunta sul mio in un modo così intenso e sincero da farmi immediatamente pentire dei miei pensieri. Non può essere stata con Kamura. Non può aver avuto un altro.
Poi Kurata abbassa il viso e l'incanto si rompe. È un'attrice, bisbiglia una voce cattiva all'interno della mia testa. È logico che sia brava a recitare.
« Non sarebbe la prima volta » continuo sprezzante lanciandole un’occhiata obliqua. « Dopotutto hai baciato Kamura senza avere nemmeno il coraggio di dirmelo ».
Se non fosse che mi sento così male potrei anche trovare buffa la sua espressione di sorpresa.
« Come fai a sapere del bacio? » mi domanda.
Le lacrime ormai non riesce più a trattenerle e le scivolano sul viso, lasciando scie che brillano sotto la luce della luna.
Ti amo, Kurata. Nonostante Kamura, nonostante tutto. Potrebbe tradirmi cento volte e io la amerei ancora. Lo realizzo in quell'istante e sento la rabbia gonfiarsi ancora di più nel mio petto. Qualsiasi cosa avesse fatto, in qualsiasi modo avesse deciso di torturami, di prendersi gioco di me, non sarei comunque riuscito a scordarla.
Ti odio e ti amo, Kurata(4).Che cosa assurda. Vorrei stringerle le dita intorno al collo e poi baciare i segni rossi che le rimarrebbero impressi sulla pelle.
Intanto fiocchi bianchi continuano a cadere dal cielo, il freddo pungente dell’aria non riesce minimamente a scalfire il fuoco che sento ardere nel mio petto
« Ha importanza? » chiedo con la mia migliore faccia di bronzo.
Kurata sembra per un attimo voler insistere sull’argomento. Scuote la testa, come cambiando idea e mentre le sue lacrime continuano a mischiarsi alla neve, replica urlando:
« Anche se fosse? Anche se io e Nao stessimo insieme? Anche se ci fossi... » esita, come incespicando su quella parola « Anche se ci fossi andata a letto? Sei stato tu a lasciarmi! E senza darmi nemmeno una spiegazione! »
Non usare quel tono di voce ferito, Kurata. Non farmi sentire come se quello ad aver sbagliato fossi io.
« Ma ti sei consolata in fretta, vero? » Le chiedo e i miei occhi sembrano voler bruciare i suoi. I suoi occhi nocciola, sgranati dallo stupore perché un tono del genere con lei non l’avevo mai usato, nemmeno nei nostri momenti peggiori. « E pensare che all'aeroporto avevi persino urlato che saresti rimasta vergine per me! »
Vergine. Quanto freddo disprezzo sono riuscito a inserire in quell’unica parola. L’odio mi scorre nel sangue come un veleno, una droga che mi annebbia i sensi e mi fa parlare a sproposito. L’unica cosa che desidero è farti provare un decimo del dolore che mi stringe il petto, Kurata.
« Se è per questo tu avevi promesso non ci saremmo mai lasciati! » replica infuriata, le mani strette a pugno, la felpa troppo grande che le ciondola da una parte.
Quella frase è come una secchiata d’acqua. Rimaniamo, così, in silenzio, ansimando.
Come siamo giunti a questo punto? A urlarci offese con le mani e i volti arrossati per il freddo e la rabbia. Fisso il suo volto sconvolto e vorrei solo morire. Era da quando ero un bambino delle elementari che non pensavo a una soluzione così drastica. Quindi stavano così le cose. Lei aveva il potere di tirar fuori il meglio ma anche il peggio di me.
« Sei diverso. Non credevo che tu potessi cambiare così tanto » mormora mentre con la manica della mia felpa si asciuga le guance.
Con i capelli arruffati dal vento e le gambe che le tremano sembra una bambina che fa i capricci. Poi leggo nei suoi occhi una delusione tanto grande da raddoppiare il dolore che sento nel petto. E ogni voglia di risponderle, di continuare quella stupida schermaglia svanisce.
La guardo darmi le spalle e allontanarsi, dopo poco inghiottita dal buio e dalla neve. La guardo e sento il liquido bruciante della gelosia che ancora mi scorre prepotente nelle vene e che non mi lascia la forza di fare niente se non di fissare il terreno imbiancato ai miei piedi, quel terreno che si è imbevuto delle sue lacrime. Chi ha detto che la neve simboleggia la purezza? Io nella neve ai miei piedi vedo solo sangue. Il sangue che vorrei far scorrere di Kamura, il sangue che deve aver macchiato quelle lenzuola…
Calpesto la neve con forza, cercando di schiacciarla, di intorbidire il suo biancore. Di sporcarla. Calpesto la neve che ha il sapore delle sue labbra e l’unica cosa che mi sembra calpestare è il mio cuore.

 

 

(1) Traduzione:
“Stare una sola notte
Senza di te
È come stare senza di te un intero anno

Hai un cuore di pietra?
Senza di te

Non posso sedare il dolore che ho dentro
Quando amore e odio collidono.”

(2) Frasi riprese dal manga, volume 9.
(3) La parola “Baka” in giapponese significa “Scema”
(4) La frase riprende il noto carme 85 di Catullo, poeta latino. La poesia è molto breve per cui ho pensato di riportarvela:
“Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.”
Traduzione: “Ti odio e ti amo. Forse mi chiedi come sia possibile.
Non lo so, ma accade e mi tormento.”

 

 

 

Allora… smentendo le mie previsioni sono riuscita ad aggiornare in tempo! Questo capitolo è lungo quasi il doppio degli altri, spero che questo non renda la lettura pesante e o noiosa, ma non ho avuto proprio il cuore di spezzettarlo ( criticate pure senza pietà, ovviamente!)
Per quel che riguardo il contenuto devo dire che in effetti in questo capitolo Naozumi non si è comportato proprio da bravo ragazzo, eh Sailorm? Tuttavia non penso di poter esprimere un giudizio troppo critico: nel mio racconto Naozumi passa tre anni a fianco di Sana sperando disperatamente di conquistare quel tanto agognato posto nel suo cuore e proprio quando è sul punto di riuscirvi Akito ritorna, rovinando tutto… ce n’è di che spingere a un gesto inconsulto, non credete? Quanto al dialogo fra Sana ed Akito spero che vi sia piaciuto, c’è molto astio nelle parole di Hayama ma credo che sia comprensibile visto che pensa che Kurata lo abbia definitivamente dimenticato… ovviamente un grazie enorme alle persone che hanno recensito, non sapete quanto mi faccia piacere sapere le vostre opinioni! Per il prossimo episodio penso che sarò puntuale ( e quindi aggiornerò sabato prossimo ), il titolo dovrebbe essere “Piano” ed ecco lo spoiler:

Dovrei alzarmi. So benissimo che dovrei farlo. Kurata è così minuta che potrei farle male gravandole con il mio peso in quel modo. Dovrei alzarmi, perché ora lei sta con Kamura e non prova più niente per me. È un ragionamento logico, che non fa una piega. Ma allora perché le mie labbra si stanno avvicinando alle sue?
 

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Capitolo 9
*** Piano ***


 

 

Piano
 

 

 

Un'idea che non sia pericolosa
non è nemmeno degna di essere
chiamata idea.
Oscar Wilde

 

 

 
 

 

« Cerchiamo di fare il punto della situazione. Ieri sera ti sei scontrata con Hayama che ti ha a malapena degnata di un saluto. Al che ti sei gettata fra le braccia di Kamura... »
« Io non mi sono gettata affatto fra le… » protesto indignata, ma Fuka alza la mano in gesto perentorio, come intimandomi di fare silenzio.
Sbuffo infastidita, ma la conosco troppo bene per non sapere che quando attacca a parlare con quel tono non c’è modo di zittirla. Getto uno sguardo distratto alla sua camera luminosa e colorata, cercando disperatamente di far passare il rossore alle guance. D’altronde dovevo saperlo che quando Fuka mi aveva invitato da lei per una “giornata di studio”, intendeva un interrogatorio serrato.
« … che ha pensato bene di approfittarsi della situazione saltandoti addosso e gettandoti sul divano... »
« Ma non è vero! Non è andata affatto così! » esclamo scattando in piedi.
Fuka e la sua schiettezza! Come aveva fatto a stravolgere in quel modo tutto ciò che le avevo raccontato? La diretta interessata mi rivolge un sorriso di sufficienza e continua a parlare ignorandomi come se fossi una mosca fastidiosa.
« Ma arrivati sul più bello non te la sei sentita e lo hai piantato in asso, vestendoti alla rinfusa… »
Mi siedo con le gambe incrociate, dopodiché mi tappo occhi e orecchie, iniziando a mormorare una stramba cantilena inventata sul momento. Possibile che faccia così caldo in questa stanza? Fuka dovrà farmi i compiti di matematica per tutto l’anno per farsi perdonare della sequela di sciocchezze che stanno uscendo dalla sua bocca!
« Eri così confusa che hai preferito rifugiarti nel parco per raccogliere i pensieri. In quelle condizioni pietose, mezza svestita e con un principio di congelamento ti ha trovato Hayama… »
“Naaananana” canticchio fra di me cercando di sovrastare la voce che Fuka ha alzato apposta.
« Giusto il tempo di fare due più due e ha dedotto che ci eri andata a letto, ghiacciandoti con uno dei suoi ben noti sguardi omicidi… » prosegue imperterrita allungandosi per allontanarmi le mani dalle orecchie.
Apro gli occhi di scatto e mi ritrovo il suo volto crucciato a pochi passi di distanza.
« Ho solo una domanda, Sana ».
Deglutisco, aspettando con ansia il verdetto. Fuka si mette una ciocca dei lucenti capelli neri dietro le orecchie con perfetta calma, prima di esplodere tutto d’un colpo.
« COME DIAVOLO HAI FATTO A CACCIARTI IN UNA SITUAZIONE SIMILE? » urla sbattendo la mano sulla scrivania.
Chino la testa, mortificata, cercando di trattenere i lucciconi. Un singhiozzo mi scuote le spalle senza che riesca a reprimerlo. Le braccia di Fuka mi stringono in un abbraccio inaspettato e mentre le lacrime iniziano a colare sulle guance, le labbra mi si increspano in un lieve sorriso. Fuka può sembrare dura e schietta al punto di far male, ma ha un modo tutto suo di dimostrare dolcezza. Il suo corpo preme delicatamente contro il mio e quel contatto mi ricorda quello molto più intimo con Naozumi. Basta quel pensiero e sento il volto andare a fuoco, il senso di colpa brucia ancora di più della mia pelle scottante. I miei occhi saettano per la stanza in cerca di una distrazione e si soffermano sulla foto di Fuka e Takaishi ancora esposta sulla sua scrivania. Come al solito mi ero comportata da egocentrica, pensando solo a me stessa. Mi discosto con delicatezza da Fuka e mentre mi asciugo le lacrime le chiedo:
« E tu, invece? »
Fuka mi guarda perplessa.
« Che vuoi dire? »
« Hai più avuto notizie di Takaishi? » le chiedo osservando con ansia il suo viso farsi improvvisamente nuvolo.
« Ahahah! Ma di cosa stai parlando, sciocca? » mi chiede dandomi una lieve spinta con la mano e con una risata che chiunque capirebbe essere falsa. « Fra me e Takaishi è tutto finito da un pezzo. Gli amori a distanza sono troppo complicati, tu dovresti saperne qualcosa ».
Touché. Cerco di ridere come se la sua osservazione non mi toccasse ma ho una specie di paralisi facciale. Come accorgendosi del dolore che mi ha involontariamente procurato, Fuka si affretta a prendere la mia mano fra le sue.
« Scusami, Sana. Non volevo dire che la mia storia è paragonabile alla tua. So bene che il legame fra te e Akito è speciale. E per questo » proclama con tono fiducioso, scattando in piedi con una mano alzata « Prometto che farò di tutto per aiutarti a tornare con lui! »
Spalanco la bocca al punto di rischiare di slogarmi la mascella.
« Chi ti ha detto che voglio tornare con quel bruco di Hayama? Con quello stupido scimmione insensibile…» esclamo digrignando i denti e gelando tutto il suo entusiasmo.
« Eh? » mi chiede Fuka il pugno ancora alzato in aria e una faccia alquanto perplessa. « Ma se non vuoi rimetterti con lui perché lo hai aspettato per tutto questo tempo? »
Arrossisco fino alla radice dei capelli. Questa volta sono io a sbattere le mani – entrambe le mani – sul tavolo e a dar sfogo a tutta la mia indignazione.
« Chi ti ha detto che stavo aspettando proprio lui? Semplicemente non ho incontrato un altro ragazzo che mi potesse andar bene, sono stata impegnata con la scuola… » rispondo indignata. Ma a poco a poco la voce mi si affievolisce: « il lavoro... gli amici » l'ultima parola è praticamente un sussurro. Possibile che sia una delle attrici più famose del Giappone e che quando si tratta di Hayama balbetti come una bambina di cinque anni? Era proprio necessario che Fuka sapesse quanto sono patetica?
Sul viso di Matsui si disegna un sorriso trionfante. È chiaro che la mia spiegazione confusa per lei è stata come una confessione.
« Se Hayama ha visto la scena del bacio questo spiegherebbe perché ha deciso di... » prosegue parlando fra sé. « Stavate ancora insieme quando ha guardato il film?* »
« Eh? » chiedo facendo fatica a seguire il suo ragionamento. « Non ne ho idea. Ma cosa c'entra la faccenda del bacio? »
« Non è evidente dopo quella scenata di gelosia? » mi domanda guardandomi con aria di sufficienza.

« Ehm, certo » rispondo sperando che la mia faccia non tradisca che non ci ho capito un'acca.
« La prima cosa che devi fare allora è scoprirlo. Oltre naturalmente a dirgli che non sei affatto andata a letto con Kamura » afferma sicura di sé, elencandole sulle dita.
« Frena, frena, frena! » esclamo mettendo le mani avanti. « Ma allora non hai capito niente di quello che ho detto! Non ho la minima intenzione di parlare con quell'animale, figurarsi tentare di riconquistarlo! Dopo il modo orribile in cui mi ha trattato! Mi ha praticamente dato della poco di buono! »
Sento uno spiacevole pizzicore in gola al ricordo delle urla che Akito mi ha rivolto.
« Ma si è trattato di un equivoco, no? Lui teme che tu lo abbia tradito, invece non è così » replica Fuka con disarmante candore.
Bastava così poco per giustificare il comportamento di Hayama? No. Assolutamente no.
« Non discutiamone più, ok? » chiedo con una smorfia di rassegnazione e un principio di mal di testa per il troppo arrovellarmi il cervello.
« Sì, certo » mormora con un sorrisino malizioso. « Ma se non vuoi più saperne niente di lui perché hai ancora indosso la sua felpa? »
Per avere il suo odore sulla pelle. Mi mordo le labbra per non lasciarmi scappare la risposta che avrebbe distrutto anche quel briciolo di dignità che mi è rimasta.
« Be' sai... è comoda e calda... e così se lo vedo posso restituirgliela » farfuglio come un'ebete.
Patetica. Voto improvvisazione uno zero spaccato.
Ma a quanto pare Fuka pensa di avermi torturato abbastanza per quel giorno, perché decide pietosamente di non replicare.
« E poi non ti avevo detto che non volevo più parlare di lui? » chiedo stizzita.
« E allora di cosa vuoi parlare? » mi domanda Fuka.
« Oh... Bè in realtà avrei bisogno di un consiglio » mormoro imbarazzata. « Non so come comportarmi con Nao... Pensi che riuscirà mai a perdonarmi? » domando sollevando improvvisamente lo sguardo.
Gli occhi di Fuka si fanno dolci di fronte alla mia muta richiesta di rassicurazione. Mi posa una mano sui capelli, accarezzandoli come se fossi una bambina.
« Ma certo che ti perdonerà. Ci vorrà solo un po’ di tempo ».
« Non c'è niente che io possa fare? » le chiedo pendendo dalle sue labbra.
Fuka è decisamente più intelligente di me, e io nelle questioni d’amore... be' è risaputo che faccio pena.
« Penso che sarebbe meglio se tu ti allontanassi da lui per un po’ » risponde cautamente. « Mi pare evidente che lui per te non potrà mai essere niente di più che un amico, e anche Kamura se ne deve rendere conto. Sarebbe tutto più facile se ci fosse un’altra ragazza capace di destare il suo interesse»
Un attimo di esitazione e poi aggiunge con un’illuminazione improvvisa. « Sei sicura che non gli sia mai piaciuta nessun altra a parte te? »
Scuoto il capo, afflitta.
« Oh » mormora un po’ delusa. « Però è strano… Chissà quali sono i suoi gusti. >> Fuka inizia a fissarmi in un modo un po’ inquietante. « Una ragazza carina, allegra, anche un po’ pazza visto che gli piaci tu… »
« Fuka! » la rimprovero con finta indignazione.
« Ma dove la troviamo una così? » mormora con sconforto questa allargando le mani.
La osservo attentamente mentre un raggio di sole che entra dalla finestra alle sue spalle le accende riflessi dorati nei capelli. E all’improvviso una lampadina mi si accende in testa.
Una ragazza carina, allegra e anche un po’ pazza.
Ho appena trovato un piano geniale.


***

 

Se con il karate non va, potrei iniziare a partecipare a qualche maratona. Da quando sono tornato a Tokyo è più il tempo che passo a correre che quello che sto in casa. Rallento l'andatura osservando i tenui raggi di sole che filtrano dalle fronde degli alberi. Il parco è silenzioso. In lontananza si sente il rumore di grida di bambini ma non è che un mormorio indistinto. Il frinire dei grilli culla i miei pensieri. Per la prima volta da giorni, mi sento rilassato. Forse rilassato è una parola un po' grossa. Diciamo che non desidero spaccare la faccia a chiunque abbia l'infelice idea di rivolgermi la parola. Contando come è stato il mio umore dopo l'ultima conversazione con Kurata, si può considerare un netto miglioramento.
Concentrato sul mio respiro ritmico e sul fresco profumo dei pini, non faccio inizialmente caso a un rumore strano, simile a un fruscio. Rumore che si fa sempre più intenso. Do un'occhiata distratta al cespuglio, pensando che si tratti di un qualche tipo d'animale e rimango paralizzato di fronte al chiaro profilo di una schiena e di una coda sbarazzina che sputano dalla vegetazione. Una schiena e una coda che conosco molto bene.
Potrei mettere una mano sul fuoco che quella che vedo accucciata per terra, con la testa seminascosta dal cespuglio è Kurata.
« Che diavolo stai facendo? » le chiedo allibito.
Ok, che Kurata non era normale lo sapevo. L'avevo accettato. Certe volte trovavo pure divertenti le sue stravaganze. Ma come avrei dovuto reagire a quella vista? Kurata a carponi, quasi interamente sommersa da foglie e rami. E con la mia felpa indosso, mi accorgo con un sussulto.
Kurata si gira di scatto, un'espressione colpevole dipinta sul volto.
« SHHHH! » mi intima facendo più casino con tutto il suo gesticolare di quanto ne ho fatto io a rivolgerle la parola.
Alzo lo sguardo per cercare di focalizzare il punto che lei sta fissando da quella buffa posizione, ma prima che me ne renda la sua mano scatta ad afferrare la mia, trascinandomi verso il basso. Normalmente non sarebbe riuscita a sbilanciarmi così facilmente. Il problema è che mi ha colto impreparato, spiazzato come sempre quando me la trovo davanti all'improvviso. E quella scema di Kurata ci mette un'energia in quello strattone che finisco per rovinarle addosso con uno schianto udibile anche dall'altra parte della città. Chiudo istintivamente gli occhi e metto in avanti le mani, per tamponare l'impatto. I rami mi si impigliano ai vestiti e rovi mi graffiano la pelle, procurandomi un fastidioso prurito. Poi avverto il respiro caldo di Kurata sulla pelle e apro gli occhi di scatto. Il dolore e fastidio passano decisamente in secondo piano quando mi accorgo del suo corpo morbido schiacciato sotto il mio, dei nostri visi che quasi si sfiorano. Sento distintamente i battiti accelerati del suo cuore sotto il petto ansante. Un gemito di disappunto le esce dalle labbra dischiuse, il respiro mozzo per la brusca caduta. Non riesco a muovere neanche un muscolo, il cervello che è andato decisamente in vacanza per via di quella vicinanza improvvisa e destabilizzante. Le nostre gambe che si accavallano, il suo seno che preme contro il mio torace, quelle labbra così vicine. Un lieve rossore sale ad imporporarle le guance non appena si rende conto della posizione in cui ci troviamo. E la rende ancora più bella, di una bellezza che è dolorosa come una scossa elettrica. Dovrei alzarmi. So benissimo che dovrei farlo. Kurata è così minuta che potrei farle male gravandole con il mio peso in quel modo. Dovrei alzarmi, perché ora lei sta con Kamura e non prova più niente per me. È un ragionamento logico, che non fa una piega. Ma allora perché le mie labbra si stanno avvicinando alle sue?
« Sana? Si può sapere che state facendo? »
Alzo gli occhi di scatto e vedo uno scioccata Matsui e quello stoccafisso di Kamura che ci osservano allibiti al di là della siepe. Allora era loro che Kurata stava spiando.

 

 

 

 

* Fuka pensa che Akito abbia lasciato Sana dopo aver saputo del bacio, indovinando la realtà dei fatti. Siccome non ne è sicura si ferma prima di finire la frase e Sana ovviamente non capisce niente.

 

 

 

 

Un saluto a tutti! Se vi state chiedendo perché ho aggiornato prima il motivo è che domani non posso usare il computer e ho preferito anticiparmi! ; )
Scommetto che avete già indovinato il piano di quella pazza di Sana, eh? Ovviamente io non aggiungo altro, per avere la certezza dovrete aspettare fino al prossimo episodio ( che pubblicherò sabato prossimo) intitolato “Bacio”.
Questo capitolo è molto più leggero rispetto ai precedenti, in parte perché pensavo fosse giusto allentare la tensione e poi era ora di far entrare in scena Fuka che sarà un altro personaggio fondamentale della ff e che finora è rimasta dietro le quinte…
Ad essere sincera questo episodio non  mi soddisfa del tutto, forse perché sono stata di nuovo costretta a spezzettarlo, ma temo di non aver rappresentato la scena come avrei voluto. Ovviamente nei vostri commenti potete anche muovere delle critiche! Come ho detto è la mia prima ff e ogni consiglio è ben accetto ; ) Detto questo non mi resta che ringraziare chi mi lascia sempre le sue
recensioni ( siete adorabili! <3 ), chi ha aggiunto la storia a quelle seguite/ricordate/preferite e anche chi si è limitato a leggere! Come sempre lo spoiler:

Scatto in avanti afferrando il bavero della sua giacca e di fronte al suo sguardo stupito inizio a scuoterlo avanti indietro urlando frasi sconnesse, prive di senso.
Hayama mi afferra per le spalle, bloccandomi nonostante i miei tentativi di divincolarmi.
<< Io e Nao... >> bisbiglio senza sapere come finire la frase.
I suoi occhi si appuntano sui miei, inchiodandomi. Sono così cupi e torbidi che per un attimo penso stia per colpirmi.

 


 

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Capitolo 10
*** Bacio ***


  


Bacio


 

 

"So turn
up the corners of your lips
Part them and feel my finger tips
Trace the moment, fall forever
Defense is paper thin
Just one touch and I'd be in
Too deep now to ever swim against the current
So let me slip away
So let me slip against the current
So let me slip away *

Vindicated Dashboard Confessional

 

 

 

« Sana-chan? Tutto ok? »
Kamura fa eco a Matsui con un tono di allarme nella voce.
Mi rialzo con deliberata lentezza, stringendo il corpo di Kurata un po' più del dovuto. I miei occhi non abbandonano quelli di Naozumi mentre con un gesto possessivo le porgo una mano per rialzarsi; i nostri corpi così vicini che si sfiorano. Il damerino raccoglie immediatamente la provocazione, mormorando il mio nome con palese disprezzo. Mi lancia un'occhiata omicida, ma se l'obbiettivo è quello di intimorirmi è fallito in pieno. Sento l'adrenalina scorrere nel sangue, il mio corpo tendersi pronto per lo scontro. Non è certo un segreto che l'idea di sfondargli la faccia mi ha accarezzato più volte la mente. Adesso è qui, ad un passo da me e le mani mi prudono dalla voglia di usare il suo bel faccino come pungiball. L'aria fra noi si carica di elettricità, mentre Naozumi continua sostenere il mio sguardo, con un coraggio che in effetti non credevo avesse. Potrebbe quasi risultare convincente se non fosse per il piccolo dettaglio che gli tremano le gambe.
Forse rendendosi conto della situazione di tensione che si è creata, Matsui fa un passo in avanti, frapponendosi fra noi, sincerandosi delle condizioni di Kurata.
Kurata. Non posso certo fare a botte con Naozumi di fronte a lei. Non mi perdonerebbe se spaccassi la faccia al suo ragazzo. Distolgo lo sguardo con “tsk” di disprezzo. Il sorrisetto trionfante che si dipinge sul viso di Kamura mi fa quasi rimangiare tutti i miei buoni propositi, poi mi accorgo della sua malcelata espressione di sollievo e rilasso i muscoli delle spalle. Dopotutto non vale la pena di prendersela con una donnicciola come lui.
« Si può sapere cosa stavi combinando? » chiede Fuka, infastidita.
« Io... ecco... » inizia a balbettare Kurata.
Brutto segno. Quando fa così significa che ne ha combinata un'altra delle sue. Anche Matsui sembra giungere alla stessa conclusione perché aggrotta la fronte guardando alternativamente Kurata e Kamura.
« E lui cosa ci fa, qui? » domanda quest'ultimo con la sua stridente voce acuta, indicandomi con un cenno del capo.
Non rispondo, lanciandogli un'occhiata turpe. Poi i miei occhi si posano deliberatamente su Kurata e le accarezzano il corpo. Il damerino digrigna i denti e stringe i pugni delle mani. Anche se ho rinunciato all'idea di fare a botte, questo non significa che non mi possa sfogare un po'.
« Ci siamo incontrati per caso» afferma Kurata guardandomi di sottecchi e arrossendo per qualche oscuro motivo.
« Per caso siete finiti dentro un cespuglio? » domanda sbuffando Fuka. « Si può sapere che fine avevi fatto? È più di un quarto d'ora che ti aspetto! »
Naozumi si volta a osservare Fuka, l'irritazione sul suo viso lascia il posto allo stupore.
« Eh? Ma non avevi detto a me di trovarci alle cinque al parco, Sana-chan? »
Il suo sguardo interrogativo si appunta su Kurata che si fa piccola sotto quelle occhiate perplesse. Un pigro sorriso mi si dipinge sulle labbra mente con noncuranza mi scuoto terra e foglie di dosso. Adesso è certo che Kurata ha realizzato uno dei suoi soliti casini.
« Avevi detto a tutte due di venire nello stesso posto e alla stessa ora? » la interroga Fuka. « Ma perché ? »
Lo sguardo di Matsui si fa improvvisamente di brace mentre la luce della consapevolezza brilla nei suoi occhi. A quanto pare è riuscita a scoprire quale idea malata ha animato Kurata in questa specie di pedinamento.
« L'hai fatto apposta! » urla infatti dopo un secondo. Kurata arrossisce fino alla punta dei capelli. « Hai organizzato tutto per farci incontrare! »
Non ci sto capendo niente. Ma Kurata a quanto pare si è accorta di essere stata scoperta e mette le mani avanti nel vano tentativo di arginare l'uragano-Fuka. Non riesce a pronunciare una sola parola, ma la sua espressione colpevole è così eloquente che Matsui non ha bisogno di altro per trovare conferma delle sue supposizioni.
« COME HAI POTUTO SANA? Quando io parlavo di una ragazza non intendevo... non volevo dire... non posso essere io, maledizione! » continua a sbraitare Fuka.
Kamura le fissa stupito, chiaramente combattuto se intervenire in difesa della sua Sana o rimanere fuori da quel casino. Oh, speriamo che intervenga. Matsui se lo mangerà vivo.
« Volete spiegarmi cosa sta succedendo? » chiede infatti il damerino.
« Succede » gli risponde Matsui sul punto di diventare idrofoba « che Sana ha pensato bene di organizzarci un appuntamento! Ma come fai ad essere così testona? Non ti era bastata la ramanzina quando avevi cercato di farmi tornare con Takaishi? »
Tutti quegli strilli mi stanno facendo venire il mal di testa e ancora non ho capito niente di quello che sta avvenendo sotto i miei occhi. Invece Naozumi sembra finalmente intuire il senso dell'indignazione di Fuka e fissa Kurata con un'espressione ferita,come un cane bastonato. Un pigro sorriso mi increspa le labbra nel vederlo così. Non è neanche un millesimo di quanto io sono stato male per colpa tua, Kamura.
« È la verità? » le chiede con un filo di voce.
Patetico. Come fa ad umiliarsi così? Kurata sembra sul punto di soffocare nel tentativo di trovare una spiegazione soddisfacente. Alla fine reclina il capo, sconfitta, e con le braccia strette intorno al corpo si limita ad annuire senza guardarlo in faccia.
Per un attimo temo che il damerino scoppi a piangere qui, davanti a tutti. Ma a quanto pare ha una capacità di autocontrollo – dopotutto è un attore – migliore delle mie previsioni. Naozumi si limita a guardarla con uno sguardo così colmo di rancore e indignazione che lei non sembra in grado di fronteggiarlo.
« Nao, io l'ho fatto solo perché... » cerca di giustificarsi con un tono di voce dolce. Troppo dolce. Stavolta sono io a digrignare i denti. Non sopporto che lei si rivolga così ad un altro.
Ma Kamura non si fa intenerire e non le dà neanche il tempo di finire la frase.
« Come hai potuto, Sana-chan? Pensavi che bastasse così poco per dimenticare quello che è successo l'altra notte? » le chiede mentre un tremito convulso lo scuote tutto.
Kurata fa un passo in avanti, ma Naozumi indietreggia.
Il sangue mi sale al cervello, nell'udire quelle parole. L'altra notte? L'attoruncolo sta parlando di quando l'ho trovata mezza svestita?
« Non volevo che tu dimenticassi... » dice Kurata con un'espressione affranta.
« E cosa volevi fare? » le chiede con un tono di voce spietato. « Prendermi in giro? Darmi il contentino? »
« Nao, ti prego » mormora Kurata, torturandosi le labbra con i denti.
« Non c'è niente da pregare. Adesso ti lascio con il tuo Akito » replica fissandomi come se fossi un grosso scarafaggio. Il suo sguardo si posa di nuovo su Kurata e il disprezzo si tramuta in un dolore talmente forte da deformargli per un attimo i lineamenti.
« Per favore non fare così... » lo prega Kurata allungando un braccio verso di lui.
Naozumi la gela con un'occhiata, discostandosi di un poco.
« Puoi fare quello che vuoi, Sana-chan. Torna da lui » seguita indicandomi con un cenno della testa « Torna ad essere il suo giocattolino, se vuoi. Ma non immischiarti più nella mia vita privata ».
Kamura sta decisamente passando il limite. Il tono sprezzante con cui pronuncia quelle parole mi fa tornare il prurito alle mani. Ma prima che possa anche solo rispondere, quello volta le spalle e si allontana, seguito a ruota da un'ancora indignata Matsui.
« Questa me la paghi, Sana! » sbotta questa a mo' di saluto.
Kurata cerca di richiamarli, ma non la degnano di un'occhiata. Osservo le loro sagome allontanarsi e le labbra mi si arricciano in un sorriso. Kurata e Naozumi hanno litigato. Una parte di me è euforica. Esulta, mentre il peso alle viscere si è improvvisamente alleggerito. Senza quell'impiastro di Kamura, Kurata potrebbe essere di nuovo mia. È un pensiero repentino, irrazionale, che però fa allargare ancora di più il mio sorriso. Mi giro verso di lei e la osservo in silenzio. Ha il viso contratto, le labbra rosse per il troppo morderle, tutto il corpo in tensione. Sento il sorriso scivolare via dalla faccia. Non posso esultare se lei ha un'espressione così distrutta. Preferirei mille volte vederla tra le braccia di Naozumi piuttosto che con quello sguardo angosciato.
Forse sentendosi osservata Kurata si volta verso di me. E i suoi occhi preannunciano battaglia.

 


Akito Hayama.
Il mio inferno personale.
Non gli era bastato spezzarmi il cuore in mille minuscoli pezzi, lasciandomi una ferita che non sarei più riuscita a rattoppare. Non era sufficiente che mi avesse trasformato in un involucro freddo, incapace di amare. Che mi avesse reso impossibile stare accanto a un altro ragazzo senza paragonarlo a lui. Oh, no. Non era abbastanza.
Doveva comparire proprio in quel dannato momento e urlare, facendomi prendere quasi un colpo. Così adesso, grazie ad Akito Hayama, la mia migliore amica e il mio migliore amico mi odiano. Cosa ho fatto di male nella mia vita per essere perseguitata da una persona così sgradevole? Da quel bruco, quell'insensibile zotico che sta ridendo. Me ne rendo conto con un sussulto. Hayama mi ha appena rovinato la vita per l'ennesima volta e se ne sta lì, rilassato, con un odioso sorrisetto dipinto in faccia. Trova divertente la situazione in cui mi trovo?

Solitamente non mi reputo una persona violenta. Ma a quanto pare Hayama ha il potere di risvegliare quella parte di me, perché in questo momento vorrei strozzarlo.
« Non hai niente da dire? » gli chiedo con i nervi a fior di pelle.
« Dovrei dire qualcosa? » mi chiede perfettamente composto.
« Un “Mi dispiace molto, Sana” sarebbe un buon inizio » gli rispondo ringhiando.
Akito si ravviva una ciocca che gli è scivolata in avanti, nascondendo per un attimo gli occhi.
« Scusarmi? E per cosa? » domanda guardandomi beffardo. « Ti sei cacciata da sola in questo pasticcio ».
« Ma se non fosse stato per te non mi avrebbero scoperto! >> ringhio avanzando di un passo.
Un lampo attraversa gli occhi dorati di Akito.
« Non ti avvicinare » mi risponde con voce dura e fredda, indietreggiando fino ad accostarsi ad un pino alle sue spalle.
Non credevo che potesse fare qualcosa per farmi sentire ancora peggio. Ma Hayama è una continua sorpresa. Per un attimo rimango senza parole. Cosa diavolo significa “Non ti avvicinare”? La mia vista è così rivoltante che non riesce a sopportarla? Il coltello nel petto brucia come il fuoco. Dal mio petto le fiamme divampano in tutto il corpo, portando la mia ira a livelli mai raggiunti prima.
« Non ti chiederò scusa per averti fatto litigare con il tuo Nao » prosegue mettendo l'accento su quell'ultima parola, con derisione.
Adesso basta. Io. Non. Ho. Intenzione. Di. Sopportarlo. Ancora.
Scatto in avanti afferrando il bavero della sua giacca e di fronte al suo sguardo stupito inizio a scuoterlo avanti indietro urlando frasi sconnesse, prive di senso.
Hayama mi afferra per le spalle, bloccandomi nonostante i miei tentativi di divincolarmi.
« Io e Nao... » bisbiglio senza sapere come finire la frase.
I suoi occhi si appuntano sui miei, inchiodandomi. Sono così cupi e torbidi che per un attimo penso stia per colpirmi.

 


Vicina. Troppo, troppo vicina. Te l’avevo detto, Kurata, di starmi lontana. Dopo tutto questo tempo me lo ricordo ancora bene l’effetto che mi fanno i tuoi occhi a così poca distanza. L’effetto che mi fai tu, quando i nostri respiri si incrociano.
Prima ancora che se ne possa rendere conto, la spingo con prepotenza contro il pino, invertendo le nostre posizioni. Il suo corpo soffice incastrato fra me e il tronco dell'albero, priva di vie di fuga.
« Tu e Kamura dovete andare a farvi fottere » le mormoro con le labbra vicino all’orecchio, quasi come una carezza.
Poi la mia bocca cala con irruenza sulla sua, senza darle il tempo di offendersi, senza soffermarmi sui suoi occhi colmi di astio. Le mie labbra sono fameliche, prepotenti, mentre la schiaccio ancora di più contro l’albero. La sento gemere per la sorpresa e sgranare gli occhi. Le sue mani si posano sul mio petto e per un lungo, interminabile momento, penso che voglia respingermi. Invece i suoi piccoli pugni si stringono alla mia giacca e Kurata mi attira ancora di più a sé, ricambiando il mio bacio con un impeto e trasporto pari ai miei.
Le mie labbra si accaniscono sulle sue, mordendo, succhiando, cercando di recuperare in pochi istanti tutti gli anni passati lontano. La mia mano si infila fra i suoi capelli e l'odore di quelle ciocche di rame mi invade le narici facendomi girare la testa. Il mio bisogno di lei è così prepotente che mi ritrovo ad affondare la testa sul suo collo e a mormorare il suo nome contro la pelle.
« Sana... »
La mia voce è roca, carica di desiderio, di promesse, di rimpianti. La bacio di nuovo, senza darle quasi il tempo di respirare, senza pensare ad altro che al suo corpo fra le mie
braccia. Allontano il mio viso solo quando sento il respiro bruciarmi nel petto. Ansanti ci fissiamo in silenzio per un tempo indefinito. Gli occhi di Kurata sono grandi, spalancati. Vivi. Vivi come i suoi capelli arruffati, le sue guance rosse, le sue labbra gonfie per i miei baci. La sua mano sale a sfiorarle quelle labbra come se facesse ancora fatica a credere a quello che è appena accaduto. Vedo i suoi occhi smarriti appuntarsi sui miei, come in cerca di una risposta. Lo sguardo di Kurata si fa improvvisamente cupo, la sfumatura calda delle sue iridi scompare.
Lo schiaffo che mi colpisce la guancia un attimo dopo brucia quasi quanto il bacio che ci siamo appena scambiati.


Giocattolo. Possibile che Naozumi abbia ragione e che io sia solo questo per Hayama? Qualcosa con cui può divertirsi quando ne ha voglia e poi scartare una volta passato il capriccio?
« Non osare fare mai più una cosa simile » mormoro. La voce mi esce gracchiante ma il mio sguardo è fermo. « Credi di poter fare tutto quello che ti pare come quando avevi dodici anni? »
Akito porta una mano alla guancia, già arrossata per il colpo subito. Si allontana senza una parola, distogliendo lo sguardo. Le gambe mi tremano in maniera convulsa, ringrazio mentalmente che ci sia l'albero a sostenermi perché altrimenti scivolerei a terra come una bambola di pezza.
« No, certo. Adesso tu appartieni a Naozumi ».
Disgusto? Rabbia? Il tono della sua voce è ambiguo. È così difficile leggerti dentro, Akito.
« Io non appartengo a nessuno » rispondo stringendo i pugni. Le unghie penetrano nella carne e il dolore mi aiuta a mantenere la concentrazione. « Ma non voglio che tu mi afferri così, a tradimento. Lo detestavo quando ero una bambina, non lo tollerò più adesso che siamo cresciuti. Chiaro? »
Detestare i baci di Hayama. Mi sembra quasi di aver detto una bestemmia. Ma il tempo dei giochi è finito, Akito, e io non posso più reggere questo tira e molla.
« Non mi sembrava che ti facessero così schifo fino a un momento fa » replica con quel suo sorrisetto sprezzante.
Raccolgo tutta la mia dignità.
« Mai più » ripeto allontanandomi dall'albero e dirigendomi verso casa.
Non sarò il tuo giocattolo, mai più. Solo quando Hayama non può più vedermi consento alle lacrime di rigarmi il viso.

 

 


 

* Quindi gira in
su gli angoli delle tue labbra
separale e senti le punte delle mie dita
rintraccia il momento, cadi per sempre
la difesa è sottile come carta
solo un tocco e io sarei dentro
persino troppo in profondità ora
per nuotare controcorrente
quindi lasciami scivolare via
quindi lasciami scivolare contro la corrente
quindi lasciami scivolare via

 

 

 

 

Ciao a tutti!
Spero che questo capitolo non vi abbia deluso; finalmente il tanto sospirato bacio tra Sana e Akito, anche se i problemi fra loro sono ancora tutti da risolvere!
Ma ad essere fondamentale è anche il piano di Sana: far mettere Naozumi e Fuka insieme, organizzando quella specie di appuntamento al buio. Forse è una soluzione un po' scontata però come personaggi mi piacciono troppo per non provare a scrivere un lieto fine anche per loro: Nao non può continuare a desiderare Sana per sempre e quanto a Takaishi, non so voi, ma a me non piace, lo trovo un personaggio insulso ed indeciso, a cui basta una chiacchiera di corridoio per cambiare idea... Vi anticipo quindi che il prossimo capitolo sarà un po' particolare perché i protagonisti non saranno Sana e Akito, ma Fuka e Nao! Maggiori spiegazioni le lascerò in una sorta di preambolo al prossimo episodio il cui titolo sarà: “Rimpiazzo”. Ecco lo spoiler:


Ma a poco a poco mi lascio trascinare dalla routine del riscaldamento e cullare dalle note che escono dalla sua tromba. Salti, spaccate, allungamenti. Quand’è che ho iniziato a muovermi per lui? Quand’è che il suo sguardo bruciante è diventato la molla propulsiva di ogni mio gesto?


 

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Capitolo 11
*** Rimpiazzo ***




Ciao a tutti!
Come avevo annunciato questo capitolo è un po’ particolare perché i protagonisti sono Fuka e Naozumi. Gli eventi narrati non hanno direttamente a che fare con la trama della ff, e si svolgono all’incirca un mese dopo ( quindi verso fine Gennaio). Detto questo, spero che questo “esperimento” vi piaccia e che mi farete sapere le vostre opinioni!
                      






 
                                                                                                          Rimpiazzo



 
                                                                                                                                                                             “E il naufragar m'è dolce
                                                                                                                                                                              in questo mare.”
                                                                                                                                                                                  Infinito Leopardi



 

 
Sento la sua bocca calare sulla mia e tutto il resto del mondo si spegne. Non mi curo del vento invernale che mi frusta le pelle e mi agita i lunghi capelli neri, né della tremolante luce del lampione sopra le nostre teste. Le labbra di Naozumi sono delicate, quasi esitanti. Mi stringo contro il suo corpo, affondo le unghie nella sua pelle. Intreccio la mia lingua alla sua, dando un ritmo più frenetico ai nostri respiri, lasciando che il pizzicore che mi corre sulla pelle cancelli ogni traccia di razionalità. Non voglio pensare. La mia mano sale in una delicata carezza sul suo collo e ancora più su, a sfiorare i suoi serici capelli. Li stringo con forza, facendo aderire il mio corpo al suo. Sento il cuore di Naozumi battere veloce contro il mio petto, mentre le sue braccia mi circondano la vita e le sue labbra si adeguano al mio ritmo incalzante. Esigenti. Sempre più esigenti.
Naozumi allontana il viso per un attimo, ma le mie labbra rincorrono le sue, affamate di quel contatto. Naozumi mi osserva sorpreso e confuso dalla mia reazione. Sento il suo sguardo su di me, ma non ho il coraggio di aprire gli occhi. Non voglio pensare. Le mie labbra sfiorano timidamente le sue, in una muta richiesta. Kamura torna a baciarmi, la sua perplessità lascia presto il posto alla frenesia. Deliziosi brividi si propagano in ogni singola terminazione nervosa e dalle labbra mi esce un sospiro soddisfatto. Così va bene. Con la sua bocca a coprire la mia e le sue mani che mi percorrono il corpo, sento spegnersi ogni barlume di raziocinio. La piccola vocina che mi tormenta tace definitivamente.
E smetto di pensare.

Pensare che per te, in fondo, non sono che un rimpiazzo.
 
Parlare con Akito Hayama era sempre qualcosa di molto stancante. Dovevo dar fondo a tutta la mia pazienza per riuscire a interpretare i suoi silenzi e conversarci civilmente, senza rovesciargli il tavolo in testa (1) . Sospiro e volto la testa osservando i negozi che si trovano sulla strada. L'insegna di una gelateria attrae improvvisamente la mia attenzione. Un bel gelato è proprio quello che serve a farmi tornare il buonumore. Mi metto in fila, scalpitando per l'impazienza. Un sorriso soddisfatto mi affiora alle labbra quando finalmente stringo fra le dita il mio cono panna e cioccolato. Sorriso che muore altrettanto rapidamente non appena uno sconosciuto mi urta con il gomito facendomi perdere l'equilibrio. Il gelato si spiaccica per terra con un sonoro e imbarazzante splash. Nella gelateria cala il silenzio, mentre tutti si voltano a guardarmi. Con il volto in fiamme e uno sguardo omicida mi volto verso il responsabile.
<< Ehi, tu! >> lo apostrofo indicandolo con il dito. << Ma dico, non potevi fare un po' più di attenzione? >>
Lo sconosciuto è un tipo dall'aspetto alquanto bizzarro. Ha una specie di impermeabile beige, lungo fino ai piedi e degli enormi occhiali da sole che gli coprono quasi tutta la faccia, anche se siamo a Dicembre e non si veda nemmeno uno spiraglio di sole sotto il cielo plumbeo. Per completare la mise, una ridicola papalina con tanto di pon pon. Chi diavolo è questo tizio? Per un attimo l'indignazione lascia il posto allo sconforto. Con la fortuna che ho forse sono andata a sbattere contro un maniaco.
Lo sconosciuto intanto mi sta fissando attentamente e dopo un attimo il suo corpo si irrigidisce. Gli occhiali da sole non riescono a nascondere la smorfia di fastidio che gli si dipinge sul viso. E che mi fa decisamente infuriare. Maniaco o non maniaco, ha scelto decisamente il giorno sbagliato per farmi irritare.
<< Allora? Non mi chiedi nemmeno scusa? Che razza di modi sono? >>
Quello si guarda intorno, forse preoccupato dalla piazzata che sto facendo. Poi i suoi occhi si appuntano di nuovo su di me e con un sorriso di imbarazzo mi risponde:
<< Scusami. Non l'ho fatto apposta, ok? Non vedo perché tu ti debba scaldare tanto! >>
Se uno sguardo potesse incenerire, quel ragazzo sarebbe morto.
<< Perché era il mio gelato, il mio premio dopo una giornata stressante, e avevo fatto un quarto d'ora di fila per mangiarlo, mentre adesso è spiaccicato sul pavimento! >> replico fredda, con le braccia incrociate sul petto.
Lo sconosciuto sospira e si allontana. Per un attimo penso che si stia dando alla fuga per evitare la mia ramanzina e sono già pronta a rincorrerlo. Poi vedo che si è messo in fila e rimango a fissarlo, esitante. Dopo cinque minuti ritorna, due coni stretti tra le mani. Me ne porge uno, panna e cioccolato, e io rimango troppo sorpresa per fare alcunché.
<< Coraggio, prendilo. >> mi incita avvicinandosi di un passo.
Anche così conciato ha un aspetto familiare. Una ciocca gli fuoriesce dalla papalina e il colore di quei capelli… o forse il timbro della voce…quel tono morbido e vellutato…
Un’agghiacciante intuizione mi attraversa la mente. Con uno scatto fulmineo la mia mano sale al volto del ragazzo e gli toglie gli occhiali da sole. Due occhi sgranati ricambiano il mio sguardo adirato. Due occhi blu come il mare.
<< Molto bene. >> dico cercando disperatamente di mantenere la calma. Il mio piede inizia a battere sul pavimento, con stizza. << Dove diavolo è Sana? Coraggio, salta fuori se ne hai il coraggio! >> urlo adocchiando uno ad uno i passanti che indietreggiano intimoriti.
<< Ma cosa stai facendo? >> replica Naozumi, rivolgendo un sorriso di scusa alle persone che ci circondano.
<< Andiamo, lo scherzo è finito! Pensavi davvero che questa scusa patetica del gelato avrebbe funzionato, Sana? E tu, >>  mormoro fissando con astio Naozumi, ancora paralizzato con i coni in mano. << si può sapere perché ti sei prestato a questi giochetti, eh Kamura? >>
<< Shhhh! >> mormora quello guardandosi intorno con un lampo di preoccupazione. << Non urlare il mio nome in quel modo! Non voglio essere assalito da uno stormo di fan in cerca di autografo. Sana non c’entra niente con questa storia!>>
Dopo aver appurato che nessuno ha ascoltato la nostra conversazione i suoi occhi tornano a fissarsi su di me, spazientiti.
<< Senti, vuoi prendere questo gelato? Si sta sciogliendo! >>
Continuo a fissarlo con diffidenza.
<< Bene, fai come ti pare. >> replica con una scrollata di spalle dirigendosi verso il cestino.
<< Fermo! Ma che fai? >> scatto, bloccandolo prima che possa buttarlo.
Inizio a leccare il cono, guardando intorno, aspettando ancora di avvistare due codini mogano.
<<  È inutile che la cerchi. Il nostro è stato un incontro casuale. Adesso potresti rendermi gli occhiali? >> mi chiede Naozumi allungando la mano.
Glieli porgo con riluttanza, un moto di fastidio nel vederglieli indossare di nuovo. Mi piaceva fissare i suoi occhi. Arrossisco, rendendomi conto dell’assurdità di quel pensiero.
<< È la verità? Non mi stai prendendo in giro? Non è una sorta di appuntamento camuffato? >> gli domando cercando di recuperare il controllo.
<< Certo che no! >> risponde secco. << Come hai detto prima, perché mai dovrei fare una cosa del genere? >>
Sussulto, trafitta dalla sincerità di quella risposta. È ovvio che un attore famoso come Naozumi trovi spiacevole l’idea di uscire con me. Chissà quante ragazze farebbero carte false per avere una simile opportunità. L’idea mi irrita ancora più di quella di essere rifiutata da lui. Cosa mi succede? Perché  do importanza all’opinione di Naozumi?
Kamura si allontana, dirigendosi a passo sicuro verso l’uscita. Prima che possa rendermene conto i miei piedi scattano a seguirlo.
<< Ehm… allora grazie. >> mormoro confusa.
Mi risponde con un cenno della testa. Irritante. Naozumi Kamura è una persona irritante.
<< Che gusti hai preso? >> chiedo per interrompere quell’imbarazzante silenzio.
Kamura si volta a guardarmi come se si fosse accorto solo in quel momento che ero sempre lì, accanto a lui. Decisamente irritante.
<< Fragola e banana >> risponde dopo un attimo.
La mia faccia disgustata è più che eloquente.
<< Che razza di gusti sono? >> replico scandalizzata.
Un sorrisetto si affaccia sulle labbra di Naozumi di fronte alla mia indignazione.
<< Non mi piacciono i sapori troppo forti. >> replica scrollando le spalle.
La sua risposta è così diretta che scoppio a ridere.
<< Come i bambini! >> affermo, senza riuscire a trattenermi.
Kamura si ferma di scatto, il corpo irrigidito. Forse la mia risposta lo ha infastidito più di quello che avevo immaginato ma non riesco a trattenermi dal canzonarlo ancora un po’.
<< Chi l’avrebbe mai detto che il grande attore Naozumi Kamura è delicato come una femminuccia! >>
Naozumi è pietrificato. Una piccola parte di me gongola per essere riuscita a zittirlo, a  scalfire un po’ della sua sicurezza. Ma il silenzio si protrae un po’ troppo a lungo e inizio a temere che si sia offeso per davvero. Mi ritrovo a detestare quegli occhiali da sole che mi impediscono di leggere la sua espressione.
<< Naozumi? >> lo chiamo esitante.
Kamura abbassa il viso a guardarmi, lo stupore ancora impresso sui suoi lineamenti.
<< Non ti facevo così permaloso, sai? >> aggiungo per provocarlo. Come immaginavo,  si riprende velocemente e per un attimo solleva gli occhiali da sole, lasciandomi scorgere il brillio di divertimento che gli anima lo sguardo, la bocca che si contrae come nel tentativo di reprimere un sorriso.
Rimango incantata nel fissare il suo volto. La linea decisa della mascella, la pelle morbida e delicata, il naso dritto e quegli occhi,  quegli occhi di un blu così intenso da far male. Naozumi si rimette di nuovo gli occhiali e io sussulto. Per un attimo si sono sentita come un topolino di fronte allo sguardo incantatore di un serpente.
<< Bè, direi che per me è ora di andare. >> aggiungo ancora confusa.
Prima che possa pentirmene mi alzo in punta di piedi a depositare un timido bacio sulla sua guancia. Mi allontano velocemente, il cuore che mi batte furiosamente nel petto, l’adrenalina che mi scorre nel sangue per quell’improvvisa pazzia. Percorsi trenta metri mi volto a fissarlo. Kamura è rimasto imbambolato, una mano premuto sul punto in cui si sono posate le mie labbra., gli occhi che seguono il mio profilo.
<< E quegli occhiali da sole dovresti proprio toglierli! >> gli urlo, prima di voltarmi con un sorriso.

 
<< Fuka, vuoi dirmi cosa c’è che non va? >>
Quella domanda brucia come sale su una ferita. Vorrei nascondere la testa nell’incavo della sua spalla ma Naozumi me lo impedisce, afferrandomi saldamente le spalle e discostandosi un poco. Senza le sue mani a stringermi e il suo fiato a scaldarmi, il freddo della notte mi piomba impietosamente addosso, facendomi rabbrividire. Fisso l’asfalto ai miei piedi  torturandomi le dita.
<< Fuka? >> mormora Naozumi sollevandomi il mento. I suoi occhi di ghiaccio mi inchiodano, mi privano di ogni via di fuga. << Ho fatto qualcosa di sbagliato? >> chiede con l’ansia che trasparisce chiaramente dalla sua voce.
Sono io che sono sbagliata.Sono io ad essere solo la copia sbiadita di un amore impossibile da raggiungere.  
Sento le lacrime premere agli angoli degli occhi e lotto per ricacciarle indietro.
Naozumi continua a stringermi, in attesa di una risposta. Riposta che non voglio dargli, che non vorrei dargli per niente al mondo. Ma come sempre non riesco a dire di no al bisogno che leggo nei suoi occhi. Le iridi di Naozumi sono scure come la notte.
<< Chi… chi hai baciato Naozumi? >>
Le parole mi escono come un rantolo dalla bocca.
<< Hai baciato me… o Sana? >>
Il suo nome brucia fra le mie labbra. Ho un blocco all’altezza del petto che quasi mi impedisce di respirare. Sana. La mia migliore amica. Con cui avevo condiviso tutto. Con cui condividevo persino i lineamenti del volto. Sana. La mia rivale.
Un fitta di rimorso mi trafigge il fianco. Come potevo pensare a Sana in quel modo? Come qualcuno da temere, qualcuno di cui essere geloso? Eppure è così. Sono una persona terribile ma il fantasma della mia migliore amica lo sento aleggiare fra noi questa notte, è lei a rendere esitanti le labbra di Naozumi, indecise le sue mani. Perdonami Sana, ma questa notte la gelosia è un ferro rovente che mi dilania le carni.
Naozumi sgrana gli occhi e indietreggia di un passo. Il dolore al fianco si intensifica. Ma ormai non posso più tirarmi indietro, devo sapere la verità.
<< Mi hai chiesto di uscire… mi hai baciata… solo perché ti ricordo lei, vero? >> gli domando, forzando le mie labbra a muoversi, spingendo la mia voce a pronunciare quelle parole così sofferte.
Era stato così anche con Akito. Mi aveva voluto solo per quella parte di me che gli ricordava lei. E ogni volta che pronunciavo parole o gesti che Sana avrebbe pronunciato, vedevo il suo sguardo incupirsi, la sua espressione farsi assente, perso nel passato, smarrito nel ricordo di un'altra, di una che non sono io, che non potrò mai essere io.
I miei occhi si fissano sul viso di Naozumi, sul suo corpo irrigidito, sulla tensione che gli fa contrarre la mascella. Arretra ancora, finendo per appoggiarsi al muro di quello stretto vicolo.
Vorrei scappare, chiudermi gli orecchi per non sentire quello che sta per dire. La paura scorre in me bruciante, corrosiva, paralizzandomi e facendomi rabbrividire. Perché i suoi occhi mi hanno già dato la riposta.
<< All’inizio  era così. >> mormora chinando il capo, senza il coraggio di fissare il mio volto distrutto.
Dejà-vu. Mi sembra di rivivere tutto di nuovo. La rottura con Akito, la solitudine, l’amarezza nel non sentirmi abbastanza. Ma questa volta il dolore è raddoppiato nel mio petto.
“Lo sapevi, Fuka, che sarebbe andata a finire così eppure ti sei illusa comunque, come una sciocca” mormora una voce cattiva all’interno della mia testa. Certo che lo sapevo. L’avevo capito fin dalla prima volta che Naozumi aveva posato lo sguardo su di me. Ma la sensazione è comunque quella di essere stata appena investita da un treno e la lotta per ricacciare le lacrime è più dura di quanto pensassi. Mi ritrovo ad odiare i miei capelli neri, perché quando lui li ha sfiorati sognava un colore diverso, detestare i miei occhi scuri, che non possono non ricordargli i suoi, odiare il mio viso a forma di cuore, la  mia pelle, odiare tutto di me.  Disprezzare tutto ciò che mi rende somigliante a lei e tutto ciò che mi rende diversa. Simile, ma non abbastanza.
Sostituta. Fin dall’inizio non sono stata che questo per te.

 
Il giorno dopo decido di andare al parco. La scusa è quella di allenarmi per le gare di atletica, ma la realtà sono bene essere un’altra. Voglio rivedere il punto in cui ci siamo incontrati la prima volta, il luogo di quello che doveva essere il nostro primo appuntamento. E lì, seduto su una panchina, trovo Kamura, come in un tacito accordo.  Ha in mano una tromba e le guance arrossate per il soffiarvi dentro. Il solito impermeabile e quell’orribile papalina. Ma gli occhiali da sole no. E i suoi occhi si dischiudono per lo stupore nel vedermi avvicinare traballando un po’, come se fossi ubriaca.
<< Allora è proprio vero che mi stai pedinando! >> chiedo fingendomi irritata per la sua presenza.
Di nuovo quel sorrisetto, come se le mie proteste lo divertissero. Un tenue raggio di sole filtra dagli alberi e gli illumina il volto, rendendo i suoi occhi più azzurri del cielo.
<< Potrei dire la stessa cosa di te. >> replica con sarcasmo.
Sbuffo, una mano ad indicare la mia tuta.
<< Io sono qui per fare ginnastica. E quel tuo frastuono mi irrita. >> affermo sicura indicando la tromba che ancora penzola dalle sue mani.
<< Bè c’ero prima io. >> replica Naozumi sorridendo apertamente di fronte alla mia indignazione.
Stringo le mani a pugno. Possibile che sia sempre così sicuro di sé?
<< Ma gli attrezzi sono qui! >> quasi urlo. Per tutta risposta quello riprende a suonare, ancora più forte. << E pensare che Sana ti descrive come una persona gentile e disponibile! Non sa quanto si sbaglia! >>
<< Invece quando dice che tu sei mezza pazza, è perfettamente nel giusto! >> replica quello sporgendosi in avanti.
Mi giro di spalle cercando di ignorarlo. Le mani che prudono dalla voglia di saltargli al collo, ma un lieve sorriso che fatico a trattenere. Kamura mi dice che sono pazza e a me vien da ridere? Forse non ha tutti i torti, dopotutto.
Mi avvicino alla panca e inizio a fare i miei esercizi, uno strano calore che mi si diffonde in tutto il corpo nel sentire il suo sguardo che segue ogni mio movimento. Fatico a trovare la concentrazione, i muscoli tesi, che non vogliono sapere di sciogliersi. Ma a poco a poco mi lascio trascinare dalla routine del riscaldamento e cullare dalle note che escono dalla sua tromba. Salti, spaccate, allungamenti. Quand’è che ho iniziato a muovermi per lui? Quand’è che il suo sguardo bruciante è diventato la molla propulsiva di ogni mio gesto?
Mi fermo ansante, il sudore che gocciola lungo la schiena. Mi accorgo solo in quel momento che la tromba ha smesso di suonare. Mi giro di scatto, terrorizzata che lui se ne sia andato così, senza un saluto. Naozumi è ancora lì, la tromba lasciata in disparte, i suoi occhi che mi accarezzano il corpo. Non mi sono mai sentita così bella come sotto il suo sguardo.
Da quel giorno ci siamo visti al parco tutte le sere.

 
Ma adesso è tutto finito. La nostra storia era nata per un’idea di Sana e con Sana si sarebbe conclusa.
Sostituta.
Dio, quanto freddo è in grado di infondermi quella sola parola.
Naozumi rialza il viso e i suoi occhi mi catturano di nuovo. Sono una stupida. Cosa ci faccio ancora lì? Ora che ho avuta la mia risposta, me ne dovrei solo andare a curare le ferite in solitudine.
<< Ma ora è diverso. >> mormora Kamura.
Lotto per stroncare la flebile speranza che sento fiorirmi nel petto. Come poteva essere diverso? Lui amava Sana. Aveva sempre amato lei.
<< Non prendermi in giro. >> replico con le braccia strette intorno al petto per cercare di scacciare il gelo che sento penetrare nelle ossa.
<< Non lo sto facendo. >> risponde Naozumi eliminando con un solo passo la distanza che ci separa.
<< Quando ci siamo incontrati in quella gelateria… >> riprende a parlare mentre le sue braccia mi cingono la vita. << quando mi hai detto che ero un femminuccia…>> alzo il viso a fissare il suo, disorientata per quel brusco cambio di argomento. << Senza saperlo hai usato quasi le stesse parole che usò Sana tanti anni fa, mentre giravamo le riprese per la Villa d’Acqua (2). Sono rimasto paralizzato. >> confessa con un sorriso. Cerco di divincolarmi dalle sue braccia. Come poteva essere così crudele da parlarmi di lei? Le sue braccia mi stringono più forte, bloccandomi contro il suo petto. << Per un attimo ho pensato che mi avresti sfidato a braccio di ferro… invece mi hai dato quel bacio sulla guancia. >> Stavolta sono i suoi occhi a bloccarmi. Così caldi che un po’ di quel calore arriva fino a me. << Era una cosa stupida ma ci ho pensato per tutta la notte. Per tutta la notte ho pensato a te, Fuka e non a Sana. >> appoggio la testa contro la sua spalla, sento la sua voce mormorare al mio orecchio e il freddo scivolarmi via dalle membra. Le sue parole sono come un nettare caldo, un liquore inebriante che penetra fino ad ogni fibra del mio essere. <<  È stato allora che ho capito che eravate diverse, ma che mi piacevi comunque, anzi forse mi piacevi ancora di più >>
Naozumi mi discosta dolcemente per potermi fissare nel viso. Rimango incantata dal suo sguardo.
<< Non voglio mentirti, Fuka-chan. >> mormora accarezzandomi una guancia. << Sana è ancora importante per me. Forse lo sarà per sempre. >>
Abbasso lo sguardo, trafitta da un moto di gelosia che mi fa vergognare di me stessa.
<< Guardami. >> mi sussurra. Alzo gli occhi ad incontrare i suoi. Cielo, mare e notte nei suoi occhi << Ma prima non stavo pensando a lei. Questa notte è tutta per noi, Fuka >>
È una frase così flebile che per un attimo ho il terrore di essermela solo immaginata. Poi vedo il viso farsi sempre più vicino, le sue labbra dischiudersi,  avverto il suo respiro rovente sulla pelle.  Il suo sguardo è così intenso da mozzarmi il fiato, così dolce da farmi dimenticare persino il mio nome. Leggera. I miei dubbi e le mie preoccupazioni esplose come bolle di sapone, la mia mente piena solo del suo sguardo.
Il suo sguardo, bello da far male. Nel blu dei suoi occhi mi perdo.
 

 
 
                                                                                           E il naufragar  m’è dolce in questo mare.
 

 
 
  1. Il motivo della conversazione fra Fuka e Akito verrà rivelato più avanti nella fan fiction.
  2. Nel manga e nell’anime durante le riprese in montagna Sana offre a Nao una gomma da masticare e quello rifiuta. Maeda rivela che è così delicato da non riuscire a mangiare cibi dai sapori forti, provocando l’ilarità generale e in particolare quella di Sana che mette in dubbio la sua virilità sfidandolo a braccio di ferro.
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE:
 
Eccomi di nuovo! La parentesi Fuka e Nao si conclude e dal prossimo capitolo ritornano Akito e Sana. Il titolo probabilmente sarà “Bentornato Akito” ma non ne sono certissima. Ringrazio tutte le persone che seguono la storia, ancora di più chi lascia i suoi commenti! Un piccolo spoiler:
 

Fuka alza il viso verso Hayama, la luna che illumina i tratti delicati del suo volto. Vicini, appena pochi centimetri a separare le loro labbra. Allontanati da lui, Fuka. Ti prego non farmi questo. Non riuscirei a reggerlo di nuovo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 12
*** Bentornato Akito-kun! ***


 

 

Bentornato Akito-kun!


 

When you were here before
couldn't look you in the eye
You're just an angel
Your skin makes me cry
You float like a feather
In a beautiful world
And I wish I was special
You're so fuckin' special
But I'm a creep, I'm a weirdo.
What hell am I doing here?
I don't belong here.” *
Creep Radiohead


 


 

Nei dodici messaggi che avevo lasciato nelle sua segreteria io, Sana Kurata, avevo decisamente e definitivamente rinunciato alla mia dignità. Avevo pregato, supplicato, implorato. Giurato di aver compreso il mio errore e promesso di non ripeterlo mai più. Non che fosse servito a qualcosa: Naozumi si era trincerato dietro un ostinato silenzio.
Con Fuka invece avevo ottenuto un maggiore successo. Certo avevo dovuto sopportare le sue urla per trenta minuti buoni, ma tutto sommato mi sembrava di essermela cavata a buon mercato. Una mezz’oretta di strilli, la promessa che quella sera sarei venuta a cena con loro nel ristorante di suo zio nonostante i miei considerevoli impegni di lavoro, e la pace era fatta. Mi infilo una forcina nei capelli osservandomi allo specchio, compiaciuta. Un semplice vestito nero mi fascia la vita, allargandosi all'altezza dei fianchi e lasciando scoperta una buona porzione delle gambe. Semplice, ma non troppo. E per una volta era stato relativamente semplice anche rimediare all'ennesimo disastro che Akito aveva causato nella mia vita. Hayama. Chissà se gli piacerei vestita così. Mi rendo conto con un brivido dell'assurdità che ho appena pensato e mi infilo velocemente la giacca, lanciando un'ultima occhiata allo specchio. Le mie mani sfiorano le labbra, lucide per il rossetto appena applicato. Le labbra che lui aveva baciato solo il giorno prima, il sapore della sua pelle che nessun rossetto al mondo sarebbe riuscito a coprire. Rei suona il clacson della macchina, richiamandomi alla realtà. Per quella sera almeno potevo accantonare tutte le mie preoccupazioni: Akito non sarebbe venuto alla cena, Fuka mi aveva casualmente rivelato che aveva altro da fare.

***

Il ristorante è caldo e luminoso, il tempo di entrare e il piacevole frastuono di voci diverse che si sovrappongono mi invade le orecchie.
« Ciao Fuka! » la saluto allegra, sventolando la mano. « Aya, Tsuyoshi... oh ci siete anche voi Mami e Gomi? » chiedo mentre il sorriso sul mio volto si allarga. Non avrei mai creduto di poterlo dire ma quei due insieme sono proprio una bella coppia: la dolcezza di Mami riesce a mitigare la selvatichezza di Gomi. « E anche... » aggiungo notando il profilo di qualcun altro.
Un riflesso dorato cattura il mio sguardo, mentre la persona a cui appartiene quella schiena si volta con esasperante lentezza. Non è possibile. Lui non può essere qui. Ma ancora prima di scorgerne il viso ho già sulla punta delle labbra il suo nome. Riconoscerei fra mille quelle spalle e quella schiena muscolosa, quelle ciocche bionde che imprigionano la luce della lampada, il modo noncurante in cui poggia il peso del corpo sulle gambe. Un gemito inarticolato mi esce dalla bocca.
« Akito-kun! »
Il diretto interessato si gira di tre quarti degnandomi a malapena di un'occhiata.
« Hi » risponde prima di darmi nuovamente le spalle.
Lo shock lascia il posto all'irritazione. Ancora quell'odioso modo di salutarmi? Mi faccio largo tra la folla e agguanto un braccio di Hayama.
« Si può sapere cosa ci fai tu qui? » sibilo a bassa voce per non farmi sentire da un Tsuyoshi decisamente troppo interessato alla nostra conversazione.
Hayama alza un sopracciglio fissando la mano che stringe il suo maglione come se volesse incenerirla.
« Non credi che sarebbe abbastanza strano che non fossi presente? » risponde con freddo sarcasmo. « In fondo si tratta della mia festa ».
« La tua festa » ripeto, certa di non aver capito bene.
Akito annuisce fissandomi in modo strano e indicandomi il tavolo poco distante. Sulla sedia a capotavola è appoggiato uno striscione con una scritta rossa.
« La mia festa di bentornato » aggiunge placidamente.
« Oh » sussurro. « Certo ».
Mi è venuto un improvviso tic alla guancia. Lascio di scatto il suo braccio, mentre i miei occhi saettano tra la folla alla ricerca di Fuka. Mi precipito al suo fianco, cercando disperatamente di trovare una spiegazione razionale a quel brutto scherzo.
Tsuyoshi, con gli occhi nascosti dalle enormi lenti velati di preoccupazione, mi intercetta.
« Qualcosa non va Sana-chan? » chiede preoccupato.
« No...ahm, niente. Devo solo andare in bagno e sono sicura che Fuka sarà così gentile da accompagnarmi, vero Fuka? » chiedo con voce metallica.
Matsui si volta a fissarmi con un sorriso rilassato dipinto sul volto.
« Ma certo, Sana » acconsente prima che la mia mano ghermisca la sua e la trascini alla toilette.
« Allora? Che razza di storia è questa? » le ringhio contro appena la porta del bagno si chiude.
Fuka mi getta un'occhiata di trionfo, una malcelata soddisfazione dipinta nello sguardo.
« Di cosa parli? » mi domanda con finta innocenza.
« Di Hayama, ovvio! Che ci fa lui qui? Non avevi detto che era occupato? »
« Certo che è occupato » replica con un sorrisetto. « È occupato a festeggiare il suo ritorno a Tokyo con gli amici di infanzia ».
La fisso a bocca aperta, incredula.
« Non dovresti guardarmi con quella faccia da pesce lesso, Sana. Te l'avevo detto che me l'avresti pagata per quello scherzetto dell'appuntamento con Naozumi, no? »
« Avevi detto che mi avevi perdonata! » quasi urlo con le mani strette a pugno.
Fuka scrolla le spalle.
« Be', ora siamo pari ».
« Pari un corno! Mi hai presa in giro! E adesso mi trovo alla festa di bentornato di Akito! Non sarei mai venuta se avessi saputo! » sbraito senza controllo.
« È proprio per questo che l'ho fatto ».
Ok, Sana. Inspira. Espira. Mi dirigo a passi furiosi verso l'uscita del bagno, cercando di recuperare un briciolo di compostezza.

Mi pare di sentire Fuka bisbigliare qualcosa di molto simile a “Un giorno mi ringrazierai”, ma i miei nervi sono troppo provati per chiederle delucidazioni.
Crollo a sedere sulla sedia, sbuffando come un toro inferocito e seppellendolo il viso nel menù, nella vana speranza che nessuno noti il rumore sinistro dei miei denti che scricchiolano. Gli altri iniziano a prendere posto accanto a me, borbottando frasi a cui non presto attenzione. Osservo con sollievo Aya posizionarsi proprio di fronte, il sorriso caldo e rassicurante che ha dipinto sul viso, migliora il mio umore. Almeno un po’. Mami si affretta ad imitarla sedendosi al mio fianco e lanciandomi uno sguardo di mutua comprensione. Provo ad assumere un’espressione distesa per tranquillizzarla ma il tentativo fallisce miseramente quando vedo Hayama passarmi davanti con beata indifferenza e scostare con malagrazia una sedia per mettersi a fianco di Tsuyoshi.
« Akito, aspetta! » lo apostrofa Fuka. « Ti dispiace se facciamo cambio posto? » chiede indicando l’ultima sedia disponibile al mio fianco. « Lì c’è uno spiffero e lo sai che sono freddolosa! » aggiunge sporgendo in avanti il mento, come sfidandolo a ribattere.
Un guizzo attraversa gli occhi di Hayama mentre il suo sguardo incrocia il mio al di là del tavolo. Prima ancora che riesca decifrarlo, riacquista la sua solita aria indifferente e con una scrollata di spalle mi si mette accanto.
Stringo convulsamente il menù tra le mani, divisa fra il desiderio di seppellirci la testa dentro per nascondere il rossore o gettarlo addosso a Fuka che sorride soddisfatta. La metà del mio corpo che è rivolta verso Hayama sembra andare a fuoco, le terminazioni nervose bruciano sotto la pelle, mentre l’altra rabbrividisce per il gelo improvviso.
Altro che contare fino a dieci. Non mi basterebbe contare fino a mille per farmi passare il desiderio di strozzare Matsui.

 

***

Il locale dello zio di Fuka è decisamente affollato. Troppo per i miei gusti. Una cacofonia di urla, voci e rumori mi invade le orecchie, un brusio confuso che non riesco ad ignorare. Gli odori dei cibi e delle spezie più disparate mi invadono le narici e mi fanno pizzicare gli occhi. Per quale diavolo di motivo mi sono fatto convincere a fare questa stupida rimpatriata? Un’unica, magica, parola mi si accende nella mente: sushi. Per il sushi sono più che disposto a sopportare questo spazio claustrofobico. Sono persino disposto a starmene calmo e buono mentre il gomito di Kurata mi sfiora il braccio e il calore mi si diffonde lentamente nella membra. Per il sushi avrei fatto di tutto. Come per Sana, mi suggerisce una voce cattiva all’interno della mente.
Sospiro appoggiando il braccio al tavolo e disinteressandomi completamente delle domande che Tsuyoshi si ostina a pormi su L.A. I miei occhi cadono per sbaglio sulle gambe di Kurata, incrociate sotto al tavolo. Il vestito nero le si è in buona parte sollevato, lasciando scoperta una buona porzione delle cosce, appena velate da quelle calze sottili. Deglutisco a stento, cercando di non pensare a come possa essere appoggiare le labbra su quella pelle di seta. Probabilmente Kamura avrebbe potuto dirmelo. Basta quel pensiero e un repentino disgusto mi fa volgere la testa da un ‘altra parte, il sangue nelle vene che diventa fiele. Mi rendo conto che Tsu mi ha fatto una domanda e borbotto una risposta atona e distratta, la mente che continua a vagare in tutt’altra direzione. Chissà se avevano fatto pace. Chissà se dopo che l’avevo baciata lei era andata a cercarlo. Chissà se sulla sua bocca si erano posate altre labbra che avevano cancellato il sapore delle mie.
« Così non va, signor Hayama! »
La voce di Gomi mi riscuote dai miei pensieri. Gli lancio un’occhiataccia, innervosito da quell’appellativo. Signor Hayama. Come quando ero un bambino delle elementari, il capo-scimmione, come diceva lei; come quando non facevo che farle dispetti, come quando… Kurata. Ovunque guardassi, qualunque cosa pensassi nella mia mente c’era sempre lei.
« Questa dovrebbe essere la sua festa, signor Hayama, e invece non ci racconta niente di Los Angeles… » continua Gomi, un po’ più incerto, il suo entusiasmo freddato dalla mia smorfia di disappunto.
« Cosa vuoi sapere? » domando atono.
Il volto di Gomi si illumina, rallegrato dalla mia concessione.
« Come erano le americane là, signor Hayama? Sono davvero così carine, come si dice? Scommetto che sarà uscito con un sacco di ragazze! Era un rubacuori già alle elementari… »
Il viso ovale, la pelle talmente bianca da lasciare intravedere le vene sottostanti. L’immagine di Jenny affiora faticosamente alla mia mente. I capelli soffici – questo me lo ricordo – di un tenue biondo cenere. Gli occhi grandi, tondi ed indifesi. Il resto dei lineamenti sono confusi, sfuocati.
« Non sono male » dico per accontentare Gomi che sembra pendere dalle mie labbra.

Mi giro, sentendo il rumore di una bacchetta che cade per terra. Osservo Kurata scusarsi per la sua ennesima gaffe. Il sorriso è un po’ più tirato del solito, le gote sembrano andare a fuoco.
« Uahu! Ed è vero che sono molto più formose delle giappone… » Gomi si interrompe di botto e con una smorfia decide di cambiare argomento.
Tanto meglio. Mi risparmia la fatica di dover sostenere quell’insulsa conversazione. Sbircio di sottecchi Kurata e il modo convulso in cui le tremano le mani. Mi chiedo se la mia risposta l’abbia infastidita e quel pensiero mi scalda le viscere. Poi ricordo che lei ora sta con Naozumi e che mi ha espressamente invitato a tenere le mani a posto e il peso di un macigno torna a gravarmi sullo stomaco. Persino il sushi dentro il mio piatto acquista un sapore insipido.

 

***

E così le americane sono più formose delle giapponesi. E non sono male. Il che – detto da Akito – significa più o meno che sono il sogno di ogni uomo. Mi mordo le labbra talmente forte da sentire il sapore ferroso del sangue in bocca. Amaro, come amaro è quell’ennesimo boccone che mi tocca ingerire.
Me lo sarei dovuta aspettare. Non era probabile che Hayama passasse tre anni in America senza conoscere nessuna nuova ragazza. Ed io e lui non stiamo più insieme. Non ho il diritto di fare la parte della gelosa, non ho il diritto di arrabbiarmi, non ho il diritto di… o ma perché tutte le mie buone ragioni non riescono a far rallentare il battito inconsulto del mio cuore? Sembra voler fuoriuscire dalla gabbia toracica, dal modo assordante in cui si agita. Sento il suo rimbombo nelle orecchie. Oddio, forse è un rumore così forte che anche Akito se ne sarebbe accorto. Arrossisco furiosamente e questo, unito alla mia presa maldestra, mi mette ancora più in imbarazzo. Le americane sono formose. Quel pensiero stupido non vuole smettere di ronzarmi in testa. Forse Akito era uscito con una di loro, magari l’aveva baciata o addirittura… Le americane sono formose. E io sono così patetica da non riuscire a riempire nemmeno una seconda.
Con la coda dell’occhio noto Tsuyoshi dare un calcio negli stinchi a Gomi e lanciargli un’occhiata così significativa che quello cambia subito argomento.
Non riesco a reprimere un sorrisino. Troppo tardi, Tsu. Ormai il pugnale è affondato ancora di più nel petto.
Per un attimo il mio sguardo incrocia quello di Fuka e vedo i suoi occhi incupirsi, come se la serata non stesse andando come erano i suoi piani. Bè, forse questo l’avrebbe scoraggiata dal ripetere tiri del genere. Vedendomi insolitamente silenziosa Aya e Mami iniziano a parlare del più e del meno, cercando di coinvolgermi nella conversazione. Il loro affetto è come un guscio che mi protegge dallo sguardo inceneritore di Hayama. Mi concentro unicamente sulle loro voci e risate e sento a poco a poco la tensione alleviarsi.
Nonostante questo quando la cena finisce, non riesco a celare un sospiro di sollievo. Akito si alza dalla sedia, accompagnando Gomi che va a fumare una sigaretta, e miei occhi non si staccano  dalla sua schiena fino a quando non esce dalla porta. Neanche il più dolce sorriso di Aya riesce a confortarmi del senso di vuoto che avverto nel petto.

 

***
 

« Sei proprio incasinato, eh capo? » mormora Gomi facendo uscire dalla bocca anelli di fumo.
« Dovresti smetterla di chiamarmi così » rispondo eludendo la domanda e appuntando lo sguardo sulla strada.
« E perché mai? » domanda con un sorriso pigro che mette in bella mostra il piercing che ha sul labbro. « Mi fa tornare in mente i bei vecchi tempi ».
« Quali bei vecchi tempi? » rispondo con voce più gelida del vento invernale. « Quelli in cui spingevamo in acqua le bambine che solo provavano a offendermi? »
Mi pento immediatamente delle parole pronunciate quando vedo la faccia contrita e l’espressione di dolore negli occhi di Gomi.
« Credi che non me ne sia pentito? Da quando sto con Mami non faccio che pensarci ogni giorno…» mormora con il capo chino e la voce soffocata.
Rimaniamo così per un po’, in silenzio, con la sigaretta che disegna volute di fumo nell’aria e il rumore delle macchine a cullare i nostri pensieri. Anche Gomi doveva fare i conti con il suo passato. Peccato che le sue colpe non fossero neanche lontanamente paragonabili alle mie.
« Comunque ciò non toglie che tu sia veramente incasinato » replica dopo un po’.
Il sorriso che mi rivolge è privo di ironia.
« Lo so perfettamente » rispondo senza guardarlo.

 

***
 

Apro la porta con energia e il vento freddo mi solletica la faccia, un balsamo per il mio viso accaldato. I miei occhi, come calamite, si posano sulla figura di Akito. E rimango paralizzata. Perché Hayama non è solo. C’è Fuka accanto a lui.
Che strano. Non mi ero nemmeno accorta che era uscita dal ristorante per raggiungerlo. Vorrei andar loro incontro con passo sicuro ma non riesco a distogliere gli occhi da quella scena. Le loro teste vicine, illuminate dalla luce del lampione. Le nuvolette dei loro respiri che si fondono come se fossero un’unica cosa. La mano di Fuka appoggiata sul braccio di Akito. Il gelo lo sento penetrare fino alle ossa e fuoco e ghiaccio bruciano insieme, corrodendo la carne. Fuka alza il viso verso Hayama, la luna che illumina i tratti delicati del suo volto. Vicini, appena pochi centimetri a separare le loro labbra. Allontanati da lui, Fuka. Ti prego, non farmi questo. Non riuscirei a reggerlo di nuovo.
Un pensiero – come una secchiata d’acqua – mi attraversa la mente. “Questa me la paghi”. Aveva detto così Matsui. Lì per lì non gli ho dato peso, ma ho provato sulla pelle quanto poteva essere imprevedibile la sua vendetta. E se non si fosse fermata al brutto tiro di quella sera? E se avesse voluto qualcos’altro? Akito. Tutto ma non lui. Mi ritrovo a ripetermelo come una preghiera a fior di labbra mentre vedo i loro volti farsi sempre più vicini – quello impassibile di Hayama e quello sorridente di Fuka. Stanno per baciarsi. Trattengo il fiato, il tempo sospeso, solo i loro due volti che quasi si sfiorano. No Akito, no. Le parole mi muoiono in gola, soffocandomi.
Un attimo – o forse un’ora dopo, non saprei dirlo – e la bocca di Fuka si posa sull’orecchio di Hayama. Rilascio il respiro di colpo, il sollievo che si sparge insieme all’ossigeno in ogni mia cellula. Fuka non voleva baciarlo, ma solo mormorargli qualcosa all’orecchio. Le gambe mi tremano e mi appoggio alla porta, esausta come se avessi corso la maratona.

 

*** 

Vedo Matsui darmi le spalle e allontanarsi con aria soddisfatta ed ironica, come se tutto facesse parte di un qualche gioco che le piace dirigere. La mia mano scatta per afferrarle il polso e costringerla a parlare in modo meno criptico ma i miei occhi intercettano lo sguardo di Kurata. Mi paralizzo, preoccupato per l’ansia che leggo nel suo viso e intanto Fuka si allontana con il suo passo leggero che non produce rumore nella notte. La osservo andare incontro a Kurata e gettarle un braccio intorno al collo, mentre quella lotta per staccarsi dalla sua presa soffocante. Ma i suoi occhi sono più sollevati ora, e tanto mi basta. Fisso l’asfalto grigio ai miei piedi senza riuscire a calmare il battito del cuore, le parole di Matsui che mi rimbombano nella mente, prive di un filo logico.
Che cazzo vuol dire che Naozumi e Sana non stanno insieme?

 

 

* Quando tu eri qui prima
non riuscivo a guardarti negli occhi
tu sei proprio come un angelo
la tua pelle mi fa piangere
tu fluttui come una piuma
in un mondo meraviglioso
Io avrei voluto essere speciale
tu sei così maledettamente speciale
ma sono una persona sgradevole,
sono uno strano
cosa diavolo sto facendo qui?
io non appartengo a questo posto.

 

 

 

 

Ciao a tutti e buon fine settimana!
Mi è parso di capire che l’episodio Fuka-Nao non vi è piaciuto molto, spero dunque che sarete contenti del ritorno dei due protagonisti. Vi comunico inoltre che, salvo cambiamenti dell’ultimo minuto, i capitoli della ff dovrebbero esser 17! (che bel numero, eh? ) Ci avviciniamo alla fine… Comunque il prossimo episodio è intitolato “Desiderio” ed ecco lo spoiler:

<< Dillo, Kurata. Dillo che vuoi sapere se sono stato con altre. >> le sussurro inchiodandola con lo sguardo, i nostri visi a pochi centimetri di distanza.
<< È così? Hai avuto altre ragazze in America? >> mi chiede mordicchiandosi il labbro.
 

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Capitolo 13
*** Desiderio ***


 



Desiderio

 

 

Oh, you're such a pretty one
And the naked thrills of flesh and skin
Would tease me through the night
Now I hate to leave you bare
If you need me I'll be there
Don't you ever let me down

..dazed by careless words
Cosy in my mind
Narcotic Liquido

 

 

 

 

 

 

« Molto bene, direi che la serata è finita! Tutti a nanna! » proclamo con il pugno alzato. Akito sta già per allontanarsi, con appena un cenno di saluto rivolto a noi comuni mortali, ma gli arranco dietro impaziente e lo afferro per la manica del giubbotto.
« Fermo là! » sbuffo. Lo sguardo che mi lancia Hayama è decisamente infastidito, segno che è stanco dei miei giochetti. Oh bè, sono sicura che per una serata sarà in grado di sopportarmi, visto che io lo sopporto da anni.
« A casa, no? » replica incenerendomi con un’occhiata.
La mia replica è un sorriso smagliante. Certo, quando un tempo stavamo insieme, quello sguardo appuntato su di me non lo potevo proprio sopportare. Era come una paralisi improvvisa che colpiva gli arti e annebbiava il cervello mentre una parte di me si chiedeva urlando che cosa ci facevo accanto a una persona che era palese non volermi con sé. Ma adesso che siamo solo amici della sua ira posso ampiamente fregarmene, no?
In fondo è in vista di un bene superiore.

« Certo, certo » annuisco stringendomi ancora di più nel cappotto. « Solo pensavo che potresti prima accompagnare Sana, no? »
Ok, adesso è ufficiale che se Akito avesse una pistola non esiterebbe a spararmi. Il corpo rigido, i lineamenti contratti e una specie di ringhio dipinto in faccia. Rimane perfettamente immobile per alcuni secondi ed inizio a pensare che si sia trasformato in una statua di sale.
« Per quale motivo dovrei farlo, io? Dov’è quel suo manager da strapazzo quando serve? » sfiata infine con uno sguardo allucinato.
« Oh, ma non preoccuparti. Sono di certo più al sicuro da sola, che con un maniaco come te ». risponde Sana sprezzante.
Accidenti Sana, come se non lo sapessimo tutti che è solo scena, che in realtà smani dalla voglia di rimanere sola con lui.
« Non mi sembra il caso di scomodare Rei a quest’ora e è fuori discussione che tu torni a casa da sola » affermo con tono deciso, nella speranza di mettere a tacere quei due testoni.
« Se sei così preoccupata per Kurata perché non l’accompagni tu? » domanda con un sorriso sarcastico – e odioso – Hayama.
Sospiro scoraggiata. Possibile che quei due rendessero tutto così maledettamente difficile?
« Si dà il caso che io stia dalla parte opposta della città » rispondo ironica e vedo il suo sorrisetto cancellarsi dalla faccia. 1 a 0 per me.
« In questo caso forse Tsuyoshi... » propone Sana esitante, facendogli gli occhi dolci
« Tsu ed Aya accompagnano me » rispondo rapida e con un tono che non ammette repliche. «Quanto a Gomi e Mami sono in moto e non hanno posto per altri ».
Sana e Akito sospirano all’unisono e guardandosi in cagnesco ci salutano e si avviano per strada, una distanza imbarazzante a dividerli. Il solito passo trascinato di lui, la insolita rigidezza di lei. Sospiro, scuotendo le testa.
« Sai Fuka non credo che dovresti intrometterti così… » le parole di Tsuyoshi, mormorate con un filo di voce, destano la mia attenzione. « Io ho provato per anni a far capire a quei due che si dovevano far avanti o non sarebbe cambiato niente e non ho mai ottenuto niente di buono. Credo decisamente che dovremmo lavarcene le mani ».
Conclude sistemandosi gli occhiali, mentre Aya, aggrappata al suo braccio, annuisce in silenzio.
« Oh andiamo, ma guardateli! » rispondo indicandoli.
Akito è qualche passo indietro e Sana sembra avere ingoiato una scopa da quanto è rigida. Ma nonostante la freddezza apparente la distanza tra loro si è come per magia ridotta a pochi metri, i loro corpi finiscono per sfiorarsi, quasi contro la loro volontà. Attratti come calamite. Con tutto il loro buon impegno, quei due testoni non sarebbero mai riusciti a celare la profondità dei loro sentimenti. Anche un cieco si sarebbe accorto della carica di elettricità che divampava fra i due.
« Si amano ancora. Il loro unico problema è che non riescono a dirselo. Io sto solo dando un piccolo aiuto ».


Imbarazzo. Un divagante imbarazzo. Una marea di imbarazzo. Mi sembra persino di respirarla la tensione che c’è fra noi mentre camminiamo in silenzio nella notte. Avrei ucciso Fuka, su questo non c’erano dubbi. Ripasso mentalmente tutta una serie di torture che avrei potuto infliggerle mentre guardo di sottecchi il profilo di Hayama. Inutile dire che lui sembra perfettamente calmo e a suo agio, come se il fatto di avermi al suo fianco gli fosse del tutto indifferente. Volto la testa di scatto, le gote che vanno a fuoco. Ovvio che la mia presenza gli è indifferente. Cosa speravo? Di sicuro in confronto alle sue formose americane io non sono niente di interessante. Mi torturo le labbra, sentendo un rivolo di sudore scivolarmi lungo la schiena. Ma che diavolo mi succede? È Dicembre, fa un freddo assurdo, e io mi sento andare a fuoco. La parte rivolta verso Hayama sembra gelatina, ogni cellula pare essersi liquefatta. E poi da quant’è che stiamo così vicini? Non c’erano dieci metri buoni a dividerci? Le mie labbra screpolate chiedono venia e io decido di intavolare una conversazione, anche solo per porre fine a quell’imbarazzante silenzio. Peccato che non riesca a trovare le parole. Io, Sana Kurata, la persone più logorroica e diretta della terra non trovo le parole. Adesso è ufficiale che stare a fianco di Akito nuoce gravemente ala salute.
Ma, contro ogni pronostico, per una volta è Hayama ad aprir bocca per primo.

 


Le vedo ondeggiare davanti ai miei occhi, quelle gambe, muoversi sinuose sotto la luce dei lampioni. Il mio cervello è andato definitivamente a puttane. Non riesco a pensare a niente che non sia la sua pelle profumata, le sue cosce snelle,i suoi polpacci affusolati. La tentazione di osservarla è troppo forte per il mio scarso autocontrollo. Rallento l'andatura di proposito, rimanendo qualche passo indietro per poterla contemplare in santa pace, senza che lei se ne accorga. Ha la schiena rigida e le braccia strette intorno al petto, i capelli ricadono in onde nere sulle spalle. E poi ci sono quelle maledettissime gambe, quasi troppo belle per essere vere. La mia mente è un buco nero nel quale aleggia un unico pensiero: Naozumi e Sana non stanno insieme, non stanno insieme, non stanno... se solo fosse la verità... Sussulto, stupito dai miei stessi pensieri. Come mi ero ridotto in quelle condizioni? Imbambolato ad osservare il suo ancheggiare, pregando come un disperato che Fuka non si stesse solo prendendo gioco di me. Sono patetico quasi come Kamura. Un sorrisetto di scherno mi si affaccia alle labbra ma lo reprimo velocemente.
Kurata mi si affianca sbirciandomi di sottecchi. I nostri bracci quasi si sfiorano e il calore della sua presenza mi penetra fino alle ossa. Una droga. Avevo assaggiato il sapore delle sue labbra e ora non riuscivo più a pensare ad altro.
« Come mai non hai portato Naozumi stasera? » le chiedo apparentemente freddo e distaccato.
Stai insieme a lui, Kurata? Lo ami come amavi me? Lo hai baciato come hai baciato me?
Per un attimo pare stupita della mia domanda. Si riprende in fretta e dice con tono di voce sostenuto:
« Credevo che fosse una cena con vecchi compagni di scuola. Perché sarebbe dovuto venire? »
Sarebbe quasi credibile, se non fosse per quel lieve tremore delle labbra, per quello sguardo sfuggente e triste. Forse non avevano ancora fatto pace. Forse si erano lasciati. Forse avevo ancora una possibilità di farla mia...
Kurata aumenta il passo e la distanza fra noi, e il mio sguardo è di nuovo calamitato dalle sue gambe appena velate. Desiderio. Lo sento scorrere prepotente nelle vene, lo sento nei brividi alla pelle e nel calore ai lombi. Ti voglio, Kurata. Ti voglio e voglio che tu mi dica che non stai con quel damerino, che tu mi giuri che sei solo mia.
La frustrazione per non poterla stringere fra le braccia e affondare il viso nel suo collo è tale che potrei urlare. I ricordi del bacio di ieri mi affollano la mente. Cerco disperatamente di non pensare al suo corpo morbido, alla sua lingua, a come sarebbe avere quelle cosce intorno ai fianchi. Sono quasi allo stremo quando il vento mi schiaffa in faccia il suo odore.
La pelle di Kurata sa di gelsomino e di more.
« Come va la mano, Akito-kun? » mi chiede, sorprendendomi.
Non rispondo, non mi fido della mia voce in questo momento, mi limito a flettere le dita davanti ai suoi occhi. Il viso le si illumina in un radioso sorriso. Dio, quanto mi era mancato vederla ridere.
« Uahu! Fanno proprio miracoli in America! »
Non fa in tempo a pronunciare l'ultima parola che già si rabbuia.
« E ti sei anche divertito, eh? » mi domanda piccata.
La guardo sorpreso. Divertito? Lo chiamo divertimento lei, quel dolore sordo al petto, quella noia e quella grigia solitudine che aveva provato ogni fottuttissimo giorno? Divertito? Ma mi prendi in giro, Kurata?
« Con quelle belle americane formose… » continua con un tono velenoso che stona con la sua perenne aria da bambina.
Quasi mi soffoco nel tentativo di reprimere il ghigno divertito che mi arriccia le labbra.
« Sei gelosa, Kurata? » le chiedo con finta sicurezza, inarcando un sopracciglio.
La tensione al petto è improvvisamente svanita, potrei prendere il volo da quanto mi sento leggero. Kurata è gelosa di me.
« Assolutamente no! » replica quella stringendo i pungi e diventando scarlatta. « Come puoi pensare una cosa simile? » urla fermandosi in mezzo alla strada.
Avanzo di un passo, lasciando che un sorriso di scherno mi aleggi sulla faccia.
« Cos’altro dovrei pensare se mi fai una domanda del genere? » Un passo ancora, pochi centimetri a dividerci.
Le labbra di Kurata non sono come una droga, sono molto peggio. Non mi sono bastati tre anni per disintossicarmi del suo sapore e un solo bacio è stato sufficiente a centuplicare il mio desiderio.
« Dillo, Kurata. Dillo che vuoi sapere se sono stato con altre » le sussurro inchiodandola con lo sguardo, le punte dei nostri nasi che quasi si sfiorano.
« È così? Hai avuto altre ragazze in America? » mi chiede mordicchiandosi il labbro.

Jenny. Capelli biondi, lisci come seta. Grandi occhi azzurri contornati da sottili sopracciglia, occhi tondi e sgranati, da bambina. Sguardo timido e sorriso esitante. Jenny, così delicata da parere una bambola di porcellana. Il completo opposto di Kurata.
Ma era per questo che mi piaceva, perché non mi serviva altre cose che mi ricordassero leie Jenny era lì, timida e dolce. Quante volte ci ero uscito? Tre, quattro, dieci? Non lo ricordavo. Non aveva molta importanza, per la verità niente aveva importanza quando ero in America.
« Non mi sono innamorato di nessuna ».
Jenny che era sempre così chiusa e impacciata. Chissà quanto si era dovuta impegnare per trovare la forza di avvicinarsi a me, alzarsi in punta di piedi e avvicinare trepidante le labbra...
Vedo Kurata discostarsi di qualche passo, chiaramente insoddisfatta della mia risposta. Il fatto che non mi fossi innamorato non significava che non avessi avuto storie e quel dubbio glielo leggo chiaramente negli occhi. Mi viene quasi da sorridere di fronte al suo visino crucciato. Che sciocca che sei Kurata. Tutti questi anni e ancora non l'hai capito che non ci si sono altre per me.
Fuggo così, come un codardo. Lasciandomi Jenny e il suo sguardo ferito alle spalle. Consapevole di averle spezzato il cuore, consapevole che altre labbra io non avrei potuto proprio baciarle.
« Si può sapere che stai facendo lì impalato, Hayama? Muoviti prima che faccia l'alba! » sbotta, nervosa.
Riprendo a camminare, raggiungendola con due rapide falcate.
« Adesso posso fartela io una domanda? » le chiedo con un briciolo di sicurezza in più. Era gelosa di me e quella sua gelosia era come un liquore caldo che mi scaldava dall'interno e mi scioglieva la lingua.
Si volta a fissarmi, incerta.
« Tu e Naozumi state insieme? »
Volta il viso di scatto, diventando rossa come un pomodoro.
« Perché, ti interessa? » chiede quasi balbettando.
Da morire.
« Non particolarmente ».
Si irrigidisce e fa una delle sue buffe smorfie per il disappunto.
« Bene perché non sono affari tuoi! » ringhia stizzita, i pugni contratti, aumentando l'andatura e lasciandomi di nuovo indietro.
Sospiro, arrancandole dietro. Sono un cretino. Un perfetto e compiuto cretino. Vorrei essere come il damerino, Kurata, capace di stordirti di belle parole e persuaderti che io sono l'unico con cui puoi stare. Ma a me le parole non vengono, mi si mozzano in gola e togliere la corazza che indosso tutti giorni per non far capire cosa provo è troppo arduo per me. Anche con te, Kurata, che quella corazza l'hai passata come se fosse acqua, anche con te che sei penetrata molto più a fondo di tutte le mie difese.
Non posso dirti che ti amo ancora, perché se tu mi dicessi che non mi vuoi mi sentirei morire.
Per cui continuo a arrancarti dietro, ipnotizzato dalle tue gambe, con il cuore a pezzi per la gelosia e le labbra ermeticamente sigillate.

 


Il vento che mi frusta la pelle è un sollievo per le mie gote arrossate. Infilo le mani nelle tasche della giacca per combattere l'istinto di artigliare di nuovo la felpa di Akito. E così non ti interessa più niente di me, eh Hayama? Non sei geloso di Naozumi, d'altronde tu geloso di me non lo sei mai stato e a me invece tremano le gambe se solo una ragazza ti si avvicina... E in America ti devono averti avvicinato in molte a giudicare dalla tua risposta criptica di prima. Il sapore di sangue, ferro e sale sul palato, mi invade la bocca e con un sussulto mi rendo conto di aver torturato le labbra screpolate fino a farle sanguinare. Ingoio quel sapore amaro e mi sembra quasi dolce in confronto ai tuoi modi freddi e scostanti. Nessuna di cui mi sia innamorato. Ripenso alle tue parole e mi sento un po' più leggera. Almeno il tuo cuore nessuna era riuscita a strappartelo... ma forse i tuoi baci sì, e chissà quante altre labbra aveva sfiorato la tua bocca prima che si posasse di nuovo sulla mia.
Basta, Sana. Devi smettere di pensare a queste cose o scoppierai a piangere, qui, come una bambina e fornirai ad Hayama l'ennesimo pretesto per prenderti in giro. Nessuna di cui mi sia innamorato. È inutile: quella frase mi rimbomba in testa, non riesco a scacciarla e i brividi che mi fa scorrere sulla pelle sono di piacere e paura insieme. Non aveva amato un'altra. Ma aveva mai amato me? Alla fine riesco a formularlo quel quesito, anche se solo all'interno della mia testa, e mi stringo le braccia più forte intorno al corpo. Un tempo non avrei esitato a dare una risposta a quella domanda, un tempo avrei messo una mano sul fuoco sui sentimenti di Akito. Un tempo... come potevo essere davvero sicura che quello che io avevo scambiato per amore per Hayama non fosse che un'infatuazione infantile? Non per me, certo. Per me Akito sarebbe stato sempre l'unico. Mi volto ad osservarlo e il suo viso ha un'espressione sofferente o forse è solo il freddo che gli frusta la faccia ad irrigidire i suoi lineamenti. Dicembre. Il freddo e la vigilia di Natale, il nostro metà-compleanno, il suo bacio sotto la neve...
La mia mente turbina come una bufera, riportando a galla spezzoni del mio passato, ricordi così vividi da farmi piegare le ginocchia. Ma “ti amo” non me l'hai mai detto, Akito, me lo diceva la tua pelle e la tua bocca, la tua lingua e le tue braccia, ma le tue labbra no, quelle hanno sempre taciuto... Il dolore che mi provoca quel dubbio è così forte da farmi desiderare di fuggire il più lontano possibile. Ti ho perso nel presente Akito,non posso sopportare l'idea che tu non mi amassi nemmeno nei miei ricordi...
La luce di un lampione illumina il tuo volto, la tua pelle chiara come la neve, i tuoi capelli dorati e i tuoi occhi d'ambra. Vorrei dirti che ti amo, che ti ho amato anche quando non lo sapevo. La mia bocca si apre per pronunciarle quelle parole. La richiudo nonostante il dolore sordo all'altezza del cuore.
Non posso dirti che ti amo ancora, perché se tu mi dicessi che non mi vuoi mi sentirei morire.
Sono finalmente arrivata a casa. Dovrei sentirmi sollevata, ma separarmi da te è sempre un dolore fisico.
« Allora buonanotte » mormoro fredda e impacciata.
« Notte » replichi avvicinandoti di un passo.
Il tuo viso è in ombra, ma sei così vicino che mi sento mancare il fiato. La mia mano, posata sul cancello, stringe la sbarra di ferro così convulsamente che potrei anche spezzarla. Baciami, Akito. Niente ha importanza se non il tuo respiro su di me. Allunghi un braccio, quasi a volermi sfiorare e per un attimo mi illudo davvero di sentire il tuo calore sulla bocca.


Mi fissa con quegli occhioni da cerbiatta e il desiderio che mi infuria nel petto è una marea che quasi mi travolge. Vorrei prenderla tra le braccia, schiacciare il suo corpo contro il cancello e baciarla fino a che non mi avrebbe implorato di smettere. Mia. Ti voglio di nuovo mia, Kurata.
Ma tu non vuoi che ti tocchi, e mentre il mio braccio sta già per sfiorarti quel barlume di razionalità mi affiora alla mente, facendomi allontanare di scatto.
Saluto Kurata e inizio a camminare a grandi falcate, prima che la mia impulsività abbia la meglio e mi comporti di nuovo da cretino, meritandomi un altro schiaffo.
« Akito? »
La sua voce nella notte e un gemito soffocato che mi esce dalle labbra. Allora dillo che vuoi la mia morte, Kurata.
Mi giro lentamente e la vedo, incerta, ancora appoggiata al cancello di casa.
« Fra poco sarà la vigilia » mormora guardandomi negli occhi.
Sussulto, trafitto da quelle parole come da una lama e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per nascondere il mio turbamento. La vigilia. Come avevo fatto a dimenticarmene?
« Pensavo di fare una cena, come al solito, a casa mia. Con gli altri ovviamente » si affretta ad aggiungere. « Mi chiedevo... sì, insomma... se volevi venire » bisbiglia guardando a terra.
Per un attimo lo stupore mi lascia imbambolato. Da quando Kurata è così timida? Anzi da quando mi propone di partecipare a una delle sue idee, invece che ordinarmelo con tono perentorio?
Fraintende il mio silenzio e diventando rossa riprende a parlare:

« Se hai altro da fare non importa, sai. Non me la prendo mica! » esclama con una smorfia che immagino dovrebbe assomigliare a un sorriso.
« Verrò » rispondo lapidario.
Stavolta il sorriso sulle labbra è sincero e mi sento scaldare dentro dalla sua espressione soddisfatta.
« Bene. Buonanotte, Akito-kun »
« Hi ».
Tanto lo so che passerò tutta la notte a sognarti, Kurata.

 

 

 

 

(1) Oh, sei così carina
E i brividi nudi della carne e della pelle
Mi tormentavano per tutta la notte
Ora odio lasciarti nuda
Se hai bisogno di me io ci sarò
Non deludermi mai

… stordito da parole sciatte
Intime nella mia mente.

 

 

 

Un caloroso saluto a tutti!
Allora, che dire di questo capitolo? Mi rendo conto che non succede niente di nuovo, ma non potevo proprio resistere all’idea di una passeggiata romantica fra i due piccioncini! Inoltre, anche se non sembra, c’è un dettaglio fondamentale: la vigilia. “Vigilia” sarà il titolo dell’ultimo episodio e la ff si concluderà proprio il 24 Dicembre. Non so cosa ne pensate ma a parer mio è la data perfetta: il giorno del loro bacio – quello che aveva il sapore della labbra di Akito – e quello del loro primo appuntamento.
Detto questo vi volevo anticipare anche un’altra cosa: mi è venuta la malata idea di scrivere un altro episodio su Fuka e Nao, magari stavolta dalla parte di quest’ultimo. ( Luelga posso contare sul tuo appoggio, vero? : ) So che a molti di voi non farà piacere questa informazione, ma spero che avrete pazienza! Un bacio e un abbraccio enorme a tutte le persone che mi fanno sapere le loro opinioni e mi confortano con le loro belle parole!
Il prossimo capitolo si intitolerà “Salto” e finalmente la nostra Sana si darà una svegliata! Ecco lo spoiler:

Hayama per cui Sana era stata così male.
Hayama che Sana amava più della sua vita.
Hayama che era da sempre stato l’ostacolo alla mia felicità.
Quell’Hayama stava uscendo con un’altra ragazza.

 


p.s. Voglio aggiungere che ieri ho scritto una ff su Twilight (precisamente su Renesmee e Jacob), intitolata Touched. Non so a quanti possa interessare come argomento ma se avete tempo sarei veramente felicissima di leggere le vostre opinioni! 

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Capitolo 14
*** Salto ***


 




Salto

 

 

 

Tienimi sul cuore fino a quando passa
questa mia paura,
mio terrore
guardarti dritto in fondo agli occhi e
scoprire ciò che pensi veramente tu di me
lasciami qui
lasciami qui. (…)

 

 






 

 

Nell’aria si sente il profumo del natale: aghi di pino e neve ghiacciata che mi solletica le narici e mi fa arricciare il naso. Le decorazione natalizie brillano sopra la mia testa creando un gioco di colori che normalmente mi avrebbe affascinato ma che ora come ora mi lascia del tutto indifferente. Donne e uomini si affannano per le strade, trascinando buste colme di regali, mentre i bambini cantano carole. Manca ancora una settimana alla vigilia e già tutti sono in fermento. Una smorfia amara mi incurva le labbra mentre fisso una famiglia che indica felice un gigantesco abete.
Natale, il giorno che si passa in famiglia. Natale, il giorno che mi ricorda con metodica certezza che sono solo. La bambina tira il cappotto della mamma indicando lo zucchero filato, un sorriso così dolce che risolleva un po’ il mio umore. In fondo non riesco proprio ad odiare questa festa e l’idea che l’avrei passata all’orfanotrofio, come tutti gli anni.
Il telefono squilla, insistente, richiamandomi bruscamente alla realtà. Cammino per le strade di Tokyo, cercando di ignorarne il rumore. Inutile. Prima che possa impedirlo la mia mano scatta alla tasca e fissa le quattro lettere che illuminano il display: Sana.
Amarezza, rabbia, gelosia.
Calore, speranza, desiderio.
Tutti quei sentimenti in sole quattro lettere. Il groppo in gola è tale da bloccarmi il respiro, inciampo nei miei passi e finisco per andare addosso ad un passante che mi scansa infastidito. Continuo a fissare il cellulare, imbambolato, fino a quando non smette di suonare. Con quella siamo a quota trenta. Trenta chiamate alle quali non ho avuto il coraggio di rispondere, trenta occasioni sprecate per dirle che è stata una scema, la solita scema impulsiva. Ma che l’ho perdonata, che non riesco ad essere arrabbiato con lei per più di cinque minuti.
Vigliacco. Cammino sotto le sgargianti luci natalizie, osservando distrattamente le bancarelle, cercando, con scarso successo, di farla uscire dalla mia mente. L’odore delle castagne arrosto mi solletica le narici e il loro marrone intenso mi ricorda le mille sfumature dei suoi occhi, il sapore caldo delle sue labbra. Digrigno i denti. Così non va.
Sento lo sguardo di alcuni passanti su di me e nascondo ancora di più il viso nella falda dell'impermeabile, desiderando strozzare Maeda per non essersi presentato agli studi così, senza uno straccio di spiegazione, costringendomi a fare mezza città a piedi.
Appunto lo sguardo sulle vetrine dei negozi, provando a non girarmi, a non fissare quel cartellone che ritrae la foto di Sana a grandezza naturale. Bella e solare come solo lei sa essere, spontanea in ogni posa anche se mai come nella realtà.
Il cellulare nella mia tasca vibra, leggo il messaggio con una specie di tuffo al cuore.

 

Naozumi DEVI rispondermi! Non puoi ignorarmi così... Domani ti passo a prendere agli studi, non accetto un no come risposta!
p.s. Se stai pensando di scappare, ricorda che sono molto più veloce di te! Sana-chan

 

Le labbra mi si arricciano in un sorriso. Anche se detesto ammetterlo mi sento lusingato dalle sue attenzioni. Per lei sono importante. Certo non come lui, ma quella è una battaglia persa in partenza.
Il sorriso mi si congela nella faccia appena vedo la zazzera bionda di Akito Hayama dietro il vetro di un bar. Mi irrigidisco, fermandomi istintivamente ad osservare la scena. Non è solo. Il cuore mi si contrae come se qualcuno me lo stesse strizzando perché la ragazza che vedo di profilo potrebbe essere...
Sospiro di sollievo non appena realizzo che non è Sana ma solo una che le assomiglia. Mi avvicino ancora di più al vetro, incuriosito.
È la ragazza dell'appuntamento al parco – me ne accorgo con un sussulto – quella con quegli occhi così insolitamente neri e il sorriso simile a quello di Kurata. Cosa sta combinando insieme ad Hayama? Seduti in un bar, una tazza fumante fra le mani, i visi che quasi si sfiorano. Akito si tira indietro con uno scatto e una smorfia imbronciata, ma la ragazza – Buka? Fuka? Il nome affiora con difficoltà alla mia mente – non si lascia scoraggiare e gli dà un buffetto sul braccio. Ride, il suo sorriso è davvero bello, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è la voglia di spaccare la faccia ad Hayama. Una gran rabbia mi gonfia il petto, le nocche delle mani sbiancano per il troppo stringere i pugni, mentre continuo a rimanere lì, ipnotizzato dalla scena che ho di fronte.
Hayama per cui Sana era stata così male.
Hayama che Sana amava più della sua vita.
Hayama che era da sempre stato l’ostacolo alla mia felicità.
Quell’Hayama stava uscendo con un’altra ragazza.
Mi ritrovo a ridere, di un riso isterico e malsano. Avrei dato un braccio per essere al suo posto, per vedere gli occhi di Sana accendersi di piacere al solo sentire pronunciare il mio nome e quel perfetto idiota sta gettando tutto al vento. E per la sua migliore amica.
Sana ne sarà straziata.
L’immagine del suo volto distrutto mi appare in un flash improvviso, mi si piegano le ginocchia, tutto il mio essere che urla un silenzioso “NO”.
Non dovrà saperlo.
È una decisione repentina, irrazionale, che però mi fa sentire un po’ meglio. Perché? Sussurra una vocina malvagia nel mio orecchio. Per tutta la vita non ha fatto che illuderti e prenderti in giro, ti ha rifiutato così tante volte che hai perso il conto. Per lui. Per quell’odioso bulletto che se la fa con un’altra. Perché dovresti coprirlo? L’idea di trascinare Sana di peso fino a lì per farla assistere a quello spettacolo - per farle vedere che razza di persona è il ragazzo di cui è tanto innamorata - mi si affaccia alla mente, seducente e accattivante come poche. Schiaffarle in faccia la verità, così come lei mi aveva schiaffato in faccia i suoi mille rifiuti.
Ma non sarebbe cambiato niente.
Sana avrebbe comunque continuato ad amarlo. Lo sapevo e quella consapevolezza bruciava come fuoco. Lo avrebbe amato anche se fosse diventato un assassino.
Non sarebbe cambiato niente se non il suo sguardo.
Avrebbe avuto di nuovo quegli occhi vuoti, privi di vita, e quella espressione sofferente, come se le stessero dilaniando le viscere. Mi basta il ricordo del suo viso cinereo per desistere da ogni mio proposito di vendetta e per arrossire per i miei pensieri infantili. Se sono condannato a recitare la parte dell’amico, tanto vale che cerchi di esserlo nel modo migliore.
Contraggo la mascella, lanciando un’occhiata di fuoco ad Akito. Forse voglio ancora proteggere Sana, ma Hayama non la passerà liscia, questo è sicuro.
Mi siedo in una panchina poco distante, aspettando pazientemente che esca dal bar.


 

***

 


Fuka esce dal negozio, ed io la seguo a ruota, vagamente nauseato dalla piega degli eventi.
« Ci troviamo domani alla stessa ora, ok? » domanda con un sorriso caldo ad arricciarle le labbra.
« Tsk » bisbiglio, ma tanto quella non mi sta più ascoltando e si allontana veloce verso casa.
La mia massima aspirazione in questo momento è di imitarla e magari gettarmi sotto il getto bollente della doccia, per scacciare la strana tensione nervosa che avverto nei muscoli. Con la coda dell’occhio vedo un individuo avvicinarsi e mi volto, assumendo istintivamente una posizione di difesa.
Quando mi accorgo che si tratta del damerino, incappucciato in un impermeabile assurdo, mi scappa quasi da ridere.
« Che vuoi? » chiedo lapidario, mentre gli occhi mi si incupiscono.
« Chiederti perché devi essere così esageratamente stronzo » replica freddo.
Mi accorgo solo in quel momento che il suo sguardo è pieno di rancore e rabbia, in modo ancora più intenso del solito.
« Di che diavolo parli, Kamura? » chiedo sbuffando.
Ci mancava proprio l’ennesima paternale, per giunta da parte di uno che non sa neanche allacciarsi le stringhe da solo. Possibile che per tutti io non faccia che commettere errori?

« Hai anche il coraggio di fare il finto tonto? » domanda seccato.
Ok, c’è decisamente qualcosa che non va. Fra me e Naozumi non c’è mai stato buon sangue, ma da come mi fissa, dalla piega feroce delle sue labbra, sembra che si stia trattenendo dal saltarmi al collo.
Infilo le mani in tasca e gli do le spalle, intenzionato ad evitare le sue insulse accuse.
« Sei così codardo, Hayama, da non riuscire nemmeno a fronteggiarmi? Oppure a forza di risolvere le questioni con i pugni ti sei dimenticato come si fa a parlare? » sfotte ironico.
Mi volto di scatto, fulminandolo. L’occhiata che gli lancio è di chiaro disprezzo.
« Se hai tanta voglia di dare aria alla bocca, che ne dici di arrivare al punto, invece che farmi perdere tempo? »
Il damerino freme, stringendo le mani convulsamente.
« Il punto è, Hayama, che appena Sana ti volta le spalle, te la fai con un’altra >>
Sgrano gli occhi, stupito, e sento la rabbia crescermi nel petto. Se voleva attirare la mia attenzione, c’è riuscito in pieno. Chissà se è anche disposto a pagarne le conseguenze.
« Adesso ti metti a pedinarmi, Kamura? » chiedo minaccioso.
« Hai idea di quanto Sana starebbe male se lo venisse a sapere? » prosegue ignorando la mia domanda.
« E scommetto che tu muori dalla voglia di dirglielo, eh? » domando ironico.
I suoi occhi si spalancano e un lieve rossore gli colora le guance. Ho fatto centro, a quanto pare.
« Dammi un buon motivo per coprirti » nel pronunciare queste parole ritrova la sua sicurezza e mi fissa negli occhi. « Dimmi che mi sbaglio, che non era un appuntamento. Promettimi che non le farai del nuovo del male ».
È l’ultima frase a mandarmi il sangue al cervello.
« Io NON le ho mai fatto del male! » sbottò riducendo con un passo la distanza che ci separa e afferrandolo per il bavero della giacca. La sorpresa e la paura nei suoi occhi non mi impedisce di ringhiargli in faccia tutta la mia frustrazione. Il nervosismo era già alle stelle prima che ci si mettesse questo impiastro, e quando si tratta di Kurata reprimere i sentimenti diventa quasi impossibile. « Piuttosto che pensare a quello che faccio io, perché non ti fai da parte una volta per tutte e la lasci in pace? Ma è più facile scaricare la colpa sugli altri… ti senti meglio se dipingi me come un mostro, eh? » soffio ad un centimetro dal suo volto paonazzo. « Fatti un esame di coscienza prima di aprir bocca! »
Il tono della mia voce è così alto che alcuni passanti si fermano ad indicarci, preoccupati. Kamura afferra il mio braccio, cercando vanamente di scansarlo. La mia presa è ferrea e determinata come il mio proposito di spaccargli la faccia.
« Di cosa parli? »
« Qualche sera fa ho trovata Kurata, da sola, di notte, in un parco deserto. Non sembrava proprio il ritratto della felicità, sai, e mi ha detto di essere stata da te » l’espressione del damerino – lo stupore che cede a poco a poco il posto allo sconforto – non mi ammorbidisce neanche un po’. « A quanto pare non sono l’unico a farla soffrire ».
Mi fissa, imbambolato, senza riuscire a spiccicar parola. Devo fare forza su ogni fibra del mio essere per allentare la presa sul suo impermeabile e lasciarlo libero. Quello si risistema con uno sguardo vagamente allucinato, fissandomi come se mi vedesse per la prima volta.
« I miei errori non ti danno il diritto di prenderla in giro » afferma infine, il viso pallido e bianco come un morto.
« I tuoi errori non ti danno il diritto di venire qui e dirmi come mi devo comportare » lo scimmiottò freddo e intenzionato a troncare la conversazione prima di perdere l’autocontrollo faticosamente raggiunto.
Il damerino sorride, ma è un sorriso amaro, che non raggiunge gli occhi, bassi e cupi.
« Bene, allora mi limiterò a un consiglio ».
Inarco un sopracciglio e lo guardo strafottente. La frase “Non so che farmene dei tuoi consigli” mi si legge chiaramente in faccia; ma quello prosegue noncurante.
« Non vederti con Fuka domani ».
Lo guardo allibito, senza capire se ha del fegato o è masochista.
« È una minaccia? » il tono è ironico, ma sono tutto un fascio di nervi, la voglia di zittirlo un tarlo che corrode a poco a poco la mia buona volontà.
Naozumi scuote la testa.
« È un avvertimento » conclude fissandomi negli occhi. « Se tieni a Sana, non vederla ».

Con quell’ultima frase a mo’ di saluto, si allontana (1). Abbasso la testa, fissando il marciapiede grigio e freddo ai miei piedi.
« Ma è proprio per Kurata che lo faccio » bisbiglio a voce talmente bassa che Naozumi non può sentirmi.
Gli do le spalle, dirigendomi verso casa, il passo lento e trascinato. Maledetto Kamura. Se già il mio umore era cupo, adesso è decisamente pessimo. E la voglia di spaccargli la faccia è ancora lì, annidata da qualche parte, implorando di fuoriuscire e potersi sfogare su qualcosa invece che divorarmi da dentro.
Cammino cupo, perso nei miei pensieri, preoccupato per l’appuntamento dell’indomani con Fuka. Arrivato di fronte a casa mi paralizzo e la bocca mi si spalanca in un’espressione comica, che mi affretto a reprimere. Kurata è appoggiata al mio cancello, con tutta l’aria di stare aspettando proprio me.

 

 

 

 Perché qui
Qui c’è un tetto di stelle
E un oceano di pelle
E un deserto di voci
E un tepore di baci
Perché qui
Qui non passa più
niente

Qui non passa che il tempo
E si scioglie in un momento
Perché qui
È passato l’amore ad un passo da me
.
Qui Nomadi

 

 
 

 

Sono appoggiata al cancello, le sbarre fredde premono contro la mia schiena acuendo la sensazione di disagio che mi permea tutto il corpo. I residui dell’incubo della sera prima sono ancora lì, serpenti invisibili che strisciano e sibilano nella mia testa.
Sento un rumore leggero di passi e prima ancora di sollevare la testa a fissarlo, già mi ritrovo il cuore in gola.
Akito Hayama cammina verso di me, i capelli scompigliati dal vento, il viso pallido e una smorfia indecifrabile sul volto. I suoi occhi, liquidi come il miele dorato, sono appuntati su di me, sgranati per lo stupore. Mi basta vederlo perché la morsa che mi paralizza le gambe si allenti un po’.
È qui. Era solo un sogno.
Dischiudo le labbra in un sorriso, impacciata come una bambina di due anni.
« Kurata » mi saluta fermandosi ad alcuni passi di distanza.
Troppo lontano. Ho bisogno delle tue braccia intorno al corpo, Akito. Queste parole non riesco a pronunciarle ad alta voce, ma forse qualcosa si riflette nel mio sguardo, perché i lineamenti di Akito si distendono e i suoi occhi mi sfiorano caldi come una carezza.
« Io… avevo bisogno di vederti » mormoro sfacciatamente sincera.
Avevo bisogno di sapere che ci sei, che ci sarai sempre. Le immagini dell’incubo mi affiorano alla mente, sovrapponendosi alla realtà.
Una stanza vuota, fredda, giocattoli rotti gettati per terra. Sono riversa sul pavimento, incapace di reggermi sulle gambe, i muscoli che non rispondono ai miei comandi.
« Perché? » chiede osservandomi attentamente.
Una porta nera si apre e appare Akito, il cuore mi fa una buffa capriola nel petto ma il gemito di gioia mi muore sulle labbra appena vedo lo sguardo di disprezzo che mi rivolge. Mi dà le spalle, come se fossi qualcosa di completamente insignificante. Lo chiamo, allungo il braccio verso di lui, ma quello continua ad ignorarmi come se fossi solo un insetto fastidioso.
« Io… » non riesco a parlare, gli occhi sbarrati, il corpo scosso da brividi che non sono provocati dal freddo.
« Hayama! » urlo dando fiato a tutti i miei polmoni, ma Akito si allontana, le mani in tasca, il passo noncurante. Un corridoio stretto e lungo appare d’improvviso e la sua figura è sempre più distante. Vorrei alzarmi, mi graffio le cosce per il desiderio di raggiungerlo, ma sono paralizzata, bloccata al suolo. Schiacciata dalla consapevolezza, istintiva e implacabile, che se non lo fermo lo perderò per sempre.
« Kurata… » dice Akito con voce insolitamente dolce, annullando la distanza che ci separa. Il tempo di un respiro e mi ritrovo fra le sue braccia, il profumo di bucato dei suoi vestiti che mi solletica le narici. Le mie mani stringono spasmodicamente la sua giacca, mentre con un sussulto nascondo la testa nell’incavo della sua spalla.
« Hayama, ti prego! »
Questa volta si gira, il suo viso distorto da un sorriso affilato e spietato. I suoi occhi duri come quando era un bambino delle elementari arrabbiato con il mondo e con se stesso.
« Cosa diavolo vuoi Kurata? Sei stata tu a dirmi di non toccarti, ricordi? Adesso sparisci! »
Si volta, riprendendo a camminare e questa volta l’urlo mi muore in gola, soffocandomi.
« Sono qui » mormora semplicemente.
Bastano quelle due parole a riportarmi alla realtà. Ero lì, ero con Hayama. Il suo corpo muscoloso, i suoi capelli soffici, i suoi occhi preoccupati. Prima ancora che me ne renda conto avvicino le mie labbra alle sue, lasciandomi guidare dall’istinto.

Un salto nel vuoto.
Per un lungo, terrificante attimo Akito rimane perfettamente immobile, gli occhi sgranati, un’espressione quasi comica. La sensazione è quella di buttarsi in un precipizio senza paracadute e mentre trattengo il respiro, sento la terra mancarmi sotto i piedi. Poi le sue labbra calde si dischiudono e le sue braccia mi cingono i fianchi in una morsa. Mi sembra quasi di galleggiare, la legge di gravità non ha più alcun valore per me.
Bacio Akito, gettandomi contro il suo corpo, artigliandogli la giacca, mentre la sua lingua si intreccia alla mia e un gemito roco, di piacere e sorpresa insieme, gli esce dalle labbra. Le sue dita risalgono la mia schiena in una carezza lenta, fino a fermarsi alla nuca e i brividi di desiderio mi sconquassano il corpo. Il suo tocco impaziente e le sue labbra di miele sono il paracadute di cui avevo bisogno, la perfezione di quel momento è tale che vorrei piangere.
Akito si stacca, un’espressione stupefatta, ma anche un timido, tremulo sorriso che mi fa venire subito voglia di baciarlo di nuovo.
« Mi hai baciato. Tu hai baciato me » mormora con un tono buffissimo.
Sorrido, chiedendomi se i miei occhi riflettano anche solo un decimo della gioia che provo in quel momento.
« Stavolta era il mio turno di coglierti di sorpresa » soffio scherzosa con le labbra a pochi centimetri dalle sue.
Questa volta il sorriso sboccia sul volto di Hayama, un evento così raro da lasciarmi ogni volta senza fiato.
« Allora adesso tocca di nuovo a me » mormora prima di sfiorare di nuovo le mie labbra.
È un bacio diverso da quello frenetico e irruento di poco prima. Stavolta le sue labbra sono dolci, lievi come una piuma. Mi cinge la vita, stringendomi a sé, il senso di completezza che mi dà il fatto di essere fra le sue braccia mi fa sorridere, mentre ricambio con slancio e delicatezza insieme i suoi baci e le sue carezze.
È un bacio lento, profondo, di quelli che non ti tolgono il controllo, ti lasciano lì, consapevole del suo odore, della sua pelle, delle sue labbra, ti lasciano lì e ti fanno desiderare di non trovarti mai in un posto diverso dalle sue braccia.
Allontano la testa con un sospiro soddisfatto, scrutando il suo viso. Akito ricambia lo sguardo, i suoi occhi sono così intensi da ipnotizzarmi e scacciare definitivamente ogni residuo dell’incubo.
« Io e Naozumi non stiamo insieme » gli comunico, di nuovo timida. Lo guardo di sottecchi, apparentemente è impassibile ma la presa sui miei fianchi si fa quasi dolorosa.
« In realtà non siamo mai stati insieme » chiarisco.
« Ah » mormora atono.
Gli rivolgo un sorriso impacciato, pensando distrattamente che Rei si farà venire un infarto se non torno a casa entro dieci minuti.
« E quella sera al parco? » chiede inchiodandomi con lo sguardo.
La sera in cui ero quasi andata a letto con Nao. Divento scarlatta, troppo impacciata per raccontargli la verità, troppo gelosa di quel momento perfetto per rovinarlo con un altro litigio. Boccheggio, in cerca di un modo – uno qualsiasi – per cavarmi dall’imbarazzo. I secondi diventano minuti e quell’attesa silenziosa mi fa agitare ancora di più.
Improvvisamente il volto di Akito si fa più vicino, troppo per il mio cuore irrequieto, le sue labbra sono appena a un soffio di distanza…
« Toc, toc. C’è qualcuno in casa? » chiede beffardo picchiettando con un dito la mia fronte.
Lo fisso allibita, con i denti che si contraggono pericolosamente.« Non guardarmi così. Stavi andando in iperventilazione, ho solo voluto sdrammatizzare » replica come se fosse la risposta più ovvia del mondo.
« Akito Hayama! » urlo gesticolando come una matta. « Sei sempre il solito! »
Mi fingo infuriata, ma la realtà è che faccio fatica a trattenere un sorriso. Finisce sempre così, fra noi.
« Mamma mia, come se permalosa » sbuffa con le mani dietro la testa.
Rimaniamo in silenzio per un po’, fissandoci negli occhi. Inspiegabilmente è Akito ad abbassare per primo lo sguardo.
« In realtà non mi importa, sai » mormora a voce bassissima.
« Eh? » domando disorientata dai suoi continui cambiamenti di umore. Come eravamo finiti dai tono scherzosi di pochi secondi prima alla sua faccia di nuovo cupa e guardinga?
« Non mi importa se sei andata a letto con lui ».
Questa volta mi fissa in viso, uno sguardo talmente determinato che mi sento in trappola. Il rossore ritorna alle guance, e così il divagante imbarazzo.
« Io… ehm… » balbetto sentendomi una perfetta cretina.
« Ti ho detto che non importa ».
La sua voce è metallica, il suo sguardo duro: acciaio e oro fusi nei suoi occhi.
« Come vuoi » rispondo pensando che invece non va affatto bene, che ti dovrei urlare che… che cosa? Che ti sei fermata solo all’ultimo? Che ti sei lasciata baciare, toccare, spogliare? Vuoi davvero dirgli queste cose? La vocina cattiva che mi risuona nelle orecchie mi convince a lasciar cadere l’argomento. « Adesso devo andare. Ci sentiamo per la vigilia, ok? » gli domando vincendo il nervosismo e facendomi più vicina.
Hayama annuisce, come paralizzato. Deposito un innocente bacio a stampo sulle sue labbra prima di allontanarmi, un sorriso ebete stampato in faccia.
Arrivata a casa mi getto sul letto, abbracciando il cuscino, con la certezza per la prima volta dopo chissà quanti mesi che le cose sarebbero andate bene.
E quella sera, finalmente, Naozumi rispose alla mia telefonata.

 



 

 

(1) in questo momento si colloca il flashback dell’undicesimo capitolo “Rimpiazzo”: l’incontro nella gelateria di Naozumi e Fuka.
 

 

 

 

Ciao a tutti!
Per questo capitolo che è stato abbastanza sofferto un grazie speciale va a Luelga. Nella parte finale ho descritto una scena che spero essere abbastanza dolce ( almeno queste erano le mie intenzioni) fra Sana e Akito, ma la mia vena sadica ha previsto un altro ostacolo al loro rapporto che immagino abbiate intuito dalla parte iniziale del capitolo. Comunque siamo verso la fine e presto tutti i nodi verranno al pettine!
I protagonisti del prossimo episodio sono di nuovo Fuka e Naozumi, per maggiori delucidazioni vi rimando all’incipit di esso ( il titolo credo che sarà “Gelosia”). Un piccolo spoiler:

Uno strano fastidio mi stringe le viscere. Chi è quello
? Fuka ha la schiena rigida e mi chiedo se il motivo sia solo per il nostro litigio e non l’incontro con questo sconosciuto.
(…)
<< Takaishi… perché sei qui? >> domanda Fuka esitante
. 

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Capitolo 15
*** Gelosia ***


 



Gelosia




 



 

 

Ciao a tutti!
In questo capitolo i protagonisti sono di nuovo Fuka e Nao.
Gli eventi narrati non hanno direttamente a che fare con la ff e si svolgono alcuni mesi dopo che Fuka e Nao si sono messi insieme ( dopo “Rimpiazzo”); quindi, all’incirca, ci troviamo a primavera.
Buona lettura!

 


 

 

 

I was dreaming of the past
And my heart was beating fast
began to lose control
didn't mean to hurt you
sorry that I made you cry
Oh no, I didn't want to hurt you
I'm just a jealous guy
I was feeling insecure
You might not love me anymore
I was shivering inside” (1)
Jealous Guy John Lennon

 

 

 

 

 

 

« Nao, sai che hanno aperto un nuovo parco giochi vicino al centro? »
Annuisco, troppo esausto per rispondere. Le prove per le riprese dello spot con Sana mi hanno sfinito fisicamente ed emotivamente, il giro di shopping con Fuka, poi, mi ha dato il colpo di grazia.
« Potremo andare a darci un’occhiata, che ne dici? » esclama allegra.
« Adesso? » chiedo con voce funerea.
« Ma no, sciocco! » risponde dandomi una gomitata nel fianco. « Intendevo in questi giorni ».
Sospiro di sollievo, riuscendo anche ad improvvisare un sorriso. Inizia a parlare a ruota libera di autoscontri, ottovolanti e non so cos’altro. Mi massaggio le tempie, guardandola di sottecchi.
Fuka è adrenalina allo stato puro. Tutto in lei, dai capelli che le svolazzano sulle spalle al rossore che le anime le guance, parla di vitalità e energia. Ci sono giorni in cui mi basta posare lo sguardo sui suoi occhi neri, baciare le sue labbra morbide e dolci, per sentirmi in grado di affrontare qualsiasi cosa.
«… e lo zucchero filato che fanno in quella bancarella è fenomenale! »
Annuisco fingendomi partecipe, mentre circondo con un braccio la sua vita e la stringo a me. Il suo profumo, fresco e delicato, mi invade le narici, procurandomi un brivido involontario. La tentazione di chiuderle la bocca con un bacio è forte, ma sono sicuro che Fuka non la prenderebbe bene se la interrompessi mentre mi parla di “argomenti seri”.
Aumento l’andatura, ansioso di riportarla a casa il prima possibile.
Probabilmente intuisce che non le sto prestando attenzione perché alza la voce di un’ottava, perforandomi i timpani.
Impreco fra me e me. Ci sono giorni in cui il brio di Fuka mi dà la carica, ma delle volte vorrei solo sapere da che parte si trova l’interruttore per spegnerla e rilassarmi un po’. Sorrido, dando fondo a tutte le mie doti da attore per risultare credibile.
Fuka si ferma in mezzo alla via e mi guarda dubbiosa, facendo oscillare pericolosamente la busta con i suoi acquisti. Inghiotto la saliva, vagamente preoccupato: non è da escludere che me la dia in testa se scopre che pensavo ad altro.
« Ti ho fatto una domanda, Nao. Ma scommetto che non mi stavi ascoltando, vero? » chiede fulminandomi con un’occhiata.
Ahia.
« Ma no, che dici… Certo che ti ascoltavo… » cerco di recuperare maldestramente.
« E allora qual è la tua risposta? » chiede con un’espressione sempre più fosca.
« Ehm… » bisbiglio. «» butto lì, incrociando le dita.
Fuka sembra improvvisamente raddolcita. Mi rivolge uno di quei sorrisi grandi e luminosi che mi hanno fatto innamorare di lei e mi si avvicina lentamente. Le sue labbra sfiorano le mie in un lieve tocco, mentre io sospiro per il sollievo e per la sensazione del suo corpo morbido fra le braccia.
« Nao… » bisbiglia contro il mio orecchio « Lo sai che hai appena acconsentito a fare un giro sulle montagne russe con me? » conclude con un sorrisetto ironico, fissandomi dritta negli occhi.

Montagne russe? La mia faccia terrorizzata è esattamente la reazione che si aspettava. Fuka si scioglie velocemente dal mio abbraccio e mi punta un dito contro:
« Tu non mi stavi ascoltando affatto! Mi hai lasciato parlare da sola come una cretina per dieci minuti! » sbotta furiosa.
« Hai ragione, ti chiedo scusa » replico conciliante.
« Scusa un corno! Potevi dirmelo che non ti interessava quello che dicevo ».
Il mal di testa è ormai assicurato. Sotto lo sguardo inceneritore di Fuka, cerco di trovare un'altra giustificazione.
« È solo che è stata una giornata davvero terribile, Sana e… »
Mi rendo pienamente conto della mia gaffe, solo quando vedo l’espressione ferita e sofferente di Matsui. Come se le avessi appena dato un pugno allo stomaco.
I suoi occhi scuri si spalancano e le labbra acquistano quella piega amara che ricordo bene. Ho già visto questa espressione: il modo in cui porti una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed abbassi la testa per non farmi scorgere la tempesta che si agita nei tuoi occhi scuri come pece. Il modo in cui stringi le labbra, serrandole fino a farle sbiancare. Fai così ogni volta che pronuncio il nome di “Sana” e cerchi di nasconderlo con un tremulo sorriso. Fai così ogni volta che muori di gelosia.
« Sana? » chiede con tono stridulo, metallico.
Scatto in avanti, con il cuore che batte a mille per l’ansia. Che stupido che sono. Come ho fatto a chiamarla così?
« Fuka, è stato un lapsus » affermo sicuro mentre lei cerca di divincolarsi. « È solo che abbiamo passato tutto il giorno insieme negli studi, a provare spot su spot… »
Improvvisamente alza il viso, lasciandomi intravedere le lacrime che lottano per uscire dai bordi delle sue ciglia.
« E magari vorresti essere con lei anche adesso, eh? » domanda con voce rotta.
« Ma che dici… »
La mia replica suona debole persino alle mie stesse orecchie. Fuka si libera della mia stretta e distoglie lo sguardo, aggiungendo con un tono freddo e formale che non è da lei:
« Grazie per avermi accompagnato. Da qui posso andare avanti da sola ».
« Fuka! » le urlo dietro, mentre quella inizia a correre verso casa.
Rimango immobile, interdetto. Una parte di me vorrebbe inseguirla e baciare le sue guance bagnate di lacrime, l’altra mi sta ancora dando del cretino per quell’uscita infelice. “È solo perché ci ho passato tutto il giorno insieme”. Che scusa patetica. Mi stupisco che non mi abbia mollato un ceffone. Un dubbio si insinua lento ma inesorabile nella mia mente. Era davvero solo per quello che l’avevo chiamata Sana? Certo, quei mesi insieme a Fuka erano stati fantastici. Ma avevo imparato ad amare Sana ancora prima che a camminare, come potevo essere certo di averla davvero dimenticata?
Le sue chiome mogano e la sua pelle pallida affiorano alla mia mente con naturalezza, come se la sua immagine fosse stata sempre lì, in attesa di essere chiamata. Il modo in cui si mordicchia il labbro, gli occhi dello stesso colore del cioccolato…
Improvvisamente i capelli di Sana divengono neri come l’ebano, le sue labbra più piene, gli occhi così scuri da prosciugare ogni mio indugio. Fuka.
Le corro dietro, chiedendomi che cosa diavolo stessi facendo. Kurata è il passato, Fuka l’unica che sia riuscita a farmela dimenticare.
Aumento il passo, sentendo una spiacevole fitta al fianco, sperando di raggiungerla prima che entri in casa.
Finalmente la vedo, in fondo alla via, con le chiavi in mano.
« Fu…» il grido mi muore in gola appena mi rendo conto che c’è un altro ragazzo con lei.
Uno strano fastidio mi stringe le viscere. Chi è quello? Fuka ha la schiena rigida e mi chiedo se il motivo sia solo per il nostro litigio e non l’incontro con questo sconosciuto.
Un istinto inspiegabile mi spinge ad avvicinarmi in silenzio e spiare la conversazione da dietro un basso muretto. Nemmeno la consapevolezza che se Fuka mi vede fare una cosa del genere per me è davvero finita, mi fa desistere da questo insano proposito.
“Forse è un malintenzionato e potrebbe aver bisogno del mio aiuto… “ penso per mettere a tacere la mia coscienza.
« Takaishi… perché sei qui? » domanda Fuka esitante.
Quindi lo conosceva. Il fastidio alle viscere si fa d’improvviso più consistente.
« Avevo bisogno di parlarti » replica quello avvicinandosi di un passo.
Takaishi. Quel nome mi suona stranamente familiare. Osservo attentamente i lineamenti decisi del suo viso, il mento pronunciato, gli occhi e i capelli scuri quasi quanto quelli di Fuka; sicuro di non averlo mai incontrato prima.
« Io… ho capito di aver fatto un errore » mormora a fatica, un’espressione sofferta negli occhi.
In un lampo improvviso mi ricordo quando ho già sentito il suo nome e stavolta mi sembra che le viscere me le stiano asportando. Takaishi era il nome del suo ex.
Fuka giocherella nervosamente con il mazzo di chiavi.
« Che… che genere di errore? » chiede balbettando.
« Sono ancora innamorato di te, Fuka » afferma sicuro, guardandola fisso negli occhi e allungando una mano ad afferrare la sua.
Un alito di vento solleva i capelli e la gonna di Fuka, mentre quella rimane immobile, come pietrificata. Conficco le unghie nel muretto, dimenticandomi quasi di respirare. Il cuore mi rimbomba nel petto così forte che faccio fatica a sentire il resto della conversazione.
« Lo so che avevo detto che la distanza era un ostacolo troppo grande… » prosegue, visto la mancanza di reazioni di Fuka. « che una relazione del genere faceva male a tutti e due...ma soffro ancora di più se non ti vedo o non ti sento per niente ».
Fuka mi dà le spalle e non poter vedere il suo viso mi sta facendo impazzire. C'è stupore sul suo volto? Fastidio? O forse... possibile che vi sia gioia?
« Tu... cosa ne pensi? » le chiede Takaishi.

Era stato il suo primo amore. Me lo ricordo con un sussulto e sento un sapore amaro in bocca. Cosa mi sta succedendo? Perché mi tremano le mani e ho questo groppo in gola?
« Io... » la voce di Fuka, esitante e smarrita, è come un colpo di frusta per i miei nervi tesi. « sono stata molto male quando mi hai lasciata, Takaishi ».
Il viso del suo ex si distende in un sorrisetto, incoraggiato da quella ammissione.
Geloso.Sono dannatamente, irrimediabilmente geloso. Me ne rendo conto con fatica e stupore insieme perché da sempre la parola gelosia per me è stata sinonimo di Akito Hayama. Ma adesso c'è Fuka e io sono così stupido da rischiare di perderla e rimanere qui fermo, a guardare.
« Però adesso ho un altro ragazzo » aggiunge Fuka con voce più sicura.
Il viso di Takaishi si rabbuia mentre adesso sono io a sorridere, rincuorato dalla sua risposta. Un flash di tutti i bei momenti passati insieme si affaccia alla mia mente.
La prima volta che l'avevo incontrata e quel suo sorriso, i denti bianchi contro il rosso carminio delle labbra.
« Eppure... non mi sembri molto felice, Fuka-chan » prosegue fissandola attentamente.
La sera che l'avevo baciata in quel vicolo, il rumore dei nostri respiri coperto dal vento.
Fuka sposta il peso da un piede a un altro, anche se di schiena capisco che si trova in imbarazzo e mi sento di nuovo un macigno sul petto, a comprimere la cassa toracica.
È vero, Fuka? Non sei felice insieme a me?
« Abbiamo litigato » confessa di malavoglia.
Takaishi avanza ancora, appoggiandole una mano sulla spalla, forse per consolarla.
Non toccarla. Vorrei gridarlo, invece mi ritrovo a fissare quella mano, come ipnotizzato, sperando con tutto me stesso che Fuka si allontani, che lo scansi. Che torni da me.
Come la volta che era rimasta a dormire a casa mia e avevamo guardato le stelle abbracciati sul balcone fino all'alba.
Ma lei rimane immobile e il dubbio di stare per perderla diventa quasi una certezza.
Una parte di me mi implora di muovermi, di intervenire prima che sia troppo tardi. Invece rimango paralizzato ad ascoltare il resto della conversazione.
« Fuka, perché non ci diamo un'altra possibilità? » le chiede Takaishi, sfiorandole una guancia.
Le spalle di Fuka sono scosse da fremiti. La vedo gettarsi fra le sue braccia come al rallentatore. Avevamo fatto l'amore e l'odore della sua pelle – profumo di mandorle e ginepro – mi era rimasto impresso per giorni. O forse era solo il ricordo del suo corpo caldo e dei suoi occhi sgranati, forse era solo il ricordo di lei che non riuscivo a cancellare...

Takaishi la bacia lievemente la fronte e io chino il capo, sconfitto.
Ero davvero un asso quando si trattava di donne. Avevo rincorso per anni una che mi vedeva solo come un amico e trascurato la mia ragazza. Quanto tempo sprecato a chiedermi se avevo fatto la scelta giusta, a chiedermi se con Sana sarebbe stato diverso...
« Non posso, Takaishi, mi dispiace ».
Il senso di quelle parole penetra nella mia mente stanca con lentezza. Alzo il volto di scatto, vedendo una Fuka che scuote la testa, un paio di metri buoni a separarla dal suo ex.
« Sono innamorata di un altro. Ti prego, vattene ».
Quella frase è come una scossa. Takaishi abbassa le mani, stringendo i pugni.
« Sei sicura? » le chiede un'ultima volta, guardandola con un misto di rimpianto e desiderio.
Sei sicura, Fuka?Quella domanda vorrei poter essere io a fargliela. Sei sicura che io sia il ragazzo giusto per te? Sei sicura di poter perdonare la mia insicurezza cronica?
«».
È incredibile come quell'unica parola sia capace di frenare il tremito delle mie mani, di rallentare il ritmo del mio respiro affannoso. Takaishi annuisce, una smorfia di rassegnazione a incupirgli i lineamenti.
Il resto degli eventi è molto confuso. Un momento prima lo osservo darle le spalle e allontanarsi in silenzio, un attimo dopo stringo il corpo tremante di Fuka fra le braccia, divorando di baci la sua bocca, colmando il senso di vuoto con il suo profumo fresco.
Questa non è la prima volta che facevamo l'amore. Eppure mentre la sua mano mi guida dentro la casa, su per le scale, verso la sua stanza, avverto una strana morsa al petto. Ansia e tepore insieme. Sollievo per le parole che le avevo sentito dire e timore di non meritarmele. Di non essere degno dei suoi grandi occhi sinceri, del suo sorriso sbarazzino, delle sue labbra rosse.
Affondiamo nella marea di cuscini colorati che le copre il letto, le nostre mani che si cercano frenetiche, infilandosi frettolosamente sotto i vestiti, ansiose di sentire il calore di pelle contro pelle. Quella di Fuka è calda e pallida come la luna. La bacio, mordicchiandole il labbro, sfiorando con la mano il suo seno soffice e le sue cosce dischiuse.
Non era la nostra prima volta eppure i suoi occhi non erano mai stati così profondi, la sua bocca così avida. Ed io non sono mai stato così impaziente di farla mia. Le mie dita le percorrono la pelle, quasi graffiandola, lasciando segni rossi a marcare il loro passaggio.
La sensazione del suo respiro sulla pelle è nuova e conosciuta al contempo.
Ho rischiato di perderti e ora è come se ti vedessi per la prima volta, Fuka.
Continuo a baciarla, inebriato dal sapore dolce delle sue labbra mentre con un gesto deciso le sollevo la gonna. Fuka geme, sorpresa per la mia mossa improvvisa. Le sue labbra si arricciano in quel sorriso malizioso ed invitante che ha solo quando siamo sotto le lenzuola, mentre le sue mani salgono a sbottornami la camicia. Me ne libero velocemente e finalmente mi distendo sopra di lei, il suo corpo che si inarca sotto il mio, la sua bocca che mi viene incontro, giocosa. Tutto questo tempo a gurdare Sana con rimpianto misto a rassegnazione e non mi ero reso conto di quanto Fuka fosse importante per me. Vorrei poter dire che, anche se in ritardo, ho finalmente capito che lei l'unica che voglio, ma la gola è improvvisamente secca e lascio che a parlare siano i nostri corpi che si intrecciano mentre le mie labbra accarezzano la punta di un suo seno. 

Fuka mi sbottona i pantaloni e le sue mani mi sfiorano in una carezza lenta e provocante. I pochi vestiti rimasti cadono ai piedi del letto con un suono soffocato, mentre ogni cellula del mio corpo anela il contatto con la sua pelle liscia e profumata. Ginepro. L’odore dei suoi capelli, del suo collo, del ventre liscio e compatto, l’odore di Fuka.
L’odore della donna che amo.
Entro in lei, le sue gambe che si avvolgono intorno ai miei fianchi, il suo ansimare lieve che mi risuona nelle orecchie. Fisso incantato il suo volto e i suoi occhi sono due buchi neri che mi risucchiano l'anima. E mentre i nostri corpi si muovono all'unisono, in un ritmo sempre più dolce ed incalzante, il suo nome è l'unica cosa che mi riempie la mente.

 

 

 


 

(1) Stavo sognando il passato
E il mio cuore batteva in fretta
Ho cominciato a perdere il controllo
.
Non era mia
intenzione ferirti
Mi dispiace averti fatto piangere
Oh no, non volevo ferirti
Sono solo un ragazzo geloso
Mi sentivo insicuro
Avresti potuto non amarmi più
Stavo tremando dentro di me.

 

 

 

 

Ciao a tutti!!
Allora questa è la prima scena di sesso che descrivo in assoluto quindi non so se sia venuta propriamente bene… non mi pare troppo esplicita ( anche tenendo conto del rating) ma neanche eccessivamente sdolcinata; ovviamente se avete critiche di qualsivoglia genere sono più che disposta ad accettarle e magari ad apportare delle modifiche!
Quanto alla momentanea debolezza di Fuka quando rivede Takaishi spero che sia comprensibile, in fondo ne era stata innamorata per anni e lo stesso per la “cronica insicurezza” di Nao. Capita di dare per scontato quello che si ha fra le mani, sognando qualcosa di impossibile. Comunque con questo capitolo la parentesi Fuka e Nao si chiude definitivamente, spero che vi sia piaciuto almeno un po’! Voglio ringraziare come sempre tutti quelli che leggono, lasciano recensioni, mettono la mia storia fra le preferite/ricordate/seguite. Ma in particolare il mio grazie va a Laplop, per i suoi splendidi papiri, e a Silvia123, le cui recensioni sono sempre Il prossimo episodio l’ho scritto solo per metà, quindi per questa volta non vi lascio lo spoiler. Vi chiedo scusa ma è un periodo davvero turbolento e segnato da esami stressanti. Inoltre mi piacerebbe che la ff finisse il 24 Dicembre ( cioè sabato prossimo) visto che il titolo sarà Vigilia… non so se riuscirò a scrivere in tempo due capitoli, visto gli impegni suddetti ma proverò a pubblicare un po’ prima il prossimo episodio, tipo verso giovedì… Vedremo! Un bacio e un saluto a tutti incoraggianti! Grazie davvero, ragazze! : )

Ely


 

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Capitolo 16
*** Equivoco ***


                   



                                                                                                                     Equivoco



 
 
                                                                                                                                                                                        The big screens, the plastic-made dreams
                                                                                                                                                                                        Say you don't want it, say you don't want it
                                                                                                                                                                                        Don't you ask me if it's love my dear
                                                                                                                                                                                        Love don't really mean a thing round here
                                                                                                                                                                                        The fake scenes, the plastic-made dreams
                                                                                                                                                                                        Say you don't want it, say you don't want it.”(1)
                                                                                                                                                                                               Say you don’t want it One night only





 

 
Osservo Sana saltellare da un negozio all’altro, in preda a un delirante shopping natalizio, e mi sento peggio ad ogni passo. Il suo volto è così raggiante che anche solo osservarla mi provoca una spiacevole fitta al petto.
<< Ehi Nao! Non pensi che questa sciarpa sia adorabile? >> mi domanda rigirandosi fra le mani un indumento nero e sobrio che non si addice per niente ai suoi gusti.
Sento scorrere sottopelle la gelosia, come un fiume implacabile.
<< E di grazia per chi sarebbe quel regalo? >> chiedo acido.
Sana ha la  delicatezza di arrossire e di lasciare la sciarpa sul bancone, tornando rapidamente al mio fianco. Akito Hayama.  Anche se aveva evitato di rispondermi avevo intuito che il regalo era per lui.
Il silenzio fra noi si fa teso e innaturale. La vocina cattiva nella mia testa ruggisce tutta la sua frustrazione e un po’ di senso di colpa  mi abbandona, scivolandomi di dosso e lasciandomi solo con la maledetta voglia di graffiare, per una volta, invece che essere sempre graffiato.
<< Allora Nao, dove mi stai portando? >> domanda Sana dopo un attimo e quella nota di entusiasmo torna a risuonarle nella voce.
<< In nessun posto in particolare >> mento senza guardarla negli occhi.
Sana mi sorride e tutto il viso le si illumina. Ha il naso rosso per il freddo, un brutto berretto lanoso calato in testa e i capelli che sono un completo disastro  ma non mi è mai sembrata tanto bella come in questo momento. I suoi occhi hanno lo stesso lucore di quando era una bambina chiacchierona ed eccentrica, prima che le molte delusioni velassero di una patina amara il suo sguardo. Vorrei potermi illudere che tutta la sua allegria è dovuta al fatto che siamo di nuovo amici, ma il dubbio strisciante è che sia stata un’altra – o meglio un altro – la causa del suo buonumore.
<< Davvero è tutto a posto fra noi? >> chiede Sana, quasi leggendomi il pensiero.
<< Sì, certo. >> affermo con un sorriso che spero essere credibile.
Tutto a posto a parte che sto per farti assistere all’ultima scena che vorresti vedere.  Quel pensiero me lo tengo per me, ma rallento impercettibilmente l’andatura, in preda alla confusione.
<< Quindi siamo… uh, amici? >> mormora incespicando sull’ultima parola.
<< Amici >> confermo con voce sepolcrale, che Sana non nota minimamente, tutta intenta a saltellare per la gioia e a tirarmi la manica del cappotto. Sospiro, mio malgrado trascinato dal suo entusiasmo.
Era davvero giusto farle sapere la verità? Proprio ora che era di nuovo così felice e sbarazzina, ora che era tornata a sorridere come quando aveva dodici anni? “Lo scoprirà comunque prima o poi” sussurra la vocina maligna “ e se Hayama la tradisce è meglio che lo sappia prima di farsi altre illusioni… o credi davvero che lui non abbia niente a che fare con la sua ritrovata solarità? Probabilmente stanno di nuovo insieme, è per questo che è così felice…” Il pensiero di Hayama e Sana mi fa rivoltare le budella, il cuore che si fa improvvisamente pesante e decide di smettere di svolgere le sue funzioni vitali.
Le lettere luccicanti dell’insegna del  bar attirano la mia attenzione. Il luogo in cui Akito e Fuka si erano dati appuntamento.  
Faccio un respiro profondo, per calmarmi. Può darsi che per una volta Hayama mi abbia dato ascolto e non si sia presentato. Oppure potrebbe essere stata lei a provare dei ben meritati sensi di colpa.
<< Naozumi perché ti sei fermato? >> domanda Sana, scalpitando per l’impazienza. << Ho freddo e ci sono ancora un sacco di cose che voglio vedere! >>
Le rivolgo un sorriso che starebbe bene sulla faccia di un malato terminale, ma Sana oggi ha decisamente troppo la testa fra le nuvole – persino per i suoi standard – per insospettirsi. Avanzo di un passo, con agghiacciante lentezza, fissando la vetrina del bar.
Quando l’avevo pensato il piano mi era apparso molto semplice:  fare pace con Sana, invitarla ad uscire e capitare come per caso davanti al luogo dell’appuntamento di Akito. Se Hayama era talmente idiota da ingannarla in quel modo subdolo, era mio dovere aprirle gli occhi.
Deglutisco, gli occhi che saettano tra il bar e il suo volto sorridente e fiducioso.
Forse non sono ancora arrivati o magari sono già andati via. Forse lei non li avrebbe visti, forse c’è una spiegazione logica… Con tutti quei “forse” ci troviamo adesso all’inizio del vicolo con il bar proprio davanti a Sana, in bella vista.
Lei inizia a parlare di un argomento a caso, che non ascolto minimamente, troppo incantato ad osservare le sue labbra piene e le sue guance rosse.
E con precisione chirurgica capisco che di portarla lì dentro io non ho minimamente voglia. La vocina maligna nella mia testa urla per la frustrazione, ma ignorarla è incredibilmente facile perché la tensione si è magicamente dissolta. Non voglio vedere il suo viso perdere colore e i suoi occhi sbarrarsi, non voglio  vedere le sue mani tremare e il modo in cui incassa le spalle, come a nascondersi dal mondo. Non mi importa se è giusto o sbagliato, ma non sarà per colpa mia che Sana subirà l’ennesima delusione.
<< Sana-chan che ne dici di tornare indietro? Le bancarelle sono dall’altra parte della strada e qui non c’è niente di interessante. >> le propongo con il primo vero sorriso della giornata.
Lei annuisce prontamente, bloccandosi a metà di una frase. È un attimo prima di voltarsi che i suoi occhi registrano qualcosa che le fa morire il sorriso sulla bocca.
Mi giro lentamente, seguendo la direzione del suo sguardo, con il cuore che batte, fastidiosamente, rumorosamente, contro il mio petto. Ancora prima che  i miei occhi si posino sulla porta del bar che si chiude lentamente, so già che cos’è che ha fermato il respiro nel petto di Sana, cosa le fa contrarre le mani in un gesto inconscio.
Sono loro, Akito e Fuka, insieme.
Escono dal bar, lei con un sorriso deliziato, lui con la solita faccia cupa. Fuka lo afferra per una manica del cappotto, tirandolo non troppo delicatamente, ma anche da qui si intravede la luce maliziosa che ha nello sguardo. Akito la segue arrancando, teso come una corda di violino. Appena pochi passi e la ragazza si ferma, osservando attentamente una vetrina, indicando qualcosa ad Hayama che sembra assorto in tutt’altri pensieri.
Fino a quel momento non avevo mai preso alla lettera l’espressione “cuore spezzato”. Eppure lo sento distintamente il crac del cuore di Sana, mentre osserva con quei suoi grandi occhi di cioccolata Fuka che dà un buffetto ad Akito e gli spalma addosso, prima di trascinarlo verso le bancarelle.
<< Voglio andare a casa. >>
Le parole di Sana sono poco più di un sussurro che il vento mi getta addosso con la forza di uno schiaffo. La sua voce è irriconoscibile, intrisa di tutte quelle lacrime che non vogliono saperne di uscire dai suoi occhi.
<< Sana-chan io… >>
Io sono stato uno stronzo.
Si volta, senza fare caso ai miei goffi tentativi di chiederle scusa. Si allontana a passi piccoli, misurati, senza fare una delle sue solite scenate, senza rivolgere più uno sguardo a Akito e Fuka.
Ma quel suo silenzio urla più di una marea di improperi.
 
Osservo il campanello sentendomi un perfetto e compiuto cretino. Appoggio il dito su di esso, senza riuscire  a racimolare il coraggio di premerlo. Ho indosso la tuta da jogging ma chiunque capirebbe che non sono certo capitato lì per caso, che è solo la prima scusa che mi è venuta in mente per nascondere – agli altri e a me stesso – il desiderio impellente di incontrarla. Socchiudo gli occhi, pensando a Sana e al disperato bisogno che ho di vederla, di chiarirmi dopo tutto quello che è successo la scorsa notte. Ma come sempre il ricordo dei suoi baci, delle sue unghie conficcate come artigli nella pelle, del suo respiro affannoso e delle sue guance accaldate dal freddo e dai miei baci, mi destabilizza, facendo sparire tutto se non il ricordo di lei.
Spalanco gli occhi di scatto e preda di un istinto sconosciuto, alzo il viso, fissando la finestra della sua camera. Intravedo la sua figura sinuosa appoggiata al vetro, sento i suoi occhi fissarmi come due lame incandescenti. Si discosta dalla finestra e la tenda torna a coprirla.
Attendo in silenzio che scenda, cercando di darmi un contegno. Senza nessun motivo apparente il cuore mi martella nel petto e questo mi fa digrignare i denti per il fastidio.
Il sole sta calando dietro l’orizzonte, contemplo l’imbrunire distrattamente, ansioso di sentire la sua voce squillante e  vedere i suoi occhi profondi.
Il portone si apre con un cigolio e lei mi viene incontro, con esasperante lentezza.
Mi do  di nuovo del cretino perché non riesco ad impedire che il cuore mi schizzi in gola e che le più insulse romanticherie mi si incaglino nella testa.
<< Hi >> la saluto mettendomi le mani in tasca e simulando una tranquillità che non sento per niente.
Kurata non mi risponde, si avvicina in silenzio. La osservo, preoccupato per quel suo improvviso mutismo e per quell’aria strana, inusuale come se fosse…
<< Che cosa vuoi? >> mi chiede con voce atona.
stanca.
<< Passavo da queste parti e ho pensato di farti un saluto. >> rispondo con tono neutro.
Sana rimane in silenzio, senza guardarmi negli occhi. Ho una sensazione strana addosso. È come se lei facesse fatica a sostenere il mio sguardo, come se la mia vista la disgustasse.
<< Forse dovremmo parlare. Di quello che è successo ieri sera. >>
Fatico un po’ a ritrovare la voce, perso in quei suoi occhi così diversi dal solito. Lo sguardo di Kurata è quanto di più intenso io abbia mai sperimentato su di me, ma in quel momento i suoi occhi sono piatti come una tavola. Un brivido mi percorre la pelle senza che riesca minimamente a nasconderlo.
<< Davvero? >> un sorriso senza nessuna traccia di ironia le increspa le labbra. << Non devi dirmi niente, so già tutto. >>
La fisso senza riuscire a seguire il filo logico del discorso, fregandomene anche, perché sono troppo intento ad analizzare i cambiamenti sottili della sua fisionomia.
<< Che cos’è che sai? >>
Sì, stanca è decisamente la definizione migliore. Sana che è la persona più vitale sulla faccia della terra, Sana che con tutto il suo entusiasmo per la vita ne ha fatto innamorare anche me, perché è impossibile giudicare brutta qualcosa che le accende le guance di piacere, perché è impossibile odiare un mondo in cui vive lei… quella Sana sembra stanca. Spenta.
<< Che è stato solo un errore. >>
Pronuncia quelle parole con molta naturalezza, come se fosse qualcosa di pacifico, di accertato.
<< Un… errore. >> ripeto cercando ancora di metabolizzare il concetto. La più bella serata della mia vita era stata solo un errore.
<< Esattamente. >> annuisce convinta, prima di girarsi e fare segno di voler tornare in casa.
La mia mano scatta ad afferrarle il polso prima ancora che io possa rendermene conto. La tiro contro il mio petto e le mie braccia la cingono da dietro, mentre affondo il viso nei suoi capelli profumati. Rimaniamo così per alcuni minuti, il suo corpo che non accenna a sciogliersi, il mio cuore che non accenna a darsi pace.
<< Hai finito? >> mormora dopo un po’.
Per una delle poche volte in vita mia, così rare che si possono contare sulla punta delle dita, sento la diga che frena le mie emozioni infrangersi.  La costringo a voltarsi, schiaffandole in faccia tutta l’amarezza e il dolore che le sue parole mi provocano, lasciando che dai miei occhi filtri tutto il marasma di rabbia e confusione che mi squassa il corpo.
<< Si può sapere cosa diavolo ti prende? >>
Forse è quella domanda urlata contro la sua faccia, o forse sono le mie unghie affondate nelle sue spalle, i miei occhi che non sono mai stati così assetati di risposte. Fatto sta che finalmente sembra riscuotersi dalla sua apatia e  un’ombra di emozione le attraversa lo sguardo.
<< Ti ho visto. >> risponde con un soffio a malapena udibile, fissandomi dritta nel viso.  << Ti ho visto oggi, insieme a Fuka. >>
 
Lo sguardo di Akito mi brucia la pelle, risvegliando lentamente quelle sensazioni che credevo assopite per sempre. Il suo tono di voce è così basso e cupo che lo sento vibrare nelle ossa. Osservo il suo viso, improvvisamente illuminato dalla comprensione, e la sua mano che mi lascia di scatto.
La risata di Akito rompe il silenzio, un suono vagamente stridulo, nervoso. L’ira mi avvolge come un mantello caldo, ovattando tutti gli altri suoni se non quello della sua voce. È strano perché credevo che dopo quel pomeriggio non sarei più riuscita a provare niente, nemmeno rabbia, ma Hayama riesce a ferirmi, sempre, anche quando cerco di isolarmi dal mondo per non sentire quel dolore sordo al petto.
<< Quindi il problema è solo la tua gelosia. >> replica con un quell’odioso sorrisetto ancora dipinto in faccia. << Ci hai visti insieme e hai pensato che fosse diventata la mia ragazza. Complimenti per la fiducia, Kurata. >>
<< Fiducia. >> sputo fuori quella parola con astio, tremante dalla rabbia. << Una parola strana pronunciata dalle tue labbra, Akito. Perché, sai, sono le stesse labbra che mi hanno detto che ce l’avremmo fatta, che non mi avresti mai lasciata. Sono le stesse labbra che mi hanno informata che ti eri messo con Fuka, appena dopo un mese che non ci vedevamo. >> mi ritrovo ad urlare senza neanche rendermene conto, il viso arrossato e gli occhi increduli di Hayama che mi fissano e diventano sempre più scuri ad ogni parola. << Hai davvero un bel coraggio a venire qui e parlarmi di fiducia! >>
China il capo, indietreggiando di un passo. Troppo facile così, Akito. Ti sei giocato la tua occasione di tirarti indietro.
<< Non hai niente da aggiungere, Hayama? Non hai nemmeno il coraggio di guardarmi negli occhi? >> lo incalzo, stringendo convulsamente i pugni.
Akito alza finalmente la testa, l’espressione del suo viso è così intensa che per un attimo mi lascia senza parole, privandomi della forza di urlargli addosso.
<< Credi che per me sia stato facile, Kurata? >> mormora con rabbia a malapena trattenuta. << Credi che sia stato uno scherzo decidere di lasciarti? Che non abbia fatto una piega nel vederti avvinghiata a quel damerino di Kamura? >>
Sta urlando. I suoi occhi scuri e minacciosi mi fissano come se volessero perforarmi.
<< Ma, già, tu pensi che io mi sia “divertito” in America, che mi sia fatto chissà quante ragazze! >>  continua imperterrito, sprezzante.
Mi si avvicina e io rimango immobile, con i pugni ancora sollevati, osando appena respirare. Vedere Akito aprirsi in questo modo – vederlo buttare fuori tutte le emozioni e il risentimento che prova – mi lascia annichilita. Le ultime parole me le ringhia ad un centimetro dalla faccia.
<< Tu pensi che ti abbia tradito, quando un‘altra ragazza non sono nemmeno riuscito a toccarla, tanto il tuo ricordo mi divorava! >>
Rilassa i muscoli delle spalle e i suoi occhi si fanno d’improvvisi grandi e liquidi. La rabbia sfuma dalla sua espressione, cedendo il posto a un dolore sordo e pulsante che non cerca minimamente di nascondere, che lascia lì, in bella vista, nel suo sguardo e nella piega delle  labbra.
<< Quando capirai che non so stare senza di te? Che ogni volta che sei lontana mi sento morire? >> conclude con la voce ridotta a un sussurro. Con una mano si copre il viso, forse cercando di recuperare la calma necessaria a far di nuovo calare la sua maschera di indifferenza.
La paralisi non mi abbandona gli arti, mentre il vento mi frusta il viso e il sole cala definitivamente dietro l’orizzonte. È  la verità quella che mi ha detto?
Non aveva avuto altre ragazze.
Anche per lui era stato straziante separarci.
Quelle sono le parole che avrei sempre voluto sentirmi dire, eppure affondano nella mia carne come pugnali. La paura di lasciarmi andare per essere poi di nuovo delusa è così grande che mi sento la testa girare come se avessi le vertigini.
<< Non è come sembra. >>
È di nuovo Akito a rompere il silenzio e cerco di combattere il senso di malessere per prestare attenzione alle sue parole.
<< Con Fuka, intendo. >>
<< Ah no? E allora come è? Perché sembravate piuttosto intimi oggi mentre camminavate a braccetto. >> chiedo con un tono di voce stridulo e amareggiato che non sembra nemmeno il mio.
Akito struscia i piedi per terra e per un attimo mi sembra quasi in imbarazzo.
<< Ho promesso a Fuka che non ti avrei detto niente… >> replica indeciso.
Quella frase è sufficiente a riscuotermi e a far riaffiorare la rabbia che le sue parole avevano momentaneamente assopito.
Possibile che io ed Hayama non riusciamo mai veramente a capirci? Possibile che ogni parola o gesto venga sempre frainteso?
Akito mi guarda dubbioso, probabilmente la mia postura rigida ed altera gli fa intuire che ha dato l’ennesima risposta sbagliata.
<< Lo scoprirai comunque, sai, devi solo pazientare un po’. >> replica, cercando di rabbonirmi.
Sbuffo e il mio fiato si condensa in una nuvoletta grigia, aleggiando di fronte alla mia faccia scocciata.
<< Molto bene, allora. Non dirmi niente, se non puoi. Rispondi solo a una domanda. >>
Hayama incrocia il mio sguardo e da come mi fissa sono sicura che ha capito l’importanza che ha per me la sua risposta. Un silenzio carico di attesa cala fra noi prima che io trovi infine il coraggio di parlare.
<< Tu mi ami? >>
 
 
 
                                                                                                                                                    (continua…)
 

 
 
 
 
 
1)
Grandi schermi, sogni fatti di plastica
Dimmi che non lo vuoi, dimmi che non lo vuoi
Non chiedermi se questo è amore,
L'amore qui non significa proprio niente.
Scene finte, sogni fatti di plastica
Dimmi che non lo vuoi, dimmi che non lo vuoi.
 
 

 
 
NOTA DELL’AUTRICE:
 
Ciao a tutti! Allora come prima cosa: mi dispiace aver interrotto il capitolo così ma, come sempre, scrivendolo mi sono accorta che era troppo lungo e denso, per cui ho preferito spezzarlo (almeno c’è un po’ di suspense, no? ). Inoltre la ff non sarà di 17 capitolo ma di 18… l’unica cosa che mi dispiace è che non sono riuscita a finirla entro la vigilia, ma ho avuto un sacco da fare e non sarei mai riuscita a scrivere 3 capitoli in una settimana (anche perché sono gli ultimi e non li voglio tirare via).
In riferimento a questo capitolo invece immagino che molti stiano maledicendo Sana e si chiedano perché non si è gettata fra le braccia di Akito quando lui le ha detto che non sa stare senza di lei… per come la vedo io il motivo è che le delusioni sono state troppe. Come dice Sana, Akito  poi l’ha lasciata senza una parola, l’ha baciata a tradimento dopo averle detto che non le importava niente, la bacia di nuovo, a lungo, e il giorno dopo lei lo vede con Fuka… Sana ha bisogno della conferma definitiva e per lei trovare il coraggio di fare quella domanda è davvero difficile! Quanto a Nao non siate troppo severe, non si trovava in una posizione tanto bella: se il ragazzo della vostra migliore amica la tradisse (questo almeno è quello che pensa Nao) non vi sentireste anche voi in dovere di aprirle gli occhi?
Ecco lo spoiler del prossimo capitolo:
 
<< Già a proposito di Hayama… perché non mi dici cosa ci facevi con lui, ieri? >> chiedo acida.
Fuka si interrompe, sgranando gli occhi, il dito ancora sollevato a mezz’aria.

 
 
Come sempre ringrazio tutte le persone che recensiscono e colgo l’occasione per farvi tanti auguri: Buon Natale e Felice Anno Nuovo!
Mi è stato chiesto se dopo “Endless” ho intenzione di scrivere ancora su efp e la mia risposta è assolutamente sì. Ho una marea di progetti in mente ma quelli su cui intendo focalizzarmi sono due:
 
Una longfic su Harry Potter, più precisamente sul passato di Tom Riddle (ovviamente sarà una fic romantica). Il titolo, se non cambio idea, dovrebbe essere “D’amore e d’ombra”. Ho già buttato giù alcuni capitoli e se tutto va bene credo che inizierò a pubblicarli dal 31 Dicembre.
 
Ma, cosa che forse vi interesserà di più, pensavo a una breve fic sempre su Kodocha. L’idea è quella di scrivere quattro, cinque capitoletti su un Akito ormai cresciuto che si trova alle prese con il suo peggior incubo: la proposta di matrimonio. Mi piacerebbe scriverlo  con toni leggeri e un po’ ironici, ma non sono molto brava in queste cose quindi forse non me la sentirò di farvi leggere quello che ne verrà fuori… Comunque il titolo potrebbe essere “L’anello della discordia” e se mi decido, anche quello dovrebbe essere pubblicato poco dopo la fine di Endless.
Bene, scusate queste note lunghe e noiose, un bacio enorme a tutti.
Eli
 
p.s. cosa mi dite di questa idea su Kodocha? Vi inspira almeno un pochino o è da cestinare?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 17
*** Addio ***


                          



                                                                                                                          Addio

 
 



 
 
 
 
                                                                                                                                                                                                           
                                                                                                                                                                       “I don't mind spending everyday
                                                                                                                                                                       Out on your corner in the pouring rain
                                                                                                                                                                       Look for the girl with the broken smile
                                                                                                                                                                      Ask her if she wants to stay awhile
                                                                                                                                                                      And she will be loved
                                                                                                                                                                      And she will be loved             
                                                                                                                                                                      I know where you hide alone in your car
                                                                                                                                                                      Know all of the things that make you who you are
                                                                                                                                                                      I know that goodbye means nothing at all
                                                                                                                                                                     Comes back and begs me to catch her every time she falls”
                                                                                                                                                                                                She will be loved Maroon Five





 
<< Rispondi solo a una domanda. Tu mi ami? >>
La guardo stralunato, certo di non aver sentito bene.
<< Co-come scusa? >> chiedo farfugliando.
Il tono di voce di Kurata è deciso, fermo, ma le labbra le tremano un po’ nel ripetere la domanda.
<< Ti ho chiesto se mi ami. >>
Da sempre.
Quella risposta affiora spontanea nella mia testa, ma le labbra non vogliono sapere di schiudersi, come sigillate,  la lingua non si decide a staccarsi dal palato.  
<< Io… ehm…>> balbetto frastornato.
Il groppo in gola è così forte che mi devo fermare, il vuoto assoluto in testa e il suo viso come unica cosa ad attirare la mia attenzione. I secondi si protraggono e Kurata si rabbuia progressivamente, i suoi occhi diventano sempre più tristi e spenti.
Eppure quel cazzo di “ti amo” non vuole saperne di uscire dalla mia bocca.
<< Capisco. >> mormora con un sorriso spezzato.
<< Kurata, aspetta… >> cerco di richiamarla, allungando la mano.
<< Sono stufa di aspettare, Akito. >> risponde dandomi le spalle.  << Non voglio farlo più >> aggiunge con la voce rotta di lacrime.
Sento una fitta lancinante all’altezza del petto e il respiro che mi brucia nei polmoni.
<< Kurata… >> la chiamo implorante, mentre quella muove un passo verso la porta.
<< Non mi cercare. >> risponde, facendo definitivamente a brandelli quel poco che resta del mio cuore. << Non voglio vederti. >>
È quasi arrivata alla porta quando trovo la forza di chiamarla di nuovo, per l’ultima volta.
<< Sana… >>
Si volta, sussultando, avvertendo forse una parte del dolore che mi provoca il suo atteggiamento. I suoi occhi grandi – occhi da bambina in un corpo di donna -  si appuntano su di me con una determinazione feroce, disperata.
<< Addio, Akito. >>
La porta che si chiude davanti a me mi pare quasi una condanna a morte. Rimango imbambolato lì fuori, non saprei dire nemmeno per quanto tempo. Mi riscuoto dal mio torpore quando una goccia di pioggia mi bagna la guancia e con un sussulto mi rendo conto che si tratta delle mie lacrime. Il pugno che tiro al muretto è così forte che devo sforzare tutto me stesso per trattenermi dall’urlare.
Osservo il sangue gocciolare dalla mia mano chiusa e mi chiedo come faccio ad essere così maledettamente coglione.
 
<< Sana! Certo che sei proprio una pigrona! Si può sapere che ci fai ancora a letto? >>
La voce squillante di Fuka mi costringe ad aprire un occhio e risvegliarmi dal mio torpore comatoso.
Mi tiro a sedere di scatto, fissandola stranita.
<< E tu cosa ci fai qui? >> domando con la voce roca per il troppo piangere.
Fuka mi getta un’occhiata perplessa, cercando probabilmente di intuire il perché delle mie occhiaie e della mia indignazione.
<< Che domande! Mi ha fatto entrare tua madre, no? >> risponde sollevando un sopracciglio.
Gemo, buttandomi di nuovo sul letto. Le avevo detto espressamente che non volevo ricevere visite, ma quando mai mammina mi dava ascolto?
Fuka si siede nel letto, accanto a me e io non posso evitare di irrigidirmi, stringendo convulsamente il cuscino al petto.
<< Ti senti poco bene? >> chiede con voce un po’ preoccupata.
<< Sono solo stanca. >>
Fuka annuisce e un sorriso affiora di nuovo sulle sue labbra.
<< Perché sei qui? >> domando, diretta e scocciata.
Si aggiusta una ciocca che le è sfuggita dalla coda, guardandomi sempre più dubbiosa. Per fortuna sembra troppo di buonumore per fare domande.
<< Per via della vigilia. Ho provato a convincere i miei, ma sono stati irremovibili. D’altronde li capisco: è anche il mio compleanno e l’ho sempre passato con loro… >>
<< Bene, non importa. >> replico, scostante.
<< Ho parlato con Tsu e Aya, mi dispiace Sana,  ma saranno a cena dalla madre di Tsuyoshi… non hanno altri parenti e non la vuole lasciare da sola con la sorellina. >>
La ascolto parlare e le sue parole mi piovono addosso come grandine, lasciandomi muta e incapace di reagire.
<< E anche Mami e Gomi si scusano ma non potranno esserci per la vigilia, vanno in vacanza a Osaka…>>
La interrompo, frustrata.
<< Insomma mi stai dicendo che passerò la vigilia da sola, giusto? >> concludo, più dura di quanto avrei voluto.
Fuka si interrompe e mi guarda con aria perplessa.
<< Bè… non proprio da sola… >> risponde con un sorriso malizioso. << C’è sempre Akito, no? >>
Akito.Uno strano scricchiolio all’altezza del petto mi informa che il mio cuore non ha ancora smesso di reagire al sentir pronunciare quel nome.
<< Già a proposito di Hayama… perché non mi dici cosa ci facevi con lui, ieri? >> chiedo acida.
Fuka si interrompe, sgranando gli occhi, il dito ancora sollevato a mezz’aria.
<< Come? >> aggiunge dopo un attimo di spaesamento. << Tu ci hai visti… e… non avrai pensato…. >> mormora con esasperante lentezza.
Sbuffo incrociando le braccia del petto.
<< Sì, vi ho visto. E scusa tanto, Fuka, ma pensavo fossimo amiche. Avresti dovuto dirmelo che ti piaceva ancora Akito… >> continuo senza avere il coraggio di fissarla negli occhi.
La risata di Fuka, briosa e squillante come poche, mi fa sussultare. Mi giro e la vedo piegata in due sul mio letto, con le mani serrate sulla pancia, come per trattenersi.
<< Oh mio Dio, Sana! >> esclama ancora sghignazzando. << Davvero hai pensato che volessimo rubarti Hayama da sotto il naso? >>
Provo l’irrefrenabile impulso di spiaccicarle il cuscino in faccia. Che cosa c’è di tanto divertente?
<< Perché non è così? >> chiedo, sostenuta.
Il cuore sembra voler sfondare la gabbia toracica, mentre Fuka si prende tutto il tempo per deridermi e scuotere la testa.
<< Sai, dovrei offendermi per la brutta opinione che hai di me. Pensi che sia così stupida da mettermi in mezzo un’altra volta? >> borbotta con finta indignazione, un sorriso bonario che però le arriccia le labbra.
Prendo un lungo respiro, rendendomi conto che mio malgrado il dolore al petto è un po’ diminuito.
<< Ma allora cosa…? >> bisbiglio fissandola dubbiosa.
<< In realtà sarebbe dovuta essere una sorpresa… ma visto che sei una testona e una sciocca, mi sa che mi conviene dirti tutto. >>
Sospira, fissandomi con aria un po’ risentita.
<< Domani è la vigilia. >> proclama, quasi fosse chissà che rivelazione.
La guardo, cercando di incenerirla con gli occhi.
<< Ma dai? >> la prendo in giro, sarcastica.
<< Stai zitta e fammi finire. >> replica perentoria, mentre io fremo per l’impazienza. Che poi è anche una cosa abbastanza stupida che mi importi tanto, visto che ho deciso di dimenticarmi di Hayama…
<< Domani è la vigilia e non volevo che Akito si presentasse a casa tua  a mani vuote. >> prosegue, ignara delle mie riflessioni. << Sappiamo entrambe che quel ragazzo va in panico quando si tratta di scegliere un regalo e così mi sono gentilmente offerta di aiutarlo a comprarti qualcosa… non sai che fatica, Sana, quel ragazzo è un tormento! >>
La mia mascella è talmente spalancata che rischia di toccare terra.
<< Tutto ok? >>
Fuka mi fissa un po’ perplessa per la mia mancanza di reazioni. Non le rispondo, saltandole addosso e stritolandola in un abbraccio.
<< Scusa! >> le urlo contro l’orecchio. << Scusa, scusa, scusa! Oddio che pessima amica che sono… tu cercavi solo di aiutarmi e io invece…>>
<< Sana! Non respiro! >> protesta Fuka, cercando di divincolarsi.
Scoppio a piangere come una cretina, sentendomi morire per il senso di colpa. Fuka voleva aiutare Hayama a comprarmi il regalo di Natale e io pensavo ci stesse uscendo insieme… ma come si fa ad essere così idioti?
<< Andiamo Sana, non è successo niente… >> cerca di confortarmi Fuka, dandomi dei colpetti sulla schiena.
Ma ormai ho dato il via alle lacrime e quelle scorrono come un fiume in piena, mentre Matsui mi accarezza i capelli come se fossi una bambina piccola.
<< Shhh >> mormora contro il mio orecchio per calmarmi. << Domani passerai la vigilia con Akito e vedrai che tornerà tutto a posto. >>
Bastano quelle parole e divento rossa come un pomodoro, praticamente vado a fuoco. I miei singhiozzi si interrompono mentre ripenso a  tutte le cattiverie che gli ho rivolto solo il giorno prima.
Fuka si accorge del mio improvviso imbarazzo e mi fissa dubbiosa. Sotto il suo sguardo indagatore mi sento in dovere di raccontarle la realtà.
<< Ecco… io e Hayama abbiamo litigato. >> confesso con una vocina piccola piccola, mentre Fuka sgrana gli occhi e mi fissa con chiari intenti omicidi.
<< Non gli avrai fatto una scenata di gelosia, vero? >> domanda quasi urlando.
<< Ahahah! >> rido, cercando di sdrammatizzare. << Una scenata di gelosia? Ma che ti salta in mente? Gli ho solo detto… di…. gli ho detto di non farsi più vedere. >> concludo improvvisamente attratta dal parquet della mia camera.
<< Tu… COSA?? >> grida Matsui scattando in piedi.  << Dimmi che stai scherzando! >> mi prega guardandomi come se mi volesse strozzare.
<< Ehm… >> cerco di prendere tempo.
Fuka si siede sul letto, crollando all’indietro.
<< Siete un caso disperato. >> decreta con sconforto.
Sento uno strano pizzicore all’angolo degli occhi, ma cerco di ignorarlo, abbozzando una specie di sorriso. Fuka si tira a sedere di scatto e mi fissa con sguardo determinato.
<< Ok, non tutto è perduto. >> afferma sicura. << Adesso tu prendi in mano il cellulare, ti scusi con Akito per quello che gli hai detto. Gli dici che avevi assunto droghe pesanti, eri ubriaca, quello che ti pare… insomma non sapevi quello che dicevi. Concludi invitandolo a venire da te, domani. Vi chiarite, vi baciate e vissero tutti felici e contenti! >>
Per un attimo riesco quasi a vederlo il finale prospettato da Fuka. Akito che mi cinge i fianchi, la sua mano che mi accarezza la schiena facendomi rabbrividire, la sua bocca che mi sfiora l’angolo delle labbra… il bacio che si fa sempre più profondo fino a farmi perdere il controllo.
<< Sana… e adesso perché piangi? >> chiede Fuka perplessa.
Mi asciugo le lacrime e sento le guance andare a fuoco.
<< Non posso farlo, Fuka. Proprio non posso. >> singhiozzo.
<< Sana è ora che voi due mettiate da parte l’orgoglio… >>
<< Non è per quello. Io… stavamo litigando, ma io l’ho interrotto… e gli ho detto che l’unica cosa che volevo sapere era se mi amava… >>
Sento Fuka irrigidirsi e trattenere il respiro, ma ho gli occhi troppo offuscati dalle lacrime  per scorgere la sua espressione.
<< E lui? >> chiede con un filo di voce.
<< No-non ha risposto. >>
Fuka sospira e stringe le mani fra le mie.
<< Sana, ascoltami. Akito ti ama. >>
Sbuffo, cercando maldestramente di asciugare le lacrime.
<< Sana! >> rafforza la presa sulla mia mano, per attirare l’attenzione. << Akito ti ama. >> ripete con quel suo tono deciso, che non ammette repliche.
Oh, Fuka, non sai quanto mi fa male sentire queste parole…
<< Non puoi saperlo. >>
<< Certo che sì! >> esclama, inchiodandomi con i suoi occhi traboccanti di sincerità.
<< Ma allora perché… >>
<< Perché è Hayama. >> risponde con semplicità. <<  È lo stesso ragazzino che ha passato un intero pomeriggio a cercarti un regalo e poi ha finito per farti un pupazzo di neve perché aveva paura di prendere qualcosa che non ti sarebbe piaciuto; lo stesso che quando non riesce a farti capire quello che prova prende e ti bacia o che è più che disposto a fare a cazzotti per proteggerti, ma non ammetterebbe nemmeno sotto tortura quanto ti vuole bene…  È Hayama, è fatto così e tu lo ami anche per questo. >>
Ho un nodo alla gola che non vuole saperne di sciogliersi. Le parole di Fuka penetrano sotto la pelle, scaldandomi il cuore.
<< Ma adesso non siamo più bambini. >> replico cocciuta, stringendomi le braccia intorno al corpo. << Dopo tutti questi anni… non può non rispondere a una domanda del genere. Io devo sapere se mi ama o no! >>
Fuka sospira, guardandomi con aria dolce.
<< Su questo non posso che darti ragione, Sana. Quello che mi chiedo è perché tu sia ancora qui a parlare con me, invece che andare da lui a chiarire. >>
Rimango in silenzio. Andare da Akito? Per fare cosa? Per umiliarmi di nuovo? Per farmi spezzare il cuore di nuovo?
Fuka si alza in piedi, lanciandomi un’occhiata accigliata.
<< Sei proprio una testona! >>  sbotta stringendo i pugni. << Tsuyoshi aveva proprio ragione, con voi è tutta fatica sprecata! >>
Prende il cappotto e lo infila, scocciata.
<< Fuka non fare così… tu sei l’amica migliore del mondo ma… >> mi blocco, senza sapere come continuare.
I lineamenti del suo volto si addolciscono.
<< Non mi devi spiegazioni. È la tua vita e devi fare come ti sembra più giusto. >> afferma mordicchiandosi il labbro. << Anche se ti stai comportando da idiota! >> conclude ammonendomi.
Scoppiamo a ridere insieme, come due sceme.
<< Se vuoi puoi rimanere un altro po’, Fuka-chan. Fra poco Shimura fa il tè e i biscotti. >> le propongo sorridendo.
<< Grazie ma devo ancora comprare un regalo. >> risponde e per chissà quale motivo arrossisce.
<< Uh? Un regalo? E per chi? >> domando curiosa.
<< Un ragazzo che ho conosciuto da poco. >> risponde misteriosa e prima che possa ribattere si mette la sciarpa e mi bacia sulla guancia. << Tu adesso cerca solo di pensare a quello che vuoi. >>
Accompagno Fuka alla porta e non appena quella si chiude mi accascio, con la schiena appoggiata ad essa.
Pensare a quello che voglio.
Non che sia qualcosa di particolarmente difficile. So bene cosa desidera il mio cuore.
Voglio essere amata. Da lui.
Voglio essere amata da Akito.
 
                                                                                                                                                              (continua…)
 


 
 
 
1) Sarei disposto a trascorrere ogni giorno
    dietro il tuo angolo sotto lo scorrere della pioggia
    cercando quella ragazza dal sorriso spezzato
    chiederle se le andrebbe di restare un po'
    e lei sarà amata,
    sarà amata...
    So dove ti nascondi
    Sola nella tua auto
    Comprendo tutte quelle cose che ti fanno essere ciò che sei
    So che un addio non significa nulla di fatto
    Torna indietro e mi implora di raccoglierla ogni volta che cade.
 
 

 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE:
 
Ciao a tutti e scusate il lieve ritardo!
Ma chi sarà mai questo ragazzo a cui Fuka vuole fare il regalo? : )
Ecco inoltre svelato il segreto di quello che Akito e Fuka combinavano insieme… vi ricordate che Matsui guardava le vetrine e lo trascinava verso le bancarelle, no? Ve l’aspettavate o sono riuscita a sorprendervi?
Spero inoltre che non siate rimaste troppo deluse dalla reazione di Akito: per quanto mi sarebbe piaciuta una dichiarazione di amore in piena regola, mi sembrava che stonasse troppo con il suo carattere chiuso… per come la vedo io, Hayama, se messo alle strette in quel modo, non può che titubare, incapace di rivelare i suoi sentimenti. Comunque c’è ancora un ultimo capitolo, quindi non disperate per il lieto fine!  : ) Usa-chan l’avevi intuito che le cose sarebbero andate così o sono stata troppo criptica?
Il titolo del prossimo capitolo è “Vigilia” e, anche se l’ho già scritto, non penso di pubblicarlo prima di sabato prossimo. Ringrazio tutti quelli che seguono questa mia fan fiction, ormai giunta alla fine.
Vi informo inoltre che, preda della pazzia, ho scritto una Flash-fic su un Hayama e una Kurata ormai cresciuti, giusto per descrivere un momento della loro intimità… si intitola “Un dolce risveglio” e spero che qualcuno troverà il tempo di leggerla!
Inoltre, come previsto – anzi pure in anticipo – ho iniziato a pubblicare “D’amore e d’ombra”( una ff su Harry Potter)
Un caloroso saluto e un bacio, alla prossima!
 
  

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Capitolo 18
*** Vigilia ***


 



Vigilia

 

 

 

 

 

 

Juliet when we made love you used to cry
You said I love you like the stars above
love you till I die
a place for us
know the movie song
you gonna realise it was just
the time was wrong Juliet?” (1)
Romeo and Juliet” Dire Straits

 




 

« Pronto? »
Silenzio. Dall’altra parte del telefono si sente solo un respirare lieve. Sto quasi per attaccare quando, finalmente, avverto la sua voce.
« Nao? » bisbiglia, esitante.
« Sana-chan? » mormoro stupito, riconoscendo il suo tono squillante. « È successo qualcosa? »
Non riesco ad evitare che l’ansia traspaia dalla mia voce.
« No, no, tranquillo » si affretta a negare.
« Oh » replico sempre più confuso.
Cala di nuovo il silenzio e anche se vorrei tartassarla di domande e chiederle perché mi ha telefonato proprio la vigilia, mi trattengo, intuendo il suo imbarazzo.
« Nao… io mi chiedevo se… » si interrompe esitante. « Cosa fai oggi? Andrai… andrai all’orfanotrofio? »
Ha la voce stridula e incespica sulle parole in un modo tenero e goffo. Il cuore inizia a tamburellarmi nel petto e i palmi delle mani a sudare. Perché mi sta facendo una domanda del genere? Perché proprio ora, dopo tutti gli anni passati ad aspettarla?
« Io… penso di sì » rispondo esitando. « I ragazzi mi aspettano, come tutti gli anni ».
« Potrei… potrei venire anch’io ».
L’ultima parola è quasi un sussurro ma non potrebbe colpirmi di più neanche se me l’avesse urlata nell’orecchio. Io e Sana insieme, il 24 Dicembre. Per un attimo mi sembra tutto perfetto. I bambini dell’orfanotrofio ci sarebbero venuti incontro, accogliendoci a braccia aperte. Avremmo riso, scherzato e mangiato la torta. Poi avremmo atteso insieme la mezzanotte e le avrei stretto la mano, augurandole Buon Natale. L’avrei fissata nei suoi occhi luminosi e mi sarei sentito completo, felice.
« È da tanto che non vado a trovarli, non vorrei che si dimenticassero di me! Dovevo fare una festa a casa mia ma poi è successo un imprevisto e…»
Ha iniziato a parlare come una macchinetta, come sempre quando è nervosa e vuole nasconderlo. Lascio che il mio sogno scoppi come una bolla di sapone e mi calo di nuovo nella realtà.
« Sana-chan… »
« …per la verità sono successi tanti imprevisti, anzi direi proprio un disastro»
Ha la voce spezzata e una parte di me vorrebbe solo consolarla. Ma questa volta no, non posso permettermi di fare il vigliacco.
« Sana non so io la persona con cui vuoi passare la vigilia » la interrompo deciso.
Silenzio. Si è interrotta di botto e sembra trattenere persino il respiro.
« E poi c’è un’altra adesso ».
Pronunciare quella frase mi costa una fatica immensa. Non avrei mai creduto di dover dire di “no” a Sana, di essere in grado di rifiutarle qualcosa…Il cipiglio minaccioso di Fuka mi appare nella mente e mi sento un po’ più deciso.

« Oh » mormora dopo un po’ con una vocina piccola piccola. « Io… be’… sono felice per te, Nao, davvero… »
« Porterò i tuoi saluti ai bambini, non preoccuparti ».
« Grazie mille… mamma mia che gaffe! » la sento ridacchiare dall’altra parte della cornetta e le labbra mi si arricciano in un sorriso. La risata di Sana è – come sempre - incredibilmente contagiosa. « Allora tanti auguri Nao… e fai i miei saluti anche alla tua ragazza! »
« Certo » rispondo prontamente. Quasi quasi vorrei dirle che se vuole gli auguri glieli può fare di persona, ma poi penso che ci sia un momento migliore per rivelarle che sto uscendo con Fuka. « Solo una cosa, Sana-chan ».
« Dimmi ».
È di nuovo tesa, lo avverto dal tono incerto che le vibra nella voce. Quelle tre parole escono con difficoltà dalle mie labbra, amare come fiele. Ma glielo devo, ora che Fuka mi ha assicurato di non provare niente per Hayama.
« Va’ da lui ».
Attacco, senza darle il tempo di rispondere.

 

Osservo le crepe del soffitto della mia camera, l’mp3 stretto fra le mani e i titoli delle canzoni che brillano sul display. Una musica spacca timpani mi risuona nelle orecchie, aumento ancora di più il volume nella vana speranza che riesca a coprire almeno in parte la mia frustrazione.
È la vigilia e io sono solo, steso su questo fottuto letto a girarmi i pollici.
Natsumi è con i suoi amici a festeggiare e papà ha avuto la brillante idea di fare un salto al cimitero, perché in tutti quegli anni non ha mai potuto far visita alla mamma. Mi sono proposto di accompagnarlo, ma è stato categorico: era la vigilia e io non potevo passarla in un modo così deprimente. Come se trascorrere la serata da solo, in casa, fosse il massimo del divertimento.
Mi alzo con uno scatto di reni, gettando l’mp3 in un angolo. In realtà essere solo non è mai stato un problema per me. Mi piace la solitudine e mi piace il silenzio, quasi quanto odio le chiacchiere inconcludenti con le quali la maggior parte delle persone ammorbano l’aria.
Il punto non è che sono solo in casa. Non è nemmeno non festeggiare la vigilia con i miei, perché siamo sempre stati una famiglia incasinata e non mi formalizzo troppo su queste cose. No, il vero problema è un altro.
Kurata.
È lei che mi fa odiare la solitudine e il silenzio, la sua voce è l’unica che vorrei decorasse le pareti spoglie della mia stanza. Non mi frega niente del cenone, mi accontenterei anche di un panino se potessi vedere le sue buffe smorfie quando divora il cibo in bocconi più grandi di quelli che la sua piccola bocca può contenere, non vorrei nessun abete e lucine intermittenti, tanto il suo sorriso le abbuierebbe tutte. Non mi importerebbe di alcun regalo, se non la sua presenza.
Non mi cercare.
Mi ributto nel letto, coprendomi gli occhi con un braccio.
Non voglio più vederti.
La mano fasciata mi prude. Sana, io ti amo. È così facile mormorare quelle parole ora che lei non c’è che mi chiedo come ho fatto a tenermele dentro.
Addio, Akito-kun.

Mi raggomitolo sul materasso, affondando la testa nel cuscino.
Un suono acuto e prolungato mi riscuote, facendomi sussultare. Il campanello.
Mi alzo, digrignando i denti per la rabbia. Non ho il minimo dubbio su chi sia venuto a disturbarmi: Tsuyoshi. Gli avevo ripetuto mille volte che non importava che passasse a salutarmi, anzi che non ci tenevo proprio. Ma figurati se quella testaccia dura poteva darmi retta.
Faccio le scale di corsa, indispettito. Apro la porta di scatto, con sulla punta della lingua un’imprecazione. La lingua mi si congela al palato nel ritrovarmela di fronte.
Kurata.
Per un attimo penso che si tratti di una visione. Ma è troppo reale per essere solo il frutto di una mia fantasia. Ha un cappotto bianco che la copre fin quasi alle ginocchia, i capelli scompigliati dal vento e un sorrisino timido ed impacciato ad arricciarle le labbra rosse e umide.
« Ciao, Akito » mormora sollevando appena la mano.
Ok, mi devo sforzare di cancellare quell’espressione imbambolata dalla faccia.
« H-Hi » rispondo sentendomi come se fossi appena stato investito da un tifone.
« Mi fai entrare? » chiede e solo allora mi rendo conto che sono rimasto paralizzato davanti all’ingresso.
Mi sposto, lasciandola passare e il profumo delicato della sua pelle mi invade le narici. “Cerca di mantenere il controllo, Akito-kun” mormora una vocetta fastidiosa nella mia testa che – chissà perché – ha il tono di Tsuyoshi “Per una volta in vita tua, vedi di non mandare tutto a rotoli!”
Anche Kurata sembra in difficoltà ma il fatto che si mordicchi le labbra in quel modo non mi è di molto aiuto, anzi acuisce solo il desiderio di baciarla.
« Io… io sono venuta a chiederti scusa, Akito-kun » mormora guardando il pavimento.
Un moto di delusione mi fa incassare le spalle. Sei qui solo per questo, Kurata?
« Non hai niente da farti perdonare » la interrompo, rigido.
« Sì, invece! »

Ha alzato lo sguardo e i suoi occhi umidi sono appuntanti sul mio viso, uno sguardo così bello ed intenso da mozzare il fiato.
« Ci sono molte cose che non ti ho mai spiegato… a partire da quello stupido bacio sul set ».
È arrossita, ma continua a guardarmi, con feroce determinazione.
« Kurata… »
« Lasciami finire, per favore » prosegue e non ho più il coraggio di contraddirla. « Non volevo nascondertelo, davvero… Solo avevo paura che tu potessi fraintendere, il regista ha aggiunto quella scena all’ultimo e il film ormai era stato quasi interamente girato… ma per me non ha voluto dire niente, Nao è come un fratello… »
Ha iniziato a piangere e se c’è una cosa che non riesco proprio a tollerare sono le sue lacrime. Mi avvicino, stringendola al petto e lei nasconde il viso nell’incavo della mia spalla, aggrappandosi alla mia T-shirt. La mia mano le accarezza la schiena, cercando di tranquillizzarla. Il suo viso è vicino, dannatamente vicino, troppo vicino e cerco disperatamente di trovare qualcosa con cui distrarmi, mentre le mie dita ancora le solleticano la pelle.
« Ma come Sana, ancora non porti il reggiseno? »
Un secondo dopo averla pronunciata, vorrei rimangiarmi questa battuta infelice.Kurata smette di singhiozzare ed alza il viso ad incontrare il mio, mentre la vocina che ha il timbro di Tsu mi dà del deficiente almeno un centinaio di volte.
Inaspettatamente scoppia a ridere e io rilascio finalmente il respiro, lieto che per una volta non si sia offesa e non abbia iniziato a colpirmi e sbraitare.
« Sei sempre il solito scemo! » proclama asciugandosi le lacrime. Poi, cambiando d’un tratto tono, mormora con un filo di voce: « Sai, ho pensato a te mentre lo baciava ».
L’aria mi manca nei polmoni e avverto uno strano formicolio in tutte le membra.
« Avrei dovuto darti il tempo di spiegare ».
Un istante dopo mi sembra impossibile che parole simili siano uscite dalla mia bocca. Davvero le sto chiedendo scusa, così, senza un minimo di esitazione? Decisamente quando ho Kurata fra le braccia non posso fidarmi delle mie capacità mentali.
Ma Sana mi sorride, un sorriso dolce – anche se un po’ triste – e i suoi occhi sono così belli, seppure se lievemente arrossati che non riesco proprio a pentirmi di questa mia confessione.

« Non avrei dovuto chiederti di rivelarmi i tuoi sentimenti in quel modo » la voce le trema un po’ e le labbra sembrano due ali di farfalla mosse dal vento.
Scuoto la testa e sento distintamente il cuore che risale lungo la gola, fino a premere sulla punta della lingua.
« Sana io… »
« Shhh « Mi interrompe, posando due dita sulle mie labbra. « Non volevo forzarti, A-chan. Me lo dirai se e quando sarei pronto ».
Io sono pronto. È solo il mio fottuto carattere del cazzo che mi ha impedito di dirle che la amo, certo non sono rimasto in silenzio perché sono indeciso. Apro la bocca per dirglielo ma Kurata si alza in punta di piedi deponendo un bacio lieve sulle mie labbra e mi devo attaccare a tutta la mia forza di volontà per non aggredirle, quelle labbra, e trasformare quel breve contatto in un bacio molto più intenso.
« E non avrei dovuto accusarti di essere uscito con Fuka ».
Ha ripreso a parlare ma si serve un attimo per connettere, confuso come sono dal sapore della sua bocca di miele. Controllo. Devo solo mantenere il controllo.
« Ecco noi… »
« So già tutto » mi interrompe di nuovo e, di fronte alla mia espressione stupita, chiarisce: « Ho parlato con Fuka e mi ha detto la verità ».
Chino il capo, un po’ in imbarazzo.
« Alla fine…alla fine non ti ho regalato niente ».
Le dita di Sana mi sollevano il mento e i miei occhi vengono incatenati dalla strana luce che brilla nei suoi.
« Regalami questa notte » sussurra con un tono carico di promesse.
E allora sento chiaramente il click del mio cervello che, irrimediabilmente, si spegne.

 

Come ho fatto a ritrovarmi dall’ingresso al letto di Akito, senza nemmeno rendermene conto? La risposta la trovo quando la sua bocca cala sulla mia, divorando le mie labbra in baci febbrili, accarezzando la mia lingua in un gioco tremendamente eccitante. Con le mani di Hayama che percorrono il mio corpo ogni traccia di razionalità scompare; lasciandomi preda dell’istinto e del desiderio che mi squassa il corpo.
Akito.

Il suo odore, il suo sapore, il suo tocco. Le sensazioni che solo lui sa risvegliare sulla mia pelle, il rumore dei nostri respiri che si fanno sempre più ansanti. Le sue dita mi slacciano impazienti i bottoni del cappotto e lo gettano sulla sedia. Mi avvolge di nuovo fra le sue braccia, senza darmi il tempo di pensare, e il suo viso affonda nei miei capelli. Lo sento inspirare pesantemente, come se volesse inalarne l’odore e un brivido mi corre lungo la schiena.
Questa volta è il mio turno di spogliarlo – per me è più facile - perché quel testone ha sempre caldo e anche se è Dicembre e fuori nevica, gira per casa con una semplice T-shirt. La maglia cade per terra frusciando, ma non ci faccio quasi caso, incantata ad osservare il torace di Akito. Poso le mie dita sul suo addome, seguendo il contorno dei muscoli definiti, accarezzando come ipnotizzata quella pelle calda e bianca. Akito geme e mi fa stendere sul letto, mentre le sue dita si infilano sotto il maglioncino nero per accarezzarmi il ventre e poi salgono più su, a sfiorare il seno. Mi irrigidisco, pensando per un attimo che voglia fare una delle sue battutine su quanto sono piatta. Ma Hayama non mi dà tempo per imbarazzarmi perché mi sfila la maglietta e il suo sguardo si appunta sul mio corpo nudo. Mi viene istintivo coprirmi con le braccia, ma lui mi scosta delicatamente le mani, mormorando un “Non nasconderti” contro il orecchio, con una voce così bassa e roca, da farmi venire i brividi. I suoi occhi abbracciano il mio corpo e tutto rispecchiano, meno che la derisione. Sono così caldi e intensi che mi sciolgo, ritrovando un po’ di coraggio. Cingo il suo collo in un abbraccio, tirandolo sopra di me. Mi asseconda volentieri, calciando le scarpe e riprendendo a baciarmi, ancora più famelico di prima. Infilo le mani fra i suoi capelli e mi accomodo meglio fra le sue braccia. Hayama sfiora il mio seno con le dita, in lente e morbide carezze. Gemo, mordicchiandogli l’orecchio e scendendo poi più in basso, a tracciare una morbida scia di baci e di morsi sul suo collo. Lo sento fremere sotto le mie mani e i suoi gesti si fanno ancora più impaziente. Mi slaccia i pantaloni e io lo aiuto a togliermeli, rimanendo solo in biancheria, fra le sue braccia.
L’unica altra volta in cui mi ero trovata così… vicina ad un ragazzo era stato con Naozumi ma le sensazioni che provo ora non sono assolutamente paragonabili. I baci e le carezze di Nao erano state piacevoli ma non mi avevano mai fatto perdere il controllo, non mi avevano mai fatto sentire al contempo così completa e così smaniosa di ottenere di più. E poi con Nao c’era quel velato senso di colpa, mentre con Akito… con Akito… con Akito ci siamo solo io e lui e i nostri corpi che si stringono e si graffiano, felici di ritrovarsi dopo un così lungo viaggio… “O sovrumana forza dell’amore, tu mi fai amare il nemico che odiavo” questa frase – una battuta di Giulietta – affiora alla mia mente e le mie labbra si distendono in un sorriso perché mai dei versi sono stati tanto calzanti: se penso a quanto lo odiavo quando eravamo solo due ragazzini e lui terrorizzava la classe, se penso a quanto lo amo adesso che sto per donarmi a lui…
I pantaloni di Hayama scivolano ai piedi del letto, mentre lui si posiziona fra le mie gambe e i nostri lombi – appena velati dalla biancheria – si sfiorano, rivelandomi tutta la sua eccitazione.
Arrossisco e mi ritraggo impercettibilmente.
« Akito… » mormoro, esitante.

 

« Akito… »
È il mio nome mormorato dalle sue labbra – quel misto di incertezza e paura che le incrina la voce – a riscuotermi e a farmi riacquistare un barlume di lucidità. Solo in quel momento mi rendo conto di esserle praticamente saltato addosso e di averla trascinata nel letto, spogliandola senza chiederle nemmeno se fosse pronta. Mi scosto – disgustato da me stesso – ma prima che possa allontanarmi per davvero le gambe di Kurata mi cingono i fianchi e le sue dita mi artigliano la pelle. I nostri bacini sfregano e non riesco ad impedire che un gemito roco mi esca dalla labbra per quell’imprevisto ed eccitante contatto.
« No… » mormora Sana con quelle labbra rosse per i miei baci e le guance arrossate per il piacere. « Non fermarti… »
Basta quella frase a farmi distendere di nuovo su di lei, più dolce ed attento questa volta, mentre le sfioro una guancia.
Sana abbassa lo sguardo e appoggia il viso alla mia mano, bisbigliando con voce flebile:
« Volevo solo dirti che ho mantenuto la promessa. La mia prima volta sarà con te, Akito ».
Solleva lo sguardo per fissarmi, con un sorriso un po’ tremulo e mi chiedo come faccia il cuore a non scoppiarmi per la felicità.
La bacio, perché non sono bravo con le parole, e non saprei come spiegarle altrimenti quanto sia felice di sapere che sarà solo mia. È un bacio lento e dolcissimo, che termina con un morso giocoso e io che non riesco a reprimere il sorrisetto che mi increspa le labbra. Poi le mie mani scivolano ad accarezzare quel corpo così morbido e perfetto e Kurata si inarca sotto le mie dita, facendomi perdere il senno. Finisco di spogliarla con lentezza, fissando i suoi occhi scuri in cerca della più piccola esitazione. Ma riesco a leggervi solo un’impazienza e una brama che amplifica la mia, rendendo sempre più difficile procedere con calma e senza fretta, come mi sono imposto.

Poi, inaspettatamente, il suo viso assume un’espressione strana e la sua piccola mano si sofferma sull’orlo dei miei boxer, togliendomi il respiro. Mi accarezza, provocante, prima di sfilarmeli con una decisione che mi lascia senza fiato.
Mi chino su di lei, aggredendo la sua bocca con la stessa disperazione di un assetato in un deserto, bacio e mordo le sue labbra, il suo collo, i suoi capezzoli, ogni parte di lei.
La sento mormorare il mio nome e lentamente scivolo dentro il suo corpo caldo, tremando per l’emozione. Mi immobilizzo, accorgendomi della sua espressione sofferente. Bisbiglio alcune parole contro il suo orecchio e la vedo sorridere. Mi stringe ancora di più contro di sé mentre la sua bocca si unisce alla mia in un breve ma intenso bacio, poi, intuendo che il dolore è passato, inizio a muovermi dentro il suo corpo. Lampi di piacere mi devastano le membra, mentre mi immergo sempre di più in lei e smarrisco me stesso nelle pieghe della sua pelle.



Akito si fa strada fra le mie gambe e per un attimo sono annichilita dal terrore. Mi irrigidisco e serro gli occhi, senza riuscire a trattenere una smorfia di dolore.
« Non aver paura ».
Sono quelle parole, mormorate contro il mio orecchio a darmi la forza di aprire le palpebre. Gli occhi di Akito mi fissano, intensi e fiduciosi. Mi basta osservarli perché il nodo che mi stringe lo stomaco si allenti un po’.
« Ti amo, Sana ».
Lo bisbiglia fissandomi negli occhi e io mi sento sciogliere, dischiudendo finalmente le gambe e accogliendolo dentro di me. Il bruciore c’è, ma dura solo un momento e quasi non me ne accorgo, imprigionata dal suo sguardo dorato.
La neve cade fitta, la vedo dalla finestra, cade a fiocchi e sembra non voler smettere mai, eppure negli occhi di Akito la neve si sta sciogliendo e il suo sguardo ha tutto il calore dell’estate più torrida.
Inizia a muoversi e a mano a mano che il mio corpo si abitua al suo, sento che il piacere, lento ma inesorabile, mi avvolge le membra. I nostri gemiti risuonano nell’aria e si fondano insieme, mentre il mio sguardo appannato abbraccia la stanza, per poi posarsi di nuovo sulle sue iridi ambrate.  

Poi a poco a poco, sparisce tutto: non riesco a vedere nient’altro che non siano i suoi occhi, a pensare ad altro che sia la sua pelle che sfrega con la mia. Il ritmo si fa più accentuato ed incalzante, stringo convulsamente i fianchi di Hayama, abbandonandomi contro il suo petto, desiderando non lasciarlo mai più uscire da me.
È in quel momento, mentre tutto esplode in un bianco accecante di piacere, mentre le mie labbra  sussurrano il suo nome e lacrime che non credevo di aver versato mi accarezzano il viso, è in quel momento che mi accorgo che la nostra storia non avrà mai fine.

 

 

 

1) Giulietta, quando facevamo l’amore
Eri solita piangere,
Dicevi “Ti amo come le stelle nel cielo,

Ti amerò fino all’ultimo respiro”
C’è un posto per noi,
Conosci la canzone del film?
Quando capirai che era solo il tempo
Ad essere sbagliato?

 

 

 

Ciao a tutti!

Sigh sigh siamo giunti alla fine! Qualche piccolo chiarimento finale prima di passare ai saluti:
All’inizio del capitolo ho inserito la conversazione di Sana e Nao per un duplice motivo: 1) per evidenziare come finalmente Naozumi stia davvero superando il suo amore per lei (per la prima volta riesce a dirle di no) 2) perché mi sembrava una reazione molto umana quello di titubare fino all’ultimo e non certo perché Sanasia indecisa sui suoi sentimenti!
Quanto al finale vero e proprio, sappiate che l’avevo in mente fin dall’inizio, anzi la ff è nata proprio con l’idea di descrivere la prima volta fra Sana e Akito… nondimeno spero di avervi (piacevolmente) sorpreso! Come sempre se avete delle critiche e in particolare se alcune scene vi sembrano troppo esplicite ditemelo e magari le modificherò!
La canzone che ho scelto per questo capitolo è una delle mie preferite e se non la conoscete vi consiglio di sentirla, perché è stupenda (soprattutto nella versione cantata dai Killers). Silvia123 anche questa volta il primo passo l’ha fatto Sana, però anche Akito ha qualche merito: le ha chiesto scusa per il modo in cui l’ha lasciata ( per come possa chiedere scusa Hayama, ma è già un passo in avanti) e finalmente le ha detto che la ama… ho pensato che in momento del genere, semplicemente non sarebbe riuscito a tenersi quelle tre parole dentro.
Be’ non mi resta che procedere con i ringraziamenti: un grazie di cuore a chi ha messo la ff fra le seguite/ricordate/preferite ma anche a chi ha solo letto ( siete sempre in tempo a scrivermi cosa ne pensate di questo mio tentativo! ). Ma ancora di più alle ragazze che mi hanno lasciato dei commenti: Orihimechan, Luelga, Silvia123, elenafire, Gioginaoggia, Usa-chan, LallyQueen, sailorm, Laplop. Siete state davvero carinissime e ogni vostra parola mi ha fatto piacere in un modo che ho difficoltà a descrivere!
Grazie di cuore e spero che questa ff non vi abbia deluso!
Un enorme saluto e un ancora più enorme bacio
Eli

 

p.s. come ho detto non ho intenzione di sparire, per cui ogni tanto capitate sul mio profilo, potreste trovare qualche  nuova storia! Spero di risentire alcune di voi per cui…A presto!     ; ) 

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