In time with you

di hiromi_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 28 Dicembre 1996 ***
Capitolo 2: *** 28 Dicembre...1996? ***
Capitolo 3: *** 29 Dicembre 2005 ***
Capitolo 4: *** 28 Dicembre 1994 ***
Capitolo 5: *** 28 Dicembre 1998 ***
Capitolo 6: *** 28 Dicembre 2011 ***
Capitolo 7: *** 28 Dicembre 2011 (reprise) ***
Capitolo 8: *** 29 Dicembre 2011 ***
Capitolo 9: *** 30 e 31 Dicembre 2011 ***
Capitolo 10: *** 31 Dicembre 2011 ***
Capitolo 11: *** 28 Dicembre 1995 ***
Capitolo 12: *** 1995/2012 Diciassette anni d'amore ***



Capitolo 1
*** 28 Dicembre 1996 ***


Ebbene, ci provo!!Salve a tutti, ecco la prima long che pubblico. Sono abbastanza emozionata e spero che possa piacere a qualcuno perchè la sto scrivendo con molto trasporto ^-^ Ci vediamo in fondo al capitolo (per chi ci arriverà xD) per le delucidazioni finali. Buona lettura (spero)!

 

 

 

In Time With You

 

 

1996, 28 Dicembre

 

 

Dio, fa che piova.

Ti prego, fa che piova e che l'acqua arrivi anche qui dentro. Dio, ti prego, fa che la pioggia bagni quest'inferno...

 

La fermata improvvisa fece rotolare Antonio giù dal suo posto. Avrebbe dovuto proprio smetterla di addormentarsi in treno, ma non poteva fare altrimenti: se la notte non dormiva, era costretto a ritagliarsi durante la giornata quante più ore di sonno possibili. Di preciso non sapeva dire da quanto tempo non riuscisse a farsi una sana dormita ristoratrice. Era una condizione piuttosto triste per un ragazzo di appena venticinque anni nel pieno della sua gioventù.

Infondo in quel momento era la vita in generale di Antonio a essere un po' triste. Laureato in storia dell'arte alla perenne ricerca di un lavoro, con un monolocale in affitto adatto come casa più a un criceto che a un uomo.

Eppure Antonio non si lamentava mai né era deciso ad abbattersi. Magari era il sangue spagnolo che gli ribolliva nelle vene a spingerlo sempre in avanti, a renderlo incapace di smettere di sperare sempre in meglio. Senza contare che a breve quello strano 1996 sarebbe giunto al termine, e si sa: anno nuovo, vita nuova.

Sì, puntiamo avanti” si disse il ragazzo ad alta voce, già infervorato, sfoderando un'espressione un po' sciocca.

Che fai, parli da solo, imbecille?” disse qualcuno.

Antonio, colto alla sprovvista, si guardò intorno per capire da dove provenisse quella vocetta. A destra niente, a sinistra neanche...

Qui sotto, idiota”.

Antonio si sentì tirare la manica della giaccone, quindi guardò in basso e finalmente vide il suo interlocutore.

Era un bambino, un bambino molto carino a dirla tutta. Stava in piedi ma non gli arrivava nemmeno all'altezza della vita e lo squadrava con gli occhi verde spento da gattino.

Cosa c'è, piccolo?” chiese il ragazzo, gentile e incuriosito. Gli piacevano i bambini e, modestia a parte, sapeva anche di essere piuttosto in gamba nel relazionarsi con loro.

Senti deficiente, io ti conosco...dove cavolo ti ho già visto?” disse il piccoletto, in tono non proprio angelico. Antonio un po' era divertito, un po' stupito da quell'atteggiamento tanto insolente. Gli rispose con un sorriso:

Ehi, questo non mi sembra affatto il modo adatto di parlare per uno della tua età”.

E si può sapere tu che cazzo ne sai di quale sia la mia età?” sparò a raffica l'altro.

Posso provare a indovinarlo” disse Antonio.

Quindi, restando sempre seduto al suo posto, si chinò in avanti verso il bambino, poggiando i gomiti sulle ginocchia e il viso tra le mani.

Lo esaminò, così tanto vicino all'altro da potergli contare le efelidi che aveva sul nasino.

Occhioni da gatto” cercò di mettere su l'espressione più autoritaria possibile per un bambino con indosso un paio di calze a fantasia di pomodori che sbucavano dai pantaloni, ma distolse lo sguardo e iniziò lentamente ad arrossire.

Antonio pensò con una certa soddisfazione che, per quanto potesse sembrare impertinente, quel piccoletto doveva avere anche un lato timido, poi disse:

A guardarti direi che hai sei o sette anni”.

Sbagliato, coglione! Ne ho otto!” esclamò il bambino, trionfante.

Davvero? Sei un po' bassino per la tua età” disse Antonio.

Spesso non sapeva cogliere la soglia che divideva un commento neutrale da uno un po' più sfacciato, e nel caso di quel bambino si sarebbe detto che quella soglia fosse spessa uno o due millimetri appena.

Come?! Basso, io? Ascolta ignorante, sono ancora nel periodo della crescita se non lo sai, e sta' a vedere, tra qualche anno diventerò alto quanto te se non mooolto di più”.

Antonio soffocò una risata, iniziando finalmente a capire quanto il suo giovane interlocutore fosse permaloso.

Perché no? Sicuramente diventerai un bel ragazzo, sei un bambino molto carino”, gli rispose con un sorriso.

Gli piaceva parlare con i bambini e, sentendosi preso da un moto di affetto immediato per quel piccolino, si chinò ancora verso di lui per accarezzargli i capelli castani. Quello lo lasciò fare, mettendo su un adorabile broncio imbarazzato, che sparì presto dal visetto rotondo per lasciare spazio a un'espressione curiosa: all'improvviso i suoi strani occhi verdi vennero catturati da qualcosa. In quelle belle iridi baluginò per un attimo una sagoma che dondolava qua e là. Ritmicamente, il bambino seguiva quel movimento spostando la testa, lo sguardo all'altezza del collo di Antonio. Allora lo spagnolo abbassò gli occhi e capì.

Guardi la mia catenina con la croce?” disse, gentile. Era una collanina d'argento che non si toglieva mai, nemmeno la notte. Doveva essergli sbucata fuori dalla camicia quando si era chinato verso il bambino, che ora sembrava completamente preso da quell'oggetto, quasi ipnotizzato.

E' bella” disse. “La devo avere”.

Ecco” iniziò il ragazzo, a disagio, “mi dispiace tanto ma non posso proprio dartela”.

Il bambino lo guardò storto, inarcando le sopracciglia con insolenza.

Ma mi piacerebbe regalarti qualcosa, qualsiasi altra cosa”, aggiunse in fretta Antonio. “Dimmi solo che cosa vorresti”.

Quella collanina”.

Ti ho detto che non posso...”

Ma io la voglio! Uffa, la voglio, la voglio, la voglio!!” strepitò.

Antonio fu assalito da una piccola fitta allo stomaco. E va bene, adorava i bambini e quello in particolare gli sembrava simpatico, ma non sopportava davvero quando diventavano insistenti e piagnucolosi.

Magari puoi dire alla tua mamma di comprartene una uguale. Natale è appena passato, ma...” suggerì.

Non posso...” rispose l'altro, smorzandosi improvvisamente. Poi si guardò le scarpine con gli occhi velati dalle lacrime. Antonio si sentì un po' colpevole.

Voglio proprio quella lìììììììììììììì, dammelaaaaaa, subito!” si riprese in fretta il piccolo.

Strepitava talmente forte che quasi tutti i passeggeri del treno si erano voltati a curiosare. Antonio, a disagio mentre tentava di calmarlo sotto lo sguardo accusatore di una folla di sconosciuti, mise da parte i sensi di colpa e pensò che forse quello era solo un bambino un po' troppo viziato. Fortunatamente la salvezza arrivò insieme alla sua fermata.

Ecco, piccolo...ora dovrei scendere.”

...Te ne vai?” disse l'altro, con le guanciotte arrossate per lo sforzo di piangere.

Devo, ho un colloquio di lavoro e se non corro arriverò anche tardi...senti, devi andare da qualche parte qui vicino? Potrei accompagnarti”.

No, scendo alla prossima” tagliò corto il bambino.

Capisco...allora...” disse, e fece per andarsene.

Avrebbe voluto dirgli qualcos'altro, rincuorarlo, non gli andava affatto giù l'idea di aver fatto piangere un bambino di otto anni.

La calca di clienti carichi di acquisti per le feste, impiegati che si recavano svogliatamente a scontare la pena degli straordinari e passeggeri imbacuccati nelle sciarpe spinse però Antonio troppo in fretta verso l'uscita. Il ragazzo incespicò, e si voltò quando era ormai diversi passi in là sulla banchina. Le porte del treno erano chiuse, ma il bambino lo fissava da dentro attraverso il vetro puntando su di lui gli occhioni seri. Il ragazzo li trovò tanto disarmanti da rimanerne spiazzato. Si accorse che il piccolo stava muovendo le labbra, forse gli stava dicendo qualcosa.

Come? Non ti sento”, disse rivolto a lui, un po' gridando.

Allora il bambino sparì di corsa dentro il vagone. Antonio piegò inconsapevolmente la testa di lato con fare interrogativo, sentendosi un pochino strano. Poi fece un vago sospiro rassegnato e si voltò, ma quando stava per andarsene per la sua strada sentì gridare forte:

Io mi chiamo Lovino!”. Era il proprio il piccolo, affacciato fuori da un finestrino del treno. Neanche aveva finito di parlare che il mezzo riprese la sua corsa; il nome del bambino vorticò nell'aria fredda e quell'immaginetta schizzò via con lui.

 

Tornò a casa solo quando il sole stava calando e l'aria iniziava a diventare veramente fredda. Per lo meno era riuscito a gustarsi un bel tramonto dai toni del carminio, unica cosa veramente confortante della giornata.

Rosso di sera, bel tempo si spera” cantilenò Antonio.

A vedere il volto bello e sereno del ragazzo non si sarebbe mai detto che avesse subito un colloquio di lavoro massacrante, più simile a un vero e proprio interrogatorio che a una chiacchierata di pura formalità. Alla fine era stato stabilito che non ci fosse bisogno di altre guide in quel museo, o piuttosto di altre guide come Antonio.

Ma che cos'ho che non va?” si chiese, sinceramente dubbioso, mentre armeggiava per aprire la porta di nuovo bloccata.

Certo non era il massimo tornare dopo una giornata pesante in una casa che cadeva quasi a pezzi, per di più sotto le feste. Quel che c'era di integro lì dentro era a dimensioni così striminzite che Antonio finiva sempre col sentirsi fuori posto persino nell'appartamento in cui abitava.

Erano proprio quelli i momenti in cui sentiva di più la mancanza della vecchia casa in cui per tanti anni aveva convissuto con Francis e Gilbert...e non era solo quella a mancargli.

Su, su, coraggio” si disse da solo.

Si sistemò subito nella semplice cucina-soggiorno, sorridendo alla vista del mini alberello striminzito che faceva mostra di sé sopra il bancone. Nonostante Antonio avesse pochi soldi in tasca, lo spirito goliardico non gli avrebbe mai permesso di rinunciare alle decorazioni natalizie, per quanto simboliche come quelle che poteva permettersi lui.

Come di routine mise a bollire l'acqua per la pasta e accese la televisione per svagarsi un po'. Era un modello vecchissimo in bianco e nero, l'unico che aveva potuto comprare, e ogni tanto c'erano delle interferenze nei canali. Distrattamente si ritrovò a guardare le previsioni del meteo, ma come previsto il canale non era stabile e la figurina della conduttrice faceva qua e là come una ballerina impazzita.

Ma guarda un po' se nel 1996, con la tecnologia di adesso, devo sorbirmi questo catorcio” disse Antonio, portandosi dietro la televisione e muovendo i cavi nella speranza che migliorasse qualcosa.

Ed ora le previsioni per la nostra zona” annunciò la signorina della TV, mentre Antonio gli sferrava contro un calcio.

A partire da oggi, si prospetta una settimana di fine anno con intense e abbondanti precipitazioni”.

Precipitazioni? Che strano, eppure aveva appena visto quel bel tramonto rosso stagliarsi nel cielo freddo.

Stia bene attento a non dimenticarsi l'ombrello, signor Antonio Fernandez Carriedo”.

Antonio si immobilizzò, incredulo. Si mise davanti allo schermo, faccia a faccia con la bella signorina del meteo che stava ora dando la linea a un altro collega.

Decisamente questa televisione è da rottamare”.

L'acqua che bolliva lo riportò a pensieri più concreti, e Antonio si diresse verso il mobile penosamente piccolo in cui teneva la pasta...ma, orrore! Non ne aveva più una singola confezione!

Spense tutto per poi fiondasi fuori casa diretto al supermercato più vicino sperando di trovarlo ancora aperto e proprio mentre correva con le ali ai piedi, una goccia dall'alto gli cadde sul suo bel naso dritto.

A quella ne seguì un'altra, un'altra e un'altra ancora, sempre di più, sempre più forte, tanto che Antonio si ritrovò zuppo in pochi secondi. Trovò fortunatamente riparo a una fermata del pullman che si trovava sulla strada.

Col fiatone per la corsa, Antonio si spostò i capelli appiccicati dagli occhi e sedette su una fredda panca di marmo. Subito il picchiettare della pioggia sulla cupola di plastica che lo proteggeva si fece più rado, fino a scomparire in un baleno.

Ancora più strano era che, ora che ci faceva caso, non ricordava ci fosse mai stata una fermata del pullman proprio lì.
E davvero stranissimo fu che, sotto il cielo più terso che si sia mai visto dopo la pioggia, Antonio scorse una figura sfilargli davanti a pochi centimetri da lui. Era un ragazzetto con i capelli castani, un bel volto e due occhi verde spento... “Occhioni da gatto”, pensò Antonio.
Incredibile quanto somigliasse al bambino che aveva conosciuto quella mattina in treno, se non fosse stato per un dettaglio: quel ragazzino dimostrava di avere almeno 16 anni.



Dunque, ce l'avete fatta? Complimentoni xD e intanto, sentiti ringraziamenti per questo!
L'idea per questa storia è venuta ascoltando la OST di un drama coreano, “Secret Garden”. Non so quanti possano averlo visto, ma ci tenevo a precisarlo xD
La musica è stata molto importante e mi ha suggerito cosa scrivere, quindi al momento opportuno lascerò il link per darvi un'idea di come è nato il tutto. Ascoltando una particolare canzone di Secret Garden e collegandola a una certa scena, ho pensato: “non sarebbe bello far fare questa cosa alla mia coppietta preferita di hetalia?”...lo so che è una cosa un po' random :3
Se ce la faccio prevedo di aggiornare una volta alla settimana...ah, approfitto per ringraziare quelle due o tre persone che hanno inserito la prima (fallimentare) storia che ho pubblicato tra le preferite/ricordate! Era assolutamente inaspettato, quindi grazie di cuore ^^ alla prossima!

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Capitolo 2
*** 28 Dicembre...1996? ***


L'aveva visto solo di sfuggita, eppure per Antonio era stato impossibile non notare la somiglianza tra il ragazzino sconosciuto e il piccolo Lovino del treno. Stesso colore di capelli, stessi bei lineamenti, certo più maturi ma sempre delicati, e soprattutto stessi occhi verdi. Bé, magari di quello non poteva esserne tanto sicuro, avrebbe dovuto guardare più da vicino per accertarsene; infondo gli occhi di quel bambino erano molto particolari, di un'insolita e ricercata tonalità di verde, difficile a vedersi.

Nemmeno se ne era reso conto che Antonio si era già alzato in piedi nell'atto di seguire quel ragazzo. Ma perchè?

Gli somiglia così tanto che magari è suo fratello” si disse lo spagnolo, dopo averci pensato. “E vorrei proprio sapere come sta quel nanerottolo, quindi...”.

Iniziò così l'inseguimento di Antonio. Ogni passo che il ragazzo faceva, lui lo imitava, a debita distanza. Non era sicuro di cosa gli avrebbe detto una volta averlo fermato, non era nemmeno sicuro che quello che stava facendo fosse del tutto normale. In quel momento non gli importava, pensava solo ad andare avanti come in un sogno, e intanto osservava.

Il ragazzetto camminava a lunghe falcate pensierose, tenendo la testa bassa. Allo stesso modo Antonio muoveva le gambe adattandosi a un passo che era comunque più lento del suo solito.

Il ragazzetto dondolava un po' a destra, un po' a sinistra. Antonio lo imitava, attento a sincronizzare i passi coi suoi per evitare di farsi scoprire dal rumore delle scarpe sull'asfalto ghiacciato.

Anche quando il giovane si fregava il naso per il freddo e aumentava il passo con una leggera frenesia, Antonio faceva lo stesso, replicando tutte le sue mosse.

Stava diventando quasi un gioco divertente, pensò con un sorriso un po' ebete. Magari era proprio il caso di andare lì e camminargli di fianco, per poi presentarglisi come un amico del suo fratellino...

Lovino!” chiamò qualcuno in quel momento.

Il cuore di Antonio perse irrazionalmente un battito, il ragazzo fu preso dalla paura di essere scoperto a seguire uno sconosciuto e si tuffò dietro a una parete fortuita di una casetta che stava costeggiando nella sua passeggiata. Antonio si appiattì al muro come un ladro, l'adrenalina a mille. Poi si diede mentalmente dello stupido; infondo non stava facendo nulla di male, e ancora meglio, nessuno era venuto a corrergli dietro dandogli del maniaco, quindi significava che non era stato visto. Con cautela si affacciò appena alla strada che stava percorrendo fino a qualche secondo fa, sentendosi come quando giocava a nascondino coi suoi amichetti.

Con l'occhio cercava il ragazzino e lo trovò subito, fermo proprio nel punto in cui era prima. Stava conversando con qualcuno che gli stava davanti e che Antonio non riusciva a vedere, ma almeno era abbastanza vicino per poter ascoltare.

Stai tornando a casa, fratellone?” disse il nuovo arrivato, una voce aperta e giovane.

L'altro annuì.

Io vado un attimo a comprare la pizza e poi torno, non ci metterò molto. Ci vediamo dopo, Lovino!”

Allora prima aveva sentito bene...quella voce sconosciuta e allegra aveva detto proprio “Lovino”! Che coincidenza straordinaria...oltre che somigliarsi molto, i due “occhioni da gatto” condividevano anche un nome affatto comune.

Antonio tentennò un po' sul posto. L'altra persona se n'era andata, lasciando da solo Lovino (già, si chiamava così) che aveva ripreso la strada di prima, in solitudine.

Chiedendosi se non fosse il caso di piantarla di spiare un ragazzo probabilmente minorenne, Antonio si decise a tornare sui propri passi con la testa pesante. Era strano, davvero, c'era come qualcosa che non gli quadrava...e tanto per cominciare, dove accidenti si trovava?

Di strada a piedi non ne aveva percorsa poi molta da quando era uscito di casa per comprarsi un pacco di pasta, ma sembrava che fosse finito in una zona della città a lui sconosciuta. Assurdo, perchè aveva vissuto in quel posto la metà della sua esistenza! O meglio, ora che guardava bene, poteva ravvisare elementi familiari che si mescolavano a scorci a lui sconosciuti. Era una prospettiva piuttosto straniante...forse quella lunga giornata l'aveva provato troppo, e adesso si immaginava le cose.

Per fortuna alla fine ritrovò la strada di casa; il vicoletto un po' triste e spoglio in cui era incassato il suo monolocale mai gli era sembrato tanto accogliente come in quel momento. Con un sospiro, Antonio inforcò la chiave nella serratura, dandosi dell'idiota per essere ritornato senza aver comprato nulla da mangiare per cena.

Oh no”, fece il ragazzo, iniziando a girare la chiave da tutte le parti dentro la serratura, “no, si è bloccata di nuovo! Dai piccola, non abbandonarmi adesso, avantiiii...”.

Ma per quanto provasse la situazione non cambiava e dopo una quarantina di minuti, Antonio constatò che la porta rimaneva ermeticamente chiusa. In quella zona non correvano taxi e a quell'ora di certo nemmeno i pullman.

L'unica cosa da fare era chiedere ospitalità a Francis per una notte, e magari farsi pure venire a prendere. Non avrebbe potuto rifiutarsi, gli doveva troppi favori!

Per fortuna pochi metri più in là della zona residenziale era piazzata una cabina telefonica.

Oasi nel deserto!” esclamò Antonio, chiudendovisi dentro e componendo in fretta il numero del suo migliore amico. Già si era preparato un discorsino mentale pieno di suppliche e lusinghe e sapeva che avrebbe funzionato, conosceva il suo francese, lui...

Informazione gratuita. Il numero da lei chiamato è inesistente” disse una voce metallica al telefono, scompigliando tutte le prospettive di salvezza di Antonio.

No...che razza di giornata! Prima faccio piangere un bambino, poi il colloquio va male, dopo mi inzuppo sotto una specie di tempesta, mi metto a fare il pedinatore e rimango chiuso fuori casa senza cena, adesso ho pure sbagliato numero!”.

Anche se in genere Antonio godeva di un buon carattere e di una solida pazienza, adesso era davvero irritato e soprattutto stanco. La situazione peggiorò soltanto quando continuò a sbagliare numero due, tre, quattro...dieci volte, fino a finire anche l'ultimo gettone.

Informazione gratuita. Il numero da lei chiamato è inesistente”, ripeté ancora la voce nell'orecchio dello spagnolo, lasciandogli una strana sensazione di asciutto nella gola.

Francis...” pensò alla fine, “avrà cambiato il numero di casa senza dirmelo? Impossibile, mi avrebbe informato, e poi non lo vedo solo da una settimana. Allora...magari non ha pagato la bolletta e gli hanno staccato il telefono?”.

Nessuna delle due prospettive era poi così consolante, anche perchè ad Antonio non rimaneva altro che andare direttamente a piedi a casa di Francis, sperando di trovarlo lì.

La personalità piuttosto tranquillizzante del ragazzo entrò fortuitamente in azione proprio ora che si stava deprimendo sul serio, facendogli un effetto immediato: la parte più ironica che c'era in lui gli suggerì che alla fine avrebbe pure potuto aspettare il ritorno di Francis (che se non era a casa sua, era a casa di qualche amante) proprio là, davanti all'ingresso della sua villetta. Infondo lo spazio sotto il portico tra le due testacce di piante profumose gli era sempre sembrato un posto abbastanza accogliente per farci una siesta.

 

Dopo più di un ora di scarpinata notturna, Antonio giunse in fine davanti alla villetta residenziale di Francis. Sembrava che l'amico si fosse dato da fare per abbellire al massimo la sua abitazione per le feste, facendo ricorso a tutto il suo sempre decantato senso estetico: dal tetto scendevano come lacrime piccole lucette bianche e blu e le piante nel giardino erano decorate con nastri argentati e sfere luminose blu cobalto. La villetta somigliava a una specie di grosso e invitante pacco regalo da scartare.

Era davvero una bella casa, anzi, la casa dei sogni per ogni ragazzo sui venticinque anni che voleva un po' d'indipendenza. Ma nel suo cuore, Antonio sapeva che nemmeno Francis la amasse più di quella in cui avevano abitato insieme a Gilbert per tanto tempo...

La peggiore delle ipotesi si rivelò infondata: le luci al piano terra erano accese, c'erano segni di vita. Antonio pensò che finalmente la fortuna fosse tornata dalla sua parte.

Infondo si era sempre ritenuto fortunato per natura. Era come se un'entità molto positiva l'avesse sempre tenuto per mano fin da quando era nato, facendogli capitare solo cose belle. Quando poi erano successe cose brutte e quella mano era stata lasciata, Antonio aveva saputo che prima o poi sarebbero arrivati tempi migliori.

Era sempre stato così, e con questa convinzione rincuorante il ragazzo si diresse verso il campanello, già dell'umore giusto per farsi due risate con Francis su quella giornata assurda. Sentendo però delle voci e una sdolcinata canzone francese provenire proprio dal piano terra, il ragazzo si immaginò che l'amico avesse compagnia.

Adesso lo becco in flagrante” pensò, divertito, avvicinandosi alla porta finestra con l'intento di bussare lì per fare un'entrata trionfale. Si attaccò al muro come una pianta rampicante, avvicinandosi piano al finestrone per non farsi vedere, e quando credette di essersi appostato abbastanza strategicamente, sbirciò in casa attraverso il vetro.

Fu così che crollò tutto.

Francis era in casa, c'era, era sicuramente lui: capelli biondi e fluenti, figura alta e ben modellata, bicchiere di vino rosso alle labbra. Eppure non era lui; il pizzetto era molto più folto di quanto non l'avesse mai portato, i capelli meno ordinati e l'aspetto in generale era molto meno atletico del solito, un po' più massiccio, più ben piazzato, come dire...più maturo.

Più vecchio” bisbigliò Antonio.

Sembrava almeno dieci anni più vecchio. Quasi come fosse stato colpito da una forte influenza che l'aveva debilitato in maniera tanto evidente. Antonio, con gli occhi un po' fuori dalle orbite, si rese conto che fosse un pensiero assurdo. Tuttavia era meno assurdo di credere che Francis fosse invecchiato in appena una settimana che non lo vedeva. E poi...

Francis”, sbraitò una voce dal piano di sopra. Antonio si congelò sul posto. Quella voce gli era ben familiare, ne avrebbe riconosciuto il tono saccente e il forte accento inglese tra mille altre.

Arrivo Arthur, mon amour! Vuoi anche il terzo round, vero?” disse Francis, sorridendo mesto.

Fuck!!...” fu la risposta che tuonò dal primo piano.

Un attimo di silenzio...

...Sbrigati, idiota di una rana mangia mosche!” aggiunse Arthur.

Antonio era ormai nella confusione più totale. Francis e Arthur Kirkland? Ma se fino al mese prima finivano con le mani l'uno alla gola dell'altro non appena si vedevano! O meglio, un po' aveva sempre avuto il presentimento che quei due sarebbero finiti insieme, ma...adesso? Perché? Perché così all'improvviso, perchè Francis non gli aveva detto nulla, perché...

Ma lo sai che giorno è oggi, mon chenille? Torno su solo se te lo ricordi” disse Francis, senza gridare come faceva l'altro ma in tono perfettamente udibile dal piano di sopra.

Antonio tese le orecchie al massimo nella pausa imbarazzata di Arthur, nervoso. Non sapeva bene cosa aspettarsi di ascoltare, ma intimamente sentiva che quella fosse un'informazione molto importante.

Oggi è il 28 Dicembre 2005”, cantilenò Arthur, “quindi stiamo insieme da...”

La vista di Antonio si fece nera. Di scatto, si ritirò dalla porta finestra tornando con la schiena al muro, senza fiato. Non seppe dire per quanto rimase lì, in piedi, nascosto. Non provava nulla, non sentiva nulla, se non la terrificante convinzione di essere impazzito. Tutte le lucine fredde che penzolavano dal tetto roteava intorno a lui, le decorazioni delle piante in giardino baluginavano inquietanti.

Il gelo pungente della notte lo ridestò a un'ora sconosciuta. Antonio, sconvolto, diede un'ultima occhiata alla villa di Francis; al piano terra era tutto buio.

Doveva andare via di li.

 

Camminava da chissà quanto. Gli sembrava che lo facesse da almeno dieci anni e forse era proprio così, perchè Arthur aveva detto “2005”, una parola che non somiglia per niente a “1996”, non poteva aver capito male. Non ce la faceva più, non ce la faceva proprio più, non sapeva se fosse tutto un terribile incubo o un'assurda realtà, non sapeva dove fosse, a un certo punto non sapeva nemmeno se stesse ancora camminando oppure no. Era arrivato di nuovo uno di quei momenti in cui la fortuna non voleva più tenerlo per mano.

Non mi lasciare” disse Antonio, tendendo la destra nella speranza di poter afferrare la buona sorte. Qualcosa aveva toccato, ma non sapeva cosa. Aprì quindi gli occhi e trovò accanto a sé un ragazzo, tanto vicino da potergli contare le efelidi sul naso.

Oggi mi è già successo” pensò assurdamente Antonio. L'altro dormiva, ma aveva il bel volto corrucciato nel sonno, con le sopracciglia inarcate come se fosse in forte disappunto.

Antonio lo trovò buffo e con l'indice andò a spianare quella morbida pelle toccandolo sul ponte del naso. Proprio lì tra quei due occhi chiusi che, ne era sicuro, erano colorati di un atipico verde spento.

 

 

Ciao a tutti!! Ho aggiornato un po' prima del previsto perchè mi sentivo particolarmente ispirata...allora, con i primi due capitoli ho finito di presentare il quadro generale e i personaggi principali. Ho paura che questo capitolo sia un po' lento, ma come dire...è Antonio a essere lento, gli ci vuole un po' per capire cosa succede, date la colpa a lui ù_ù xD mi sono particolarmente divertita a immaginare la scenetta FrUk, con questi due non si sbaglia mai <3
dal prossimo capitolo si entra nel vivo della storia e con le interazioni tra Antonio e Lovino; penso di aggiornare verso metà settimana ^^ vi invito a farmi sapere cosa ne pensate, per me è molto importante sapere dove sbaglio e dove posso migliorare!E grazie di cuore a chi ha recensito/seguito il primo capitolo, mi ha motivato tanto ^^ alla prossima allora!

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Capitolo 3
*** 29 Dicembre 2005 ***


2005, 29 Dicembre

 

Aveva dormito bene. Quello fu il primo pensiero che riuscì a formulare quella mattina. Perché di mattina doveva trattarsi, a giudicare dai tiepidi raggi di sole che filtravano da una finestra.

E dunque aveva dormito di notte senza svegliarsi mai.

Da quanto non succedeva?

Almeno sta volta non si sarebbe addormentato in treno come il giorno prima...il giorno prima! Lovino che gli gridava il suo nome sul treno, Lovino più grande...assurdo pensarlo ma era proprio così! Dopotutto anche Francis era diventato più grande, più vecchio!

Antonio si tirò su di scatto, la sensazione di benessere provata nel dormiveglia era ormai sparita. Si guardò intorno, a disagio, scoprendosi avvolto in un piumone.

Era seduto sul parquet di un salone, un ambiente abbastanza grande e luminoso. La stanza era circondata da graziosi mobiletti pieni di libri impilati l'uno sull'altro. Le pareti bianche gridavano pulizia, la mobilia e i bei quadri appesi davano al tutto un aspetto arioso; in un angolo era depositata una chitarra, nell'angolo opposto un enorme albero di natale risplendeva elegante.

Prima che potesse spingere lo sguardo oltre il salone, Antonio venne ripreso da una voce un po' severa.

Fa già come se fosse a casa sua, il maleducato bastardo”.

Era Lovino, la sua versione di sedici anni.

Antonio scattò in piedi come un soldato sull'attenti. Per qualche istante rimasero entrambi in silenzio. Lo spagnolo aveva mille domande da fare, ma sapeva che qualunque cosa avesse detto, per quanto ci avesse pensato, l'avrebbe fatto passare per pazzo.

Approfittò della sua bocca che non voleva aprirsi per studiare il ragazzo che aveva davanti: aveva una corporatura indubbiamente non massiccia, ma era ben proporzionato. I lineamenti del viso erano regolari e qualcosa nelle forme rotonde del naso e delle labbra faceva pensare alle fattezze di un ragazzino molto giovane. I capelli erano lisci e leggeri e quel taglio gli donava. Ma erano sicuramente gli occhi il punto forte: non più così grandi come quelli dei bambini, ma altrettanto vivaci e luminosi.

Finito di fissarmi? Se continui così mi farai un buco in faccia, coglione”.

Evidentemente la ricognizione di Antonio non era passata inosservata.

Ecco” iniziò lui, con l'impellente desiderio di fare un po' di chiarezza in tutto quel macello, “come sono finito qui?”.

Si guardavano, l'uno di fronte all'altro, parecchi centimetri a dividerli.

Ti ci ho portato io” rispose Lovino, un po' sprezzante. “Ti ho trovato vicino casa mia ieri notte, mentre ero uscito per fumare. Sembravi ubriaco forte e...”, ma non poté finire perchè Antonio lo interruppe:

Fumare? Ma no, fa malissimo, poi tu sei ancora giovane, è una brutta abitudine!”.

Ma...cazzo vuoi?” disse Lovino, agitandosi. “Bel ringraziamento, mi fai la predica dopo che ti ho trascinato fin qui...pesi come un toro e non ce l'avrei mai fatta da solo, ho dovuto chiamare mio fratello!” aggiunse, avanzando di un passo con fare alterato.

Io...ti ringrazio, ma questo non cambia il fatto che fumare...” iniziò Antonio.

Dio, quanto sei pedante! Non ho bisogno di qualcuno che mi dica cosa fare, so badare da solo a me stesso”.

Ad Antonio spuntò in faccia un sorriso divertito.

Che cazzo ridi?” disse Lovino, avvicinandosi di un altro passo per volergli fare chissà cosa.

No, è che...i ragazzini fanno sempre così, credono di poter portare il mondo sulle loro spalle ma non sanno di non poterci riuscire. Non voglio essere scontroso, ti dico la verità. Qualche volta è bene chiedere aiuto”.

Antonio e la sua abitudine di dire cosa gli passava per la testa senza pensarci!

Onestamente non sapeva neanche lui come si fosse arrivati a quel discorso proprio in una situazione simile. Magari quelle erano le parole che avrebbe voluto sentirsi dire quando aveva quell'età e per quel motivo aveva parlato così.

Stai tentando di darmi un consiglio?” disse Lovino, appena un po' più mite.

Sto tentando di venirti incontro, e di capire” rispose Antonio, accompagnando le parole con un passo verso l'altro.

Senza che i due se ne fossero resi conto, la distanza tra loro era stata colmata. Ci fu un attimo di silenzio, denso di una certa aspettativa da entrambe le parti. Antonio studiava Lovino, Lovino lanciava occhiate a casaccio in giro per la stanza.

Sarai anche un noioso bastardo” fece poi il più giovane, piano, “ma almeno mantieni la parola”.

Antonio lo guardò con aria interrogativa.

Me l'avevi detto...” bisbigliò Lovino, iniziando ad arrossire lentamente, “...che saresti tornato”.

In quel momento Antonio non pensò a quanto fosse assurdo tutto ciò, a cosa significasse la frase che il ragazzino aveva appena detto, a quando, dove e come lo avesse già incontrato, al perchè gli avesse garantito che sarebbe tornato.

Pensò invece a quanto fosse deliziosamente adorabile vedere quel giovane iroso piegare la testa e arrossire fino alla punta delle orecchie.

Non...so ancora come ti chiami, non me l'hai mai detto” disse Lovino. Aveva abbassato tanto gli occhi che ormai si guardava le scarpe.

...Stronzo” aggiunse.

Antonio ripensò al piccoletto con i calzini a fantasia di pomodori che gridava il suo nome sporgendosi dal finestrino del treno. Sorrise.

Mi chiamo Antonio” disse, tendendo la mano.

 

E così quello era proprio il 2005. Non era poi molto diverso dagli anni '90, aveva garantito Lovino. Lui e Antonio avevano parlato un po', entrambi più che confusi dalla situazione.

In fin dei conti sembrava proprio che Antonio avesse viaggiato nel tempo. Era sul treno a schiacciare un sonnellino il 28 Dicembre 1996 e un attimo dopo spiava Lovino e Francis il 28 Dicembre 2005.

Puoi farmi tutte le domande che vuoi, tanto non saprò risponderti. Non so perchè ti succedano queste cose, sicuramente ne so meno di te. Anzi, non so molto neanche su di te” aveva detto Lovino, mangiandosi le parole alla fine.

Magari non ne sapeva niente, ma Antonio era sicuro che Lovino c'entrasse qualcosa: infondo aveva accettato l'idea che lui avesse viaggiato nel tempo e da come ne parlava sembrava si fossero incontrati più di una volta a cavallo tra gli otto e i sedici anni di Lovino; significava quindi che quel giovane rappresentava una costante in quella marea di fatti incredibili. Una costante abbastanza piacevole, si disse Antonio.

Perché fai quella faccia ebete, a che stai pensando?” grugnì Lovino.

No no, a niente”.

Prima che Antonio potesse chiedere altro, un rumore proveniente dall'ingresso avvertì i due che qualcuno era rientrato in casa.

E' mio fratello” disse Lovino, un po' allarmato. “Non dire cazzate, capito? Lui non sa niente...di noi”, terminò, arrossendo.

Antonio rimase per un attimo imbambolato, con tutte quelle informazioni ancora da registrare che gli affollavano la testa. Poi realizzò che Lovino doveva aver avuto i suoi buoni motivi per non rivelare al fratello di conoscere un ragazzo che “veniva dal passato”...chiunque avrebbe rinchiuso entrambi al manicomio se si fossero anche solo lasciati scappare affermazioni simili.

Intanto il fratello minore di Lovino aveva fatto la sua apparizione, parlando per primo e risolvendo in un attimo i soliti convenevoli; si chiamava Feliciano, aveva 14 anni, ed era una versione più piccola, rosea e allegra di Lovino...Antonio lo trovò seriamente adorabile.

Sono felice che tu stia bene, ieri sera eri in condizioni abbastanza pietose”, aveva detto Feliciano ad Antonio, stringendogli la mano e scuotendo forte.

Prenditi tutto il tempo che ti serve, io intanto vado a preparare il sugo per la pasta. Per ottenere un risultato perfetto ci vorrà un pochino”, aggiunse strizzando l'occhio, prima di sparire in cucina.

Antonio esitò.

Ma davvero a tuo fratello sta bene...avere uno sconosciuto in casa?” disse.

Magari Lovino l'aveva riconosciuto subito, ma non si può mai essere sicuri di un estraneo, specie se lo si trova tramortito in strada...in quel momento Antonio sentì nascere spontanea una piccola fitta di preoccupazione a proposito delle scelte spensierate di vita dei due ragazzini.

Lui è fatto così” disse Lovino con un'alzata di spalle, seguendo Feliciano.

Antonio lo guardò camminare in fretta, quasi a scatti, mentre faceva strisciare una mano alla parete.

Ma non è un idiota, Feliciano. Sa riconoscere le persone buone da quelle cattive”.

Più che parlare aveva borbottato a sé stesso, ma Antonio non poté trattenersi dal provare un certo senso di soddisfazione al pensiero che si stesse riferendo a lui.

 

Dunque Antonio si trovava a pranzo a casa Vargas, una bella abitazione con giardino, ospitato dal minore dei fratelli Vargas che lo riteneva un simpatico ubriacone, e dal maggiore che gli si poneva con un misto di curiosità e diffidenza, punzecchiandolo senza sosta.

Inoltre il tutto stava accadendo nove anni avanti nel futuro.

Questa qui sì che è un'espressione veramente idiota, complimenti” disse Lovino, rivolto ad Antonio.

Prima che lo spagnolo potesse rispondergli, lamentandosi di quanto fosse brutto che un ragazzo parlasse in quel modo, intervenne Feliciano:

Dai fratellone, fin'ora non gli hai dato un attimo di tregua, lascia che si ambienti”.

Antonio provò un immediato moto di gratitudine e simpatia verso il ragazzino più piccolo; sentiva che Lovino in qualche modo avrebbe potuto piacergli, ma mentalmente l'aveva già associato a una specie di gatto selvatico, pronto a graffiare la mano che lo accarezza quando meno te lo aspetti.

Invece Feliciano era più un gattino da appartamento, buffo e pacifico. Antonio aveva subito armonizzato con il carattere allegro di Feliciano e non poté trattenersi dal rivolgergli un gran sorriso.

E falla finita, Cristo! Sembra che tu ti stia mangiando con gli occhi mio fratello” sbraitò Lovino.

Antonio sospirò mesto e Feliciano scoppiò a ridere mentre si dirigeva verso la caffettiera. Di schiena rispetto alla tavola ancora occupata dagli altri due, iniziò ad armeggiare col gas e disse:

Allora Antonio, raccontaci qualcosa di te”.

Il ragazzo rizzò la schiena; era arrivato il momento dell'interrogatorio di circostanza. Dunque anche Feliciano, per quanto ingenuo potesse essere, voleva sapere chi era lo sconosciuto a cui aveva preparato il pranzo! Antonio si volse immediatamente verso Lovino, che ricambiò con uno sguardo abbastanza inquieto. Ci fu un attimo di silenzio, ma quando Lovino articolò con la bocca un “parla, cazzo!”, Antonio si riscosse, esordendo con un lungo “ehm”.

Io...ho venticinque anni”, disse alla fine.

Davvero? E cosa fai nella vita?” chiese Feliciano, ancora di spalle.

Antonio con la coda dell'occhio aveva notato che a quella domanda Lovino si era fatto più attento. Magari perchè non conosceva la risposta? Infondo poco prima aveva detto di non saperne molto di lui.

Sto cercando un lavoro...sono laureato in storia dell'arte” rispose a Feliciano, ma guardando Lovino dritto negli occhi. Questo sobbalzò, un po' sorpreso come chi è colto in flagrante, poi assunse un'espressione seccata.

Ah, che bello! Anche a me piacerebbe molto studiare queste cose in futuro. Oppure vorrei diventare un artista!” disse Feliciano.

Un artista di che tipo? Ah, magari musicale? Prima ho visto che nel salone c'era una chitarra” disse Antonio.

No no, io vorrei fare il pittore...e quella chitarra, bé” iniziò Feliciano, ma venne interrotto da Lovino che improvvisamente gli fu accanto con un balzo, tappandogli la bocca.

Nessuno di noi due sa suonarla” disse rapido, ancora con la mano sulla bocca di Feliciano che rideva e borbottava cose indistinte.

E tu sai suonarla, o meglio, sai fare qualcosa oltre che startene lì con quell'aria da coglione?”.

Sì che so suonarla” fece Antonio, un po' ferito nell'orgoglio, “e anche bene!Sta a sentire”.

Detto questo si diresse al salone, afferrò lo strumento, tornò in cucina e, dopo essersi sistemato sulla sedia, diede sfoggio di tutta la sua abilità.

Si potevano dire molte cose di Antonio: che amava un po' troppo divertirsi, che aveva la testa tra le nuvole, che poteva essere sfacciato, ed era tutto vero; ma guai a mettere in dubbio che ci sapeva fare con la chitarra. Era quando suonava che esprimeva tutto il suo sangue latino in ogni gesto che faceva e in ogni corda che pizzicava. Molti gli avevano detto che in quei momenti era particolarmente affascinante e che fosse difficile non restare rapiti dalle sue melodie.

Sembrava che ora l'eco di quell'effetto fosse stato riprodotto anche a casa Vargas; Feliciano ascoltava a occhi chiusi e anche Lovino se ne stava buono buono in silenzio, a braccia incrociate.

E Dio, se non era soddisfacente ammansire quella specie di gatto selvatico!

 

Dato che nel pomeriggio Feliciano doveva tornare a scuola, dopo pranzo Lovino e Antonio lo accompagnarono a piedi. Durante il tragitto continuarono a parlare del più e del meno; per fortuna Feliciano non era un tipo impertinente e non chiedeva cose particolarmente personali, quindi ad Antonio fu facile rispondere alle domande sulla sua vita senza dover mentire neanche una volta.

Alla fine si separarono e Feliciano li salutò agitando il braccio, stagliandosi nel grigio cielo di Dicembre.

Antonio e Lovino camminavano piano sull'asfalto freddo, il più grande che seguiva l'altro a un paio di passi di distanza. Finalmente erano soli e sarebbe potuta essere un'ottima occasione per ragionare un po' insieme su quell'assurda capacità che aveva portato Antonio avanti nel tempo. Eppure, nonostante lo spagnolo avesse mille domande in testa, non sapeva davvero da dove cominciare, perchè era tutto talmente assurdo che faceva fatica a rimettere insieme i pezzi.

Non avrai mica intenzione di rimanertene a sbafo a casa mia?” disse Lovino, rompendo la catena di pensieri di Antonio. “Si può sapere dove cazzo abiti?”.

Accidenti, è vero!” esclamò Antonio, “Avevo quasi dimenticato casa mia!”

Togli pure il 'quasi'” soffiò Lovino.

Oh, è incredibile, tutto è cominciato perchè ieri sera non riuscivo ad entrare” disse Antonio, ignorando il commentino dell'altro, “per questo sono andato da un mio amico ma poi ho visto...ora non importa, la prima cosa da fare è tentare di rientrare in casa!” disse, animandosi.

Era così felice di aver qualcosa di concreto da fare che, preso dall'entusiasmo, afferrò Lovino per il gomito, trascinandolo, nonostante le proteste, verso il suo familiare vicoletto.

Cambiarsi i vestiti, mangiare le sue cose, avere in mano qualcosa di suo e ritrovare un po' di certezze...Antonio non stava più nella pelle.

In breve arrivarono a destinazione col fiato corto. Lovino scoccò uno sguardo sprezzante alla casa di Antonio.

Devi essere proprio un poveraccio, tu”, disse.

Ma Antonio non lo ascoltava, intento com'era a tirare fuori la chiave dalla tasca dei pantaloni e pregando che la serratura decidesse di collaborare almeno quella volta. Ma non fu così, la porta proprio non voleva saperne di aprirsi...di nuovo. E mentre Antonio continuava a provare con una certa furia a girare la chiave, una signora grassa si affacciò con aria truce da quello che avrebbe dovuto essere il suo balcone.

Che accidenti stai facendo, razza di piccolo scassinatore!” urlò.

Cheee?” fece Antonio guardando in alto.

Non provarci neanche, pidocchio! Cercare di derubare una casa simile, ma non ti vergogni? Non ce l'hai un po' di decenza?” gridò la signora grassa.

Ma veramente...”

Adesso chiamo la polizia, capito? Vattene o ti butto in testa questo!”, e prese a far roteare un mattarello di legno.

Ascolti, c'è un errore, io...”

Ti avevo avvisato!” ululò la signora, iniziando a scagliare verso Antonio una serie di utensili da cucina. Il ragazzo schizzò via tirandosi dietro Lovino e i due tornarono di corsa sui loro passi fino ad arrivare alla scuola di Feliciano in un battito di ciglia.

Mi sa che non ci abiti più, lì” annaspò Lovino, un misto di ironia e astio nella voce.

Oh” disse Antonio, con una mano sulla milza. Quello si che era un bel colpo.

Magari...magari ho trovato un bel lavoro o ho vinto alla lotteria e quindi mi sono trasferito in un posto migliore!” iniziò a fantasticare.

E' più probabile che tu sia diventato definitivamente un barbone” disse Lovino.

Antonio lo guardò supplichevole per poi appoggiarsi con aria sconfitta al cancello del liceo frequentato da Feliciano.

Allora dove abitava lui nel 2005? O meglio, dov'era Antonio nel 2005?

Adesso che ci pensava, se avesse ancora abitato lì ed entrando si fosse ritrovato faccia a faccia con un se stesso più vecchio di quasi dieci anni, che sarebbe successo? Un brivido gli percorse la schiena al pensiero di tutte le possibili conseguenze che aveva appreso guardando film fantascientifici. Forse aveva appena corso un bel rischio senza saperlo! Forse era meglio cercare di stare più alla larga possibile dall'Antonio del futuro.

Sta per piovere” disse Lovino, lo sguardo al cielo ricoperto da una fitta rete di nuvoloni.

Scommetto che quell'idiota di Feliciano non ha preso l'ombrello. E' una scocciatura e non ne ho la minima voglia, ma devo andare a casa per portargliene uno”, disse, ben attento a dimostrarsi più acido possibile.

Antonio lo guardò; aveva iniziato un pochino a capire come funzionava quel ragazzo. Sulla sua bella faccia c'era scritto “attenzione, belva feroce”, ma bastava guardare meglio per rendersi conto che anche lui sapeva fare le fusa.

Sei un bravo fratello”, gli disse, sorridendo, “e anche un bravo ragazzo”.

Lovino si agitò e borbottò qualcosa sul dover prendere anche un altro ombrello per se stesso.

Allora staremo in due sotto lo stesso ombrello?” scherzò Antonio.

L'altro, dopo averlo mandato a quel paese, aggiunse incespicando:

Non ci metterò molto, tu aspetta qui...poi cerchiamo di capire che cazzo di fine hai fatto nel 2005”.

Antonio lo guardò allontanarsi e pensò che non fosse molto diverso dal bambino capriccioso che sul treno voleva a tutti i costi la sua catenina con la croce.

Era un po' strano, perchè in genere con la crescita si mettono da parte vizi e strepiti e si matura, ma sembrava che Lovino si fosse portato dietro dall'infanzia tutti i suoi modi, ed era così buffo.

Proprio mentre Antonio lo stava studiando, iniziò a piovere e una goccia gli cadde dritta in un occhio.

Se la sfregò via in fretta, ma quando tornò con lo sguardo a ciò che stava osservando prima, Lovino non c'era più.

 

L'aveva aspettato, aspettato, aspettato, ma dopo un'ora Lovino non era ancora tornato a scuola con gli ombrelli. Anche la pioggia era ormai cessata.

Qualcosa nella testa di Antonio, o forse nel suo cuore, gli suggerì che fosse meglio andare a casa Vargas per controllare che non fosse accaduto nulla. Infondo, Antonio era un po' un fatalista; credeva nella fortuna e allo stesso modo si fidava ciecamente del suo sesto senso, dell'istinto.

E così, con le ali ai piedi, tornò a casa dei due fratelli, ma dovette fermarsi di colpo davanti al cancelletto d'ingresso, tuffandosi dietro una grossa siepe decorativa.

Perché aveva appena visto un bambino, tutto infagottato in un giubbotto rosso, intento a disegnare sul prato. E quel bambino era indubbiamente Lovino coi suoi occhi verde oliva, anche se sembrava ancora più piccolo e basso di quando l'aveva visto la prima volta sul treno.

E' successo di nuovo” disse in un soffio Antonio.

In giardino a qualche metro di distanza da Lovino c'era anche anche un piccolissimo Feliciano, arrampicato come uno scoiattolo sulle spalle di un uomo che lo faceva giocare, e se la rideva di gusto, gridando con la sua vocetta:

Ancora più in alto, nonno!”.

Dunque i due fratelli vivevano con il nonno. Evidentemente Antonio prima non l'aveva visto perchè non era in casa...

Vedrai che bella festa di fine anno organizzerà il nonno, Feli! Ci sarà da divertirsi!” disse l'uomo.

A quel punto il piccolo Lovino cambiò l'espressione del visetto e abbandonò fogli e colori.

Bravi, divertitevi voi due! Non voglio partecipare a nessuna stupida festa” urlò scattando in piedi, “voglio solo diventare subito più grande, voglio che l'anno nuovo arrivi in fretta!”.

Detto questo entrò come una furia in casa, mentre Feliciano, con un dito in bocca, chiedeva triste al nonno:

Al fratellone non è piaciuto il 1994? Perché vuole che arrivi subito il 1995?”.

Il cuore di Antonio mancò un battito. Niente più spiare la vita degli altri per ora, niente più cercare di capire cosa succedeva, adesso. Bastava così.

Se quello era davvero il 1994 non gli serviva sentire altro, sapeva perfettamente dove doveva andare.

Si allontanò di corsa da casa Vargas, dimentico della fitta di dispiacere che aveva provato assistendo all'inquietudine del piccolo Lovino; infondo era sicuro che a prescindere dal fatto che fosse intervenuto o meno, le cose non sarebbero cambiate...la sua presenza non poteva certo interferire in qualche modo nella vita del bambino.

Lo lasciò quindi al suo destino, diretto con il cervello e l'anima alla casa in cui aveva abitato con Francis e Gilbert, il cuore che gli batteva a mille e le lacrime che premevano per uscirgli dagli occhi.

 

 

Dunque, questo capitolo è uscito più lungo dei primi due perchè volevo che Antonio iniziasse a relazionarsi come si deve con Lovino. Fin'ora si è limitato ad osservarlo incuriosito, a cercare di capire che tipo di persona sia. Intanto il nostro eroe è stato trascinato dagli eventi...ma dal prossimo capitolo il suo animo latino si farà sentire e Antonio passerà all'azione ^^

Spero di non avervi annoiato, grazie di cuore per il supporto a chi commenta, segue, legge, spulcia questa storiella, a chi la mette tra i preferiti...wow, la cosa mi incoraggia tanto!xD fatemi sapere cosa ne pensate con un commentino ^^ allora ci vediamo al prossimo aggiornamento verso inizio settimana prossima!!

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Capitolo 4
*** 28 Dicembre 1994 ***


1994, 28 Dicembre

 

 

Sulla targhetta sopra il campanello c'era scritto, in caratteri eleganti, “Beilschmidt Gilbert, Bonnefoy Francis, Fernandez Carriedo Antonio”.

Tra le parole “Beilschmidt” e “Gilbert” era stato maldestramente aggiunto con una penna nera “il magnifico”.

Antonio sorrise, teso. Si era diretto di slancio lì non appena aveva saputo in che anno si trovasse e, come al solito, aveva agito senza pensarci nemmeno per un secondo. Sebbene poco prima avesse riflettuto sul fatto che fosse meglio evitare di incontrare il se stesso di un'altra epoca, adesso stava rischiando un faccia a faccia diretto con l'Antonio di due anni fa.

Quello era un Antonio molto più spensierato di adesso.

Oltre che non avere la più pallida idea che sarebbe rimasto invischiato in una serie di eventi paranormali, ovviamente, pensava poco al dovere e molto al piacere. E come avrebbe potuto fare altrimenti, con quei due diavoli sempre insieme a lui! Francis, che sembrava tanto raffinato, tra tutti e tre era il peggiore, sempre pronto a spassarsela e a dileguarsi come un razzo quando si trattava di fare qualcosa di serio.

E Gilbert...oddio, Gilbert.

L'ultima volta che l'aveva visto era stata nel '95, ma quel singolo anno pesava come un macigno sul cuore di Antonio.

Rivederli, rivedersi insieme a loro durante quello che era stato il periodo più felice della sua vita, non aveva prezzo. Forse sarebbe stato male, dopo. Forse avrebbe sofferto per quei ricordi. Ma adesso la tentazione era troppo forte, impossibile da evitare.

Antonio, solo e in piedi davanti al modesto portone a vetri, sapeva cosa fare; infilò la mano dentro la cassetta esterna della posta per poi estrarne con un ghigno un mazzo di chiavi.

Così, anche se saremo ubriachi tanto da non ricordare dove teniamo le chiavi, non resteremo mai fuori casa”, aveva detto una volta Francis.

Idea un po' incauta ma utile, considerando quanto il francese amasse il vino, senza contare Gilbert e i suoi fiumi di birra e non dimenticando che Antonio buttava giù di tutto.

Meccanicamente le sue gambe si mossero percorrendo la scalinata familiare e l'unica preoccupazione che gli rimbombava nel cervello era quella di pesare bene i passi per non farsi scoprire. Senza accorgersene, fu dentro.

Era tutto come lo ricordava: il salone tentava di presentarsi elegantemente ma lo tradivano libri di tre materie diverse sparsi a terra, quelli di cucina di Francis dai quali spuntavano linguette rosa, quelli di arte di Antonio vecchi e consumati, quelli di Gilbert sotto le gambe del tavolino o usati come fermacarte; le mensole piene di bijou francesi, un tappeto di dubbio gusto tedesco, una chitarra elettrica comprata in un impeto di passione giovanile che serviva da piano di appoggio per una casetta per uccelli; nell'angolo cucina, sacro tempio parigino, padelle profumate di paella sbucavano insolenti dal lavello. Ogni cosa sembrava fuori posto, ma nel complesso non poteva essere un ambiente più intimo e colorato di così. Antonio sorrise alla vista di un albero di Natale decorato in tre stili vistosamente diversi; eppure la cosa funzionava.

Era sempre stato così tra loro; non sarebbero potuti esistere tre ragazzi più diversi uniti da una tale sintonia. Forse si trovavano bene insieme perchè infondo erano un trio così male assortito da compensare ognuno le mancanza dell'altro; forse era il fatto che fossero tutti un po' fuori di testa, vogliosi di divertirsi e di trovare un loro posto nel mondo; forse era anche perchè non avevano altro se non loro stessi, e per questo rimanevano vicini.

Infatti Antonio viveva in Italia da tanti anni, in Spagna non gli era rimasto più niente se non il ricordo delle sue radici. Francis aveva i genitori a Parigi, ma non erano in buoni rapporti e il ragazzo era più che deciso a dimostrargli di potersela cavare da solo. Gilbert invece aveva in Germania...

Il mio fratellino!” sbraitò una voce proveniente dalla zona notte.

Antonio sobbalzò, tuffandosi dietro il divano. Era entrato in casa senza avere un piano, ma adesso era necessario inventarsi qualcosa se non voleva che i suoi coinquilini lo vedessero. Non si trattava di una cosa facile, dato che vivevano in un appartamento neanche tanto grande.

Ah, quel mascalzoncello di Ludwig...” piagnucolava la voce un po' stridula di Gilbert.

Su su, magari invece sta volta...” rimbombò il fortissimo accento francese di Francis.

La testa di Antonio fumava.

Quei due potevano trovarsi in una delle loro tre camere, e sperando ardentemente che non fossero nella sua, si avviò verso il corridoio come un ladro in casa propria.

Gattonando, passò davanti alla prima camera, quella di Francis, che aveva la porta chiusa. Proprio accanto c'era la stanza di Antonio, ma il ragazzo sbirciò dalla serratura e vide che Francis e Gilbert non erano lì. Escludendo che i due amici fossero in bagno a spettegolare come ragazze, Antonio si infilò nella seconda porta convinto di aver trovato un luogo sicuro da dove poter origliare.

Solo quando fu dentro gli passò per la testa l'idea che magari poteva trovarsi lì anche il se stesso del '94.

In un nanosecondo si maledisse e, contemporaneamente, si accorse che non c'era nessuno e poté tornare a respirare.

Anche da lì riusciva ad udire abbastanza distintamente le voci familiari. Con il cuore che batteva più forte, si inginocchiò sul suo letto appoggiando l'orecchio al muro.

Ti dico che Ludwig non verrà a trovarmi nemmeno quest'anno e i nostri zii non si azzarderanno mai ad accompagnarlo qui se lui non glie lo chiede esplicitamente, cazzo!” stava dicendo Gilbert, seccato.

Mon Dieu...voi tedeschi e il vostro caratteraccio!”

Ma che caratteraccio! Qui si tratta di fermezza di volontà, del nobile sangue di stirpe prussiana che ci scorre nelle vene”.

Gilbert parlava, o meglio blaterava, nel suo solito tono sempre troppo sopra le righe, mentre Francis cercava di essere accomodante. Antonio sorrise mordendosi il labbro, tentando di appiccicarsi al muro quanto più poteva, con la paura un po' spasmodica di perdersi anche solo una parola.

Però prima o poi ci verrà qui in Italia, Lud, me l'ha promesso! Ma ha detto che lo farà solo quando sarà abbastanza grande per venirci a studiare, e diavolo se non sarà così!” disse Gilbert scoppiando a ridere sguaiatamente, seguito a ruota da Francis. Antonio dovette tapparsi la bocca per non far sentire la risata che gli scappò. Era proprio come essere ancora tutti e tre insieme.

Ludwig nemmeno ci penserà a poggiare qui le sue magnifiche zampette da pulcino fin quando non lo riterrà giusto” aggiunse il tedesco, quasi urlando.

E' piccolo ma è un duro, mantiene sempre la parola data e sopratutto non romperà mai una promessa fatta a me” terminò, ma senza più ridere.

Nonostante fosse ben nascosta dietro il tono strafottente, Antonio notò una punta di rammarico nella voce dell'amico. Sicuramente anche Francis se ne era accorto, perchè per un momento nessuno disse nulla.

Era chiaro che Gilbert avrebbe voluto che Ludwig rompesse quella solenne promessa pur di poterlo rivedere; neanche il tedesco se la passava tanto bene economicamente e non aveva molte occasioni di andarlo a trovare in Germania.

Quando verrà arrostirete tutti i wurstel che vorrete e faremo una grande festa...ma parlando di festa, mon amie...” iniziò Francis, rianimando la conversazione.

Senti, secondo te può funzionare se quest'anno invito un'altra persona...?”

Dove?” fece Gilbert, sfoderando una voce da soprano. “Proprio qui a casa nostra? Alla nostra cena di post-Natale? ”.

Quella della cena di post-Natale era una tradizione che si erano inventati loro; siccome tutti gli anni Francis tornava in Francia per il 25 Dicembre, avevano semplicemente pensato di posticipare i festeggiamenti natalizi a quando si fossero ritrovati tutti i tre insieme, e quello era anche il giorno in cui si cambiavano i regali. Da quando vivevano nella stessa casa, a quella cena non era mai mancato nessuno di loro.

Ma certo, qui, e dove sennò?” disse Francis. “Secondo te chi è che voglio invitare?” aggiunse con voce suadente.

Per Antonio non fu difficile immaginarsi Francis mentre sfoderava il suo solito sorrisetto soddisfatto, e neanche indovinare la risposta; se lo ricordava bene chi fosse l'ospite arrivato quell'anno...

L'inglese con la scopa perennemente conficcata nel culo!” sparò subito Gilbert.

Esatto, proprio lui...aspetta, dovrei riprenderti per quello che hai detto ma non lo farò perchè dopo tutto è la verità” disse Francis, sovrappensiero. Gilbert rise.

Secondo te Antoniò la prenderà a male? Non vano molto d'accordo, loro due”.

Antonio si fece ancora più attento, provando un misto di irritazione al pensiero dell'espressione piena di sé di Arthur Kirkland e di curiosità nel sapere cosa pensassero i suoi amici a tal proposito.

Non è che non vanno d'accordo, si detestano proprio, direi. Fidati del mitico parere del sottoscritto, che è sempre corretto”

Sì sì lo so bene...ma temo che prima o poi Antoniò si arrabbierà con me per quello che sto iniziando a provare verso quel piccolo isterico di Arthur”.

Antonio deglutì. Dunque già da allora c'era qualcosa tra Francis e Arthur Kirkland.

Rendersi conto che a quei tempi fosse completamente ignaro di tutto e che magari col suo comportamento aveva in qualche modo frenato Francis provocò una forte stretta allo stomaco ad Antonio.

Ma che dici, stupido frocetto francese che non sei altro!” intervenne Gilbert.

Innanzitutto Antonio è così lento che prima che si accorga che ti piace Kirkland gli arriverà il vostro invito di nozze”...appunto.

E poi lo conosci...è talmente idiota che non se la prenderebbe mai con te. Non potrà essere in collera con te per questo, te lo dice il magnific...”

In quel momento il suono fu soffocato da qualcosa e Gilbert emise una specie di gemito di dolore, mentre Francis, che evidentemente gli era saltato addosso, parlava nel tono in cui ci si rivolge ai neonati ripetendo quanto dolce fosse il suo tedescuccio.

Antonio si sentiva strano. Solo da una conversazione origliata aveva capito cose che ignorava, ma non gli piaceva affatto l'idea di esserne venuto a conoscenza in quel modo.

Anche se doveva ammettere che alla fine niente di ciò che aveva sentito era davvero una novità, gli sembrò di essersi comportato come un ascoltatore estraneo nei confronti dei suoi due migliori amici. Era quasi come se restare lì a spiarli in quel modo equivalesse a far loro un torto.

Avrebbe tanto voluto vederli, farsi vedere, abbracciarli...quanto poteva essere cambiata la sua figura dal '94 al '96? Era così diverso? Magari Gilbert e Francis non si sarebbero accorti di nulla...

Proprio allora Antonio udì chiaramente un rumore di passi che si faceva vicinissimo alla porta e la voce di Francis che diceva “andiamo a svegliare il bello addormentato!”.

E se invece fosse stato tanto diverso? Se invece fosse, che ne sapeva, dimagrito tanto senza accorgersene, se avesse avuto un taglio di capelli differente, se il loro legame fosse stato tanto stretto da far percepire a Francis e Gilbert che c'era qualcosa di strano, se...

Antonio scoprì in tutta fretta il letto, come morso da una tarantola, e si allacciò le lenzuola fin sopra la fronte giusto un secondo prima che gli altri due facessero il loro ingresso nella sua stanza. Li sentì ridacchiare mentre il cuore gli usciva dal petto.

Poi uno di loro gli si avvicinò. Antonio ne percepì la presenza vicino al suo orecchio e poco ci mancava che prendesse l'avventata decisione di saltare in piedi e scappare dalla finestra, ma...

Alza quel tuo culo spagnolo dal letto, è giorno da un pezzo!” gli ululò Gilbert dritto nel timpano.

Antonio sobbalzò tenendosi le coperte ben strette alla faccia, mugolando come uno che si è appena svegliato e non ha intenzione di alzarsi tanto presto. Gli altri due risero di gusto, dirigendosi in cucina con Francis che prometteva di preparare una delle sue specialità e Gilbert che intimava ad Antonio di sbrigarsi o non avrebbe trovato nulla.

Rimasto solo, lo spagnolo sospirò. Adesso era davvero in trappola se i due amici gli bloccavano il passaggio verso la porta. Inoltre, prima aveva rischiato, era vero, ma...gli bastava?

Sentire le loro voci, sentirli così vicini, quasi come partecipare ancora insieme ai loro giochi...non poteva fermarsi adesso! Non gli sarebbe mai più ricapitato...e poi quello, il 1994, era stato l'ultimo anno che avevano passato tutti i tre insieme.

Già, l'ultimo che avevano passato insieme.

Avrebbe dovuto rischiare comunque di essere visto, se voleva uscire di lì, quindi perchè non farlo subito?

In punta di piedi Antonio sgattaiolò fuori dalla sua stanza. Strisciava contro la parete senza staccarsi, fino a quando non incontrò, incollato al muro, il mobiletto su cui poggiava il telefono. Mentre lo aggirava con cura, l'occhio gli volò sul calendario appeso sopra l'apparecchio.

Era abitudine dei tre amici fare una croce sopra i giorni trascorsi, come in una sorta di conto alla rovescia.

L'ultima croce si era fermata al 27 Dicembre.

Antonio sorrise. Ormai l'aveva intuito, ma quello fu la conferma che fin'ora durante i “viaggi” che aveva fatto era cambiato soltanto l'anno, mentre il giorno era rimasto fisso al 28 Dicembre.

In quel momento un nuovo suono di passi che si avvicinavano gli ridestò di colpo l'adrenalina. Che fare adesso? La stanza di Francis era chiusa (lui la chiudeva sempre a chiave per nascondere “i suoi tesori”, diceva) e la sua era troppo lontano, se quattro passi si può considerare lontano. Il nascondiglio più vicino, e tanto più invitante perchè la porta era socchiusa, era lo sgabuzzino.

Ma Antonio proprio non poteva rinchiudersi lì per colpa della sua più grande nemica: la claustrofobia.

Tutti questi pensieri affollarono la sua testa nel giro di una frazione di secondo e altrettanto bastò perchè la necessità spingesse Antonio a prendere un grosso respiro mozzato e a buttarsi nell'angusto sgabuzzino.

Intanto Gilbert aveva spinto un allegro Francis fino al telefono. Antonio, immerso nel buio del suo nascondiglio, poteva vederli attraverso un sottilissimo spiraglio che aveva deciso di lasciare aperto, perchè nonostante avesse paura di venire scoperto, gli faceva più paura rimare completamente chiuso lì.

Già aveva la gola come serrata da un grosso sasso e iniziava a sentire le gambe molli; sapeva che durante i suoi momenti di crisi quello era solo l'inizio della fine, ma con tutto se stesso sperò, si convinse, che quella volta sarebbe stato più forte e avrebbe vinto la sua claustrofobia.

A volte pensava delle cose davvero sciocche.

Mentre Francis componeva il numero telefonico e Gilbert gli ronzava intorno, Antonio si ripeteva mentalmente “resisti, resisti ancora un po'” e intanto, per distrarsi dal sudore che iniziava a imperlargli la fronte, osservava.

Bonjour caro bruco” disse Francis alla cornetta, assumendo una posa elegante come se fosse effettivamente impegnato in un discorso faccia a faccia.

Gilbert prese a dargli pizzicotti sui fianchi.

Resisti, resisti” pensava Antonio.

E piantala!...Come? No no, non dicevo a te, Arthur”

No che non la pianto, vediamo quanto resisti” disse Gilbert.

Resisti ancora un po'”, pensò a denti stretti Antonio.

Ma io non mi rivolgerei mai a te in questo modo! Que? Io mi rivolgo a te in modo anche peggiore?”

Non la smetto, non la smetto...”

Puoi farcela...” ma il pensiero di Antonio si era fatto più flebile e le mani tremavano.

Guarda che sei tu che cerchi sempre di litigare, veramente io mi sono anche preso il disturbo di chiamare per invitarti a...”

E dai frocetto inglese, non farti desiderare!” gridò Gilbert al telefono dopo aver strappato la cornetta a Francis.

Antonio non ce la faceva più, la vista gli si stava annebbiando ed era difficile pure rimanere in piedi. Stava male, malissimo, forse perchè il ripostiglio era così piccolo e oscuro e poi c'era quello spiraglio così stretto, una feritoia sottile di luce che gli ricordava...gli ricordava...gli...ricordava...

Eddai Gilbert!” strepitò Francis.

Va bene me ne vado, tanto devo pisciare!”.

Successe nel giro di qualche secondo; Gilbert era scomparso in bagno e Francis, immerso nella sua conversazione telefonica, dava completamente le spalle ad Antonio.

Ora o mai più...aiutami fortuna!” pensò lo spagnolo, e, raccolte le energie con uno sforzo enorme, uscì come una saetta dal ripostiglio, raggiunse in un paio di secondi la porta e volò fuori casa fino ad arrivare al piccolo giardino all'esterno.

Si buttò di schiena su un cespuglio, sprofondandoci completamente, e si rannicchiò su se stesso, senza fiato.

Miracolosamente Francis non l'aveva visto. Era fatta.

 

Antonio restò lì nascosto per diverso tempo; di preciso non sapeva quanto, ma il sole che iniziava a calare gli fece ipotizzare che fosse passata più di un'ora.

Sta volta non se ne stava incerto senza sapere cosa fare come già era successo in quel breve periodo in cui la sua vita era stata stravolta da fatti fuori dal comune; adesso Antonio stava aspettando l'arrivo di una persona precisa: era in attesa di se stesso.

Prima infatti si era assicurato di non aver visto la sua controparte in casa, quindi le soluzioni possibili erano due: una era che l'Antonio del '94 fosse uscito per fare chissà cosa e fosse in procinto di rientrare. Se era quella la verità, Antonio si era ben convinto a seguire l'insano impulso di vedersi coi propri occhi andare a festeggiare con i suoi coinquilini. Voleva farlo perchè qualcosa non gli tornava; infatti i ricordi che conservava dei festeggiamenti di quell'anno erano più che chiari, e per quanto si sforzasse non gli sembrava proprio di essere andato da qualche parte prima di aver scambiato i regali con Francis e Gilbert.

Magari si sbagliava, ma era poco probabile: alla cena post-Natale non era mai mancato, neanche una volta, e intimamente possedeva la sicurezza di aver tenuto caro nella memoria ogni secondo di quell'ultimo festeggiamento che aveva condiviso con gli amici.

Inoltre ricordava alla perfezione di essere stato proprio lui ad aprire la porta ad Arthur Kirkland al suo arrivo. E invece Arthur era arrivato pochi minuti prima, impettito in un giaccone scuro, e Francis era sceso per accompagnarlo in casa.

Non preoccuparti per il ritardo, non siamo ancora tutti...manca Antonio”, aveva detto.

Al che Arthur aveva risposto alla stupida rana francese che no, lui non era assolutamente in ritardo e in breve i due avevano messo su una specie di teatrino al quale si era aggiunto Gilbert, sceso con in mano una bottiglia di birra.

Antonio, nascosto nei cespugli, li guardava per ingannare una certa ansia che cresceva pian piano perchè non vedeva arrivare se stesso.

Francis dava sfoggio del suo solito aspetto romantico; ora che ci pensava bene, Antonio trovava che non fosse poi così diverso dalla sua versione più vecchia vista, seppure di sfuggita, nel 2005. E Gilbert era semplicemente Gilbert, con i suoi capelli biondo chiarissimo e gli occhi marrone accesso che, per uno strano contrasto con la pelle d'avorio, sembrano fulvi.

Erano sempre gli stessi idioti casinisti che aveva amato e lo sarebbero sempre stati. Guardarli così era come osservare un vecchio video di cui si è dimenticata l'esistenza: dolcemente dolorosissimo.

Antonio pensò che poteva bastare.

Sentiva che continuare a interferire nel suo passato era una sorta di mancanza di rispetto non solo verso se stesso, ma anche verso gli altri.

Inoltre era difficile ammetterlo, ma si rendeva perfettamente conto che, benché tutto quello fosse davvero successo da qualche parte nel suo passato, ormai le cose non stavano più così e non sarebbero mai più tornate come prima. Non era un illusione, ma ci andava vicino; era quasi un sogno, ed era tempo di svegliarsi.

Alla fine la compagnia smise di far baldoria al freddo e Francis e Gilbert sparirono oltre la porta, prendendo l'ospite per un braccio ciascuno e lasciando Antonio nuovamente solo.

Ogni secondo che passava si faceva largo nel suo cuore la convinzione che la sua attesa fosse vana. L'istinto gli diceva che, per quanto avesse aspettato, non avrebbe visto il se stesso del '94.

Ed ecco la seconda soluzione che gli era balenata in testa quando ormai aveva messo da parte il concetto di “impossibile”: se lì c'era lui, non ci sarebbe stato nessun altro Antonio. Forse in qualche modo la sua presenza impediva al se stesso di quell'anno di esistere lì in quel preciso istante.

Ogni attimo che viveva, Antonio lo stava sottraendo al suo passato...ne era quasi sicuro, se lo sentiva dentro. E di questo aveva paura.

Perché non avrebbe permesso che la sua vita trascorsa cambiasse; voleva quel preciso ricordo, voleva quel preciso giorno del 1994, quella precisa e stupida ultima festa con gli altri. Quindi, per preservarla, voleva andarsene da lì. Avrebbe dovuto farlo, o non avrebbe mai lasciato il posto all'altro Antonio...glie lo stava gridando la sua anima, e non l'avrebbe ignorata.

Forse sapeva anche come fare e per questo continuava ad aspettare; aveva avuto un presentimento, una specie di visione.

Qual'era stato l'esatto momento in cui era saltato da un anno all'altro le due volte precedenti? Che cosa era successo in quell'istante? Credeva proprio di averlo capito. Come a riconferma dei suoi pensieri, un fulmine illuminò per un breve secondo il cielo, carico di promesse di pioggia.

Antonio, sfoderando un sorriso soddisfatto e sentendosi un leone, rimase steso sull'erba fredda accanto al suo cespuglio, allargando le braccia.

Avanti, vediamo se ho ragione”.

Che cosa sarebbe successo non lo sapeva. Di dove si sarebbe ritrovato non aveva idea; tornare a casa sua, nel suo 1996? Non sarebbe stato male, ma neanche sarebbe stato pienamente soddisfacente. Antonio che credeva nella fortuna, Antonio che credeva nel fato, aveva maturato l'idea che tutto ciò stesse accadendo per un motivo preciso ancora da scoprire.

E Lovino Vargas dagli occhi verdi, che aveva incredibilmente incontrato tutte le volte, era forse la chiave per svelare il mistero. Qualcosa diceva ad Antonio che, prima di tornare a casa, avrebbe continuato ad imbattersi in lui, ad essere attratto vero di lui.

Allora vediamo cosa succede. Sono in ballo e ho intenzione di ballare come si deve...forza, vediamo se ho ragione” ripeté il ragazzo a mezza voce, verso il cielo grigio.

La prima goccia che arrivò gli bagnò la fronte.

Antonio aveva avuto ragione.

 

 

***

 

 

 

Dico solo...Bad Trio power!! ù_ù nei miei piani iniziali avevo pensato di dedicare alla visita di Antonio alla sua vecchia casa solo metà capitolo, ma poi questi tre amici (più Arthur xD) hanno reclamato tutto il loro spazio occupando l'intera scena, e di fatto questo è il capitolo più lungo fin ora!! Come conseguenza però, sta volta Lovino non appare direttamente. Nel prossimo capitolo ci sarà, eccome se ci sarà, e ci saranno pure delle cosette un po' zuccherose... :3

Come avevo già detto, questa storia è stata ispirata dalla OST del drama “Secret garden”; vi lascio il link alla canzone a cui mi sono rifatta per le atmosfere di questi primi quattro capitoli! E' una strumentale misteriosa e dolce, e nella mia testa parte tutte le volte in cui succede qualcosa di strano o importante. Il titolo è “Mistery Garden”, ascoltatela se vi va ^-^ ( http://www.youtube.com/watch?v=ue6ztsz4K-I )

Ringrazio ancora infinitamente chi commenta, segue, legge! E' grazie a voi che sto procedendo abbastanza speditamente! Ci vediamo al prossimo aggiornamento verso mercoledì ^-^

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Capitolo 5
*** 28 Dicembre 1998 ***


Quando pioveva, Antonio “saltava” nel tempo.

Lui rimaneva fisso nello stesso luogo, mentre gli anni scorrevano in un battito di ciglia, vorticandogli intorno, fino a fermarsi precisamente in un 28 Dicembre di un certo anno. Ora che cominciava a capire le regole del gioco, le cose iniziavano a farsi quasi...divertenti.

Dopo aver rivisto i suoi amici nel '94 qualcosa era scattato nella testa di Antonio; un potere che gli aveva permesso di rivivere un bel momento non poteva che portare cose buone.

Ormai aveva disposto il suo animo in modo positivo; voleva capire, esplorare, agire.

Chiedersi dove si sarebbe trovato sta volta lo caricava di una certa aspettativa.

A piedi, la città sembrava praticamente identica alla sua, quella del '96. Negozietti affacciati su modeste vie, vetrinette illuminate da decorazioni natalizie, un vociare amichevole per le strade gelate. Tutto ciò fece per un attimo credere ad Antonio di essere tornato nella sua epoca.

Per assicurarsene c'era un solo modo: doveva chiedere. Ma come fare a chiedere in che anno si trovasse senza sembrare un completo idiota? Niente di più facile: visto che ormai il Capodanno era prossimo e che Antonio era un ragazzo ben educato, non gli costava niente salutare ogni passante che incrociava con un “buon anno nuovo!”, nella speranza di sentire una risposta illuminante.

Dopo un paio di “anche a te” o “altrettanto”, una bambina rispose finalmente:

Buon 1998!”.

Dopo aver registrato quell'informazione, il primo pensiero che passò nella mente di Antonio fu:

Allora Lovino è ancora un bambino”.

La verità era che si era immaginato inconsciamente di ritrovare un Lovino di sedici anni o giù di lì. Già si era figurato col pensiero quel sorrisetto impertinente incorniciato dal fisico snello...Antonio si sentiva, come dire...un po' deluso?

Speravo di trovarlo della taglia giusta, ecco!”.

Tuttavia non poteva nascondere di sentirsi felice all'idea di ritrovarsi faccia a faccia con quel musetto imbronciato e rotondo da bambino. Era così buffo...così carino! Eppure l'ultima volta, quando l'aveva intravisto urlare contro il nonno e Feliciano, gli era sembrato troppo triste e arrabbiato per un bambino che fa semplicemente i capricci.

Pensare che ci fosse sotto qualcosa di peggio lo turbava; ancora di più lo turbava averlo lasciato su due piedi al proprio destino. Antonio poggiò la mano sul cuore che gli martellava con insistenza: era in preda a una specie di senso di colpa?

Qualunque cosa fosse, l'avrebbe scoperto presto; ormai era arrivato a casa Vargas.

Non dovette prendersi neanche il disturbo di bussare alla porta: i due bambini Lovino e Feliciano se ne stavano in giardino nonostante l'aria frizzante, ritti in piedi, tenendosi per mano.

Guardavano fisso verso la direzione perpendicolare a quella da dove veniva Antonio.

Il ragazzo non si nascose ma neanche si mosse. Tutta la sicurezza di cui si era caricato si annullò alla vista degli occhioni di Lovino, seri e quasi cupi, puntati all'orizzonte.

Per quanto dobbiamo continuare ad aspettare qui fuori, fratellone?” disse Feliciano, balbettando un po' per il freddo.

Te l'ho detto che puoi andare in casa, scemo. Ci resto io qui” rispose Lovino senza guardare il più piccolo.

No, non ti lascio da solo, fratellone. Il nonno dice che dobbiamo restare sempre insiem...”

Fa come ti pare allora, ma non lamentarti. Non è colpa mia se quella stronza viene sempre a prenderti in ritardo”

Non parlare così della zietta! Se ti sentisse il nonno...”

Ma quale zietta? Piantala di chiamarli tutti così. Non sono davvero zii o zie, non sono parenti, lo sai”.

Antonio rizzò le orecchie, attento. Lovino parlava con una voce innaturalmente dura, quasi forzata, mentre Feliciano sembrava sul punto di piangere.

Cosa diavolo stavano dicendo quei due bambini?

Ma il nonno ci diceva di chiamarli così, e loro anche lo chiamavano nonno, il nostro nonn...”

E piantala con questa solfa, cazzo! Il nonno è morto, è morto già da un pezzo!” esplose Lovino.

Era morto?

Quel signore che Antonio aveva visto poco prima, quello alto e dal fisico ben piazzato, quello che portava sulle spalle Feliciano e rideva...

Eppure sembrava in salute” pensò stupidamente Antonio.

Ma era morto lo stesso, ed era per questo motivo che non l'aveva visto a casa Vargas nel 2005.

Che cazzo ne so perchè lo chiamavano nonno pure loro, magari era una specie di soprannome idiota ma comunque non lo sapremo mai perchè è morto e non ce lo dirà!” continuò Lovino.

Era rabbioso, parlava come qualcuno che conserva da tanto una rabbia latente dentro e cerca in tutti i modi di frenarla; allo stesso tempo, si esprimeva in tono stanco, come se avesse ripetuto quelle cose già molte, molte volte.

Lo so bene” disse Feliciano, continuando a tenere stretta la mano di Lovino, “lo so che quelli sono solo tutori...ma se faccio come diceva lui e li chiamo zio e zia, sarà come se il nonno fosse ancora con noi, no? Non è vero, Lovi?”.

E' arrivata la stronza, finalmente” fu la risposta di Lovino.

Una donna giovane aveva attraversato il vialetto dirigendosi con un gran sorriso verso i bambini. Ora si scusava per il ritardo e prendeva per mano Feliciano dividendolo dal fratello.

Staremo via fino a sta sera...sei proprio sicuro di non voler venire con noi, Lovino? Sarà divertente, vedrai!” disse la donna.

Sai che divertimento! No, vi aspetto a casa, voi andate pure a morire di freddo”.

La donna sorrise un po' tristemente.

Come vuoi, piccolo. L'ho capito che non serve a niente insistere con te...ma se cambi idea, chiamami e vengo subito a prenderti!”.

Detto questo, la donna si allontanò portandosi dietro Feliciano, che scoccò uno sguardo di preoccupazione verso Lovino.

Antonio pensò che quella preoccupazione non la provasse per se stesso ma proprio per il fratello. Infatti, appena uscito dal cortile, Feliciano aveva iniziato a parlare animatamente con la zietta che ricambiava con grandi sorrisi, mentre Lovino restava da solo.

E tanto più i due si allontanavano, tanto più la mascherina di durezza di Lovino si infrangeva pezzo a pezzo; la bocca iniziò a tremargli pericolosamente, le guance ad arrossarsi, gli occhi a incendiarsi di lacrime e il naso già gli colava quando il piccolo, sicuro di essere completamente solo, urlò:

Stronzo, stronzo che non sei altro! Per colpa tua che ci hai lasciato, adesso...adesso siamo da soli! Bastardo, bastardo, stronzo...”

Antonio non rimase un momento di più a sentirlo lanciare improperi contro il nonno morto; di cosa gli avrebbe detto per consolarlo, e soprattutto, della possibilità di spaventarlo comparendogli davanti all'improvviso, chissene importava?

Ora Antonio sentiva solo l'impellente bisogno di andare ad abbracciare quel bambino, perchè proprio non ce la faceva a vederlo piangere così.

Mentre si avvicinava a Lovino passo dopo passo, sentì che nonostante lo conoscesse appena non poteva negare di provare una specie di affetto spontaneo per lui; forse era per quegli occhioni smarriti che lo avevano intenerito, o per il carattere fragile che Lovino tentava di nascondere con atteggiamenti sprezzanti verso chiunque non facesse parte del suo piccolo universo...Antonio aveva la vaga idea che fosse fatto così.

E in quel momento seppe che per aiutarlo avrebbe rischiato tutto, senza risparmiarsi, come faceva per gli amici più cari. L'avrebbe fatto per il bambino che aveva davanti e per il ragazzino che sarebbe diventato, un'immagine ben scolpita nella mente di Antonio.

Adesso l'unico problema era far capire a Lovino le sue intenzioni.

Gli era ormai arrivato difronte senza che Lovino se ne accorgesse, impegnato com'era a pulirsi il viso dalla lacrime. A guardarlo dall'alto in basso da così vicino, sembrava ancora più piccolo della sue età e non dimostrava quasi i suoi dieci anni.

Ehilà” esordì Antonio, cercando di sembrare più rassicurante possibile.

Come prevedibile Lovino sobbalzò dalla paura e istintivamente indietreggiò di qualche passo, ma inciampò nei propri piedi e sarebbe caduto se Antonio non l'avesse afferrato al volo.

L'equilibrio non è il tuo punto forte” constatò.

Lovino, che aveva smesso di piangere per la sorpresa, lo guardò confuso e scocciato allo stesso tempo, con le sopracciglia inarcate come per dire “chi cazzo sei e cosa cazzo vuoi”. Antonio sorrise a quel pensiero e lo precedette prima che potesse parlare.

Non avere paura, noi due ci conosciamo. Non so se ti ricordi, io sono...”

Già, chi era lui per Lovino? Grattandosi la testa, Antonio fece in fretta mente locale e arrivò l'illuminazione. Si abbassò di scatto fino a raggiungere la stessa altezza del piccolo, frugò dentro il giaccone e in un attimo ne estrasse, sorridente...

La catenina con la croce!” esclamò Lovino, la voce ancora roca per il pianto.

Esatto, ti ricordi? Il treno...”

Stupidi occhi verdi da bamboccio...stupidi capelli né lisci né ricci...non mi dimentico mai la faccia di un bastardo” disse, squadrandolo in modo piuttosto critico, a braccia incrociate.

...Sssì, perfetto. Hai una buona memoria, piccoletto”.

Lo so da me”.

Lovino lo guardava tenendo il nasino arricciato e la bocca piegata in una smorfietta antipatica, ma dalle occhiate che scoccava verso Antonio e dai piccoli movimenti del corpo traspariva una certa curiosità nei suoi confronti.

Allora...che cazzo ci fai qui?”.

Antonio sorrise; la riposta da dare giunse spontanea.

Sono venuto apposta da te per farti smettere di piangere” disse, ed era la verità; era proprio quello che adesso desiderava per davvero.

Io non stavo piangendo”, si agitò il bambino.

Sì che piangevi, ti ho visto”

Allora sei una spia bastarda!”

Non ti stavo spiando, passavo per caso e ho visto...”

Come per caso? Non eri venuto apposta per farmi smettere di piangere?”.

Accidenti, Lovino sapeva metterlo in difficoltà senza un attimo di esitazione...ed aveva solo dieci anni! Ad Antonio scappò una ghigno divertito.

Era lì accucciato a fissare il bambino che ricambiava lo sguardo a braccia conserte, occhi verdi negli occhi verdi, e la conversazione era un po' ridicola, ma era anche divertente.

Diciamo che è stata una combinazione di due fattori a portarmi fino qui da te: il caso e la mia volontà, ok?”

Si, come no...”.

L'espressione del piccolo era tutta un programma; evidentemente era un tipetto che non si lasciava abbindolare da un frase un po' romantica, o forse tentava di non darlo a vedere...

Si può sapere che hai da fissare tanto? Hai intenzione di farmi un buco in faccia?” urlò Lovino.

Ah, aveva reagito esattamente come il ragazzo di sedici anni! Quant'era...carino!

Quando Antonio piegò la testa guardandolo con una certa tenerezza, Lovino lo spinse di scatto per le braccia per allontanarlo da lui. Lo spagnolo, colto di sorpresa, finì schiena a terra; rimase un attimo in silenzio e poi scoppiò a ridere.

Una cosa è certa...sei coerente, tu” disse a Lovino.

Poi si tirò su mettendosi a sedere sull'erba a gambe incrociate, e sospirò.

Era forse arrivato il momento di andare un po' più affondo. Voleva conoscere Lovino, capirlo; non c'erano secondi fini. Adesso non glie ne importava niente di scoprire che cosa ci fosse di tanto speciale in quell'esserino per far scomodare addirittura il tempo, lo spazio, la magia o quello che era. Voleva parlarci e basta, sapere cosa lo tormentava, cosa lo rendeva triste, e magari aiutarlo anche a stare meglio.

Tuttavia non era sicuro che chiedere a Lovino perchè avesse pianto fosse la mossa giusta; l'aveva già capito che era triste per la morte del nonno, ma forse, se fosse riuscito a farlo aprire, Antonio avrebbe potuto dargli un consiglio; in una situazione simile anche lui c'era passato.

Decise di provare a confrontarsi con Lovino sperando di non fare mai quel passo falso che avrebbe potuto farlo infuriare, o peggio, che avrebbe potuto rattristarlo di nuovo.

Quindi Antonio pensò di fare una cosa a cui non era in genere solito: ascoltare attentamente quello che gli si diceva e parlare di conseguenza, dopo averci riflettuto.

Non era tanto facile per uno abituato a non trattenersi mai dall'esprimere la propria opinione, ma sembrava arrivato il momento di prendere un'accortezza simile per il bene del bambino.

Allora parlò, ma senza addolcire la voce o caricarla di pena; parlò semplicemente come avrebbe fatto con un ragazzo della sua età.

Prima stavi male perchè sentivi la mancanza di tuo nonno?”

Gli sembrò che porsi da pari a pari con Lovino potesse essere la tecnica giusta; pareva proprio che Lovino avesse capito che non lo riteneva solo piccolo e sciocco, perchè non reagì male, seppure si mantenne sulla difensiva.

Non perchè mi mancasse...no, lui non manca a me, perchè dovrebbe? Non ha mai fatto nulla per meritarselo! Invece manca a Feliciano” disse piano.

Ma mezzo secondo dopo prese un respiro ed esplose, parlando velocemente ed alzando il tono della voce:

E che gran bastardo ad andarsene così, lasciandoci soli! Un vigile del fuoco morto durante un salvataggio...che cazzata! Se aveva intenzione di salvare qualcuno, avrebbe dovuto pensare prima di tutto alla sua pelle e poi avrebbe fatto meglio a non dimenticarsi di noi! Se non voleva farlo per me, almeno poteva evitare di morire per Feliciano che gli piaceva tanto!”.

Antonio piegò un sopracciglio con aria sconcertata.

Da come parlava, era chiaro che Lovino fosse convinto che suo nonno amasse il fratello molto più di lui, anzi, che non l'amasse affatto.

Era così, non si sentiva amato da una persona che ormai non c'era più e che se n'era andata all'improvviso, negandogli per sempre la possibilità di migliorare le cose tra loro.

Incomprensioni, frasi non dette, paure e incertezze impossibili da placare quando ci si mette di mezzo la morte... Antonio si sentì la gola secca; un po' lo capiva.

E adesso era arrivato di nuovo il suo turno di parlare...ma dio, quanto era difficile ragionare su cosa fosse meglio dire! Non voleva offendere o ferire il suo piccolo interlocutore, ma neanche riusciva più a trattenersi dall'esprimere ciò che pensava.

Infondo Antonio era Antonio, aveva il sangue latino che gli scorreva nelle vene! Con un semplice consiglio dato a un bambino non avrebbe potuto sbagliare, un'opinione magari...

Senti...non esiste al mondo un nonno che non ami il suo nipotino. Secondo me...” tentò. Ed è qui che fece il passo falso.

Secondo te...secondo te?! Ma tu che cazzo ne sai? Mio nonno non mi voleva bene, e sai come lo so, signor sapientone? Feliciano è sempre stato il più coccolato perchè anche se siamo uguali...”

Lovino esitò, guardandosi le scarpe.

Dopo una breve pausa rialzò la testa fieramente, con le narici larghe dalla rabbia.

Ci assomigliamo troppo e così si notano ancora di più le cose in cui lui è migliore di me ed è facile amarlo, per questo...è impossibile amare me! ”.

Aveva parlato con un misto di furia e pena così singolare per un bambino piccolo che Antonio se ne era sentito subito toccato. La cosa peggiore era che Lovino sembrava assolutamente convinto di ciò che stava dicendo.

Non gli faccio una colpa per aver amato mio fratello più di me, è così per tutti! Ma lo sai perchè nonno Roma è stato veramente un bastardo con me...? Lo sai?”

Lovino...”

Adesso te lo dico! Una volta il nonno ebbe il coraggio di presentarsi senza un regalo per me il giorno di Natale, mentre a Feliciano aveva comprato i fogli e i colori che gli piacevano tanto!” continuò, sconsolatissimo, come se quel fatto fosse abbastanza eloquente per poter chiudere la discussione per sempre.

Antonio si sentiva male. Non sapeva cosa fare, percepiva i sentimenti di Lovino ma non lo capiva bene e non solo perchè era piccolo o perchè lo conosceva da poco.

Sembrava proprio che il modo che aveva Lovino di reagire a una perdita fosse parecchio diverso dal suo, che al contrario non era abituato a esprimersi con la rabbia.

Inoltre, senza volerlo aveva peggiorato la situazione e ora Lovino gli stava buttando addosso tutti i risentimenti e i sensi di soddisfazione che evidentemente aveva coltivato per anni.

Eppure era solo un bambino, e i bambini soffrono in modo diverso dai grandi, perchè la loro rabbia sa di tristezza. Il piccolo infatti, esaurita l'ondata di furia iniziale, continuò sommessamente con la voce che tremava.

Ma ormai è morto da tre anni e io mi ci sono abituato al fatto che non potrò più dirgliele in faccia queste cose...che non potrò più chiamarlo “stronzo”...che lui non potrà più fare quel sorriso scemo quando...quando mi prendeva per mano e...” provò a dire Lovino, ma le lacrime, che avevano ripreso a scendere copiose, gli impedirono di andare avanti.

Antonio era ormai dispiaciutissimo. Quanto stava soffrendo quel bambino, quanto doveva sopportare e per quanti anni ancora avrebbe dovuto farlo! Se solo avesse potuto fare qualcosa per lui...d'istinto, allungò la mano per accarezzargli i capelli, in un gesto che non voleva esprimere pena ma comprensione.

Io ti capisco” iniziò a dirgli, “quando si perde qualcuno è davvero...” ma si fermò.

Com'è quando si perde qualcuno? Perché non riusciva a trovare le parole per esprimere una sensazione che conosceva benissimo?

...è davvero brutto” fu il meglio che riuscì a mettere insieme. “Anche io...”

Allora Lovino scacciò la mano di Antonio dalla sua testa come se fosse stata una mosca fastidiosa, brontolò qualcosa sul fatto che non glie ne fregava niente di lui e della sua vita e gli diede le spalle con fare offeso.

Nonostante il momento non fosse il più adatto, ad Antonio scappò per l'ennesima volta una risata.

Sembrava che Lovino avesse il potere di farlo sempre ridere con le sue reazioni imprevedibili e oneste e gli venne da pensare che forse, in quel momento, ridere fosse proprio quello di cui aveva bisogno anche Lovino stesso.

Tanto ormai chi era morto era morto, e chi aveva dovuto soffrire aveva sofferto!

Che poteva farci Antonio?

Un bel niente, ma già che era lì poteva togliere il broncio da quel musetto arrossato e tentare di trasformarlo in un bel sorriso sereno. Ora che ci pensava, l'aveva mai visto Lovino sorridere per davvero?

Che cose gli sarebbe potuto piacere? Antonio cercò di rimettere insieme tutto quello che sapeva su di lui, ripercorrendo velocemente i momenti trascorsi insieme. Certo non lo conosceva molto...

La cosa che più era sembrata piacere a Lovino, da quando l'aveva visto la prima volta, era la sua catenina con la croce, ma dato che quella era un'opzione fuori discussione, Antonio dovette ripiegare sulla seconda possibilità: gli era sembrato che ascoltarlo suonare la chitarra potesse, se non divertire Lovino, per lo meno acquietarlo.

Mi è venuta un'idea! Se ti va di ascoltarmi, potrei suonare la chitarra per te!” disse quindi, allegro nel rivolgersi alla piccola schiena di Lovino.

Suonare...per me?” brontolò quello, girando appena il viso per potergli lanciare un'occhiata scettica.

Per me...come...com'è che te ne esci con questa cazzata? No aspetta, non aggiungere altro” disse, bloccando Antonio che aveva aperto la bocca per rispondere di slancio. Poi riprese in fretta:

Anche ammesso che io abbia voglia di sentirti suonare, e che sia chiaro, non è vero, come pensi di farlo? Io non ce l'ho una chitarra e a meno che tu non la tiri fuori da sotto il giaccone...”

Davvero adesso non hai una chitarra in casa?” disse Antonio.

Questa non se l'era aspettata.

Perché mai dovrei avere una chitarra? E soprattutto, te l'avevo appena detto! Si può sapere che problemi hai? Ah, meglio così comunque, altrimenti un coglione come te sarebbe stato perfino capace di farmi la serenata come in uno stupido appuntamento!”

Ma certo!” esclamò Antonio, girando completamente Lovino per averlo faccia a faccia, prendendogli le manine nelle sue.

Costi quel che costi, era deciso a regalare un sorriso a quel buffo nanerottolo o, se non altro, a distrarlo dai pensieri tristi. Ormai quello era diventato il suo obiettivo e non avrebbe rinunciato finché non ci fosse riuscito. Era disposto a provarle tutte! Alla fine ce l'avrebbe fatta ad andare d'accordo con Lovino, in qualche modo. Infondo lui ci sapeva fare con i bambini, no?

La verità era che, indipendentemente da questo, voleva andare d'accordo proprio con Lovino, anche se non lo capiva tanto.

Anzi, voleva assolutamente andarci d'accordo, e forse era proprio perchè non lo capiva tanto.

Allora cosa c'era di meglio di un uscita tra amici per imparare a conoscersi e per scacciare via ogni malumore? Per quanto potesse essere un tipetto difficile, anche Lovino avrebbe sicuramente apprezzato l'idea di andarsi a divertire insieme.

Dai Lovino, usciamo insieme, tu e io!” disse quindi Antonio, aumentando di poco la calorosa stretta sulla manine e piegandosi di nuovo sulle ginocchia fino a raggiungere l'altezza dell'altro.

Lovino lo guardò con gli occhioni sgranati e lucidi, mentre la faccia gli si colorava di una densa sfumatura bordeaux.

Che cazz..?!” balbettò, ma senza spingere via Antonio come aveva fatto prima.

Ti sto chiedendo di uscire con me” disse lo spagnolo con un sorriso incoraggiante.

Ti...tipo un...appuntamento?”

Lovino aveva parlato incespicando, tanto che la parola “appuntamento” era stata ridotta a una specie di mucchietto di suoni indistinti, che, ovviamente, Antonio non recepì.

Allora i modi bruschi e razionali di Lovino si fecero di nuovo sentire, quando, accantonato per un breve attimo l'imbarazzo, chiese senza esitazioni:

Ma ce li hai i soldi?”

I soldi. Quello sì che era un problema. Già, perchè Antonio, quando era uscito per comprarsi un pacco di pasta in quel giorno del '96 che ora gli sembrava tanto lontano, non si era portato dietro che pochi spiccioli; e tutti erano stati mangiati dalla cabina telefonica nel tentativo di “comporre il giusto numero telefonico senza sbagliare”...adesso Antonio l'aveva finalmente capito che non era tanto strano che Francis avesse cambiato il numero di telefono, a distanza di dieci anni.

Questa tua espressione vuota da coglione parla da sola. Certo che prima mi inviti ad uscire e poi fai una figura di merda! Per sta volta ti faccio credito io, ma ormai con me hai già perso la faccia, accattone!”.

 

Camminavano già da un po' per le viuzze della loro città senza sapere di preciso dove andare, ma erano rilassati e Antonio si sentiva piuttosto contento, oltre che amichevole come non mai.

Era bello guardare le vetrine insieme a quel bambino, commentare quello che vedevano, scambiarsi opinioni su quale pasticceria fosse la migliore e quale bar facesse “il caffè più piscioso” a detta di Lovino.

Antonio lo guardò; gli stava davanti di un paio di passi, emettendo nuvolette dalla bocca come una piccola teiera.

Ora che ci pensava, fino a quel momento Lovino gli aveva sempre camminato davanti, anche quando aveva sedici anni. Una volta addirittura aveva camminato per i fatti suoi, con Antonio che lo seguiva come una specie di maniaco...ma non andava bene, no! Insomma, ormai avevano fatto amicizia, anzi erano piuttosto intimi, dovevano passeggiare insieme, non uno davanti e uno dietro!

Fu facile per Antonio affiancarsi a Lovino e prendergli la mano con stretta sicura. Meno facile fu tentare di evitare che Lovino glie la mordesse, quella mano.

“Eddai, i più grandi tengono sempre la mano dei più piccoli quando sono per strada!”

“Ma io non sono piccolo! Non. Sono. Piccolo. Sono ancora nel periodo della crescita! Ah, sta a vedere, quando sarò completamente cresciuto sarò alto quanto te, se non di più!”

“Questa l'ho già sentita”.

Antonio rise di cuore, non mollando per un attimo la presa sulla mano di Lovino; era calda e morbida, quella mano tanto più piccola della sua, ed era bello tenerla stretta. Antonio si chiese se sarebbe stato altrettanto bello stringere la mano di un Lovino più grande.

“Senti, dato che non stiamo facendo un cazzo adesso si va dove dico io!” esclamò a un certo punto il più giovane, rosso sulle orecchie, sul naso, sulle guance...forse per il freddo, pensò Antonio.

E così lo spagnolo non oppose resistenza e si lasciò guidare fino al centro commerciale, un edificio che anche lui conosceva bene.

Nonostante la loro fosse una piccola città, i servizi offerti erano piuttosto buoni e quel centro commerciale era un po' il vanto dei cittadini, con i suoi tre piani ristrutturati dopo un incidente che anni prima aveva distrutto buona parte del complesso.

Tuttavia non era una costruzione particolarmente piacevole da un punto di vista estetico e neanche c'erano mai stati negozi chissà quanto alla moda, almeno nel '96.

Come mai sei voluto venire qui? Hanno aperto qualche bel negozio?” chiese Antonio a Lovino con una certa curiosità.

Ma il bambino non rispose e, continuando a camminare a testa bassa, anziché farsi largo tra la gente nel corridoio di ingresso, si imbucò in una stradina esterna dell'edificio. L'avevano ormai costeggiato fino ad arrivare al parcheggio sul retro, quando Lovino si fermò proprio accanto al muro, indicando con aria soddisfatta...

L'ascensore di servizio! In realtà lo può usare solo il personale del centro commerciale, ma chi cazzo se ne frega? Io lo uso sempre, nessuno controlla e quindi nessuno è mai venuto a dirmi niente! Avanti...” disse, e fece per entrare, tirando Antonio per la mano.

Il ragazzo invece rimase impalato al suo posto, iniziando a sentirsi invadere da un'ondata di calore poco piacevole.

Io...non posso entrarci, lì” disse con un sorriso stirato.

Quando Lovino lo guardò con aria interrogativa e vagamente incavolata, di sicuro perchè gli stava rovinando i piani, Antonio aggiunse:

Sono claustrofobico...mi dispiace, non posso prendere l'ascensore”

Oddio, sei proprio un cesso!” si lamentò Lovino, roteando gli occhi al cielo.

E va bene, tu usa le scale, io non ho intenzione di farmi tre piani a piedi. Ci vediamo in cima!”

Detto questo, mollò la mano di Antonio senza tanti complimenti e lo lasciò da solo. Il ragazzo sospirò, ma non si perse d'animo; che sarebbero mai stati tre piani?

E invece evidentemente qualcosa erano, quei tre piani ricchi di scalette basse e strette, sistemate a chiocciola, tanto che arrivato in cima Antonio si ritrovò con il fiato corto.

Sono già cinque minuti che ti aspetto qui. Bell'affare farsi invitare a uscire da uno che ti fa aspettare da solo!” fu la calorosa accoglienza con cui lo accolse Lovino.

Antonio sorrise a mo' di scusa, mentre il respiro tornava regolare.

Si trovavano sulla terrazza del centro commerciale, deserta perchè non era permesso l'accesso a nessuno se non al personale che ci lavorava; come mai Lovino aveva voluto portarlo lì? Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, il bambino parlò, volgendo il mezzo profilo al paesaggio che era ben visibile da quel punto.

Questo è il mio posto. Da quando è morto il nonno...ci vengo sempre quando non so che fare o quando mi va perchè non c'è nessuno; è bello, e quando il sole tramonta è anche meglio”.

In effetti erano stati in giro tutto il pomeriggio ed era proprio arrivata l'ora del tramonto.

Il cielo era un miscuglio impossibile di arancione e del grigio di alcuni nuvoloni che iniziavano ad addensarsi.

Immersi in quei due colori, gli occhi verdi di Lovino brillavano e mandavano lampi.

Se ne stava lì in piedi con le mani appoggiate sui piccoli fianchi, in silenzio. C'era un atmosfera strana che lo faceva sembrare più grande.

Era una bella immagine che provocava sentimenti contrastanti in Antonio. Chissà a cosa pensava Lovino, chissà quali idee gli ronzavano in testa per fargli affiorare quel sorriso amaro sulle labbra.

In quel momento Antonio pensò che se Lovino fosse stato di qualche anno più grande, avrebbe potuto facilmente innamorarsi di lui.

Allora...la giornata è finita e ho praticamente fatto tutto io durante quest'uscita, stronzo” disse Lovino, interrompendo la catena di pensieri di Antonio.

Che posso fare per rimediare?” chiese lo spagnolo, scherzoso.

E che ne so...l'hai detto tu che sei quello più grande, mentre io sono solo un bambino! Che dovrei saperne io di cosa si fa alla fine di un'uscita insieme?”

Bé, è facile! Ci si saluta con un bacio!” disse Antonio di slancio.

A quella risposta Lovino arrossì vistosamente e di botto, iniziando ad insultare l'altro che, a detta sua, stava “ragionando con il culo”. Dopo qualche esitazione, Antonio riuscì a convincere il piccolo che un bacetto non era niente di che, niente di cui vergognarsi.

Dopo aver appurato che non si stava assolutamente vergognando, Lovino si schiarì la voce e chiuse gli occhi, preparandosi a ricevere il bacio.

Antonio sorrise. Dio, era proprio adorabile! E mentre si chinava per raggiungere la guancia di Lovino, si accorse che quello aveva iniziato a sporgere in vanti il viso e...le labbra!

Voleva un bacio sulle labbra?!

Antonio rimase interdetto. Ma cosa aveva capito quel bambino? Cioè, alla fine anche un semplice e innocente bacetto sulle labbra non sarebbe stato la fine del mondo, ma...

Lovino aprì un po' gli occhi, imbarazzatissimo, trovandosi a un millimetro dal naso un esitante Antonio. Gli occhioni verdi iniziarono a gonfiarglisi di lacrime e la bocca a tremargli, e Antonio, terrificato dalla reazione, non fece neanche in tempo a dire nulla che Lovino gli sferrò una testata micidiale sullo stomaco, incredibilmente violenta.

Ecco perchè dicono di non fidarsi di chi ti chiede un bacio il primo appuntamento!” urlò.

Antonio, seppure piegato in due dal dolore, non poté evitare di soffocare una risata diverita.

Il primo appuntamento!

Ecco, quel dettaglio gli era sfuggito, ma ora che ci pensava, prima si era espresso in modo un po' vago e non doveva essere stato difficile per Lovino fraintendere...così l'uscita tra amici era diventata una specie di uscita romantica senza che Antonio se ne rendesse conto.

Oh, scusami Lovino, scusami” disse, parecchio divertito dalla situazione.

Ma poi guardò meglio il piccolo amico, che oltre che infuriato sembrava anche, in un certo qual modo, deluso.

Prima non...ero pronto, ecco. Riproviamoci, dai” gli disse, nel modo più incoraggiante che poteva.

Lovino lo fulminò per qualche secondo con un'occhiata omicida, che voleva tanto dire “se fai qualche cazzata sei morto”, ma alla fine concesse ad Antonio un'altra possibilità chiudendo gli occhi.

Allora Antonio si avvicinò piano alle labbra morbide e rosse per il freddo di Lovino e vi appoggiò le proprie in un bacio veloce e leggero. Dopo un breve momento si ritrasse.

Era stato tutto molto innocente e forse, proprio per questo, era stato più tenero del previsto.

Chissà invece come sarebbe stato baciare un Lovino più grande...

Mentre Antonio sorrideva a quel pensiero, Lovino riaprì lentamente gli occhi ma non riuscì a sostenere a lungo lo sguardo dell'altro, perchè dopo il bacio era mille volte più imbarazzato che prima.

Le...levatiiiiiii!” gridò, spingendo via Antonio.

Subito dopo corse verso le scale per rifugiarsi dietro la porta, che chiuse ermeticamente dall'esterno.

Ah, cosa doveva fare Antonio con quel bambino?

Ma qualcosa volle che lo spagnolo non potesse fare in tempo a pensare altro; il cielo fu squarciato da un forte tuono che lo fece girare di scatto, così che il ragazzo vide una coperta di dense nubi nere pronte a scaricargli addosso la pioggia. Aveva tutta l'aria di stare per succedere da un momento all'altro!

Oh no, ma perchè proprio ora? Lovi!” disse allora, allarmato.

Se Lovino non gli apriva la porta delle scale, non avrebbe avuto altro luogo per ripararsi dalla pioggia perchè nell'ascensore proprio non poteva salire, fosse stato anche solo per un attimo, e allora avrebbe perso per sempre quel momento.

Lovi, aprimi dai!” disse, iniziando a muovere inutilmente la maniglia.

No, non ti voglio vedere adesso, voglio restare da solo”

Lovino ti pregooooo!”

Quello...quello è stato il mio primo bacio!”

La voce del bambino venne accompagnata da un tuono più forte del precedente; doveva essere una specie di richiamo, doveva essere arrivata l'ora, pensò Antonio.

Ma almeno avrebbe salutato Lovino per bene! Già, cosa dirgli...qualcosa che sarebbe potuto essergli utile, magari nei momenti in cui si sentiva triste, qualcosa che gli sarebbe potuto rimanere nel tempo...qualcosa per fargli capire che, se anche può succedere che le persone ti abbandonino, lui non l'avrebbe mai fatto.

Mai, mai finché avrebbe potuto, avrebbe abbandonato Lovino.

E proprio in quell'istante ricordò il ragazzo dagli occhi da gatto quella volta in cui, imbarazzato e adorabile, gli aveva sussurrato:

Me l'avevi detto...che saresti tornato”.

Allora Antonio gridò contro la porta come mai aveva gridato prima, e con tutto il fiato che aveva in gola:

Ascolta Lovino, io non ti abbandonerò, capito? Tornerò da te, ci rivedremo sicuramente quando avrai sedici anni, mi hai sentito? Tornerò da te! E' una promessa!”.

Che sarebbe stato così era sicuro; solo, desiderava dal profondo del cuore che anche Lovino potesse percepire che era la verità, e forse era proprio successo, perchè il bambino stava finalmente girando la maniglia. Antonio intravide perfino un occhio verde, lucido per le lacrime, farsi largo nella feritoia che lentamente si stava aprendo...ma era ormai troppo tardi.

Uno scroscio d'acqua lo bagnò completamente nel giro di un secondo e qualcosa, una forte spinta, lo buttò a terra, due passi lontano dalla porta.

Per il dolore e la sorpresa, il mondo di Antonio si fece per un momento tutto bianco, quasi come fosse rimasto accecato.

Quando riuscì a schiarirsi la vista pioveva ancora, e lui, seduto sul pavimento bagnato, si ritrovò a guardare dal basso verso l'alto una figura che gli stava davanti e lo sovrastava.

Gli occhi verde oliva di un ragazzo con in mano un ombrello giallo rilucevano di stupore.

Lo fissavano intensamente, ardenti e fermi come solo quelli di un giovane uomo potevano essere.

Antonio gli sorrise, con il cuore che già batteva forte da prima e che adesso quasi voleva volargli via dal petto.

Oddio, cosa non stava provando in quel momento...gioia e paura e ansia e curiosità e dubbio e qualcosa di molto simile all'affetto più tenero, alla simpatia immediata, gli vorticavano dentro e lottavano per decidere chi dovesse prevalere.

Un attimo di silenzio, poi Antonio disse a Lovino, cercando di sembrare più spiritoso e tranquillo di quanto non si sentisse:

Allora...sta volta lo dividiamo per davvero l'ombrello?”

Ma la sua voce suonò fortemente commossa anche al suo stesso orecchio.

 

 

 

***

 

 

 



Ci è voluto un po' ma finalmente Antonio ha trovato un Lovino della taglia giusta per lui! Adesso che succederà? Vi anticipo solo che questo capitolo in cui Antonio si rapporta con un piccolo Lovino mi è servito per appoggio al successivo, spero che sia stato comunque di vostro gradimento!

Ammetto che personalmente ho adoro l'idea dell'appuntamento...insomma, che fortunato che è Lovi a ricevere il primo bacio da Antonio xD e poi non vedevo l'ora di inserire una delle testate di Lovi xD

Dunque, siamo arrivati al quinto atto...potrà non sembrare tanto ma per me è un record importante! Inoltre vi svelo un'altra informazione...questa storia si aggirerà intorno ai dieci capitoli, il che significa che siamo arrivati più o meno a metà ^-^ e se sono arrivata fino a qui lo devo a chi mi ha seguito, che mi è stato di grande incoraggiamento. Dunque mi sono sentita in dovere di ringraziare direttamente voi, che mi aiutate a scrivere con entusiasmo!

Chi ha messo la storia tra le seguite: Funny e basta, Hi_no_Koshka, Kumiko095, Lollyware99, Marycry, revy21, Rot Apfel, SakuraHime_ , seya, yayachan18, mimi098 (quest'ultima non c'era bisogno che lo facesse ma la amo lo stesso xD)

Chi tra le ricordate: PureMorning

Chi tra le preferite: AllenNeko, Jaqueline, KawaiiBonBon, Pupa2009, s_theinsanequeen, Tifawow

Chi ha commentato: Tifawow, The Naiads, Funny e basta, chaska, s_theinsanequeen

 

Grazie a tutti, spero che continuerete a seguirmi nei prossimi aggiornamenti! ^-^ (chiedo scusa ma ho dei problemi con l'editing O-O )

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Capitolo 6
*** 28 Dicembre 2011 ***


“Sta volta lo dividiamo per davvero l'ombrello?” aveva detto Antonio, con in testa l'immagine di un ragazzino di sedici anni che gli voltava la schiena, promettendogli di tornare non appena avesse preso un ombrello per Feliciano.

Invece poi l'acqua (o un qualche dio, o il destino, o la magia o quello che era) ci aveva messo lo zampino, allontanando senza preavviso i due ragazzi. E dopo aver vorticato come un pazzo tra passato e futuro, ora Antonio si ritrovava ancora una volta proprio davanti a Lovino, a riconferma che davvero quello era il suo posto: lì, con colui che un attimo prima gli arrivava a mala pena all'ombelico, e un attimo dopo sembrava un gigante, sia perchè Antonio lo guardava dal basso verso l'alto, sia per il contrasto generato dall'incredibile immagine della crescita.

Antonio si tirò su in piedi, tremante per l'emozione improvvisa che lo aveva assalito nel riconoscere che il suo bambino “occhioni da gatto”, prima rinchiuso al di là della porta, era lo stesso che adesso l'aveva aperta e che ne era uscito come un suo pari.

Piano, senza preoccuparsi di nascondere il sorriso enorme che sentiva spuntargli da un orecchio all'altro, si diresse verso Lovino.

L'altro se ne stava davanti alla porta dalla terrazza del centro commerciale, dritto sotto un ombrello giallo che illuminava l'espressione indecifrabile del suo viso.

Sentendo in corpo una specie di ondata di calore che lo invadeva dalla testa ai piedi, in due passi Antonio lo raggiunse sotto l'ombrello, così vicino, vicinissimo, a pochi centimetri dal naso.

Intorno c'era solo il suono della pioggia che veniva giù a scroscio, ma un fracasso ritmico e insistente gli martellava nelle orecchie; era un rumore quasi assordante, forte come un tamburo battuto con violenza, e proveniva da dentro di lui.

Era il suo cuore che gridando mandava impulsi a tutto il corpo, e adesso tutta l'essenza di Antonio si muoveva a quel ritmo, e Antonio stesso non percepiva altro, non era altro che quel battito.

Così, con tutto questo rimescolamento incomprensibile di sensazioni che lo invadevano, lo spagnolo prese un respiro e...

“Lovi...AHI!!!!” gridò, saltellando su una gamba sola come un pollo perchè Lovino, senza tanti complimenti, gli aveva pestato il piede con un movimento precisamente calcolato e con una certa forza. Con molta forza, anzi.

“Guarda un po' chi si è degnato di ricomparire!” disse, sprezzante e con la voce che aveva raggiunto il livello massimo di acidità.

“Così impari a farti rivedere dopo sei anni, fottuto bastardo!”

Antonio, con le lacrime agli occhi e piegato in due dal dolore, guardò il ragazzo che aveva difronte, rimettendo velocemente insieme i pezzi.

Sei anni! Certo, lui aveva visto il piccolo Vargas di dieci anni appena un secondo prima, l'aveva pure baciato e dopo l'aveva subito ritrovato come giovane uomo.

Ma di fatto per Lovino non erano passati solo pochi secondi, quanto piuttosto parecchi anni, e pure sei, dall'ultima volta che si erano visti. Era una cosa strana e disorientante.

“Lovino...ehm...non dipende da me, sai, è colpa della pioggia che...” iniziò.

“Non cercare scuse adesso, fottuto bastardo! Mi viene voglia di pestarti a sangue se penso che l'ultima volta mi hai fatto aspettare come un deficiente davanti al liceo di mio fratello, sotto la pioggia, per tutte quelle ore e invece...” sbraitò con rabbia Lovino.

“Allora non ci siamo più visti da quella volta! Oh Lovi, mi dispiace, anche io ti ho aspettato, lo sai? Ma non ero più nello stesso anno in cui ti trovavi tu in quel momento, che ne sapevo...mi hai aspettato per tanto tempo?”

Quella domanda, posta con sincerità e priva di anche solo una briciola di malizia, mandò a fuoco il viso di Lovino.

“Ma...macché aspettato! Sì, come no...chi ti credi di essere, eh? Ti credi tanto importante da meritare che uno come me ti aspetti, figlio di puttana?!”

“Sei tu che hai appena detto...”

“Lasciamo perdere, è un discorso da pazzi!” sbottò.

Lovino era nervoso, i suoi occhi parevano non avere pace e non sapevano dove fermarsi. Antonio si chiese cosa lo avesse messo tanto a disagio, quando invece lui era così felice di vederlo.

“Però rimane il fatto che sei un bastardo!” riprese Lovino.

“Perché te ne sei andato in quel modo senza dirmi niente?”

“Te lo stavo appena dicendo, non l'ho fatto di mia volontà! Stava per piovere prima che ci separassimo, ricordi? Be', è per colpa di quello! E' quando piove che mi capitano...queste cose!” rispose lo spagnolo, facendo grandi gesti con le mani per tentare di spiegarsi meglio.

“Non me l'avevi mai detto” soffiò l'altro.

“L'ho capito da poco”

“Non mi sorprende, sei davvero un idiota. Aspetta, ma anche adesso sta piovendo, perchè sei ancora qui allora?”

“Non so...è la prima volta che mi ritrovo in un certo anno mentre piove, forse...forse funziona solo nel momento in cui iniziano a cadere le gocce dal cielo”

“E' davvero una stupidata! Può succedere solo a un fottuto decerebrato come te!”

Antonio incassò l'ennesimo insulto con una scrollata di spalle, sospirando.

Non era un ragazzo che si lasciava scivolare addosso le cose, e anzi, in passato aveva scatenato pure qualche rissa quando l'avevano provocato troppo. Insomma, sapeva arrabbiarsi bene quando era il caso, e in genere succedeva sempre quando il suo orgoglio veniva ferito, come quella volta in cui era stata messa in dubbio la sua abilità con la chitarra.

Eppure aveva capito che Lovino non parlava in quel modo per ferirlo o mandarlo in collera; piuttosto, usava sempre un linguaggio parecchio colorito, ecco tutto. O almeno, era quello che Antonio sperava, perchè riconoscere un insulto vero da uno finto sembrava il primo punto essenziale per poter riuscire a comprendere quella specie di gatto selvatico che era Lovino Vargas.

Che infatti in quel momento riprese subito a parlare, simulando indifferenza con scarso successo.

“E allora, che vuoi fare? Rimani qui a farti annaffiare come un fungo oppure vieni via con me, stronzo?”

“Andiamocene” gli rispose allegro Antonio, prima di pensare che Lovino era in effetti appena arrivato lì.

“Aspetta però...eri venuto a fare qualcosa? Forse volevi startene un po' qui da solo...avevi detto che questa terrazza è il tuo posto”

“Te lo sei ricordato...?” disse Lovino, e in quel momento gli occhi gli si illuminarono della luce più sinceramente stupita che Antonio avesse mai visto.

Ah, quanto sapeva essere carino...

“In realtà me l'hai detto qualche minuto fa...sono appena tornato dalla volta in cui ci siamo visti qui nel '98” disse, quasi in estasi per la visione.

Allora l'espressione di Lovino si rabbuiò in fretta, passando a velocità impressionante da insicura a velenosa.

“Avrei dovuto saperlo! Non dovevo aspettarmi nulla da te!”

“Ti aspettavi qualcosa? Che cosa?” chiese Antonio, curioso.

“Smettila, Dio santo, quanto sei rompicoglioni! Andiamocene che qui si sta allagando tutto”

“Dai Lovi, dimmi cosa ti aspettavi da me! Anzi, cosa ne pensi di me, che idea ti sei fatto? Non te ne andare e basta, parlami Loviiiiinoooo....”

 

Così Antonio si ritrovò di nuovo a casa Vargas; Lovino si era offerto di ospitarlo un'altra volta solo perchè non voleva avere sulla coscienza la morte di un barbone per congelamento, aveva detto.

Erano arrivati lì con la sua macchina, con enorme sollievo di Antonio che da quando era iniziata quella strana avventura era stato costretto ad andare sempre a piedi.

Vedere Lovino alla guida fece un certo effetto ad Antonio, tanto che il ragazzo non riuscì a trattenersi dal riferirlo a Lovino stesso, il quale gli rispose seccamente “ho ventidue anni, ti pare tanto strano che sappia guidare?”.

La cosa più strana per Antonio, in realtà, era proprio il fatto che l'altro avesse ventidue anni.

Anche adesso che se stava seduto sul divano di casa Vargas, il tutto sembrava un po' irreale e lo spagnolo quasi si aspettava di veder sbucare da qualche parte un bambino dagli occhi verde spento.

Invece arrivò un inquieto ragazzo, depositando con poca grazia una tazzina di caffè fumante sul tavolinetto davanti al divano.

Mio fratello rincaserà a momenti. Niente cazzate “temporali”, chiaro?”

Antonio annuì con fare docile, mentre l'altro gli sedeva accanto, abbandonandosi pesantemente sui cuscini.

Tutto questo è una pazzia” disse poi, fissando lo sguardo al soffitto.

Antonio rimase in silenzio; era d'accordo, sì, era una pazzia, ma non era niente male.

Starsene lì seduto sul divano con Lovino era quanto di più strano potesse accadere, eppure non era una situazione scomoda o imbarazzante per lui.

C'era anzi una certa familiarità in tutto: nella stanza, nell'odore del caffè, nell'imponente albero di natale in un angolo e nella chitarra depositata in quello opposto. Senza contare poi la compagnia.

Antonio sentiva di essersi ormai abituato ai ritmi di Lovino, ai suoi cambi umorali, alla sua presenza, al suo respiro. Chiuse gli occhi, sentendosi invadere da un certo senso di tranquillità.

Allora...non mi vedi da un po'” irruppe la voce di Lovino, traballante.

Mi...mi trovi...diverso?”

Diverso? Certamente era cresciuto. L'aspetto di Lovino non era più quello di un acerbo sedicenne, ma il fisico era quello definito di un giovane uomo. Eppure non era tanto muscoloso, Antonio poteva dirlo perchè l'aveva guardato bene durane il tragitto per tornare a casa.

Insomma, era ben proporzionato, ben fatto, l'aspetto in generale era piacevole, il viso poi...in poche parole, era decisamente carino, per non dire bello.

Tuttavia quel “ decisamente carino, per non dire bello” Antonio sentiva di poterlo facilmente applicare a tutti i Lovino che aveva visto fino a quel momento, dal bambino più piccolo al ragazzo più antipatico.

Sorrise quindi nel dare la sua risposta.

Sei un po' cambiato, ma infondo resti sempre lo stesso, anche nei modi, e non mi sbaglio perchè in un certo senso ti ho visto crescere...lo sai? Mi sembra di conoscerti da anni e contemporaneamente da un giorno solo” disse, rimanendo a occhi chiusi.

Il buffo era che entrambe le cose erano vere; adesso si trovava nel 2011, erano davvero passato anni dalla prima volta che si erano incontrati; eppure tutto era innegabilmente successo nell'arco di un 28 Dicembre, o al massimo il giorno dopo.

Antonio si aspettava che Lovino rispondesse alla sua affermazione con una serie di balbettii alternati a qualche parolaccia o che, nel peggiore dei casi, gli sferrasse un cazzotto, una testata o un morso. Invece, nessun suono arrivò dalla sua destra.

Già col sentore che Lovino se ne fosse andato lasciandolo a parlare da solo, Antonio si voltò dalla parte dell'altro. Il più giovane era invece rimasto al suo posto, col busto girato verso di lui, una gamba piegata sul divano e una allungata fuori. Lo guardava fisso, la bocca piegata in una sottile linea incerta, gli occhi lucidi e le sopracciglia inarcate. Era rosso da morire, fino alla punta delle orecchie, e stava con entrambe le braccia protese verso il cuscino in mezzo a loro due.

Rimaneva in un assurdo silenzio sebbene il suo sguardo quasi parlasse, ma Antonio, che ovviamente non lo comprendeva, stava per dire qualcosa, quando...

Fratellone, sono tornato! Dove sei?”

Feliciano ha un gran tempismo” fece appena in tempo a pensare Antonio, prima che Lovino gli scagliasse il cuscino sul naso e scattasse su come una molla.

Feliciano Vargas fece quindi il suo ingresso nel salone trovandosi davanti un nervosissimo fratello che batteva furiosamente un piede a terra, le braccia incrociate al petto, e un altro ragazzo che si teneva una mano sul naso, abbastanza dolorante e con una faccia tra il confuso e l'esasperato.

Mi ricordo di te!” esclamò Feliciano, puntando il dito contro Antonio.

Non sarai mica quello spagnolo che abbiamo ospitato qualche anno fa? Quello della chitarra?”

Antonio spostò finalmente l'attenzione sul minore dei fratelli Vargas, sorridendogli cordiale, sinceramente felice che l'avesse riconosciuto.

Anche lui era cresciuto parecchio e il cambiamento sembrava in qualche modo maggiore rispetto a quello di Lovino. Il viso era meno delicato, anche se effettivamente non gli mancava una certa grazia nell'espressione paciosa.

Sì sì Feliciano, sono proprio io!” gli disse.

Quanto tempo!”

Feliciano volò verso il divano per poi gettarcisi sopra e appoggiare una mano sulla spalla di Antonio.

Sono proprio contento di rivederti. L'altra volta sei sparito senza neanche salutarci. Non si fa così, non sai quanto c'era rimasto male Lo...” provò a dire, prima che Lovino gli si fiondasse addosso per zittirlo.

Non dire cazzate, idiota!” lo minacciò, chiudendolo in una morsa simile a quelle che sanno fare gli atleti di wrestling.

Va bene, va bene!! Lasciami però, fratellone! Mi soffochiiii...”

Antonio li guardò, divertito e intenerito. Era sempre bello vedere due fratelli, sia che litigassero sia che andassero d'accordo. Lui era figlio unico eppure un po' lo sapeva cosa significasse avere dei fratelli; infatti ne aveva avuti due, anche se non di sangue: uno era francese e uno era tedesco.

Aspetta, aspetta un attimo...veeh...” diceva Feliciano per guadagnare tempo e liberarsi dalla stretta mortale del fratello.

Ma lo sai Antonio...lasciami fratellone!! Antonio, lo sai che...sei proprio come ti ricordavo, cioè, è strano...non sei cambiato neanche di un giorno”

Antonio rizzò la schiena, sentendo le proprie pupille dilatarsi per la sorpresa; contemporaneamente, anche Lovino si era bloccato e ora stavano tutti e tre in uno scomodo silenzio.

Ecco un altro problema a cui Antonio non aveva pensato: durante i suoi viaggi temporali, il resto del mondo cambiava ma lui rimaneva sempre uguale. Come giustificare il fatto che non fosse invecchiato neanche un po' dopo sei anni? Per fortuna Lovino era un tipo che aveva sempre la risposta pronta.

Ma che cazzo dici, Feli! Ti stai sbagliando, la memoria ti fa cilecca”

Ah...be', se lo dici tu, Lovino!” disse Feliciano, con un'alzata di spalle.

Antonio stirò la bocca in un sorriso forzato. Certo non era stata una grande scusa, ma sembrava aver miracolosamente funzionato.

Probabilmente per evitare ulteriori indagini pericolose da parte del fratello minore, Lovino intervenne ancora:

Basta con le stronzate adesso, non ti sei accorto che è ora di andare? Si è fatto tardi”

Dovete andare via? Dove andate?” chiese Antonio con curiosità.

Cazzi nostri!” rispose bruscamente Lovino.

Feliciano invece rivolse allo spagnolo un sorrisino un po' triste ma limpido, mentre sugli occhi castani sembrò scendere una specie di velo scuro.

Andiamo al cimitero” disse, “oggi sono sedici anni che è morto nostro nonno”

Ah, nonno Vargas. Il vigile del fuoco morto durante un salvataggio, l'uomo forte dalle spalle grandi che voleva tanto bene a Feliciano ma che amava Lovino molto di meno. Lo stesso uomo che chiaramente era mancato al piccolo Lovino, sia da vivo che da morto.

Chissà che cosa significava adesso per Lovino andare a visitare la sua tomba. Chissà se si sarebbe sentito triste o solo...e chissà se in quel caso avrebbe avuto il coraggio di appoggiarsi a Feliciano...no, non l'avrebbe mai fatto!

Antonio aveva capito che Lovino avrebbe sempre cercato di non farsi vedere debole davanti al fratello, come aveva fatto quando aveva aspettato che se ne andasse con la zietta prima di scoppiare a piangere.

Lo faceva sicuramente per proteggere Feliciano, in veste di fratello maggiore, ma forse...forse il suo orgoglio gli impediva di mostrarsi debole a quel fratellino che doveva sembrargli migliore di lui sotto troppi punti di vista.

E allora Lovino non avrebbe avuto nessuno accanto a lui in un momento simile, e Antonio questo non lo voleva assolutamente.

Oh...mi dispiace tanto per vostro nonno” disse, “ecco, non vorrei essere invadente...ma se vi fa piacere potrei venire anch...”

No!” gridò Lovino con voce secca.

Sembrava improvvisamente alterato, sul viso una sorta di espressione furente ma anche scioccata. Con uno scatto si avvicinò all'orecchio di Antonio per sussurrargli qualcosa e Antonio stesso, seppure incuriosito dalla reazione, non riuscì a trattenere uno strano brivido quando le parole di Lovino gli arrivarono come un soffio sulla pelle.

Sei fuori?” gli disse piano, per non farsi sentire da Feliciano, “ hai visto com'è il tempo? Potrebbe riprendere a piovere da un momento all'altro”

Ah, la pioggia! Perché c'era sempre qualcosa che non ricordava?!

No, Antonio non poteva rischiare di sparire un'altra volta! Non adesso che sentiva qualcosa di strano, qualcosa di particolare nascergli dentro...non adesso che aveva trovato un Lovino della giusta età, uno che sembrava avere bisogno più che mai di qualcuno...magari di lui...magari proprio di Antonio, sì, altrimenti perchè era stato mandato lì?

Doveva trovarsi lì per Lovino, per non lasciarlo solo quando aveva bisogno!

Antonio non ci pensava minimamente a sparire da quel momento della sua vita! E se per evitarlo non doveva bagnarsi, allora bastava rimanere al chiuso in casa.

Va bene, allora voi andate” gli disse, “io vi aspetterò qui”

Lovino si eresse in tutta la sua altezza, portandosi le mani ai fianchi e piegando un sopracciglio.

Neanche fosse casa tua, fottuto scroccone”

Ehm...vi aspetterò qui, se posso” aggiunse Antonio.

Ma certo che puoi! Dai fratellone, allora andiamo subito così non faremo aspettare troppo il nostro ospite” disse Feliciano, correndo verso la porta e sventolando intanto la mano verso Antonio per salutarlo.

Prima di seguirlo, Lovino afferrò il telecomando e accese il televisore.

Sta buono qui e non combinare cazzate” disse, per poi aggiungere, più piano, “credo che in casa ci siano cose che tu non sai usare, quindi evita di toccare la roba che non hai mai visto. Anzi, meglio che ti pianti sul divano e non muovi un muscolo”

Antonio annuì in risposta all'occhiata severa che Lovino gli lanciò prima di uscire dalla porta. Rimasto solo in casa, in effetti lo spagnolo si accorse che c'erano molti oggetti che gli sembravano vagamente familiari, ma che erano diversi da come li conosceva lui.

Innanzitutto, la televisione...perchè era così piatta? E poi, quello in fondo cos'era, uno stereo? Così piccolo? E il computer nell'angolo non aveva lo stesso aspetto dei computer che c'erano nel '96.

Finalmente Antonio, che fin'ora si era concentrato solo sulle persone, per non dire quasi solo su Lovino, si rendeva conto dei progressi che il mondo aveva fatto nel giro di quindici anni. Ora che ci pensava, non era cambiata solo la forma di certi oggetti o i colori che aveva visto per le strade. Anche le mode erano ovviamente diverse, e la gente si vestiva con capi che non erano diffusi negli anni '90.

Antonio ispezionò velocemente la propria figura: i jeans scoloriti, le scarpe da ginnastica e il giubbotto scuro andavano bene? Infondo gli sarebbe piaciuto cambiarsi, ma non sapeva come fare.

Chissà come si vestiva Antonio nel 2011...di nuovo, il pensiero tornò al se stesso di un altro anno come già era successo quando era andato alla sua vecchia casa.

Se aveva avuto ragione, adesso l'Antonio di quell'anno era stato temporaneamente cancellato per cedere il posto a lui.

Ma questo...questo potrebbe provocarmi dei problemi?”

Con una fitta d'angoscia, Antonio pensò a un possibile lavoro da cui si sarebbe improvvisamente assentato, o, nella vita privata, a qualcuno che magari conosceva e che poteva preoccuparsi se lui spariva all'improvviso. Come fare per non destare sospetti, per non complicare le cose per se stesso?

L'idea arrivò subito: Francis.

Già, Francis c'era, il suo migliore amico c'era, come poteva essere altrimenti? Poteva parlare con lui...ma forse farlo faccia a faccia sarebbe stato pazzesco; se anche Feliciano si era accorto che Antonio non era invecchiato, figurarsi cosa avrebbe fatto Francis, che adesso avrebbe dovuto avere circa...quarant'anni!

Oddio...non posso incontrarlo direttamente, gli verrebbe un colpo! O almeno, non subito” si disse ad alta voce Antonio.

Non voleva mettere completamente da parte l'idea di un confronto diretto con Francis; lo conosceva bene, sapeva che, superato lo shock iniziale, l'amico avrebbe potuto capire la situazione...infondo era o no fidanzato (per Antonio era ancora un po' difficile accettarlo) con quel Kirkland, che si vantava di saper fare chissà quali trucchetti magici?

Francis avrebbe sicuramente avuto una mentalità aperta su faccende occulte, misteriose o roba simile. Tuttavia, prima di incontrarlo sarebbe stato meglio sondare il terreno indirettamente.

Una lettera è l'ideale!” si disse Antonio, saltando in piedi.

In quel modo sarebbe stato facile; avrebbe scritto a cuore aperto al suo amico, raccontandogli più o meno cosa gli stava succedendo e chiedendogli poi di coprirlo se magari l'assenza di Antonio nel 2011 poteva causare problemi.

Perché di assenza di si trattava, anche se lo spagnolo non sapeva dire quanto tempo sarebbe rimasto lì.

Per gli ultimi giorni della settimana di fine anno splenderà un tiepido sole sulla nostra città”

Quasi come se gli fosse arrivata una risposta dal cielo, a parlare era stata la signorina del meteo in televisione.

Le temperature resteranno nella media stagionale...”

Antonio si avvicinò con circospezione all'apparecchio, fissando la bella giornalista che sembrava proprio ricambiare lo sguardo.

Per i prossimi tre giorni si potrà lasciare tranquillamente l'ombrello a casa...capito, signor Antonio Fernandez Carriedo?”

Ma...gli aveva appena fatto l'occhiolino?

Oh...ho capito, si che ho capito! Era proprio quello che volevo sentire! Grazieeee!” esclamò Antonio, felicissimo, stampando un bacio alla splendida signorina dello schermo.

Era incredibile, e se Antonio ancora avesse avuto qualche dubbio sul fatto che doveva restare lì, adesso tutte le incertezze sarebbero sparite. Era la cosa giusta da fare, quello era stato un segno più che eclatante, e così sarebbe rimasto...almeno per tre giorni, almeno finché non avrebbe di nuovo piovuto.

Non voleva perdere tempo; la prima cosa da fare era dunque cercare carta e penna per poter scrivere la lettera a Francis. I Vargas non se la sarebbero certo presa se prendeva in prestito le loro cose...va bene, Lovino se la sarebbe sicuramente presa, ma dalla sua parte Antonio avrebbe avuto Feliciano, quindi perchè non tentare!

Il ragazzo si guardò di nuovo intorno, ispezionando il salone; di fogli bianchi non sembrava esserci traccia neanche tra i libri sulle mensole; Antonio ci si avvicinò, facendo passare il dito sui titoli dei volumi mentre li scorreva.

Si trattava per lo più di libri d'arte, didattici, di saggi o raccolte fotografiche su mostre o musei. Forse erano tutte cose di Feliciano, che aveva detto di voler diventare un artista. Infatti, quando Antonio aprì qualche volume a caso, sulle prime pagine trovò sempre il nome del minore dei Vargas segnato in bella calligrafia, a matita. Ma i libri di Lovino dov'erano?

Antonio si diresse al piano superiore, con l'intento ufficiale di trovare carta e penna ma più che altro con la curiosità crescente di poter vedere la camera di Lovino, le cose che conteneva e i libri che il ragazzo preferiva.

Appena salito l'ultimo gradino, l'occhio gli cadde subito sulla prima porta aperta nel corridoio. Fece per entrare, ma si bloccò sull'uscio, appoggiandosi sullo stipite della porta, un sorriso tenero e divertito che iniziava a spuntargli sulle labbra.

In quella stanza regnava sovrano un caos totale; il letto era sfatto e il cuscino era piegato in due, per terra. C'era una scrivania, ma non sembrava neanche tale perchè era ricoperta da pile di vestiti, seppure piegati, segno forse che Lovino agli abiti ci teneva particolarmente. Parecchi libri aperti prendevano invece aria sulle mensole o sul pavimento, mentre le pareti erano piene di post-it e pagine strappate da ricettari, appese per miracolo ai muri con pezzi di scotch.

Quella sì che era la camera di Lovino Vargas!

Antonio entrò facendosi largo nel disordine e misurando bene i passi per non calpestare nulla.

Fu tanto fortunato da riuscire a recuperare un foglio volante e una penna, ma prima di andarsene qualcosa catturò la sua attenzione: c'era un quaderno che faceva capolino da sotto il letto, e dalle sue pagine sbucavano segnalibri e linguette.

Antonio non resistette alla tentazione e si chinò per raccoglierlo. Era un semplice quaderno a righe, ma pesava molto e le pagine avevano guadagnato di spessore perchè dentro c'erano conservate molte fotocopie, e altre pagine provenienti da altri giornali c'erano state attaccate con colla e graffette.

Antonio sfogliò quella specie di raccoglitore che si trovava tra le mani: c'erano segnate ricette su ricette, da quelle per pietanze più semplici a veri piatti per cuochi provetti; ogni portata era correlata da appunti scritti a mano che indicavano il vino giusto da accompagnare.

Antonio lesse anche commenti come “questo non fa così cagare”, “se lo allunghi viene una brodaglia”, “queste dosi sono sbagliate CAZZO” e così via.

Alla fine, l'ultima parte del quaderno era stata dedicata a una rassegna favolosa di pizze per tutti i gusti. Solo a guardare le foto e gli ingredienti per le ricette, ad Antonio venne l'acquolina in bocca.

Aww, Lovino...e così ti piace cucinare”

Antonio si sentiva davvero felice per quella scoperta. In qualche modo gli sembrava di essere venuto a conoscenza di una parte importante della vita di Lovino; un ragazzo così disordinato non poteva che amare profondamente la cucina se ci aveva messo tanta cura nell'organizzare un ricettario.

In quel momento lo spagnolo seppe di aver accorciato di un passo la distanza che lo separava dal suo bizzarro Lovino Vargas...ed era una sensazione fantastica.

 

Dopo un oretta Antonio aveva quasi finito di riempire due fogli. Come aveva pensato, non era stato difficile. Gli era bastato immaginare Francis per scrivere di getto tutto, ma proprio tutto quello che gli avrebbe detto a voce.

Tra loro due non c'erano mai stati segreti; Francis era un po' pazzo, ma era il migliore dei confidenti e non l'aveva mai lasciato in mezzo ai guai.

Antonio aveva anche scritto che, per quanto potesse sembrare assurdo, lui ora stava davvero viaggiando nel tempo e aveva ancora venticinque anni. A un certo punto aveva pensato di inventarsi qualche scusa per giustificare la sua assenza nel 2011, ma poi aveva finito per crollare sotto la pressione dello sguardo blu di Francis che aveva stampato in testa.

La verità era che voleva incontrare Francis, doveva farlo, ne aveva proprio bisogno. Erano successe così tante cose che...era una sorta di bisogno fisico, quello di riabbracciare l'amico.

E per dimostrargli che non lo stava prendendo in giro e che non era tutto uno stupido scherzo, Antonio fece una cosa che avrebbe preferito evitare.

Giurò sul nome di Jeanne, il primo grande amore di Francis, ritenuto da Antonio anche l'unico (ma a quanto pareva le cose non stavano esattamente così...).

La storia di Jeanne, che era morta in un terribile incidente prima che Francis avesse potuto dichiararle i propri sentimenti, il francese l'aveva confidata solo ad Antonio e Gilbert, perchè per lui era troppo penoso parlarne con altri.

Antonio non avrebbe mai voluto rinvangare tristi ricordi e men che meno ferire in qualche modo l'amico, ma quella era l'unica cosa davvero seria su cui poteva fare appello per fargli capire l'importanza della questione. A malincuore, aveva ammesso che non c'era altro modo per convincere Francis che ciò che gli stava scrivendo fosse la verità.

Sembrava davvero che in quel momento la morte di una persona cara fosse l'unica certezza rimasta ad Antonio, l'unico appiglio sicuro...ed era terribile e sconcertante.

Con la mano che tremava e la vista che iniziava pericolosamente ad appannarsi per colpa degli occhi lucidi, Antonio giurò tramite lettera che non mentiva. Giurò su Jean e anche su...

Che cazzo stai facendo?” disse Lovino, apparendogli improvvisamente da dietro la schiena.

Antonio, che non l'aveva sentito rientrare tanto era preso dalla sua attività, si girò per la sorpresa.

Uno sguardo altrettanto scioccato si dipinse sul volto di Lovino.

Stai...piangendo?” gli disse.

Cosa? No, no” fece Antonio, asciugandosi in fretta gli occhi con il dorso della mano.

E invece sì che stavi piangendo, ti ho visto!”

Allora...mi stavi spiando?” disse Antonio con un mezzo sorriso, perchè la conversazione gli ricordava quella avuta con il piccolo Lovino nel giardino di casa Vargas nel '98.

Ed evidentemente la stessa cosa pensò anche Lovino, perchè rispose:

Non ti stavo spiando. Passavo per caso di qua e...” lasciò la frase in sospeso, poi lo squadrò con una strana occhiata indagatrice.

Adesso non dovresti dire di essere venuto apposta per farmi smettere di piangere?”

A quella affermazione il viso di Lovino si incendiò.

Non direi mai una cazzata del genere, bastardo!”

Antonio rispose con un sorriso e il silenzio cadde per qualche secondo nel salone.

Lo spagnolo puntò lo sguardo sull'albero di natale, sentendosi davvero a disagio con Lovino per la prima volta da quando era cominciata tutta quella strana storia.

Lo stomaco gli faceva male per i brutti pensieri che aveva dovuto rievocare prima, e se ne sentiva così pieno che quasi aveva paura di esplodere...com'è che si accorgeva di stare male solo adesso che l'altro gliel'aveva fatto notare?

Sicuramente era stato tutto questo pensare al passato che non gli aveva fatto bene...aveva covato tutto dentro, le emozioni forti si erano accavallate l'una sull'altra e forse la coscienza di Antonio aveva preferito mettere un attimo da parte il suo animo stravolto, per dedicarsi a qualcosa di più bello che sembrava riuscisse a farlo stare meglio.

Eppure proprio quel “qualcosa” si era reso conto che Antonio non era completamente sereno, e adesso era lì a fronteggiarlo coi suoi occhi verdi, sinceri e spietati.

Piangevi...perchè stavi soffrendo per qualcuno?” disse Lovino.

...Coglione?” aggiunse in fretta.

Io...”

Ma forse con lui poteva parlare.

Il problema era che non ne parlava tanto del suo dolore, Antonio, perchè non aveva mai avuto molte persone con cui farlo e in genere tendeva a tenersi tutto dentro, per non far preoccupare nessuno.

E poi, caricare quel povero ragazzo di ulteriori pene non sarebbe stato crudele da parte sua? Considerando che quello che avevano passato era in qualche modo simile, come poteva permettersi di sfogarsi proprio con lui?

Al silenzio di Antonio, Lovino scattò.

Che significa quella faccia così remissiva? Non osare guardarmi con quei pietosi occhi verdi...Dio, ho voglia di farteli neri a forza di pugni e lo farò se non parli!”

Non credo sia il caso...”

Ed ecco che di nuovo sembrò che Antonio avesse detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.

Dimmi che cos'hai, cazzo!” tuonò Lovino, “parla con me, parlami, dimmi di te!”

Con una mossa gli arrivò vicinissimo e gli afferrò il collo della maglia; era così infuriato che sembrava stesse per uscirgli il fumo dalle orecchie. Come se non bastasse lo sguardo assassino che aveva messo su, l'esasperazione di Lovino venne sottolineata ancora di più dal ragazzo con una specie di sospiro seccatissimo.

Ti vuoi decidere a dirmi qualcosa...di te?! Con che faccia ti presenti davanti a me sapendo che poi sparirai...con che faccia pretendi di entrare nella mia vita senza rendermi partecipe della tua? Cazzo!” sbraitò, scuotendo Antonio.

Lo spagnolo era allibito.

Innanzitutto, Lovino era arrabbiato, ed era arrabbiato proprio con lui che era stato capace di ferirlo quando invece credeva di star facendo bene.

Tuttavia, seppure offeso da una mancanza nei suoi confronti, Lovino rimaneva lì; non si dava alla fuga, né si liberava dalla sua presenza prendendolo a schiaffi.

Era come se in quel momento quell'impossibile ragazzo gli stesse dicendo “sono qui per te”...o Antonio se lo stava immaginando?

Davvero però la situazione sembrava rovesciata rispetto a prima: lui che voleva consolare era diventato quello da consolare; lui che voleva far sfogare era diventato quello che aveva bisogno di sfogarsi; lui che voleva esorcizzare la sofferenza era diventato quello la cui sofferenza andava esorcizzata.

E tutto senza che si fosse reso conto di stare male come un cane!

Comunque la cosa che più lo spiazzava era il fatto che Lovino avesse dimostrato di voler sapere cosa pensava, di volerlo conoscere tanto quanto Antonio voleva conoscere lui.

Esagerava se pensava che Lovino avesse appena cercato di tirarlo su di morale proprio come aveva tentato di fare Antonio per lui fin'ora?

Bastò quel pensiero a stendere le labbra dello spagnolo in una specie di ghigno soddisfatto.

Lovino si preoccupava per lui...? Era così...?

Improvvisamente tutto si era fatto più leggero, il mondo sembrava più bello, il cuore non batteva più in modo sommesso e colpevole ma anzi aveva iniziato a scalpitare.

Ah, Lovino si preoccupava per lui...si era arrabbiato tanto perchè gli importava di lui...e adesso era così vicino, così a portata di mano...sarebbe stato tanto strano allungare un po' le braccia e allacciarlo forte forte a sé?

Be', Antonio non poteva dire se Lovino avesse capito le sue intenzioni, ma era certo che il ragazzo lo stava guardando, se possibile, ancora più male di prima. Comprensibile, visto che dopo la sua sfuriata Antonio non aveva ribattuto nulla ma si era chiuso nei suoi pensieri, rivolgendo all'altro in un inspiegabile silenzio uno strano sorrisetto ebete decisamente fuori luogo.

Quindi Lovino lasciò di scatto la presa sulla maglia di Antonio, spingendolo un po' all'indietro con un gesto secco.

Che sei un coglione già lo sapevo...nessuna novità”.

Antonio gli sorrise piegando la testa. L'aria era satura della tensione nata dalla specie di scontro mancato di prima, ma, di nuovo, non era male come situazione.

Davvero, non era male. Piuttosto era, come dire...elettrizzante! Allo stesso tempo c'era un senso di benessere che pulsava nelle vene di Antonio, qualcosa di dolce che partiva dal cuore e che si stava pian piano irradiando verso tutto il suo corpo.

Intanto Lovino se ne stava lì a fissarsi le scarpe, ignaro di tutto quello che era riuscito a scatenare all'interno dell'altro.

E' solo che tu sai diverse cose di me” disse, con la voce ancora roca per aver gridato, “mentre io non so quasi nulla di te...e non mi sta bene! Cioè, non è per niente giusto ecco! Come fa ad essere equa una cosa del genere? Ma a te certo non te ne frega un cazzo, oh, per te tutto va...”

Antonio bloccò quel fiume di parole semplicemente prendendo la mano di Lovino.

Era la stessa mano che aveva tenuto stretta durante il loro primo appuntamento; era calda allo stesso modo, forse un po' meno morbida, ma le dita erano indubbiamente quelle e la forma era la medesima.

Tuttavia Antonio sapeva perfettamente che tenere la mano di Lovino adesso era una cosa diversa. Oh, era fantastico quel ragazzo e così il potere che aveva su di lui: Lovino sapeva affascinarlo, sapeva spiazzarlo, sapeva farlo ridere e conosceva il modo per far fare delle vere capriole al suo cuore.

In quel momento Antonio sentì forte la convinzione che, qualunque cosa fosse, ciò che aveva unito il destino suo a quello di Lovino doveva essere per forza qualcosa di buono...

Va bene Lovino, adesso ti parlo un po' di me” gli disse, ritrovandosi con gli occhi verdi incatenati nell'altro paio di occhi verdi, e coltivando nella più profonda parte di sé il desiderio di non liberarsi mai più dal loro giogo.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Salve a tutti!!Finalmente sono riuscita ad aggiornare...purtroppo dovrò seguire un ritmo meno serrato con la pubblicazione perchè sto preparando un esame =_= ma non pensiamoci xD

Passando a questo capitolo...be', mi è uscito più introspettivo del solito :3 ci sono stati alcuni momenti pseudo romantici in cui ho tentato di esprimere le sensazioni forti che stanno unendo i nostri due piccioncini e, insomma...Antonio si sta scoprendo innamorato (anche se “scoprendo” nel suo caso è una parola grossa xD) >w< che dite, ce l'ho fatta a rendere l'idea? xD

Comunque, la canzone che ha ispirato la stesura di questo capitolo e del precedente fa sempre parte della OST di Secret Garden: è “Guardian Angel”, è molto dolce ma anche triste ed evocativa. ( http://www.youtube.com/watch?v=nwIKJ-PM3DY )

Come al solito, ringrazio di cuore tutti coloro che mi stanno seguendo, siete fantastici! E vi invito a lasciare un commento per farmi sapere cosa pensate ^-^ alla prossima allora <3

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Capitolo 7
*** 28 Dicembre 2011 (reprise) ***


 

 

 

 

28 Dicembre 1996

 

Ed ora le previsioni per la nostra zona” annunciò la signorina della TV, mentre Antonio sferrava un calcio contro l'apparecchio.

A partire da oggi, si prospetta una settimana di fine anno con intense e abbondanti precipitazioni. Stia bene attento a non dimenticarsi l'ombrello, signor Antonio Fernandez Carriedo”.

Antonio si immobilizzò, incredulo. Si mise davanti allo schermo, faccia a faccia con la bella signorina del meteo che stava ora dando la linea a un altro collega, sfoderando un sorriso sottile e sicuro.

Prima che la sua immagine svanisse per lasciare il posto al viso contrito di un vecchio giornalista, Antonio fece in tempo ad adocchiare una nuvoletta di capelli corti e un paio di occhi vispi, coronati da lunghe ciglia.

Decisamente questa televisione è da rottamare”.

 

 

 

28 Dicembre 2011

 

Antonio si avvicinò con circospezione alla televisione, fissando la bella giornalista che sembrava proprio ricambiare lo sguardo. Si sarebbe anzi potuto dire che stesse ammiccando alla sua volta, sbattendo le lunghe ciglia.

Per i prossimi tre giorni si potrà lasciare tranquillamente l'ombrello a casa...capito, signor Antonio Fernandez Carriedo?”

Ma...gli aveva appena fatto l'occhiolino? Sì, l'aveva decisamente fatto, e poi aveva piegato le labbra in un sorriso scherzoso.

Oh...ho capito, si che ho capito! Era proprio quello che volevo sentire! Grazieeee!” esclamò Antonio, felicissimo, stampando un bacio alla splendida signorina dello schermo.

Se quello era un segno, era un segno bello forte; tuttavia, per un uomo impetuoso come Antonio, è difficilissimo notare i piccoli dettagli; al contrario, risulta fin troppo facile concentrarsi esclusivamente sulle coincidenze fortuite.

In casi come questo, un'informazione che potrebbe rivelarsi fondamentale viene mentalmente accantonata da Antonio; il fatto che la ragazza del meteo sia esattamente la stessa che aveva visto nel 1996 oltre lo schermo di una tv in bianco e nero, e che abbia gli stessi abiti perfino, è secondario, e viene da lui completamente ignorato.

Tanto che, se Antonio dovesse per puro caso incontrare per strada una giovane con i capelli corti un po' mossi e le ciglia lunghe, nemmeno si accorgerebbe di averla già vista prima. Neanche se questa gli passasse così vicino da riuscire a sentirla parlare al cellulare in francese.

 

 

 

 

Va bene Lovino, adesso ti parlo un po' di me”

Antonio ormai l'aveva annunciato, spinto da un singolare moto di tenerezza che Lovino aveva scatenato dentro di lui. Aprirsi a lui ma anche finalmente essere onesto con se stesso...era più facile a dirsi che a farsi.

Da dove doveva cominciare, o piuttosto, che cosa valeva davvero la pena raccontare a Lovino? Lo spagnolo sapeva perfettamente che il ragazzo non desiderava fare quattro blande chiacchiere sulla sua vita da studente o su quanto fosse difficile trovare un lavoro seppure si è laureati.

Quello che Lovino voleva davvero sapere era cosa turbava Antonio, il ricordo di quale avvenimento l'aveva commosso tanto da farlo piangere silenziosamente.

Indugiare oltre nel rispondergli sarebbe stato ridicolo.

Ho pensato di scrivere una lettera al mio amico Francis per farmi aiutare in questa strana situazione, ed ero così preso che non ti ho sentito rientrare” iniziò, stringendosi un po' nelle spalle.

Sai, Francis è il mio migliore amico...mentre scrivevo mi sono venute in mente tante cose. Cose belle e cose brutte, anche”

Lovino, che stava ad ascoltare in posa marziale e allo stesso tempo incazzata, alzò il sopracciglio.

No no, non fraintendere, non cose brutte sul mio amico...è un tipo apposto, anche se, certo, è un po' maniaco...ma niente di grave”

Al tergiversare di Antonio, Lovino iniziò a serrare lentamente la mascella.

Insomma, è una persona splendida, non è lui che ha fatto delle brutte cose. Sono le brutte cose ad essere capitate a lui...a noi...al...”

Ed ecco arrivato il momento della verità.

Una verità che era difficile ammettere e che spesso Antonio aveva voluto negare persino alla propria persona; una di quelle cose che ti seccano la gola ogni volta che ci pensi, che ti serrano il respiro, che quasi ti abbattono come una fucilata.

...Al nostro amico Gilbert. Il nostro amico Gilbert che è morto”

Subito, l'effetto generato da quella devastante consapevolezza agì: l'ultima parola Antonio l'aveva pronunciata con voce spezzata e già riusciva sentire le gambe che iniziavano a cedergli.

Lovino doveva evidentemente essersi accorto che Antonio sembrasse sul punto di avere un mancamento, ma si limitò a fissarlo con le pupille dilatate da un panico crescente, prima di esprimersi con un goffo, seppure sentito:

La gente muore in continuazione. Non è tanto strano che ti muoia un amico”

Antonio si morse le labbra, appoggiando una mano allo schienale del divano.

Ma è peggio quando tu se lì insieme a lui...e quello muore, mentre tu resti vivo”

Un silenzio triste calò nella stanza.

Antonio sorrideva al pavimento, incapace di alzare lo sguardo.

Aveva paura di cosa gli avrebbero detto gli occhi dell'altro, aveva paura della sua reazione.

Si stava confidando con uno che non aveva perso un amico, ma un familiare; si sentiva stupido, stupido, stupido perchè temeva che Lovino avrebbe potuto arrabbiarsi per il paragone delle due perdite.

Ma una morte è sempre una morte, Antonio lo sapeva, e Gilbert era stato come un fratello per lui.

Perdere un amico fraterno non è certo meno che perdere un nonno.

Tuttavia, la cosa che Antonio temeva maggiormente non era non riuscire a farsi comprendere da Lovino, quanto fargli rievocare i terribili momenti che avevano sicuramente seguito la dipartita di nonno Vargas.

Era stato per questo che prima Antonio aveva esitato, era stato per questo che...

Era un brav'uomo, mio nonno” proruppe Lovino.

Lo spagnolo alzò di scatto gli occhi per la sorpresa.

Magari...sì, magari sarebbe potuta andare meglio tra noi, ma non era una cattiva persona. Ha fatto tante belle cose grazie al suo lavoro, ha aiutato tanta gente, ed era molto amato. E non ha fatto mancare nulla a me e a Feliciano, quel gran bastardo. Dopo che i nostri genitori sono morti nel '94 si è preso cura di noi ogni maledetto giorno...”

Antonio non interruppe Lovino, eppure sussultò a quell'informazione, ricollegandola rapidamente all'immagine del piccolo che urlava contro nonno e fratello in giardino.

Ecco dunque perchè quel 1994 era stato un anno terribile, ecco perchè quel bambino non voleva festeggiare nessun capodanno e perchè era così furibondo.

Antonio lo lasciò continuare, teso ma allo stesso tempo voglioso di sapere dove volesse arrivare l'altro con quel discorso.

Pure quando ha tirato le cuoia, il nonno non ha smesso di pensare a noi; ci ha lasciato un mucchio di soldi in eredità. Ma dico, hai visto dove viviamo? E' un gran casa!” sbuffò Lovino, facendolo sorridere lievemente.

Insomma, io non lo odio perchè è morto...vabe', forse una volta era così, ma non sono più un bambino” disse Lovino, scandendo le ultime cinque parole.

Quindi stava tentando di fargli capire...che Antonio si era inutilmente preoccupato di ferirlo?

Non crederai mica che le chiacchiere di un bambino siano oro colato! La gente cresce e matura, imbecille!” aggiunse infatti Lovino con un sorrisetto strafottente.

Adesso posso parlare di queste cose senza scoppiare a frignare...come invece hai fatto tu” concluse, tagliente.

Antonio si sentì sciocco più che mai per aver dato per scontata la fragilità di Lovino.

Allo stesso tempo però era anche felice che il ragazzo sembrasse aver accettato la scomparsa del signor Vargas.

Finalmente riuscì a rivolgergli un sorriso carico di sincero affetto.

In risposta, l'altro arrossì un po' e, dopo essersi schiarito la voce ed aver arricciato le labbra, disse:

Adesso riesco a pensare al nonno mettendo da parte il mio risentimento; però non tutto, eh, credo ancora che sia stato uno stronzo per non avermi mai capito davvero. Ma...” tentennò, “ se era per questa cazzata che non volevi parlarmi di questo tuo amico...insomma cristo santo, sono un adulto e so affrontare certe cose!”

Quell'affermazione, sincera e pure un po' violenta, colpì Antonio dritto al cuore.

In quel momento capì che se tutto ciò era vero per Lovino, non poteva dire la stessa cosa per se stesso.

Lo sai” gli disse quindi con voce vaga, “anche io sono un adulto, eppure ho difficoltà ad affrontare queste cose”

E' perchè hai il cervello di un moccioso!” rispose semplicemente l'altro.

Avanti, ce la fai a raccontarmi tutto su questo tuo amico mettendo insieme frasi di senso compiuto?”

Raccontargli tutto su quell'incidente?

Un brivido gli attraversò rapidamente la schiena, riaccendendo nell'animo di Antonio una scintilla di disagio mai completamente sopita.

Ci proverò, ma non riuscirò a dirti cosa successe esattamente...perchè non lo ricordo”

Lovino lo guardò senza mascherare lo sconcerto ben visibile negli occhi, che parvero per un attimo screziarglisi di una sfumatura più scura.

L'ho rimosso, capisci?” esitò Antonio.

Il momento preciso in cui è successo tutto...l'ho rimosso dopo aver battuto violentemente la testa.

Da quello che i dottori dissero a Francis, pare che io e Gilbert fossimo insieme in macchina quando...qualcosa ci venne addosso, non lo so, un'altra auto forse...lui morì sul colpo, mentre io...” balbettò.

Già mentre lui, lui...era vivo. Lui era vivo. Lui era vivo.

Era vivo.

Lui.

Non so nemmeno chi di noi due fosse alla guida, capisci?” riprese con un gran sospiro e uno sforzo altrettanto grande.

Eppure parlò con vigore. In qualche modo, in qualche assurdo modo, affermare ad alta voce quei suoi pensieri sempre covati dentro e quasi mai espressi era...liberatorio.

Ciò che era successo non era giusto, e doveva dirlo, voleva farlo capire almeno a Lovino, perchè non aveva potuto dirlo a nessun altro...ne agli zii di Gilbert che non avevano avuto la forza per vedere Antonio, sopravvissuto là dove era morto il nipote, ne al fratellino Ludwig che non era sceso in Italia nemmeno per i funerali, nel testardo rispetto della promessa fatta a Gilbert di venire solo quando sarebbe stato abbastanza grande...e così soltanto con Francis Antonio si era sfogato, solo a lui aveva detto che...

Non era giusto.

Gilbert, Gil, che era sempre così...stupido e scherzoso e vitale...”

Antonio teneva le mani strette a pugno in una morsa convulsa, e si sentiva tremare.

Ero insieme a lui nell'istante in cui è avvenuto il disastro, la cosa peggiore è che neanche me lo ricordo! C'eravamo tutti e due, eppure Gilbert adesso non c'è! Lui non c'è più e io inve...”

Tu invece ci sei” lo interruppe Lovino, mettendogli le mani in faccia con la potenza di uno schiaffo.

Sei qui, sei venuto a rompere le palle a me, e non l'hai fatto solo una volta, ma per tanti anni. Non so che tipo sia stato il tuo amico ma non me ne frega più di tanto...se uno tra voi due doveva proprio morire e quello è stato lui...be', a me sta bene così, perchè grazie a questo adesso ho te”

In questo modo, parlando un po' rudemente e con poco rispetto, ma schiettamente, Lovino acquietò la tempesta.

Per una lunga frazione di secondo i due ragazzi si guardarono, seri ed entrambi un po' commossi, Antonio con ancora le mani di Lovino a premergli la faccia.

Erano calde e sicure, quelle mani, e lo spagnolo sentiva scottare sempre di più la propria pelle sotto di esse.

Il più giovane parve allora rendersi conto della situazione, e, incrociate di scatto le braccia al petto, arrossì furiosamente e biascicò:

Dovresti...dovresti pensarla in questo modo, cazzo”

Antonio sorrise, sentendosi intenerito da tutte quelle forti emozioni.

Un attimo prima aveva completamente esposto il suo cuore a Lovino; era consapevole che sarebbe potuto uscirne macellato se il ragazzo l'avesse biasimato o avesse provato pena per lui, facendolo così sentire ancora più colpevole di quanto, intimamente, Antonio reputava se stesso.

E invece Lovino non gli aveva nemmeno dato il tempo di dirgli “spesso ho pensato che fosse tutta colpa mia”; no, l'aveva trascinato di botto nel suo mondo, e in qualche modo aveva reclamato Antonio come suo.

Cioè, dovrei pensare che è grazie a Gilbert che adesso ho te” gli disse candidamente.

Ah...ah! Non capisco come cazzo hai fatto ad arrivare a questa conclusione!” sbottò l'altro.

Era facile percepire che l'ennesimo tira e molla era nell'aria.

Ma sei tu che l'hai appena detto! Dai, non arrabbiarti subito, credevo che stessi cercando di tirarmi su di morale”

E credevi male! Ti pare che se volevo consolarti lo facevo in questo modo ridicolo? Ma come cavolo ci si consola a casa tua, eh?”

A casa mia? Il mio amico Francis diceva sempre che per tirare su di morale qualcuno non c'è niente di meglio che un bacio”

Antonio aveva parlato, al solito, senza malizia; ciò non impedì a Lovino di arrossire fino alla punta delle orecchie.

Scommetto...scommetto che è un porco francese, questo Francis”

Hai indovinato” disse lo spagnolo, senza specificare che ci aveva preso su entrambi gli aggettivi.

Un po' maniaco, l'hai definito prima...seh...credo di iniziare a capire che razza di gente siate”

Ma perchè? E' un sistema efficace...”

Allora Antonio, spinto da chissà cosa, volle osare:

E poi scusa, ce lo siamo già scambiati un bacetto, o no?”

Che cazzo centra?! Senti, se oggi hai proprio voglia di farmi arrabbiare...”

No no, non intendevo...dicevo così, tanto per dire. Lasciamo perdere allora”

Ma...cooome? Dicevo tanto per dire? Quindi mi volevi baciare così, tanto per divertimento, per perdere un po' di tempo?”

La voce di Lovino stava per superare il massimo livello di decibel consentito e al povero Antonio non veniva neanche dato tempo di mettere insieme una frase intera.

Io veramente...”

Proponi e poi che fai? Ti tiri subito indietro! Non hai un briciolo di spina dorsale” continuò senza pietà Lovino.

Antonio optò per rimanere qualche secondo in silenzio, assorbendo con caparbietà l'ennesima sfuriata dell'altro, nell'attesa che scemasse pian piano.

Dopo un paio di minuti alla fine anche Lovino si stufò di gridare cose più o meno sconnesse, e Antonio, preso un bel respirone, non ce la fece proprio a trattenersi; confrontarsi con Lovino era abbastanza stancante.

Gli sembrava di fare ogni volta un giro sulle montagne russe, con le lente salite in cui pare che sia tutto tranquillo, i picchi improvvisi che ti fanno alzare di botto l'adrenalina e le discese spaventose in cui tutto quello che vorresti fare è metterti a urlare come una ragazzina.

Io non so...” tentò di spiegarsi, “non so mai che cosa fare con te...mi sembra di dirti sempre la cosa sbagliata”

Il più giovane non rispose ma, con orrore di Antonio, aggrottò le sopracciglia in modo poco rassicurante. Lo spagnolo, temendo per l'incolumità del proprio stomaco, andò a parlarlo istintivamente con un braccio dopo che l'immagine di una testata micidiale gli attraversò in un lampo il cervello.

Oddio vedi, l'ho fatto di nuovo! Ma non volevo offenderti, io...”

In quel momento la mano di Lovino volò a tappare la bocca di Antonio.

Esatto, dici sempre la cosa sbagliata. Se l'hai capito, fa un favore a tutti e due e adesso sta zitto”

Antonio annuì come un bambino, senza emettere alcun suono.

Il tuo problema” continuò Lovino, avvicinandosi un po' di più, “è che stai a sentire, ma non ascolti, e quindi, da bravo coglione, non capisci”

Stavano in piedi, uno con una mano sullo stomaco e un'altra appoggiata al divano, l'altro che ancora gli teneva la bocca chiusa, e si era fatto così vicino da far toccare la punta delle loro scarpe.

Io io...non ho detto che “quel sistema francese”...non lo volevo usare”

Piano piano, Lovino mosse le dita e le fece scivolare un po' più giù, scoprendo la bocca di Antonio. Lo spagnolo intanto sentiva un battito martellante che risuonava dal petto alla testa, e forse fu proprio quello che lo mandò ad afferrare il polso di Lovino.

Era quello il momento, lo era; via tutte le barriere, via tutte le domande, un silenzio che vale più di tutte le parole del mondo, due persone e un unico pensiero, un'unica anima perfino, una distanza che si appiana, che si riduce a uno spazio minimo, che si sta per annullare...

Ragazziiiiiiii scusate il ritardoooooo” ululò Feliciano, volando nel salone in quel preciso istante, con un tempismo eccezionale...per la seconda volta.

Nel giro di mezzo secondo Lovino sussultò come un gatto e spiaccicò forte la mano chiusa a pugno sulla faccia di Antonio. L'effetto fu quello di un cazzotto sui denti.

Ero al telefono con un mio amico, ma cheeee...che stava succedendo qui? Ho interrotto qualcosa?” fece Feliciano, perplesso.

Assolutamente” disse Antonio, quasi piangendo dal dolore.

Assolutamente no, CAZZO” precisò Lovino, arrabbiatissimo.

Veeh, fantastico allora! Comunque ho appena avuto una grande idea per sta sera...la tombola!”

 

 

Seduti tutti e tre a terra sopra un morbido tappeto, le schiene appoggiate a divano e poltrone e il caminetto a rischiarare l'ambiente, i tre ragazzi occuparono il dopo cena giocando alla tombola.

Era bellissimo stare lì, fare quattro chiacchiere, sentire Feliciano che rideva e Lovino che si arrabbiava quando non uscivano i suoi numeri e perdeva. Dopo l'ennesima tombola del più piccolo Vargas, Lovino si alzò sbuffando.

Che palle, non c'è gusto a giocare così! Vado a lavare i piatti” e detto questo si diresse in fretta in cucina.

Feliciano rizzò la schiena, sul viso un'espressione stupita, e seguì con lo sguardo il fratello che si allontanava.

Va a lavare i piatti” disse, più a se stesso che ad Antonio. “Prima ha cucinato la cena tutto da solo e adesso sta andando a lavare i piatti”

E' strano?” chiese lo spagnolo, incuriosito dalla reazione stralunata di Feliciano.

Stranissimo!” esplose l'altro, tappandosi subito dopo la bocca temendo che il fratello l'avesse sentito.

Ma Feliciano aveva voglia di parlare; goffamente fece cenno ad Antonio di avvicinarsi, poi gli mise le mani a coppa sull'orecchio.

Il fratellone non fa mai niente di sua spontanea volontà. Per faccende, lavoretti o cose così, non si offre mai volontario. Anzi, lui...sta sempre in casa e non fa mai niente”

Antonio guardò Feliciano, una punta di preoccupazione che iniziava a farsi sentire alla bocca dello stomaco.

In che senso Lovino non faceva mai niente?

Il ragazzo lesse il suo sconcerto e cercò di tranquillizzarlo con un sorrisino un po' timido.

Non è che si tratti di pigrizia o almeno non solo di quella, credo...lui, lui non si mette mai in gioco ecco. E' come se non sapesse cosa fare esattamente di se stesso”

Antonio non intervenne ma lasciò parlare Feliciano, ascoltandolo attento.

Non aveva minimamente pensato che Lovino avesse potuto trovarsi in una situazione simile alla propria: incapace di fare qualcosa di concreto, immobile...impantanato nella sua vita, senza sapere come poter cambiare le cose.

Io ho i miei studi, per esempio” riprese il più giovane, “ma lui non li ha, e nemmeno ha qualcosa di simile; non fa niente che ami davvero fare, è così!”

Ma qualcosa che gli piace c'è di sicuro” fece Antonio di slancio, ricordando il ricettario che aveva visto in camera di Lovino.

Magari gli manca la motivazione necessaria per coltivare una sua passione” disse tristemente Feliciano.

Da come ne parlava speditamente, Antonio ebbe l'impressione che quelle fossero cose che Feliciano aveva detto e ridetto tra sé molte volte. Era chiaro che aveva davvero a cuore la situazione di Lovino ed era chiaro anche che aveva bisogno di esternare la sua preoccupazione per il fratello maggiore con qualcuno.

Quando provo a parargli, a sapere cosa ha intenzione di fare di se stesso, a chiedergli se ha dei piani per il futuro...mio fratello inizia a scaldarsi, e per evitare una litigata lascio cadere il discorso. La verità è che non me lo dice ma io ho davvero paura...ho paura che sia sempre triste, Lovino”

Ad Antonio venne spontaneo portarsi una mano all'altezza del petto; dopo quelle rivelazioni, qualcosa, lì dentro, gli stava facendo molto male.

Erano più simili del previsto, Antonio e Lovino. Era bello ma era anche...brutto. Lo spagnolo avrebbe preferito di gran lunga che l'altro non sperimentasse certi tormenti.

Invece” si riaccese Feliciano, “quando ci sei tu...mio fratello mi sembra più attivo, vitale, più preso. Insomma, adesso sta perfino lavando i piatti!”

Antonio era un po' divertito dalla buffa esposizione del più giovane, un po' soffriva perchè sapeva benissimo cosa doveva provare Lovino; infine, un po' si sentiva orgoglioso, perchè Feliciano lo stava reputando responsabile di qualche merito nei confronti del fratello.

E anche in passato...” riprese, per poi fermarsi nuovamente e guardarsi intorno con circospezione.

Lo so che vi conoscete da un sacco di tempo, voi due, da ancora prima che ti vedessi io quella sera”

Disse così, nonostante Antonio credette per un momento di aver capito male; disse proprio in quel modo e fece un sorriso di vittoria come a voler significare che la sapeva lunga, lui.

Anche in passato tu l'hai spronato a fare delle cose...quella chitarra, per esempio!”

Antonio si fece, se possibile, ancora più attento. Che c'entrava la chitarra, adesso?

Feliciano sorrise teneramente, iniziando a fare cerchietti col dito sul tappeto.

Ricordo ancora la volta in cui mi disse di voler comprare una chitarra...eravamo piccoli, Lovino avrà avuto più o meno dieci anni...una sera tornai a casa insieme alla zietta ma lui non c'era. Rientrò dopo di me, era bagnato fradicio ed era arrabbiatissimo, mi prese per le spalle e mi chiese dove si potevano comprare strumenti musicali. Disse che c'era uno stupido...disse proprio così, uno stupido con degli stupidi occhi verdi che avrebbe suonato per lui, se avesse avuto una chitarra in quel momento”

Sentirsi sprofondare in un baratro senza fine, venire subito dopo spinti in su da qualcosa, provare un accenno di dolore in un miscuglio di agitazione accecante: la gente lo chiama tuffo al cuore, ed era proprio quello che era successo adesso ad Antonio.

A pensarci adesso mi viene da ridere, Lovino era tutto rosso...ma ricordo che allora mi sembrò davvero triste. Comunque la comprò davvero, quella chitarra, e rimase lì dove la vedi adesso senza che nessuno la potesse mai suonare. Pensa che Lovino mi vietò tassativamente anche solo di sfiorarla, diceva che avrei potuto romperla! Il primo a cui ha permesso di toccarla, Antonio, sei stato tu. Allora ho capito che eri la persona che quello strumento stava aspettando”

Feliciano sorrise ancora, limpidamente; in quel momento sembrava saggio, molto più saggio di chiunque Antonio avesse mai conosciuto.

Antonio...io non lo so chi sei o che cosa sei, ma so che con te il mio fratellone ha qualcosa a cui pensare, qualcosa per cui sperare, qualcosa da aspettare e forse...forse sei un miracolo”

La prima cosa che venne in mente di fare ad Antonio fu quella di abbracciare forte Feliciano.

Ne erano successe davvero tante nelle loro vite...i due fratelli e lui stesso, tutti e tre avevano sofferto, avevano perso; Feliciano sembrava aver trovato la sua strada per la felicità ma Lovino, seppure superato il dolore della morte, era rimasto indietro con la sua vita e lo stesso era per Antonio.

Non era Antonio ad essere un miracolo, era quello, tutto quello ad essere un miracolo.

Forse il motivo che lo aveva scatenato era che avevano avuto bisogno di incontrarsi a vicenda.

Che cazzo fate voi due?!” esclamò in quella la voce di Lovino, più stridula del solito.

Antonio alzò la testa dalla spalla di Feliciano, guardando l'altro con la consapevolezza di avere la faccia di uno che è sul punto di piangere.

Allora sul viso di Lovino si disegnò una buffa espressione contrita, e quando lo spagnolo si tuffò letteralmente tra le sue braccia, mise le mani avanti per spingergli la testa lontano dalla sua.

Loviiiiiiiiiiii” frignò Antonio, cercando di stringerlo a sé e opponendo resistenza alle sue resistenze.

Prima con uno e poi con un altro?! E no, cazzo! Levatiiiii!” sbraitò Lovino.

Alla fine riuscì a calmare Antonio, ordinò a Feliciano, che si godeva la scena tra una risatina e l'altra, di andarsene a fanculo o a letto, dove preferiva, sputò un “tu dormi sul divano” verso lo spagnolo e sparì al piano superiore.

Antonio rimase da solo, sentendosi stranamente un idiota.

Gli occhi gli pizzicavano perchè era un po' commosso e le mani gli pizzicavano perchè erano vuote; mentalmente aveva già assaporato l'idea di tenerci stretto Lovino.

Infine, gli pizzicava anche il cuore.

Prima ancora che potesse sistemare un piumone sul divano per avvolgercisi dentro, un ciuffetto castano fece capolino dalle scale.

...domai ci vado io a consegnarti quella fottuta lettera, non vorrai mica farti scoprire subito da quel tuo amico francese pervertito?”

Antonio sorrise, felice, dolorante, fremente, in pace col mondo, sconvolto, ma sicuro di una cosa: era innamorato.

“Grazie”

Allora buonanotte, stronzo”

 

 

 

Antonio camminava per la strada facendosi largo tra le bancarelle del mercatino che c'erano in città nel periodo festivo. Era da solo perchè Lovino era andato a casa di Francis a imbucare la sua lettera direttamente nella cassetta della posta.

Si sentiva in fibrillazione; era felice, perchè le cose sembravano andare per il verso giusto. Le amarezze stavano andando dissolvendosi, le soluzioni affioravano pian piano. C'erano ancora tante cose da scoprire, ma a breve, con l'aiuto di Francis, Antonio era sicuro che tutto sarebbe diventato più chiaro.

Andava avanti perso nei suoi pensieri, tanto che quando qualcuno gli sfiorò la spalla, lui se ne accorse appena.

Si girò, notò una ragazza dalle lunghe ciglia con i capelli corti e biondi. Fu un incrocio di sguardi fugace, assolutamente casuale, una questione di un millesimo di secondo.

Continuò per la sua strada, Antonio.

Poi si fermò improvvisamente.

Si rese conto che la ragazza stava parlando al cellulare, e parlava in francese.

La ragazza con le ciglia lunghe, i capelli mossi e il viso giovane e aperto parlava in francese.

La ragazza del meteo, la stessa ragazza vista su quella foto tanti anni fa.

Si mise a correre, Antonio, corse a perdifiato, scrutando tra le bancarelle per individuare un volto finalmente riconosciuto come importante. Cercava tra la gente i lineamenti familiari, si malediceva da solo per non essersene accorto prima, il panico cresceva, avvistò la sua schiena, le toccò la spalla.

Quella si girò, sorrise, un sorriso rassicurante e sveglio.

La domanda, anziché porla, glie la gridò quasi, col fiato spezzato.

“Chi sei tu?”

Jeanne” rispose lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Salve a tutti ^-^ innanzitutto...chiedo scusa per la pausa abbastanza lunga tra questo aggiornamento e lo scorso capitolo! Purtroppo sono in periodo di esami, di conseguenza non ho la testa abbastanza libera per scrivere quando voglio ç-ç i prossimi aggiornamenti quindi non saranno a scadenza costante (ma ora che ci penso, di fatto non lo sono mai stati xD)

Mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo e mi è risultato anche parecchio facile; mi sono tanto affezionata ad avere Antonio come protagonista, con questa fiction ho scoperto che scrivere dal suo POV è uno spasso XD

Ah, finalmente si è scoperta la storia di Gilbert...ma l'avevate già capito, vero? Certo che è proprio un personaggio attira sfighe...su su, prima o poi scriverò qualcosa in cui finisce bene anche per te, Gil ù_ù

Dunque, ringrazio come al solito tutti coloro che mi stanno seguendo; a dirlo così sembra generico ma davvero non ho parole...non so dire di meglio xD spero che continuerete a seguirmi fino alla fine, mi siete di gran supporto! E continuate a farmi sapere cosa ne pensate <3 alla prossima allora :3

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Capitolo 8
*** 29 Dicembre 2011 ***


 

 

 

Antonio percepiva le proprie vene pulsare forte sotto la pelle; segno, quello, che era ancora vivo.

Vivo nonostante la grande oscurità in cui fosse immerso; non c'era niente che potesse fungere da punto di rifermento in quella specie di mare nero in cui stava affogando, con lentezza ma inesorabilmente.

Vivo, dunque. Già, ma per quanto?

Faceva caldo, terribilmente caldo, l'aria gli bruciava sempre di più nella gola, lo graffiava internamente e Antonio si chiese quanto ancora sarebbe stato possibile resistere.

Immerso in quel torpore tremendo, col sudore freddo e gli arti congelati, quello non era il peggio... c'era ancora qualcosa di più insopportabile che lo opprimeva: una sorta di malsana necessità di guardarsi le mani.

Eppure gli mancava anche solo la forza per spostare gli occhi verso la punta delle dita; aveva paura, perchè non vedeva nulla.

Che almeno finisca al più presto” disse, o forse lo pensò soltanto.

Era ciò che adesso desiderava davvero, farla finita, poiché scivolare nella disperazione aveva qualcosa di perfidamente dolce.

Lasciarsi andare, arrendersi, significava anche smettere di soffrire.

Proprio quando Antonio, l'allegro e solare e bello e sempre spensierato Antonio, pensò che la cosa migliore fosse lasciarsi morire, il mondo intero tremò.

Una luce spaccò lo spazio nero con tanta violenza che il ragazzo si sentì male per un attimo, ma impose subito alla propria mente di rimanere lucida; perchè era apparsa una luce, c'era davvero, un qualcosa di vivo che si stagliava con passione in un mondo desolato, un qualcosa che prepotentemente richiamava Antonio a raccogliere la speranza.

Sì, era una luce, una feritoia bianca e seppure sottile, c'era, e significava forse che non tutto era perduto.

Antonio assottigliò lo sguardo per capire cosa ci fosse oltre quella linea labile che sembrava essersi manifestata a lui come una visione; immagini diverse gli balenarono davanti, confuse, veloci, passandogli attraverso gli occhi, la mente, l'anima: vide Francis che parlava al telefono, Gilbert che gli dava fastidio da dietro, lo sgabuzzino di casa loro; vide la bocca socchiusa in un'espressione di sorpresa, l'occhio verde e lucido di un Lovino piccolo, la porta sulle scale del centro commerciale; vide la curva morbida di una schiena, una nuvoletta di capelli biondi, si gira, è Jeanne, ed è radiosa tanto da far male agli occhi.

Sei davvero Jeanne?” chiese subito Antonio.

Le orecchie gli stavano scoppiando di suoni ovattati, lo spazio stava diventando liquido intorno a loro; non erano più nel luogo buio e stretto di prima, ma in una qualche specie di posto aperto, seppure altrettanto non identificabile.

Sono davvero Jeanne ” rispose quella con un sorriso.

Davvero davvero?” domandò Antonio, il cuore in gola.

Se quella era sul serio Jeanne, le cose non andavano affatto bene; altro che vivo, allora era proprio morto!

Sono io davvero davvero” disse la ragazza, facendo la voce più gutturale in una sorta di imitazione di Antonio.

Sembrava avere voglia di scherzare, ma che c'era da ridere? Prima vivo, poi morto, poi ancora vivo, poi morto di nuovo...sta volta era lecito che Antonio si sentisse confuso.

Iniziavo a temere che non mi avresti mai riconosciuta, lo sai?” continuò Jeanne, sollevata e divertita allo stesso tempo.

Ma ti eri accorto o no che non facevo altro che farti l'occhiolino? E ti ho persino chiamato per nome e cognome...ti sembra normale che la ragazza del meteo ti chiami per nome e cognome?”

Parlava in modo decisamente canzonatorio, velando con cordialità nella voce una punta di stanchezza.

Non è facile avere a che fare con te, Antonio Fernandez Carriedo. Mi chiedo come abbia fatto Francis...d'altronde, anche lui è un tipo piuttosto particolare, non trovi?” aggiunse, assumendo una buffa espressione nel nominare Francis.

Antonio non rispose. Anche se lo desiderava, non aveva proprio nulla da dire. Si limitò a fissare la ragazza, consapevole di avere un volto abbastanza stravolto; lei intanto, in attesa di una risposta qualunque, stava con le mani appoggiate ai fianchi.

Era bella, ancora più bella di come la ricordava in quella foto, più bella di come l'aveva vista di sfuggita in televisione...molto più bella di una normale creatura terrena.

Non ti avevo riconosciuta...non avevo davvero pensato a te” le disse alla fine Antonio, quasi scusandosi, come se parlasse con una vecchia amica.

Ma sai, è anche comprensibile; dopotutto, io non ti ho mai vista di persona, soltanto in una foto che mi aveva mostrato Francis una volta”

Per una persona normale sarebbe una giustificazione plausibile” rimbeccò subito Jeanne, “ma tu sei particolarmente...sbadato, diciamo”

Capisco...cioè no, non capisco! Scusa se te lo chiedo, ma se adesso sto parlando con te e ti vedo, vuol dire che sono morto?”

Dentro di sé Antonio già era un po' preparato ad accogliere una risposta affermativa: era morto, doveva essere così.

La fine desiderata in un momento di disperazione era giunta davvero, dunque. Si guardò intorno; tutto quello che vide fu una nebbiolina bianca che si estendeva oltre l'infinito.

Dov'è Gilbert...?” osò chiedere.

Jeanne lo guardò con intensità e il suo sorriso si allargò, trasformandosi in quello di una mamma comprensiva che cerca di insegnare al proprio bambino ad allacciarsi le scarpe.

Non ti preoccupare Antonio, non sei in paradiso”

E' l'infermo, allora! Accidenti, non me lo sarei mai immaginato di finire qui...ma com'è che Gilbert è in paradiso e io no? Non per contestare, ma...”

Jeanne soffocò una risata coprendosi la bocca con una piccola mano. Gli occhi rilucevano divertiti e risoluti; era splendente. Non c'era dubbio che fosse un angelo.

Non sei morto proprio per niente, Antonio; non è ancora giunta la tua ora”

Allora...non sei morta neanche tu?” tentennò lui.

Oh, si che lo sono”

Con caparbietà, si esprimeva quasi telegraficamente senza aggiungere molto. Era come se volesse spingere Antonio a parlare.

Quindi dove siamo?”

Non lo so. Dimmelo tu, Antonio”

Lo spagnolo girò il collo a destra e a sinistra, confusamente e con lentezza.

Siamo nella...nella mia testa?”

Jeanne si portò le mani dietro la schiena e si guardò intorno anche lei, annuendo con il capo.

Non è poi così male come posto...accogliente, pieno di buoni pensieri...solo, è un luogo troppo confuso. Devi assolutamente considerare di riorganizzare meglio gli spazi, qui dentro. C'è così tanto disordine che si rischia di dimenticare in un angolo cose molto importanti” disse, enfatizzando le ultime parole.

Inoltre, fai dei sogni davvero tremendi Antonio, lasciatelo dire”

Lo so” rispose lui, vergognandosi un po' per il commento sul presunto caos che regnava nel suo cervello, “è così da tanto tempo. Non so dirti di preciso da quand'è che ho iniziato ad avere brutti incubi...anzi forse...forse da dopo l'incidente con Gilbert”

Ultimamente però hai dormito bene, mi risulta”

Sì” si riaccese, “da quando ho conosciuto Lovino, io...Lovino!”

Lovino Vargas!

Quel nome quasi gridato ad alta voce lo trafisse da una parte all'altra della testa come un dardo, facendo risvegliare tutta l'essenza di Antonio. Era una secchiata di acqua gelida, un appiglio sicuro e certo in quella specie di situazione onirica in cui si trovava adesso.

Che cosa stava facendo, li? Doveva stare con Lovino!

Se non sono morto allora fammi tornare da lui, se...se non vuoi accompagnarmi dimmi solo come devo fare, sono sicuro che troverò la strada!” disse, agitandosi un po'.

Stai dicendo di essere in grado di trovare la strada per arrivare a lui?”

Sì” rispose Antonio senza esitazione.

Saresti in grado di farlo in qualunque situazione?”

Sì, sempre”

E allora che cosa ci fai ancora qui?”

Non era un ammonimento quanto piuttosto una domanda posta con genuina curiosità.

Antonio non seppe rispondere, perchè era quello che si stava chiedendo anche lui.

Non lo so, non capisco...non capisco davvero cosa stia succedendo, non solo adesso...” il ragazzo si passò una mano tra i corti ricci castani, mentre i problemi che aveva accantonato per un attimo il giorno prima riaffioravano a uno a uno.

I salti nel tempo, la mia vita, quella di Lovino, io...”

Tutta quella sorta di magia Antonio si era risolto a considerarla un miscuglio di strane cose buone. Eppure c'era una vocina sottile che piano, seppure insistentemente, iniziava ora a suggerigli che potesse esserci qualcosa di inquietante in tutto ciò.

Ma...! Non era il momento per mettersi a pensare.

Sì, sì, Antonio lo sapeva che doveva riflettere di più; tuttavia infondo non credeva che avrebbe mai applicato la filosofia “prima pensa poi parla”.

Non poteva negare la persona che era sempre stata e che era: l'istinto dominava in lui, e ora l'istinto era la forza la quale gli imponeva che, piuttosto che il proprio destino, c'era una cosa più importante da mettere in chiaro: la sorte di Lovino.

In un passo azzerò la distanza che lo separava da Jeanne; con decisione portò le mani sulle spalle della ragazza; adesso gli sembrava un poco più concreta di una semplice essenza.

Era davvero lì con lui; d'accordo, quel dialogo si stava svolgendo tutto nella testa di Antonio, ma ciò non impediva che fosse per questo meno vero.

Senti, Jeanne” disse con la voce ripulita da ogni incertezza, “se questi eventi strani riguardano solo me, allora va bene, non mi importa, posso continuare a fare lo scemo e a essere spazzato via da un anno all'altro per quanto vuoi...volete...insomma! Ma una cosa l'ho capita, e cioè che in qualche modo anche Lovino è coinvolto...quindi devi dirmi cosa devo fare”

Fissò la ragazza negli occhi coronati dalle lunghe ciglia, cercando di infondere nello sguardo tutta la serietà che poteva. Quando si parlava di Lovino, non si poteva tentennare.

Sulla vita di quel ragazzo Antonio non avrebbe permesso che si dubitasse!

Lo so che se mi sei apparsa adesso, un motivo c'è, Jeanne. Sono anche sicuro che sei qui per darmi una mano, per aiutarmi a capire. E allora parla. Perché?”

Jeanne sorrise; nonostante fosse ben più che graziosa, non c'era niente di fragile in lei. Piuttosto, aveva tutta l'aria di essere la persona più forte che potesse esistere al mondo.

Benissimo, è così che ti voglio: risoluto. Hai iniziato credendo che con i dubbi non si andasse da nessuna parte, non è vero? Allora perchè esitare proprio ora? Meglio continuare a essere impulsivi, ma coerenti fino alla fine” disse, incrociando le braccia.

Condivido” annuì lui.

Jeanne allora chiuse gli occhi, sfoderando un sorriso dolce ma aggrottando le sopracciglia.

A quel punto Antonio iniziò a chiedersi se non avesse parlato con puro sarcasmo per prenderlo in giro.

Sconsiderato fino al midollo...sì, adesso capisco cosa intendeva Francis quando parlava di te nelle sue preghiere. Ma sei fatto così, e d'altronde sarebbe un male cambiarti, c'è qualcuno che ha bisogno di te proprio così come sei. Adesso ascoltami attentamente, Antonio”

Il ragazzo annuì, nella testa risuonava il “tu stai a sentire, ma non ascolti, e quindi, da bravo coglione, non capisci” di Lovino.

Sarò chiara, voglio dirtelo subito: io non posso spiegarti tutto perchè non centro assolutamente nulla con la tua storia. Sono stata scelta come messaggero proprio perchè estranea ai fatti”

Va bene, una cosa in meno da considerare, allora.

Si era pensato che avresti potuto riconoscermi comunque, invece a quanto pare non è stato così...sono dovuta addirittura apparirti in sogno per indirizzarti sulla giusta via, ma non importa” aggiunse con una strizzata d'occhio Jeanne.

Anzi, lo sai...sono contenta perchè grazie a questo ho potuto incontrati di persona e...credo di aver capito cosa ci ha trovato in te, Francis”

Di nuovo, nel nominare l'amico comune, l'espressione della ragazza di era trasformata, caricandosi di un velo più affettuoso ma più distante, come se Jeanne stesse pensando a un qualcosa lontano anni luce da lei. Mordendosi le labbra, continuò:

Sei un ragazzo stupendo, Antonio, e hai un gran cuore. Saresti in grado di donarlo tutto quanto a qualcun altro, e sei degno di lode per questo, perchè molti non si offrono al prossimo per paura di rimanere feriti. Ma questo non è il tuo caso...tu sei diverso, perchè non temi di rimanere scottato dagli altri...già lo sai, non è così?”

Lo sapeva?

Forse sì, forse era solo questione di ammettere finalmente che...

Hai tanta paura di ferirti da solo, con le tue stesse mani, e per questo tendi a seppellirti tutto dentro, finché non cadi nell'oblio”

Oh...

Si, era così.

Tutte le volte in cui era rimasto da solo a ingoiare amarezze e lacrime e delusioni...sempre a convincersi che bastava non pensarci più, alle cose brutte, bastava andare avanti mettendo da parte i dispiaceri...e in questo modo alla fine aveva sempre dimenticato...forse però aveva dimenticato fin troppo.

Devi ricordare, adesso” sentenziò a conferma di quei pensieri Jeanne.

Come ti ho già detto, devi fare chiarezza nella tua mente. Cerca di ricordare”

Mi farà male” constatò Antonio. Si stupì immediatamente di cosa la propria voce avesse detto ancora prima che il cervello avesse realizzato quella conclusione.

Certo che ti farà male! Ti sei impegnato tanto per dimenticare, rivangare tutto non sarà affatto semplice” disse lei, portandosi le mani sui fianchi.

E ora su, basta dormire! E' il momento di svegliarsi”

Aspetta! Aspetta, ricordare va bene, ma che cosa?” si affrettò Antonio.

Pensi che te lo dica io? Sono estranea hai fatti, no? Allora, svegliati...”

Un'altra cosa, Lovino...”

Niente paura, lui starà bene...è forte, lo sai. Se verrai a capo di tutto, anche lui ne ricaverà del bene...ora però apri gli occhi...”

Ancora una cosa...Francis! Cosa devo dirgli...?”

Nulla! E' mattina ormai...”

Forse gli farebbe piacere sapere di te...”

Mont Saint-Michel è meraviglioso a quest'ora del giorno...E' già mattina! Svegliati...adesso”

 

 

 

Quando aprì gli occhi, Antonio credette di stare ancora sognando.

Dell'incontro avuto in una qualche parte del suo essere con l'angelica Jeanne aveva chiara la percezione e il ricordo.

Pure sapeva che, dopo la tombola della sera prima, era caduto subito tra le braccia di Morfeo e la passeggiata per le bancarelle in città era stato parte del suo sogno.

Eppure, Lovino accoccolato sul pavimento ai piedi del divano, con la testa appoggiata sul cuscino a pochi centimetri dal suo viso, ad Antonio non sembrava poi tanto reale.

Certo, i lineamenti erano quelli bellissimi del vero Lovino; tuttavia, se anche si fosse trattata di una sua mera fantasia, Antonio dovette ammettere di aver lavorato bene con l'immaginazione, perchè quel Lovino da sogno gli faceva battere il cuore tanto quanto quello reale.

Aveva pure le sopracciglia inarcate nel sonno; forse stava avendo un incubo o più semplicemente il suo fisico protestava per la scomoda posizione, a metà tra il pavimento e il divano.

Nonostante Antonio avesse capito di adorare tutto di Lovino, perfino le smorfiette, volle concedersi il lusso di poterselo rimirare con un'espressione tranquilla una volta tanto.

Quindi, come aveva già fatto in passato (ed era proprio il caso di dire “passato”), poggiò l'indice tra la fronte e il naso di Lovino, per appianare quelle rughette di disappunto in cui si era piegata la pelle.

Bastò quel tocco perchè gli occhi di Lovino si aprissero, vagamente assonnati; forse anche lui stava credendo di sognare.

Nessuno disse nulla; non c'era altro suono che quello dei loro respiri.

L'aria profumava di dolcezza.

Antonio si stupì di come la propria mano rimanesse ferma mentre lui dentro si sentiva tremare.

Eppure c'era qualcosa di giusto nel restare in questo modo, vicini fisicamente, uniti emotivamente.

Ad Antonio sembrò quasi come di stare abbracciando Lovino anche se in realtà non era così; ma la sensazione era proprio quella di una stretta avvolgente, calda, dolce.

Era talmente bello, talmente bello, talmente bello...

Lo spagnolo fece scorrere la punta del dito sul bel naso all'insù di Lovino, tracciandone il profilo, piano, per evitare di rovinare tutto ma anche per godersi di più il momento.

A un certo punto però si fermò, sgranando gli occhi, poi assottigliandoli, cercando qualcosa che mancava...

Sono sparite” disse dopo un po'.

Cosa?” soffiò Lovino con la voce roca.

Le lentiggini sul naso. Eppure ce le avevi, sono sicuro...le avevo viste sul treno, e anche quella volta dei tuoi sedici anni quando ti eri steso accanto a m...”

Te n'eri accorto?!” scattò l'altro, alzandosi improvvisamente a mezzo busto.

Certo che sì. Peccato che siano sparite, erano carine, ti stavano bene. Ma forse succede con la crescita...”

Non intendevo quello!” sbraitò Lovino, scacciando l'aria con le mani.

Ah! Parlavi della sera in cui mi hai trovato e poi trascinato a casa tua! Sì, nel dormiveglia ti avevo visto accanto a me sul pavimento, credo...ma poi la mattina te n'eri andato”

L'altro gracchiò qualcosa di incomprensibile, colpendosi forte la fronte con una mano.

Non capisci un cazzooooo...anzi, sono io quello coglione! Oddio voglio morire...figlio di puttana, waaaah...”

Ecco che se ne va di nuovo...dai Lovi, torna qua!”

Antonio allungò la mano, alzandosi a sedere.

Di nuovo, era stato un altro giro sulle montagne russe.

Tanto non fa niente se dormiamo insieme, no, Lovi?”

No?

...Eh sì, qualcosa faceva, Antonio lo sapeva benissimo.

O per lo meno, qualcosa a lui faceva sicuramente. Perché mai, mai in tutta la sua vita si era sentito bene come quando era rimasto accanto a Lovino, quando l'aveva sfiorato, quando aveva sentito il calore della sua pelle. Quel ragazzo era come un uragano, ma i momenti tranquilli passati con lui erano davvero impagabili...e sinceramente Antonio sentiva di non poter fare più a meno neanche delle sue sfuriate senza senso.

Aveva bisogno di lui...quanto aveva bisogno di lui!

Ora come non mai, dopo l'esperienza abbastanza sconvolgente delle rivelazioni che aveva avuto in sogno, tutto ciò che desiderava era starsene un altro po' con Lovino, guardarlo negli occhi, stringerlo magari a sé.

Perché Antonio di Lovino ne era innamorato per davvero.

Ma c'era una sorta di incomunicabilità tra loro due che si stava rivelando più ostica del previsto. Se prima Antonio era rimasto incuriosito dalle stranezze dell'altro, che lo avevano spinto a volerlo conoscere nonostante non lo capisse, ora che si era scoperto innamorato non era poi così stimolante vedersi respinto senza comprenderne il motivo.

 

 

 

Per tutto il resto della mattina Lovino si rifiutò di parlare con Antonio. Ciò nonostante non mancò di esternare i suoi sentimenti poco cordiali nei confronti dello spagnolo, sbuffando ogni cinque secondi e arrabbiandosi con lui per un nonnulla. Bastava usare la formula “Feliciano, lo sai che...” per poter insultare Antonio in tutti i modi possibili senza parlare direttamente con lui.

Feliciano, lo sai che tuo fratello è diventato uno stramaledetto postino? Infatti adesso se ne va a consegnare una lettera del cazzo come puro atto di carità, senza ricavarne un fico secco” gridò in faccia ad Antonio.

Lui alzò gli occhi dal tavolinetto del salone su cui si era piegato per scrivere; aveva voluto aggiungere in tutta fretta una piccola postilla nella lettera per Francis. Lovino non gli diede neanche il tempo di mostrargli l'espressione più dispiaciuta che fosse in grado di fare (benché non avesse chiarissimo il motivo dell'arrabbiatura, non poteva fare a meno di apparire triste), che gli sfilò sgarbatamente dalle mani foglio e busta per poi fiondarsi fuori casa.

Il rumore della porta sbattuta fu come quello di un cazzotto in faccia.

Antonio sospirò, schiacciando il viso contro il vetro del tavolino, lo sguardo rivolto verso il corridoio vuoto dove poco prima era passato Lovino.

Si sentiva un po' scoraggiato; l'ultima sfuriata non c'entrava più di tanto...dietro a tutto c'era un problema di fondo: era pazzo di Lovino, ma che cosa provava invece lui nei suoi confronti?

Un po' credeva di piacergli.

Infondo si erano quasi baciati, e se poi Antonio per poco non ci aveva guadagnato un labbro spaccato, be', era stata solo una casualità...il pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se Feliciano non li avesse interrotti lo tormentava come una puntina infilata sotto la suola della scarpa, una di quelle che non riesci a staccare neanche con un cacciavite.

D'altra parte i comportamenti di Lovino erano ambigui e difficili, e tra una testata e un insulto, ad Antonio era venuto il dubbio che quel po' di affetto che reputava Lovino provasse per lui fosse tutto frutto della sua immaginazione.

Non pretendeva che Lovino fosse innamorato di lui...ma certo non poteva negare che gli sarebbe piaciuto un mondo se avesse ricambiato i suoi sentimenti.

Se avesse provato per lui anche solo la decima parte di quanto Antonio sentiva, gli sarebbe andato bene.

Perché si stava innamorando così tanto, ma così tanto, che quell'amore sarebbe stato sufficiente per tutti e due.

A quel punto Antonio alzò la testa e sbatté le mani sul tavolinetto. Aveva deciso: avrebbe scoperto cosa Lovino pensasse di lui.

Piano, senza forzature, perchè quello che stava succedendo tra loro due era qualcosa di così naturale e fragile, un sentimento meraviglioso, il più bello che Antonio avesse mai sperimentato. E nonostante la sua unicità, lo spagnolo sentiva ora quasi come ovvio il fatto che lo amasse. Lui lo amava, Lovino! Era naturale, era più che normale, non poteva essere diversamente!

E magari, se Antonio a lui non piaceva abbastanza, avrebbe provato a farsi amare un po' di più.

Era disposto a farsi largo nel cuore dell'altro e a trovarci un posticino anche a suon di lividi...ne valeva sul serio la pena.

Ormai era risoluto nella decisione presa.

Antonio era convinto che fare la corte a Lovino non sarebbe servito a nulla. D'altronde, non era un grande stratega amoroso, lui. Si era sempre limitato a comportarsi come meglio sapeva fare, seguendo il suo cuore senza nessun piano prestabilito.

Avrebbe fatto così anche sta volta...avrebbe detto a Lovino che lo amava lui per primo, così sarebbe stato più facile ottenere una risposta.

Quindi non perse tempo, e quando poco dopo Lovino rientrò in casa, Antonio partì alla carica, andando subito ad accoglierlo all'ingresso.

Ottima occasione quella per un abbraccio del ben tornato, pensò, e avvolse l'altro tra le sue braccia dandogli appena il tempo di chiudere la porta.

Ma che cazzo stai facendo?!” fu la prevedibile reazione dell'altro, che rimase immobile, schiacciato tra l'ingresso e il torace di Antonio.

Ti saluto con un abbraccio” rispose candidamente, appoggiandogli il viso sulla spalla. Profumava...profumava di Lovino.

Ti chiedo scusa per qualunque cosa ti abbia fatto. Ti prego, non essere arrabbiato con me”

Antonio sentì l'altro irrigidirsi contro di lui. Eppure allo stesso tempo era così caldo, come se il suo corpo lo stesse invitando a tenerlo ancora più stretto.

Mi chiedi scusa solo per tenermi buono ma non hai la più pallida idea di cosa hai sbagliato” sentenziò Lovino.

Esatto”

Allora sono scuse fasulle, imbecille!”

Non gridare...comunque non sono fasulle per niente. Mi dispiace davvero se ti ho fatto arrabbiare. Sono sincero”

Antonio, senza lasciare la presa sull'altro, alzò il viso per poter poterlo guardare e rivolgergli un sorriso speranzoso. Lovino al contrario guardava da un'altra parte, ma non sembrava più tanto arrabbiato.

Lo so che sei sincero” biascicò. “Lo sei per forza, non hai abbastanza cervello per mentire, è troppo difficile per un imbecille come te”

Evviva, il gatto selvatico era stato acquietato! Antonio colse la palla al balzo, districando solo allora Lovino dal suo abbraccio.

Ho un'idea...ti va di uscire, Lovi?”

Infondo poteva farlo. Anzi, doveva farlo: era stata o no Jeanne a suggerirgli che non sarebbe piovuto per un po'? Doveva essersi trattato di un incoraggiamento ad uscire all'aperto senza preoccupazioni.

Del resto, se il suo compito si era rivelato quello di ricordare, Antonio era convinto che sarebbe stato più facile se avesse visto e fatto cose diverse; era molto meglio che starsene chiuso in casa, cosa che di certo non gli sarebbe stata di grande aiuto.

E se poi non avesse risolto l'enigma dei suoi ricordi con quell'uscita, be', che importava ora?

Era davvero così urgente?

Antonio adesso voleva andarsene un po' a spasso con Lovino e basta.

Ti rendi conto che sono appena rientrato, vero, stronzo?” disse lui, lo sguardo assassino.

Sì...ma dai, tanto non c'è altro da fare in casa”

Invece ci sarebbe qualcosa da fare fuori?”

Sì! Ecco, c'è...c'è da...” iniziò Antonio, prendendo tempo. Perché non gli veniva mai in mente una buona scusa quando serviva?

Più che altro, perchè gli serviva una scusa per uscire con Lovino? Già era pronto a dirgli “voglio stare semplicemente un po' con te”, quando Lovino intervenne.

Senti un po', hai...hai intenzione di continuare ad andartene in giro con quei vestiti osceni, eh, bastardo?”

Antonio, per riflesso condizionato, esaminò il proprio vestiario dalla testa ai piedi; aveva già pensato prima che quell'abbigliamento non fosse il massimo per l'anno in cui si trovava; del resto, anche nei suoi anni '90 quelli erano vestiti di seconda mano. Un po' in disappunto, spostò lo sguardo su Lovino, che indossava un elegante cappotto nero a cui aveva abbinato una sciarpa bianca che gli illuminava la carnagione.

La gente ti scambierà per un pazzo o per un poveraccio in canna se continuerai ad andare in giro conciato così” disse quello, senza preoccuparsi di mascherare il disprezzo.

Piuttosto che pensare a come perdere tempo, è della tua immagine che dovresti preoccuparti”

Antonio fu tentato di sentirsi un po' vergognoso, ma della sua immagine non è che glie ne importasse così tanto.

La sua attenzione era stata invece catturata dalla reazione di Lovino: sembrava che gli avesse appena suggerito lui stesso una scusa valida, anche se pensare che quello fosse un velato invito ad uscire era troppo bello per essere vero.

Allora facciamo così, accompagnami per negozi e aiutami a scegliere dei vestiti nuovi” dovette proporsi a quel punto Antonio.

Ovviamente poi dovrei anche pagarteli io” fece notare Lovino, acido.

Certo, c'era sempre il problema dei soldi.

E' la seconda volta...la seconda volta, ti rendi conto, che mi inviti ad uscire tu ma poi fai pagare me! Pidocchio!”

Oh...”

Sei furbo...ti sei scelto proprio un ragazzo giovane e ricco a cui venire a rompere le palle a distanza di anni. Quasi non lo so più fino a che punto ti si possa definire coglione. Ma piuttosto che sagacia, credo che la tua sia solo fortuna sfacciata...che razza di stronzo!”

Lovino era irritato ma non particolarmente fuori dai gangheri. Un tenue rossore era comparso a colorargli le guance. Non attese una risposta per uscire di nuovo di casa, camminando piuttosto in fretta e furiosamente.

Antonio si aprì in un sorriso di vittoria prima di seguirlo a ruota.

 

 

Rimasero fuori per diverse ore e quello fu l'appuntamento più bello che Antonio avesse mai avuto, se appuntamento si poteva definire. Il ragazzo provò più volte ad afferrare la mano di Lovino, che riuscì sempre a svincolarsi e arrivò a pizzicargli forte il dorso della sua. Antonio ci riprovò un'altra volta facendo notare a Lovino quanto le sue mani fossero fredde; a quel punto il più giovane lo lasciò fare, ma poco dopo se le infilò direttamente in tasca, rompendo la beatitudine di Antonio.

Come aveva pensato, Lovino si rivelò avere un ottimo gusto in fatto di abbigliamento. Scelse lui tutti i vestiti nuovi di Antonio: un paio di jeans scuri, un maglione grigio che gli stava benissimo, un piumino nero dal taglio alla moda e una sciarpa della stessa tonalità verde dei suoi occhi. Aveva anche un ottimo fiuto per gli affari; scovava le offerte migliori e poi gli bastava flirtare con le commesse per ottenere sconti su sconti.

Difronte alle ragazze sei quasi un'altra persona” notò con una punta di fastidio Antonio.

Ci so fare” scrollò le spalle Lovino.

Era ormai pomeriggio inoltrato e i due ragazzi, che erano usciti a piedi, avevano ripreso la via di casa. Parlavano tranquillamente da un po', senza che nessun battibecco avesse rovinato l'atmosfera.

Sono tante le cose in cui ci sai fare” disse Antonio, un po' sognante.

E tu che ne sai?” disse l'altro con diffidenza.

Antonio sorrise.

Be', ormai un po' di cose di te le ho capite. Innanzitutto, sei un asso in cucina. La cena di ieri sera per esempio è stata davvero favolosa. Scommetto che ti piace da matti, cucinare”

Mi piace” ammise Lovino, “e lo so che sono bravo”

Allora dovresti prendere la cosa più seriamente. Non hai mai pensato di poter fare il cuoco o qualcosa del genere?”

Non so...” accennò Lovino.

La faccia però era quella di una che ci aveva pensato, eccome.

Aprire un ristorante, magari! I soldi ce li hai, l'hai detto tu, il talento non ti manca, e neanche il fiuto per gli affari, ho visto! Potresti farlo benissimo se ti ci impegni”

Forse...”

E non è finita qui” riprese Antonio.

Non aveva assolutamente voglia di stare zitto; era felice che quell'argomento fosse saltato fuori, perchè da tutto quello che aveva capito e da ciò che gli aveva detto Feliciano, era chiaro che Lovino si sottostimasse decisamente troppo. C'era solo bisogno che qualcuno gli ricordasse di cose fosse capace!

Ci sono altre cose ancora che sai fare bene: sei un ottimo fratello maggiore, per esempio”

Lovino lo fissò dritto negli occhi, mostrando il viso attraverso le buste degli acquisti che teneva tra le braccia.

Ho parlato un po' con Feliciano e lui ti adora. Se ti vuole così tanto bene, un motivo c'è. E poi...” quand'era che si erano fermati? Antonio nemmeno se ne era accorto, “...poi sei sincero. Sei schietto, dire quello che pensi sì che ti riesce bene!” esclamò, sorridendo verso il cielo.

E farmi stare bene...anche quello lo sai fare”

Finalmente ci era arrivato.

Era quella la strada giusta per dire a Lovino quanto fosse speciale e importante per lui. Non poteva fare a meno di sentirsi emozionato da impazzire, eppure la sua voce suonava per contrasto ferma e decisa. Infondo quelle erano tutte cose che pensava sinceramente e con la tenerezza più assoluta, e non se ne vergognava.

Non so se lo sai, ma hai fatto tanto per me. Mi hai fatto ridere e mi hai fatto venire voglia di interessarmi a te...dopo tanto tempo in cui non mi interessavo nemmeno di me stesso”

Nel parlare così, si stava sentendo bruciare di passione e d'amore; ma Lovino non dava neanche segno di stare ascoltando e l'espressione del viso era quanto di più indecifrabile potesse esserci.

Sei riuscito a farmi affrontare un dispiacere che ho sempre cercato di evitare” continuò imperterrito Antonio, tentando di non dimenticare nulla, di ascoltare al massimo quello che il suo cuore gli suggeriva, “e ce l'hai fatta pure a farmi sentire un po' meno inutile, dopo. Con te, mi sembra di avere qualcosa di giusto da fare, di aver trovato il posto giusto dove stare. Tu...Lovino, tu mi piaci”

Non seppe proprio dirlo meglio di così.

Tu mi piaci per davvero, tanto. E io ti...”

Da quando? Da quand'è che ti piaccio?” lo interruppe bruscamente Lovino. Aveva uno sguardo stranamente duro e la voce secca.

Non...non saprei dirti con precisione” disse Antonio, grattandosi la testa, chiedendosi perché gli avesse fatto quella domanda proprio ora.

Quando ero piccolo, mi volevi bene?”

Sì” disse l'altro di slancio, con sicurezza; subito per quel bambino con le guance arrossate aveva provato una forte simpatia, un affetto spontaneo. E quando l'aveva conosciuto solo un pochino meglio non aveva potuto fare a meno di volergli bene.

Quando ero ragazzino, volevi stare con me?”

Certo che sì!”

Oh, dal primo istante in cui aveva incrociato di sfuggita gli occhi verde oliva del giovane alla fermata dell'autobus, aveva voluto averlo per sé...

In quel momento, Antonio realizzò come non avesse fatto altro che pensare a Lovino per tutto quel tempo; quando era ragazzo fremeva dalla voglia di conoscerlo meglio, quando era bambino si chiedeva come sarebbe stato da grande. Non aveva fatto altro che pensare a un Lovino grande anche quando stava con un Lovino piccolo!

Quella persona popolava la sua mente dal primo attimo in cui era cominciata la loro storia.

Ma l'oggetto dell'amore di Antonio non stava dicendo nulla per dimostrarsi concorde con quelle idee.

Certo, quello avrebbe coronato ogni più rosea aspettativa che lo spagnolo avesse osato fabbricarsi nel più profondo di sé, in un luogo in cui gli piaceva illudersi con scenette in cui il suo Lovi gli saltava con le braccia al collo.

Il lato un po' più pratico della coscienza di Antonio gli aveva però suggerito come una testata nello stomaco sarebbe potuto essere l'esito più probabile della sua dichiarazione.

Invece, niente di tutto ciò era accaduto.

Lovino gli aveva addirittura...appena voltato la schiena?

Così, senza mostrargli il viso, con voce lapidaria, soffiò:

Ti odio”

Lo disse con una freddezza tale da sembrare una persona completamente diversa dal ragazzo sboccato e iroso che Antonio conosceva.

E, senza aggiungere altro, aveva ripreso a camminare.

Ne' disse un'altra singola altra parola, nonostante lo spagnolo lo richiamasse, lo invitasse ad aspettarlo, gli chiedesse se qualcosa l'avesse per caso offeso...ma niente, lui continuava a dargli le spalle.

Ora più che mai, Antonio non capiva. Sentiva un grande affanno alla bocca dello stomaco: aveva forse rovinato tutto?

Sentire quella sua dichiarazione aveva schifato Lovino a tal punto da volergli negare persino la parola!

Doveva

davvero

odiarlo

così

tanto...

 

Tornarono nel silenzio più imbarazzato e difficile a casa Vargas, dove Lovino si chiuse in camera sua, ancora immerso in un caparbio mutismo.

Non era certo la reazione che Antonio si sarebbe aspettato! A quel punto sarebbe stato molto meglio ricevere una testata in pieno stomaco.

Un grosso senso di insoddisfazione si impadronì di lui.

 

La giornata terminò così, con Feliciano di ritorno nel salone dopo aver portato la cena in camera al fratello. Ad Antonio parve che lo guardasse con una certa pietà negli occhi; forse Lovino gli aveva raccontato come gli si fosse pateticamente dichiarato e di due ci avevano fatto una bella risata sopra.

Ti va di fare due chiacchiere, Antonio? Devo dirti una cosa” disse Feliciano, un po' a riconferma dei suoi sospetti. “Magari davanti a una bella spaghettata del dopo cena! Sì? Allora vado subito in cucina!”

Lo spagnolo aveva accettato prontamente; nonostante non avesse la minima intenzione di far pietà a uno più giovane di lui, il fratello di colui che tra l'altro l'aveva appena respinto, aveva proprio voglia di sfogarsi.

Inoltre il dolce Feliciano non l'avrebbe mai preso in giro. Casomai avrebbe potuto dargli qualche consiglio! La prospettiva già aveva risollevato l'umore di Antonio.

Non era disposto a scoraggiarsi per così poco...non per un semplice rifiuto! Neanche per due o tre o quattro o...be', magari era meglio fermarsi a un rifiuto solo.

E se Lovino non voleva rivolgergli la parola, allora ci avrebbe pensato Antonio a parlare: gli avrebbe detto ti amo, ti amo, ti amo, l'avrebbe detto alla porta della sua camera se non voleva aprirgli, ti amo, avrebbe detto, ti amo e anche se tu non provi lo stesso, anche se mi odi, ti amo comunque.

Così tanto che mi fa stare male.

Così tanto che mi fa stare bene.

Già Antonio si era alzato per dirigersi al piano superiore verso la stanza di Lovino, quando, in quel momento, qualcuno suonò alla porta guastando i suoi piani.

Chi mai poteva essere a quell'ora? Magari qualche amico del più giovane Vargas venuto a portare gli auguri di buone feste. Di chiunque si fosse trattato, Antonio pensò di liquidarlo in fretta per poter raggiungere subito l'adorato ragazzo che lo detestava. In tre falcate aveva già attraversato l'ingresso; aprì la porta senza chiedere chi era.

Davanti a lui, trovò Francis.

Immediatamente

Antonio

fu assalito

da una prepotente voglia

di mettersi

a

piangere.

Più vecchio, avvolto in un bel cappotto blu scuro, il biondo dei capelli leggermente più spento, la barba un poco più folta, alcune piccole rughe insolenti intorno agli occhi, era proprio Francis Bonnefoy, l'amico più caro.

Per assurdo, a sfoderare l'espressione maggiormente stupita tra i due era proprio Antonio, sebbene l'altro fosse rimasto immobilizzato con il dito ancora sul campanello.

Francis” soffiò lo spagnolo, sentendosi gli occhi inumidirsi, sentendosi a casa.

Il francese gli appoggiò piano una mano sulla guancia, muovendola lentamente in più punti del viso, quasi come un cieco che riconosce l'amico toccandone i lineamenti.

Dopo poco sgranò anche lui gli occhi cerulei, sospirò, si scostò una ciocca ribelle dal volto portandosela dietro l'orecchio in uno dei suoi soliti gesti affascinanti.

Sei sempre lo stesso” gli disse Antonio, con la voce che tremava.

Parla per te” sbottò Francis, altrettanto commosso, “non sei invecchiato neanche di un giorno”

Detto questo, si fiondò ad abbracciare forte Antonio e represse alcuni singhiozzi contro la sua spalla. Lo spagnolo dovette trattenersi per non scoppiare a piangere sul serio.

C'era Francis adesso; la sua sola presenza lo faceva sentire bene; le cose d'ora in poi sarebbero miglio...

Ma dov'eri finito?” gli disse con voce roca nel suo forte accento di Parigi.

...in che senso dov'era finito?

Il francese di asciugò rapidamente i lacrimoni e afferrò con forza le spalle dell'amico. In risposta allo sguardo interrogativo di Antonio, negli occhi aveva un'espressione strana, severa, cupa.

Antonio, non ti vedo da tantissimo tempo! Sei sparito nel nulla...sono quindici anni che sei sparito!”

 

 

 

 

 

 

***







 

 

 

 

 

E contro ogni mia previsione sono riuscita ad aggiornare a una settimana precisa di distanza...evviva xD vi informo che intanto la storia è leggermente lievitata di un capitolo...siamo agli sgoccioli e non vi nascondo di essere un po' emozionata >w<

Questa volta Antonio è davvero partito alla carica...è difficile ma non arrenderti, Tonio >w< l'ospite speciale del capitolo è stata, ovviamente, Jeanne. Ecco, con lei credo di essere caduta un po' nell'OC con la caratterizzazione, spero che non vi infastidisca...ma io l'ho sempre vista come una figura forte, con pochi fronzoli ma comunque femminile. E finalmente entra in scena Francis in tempo reale...non vedevo l'ora di muoverlo insieme ad Antonio *-*

Va bene, per ora è tutto. Ringrazio sempre tutti quelli che leggono e che passano a lasciarmi una recensione, non finirò mai di dire quanto la cosa mi sia d'aiuto :3 alla prossima<3

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Capitolo 9
*** 30 e 31 Dicembre 2011 ***


Francis Bonnefoy era un bell'uomo sulla quarantina dall'aspetto piacevole e curato. Non era poi tanto diverso dal ragazzo di ventisei anni che si divertiva a rimbeccare ogni volta i suoi amici, sottolineando quanto fossero tristemente privi di buon gusto nel vestire.

Il tempo era stato magnanimo con lui; sembrava una specie di affascinante divo del cinema con quelle rughette intorno agli occhi, unico segno identificativo più apparente della sua età.

Sembrava che Francis si fosse predetto da solo quella sorte; era sempre stato sicuro del suo aspetto esteriore, fin troppo a dirla tutta, e una volta, quando vivevano ancora insieme, aveva detto ad Antonio e Gilbert:

“Vedrete miei cari, sono sicuro che il sottoscritto, a forza di bere del buon vino, invecchiando farà la sua stessa fine”

Antonio, che si divertiva un mondo quando Francis faceva sfoggio della sua parte più vanitosa, era rimasto in silenzio, mentre il tedesco, seduto a gambe incrociate sul tappeto, non si era lasciato sfuggire l'occasione per una delle sue battutine di pessimo gusto che facevano ridere solo lui.

“Se farai la stessa fine del vino, allora diventerai acido come l'aceto? Sei sulla buona strada, comunque”

Al che Francis aveva sfoderato un ghigno gemello a quello che illuminava di solito il viso di Gilbert, rispondendogli:

“No, spiritoso, intendevo dire che invecchiare non potrà che farmi bene”

In effetti, persino adesso che stava fissando Antonio con l'espressione carica di una certa ansia, gli occhi leggermente stretti come a voler esaminare meglio colui che aveva difronte, senza essersi esibito in nessuna delle sue pose eleganti prefabbricate, Francis non aveva perso nemmeno un briciolo del suo charme.

Fu ciò che, stupidamente, venne da pensare allo spagnolo nel breve silenzio calato tra i due, dopo che il francese gli aveva detto che era sparito da quindici anni.

E ora Antonio se ne stava lì, con le braccia a penzolone lungo i fianchi e le labbra arricciate in una smorfia dubbiosa. Sarebbe rimasto così, immobile con il vuoto che gli rimbombava nel cervello, se Francis, in un gesto preciso e veloce, non avesse prontamente spostato una mano dalla sua spalla fino al suo fondo schiena.

Solo quando si sentì stringere proprio lì non tanto elegantemente dalla mano di Francis, Antonio saltò sul posto, dimenticando per un attimo lo stupore e sostituendolo con una buona dose di irritazione. Le vecchie abitudini erano, a quanto pareva, dure a morire!

DIOS, Francis! Ma che accidenti stai facendoooo?!”

“Scusa, scusa, ma dovevo assolutamente accertarmi che fossi proprio tu, mon cher” si giustificò Francis, portando le mani in alto.

“E avevi soltanto questo modo per farlo?” disse lo spagnolo, a metà tra il divertito e l'esasperato.

“E' il metodo infallibile, no? Il tuo sederino saprei riconoscerlo tra mille...così bello sodo!”

Improvvisamente Francis non sembrava avere proprio nulla di diverso dal ragazzo molto francese (Antonio non sapeva descriverlo meglio di così) che aveva appena rivisto nei suoi ricordi.

Con una mossa plateale il biondo sospirò, portandosi il dorso della mano destra alla fronte e la sinistra sul cuore.

“Avevo bisogno di una riconferma ma ora che ti ho palpato il sedere come ai bei vecchi tempi sono sicurissimo che sei tu! Oh, Antoniò!” disse, per poi fiondarsi nuovamente tra le sue braccia.

Antonio pensò che Francis si stesse comportando nel suo solito modo esagerato, enfatizzando gesti e parole come amava spesso fare. Eppure, senza neanche sforzarsi tanto, poteva sentire con quanta disperazione gli si stesse stringendo contro le spalle, le lunghe dita affondate nel suo maglione tanto da fargli quasi male.

Cercando di incontrare i suoi occhi, tentò di fargli alzare la testa allontanandolo lievemente da sé.

Non che non volesse continuare a ricambiare l'abbraccio; anzi, aveva un terribile bisogno di essere tenuto stretto stretto da qualcuno che gli volesse bene, e Francis era sempre stato così bravo a farlo sentire amato!

Ma era chiaro che la reazione dell'amico, per quanto gradita, fosse stata esagerata in modo stonato. Era come se Francis si stesse sforzando con tutto se stesso di apparire meno sconvolto di quanto non fosse...Antonio poteva dirlo perchè, pur non essendo un tipo particolarmente sensibile, conosceva Francis come le sue stesse tasche.

Inoltre, le mani dell'altro che tremavano non lasciavano dubbi sullo stato emotivo in cui si trovasse.

Ma Antonio, per quanto stravolto e pallido, era lontano dal sentirsi un fantasma di ritorno dall'oltretomba come doveva sembrare adesso a Francis.

In quel momento, davanti al portone di casa Vargas, l'incontro che aveva tanto desiderato col suo migliore amico era sì stato strappalacrime come se l'era immaginato, ma aveva generato più dubbi che altro. Bisognava chiarire la situazione.

“Francis” chiamò quindi Antonio, portandogli le mani in faccia, “Francis, che cos'è che hai detto poco fa? Ho bisogno di sapere che piega hanno preso le cose, è importante”

L'altro alzò finalmente la testa, il viso era ormai una maschera di tristezza.

“Ti ho detto che sei stato...” iniziò con voce incerta.

Poi però si fermò per un secondo, si riprese subito dopo e piegò le sopracciglia con aria di stizza, le labbra si storsero in un sorrisetto scocciato e Francis scattò sul posto con energia, andando ad afferrare Antonio per i capelli.

“Sei stato uno stronzo a sparire da un momento all'altro senza dirmi nulla! E adesso te ne ritorni dopo quindici anni giovane e fresco come un ragazzino, mentre io sono dovuto invecchiare come un comune mortale e per quanto sia ancora un esemplare di maschio molto bello, non posso negare che gli anni siano passati per me, dieu!” blaterò con agitazione.

“Ahi ahi ahi!! Lasciami i capelli accidenti!” sbraitò Antonio.

La presa dell'altro era sorprendentemente forte e pure un po' troppo vendicativa per uno che un attimo prima aveva tutta l'aria di essere affranto dal dolore. Lo spagnolo tentò di svincolarsi da quella specie di morsa e per allontanare l'altro, gli si attaccò alla barba, spingendogli in dietro la testa.

“Ma che ti prende adesso, mi stai prendendo in giro?!”

“Oh, mon cher”, sì, Francis aveva decisamente il tipico tono provocatorio da rissa da pub che riservava in genere per i suoi battibecchi con Kirkland, “dovrei essere io a chiederti se sia tutta una presa in giro, non ti pare? Non ti sembra che la situazione sia un tantinello surreale?”

Prima che Antonio potesse aprire bocca per ribattere, la voce cristallina di Feliciano arrivò da dentro casa.

“Antonio, chi era alla porta?”

In un attimo di panico, lo spagnolo fissò con orrore l'uomo che aveva davanti.

Per quanto il più giovane Vargas potesse aver percepito che c'era qualcosa di strano nella sua presenza lì (Antonio non poteva dimenticare quando gli aveva detto che non sapeva chi o cosa fosse), in quel momento più che di essere scoperto aveva paura per l'incolumità del ragazzo: nonostante Francis lo stesse guardando con un paio di occhi curiosi e innocenti da agnellino, Antonio tremava di paura immaginandosi una sagoma francese che volava addosso a un piccolo italiano tentando di abbracciarlo e baciarlo.

No, avrebbe dovuto assolutamente evitarlo! Senza contare che se Francis avesse provato per davvero ad allungare le mani su suo fratello, allora sì che Lovino non avrebbe perdonato mai e poi mai Antonio.

Per tutti questi motivi, Feliciano non avrebbe saputo della presenza del francese.

Dovevano andare via subito senza farsi vedere, prima che decidesse di raggiungerli all'ingresso!

“Non è niente di che, Feli” urlò quindi Antonio verso il corridoio, le mani ancora serrate sulla barba dell'altro, “è venuto a trovarmi un amico che avevo rivisto prima...e credo proprio che adesso me ne andrò via con lui”

“Ma...a quest'ora?”

La voce di Feliciano suonava genuinamente preoccupata e Antonio si affrettò, temendo di veder spuntare da un momento all'altro il suo buffo ciuffetto arricciato di capelli.

“Sì sì sì, ma è tutto apposto, non ti scomodare, starò da lui per sta notte e poi tornerò domani...sai, non ci vediamo da tanto tempo”

Detto questo guardò con fare allusivo l'amico, immobile con le mani affondate nei suoi capelli ricci, gli occhi blu piegati in un sottile divertimento, ma in qualche modo stanchi, forse anche un po' tristi.

“Non ci vediamo da troppo tempo, a quanto pare” aggiunse Antonio, piano.

“Ma...Antonio aspetta, dovevo dirti una cosa importante!”

I passi di Feliciano risuonarono distintamente e la voce si era fatta più forte: stava venendo loro incontro!

“Scusa scusa scusa Feli, me la dirai domani, va bene?” gridò lo spagnolo, e senza aspettare una risposta, sussurrò un “filiamo via” alla volta di Francis, lo prese per un polso e schizzarono fuori dal giardino di casa Vargas.

Dopo pochi metri il francese si portò in testa, facendo segno all'altro di seguirlo, guidandolo probabilmente, pensò Antonio, verso la macchina con cui doveva essere venuto fin lì. E infatti eccola parcheggiata laggiù l'auto scura dalla linea elegante di Francis, così adatta al suo proprietario ...che ora si scavava nervosamente nelle tasche in modo poco elegante.

Merde, ma dov'è la chiave? Ah eccola! Sali, sali! Non ho capito bene perchè, ma se dobbiamo scappare, meglio farlo come si deve” disse mentre salivano entrambi in macchina.

“Non volevo che quel ragazzo ti vedesse, avrei dovuto spiegargli cose che...non so spiegarmi neanche io” fece Antonio, tentando contemporaneamente di allacciarsi la cintura e chiudere lo sportello.

Francis intervenne in suo aiuto, piegandosi in avanti per aiutarlo con la cintura.

“E' carino, questo ragazzo?” chiese con pacato interesse.

“Anche per questo siamo scappati, ho voluto metterlo in salvo da te”

Francis sorrise, mise in moto, gli lanciò un'occhiata ammiccante che Antonio non capì.

“Quindi è lui la persona a cui ti riferivi nella lettera...cioè, altro che “riferivi”! Per la maggior parte non ho fatto che leggere di questo ragazzo che hai incontrato quasi per miracolo, che è legato a te da qualcosa che non sai cosa sia, questo tipo così difficile a cui tu tieni ma che...insomma Antonio, per certi versi mi è sembrata una specie di letterina d'amore, mi è parso che tu ti sia ricordato solo all'ultimo di specificare che eri vivo e che stavi bene e oh, guarda un po', che viaggiavi nel tempo”

Il sarcasmo di Francis venne percepito solo lontanamente dallo spagnolo, troppo concentrato sul suo cuore che batteva forte e un po' dolorosamente, forse per la corsa di prima, più probabilmente perchè stava pensando al suo Lovino e a come l'aveva rifiutato.

“Sì...cioè no, quello che ha parlato poco fa era suo fratello, ma...senti Francis, a proposito della lettera, io...”

Prima ancora di spiegargli ciò che doveva essergli sembrato pura fantascienza, prima di chiedergli della faccenda dei quindici anni, prima di tutto, c'era una cosa che premeva nel petto di Antonio; era un pensiero che scalpitava e che non poteva rimanere taciuto oltre.

“Mi dispiace Francis, mi dispiace, mi dispiace tanto. Non avrei mai voluto arrivare a nominare Jeanne solo per farti capire che ero davvero io il mittente di quella lettera. Lo so che è la cosa che ti fa più soffrire al mondo, io non...”

“Va tutto bene” lo interruppe Francis, una nota di dolcezza della voce.

“Mi dispiace tanto”

“Lo so”

Francis rimase in silenzio per un paio di secondi, mostrando un sorriso sincero, e per qualche attimo i suoi occhi blu luccicarono nel buio della sera.

“Oh, lo so che sei uno sciocco senza un briciolo di sensibilità e non te ne faccio una colpa per questo, assolutamente, sono abituato alle tue stupidate”, riprese, infierendo un po', “anzi...hai fatto bene a fare il suo nome, direi. Ammetto che all'inizio, leggendo le prime righe, ho subito pensato che fosse tutta opera del mio bruco...sai, uno dei suoi soliti giochetti idioti per tentare di convincermi dell'esistenza del magico lato oscuro e del mondo delle fatine”

Antonio capì subito che Francis si stesse riferendo ad Arthur Kirkland.

E non perchè avesse parlato di bruchi, fate e magia, quanto piuttosto per l'aria compiaciuta, divertita e leggermente intenerita che si era dipinta sul suo volto.

“Comunque” disse ancora il francese, “ho capito subito dopo che non era affatto uno scherzo, per quanto assurdo fosse quello che stavo leggendo, e che eri stato davvero tu a scrivermi...la tua calligrafia grossolana e la tua sintassi per niente lineare le riconoscerei tra mille, mon amie

Antonio sorrise proprio mentre Francis parcheggiava con un paio di manovre esperte davanti alla sua bella villetta. Erano arrivati senza che se ne fosse reso conto.

Gli eleganti alberi del giardino addobbati in azzurro e argento, le lucine bianche poste a coronare la porta...la casa dall'esterno era quasi identica a quella che Antonio aveva visto quella sera del 2005 che ora sembrava tanto lontana, e che in effetti lo era.

Solo un dettaglio gli fece leggermente storcere il naso: le luci natalizie grosse come lacrime che scendevano dal tetto che, per quanto graziose, ricordavano in modo poco rassicurante la pioggia.

“Non sono il massimo in questa situazione, vero?” fece Francis, ammiccando con il naso all'insù proprio verso quelle decorazioni.

“Se ho ben capito quello che hai tentato, maldestramente, lasciatelo dire, di spiegare nella lettera, quando piove tu...fai come dei...salti nel tempo? Accomodati, accomodati” disse, facendo strada dentro casa.

“Ma non sai il motivo per cui succede, non è così?”

“Esatto. Tutto quello che so è c'è una causa ben precisa, e che questa ha sicuramente qualcosa a che vedere con il ragazzo di cui parlavamo prima”

Francis gli lanciò un sorriso obliquo mentre lo fece sistemare accanto a lui sul un comodo divano bianco di pelle del salotto.

“E tutte queste cose tu le sai...fammi indovinare...perchè te lo ha detto il tuo istinto?”

Antonio rispose col più sincero dei sorrisi; come lo capiva al volo il francese, nessuno l'aveva mai capito.

Francis però emise un piccolo sbuffo e si coprì la fronte con una mano.

“Il tuo istinto...come no! Sei sempre sconsiderato fino al midollo, tu” disse, ripetendo l'esatta espressione usata da Jeanne quando gli aveva riferito che l'amico parlava così di lui, nelle sue preghiere.

In quel momento il cuore di Antonio si strinse; sia perchè sentiva di non aver mai voluto più bene di così al suo amico e contemporaneamente di non aver mai avuto più bisogno di lui; sia perchè non aveva certo dimenticato Jeanne.

Antonio si chiese se fosse il caso di riferire a Francis di quella specie di visione nella quale aveva parlato con la sua vecchia, amata amica.

Già gli era sembrato troppo nominargliela...d'altro canto, credeva davvero che magari al francese avrebbe potuto far piacere sapere che quella ragazza esisteva ancora davvero, da qualche parte.

Trovare le parole per esprimere quei concetti era difficilissimo, ma Francis tolse Antonio dall'impiccio introducendo lui per primo il discorso.

“Sei sconsiderato anche quando scrivi, il che è strano se pensi che è un'azione che richiede una certa dose di attenzione e buon senso. Invece scommetto che hai buttato giù tutto di getto...mi riferisco soprattutto a quel P.S... come diceva quella frasetta che hai aggiunto alla fine? ...Un'ultima cosa, ti sembrerà nulla ma forse è importante, forse, dimenticavo di dirti che qualcuno mi ha detto che Mont Saint-Michele al mattino è un luogo meraviglioso...”

Francis aveva parlato con gli occhi puntati al soffitto, la voce pensierosa e un po' vaga. In realtà aveva citato quella frase alla perfezione, parola per parola, come se l'avesse letta così tante volte da impararla a memoria.

Il suo sguardo si incatenò a quello di Antonio, intenso ma anche lontano, sereno.

Senza bisogno di altre parole o spiegazioni, Francis disse solo:

“L'hai vista, non è così?”

Lo spagnolo annuì.

“E com'era?”

“Dolce. Ma anche forte. Piccola, ma luminosa. Ha qualcosa...” si sforzò Antonio, “qualcosa di...”

“Qualcosa di unico” completò Francis. Si portò l'indice alla labbra, un'espressione divertita si andava ora dipingendo sul suo viso.

“Solo lei avrebbe potuto lasciare un messaggio così! Vedi, non l'avevo mai detto neanche a te Antonio, ma la prima volta che incontrai Jeanne fu una sera in cui me ne stavo a fare lo stupido con degli amici, davanti alla Fontana degli artisti...e la vidi tra la gente...una specie di apparizione! Come in un sogno mi feci largo tra tante facce sconosciute, subito la avvicinai e...cercai di abbordarla in tutti i modi. Mon dieu, a ripensarci adesso mi viene voglia di scavarmi una buca per la vergogna e restare sotto terra per sempre”

La mano di Francis era salita fino al naso e ora stava andando lentamente a coprirgli gli occhi, che teneva chiusi.

“Quella ragazza spiritosa ma per niente sciocca, simpatica ma dallo sguardo fermo...oh, il cuore mi batteva a mille. Chissà come, riuscii a tenerla per me per tutta la serata, fino a notte fonda, e avrei voluto continuare a passeggiare con lei fino all'alba o fino al giorno dopo ancora, ma non sapevo più che scusa inventarmi...per convincerla le dissi qualcosa come...avanti cherie, dobbiamo ancora vedere tante cose; per esempio, non lo sai quant'è bello Mont Saint-Michele alle prime luci del giorno...?”

Antonio si era ritrovato a sorridere nell'ascoltare quel racconto anche perchè era lo stesso Francis a parlare con voce pacata, tenendo gli occhi nascosti.

Sembrava una di quelle favole con una bella principessa che incontra un principe francese, una di quelle che finisce con un “e vissero tutti felici e contenti”.

Ovviamente lei poi non volle venire con me fin lì” riprese Francis, “ma non l'avevo mai saputo. Non l'avevo mai saputo che in seguito c'era andata per davvero a vedere quel posto al mattino presto, io...”

Francis sospirò con una certa allegria, fissando prima il soffitto, e poi Antonio. Sembrava decisamente di buon umore adesso, mentre scompigliava con una mano i suoi corti ricci.

Ti devo ringraziare mon amie! Hai fatto le veci del messaggero del paradiso. In qualche modo questa tua assenza prolungata, oltre ad avermi fatto stare male come un cane, mi ha portato anche del bene”

Dopo quell'affermazione, Antonio si riscosse, sentendosi come uscito da una bolla di sapone.

Giusto, Francis, ma davvero sono sparito per tanti anni? Dimmi tutto, quand'è che sarebbe successo?”

Te l'ho già detto, quindici anni fa”

Sì, ma precisamente quando?”

Nel 1996, il...il 28 Dicembre 1996” disse Francis, scosso da un brivido.

Antonio andò a fissare il pavimento, sconvolto.

Dunque l'esatto giorno in cui aveva cominciato a viaggiare attraverso gli anni, era poi completamente sparito dall'anno in cui trascorreva la sua vita di tutti i giorni.

Non aveva iniziato a vivere due vite parallele come si era immaginato; l'esistenza di Antonio negli anni '90 non era continuata di pari passo alla sua.

Lui era proprio volato via, anima e mente e cuore e corpo.

E' così...era per questo che non trovavo casa mia nel 2005...io non c'ero proprio, nel 2005!” esclamò, mentre Francis sembrava più confuso che mai.

Capisci Francis, capisci? Mi sono spostato “tutto”, completamente! La mia vita non è continuata, sono proprio...sparito”

Quella realizzazione fu abbastanza devastante; era una cosa che Antonio non aveva minimamente immaginato.

La sua esistenza non esisteva più nel corso del tempo; in qualche modo, agli occhi di tutto il mondo, lui era come morto, pure essendo vivissimo.

Va bene, va bene, forse ho capito ma...non è un problema, no?” intervenne Francis, afferrandogli le spalle.

Ora ti vedo e ti sto toccando, sei qui in carne e ossa, quindi sei vivo...forse, come tutto questo è cominciato, quando avrai trovato la chiave, tutto finirà e poi... potrai tornare alla tua vita normale”

Tornare alla sua vita normale...?

No!” urlò Antonio in faccia a Francis.

No, no.

Rimase così Antonio, un burattino con i fili tagliati, bloccato sul posto da una strana agitazione che stava iniziando a invaderlo da dentro.

Un calore poco piacevole gli si diffondeva sulla pelle, mentre respirare regolarmente si stava facendo più difficile e l'immagine di Francis era sempre più sfocata.

Tornare a, tornare alla mia vita nel '96?, no, dovrei lasciare, la mia vita, adesso non è come prima, dopo, poi io dovrei...”

C'erano tante cose che adesso Antonio voleva dire, forse troppe, tanto che gli mancava il fiato per riuscire a parlare con calma.

La sua voce suonava lontanissima al suo stesso orecchio; era come se qualcun altro stesse parlando al posto suo, e lo faceva male.

Con un'ondata di panico crescente, Antonio si accorse che non stava articolando i suoi pensieri in parole in modo sensato e che, in maniera direttamente proporzionale allo sconcerto, gli occhi gli si stavano dilatando; tutto a causa di una consapevolezza che si stava facendo largo nella sua mente e che l'aveva mandato nella confusione più totale.

Se torno lì, poi non potrei più, non posso, io, dovrei lasciare,

dovrei lasciarlo,

dovrei lasciarlo...

dovrei...

lasciarlo...”

Che stai dicendo Antonio, stai bene Antonio, ti senti male, stenditi, dio, sentiva lontanissimo lo spagnolo dentro la sua testa, vado a prenderti un bicchiere d'acqua, poi potrai tornare alla tua vita, hai fatto le veci del messaggero, tornare alla tua vita, del messaggero del paradiso ma così dovrei lasciarlo, dovrei lasciare Lovino, dovrei dirgli addio perchè lui, eccomi Antonio ho preso l'acqua, acqua, ci vorrebbe un po' d'acqua per raffreddare questo posto, perchè lui nel '96 è piccolo, è troppo piccolo e io non voglio, dio, io non voglio, dio...

 

 

Mi senti, Dio?

Mi senti, non è vero?

 

E' troppo piccolo e io non voglio...

 

Dai ragazzo, anche tu...

 

 

 

Il viso preoccupatissimo di Francis fu la prima cosa che Antonio vide quando le orecchie smisero di fischiargli e la vista tornò lucida. Era proteso su di lui e gli stava così vicino che alcune ciocche di capelli biondi gli ricadevano sul suo naso.

Francis...mi fai il solletico, spostati”

Oh, ma guarda tu cosa devo sentire dopo averti fatto amorevolmente da balia per tutte queste ore” soffiò il francese, seccato ma indubbiamente sollevato.

Antonio tentò di alzare il busto, ma l'amico lo spinse con decisione verso il divano dov'era steso, impedendogli di muovere anche solo un muscolo.

Che cosa mi è successo...?” chiese, confuso, con ancora l'eco tutte quelle voci che gli rimbombava nella testa.

Se non lo sai tu...stavamo parlando ma improvvisamente sei impallidito, avevi l'aria di uno che è sul punto di vomitare, una visione tremenda, te l'assicuro...hai iniziato a dire frasi sconnesse e respiravi a fatica, poi alla fine sei caduto come un albero abbattuto”

Francis aveva cercato di minimizzare il tutto parlando con una voce appena spiritosa, ma era molto ansioso e ad Antonio non sfuggì come lo squadrasse, magari per paura di vederselo svenire davanti un'altra volta.

E' stato una specie di attacco di panico, credo, ma è passato ora” disse Antonio per rassicurarlo, portandosi una mano alla fronte.

Eppure era strano.

Sensazioni del genere gli erano purtroppo familiari; indubbiamente, era proprio così che si sentiva quando lo assalivano le sue crisi di claustrofobia.

Ma sta volta non era stato nessuno sgabuzzino a stenderlo; era bastato capire che il suo bel sogno con Lovino rischiava di infrangersi comunque, che l'altro gli volesse un po' di bene o meno.

Lui lo amava.

Ma come avrebbe fatto a restare con Lovino se c'erano tanti anni a dividerli? Non avrebbe potuto? Avrebbe potuto? Se avesse scoperto quello che doveva, se avesse ricordato la cosa giusta, sarebbe potuto restare con lui? O sarebbe tornato nel suo anno, lasciandolo alla sua vita?

Aaaaaaahhhhh” gemette per la rabbia, prendendosi la testa tra le mani.

Non ti ho mai visto in questo stato” fu il secco commento di Francis.

Anche quando eravamo giovani...va bene, tu sei ancora giovane, allora anche quando ero giovane io e ti accudivo quando ti veniva la febbre, non ti ho mai sentito vaneggiare così. Parlavi di un bambino piccolo e di acqua...di pioggia”

Ho detto altro?” si allarmò Antonio, alzandosi a sedere. Francis lo spinse di nuovo giù.

No, solo questo, e sinceramente non ho capito bene cosa stavi dicendo. Non hai parlato molto, per fortuna, ma certo non ti sei risparmiato nel dormire”

Perché, per quanto sono rimasto incosciente?”

Da ieri sera fino ad adesso...mi hai fatto prendere un bello spavento! Dieu, è pomeriggio, non vedi che fuori c'è il sole? Anche se è un po' nuvoloso però, ho paura che possa piov...”

Antonio non lo lasciò finire e si alzò in piedi con un colpo di reni, afferrando il polso dell'altro con decisione, per fargli capire che non aveva senso cercare di farlo stare buono, ora.

Francis, devo assolutamente andare da Lovino. Ci sono dei ricordi che ho messo da parte e di cui mi devo riappropriare, non so quali ma c'è un collegato tra lui e tutto il resto. Voglio andare da Lovino, adesso”

Fino a quel momento, Antonio aveva sempre pensato che ad unirlo a Lovino Vargas fosse stato qualcosa di positivo, qualcosa di bello; ora invece stava iniziando ad avere paura.

Non ne capiva il motivo, ma aveva paura da morire e sentiva prepotente il bisogno di accertarsi che Lovino stesse bene.

Perché le voci che aveva percepito nella testa l'avevano turbato: non erano stati i vaneggiamenti causati dallo svenimento; tanto meno era suoni pacati o immaginari, ma vividi e spaventati, quasi gridati, vicini a lui...come ricordi a un passo dal riaffiorare eppure ancora oscuri.

Mai come adesso desiderava scoprire cosa stesse succedendo, perchè tutto ciò non lo convinceva affatto.

E se, come gli aveva fatto pensare Francis, davvero alla fine avrebbe dovuto dividersi da Lovino...non voleva accettarlo, non voleva nemmeno pensarlo, ma se davvero doveva succedere, allora non aveva tempo da perdere.

Eppure, nonostante la sua espressione fosse risoluta e quanto mai seria, un po' accigliata perfino, Francis non dava segni di aver capito l'urgenza del momento.

Immobile, il polso ancora stretto nella mano di Antonio, disse piano:

Non andiamo da nessuna parte. Non prima che tu...”

Francis!” tuonò lo spagnolo, tanto forte da sentirsi bruciare la gola per l'irritazione e gli occhi per le lacrime.

Credeva che almeno lui avrebbe capito! Perché gli faceva sprecare così i minuti, perchè voleva fermarlo?

Se non vuoi aiutarmi, almeno lasciami andare! No, aspetta...se mi porti in macchina fino a casa dei Vargas arriverò prima, non farmi perdere tempo, ti prego!” moderò la voce Antonio, suonando leggermente supplichevole.

Fammi finire di parlare...” accennò Francis, prendendo a sua volta il polso di Antonio.

Ma non capisci?! Devo andare subito da lui, sento che solo così ricorderò ciò che mi serve! Solo così tutto avrà un senso! E' solo perchè c'è lui che ha senso che io sia qui, ora, e non voglio perderlo!”

Quella frase risuonò con la potenza di un petardo nel bel salotto elegante di Francis, e la verità di quel messaggio investì in pieno Antonio solo dopo averlo pronunciato.

Che amava Lovino lo sapeva bene.

Di amarlo così disperatamente, di aver così bisogno della sua presenza, di aver così paura per la sua incolumità, di temere che perderlo avrebbe danneggiato il suo cuore irrimediabilmente...ecco, questo non lo sapeva.

Un'intensità tale che quasi rientrava nella disperazione era qualcosa a cui non aveva mai pensato prima. Un amore potente, forte, coraggioso: un amore totale.

Un miracolo.

Il destino l'aveva portato da Lovino, e se alla fine avrebbe voluto dividerlo, be', che ci avesse provato! Antonio si sarebbe aggrappato a quell'amore, avrebbe lottato con le unghie e coi denti pur di difenderlo.

Non voglio perderlo” ripeté, dimenticando per un attimo che Lovino l'aveva respinto.

Francis affilò lo sguardo, uno sguardo strano, e si morse le labbra.

Credi forse che io non sappia cosa significhi perdere qualcuno?”

Una luce decisa gli brillava negli occhi; la voce non era alterata, quanto piuttosto un po' delusa. Antonio avrebbe potuto percepire suoi nervi tesi anche se non gli avesse afferrato il polso, solo guardando la sua posizione rigida.

Ti stai dimenticando che la mia lista è un pochino più lunga della tua, Antoniò: prima Jeanne, poi Gilbert e l'anno dopo sei sparito nel nulla pure tu. Non mi era rimasto che Arthur...senza quel pazzo isterico non so proprio cosa ne sarebbe stato di me. Per capire che dovevo prendermi quello che volevo e tenermelo stretto senza esitare, mi ci è voluto un bel po'...ho dovuto perdere tre persone che amavo, ad essere precisi” disse, con una strizzatina d'occhio.

Antonio rimase impietrito dal tono dolce di Francis; non era melenso, romantico, spiritoso, malizioso, provocatorio come quello del Francis che aveva sempre conosciuto.

Era un qualcosa di nuovo, una sensibilità più matura che l'amico doveva aver sviluppato anno dopo anno. Infondo era ormai un uomo cresciuto da un pezzo.

Lo spagnolo si sentì un po' un verme per aver frainteso le sue intenzioni.

Anzi, devo correggermi” riprese il biondo, lasciando andare Antonio e accarezzandosi la barba, “fino a ieri credevo di aver perso per sempre anche te. Invece in qualche modo sei qui, e tutto quello che ti chiedo e di non sparire di nuovo dalla mia vita. Era questo che volevo dirti, capito? Non si va da nessuna parte prima che tu non mi abbia promesso che non ti perderò più di vista. Tu e la tua impulsività, nemmeno mi fai finire di parlare, zuccone che non sei altro!”

Antonio non riuscì a trattenere una risata che era a metà tra un sospiro e un singhiozzo, toccandosi la fronte con una mano.

Solo in quel momento si figurò un Francis tutto solo dopo la morte di Gilbert e la propria sparizione, che affondava i suoi dispiaceri in fiumi di vino.

Per la prima volta in assoluto provò un sincero moto di gratitudine verso l'esistenza di Arthur Kirkland.

Non ci divideremo più” disse, cercando di metterci tutta l'intensità che poteva, “è una promessa”

Una promessa che stringeva, oltre che con Francis, anche con se stesso: neanche lui voleva perderlo, semplicemente perchè Francis, per Antonio, c'era sempre stato.

Anche nel '96, anno in cui, ora lo capiva, viveva la sua vita senza avere una direzione da seguire, quando l'unico motivo per cui non era affondato del tutto era stata la sua presenza.

In qualche modo se lo sarebbe tenuto stretto così come avrebbe fatto con Lovino, sia che fosse rimasto lì nel futuro, sia che fosse tornato nel passato.

Oh, davvero, come non lo sapeva, ma non si sarebbero più divisi.

Proprio nel momento in cui l'espressione di Francis si fece più rilassata, un rumore proveniente dall'esterno, uno scoppiettio di un vecchio motore, lo fece scattare sull'attenti.

Il francese volò verso il finestrone, irrigidendosi di colpo e sussurrando con tono abbastanza udibile un “non è possibile”.

Che sta succedendo?” chiese Antonio, allarmato.

E' tornato il bruco! Era andato a trovare i suoi parenti e aveva detto che sarebbe stato di ritorno domani, ma è già qui, quella è proprio la sua vecchia carretta inglese, sacre bleu!”

Con uno scatto tornò da Antonio e prese a spingerlo freneticamente attraverso il corridoio.

Mi dispiace tanto ma devi andartene subito! Se ti vedesse Arthùr, che ti crede sparito da quindici anni, pazzo com'è gli verrebbe voglia di vivisezionarti o qualcosa di simile!”

Un brivido scese giù lungo la schiena di Antonio; non c'era ironia nella voce di Francis, e del resto anche lo spagnolo sapeva che Kirkland sarebbe stato perfettamente capace di farlo a fette con un taglierino in nome della ricerca scientifica sulla magia.

Vai, da queste scale si arriva in cantina, c'è una porta che da sull'esterno, puoi uscire da lì! Non posso venire con te per ora perchè Arthùr avrà sicuramente visto la mia auto parcheggiata qua fuori, ma ecco, prendi questo”

Antonio tentava di starlo ad ascoltare, di non cadere dalle scale e contemporaneamente di afferrare al volo l'oggetto che Francis gli aveva passato.

E' il mio i-phone...un telefono! C'è il numero di casa salvato in rubrica, mi devi chiamare, capito?” soffiò in tutta fretta Francis.

Antonio si concesse un attimo per esternare la sua perplessità.

Ma io non so usarlo questo coso” disse, e probabilmente ci avrebbe messo un sacco di tempo a capire come funzionava anche se non fosse stato un ragazzo del 1996.

Imparerai! Corri, adesso!”

Il ragazzo annuì ed ebbe giusto il tempo di sibilare un grazie allarmato ma sincero alla volta di Francis, prima che questo gli chiudesse la porta della cantina alle spalle.

Era una specie di piccola rimessa, ma sufficientemente grande per evitare attacchi di panico, e Antonio, col cuore in gola, trovò subito la porta che dava sull'esterno ed uscì.

Guardandosi intorno scorse subito la figura di Kirkland, girato di schiena, che armeggiava con le chiavi di casa, non riusciva ad aprire la porta, si attaccava al campanello e intimava al compagno di finirla con quei giochi idioti e di aprirgli immediatamente, o sarebbe stato peggio per lui.

Antonio si immaginò che Francis fosse dall'altra parte a tenere la porta bella chiusa.

In tutto quel trambusto fu facile riuscire a passare inosservato e ad andarsene di corsa via di li; meno facile fu tentare di far calmare il cuore che gli batteva all'impazzata per l'agitazione.

Ogni metro che percorreva sembrava aumentare la distanza che lo divideva dalla casa dei due fratelli, anziché diminuirla; ogni secondo che passava lontano da Lovino sembrava sprecato.

Proprio non riusciva a togliersi dalla testa quell'indefinibile brutto presentimento, quel senso di chiuso che gli attanagliava i polmoni.

Avere paura di qualcosa che non si conosce era terribile; correva con questa strana preoccupazione, il viso gelato dal freddo pungente e il corpo che quasi prendeva fuoco tanto era accaldato.

Senza considerare che sentiva ancora un leggero senso di debolezza e nausea a causa dello svenimento di prima; tuttavia, anche in questo stato alla fine Antonio riuscì ad arrivare a casa dei Vargas, e ansante, si buttò sul campanello.

Lovino, Feliciano, apritemi! Aprimi, Lovi...”

Ad Antonio bastò intravedere un ciuffetto di capelli castani per sospirare di sollievo; quando però il portone lasciò completamente scoperto il viso morbido e gli occhi nocciola del minore dei fratelli, ci mancò poco che Antonio non lo spostasse di peso per vedere se dietro di lui c'era l'altro.

Antonio” gemette Feliciano, triste e con gli occhi lucidi “eccoti finalmente! Lovino è...”

Così come era scesa per un attimo, la paura risalì subito ad annebbiargli il cervello.

Che è successo a Lovino, che gli è successo, sta bene?”

Non lo so...è uscito sta mattina presto e non è ancora tornato, ha lasciato il cellulare a casa e io non so dove sia”

Ci penso io, vado subito a cercarlo”

E già aveva fatto dietro front ed era pronto a rimettersi a correre, se non fosse stato per la mano di Feliciano che gli si era posata delicatamente sulla spalla.

Aspetta solo un attimo, c'è una cosa che ti devo dire”

Si mordeva il labbro inferiore e lo guardava in modo incerto, lasciando vagare gli occhi sul suo viso, cercando di leggervi chissà cosa.

Ieri sera, quando sono andato in camera sua per portargli la cena, mio fratello mi ha raccontato cosa è successo tra voi, quello che gli hai detto...”

Ah. La dichiarazione, il “ti odio”.

Quindi ci aveva visto giusto quando aveva pensato che i due fratelli si erano fatti quattro risate alle sue spalle.

Lasciamo perdere, è stato un fallimento” disse Antonio, con aria un po' abbacchiata, ma riprendendosi subito, “senti, non importa ora, se ho infastidito Lovino o se l'ho fatto arrabbiare, mi farò perdonar...”

Ma no, era così felice!” lo interruppe l'altro, scuotendo forte la testa come un bambino piccolo.

Mentre mi raccontava tutto era così felice...lui non lo ammetterebbe mai, ma io lo so com'è fatto”

Il mondo si fermò per un attimo: quindi Lovino non era davvero arrabbiato con lui, né tanto meno era rimasto schifato da quella scenetta?

Addirittura era...felice?

Ma era possibile?

Feliciano intercettò subito l'espressione vacua per l'incredulità di Antonio, e, inaspettatamente, assunse un cipiglio un po' seccato.

Non guardarmi con quell'aria stupita, mi devi credere: io lo capisco, è mio fratello, accidenti! Mentre mi parlava ce la metteva proprio tutta per non sorridere, si sforzava di mantenere gli occhi asciutti, come faceva quando da bambino la zietta gli regalava i pomodori”

I pomodori...ma che stai dicendo?”

Ascolta” iniziò Feliciano, tentando di assumere un fare pratico senza riuscirci, “ogni volta che gli zii gli portavano i cesti di verdure, Lovino si arrabbiava sempre e non faceva che brontolare, ma era davvero contentissimo che quei regali fossero stati fatti proprio a lui...e se li portava in camera, i pomodori, sbattendo forte la porta contro il naso della zietta. Io poi lo spiavo dalla serratura e vedevo che se li rigirava tra le mani, li guardava, li teneva per sé, quasi come se non credesse fossero suoi...è la stessa cosa, no? Per i pomodori come per te, no?”

Quindi Lovino lo considerava...alla pari di un pomodoro?

Oddio Antonio, ma davvero non ci arrivi?” piagnucolò Feliciano al silenzio dello spagnolo, agitando le mani.

Io e mio fratello non ci fidiamo della gente”

Nel dire quella frase il suo tono era cambiato.

Stava cercando di suonare meno agitato possibile, e sicuramente non era mai stato più serio di così, anche se qualche lacrima faceva capolino ai bordi degli occhi.

Scherzare con i compagni o fare gli scemi con le ragazze non conta” continuò, “dopo aver visto mancare i nostri genitori prima e nostro nonno poi, abbiamo paura ad avvicinare gli altri, io e Lovino, così paura che ci viene da piangere...perchè ci spaventa l'idea di rimanere da soli, alla fine. O almeno, per me era così prima”

Feliciano si fermò giusto il tempo di asciugarsi una lacrima che gli era scappata lungo la guancia, spezzando la voce con un sospiro incerto. Quando riprese a parlare, il viso gli si colorò di una sfumatura più rosea.

Adesso è diverso, ho...conosciuto una persona. E' un tipo un po' strano, ma è un bravissimo ragazzo e un buon amico che mi rende felice...e mi da la sicurezza che non mi abbandonerà. Temevo che per Lovino non sarebbe mai arrivato questo momento, il momento in cui avrebbe trovato una persona dopo averne perdute tre, e invece guarda un po'...sei arrivato tu!” disse, accompagnando la frase indicandolo con il dito, quasi come gli avesse puntato al petto una pistola.

“E lui, che non si fida di nessuno, si è fidato subito di te!”

Se il dito di Feliciano era una pistola, quello che aveva appena detto era stato come un colpo sparato dritto dritto dentro Antonio.

Quindi secondo te ho qualche possibilità con Lovino?” disse in fretta, la voce asciutta per l'emozione.

L'altro gli appoggiò le mani sulle spalle e prese a scuoterlo forte come un cocktail.

Ma certo, certo, certo che sì! Sennò perchè quando gli ho detto che te n'eri andato ieri sera è diventato bianco come un lenzuolo? Non ci ha pensato due volte a uscire apposta per cercarti”

“Ma io lo amo” disse con foga Antonio, a caso, nell'agitazione più totale, anche se non ce n'era bisogno.

“Fantastico!” esclamò l'altro, “Allora corri, va e trovalo!”

“Corro!”

E corse, Antonio, corse con le ali ali piedi attraverso le casette tranquille immerse nel freddo di dicembre, attraverso le piccole vie illuminate della città, attraverso le vetrinette che rimandavano il riflesso di un ragazzo giovane con un sorriso di pura gioia stampato in faccia.

Lovino era stato felice per la dichiarazione, aveva una possibilità con Lovino, Lovino si fidava di lui, si preoccupava per lui....nella testa di Antonio non c'era posto per altro.

“Yahooooo!” gridò come un matto, saltando mentre correva, la gente a passeggio che lo guardava male.

Felicità, felicità, felicità...

Era possibile essere più felici di così? Oh, sì, forse sarebbe stato possibile, ma solo se Lovino gli avesse detto che anche lui ricambiava completamente i suoi sentimenti.

Pur essendo preda dell'euforia più totale, un pezzettino del cervello di Antonio rimase lucido e gli suggerì che un posto dove poteva andare per evitare di girare a vuoto c'era; un posto dove il suo amato Lovino si rifugiava, il suo posto: la terrazza del centro commerciale.

“Yahooooo, aspettami, sto arrivando da te, mi amoooooor

 

 

 

 

 

 

 

 

28 Dicembre 1995

 

 

 

Antonio era seduto sul tappetto.

Aveva abbandonata per qualche attimo la chitarra sul grembo perchè la sua attenzione era stata catturata da uno dei loro soliti battibecchi senza senso.

Accanto a lui, Gilbert se ne stava a gambe incrociate, con i gomiti puntellati sulle ginocchia e il mento sepolto tra le mani.

Sul viso gli era spuntato il tipico ghigno di quanto stava per fare uno dei suoi commenti che volevano essere taglienti ma che risultavano solo battutine insipide.

Se farai la stessa fine del vino, Francis, allora diventerai acido come l'aceto? Sei sulla buona strada, comunque” disse infatti, con un certo compiacimento.

Francis, seduto sulla poltrona e intento a rigirarsi tra le dita un bicchiere di rosso come un autentico sommelier, non si scompose.

No, spiritoso, intendevo dire che invecchiare non potrà che farmi bene”

Secondo me invece ti farà malissimo. Già adesso sembri molto più vecchio di quello che sei. A meno che tu non abbia fatto altro che mentirci fin'ora riguardo la tua età...merda Antonio, stiamo convivendo con un trentacinquenne e nemmeno lo sapevamo”

Il tedesco fece appena in tempo a dare una gomitata ad Antonio prima che Francis, offeso, gli scagliasse un cuscino sul naso.

Pensa per te, mocciosetto! Se tu quello che non dimostra la sua età...quanti anni hai, sedici?”

Sta attento Antonio, è entrato in azione il principe degli insulti...”

Non farmi venire laggiù, Allemande!”

Secondo me” intervenne lo spagnolo, tranquillo, “l'unico che dimostra effettivamente la sua età qui sono io”

Traditore!”

Ma sentiteli...dieu, volete farmi fare l'adulto? E va bene allora, datevi una calmata, bambini! Anzi, filate fuori di qui, ho bisogno della calma più assoluta per cucinare il nostro pranzo di post Natale e con voi due tra i piedi è sempre un inferno”

Ok papà” disse Antonio, scherzoso, “ma dove dovrebbero andare questi tuoi due poveri bimbi in una mattina così fredda?”

Lascia perdere quel vinofilo, andiamocene via, Antonio...accompagnami in un posto”

Gilbert si alzò, stiracchiandosi i muscoli. Antonio lo imitò.

Dove devi andare?”

Non ho ancora preso nulla come regalo per Ludwig, quest'anno...sì, sì, lo so che tanto non potrò consegnarglielo comunque...per ora” disse, illuminandosi in un sorrisone.

Il giorno in cui Lud verrà finalmente in Italia, gli scaricherò addosso un sacco pieno di tutti i regali acquistati per lui nel corso del tempo! Che ve ne pare, eh? Un'idea geniale ponderata a lungo da una persona eccezionale, no? Avanti con il giro di ovazioni!”

Antonio fissò l'amico che ora si stava atteggiando in una posa un po' ridicola, alzando il mento in modo superbo.

Le lucine che si erano divertiti ad appendere al muro illuminavano curiosamente la sua pelle fin troppo chiara; macchie gialle e rosse e verdi gli balenavano a intermittenza persino tra i capelli, facendoli sembrare più bianchi che biondi per contrasto.

Incredibile come un megalomane del genere potesse essere così maledettamente tenero con le persone che amava.

Era per questo che Antonio e Francis lo adoravano.

E' un'idea carina, Gilbert” concordò Antonio.

Salutando Francis con baci mandati in aria e frasi scherzose, i due ragazzi uscirono dal loro appartamento, prendendosi a braccetto.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che Gilbert lì dentro non ci sarebbe mai più tornato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Salve ^-^ scrivere questo capitolo sta volta è stato più faticoso del solito, spero che non risulti troppo confuso...se è così, perdonatemi!! Sta volta Antonio è riuscito a far scappare la pazienza pure a Feliciano xD

A proposito, più vado avanti e più la storia si allunga un pochino, chissà che alla fine non arrivi a dodici capitoli...abbiate pazienza, sia nei confronti di Antonio che nei miei xD

Ringrazio ancora infinitamente tutti voi che leggete e seguite, spero di leggere i vostri commenti che fanno sempre piacere! Alla prossima :3

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Capitolo 10
*** 31 Dicembre 2011 ***


Salire di corsa tre piani di scale a chiocciola non fu mai più piacevole di così.

Antonio faceva due gradini alla volta, sentendo diminuire la distanza tra lui e Lovino sempre di più, sentendosi sempre più felice passo dopo passo; un po' come quando aveva scoperto per caso quel ricettario e aveva improvvisamente capito di essere riuscito a comprendere di più Lovino.

Ciò che aveva realizzato era che quel ragazzo possedesse un'unica arma sia per la difesa che per l'attacco: l'insicurezza, un sentimento che sfociava nella paura quando si trattava del confronto con gli altri, o persino nella rabbia quando Lovino non sapeva più cosa dire o dove nascondersi.

Ma non avrebbe più dovuto farlo, adesso, perchè ci avrebbe pensato Antonio a lui.

Gli sarebbe rimasto attaccato come una calamita senza lasciarlo andare neanche per un attimo.

Lo voleva, lo voleva da morire.

E se Lovino glie l'avesse permesso, Antonio sarebbe stato il suo appoggio, il suo amico, il suo amante, il suo pomodoro, il suo tutto, proprio come Lovino era l'appoggio, l'amico, l'amore, il tutto per lui...e il suo pomodorino, anche.

Antonio e Lovino, Lovino e Antonio, Antonio e Lovino, suonava sempre meglio e sempre più convincente a ogni scalino che il ragazzo superava.

Alla fine arrivò in cima e davanti alla porta di ferro che dava sulla terrazza, si concesse solo un breve istante per respirare profondamente.

Lì, con una mano sulla maniglia e l'altra a strizzare il maglione all'altezza del cuore, lo spagnolo non riusciva a smettere di sorridere.

Era un sorriso genuino, uno di quelli che ti fanno tremare le labbra e che proprio non ce la fai a nascondere.

Uno di quelli che ti senti nascere da dentro, che esplodono da un momento all'altro e che lasciano un segno indelebile e profondo, per sempre.

Un brivido di attesa mozzò il respiro ad Antonio nel preciso momento in cui fece pressione sulla maniglia e spalancò la porta. Subito, davanti a lui, vide la figura di Lovino, in piedi di schiena appoggiato al bordo della terrazza.

“Lovi!” lo chiamò, iniziando ad andargli incontro a passo spedito.

L'altro sobbalzò per la sorpresa, voltandosi immediatamente. Dalla faccia che fece, Antonio riuscì a figurarsi l'arrivo imminente di un cazzotto volante diretto in pieno contro di lui. Nonostante questo non si fermò e andò avanti verso Lovino con ostinazione, pronto a tutto, sempre col sorriso sulle labbra ma iniziando a stringere gli occhi all'idea del pugno.

Neanche la visione di Lovino che iniziava ad andargli in contro ebbe il potere di fermarlo; ormai, anche se i secondi scorrevano a rallentatore come in un film, era come un treno lanciato a tutta velocità...un treno coi freni rotti che stava per schiantarsi contro un masso molto duro.

 

Un passo di Lovino,

Antonio quasi saltava,

un altro passo di Lovino,

Antonio allargò le braccia,

un mezzo passo ancora,

ormai erano vicini,

Lovino si fermò di botto,

“ecco lo schianto” pensò lo spagnolo,

Lovino si piantò sul posto con le braccia ben dritte, tese in avanti.

 

E certo fu una bella botta, la migliore che Antonio avesse mai sperimentato, la più forte, la più sentita, la più dolce.

Perché Lovino aveva aspettato che gli arrivasse a qualche centimetro di distanza prima di spingerlo a terra; ma, chissà come, le mani gli erano rimaste attaccate al petto di Antonio quasi fossero state incollate, e così erano caduti tutti e due come birilli, lo spagnolo di schiena e l'altro sopra di lui con tutto il suo peso.

E nella breve frazione di secondo prima di toccare il pavimento, i riflessi di Antonio avevano agito nel modo giusto, facendogli stringere forte contro di sé l'adorato ragazzo. Certo, più che un abbraccio convenzionale era stato un giro sulle auto-scontro, ma accidenti se non era stato emozionante!

Antonio se ne stava così, sorridente e con gli occhi socchiusi come un bambino a cui hanno appena regalato un lecca lecca, le dita ben affondate sulla schiena di Lovino, ma immobili in quel piccolo momento di estasi. Neanche se l'altro l'avesse baciato! Neanche se gli avesse detto...

“Non è vero che ti odio”

Già, neanche se...un momento! Questo Lovino l'aveva detto davvero!

Piano piano, con la voce appena percettibile eppure in modo abbastanza distinto, il viso affondato contro lo sua spalla, l'aveva proprio detto, e ora lo ripeteva, con un'ansia abbastanza marcata che trapelava da ogni parola.

“Hai capito, mi hai sentito? Io io, non è vero che ti odio”

Un peso gigantesco svanì di colpo dentro Antonio come neve buttata in un caminetto acceso.

Era un sollievo di tale intensità che il ragazzo riuscì a percepire la tensione accumulata scivolargli via a tutta velocità, lasciandolo felice come non mai ma anche incredibilmente provato, tanto che la sua presa su Lovino si allentò un po'.

“Ah, meno maleeeeeeee” disse, con un sospiro sentito, “meno male che non mi odi, perchè io ti amo”

In quel preciso istante Lovino alzò il busto con uno scatto, issandosi sulle mani appoggiate al torace di Antonio. Lo spagnolo non riuscì a trattenere un piccolo spasmo, perchè in effetti con tutto quel peso addosso non ce la faceva proprio benissimo a respirare.

“Che hai detto?” gracchiò.

“Ho detto” tentò Antonio, ma, rendendosi conto che così non ce la faceva a parlare, dovette mettersi a sedere e allontanare un pochino da sé l'altro con sommo dispiacere (tanto contava di riabbracciarlo di lì a poco).

“Ho detto che ti amo” gli disse, serenamente.

L'espressione del più giovane rimase immutata; gli occhi erano fissi e seri, la linea della bocca sottilissima e le sopracciglia un po' corrucciate.

Eppure, lentamente e con gran compiacimento dello spagnolo, un certo rossore gli si diffuse su tutto il viso, non tralasciando nemmeno il più piccolo angolo.

Antonio era talmente intento a godersi quello spettacolino che non notò neanche la mano di Lovino, prima portata pian piano verso l'alto, ora ferma in aria da qualche secondo. Quando però quella mano gli si abbatté sulla guancia in uno schiaffo tanto violento da fargli girare la faccia dall'altra parte, Antonio temette che gli occhi gli schizzassero fuori dalle orbite per il colpo e per la sorpresa.

Era un rifiuto!

...Un altro!

Eppure...eppure, anche se proprio Lovino avesse voluto respingerlo per la seconda volta, che bisogno c'era di arrivare alle mani? Adesso Antonio stava iniziando a sentirsi seriamente urtato; capiva che l'amore potesse benissimo non essere corrisposto, ma un po' di rispetto per i suoi sentimenti sentiva di meritarselo.

Portandosi una mano sulla guancia colpita, che bruciava, ma non quanto l'orgoglio ferito, tornò a fissare Lovino più sconvolto che mai.

“E adesso questo perchè?!” gridò quasi, dispiaciuto e anche irritato.

Certo, si era mentalmente preparato a una dose di violenza fisica, sicuro che neanche quella l'avrebbe fermato, ma sotto sotto aveva sperato di sbagliarsi. Senza tralasciare che i fatti contavano di più della sua immaginazione, e che uno schiaffo reale era molto peggio di una testata immaginaria.

“Te lo sei meritato! E' perché ieri sera sei sparito senza neanche una parola, deficiente! Quanto ti costava dirmi che andavi via, figlio di puttana?!” urlò l'altro, massaggiandosi la mano destra con la sinistra.

Antonio pensò che evidentemente il colpo dovesse essere stato così forte da far male anche a lui.

“E se non ti davo questo ceffone adesso...” continuò Lovino, con voce rotta e agitata, “se non te lo davo adesso e tu andavi avanti così, poi non avrei più potuto schiaffeggiarti dopo, ecco perchè!”

Le ultime parole le aveva ruggite con un tale senso di sconfitta che Antonio si sentì disorientatissimo e, nel vedere gli occhi bassi e il volto quasi sofferente di Lovino, la sua esasperazione scemò di colpo.

In un momento molto confuso, allo spagnolo sembrò quasi di essere lui quello nel torto e che l'altro fosse nella ragione.

Perché era come se a ricevere un ceffone fosse stato Lovino, e perchè ad Antonio sembrava di essere stato proprio lui a infliggerglielo?

“Non potevi schiaffeggiarmi dopo se io andavo avanti così? Ma così come?” chiese incerto, grattandosi la testa.

Lovino lo fissò con odio mordendosi le labbra e scoppiò in un mugolio frustrato.

“Così, così, così, a dire che mi ami!” disse, muovendo le mani in grandi cerchi, come se parlare in quel modo gli costasse tantissimo.

Antonio mise su un broncio sinceramente triste, ma andò avanti con cocciutaggine; infondo Lovino aveva detto che non lo odiava, quindi adesso voleva proprio capire perchè non potesse amarlo.

“E non ti va bene se dico che ti amo?”

“SI CHE MI VA BENE!” scoppiò l'altro.

Per qualche secondo quella frase riecheggiò nell'aria, lasciando stupiti entrambi i ragazzi. Mentre Lovino si tappava la bocca e stringeva gli occhi che si erano fatti lucidissimi, Antonio per poco non si sentì svenire dalla felicità, e già stava per prendere tra le braccia Lovino, se non che questo aggiunse sommessamente:

“Mi va bene, ma volevo comunque togliermi la soddisfazione di dartelo, quello schiaffo”

Aww. Sempre sincero come un bambino, il suo Lovi.

Sempre dolce-amaro come un pomodoro pachino.

“Adesso ti senti abbastanza soddisfatto da questo punto di vista?”

Antonio aveva parlato in tono scherzoso ma con un certo intento di sondare il terreno, perchè veramente si era stufato di ritrovarsi pieno di more.

“Sì, abbastanza soddisfatto” mormorò l'altro.

“E quindi potrei abbracciati come si deve ora, che ne pensi?”

Non desiderava altro, non voleva altro.

Be', forse qualcos'altro Antonio lo voleva: voleva Lovino, lo voleva tutto e tutto per sé. Adesso. E magari era ricambiato, perchè accidenti, “si che gli andava bene”, aveva detto lui.

Il più giovane abbassò la testa, iniziando a torcersi le mani. Per qualche secondo non disse nulla, ma quando tornò a fissare gli occhi verdi in quelli di Antonio, lo spagnolo si assicurò di farsi trovare da Lovino con un bel sorriso incoraggiante stampato in faccia e a braccia aperte.

“Se non...se non mi abbracci subito ti spezzo il collo” gli disse in fretta.

Antonio non se lo fece ripetere due volte, andando subito ad avvolgere l'altro in un abbraccio, il migliore che riuscisse a regalargli; provò a metterci dentro un po' di tutto: l'amore forte e passionale che provava per lui, l'affetto tenero e instancabile, la buffa curiosità per quelle sue reazioni esplosive che si, erano imprevedibili, ma che gli davano una soddisfazione indescrivibile se poi l'esito era quello.

Quando sentì Lovino rilassarsi completamente in quella stretta, gli appoggiò il viso sulla spalla, cercando di annullare ogni minima distanza che era rimasta tra loro, sia fisica che psicologica.

Piano, si accomodò per bene attaccando la propria guancia all'orecchio dell'altro, che era ardente come un tizzone appena tolto dal fuoco.

“E' difficile” disse piano, “perchè ci complichiamo le cose da soli, io e te”

A quella affermazione sentì Lovino diventare di marmo contro il suo petto.

“Cazzo vuoi, io sono fatto così” iniziò infervorato, “sono difficile, e se non ti sta bene puoi andartene af...”

“Ma a me vai benissimo come sei fatto, sennò non ti amerei” lo interruppe Antonio, scandalizzato.

Era chiaro che stravedeva per lui, no? Era ovvio.

Oppure per Lovino non era mai stato ovvio?

Forse per lui ottenere l'amore di qualcuno non era mai stata una cosa ovvia.

“Quello che volevo dire è che se ci complichiamo le cose da soli...magari insieme funzioniamo bene, no? Io e te, insieme. “Antonio e Lovino”...funziona! E' bello...dio, quant'è bello!” disse con impeto, stringendolo più forte.

“Non ha senso” fu la roca risposta di Lovino.

Ma le sue mani erano andate a stringere il maglione di Antonio sui fianchi, cosa che aveva causato una sorta di shock elettrico allo spagnolo, che stava iniziando a temere la fusione del proprio cervello, visto che gli pareva di vedere fiorellini e cuori volare per aria.

Doveva dirglielo, l'effetto che gli faceva! Così Lovino avrebbe capito che lo rendeva felice, e che il suo essere oggetto d'amore gli faceva meritare ancora di più il ricevere un po' di amore.

“E' insensato, però è vero. E' proprio vero che io ti amo. Tu mi fai vedere i fiori e i cuoricini...”

“Che cazzo dici?! Stai delirando?”

“Forse sì, ma ti amo” affermò Antonio con convinzione, annuendo con la testa, per quanto riuscisse a muoversi, incastrato com'era con Lovino.

“Ti amo...io ti amo”

Lo disse più sommessamente ora, ripetendolo come una cantilena, iniziando a cullare il ragazzo che aveva tra le braccia.

Fatti amare Lovino, fatti amare da me, era la muta preghiera che esprimeva in ogni suo singolo respiro.

“Io ti amo” ripeté.

L'altro esplose in un sospiro spezzato che sembrava quasi umido, quasi carico di lacrime, come se l'avesse trattenuto fino a quel momento. Spostò il viso di lato per non farsi vedere, alzando il naso per aria, mentre al posto delle parole gli uscivano dalla bocca respiri irregolari.

“Piantala adesso, bastardo” riuscì a brontolare alla fine, “o dovrò picchiarti di nuovo. Dici cose...proprio insensate”

“E che importa? A dir la verità, è un periodo che la gente non fa che dirmi che faccio cose insensate, ma io non posso farci niente e non credo che...”

Improvvisamente Lovino rizzò la testa per guardarlo dritto negli occhi, niente segni di commozione sul viso se non il rossore delle guance.

“In effetti sto aspettando le tue scuse, e ho intenzione di ottenerle” sentenziò. “Scuse sincere però, e non cazzate buttate lì tanto per dire. E senza girarci troppo intorno, voglio che ti scusi per...”

Ma lasciò la frase in sospeso, per poi affondare la testa contro il petto di Antonio in un gesto rapido e un po' violento.

Una testata, insomma.

“Per avermi fatto prendere un colpo...e che cazzo, andartene via di notte così, stupidamente! E poi chi è questo tuo amico di cui mi ha parlato Feliciano, eh? Idiota!”

Ah, quindi era quello il problema...

Antonio sorrise, sornione come un gatto, osservando il proprio riflesso negli occhi di Lovino, mentre ancora il suo mondo era tutto margherite e dolcetti.

“Allora sei geloso, Lovi! Ma non ti preoccupare, Francis è solo un vecchio amico per me...”

“Ma che geloso! Che geloso!” urlò l'altro.

Dato che erano così vicini, la sua voce trafisse i timpani dello spagnolo, ma questo non gli impedì di tenere salda la presa su Lovino che tentava di divincolarsi dalle sue braccia.

“Non è una stupida questione di gelosia...fottuto, fottutissimo bastardo!” ringhiò, e adesso ogni sorriso era di colpo svanito, e l'ombra dell'ennesima incomprensione aleggiava tra loro come i nuvoloni che si stavano addensando nel cielo.

Ma che Antonio non aveva notato, tanto era preso da quello che stava succedendo e che rischiava di sfociare in una nuova discussione.

“Come fai a essere così ottuso, eh? E' una cosa quasi inumana! E lasciami andare, lasciami, cazzo!”

Con uno strattone deciso il ragazzo indietreggiò di un paio di passi, ma così come si era allontanato, Antonio lo riportò a sé prendendolo di slancio.

In un gesto insolito per lui, incrociò a forza le braccia di Lovino dietro la sua schiena e gli chiuse i polsi con le proprie mani, quasi gli avesse messo le manette.

Detestava comportarsi in quel modo.

Aveva sempre aborrito l'idea di forzare qualcuno, e adesso che stava costringendo proprio Lovino a rimanergli attaccato, si sentiva un verme. Ma era deciso, fermo come non mai. Non ce la faceva più con tutte quelle brusche svolte nella loro relazione, che ancora, a pensarci bene, non era nemmeno cominciata, ma che già l'aveva fatto soffrire come un cane.

Stava male perchè non era possibile non stare male se la persona a cui hai donato il tuo cuore non fa che sbatterlo a destra e a sinistra.

Antonio era sicuro però che Lovino non volesse tutto ciò; non aveva intenzione di ferirlo, ne aveva avuto la riprova poco prima, forse voleva addirittura stare con lui, ma non potevano andare avanti così.

A quanto pareva Antonio continuava a fare lo stesso errore con quel ragazzo: continuamente lo faceva soffrire e di conseguenza, e pure giustamente, Lovino se la prendeva con lui. Dovevano chiarirsi, dovevano proprio farlo e non c'era tempo da perdere; ancora Antonio sentiva nella testa l'assillo delle voci che aveva sognato quando era svenuto a casa di Francis...quelli erano sicuramente ricordi, ed erano lì, sul punto di tornargli alla mente e...

E un tuono in quel momento rimbombò nel cielo, facendo scattare contemporaneamente due teste verso l'alto.

Se quello non era un avvertimento, Antonio non era più Antonio.

Lo spagnolo riportò lo sguardo su Lovino; uno serio e l'altro con una strana espressione tra l'allarmato e l'infuriato, si fissavano, i volti vicini, separati solo da un fitto muro di tensione.

“E' vero che non capisco, è vero! Allora dimmelo tu che cosa c'è che non va, Lovino, perchè io non ci arrivo, e di questo ti chiedo scusa!” fece Antonio.

“Ti chiedo scusa anche per essermene andato da casa tua senza avvertirti, ma tu fino a un minuto prima eri in collera con me ed ero convinto che non volessi vedermi! E poi anche io ero molto triste, e confuso e...e c'era Francis che...ma questa è un'altra storia”

Quando aveva pronunciato le parole “triste e confuso”, l'espressione del più giovane si era fatta di colpo stordita, e Lovino aveva dischiuso le labbra con sconcerto, come se quella confessione non se la fosse proprio aspettata. Antonio lo notò e, per quanto agitato, fu felice di essere riuscito a fargli percepire almeno un po' il potere che aveva su di lui.

“Poi ti chiedo scusa un'altra volta se sono stato un idiota imperdonabile” riprese tutto d'un fiato, “ma sono sicuro che questo non ti basta, non è così? Quindi devi dirmelo qual'è il vero problema, se non lo fai non saprò mai cosa...”

“E' che ti sei sempre comportato così con me, non solo ieri sera! E' questo il problema, sei contento adesso?!” sbraitò Lovino, scuotendo forte la testa. “Tutte le volte, tutte le volte...tu sei sempre sparito senza dirmi niente! Quando Feliciano mi ha detto che te n'eri andato, ma che non aveva visto con chi, che cosa avrei dovuto pensare? Con tutto quello che sta succedendo, che cosa avrei dovuto pensare?”

Antonio liberò piano i polsi del ragazzo, che aveva abbassato di colpo la testa per nascondere le lacrime di rabbia spuntate agli angoli degli occhi.

“Quella volta che ti ho aspettato davanti al liceo di mio fratello per ore, quell'altra volta che ho aperto la porta di questa terrazza e non tu c'eri più...è ovvio che ho creduto subito che te ne fossi andato di nuovo, come hai sempre fatto! E io non lo sopporto!” urlò forte, “non lo sopporto! Non ce la faccio...” concluse poi, con una disperazione disarmante.

Antonio vide l'immagine di Lovino annebbiarsi davanti a lui di colpo. Solo dopo qualche secondo si rese conto che era a causa di uno spesso velo di lacrime, che gli erano salite silenziose agli occhi, e bruciavano e scalpitavano per uscire fuori, dopo averlo allagato di tristezza dentro.

Sapere di aver fatto tanto male a Lovino era sconvolgente.

Poteva immaginarselo lì da solo, sotto la pioggia, che aspettava lui, come in disparte aveva sempre aspettato la carezza amorevole del nonno...ma niente era mai arrivato in tempo per Lovino, e i suoi anni erano stati costellati di delusioni su delusioni.

Antonio, proprio Antonio che lo amava, con tutte le sue apparizioni e sparizioni improvvise gli aveva forse stravolto la vita...e non era stato in senso positivo.

Invece lui fino a quel momento si era curato solo di se stesso.

Della sua indagine misteriosa, di capire come fosse evoluta la propria vita, di conoscere quel ragazzo che lo affascinava tanto; aveva pensato di portargli del bene, di farlo sorridere, era vero anche questo, ma non poteva negare che presto si era egoisticamente dedicato a costruire un rapporto con lui, senza tenere conto dei giorni che si accumulavano intanto per Lovino, degli anni che passavano.

Pensare che glie l'aveva pure detto, quella volta sotto l'ombrello giallo! Gli aveva pestato il piede e gli aveva detto che l'aveva aspettato per tanto tempo...quanto era stato idiota.

E dopo tutti quei pensieri, l'unica cosa che Antonio riuscì a mettere insieme fu:

“Mi dispiace tanto, non l'ho fatto apposta”

La sua voce suonò patetica al suo stesso orecchio, e ovattata come quella di chi si è fatto un grande pianto, quando invece lui non faceva che perdere acqua dagli occhi lentamente, come il sangue che sgorga piano da una ferita.

La cosa più brutta fu che Lovino non volle nemmeno guardarlo e si allontanò da lui, portandosi una mano alla fronte con aria stanchissima.

“Non avrei mai voluto costringerti ad aspettarmi” gli gridò dietro Antonio, nel tono roco, chiuso e sforzato di quando aveva un forte raffreddore.

“Eppure l'hai fatto” soffiò Lovino. “Non ho fatto che aspettarlo di giorno in giorno, cercandolo quando ho saputo dove abitava, girando a vuoto per la città...senza poi trovarlo mai...quello stronzo che appariva solo ogni tanto e mai per più di un giorno...quel bastardo che spariva senza dirmi nulla...l'uomo di cui non potevo parlare con nessuno, l'uomo che sono arrivato a credere frutto della mia fantasia...l'uomo a cui ho dato il mio primo bacio”

Antonio si sentì morire.

Per chiunque parlare in quel modo, mettersi a nudo così, sarebbe stato difficile; poteva solo immaginarsi cosa significasse per Lovino.

Asciugandosi in fretta gli occhi, “ti prego, scusami, non continuare a scappare da me” era quello che avrebbe voluto dire.

Ti prego, scusam...” furono le parole che riuscì invece a pronunciare, prima che una serie di tuoni si succedette con un gran botto, e il cielo si colorasse come se fossero esplosi sinistri fuochi d'artificio.

Solo in quel momento i due ragazzi parvero notare i nuvoloni di pioggia, fitti e grigi e tanto vicini che sembrava si potessero toccare.

Allora si guardarono, Antonio e Lovino, stravolti e tutti e due con gli occhi arrossati, e Antonio fece per raggiungere l'altro accanto alla porta verso la quale si era avvicinato, e al suo passo anche Lovino si mosse, e si corsero incontro nonostante tutto, e Antonio gli portò le mani alle spalle e Lovino gli afferrò le braccia, un'espressione di orrore dipinta sul viso.

La porta” farfugliò velocemente, “Antonio la porta è bloccata, è chiusa da fuori”

Ma io, io sono entrato” rispose lui, che non capiva ma percepiva il panico e la confusione del più giovane.

Ti dico che la porta si è bloccata, si apre solo dalla parte delle scale, non si riesce ad aprire dall'esterno, sono ore che sono chiuso qui e provo ad aprirla ma quando sei entrato tu non l'hai tenuta e si è richiusa e adesso non si riaprirà, Antonio!”

Lo spagnolo volò verso la porta, le pupille grandi come due limoni, e iniziò a strattonare forte la maniglia da tutte le parti. Lovino gli era arrivato subito dietro e gli aveva afferrato la schiena, cercando ti tirarlo via.

E' inutile Antonio, cazzo, ti dico che è inutile, e sta per piovere cristo santo, andiamo in ascensore, sbrigati, vieni via di li”

Antonio si voltò sconvolto più che mai, gli occhi fuori dalle orbite.

Non ci posso entrare lì” disse, con una calma apparente tradita dal viso stralunato.

Dai non fare lo stronzo, l'ascensore ci metterà due minuti ad arrivare al piano terra, resisterai, e piantala con questa cazzo di storia della claustrofobia!”

Non posso, non posso” disse, scuotendo la testa, ma improvvisamente il fisico si era fatto molle, e la consapevolezza di essere rimasto fregato gli arrivò come un pugno nello stomaco.

Se Antonio non avesse preso l'ascensore, la pioggia l'avrebbe colto in pieno, proprio come aveva fatto l'altra volta.

Ironia della sorte, la situazione si era ripresentata esattamente nelle medesime condizioni.

Era un punto di svolta, dunque.

Nel 1998 si era fatto trascinare via dalla pioggia, lasciando dietro la porta un bambino che, ormai lo sapeva, l'avrebbe aspettato con tristezza per anni.

E allora, allora...forse avrebbe potuto rischiare.

Sta volta, avrebbe potuto rischiare.

Per Lovino, avrebbe potuto rischiare.

Per Lovino, avrebbe rischiato.

“Corri” gli disse allora Antonio, prendendolo per mano perchè solo così avrebbe avuto la forza per chiudersi lì dentro.

In due passi arrivarono all'ascensore, Lovino si buttò sul pulsante per chiamarlo mentre teneva spasmodicamente l'altro ragazzo schiacciato contro il muro, nel tentativo forse di ripararlo dalle gocce, che potevano iniziare a cadere un momento all'altro. Antonio intanto si sforzava di non pensare, di rimanere col sangue freddo, di materne la coscienza lucida. Di sicuro gli sarebbe stato di grande aiuto concentrarsi esclusivamente sulla cosa più concreta della sua vita: Lovino. Fu questo a spingerlo dentro quando le porte dell'ascensore si aprirono, fu questo a dargli un coraggio enorme.

Ma già sentendosi attanagliato da un orrore sordo, gli sembrò che tutto stesse avvenendo pianissimo, e che la sua concezione del tempo si stesse dilatando, come gli succedeva sempre quando si sentiva male.

Lovino tirò intanto un sonoro sospiro di sollievo, ignaro di tutto, e con la mano ancora stretta in quella di Antonio. Contemporaneamente lo spagnolo inspirò forte, le porte d'acciaio che si avvicinavano tra di loro, lente davanti a lui.

Sempre più vicine, sempre più ristretta la visuale della terrazza, sempre più sottile il mondo al di là di loro, sempre più piccolo lo spazio in cui si trovavano.

E le porte si chiusero.

Antonio trattenne il fiato.

All'inizio gli sembrò che tutto andasse bene.

Accidenti, era stato facile, avrebbe potuto farcela! Se l'avesse saputo non ci sarebbero stati tanti problemi, già si stava girando per sorridere a Lovino, oh, era un sacco di tempo che non saliva in ascensore, quasi non ricordava più quando fosse stata l'ultima volta...

...Non...non lo ricordava?

Il ragazzo si sentì improvvisamente la testa pesante, gli occhi fissi su l'altro che premeva il pulsante per scendere al piano terra. E non appena appoggiò il dito su quel piccolo cerchietto con uno “0” scritto sopra in rilievo, un suono segnalò che la destinazione era stata decisa.

Un tintinnio innocuo, che la gente nemmeno nota più quando fa questo genere di cose. Un “tin” che fece rabbrividire di colpo Antonio, come se qualcuno gli avesse appena versato sulla schiena un secchio pieno di ghiaccio.

La nausea lo attanagliò subito alla bocca dello stomaco, un formicolio forte e spiacevole, mentre la sensazione che quel suono significasse qualcosa di brutto, di molto brutto, lo invadeva lasciandolo spossato.

Tutto successe nel giro di un secondo, giusto il tempo che Lovino si voltasse dalla sua parte e Antonio si sentì come se gli avessero dato una forte botta in testa.

Immediatamente barcollò all'indietro quasi fosse stato un ubriaco, andando subito ad incontrare con la schiena la parete dell'ascensore, e lì scaricò tutto il suo peso.

Sentiva di non riuscire più a reggersi in piedi; nelle orecchie gli fischiava il tintinnio di prima, che un po' era proprio lo stesso, un po' era un suono lontano, appartenuto a una situazione che era certo di aver già vissuto da qualche parte nel suo passato.

Nonostante tutto, Antonio seppe che Lovino era accanto a lui, che gli stava toccando il viso, che lo chiamava. Almeno ce l'aveva vicino in questo momento.

Ce l'aveva vicino ma non riusciva a dirgli niente, e questo era...

Era successo un'altra volta, sì, ne era sicuro...era successo proprio così, lui l'aveva avuto vicino, avrebbe voluto parlargli, quella volta, ma non c'era riuscito...piangeva a terra, quel bambino, prostrato sul pavimento, poi aveva alzato la testa, e quei suoi occhioni verdi, zuppi di lacrime...inondato di pianto anche il viso di Antonio...

Una cosa terribile, ma com'era stato possibile? Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che Gilbert, lì dentro...che Gilbert non ci sarebbe più tornato, a casa loro, quel giorno...l'aveva detto Francis ai parenti dell'amico, i parenti tedeschi che non avevano voluto vedere Antonio, ma Antonio si era alzato dal letto e aveva origliato, aveva sentito tutto...erano usciti fuori, aveva detto detto Francis agli zii del tedesco, erano usciti, Antonio e Gilbert, mentre lui era rimasto a casa a...

 

 

Preparare la cena di post-Natale! La scusa più vecchia del mondo per non venire a crepare di freddo insieme al Magnifico e al suo schiavetto spagnolo!” aveva gracchiato Gilbert mentre scendevano le scale di casa loro.

Dai Gil, lo sai che ormai è una specie di tradizione che sia Francis a cucinare per noi quando festeggiamo. Poi sei stato tu a dirmi di uscire per cercare un regalo per tuo fratello, o no?” gli disse Antonio.

Certo che si, ma Francis poteva pure aggiungersi a noi, no?” gridò l'altro, scandalizzato.

Poi guardò Antonio con gli occhi carichi di una certa pietà, come a voler dire che provava compassione per gli esseri dalla mente inferiore come la sua.

Insomma dai, Antonio, un po' me l'aspettavo...va bene, ero abbastanza sicuro che dopo la mia proposta superlativa pure il frocetto francese sarebbe venuto insieme a noi, e invece mi ha rovinato i piani! Che stronzo”

Lo spagnolo guardò Gilbert sbattendo le ciglia con enfasi mentre buttava le chiavi di casa nella cassetta della posta come facevano sempre.

Aww, ti sarebbe piaciuto che fossimo andati tutti e tre insieme a fare compere...ma quanto sei tenero, Gil!”

Piuttosto direi geniale, altro che tenero!” disse lui, portandogli un braccio intorno alle spalle, “In realtà non mi fido più di tanto del tuo buon gusto in fatto di regali, mio caro Antonio. E invece Francis, be'...lui è frocio ed è anche francese, non si può sbagliare per queste cose!”

Ma è anche positivo che non sia venuto, perchè sai, io...”

Antonio si fermò, schiarendosi la voce. Non era un argomento che gli piaceva sbandierare con gli altri, però sapeva che non c'era bisogno di vergognarsi con Gilbert, che era nella sua stessa identica situazione: tutti e due erano poveri in canna.

Io non ho ancora potuto comprargli nulla come regalo, magari posso rimediare adesso! Tu invece?” chiese alla fine.

E come cazzo facevo, Antonio? In realtà non ho preso nulla nemmeno per te, ma chissene frega, tanto a te non devo niente, basta l'affetto, no?”

Lo spagnolo scoppiò a ridere, perchè in effetti neanche lui aveva potuto acquistare qualcosa per l'altro, ma anche perchè gli era venuto il sospetto che...

Aspetta, non dirmi che Francis ha anticipato anche a te la rata dell'affitto di questo mese?” domandò, prendendolo per le spalle.

Gilbert lo guardò con gli occhi sgranati.

SI! Ha prestato i soldi anche a te?”

SI!”

Dopo un attimo di silenzio, i due scoppiarono a ridere sonoramente tendosi lo stomaco e sbattendo i piedi per terra, ma dopo poco il tedesco volò a tappare la bocca di Antonio facendogli segno di stare zitto, perchè stavano parlando sotto casa.

La verità è che siamo due poveracci e pure stronzi (io magnifico ugualmente anche in questa situazione, però), e Francis è un francese maledettamente ricco” soffiò Gilbert.

Non dimenticare di aggiungere che è anche un grande amico” disse Antonio, sorridendo.

Infatti non era sicuro che qualcun altro, per quanto ricco, avesse potuto essere così incredibile con loro come era stato Francis, che aveva praticamente pagato l'affitto per tutti e tre quel mese...e non era stata neanche la prima volta.

Magari oggi non la prendiamo la macchina, eh?” disse piano Gilbert, lo sguardo puntato sull'auto di Francis parcheggiata lì vicino.

Infatti l'unico dei tre ad avere la macchina era proprio il francese, e quindi quella veniva usata per gli spostamenti anche da loro.

Sì” concordò lo spagnolo, annuendo, “sì, almeno non gli consumiamo la benzina, sta volta”

Gilbert ghignò soddisfatto, blaterando qualcosa sulle sue idee che erano sempre le migliori, e tirò fuori dalla tasca del giaccone rosso una paio di guanti e un berretto dello stesso colore.

I guanti se li infilò lui, e Antonio dovette sforzarsi per non mettersi a ridergli in faccia: l'effetto visivo che faceva in quel modo, vestito di rosso e pallido come un fantasma, era impagabile.

Gilbert intercettò lo sguardo divertito dello spagnolo e gli infilò il berretto in testa, calandoglielo fino agli occhi.

Facciamo che ti regalo il mio cappello, per quest'anno! E quindi ho accontentato pure te, stronzetto! Mamma mia, sono troppo buono...santo Dio, sono così magnanimo che mi faccio quasi paura da solo!”

Antonio rise forte buttandosi addosso all'amico, felice e davvero grato di avere accanto a sé due persone tanto splendide.

Lui non aveva più nessuno in Spagna, e per tanti anni aveva creduto che le cose non sarebbero mai potute cambiare. Invece poi aveva trovato quasi per caso Gilbert e Francis, tutto aveva avuto un nuovo senso e lui aveva guadagnato due fratelli...

Sono o no troppo magnifico per essere vero?”

Lo sei, Gilbert, lo seiiiiiiiii!”

Se ne andarono così, Antonio e Gilbert, parlando a voce alta e ridendo,

 

verso il centro commerciale,

 

a piedi.

 

 

Esattamente, a piedi.

C'era qualcosa di strano in questo, qualcosa di fuori posto...un dettaglio che non tornava. Tuttavia, proprio come le voci inquietanti della volta prima, non si era trattato di un semplice sogno...quello non poteva che essere un ricordo.

Lo era, era vivido e doloroso e Antonio, semi cosciente mentre Lovino lo trasportava dalla macchina fin dentro casa, aiutato da Feliciano, si chiese come avesse fatto a dimenticare proprio quella cosa.

Come aveva potuto...?

Erano stati quelli i minuti prima che succedesse tutto, prima che la sua vita cambiasse radicalmente e che Gilbert non ne facesse più parte...prima che morisse. Era un ricordo del 28 Dicembre 1995, Antonio ne era certo.

Ed era una certezza spaventosa che non poteva negare; il suo cuore glie lo diceva, non si stava sbagliando.

Ma nonostante questo, non riusciva proprio a capacitarsi di come avesse fatto a mettere da parte la risata di Gilbert sotto casa, l'affitto pagato da Francis, i guanti e il cappello rosso. Di come avesse potuto dimenticare...dimenticare che...

Confusamente, Antonio si accorse che non erano solo i suoi pensieri a singhiozzare: stava piangendo come un bambino, il viso sepolto in un cuscino morbido. Quando riuscì a trovare la forza di alzare la testa, si rese conto di essere nella disordinata camera di Lovino, steso sul suo letto. E accanto c'era proprio lui, seduto in un angolo ai piedi del materasso, che lo guardava con gli occhi verde pistacchio carichi d'ansia.

“Stai bene? Come stai? Che è successo?” gli chiese a raffica, sporgendosi un po' verso Antonio.

Il cuore dello spagnolo mancò un battito. Passandosi rapido una mano sul viso, si mise a sedere anche lui, avvicinandosi a Lovino.

Per fortuna che era lì. Per fortuna che c'era.

“Io...” iniziò Antonio, ma dovette fermarsi perchè la sua voce era così rotta e sofferente da spaventare persino se stesso.

“Non ti sforzare, hai un aspetto terribile...fai schifo” disse Lovino, tentando di nascondere le labbra che tremavano e puntando lo sguardo sul piumone. “Non lo sapevo che saresti stato così male in ascensore...sei caduto come...come un birillo” aggiunse, afflitto.

Il tono era sommesso e dispiaciuto, quasi come se Lovino stesse provando a chiedergli scusa o a giustificarsi o comunque a dire qualcosa di carino. Se Antonio non si fosse sentito uno straccio, gli avrebbe volentieri mostrato il più grande dei suoi sorrisi.

“Non ti preoccupare Lovi” riuscì a gracchiare, “se non fossi entrato lì, ti avrei perso di nuovo. Era l'unica cosa da fare. Dimmi una cosa, poi...non ha piovuto, vero?”

L'altro lo guardò in modo strano, piegando un sopracciglio. Antonio notò che anche lui non aveva un aspetto molto sano, soprattutto per via degli occhi gonfi e pesti.

“No, alla fine non ha piovuto”

Lo spagnolo piegò le labbra in un sorriso compiaciuto. Ormai aveva intuito...stava venendo a capo di tutto.

“Lo sapevo...vuol dire che è stata la scelta giusta. Credo che...credo proprio che sarei dovuto entrarci per davvero prima o poi, in quell'ascensore”

“Perché dici così...?”

Lovino gli si avvicinò ancora di più, con fare agitato, il viso provato come se si stesse sforzando ti trovare le parole giuste da dire.

“Che cosa...che cosa hai visto che ti ha fatto piangere in quel modo, poco fa?”

Antonio sospirò involontariamente, affondando poi la schiena sulla spalliera del letto.

“Non avevo ancora avuto modo di parlarne bene con te...avrei dovuto farlo prima, però. Credo di aver capito che tutti i miei salti nel tempo siano stati...una specie di percorso attraverso cui, oltre ad aver conosciuto te...” disse, guardandolo con tenerezza, “...ho anche ritrovato alcuni pezzi di me...che mi ero perso per strada. Ci sono delle cose che sembra io abbia dimenticato, cose che devo ricordare e poco fa ho rivissuto un momento particolare, che mi ha fatto chiarire un punto fondamentale...ti avevo parlato del mio amico morto in un incidente d'auto, Gilbert”

Lovino annuì con serietà, avanzando ancora un altro pochino verso Antonio. Ormai non c'era più spazio per sedersi oltre, tanto gli stava vicino.

Ti avevo detto di come io non sapessi esattamente cosa fosse successo” riprese Antonio, e più spiegava tutto all'altro, più la situazione sembrava chiara anche a lui, “...scommetto che è proprio su questa storia che devo “fare ordine nel mio cervello”, come mi ha detto...qualcuno. Io di quella intera giornata non ho mai ricordato neanche un minuto, almeno fino a poco fa. Però c'è qualcosa che non mi torna e devo subito chiamare Francis per chiedergli se...”

Ma in quel momento Lovino allungò una mano e la appoggiò delicatamente all'altezza del cuore di Antonio. Era stato una sorta di gesto per fermarlo, ma di un'intensità tale che lo spagnolo sentì formicolargli lo stomaco. Era lieve, quella mano, e se Lovino non l'aveva bloccato con una testata, significava solo che gli aveva voluto far capire l'importanza della sua richiesta.

Chiamalo domani, questo Francis”

Non era un ordine, ma neanche una pretesa detta in tono patetico. Era un appello sentito, reale, sincero. Lovino gli stava chiedendo di rimanere lì con lui. Dopo le urla e le lacrime e gli sfoghi di prima, gli chiedeva di rimanere lì, quella notte.

Chiamalo domani perchè ho la sensazione che quando gli avrai parlato...te ne andrai per davvero, e sarà per sempre”

Antonio rimase profondamente colpito da quell'affermazione; anche Lovino quindi aveva percepito qualcosa, proprio come lui era stato preso da uno strano presentimento. Poteva leggerglielo negli occhi, brillanti nella semi oscurità della stanza, che era così.

Nonostante questo, non ebbe cuore di dirgli che condivideva la stessa paura: quella di doversi separare da lui una volta trovata la chiave per risolvere il mistero. Decise allora di far capire a Lovino solo quello che desiderava e per cui avrebbe lottato, onestamente e con tutto se stesso.

Ce la metterei tutta per non lasciarti, perchè non voglio farlo, vorrei stare per sempre con te...non so se potrò, ma è la cosa che vorrei di più al mondo e ci proverei fino all'ultimo...se solo tu me lo permettessi”

Allora l'altro staccò la mano dal suo petto, incerto, bloccandola a mezz'aria tra loro due.

E' quello che voglio anche io” bisbigliò.

Davvero?” si animò lo spagnolo, “Prima però mi hai fatto capire che la mia presenza ti ha fatto soffrire tanto”

E' la tua assenza che mi ha fatto soffrire, imbecille, la tua presenza mi ha sempre e solo fatto stare bene! Dopo tutti questi anni in cui ho perso tempo ad aspettarti, adesso che sei qua voglio tenerti con me...sennò sarei doppiamente un idiota, no?”

Persino nel buio, il viso del più giovane era acceso come una lanterna rossa.

Antonio era così felice che gli veniva da piangere. Era un tipo di gioia molto potente, che forse non aveva mai provato; era grande, enorme, infinita, ma allo stesso tempo c'era come qualcosa di triste dentro. Per evitare che la mente lo portasse verso scenari in cui era costretto da una tempesta a dover dire addio per sempre a Lovino, proprio ora che si erano finalmente trovati per davvero, Antonio coprì quei pochi centimetri che erano rimasti a separarli, buttandoglisi tra le braccia.

Che bello, allora” disse, sognante.

Il meglio arrivò quando Lovino incastrò il viso sulla sua spalla, passandogli poi le braccia sulla schiena, dove piantò le dita con decisione. Allora le mani di Antonio si mossero da sole andando a circondare i fianchi stretti dell'altro, e lì rimasero per un numero non definito di minuti, che avrebbero anche potuto benissimo essere giorni o anni.

Nel silenzio totale, pareva quasi che il calore avvolgente della loro vicinanza avesse una musica tutta sua, fatta dei loro respiri; quelli di Antonio erano profondi e lenti, stanchi ma sereni. Quelli di Lovino assolutamente irregolari, a volte impercettibili, altre volte veloci e mozzati. Sarebbero potuti rimanere così per sempre a cercare sincronizzare i loro respiri, ma non sarebbe servito a niente. Infondo, anche i loro cuori battevano a ritmi distinti e ben diversi, sconosciuti l'uno per l'altro, e il bello stava proprio nella reciproca scoperta.

Non si poteva semplicemente rimanere così, saggiandosi l'uno con l'altro, per sempre?

Devi proprio parlare con Francis...?” chiese a un certo punto Lovino, leggendogli nella mente, “Se scopri la verità c'è il rischio che tu ponga fine a tutto, lo sai”

Lo sapeva eccome.

Per qualche secondo, Antonio valutò seriamente l'idea di piantarla con la sua ricerca sovrannaturale di sogni, ricordi e strani avvenimenti. Ma cosa avrebbe fatto allora...sarebbe dovuto rimanere tappato in casa fino alla fine dei suoi giorni, per evitare le pioggia? Che vita avrebbe fatto vivere a Lovino?

Lovino, lui che, a detta di Jeanne, alla fine di tutto avrebbe ottenuto del bene...

Quindi il bene di Lovino dipendeva da Antonio. Bastò quello a schiarirgli le idee.

E' necessario che io vada fino in fondo” disse, consapevole di non essere in grado si esprimersi meglio di così...sperando che l'altro potesse intuire tutti i pensieri non detti che c'erano dietro.

Allora metticela tutta per non sparire un'altra volta, e quando avrai rimesso insieme i pezzi che ti eri perso per strada...torna da me e non farmi aspettare più, figlio di puttana”

Quanto lo amava Antonio, quel ragazzo imprevedibile, sboccato, difficile e stupendo.

“Preferirei che la smettessi di insultarmi gratuitamente, però” disse sorridendo, mentre faceva scorrere le mani sulla sua schiena per aggrapparglisi alle spalle.

Lovino venne scosso da un brivido, ma sembrò ben deciso a non far notare la cosa e a rimanere sulle sue ancora un po' più a lungo (proprio adorabile...).

Poi alzò il viso per poter guardare quello di Antonio, svettandolo con tutta la testa perchè si era messo in ginocchioni, e soffiò, abbastanza divertito:

“Ti rende triste che io ti insulti?”

“Un po'” ammise lui, evitando di aggiungere “tanto” solo per quel pochino di orgoglio che non riusciva a mettere da parte, se pensava che infondo lui era più grande di Lovino e si meritava del rispetto per questo.

“Conosco un modo efficace per tirare su di morale qualcuno...una tecnica francese” disse piano piano Lovino, rimanendo serio e senza un briciolo di malizia, ma rosso fino alla punta del naso.

Antonio per un momento credette di stare sognando.

“Mi v...mi vuoi baciare?!” incespicò.

“Lo dovevi proprio dire esplicitamente...? Solo perchè è quasi mezzanotte, comunque”

Allo sguardo interrogativo dello spagnolo, Lovino fece roteare gli occhi verso il soffitto, esasperando il gesto, anche se in effetti non poteva passare per scocciato quando sembrava uno che ha pianto per parecchie ore di fila. Ah, se non era amore...

“Siamo a fine anno! E' il trentuno Dicembre, no?” disse, con fare ovvio.

Antonio l'aveva dimenticato. Con tutto quel pensare agli anni, non aveva più fatto caso ai giorni...sorridendo, slacciò con delicatezza il polso di Lovino dalle proprie spalle per guardare il bell'orologio col cinturino nero del ragazzo.

“Non è più il trentuno...è appena passata la mezzanotte da tre minuti”

Il più giovane lo guardò con intensità, mordendosi un po' il labbro.

“Sei sempre in ritardo, vedi! Ma sta volta posso ignorarlo, se è solo per tre minuti. Comunque non montarti la testa, questo...questo lo faccio solo per assicurami che tu sia davvero qui, ora...e che non sia un sogno...buon anno nuovo, bastar...Antonio” mormorò, e gli si avvicinò al viso a piccoli scatti, tenendo gli occhi chiusi.

Prendendogli il volto tra le mani, come se avesse tenuto un qualcosa di fragile tra le dita, Lovino gli strofinò il naso sulla guancia. Poi, pianissimo, gli appoggiò le labbra un po' ruvide, anziché sulle sue, all'angolo della bocca...dispettoso fino all'ultimo.

Eppure era il massimo, e Antonio si godette per qualche attimo la sensazione più dolce del mondo, prima di piegare la testa e incontrare l'altro nel bacio tanto aspettato e voluto da entrambi.

Un bacio prima tenero come quello dato al bambino con le calze a fantasia di pomodori; poi sempre più dolce, dolcissimo, intenso alla fine, e carico di tutto l'amore accumulato in tanto tempo, di tutta la voglia di dare e ricevere, di conoscersi completamente, di aversi l'uno con l'altro, l'uno per l'altro, per sempre.

Poi, un groviglio di braccia e gambe e mani e labbra che si stringevano, senza volersi lasciare mai, senza vergogna, perchè tutto era vero e così giusto...forse erano nati, per quello.

Erano nati per aversi, Antonio e Lovino, e seppure tanti anni li avevano divisi dal momento del loro primo respiro, erano riusciti a scavalcare persino i giorni per ritrovarsi, finalmente, al punto giusto.

Nel buio di quella notte, sembrava aleggiare la sensazione che tutto sarebbe presto giunto a una conclusione.

Non c'era però nessuna paura, nessun brutto presentimento, adesso. Solo, nella stanza c'erano loro due.

“Buon anno nuovo, amore mio. Che sia il primo di tanti altri insieme” disse Antonio, anche se in qualche modo, tanti anni insieme li avevano già passati.

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti *-* premetto subito che non sarò più esplicita di così, perchè nel mio cervello, questo è il massimo con cui si può osare con questa storia :3 sin da quanto ho iniziato a idearla, avevo deciso che sarei sempre rimasta “sul vago” (xD) e in effetti per questo ho scelto il rating verde. Spero di non aver deluso qualcuno >w<

Comunque, il capitolo è più romantico di tutti gli altri, credo, e spero di essere riuscita a dosarmi, ma adesso serviva un po' di zucchero nel “melodramma”...anche perchè la prossima volta sarà finalmente l'ora delle rivelazioni >w<

A questo punto vorrei spendere due parole sul titolo della long; con “In time with you” volevo rendere l'idea di “nel tempo con te”, riferendomi ai viaggi nel tempo che Antonio fa, andando poi ad incontrare sempre Lovino...ho pensato che fosse un po' come se viaggiasse proprio insieme lui. Inoltre volevo anche esprimere il concetto “in tempo per te”, con riferimento a tutti gli anni in cui questi due si sono aspettati a vicenda, mancandosi magari proprio quando ne avevano più bisogno...arrivando in ritardo.

Be', non sono sicura di essermi espressa in un linguaggio comprensibile, ma per oggi non riesco a fare meglio di così (!? XD)

Ringrazio come al solito tutti voi che leggete, seguite e magari commentate anche, siete la spinta che ha permesso alla storia di arrivare fino a questo punto <3 alla prossima :3

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Capitolo 11
*** 28 Dicembre 1995 ***







Quella notte, Antonio non dormì neanche per un minuto.

Senza sapere se aveva Lovino tra le sue braccia o se era lui a stare tra le braccia di Lovino, lì, nel letto piccolo piccolo e caldo, sarebbe stato uno spreco dormire.

Dalle coperte spuntavano appena le loro teste, visibili dal naso in su, come se le bocche avessero dovuto rimanere nascoste sotto il piumone insieme al resto dei dolci segreti.

Erano state delle ore tutte loro, quelle. Dedicate ad Antonio e Lovino, possedute da loro, destinate a loro, e, qualunque cosa sarebbe successa adesso, quel ricordo sarebbe appartenuto ai due ragazzi per sempre e nessuno avrebbe potuto portarlo via.

Era questo che pensava lo spagnolo, mentre piano soffiava sui capelli dell'altro, per divertirsi a vederli ondeggiare. Lovino dormiva; l'espressione rilassata e serena che poteva sfoderare solo nel sonno era la cosa più appagante che Antonio avesse mai visto. E poi c'era il suo respiro, finalmente calmo e non più spezzato o bagnato di tristezza, che gli faceva alzare e abbassare il torace nella danza più dolce del mondo. Ogni tanto Antonio sbirciava furtivo sotto le coperte per bearsi di quello spettacolo, e allora si ravvedeva anche delle loro gambe intrecciate. Poi c'erano le mani, alle quali non restava altro che rimanere affondate tra le spalle dell'uno e fianchi dell'altro, perchè tutto ciò che avevano potuto, avevano già cercato.

Come poteva Antonio dormire quando c'era così tanto da vedere?

Così tanto ancora da sfiorare, abbracciare, stringere forte ma sempre con attenzione, cercando di evitare di svegliare Lovino.

Innanzitutto, perchè Antonio non era molto sicuro che Lovino gli avrebbe permesso di fissarlo così a lungo, da sveglio, né di tenerlo allacciato a sé per troppo tempo.

Ne aveva avuto conferma durante la loro lunga notte, quando ogni tanto il più giovane, nei momenti più intensi in cui anche le tende della finestra si sarebbero messe a cantare inni in lode alla passione, quando Antonio era sul punto di giurargli amore eterno e magari anche di chiedergli di sposarlo, insomma proprio in quei momenti lì, Lovino gli aveva tappato la bocca con la mano, spingendogli la testa lontano dalla sua.

Antonio non aveva saputo se mettersi a ridere o a piangere per quella sua infinita caparbietà; certo la tentazione di scoppiare in lacrime prevalse quando Lovino, con una specie di gancio sinistro diretto sotto il mento, lo spinse così in là da fargli sbattere forte la testa contro la spalliera del letto.

More e bernoccoli non sarebbero mai mancate con lui, sia in guerra che in amore.

Ma quello era il loro modo disfunzionale di far funzionare le cose, e se poi ogni volta che Lovino lo allontanava, subito dopo tornava a cercare Antonio e gli allacciava le braccia al collo, allora lo spagnolo non osava chiedere di più.

Nemmeno era capace di immaginarsi qualcosa di meglio, né avrebbe voluto che il suo Lovino cambiasse di una virgola. Qualche volta, doveva ammetterlo, desiderava che fosse un po' più dolce nei suoi confronti. Ma le sue tenerezze nascoste, i sorrisi più sinceri appena accennati, la luce che gli inumidiva gli occhi quando non diceva nulla, significavano tutto, e non servivano le parole per capire che anche Lovino lo amava.

Che si amavano a vicenda, che lo sapevano entrambi.

Per tutto questo, alzarsi dal letto fu una sorta di dolore fisico per Antonio. Indugiò ancora un attimo sul profilo dell'altro, avvicinandosi piano piano fino a che non li divisero solo pochi millimetri. Si fermò lì, le labbra all'altezza del suo naso. Immaginare di posarle sulla sua pelle ancora una volta fu facile, visto che conservava tutti i sapori e i profumi della notte appena trascorsa.

Però non fece nulla e si allontanò in punta di piedi dal letto, sforzandosi per reprimere un mugolio di tristezza. Sulla soglia della stanza di Lovino, Antonio si morse forte le labbra e chiuse gli occhi, inspirando, per impedirsi di tornare indietro.

Se l'avesse svegliato anche solo per dargli il buon giorno, o se avesse voluto parlargli per l'ultima volta, per paura di dovergli dire addio, poi non sarebbe riuscito a staccarsi veramente da lui, lo sapeva.

Tuttavia sapeva anche che Lovino aveva sempre sofferto perchè lui era uscito dalla sua vita senza dirgli nulla, e di conseguenza, si sentiva malissimo all'idea di andarsene per davvero anche sta volta.

Per darsi coraggio, Antonio pensò che infondo non c'era niente da temere dato che sarebbe certamente tornato da Lovino, alla fine, che ci avrebbe messo anima e corpo per non lasciarlo.

Non lo lascio” mormorò, muovendosi come uno spettro nel corridoio, “non lo lascio”.

Quella frase era il suo mantra da ripetere all'infinito, e più lo faceva più si rendeva conto che la potenza delle sue parole corrispondeva a quella delle intenzioni.

Non lo lo lascio, e rischio tutto” disse, e aprì appena la porta della stanza di Feliciano.

Avrebbe voluto fare da solo, senza coinvolgere nessuno dei due fratelli. Ma la verità era che non conosceva esattamente il modo per mettersi in contatto di nuovo con Francis; certo, sapeva dove abitava, ma tornare lì era pericoloso perchè sicuramente ci sarebbe stato anche Arthur Kirkland (Kirkland, il patito di magia nera, lo stesso che mai era andato d'accordo con lui e che una volta gli aveva morso il braccio, lasciando una cicatrice che Antonio ancora aveva).

Non restava dunque che telefonare a Francis, e quello si poteva fare, visto che l'amico l'ultima volta gli aveva lasciato...com'era che si chiamava? Il suo i-phone.

Sarebbe stata la soluzione perfetta, se solo Antonio avesse avuto la vaga idea di come usare quell'oggetto.

Lo spagnolo aveva quindi pensato di chiedere aiuto a Feliciano.

Si fidava di lui, del simpatico e gioviale minore dei fratelli Vargas. Infondo, fino a quel momento si era rivelato davvero un elemento fondamentale: aveva sbloccato più di una volta la situazione tra lui e Lovino, e l'aveva fatto con la sua sincerità e il suo candore tutto speciale. Sorridendo tra sé, Antonio si chiese se il ragazzo avesse la vaga idea della sua importanza in tutta quella vicenda. Magari non ce l'aveva, però di sicuro non era uno sprovveduto, o almeno non lo era così tanto come dava a vedere.

Permesso...” bisbigliò Antonio, sbirciando all'interno della sua stanza, l'ultima infondo al corridoio.

Non arrivò alcuna risposta, e bastò una rapida occhiata per realizzare che Feliciano non c'era. Con una punta di sconforto, lo spagnolo pensò che in effetti era il primo giorno dell'anno nuovo, e che magari Feliciano fosse andato da qualche parte la sera prima e non fosse ancora tornato.

Anziché andarsene subito, però, Antonio si concesse qualche secondo per curiosare in quell'ambiente, che, un po' inaspettatamente, trovava un pochino troppo colorato perfino per i suoi gusti.

Non c'erano libri sparsi sul pavimento né vestiti piegati sulla scrivania come nella stanza di Lovino; in realtà non c'era nulla che fosse fuori posto, ma qualcosa faceva sembrare la camera più piccola di quanto in realtà non fosse: i muri erano quasi completamente ricoperti di foto.

Anche rimanendo sull'uscio, Antonio avvistò subito i ciuffi dei due fratelli spuntare nelle immagini, che li ritraevano a tutte le età, da soli o insieme a molte facce a lui sconosciute. Forse erano tutti amici loro, a giudicare dai visi giovani e sorridenti ritratti nelle foto. Lo spagnolo notò che spesso si ripeteva il volto di un ragazzo dai capelli biondi e dalla carnagione chiara, su cui spiccavano due occhi di un azzurro potente.

Questo particolare lo incuriosì, e già stava per avvicinarsi per poter esaminare quella figura che, in qualche modo, gli ricordava qualcuno, ma...

Qualcosa catturò la sua attenzione non appena ebbe fatto due passi all'interno della camera, qualcosa che ebbe il potere che fargli provare un forte senso di vuoto che dallo stomaco salì fino alla punta della testa.

C'era un angolo del muro, davanti a lui, in cui apparivano foto con gli stessi soggetti: i due fratelli, ancora molto piccoli, insieme a un uomo sorridente, oppure lo stesso uomo da solo, o l'uomo accompagnato da un ragazzo che teneva per mano una donna.

Il dettaglio curioso era che i capelli di tutti fossero di varie tonalità di castano molto simili tra loro, e che strani ciuffetti ricci spuntavano da tutte le loro teste, tranne che da quella della donna.

Era la famiglia Vargas.

C'era una somiglianza impressionante e innegabile tra i componenti maschili del gruppo. L'uomo più anziano, che Antonio riconobbe come nonno Vargas, sfoderava spesso un ghigno incredibilmente simile al sorrisetto sghembo che faceva Lovino quando lo prendeva in giro; lo stesso che spuntava sempre sul volto dell'altro uomo ritratto insieme a loro, che non poteva essere altri se non il figlio di nonno Vargas. La donna dai capelli color miele scuro e dagli occhi verdi doveva dunque essere la madre di Lovino e Feliciano. Aveva un'espressione molto dolce che ricordava quella del figlio più piccolo, spesso da lei tenuto in braccio nelle immagini.

Se ne stavano così, vicini tra loro e sorridevano tutti, anche il piccolo Lovino, tra una smorfietta e l'altra. Erano bellissimi, e lo sarebbero rimasti per sempre, almeno in quelle foto.

Solo in quelle foto però, perchè ormai nulla di tutto questo sarebbe più potuto succedere. I componenti più anziani della famiglia erano morti tutti, e quelli che Antonio stava ammirando non erano altro che ricordi che risiedevano da qualche parte nel passato dei due fratelli.

Mi dispiace” disse ad alta voce, andando inconsapevolmente ad accarezzare con l'indice la testolina di Lovino, raffigurato in uno scatto tra le possenti braccia del nonno.

Quell'uomo...quell'uomo era un po' come se Antonio lo conoscesse.

Aveva tanto sentito parlare di lui da Lovino, l'aveva persino visto nel corso dei suoi viaggi nel tempo. Gli era sembrata una persona molto forte, tanto che quando aveva saputo della sua scomparsa, gli era rimasto difficile accettare che persino uno come lui potesse morire.

Nonno Vargas...” bisbigliò, perso trai suoi pensieri.

Se tu fossi stato vivo, magari con gli anni avresti potuto chiarire le incomprensioni che c'erano con tuo nipote”

Con un sorriso amaro, Antonio assottigliò gli occhi per mettere meglio a fuoco il viso aperto e sicuro del capo famiglia dei Vargas. Una strana forza teneva il suo sguardo incollato su di lui con insistenza, mentre lo assaliva una curiosità sempre più crescente verso la sua figura.

Chissà se aveva mai capito le ragioni del malessere di Lovino, chissà che tipo era stato davvero...chissà che fine aveva fatto.

Ho la sensazione che tu sia stato un brav'uomo...non eri...morto durante un salvataggio, aveva detto Lovino?”

La risposta arrivò da sola: in quel preciso momento, Antonio notò l'angolo di un foglio di carta che sbucava da dietro l'immagine che stava guardando.

Subito seppe che doveva vedere.

Piano, tirò fuori quel frammento nascosto da Feliciano sotto la foto, un po' come qualcosa che si nasconde dentro il proprio cuore; era un ritaglio di giornale, un piccolo trafiletto rettangolare senza alcuna immagine. La stampa era ormai quasi ingiallita e le parole erano di colore grigio opaco. La carta era consumata e frastagliata...quasi come fosse stata bagnata e poi asciugata, quasi come se...qualcuno ci avesse pianto sopra.

Incidente al centro commerciale” lesse Antonio, scandendo le parole, sentendole distanti una vita intera da lui. Eppure...eppure che cos'era quel tonfo, quel battito del cuore che iniziava a risuonargli dentro come una marcia, in modo sempre più frenetico?

Scoppia un incendio, opera di un piromane...”

E la sua voce suonava quasi come se non fosse la sua, adesso, quasi come se stesse leggendo un'altra persona. Perché altrimenti non sarebbe stato possibile che quella fosse stata proprio la sua voce, no; non una voce così grave, tanto spaventata nella sua freddezza.

Muore il vigile del fuoco...”

Invece era proprio così.

Il vigile del fuoco Romano Vargas durante...”

Innegabile che fosse così.

Durante il salvataggio di...”

Innegabile perchè proprio lui, Antonio, era stato testimone di tutto.

Il ritaglio di giornale scivolò via tra le dita dello spagnolo, vorticando piano, e prima che arrivasse a toccare terra, tante immagini e tante voci si ammassarono nella sua testa a un tempo solo: la feritoia sempre più stretta, la luce, il tintinnio...l'uomo, la mano, le sue mani...e i suoi sogni, tutti i sogni che aveva sempre fatto fino a quel momento, quegli stessi sogni che gli impedivano di dormire bene durante la notte, uno dei quali l'aveva buttato giù dal sedile del treno quando aveva visto Lovino da piccolo...non erano mai stati sogni: erano quei ricordi che lui aveva sepolto, che si era sforzato di nascondere, che avevano sempre fatto pressione per tornare a galla...

E ostinatamente, li aveva tenuti lontano da sé, nella parte più profonda della sua persona, semplicemente perchè...erano troppo. Troppo da sopportare.

Francis” boccheggiò Antonio.

Chiamare Francis. Immediatamente.

Ma le mani non stavano ferme, gli tremavano senza controllo, e per evitare a se stesso di correre in camera di Lovino o di mettersi a urlare come un animale, lo spagnolo si forzò a scendere le scale per poter uscire in giardino.

Muoversi fu assurdo, come se in effetti non sentisse i propri piedi toccare terra. Niente rimaneva di concreto se non una grande confusione, e il sudore freddo che gocciolava senza pietà dalla sua fronte. Antonio fu fuori senza neanche realizzarlo sul serio.

Solo quando una folata di gelido vento mattutino lo fece rabbrividire, trovò la spinta per estrarre dalla tasca quel telefono.

Iniziò a rigirarselo tra le mani come un disperato, toccando e spingendo ogni angolo. Le dita non volevano saperne di rimanere salde, erano diventate come rigidi pezzi di legno, tanto che Antonio fece cadere quella cosa più di una volta, con sommo terrore di averla rotta. Alla fine, chissà come, vide sullo schermo illuminarsi la parola “Casa”. Con il sangue gelato che gli ghiacciava le vene, si portò il telefono all'orecchio, in attesa di un risvolto, uno qualunque, sentendosi prossimo alla perdita dei sensi.

Dopo appena uno squillo, una voce rispose, permettendogli di uscire dall'apnea nella quale era involontariamente entrato.

Pronto?”

Una voce roca e conosciuta e amata e francese.

Pronto, chi...Antonio?”

Il ragazzo annuì con la testa come un bambino.

Antonio, sei tu, vero? Dieu, aspettavo la tua chiamata dal momento in cui ci siamo separati” bisbigliò in fretta Francis. “Dimmi qualcosa, Antonio...perchè non dici niente? Sono io, sono Francis...non avere paura”

Francis” disse meccanicamente Antonio.

Avrebbe voluto fargli capire quello che stava succedendo, quello che aveva scoperto, il mistero di cui forse stava venendo a capo, e fargli sapere tutta la paura inspiegabile che lo stava attanagliando e la marea di sensazioni incomprensibili che provava, ma...

L'incidente che non ricordo...è stato un incidente in ascensore, vero?” furono le parole che uscirono dalla sua bocca.

Esprimere ad alta voce quel pensiero che vagava nella sua testa senza farsi notare già da un po', fu come darsi una pugnalata da solo.

Francis rimase in silenzio per qualche secondo, permettendo al fiume di parole che saliva alle labbra di Antonio di defluire liberamente.

Io non ho mai ricordato nulla di cosa fosse successo quella volta con Gilbert, mai nulla. Quando mi risvegliai all'ospedale, fosti tu a riferirmi tutto quello che ti avevano detto i dottori...di come si fosse trattato di un incidente in auto...ma non è possibile questo, non è possibile, Francis...perchè ho ricordato cosa fosse successo prima, io e Gilbert e il tuo pranzo e il cappello e...eravamo a piedi, Francis. Niente macchina. Niente incidente d'auto.”

Com'era possibile che il suo tono di voce fosse così piatto in un momento del genere? Antonio si stava sentendo morire, sia per quello che aveva capito, sia per quello che, lo sapeva, rimaneva a Francis da chiarirgli.

Non muoverti di lì” fu la funerea risposta dell'amico, quasi se la sua voce fosse venuta fuori dall'oltretomba. “Ti trovi ancora nella casa in cui sono venuto l'altra volta, vero?”

Antonio annuì, inutilmente.

Prendo il tuo silenzio come una risposta affermativa. Arrivo in un minuto”

E quel minuto sembrò lungo come un'ora. Quasi un tempo dilatato e interminabile durante il quale Antonio rimase con l'oggetto consegnatogli da Francis premuto contro l'orecchio destro, e la sua mano a tappare l'orecchio sinistro. Sperava così di concentrarsi, di ricordare quello che ancora gli sfuggiva, in un infantile tentativo di impedire a tutti i suoi ragionamenti di uscirgli dal cervello. In realtà l'unica cosa per cui pregò fu solo che Lovino continuasse a dormire a lungo, lassù in camera sua.

Alla fine Francis arrivò, un fulmine biondo che si fermò di botto solo quando gli fu davanti. Sembrava stanco più che mai con quell'espressione gravissima sul volto, che niente aveva a che fare con lo sguardo frivolo del suo compagno di ventisei anni.

Non credo che la claustrofobia si scateni senza un motivo” fu il saluto incerto che gli riservò Antonio. “L'unico che adesso mi viene in mente, ha a che fare con una brutta esperienza avvenuta in luogo tanto piccolo e stretto da farmi maturare la repulsione per posti simili...come un ascensore”

Gli occhi di Francis si inumidirono immediatamente, e un sospiro pesante gli sfuggì dalle labbra, prima che lo bloccasse portandosi una mano sul viso.

Io...non avrei mai voluto tenerti nascosta la verità, Antonio” disse, e suonò di una tristezza infinita.

Lo spagnolo non sapeva cosa pensare. Più che altro, in quel momento si sentiva quasi come un contenitore vuoto, e non gli rimaneva altro che restare ad ascoltare.

I...i dottori mi dissero che sembrava tu non ricordassi più nulla al tuo risveglio, dopo l'incidente...capisci? Eri in uno stato di shock molto forte, sembrava che tu non sapessi assolutamente cosa fosse successo. Mi dissero che probabilmente era una reazione del tuo subconscio...”

Quindi l'incidente e poi lo shock. E così da allora non aveva ricordato più nulla.

Arrivare a dimenticare tutto, una sorta di protezione imposta da te stesso, per te stesso...” continuava intanto Francis, senza guardarlo negli occhi. Sentendosi forse, e neanche tanto velatamente, colpevole per non aver parlato prima.

Fui consigliato dai medici di far passare un po' di tempo, assecondando quella tua condizione per evitarti uno shock irreparabile. Ma poi tu...” a questo punto il discorso di Francis si fece denso di panico.

Il tempo è passato e tu continuavi a non ricordare assolutamente nulla, e mi dissero che non sarebbe servito a niente forzarti, perchè probabilmente il tuo cervello non avrebbe accettato comunque che Gilbert...” e qui la sua voce si incrinò notevolmente, e l'immagine dell'amico comune galleggiò per un momento nell'aria, una presenza quasi concreta tra loro.

...tu non avresti comunque mai accettato che Gilbert fosse morto lì davanti a te”

E' una cosa che ha continuato a tormentarmi comunque” disse Antonio, ostentando un sorriso molto falso.

Parlava in modo innaturalmente tranquillo, cosa che dovette allarmare subito Francis. L'uomo infatti alzò la testa, guardandolo ora negli occhi come si guarda una specie di morto che cammina.

Chissà che faccia doveva avere adesso, Antonio. Ma era la cosa che gli importava di meno in quel momento in cui non voleva che esternare tutto, tirare fuori tutto, pur sentendosi inspiegabilmente bloccato...quasi anestetizzato dai propri sensi.

Sono stato un idiota pazzesco” disse lo spagnolo, quasi come se volesse scusarsi, “ho fatto tutto senza rendermene conto e poi alla fine non è servito a niente, perchè ho continuato a soffrire dentro di me per un qualcosa che non sapevo...sentendomi perso senza capire il perchè...e così ho complicato la vita anche a te. Amico mio, perdonami”

A quel punto Francis cedette, e si buttò tra le braccia di Antonio come aveva fatto l'altra volta quando si erano rivisti proprio lì, davanti all'ingresso di casa Vargas. La sua schiena era scossa da violenti singhiozzi, ma per qualche attimo non disse neanche una parola. Se ne avesse avuto la forza, Antonio l'avrebbe abbracciato forte.

Ma adesso non riusciva a fare assolutamente nulla, e le braccia gli ricadevano a penzoloni sui fianchi, quasi fossero una parte staccata dal suo corpo.

Tu...tu mi ch...chiedi scusa?” disse il francese. “Sono io, io che devo scusarmi...per...per averti dovuto mentire così”

Non potevi fare diversamente” fu la rassegnata risposta di Antonio.

Solo, vorrei sapere una cosa ancora” continuò.

E c'era una vera lotta dentro di lui in quegli istanti, tra il voler sapere e il voler scappare, tra il mettersi a gridare e il rimanere sano, tra la rabbia e il dolore, tra la fede e la disperazione.

Senza alcuna pietà verso se stesso, pensò solo a Lovino quando chiese:

Dimmi...era rimasto coinvolto anche...un vigile del fuoco?”

La terra mancò improvvisamente sotto i piedi di Antonio.

L'aveva appena detto davvero? Come aveva fatto a pensarlo...dove aveva trovato la forza per dirlo?

Francis si staccò da lui, guardandolo con serietà e dispiacere e qualcos'altro che forse era dubbio, timore, sconcerto.

Sì...quell'uomo...la persona giusta al momento giusto” ammise Francis con dolore. “Se non ci fosse stato lui, probabilmente ora tu non saresti qui. Però non so dirti molto, perchè nessuno seppe con precisione cosa fosse successo. Solo...solo tu puoi saperlo, Antonio. Solo tu puoi sapere cosa sia successo esattamente...il 28 Dicembre 1995, durante l'incendio del centro commerciale”

Allora Antonio seppe.

Seppe del fumo, del fuoco, del terrore, della feritoia, delle mani, di quell'uomo, della promessa.

E crollò in ginocchio, annaspando nel suo dolore, gli occhi sbarrati e rossi, le pupille dilatate, un pugno in bocca per soffocare l'urlo che avrebbe altrimenti gridato contro la terra del giardino. Francis osava appena sfiorarlo sulla spalla con la punta delle dita, e lui tremava ma senza emettere alcun suono. Vagava con la mente tra i tristi ricordi di quel giorno, Antonio, cercando di ritrovare alla fine, dopo tanto tempo, se stesso.

 

 

 

 

 

 

 

28 Dicembre 1995

 

 

 

Mi si è congelato il naso” sentenziò Gilbert, osservando pigramente le vetrine dei negozi.

Antonio si voltò per guardarlo. In effetti aveva la punta del naso tutta arrossata, in una sfumatura simile a quella del giaccone e dei guanti. Lo spagnolo non si impegnò neanche tanto per evitare di scoppiare a ridere.

Hai un aspetto che è tutto un programma, Gil” commentò.

Ovvio” rispose l'altro, non cogliendo la battuta. “Piuttosto, non credevo che ci sarebbe stata tanta gente al centro commerciale anche oggi”

Mah, forse sono tutti ritardatari che non hanno ancora preso i regali come noi”

Ritardatari sì, ma come noi no...Ineguagliabile è il mio secondo nome, e oggi, perchè mi sento in vena, ho deciso di trattarti come uno del mio livello” blaterò il tedesco.

Sì sì, grazie mille” fu il distratto commento di Antonio, che era intento a guadare una serie di soprammobili di porcellana oltre il vetro. “Che te pare di questa roba, a Francis potrebbe piacere?”

Non lo so, ma se sono cosette piccole e del tutto inutili e se si adattano al gusto di una ragazzina, allora sì, gli piaceranno”

Lo spagnolo si voltò per lanciargli un'occhiata divertita; quando incrociò lo sguardo di Gilbert, però, lo trovò leggermente assente, quasi stranito.

Che ti prende?”

Sento come un odore strano...tu non senti niente?” disse, iniziando a guardarsi intorno.

Niente di niente! Con questo raffreddore è già tanto che riesco a respirare”

Gilbert non aggiunse altro, iniziando a vagare tra i negozi intorno a loro, forse in cerca della fonte di quell'odore. Antonio lo lasciò fare, tornando alla sua vetrina di porcellane. Appoggiò le mani al vetro, lasciandoci sopra aloni con il suo respiro come fanno i bambini. Allora gli venne in mente che fosse una di quelle scemate che piacevano tanto al tedesco, e decise di appannare un bel pezzo della superficie per poterci poi scrivere qualcosa col dito. Magari qualcosa che avrebbe potuto irritare Gilbert...ah, sarebbe stato uno spasso vederlo arrabbiato, con le guance che gli si chiazzavano di rosso appena...

 

 

C'era gente che urlava.

Perché?

Era da un pezzo, ormai, che c'era gente che urlava.

Piantatela tutti di fare rumore, mi fa male la testa” era ciò che avrebbe voluto gridare Antonio. Si sentiva come la mattina dopo aver esagerato nelle gare di bevute coi suoi coinquilini. Una specie di dopo sbornia, sì, si sentiva così.

Che cos'era successo...? Improvvisamente qualcuno aveva spento le luci.

No, le luci erano tutte accese, erano gli occhi di Antonio ad essersi chiusi. Lo sapeva perchè ora li aveva riaperti. Ma non poteva essere vero quello che stava vedendo.

C'era fumo dappertutto, denso come una nebbia bassa. Si riusciva a malapena a scorgere i contorni delle pareti e le sagome delle persone che correvano come ratti nel fumo grigio. C'era puzza, tantissima puzza e c'era...

Fuoco! Va tutto a fuoco di sotto, va tutto a fuoco! Siamo bloccati!” gridavano voci sconosciute e senza più speranza.

Ma anche Antonio si trovava davvero in mezzo a tutto questo? Era tutto vero...?

E Gilbert dove...? Si issò sui palmi della mani, lo spagnolo, rendendosi conto solo con quel gesto di quanto si sentisse debole e molle, dato che per poco non ricadde a terra. Cercò di stabilizzarsi rimanendo sulle ginocchia per qualche secondo, fino a che la vista non gli si schiarì un poco e non realizzò l'urgenza del momento.

Fiamme su fiamme avanzavano dalle scale del piano inferiore, muovendosi come lingue di serpenti. Molte vetrine di negozi erano andate in frantumi, dando quasi l'aria di essere...esplose da dentro. Vetro ovunque, grida ovunque, fumo e aria cattiva ovunque. Uno scenario simile l'aveva visto appena la settimana scorsa, in quel film in cui una meteorite gigantesca cadeva sul nostro pianeta e faceva terra bruciata, fino a ridurre ogni cosa a immensi mucchi di cenere.

Ma adesso non era tutto finito: Antonio si trovava nel bel mezzo della catastrofe.

E Gilbert?

La paura gli pressò subito il torace. Il ragazzo si alzò, raccogliendo tutte le forze, ma quella mossa improvvisa gli fece tremare le gambe per una fitta di malessere. Sconcertato, si guardò per la prima volta e represse a stento un brivido di paura e disgusto: aveva diverse schegge di vetro conficcate nella pelle dalle ginocchia in giù.

Ma Gilbert...?

Si spostò tra un'imprecazione dopo l'altra, Antonio, le lacrime di dolore agli angoli degli occhi, l'ostinazione di muoversi a tentoni senza sapere dove andare, pur di avvistare l'amico.

Gilbert!” gridò con voce roca, mentre camminava reggendosi ai muri.

Era la cosa più importante, l'unica cosa da fare, l'unica che gli martellava la testa: scorgere quei capelli chiari, quel giubbotto rosso...subito.

La gente però lo ignorava, impegnata a correre inutilmente in tondo, nella ricerca di un'uscita da quel deserto di fuoco e fumo.

Ognuno, nel panico, pensava solo a se stesso. Antonio, nel panico, pensava all'amico.

Gilbert!” urlò, graffiandosi la gola, senza ottenere alcuna risposta.

Allungò il collo più che poté, cercando ovunque il profilo familiare del tedesco, stringendo gli occhi e muovendo le braccia alla cieca, come per voler spostare l'aria.

Magari si era salvato, fu la dolce consolazione che prese per un attimo il sopravvento, si era salvato ed era riuscito ad andare via di lì. O magari era pochi metri da lui, che lo cercava affannosamente, quasi camminando per inerzia e col fiato corto, proprio come faceva Antonio. O magari...

Magari non era quello lì.

No, non poteva essere proprio lui quel ragazzo disteso per terra, coperto da un mare di vetro e sangue. Non era possibile che fosse suo, tutto quel sangue sul pavimento. Non poteva essere proprio il suo, quel viso ridotto a una maschera rossa.

Come rosso era il giaccone.

Come rossi erano i guanti.

Quasi fosse stato in un sogno, Antonio si avvicinò al corpo inerte a tentoni. Per inginocchiarglisi accanto si fece un male del diavolo, ma non era niente, il dolore fisico, in confronto a quello che iniziava a invaderlo a mano a mano che i secondi passavano...e che la consapevolezza lo assaliva.

Gilbert, non fare lo scemo” lo chiamò in tono scherzoso, quasi aspettandosi di ricevere una risposta.

Aspettandosi di vederlo saltare in piedi e gridare “ti ho fregato, spagnolo, sono o no il principe degli scherzi?”

Avanti, Gil” sussurrò, supplichevole.

Non poteva crederci, non poteva essere vero. Non era possibile, perchè Gilbert doveva ancora tanti favori ad Antonio, e adesso era proprio il caso che iniziasse a renderglieli, che ascoltasse la sua richiesta e che aprisse gli occhi.

O che si muovesse almeno un po', gli sarebbe bastato anche un movimento appena percettibile, quanto gli costava? Che la piantasse almeno di rimanere in quel modo...immobile.

Nella confusione più totale, l'unica cosa che venne in mente di fare ad Antonio, fu toccare il viso dell'amico. Come quando da bambino toccava la coda delle lucertole dopo avergliela staccata.

Allungò così la mano destra, il braccio che non ne voleva sapere di smettere di tremare. Piano, perchè aveva paura di fargli male se solo l'avesse sfiorato. Gli toccò la guancia ancora calda con la punta delle dita, poi indugiò sulla sua pelle per qualche attimo, nell'ultima carezza che, in cuor suo lo sapeva, avrebbe mai potuto fare a Gilbert. Alla fine si ritirasse, e aprì bene il palmo sotto i suoi occhi.

Il palmo tremante che era completamente macchiato di sangue.

Allora il mondo intero crollò sulle spalle di Antonio.

La paura cieca, la nausea, la disperazione, la stanchezza, la voglia di mettersi a piangere, gridare, scappare, salvarsi, andar via di lì, ogni cosa arrivò insieme.

AIUTATECI!” urlò il ragazzo con tutto il fiato che riuscì ad accumulare, convinto di non aver mai gridato così forte e così disperatamente in vita sua.

Ma nessuno li guardava, nessuno li ascoltava.

AIUTATECIIIIIIIII!” strepitò, scagliando i pugni in aria per farsi notare.

Ma nessuno, nessuno pensò a loro.

In quel momento terribile, la consapevolezza che non c'era più scampo lo assalì con violenza. Nient'altro pensava se non a quello: era finita.

Era finita, finita, finita, finita, finita...ma, ma no, non poteva finire così!

Se solo...se solo ci fosse stato un modo per andarsene via di lì, anche pericoloso, anche rischioso...se anche avesse dovuto rischiare, ci avrebbe provato, perchè no, assolutamente no, non era da lui abbattersi e gettare la spugna, non prima di averle provate tutte.

E lo sguardo di Antonio cadde allora alla sua destra, sull'ascensore poco distante da loro. Ragionando in fretta, la mente per assurdo lucida in quell'inferno di panico e rumori, il pensiero volò alla terrazza in disuso dell'ultimo piano: non si poteva raggiungere a piedi perchè la porta era sempre sbarrata, ma il personale poteva accedere con l'altro ascensore, quello che non era riservato alla clientela...quello che stava lì, a pochi passi da loro. Se al piano terra non si poteva andare perchè la gente gridava che era invaso dalle fiamme, allora si poteva provare ad andare in alto.

Certo era pericoloso, Antonio se ne rendeva conto. Nessuno gli assicurava che anche nella tromba dell'ascensore non avrebbe trovato le fiamme.

Ma forse, forse era meglio fare qualcosa piuttosto che rimanere lì ad aspettare di essere bruciati vivi o soffocati dal fumo. Perché certo non sarebbe andato da solo.

Vivi o morti, lui e Gilbert ne sarebbero usciti insieme.

Con uno sforzo enorme, lo spagnolo si caricò il corpo dell'amico sulle spalle, ignorando il sangue e il vetro e il fatto che non si muovesse, né respirasse...ignorando tutto, persino il buon senso.

Va avanti, avanti, avanti” si ripeté a testa bassa, con la forza data dal terrore, l'unica cosa che gli permetteva di avanzare passo dopo passo.

Raggiunte le porte dell'ascensore però, si fermò, inspirando forte, il sudore che gli colava sugli occhi, con la sensazione quasi irreale di sentirsi bagnato dal sangue di Gilbert.

Se quella era davvero una via di fuga possibile, perchè allora nessun altro era fuggito in questo modo?

Antonio aveva paura: paura mentre si guardava intorno e non vedeva che sagome incerte piegate su loro stesse, intente a pregare, mentre altre si accalcavano negli angoli e altre ancora tentavano inutilmente di spegnere le fiamme; paura mentre realizzava che lì, davanti a quelle porte, avrebbe preso una decisione che gli avrebbe cambiato la vita per sempre.

Nessuna risposta sarebbe mai arrivata per guidarlo sulla giusta via. In quel momento c'era solo lui, con il suo terrore e la sua incoscienza che facevano a pungi per prevalere l'uno sull'altro.

Vinse l'incoscienza.

Fortuna, non mi abbandonare!” fu l'ultimo appello del ragazzo, prima di fiondarsi dentro l'ascensore e crollare a terra.

Subito il corpo di Gilbert scivolò dalle sue spalle rotolando in un angolo e Antonio, nella parte più profonda e selvaggia dei suoi istinti, provò la sensazione di essersi liberato di un pesante fardello. Si sentì immediatamente più meschino che mai, e per non pensare all'umanità che si perde nelle situazioni disumane, premette il tasto dell'ascensore di servizio per andare al piano superiore.

Il tintinnio che risuonò nel piccolo ambiente gli perforò le orecchie quasi fosse stato un rumore sinistro. L'ascensore iniziò la sua salita in un cigolare agghiacciante, che si fuse per assurdo a quel piccolo suono di prima, amplificandolo.

Antonio fu sconvolto da una sensazione di nuovo malessere; era come se quei rumori avessero preannunciato un'ennesima disgrazia.

E infatti, appena una frazione di secondo e l'ascensore arrestò la sua salita, fermandosi dopo aver percorso solo qualche centimetro in altezza.

Erano bloccati.

Quei secondi di silenzio quasi tombale fecero perdere al cuore di Antonio un battito. Oltre le porte dell'ascensore poteva sentire vaghi rumori, che sembravano ora tanto lontani ma che erano in realtà vicinissimi. Eppure, lui e Gilbert erano ormai tagliati fuori da tutto, isolati, chiusi...immobili lì, tra un piano e un altro, tra il vuoto e le fiamme, tra la vita e la morte...e comunque sarebbero morti magari allo stesso modo, non sarebbe cambiato quasi nulla. Solo, ci avevano guadagnato quel silenzio irreale che gli faceva gelare il sangue nelle vene.

Antonio si prese la testa tra le mani, cercando di regolarizzare il respiro. Aveva sbagliato?

Oddio, aveva fatto una cazzata.

Aveva rischiato, e aveva fallito. Anziché bruciati o soffocati insieme ad altri sconosciuti, sarebbero bruciati o soffocati da soli, chiusi in un ambiente terribilmente piccolo e...e stretto...e scuro...era possibile che le pareti stessero avanzando, restringendosi sempre di più...? Non lo era, vero?

Forse era solo Antonio che si sentiva mancare secondo dopo secondo, che percepiva le forze abbandonarlo pian piano insieme a ogni speranza. Adesso sì che era davvero finita.

Ormai non c'era altro da fare...nessuno li aveva aiutati prima e nessuno avrebbe mai potuto farlo ora, nascosti così com'erano.

Istintivamente, Antonio si avvicinò a Gilbert, quasi nella ricerca inconsapevole di conforto. Lo girò a fatica su un fianco e gli si rannicchiò accanto, il viso all'altezza del suo. Reprimendo un conato di orrore, si concentrò solo sui lineamenti dell'amico, cercando di eliminare ogni altra cosa che li deturpasse. Ma presto capì che era del tutto inutile, e dovette chiudere gli occhi. Lo fece con forza allora, impedendosi di riaprirli, e si impegnò a immaginare il viso di Gilbert candido come era sempre quando schiacciava un pisolino sul divano.

A quel pensiero, sentì le proprie labbra tremargli senza controllo e capì che avrebbe tanto avuto bisogno di scoppiare a piangere...ma proprio non ce la faceva. Tanto a che sarebbe servito? Si sarebbe solo crogiolato di più nel male, e nessuno si sarebbe accorto comunque di loro.

Sei morto davvero?” fu la stupida domanda che Antonio rivolse a Gilbert, sentendosi sempre più abbandonato, sempre più solo. “Almeno non hai provato niente di tutto questo. Per te è finita prima, e adesso sei in un posto migliore”

Già...in qualche modo, era stato più fortunato, Gilbert. Perché per lui era finita, e non aveva dovuto appigliarsi con tutto se stesso a qualche assurda speranza che poi aveva visto infrangersi miseramente sotto i propri occhi. Non era rimasto deluso, Gilbert, dalla sua persona, che non era stata in grado di salvare l'amico che gli stava accanto, e che era arrivata forse solo qualche secondo in ritardo e così aveva perso tutto. Non aveva sbagliato, Gilbert, facendo la stupida scelta di rinchiudersi in una trappola per topi relegandoli a una morte senza dignità.

Quanto sarebbe stato meglio che tutto fosse finito subito anche per lui!

Se non subito, per lo meno, più in fretta possibile.

Sì, che finisca in fretta, almeno” bisbigliò Antonio, rannicchiandosi su se stesso più che poté.

Voglio morire”

Era lui, lo spagnolo col sangue bollente, sempre contento, sempre di buon umore, sempre positivo...era lui che adesso diceva, stanco di continuare quella lenta agonia, stanco di soffrire, stanco di tutto:

Voglio morire”

Proprio allora, quando ormai Antonio non si aspettava più nulla, successe qualcosa di miracoloso: le porte iniziarono a cigolare forte, mentre l'ascensore ondeggiava pericolosamente, proprio come se qualcuno da fuori stesse tentando a tutti i costi di entrare.

E forse ce la stava facendo, perchè piano piano si aprì una fessura accanto ai piedi dei due ragazzi, e Antonio, atterrito, schiacciò la schiena contro la parete e si sentì mancare il fiato.

Intanto la feritoia apertasi tra le porte di ferro iniziava a ingrandirsi sempre di più, e la luce proveniente da fuori, rossa per le fiamme e grigia per il fumo, eppure sempre una luce era, ferì senza pietà gli occhi dello spagnolo. Alzando un braccio davanti al viso per riparare lo sguardo, Antonio sentì il proprio cuore martellare fortissimo contro il petto, e rimbombare nelle orecchie, nella testa, dalla punta dei piedi a quella delle mani, dappertutto. E il sangue tornava a defluirgli regolarmente e a colorargli le guance, mentre una forte agitazione lo prendeva sempre più, e tornava anche la speranza di uscire vivo di lì.

Siamo qui” boccheggiò il ragazzo a bassa voce, “siamo qui, ci sono io, aiuto!” gridò, alzandosi di scatto. Quella sua mossa però fece oscillare il pavimento sotto i suoi piedi, dandogli la terribile certezza di essere letteralmente appeso a un filo...e che quel filo fosse molto sottile.

Ma non era il momento di disperarsi, perchè si intravedeva davvero l'ombra di qualcuno al di là delle porte, qualcuno che le stava tenendo divise con le proprie mani...forse non era così, forse stava usando un attrezzo, ma Antonio trasfigurò nella sua testa l'immagine di quell'uomo in quella di un super eroe venuto per portarsi sulle spalle i due ragazzi e condurli al sicuro.

Aperte quasi del tutto le due ante, i contorni del salvatore di Antonio si fecero più distinti; il suo viso aperto e sicuro si stagliava contro l'inferno, i suoi occhi forti erano lucidi di fiducia. Si mordeva le labbra per la fatica, ma fissava Antonio dritto dritto nelle pupille verdi, come a voler dire “ci sono qua io”.

Per il forte senso di sollievo improvviso, le gambe dello spagnolo cedettero di colpo; solo allora si rese conto di tutta la fatica che aveva sopportato, del peso che aveva sostenuto nonostante le ferite e che davvero non ce l'avrebbe fatta a stare in piedi un attimo di più. Ma quando cadde al suolo come un sacco vuoto, l'ascensore ondeggiò un'altra volta con violenza, facendogli dilatare gli occhi dalla paura.

Non ti muovere ragazzo!” comandò la voce autoritaria dell'uomo che aveva davanti. “Un passo sbagliato e viene giù tutto” aggiunse mesto, per poi arrampicarsi e iniziare a strisciare con cautela estrema all'interno del piccolo ambiente.

Antonio lo osservò senza il coraggio di emettere fiato, fino a che non si introdusse con successo in quelle quattro pareti anguste. Solo quando lo raggiunse e si mise in piedi, misurando bene i gesti, il ragazzo si concesse un forte respiro di sollievo e chiuse gli occhi per un attimo.

Vediamo che cosa abbiamo qui” commentò l'uomo, guardandosi intorno per quello che poteva e alzando la visiera del cappello col pollice.

Notando il suo abbigliamento e i guanti, Antonio lo identificò subito come un vigile del fuoco. Questo solo fatto riuscì a dargli una rinnovata speranza. Immobilizzato dalla stanchezza, il ragazzo seguì tutti i suoi movimenti senza perderlo di vista neanche per un secondo; i suoi modi di fare erano precisi anche se rallentati, sicuramente per evitare di compromettere la precaria situazione in cui si trovavano.

Per prima cosa, il pompiere fissò lo sguardo su Gilbert e la sua espressione si indurì di colpo. Avanzando lentissimamente, gli si adagiò accanto per controllare il battito, premendogli sul collo. Antonio lo vide chiudere gli occhi, mentre un'espressione intensa, forse quasi rabbiosa, gli stravolse i lineamenti del viso. Eppure, come se non si fosse reso conto di avere davanti un ragazzo morto, si rialzò portandosi le mani sui fianchi e prese a squadrare Antonio.

L'hai portato qui tutto da solo, nello stato in cui ti ritrovi?” disse, quasi stupito, fissandogli con insistenza le gambe ferite.

Lo spagnolo annuì, un po' spaventato. Era sicuro che adesso il vigile del fuoco l'avrebbe sgridato per la cavolata che aveva fatto, o come minimo che gli avrebbe dato dell'idiota. Invece le sopracciglia brune di quello si stesero, e un ghigno di soddisfazione gli si allargò sulla faccia, scura per il fumo.

Sei stato bravissimo. Adesso però puoi stare tranquillo, ora ci sono io e tra poco saliranno anche i miei colleghi. Tutto andrà a finire bene, vedrai” gli disse, in un tono così sincero che quasi sembrava impossibile si stesse rivolgendo proprio a lui.

Aveva detto davvero che sarebbe andata a finire bene?

Aveva detto davvero che era stato...bravissimo?

Sembri un gatto spaventato, ragazzo. Sei pallido come un lenzuolo. Cerca di darti una regolata, o quando ci verranno a tirare fuori di qui ti scambieranno per una ragazzina” sogghignò il pompiere, facendogli segno di rimanere seduto.

E' meglio se non ci muoviamo, altrimenti potrebbe succedere qualcosa di brutto...niente paura, eh, gli altri ragazzi stanno spegnendo le fiamme al piano di sotto ma ci raggiungeranno presto. Io sono stato il primo a salire fin qui, ma è questione di pochi minuti. Intanto facciamo conoscenza, così magari ti riprendi un attimo”

Antonio annuì, ma non disse nulla. Aveva le labbra gelate, incollate tra loro. Chiedendosi come facesse l'altro a rimanere così vivace in una situazione del genere, si sentì comunque grato per la sua strana parlantina che stava riuscendo pian piano a rassicurarlo.

Allora, mi sembri parecchio giovane...quanti anni, una ventina? Ventitré? E come ti chiami?” chiese con curiosità.

Ventiquattro anni...ventiquattro. Mi chiamo Antonio” biascicò lui.

Perfetto, io invece mi chiamo Romano Vargas, ma tutti mi chiamano Roma”

Poi allungò il collo verso il corpo inerme del tedesco, ancora adagiato su un fianco nell'angolo.

E quell'altro? E' un tuo amico? Come si chiama?”

Una fitta di dolore e nausea chiuse per un attimo gli occhi e lo stomaco di Antonio.

Gilbert...” rispose pesantemente.

Allora, Antonio e Gilbert, abbiate fiducia in me; vi giuro che vi tirerò fuori di qui e presto tutto questo non sarà per voi che un brutto ricordo” disse, incrociando le braccia al petto.

Antonio strabuzzò gli occhi, sbalordito. Gli era appena sembrato che quell'uomo avesse parlato come se...come se Gilbert fosse ancora vivo.

Sì, mettiamoci tranquilli, ragazzi miei. In meno di mezz'ora sarete al calduccio a casa vostra e potrete tornare dalle vostre famiglie”

Evidentemente quel signor Vargas era un uomo fin troppo ottimista. Pure, doveva esserlo, se era quello il lavoro che faceva. Forse per lui situazioni rischiose come quella erano il pane quotidiano...e certo non poteva affrontarle se non con una buona dose di fiducia.

Però quel suo usare i verbi al plurale...era una cosa che infastidiva profondamente Antonio. Non c'era bisogno che mettesse in atto una scenetta per lui, per farlo stare calmo. Lo sapeva benissimo che l'amico era ormai insalvabile...che non c'era altro da fare per lui.

Però non vi pare che inizi a fare caldo, eh, che ne dite?”

Ancora con questi verbi al plurale! Era del tutto inutile, inutile e anche irritante.

Magari sono io che mi sto agitando, o è questo posto che è maledettamente piccolo...ma non voglio prendervi in giro, ragazzi, credo che le fiamme abbiano invaso anche la tromba dell'ascensore”

La testa di Antonio scattò fulminea verso Romano Vargas, e dalla sua bocca uscì un roco “come ha detto?”

Tranquillo, Antonio, tranquillo” farfugliò in modo un po' burbero il pompiere, mettendo le mani avanti, “Ma quanto ci mettono gli altri ad arrivare? Io ho una gran fretta di andarmene da qui...devo tornare dai miei nipotini, se ritardo per il pranzo non me lo perdoneranno mai”

Pensava di raggiungere in tempo i suoi nipotini, quell'uomo. Ottimista sì, ma pure un po' sconsiderato se era sicuro di tornare a casa per l'ora di pranzo come niente fosse.

Sono due tipetti in gamba, lo sai?” continuò con scioltezza il signor Vargas, che sembrava avere una voglia particolare di mettersi a parlare dei fatti suoi con uno sconosciuto. Ovvio che lo facesse nel tentativo di allentare la tensione che aleggiava in quel piccolo spazio, e che quasi sembrava si potesse toccare tanto era densa.

Certo, sono un po' due piccole pesti...ogni volta che faccio tardi per il lavoro, Feli si mette a strillare e piangere, e mi spacca i timpani peggio della sirena del nostro carro dei pompieri”

L'uomo ammiccò verso Antonio con un sorriso tale che il ragazzo, per quanto provato, sconvolto e ancora spaventato, non riuscì a trattenersi dal distendere le labbra in un sorriso di riflesso.

Il fratellino maggiore invece...ecco, ti dico solo questo e così ti sarà subito chiaro perchè non ho proprio intenzione di fare tardi: l'ultima volta che sono arrivato a casa senza avvisarli che ci avrei messo un po' di più, quel diavoletto ha preso la carica e mi ha sferrato una testata impressionante sullo stomaco...mi ha fatto perdere l'equilibrio e cadere a terra!”

Antonio sorrise di più e piegò le sopracciglia con aria scettica, non riuscendo a immaginarsi come un bambino potesse atterrare un uomo possente come quello.

Non ci credi, te lo si legge in faccia” disse infatti il pompiere, “ma ti giuro che è proprio fatto così, il mio piccolo Lovino”

Lovino? Un nome per niente comune, un nome strano. Però in qualche modo, buffo; Antonio poteva un po' figurarsi un bimbetto con le guance paffute, magari gonfie di rabbia, nell'atto di colpire quel nonno gigantesco a testa bassa...

Dev'essere un bimbo forte” commentò, come se fosse la cosa più naturale del mondo parlare in quel modo, mentre si chiedevano cosa sarebbe arrivato prima tra le fiamme o i soccorsi.

Lo è...lo è, ma è anche un tipo un po' difficile. Voglio dirti una cosa, ragazzo: quelli che provano sempre a darsi coraggio da soli, a farsi forza...quelli che si costringono a sopportare pesi molto più grandi di loro, tutti sulle loro spalle...non è affatto semplice che persone del genere si lascino amare”

Lo disse con un'intensità enorme, guardando Antonio dritto negli occhi in modo diretto e forse anche un po' sfacciato...proprio come se avesse voluto rivolgere quel discorso anche a lui.

Scommetto che anche tu sei fatto così, lo posso dire solo guardandoti” gli disse infatti, “Ma ora affidati a questo nonnino...ho la mia età, ma non sono niente male, lo sai. Quindi facciamo finta per un attimo che io sia tuo nonno, e lascia che ami mio nipote Antonio. Permettimi di prendermi cura di lui...lascia che lo aiuti. Il mio Antonio è un gran testardo, pretende troppo da se stesso ed è solo un ragazzino”

Che stava dicendo quel vigile del fuoco...che stava dicendo?

Io lo conosco, Antonio, è mio nipote, no?” continuò, con il tono che ha un genitore quando legge la favola della buona notte al figlio. “Lo vedo quando si sforza, lo capisco quando si trattiene. Ha provato in tutti i modi a tirare fuori dai guai il suo amico da solo, ma non si sente ancora apposto...avrebbe voluto fare di più”

Certo che avrei voluto fare di più...”

Antonio si ritrovò ad esternare i suoi pensieri senza rendersene conto per davvero. Ma si sentiva così...frustrato! Era ovvio che avesse voluto dare il massimo, ovvio che si sentisse in colpa perchè lui aveva ancora la possibilità di salvarsi, lui sì! Che cosa c'era stato di diverso tra la sorte sua e quella di Gilbert? Uno di loro aveva solo avuto la sfortuna di trovarsi pochi metri più in là dell'altro, al posto sbagliato.

Certo che avrei voluto fare di più!” ruggì lo spagnolo, togliendosi il fiato da solo. “Perché non è giusto...non è giusto! Tutto questo non ha senso, che cos'ho io in più di Gilbert da meritarmi di essere vivo? E lui che aveva di diverso da me, per meritarsi di morire? Non va bene! Non ho potuto fare niente per lui...non ho fatto niente”

Antonio si prese la testa tra le mani, cercando di nascondersi dallo sguardo di quell'uomo, dalla presenza del cadavere del tedesco, da tutto quanto. E chiuse gli occhi, forte, sempre più forte, sperando quasi di sparire.

Hai già fatto troppo, invece”

La voce di Romano Vargas gli arrivò alle orecchie, così terribilmente dolce da fargli male. “Hai conservato il suo corpo e la sua dignità...sei stato un eroe”

Solo quando Antonio sentì il proprio capo avvolto in qualcosa di caldo, si rese conto che il pompiere gli si era avvicinato pianissimo, sedendogli accanto, e che gli aveva stretto la testa con un braccio, portandoselo contro il petto. Per la sorpresa, trattenne il fiato.

Mio nipote Antonio è stato molto bravo. Ha dato il massimo, non avrebbe potuto fare più di così”

In quel momento lo spagnolo seppe che era vero. Infondo al suo cuore lo sapeva che non serviva a nulla incolparsi, che lo faceva solo per trovare una ragione a tutto quello che era successo. Ma era solo un uomo, anzi, solo un ragazzo, e non avrebbe mai potuto fare altro. Lo sapeva, e allora perchè stava tanto male?

Qualche volta succedono cose per cui non si può fare niente” disse il pompiere, serio eppure con serenità. “Spesso non c'è una spiegazione, e per quanto uno la possa cercare, non la troverà mai. Lo so per esperienza, col lavoro che faccio. Quando succede a me...quando non riesco a farmi una ragione per le cose terribili che vedo, lo sai che faccio? Mi metto a pregare, perchè è l'unica cosa che mi resta”

Ma...” incespicò lo spagnolo.

Il signor Vargas lo interruppe subito.

Fa caldino, non vi pare, Antonio e Gilbert? I ragazzi stanno davvero esagerando con il loro ritardo, adesso”

Lo spagnolo alzò appena la testa dal petto dell'uomo, notando solo in quel momento che il suo sorriso era incrinato agli angoli, e che il viso era imperlato di sudore. In effetti era veramente caldissimo e le pareti si erano surriscaldate durane il loro breve dialogo. Era quasi come se potesse vederla, Antonio, una nube calda e mortifera che arrivava dal basso e filtrava attraverso gli angoli dell'ascensore.

Ci vorrebbe un po' d'acqua per raffreddare questo posto. Sarebbe fantastico se piovesse, vero ragazzi?” riprese l'uomo, come se effettivamente le sue parole fossero dirette a due persone.

Nella confusione dei sensi, Antonio lo guardò disperato.

Sì, un po' di pioggia sarebbe l'ideale”, continuò ancora “se si scatenasse una tempesta abbastanza forte, magari l'acqua potrebbe penetrare fin qui...e con l'ambiente rinfrescato, non si starebbe così male”

Lo sa che non è possibile” annaspò Antonio, non trovando niente di meglio da dire.

Andiamo! Non vorrai farmi credere che sei un tipo che si abbatte così facilmente?”

Romano Vargas lo guardò con una certa pietà negli occhi. Quella scintilla fece riaccendere una punta dell'orgoglio di Antonio, che pure gli rispose affranto, quasi fosse stato sul letto di morte.

Non mi abbatto facilmente, ma in questa situazione...”

Mai sentito parlare di miracoli, ragazzo?” esclamò con trasporto il pompiere. “Lassù c'è qualcuno per noi, ne sono sicuro...chiamalo Dio, Budda, Allah, Alieno o Destino, chiamalo come ti pare. Ma se preghiamo con insistenza e ci facciamo sentire abbastanza, quel qualcuno sarà talmente seccato che alla fine dovrà per forza concederci la grazia! Pregate insieme a me ragazzi, tentare non costa nulla”

Allora Antonio scoppiò in un sospiro afflitto, perchè proprio non ce la faceva più.

La prego, non parli al plurale, Gilbert è già mor...”

Non finché siamo qui. Fin tanto che siamo qui, siete voi due i miei nipoti, siete vivi e vegeti tutti e due, state bene e quindi ho intenzione ti tirarvi fuori da questo guaio a tutti i costi” sentenziò, stringendogli la presa gentile sul capo, causando come strana conseguenza una stretta al cuore dello spagnolo.

Signore, ascoltaci, ti prego....avanti bimbetto” aggiunse poi in un bisbiglio, come se non volesse farsi sentire parlare a voce alta dal destinatario della preghiera. “Dio, fa che piova...ragazzo, dai, anche tu”

Antonio aprì la bocca, ma nessun suono ne uscì.

Come poteva pregare...? Pregare, in una situazione simile? Riuscire ancora ad aver fiducia, dopo tutto quello che era successo?

Di...” iniziò.

Dopo le porcellane, lo strano odore, il vetro. Dopo il buio, il caos, la gente, le fiamme, Gilbert...

Dopo Gilbert, Gilbert, Gilbert...

Di...Dio!” disse alla fine Antonio, buttando fuori quella parola quasi con violenza.

Dio, Dio, Dio” ripeté a forza, ma senza riuscire ad andare più avanti di così, perchè finalmente era scattato qualcosa: il nodo che aveva alla gola si era sciolto all'improvviso e le lacrime che aveva trattenuto, chissà come, fino a quel momento, avevano iniziato a straripargli dagli occhi.

Lacrime su lacrime su lacrime si succedevano senza sosta, e presto Antonio ne fu accecato e le accompagnò con singhiozzi che lo facevano sobbalzare.

Senza fermarsi, senza ritengo, piangeva sempre più forte e la sua voce non era che un lamento disperato.

Ti prego, fa che piova e che l'acqua arrivi anche qui dentro. Dio, ti prego, fa che la pioggia bagni quest'inferno...” ripeteva il vigile del fuoco, come se stesse recitando una filastrocca.

Un cigolio tremendo però gli impedì di andare avanti, e nello stesso momento, l'ascensore scattò verso il basso, Romano Vargas afferrò più saldamente Antonio, e il ragazzo gridò per la paura.

La feritoia aperta sul terzo piano, che prima si affacciava all'altezza dei loro piedi, passò loro davanti in modo inquietante e si bloccò sopra le loro teste, dove si fermò.

Un fitto silenzio calò nell'ambiente per qualche attimo.

Non ce ne va bene una, ragazzi miei! Mi sa che siamo costretti ad agire prima che si sprofondi sempre più in basso...non possiamo più aspettare i soccorsi” disse poi il pompiere, la voce grave e ferma.

Antonio, che respirava a mala pena, scosso com'era dai singhiozzi e con i polmoni attanagliati dall'ansia, lo guardò. Cercava negli occhi scuri e pieni di esperienza del signor Vargas un ulteriore incoraggiamento, un consiglio qualunque. Lo trovò quando quello gli disse:

Vi ho detto che vi tirerò fuori di qui, e ci riuscirò, fosse anche l'ultima cosa che faccio. E adesso forza, mettiti di là che ti spingo su”

Antonio annuì asciugandosi il naso con la mano, senza aggiungere altro. Era pericolo, lo sapevano entrambi perfettamente senza bisogno di ricordarlo. C'era il rischio che l'ascensore precipitasse del tutto a causa dello sbilanciamento dei pesi...eppure rimanere lì ad attendere sarebbe stato anche peggio.

Così, Antonio si avvicinò gattonando alla parete opposta, e quando fu lì, si aggrappò con le unghie al muro per tirarsi su in piedi. Poco dopo arrivò anche l'altro uomo, e, in un gesto preciso eppure veloce, si caricò Antonio sulle spalle e lo portò all'altezza della via d'uscita. Il ragazzo rimase quasi scioccato per la rapidità con cui Vargas lo spinse attraverso lo spazio aperto tra le porte. Era stato così facile...una spinta ed

era,

finalmente,

in salvo.

Eppure, niente succede mai per niente, e non appena i piedi del ragazzo toccarono il suolo del terzo piano, e Antonio rotolò su se stesso con una fitta di dolore, l'ascensore scivolò ancora un altro po' verso il basso. Lo spagnolo tese subito la mano verso il pompiere che era rimasto in quella trappola, le bocche di entrambi aperte in una “o” di sorpresa, gli occhi verdi di lui allagati dalle lacrime.

Oddio, mi prenda la mano subito, la tiro su prima che sia troppo tardi, si muova!” gridò allarmato, la voce spezzata. A quel punto però il pompiere fece una cosa strana.

Abbassò lo sguardo, portandosi la mano dentro la giacca, e subito la estrasse tenendo tra le dita qualcosa che Antonio non riuscì a identificare, tanto aveva gli occhi stretti e appannati. Poi tese il braccio verso l'alto, afferrando forte la mano del più giovane, e fece scivolare tra le dita di Antonio l'oggetto che aveva recuperato: una catenina con una croce d'argento.

Il pompiere indugiò così per un attimo appena, e Antonio lo guardò con la confusione più totale stampata sul viso.

Lovino credeva che non avessi voluto regalargli nulla, quest'anno, per Natale” iniziò l'uomo, con la voce che ora, per la prima volta, tremava. La cosa paralizzò completamente il ragazzo.

In realtà ho potuto ottenere solo oggi questa collana...una copia esatta di quella che la sua povera mamma si è portata nella tomba...la adorava, Lovino, la collanina della mamma”

Perché gli stava dicendo questo? Perché stava affidando a lui una cosa tanto importante, e perchè stava parlando come fossero le ultime cose che avrebbe mai potuto dire?

Atterrito, Antonio vide che anche il volto del pompiere si era fatto una maschera di dolore e risoluzione. Dagli occhi scendevano grosse lacrime che gli pulivano via la fuliggine dalle guance.

Lovino era talmente arrabbiato con me, che ho pensato sarebbe stato molto più bello non dirgli nulla e fargli una sorpresa alla fine. Adesso tu...tu mi devi promettere che glie la consegnerai per me”

Lo spagnolo iniziò a scuotere la testa freneticamente, un'intuizione terribile che gli mozzava il respiro e gli toglieva la possibilità di dire altro.

Prometti!” tuonò Vargas, stringendogli le dita fino a fargli male, “E prometti anche che gli dirai che gli voglio bene...devi dire a Lovino che lo amo tantissimo!” gridò con dolore.

Sì, glie lo prometto, sì!” fu l'unica risposta disperata che si poteva dare a un appello tanto accorato. “Ma adesso, adesso si faccia tirare su, così potrà parlarci lei, con suo nipote!”

Il vigile del fuoco sorrise, un sorriso forte e triste tra le lacrime. Allora iniziò a divincolare senza pietà la sua mano da quella di Antonio, che opponeva resistenza, non riuscendo a capacitarsi di cosa stesse succedendo.

No, che fa?” lo richiamò, cercando di non lasciarlo andare. Alla fine però, Vargas si liberò dalla sua presa con un leggero strattone, lasciandogli tra le dita solo la catenina, e con risoluzione, si voltò fissando il corpo di Gilbert.

Ma che sta facendo!?” gli urlò dietro Antonio, protendendo inutilmente il braccio verso la sua grande schiena. “Lasci perdere, non sprechi tempo!”

Invece l'uomo raggiunse il cadavere dell'altro giovane e lo prese tra le braccia, causando una nuova fortissima oscillazione, mentre Antonio urlava come un disperato, e con la mano afferrava l'aria.

No, signore, no! Si salvi lei, si salvi lei!”

Ma Romano Vargas ignorò ogni cosa, la paura e la tristezza e la caparbietà sfoderate tutte insieme nell'ultimo sorriso incerto, e in due passi fu accanto allo spagnolo, allungandogli il corpo di Gilbert e forzandolo a tirarlo fuori. Antonio cercò di afferrarlo con frenesia più in fretta che poté, ma allora l'ascensore riprese a cadere e il pompiere, in un gesto eroico, spinse verso l'alto il corpo morto del tedesco, per poi precipitare, alla fine, nel vuoto della tromba insieme all'ascensore.

NO!”

Antonio ebbe appena il tempo di scoppiare in un grido secco che gli fece sanguinare la gola, prima di intravedere la punta del cappello del vigile del fuoco che spariva nel buio. Lì, di nuovo tra il fumo e la cenere del terzo piano, tenendo convulsamente il corpo di Gilbert, gli restava solo la forza di singhiozzare come un bambino.

Alla fine non gli rimase nemmeno quella, e l'oscurità calò piano davanti lui. L'ultima cosa che Antonio provò prima di svenire, fu un brivido freddo e pungente, causato dal contatto con la piccola croce d'argento ancora stretta tra le sue dita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Innanzitutto non posso evitare di fare tanti auguri di buon Natale e buone feste a voi che avete dedicato un pochino del vostro tempo a questa storia :3 Ah, non ci posso credere che ho scritto questo capitolo...non vedevo l'ora di farlo da quando ho iniziato, e forse proprio per questo non sono completamente soddisfatta del risultato, mmh >-< spero che comunque non sia così male, mi raccomando fatemi sapere che ne pensate!

Ci tenevo a fare presente che la canzone che mi ha ispirato per questa stesura è Fix You dei Coldplay (click)...che tra l'altro, ho trovato sempre molto adatta alla fiction in generale.

Ringrazio immensamente tutti coloro che la stanno seguendo, spero di ritrovarvi la prossima settimana...per il capitolo conclusivo (quasi non ci credo di esserci arrivata xD) >w< ancora buon Natale a tutti <3

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Capitolo 12
*** 1995/2012 Diciassette anni d'amore ***


 

 

 

 

Piegato su se stesso, le mani arpionate al proprio maglione all'altezza dello stomaco, Antonio teneva il naso a pochi centimetri dall'erba del giardino dei Vargas.

 

Stava lì, accasciato vicino all'ingresso, incapace di rialzarsi, di formulare un pensiero sensato o di fare qualunque altra cosa che non fosse respirare profondamente.

Non sentiva niente; la presenza di Francis si era ridotta a una vaga ombra indistinta al suo fianco. Nemmeno si sarebbe reso conto delle proprie lacrime, calde e copiose, che sgorgavano dagli occhi, se non le avesse viste scivolargli lungo il naso e infrangersi per terra sui sassi.

Forse stava tremando, forse singhiozzava pure, ma non ne era tanto sicuro. Era come se in quel momento fosse diviso in due, Antonio: una parte di lui restava a soffrire come un cane, schiacciata sull'erba fredda, ed era la parte sensibile, quella del corpo sui cui si abbattevano senza pietà i dolori rivissuti nel ricordo del 1995.

L'altra metà di lui invece, vagava ancora tra il fumo e la cenere di quel terzo piano, senza essere in grado di capacitarsi che...

Che il motivo per cui era vivo...

...era lo stesso per cui il nonno del ragazzo che amava era morto.

Che la cosa da ricordare ossessivamente era quella, e che non era affatto qualcosa di veramente buono che aveva unito il destino suo e di Lovino, come invece aveva sempre pensato.

Era terribile, e ora si spiegavano le brutte sensazioni provate di recente, quando aveva iniziato a intuire...era stato per salvare lui e Gilbert che quell'uomo era morto!

E la risposta c'era sempre stata...lì, a portata di mano fin dall'inizio.

 

 

Che gran bastardo ad andarsene così, lasciandoci soli! Un vigile del fuoco morto durante un salvataggio...che cazzata! Se aveva intenzione di salvare qualcuno, avrebbe dovuto pensare prima di tutto alla sua pelle e poi avrebbe fatto meglio a non dimenticarsi di noi!”

 

 

Era quello che gli aveva detto una volta Lovino, gli occhioni verdi lacrimosi per la frustrazione, la voce carica di una rabbia covata a lungo. La stessa che risuonava nella testa di Antonio provocandogli una fitta di dolore simile a una coltellata, che lo fece gemere forte. Uno spasmo terribile e concretissimo, il primo dopo aver realizzato che “la pelle” salvata da Vargas era stata proprio la sua.

 

 

Ma lo sai perchè nonno Roma è stato veramente un bastardo con me...? Lo sai? Una volta ebbe il coraggio di presentarsi senza un regalo per me il giorno di Natale, mentre a Feliciano aveva comprato i fogli e i colori che gli piacevano tanto!”

 

 

Lovino l'aveva pianto tra le sue urla di bambino, le guanciotte arrossate e gonfie, soffrendo per il disperato bisogno di sentirsi amato da qualcuno che non poteva farlo più.

Ma Antonio ora sapeva che Romano Vargas aveva amato suo nipote. L'aveva amato con tutta l'anima, con tutto il cuore, ed era a lui che era andato l'ultimo pensiero prima di morire...a lui e a quel suo regalo di Natale, che non era stato dimenticato affatto, ma che era soltanto in ritardo.

 

 

Dimmi solo che cosa vorresti”

Quella collanina”

Ti ho detto che non posso...”

Ma io la voglio! Uffa, la voglio, la voglio, la voglio!!”

Magari puoi dire alla tua mamma di comprartene una uguale. Natale è appena passato, ma...”

Non posso...”

 

 

Ora capiva perchè Lovino non avrebbe mai potuto chiedere alla mamma di comprargli una catenina simile alla sua: lui non ce l'aveva più, la mamma.

E vedendo il ciondolo penzolare dal collo di Antonio, quella volta, chissà che cosa aveva provato...sicuramente l'aveva riconosciuto come uguale a quello della madre. Ma l'ironia della sorte aveva voluto che quell'oggetto fosse destinato sul serio a Lovino!

Allora, un pensiero se possibile ancora più doloroso degli altri si fece chiaro, e gli occhi di Antonio divennero grandi come i ciottoli che stava fissando con la testa piegata verso il basso.

Se avesse dato a Lovino la collana affidatagli da Romano Vargas, sarebbe finito tutto in quel modo?

Se glie l'avesse consegnata in quel momento, quando era piccolo, avrebbe potuto evitargli di soffrire per tanti anni ancora?

Forse sì, forse...avrebbe subito adempiuto alle ultime volontà del pompiere, senza bisogno dei salti nel tempo che gli erano venuti incontro ogni volta che era servito...ogni volta che doveva vedere qualcosa, capire un particolare che gli sfuggiva...

Quando la pioggia arrivava sempre per indicargli la strada giusta da seguire, come era successo, per esempio, la volta in cui l'aveva costretto ad entrare in ascensore.

Era proprio quello, poi, l'indizio più importante di tutti; ciò che più di ogni altra cosa avrebbe dovuto riportargli alla mente quello che aveva dimenticato.

La pioggia, pensò Antonio con un sorriso disperato, la pioggia che era stata chiama da Romano Vargas, era finalmente arrivata. Come aveva potuto mettere da parte la preghiera accorata di quell'uomo, che seppure sull'orlo della disperazione, aveva compiuto un miracolo?

Ma del resto Antonio non aveva mai messo via completamente quella voce, che spesso era tornata a farsi sentire nel profondo dei suoi sogni, quando chiudeva gli occhi e il suo cuore ricordava al posto suo.

Non serviva ormai continuare ad affogare nel rimpianto, lo spagnolo lo sapeva; pure, non poteva fare a meno di sentirsi estraniato, di perdersi in se stesso almeno per un attimo.

Solo per riflettere un momento sulla realtà delle cose, che sì, era chiara, ma non per questo più accettabile.

Il motivo per cui la sua storia era cominciata, lo stesso motivo che l'aveva portato a conoscere Lovino, spiando la sua vita in anni diversi...il viaggio che aveva compiuto non era servito soltanto a lui.

Il fatto che Antonio avesse riacquistato finalmente la memoria e la coscienza di sé, non era affatto il traguardo, ma l'obiettivo da raggiungere prima del passo finale.

Era successo tutto per permettergli di raccogliere abbastanza indizi e di rendersi conto di cosa mancava, di chi mancava.

Francis gli aveva detto che aveva svolto le veci del “messaggero del paradiso” tra lui e Jeanne. In effetti, era proprio questo che avrebbe dovuto fare sin dall'inizio, ma tra Romano Vargas e suo nipote. E questo andava bene, questo...questo era meraviglioso.

Le cose veramente assurde erano altre: innanzitutto, l'incendio. Poi, il fatto che Antonio non avesse portato a termine il suo compito, impedendosi di ricordare proprio l'incendio. Così, dimenticando la morte di Gilbert, l'ascensore, il vigile del fuoco, la preghiera e la collana, dimenticando tutto...se n'era andato anche il ricordo delle ultime volontà del signor Vargas.

E dal giorno dell'incidente era passato un anno intero durante il quale Antonio aveva navigato nell'oblio di una finta tranquillità, mentre il suo cuore soffriva per essersi chiuso da solo al mondo...mentre Lovino piangeva e piangeva e piangeva e gridava.

Alla fine, era arrivato l'incontro sul treno.

A pensarci adesso, che avrebbe potuto evitare tutto quanto semplicemente offrendo a un bambino il giocattolo che desiderava, Antonio sentì la gola stringersi in una morsa spinosa. Era come se in quel momento, lo spagnolo avesse cambiato le sorti del proprio destino da solo: la scelta che aveva preso, la collana che non aveva consegnato, avevano determinato il resto.

Ma durante il tragitto, era successo un imprevisto, un qualcosa di grosso: Antonio e Lovino si erano innamorati e adesso non si poteva tornare indietro.

E quindi, che cos'era il sentimento nato tra di loro se non qualcosa di tremendamente sbagliato, a confronto con tutto quello che c'era dietro?

Oppure...

Oppure anche il fiorire del loro amore non era stato una casualità? Infondo avevano fatto così tanto l'uno per l'altro, si erano aiutati e si erano capiti e si erano trovati, e adesso si sentivano indispensabili a vicenda.

Era così assurdo pensare che da tanto male ne fosse potuto nascere altrettanto bene? Era assurdo pensare che alla fine, il loro modo di essere destinati l'uno all'altro fosse proprio quello?

No, non lo è” mormorò a sé stesso Antonio, tirando su con il naso.

Non era assurdo, perchè quello che doveva fare non si limitava semplicemente al passaggio di un oggetto. C'era molto, molto di più.

Tutto era nato per l'amore: quello di un uomo nei confronti del proprio nipote. Era un messaggio d'amore che Antonio doveva consegnare.

E poi, poi c'era il loro di amore, e c'erano loro due, Antonio e Lovino, che...

 

 

Senti deficiente,

io ti conosco...

dove cavolo ti ho già visto?”

 

 

...Che, sì, erano stati insieme da tanto tempo...da tanto tempo prima che Antonio lo sapesse.

Già, quella volta sul treno due persone avevano incontrato un paio di occhi verdi: Antonio aveva incontrato quelli di un bambino, sicuro di vederli per la prima volta.

Lovino invece si era specchiato nelle iridi limpide di quel ragazzo...quel ragazzo che... “dove cavolo l'aveva già visto?”.

Perché Lovino, al contrario suo, non aveva dimenticato nulla.

Fu proprio quello il pensiero che fece più male di tutto allo spagnolo; allo stesso tempo fu la forza che gli permise di puntellare i gomiti sulle ginocchia e alzarsi in piedi. Traballante, senza controllare i singhiozzi che erano ripresi, o che forse non si erano mai fermati, tese le braccia verso Francis che non si era mosso dal suo fianco.

L'uomo fu rapido ad afferrare Antonio cingendolo in un abbraccio carico di confusione e tristezza. Sicuramente Francis non poteva capire tutto quello che stava passando per la testa dell'amico, considerando che nemmeno Antonio stesso riusciva a tenere chiaramente il filo dei suoi pensieri, sconvolto com'era. Eppure, il francese gli accarezzò la testa, e disse:

Devi piangere. Non so bene perchè, ma nei hai bisogno. Adesso, piangi”

E Antonio pianse, pianse a gran voce, aggrappandosi forte alle spalle dell'altro, cercando il fiato per poter parlare ma senza riuscirci.

Era così strano...si sentiva in qualche modo quasi sollevato, libero da un peso che gli opprimeva il cuore da tanto tempo. C'era in lui adesso una sorta di consapevolezza che placava un po' la disperazione, perchè finalmente aveva chiaro cosa fosse successo a Gilbert e sapeva anche tutto il resto.

Ma il senso di colpa non si affievoliva, e anzi, adesso si era ingigantito perchè sopra al respiro di Antonio gravava anche la vita di Romano Vargas, e la felicità perduta di Lovino.

Lovinoooo! Per...che...perchè pr...proprio...lui!” riuscì a mugugnare Antonio sulla spalla di Francis.

Come ho fatto a...a non chiedergli s...se...”

Come aveva fatto a non chiedere a Lovino se...?

Una scena si era stagliata limpida nell'animo di Antonio: la stanza, il bambino riverso sul pavimento, il desiderio di avvicinarlo, parlargli...ma non ce l'aveva fatta. Alla fine, era arrivato il buio.

Era stato quello il momento in cui aveva sentito che non ce l'avrebbe più fatta a sopportare il peso di tutto quanto: era stato allora che Antonio, per proteggersi, aveva scelto di dimenticare.

Come ho potuto...non chiedergli...se quella sul treno...era davvero la p...prima volta che ci incontravamo?”

Antoniò...” mormorò Francis, stringendolo forte a sé.

Rimasero così finché lo spagnolo non esaurì tutte le sue lacrime. Sembrava impossibile, ma nonostante avrebbe desiderato continuare a piangere per secoli, alla fine non uscì più nulla più dai sui occhi. Rimasero però il fiato corto e i singhiozzi scossi, e allo stesso modo la stretta di Francis restò salda sulla sua schiena. Gli doveva una spiegazione.

Il pompiere che era morto” riuscì ad articolare lo spagnolo, la gola secchissima, “era il nonno di Lovino”

Terribile come il mistero che aveva avvolto tutti loro e che li aveva legati fin dall'inizio allo stesso filo potesse essere riassunto in quella piccola frase. Un silenzio pesante calò per qualche secondo tra i due amici. Alla fine il più grande prese Antonio per le spalle per poterlo guardare meglio; era sbiancato di colpo e gli occhi blu erano densi di tristezza, come se avesse percepito l'universo di dolore che si celava dietro ogni parola pronunciata dallo spagnolo.

Oddio, Antonio” disse solo.

Lui sospirò, annuendo.

Ho ricordato tutto. Gli devo parlare, adesso” disse meccanicamente, più a se stesso che a Francis.

Allora il francese fece segno di sì con la testa, spostando altrove lo sguardo, probabilmente per nascondere gli occhi lucidi. Subito tornò a rivolgersi all'amico, sfoderando un sorriso velato, sincero e carico di comprensione.

Hai paura” affermò, semplicemente leggendo il sentimento espresso da ogni piega intorno agli occhi e alle labbra di Antonio.

Oh sì. Sì che aveva paura, paura da morire. E come poteva essere diversamente? Era probabile che Lovino, saputa la verità, l'avrebbe odiato per sempre. Ma Antonio allora l'avrebbe capito; anche lui si sarebbe odiato, considerando che ancora faceva fatica a perdonare se stesso, pur essendo cosciente di non avere motivo di odiarsi più di così...non dopo che per tanto tempo non aveva fatto che farsi male da solo.

Inoltre, aveva paura perchè ciò che sarebbe successo immediatamente dopo aver portato a termine le ultime volontà del signor Vargas era un'incognita. Forse, non appena la sua bocca avesse pronunciato quelle parole, una nuova tempesta sarebbe arrivata per riportare Antonio alla sua vita del '96, quando Lovino era ancora solo un bambino. Sarebbe potuto succedere, non sarebbe stato poi così strano.

Fino a quel momento il ragazzo era stato risoluto a mettercela tutta per restare lì dov'era e non lasciare più né Lovino né Francis...ma adesso, se fosse accaduto qualcosa di imprevisto e sovrannaturale com'era successo le altre volte, che cosa avrebbe potuto fare lui per impedirlo?

E d'altro canto, avrebbe dovuto impedirlo davvero?

Sentendosi quasi sanguinare internamente, Antonio si chiese con che faccia avrebbe mai potuto pregare Lovino di tenerlo con lui, dopo avergli raccontato tutta la verità.

Devo parlargli” ripeté stoicamente, a mezza voce.

In effetti il dubbio e la paura non contavano, perchè finalmente era arrivata l'ora di consegnare quel messaggio che aveva tenuto in custodia per troppo tempo. Per Antonio non era stato che un anno...ma per Lovino si era trattato di molti, molti anni. Aveva passato tutta la sua adolescenza senza poter chiarire l'incomprensione con suo nonno, e ormai era un giovane uomo...e se lo meritava come nessun altro, un po' d'amore, quel ragazzo.

Io...ti lascio andare, ma non me la sento di tornare a casa. Magari ti aspetto in macchina, sì?” suggerì il francese, incoraggiante.

Antonio lo guardò.

Francis, il caro amico che gli pagava le rate dell'affitto, che cucinava per lui, che aveva fatto con lui un mare di cavolate e che teneva conto della sua opinione anche quando si innamorava di qualcuno che non piaceva ad Antonio. Francis, che l'aveva accolto a braccia aperte quando era sbucato all'improvviso dal passato, e l'aveva subito riammesso nella sua vita.

Grazie” gli disse lo spagnolo, con voce roca. Un ringraziamento che significava tante cose, troppe per poter anche solo riuscire a pensarle tutte.

L'altro annuì ancora, lo salutò con vago gesto della mano e poi gli diede le spalle. Antonio lo guardò sparire oltre la siepe gelata del giardino, restando immobile come una mummia, e solo quando la sua testa bionda non fu più visibile si voltò anche lui verso l'ingresso.

Rimase incerto sui propri piedi solo per qualche secondo appena. Poi, il tempo di strofinarsi gli occhi e inspirare profondamente, e il ragazzo era già rientrato in casa. Chiuse piano la porta alle sue spalle, portando lo sguardo al piano superiore. Iniziò a salire un gradino dopo l'altro senza neanche rendersi conto di essere arrivato alle scale.

Galleggiava.

Al secondo piano, la stanza di Lovino era socchiusa. Antonio tese le dita verso la superficie color mogano scuro, e allora si accorse che gli tremava la mano.

In un gesto istintivo, appoggiò la fronte contro il legno, ma non appena la sua pelle toccò la porta, questa si aprì, rivelando un Lovino che l'aveva spalancata dall'altra parte. Perdendo l'equilibrio per la sorpresa, Antonio per poco non gli finì sopra, ma l'altro tese le braccia contro il suo petto, allontanandolo da sé.

Che cazzo fai, volevi farmela pagare per tutte le testate che ti ho dato, stronzo?!” brontolò il più giovane.

Antonio lo guardò stringendo le labbra; era così bello, con la faccia da pulcino di chi si è appena svegliato, i capelli scompigliati e la guance rosa. Teneva lo sguardo piantato sul pavimento, forse perchè era troppo imbarazzato dopo la loro notte insieme.

Eppure aveva la bocca piegata in un certo sorriso ben celato, che fece gemere a una voce dentro Antonio “non lo voglio perdere, non voglio che mi odi!”.

Allora lo spagnolo sentì gli occhi bruciarli dolorosamente, ma sapeva che non avrebbe pianto, sta volta; un po' perchè non aveva più lacrime da versare, un po' perchè aveva troppa paura per mettersi a farlo.

Subito Lovino si accorse della sua espressione tesa. Sentendo che non diceva nulla, probabilmente stranito dal fatto che non l'avesse ancora abbracciato, lo guardò inarcando un sopracciglio.

Che hai fatto...che succede?” si allarmò.

Antonio, che non voleva spaventarlo, si sforzò di sorridere, e dopo vari tentativi, riuscì ad ottenere solo un incerto tremolio delle labbra.

A quel punto l'altro si preoccupò sul serio, ma Antonio gli diede appena il tempo di aprire la bocca, prima di richiuderla con foga in un rapido bacio.

L'intenzione era di non metterci nulla di troppo romantico e di limitarsi ad appoggiare le labbra sulle sue; solamente perchè quella poteva essere l'ultima volta, e allora se non l'avesse baciato, l'avrebbe rimpianto fino alla fine dei suoi giorni. Però poi, proprio perchè poteva essere l'ultima volta, indugiò un po' più a lungo sulla bocca ruvida di Lovino. E quando percepì che lui, con una timidezza mal celata, gli chiedeva di approfondire e gli passava piano le dita sulla nuca, Antonio dovette trattenersi a stento dal mettersi a gridare.

Si staccò da lui e dal suo calore soltanto per appoggiare la fronte alla sua. Gli prese il viso ardente e già colorito tra le mani, sentendole tremare appena.

Lovino incontrò i suoi occhi, e c'era così tanta dolcezza in quel silenzio che Antonio se ne sentì improvvisamente saturo e carico.

Ti amo” gli disse dal profondo del suo cuore. Ed era così, l'avrebbe amato fino alla fine dei suoi giorni, semplicemente perchè viveva per questo.

Sapeva di essere rimasto vivo solamente per lui, lì nel fuoco del centro commerciale, solo per portargli un messaggio d'amore quando ancora nemmeno lo conosceva; e adesso che l'aveva conosciuto, era Lovino il motivo per cui si sentiva vivo.

Ti amo” ripeté, liberandogli una guancia dalla sua mano per poterci appoggiare le labbra in un bacio più lungo.

Va bene, sarebbe stato quello l'ultimo bacio, quello di prima era stato troppo rapido e non contava.

In quegli attimi, Antonio portò al massimo l'attenzione di tutti i suoi sensi per assaporare Lovino più che poteva. Sapeva un po' di dolce e un po' d'amaro, il suo amore. Presto però il sapore si fece quasi completamente amaro, una sensazione pungente che poco aveva a che fare con la pelle di Lovino, quanto piuttosto con la pena di Antonio. Allora lo spagnolo si staccò dal suo volto.

Questo era da parte mia” mormorò, con gli occhi ancora chiusi.

Poi, senza lasciare tempo all'altro di aggiungere qualcosa, perchè sentiva che ogni sua reazione sarebbe stata in grado di abbatterlo, si liberò alla svelta della catenina d'argento facendosela passare oltre la testa.

Subito la infilò al collo di Lovino, mentre lui osservava con una palese confusione le sue mosse. Quando Antonio gli sistemò la piccola croce sul collo, il più giovane abbassò la testa e rimase per qualche secondo a fissare il gioiello. Poi i suoi occhi si fecero grandi e le sue labbra si schiusero, mentre il volto schizzava in alto per incontrare quello di Antonio in un'espressione di stupore.

Allora lui gli scostò con gentilezza i capelli castani dalla fronte, per posarvi le labbra nell'ultimo bacio...uno d'addio, che non era suo.

Ti amo tantissimo. Questo invece era da parte di tuo nonno”

Lovino aggrottò le sopracciglia, aprendo la bocca ma senza che ne uscisse alcun suono.

Antonio, gonfiati i polmoni con più coraggio possibile, ne approfittò per parlare prima di non riuscirci più.

Poco fa ho riacquistato i ricordi dell'incidente in cui il mio amico aveva perso la vita. E' successo nel 1995...durante l'incendio del centro commerciale”

Parlava cercando di misurare la voce e le parole, cercando quelle più giuste...ma quali potevano essere le parole giuste in quell'occasione? Si sentiva così agitato che il cuore gli batteva all'impazzata; Lovino intanto rimaneva immobile nel suo sconcerto, incassando tutto senza emettere fiato.

Gilbert era già morto quando restammo bloccati in ascensore. Avevo perso ogni speranza, e mi sentivo quasi morto anch'io...poi arrivò un vigile del fuoco”

Subito la consapevolezza baluginò nell'espressione di Lovino; un lampo attraversò i suoi occhi.

Lo stupore si incrinò per lasciare lentamente il posto alla sofferenza, e il ragazzo iniziò a scuotere la testa piano, facendo segno di no.

Era tuo nonno, Lovi, era tuo nonno” disse Antonio, prendendolo con delicatezza per le spalle, “se non ci fosse stato lui...ce l'ha messa tutta per tirarci fuori di lì, è stato un vero eroe e io...”

A quel punto si bloccò come un giocattolo che esaurisce improvvisamente la carica, e la sua voce si incrinò di colpo.

Lo spagnolo provò con tutto se stesso ad essere forte, ma il respiro, che si faceva a mano a mano sempre più mozzato, sfuggì al suo controllo. Eppure andò avanti nonostante tutto, perchè lui era Antonio Carriedo che non si abbatteva mai, nemmeno nei momenti di crisi. E soprattutto, se era lui il primo a crollare adesso, che cosa ne sarebbe stato poi di Lovino?

Il signor Vargas mi è stato vicino e non ho parole per dire quanto sia stato magnifico” riprese quindi, guardando Lovino ma senza vederlo davvero, “...per salvare il corpo di Gilbert, alla fine, è morto, ma...”

A quelle parole, l'altro inspirò forte chiudendo gli occhi, e le lacrime iniziarono a rigarli il volto.

Ma prima di precipitare insieme all'ascensore” continuò Antonio, alzando la voce come per paura che il ragazzo non volesse ascoltarlo, “prima mi ha parlato un po'...di te. Di quanto ti amasse...di quanto ti amasse, Lovino”

Lui lo fissò, ora, in posa marmorea con le braccia tese lungo i fianchi e le mani strette a pugno. Ma tra le lacrime gli occhi erano accesi in una luce quasi di sfida, come a voler dire “dimostrami che è vero”.

Antonio scoppiò in un sospiro doloroso, facendosi prendere dall'agitazione anche se non avrebbe voluto farlo...anche se avrebbe voluto mantenersi lucido per non complicare le cose a Lovino.

Ti giuro, ti giuro che è così, Lovi! Romano Vargas ti voleva tanto bene...quando parlava di te era così sereno...mentre diceva che lo stendevi con le tue testate nonostante fossi piccolo, era così fiero di te, della tua forza! Ma poi...poi ha detto che quelli che si sforzano troppo di fare tutto da soli, non si lasciano amare con facilità. L'aveva capito com'eri fatto, quindi lasciati amare da lui, Lovi, puoi ancora farlo!” disse con enfasi, scuotendolo un pochino per le spalle.

Non avete avuto tempo per chiarivi, ma vi volevate tanto bene a vicenda...e io...io dovevo dirtelo, ero stato incaricato di dirtelo e di portarti questa catenina...quella volta che tuo nonno non ti regalò nulla per Natale, in realtà avrebbe voluto darti questa. La affidò a me perchè te la consegnassi, pe...per..però...”

Il fiume di parole che era uscito senza sosta fino a quel momento dalla bocca di Antonio si arrestò di nuovo contro la sua volontà. Il ragazzo, dopo aver detto tutto, si sentiva come svuotato. Ma la parte più difficile, Antonio sentiva che non fosse ancora arrivata.

Non era mai stato tanto bravo con le parole...si era espresso abbastanza bene? Lovino aveva capito che era stata colpa sua...tutta colpa sua?

Io l'avevo...l'avevo dimenticato...” riprese, rivolgendogli un sorriso supplichevole, “non ti pare un po'...stupida, come cosa...?”

Adesso sì che stava davvero male.

Si sentiva in bilico, sul punto di cadere in un baratro senza fondo. Era sicuro che stesse per finire tutto, e contava mentalmente i secondi che rimanevano perchè Lovino lo cacciasse definitivamente dalla sua vita. Prima però, gli avrebbe detto tutto; non si sarebbe risparmiato, non poteva farlo. Anche se la sua voce tremava più che mai, non si sarebbe fermato.

Mi sento ancora più stupido, considerando che...che ci avevo provato, a consegnarti il messaggio, ma non c'ero riuscito...” continuò Antonio, afflitto, chiedendosi se Lovino avesse chiara l'immagine del passato a cui si riferiva.

Ma se anche ora l'altro non la ricordava, di certo l'aveva fatto nel 1996 sul treno quando l'aveva riconosciuto subito, e quello era sufficiente.

Mi sento stupidissimo, se poi penso che...avevo dimenticato anche te”

La risposta di Lovino fu un unico respiro irregolare più pesante degli altri e Antonio non riuscì a leggere altro nel suo viso bagnato se non tanto dolore.

Poi però, tutto d'un tratto, Lovino scoppiò e prese a piangere con forza, portandosi le mani alla bocca e guardandolo con gli occhi socchiusi.

Lo spagnolo crollò in ginocchio, reggendosi con i palmi aperti sul pavimento.

Ti chiedo scusa” disse alle fine con tanto sentimento, sperando che capisse quanto fosse sincero.

Scusa per l'incidente...”, ma non bastava solo quello...

Scusami per aver dimenticato”, ma non aveva ancora finito...

Perdonami per averti fatto aspettare”, era una lista enorme di errori, la sua...

Perdonami per non averti capito, per...”

Ne hai fatte, d-di cazzate” lo interruppe bruscamente Lovino, la voce rauca e il naso rossissimo.

Con un gesto lento, raggiunse Antonio per terra sedendoglisi davanti, la punta delle sue scarpe a toccargli le dita ancora arpionate alle mattonelle del pavimento.

Accoccolato con il mento sulle ginocchia e le braccia che gli avvolgevano le gambe, Lovino lo guardò con intensità, senza curarsi di fermare i lacrimoni che gli inzuppavano gli occhi verde spento.

Vedi...vedi d-di finirla di farmi piangere, adesso, stronzo” disse con una falsissima punta di acidità, “o dovrai aggiungere pure questo alla tua lista...allora sì che non potrò perdonarti per davvero”

E il baratro sembrò improvvisamente lontanissimo, mentre Antonio sentiva distintamente i propri piedi ben piantati al suolo, distanti anni luce da qualunque bilico.

Perché Lovino stava dicendo...che l'avrebbe perdonato?

Aveva sentito bene?

Se fosse stato così, se solo fosse stato vero...

Guarda...guarda quanto sei ridicolo” lo sfotté il più giovane, tra un singulto e l'altro, “con la schiena rizzata all'improvviso...e quella faccia da idiota tutta sperduta”

Subito dopo si sporse un po' verso di lui mordendosi le labbra, e lo colpì sulla fronte con uno schiocco delle dita. Per riflesso condizionato, Antonio si portò la mano alla fronte e rimase a fissarlo in completa confusione.

Non mi devi c-chiedere scusa...non devi affatto” singhiozzò Lovino.

Lo spagnolo, in quel momento, fece fatica a ricordare come si faceva a respirare.

Accasciandosi ancora di più sulle ginocchia e tenendo gli occhi chiusi, non poté fare altro che protendersi per aggrapparsi alle gambe di Lovino.

Era così assurdo che ora non lo stesse odiando...sembrava che non provasse il minimo rancore nei suoi confronti. Era troppo bello per essere vero, e se non l'avesse toccato in quel momento, se non avesse tenuto stretto a sé un po' di Lovino, avrebbe creduto fosse frutto della sua immaginazione.

La voce dell'altro gli arrivò all'orecchio, e nonostante non fosse assolutamente melensa, ma anzi ci fosse un po' di durezza nel tono, ad Antonio parve quasi che ogni asperità nascosta nelle sue parole non fosse che un modo per mascherare la dolcezza.

O magari era solo una sua fantasia.

Chiedimi scusa un'altra volta e sei morto” soffiò piano Lovino, piegandosi per raggiungere l'orecchio di Antonio. “Non devi sentirti colpevole”

Non posso farci niente” biascicò lui contro i jeans del più giovane. “Mi sento un verme per averti causato tanti dispiaceri, anche se indirettamente. Ti prego, scusam...AHI!”

Lo spagnolo dovette gridare di dolore, quando l'altro gli prese forte un orecchio e glie lo tirò con decisione e una punta di cattiveria.

Te l'avevo detto di non chiedere più scusa!” tuonò Lovino.

Poi gli afferrò con una mano il mento e gli spinse la testa verso l'alto, facendo contrarre la pelle di Antonio tanto che le labbra gli si arricciarono tra loro.

Stronzo che non sei altro! Tu, tu non lo sai nemmeno quello che hai fatto per me...ogni volta che ti vedevo, ma anche quando non c'eri e ti pensavo e basta...anche quando ero da solo, c'eri tu con me, sempre. Io...non ho parole per dirti che...solo, vedi di finirla di comportarti da verme colpevole” si impantanò, smorzando a tratti la voce. “Non voglio che tu lo faccia, mi stai sul cazzo quando non capisci quanto io ti...insomma, anche adesso, dicendomi queste cose su mio nonno...scommetto che non ti rendi conto di che cosa hai fatto per me”

Qualcosa...qualcosa di buono?” tentennò Antonio, stranito dalla sua reazione.

Dio, che cazzo di idiota” borbottò l'altro.

In quel momento lo vide cingergli il capo con le braccia e affondargli le dita nei capelli, in un gesto che in qualche modo gli ricordò la burbera presa di Romano Vargas sulla sua testa quando erano nell'ascensore; eppure era allo stesso tempo qualcosa di profondamente diverso.

Il suo cuore schizzò via dal petto e volò in paradiso, perchè, oh, una stretta del genere poteva solo avere come motore la tenerezza e il desiderio di consolarlo. Lo sentiva bene, mentre piano piano Lovino gli accarezzava la testa e si arricciava ciocche dei suoi capelli tra le dita.

Ma c'era qualcosa in più ancora: era come se Lovino si stesse sforzando per protendersi il più possibile verso di lui, per tenerlo stretto a lui quanto più poteva.

Una voglia di annullare le distanze che lo spagnolo conosceva fin troppo bene, ma che mai si sarebbe aspettato di percepire con una tale intensità dall'altro.

Sebbene si sentisse praticamente in un'altra dimensione per quanto stesse scoppiando d'amore e di dolore, non gli passò certo inosservata la guancia che Lovino aveva appoggiato sulla sua testa.

Nonno, grazie per avermi dato Antonio”

Fu quella l'unica cosa che lo distrasse dal contatto fisico con l'altro.

Una cosa così potente che tutta l'essenza di Antonio tremò, il suo cuore s'incendiò e prese a gocciolare improvvisamente, e non sarebbe mai più tornato come prima, lo sapeva.

La voce di Lovino era stata così intensa e sincera che lo spagnolo si era sentito immediatamente sciogliere, e per poco la presa sulle sue gambe non cedette. Lovino, proprio perchè se ne accorse, continuò in un tono ancora più alto, scandendo bene le parole.

È un idiota, questo Antonio, perchè non capisce che...non riesco a togliermelo dalla testa da quando ero un marmocchio...e che lo amo da sempre, ma, ma nonostante sia così bastardo, è la cosa più bella che io abbia mai avuto”

Oh.

Davv...” provò a intervenire Antonio, ma il più giovane, già che aveva le mani affondate nei suoi capelli, lo bloccò tirandogli uno dei corti ricci castani.

Ho sempre pensato che tu fossi morto per niente” continuò imperterrito, sicuramente imbarazzatissimo (Antonio poteva percepirlo dal calore della sua guancia), “e invece alla fine ti sei rivelato un grande. Non è vero che sei morto per niente...l'hai fatto per salvare questa persona, e me l'hai mandata così che potesse salvare me. E' la cosa migliore che tu abbia mai fatto”

Lo spagnolo tirò su forte con il naso.

Ecco, aveva creduto di non avere più nemmeno una lacrima da versare, ma allora perchè aveva di nuovo la vista appannata?

Il fatto era che sentirsi dire cose simili in quel modo proprio da Lovino, dopo aver messo insieme tutti i pezzi della loro storia...era...non riusciva a dirlo, com'era.

Era troppo.

Adesso però, dopo tanta fatica per fare arrivare da me questo cretino, vedi di non portarmelo via...”

Quando una sensazione di freddo bagnò i suoi capelli, Antonio seppe che anche l'altro stava piangendo di nuovo.

Intrecciò allora le dita tra le sue gambe, strofinandogli il naso contro il ginocchio. Non era in grado di fare altro; si sentiva così colmo di tutto che...neanche ne era sicuro, di come si sentiva.

Non portarmelo via, nonno” ripeté Lovino.

E c'era tanta tristezza in quella richiesta che Antonio poté udire distintamente il suono di qualcosa dentro di lui frantumarsi in mille pezzi.

In quel momento esatto però, sebbene fosse completamente perso tra i brandelli del suo cuore, riuscì a sentire anche qualcos'altro: un rumore ovattato, ritmico e insistente, che curiosamente fece scattare la testa sua e quella di Lovino a un tempo solo. I due ragazzi si guardarono intorno, spaesati, mentre il suono non si fermava.

Era come se qualcuno stesse bussando a una porta a intervalli regolari. Eppure Antonio non seppe dire dove fosse collocata esattamente quella porta.

Lo senti? Da dove viene?” chiese Lovino, gli occhi ancora umidi di pianto e la voce sommessa.

Non ne ho idea, forse dalla porta di sotto?” disse Antonio, intontito dall'intenso momento di prima.

L'altro ragazzo lo guardò accigliato. Sebbene fosse parecchio sconvolto, era incredibile come certe espressioni seccate gli riuscissero alla perfezione in ogni occasione.

Impossibile, non aspetto nessuno. Feliciano ha mandato un messaggio, dice che tornerà sta sera”

E Francis non si muoverebbe dalla macchina senza che io glie lo dicessi”

Francis che c'entra, adesso?”

Be', lui sta...”

Ma Lovino non lasciò terminare Antonio. Piegando un sopracciglio, si accomodò meglio sul pavimento e gli tappò la bocca con un scatto. Poi prese a fissarlo con diffidenza, accostando piano l'orecchio alla sua fronte.

Antonio” disse dopo un paio di secondi di silenzio, “qualcuno sta bussando...da dentro la tua testa....che cazzo?!”

Da dentro la mia testa?!” urlò lui, sgranando gli occhi.

Sì, cazzo, sì! Viene proprio da qui, questo rumore!” si agitò l'altro, chiudendo le orecchie di Antonio con le mani e scuotendogli forte il capo.

Aspetta, aspetta!”

Lo spagnolo lo bloccò portando le mani sopra le sue, e rimasero così a guardarsi per qualche momento, non sapendo cosa fare. Poi arrivò l'illuminazione.

Ma certo! Ho messo ordine nel mio cervello, come aveva detto lei!” si animò con spirito.

Lovino lo guardò malissimo con una pietà palese negli occhi, come a voler dire che era innamorato di un malato mentale senza speranza.

Ascolta, prima c'era troppo disordine nella mia testa e non riuscivo a ritrovare quello che avevo perso, ma adesso le cose devono essersi sistemate” continuò quasi gridando, “oh Lovi, questa è sicuramente una di quelle cose strane che mi succedono! Un altro segno, no?! Aspetta un attimo, voglio provare a fare una cosa”

Detto questo, Antonio si alzò in piedi con un colpo di reni, afferrando forte il polso di Lovino, e senza dargli tempo di ribattere, lo trascinò al piano di sotto saltando gli scalini a due a due.

Un messaggio più chiaro di così non lo potevano mandare. Con tanta vitalità tornata improvvisamente a rianimarlo, Antonio pensò che forse non era tutto perduto.

Infondo, se avessero voluto davvero rimandarlo nel suo tempo a casa sua, l'avrebbero fatto non appena portate a compimento le ultime volontà di Romano Vargas.

Insomma, c'era qualcosa che stava bussando dentro la sua testa! Non restava che farlo entrare, e l'unica possibile via di comunicazione che Antonio conosceva, era...

Perché siamo davanti alla televisione?” sbuffò Lovino. Tuttavia la sua stretta convulsa sulla mano dell'altro tradiva l'ansia che aveva cercato di mascherare nella voce.

Antonio invece, ritto davanti allo schermo piatto, sfoderava un sorriso nervosissimo ma carico di una certa scintilla di positività.

Intrecciando le dita a quelle di Lovino, senza staccare gli occhi dalla televisione, disse:

E' più o meno così che è cominciato tutto. Una ragazza ha lanciato un messaggio indirizzato a me durante le previsioni del tempo...poi ci ho anche parlato, e mi ha aiutato a capire un mucchio di cose su questa storia. Sono sicuro che anche adesso sta per apparire in TV da un momento all'altro” sentenziò, sbuffando dalle narici tanto si sentiva soddisfatto del suo ragionamento.

Secondo me è difficile che tu riesca a vedere qualcosa se prima non la accendi” lo smontò Lovino.

Oh, puoi farlo tu per me? Non so come si fa” disse lui, docile come un agnellino.

Lovino arrossì, probabilmente a disagio per il tono mite che aveva usato, e andò ad accendere l'apparecchio piegando le labbra in una smorfia imbarazzata.

Subito, stagliata contro il tipico sfondo del meteo, tra un'Italia tempestata di nuvolette e soli e fulmini, comparve sullo schermo Jeanne.

Stava composta con le mani in grembo, sorridendo loro dolcemente e teneva la testa piegata, in attesa.

Uooh, che ti dicevo, mi amor?! Eccola lì, è proprio Jeanne!” esclamò Antonio, saltando sul posto come un bambino.

Che...che minchia dici, eh, Antonio?” soffiò il più giovane, guardandolo preoccupato. Poi allungò la mano per sfiorargli la fronte con la sua delicatezza molto impacciata. “Ho capito, ieri sera ti ho fatto sbattere la testa troppo forte contro la spalliera del letto”

Ma no Lovi, non...” iniziò Antonio. Un colpetto di tosse richiamò però la sua attenzione, facendolo voltare verso la ragazza che attendeva probabilmente che le venisse rivolta la parola.

Antonio la guardò. Poi si girò di nuovo verso il ragazzo. Alla fine tornò ancora da Jeanne.

Tu non la vedi, vero?” mormorò infine.

Vedere chi? E parla come si deve, cristo santo! Già è difficile capirti di solito, figurati adesso!”

Ma era ovvio che Lovino non riuscisse a vedere ciò che vedeva Antonio! Infondo, Jeanne era stata mandata solo per lui, no? Anche le altre volte non l'aveva mica chiamato davvero per nome e cognome in diretta nazionale! Sicuramente era stato solo Antonio a poterla vedere e sentire.

Insomma, sta succedendo solo nella mia testa, è così?”

La biondina annuì cortesemente alla sua volta, e lo spagnolo non riuscì a evitare di sorridere, grattandosi la fronte.

Quindi, la cosa che dovevi vedere” intervenne Lovino, aggrappandoglisi al braccio, “ha a che fare con questo cuoco grassone del programma di cucina?”

Antonio scoppiò a ridere forte. No, decisamente Lovino non vedeva la stessa cosa.

Oh, era così strano che adesso gli venisse da ridere per tutto? C'era come una bella sensazione che gli pulsava nelle vene, e dei timori e dei rimorsi non rimaneva che una vaga ombra.

C'è un buon odore nell'aria” disse, respirando a pieni poloni. “Dammi solo un minuto, Lovi. Fidati di me, sento che non c'è da preoccuparsi”

Se lo dici tu” brontolò lui, avvinghiandoglisi alla manica del maglione.

Allora Antonio si rivolse finalmente a Jeanne, cercando di mettere su l'espressione più seria possibile, nonostante sentisse quasi un pizzicorio allo stomaco che già gli faceva venire voglia di mettersi a ballare.

Jeanne” la salutò, sorridendole a trentadue denti, “credo di avere fatto quello che dovevo. Sei venuta per dirmi che cosa succederà adesso?”

Sono venuta perchè mi hai chiamato tu, Antonio”

Davvero?! Ma, non mi pare di averlo fatto!”

Forse non l'hai fatto con la voce, ma l'hai fatto con l'anima, ed è questo che conta” disse lei, ammiccando verso il giovane italiano. “Eh, ti vedo confuso”

Lo spagnolo annuì con decisione, protendendosi verso lo schermo e trascinandosi dietro Lovino, che non lo mollava.

Vediamo, te la metto in un modo facile così eviteremo i fraintendimenti. Allora...tu ci credi nel destino, non è così?” domandò dolcemente lei. “Sì...bene. E uno passionale come te non poteva non percepire che al tuo destino era legato quello del ragazzo che ti sta accanto. E' innegabile, questo è vero, anche se le vie che vi hanno unito non sono state certo le più facili da percorrere. Ma...vorrei farti capire che il destino si può cambiare”

La ragazza gli sorrise comprensiva, scostandosi alcune ciocche bionde dalla fronte.

Quello che decidiamo di fare, quello che scegliamo di non fare, dipende da noi, e ogni singola scelta può cambiare del tutto il corso degli eventi, lo sai anche tu. Sono cose che facciamo senza neanche rendercene conto...sembra un controsenso, ma è la nostra volontà più profonda che ci muove. E la volontà tua e quella del tuo amico vi ha mosso, portandovi entrambi fino qui”

Antonio portò di riflesso la mano sinistra a coprire le dita di Lovino, ancora attorcigliate intorno al suo braccio.

Nella vostra storia, il vostro incontro era predestinato, ma la fine la state scegliendo voi. E mi pare di aver capito che non abbiate alcuna intenzione di dividervi, no?” chiese con una punta appena di ironia nella voce, guardando teneramente i due.

No, io non voglio assolutamente dividermi da lui!” scattò Antonio. “Forse...forse prima ho tentennato, ma solo perchè credevo di non essere la persona giusta per restargli accanto. Però credo...insomma, so che anche lui prova quello che provo io” disse, spostando lentamente lo sguardo verso il più giovane.

Lovino arrossì, guardandolo di sottecchi.

Stai parlando di me? Invece di intervenire al posto mio, fa parlare me o dirai solo cazzate!” grugnì, pizzicandogli il gomito. “Signorina che sta parlando con questo scemo” disse poi a voce alta, fissando un punto a caso della televisione, “nemmeno io voglio separarmi da lui”

Lo disse così, semplicemente, ma era rosso fino alla punta dei capelli.

Perfetto allora! Perché mi hai fatto chiamare, Antonio? E' tutto sistemato” rise Jeanne.

Davvero?! Vuoi dire che potrò rimare qui, in questo anno, senza nessun problema?”

Subito Lovino si agitò al suo fianco, riuscendo a tirare le fila della conversazione anche se poteva sentire solo la voce di Antonio.

Jeanne intanto annuiva serissima, quasi come stesse cercando di spiegare il tutto a un bambino molto piccolo.

E non ci sarà più nulla di strano nelle nostre vite?”

Assolutamente...hai svolto il tuo compito alla perfezione, anzi...hai fatto anche di più” disse lei sommessamente, portandosi una mano all'altezza del cuore.

Oh...e, e la pioggia allora? Che succederà?” continuò Antonio.

Voleva essere sicuro di tutto.

Insomma, se c'era una cosa che aveva imparato da quella faccenda, era di non dare mai niente per scontato e di mettere da parte la parola “impossibile”.

Inoltre, anche solo di un pochino, si sentiva un po' meno avventato...forse perchè adesso c'era un motivo più che valido per evitare di rischiare, di mettere in pericolo ciò che aveva, comportandosi da sconsiderato senza preoccuparsi delle conseguenze. Quel motivo gli stava giusto stritolando il gomito e lo guardava con fare apprensivo, aspettando di ricevere delle spiegazioni.

Jeanne sorrise ancora una volta, toccandosi le labbra con l'indice.

Mmh, noto un leggero cambiamento in te...solo, mi chiedo quanto tempo ci metterai prima di riportare la testa tra le nuvole! Scommetto che non c'è pericolo che tu diventi una persona troppo seria, no?” disse con una risata cristallina. Poi sbatté le lunghe ciglia e incrociò le braccia al petto. “A proposito di nuvole...diciamo che d'ora in poi potrà dimenticare l'ombrello a casa tutte le volte che lo desidera, signor Carriedo”

SI!!

Sì, sì, sì, sì, sìììììììì!

Ah ah! Yahooooo!” gridò lo spagnolo, portando in aria i pungi e saltando come avesse avuto le molle ai piedi.

Sarebbe rimasto!

Adesso si sentiva scoppiare per la felicità; l'adrenalina era salita a mille, il sorriso faceva male tanto era largo e tutto il sangue doveva essergli confluito alle guance, altrimenti perchè avrebbe sentito tanto caldo? La prima cosa che avrebbe dovuto fare, ovviamente, era avvinghiarsi a Lovino. Ma stringerlo non bastava ora, no, ci voleva qualcosa di più...che cosa si faceva quando ci si sentiva morire per la felicità?

Tutto questo Antonio lo pensò nel momento esatto in cui i suoi piedi si erano staccati da terra nel salto di gioia; meno di mezzo secondo dopo, si era buttato su Lovino, l'aveva preso in braccio e anche se lui era rimasto rigido, se l'era quasi caricato in spalla, reggendolo con una mano sotto il sedere e una sulla gamba. E cavolo, l'aveva fatto volteggiare tenendolo spiaccicato al suo petto mentre tutto quello che aveva voglia di fare era continuare a ridere forte.

Lovino intanto gli aveva artigliato le dita sulle spalle come un gatto spaventato, e continuava a urlare cose come “che cazzo fai? Che succede?”

Solo dopo un “mettimi giù, stronzo, o giuro che ti strangolo”, Antonio lo voltò per bene dalla sua parte, passandogli un braccio intorno alla schiena. Allora lo guardò con gli occhi socchiusi, consapevole di stare sorridendo come un idiota e di essere lui rosso come un pomodoro, una volta tanto.

Ha detto che posso restare!”

Lovino, la punta del naso che toccava la sua, ridusse gli occhi a due fessure, piegando le labbra in una smorfia indefinibile.

Resti?” disse solo.

Lo spagnolo annuì con energia. Allora lui ingoiò a forza un singhiozzo seppellendo il viso tra la spalla di Antonio, e gli allacciò strette strette le gambe ai fianchi.

Non potevi dirlo subito, eh?!” bofonchiò.

Lo spagnolo ghignò come uno che ha appena vinto alla lotteria, chiudendo del tutto gli occhi per godersi pienamente quei confusi attimi di felicità estrema. La sua testa in quel momento era occupata solo dal suo adorato ragazzo, e aveva dimenticato l'angelo biondo del servizio meteo.

Quando se ne ricordò, rimase comunque fermo al suo posto, continuando a sciogliersi lentamente nell'abbraccio con l'altro. Anche volendo, non sarebbe riuscito a vedere Jeanne sullo schermo della televisione; il suo posto era stato preso dal cuoco grasso del programma di culinaria, e Antonio dentro di sé sentiva per certo che non l'avrebbe mai più rivista.

Oh!” fece a un certo punto, facendo sobbalzare il più giovane. “Ho lasciato Francis in macchina!”

E allora? Non è mica un cane” rimbeccò l'altro.

Ma, ma devo subito andare a dargli la bella notizia, Loviiiii!”

Prima mettimi giù però...che fai, esci?! Sta fermo, mettimi giù!”

Guarda che sei tu che non stacchi le gambe dalla mia schiena”

E'...è solo un d-dettaglio, capito?!”

Mmmh, te amo queridoooo! A proposito...che dicevi prima? Che tu mi ami da quando eri piccolo? Ih, ih, quanto sei adorabile! Vieni, dammi un bacio...”

N-non darti tante arie adesso!”

AHIA! Awh...sono pazzo di te, Lovi”

Tu sei pazzo e basta...e lo sono pure io”

Pazzo o pazzo di me?”

Tut-tutti e due, coglione!”

 

 

 

Il periodo delle festività invernali era quasi giunto al termine, eppure Antonio non si era mai sentito più carico di spirito natalizio.

Dopo aver insistito tanto, alla fine convinse Lovino a far sistemare sul tavolo del salone anche un altro piccolo alberello di Natale stile bonsai, come quello che era riuscito ad incastrare nel 1996 all'interno del suo appartamento striminzito.

Su suggerimento di Feliciano, aveva fabbricato lui le decorazioni, pitturando delle palline di carta pesta di rosso per farle assomigliare a dei piccoli pomodori. Quando Lovino aveva visto il risultato si era messo a ridere di gusto, ma poi Antonio gli aveva ricordato che era lui il bambino che indossava calzini a fantasia di verdure, e allora si era beccato un pizzico sul braccio particolarmente doloroso.

Dopo aver avuto la conferma che non avrebbe mai più perso lo spagnolo, Lovino si era fatto più acido nei suoi confronti di un buon cinquanta per cento. Antonio pensò con un certo rammarico che raramente l'avrebbe visto di nuovo avvinghiarsi al suo braccio con tanto trasporto come aveva fatto l'altra volta davanti alla televisione.

Pure, quando la notte Lovino lo credeva addormentato (e non era mai così, perchè Antonio era troppo su di giri per addormentarsi presto, se stava accanto a lui nel letto), lo sentiva avvicinarglisi alla schiena. Indugiava piano con la punta delle dita sulla sua pelle, e lo spagnolo faceva l'enorme sforzo di rimanere immobile in un finto sonno solo per godersi più a lungo il momento. Alla fine però, quando l'altro lo abbracciava forte spalmandoglisi praticamente addosso, non ce la faceva più e tutte le volte si girava dalla sua parte e moriva tra le sue braccia. L'immancabile risposta che riceveva era un “coglione”, soffiato in una leggera risata.

Tra di loro funzionava così, e andava bene.

Ogni volta che Antonio vedeva la catenina con la croce dondolare dal collo di Lovino, ne era sempre più convinto.

Quindi lo spagnolo pensò che se Lovino aveva ringraziato suo nonno per avergli dato Antonio, il minimo che lui potesse fare era ringraziarlo a sua volta per avergli dato suo nipote. Lo disse all'altro il giorno dopo l'ultima apparizione di Jeanne, e il ragazzo, abbastanza commosso ma ben deciso a non darlo a vedere, lo accompagnò al cimitero per visitare la tomba di Romano Vargas.

E così arrivò un'altra bella sorpresa; Feliciano propose con entusiasmo di accompagnare i due, e aggiunse che sarebbe venuto insieme a un amico che desiderava allo stesso modo portare i suoi omaggi a nonno Vargas.

Ti ricordi, Antonio? L'amico di cui ti avevo parlato, quello che è un po' strano, ma che è un bravo ragazzo” disse con entusiasmo Feliciano. “Quello che non mi fa sentire solo” aggiunse con un sorriso radioso, diventando tutto rosa.

Il crucco no!” si lamentò Lovino.

Quando alla fine, davanti ai cancelli del cimitero, il giovane Vargas gli presentò il famoso amico unendo le loro mani in una stretta di presentazione, il cuore di Antonio mancò pericolosamente un battito; era lo stesso ragazzo che aveva intravisto nelle foto appese in camera di Feliciano, non poteva sbagliarsi. Alto e ben piazzato, biondo, con gli occhi azzurri e duri, assolutamente tedesco...e assolutamente somigliante a Gilbert.

Mentre gli stringeva la mano piena e fredda, ad Antonio rivennero in mente tutte le volte in cui Gilbert gli aveva infilato le mani piene di geloni sotto la maglia in uno dei suoi scherzi idioti. E adesso che ci faceva caso, era facile ravvedere qualcosa del suo tedesco nell'altro tedesco.

Bastava pensare a quella volta in cui Gil era uscito dal bagno con i capelli tutti pettinati all'indietro, allo stesso modo in cui li portava l'amico di Feliciano, per accorgersi dell'incredibile somiglianza.

Nel momento in cui seppe che quel ragazzone si chiamava proprio Ludwig Beilschimdt, la consapevolezza che fosse l'impassibile fratellino che popolava i teneri vaneggiamenti del suo coinquilino per poco non lo stese a terra.

Alla fine era quindi davvero venuto in Italia solo dopo aver raggiunto l'età giusta.

L'aveva fatto nel testardo rispetto della promessa presa con il fratello maggiore, e ora era davvero qui.

Tuttavia, per quanto si sentisse mancare il fiato tanto Ludwig gli ricordava il fratello maggiore, Antonio sapeva che mai e poi mai avrebbe dovuto paragonare i due.

La tentazione era forte, ma Gilbert era Gilbert, unico e insostituibile.

Sembrava inoltre che questo ragazzone biondo avesse un caratterino particolare, che poco aveva a che fare con la piega scanzonata della personalità di Gil: educato e rigido nei confronti di una persona conosciuta da poco, più altero e nervoso mentre ammoniva Feliciano di fare questo o non fare quello, di stare attento a non scivolare, di coprirsi meglio (diamine, dove aveva lasciato la sciarpa?). Sembrava che Feliciano pendesse dalle sue labbra, e che gli piacesse molto, proprio così com'era.

Antonio era stato per un attimo contento che un qualcosa del suo amico, fosse stata anche solo la scintilla dello sguardo, potesse esistere ancora nel mondo per mezzo di Ludwig.

Eppure, era ancora meglio rendersi conto che, dopo tutto quello che era successo, fosse nato qualcosa di completamente nuovo.

Sorridendo, sentendosi pieno di un qualcosa molto simile alla fede verso l'amore e verso la bontà del mondo, lo spagnolo si espresse in una preghiera silenziosa davanti alla tomba del vigile del fuoco, indirizzandola anche al suo amico che non c'era più.

Avete visto che cosa è successo?” pensò, ridendo tra sé. “Lei non ha voluto lasciarci da soli, signor Vargas, e noi ci siamo assicurati che i suoi nipotini non restassero soli. Il fratello di Gilbert ha addirittura incontrato Feliciano...è tutto così bello che sembra un sogno”

Piangi ancora, Antonio?” lo richiamò Lovino, le dita attorcigliate alle sue. “Non ti sei stufato di farmi preoccupare, bastardo? Nonno, uno appena un pochino meno smidollato potevi mandarmelo, però”

Allora Antonio non aveva potuto che appoggiargli la testa sulla spalla, mettendo su un finto broncio; ci voleva ben altro per farlo alterare, e ormai ci stava prendendo il callo.

Anche perchè sapeva che di frecciatine simili Lovino avrebbe continuato a servirsi per stemperare la tenerezza, e non ne avrebbe mai fatto a meno.

Glie le riservava in tutte le occasioni, partendo dalla mattina per accompagnare il buon giorno quando gli diceva di “smuovere quel cazzo di culo, perchè tanto lui il caffè a letto non glie l'avrebbe mai portato, mica era una fottuta mogliettina”.

Non si risparmiò neanche il 6 Gennaio, quando Antonio aveva invitato Francis a magiare tutti insieme per festeggiare e divertirsi un po', dato che Arthur quel giorno sarebbe dovuto partire per lavoro e lo spagnolo non aveva intenzione di lasciare l'amico da solo.

Erano lì, indaffarati sul bancone della cucina a preparare un pranzetto delizioso (“Tu limitati a fare l'aiuto cuoco, ti faccio vedere di che cosa sono capace, stronzo”), e Lovino sembrava voler condire le pietanze con sale, spezie e insulti verso Antonio.

Proprio non ce la fai ad ammettere serenamente quanto mi ami, eh?” fece a un certo punto lo spagnolo, leggermente piccato quando chiunque altro sarebbe già andato su tutte le furie.

Il più giovane lo trafisse con uno sguardo assassino, diventando quasi fucsia.

Non è nel mio stile, va bene?” ringhiò. Poi gli diede le spalle, concentrando lo sguardo sulle zucchine da tagliare. “Non arrabbiarti, però” aggiunse in un brontolio.

Ad Antonio si strinse il cuore con un'intensità almeno cento volte maggiore di quando vedeva un cucciolo abbandonato dentro uno scatolone. Era esattamente questo il motivo per cui non avrebbe mai potuto prendersela sul serio con Lovino; era il solo in grado di fargli un effetto simile.

Si portò quindi a razzo dietro di lui, circondandolo in un bell'abbraccio che lo fece irrigidire.

Nah, non potrei mai arrabbiarmi con te, perchè tu mi ami da quando eri un marmocchio” sottolineò lo spagnolo, un po' per ripicca perchè sapeva che a Lovino non piaceva affatto sbandierare la cosa. “Inoltre, quando cucini sei ancora più irresistibile e non potrei tenerti il broncio neanche volendo”

Lo so” rispose l'altro, compiaciuto e serissimo.

Dalla pausa che seguì, Antonio percepì che c'era qualcos'altro ancora che il ragazzo avrebbe voluto dire. Aspettò quindi un poco, per permettergli di parlare quando se la sarebbe sentita. Alla fine, la sua voce vaga gli arrivò alle orecchie, carica di una certa soddisfazione.

Quelli del 'Buon Appetito' hanno accettato la mia domanda per essere preso come cuoco in prova. E va bene...ammetto che hai fatto la cosa giusta a convincermi a presentarmi per un colloquio”

Ah, lo sapevo che ti avrebbero preso subito! Sono contentissimo per te!” esclamò lui, stringendo di più la presa.

Lovino riuscì a liberare un braccio e a dargli una leggera gomitata sullo stomaco.

Adesso sei rimasto solo tu a fare il perdi tempo...non ho intenzione di farti fare il mantenuto, sia chiaro. Ma non puoi chiedere a Francis di farti ancora aiutare da quel fottuto inglese?”

No!” scattò Antonio, con una sfumatura di disagio nella voce insolita per lui. Poi aggiunse con una smorfia: “Devo molto a Kirkland...anzi, gli devo già troppo per i miei gusti. Voglio farcela da solo a trovarmi un lavoro”

Già...se qualche anno prima gli avessero detto che sarebbe stato debitore per tutta la vita nei confronti di Arthur Kirkland, Antonio non ci avrebbe mai creduto, e anzi si sarebbe messo a ridere prendendo il tutto come una barzelletta di cattivo gusto.

Invece era successo davvero, e l'aiuto più importante era arrivato dalla persona più inaspettata.

Non si sarebbe certo mai immaginato una svolta del genere quando, qualche giorno prima, aveva detto a Francis che sarebbe rimasto nel 2012.

Saputa la bella notizia, il francese era quasi rotolato giù dall'auto, l'aveva preso per le spalle e tutti e due si erano messi a saltare in tondo come ragazzine. La festa però si era interrotta presto, perchè ad Antonio erano venute in mente come in una rivelazione tutte le difficoltà che avrebbe incontrato da quel momento in poi.

Un po' stordito, si era bloccato di punto in bianco mentre Francis ancora saltellava con foga.

Ma...ma come faccio a restare qui?” gli aveva detto quasi gridando, “insomma, dovrei avere la tue età, e invece guardami...”

Secondo me ci provi una soddisfazione enorme a rinfacciarmi che sei rimasto un ragazzino, tu” soffiò il francese, guardandolo improvvisamente di sottecchi. “Comunque, è tutto apposto, lascia fare a me e non ti preoccupare”

Ma i documenti! I miei documenti parlano chiaro, dicono che sono nato in un certo anno e che dovrei avere tutta un'altra età, come farò a...a vivere così?”

Adesso urlava per davvero, in preda al panico che gli artigliava lo stomaco.

No, era così stanco di imprevisti su imprevisti...anche Lovino era tornato subito al suo fianco e gli aveva messo una mano sulla spalla, gli occhi grandi per lo sconcerto. Francis invece era rimasto tranquillo, apparentemente interessatissimo alle unghie della propria mano.

Antonio, hai idea di che lavoro faccia Arthùr?” disse con noncuranza.

Quando lo spagnolo scosse la testa facendo segno di no, il suo sorriso si allargò diventando simile al ghigno sornione che sfoggiava per abbordare le ragazze al pub ai tempi d'oro.

Il mio bruchetto lavora per il governo...è un ambasciatore internazionale” cantilenò Francis, lasciando volutamente la frase in sospeso.

E potrebbe fare qualcosa per aiutarmi?!”

Antonio era scettico più che mai.

Oh, lui può fare di tutto, te lo garantisco”

Come faccio a farmi aiutare da Arthur, Francis? Non siamo mai stati amici, inoltre l'hai detto tu che poteva pure essere pericoloso fargli sapere di me considerando la sua, diciamo...“passione” per il paranormale!”

Allora Francis si portò le mani ai fianchi, piegando la testa di lato e fissando l'amico con una superiorità non tanto velata.

Senti Antonio, è vero che Arthy può fare di tutto, ma è anche vero che io ho dei metodi molto convincenti riservati appositamente ai bruchi...hai presente quella cicatrice che ti aveva procurato con quel morso? Be', non è niente in confronto ai segni che gli lascio io con certi succhiott...”

A quel punto Lovino, che era rimasto in silenzio fino ad allora, rizzò la schiena come un ballerino e ad Antonio sembrò quasi per un attimo che pure il suo ciuffetto si fosse teso per l'imbarazzo.

Basta, non ne posso più di questi discorsi da depravati, vado a fare il caffè!” sbottò, facendo dietro front per rientrare in casa.

Uno anche per me, grazie!” gli gridò dietro lo spagnolo.

Mica ti ho chiesto se lo volevi!”

Al termine della scenetta, nel modo più genuino, Francis scoppiò nella sua risata francese. La voce roca era segnata da un divertimento sempre più accentuato, e alla fine non ce la fece più e iniziò a tenersi la pancia e a lacrimare.

Dieu, Antoniò, certo che ci siamo scelti proprio due bei tipi, noi” riuscì a dire, col fiato corto.

Quella frase colpì particolarmente lo spagnolo.

In effetti, ora che ci pensava, Lovino e Arthur Kirkland erano in qualche modo simili. Entrambi non amavano le manifestazioni pubbliche di affetto e preferivano tenersi per loro i pensieri più intimi. Entrambi si erano scelti come compagni due che, invece, amavano tutto il contrario e non riuscivano a trattenersi dal baciare l'amato ogni dieci minuti.

Eppure la cosa ovvia che non aveva mai considerato era che anche Arthur aveva fatto parte della sua vita, e la sua storia era rimasta coinvolta in tutta la loro vicenda, sebbene per vie traverse. Proprio lui, poi, l'avrebbe aiutato ad ottenere il suo lieto fine, o almeno così gli stava promettendo Francis.

Ma infondo, Antonio di questo se n'era già reso conto da un po', qualcosa di buono per lui Arthur l'aveva fatto comunque, probabilmente senza saperlo: era rimasto accanto al francese quando rischiava di rimanere da solo.

Guarda che l'avevo capito che ti piaceva Kirkland”

A quel punto Antonio non riuscì ad evitare di dirlo.

Peccato che avesse su un'espressione buffissima, con gli occhi fissi su un angolino alla sua destra e le labbra distese a forza. Non sapeva proprio raccontare le bugie, lui.

Però non aveva dimenticato affatto quel discorso di Gilbert e Francis che aveva origliato quando era tornato indietro nel 1994. Allora aveva ascoltato il francese preoccuparsi della sua opinione in merito alla storia con Arthur, e si era sentito così dispiaciuto e colpevole...ora più che mai voleva tentare di sistemare le cose anche se erano passati tanti anni.

Insomma, quando vivevamo insieme l'avevo capito che stavi iniziando a innamorarti, anche se non me l'hai mai detto. Comunque io ho sempre rispettato le tue decisioni, e sono sicuro che Arthur ha qualcosa di buono...infondo, se è l'uomo che hai scelto tu, ne vale certamente la pena” disse, con convinzione.

In effetti, Francis non si era mai innamorato a casaccio. Di fiamme passeggere ne aveva avute molte, ma aveva sempre riconosciuto che si trattava di storie da nulla. Le uniche persone che si vantava apertamente di amare erano sempre e solo state Antonio e Gilbert.

Per questo, se diceva di amare Kirkland non poteva che essere vero.

In quel momento un sorriso tenero si disegnò sulle labbra del francese, e gli occhi gli si inumidirono di una luce particolare.

Ti ringrazio mon cher, anche se non ci credo più di tanto al fatto che tu avessi intuito tutto, sappilo” e gli strizzò l'occhio. “Comunque, non sono io che ho scelto lui...è lui che ha scelto me, quando Gilbert era morto, tu eri scomparso e io mi sentivo così solo che non ce la facevo più a pensare all'amore. L'unico che ha trovato la voglia di farmi cambiare idea è stato Arthur, che prima di allora non ci aveva mai pensato due volte a darmi un due di picche. Forse a quei tempi devo avergli fatto particolarmente pena...dev'essere per questo che ha ceduto al mio fascino”

Non andava bene.

Che cos'era quella confidenza che Francis gli aveva fatto mantenendo un tono giocoso?

Di certo non aveva l'aria di essere una sciocchezza. Forse era un pensiero che era rimasto segretamente nel suo cuore per tanti anni...un timore oscuro che non aveva mai saputo spiegarsi nemmeno lui. Sì, Antonio poteva dirlo dalla noncuranza con cui Francis aveva parlato; faceva sempre così quando voleva minimizzare le cose.

La dissimulazione poteva anche essere il suo forte, ma lo spagnolo, allo stesso modo in cui non era bravo a mentire, era troppo limpido per non percepire le menzogne dell'amico.

E quindi...

Lo sai, credo che tu e Arthur sareste finiti insieme anche se Gil non fosse morto e io non fossi sparito”

Glielo disse con il cuore, come sapeva fare lui: in modo onesto e naturale.

Anzi, la schiena rigida di un Arthur tutto impettito per l'imbarazzo, che aspettava di venire accolto da Francis il giorno del loro ultimo pranzo di post-Natale, era l'immagine scolpita nella sua mente che aveva parlato al posto di Antonio.

Fidati, di incontri predestinati ne so qualcosa”

Lo spagnolo non avrebbe mai dimenticato l'espressione che allora trasformò il volto di Francis: c'era un qualcosa di unico, una tenerezza speciale tutta diretta nei suoi confronti, quasi avesse voluto ringraziarlo per averlo rassicurato sulla veridicità della sua storia d'amore.

Non erano servite altre parole; avevano sempre avuto un'amicizia particolare che si basava sulla loro intesa esclusiva. E allora, la mano che Francis gli appoggiò sulla spalla, Antonio la interpretò come un “siamo sulla stessa barca...è stato un miracolo comune”.

Si trattava davvero di un qualcosa che aveva investito molte persone: lui e Lovino, Francis e Arthur, Feliciano e Ludwig. Da tanta sofferenza era sul serio sbocciato altrettanto amore.

Antonio si sarebbe per sempre portato dentro di lui i terribili ricordi di quel 28 Dicembre 1995, era inevitabile. Però, adesso si trattava di andare avanti proprio perchè tra quella cenere e quel fumo erano fiorite strade nuove.

“Ma mi stai a sentire?!” lo interruppe bruscamente la voce seccata di Lovino, riportandolo alla realtà.

Lui se ne stava appoggiato con i gomiti sul tavolo, carico di piatti che aspettavano solo di essere trasportati in salone. L'altro ragazzo gli dava le spalle, muovendosi con fare nervoso mentre continuava a fare letteralmente a pezzi l'insalata.

“Non è che io non ce la faccia ad...ammettere serenamente di amarti” biascicò, facendogli il verso nelle ultime parole. “E' solo che per me è ancora tutto molto strano...non lo so, ho quasi la sensazione che questo sia un sogno e che dovrò svegliarmi da un momento all'altro”

Antonio lo guardò con dolcezza, senza però dire nulla. Decise che gli avrebbe fatto vedere senza usare le parole che quello che c'era tra loro era reale e che non sarebbe svanito in una bolla di sapone, dato che lo volevano tutti e due.

Si portò quindi al fianco di Lovino, e quando quello si voltò andando dritto a testa bassa verso il tavolo, lui fece lo stesso.

Le mani esperte di Lovino afferravano le pietanze e Antonio replicava i suoi gesti prendendo più piatti insieme. I passi che il più giovane faceva verso la sala erano identici che quelli che lo spagnolo ricalcava.

Così, piano e in silenzio, lo seguiva come un ombra, imitando tutte le sue mosse, perfino quando si scostava i capelli dalla fronte.

Alla fine Lovino si bloccò senza preavviso, facendo andare a sbattere il naso di Antonio contro la sua testa.

“Mi prendi in giro?” sbottò, voltandosi per fronteggiarlo. “Che fai, mi segui?”

Lo spagnolo gli prese il viso tra le mani, provocando nell'altro un immediato arrossamento delle guance.

“Tu non lo sai, ma è proprio così che ho iniziato a innamorami di te”

Sì, il ragazzo alla fermata dell'autobus che aveva subito attratto la sua attenzione...lo sconosciuto che l'aveva incuriosito con una strana forza, e Antonio, catturato come un pesce all'amo, che aveva iniziato a seguirlo da lontano, senza una ragione precisa...quella volta aveva pensato che fosse stata una cosa ridicola e stupida da fare. Adesso sapeva che il suo cuore voleva spingerlo nella direzione giusta già da allora.

Che cos'era stata poi la loro storia se non un rincorrersi e vicenda, un ripetersi di incontri che si susseguivano nel tempo, ancora e ancora? Un cercarsi di continuo per poi ritrovarsi sempre, miracolosamente.

Fino a che non sarebbero riusciti a camminare fianco a fianco, perfettamente sincronizzati l'uno con l'altro, senza più doversi inseguire, spaventati dal non riuscire a raggiungersi.

“E se anche quella volta non fossimo andati lì...” disse Antonio ad alta voce.

Se anche quella volta lui e Gilbert non fossero andati al centro commerciale, se anche nessun incendio fosse mai scoppiato, se nessun pompiere fosse mai arrivato, se nessuna catenina fosse mai esistita...se non fosse scattata la molla che aveva piegato il destino, il tempo e lo spazio a una volta sola...

“Sono sicuro che avremmo trovato un altro modo per incontrarci”

Perché era troppo giusto, troppo bello, troppo vero, troppo per non essere così.

Lovino chiuse gli occhi, forse per nascondere anche a se stesso il sorriso più carico d'amore che Antonio gli avesse mai visto fare.

“Se poi non ci fossimo conosciuti come abbiamo fatto” convenne, con la voce che tremava d'emozione tanto da riuscire a squagliare completamente Antonio, “ci saremmo rivisti da qualche altra parte...credo”

Che tutto fosse successo a causa loro era quello che piaceva pensare ai due ragazzi: perchè non potevano che essere stati loro due, se lo sentivano, a far smuovere il mondo; perchè gli innamorati hanno il potere di fare accadere le cose belle, anche le più impossibili.

Ed era lo stesso motivo per cui, al polso di Antonio, stava saldamente allacciato il bell'orologio con il cinturino nero di Lovino.

“Così non arriverai mai più in ritardo”, gli aveva detto lui, “e saremo in tempo l'uno per l'altro”

Nello stesso tempo, allo stesso tempo.

Sempre.

 

 

 

 

 

 

1995

 

 

Era accaduto veramente.

Per quanto Antonio desiderasse che tutto fosse stato un incubo.

Per quanto avesse preferito esserci lui, al posto di Gilbert.

Per quanto avesse voluto che quel vigile del fuoco non li avesse mai trovati.

Era tutto più vero che mai, lì nel letto scomodo dell'ospedale, con quella croce che pesava come un macigno sul suo collo e gli faceva tenere la testa bassa.

Ma forse era il senso di colpa che non gli permetteva di alzare gli occhi più in su delle coperte e che gli rendeva difficile persino respirare.

Sentiva che non si sarebbe liberato di quell'oppressione in tutta la sua vita, se mai avrebbe potuto chiamare vita il futuro appassire della sua esistenza.

Che cosa gli rimaneva di importante, quando nemmeno i parenti di Gilbert che era suo amico, avevano voluto vederlo?

Come biasimarli...Antonio stesso non riusciva più nemmeno a piangere.

Sarebbe stato meglio se l'avesse fatto, come Francis gli diceva incessantemente da quando si era risvegliato. Però non lo faceva, le lacrime non volevano saperne di scendere, forse le aveva prosciugate tutte in mezzo all'incendio. E del resto, non aveva senso piangere per sfogarsi. Non quando i tedeschi se ne stavano fuori dalla porta, e Francis li supplicava nei suoi bisbigli addolorati di entrare nella stanza di Antonio.

Ma alla fine, lo spagnolo non seppe dire dopo quanti interminabili minuti, anche il francese si arrese all'evidenza dei fatti.

Se volete almeno vedere la famiglia di quell'uomo, il pompiere” lo sentì dire Antonio, e allora qualcosa si accese dentro di lui e la sua testa scattò di qualche centimetro sopra il lenzuolo, “li potete trovare nelle stanze in fondo al corridoio. Sono venuti a fare visita ai colleghi del vigile del fuoco rimasti feriti nell'incidente”

La famiglia del pompiere.

Era possibile che in mezzo a loro ci fosse anche il nipote.

Il nipote. Le scuse. Il messaggio. La collana.

Antonio doveva alzarsi. Non l'aveva ancora fatto da quando si era risvegliato, ma andava fatto ora, immediatamente, prima che la stanchezza e il dolore l'avessero annientato del tutto.

L'occasione era propizia: le voci fuori dalla porta erano cessate, segno che tutti se ne erano andati, compreso Francis, che doveva credere Antonio addormentato. In realtà lui non dormiva...forse non sarebbe più riuscito a dormire sul serio, non dopo tutto quello che era successo.

Accanto al letto c'erano un paio di stampelle; lo spagnolo le inforcò e si stabilizzò sulle proprie gambe, come in uno strano sogno.

Non sentiva dolore; forse erano gli anti dolorifici, o magari era lui che non avrebbe mai più provato altro se non quel sordo senso di nausea e vuoto alla bocca dello stomaco. Fu in questo stato che trovò la strada da imboccare, senza che nessuno lo fermasse, magari scambiandolo per un morto che camminava.

Era come se qualcuno lo stesse spingendo in avanti...un vento che trainava una barca senza vela. Antonio non sapeva nemmeno più se aveva gli occhi aperti o chiusi. Solo, si rendeva conto di essere in qualche modo arrivato davanti a una porticina incastrata in un vano del lungo corridoio.

La schiuse appena.

E lo vide.

Singhiozzava prostrato sul pavimento, rannicchiato come un piccolo animale, il viso nascosto nella prigione delle sue braccia. Tutto il corpicino era scosso dai singulti e la voce era giovanissima e carica di disperazione. Improvvisamente, alzò la testa: aveva gli occhi zuppi, zuppi, zuppi di pianto.

Un po' somigliava a quell'uomo.

Era il nipote, era Lovino, Antonio ne era sicuro.

Le scuse, il messaggio, la collana” mormorava, entrando nella saletta d'aspetto. “Le scuse, il messaggio, la collana” ripeteva, inghiottito nella penombra.

Quelle parole pesavano; proprio per questo le diceva tra sé, per rendersi conto che erano vere, importanti e piene di significato...perchè non voleva ammetterlo, ma iniziava a sentirsi mancare; non si trattava solo sei suoi sensi, no. Antonio iniziava a sentire mancare se stesso, e intanto scivolava.

Solo quando arrivò a qualche centimetro appena dal bambino disperato, questo si accorse di lui.

Lo guardò allora, sconvolto. Scosse la piccola testa castana alla sua volta, inspirando con difficoltà.

Lui non sapeva cosa fare. Era a quel bambino che aveva rovinato la vita.

Di punto in bianco, davanti alla sua figurina, le scuse che voleva porgergli persero ogni significato.

Perché?” disse solo Lovino, appoggiando piano la guancia sul pavimento.

Perché era successo? Antonio non lo sapeva.

Perché ora si trovava lì...?

Sono...qui...per...” e lentamente, le gambe cedevano, “farti...smettere...” fino a che non si ritrovò in ginocchio “di...piangere” e dalle ginocchia non passò anche lui al legno duro.

Il viso di Antonio era vicinissimo a quello del piccolo sconosciuto. Che cosa era venuto a fare? Quasi nemmeno se lo ricordava più...già, pensare era sempre più difficile, e a mano a mano che i secondi passavano la sua volontà si faceva più flebile.

Alla fine i ricordi si appannarono; nel buio, Antonio riuscì a distinguere gli occhi del piccolo, che luccicavano come lumini verdi.

Era un colore inusuale, quello. Forse era ancora più forte l'effetto di quello sguardo proprio perchè era diretto verso di lui in un miscuglio di sentimenti indefinibili.

Mi odi?” soffiò piano il ragazzo alla volta del bambino triste e arrabbiato col mondo. Lui non disse nulla, sebbene le sue piccole labbra fossero dischiuse. Al posto suo parlò la ruga di dolore che gli si era andata a formare tra le sopracciglia.

No, non gli donava affatto. Era una creatura troppo piccola perchè provasse tante brutte cose. E come se avesse potuto cancellare tutto semplicemente cambiando l'espressione del suo visetto, Antonio portò d'istinto l'indice contro la pelle dell'altro.

Piano, la distese sul ponte del suo nasino rotondo, e a quella carezza il bambino chiuse finalmente gli occhi tristi.

Hai le lentiggini sul naso” fu l'ultimo mormorio insensato di Antonio.

Poi, a poco a poco le macchie di colore si fusero in un unica nuvola oscura, e alla fine non riuscì più a distinguere altro.

Così, lo spagnolo seguì Lovino nel mondo dei sogni, non sapendo che al suo risveglio avrebbe dimenticato ogni cosa.

Da quel momento sarebbe iniziato il loro lungo viaggio: avrebbero percorso due strade diverse, incerti sui loro passi si sarebbero mossi su due rette parallele, inconsapevoli della loro vicinanza.

A un certo punto però quelle strade avrebbero deviato il loro percorso.

Ogni geometria sarebbe stata infranta, e le rette parallele si sarebbero incontrate da qualche parte a metà dei loro percorsi.

Allora Antonio e Lovino avrebbero iniziato a cercarsi, a seguirsi, a chiamarsi, dormendo l'uno accanto all'altro nella notte, aspettando il ritorno della persona più importante, aspettando che arrivasse la pioggia.

Nell'attesa di un messaggio d'amore, solo per poter ripetere le stesse azioni, ancora, ancora e ancora.

 

 

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed è finita!!! Non ci credooo...xD Volevo cercare di mettere insieme una nota finale sensata, ma sono così emozionata che non so cosa ne verrà fuori >w<

Innanzitutto, con quest'ultimo capitolo spero di avervi lasciato un sorriso, dopo che l'altra volta ho causato una strage e vi ho fatto piangere xD certo, non sono mica contenta di aver intristito i miei fantastici lettori...però ammetto di essere soddisfatta se sono riuscita a farvi arrivare tutto ciò che volevo esprimere.

Ci ho pensato un bel po', e ho optato per un lieto fine, dopo essermi resa conto di averne fatte passare troppe a quei poverini dei personaggi...a momenti c'erano più morti che vivi xD

La canzone che mi ha permesso di scrivere la scena finale fa parte della OST di Secret Garden, vi lascio il link (click).

Allora...accidenti >w< scrivere questa storia è stata un'esperienza molto istruttiva per me. Ho imparato tantissimo sulla gestione delle storie a capitoli, e tutto questo lo devo a voi, che mi avete seguito e incoraggiato e avete dato una possibilità a me e alla mia fiction. Quindi, un nuovo e gigantesco grazie alle 15 persone che hanno messo la storia tra le seguite, alle 3 che l'hanno messa tra le ricordate, alle 13 che l'hanno messa tra le preferite; ma soprattutto, un grazie gigante a tutti quelli che hanno usato un po' del loro tempo per lasciare una recensione (Tifawow vince il premio fedeltà perchè mi ha commentato tutti, ma dico tutti, i capitoli<3).

 

Vi faccio un ultimo saluto e spero magari di ritrovarvi a seguire i miei prossimi lavori <3

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