I will never say goodbye to you

di irytvb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cold outside ***
Capitolo 2: *** Oh, simple things, where have you gone? ***
Capitolo 3: *** Defying gravity never put me down ***
Capitolo 4: *** take a bite of my heart tonight ***
Capitolo 5: *** Glad you came ***



Capitolo 1
*** Cold outside ***



Betata dalla fantastica ND_Warblers518...

I will never say goodbye to you


1. Cold outside.

"Il giorno in cui voi non brucerete più d'amore,
 molti altri moriranno di freddo."

                                                     François Mauriac                                        

"Deve dirmi tutto. Qualunque cosa le venga in mente aiuterà sia il suo caso che il mio." Disse perentorio Kurt alla ragazza di fronte a lui.
Quella si guardò intorno per qualche secondo, fissando con aperta ostilità le vetrate, prima di volgersi verso Kurt con un sorrisetto sardonico. "Oh, ne dubito. Anzi, meno parlo meno metterò in pericolo la mia e la sua vita."
"Se non collabora passerà dieci anni in carcere. Preferisce questo?"
"Sarò più al sicuro dietro le sbarre che in  libertà, a questo punto."
Kurt emise un gemito frustrato. Andavano avanti così da diverse ore, di questo passo non avrebbero risolto niente.
"Mi stia a sentire, Lopez. E ascolti attentamente, perchè non ripeterò questa offerta un altra volta. Lei mi dice tutto quello che sa, ed io la lascio in libertà. Se testimonierà a nostro favore le darò una scorta, farà parte del programma protezione testimoni. Farò tutto il possibile per tirarla fuori dal pasticcio in cui si è messa, anche perchè mi sembra troppo giovane per capire la gravità della sua situazione."
"Strano, perchè lei sembra avere la mia stessa età. Come ha fatto a diventare membro della CIA così in fretta? "
"Non mi sembra nè luogo nè momento per parlare di queste cose-"
"Al contrario, a me sembra un momento perfetto. Forse è parente di qualche agente?"
"Temo che lei sia fuori strada. Qui non si fanno favoritismi."
"Ah no? Eppure lei non mi sembra adatto per fare l' agente segreto. Forse lavoro di base?"
"No, lavoro a campo aperto."
"Mi permetta di mostrare il mio stupore, allora. Lei non passa inosservato." Disse Santana, squadrando l'agente davanti a lui.
Kurt arrossì leggermente, ma si costrinse a non abbassare lo sguardo.
"Ho una proposta." Disse d' un tratto la ragazza. "La mia storia per la sua."
"Non mi sembra che lei sia nella situazione giusta per porre condizioni."
"Invece lo sono. Vi servono le mie informazioni, fareste qualunque cosa per metterci le mani. E sappiamo entrambi che io non parlerò, altrimenti."
"Bene. Cosa vuole sapere?" Sbuffò Kurt, sprofondando dentro la sedia imbottita che usavano durante gli interrogatori.
"Perchè ha deciso di fare l' agente segreto? Io so chi è lei. L'ho vista sui giornali... E' il figlio del senatore del congresso, Burt Hummel. Non ha pensato di seguire le orme di suo padre? E' meno pericoloso fare il politico."
Kurt prese la radio che ronzava sul tavolo, e la spense. Poi, alzandosi, calò le tendine sulle vetrate, in modo che la stanza solitamente illuminata a giorno fosse nella penombra.
"C'era..." Scosse la testa, come cercando di schiarirsi i pensieri. "Io volevo fare il cantante a Broadway."Disse, con una risatina amara. "Ma poi... i tempi sono cambiati. Avevo la vita che ogni ragazzino ricco viveva: andavo a scuola, una privata, naturalmente. Poi dritto a casa, senza gozzovigliare per strada, perchè non era adatto, dicevano. In realtà avevano paura che facessi brutti incontri, ma questo l'ho scoperto dopo..."

**

Non doveva essere complicato.
Finn, il suo fratellastro, gli aveva chiesto di comprare il regalo di anniversario per i loro genitori senza di lui, perchè aveva gli allenamenti di football.
Così si era diretto verso il centro di Washington, che non distava molto dalla scuola in cui andava.
Certo, non conoscevo ancora bene la città, visto che mi ero trasferito da poco da Lima, per il lavoro di suo padre, ma gli avevano assicurato che era facile trovare il quartiere dei negozi, e se mai si fosse perso avrebbe sempre potuto chiamare un taxi.
Il problema era che non si era accorto di essersi perso: camminavo di buona lena, con gli occhi fissi sulla strada davanti a sè, e le mani strette sulle banconote che avevo in tasca, visti i tempi.
Sfortunatamente ero finito in un quartieraccio, uno di quelli che sorgeva all'ombra di due strade pulitissime e curate, con i prati all'inglese tagliati di fresco, un quartiere che, come molti altri, era solitamente ignorato, quasi tenuto all'ombra per non avere a che fare con i crimini che vi avvenivano di frequente.
Quando me ne ero accorto era troppo tardi.
Una mezza dozzina di ragazzi, probabilmente intorno alla mia età, (all'epoca aveva sedici anni,) l' avevano circondato.
"Qualcuno si è perso." Aveva detto un biondo, dando una gomitata al ragazzo al suo fianco.
Stranamente realizzò che fu così solo dopo che il ragazzo aveva parlato.
"Su, Jeff, non spaventare il ragazzino. Usa le buone maniere..." Aveva ghinato il ragazzo .
"A lui la mamma le ha insegnate... peccato che la mia non l' abbia fatto, vero?" Aveva chiesto un ragazzo asiatico, ridendo.
"Peccato per lui, non per noi, Wes."
Miaa madre era morta quando ero piccolissimo, perciò non mi aveva mai insegnato le buone maniere. Ma questo non lo dissi.
"Cosa volete?" Avevo finalmente chiesto, guardandoli con una spavalderia che non possedevo.
"Insegnare ad un novellino com' è stare al mondo." Disse un altro ragazzo, avanzando dalle mie spalle.
Aveva i capelli neri e ricci, domati con del gel.
Quando i suoi occhi scuri incontrarono i miei sentii un brivido correre lungo la spina dorsale.
Fu allora che capii pienamente cosa stava succedendo e cosa sarebbe potuto succedere.
Avrebbe potuto finire parecchio male.
"So benissimo come stare al mondo. Ci sono stato per sedici anni." Avevo risposto.
E va bene, forse non era la mossa più intelligente da fare, ma nessuno spingeva gli Hummel in giro, giusto? O almeno così diceva mio padre.
Un ragazzo nero fece per saltargli addosso, ma il ragazzo che stava parlando scosse la testa: "Non ora, David." notai solo allora che aveva un pesante accento italiano.
"Come ti chiami?" Gli chiese poi.
Per un attimo meditai di tirargli un pugno e scappare, ma l' idea era ridicola per due ragioni: la prima, loro erano in troppi, la seconda era che non sapevo tirare pugni.
"Kurt."
"Quindi sei tedesco?" chiese ancora, avvicinandosi di un paio di passi.
Era così vicino che poteva vedere  i suoi occhi ad una distanza ravvicinata.
Erano belli, quegli occhi.
Particolari, con delle screziature verdi all'interno.
"No. E tu sei italiano?"
Il ragazzo sorrise. "si."
"Blaine," Disse un altro ragazzo, rivolto a quello con cui stava parlando, "cosa...?"
"Faccio amicizia, Thad. Non avevamo parlato di buone maniere?"
Risero tutti, tranne l'italiano, quello che si chiamava Blaine.
Lui continuava a fissarmi.
"Tira fuori tutti i soldi che hai. E bada che siano tutti, non mi piace che mi si prenda in giro."
Vuotai le tasche immediatamente, nella speranza che tutto finisse il più in fretta possibile.
"Togliti le scarpe."
A quella richiesta lo guardai stranito.
"Ho detto di toglierti le scarpe." Ripetè.
Bhè il problema era che non potevo: erano nuove, e avevo obbligato mio padre a prendere quelle della nuova collezione di Prada. Sarei morto, piuttosto che consegnargliele.
"No."
Lui si strinse nelle spalle, prima di fare un cenno ai suoi compagni, che mi furono addosso in un istante.
Non so quanto durò la rissa.
O meglio, non so quanto durò il pestaggio, perchè io non potei fare molto altro se non subire.
So solo che ad un certo punto, dopo quelle che parvero ore, (ma che sarebbero potuti essere benissimo secondi, ho imparato che tutto è relativo nella mente umana, anche il tempo,) svenni.
Quando riuscii ad aprire gli occhi mi accorsi per prima cosa del battito pulsante del mio cuore, che segnalava che ero ancora vivo.
Fu un sollievo saperlo.
La seconda cosa di cui mi accorsi furono due paia di occhi che purtroppo ricordavo bene.
"Alla fine non sei morto, allora."  Disse Blaine con un sorrisetto.
"Che cosa....?"
"Ho dovuto fermarli, sai. Pensavo che almeno sapessi fare a pugni, visto che non hai voluto ascoltarmi."
"Io... Mi piacevano quelle scarpe." Risposi, guardando con nostalgia i miei piedi scalzi.
"Ti avremmo lasciato andare se me le avessi consegnate. Mi stavi simpatico."
"Ciò nonostante mi hai fatto pestare."
Blaine sospirò. "Tieni," Disse, mollando quel paio di scarpe accanto a me.
"Che..?"
"Hai lottato per averle." Rispose, stringendosi nelle spalle.
Mi alzai a sedere, accorgendomi in quel momento di essere stato adagiato sopra..."Dove cavolo siamo?"
"Nel Bronx." All'occhiata sconvolta che gli rivolsi ghignò: "è il nome della palestra in cui mi alleno..."
Oh. Questo spiegava il ring su cui ero sdraiato.
"Come ci sono finito?"
"Ti ho trascinato io . Se ti avessi lasciato per strada non sarebbe finita bene... Il figlio del senatore del congresso disteso senza sensi in mezzo alla strada? Per molti sarebbe stato come Natale in anticipo."
"Oh." Aveva detto Kurt piuttosto stupidamente.
Non poteva farci niente, semplicemente sentiva il suo livello di quoziente intellettivo calare a picco ogni volta che quegli occhi scuri lo scrutavano come in quel momento.
"Su, in piedi." Disse infine Blaine.
"eh? Nel caso in cui tu non te ne sia accorto sono appena stato picchiato."
"Lo so. E' per questo che ti devi alzare: farò in modo che non succeda più." Aveva risposto l' Italiano.
Kurt l' aveva guardato dubbioso, prima di alzarsi con non poca fatica.
Sembrava quasi che le sue gambe avessero deciso di non reggere il suo peso.
"Tirami un pugno."
Kurt lo guardò come se avesse perso qualche rotella, ma Blaine gli sorrise incoraggiante.
Non potè fare a meno di pensare che avesse proprio un bel sorriso.
"Sei... Sei sicuro?"
"certo."
Kurt chiuse la mano a pugno, piegando leggermente le ginocchia per darsi lo slancio, ma Blaine gli bloccò la mano prima che potesse fare altro.
"Il movimento delle gambe andava bene, ma la mano no. Guarda."  Gli prese la mano, e con delicatezza, una delicatezza che Kurt non si sarebbe mai aspettato da quelle mani callose e grandi, tolse il pollice dalla morsa delle altre dita, e lo posizionò sotto la seconda falange. "Altrimenti ti rompi il pollice."
"Perchè lo stai facendo?" Chiese d'un tratto Kurt.
"Perchè non sai nemmeno tirare un pugno."Gli aveva risposto Blaine, come se avesse appena fatto una domanda stupidissima.
"Perchè mi stai aiutando? Sono confuso. Prima mi fai picchiare e poi mi insegni a combattere? Perchè?"
"Non lo so. Ho questa... Questa sensazione, su di te...." Blaine tacque un paio di secondi, come riflettendo. "Adesso prova di nuovo a tirarmi il pugno."
Kurt non insistè per sapere altro, ma gli tirò il pugno.
Mirò al naso, e ci mise tutta la forza di cui poteva disporre in quel momento, che non era poi molta a causa di tutti i lividi che stavano affiorando sulla sua pelle delicata.
Blaine parò il colpo senza difficoltà, ma questa volta annuì: "era buono. La prossima volta mettici più forza."
Kurt stava per dirgli che era difficile metterci più forza, perchè, pronto? Lui era appena stato picchiato! Ma la risposta gli morì in gola quando vide l'orologio.
"Sono...Sono le otto?" Chiese Kurt, ormai nel panico.
Blaine annuì. "Si, che problema... Oh." Sembrò capire tutto in una manciata di secondi. "a che ora dovevi essere a casa?"
"Alle sei. E... Io non so nemmeno dove sono adesso!"
"Calma, io so esattamente dove siamo. Arriverai a casa, in un modo o nell'altro."
"No, tu non capisci. Mio padre avrà già chiamato la polizia! Probabilmente il giornale serale mi darà già come rapito o morto! Vedo già i titoli: 'figlio del rappresentante del congresso Burt Hummel sparito questo pomeriggio. Si pensa al peggio.' E mio padre! A mio padre verrà un infarto! Come-"
"Okay, datti una calmata. Adesso usciamo dalla palestra e andiamo verso una cabina telefonica. Dopodichè ti accompoagno a casa. Semplice,no?"
Il cervello di Kurt si era bloccato al ti riaccompagno a casa, se avesse dovuto essere sincero, ma annuì comunque.
Uscirono dalla palestra, Blaine con il colletto della giacca di pelle tirato su in modo che gli coprisse metà viso, e Kurt con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, sentendo la mancanza del suo giubotto Burberry, che naturalmente si erano presi gli amici di Blaine.
Almeno aveva le scarpe, pensò, guardando le prada nere.
Arrivarono ad una cabina telefonica con un anta di vetro completamente rotta, e Kurt trasalì entrandovi, mentre sentiva le suola delle sue adorate scarpe calpestare le schegge di vetro.
Blaine entrò con lui, chiudendosi alle spalle l'anta rotta.
La cabina era piccola, fatta giusta perchè una persona potesse entrarci, perciò Kurt sentì il corpo di Blaine a filo con il suo.
Rabbrividì, forse per il freddo, o forse per la vicinanza dell' altro ragazzo.
Perchè Blaine era caldo, e sentiva quel calore anche attraverso i suoi vestiti, non perchè stesse sviluppando una cotta per lui o qualcosa del genere.
Il fenomeno che stava vivendo si chiamava escursione termica, giusto?
Giusto.
"Non ho monete." Disse Kurt, indicando la fessura al lato del telefono rosso.
"Lo so. Ho io le tue." Disse tranquillamente Blaine, prima di prenderne una e sospirare.
"Non hai una cicca, vero?"
"Ehm... no."
Blaine si guardò intorno, e gli occhi si posarono sulla strada deserta.
"Va bene," Disse, prima di inserire la monetina dentro la fessura.
Kurt lo guardò stranito, ma digitò il numero di telefono dell'ufficio di suo padre, e attese.
"Pronto?" chiese la voce profonda di Burt.
Kurt sentiva l' ansia che impregnava il tono del padre, e si sentì da subito in colpa.
"Ehi, papà, sono io, Kurt."
Dall'altra parte sentì un sospiro di sollievo." Grazie a Dio. Dove sei? Perchè non sei a casa? Ti è successo qualcosa? Finn ha detto che sei andato da solo a comprare il-"
"Papà, calmati. Ho avuto un brutto incontro, ma ora sto bene. Sto arrivando a casa."
"In che senso un brutto incontro? Kurt, cosa ti è success-" Un suono stridulo coprì le ultime parole del rappresentante del congresso, sostituito da una voce femminile: "La chiamata è terminata. Se vuole richiamare inserisca nell'apposita fessura un dollare e attenda in linea-" Anche la voce femminile si spense con uno stridio.
Questa volta però, il colpevole era Blaine, che aveva sferrato un calcio al contentiore di metallo sotto il telefono rosso, che si ribaltò e rovesciò per terra centinaia di monetine da un dollaro.
Kurt lo guardò incredulo.
"Che c'è? Dovevo riprendermi il dollaro." Aveva risposto lui innocentemente, prima di prendere una manciata di monetine e infilarle nella tasca dei jeans. "Bhè, andiamo o dobbiamo aspettare la polizia?"
I due ragazzi aprirono l'anta della cabina, e si fiondarono fuori.
"Riesci a correre?" gli chiese Blaine. "Solo per un isolato, altrimenti la pattuglia ci prenderà."
Kurt lo guardò incredulo. Era ovvio che non ci riusciva , e la colpa era soltanto dell'italiano.
Blaine non aspettò risposta e gli afferrò la mano, prima di iniziare a correre con Kurt alle calcagna, che malediceve tutto quello che gli passava per la testa.
Dopo un isolato si fermarono, e Kurt si accascio sui grdini che portavano all'ingresso di una casa. "Ti odio." Gemette.
Blaine gli sorrise soltanto, divertito, prima di sedersi di fianco a lui.
"Allora, dove abiti?" Gli chiese.  "Ti devo riaccompagnare a casa."
"Vicino alla Dalton, la scuola privata che si affaccia su via-"
"Si, la conosco."
"La conosci?"
"Una volta la frequentavo. Sei pronto ad alzarti? Abbiamo un sacco di strada da fare."
"Ma fa freddo!" Gemette Kurt.
Blaine alzò gli occhi, prima di alzarsi e progergli la mano. "La prossima volta ti metterai un maglione, sopra quella camicia. E' gennaio."
"Sopra quella camicia avevo un giubbotto molto pesante, per tua informazione. Non avevo previsto di essere derubato."
"Avresti dovuto prevederlo. Non passi inosservato vestito così in un quartiere del genere. Cosa ci facevi qui?"
"Stavo tentando di trovare un regalo per l' anniversario dei miei genitori." Rispose Kurt, rabbrividendo quando una folata di vento particolarmente fredda si insinuò sotto la leggera camicia.
Blaine lo guardò con interesse, prima di sfilarsi il giubbotto." La prossima volta metti un maglione." Ripetè con un sorriso.
Kurt si infilò la giacca di pelle, che era insolitamente calda e profumata.
Un profumo che Kurt aveva riconosciuto subito come Chanel, lo stesso che usava sua madre.
Lo Chanel numero cinque impregnava quasi tutti i ricordi che aveva di lei.
Kurt ricordava benissimo di essere seduto sopra la toletta in rovere di Christinne, mentre lei si specchiava sull' enorme specchio, sistemandosi i riccioli scuri dietro le orecchie.
Aveva pensato che sua madre sembrava proprio una principessa, e che se mai avesse sposato una donna, quella sarebbe dovuta essere uguale a lei.
Poi Christinne gli aveva accarezzato una guancia, prima di chinarsi e aprire il primo cassetto a destra, dove teneva delle boccette di vetro dall' aria costosa.
"Cosa sono quelle, mamma?" Aveva chiesto, guardandole con meraviglia.
"Sono profumi; servono per avere un buon odore, Kurt."
"Ma non basta lavarsi?"
Christinne ridacchiò. "Si, basterebbe. Ma a volte voglio avere un profumo ancora più buono. Guarda, questo è il mio preferito." Aveva detto, tirando furoi dal cassettino una boccetta. "Lo usava una delle attrici più famose al mondo. Si chiamava Marylin Monroe."
Kurt aveva annuito, mentre la mamma si spruzzava sul polso qualche goccia della bottiglietta.
"Posso averne un po' ? Voglio un profumo ancora più buono anch'io ."
Lei aveva sorriso, prima di mettergliene qualche goccia ai lati del collo.
"Stai bene?" Chiese Blaine d'un tratto. "Non stai dicendo niente da un po'. Ti conosco da qualche ora e già so che non perdi mai un attimo per lamentarti."
"Ehi, questo non è vero. Oggi avevo degli ottimi motivi per lamentarmi."
Blaine, straordinariamente, rise.
Aveva una bella, bellissima risata, e gli occhi gli si illuminavano sembrando più verdi che marroni.
Kurt dovette fermarsi un secondo per non rischiare di inciampare, dato che le sue gambe quel giorno sembravano non volergli proprio ubbidire.
Questa volta per una ragione completamente diversa dalla prima.
E per ciò molto, molto terrificante.
Kurt si conosceva abbastanza bene da capire come funzionasse il suo cervello.
Non capiva perchè tutti dicessero che le emozioni fossero legate al cuore, perchè per lui quello era soltanto un organo che batteva, imperterrito, finchè respiriamo.
Certo, il cuore era un organo affascinante, ma non quanto il cervello con i suoi emisferi legati ad ogni condizione della nostra vita.
E c'era un emisfero che particolarmente interessava Kurt, a quel punto.
L'emisfero affettivo.
"Kurt, siediti." Disse Blaine con voce ad un tratto preoccupata.
Lui lo guardò, confuso. Dove doveva sedersi? Non c'era nessuno posto dove riposarsi. Niente gradini, niente panchine.... Cosa stava cercando di dirgli? E perchè tutto era sempre più sfocato e confuso?
Stava forse delirando?
Sbattè gli occhi un paio di volte, cercando di madare via quella fastidiosissima nebbiolina, ma quella non ne voleva sapere.
La testa era un un po' più pesante di prima, ma non c'era niente di cui preoccuparsi, giusto?
L'unica cosa certa, in quel momento, era la mano calda di Blaine sulla sua spalla, che lo spingeva giù....?
Non capiva cosa volesse fare e perchè- Ohhhh. Adesso era seduto.
E, guarda, la testa non sembra meno pesante, adesso?...
"Cazzo." Aveva sentito bofonchiare Blaine.
...Avrebbe dovuto preoccuparsi?
"Torno subito, te lo prometto. Ma tu stai fermo e non ti muovere, va bene?"
Blaine se ne stava andando.
Avrebbe dovuto aspettarselo? Del resto era stato lui a ordinare di picchiarlo, no? Magari lo stava accompagnando a casa solo per scoprire dove abitava e derubarlo... Probabilmente ora che stava male Blaine si era spaventato ed era corso via.
Peccato.
Sembrava proprio un bel ragazzo.
Avrebbe potuto innamorarsene se non fosse stato un gangster in erba.
"Mangia."
La voce di Blaine arrivò come galleggiando dallo stato di torpore in cui Kurt era caduto.
Così non era scappato, dopotutto... Aveva pensato confusamente, prima che Blaine gli ficcasse in mano qualcosa di caldo.
Senza pensare iniziò a portarselo alla bocca, e dopo i primi tre morsi si accorse di stare mangiando un hot dog, probabilmente preso da uno di quegli orribili carretti, dove l'igiene era un qualche strano miraggio....
Kurt dovette ammettere che si sentiva molto meglio, però.
"Dovevi proprio avere un calo di zuccheri* con me, vero?" Aveva sbottato Blaine.
Se Kurt non avesse saputo di meglio avrebbe potuto pensare che si fosse spaventato.
"Mi dispiace...?"
Blaine sbuffò soltanto, prima di rialzarsi in piedi e spazzolarsi i jeans. "Ce la fai ad alzarti? Ormai manca poco."
"Si, cer-Ew. Mi hai fatto sedere sul marciapiede?"
Blaine sorrise di nuovo, e gli porse la mano, che questa volta Kurt presesenza esitazioni.
____________________________________________________________________________

Camminavano su una stradina stretta e poco illuminata, punteggiata qua e là da qualche lampione che gettava un cono di luche soltanto su una piccola porzione dell'asfalto.
Ma non era questo che gli aveva reso il respiro superficiale.
Era il fatto che blaine non gli aveva ancora lasciato la mano.
E, sebbene le gambe molli fossero state il sentore di un calo di zuccheri e non di una cotta, questo non stava ad escludere che Blaine era davvero bello.
Aveva un buon profumo, la pelle abbronzata ed era stato gentile, se non si contava il loro primo incontro.
E Kurt aveva addosso la sua giacca.
La sua giacca di pelle, esattamente. Chi aveva detto che i cattivi ragazzi non avevano fascino?
Quel qualcuno non aveva incontrato Blaine, allora.
"Domani pomeriggio cosa fai?"
... Non gli stava chiedendo un appuntamento, vero? Perchè Blaine sembrava tutto eccetto che gay.
"N-niente, Perchè?"
"Ti passo a prendere alle cinque. Ho promesso che non saresti stato più picchiato, ricordi? Io mantengo le mie promesse." Rispose Blaine, prima di girare l'angolo e trovarsi in una strada privata.
I giardini tagliati con minuziosa precisione sembravano venire da un altro pianeta, se pargonati alle case dei quartieri che Kurt aveva visto in precendenza, senza contare che i lampioni, disposti a pochissima distanza l' uno dall'altro sembravano illuminare il viottolo pulitissimo, senza nemmeno una cartaccia, a giorno.
Kurt ci mise qualche secondo a capire che quella era la via dove abitava.
"Riesci ad arrivare a casa tua senza svenire o farti trovare da una banda?"
"Ci proverò." Rispose il ragazzo con un sorriso.
Blaine gli fece un cenno, prima di girarsi, e avrebbe imboccato la stradina dalla quale erano arrivati, se Kurt non l' avesse fermato. "Sei sicuro di voler tornare a casa tua a quest'ora?" Chiese timidamente.
"Nessuno mi assalirà, te lo prometto. So difendermi." Gli aveva risposto garbatamente, e Kurt non potè fare a meno di sentirsi un po' stupido, prima che Blaine gli sorridesse di nuovo, prima di voltarsi e incamminarsi lontano da lui.
Kurt, invece, stette a fissare Blaine finchè non sparì dietro l'angolo, e rimase lì, in quella posizione per un po', finchè le mani non gli fecero male per il freddo.
Allora si voltò, e infilò le mani nella tasca del giubbotto.
Oh. Il giubbotto.
Blaine si era dimenticato il giubbotto.

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"Così si era dimenticato la giacca." La latina sbuffò. "Così clichè."
Kurt le rivolse un sorriso mesto, il primo che aveva fatto in sua presenza.
"Mi dispiace. Però se può consolarla, quella sera ho frugato nelle tasche del giubbotto, e c'era una busta indirizzata a me."
"Davvero?" Chiese Santana, improvvisamente interessata.
"Si. Probabilmente l'avrà messa mentre ero svenuto. C'erano i soldi che mi aveva rubato. Non tutti, poi mi ha spiegato che quelli erano solo i soldi che erano toccati a lui, perchè gli altri se li erano spartiti."
"Quindi l'hai incontrato il giorno dopo, giusto?"
Kurt annuì. "Bhè, io ti ho raccontato una parte della mia storia, adesso mi devi raccontare cosa ci facevi in un quartiere così..." Sembrò cercare la parola giusta, prima di continuare."Malfamato. In compagnia di-"
"puttane.  Con addosso novecento grammi di roba." Concluse Santana per lui. "Non è ovvio? Mi spacciavo per una di loro, ma i nostri acquirenti sapevano da chi andare per comprare. Ero l'unica ispanica in mezzo alle altre."
"Si, ma perchè l' ha fatto? Aveva un lavoro che le rendeva bene ."
"Ma non era abbastanza. La mia fidanzata- Oh, non faccia quella faccia! Come se fosse scandalizzato o cose del genere! Scommetto che tra lei e Anderson ci sarà stato sesso bollente, magari in quella palestra nella quale vi siete conosciuti..."
Kurt arrossì visibilmente. "Avevo quella faccia perchè è la prima volta che conosco qualcuno che lo dichiara così apertamente. Inoltre sapevo della sua fidanzata, abbiamo un intero dossier su Brittany S. Pearce. Altrimenti non le avrei mai raccontato la mia storia."
"Oh." Santana sembrava sorpresa.
"Inoltre," Kurt arrossì ancora di più mentre cercava di darsi un contegno, "come faceva a sapere della palestra?"
"Palestra...? Oh. Non lo sapevo, ma adesso voglio tutti i dettagli..."
"Non ora."La blandì Kurt. "Lei stava dicendo perchè ha fatto tutto questo."
"Come lei saprà, a questo punto, Brittany è stata insieme a molti uomini, tra cui un gangster di nome-"
"Abrams. Arthur Abrams, si fa chiamare dai suoi tirapiedi Artie."
"Esattamente. Bhè, non voleva lasciarla andare, ha minacciato di uccidere me e lei,  così abbiamo pensato che un soggiorno a Puerto Rico era d'obbligo. Ma avevamo bisogno di soldi. Molti soldi.
Così ci siamo messe in contatto con Puckerman-"
"Un altro Gangnster? Rivale di Abrams, per giunta! Cosa stavate pensando?"
"A salvarci la pelle il più in fretta possibile."

CONTINUA....
chiarimrenti:
*vengono dopo un grosso sforzo, quando si consumano grosse quantità di adrenalina o quando non si assume abbastanza cibo, o appunto, zuccheri.

^il mio angoletto^
bhè, se qualcuno sta leggendo mi piacerebbe sapere cosa ne pensa... devocontinuare o cancelllare immediatamente la storia?
su un altro piano, ne aprofitto per cantarmi: tanti auguri a me , tanti auguri a ireneeeee tanti auguri a meeeeeeeeee xD
..... non vorreste mai lasciarmi senza recensioni il giorno del mio compleanno, veeeeeeero?
1baci8
iry

tri moriranno di freddo."

                                                     François Mauriac                                        

"Deve dirmi tutto. Qualunque cosa le venga in mente aiuterà sia il suo caso che il mio." Disse perentorio Kurt alla ragazza di fronte a lui.
Quella si guardò intorno per qualche secondo, fissando con aperta ostilità le vetrate, prima di volgersi verso Kurt con un sorrisetto sardonico. "Oh, ne dubito. Anzi, meno parlo meno metterò in pericolo la mia e la sua vita."
"Se non collabora passerà dieci anni in carcere. Preferisce questo?"
"Sarò più al sicuro dietro le sbarre che in  libertà, a questo punto."
Kurt emise un gemito frustrato. Andavano avanti così da diverse ore, di questo passo non avrebbero risolto niente.
"Mi stia a sentire, Lopez. E ascolti attentamente, perchè non ripeterò questa offerta un altra volta. Lei mi dice tutto quello che sa, ed io la lascio in libertà. Se testimonierà a nostro favore le darò una scorta, farà parte del programma protezione testimoni. Farò tutto il possibile per tirarla fuori dal pasticcio in cui si è messa, anche perchè mi sembra troppo giovane per capire la gravità della sua situazione."
"Strano, perchè lei sembra avere la mia stessa età. Come ha fatto a diventare membro della CIA così in fretta? "
"Non mi sembra nè luogo nè momento per parlare di queste cose-"
"Al contrario, a me sembra un momento perfetto. Forse è parente di qualche agente?"
"Temo che lei sia fuori strada. Qui non si fanno favoritismi."
"Ah no? Eppure lei non mi sembra adatto per fare l' agente segreto. Forse lavoro di base?"
"No, lavoro a campo aperto."
"Mi permetta di mostrare il mio stupore, allora. Lei non passa inosservato." Disse Santana, squadrando l'agente davanti a lui.
Kurt arrossì leggermente, ma si costrinse a non abbassare lo sguardo.
"Ho una proposta." Disse d' un tratto la ragazza. "La mia storia per la sua."
"Non mi sembra che lei sia nella situazione giusta per porre condizioni."
"Invece lo sono. Vi servono le mie informazioni, fareste qualunque cosa per metterci le mani. E sappiamo entrambi che io non parlerò, altrimenti."
"Bene. Cosa vuole sapere?" Sbuffò Kurt, sprofondando dentro la sedia imbottita che usavano durante gli interrogatori.
"Perchè ha deciso di fare l' agente segreto? Io so chi è lei. L'ho vista sui giornali... E' il figlio del senatore del congresso, Burt Hummel. Non ha pensato di seguire le orme di suo padre? E' meno pericoloso fare il politico."
Kurt prese la radio che ronzava sul tavolo, e la spense. Poi, alzandosi, calò le tendine sulle vetrate, in modo che la stanza solitamente illuminata a giorno fosse nella penombra.
"C'era..." Scosse la testa, come cercando di schiarirsi i pensieri. "Io volevo fare il cantante a Broadway."Disse, con una risatina amara. "Ma poi... i tempi sono cambiati. Avevo la vita che ogni ragazzino ricco viveva: andavo a scuola, una privata, naturalmente. Poi dritto a casa, senza gozzovigliare per strada, perchè non era adatto, dicevano. In realtà avevano paura che facessi brutti incontri, ma questo l'ho scoperto dopo..."

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Non doveva essere complicato.
Finn, il suo fratellastro, gli aveva chiesto di comprare il regalo di anniversario per i loro genitori senza di lui, perchè aveva gli allenamenti di football.
Così si era diretto verso il centro di Washington, che non distava molto dalla scuola in cui andava.
Certo, non conoscevo ancora bene la città, visto che mi ero trasferito da poco da Lima, per il lavoro di suo padre, ma gli avevano assicurato che era facile trovare il quartiere dei negozi, e se mai si fosse perso avrebbe sempre potuto chiamare un taxi.
Il problema era che non si era accorto di essersi perso: camminavo di buona lena, con gli occhi fissi sulla strada davanti a sè, e le mani strette sulle banconote che avevo in tasca, visti i tempi.
Sfortunatamente ero finito in un quartieraccio, uno di quelli che sorgeva all'ombra di due strade pulitissime e curate, con i prati all'inglese tagliati di fresco, un quartiere che, come molti altri, era solitamente ignorato, quasi tenuto all'ombra per non avere a che fare con i crimini che vi avvenivano di frequente.
Quando me ne ero accorto era troppo tardi.
Una mezza dozzina di ragazzi, probabilmente intorno alla mia età, (all'epoca aveva sedici anni,) l' avevano circondato.
"Qualcuno si è perso." Aveva detto un biondo, dando una gomitata al ragazzo al suo fianco.
Stranamente realizzò che fu così solo dopo che il ragazzo aveva parlato.
"Su, Jeff, non spaventare il ragazzino. Usa le buone maniere..." Aveva ghinato il ragazzo .
"A lui la mamma le ha insegnate... peccato che la mia non l' abbia fatto, vero?" Aveva chiesto un ragazzo asiatico, ridendo.
"Peccato per lui, non per noi, Wes."
Miaa madre era morta quando ero piccolissimo, perciò non mi aveva mai insegnato le buone maniere. Ma questo non lo dissi.
"Cosa volete?" Avevo finalmente chiesto, guardandoli con una spavalderia che non possedevo.
"Insegnare ad un novellino com' è stare al mondo." Disse un altro ragazzo, avanzando dalle mie spalle.
Aveva i capelli neri e ricci, domati con del gel.
Quando i suoi occhi scuri incontrarono i miei sentii un brivido correre lungo la spina dorsale.
Fu allora che capii pienamente cosa stava succedendo e cosa sarebbe potuto succedere.
Avrebbe potuto finire parecchio male.
"So benissimo come stare al mondo. Ci sono stato per sedici anni." Avevo risposto.
E va bene, forse non era la mossa più intelligente da fare, ma nessuno spingeva gli Hummel in giro, giusto? O almeno così diceva mio padre.
Un ragazzo nero fece per saltargli addosso, ma il ragazzo che stava parlando scosse la testa: "Non ora, David." notai solo allora che aveva un pesante accento italiano.
"Come ti chiami?" Gli chiese poi.
Per un attimo meditai di tirargli un pugno e scappare, ma l' idea era ridicola per due ragioni: la prima, loro erano in troppi, la seconda era che non sapevo tirare pugni.
"Kurt."
"Quindi sei tedesco?" chiese ancora, avvicinandosi di un paio di passi.
Era così vicino che poteva vedere  i suoi occhi ad una distanza ravvicinata.
Erano belli, quegli occhi.
Particolari, con delle screziature verdi all'interno.
"No. E tu sei italiano?"
Il ragazzo sorrise. "si."
"Blaine," Disse un altro ragazzo, rivolto a quello con cui stava parlando, "cosa...?"
"Faccio amicizia, Thad. Non avevamo parlato di buone maniere?"
Risero tutti, tranne l'italiano, quello che si chiamava Blaine.
Lui continuava a fissarmi.
"Tira fuori tutti i soldi che hai. E bada che siano tutti, non mi piace che mi si prenda in giro."
Vuotai le tasche immediatamente, nella speranza che tutto finisse il più in fretta possibile.
"Togliti le scarpe."
A quella richiesta lo guardai stranito.
"Ho detto di toglierti le scarpe." Ripetè.
Bhè il problema era che non potevo: erano nuove, e avevo obbligato mio padre a prendere quelle della nuova collezione di Prada. Sarei morto, piuttosto che consegnargliele.
"No."
Lui si strinse nelle spalle, prima di fare un cenno ai suoi compagni, che mi furono addosso in un istante.
Non so quanto durò la rissa.
O meglio, non so quanto durò il pestaggio, perchè io non potei fare molto altro se non subire.
So solo che ad un certo punto, dopo quelle che parvero ore, (ma che sarebbero potuti essere benissimo secondi, ho imparato che tutto è relativo nella mente umana, anche il tempo,) svenni.
Quando riuscii ad aprire gli occhi mi accorsi per prima cosa del battito pulsante del mio cuore, che segnalava che ero ancora vivo.
Fu un sollievo saperlo.
La seconda cosa di cui mi accorsi furono due paia di occhi che purtroppo ricordavo bene.
"Alla fine non sei morto, allora."  Disse Blaine con un sorrisetto.
"Che cosa....?"
"Ho dovuto fermarli, sai. Pensavo che almeno sapessi fare a pugni, visto che non hai voluto ascoltarmi."
"Io... Mi piacevano quelle scarpe." Risposi, guardando con nostalgia i miei piedi scalzi.
"Ti avremmo lasciato andare se me le avessi consegnate. Mi stavi simpatico."
"Ciò nonostante mi hai fatto pestare."
Blaine sospirò. "Tieni," Disse, mollando quel paio di scarpe accanto a me.
"Che..?"
"Hai lottato per averle." Rispose, stringendosi nelle spalle.
Mi alzai a sedere, accorgendomi in quel momento di essere stato adagiato sopra..."Dove cavolo siamo?"
"Nel Bronx." All'occhiata sconvolta che gli rivolsi ghignò: "è il nome della palestra in cui mi alleno..."
Oh. Questo spiegava il ring su cui ero sdraiato.
"Come ci sono finito?"
"Ti ho trascinato io . Se ti avessi lasciato per strada non sarebbe finita bene... Il figlio del senatore del congresso disteso senza sensi in mezzo alla strada? Per molti sarebbe stato come Natale in anticipo."
"Oh." Aveva detto Kurt piuttosto stupidamente.
Non poteva farci niente, semplicemente sentiva il suo livello di quoziente intellettivo calare a picco ogni volta che quegli occhi scuri lo scrutavano come in quel momento.
"Su, in piedi." Disse infine Blaine.
"eh? Nel caso in cui tu non te ne sia accorto sono appena stato picchiato."
"Lo so. E' per questo che ti devi alzare: farò in modo che non succeda più." Aveva risposto l' Italiano.
Kurt l' aveva guardato dubbioso, prima di alzarsi con non poca fatica.
Sembrava quasi che le sue gambe avessero deciso di non reggere il suo peso.
"Tirami un pugno."
Kurt lo guardò come se avesse perso qualche rotella, ma Blaine gli sorrise incoraggiante.
Non potè fare a meno di pensare che avesse proprio un bel sorriso.
"Sei... Sei sicuro?"
"certo."
Kurt chiuse la mano a pugno, piegando leggermente le ginocchia per darsi lo slancio, ma Blaine gli bloccò la mano prima che potesse fare altro.
"Il movimento delle gambe andava bene, ma la mano no. Guarda."  Gli prese la mano, e con delicatezza, una delicatezza che Kurt non si sarebbe mai aspettato da quelle mani callose e grandi, tolse il pollice dalla morsa delle altre dita, e lo posizionò sotto la seconda falange. "Altrimenti ti rompi il pollice."
"Perchè lo stai facendo?" Chiese d'un tratto Kurt.
"Perchè non sai nemmeno tirare un pugno."Gli aveva risposto Blaine, come se avesse appena fatto una domanda stupidissima.
"Perchè mi stai aiutando? Sono confuso. Prima mi fai picchiare e poi mi insegni a combattere? Perchè?"
"Non lo so. Ho questa... Questa sensazione, su di te...." Blaine tacque un paio di secondi, come riflettendo. "Adesso prova di nuovo a tirarmi il pugno."
Kurt non insistè per sapere altro, ma gli tirò il pugno.
Mirò al naso, e ci mise tutta la forza di cui poteva disporre in quel momento, che non era poi molta a causa di tutti i lividi che stavano affiorando sulla sua pelle delicata.
Blaine parò il colpo senza difficoltà, ma questa volta annuì: "era buono. La prossima volta mettici più forza."
Kurt stava per dirgli che era difficile metterci più forza, perchè, pronto? Lui era appena stato picchiato! Ma la risposta gli morì in gola quando vide l'orologio.
"Sono...Sono le otto?" Chiese Kurt, ormai nel panico.
Blaine annuì. "Si, che problema... Oh." Sembrò capire tutto in una manciata di secondi. "a che ora dovevi essere a casa?"
"Alle sei. E... Io non so nemmeno dove sono adesso!"
"Calma, io so esattamente dove siamo. Arriverai a casa, in un modo o nell'altro."
"No, tu non capisci. Mio padre avrà già chiamato la polizia! Probabilmente il giornale serale mi darà già come rapito o morto! Vedo già i titoli: 'figlio del rappresentante del congresso Burt Hummel sparito questo pomeriggio. Si pensa al peggio.' E mio padre! A mio padre verrà un infarto! Come-"
"Okay, datti una calmata. Adesso usciamo dalla palestra e andiamo verso una cabina telefonica. Dopodichè ti accompoagno a casa. Semplice,no?"
Il cervello di Kurt si era bloccato al ti riaccompagno a casa, se avesse dovuto essere sincero, ma annuì comunque.
Uscirono dalla palestra, Blaine con il colletto della giacca di pelle tirato su in modo che gli coprisse metà viso, e Kurt con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, sentendo la mancanza del suo giubotto Burberry, che naturalmente si erano presi gli amici di Blaine.
Almeno aveva le scarpe, pensò, guardando le prada nere.
Arrivarono ad una cabina telefonica con un anta di vetro completamente rotta, e Kurt trasalì entrandovi, mentre sentiva le suola delle sue adorate scarpe calpestare le schegge di vetro.
Blaine entrò con lui, chiudendosi alle spalle l'anta rotta.
La cabina era piccola, fatta giusta perchè una persona potesse entrarci, perciò Kurt sentì il corpo di Blaine a filo con il suo.
Rabbrividì, forse per il freddo, o forse per la vicinanza dell' altro ragazzo.
Perchè Blaine era caldo, e sentiva quel calore anche attraverso i suoi vestiti, non perchè stesse sviluppando una cotta per lui o qualcosa del genere.
Il fenomeno che stava vivendo si chiamava escursione termica, giusto?
Giusto.
"Non ho monete." Disse Kurt, indicando la fessura al lato del telefono rosso.
"Lo so. Ho io le tue." Disse tranquillamente Blaine, prima di prenderne una e sospirare.
"Non hai una cicca, vero?"
"Ehm... no."
Blaine si guardò intorno, e gli occhi si posarono sulla strada deserta.
"Va bene," Disse, prima di inserire la monetina dentro la fessura.
Kurt lo guardò stranito, ma digitò il numero di telefono dell'ufficio di suo padre, e attese.
"Pronto?" chiese la voce profonda di Burt.
Kurt sentiva l' ansia che impregnava il tono del padre, e si sentì da subito in colpa.
"Ehi, papà, sono io, Kurt."
Dall'altra parte sentì un sospiro di sollievo." Grazie a Dio. Dove sei? Perchè non sei a casa? Ti è successo qualcosa? Finn ha detto che sei andato da solo a comprare il-"
"Papà, calmati. Ho avuto un brutto incontro, ma ora sto bene. Sto arrivando a casa."
"In che senso un brutto incontro? Kurt, cosa ti è success-" Un suono stridulo coprì le ultime parole del rappresentante del congresso, sostituito da una voce femminile: "La chiamata è terminata. Se vuole richiamare inserisca nell'apposita fessura un dollare e attenda in linea-" Anche la voce femminile si spense con uno stridio.
Questa volta però, il colpevole era Blaine, che aveva sferrato un calcio al contentiore di metallo sotto il telefono rosso, che si ribaltò e rovesciò per terra centinaia di monetine da un dollaro.
Kurt lo guardò incredulo.
"Che c'è? Dovevo riprendermi il dollaro." Aveva risposto lui innocentemente, prima di prendere una manciata di monetine e infilarle nella tasca dei jeans. "Bhè, andiamo o dobbiamo aspettare la polizia?"
I due ragazzi aprirono l'anta della cabina, e si fiondarono fuori.
"Riesci a correre?" gli chiese Blaine. "Solo per un isolato, altrimenti la pattuglia ci prenderà."
Kurt lo guardò incredulo. Era ovvio che non ci riusciva , e la colpa era soltanto dell'italiano.
Blaine non aspettò risposta e gli afferrò la mano, prima di iniziare a correre con Kurt alle calcagna, che malediceve tutto quello che gli passava per la testa.
Dopo un isolato si fermarono, e Kurt si accascio sui grdini che portavano all'ingresso di una casa. "Ti odio." Gemette.
Blaine gli sorrise soltanto, divertito, prima di sedersi di fianco a lui.
"Allora, dove abiti?" Gli chiese.  "Ti devo riaccompagnare a casa."
"Vicino alla Dalton, la scuola privata che si affaccia su via-"
"Si, la conosco."
"La conosci?"
"Una volta la frequentavo. Sei pronto ad alzarti? Abbiamo un sacco di strada da fare."
"Ma fa freddo!" Gemette Kurt.
Blaine alzò gli occhi, prima di alzarsi e progergli la mano. "La prossima volta ti metterai un maglione, sopra quella camicia. E' gennaio."
"Sopra quella camicia avevo un giubbotto molto pesante, per tua informazione. Non avevo previsto di essere derubato."
"Avresti dovuto prevederlo. Non passi inosservato vestito così in un quartiere del genere. Cosa ci facevi qui?"
"Stavo tentando di trovare un regalo per l' anniversario dei miei genitori." Rispose Kurt, rabbrividendo quando una folata di vento particolarmente fredda si insinuò sotto la leggera camicia.
Blaine lo guardò con interesse, prima di sfilarsi il giubbotto." La prossima volta metti un maglione." Ripetè con un sorriso.
Kurt si infilò la giacca di pelle, che era insolitamente calda e profumata.
Un profumo che Kurt aveva riconosciuto subito come Chanel, lo stesso che usava sua madre.
Lo Chanel numero cinque impregnava quasi tutti i ricordi che aveva di lei.
Kurt ricordava benissimo di essere seduto sopra la toletta in rovere di Christinne, mentre lei si specchiava sull' enorme specchio, sistemandosi i riccioli scuri dietro le orecchie.
Aveva pensato che sua madre sembrava proprio una principessa, e che se mai avesse sposato una donna, quella sarebbe dovuta essere uguale a lei.
Poi Christinne gli aveva accarezzato una guancia, prima di chinarsi e aprire il primo cassetto a destra, dove teneva delle boccette di vetro dall' aria costosa.
"Cosa sono quelle, mamma?" Aveva chiesto, guardandole con meraviglia.
"Sono profumi; servono per avere un buon odore, Kurt."
"Ma non basta lavarsi?"
Christinne ridacchiò. "Si, basterebbe. Ma a volte voglio avere un profumo ancora più buono. Guarda, questo è il mio preferito." Aveva detto, tirando furoi dal cassettino una boccetta. "Lo usava una delle attrici più famose al mondo. Si chiamava Marylin Monroe."
Kurt aveva annuito, mentre la mamma si spruzzava sul polso qualche goccia della bottiglietta.
"Posso averne un po' ? Voglio un profumo ancora più buono anch'io ."
Lei aveva sorriso, prima di mettergliene qualche goccia ai lati del collo.
"Stai bene?" Chiese Blaine d'un tratto. "Non stai dicendo niente da un po'. Ti conosco da qualche ora e già so che non perdi mai un attimo per lamentarti."
"Ehi, questo non è vero. Oggi avevo degli ottimi motivi per lamentarmi."
Blaine, straordinariamente, rise.
Aveva una bella, bellissima risata, e gli occhi gli si illuminavano sembrando più verdi che marroni.
Kurt dovette fermarsi un secondo per non rischiare di inciampare, dato che le sue gambe quel giorno sembravano non volergli proprio ubbidire.
Questa volta per una ragione completamente diversa dalla prima.
E per ciò molto, molto terrificante.
Kurt si conosceva abbastanza bene da capire come funzionasse il suo cervello.
Non capiva perchè tutti dicessero che le emozioni fossero legate al cuore, perchè per lui quello era soltanto un organo che batteva, imperterrito, finchè respiriamo.
Certo, il cuore era un organo affascinante, ma non quanto il cervello con i suoi emisferi legati ad ogni condizione della nostra vita.
E c'era un emisfero che particolarmente interessava Kurt, a quel punto.
L'emisfero affettivo.
"Kurt, siediti." Disse Blaine con voce ad un tratto preoccupata.
Lui lo guardò, confuso. Dove doveva sedersi? Non c'era nessuno posto dove riposarsi. Niente gradini, niente panchine.... Cosa stava cercando di dirgli? E perchè tutto era sempre più sfocato e confuso?
Stava forse delirando?
Sbattè gli occhi un paio di volte, cercando di madare via quella fastidiosissima nebbiolina, ma quella non ne voleva sapere.
La testa era un un po' più pesante di prima, ma non c'era niente di cui preoccuparsi, giusto?
L'unica cosa certa, in quel momento, era la mano calda di Blaine sulla sua spalla, che lo spingeva giù....?
Non capiva cosa volesse fare e perchè- Ohhhh. Adesso era seduto.
E, guarda, la testa non sembra meno pesante, adesso?...
"Cazzo." Aveva sentito bofonchiare Blaine.
...Avrebbe dovuto preoccuparsi?
"Torno subito, te lo prometto. Ma tu stai fermo e non ti muovere, va bene?"
Blaine se ne stava andando.
Avrebbe dovuto aspettarselo? Del resto era stato lui a ordinare di picchiarlo, no? Magari lo stava accompagnando a casa solo per scoprire dove abitava e derubarlo... Probabilmente ora che stava male Blaine si era spaventato ed era corso via.
Peccato.
Sembrava proprio un bel ragazzo.
Avrebbe potuto innamorarsene se non fosse stato un gangster in erba.
"Mangia."
La voce di Blaine arrivò come galleggiando dallo stato di torpore in cui Kurt era caduto.
Così non era scappato, dopotutto... Aveva pensato confusamente, prima che Blaine gli ficcasse in mano qualcosa di caldo.
Senza pensare iniziò a portarselo alla bocca, e dopo i primi tre morsi si accorse di stare mangiando un hot dog, probabilmente preso da uno di quegli orribili carretti, dove l'igiene era un qualche strano miraggio....
Kurt dovette ammettere che si sentiva molto meglio, però.
"Dovevi proprio avere un calo di zuccheri* con me, vero?" Aveva sbottato Blaine.
Se Kurt non avesse saputo di meglio avrebbe potuto pensare che si fosse spaventato.
"Mi dispiace...?"
Blaine sbuffò soltanto, prima di rialzarsi in piedi e spazzolarsi i jeans. "Ce la fai ad alzarti? Ormai manca poco."
"Si, cer-Ew. Mi hai fatto sedere sul marciapiede?"
Blaine sorrise di nuovo, e gli porse la mano, che questa volta Kurt presesenza esitazioni.
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Camminavano su una stradina stretta e poco illuminata, punteggiata qua e là da qualche lampione che gettava un cono di luche soltanto su una piccola porzione dell'asfalto.
Ma non era questo che gli aveva reso il respiro superficiale.
Era il fatto che blaine non gli aveva ancora lasciato la mano.
E, sebbene le gambe molli fossero state il sentore di un calo di zuccheri e non di una cotta, questo non stava ad escludere che Blaine era davvero bello.
Aveva un buon profumo, la pelle abbronzata ed era stato gentile, se non si contava il loro primo incontro.
E Kurt aveva addosso la sua giacca.
La sua giacca di pelle, esattamente. Chi aveva detto che i cattivi ragazzi non avevano fascino?
Quel qualcuno non aveva incontrato Blaine, allora.
"Domani pomeriggio cosa fai?"
... Non gli stava chiedendo un appuntamento, vero? Perchè Blaine sembrava tutto eccetto che gay.
"N-niente, Perchè?"
"Ti passo a prendere alle cinque. Ho promesso che non saresti stato più picchiato, ricordi? Io mantengo le mie promesse." Rispose Blaine, prima di girare l'angolo e trovarsi in una strada privata.
I giardini tagliati con minuziosa precisione sembravano venire da un altro pianeta, se pargonati alle case dei quartieri che Kurt aveva visto in precendenza, senza contare che i lampioni, disposti a pochissima distanza l' uno dall'altro sembravano illuminare il viottolo pulitissimo, senza nemmeno una cartaccia, a giorno.
Kurt ci mise qualche secondo a capire che quella era la via dove abitava.
"Riesci ad arrivare a casa tua senza svenire o farti trovare da una banda?"
"Ci proverò." Rispose il ragazzo con un sorriso.
Blaine gli fece un cenno, prima di girarsi, e avrebbe imboccato la stradina dalla quale erano arrivati, se Kurt non l' avesse fermato. "Sei sicuro di voler tornare a casa tua a quest'ora?" Chiese timidamente.
"Nessuno mi assalirà, te lo prometto. So difendermi." Gli aveva risposto garbatamente, e Kurt non potè fare a meno di sentirsi un po' stupido, prima che Blaine gli sorridesse di nuovo, prima di voltarsi e incamminarsi lontano da lui.
Kurt, invece, stette a fissare Blaine finchè non sparì dietro l'angolo, e rimase lì, in quella posizione per un po', finchè le mani non gli fecero male per il freddo.
Allora si voltò, e infilò le mani nella tasca del giubbotto.
Oh. Il giubbotto.
Blaine si era dimenticato il giubbotto.

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"Così si era dimenticato la giacca." La latina sbuffò. "Così clichè."
Kurt le rivolse un sorriso mesto, il primo che aveva fatto in sua presenza.
"Mi dispiace. Però se può consolarla, quella sera ho frugato nelle tasche del giubbotto, e c'era una busta indirizzata a me."
"Davvero?" Chiese Santana, improvvisamente interessata.
"Si. Probabilmente l'avrà messa mentre ero svenuto. C'erano i soldi che mi aveva rubato. Non tutti, poi mi ha spiegato che quelli erano solo i soldi che erano toccati a lui, perchè gli altri se li erano spartiti."
"Quindi l'hai incontrato il giorno dopo, giusto?"
Kurt annuì. "Bhè, io ti ho raccontato una parte della mia storia, adesso mi devi raccontare cosa ci facevi in un quartiere così..." Sembrò cercare la parola giusta, prima di continuare."Malfamato. In compagnia di-"
"puttane.  Con addosso novecento grammi di roba." Concluse Santana per lui. "Non è ovvio? Mi spacciavo per una di loro, ma i nostri acquirenti sapevano da chi andare per comprare. Ero l'unica ispanica in mezzo alle altre."
"Si, ma perchè l' ha fatto? Aveva un lavoro che le rendeva bene ."
"Ma non era abbastanza. La mia fidanzata- Oh, non faccia quella faccia! Come se fosse scandalizzato o cose del genere! Scommetto che tra lei e Anderson ci sarà stato sesso bollente, magari in quella palestra nella quale vi siete conosciuti..."
Kurt arrossì visibilmente. "Avevo quella faccia perchè è la prima volta che conosco qualcuno che lo dichiara così apertamente. Inoltre sapevo della sua fidanzata, abbiamo un intero dossier su Brittany S. Pearce. Altrimenti non le avrei mai raccontato la mia storia."
"Oh." Santana sembrava sorpresa.
"Inoltre," Kurt arrossì ancora di più mentre cercava di darsi un contegno, "come faceva a sapere della palestra?"
"Palestra...? Oh. Non lo sapevo, ma adesso voglio tutti i dettagli..."
"Non ora."La blandì Kurt. "Lei stava dicendo perchè ha fatto tutto questo."
"Come lei saprà, a questo punto, Brittany è stata insieme a molti uomini, tra cui un gangster di nome-"
"Abrams. Arthur Abrams, si fa chiamare dai suoi tirapiedi Artie."
"Esattamente. Bhè, non voleva lasciarla andare, ha minacciato di uccidere me e lei,  così abbiamo pensato che un soggiorno a Puerto Rico era d'obbligo. Ma avevamo bisogno di soldi. Molti soldi.
Così ci siamo messe in contatto con Puckerman-"
"Un altro Gangnster? Rivale di Abrams, per giunta! Cosa stavate pensando?"
"A salvarci la pelle il più in fretta possibile."

CONTINUA....
chiarimrenti:
*vengono dopo un grosso sforzo, quando si consumano grosse quantità di adrenalina o quando non si assume abbastanza cibo, o appunto, zuccheri.

^il mio angoletto^
bhè, se qualcuno sta leggendo mi piacerebbe sapere cosa ne pensa... devocontinuare o cancelllare immediatamente la storia?
su un altro piano, ne aprofitto per cantarmi: tanti auguri a me , tanti auguri a ireneeeee tanti auguri a meeeeeeeeee xD
..... non vorreste mai lasciarmi senza recensioni il giorno del mio compleanno, veeeeeeero?
1baci8
iry

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Capitolo 2
*** Oh, simple things, where have you gone? ***


I will never say goodbye to you

2.  Oh, simple thing, where have you gone?

"A volte
 la vita è una prova troppo grande da affrontare,
 ci sono infiniti mondi da scoprire,
 infiniti modi di farlo,
infinite esperienze che ci segnano,
spesso irrimediabilmente."
                    
                                                        Anonimo

Le scarpe eleganti cliccavano con determinazione sul parquet, indicando la fretta del loro biondo proprietario.
Sam Evans aveva una notizia importante da riferire.
Una notizia che valeva una vita o una morte.
Le calzature cigolarono appena, indicando quanto recentemente erano state comprate, mentre saliva le lunghe scale a pioli.
Non si fermò a parlare con Rachel, nè la salutò.
Imboccò il lungo corridoio di pietra, che portava  ad una porta di legno massiccio.
Lì, finalmente, Sam si fermò.
Prese un respiro profondo e bussò tre volte.
Il suono del legno che incontrava la sua mano sembrò assordante, nella quiete che avvolgeva la casa, ma prima che le vibrazioni si quietassero sentì un debole "entra" proveniente dall'altro lato del legno.
Sam aprì la porta, e sospirò internamente nel sentire sul suo corpo il calore del fuoco scoppiettante nel camino, unica fonte di luce della camera, eccezion fatta per due candele poste sulla scrivania color castagna.
"Evans." Lo salutò l' occupante della poltrona, un ghigno soddisfatto che gli abbelliva le labbra sottili.
"St. James." Sam lo guardò, gli occhi scuri fissi sul volto dell'uomo.
"Come mai qui? Ti manda Anderson?"
"Si. Riferisce che ha tolto di mezzo Abrams. Mi ha mandato a verificare che lei rispetti la sua parte dell'accordo."
"Ma certo, lo farò. E Puckerman anche, non è vero?" Chiese St.James, e solo in quel momento Sam si avvide del ragazzo appoggiato contro il muro, semi mimetizzato tra le tende rosse.
"Ovviamente." Rispose questi, prima di inarcare un sopracciglio. "Doveva venire Anderson in persona, però. Perchè a mandato te?"
"Perchè aveva altri affari di cui occuparsi al momento."
"Capisco. Vuole sedersi con noi, signor Evans? Abbiamo sigari di prima qualità. E una conversazione altrettanto interessante." Disse Jessie St. James,  e Sam si ritrovò obbligato a sedere sulla poltrona di fronte alla sua.
"Stavamo parlando proprio di lei e Anderson, sa? Discutendo sulla sua storia, in particolare."
Il biondo si irrigidì impercettibilmente. "Davvero?"
"Si. Ci sono molte voci che circolano, e più della metà la mettono in cattiva luce."
"Ne sono consapevole. Ma non mi interessa cosa si dice in giro. Nè interessa al mio capo."
"Eppure, noi siamo umani. E maledettamente curiosi. E Puckerman sembra così smanioso nel credere a ciò che si dice in giro..."
Sam si alzò dalla poltrona, la mascella serrata. " Credete ciò che volete. Lo fanno tutti, anche se la verità è stata loro gridata in faccia. Non farebbe differenza la mia versione."
"Quindi non neghi le voci? Eri davvero una puttana?" Chiese Puckerman, il riso che gli arricciava le labbra. " E Anderson, sapendolo, ti ha preso come suo secondo lo stesso?"
"Oh, quelle sono le voci che girano su di me? Pensavo che la puttana fossi tu, sai?" Disse Sam, gli occhi che mandavano bagliori. "Si parla molto della vostra amicizia, se così si può definire." Disse ancora, prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza, sentendo la risata di St. James che lo seguiva fino all'ingresso.

Blaine Anderson era semisdraiato sulla scrivania, la sigaretta tra l'indice ed il medio e la testa da tutt'altra parte.
La memoria si divertiva a rincorrere due occhi che non sempre erano celesti, mentre rivangava il passato.
La finestra davanti a lui si apriva sulla città illuminata, che sembrava lottare nel respingere le tenebre della notte che aleggiavano appena sopra i lampioni e i cartelloni pubblicitari.
Sentiva il rombo dei motori delle macchine, che a volte sovrastavano persino il rumore dei suoi pensieri, e non poteva fare a meno di amare la città un po' di più.
E odiarla altrettanto ferocemente.
Là, in qualche stradina sperduta, in qualche casa o ufficio c'era Kurt.
Il suo Kurt.
Lo stesso Kurt che cercava da anni, da cui era stato strappato fin troppo bruscamente.
Lo stesso Kurt che sognava ogni notte, lui, i suoi occhi, le sue labbra e quel corpo che probabilmente era cambiato fin troppo negli anni in cui erano stati separati.
Quel corpo che avrebbe voluto adorare di nuovo, con più lentezza in modo da imprimerlo nella mente in vista di un altra separazione.
A volte Blaine sentiva le dita tremargli, tanto intenso era il suo desiderio di stringerle quella pelle candida tra le mani, di appropriarsi di quelle labbra piene e di rubargli il respiro un altra volta.
Lo stava cercando.
Lo stava cercando in ogni anfratto, in oni stradina ed in ogni casa o palazzo dello stato, ma di lui nessuna traccia.
Era come sparito, volatilizzato.
Ma Blaine non si sarebbe arreso.
Blaine lo avrebbe trovato.
Lui aveva sempre tutto ciò che voleva. Tutto
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Blaine aveva raramente il fiato mozzato.
Sedici anni vissuti per le strade della capitale d'America cambiavano la vita di qualcuno, e ormai era talmente abituato a scappare da pattuglie e agenti che non aveva più nemmeno il fiatone.
Ma lui... Kurt gli mozzava il respiro.
Dalla prima volta che l'aveva visto, con quegli occhi persi in qualche strana storia che Blaine poteva soltanto desiderare di poter leggere, ricordare in un libro che ormai non possedeva più...
Voleva soltanto afferrare una parte di lui, voleva tenerla con sè, possederla in modo che nessun altro l'avesse... Poco importava che parte fosse.
Potevano essere le spalle, o quelle mani delicate e sempre morbidissime...
Gli piaceva insegnargli a combattere, lo faceva sentire in qualche modo potente sapere che se solo avesse voluto, se solo avesse usato un po' più di forza in un pugno, gli avrebbe fatto male.
E lo faceva sentire ancora meglio sapere che non desiderava farlo.
Per la prima volta nella sua vita non voleva fare male ad un altro.
Per la prima volta qualcuno gli importava davvero, ed era un sollievo, perchè Blaine aveva iniziato a pensare di essere diventato come un ghiacciolo, uno di quelli che aveva sempre voluto da piccolo e che la madre non era mai riuscita a comprargli per mancanza di fondi.
A otto anni Blaine se l' era preso da solo il ghiacciolo, rubando la borsetta di una signora con dei bellissimi guanti di pelle.
Si era diretto verso il carretto del gelatiere, con un sorriso enorme e aveva proclamato con voce solenne di volere un ghiacciolo al limone.
Era stato il suo primo furto, e per qualche ragione aveva pensato che il gusto di quel gelato fosse ancora più buono per quanto aveva sudato per ottenerlo.
Ma ora...
Ora Kurt era davanti a lui, sul ring, il petto che gli si abbassava e rialzava velocemente, mentre ansimava, parando i pugni che lui gli tirava.
Per qualche ragione Blaine trovava assolutamente affascinante il respiro che rotolava fuori dalle sue labbra socchiuse, trovava dannatamente intrigante lo sguardo frsustrato che Kurt gli stava rivolgendo con quegli occhi blu che l' avevano incantanto più volte di quante potesse contarne.
La camicia bianca, già aderente normalmente, in quel momento era attaccata al corpo di Kurt come una seconda pelle, mentre le maniche rimboccate offrivano a Blaine la vista degli avambracci pallidi dell'altro.
Aveva la pelle pallida perchè essa non era mai stata toccata dal sole bruciante che aveva colpito quella di Blaine mentre lavorava chino sui mattoni che doveva cementare, per costruire la casa di altri.
Una pelle praticamente proibita a Blaine, eppure eccola là, a pochi centimetri.
Se solo avesse voluto sarebbe stata sua.
Quel pensiero inebriava i sensi di Blaine come poche cose avevano fatto prima.
Come la cocaina che aveva sniffato soltanto per il gusto di sperimentare qualcosa di nuovo, mentre la trasportava da un quartiere all'altro della città, attento a non farsi scoprire da nessuno.
Come gli ultimi sorrisi che la  madre gli aveva rivolto, rari e preziosi, prima che la tubercolosi se la portasse via e Blaine si trovasse solo al mondo.
Solo con la sua strada, aveva pensato prima. Solo e basta, pensava adesso, dopo aver conosciuto Kurt.
Quel senso di potere che mandava i brividi lungo la sua schiena, simile all'adrenalina che provava correndo via, veloce, più veloce di tutti, nascondendosi in luoghi che pochissimi conoscevano e che invece a lui erano famigliari, quel senso che lo rendeva tanto imprudente, tanto stupido, da avvicinarsi ancor di più all'altro.
Perchè, benchè Kurt non lo sapesse, quella carne pallida era sua, quella voce alta e quegli occhi cerulei erano di sua proprietà.
Il rivolo di sudore che scendeva dalla tempia destra di Kurt? Suo. L' aveva fatto lui, lui e lui.
Quel ragazzo che aveva salvato dagli altri e principalmente dal Blaine arrogante che avrebbe voluto la sua vita, apparteneva a lui, al Blaine che provava sentimenti così travolgenti da non capire più niente, da non sapere più nemmeno se il suo cuore battesse ancora o no.
Ed era proprio questa la poesia, il tormento di un ossessione che Blaine già amava quasi se non più di sè stesso.
Quel senso di possessività e aggressività che faceva uscire la parte peggiore di lui, la gelosia che qualcun altro potesse portargli via Kurt, che soltanto potesse toccarlo o vederlo come faceva lui lo annientava.
Quei sentimenti che insieme erano il suo incubo più grande ed il suo desiderio più bruciante.
Ed in quel momento come bruciava quel desiderio! Quella voglia di prendere Kurt per le spalle e renderlo partecipe del fatto che ormai era già stato rivendicato da qualcuno, che non poteva farci niente, soltanto restituire in egual misura quei sentimenti, perchè no, non si accettavano scambi o rimborsi.
Sentiva le vene ardergli, sentiva la testa girargli in un vortice di esaltazione che sfiorava la follia, una follia talmente coinvolgente che semplicemente non poteva spiegare a parole.
Kurt era suo, suo, suo e suo.
Non c'era niente che l'altro ragazzo potesse fare per smentirlo o combattere quel dato di fatto.
Blaine era pazzo, non c'era nessun altra spiegazione, ormai non ragionava più.
Il ragazzo calmo e freddo dove era finito? Che fine aveva fatto il ragazzo flemmatico con la sigaretta all'angolo della bocca?
Era sparito, e al suo posto c'era questa....questa.... come poteva definirsi, Blaine? Si sentiva un animale, desideroso di strappare ciò che era suo dalle mani di qualche invisibile nemico.
E forse era proprio quella la parte più bella, quella più esaltante; che per provare questo sentimento bisognasse essere delle bestie, prive di razioncino? In quel momento Blaine sentiva di poter saltare da un grattacielo e rimanere illeso.
Kurt era suo, suo e basta, pensava Blaine, mentre gli prendeva il viso tra le mani, e senza nessun avviso, senza nessuna logica, lo baciava.
____________________________________________________________________________

"Blaine?" Chiamò Sam quasi timidamente, entrando nel suo studio.
"Oh, sei già qui?" Chiese questi sorpreso, distogliendo lo sguardo dalla finestra e dai suoi ricordi.
"Si. Blaine, lo sanno."
"Cosa, Sam?" Chiese lui, più freddamente del necessario, mentre malediva qualunque cosa e chiunque gli passasse in testa. Non potevano sapere. Come potevano? Era stato attento.
"Di me. Del fatto che-" Sam arrossì. "Del fatto che mi hai raccolto sulla strada."
"Oh. " Blaine battè le palpebre, stupito.
Aveva pensato subito al peggio.
"Sam, l'importante è che tu non l' abbia confermato."
"No, non l' ho fatto, ma-"
"Niente ma. Rimarrà una voce, e d'ora in poi andrò io agli incontri con St.James e Puckerman."
"Hanno detto anche che faranno la loro parte. "
"Ottimo.  Ma adesso dovresti farmi un altra piccola commissione. Ricordi Santana Lopez?"
"Si."
"La voglio fuori dai giochi. Lei, Brittany e chiunque altro sapesse del nascondiglio di Artie. Chiaro?"
"Certo, consideralo fatto." Disse, avviandosi verso la porta.
Poi si fermò, come ripensandoci.
"Blaine, io... devo chiedertelo. Sto rischiando la vita insieme a te e, merito di saperlo, non credi?" Chiese Sam. "Perchè stiamo cercando Finn Hudson, il commissario della polizia di Chicago? La Sylvester ci aveva fatto promettere di non toccarlo. "
Blaine sorrise ampliamente. "Ha informazioni che mi interessano."
"Sulla cosa che stai cercando?"
"No, Sam. Su chi sto cercando, non su cosa."

^il mio angoletto^
sono assolutamente imperdonabile per il ritardo, lo so!
e sono mortificata, infatti mi sono promessa che ogni venerdì pomeriggio posterò in modo assolutamente puntuale.
...spero....
Coooomunque,  che ne dite? vi piace? lo odiate come il finale di glee della scorsa settimana? -> Quiiiiiiiin! non si leggono gli sms mentre si guida!
Ugh. scusate il piccolo sclero, ma sono rimasta scioccata dalla puntata!
grazie a tutti quelli che hanno  recensito e che recensiranno, a quelli che mi hanno messo tra le preferite, o seguite\ricordate
fatemi sapere cosa ne pensate! in regalo un piccolo Blaine Anderson tutto per voi!

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Capitolo 3
*** Defying gravity never put me down ***


3.  Defying Gravity never put me down

Una parola muore appena detta: dice qualcuno.
Io dico che solo in quel momento comincia a vivere.
                                                                                    Emily Dickinson


"A salvarci la pelle il più in fretta possibile." Rispose Santana, gli occhi che mandavano bagliori, come sfidandolo a contraddirla.
Kurt non colse la sfida, limitandosi a cadere sullo schienale della sedia in maniera scomposta, decisamente non intimidatoria.
"Credo di capire." Disse infine, lasciando la latina a bocca aperta per lo stupore.
"Oh."
"Ma tu devi capire anche me. Io devo sapere dove si trova il quartier generale di Abrams. Dobbiamo impedire che una cosa del genere succeda ad altre ragazze-"
"Non inizi con la solita predica." Lo interruppe immediatamente Santana.
"Questo si chiama mondo," disse, indicando con il dito indice perfettamente laccato di rosso la finestra. "Qui nessuno aiuta qualcun altro senza niente in cambio, nessuno è altruista o altre cazzate del genere. Nemmeno lei."
Santana lo scrutò per un lungo istante.
"Lei, agente Hummel, fa questo lavoro per soldi e per qualcosa che ha a che fare con Blaine. Non per aiutare persone come me."
"Verissimo. Non ho mai detto il contrario, signorina Lopez. Per questo avrà la protezione testimoni ed i soldi per scappare a Puerto Rico, come avevamo stabilito.  Adesso deve indicarmi su questa cartina," Kurt estrasse un foglio dalla ventiquattrore al suo fianco e lo aprì sul lungo tavolo di rovere, " dov'è Abrams."
"Ma prima," Disse Santana, "Deve continuare a raccontare la storia..."
Gli occhi di Kurt vagarono per la stanza, come se fosse un animale in gabbia, ansioso di trovare una via d'uscita.
Ma non c'erano, il patto ormai era stabilito, e, improvvisamente, non gli sembrò una grande idea aver accettato l'accordo.
Non ora che la storia iniziava a farsi davvero personale, comunque.

____________________________________________________________________________

Era un pomeriggio come tanti, per Kurt.
Usciva da scuola alle due, correva a casa a mangiare il pranzo preparato da Carole, e il più silenziosamente possibile usciva dalla grande casa.
Ormai era più semplice, dopo due mesi dal brutto incontro con gli amici di Blaine il padre sembrava più rilassato nel vederlo uscire al cinema con Mercedes,  a pranzo o a fare una passeggiata con lei...
Kurt cercava di ignorare il fatto che suo padre fosse convinto che fosse la sua fidanzata, come cercava di ignorare il fatto che non usciva con lei da mesi.
Era sempre con Blaine, in quella piccola palestra che aveva imparato ad amare.
Molte volte l' italiano gli insegnava come schivare pugni o come prenderli in modo che facessero meno male,  oppure si sedevano a gambe incrociate sul pavimento a parlare per ore delle vite differenti che conducevano, o di come Finn fosse imbranato, e Jeff fosse finito in prigione dopo aver tentato di derubare uno sbirro.
Naturalmente Blaine non conosceva Finn, come Kurt non aveva idea di quale fosse Jeff tra i ragazzi che lo avevano derubato, eppure si sorridevano e chiedevano come fosse finita la storia, ansiosi di strappare all'altro anche la più piccola delle informazioni.
A  volte, quando si incontravano, Blaine era di cattivo umore e non faceva altro che grugnire un saluto, lanciargli i guantoni rossi ed indicare il ring, dove l'allenamento sarebbe stato più intenso e avrebbe lasciato molti più lividi sulla pelle di Kurt rispetto alle altre volte.
E quel giorno si prospettava un allenamento massacrante, a giudicare dagli occhi quasi animaleschi di Blaine, che si era limitato ad un cenno brusco della mano, che Kurt aveva interpretato con un: "muovi il culo e vieni qui, ho una fottutissima vogli di spaccarti la faccia e voglio farlo in fretta."
Inutile dire che Kurt non ne era felice.
Come era inutile dire che quegli occhi socchiusi, arrabbiati con il mondo, avevano fatto scorrere sulla spina dorsale di Kurt brividi su brividi.
Dopo due mesi che si incontravano quasi ogni giorno nella palestra, dopo tutte le volte che le mani di Blaine avevano lasciato dei segni sulla sua pelle pallida, dopo tutte quelle notti passate ad accarezzare quei segni arrabbiati impressi nella carne pensando all'altro ragazzo, dopo tutte le volte che aveva visto Blaine ridere o discutere infervorato su qualcosa che gli stava particolarmente a cuore, Kurt poteva dire con assoluta certezza di... bhè, di essere nella merda.
Adorava il modo in cui per Blaine fosse tutto o nero o bianco, il modo in cui facesse tutto con una passione travolgente, che fosse rabbia o che fosse dedizione.
In qualche strano modo amava sentire le sue mani su di lui, amava il respiro fiacco che usciva dalle sue labbra quando Blaine tirava un pugno... Poco importava che alla fine quel pugno sarebbe entrato in collisione col suo, di corpo.
Kurt, ormai, viveva per quelle ore in palestra, per quelle poche parole che Blaine gli rivolgeva.
Lì, in quello che era diventato il loro unico luogo di incontro, smetteva di essere il figlio del senatore, il ragazzo con la strana passione per il francese e la moda.
Con Blaine lui non era niente di tutto ciò.
Era diverso, ogni volta.
A volte era l'amico, il ragazzo con il quale Blaine si vantava di un furto particolarmente ingegnoso o di come era scappato alla polizia.
A volte era semplicemente un pezzo di arredamento, quando Blaine lo ignorava e passava le ore a prendere a pugni il sacco.
Oppure lo stesso Kurt.
E, stranamente, adorava ogni secondo di quelle ore.
"Sali o no?" Chiese Blaine, interrompendo i suoi pensieri.
"Salgo." Rispose tranquillamente Kurt, nemmeno lontanamente turbato dai modi bruschi dell'altro.
Si infilò i guantoni rossi dopo aver fasciato la mano, e si arrampicò velocemente tra le corde.
"Brutta giornata?" Chiese a Blaine, che si limitò a grugnire il suo assenso.
E, senza alcun preavviso, se non lo scatto dei muscoli sotto la pelle abbronzato dell'altro,  il pugno di Blaine andò a segno, dritto sullo stomaco.
Kurt si lasciò scivolare un respiro sibilante dalle labbra, prima di stringere i denti e parare il pugno successivo, che mirava al naso.
Purtroppo, se avesse fatto più attenzione alle braccia di Blaine rispetto ai suoi occhi arrabbiati, sarebbe riuscito a parare anche il pugno successivo, che con un rumore schioccante si abbattè  sul suo zigomo.
"Alza la guardia. " Lo ammonì Blaine severamente.
Ma Kurt non stava più ascoltando.
Per quanto clichè e pericoloso fosse anche soltanto pensarlo tra sè, Kurt stava guardando l'altro ragazzo negli occhi.
Erano una cosa che lo avevano sempre incantato: il modo in cui oscillassero da un morbido color miele ad un verde foglia, passando per uno spaventoso nero, che invece di spaventarlo lo attraeva di più.
E poi, naturalmente, ad affascinare Kurt c'erano le sue labbra.
Erano di un bel rosa pallido, rosse quando aveva le labbra screpolate e non riusciva a fare a meno di passarci sopra la lingua, rendendo il tutto peggiore, perchè più bagnava le labbra e più quelle diventavano rosse e Kurt perdeva la concentrazione su qualunque cosa stesse dicendo.
E poi, d'un tratto, senza che potesse reagire o provare a difendersi, Blaine gli afferrò il viso con le mani.
Era strano sentire i guantoni a contatto col suo viso senza che lo ferissero, ed era ancor più strano lo sguardo di Blaine, così denso e scuro e allo stesso tempo arrogante.
Era strano anche il cuore di Kurt, che era accellerato fino ai limiti del possibile, e non capiva come e soprattutto perchè, ed era tutto confuso e non sentiva altro che il suo cuore pompare sangue (probabilmente troppo, sangue. Probabilmente sarebbe stato pericoloso, ma davvero, quella era l'ultima cosa a cui Kurt stava pensando.)
Ma non importava.
O meglio, importava, ma per qualche assurda ragione, a Kurt non importava che non importasse, e non aveva assolutamente senso, ne era cosciente, ma-
Oh.
Dopo così tante ore a sognarle, a desiderarle, le labbra di Blaine erano sopra le sue.
Non erano morbide, erano screpolate, come il bacio che si stavano scambiando.
Non era dolce o timido o cose del genere, era più come se Blaine si fosse proposto di succhiargli via l'anima.
E se ci pensava bene, un bacio era disgustoso. Era tutto saliva, e lingua di un altra persona nella propria bocca, ma dannazione, ci si sentiva bene.
Ci si sentiva straordinariamente bene, con il petto di Blaine attacato al proprio, con le sue mani coperte dai guantoni sul viso ed il respiro che usciva dal suo naso che gli accarezzava la pelle accaldata in un ondata di brividi.
Blaine sapeva di menta, (che avesse mangiato una cicca sulla strada per la palestra?) e aveva un retrogusto di rame, di sangue probabilmente versato a causa di un pugno recente.
Kurt strinse le mani coperte dai guantoni sulla vita dell'altro, respirando col nasol'aria, e gemendo il più silenziosamente possibile, mentre ricambiava il bacio.
Blaine passò la lingua sul suo palato, in un movimento languido che fece tremare le ginocchia di Kurt, facendolo appoggiare ancora di più all'altro ragazzo, mentre le mani tremanti si stringevano sul tessuto della canottiera bianca.
Poi, quando meno se lo aspettava, Blaine ruppe il bacio.
Rimasero a guardarsi per qualche secondo in assoluto silenzio, i respiri tremanti che si mischiavano tra loro e i corpi ancora intrecciati.
Blaine non sorrise, non si allontanò nè si avvicinò.
Rimasero così per attimi interminabili, prima che parlasse.
Kurt si aspettava un "cosa stiamo facendo?" o un "non dovremmo più vederci".
Non si aspettava il ringhio di Blaine, nè le parole che lo seguirono.
"Sei mio, chiaro?"
Erano così vicini che formando quelle parole le loro labbra si erano sfiorate in un qualcosa che non sapeva se doveva considerare un bacio o un causuale tocco.
"Cosa?" Chiese Kurt, confuso.
"Sei mio, Kurt." Questa volta la voce era più dolce, come se stesse spiegando una cosa ovvia ad un bambino molto piccolo. "Nessuno ti può toccare o baciare o anche soltanto guardare-"
"Blaine, in un modo molto contorto e a tratti offensivo mi stai dicendo che provi qualcosa per me?"
"Si, e giuro su Dio, se vedo qualcuno che ti tocca o anche soltanto ti guarda, io-" Blaine venne interrotto da un paio di labbra morbide che lo zittirono.
"tu scatenerai le tue terribili mosse da pugile e li picchierai?"
"Li picchierò a sangue." Puntualizzò Blaine.
"Mmmmh, interessante. Ma se fossi io a voler guardare o toccare o baciare qualcuno?"
Blaine sembrò sconvolto.
"Tu sei mio." disse di nuovo.
Kurt sorrise.
"Se questo vuol dire che non è permesso nemmeno a te baciare o guardare o toccare qualcuno, allora sono tuo."
"Perchè dovrei guardare qualcunaltro? Ho te."
____________________________________________________________________________

"Sexy." Commentò Santana con un sorriso. "Mi sembra parecchio sexy questo Blaine..."
Kurt le rivolse un occhiataccia, prima di indicare la cartina con un gesto della mano.
Santana prese la matita sulla scrivania e tracciò un cerchio lungo la trentatreesima. "Qui è dove c'è il nacondiglio di Abrams." Annunciò con aria annoiata.
"Magnifico. Ora, conosci una certa Susan Sylvester?"
"Si, la conosco, ma già lo sai. C'è scritto sul mio dossier, non è vero?"
"Si. Sappiamo che tu, Brittany ed un altra ragazza biond-"
"Quinn. "
Kurt si accigliò. "Quinn?"
"Si, la Fabray." Santana lo guardò incredula. "Non avete un dossier sulla Fabray? Per l'amor del cielo, non sapete nulla di lei e di Puckerman? Senza contare che è la prediletta di Sue e trasporta 'roba' di stato in stato, e- Non la conoscete?!"
Kurt la guardò sconvolto. " No, non abbiamo un dossier su di lei. Però... io la conosco. Lei sta per sposare mio fratello."


^il mio angoletto^
eccomi quii! allora, come vi è sembrato il capitolo? Sono terrorizzata all'idea di non aver reso bene Santana e- oh, tanto ormai ho pubblicato.
Non mi resta che abbandonare le paranoie e tenere le dita incrociate, giusto?
grazie alle bellissime due persone che hanno recensito: siete voi che avete fatto si che la storia continuasse :)
_ora non mi sorprenderei di trovarmi 0 recensioni in questo capitolo, ma vabbè xD_

1 baci8
iry

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Capitolo 4
*** take a bite of my heart tonight ***


I will never say goodbye to you

4.Take a bite of my heart tonight

Siccome ogni cosa è piena della mia anima
tu emergi dalle cose, piena dell’anima mia.
Farfalla di sogno, assomigli alla mia anima,
e assomigli alla parola malinconia.
                                                         
                                                                                                                 Pablo Neruda
                                                                                                        "venti poesie d’amore e una canzone disperata”


Blaine Anderons si era promesso milioni di cose, nella sua vita.
E queste promesse le aveva sempre mantenute.
Si era promesso che non avrebbe più vissuto per la strada, e quindi eccolo qui, in una villetta che si era guadagnato all'ombra della legalità.
Si era anche promesso che non avrebbe dimenticato Kurt, qualunque cosa fosse successa.
E, infatti, non aveva dimenticato.
Sospettava che, anche volendo, non sarebbe mai riuscito a dimenticare.
____________________________________________________________________________

Era iniziato tutto con un bacio.
Non si vedevano da una decina di giorni, per colpa del padre di Kurt, ( era partito con la famiglia per New Orleans per incontrare dei pezzi grossi del posto,) e la prima  reazione che Blaine aveva provato vedendo entrare Kurt nella palestra era stata sbatterlo al muro e baciarlo.
E, siccome odiava reprimere i suoi istinti, aveva fatto esattamente quello che aveva pensato.
Aveva schiacciato il suo corpo contro quello di Kurt, chiudendo le sue labbra su quelle dell'altro, le mani strette ai suoi fianchi così forte da lasciare i segni.
Ma non importava, tanto più che ormai il corpo di Kurt era segnato dai lividi che gli faceva: alcuni dai pugni dei loro allenamenti, altri dalla foga dei loro momenti intimi.
A Blaine piaceva segnare la pelle di Kurt: era come gridare al mondo che era suo, di sua proprietà.
Adorava mordere la sua clavicola o la sua spalla, affondare i denti nella carne e sentire i gemiti dell'altro.
Amava gustare sulla lingua la pelle di Kurt, che sapeva sempre di qualcosa di diverso, in base ai bagnoschiuma che cambiava ogni volta.
Quel giorno, quando Blaine leccò una striscia di pelle appena sopra il colletto della sua camicia, sentì il sapore leggermente acidulo del limone.
I suoi occhi si chiusero istintivamente, mentre leccava nuovamente la medesima striscia di pelle, i ricordi che affioravano senza che lui potesse impedirlo.
Il suo primo furto, con il quale era riuscito a comprarsi il ghiacciolo al limone.
Il profumo che impregnava sempre la madre, che lavorava in un campo, raccogliendo limoni da spedire ad una qualche azienda.
L'odore degli alberi che suo padre aveva piantato nel giardino di casa, prima che se ne andasse con tutti i soldi, lasciandoli con una casa troppo grande che non si potevano più permettere.
Blaine affondò i denti nel collo pallido dell'altro ragazzo, mentre le dita si inflavano sotto la camicia, afferrandone i fianchi e stringendolo possessivamente a sè.
Quel profumo di limone gli ricordava tutte le cose che aveva perso, e fosse dannato se si sarebbe lasciato sfuggire anche Kurt.
Probabilmente avrebbe dovuto dosare la forza del morso, siccome sentì nella bocca il sapore acidolo del rame, mischiato a quello salato della pelle di lui.
Blaine leccò via le tracce di sangue dal collo, senza curarsene particolarmente, mentre Kurt gemeva.
Il suono lo fece rabbrividire, e al contempo sudare freddo.
Non si era mai accorto di quanto volesse, di quanto desiderasse il corpo di Kurt.
Prima erano solo pensieri confusi, non aveva mai davvero capito quanto lo volesse in tutti i modi possibili.
Blaine non era mai stato fisicamente vicino a qualcuno, non dopo sua madre.
Non ne aveva mai sentito il desiderio, mentre in quel momento...
In quel momento l'unica cosa che voleva era essere ancora più vicino a Kurt, voleva soltanto- tutto.
Voleva tutto quello che poteva dargli, lo voleva in un modo così profondo e possessivo e passionale che ebbe quasi paura.
Paura che Kurt si rifiutasse, che non volesse lasciarlo essere il suo tutto per almeno qualche secondo.
Aveva sempre saputo di provare sentimenti enormi per Kurt, ma mai, nemmeno per un istante, aveva pensato a questo.
A voler essere con qualcuno in maniera così profonda, così autocancellante- perchè Blaine non voleva solo sesso.
Non desiderava il mero atto fisico.
Lui voleva sentirlo.
Voleva sentire il cuore di Kurt battere contro il suo, voleva sentire il respiro che fuggiva dal suo petto, voleva completare ed essere completato, perchè in quel momento si sentiva come se ci fosse un pezzo di lui che mancava, ed aveva questa -malsana, forse,partendo dal presupposto che ciò che provava era sbagliato- certezza, che Kurt era ciò che gli serviva per sentirsi finalmente completo.
E voleva sentire i gemiti di Kurt al suo orecchio, voleva il suo corpo, voleva fare in modo che nessun altro lo avesse come lui lo aveva in quel momento, così pienamente, in modo così nuovo da essere al contempo spaventoso e eccitante.
Voleva così tante cose, e le voleva subito, in quello stesso istante.
Le sue mani avevano iniziato a vagare per il tronco dell'altro ragazzo, scivolando sulla pancia piatta, morbida e calda al tatto, passando le dita sul suo costato, tirando la camicia sempre più su, fino ad arrivare sul suo petto.
I palmi della sua mano si sistemarono appena a sinistra, sopra il cuore martellante dell'altro..
Blaine alzò gli occhi, incontrando quelli azzurrissimi dell'altro.
"Kurt..." Disse a bassavoce, quasi avendo paura di disturbare qualcuno. "Lo voglio."
"Cosa?"
Le dita di Blaine tamburellarono sul petto dell'altro. "Questo."
"Oh."
"Voglio prenderlo. Io- Non ho- Vorrei che-"
"Blaine." Disse Kurt, interrompendolo. "Prendilo. Non m'importa-non se sei tu."
"Io... Ti offrirei il mio.  Puoi vederlo come uno scambio, se vuoi."
"Credo che possiamo considerarlo come un affare, allora."
In risposta, Blaine lo baciò delicatamente, come non aveva mai fatto prima.
Per la prima volta era dolce, e morbido, e per qualche strana ragione il cuore di Kurt sembrava battere ancora più velocemente.
E poi Blaine venne assalito da un dubbio.
E se non avesse capito? Se non avesse inteso il modo in cui lo voleva, il suo cuore? Se avesse frainteso, non riuscendo a cogliere che voleva tutto insieme, il suo cuore con il suo corpo?
Ma Kurt fugò ogni dubbio, infilando la mano dalla pelle morbidissima sotto la sua stessa maglietta, arrivando a prendere le mani di Blaine,ancora poggiate sul cuo cuore, stringerle dolcemente per un secondo e poi a sfilarsi la camicia, arrossendo leggermente.
Blaine stava per baciarlo di nuovo, quando si accorse di dove erano.
In un angolo della palestra, attaccati al muro, l'uno aggrappato all'altro, in un intreccio nel quale non riusciva a capire dove finiva lui e iniziava Kurt.
Non potevano, semplicemente, farlo lì.
Ma dove altro...? I suoi occhi atterrarono sul ring.
Era pulito, l'aveva lavato lui stesso mentre aspettava l'arrivo dell'altro, ed in un certo senso era giusto. Lì si erano baciati per la prima volta, lì si erano parlati davvero, per la prima volta.
"Vieni." Disse Blaine, districandosi dallo strano abbraccio in cui si erano trovati.
Lo prese per mano, aiutandolo ad alzarsi in piedi.
____________________________________________________________________________

Blaine sobbalzò, quando sentì qualcuno bussare alla porta.
Deglutì rumorosamente, prima di ricomporsi e sedersi più compostamente alla scrivania.
"Avanti."
La porta cigolò piano, rivelando Sam e un uomo asiatico.
"Abbiamo un problema." Disse sommessamente il biondo, le mani strette sul cappello di feltro che si era tolto dal capo.
Poi, lui e l'asiatico si sedettero sulle sedie davanti alla scrivania.
"Quale? Non mi sembrava troppo difficile la missione che ti era stata affidata."
"Brittany S. Pearce è introvabile, al momento. L'ultima volta che è stata vista è stata una settimana fa, ad un negozio di alimentari. Poi è come sparita. Mentre Santana Lopez...." Sam scosse la testa, indicando l'uomo di fianco a lui. "Questo è Mike Chang, ha visto l'FBI portarla via."
"L'FBI?" Chiese Blaine, la mascella serrata. "Sapeva di noi?"
"Non della nostra organizzazione, ma sapeva tutto di Puckerma, St. James e Sylvester."
"E della Fabray. " Aggiunse Mike con voce gravosa.
"Ok. Il piano è semplice. Richiamate i nostri uomini qui all'istante. Se le cose girano per il verso giusto rimarremo gli unici padroni qui. E sarà più facile interrompere il matrimonio della Fabray. Ci serve Hudson vivo, ricordate."
"Anderson, c'è un altra brutta notizia." Disse Chang. " Il matrimonio è stato anticipato."
"Perchè?"
"Ci sono delle voci. Dicono che è rimasta incinta di Puckerman, e stia cercando di dare la colpa ad Hudson. Prima c'è il matrimonio prima potrà ucciderlo e prendere i suoi soldi." Disse Sam.
"E altre voci dicono che vuole usare quei suoldi per scappare da Puckerman e dalla Sylvester. Dicono... dicono che ha incontrato qualcuno per cui è disposta a rinunciare alla criminalità."
"E Puckerman le sa queste cose?"
Chang scosse la testa:"le voci non sono ancora arrivate qui. Per adesso sono ferme a Chicago. Vuole avvertirlo?"
Blaine sorrise. "No. No, non voglio avvertirlo."

^il mio angoletto^
bhè, eccoci qui, nel mezzo della storia.
Non posso credere di stare continuando ad aggiornare con regolarità, ma bhè, finchè continua nn mi lamento, giusto? xD
spero che il capitolo sia di vostro gradimento, e ringrazio infinitamente le due bellissime persone che hanno recensite lo scorso capitolo: grazie! questo è deidcato a voi!
E, naturalmente, alla mia fantastica beta che deve sopportare di leggere pagine epagin di storie tutte in una volta, perchè io, quando inizio, non mi fermo più XD
grazie a tutti per la lettura, e al prossimo venerdì! (spero)
1 baci8
iry

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Capitolo 5
*** Glad you came ***


I will never say goodbye to you

5. Glad you came.

Coloro che sognano di giorno
sanno molte cose che sfuggono
a chi sogna soltanto di notte.

(Edgar Allan Poe)

 

Kurt la guardò sconvolto. " No, non abbiamo un dossier su di lei. Però... io la conosco. Lei sta per sposare mio fratello."

"Suo fratello è Finn Hudson?" chiese Santana, stupita.

"Si. Cioè, no, è il mio fratellastro, ma- lei è sicura? Che Quinn sia pericolosa? "

"Quinn ha sposato milioni di idioti riccastri, per poi ucciderli dopo un paio di mesi. I soldi vanno o a Puckerman, il suo partner, o alla Sylvester, da cui è stata adottata. Suo fratello non durerà nemmeno un mese, perchè la Fabray è incinta."

" Di Puckerman?"

"Esattamente. Io queste cose le so da quello che mi ha detto lei stessa. Eravamo molto unite. Comunque, i soldi di Hudson le servono per rifarsi una vita. Vuole tornare in Ohio e sposarsi con un idiota che ha incontrato un po' di tempo fa. Un certo John o Joe o roba simile."

"Devo andare a fermare il matrimonio."

Santana si morse il labbro, indecisa, ma alla fine parlò: " Ascolti, non dovrebbe immischiarsi. Quel matrimonio sarà come una bomba ad orologeria. Puckerman prima o poi sentirà le voci, e andrà di volata a Chicago, con St.James al suo fianco. Ed in più-" Santana si interruppe. " C'è qualcosa che stanno nascondendo. o meglio, qualcuno. Ne ho sentito parlare poche volte, credo sia il segreto meglio tenuto, qui a Washington. Ma, oltre alle cricche di Puckerman, di St. James e di Abrams, c'è un altro gruppo. E' molto più piccolo, conosciuto solo ai più alti livelli: io ne ho sentito parlare da Brittany. Questo gruppo, sta cercando qualcosa. E al momento, sembrano pensare che suo fratello sappia dov'è ciò che cercano da anni. La Sylvester ha proibito loro di parlare con Hudson, ma temo che andranno al matirmonio lo stesso."

Kurt annuì, pensieroso. "Cosa altro sa su di loro?"

"Non molto. Il capo non va quasi mai alle riunioni che indicono. A volte manda un ragazzo biondo con un enorme bocca. Se no non ci va affatto. Sembra quasi che non gli importi altro se non l'oggetto che sta cercando."

"Ha idea di cosa sia?"

Santana scosse la testa. "Nessuno lo sa. Ma credo sia qualcosa di infinitamente prezioso, come un tesoro o roba del genere. Se no perchè cercarlo per tutti questi anni?"

"St.James e gli altri sanno cos'è l'oggetto?"

"No."

Kurt stette un attimo in silenzio, prima di prendere il telefono e comporre un numero: "Dove abita la signorina Pearce? Mando degli agenti a prenderla. Non è più sicuro rimanere in giro per lei."

"Sulla cinquantaduesima. Non esce dal suo nascondiglio da giorni... dovete spostare il frigorifero. Dietro c'è una specie di botola."

Kurt annuì, e diede le indicazioni al telefono.

"Agente..." Santana poggiò la sua mano su quella di Hummel. " Grazie."

Lui le sorrise semplicemente.

Quando Santana si alzò e uscì dall'ufficio, Kurt rimase solo.

Chiuse le dita sulla tazza di caffè davanti a lui, e chiuse gli occhi, cercando di contenere il tremito delle mani.

Era sconvolto, ovviamente. Non raccontava della sua storia da anni, e adesso, ogni suo respiro sembrava inghiottire aria e pezzi di Blaine, i ricordi di come si eano incontrati, di come erano stati separati...

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Mi stanno cercando." Sussurrò Blaine al suo orecchio, mentre le braccia che circondavano Kurt si stringevano con un po' troppa forza contro il suo busto.

"Chi? La polizia-"

"Oh, no. Sarebbe molto meglio, se fossero loro a cercarmi. Non mi troverebbero mai. " Rispose Blaine, infilando le sue dita nei capelli scuri dell'altro. "Sono gli altri. Gli amici di mio padre."

"Non capisco, Blaine. "

"Mio padre ci ha lasciato quando avevo quattro anni; una notte, semplicemente, ha fatto le valige, prendendo le cose preziose che avevamo, ed è sparito." Disse Blaine, continuando ad accarezzargli i capelli, come raccontandogli una storia della buona notte. "Me e la mamma, completamente soli. Ero troppo piccolo per capirlo, sai? Eppure avevo intuito che avrei dovuto prendermi cura della mamma, perchè stava male.

Era malata, e lui l'aveva lasciata prendersi cura di se stessa e me.

Non ce l'ha fatta; amava mio padre, e il fatto che lui se ne fosse andato le ha dato il colpo di grazia: ha smesso di lottare contro la malattia, ed è morta nel giro di una settimana.

Poi, sono rimasto solo io." Blaine raccontò la sua storia tranquillamente, senza tradire alcuna emozione, come se quelle parole non lo riguardassero.

"Mio Padre è sempre stato invischato in organizzazioni pericolose, con persone su cui non riusciva sempre a prevalere: probabilmente è nei guai, o ha fatto qualche sciocchezza, e loro stanno cercando anche me per fargliela pagare."

"Blaine..." iniziò Kurt per poi bloccarsi insicuro su cosa dire.

"Non posso scappare. Mi troverebbero. Non posso nascondermi; qualcuno glielo direbbe. Non posso combattere, loro sono troppi." La voce di Blaine, per la prima volta da quando Kurt lo conosceva si spezzò:"Cosa posso fare?"

Kurt non trovò niente da dire, se non chiudere la bocca dell'altro con un bacio.

Per i giorni che ne seguirono, non ne parlarono più.

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Era il ventotto Dicembre quando Kurt arrancò verso la palestra tra i cumuli di neve, rabbrividendo mentre teneva il cappotto stretto al suo corpo nella speranza di preservare un po' di calore .

Il campanile aveva battuto le tre e mezza, e all'ultimo rintocco si accorse che qualcosa non andava.

La porta della palestra era spalancata.

Incurante della neve, e del ghiaccio probabilmente formatosi sul marciapiede in quel momento invisibile, iniziò a correre verso la porta aperta.

Il battito del suo cuore era forte, forte quanto il campanile di pochi secondi prima, mentre terrorizzato pensava a ciò che Blaine aveva detto.

Mi stanno cercando.

No, non poteva essere. Non era stato preso; probabilmente aveva lasciato la porta aperta per cambiare aria...

Entrò nella palestra.

Le tre sedie, di solito poste ordinatamente intorno al tavolo, erano ribaltate, poste negli angoli più assurdi della stanza.

I sacchi da Boxe oscillavano ancora, segno che non era passato molto tempo da quando erano stati usati.

'Non posso scappare. Mi troverebbero. '

Nel mezzo del ring stava una pistola argentata.

Kurt sentiva gli occhi pungergli, sentiva il bisogno di chiudere gli occhi e correre via, non sapendo se c'era il corpo...

'Non posso combattere, loro sono troppi'

Il corpo del suo Blaine.

Non corse via.

I piedi sembravano muoversi per conto loro, non ascoltando gli ordini del cervello.

Guardò dietro il ring, nell'unico posto nascosto alla sua visuale, il respiro tramante che usciva in piccole nuvolette bianche chegli confondeva la vista.

Poi, si accartocciò sul pavimento, e iniziò a piangere.

Non c'era nessun corpo.

Non sapeva se le lacrime erano di sollievo o di terrore.

Se Blaine non era lì... Dov'era?

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Un bussare timido alla porta lo riportò alla realtà.

"Kurt?" Chiese una voce conosciuta.

"Mercedes," La riconobbe, sorridendo. "Entra pure." 



ìil mio angoletto^
....che ne pensate? probabilmente non è il migliore che io abbia scritto (quello precedente era meglio... stupido computer , ti rompi nei momenti peggiori -.-") che dite?
p.s.c'è qualcuno che guarda white collar?  io lo adoro, manon trovo  nessuno con cui discuterne perchè non conosco qualcuno che lo guardi !!!
piccolo piccolo spoiler sulla FF
... bhè, comparirà un certo fratellone <3
fatemi sapere cosa ne pensate!!!
1 baci8
iry

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