You don't even know.

di Annavi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - introducing me. ***
Capitolo 2: *** - what a lovely day. ***
Capitolo 3: *** - live like there's no tomorrow. ***
Capitolo 4: *** - thanks for the tea, grandma. ***
Capitolo 5: *** - you should be grateful, darling. ***
Capitolo 6: *** - well, it isn't true. ***
Capitolo 7: *** - they have stolen my desk. ***
Capitolo 8: *** - so you're not that irrelevant, are you? ***
Capitolo 9: *** - he knows the ending, but he can't do anything about it. ***
Capitolo 10: *** - let's spit the hot fire of truth. ***
Capitolo 11: *** - au claire de la lune. ***
Capitolo 12: *** - by the way, i do think of you. ***
Capitolo 13: *** - i didn't mean to say it THAT way, but.. ***



Capitolo 1
*** - introducing me. ***


You don't even know.


Il 44% della popolazione americana arriverà all'età dei ventidue anni senza avere alcuna idea di che lavoro fare dopo gli studi.
Un buon 16% degli americani, invece, seguirà la vocazione che aveva manifestato da bambino.
Molte persone prenderanno in mano l'impresa dei genitori, la catena di ristoranti dei parenti, il negozio di famiglia, o comunque seguiranno le orme dei loro antenati; e queste faranno parte del 28% della popolazione.
Il 12% restante non avrà mai un futuro.
Nessuno di questa categoria realizzerà i suoi sogni, né tanto meno avrà la possibilità di pensare a 'cosa farà da grande', né racconterà ai nipoti di quando era giovane e del momento in cui ha incontrato la sua anima gemella.
Perche' il 12% della popolazione americana ha un destino già scritto che non potrà cambiare per nulla al mondo.
Il 12% della popolazione americana sarà insignificante su questo pianeta, perche' non ci rimarrà abbastanza per dare ad esso un contributo.
Il 12% della popolazione americana si é arreso all'idea di morire.
E io faccio parte di questo 12%.
Mi chiamo Jane Kirstel, ho diciassette anni e soffro di leucemia.
La maggior parte di voi si sarà sentito dire almeno una volta nella vita:
«Ci sono cose peggiori di questo.» o «Devi renderti conto di quanto tu sia fortunato ad avere questo genere di problemi e ringraziare di non averne altri ben più gravi.»
Beh, io ho quelle cose peggiori e quel genere di problemi ben più gravi; non andró mai al college, non sposeró mai l'uomo della mia vita e non vivró abbastanza per vedere mio figlio sposarsi.
Anzi, non avró nemmeno il tempo di partorire un bambino.
No, perché la mia vita potrebbe finire oggi, come domani.
E' tutto appeso ad un filo per me e la mia unica certezza é che moriró.
Non ho paura di morire così presto, no. Io ho paura di non vivere abbastanza.
Abbastanza per fare un viaggio in Europa, abbastanza per incontrare un ragazzo che mi faccia innamorare e poi soffrire, abbastanza per litigare con mia madre sul permesso per uscire ad una festa.
Abbastanza per provare quelle gioie e quei dolori che tutti i miei coetanei avranno la possibilità di provare.
E la cosa che mi fa più rabbia é che io mi fermo qui non per mia volontà.
Niente di tutto questo dipende da me, qualcuno ha già deciso in mio nome.
Quel conto alla rovescia che ti fa impazzire, quelle domande che assillano la tua mente, quella continua presenza di una vocina che ti dice:
«Non importa, perche' tu sei destinata a spegnerti»: tutto senza senso, nulla per colpa mia.
E poi il quesito esistenziale, la domanda a cui nessuno dei medici ha mai saputo dare risposta.
Perché io?
Mi chiamo Jane Kirstel e due settimane fa mi sono stati diagnosticati ancora nove mesi di vita, dopodiché il mio corpo non reggerà più e, con la stessa velocità con cui sono venuta, sparirò per sempre da questo mondo, senza lasciare nemmeno una leggera impronta di quello che sono, di quello che sarei stata.
Mi chiamo Jane Kirstel e no, non sono pronta per andarmene da qua.


*

 

Buongiorno a tutte. C:
So di avere ancora una storia incompiuta, ma promette che la finirò, anche perchè non mi manca molto.
Se volete passarci, è questa: Yours, forever.
Di quella che vedete qui sopra, invece, ho già scritto qualche capitolo e non ho potuto fare a meno di postarla.
Diciamo che è un po' un'introduzione e scusatemi se è una schifezza. ç_ç
Volevo dedicarla a 
Vero Jonas Lover e a NovaleeJ, che mi hanno sempre seguita, fin dall'inizio e che adoro con tutto il mio cuoricino. <3
Un ringraziamento speciale anche a 
Emy McGray a cui devo molto e che mi ispira ogni giorno con le sue magnifiche FF.
Un bacio,
A.

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Capitolo 2
*** - what a lovely day. ***


You don't even know.


«Mamma, vado a portare fuori Snasante!» urlai uscendo dalla cucina, afferrando il guinzaglio del cane e aggacciandolo poi al diretto interessato,
che ronfava bellamente nella sua cuccia.
Non ricevetti nessuna risposta, così intuì che probabilmente mia madre si trovava in bagno e scrissi di fretta un biglietto che lasciai attaccato al muro,
in modo da non farla preoccupare.
Era sempre più protettiva in quell'ultimo periodo e si spaventava per niente: non volevo esserle sempre un peso.
«Muoviti Snasante, o mi costringerai a usare le cattive maniere.» minacciai il danese marroncino che a quelle parole aprì un occhio e mi rivolse uno sguardo sconcertato.
«Oh sì che oserei.» risposi subito, intuendo i suoi pensieri.
Finalmente lui si mise sulle zampe e trotterellò allegro accanto a me fino in strada, quando fummo travolti da una marea di gente di fretta e un mucchio di inquinamento.
Tentai di trattenere il fiato per tutta la strada, inspirando per necessità ogni tanto solo col naso e appena arrivati al parco, mi sentii come una che è appena uscita da un camino.
Perfetto, manca solo che mi venga il cancro ai polmoni pensai.
Mi guardai attorno ed addocchiai una panchina in disparte, vicino ad un bello spazio verde in cui avrei potuto lasciare Snasante.
«Che ne dici, ti va bene andare lì?» chiesi, chinandomi leggermente fino a sfiorare l'orecchio del cane con la bocca.
In tutta risposta lui mi trascinò, quasi staccandomi un braccio, verso il punto da me appena indicato.
«Okay, okay. Ti slego, stai calmo!» gli tolsi il guinzaglio e mi sedetti sulla panchina, osservandolo annusare ogni minima parte del prato.
Appoggiai poi la schiena e lasciai roteare la testa all'indietro, fino a farmi venire quasi il sangue al cervello.
Da quella posizione, però notai qualcosa di strano: un puntino color scaloppina che si dirigeva all'ennesima potenza verso Snasante.
Fu questione di secondi, feci appena a tempo a rimettermi correttamente seduta, che il mio danese aveva bloccato ogni suo singolo movimento e fissava il golden retriver che si era messo davanti a lui, a distanza di soli pochi metri.
Snasante non è un cane aggressivo mi tranquillizzai col pensiero;
Ma allora perchè si stanno fissando come se aspettassero che uno dei due attacchi per primo? continuai mentre il terrore prendeva il sopravvento. 
Provai a mantenere la calma, cercando con lo sguardo il padrone o la padrona di quella massa di pelo gialla.
Vidi un ragazzo giovane che mi correva incontro, sventolando le mani: non riuscivo a vedere il viso da quella distanza.
Solo allora mi resi conto che il mio Snasante e quel coso giallo stavano facendo a botte e nessuno dei due prometteva di uscirne bene.
Il ragazzo di prima arrivò respirando affannatto e, dopo molti tentativi vani, afferrò per il guinzaglio quello che doveva essere il suo cane e mi fece cenno di imitarlo.
Una volta in cui la situazione fu sottocontrollo, lui cominciò ad urlarmi contro furioso.
«Si può sapere che ti è preso?! Potevano ammazzarsi, perchè non hai afferrato il tuo enorme orso quando eri ancora in tempo?»
Strinsi più forte il guinzaglio di Snasante, innervosendomi subito.
«Scusami tanto se solitamente il mio cane non è aggressivo e poi tu potevi fermare il tuo, invece che lasciare libero un pericolo pubblico come quell'ammasso di peli gialli!» commentai più che stizzita, per poi chinarmi a controllare che il mio Snasante fosse indenne e sano.
Lui si legò il guinzaglio del coso giallo al polso destro e mi sbottò quasi in faccia: «Primo, non è un ammasso di peli gialli. Secondo, il tuo cane ha iniziato per primo!»
«Come fai a saperlo? Eri troppo lontano per vederlo! E poi Snasante non ha mai avuto problemi con nessuno, quindi è evidente che è tuo il cane feroce, non mio.» gli risposi ancora più nervosa, mentre una grossa voglia di spaccargli quel visino d'angelo mi cresceva dentro.
E lui scoppiò a ridere.
Non sto scherzando, scoppiò davvero a ridere e si passò anche una mano fra i riccioli scuri.
«E ora che c'è di tanto divertente?» chiesi io impermalita.
Lui non si fermò e mi rispose divertito: «Snasante? Dimmi che è uno scherzo, ti prego.» e ricominciò a ridere più di prima.
«No, non è uno scherzo e ti consiglio di girare al largo con il tuo ammasso di peli gialli, se vuoi..» iniziai a minacciarlo offesa, ma lui mi bloccò subito.
«Elvis.» sentenziò dopo aver finalmente smesso di trovare tutta quella ilarità nella situazione.
«Cosa?» chiesi pensando che mi stesse prendendo in giro, ma non riuscendo a capire lo scherzo.
«L'ammasso di peli gialli, come l'hai chiamato tu, si chiama Elvis.» mi corresse impettito.
Buttai gli occhi al cielo e appoggiai il peso sulla gamba sinistra: «Oh bene, principino. Ti consiglio di girare al largo con Elvis, se vuoi rimanere intatto e con tutti i tuoi bei riccioli sulla testolina.» 
Girai sui tacchi, lasciandogli un ultimo sguardo ostile che fu pienamente ricambiato da lui, che sembrò non essere molto contento della battuta sofferente e si avviò uguale, ma sulla strada opposta.
«Addio enorme orso!» urlò al mio cane con finto tono drammatico.
«Addio coso giallo!» risposi incollerita.
Fantastico pensai Davvero un bel modo per iniziare le ultime giornate della mia vita.


*

Buongiorno a tutte! C:
Come dicevo, i prossimi capitoli sono già pronti e siccome ho già ricevuto sei recensioni, ho deciso di aggiornare. v.v
Volevo ringraziarvi tutte, perchè siete davvero fantastiche. *--*
Chiedo perdono se questo capitolo fa schifo, muahahahahah. è.é
Vero, Lee, Emy,  .
A.

 

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Capitolo 3
*** - live like there's no tomorrow. ***


You don't even know.


La cosa più brutta del sapere che morirai è che non ti vuoi mai affezionare troppo a nessuno, perchè sai che tanto sarà inutile.
Non è stato un grande problema tagliare i contatti, perchè prima che mia madre mi ritirasse dalla scuola non ho mai avuto molti amici.
Non sono speciale, non sono particolarmente bella o particolarmente simpatica e nemmeno particolarmente dotata in qualche attività.
Ogni tanto penso che se il mondo deve perdere qualcuno, allora è giusto che sia io, perchè non sono importante e nessuno sentirà troppo la mia mancanza.
Beh, mia madre sì, ma lei non conta.
Mio padre, invece, è morto due anni dopo la mia nascita per la mia stessa malattia; dicono che ci assomigliavamo molto.
Il giorno in cui scoprii di essere un caso incurabile, dissi a mia madre:

«Pensa mamma, non sono nemmeno originale.» e lei scoppiò a piangere, continuando a ripetermi che ero la cosa più importante della sua vita, che tutto sarebbe andato bene e che io ero la ragazza migliore di tutto il pianeta.
Gli unici ad essere a conoscenza del fatto che io sto per raggiungere lo stop, siamo io, mia madre, il preside della mia vecchia scuola, mia nonna e Snasante.
Scusate, ho dimenticato di dire che anche mia nonna soffrirà; Snasante no, non penso che l'abbia nemmeno capito completamente.
Vedo un sacco di persone che si rivolgono almeno miliardi di volte la domanda:
«Che cosa farei, se la mia vita dovesse finire domani?» e si danno centinaia di risposte, una più stupida dell'altra.
Anch'io mi sono posta questa domanda, ben più volte di tutti gli altri.
E la risposta, se proprio volete saperlo, è: «Niente.»
Un accidenti di niente.
Perchè non ti importa più di nulla, perchè ti senti inutile tu e tutto quello che fai.

 
*

«Buon giorno ghiro, svegliati: è arrivata la primavera!» esclamò felice mia madre, tirando via il lenzuolo e scoprendomi fino ai piedi.
«Ma sei pazza?» borbottai rivolgendo la faccia verso il cuscino. «E' Ottobre inoltrato.»
«Ma come, non li senti gli uccellini cantare fuori dalla finestra?» chiese lei, mantenendosi sul profilo teatrale.
«Facciamo che li vado a salutare fra cinque minuti.» commentai sarcastica, mentre la sentivo che apriva le tende e faceva passare un po' d'aria dalla finestra.
«No, signorina, tu ti alzi ora. Abbiamo un mucchio di cose da fare!» affermò con tono deciso, abbandonando definitivamente la sua carriera d'attrice.
«Ad esempio?» socchiusi le palpebre e buttai fuori dal letto i piedi, posandoli sul pavimento gelato e trattenendo un brivido.
«Per esempio, tu devi andare a comprare le decorazioni per Halloween!» mi informò allegra, quasi saltellando dalla gioia.
Halloween, è vero. pensai ancora intorpidita dal sonno. 
«Okay, dammi il tempo di fare una doccia e poi vado.» risposi arrendendomi ai voleri del mio capo superiore.
Lei mi battè una pacca sulla spalle e mormorò col sorriso sulle labbra:
«Brava ragazza.»

*


«Buongiorno, Jane.» mi salutò un signore sulla cinquantina d'anni e una corporatura piuttosto massiccia, alzando appena gli occhi dal giornale che teneva in mano.
Entrai nel negozio infreddolita, guardandomi intorno in cerca di qualche addobbo spaventoso, tipo zucche con intagliato un ghigno o cose del genere.
«Buongiorno, signor Sunders.» ricambiai cordiale, strofinando le mani per produrmi calore.
Afferrai all'entrata un cestino dove mettere gli acquisti e mi diressi subito verso il centro del supermercato.
Cominciai a percorrere i corridoi, superando il bancone del pesce, dove dovetti tapparmi il naso, il reparto dei biscotti, dove invece fui costretta a coprirmi gli occhi per resistere alle tentazioni, e l'area dei detersivi, di cui sinceramente non mi interessava per nulla.
Bingo. pensai avvicinandomi ad uno scaffale pieno di decorazioni, cappeli da strega e finte dentiere da dracula.
Passai la mano su diversi oggetti, indecisa, fino a buttare nel cestello qualche addobbo da appendere con raffigurati dei fantasmini, dei piatti a forma di teschio, una buona manciata di ragni finti e qualche muffin con disegnate sopra delle tombe di zucchero per concludere bene la serata.
Feci appena a tempo ad infilare questi ultimi nel contenitore appeso al braccio, che mi sentii le gambe cedere e la vista annebbiata.
Cercai di aggrapparmi al ripiano, ma ottenni solo la caduta di qualche pipistrello di plastica.
Poi delle braccia mi afferrarono.
E poi buio.
 
*

«Senta, ho detto che non lo so! Stavo facendo la spesa, ho visto una ragazza svenire e l'ho presa in tempo prima che si facesse del male.»
Una voce familiare raggiunse il mio cervello, ma non riuscii a collegarla a nessuno dei miei conoscenti.
«Non ha notato comportamenti strani, prima che la ragazza perdesse i sensi?»
Ed una voce autoritaria, ma completamente nuova alle mie orecchie, si fece spazio nella mia testa.
«Ma per chi si è preso, Sherlock Holmes? Qui c'è poco da dire, la ragazza si è sentita male, è svenuta e ora noi dobbiamo portarla all'ospedale.»
Socchiusi gli occhi, avvertendo il calore di una giacca attorno alle mie spalle e realizzai di trovarmi nello stesso luogo in cui avevo prima perso i sensi, solo seduta, su un pavimento ghiacciato.
«Oh fantastico, almeno le sue urla sono servite a qualcosa, signore. La ragazza si è svegliata.» focalizzai la scena e mi trovai davanti ad un uomo vestito di rosso, con una targhetta d'argento attaccato al petto e una camicia su cui si notava bene la scritta Capo Reparto.
Affianco a questo, un ragazzo abbastanza alto, con una chioma scura cosparsa di riccioli.
«Tu!» esclamai appena ebbi il tempo di realizzare chi fosse quel ragazzo.
«Io!» ripetè lui sarcastico, portandosi le mani alla testa e alzando gli occhi al cielo.
«Signorina, come si sente? Il ragazzo qua dice che è svenuta mentre comprava degli articoli, è vero?» mi chiese il Capo Reparto, aiutandomi ad alzarmi e lanciando un'occhiata dubbiosa al riccio.
«Certo che è vero!» si intromise lui sdegnato.
«Se non le dispiace, io avrei fatto una domanda alla signorina» sottolineò l'uomo, senza guardarlo nemmeno.
Pensai che se avessi risposto di no, il padrone dell'ammasso giallo avrebbe passato un bel po' di guai e questa sarebbe stata una vendetta perfetta, ma poi mi ricordai che lui mi aveva comunque salvata da una bella botta sulla testa e cambiai idea.
«Sì, è andata così.»
Il riccio assunse una faccia del genere Visto?!? e l'uomo vestito di rosso, con la targhetta sul petto si allontanò, salutandomi prima e accertandosi che io fossi in grado di tornare a casa.
Dannata leucemia pensai arrabbiata, Se non fosse per te ora io sarei già in camera mia, invece che qui con questo stupido.
«Allora?» mi chiese il ragazzo, battendo il piede sul pavimento.
«Allora cosa?» domandai a mia volta, mentre raccoglievo il mio cestino da terra.
«Ho salvato il tuo cane dall'essere sbranato dal mio e te da una caduta particolarmente dolorosa.» spiegò lui, aiutandomi a raccogliere qualche muffin spappolato.
«Il tuo cane non stava proprio sbranando nessuno.» commentai borbottando.
«Questo non toglie che ti ho evitato di cadere e prendere una botta in testa. Magari avresti avuto un trauma cerebrale e ti avrebbero diagnosticato ancora pochi mesi di vita. Insomma, mi devi almeno un grazie. Per merito mio potrai continuare a vivere in pace!» spiegò lui fingendosi serio.
Bella battuta pensai, Proprio adatta a me.
«Grazie mille, mio eroe. Fidati che non sono questi i motivi per cui le persone muoiono; ma apprezzo ugualmente lo sforzo.» mi rialzai da terra e lui insieme a me.
Lui mi squadrò un secondo da capo a piedi.«Sei sempre così acida?»
«E tu sei sempre così scorbutico?» commentai ironica, dirigendomi verso la cassa, accompagnata da lui che doveva comprare solo due birre.
«Non sono scorbutico!» Ignorai le sue proteste e mi resi conto di avere ancora quella giacca sulle spalle. «A proposito, questa è tua?» Indicai l'indumento.
Il riccio annuì e dopo mi tese la mano: «Tanto vale che mi presenti. Mi chiamo Nicholas.»
Strinsi saldamente per un breve momento le sue dita, per poi passare gli acquisti alla cassiera e rispondere: «Jane.»
«Okay, Jane. Fa in modo di non svenire più nei miei paraggi e evita di far litigare il tuo enorme orso con il mio Elvis.» ridacchiò lui, mentre io infilavo il tutto nelle buste di plastica e lui pagava le sue due bottiglie di Beck's.
«Ora devo scappare, ciao! Ah, carine le decorazioni.» corse via lanciandomi quest'ultima frecciatina e facendomi apparire come una bambina di nove anni che ancora si traveste ad Halloween.
Afferrai le due buste di plastica e mi accorsi che quel cretino si era dimenticato la giacca.
E ora come faccio? pensai mentre uscivo dal supermercato e lo cercavo con lo sguardo.
Sparito.
«Vi prego, ditemi che tutto questo è un incubo.» mormorai, accorgendomi poi della pioggia che cominciava a bagnarmi il viso.
Alzai le mani contro il cielo e urlai esasperata.
«Ma non ti sembra di avermi già fatta soffrire abbastanza?»
 
*

Taaaadan, ecco a voi il terzo capitolo. :3
Grazie a tutti quelli che continuano a recensirmi e mi scuso se come storia non è proprio un granchè. ç_ç
Voglio bene a tutte voi, compresi quelli che mi hanno inserita nei preferiti, nelle seguite, o nelle ricordate. v.v
I love you so much. 
Vero, Lee, Emy, .
A.

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Capitolo 4
*** - thanks for the tea, grandma. ***


You don't even know.


«Zucchero?» 
Feci cenno di no con la testa e presi fra le mani la tazza bollente di thè, con la speranza di riscaldarmi.
Mia nonna richiuse pazientemente la zuccheriera e si posizionó dall'altro lato del tavolo, di fronte a me, tenendo anche lei tra le dita ossute la sua bevanda fumante.
«
Dai, racconta a questa anziana signora qualche novità o finiró per morire sola e annoiata. » esordì lei, dopo aver bevuto un sorso del suo liquido.
Sorrisi guardandola: avevamo proprio un bel rapporto, io e lei.
«
Che vuoi che ti dica? Sto per morire. » risposi senza alzare gli occhi dal bicchiere.
«
Siamo in due!» affermó sarcastica, prima di sbuffare come una bambina capricciosa.
Osservai attentamente il fumo che fuoriusciva dalla mia tazza mentre si contorceva e rincorreva, ma poi passai due dita su di esso per porre fine a quei giochi.
«
Ma io moriró prima di te.» ribadii alzando finalmente lo sguardo.
«
Come se mi facesse sentire meglio l'idea che passeró ancora un anno su una sedia a rotelle con la dentiera e i reumatismi, prima di finire il tutto davanti alla vasca da bagno, nel tentativo di raggiungerla.» lanció gli occhi al cielo e posó le mani sulle ruote della sua 'macchinina', come la chiamavo io, per poi darsi una leggera spinta e allontanarsi dal tavolo.
La seguii con ancora il thé fra le mani e scoppiai a ridere.
Mia nonna era sempre stata così, non le era mai piaciuto girare intorno alle cose e tantomeno fare finta che queste non esistessero; tutto il contrario di mia madre.
«
Vuoi una mano ad annaffiare i fiori?» domandai mentre lei usciva in balcone.
«
Sì, bambina, mi faresti un gran favore.» si limitó a dire, passandomi un annaffiatoio verde, già pieno d'acqua.
Stetti attenta a dare le stesse quantità a tutti e a non saltare nessuno, mentre lei mi imitava più lenta a causa dell'età.
Ben 87 anni, lei.
Era ancora bellissima, a mio parere: i capelli marroni scuro, gli occhi grandi azzurri anche se ormai un po' incavati, le orecchie piccole ed eleganti, il naso leggermente ingobbito all'attacco e il viso dalla forma vagamente triangolare.
«
E il ragazzo?» mi chiese non curante, interrompendo il filo delle mie riflessioni.
Sospirai, riempendo di nuovo il recipiente di acqua: «
A che scopo?» 
«
Ma per innamorarsi, ovviamente!» ribatté convinta, e rivolgendomi uno sguardo fulminante.
«
Perché tutti gli esemplari di sesso maschile a questo mondo vogliono una fidanzata malata di leucemia, già.» mormorai sarcastica, sperando vivamente che lei non mi sentisse.
E fui baciata dalla fortuna, perchè non udì.
«
Dì un po'.» insistette «Hai già dato il tuo primo bacio?»
Subito arrossii e mi mandai al diavolo, vergognandomi un sacco della mia risposta. «
No.» sussurrai flebile, infilando la faccia in un girasole imbarazzata.
«
Oh santo cielo. Tu non puoi morire senza aver prima aver baciato il ragazzo che ti piace!» quasi strilló con tono esasperato.
«
Piccolo dettaglio: il ragazzo che mi piace non c'é.» la corressi senza nascondere un velo di ironia.
«
Sciocchezze. Accendimi la TV in salotto, per favore. Voglio vedere il telegiornale.» mi disse senza smettere di abbeverare le piante.
Io eseguii gli ordini, sollevata di aver cambiato argomento, e andai in soggiorno accendendo senza fatica la scatoletta con le lucine che mia nonna chiamava 'televisione'.
Subito si presentarono immagini sfocate e una musichetta irritante e confusa inondò la stanza, finchè man mano lo schermo si fece più chiaro, i colori meglio distinti e le figure delinearono i lineamenti di tre ragazzi mentre cantavano e suonavano.
«Che canale è il telegiornale?» urlai maneggiando con il telecomando, in attesa di una risposta che purtroppo non arrivò.
«Nonna?» alzai un po' il tono di voce, ma poi lo sguardo mi cadde nuovamente sulle immagini.
Il telecomando mi scivolò di mano ed io indicai lo schermo con il dito indice: «E' lui!»
«Chi è lui?» domandò curiosa mia nonna, sbucandomi da dietro dopo aver finito di dar da bere alle piante.
«Lui è lui! Insomma, Nicholas!» cercai di spiegarmi, facendo confusione.
«E' il tuo ragazzo? Carino, un po' effemminato.» commentò lei, senza soffermarsi troppo sulla televisione e andando a mettersi di fianco al divano con la sedia a rotelle.
Scossi la testa in segno negativo.
«No, nonna, non è il mio ragazzo. Non so nemmeno il suo cognome!» dissi paziente, per poi concentrarmi nuovamente su di lui. «A proposito! Vediamo se c'è scritto lì.» conclusii, strizzando gli occhi per leggere la scritta minuscola nell'angolo basso destro dello schermo.
«Non capisco perchè ti interessa tanto se non è il tuo ragazzo.» borbottò lei, ma poi decise che forse era meglio tacere e mi lasciò in pace.

I Jonas Brothers, band statunitense composta dai tre fratelli, Nick, Joe e Kevin, sono ufficialmente in vacanza: alloggio sconosciuto. lessi velocemente, appuntandomi su una mano il tutto, con una vecchia pena blu abbandonata sul tavolo.
«Fantastico, è una star. E come faccio io trovarlo?» mormorai buttando gli occhi al cielo e sbuffando annoiata 
«Prima vuoi sapere il suo cognome e poi vai blaterando che lo devi trovare. » esordì del tutto confusa lei, fissandomi perplessa 
«Sei sicura che non sia il tuo ragazzo?»
«Sicura, nonna: ora devo andare, prometto che verrò a trovarti di nuovo tra breve!» le promisi premurosa, abbassandomi per lasciarle un bacio sulla guancia e prendendo il cappotto in disordine 
«E grazie per il thè!» urlai ormai mentre scendevo le scale.
«Grazie per il thè, mi dice.» borbottò confusa mia nonna.

 
*

Good evening, everybody. :3
Mi sono divertita un sacco a scrivere questo capitolo, perchè come vedete la nonna non è proprio, emh.. usuale. u.u
Beh, che cosa posso dire?
Non mi aspettavo così tante recensioni, per questa schifezzuola. ç_ç
Ohohoh, qualcuno lassù non mi detesta.
Vi voglio davvero bene, sia a chi legge, che a chi recensisce
- okay, forse a questi un po' di più, AHAH -
e a chi ha inserito la storia fra le preferite, ricordate o seguite.
Vero, Lee, Emy,  . + Charlie, Gabrielle,  .
A.

 

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Capitolo 5
*** - you should be grateful, darling. ***


You don't even know.


«Questo pomeriggio non posso accompagnarti a fare la trasfusione.» mormorò colpevole mia madre, mentre io sfogliavo un giornale seduta sul divano, in cerca di informazioni su quel ragazzo tanto famoso, ma che io non avevo mai sentito nominare.
Alzai lo sguardo ed inarcai un sopracciglio. «Perchè?»
Lei cominciò a contorcersi le mani, abbozzando delle parole come lavoro, impegni personali o mi dispiace, ed io la fermai prima che andasse in totale panico.
«Stai tranquilla, mamma, posso andarci anche da sola.»
Lei mi fissò qualche momento e smise di torturarsi le dita: «Oh ma certo tesoro, non intendevo dire che hai bisogno di me per farlo!» si scusò mordendosi la lingua.
Okay, basta pensai Perchè deve trattarmi sempre benissimo, sempre con gentilezza, sempre falsamente? Sono stufa di questi comportamenti che si riservano agli animali in gabbia.
«Ho capito, non ti preoccupare.» taglia la conversazione cercando di risultare convincente e mi riimmersi nella ricerca di Nicholas.
Sarà strano, ma non avevo voglia di tenermi qualcosa che non mi appartenesse.
Mi sembrava un po' come tutti gli atti di carità che continuava a farmi mia madre in quel periodo.
«Ti ricordi l'indirizzo dell'ospedale?» mi domandò lei, dopo cinque minuti in cui si impiegò per farsi passare i sensi di colpa.
Annuii senza smettere di osservare il giornale: eddai Nicholas, com'è possibile che non ci sia un tuo indirizzo da qualche parte?
«Il cellulare è carico?» insistette ed io risposi positivamente. Ma non le sembrò abbastanza: «E hai i soldi per il taxy?»
Dopo che ebbe ricevuto quello che voleva sentirsi dire, finalmente si rilassò ed io anche.
«A che ora è?» chiesi soltanto, togliendomi le scarpe e mettendo i piedi sopra il divano.
Lei diede un'occhiata veloce all'orologio sottile sul suo polso destro: «Tra mezz'ora. Devi andare.»

*


«Ospedale per l'assistenza sanitaria, buongiorno, in cosa posso esserle utile?»
Una ragazza sui trent'anni mi si presentò davanti, affermando quelle parole annoiata, come una routine, come una poesia a memoria.
Appoggia le mani sul bancone che ci divideva e guardai attraverso il sottile vetro dietro il quale lei mi fissava, masticango un chewingum.
«Buongiorno, ho un appuntamento per una trasfusione di sangue con il dottor..» lei non mi lasciò finire la frase.
«Seconda scala a destra, quarto piano.» mi anticipò, mantenendo il suo sguardo da cadavere ambulante.
Mi diressi verso la scala indicatomi e ringraziai il cielo che la distanza fra un piano e l'altro fosse molto breve, perchè quattro piani non erano mica pochi.
Arrivata al secondo mi ricordai che avrei anche potuto prendere l'ascensore, ma ormai era troppo tardi: sbucai in un corridoio che conservava tutti i caratteri del tipico ospedale.
Le pareti bianco smunto, le infermiere vestite del medesimo colore, le porte scorrevoli socchiuse e le finestre rare.
Feci qualche passo, incerta su dove andare o a chi rivolgermi.
Ero l'unica paziente in quel piano, apparte una signora dall'aria solare che parlava animatamente con un dottore ed un ragazzo dai capelli ricci, seduto su una sedia in quella che doveva essere la sala d'attesa.
Mi si illuminarono gli occhi. Lo raggiunsi velocemente ed occupai la sedia affianco: «Tu sei Nick Jonas!» affermai esaltata.
Lui tirò gli occhi al cielo, come a dire Oddio, un'altra fan ed io realizzai subito che mi aveva scambiata per una delle sue ammiratrici.
«No, frena.» fermai subito i suoi pensieri, portando le mani in avanti «Io ho la tua giacca.»
Lui sembrò inizialmente perplesso e poi si volse per osservarmi meglio: ad un tratto il suo viso assunse un'espressione sollevata e intuii che aveva realizzato.
«Ah, certo! Tu sei quella del parco!» io annuii convinta «E anche del supermercato! Emh, Jessica, giusto?» ipotizzò lanciandomi uno sguardo interrogativo.
«Jane.» scandii bene, non nascondendo il mio fastidio.
«Ma allora lo sapevi chi ero, gli altri giorni!» esclamò subito ed io feci cenno di no svelta. «Ti ho visto in TV ieri.» chiarii, ancora un po' scottata dall'evento precedente.
Lui si passò una mano tra i riccioli scuri, cosa che sembrava essere una sua abitudine, e mi guardò come in attesa.
«Che c'è?» chiesi imbarazzata dal suo squadrarmi.
«Beh, non dovevi darmi la giacca?» mi rispose lui naturalmente. 
Io mormorai un Ah, giusto e gli rivolsi uno sguardo dispiaciuto: «Scusa, ma non mi aspettavo di trovarti qui e non l'ho portata.» dissi arrossendo.
«Fa niente, me la ridarai un'altra volta.» alzò le spalle e si appoggiò allo schienale della sedia, con le mani legate dietro la nuca.
«Allora.. Perchè sei qui?» mi sorse spontanea la domanda.
«Controlli.» disse il riccio evasivo, senza però sfuggire ai miei occhi. 
«Nessuno viene qui per dei controlli e basta.» affermai decisa, mordendomi la lingua un secondo dopo.
Lui sorrise tranquillo e si stiracchiò: «Hai ragione. Ho il diabete.» si era decisamente addolcito dal nostro ultimo incontro.
«Mi dispiace.» quella frase uscì automatica dalla mia bocca e voltai anch'io la faccia per osservarlo meglio, cercando di mostrarmi sincera.
Lui non mutò l'espressione di un muscolo: «Non cambia niente.»
Lo disse in un modo talmente naturale e disinvolto che mi ci volle un po' per capire.
«Come scusa?» domandai aggrottando le sopracciglia, anche se in realtà avevo tutto chiarissimo.
Nicholas dischiuse le labbra e scandì bene ogni singola parola: «Ho detto, che non cambia niente.» e ancora una volta il suo tono e la sua mimica facciale rimasero del tutto sereni, come se parlassimo di farfalle e arcobaleni.
Io, al contrario di lui, mi irrigidii subito. «Cosa intendi di preciso?» decisi di stare un po' al gioco, per vedere fin dove si spingeva.
«Anche se ti dispiace, non cambia niente. Io non smetterò di avere il diabete e non starò meglio. Quindi, quello che intendevo di preciso, era che del tuo dispiacere non me ne faccio nulla.» dopo aver terminato, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e smise di guardarmi, mostrandosi annoiato e fissando l'orologio attaccato al muro di fronte a noi.
Avevo detto che era diventato più dolce? Mi sbagliavo.
Feci per ribattere, aprendo la bocca, ma fui bloccata da una ragazzina alta poco più di un cestino, che mi chiamò tenendo in mano la sua cartellina e stirandosi il camice bianco.
«Jane Kirstel?»
Io annuii senza smettere di osservare il ragazzo riccio, che però non mostrò alcun interesse per la situazione.
«Mi segua pure, grazie.» Io mi alzaii, non lo degnai nemmeno di uno sguardo e mi allontanai lentamente, cercando di contenere la rabbia.
Una volta lontani da lui, la nanetta si girò e mi sorrise.
«Vedo che ha avuto a che fare con una star, eh? E' fortunata, non viene qui spesso e lei ha beccato proprio il giorno giusto! Non sa cosa darebbero milioni di ragazze per essere al suo posto.» mi disse allegra, come per impartirmi delle lezioni e poi mi indicò una porta poco lontana.
Possibile? mi chiesi, Possibile che mi abbia detto davvero che milioni di ragazze vorrebbero essere al mio posto, quando io ho la leucemia?
Lei mi lanciò un ultimo sorrisino ed io afferrai la maniglia della porta e la aprii debolmente, facendomi raggiungere subito dalla voce del dottore.
«Buon giorno, Jane. Come va oggi?»

*

Ma hello belle signore. :3
Ah sì, ovviamente buongiorno anche ai signori, ma dubito fortemente che ce ne siano.
Come ho già detto, moltissimi capitoli di questa storia sono già scritti, quindi state tranquille. v.v
Allora, vorrei davvero ringraziare tutte, ancora una volta. C:
Sia quelle che leggono, sia quelle che recensiscono, sia quelle che inseriscono tra preferiti, ricordate, o seguite.
Dopo i ringraziamenti
- mi sento molto un'attrice all'Oscar -
volevo dirvi che questo capitolo è una schifezza. ç_ç
Vero, Lee, Emy,  . + Charlie, Gabrielle,  .
A.
Ps: vi lascio un banner creato appositamente da Egg___s su mia richiesta pour mois. *-*
Hope you like it.



 

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Capitolo 6
*** - well, it isn't true. ***


You don't even know.


«Non è ora di andare a dormire?»fu la domanda rivoltami da mia madre, mentre mi trascinavo stanca fuori dal bagno, con le pantofole rosa ai piedi e il pigiama scozzese disordinato.
La osservai, era seduta sul divano, con i piedi appoggiati su un tavolino basso di fronte e il telecomando nella mano destra: dal riflesso dei suoi occhiali, riuscivo a catturare qualche spicchio della trasmissione che stava guardando, ma a cui aveva tolto l’audio.
I suoi capelli erano scompigliati, mentre la faccia era stanca ed aveva sempre un velo di tristezza sulla pelle: Come avevo potuto farle tutto questo?, pensai commiserandomi.
«Sì, mamma, sto andando.» risposi brevemente, tornando a fissarmi le pantofole con sopra dei fiorellini bianchi, cui sfondo era un rosa eccentrico, davvero eccentrico.
Feci in tempo a sentirla mormorare un Buonanotte, prima di sparire dietro la porta di camera mia e andarmi a sedere sopra il mio letto, cui molle prontamente scricchiolarono, provocandomi un grande senso di solitudine.
Afferrai un libro e lessi il titolo, poi lo ributtai sul comodino. Stesso procedimento avvenne per un altro. E poi un altro ancora. Fino a che i romanzi accanto a me finirono ed io rimasi con nulla tra le dita.
Amore. pensai, Parlano tutti di amore.
Provai ad indovinare quante ragazze al mondo stessero trascorrendo quelle ore con il rispettivo fidanzato, mentre io mi ritrovavo da sola, in compagnia di me stessa. Molte, forse troppe. conclusi poi.
Mi alzai dal letto con una spinta leggera e rimasi in piedi davanti allo specchio, cercando di dare una descrizione oggettiva di quello che ero.
Ma non riuscii a pensare a nulla se non Sono io e basta. In verità sapevo benissimo com’ero fatta, sapevo benissimo i miei difetti ed anche i miei pregi, ma non avevo il coraggio di ammettere né gli uni, né gli altri.
Riflettei sul mio nome e su quello non ci fu molto da dire: era mediocre, insignificante.
I miei genitori invece lo trovavano elegante, signorile e giusto per tutti i caratteri.
Era questo quindi, l’appellativo che mi era stato dato: Jane, il nome neutro.
Perché di fatto era così, era davvero adatto per ogni genere di ragazza; abbiamo letto tutti un sacco di libri con Jane intellettuali e riservati, ma chi di noi non ha mai incontrato una Jane ribelle e selvaggia?
Insomma io ero destinata ad essere e rimanere.. neutra.
«Jane, hai spento la luce?» urlò mia madre dal salotto, interrompendo i miei pensieri negativi e per questo le fui grata.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, ma poi scoppiai a ridere vedendo la mia faccia nello specchio, mentre prendeva quelle espressioni così poco mie.
Avevo sempre pensato che il mio viso fosse strano, buffo: solo che l’ultima persona che aveva detto una cosa simile su sé stessa era Audrey Hepburn ed io non ero di certo lei.
«Sì, mamma!» gridai, dirigendomi all’interruttore e spingendolo con determinatezza, prima di infilarmi sotto le mie fredde coperte ed appoggiare la testa sul cuscino.
Ridacchiai. Se fossi stata Jane l’intellettuale, avrei acceso una torcia debole sotto le lenzuola e avrei continuato di nascosto la lettura di un romanzo avvincente; se fossi invece stata Jane la ribelle, sarei probabilmente scappata dalla finestra e avrei trovato ad aspettarmi in strada un pericoloso, ma affascinante gangster, che mi avrebbe scortata con la sua motocicletta ruggente lontano da tutti e da tutto. Oppure avrei potuto essere Jane l’alternativa, che si sarebbe fatta un piercing proprio quella notte, di nascosto dai parenti.
Ma purtroppo ero solo Jane.
E l’attività di Jane a quest’ora era dormire, non progettare fughe d’amore, letture notturne e piercing segreti.

*

«Ha detto davvero così?» chiese sbalordita mia nonna, strizzando gli occhi e stringendosi con le mani al cappotto marrone.
Io annuii, continuando a spingere la sua sedia a rotelle lungo il sentiero: ci trovavamo al parco e io le avevo raccontato tutto, durante una sana passeggiata.
«Oh, guarda un po' che insolente!» disse mentre un po' di vento la faceva rabbrividire e il suo corpo ballava un po', a causa dei ciottoli disordinati sui quali stavamo camminando.
Cercai di rendere meno pesante la situazione, nascondendo la faccia dentro la sciarpa: «Magari era solo molto nervoso.» mormorai piano, prima di posizionarla accanto ad una panchina, per una meritata mia pausa.
«Non capisco nulla, se non ti levi quell'affare dalla bocca.» borbottò lei, quando finalmente io entrai nel suo campo visivo e mi sedetti vicina.
Abbassai fino al mento il tutto e sentii pizzicare il naso. «Ho detto che magari era solo molto nervoso.»
Lei inarcò un sopracciglio e mi rivolse uno sguardo severo.
«Non permettere mai a nessuno di metterti i piedi in testa, hai capito?» sembrava molto decisa e dopo che io ebbi risposto un flebile , lei sembrò soddisfatta e mi strinse leggermente le spalle con le dita sottili e nodose.
Rimanemmo in silenzio ancora qualche minuto, mentre io osservavo un bambino che giocava con il suo frisbee e lei riposava le palpebre, godendosi il vento autunnale.
Avvertii un leggere dolore in un punto non determinato, ma non mi lamentaii: era probabilmente a causa della recente trasfusione.
Ad un tratto lei riaprii di scatto gli occhi e volse il viso verso di me: «Ti hanno mai detto: quel ragno è molto più spaventato da te di quanto non lo sia tu da lui. ?»
Non capii cosa c'entrasse in quel momento, ma allo stesso modo feci un cenno di assenso con la testa, prendendo un'espressione interrogativa.
«Vuoi sapere la verità?» mi domandò, mentre un sorrisino si accendeva sulla sua pelle rugosa.
Ancora una volta mi limitai ad annuire. 
Lei sogghignò divertita e tornò a fissare il vuoto.
«Non è vero.»

*


«Pronto?» risposi con voce calma, portando all'orecchio la cornetta del telefono di casa e ingoiando qualche pezzo di una carota, che tenevo nell'altra mano.
Una donna dal tono cordiale mi raggiunse dall'altra parte dell'apparecchio e sembrò sorridere con il solo uso delle sue corde vocali.
«Buongiorno. Chiamo per fare un sondaggio: accetta di rispondere a delle domande, per cinque minuti? Non un attimo di più, lo giuro. E' tutto anonimo.»
Dischiusi le labbra per levarmela di torno, ma poi il mio sguardo cadde sull'orologio della cucina: le tre e mezza.
Mia madre non sarebbe tornata dal lavoro prima delle otto e tre quarti. Ero a casa da sola tutto il giorno, senza compiti o altro.
Sarebbe stata una noia mortale, già me lo sentivo. Così mugugnai un forzato, pur di fare qualcosa per cinque minuti.
La voce sorridente sembrò impazzire dalla gioia, non doveva capitarle spesso che qualcuno accettasse.
«Perfetto! Prima domanda, lei è maggiorenne?» domandò riprendendo un tono formale e più professionale.
«No.» Wow, forse è più facile del previsto mi ritrovai a dirmi. 
Lei non aspettò molto per pormi altre quattro domande tutte di routine, da carta d'identità e poi finalmente passò a qualcosa di più personale.
«Ha animali domestici?» 
Lanciai uno sguardo a Snasante, che dormiva beato nella cuccia, a pancia in su e con le zampe piegate: «Sì, un cane.»
«Legge molti libri?» continuò lei, senza prendere nemmeno fiato.
Tossicchiai leggermente: «Direi di sì.»
«Usa tanto il cellulare?» Ma che domande sono? pensai confusa.
«No, al di sotto della media.» risposi tranquilla, dando un altro morso abbondante alla mia carota.
Lei parve fermarsi un attimo per pensare, ma poi tornò all'attacco: «Che lavoro vuole fare da grande?»
Il vegetale arancione mi andò di traverso e fui costretta a emettere un grande colpo di tosse e a battermi sulla schiena per riprendermi. 
«Pronto? C'è ancora?» la sentii mormorare dal telefono che penzolava sotto il tavolo della cucina, abbandonato completamente, appeso solo grazie al cavo.
Lo presi in mano e lo riappoggiai sulla base, lasciando le dita su quest'ultima a sfiorare il contorno dei tasti leggeri.
L'unica cosa che avrebbe sentito quell'intervistatrice sarebbe stato il regolare Tuu tuuu di fine chiamata e effettivamente, non ci sarebbe stato molto da dire in più.

*

Okay, chiedo venia.
Lo so che questo capitolo è noiosissimo e so anche che tutte voi lo odierete,
ma non potevo evitare di metterlo, mi dispiace. ç_ç
Non succede nulla di significativo, ma le scene per me sono importanti 
- soprattutto la prima, perchè mi sono dovuta immedesimare molto in Jane -
e non lo so, mi andava di scriverle.
Però prometto che il prossimo aggiornamento sarà molto meglio e che anche quello è gia pronto.
AHAH, non so se l'avete notato, ma ho praticamente tutta la FF già scritta. v.v
Ricordate: tante recensioni, capitolo postato in fretta.
Poche recensioni, capitolo postato in ritardo.
Vero, Lee, Emy,  . + Charlie, Gabrielle, Sonny,  .
A.


 


 

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Capitolo 7
*** - they have stolen my desk. ***


You don't even know.


Dicono che la vita offre sempre una seconda possibilità: perchè tanto il passato non si può dimenticare, nè cambiare. Può solo essere accettato.
Allora la vita ti dà l'occasione di mettere a posto le cose e questa si chiama domani.
Domani è un nuovo giorno, domani tutto andrà bene, domani si vedrà.
Quante volte ci siamo propinati queste parole sotto forma di proverbi o di insegnamenti. Eppure per me sono sempre stati così insignificanti, non mi hanno mai portato vantaggi.
Chi teme la morte perchè gravemente malato ha spesso un solo ed unico pensiero finale: Dio. 
Infatti in punto di morte il timore porta spesso a pregare poichè non si ha più nulla da perdere e non c’è più niente da fare.
Scommettere che Dio esiste significa pregare spendendo del tempo prezioso ma, quando si sta per morire, il tempo sta per finire e quindi non si rischia più di perderlo.
Io invece non faccio nulla: perchè non reagisco?
Maledetta Jane, ti devi accorgere che stai per morire, non devi lasciarti andare così, devi vivere finchè ne hai la possibilità, ma questi pensieri finiscono sempre riposti nei meandri più profondi della mia mente,
tra le mie paure più segrete e i miei desideri più forti.

I miei giorni sono incentrati maggiormente sulla morte che sulla vita, buffo no?  Ogni tanto mi dico che dopo tutto, io sono solo in anticipo, anzi no, che sono gli altri ad essere in ritardo.
Perchè tutti noi dovremo affrontare quest'importante parte del nostro ciclo, prima o poi. Io prima, ecco tutto.
Di una cosa provo molto timore e non riesco a non pensarci sempre: la paura di morire all'improvviso.
Così senza nemmeno accorgermene, magari svenendo come l'incidente al supermercato o magari per strada, mentre cammino tranquilla.
Continuo a sognare la faccia delle persone intorno a me che esclamano Chiamate un medico, chiamate un medico! e a vedere il mio corpo inerme e sgraziato disteso per terra, mentre io non capisco nulla.
Ecco, non capisco nulla.
Non voglio non accorgermene, voglio essere pienamente consapevole di tutto: non voglio morire inconsapevole.
Ma forse la verità è che non voglio morire e basta.

*


Din don.
Il campanello di casa suonò leggero, mentre io ero intenta ad accarezzare il mio grosso danese che a quel rumore emise un abbaio forte e si guardò intorno curioso.
«Non è la dog sitter, Snasante, non ti illudere.» lo ammonii calma, alzandomi dal letto piano e dirigendomi in entrata, con addosso una magliettona larga e gialla, a dir poco orrenda, ma calda.
Allo stesso modo, il mio cane si alzò dai piedi del divano e mi seguì trotterellando e scodinzolando felice.
«Non mi vuoi credere?» gli domandai fingendomi offesa e alzando entrambe le sopracciglia. «Sarà sicuramente il postino e adesso te ne darò anche la prova.»
Girai piano la maniglia della porta bianco avorio, continuando ad osservare Snasante per tutta la durata di quel movimento, che feci in modo molto lento, per mettere maggiore suspence.
Lui abbaiò forte, come per incitarmi a muovermi e così lo accontentai, lasciandolo passare per primo: «Oh, cosa ne vuoi capire tu. Sei soltanto molto testardo!» affermai stupidamente, prima di risollevare lo sguardo e trovarmi davanti un enorme mazzo di rose rosse.
Sbarrai gli occhi e cercai di guardare oltre, per scoprire chi c'era dietro e che cosa ci facesse sul mio pianerottolo.
Anche in punta di piedi, il mazzo era troppo grosso e mi impediva la visuale, finchè Snasante non ci saltò sopra, con le zampe rivolte verso l'alto.

«Ehi, ma che fai?» esclamò una voce maschile da dietro le rose, che poi furono spostate e io riuscii a vedere finalmente l'autore di tutte queste incomprensioni.
Se prima io miei occhi erano sbarrati, adesso erano davvero fuori dalle orbite. Che gli è saltato in mente? fu il mio primo pensiero.
Il famoso Nick Jonas era intento a levarsi il danese di dosso, che aveva sembrato riconoscerlo e continuava ad annusarlo e ad appoggiarsi col corpo sulle sue gambe, ricoprendolo di peli.
Decisi di dargli una mano e afferrai il mio cane per il collare, costringendolo a rientrare in casa e chiudendo la porta dietro di me, per rimanere fuori con la tuta da ginnastica e un personaggio famoso di fronte a me.
Ero sicura che tutto quello fosse solo una grande montatura per farmi nuovamente vergognare e non volevo di certo essere umiliata dentro casa mia.
Okay, non farò il primo passo, se è questo che ti aspetti. formulai nella mente, osservandolo attentamente e dandogli una squadrata veloce: qualunque insulto fosse venuto a tirarmi, io non mi sarei fatta mettere i piedi in testa, come mi aveva consigliato saggiamente mia nonna.
«Ciao.» esclamò ad un tratto lui imbarazzato dal silenzio e porgendomi i fiori leggermente rovinati. «Sono venuto per chiederti scusa.»
Aprii la bocca per rispondergli per le rime, ma poi mi bloccai, realizzando a malapena le parole che avevo appena sentito.
«Sì, insomma.» continuò lui, mentre io lo guardavo incredula «Ho avuto un comportamento davvero scorretto e mi sembrava giusto dirtelo.»
Mi ci volle un attimo per collegare tutto insieme; un attimo per capire davvero affondo; un attimo per sentirmi il mondo crollare addosso.
«Chi te l'ha detto.» mormorai soltanto, fissando un punto indeterminato dietro di lui e prendendo i fiori in mano.
Lui fece finta di non comprendere e mi rivolse uno sguardo perplesso, aggrottando un sopracciglio e alzando l'altro. «Cosa?»
«Che ho la leucemia.» risposi abbassando lo sguardo sulle mie pantofole rosate, sentendo per un attimo un forte bisogno di urlare.
Anche quando finalmente pensavo che qualcuno tenesse conto di me, che a qualcuno io importassi veramente, ecco che si rivelava tutto un atto di.. beneficenza.
Lui avvampò per un istante e poi si ricompose frettolosamente, grattandosi un ginocchio da sopra i jeans blu scuri. «L'infermiera.»
«Lo fai solo perchè hai pena di me?» chiesi intrecciando i miei occhi con i suoi, alzando finalmente il viso.
Lo vidi annuire piano, mentre la sua espressione si faceva sempre più scura.
Riflettei un attimo, appoggiando le rose sul mio braccio destro, in quella posizione con cui si tengono si tengono i bambini. «Okay.» dissi solamente.
Lui si passò una mano dietro la nuca e mi lancò un'occhiata sbalordita. «Posso entrare?» domandò poi, dopo essersi capacitato dell'accaduto.
Non diedi risposta, ma socchiusi la porta, facendogli cenno di andare pure per primo.
Lui avanzò piano, fino a superarmi, mentre ancora io tenevo le spalle verso casa mia, finchè non uscì dal mio campo visivo. 
Sentii la maniglia girare e poi la sua voce che emetteva un gridolino abbastanza femminile, così scoppia a ridere, mentre lui parlava con tono disperato: 
«Oh, ancora tu, enorme orso?»


*


«Maddai, non ci credo!» esclamai ridendo e buttando addosso a Nick una manciata di pop corn.
Lui mi sorrise e si passò una mano sul petto, per togliersi quel cibo dalla maglietta e poi portò una mano sul cuore e l'altra in aria esclamando divertito: 
«Ti giuro che è andata così.»
Abbassai il mento e gli lanciai uno sguardo fintamente intimidatorio. «Cioè, vuoi dirmi veramente che una volta durante un concerto sei scivolato, ti sei spaccato i pantaloni e hai continuato tranquillamente la canzone?»
Nick sollevò un indice come per fare una correzione ben precisa: «Non ero affatto tranquillo, ma per il resto.. sì.»
Ricomincia nuovamente a ridere, immaginandomi la scena e il suo sguardo imbarazzato, lasciandomi cadere con la schiena sul mio materasso, mentre lui mi osservava seduto di fianco.
«Dimmi qualcosa di te, io ti ho raccontato tutto sulla mia vita.» affermò, mentre allungava una mano per prendere un po' di pop corn dalla vaschetta accanto ai miei capelli.
Mi tirai su sui gomiti e lo osservai mentre infilava qualche pallina giallognola in bocca: «Cosa vuoi sapere?» domandai anche se in verità c'era ben poco da raccontare.
Jane l'insignificante. mi rivenne in mente. «Cantante preferito?» azzardò Nick, ipotizzando un sorriso a bocca chiusa molto tenero.
«Non tu.» mi sbrigai a chiarire, mentre mi rimettevo seduta bene sul letto e portavo le gambe a incrociarsi davanti alle mie mani.
Lui imitò una faccia offesa e si atteggiò in modo molto femminile. «Come hai detto, pvego?» esclamò con la finta erre moscia, mentre un sorriso cominciava a solcarmi il viso.
«E' la verità.» mi limitai a dire, alzando le spalle e dandogli una pacca compassionevole sulla schiena.
Nick incrociò le braccia al petto e successivamente si indicò le scarpe, esprimendo la muta richiesta di togliersele, alla quale io acconsentii, invitandolo anche a salire sul materasso del tutto.
«Ti piace l'acqua?» mi fece questa domanda di sorpresa, mentre si sistemava di fronte a me: io appoggiata allo schienale e lui a poca distanza.
Buttai gli occhi al cielo e aggrottai la fronte: «Ovvio che mi piace l'acqua!»
«Bene, allora ti piace già il 72% di me.» esclamò senza nascondere un sorrisino soddisfatto.
Presi il cuscino e non esitai a lanciarglielo contro senza problemi e seppi apprezzare molto quando questo gli arrivò dritto in faccia, come per confermare la mia poca mira; avevo puntato alla pancia.
Nick si ribellò e lo scansò di fretta, ricambiando il favore e finimmo con il passarcelo di mano in mano, tentando di colpire almeno una volta l'avversario, ma a quanto sembrava nessuno dei due era portato per la violenza fisica. Tanto che ad un certo punto io mi arresi e crollammo tutti e due sul lenzuolo, a dovuta distanza.
Mentre fissavo il soffitto, lui voltò la faccia verso la mia e, anche se da lontano, mi sembrò di sentirlo ridacchiare piano.
«Sogni nel cassetto?» fu la sua domanda, dopo quella che mi parve un'infinita di tempo passata a riposarci.
Io feci segno di no con la testa: «Mi hanno rubato la scrivania.» Sperai con tutto il cuore che lui capisse il senso metaforico della frase e non facesse una stupida battuta da dodicenne.
A quanto pare fui fortunata, perchè lui rimase in silenzio e poi io rotolai giu dal letto piano, fino a finire per terra con un tonfo. Nick si sporse con il busto per controllare che io stessi bene e mi ritrovò distesa sul pavimento, con le braccia alte e lo sguardo perso nel vuoto.
«Che fai?» sembrò divertito dalla mia espressione e lasciò cadere una mano vicino ai miei piedi, appoggiando la testa sul materasso e continuando ad osservarmi.
Alzai le spalle come per esprimere un Boh ed aggrottai le sopracciglia perplessa: «Cosa faresti, se dovessi morire domani?» esordii accigliata, sorprendendomi di fare io stessa quella domanda.
Lui si irrigidì abbastanza e lo notai perchè le sue dita si chiusero a pugno in fretta: «Non sarei capace di fare niente.» mi rispose, dopo averci riflettuto per qualche momento.
Io intanto avevo chiuso le palpebre e a quella parola le rispalancai subito. «Davvero?» mi accertai.
Nick annuì piano, tirando in dentro le labbra e soffermandosi qualche secondo, prima di riportarle alla posizione consueta e rivolgermi un'occhiata piuttosto ansiosa.
«Quanto..» non lo lasciai finire. Avevo capito benissimo, così con un gesto veloce della mano lo bloccai e mi espressi piano. «Nove mesi, dall'inizio di Ottobre.»
Lui mi squadrò bene, per notare qualche reazione nella mia voce, una lacrima solitaria o un fremito particolare, ma non li trovò: «Mi dispiace.»
Sorrisi amaramente e lo guardai finalmente negli occhi, scuotendo il capo.
«Non cambia niente.»

*

Hello girls. :3
Allora, c'è una cosa che devo dirvi davvero.
GRAZIE A TUTTE.
Non mi sarei mai aspettata così tante recensioni e il merito è solo vostro.
Ed eccoci qui, in questo capitolo finalmente Nick entra in azione,
ma non ho voluto renderlo subito dolce e gentile, infatti fra i due ci saranno ancora molti disguidi.
Non sapevo se pubblicarlo, perchè era uno di quelli che mi piacevano di meno, ma poi ho deciso di farlo lo stesso. v.v
Ricordate: tante recensioni, capitolo postato in fretta.
Poche recensioni, capitolo postato in ritardo.
Vero, Lee, Emy,  . + Charlie, Gabrielle, Sonny,  .
A.


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Capitolo 8
*** - so you're not that irrelevant, are you? ***


You don't even know.
 

«No, non se ne parla!» esclamai per la centesima volta, mentre passavo uno straccio umido sul piatto di vetro tra le mie mani.
Mia madre tirò gli occhi al cielo ed alzò leggermente le spalle, tenendo le braccia fino al gomito nel lavandino, per lavare una pentola più profonda delle altre.
«Dicevo solo che poteva essere un'occasione per divertirti un po', ecco tutto.» affermò non curante, ma lanciandomi un'occhiatina di nascosto.
Io mi girai con il corpo, in modo che potesse bene osservarmi mentre le rispondevo: «No, mamma, ma sei pazza? Cioè mi ci vedi in una sala di registrazione?»
La vidi scuotere il capo sussurrando un Benedetta ragazza impercettibile e poi si volse anche lei dalla mia parte, tenendo ancora una spugna in mano.
«Beh, mica dovrai cantare o fare altro! Sarebbe solo una bella esperienza.» si bloccò un attimo per strizzare la spugna e asciugarsi le mani sul grembiule «e poi, è da maleducati rifiutare un'offerta così generosa.»
Io aprii l'acqua del rubinetto e mi lavai scrupolosamente le mani, per poi sbatterle un paio di volte, invece che usare un comune straccio: «Sono sicura che Nick mi perdonerà.»
Detto questo, mi tirai una ciocca dei capelli dietro le orecchie e continuai determinata. «Senza contare il fatto che lui sarà lì per incidere una canzone e di certo non mi vorrà tra i piedi.»
Mia madre buttò la testa all'indietro e mi rivolse uno sguardo sfinito: «E allora perchè ti ha chiesto di andare con lui?» domandò sarcastica, ma a me non fece ridere.
Perchè sono leucemica. pensai amaramente, ma decisi di tenermi questa frase per me e non esternarla alla mia, già abbastanza in pena, mamma.
Lei mi prese le mani, costringendomi a fissarla negli occhi e me le strinse leggermente, come per farmi sentire la sua presenza.
«Fallo almeno per me, ti prego.»


 

*



«Grazie per il passaggio.» dissi timida, entrando nella sua bellissima Mustang e sedendomi al posto dell'accompagnatore.
Nick mi chiuse la portiera e fece il giro dell'auto, per posizionarsi anche lui e mettere in moto con disinvoltura, rivelando un rombo molto.. rombante.
«Oh, sì.» mormorò mentre girava la chiave ed io ridacchiai divertita: «Fai così ogni volta in cui la accendi?»
Lui alzò le spalle e mimò un Più o meno con le mani, per poi tornare a guardare la strada e ad ingranare la prima marcia.
Appena fummo in strada, io abbassai il finestrino e sporsi la testa al di fuori di esso, godendomi l'aria fredda autonnale che mi arrossò le guance e lasciandomi scappare un sorriso.
Lui probabilmente lo notò, ma fu abbastanza gentile da non mettermi in imbarazzo. «Sicuro che non vi disturberò?» chiesi per l'ennesima volta.
«Ma no, certo che no.» rispose lui cordiale, mettendo a posto lo specchietto con la mano destra, senza nemmeno guardarmi.
Mi mandai a quel paese mentalmente. Cosa pensavo che mi avrebbe detto? Sai, in effetti hai ragione, probabilmente ci disturberai tutto il tempo. e poi mi avrebbe sbattuto fuori dalla macchina e lasciata in mezzo alla città?
«Tanto non mi sembri molto loquace, quindi non credo proprio che annoierai qualcuno.» aggiuse dopo, prima di accelerare leggermente l'andatura.
Io sbarrai gli occhi e voltai il viso verso di lui: «Io sono loquace.» lo corressi sottolineando bene le parole. Lui ridacchiò e mi lanciò uno sguardo minimo, poichè non poteva girarsi a causa della guida.
«Eccome.» pronunciò ironico, per poi accendere la radio e sintonizzare una stazione particolarmente rumorosa. Ogni volta in cui mi sembrava fosse diventato simpatico, lui mi smentiva puntuale.
«Non sono abbastanza di rilievo?» domandai dopo qualche momento, puntando nel vuoto con gli occhi. Nick sembrò non capire e aggrottò un sopracciglio.
Io mi sporsi leggermente e abbassai il volume dell'apparecchio di botto, prima di voltarmi e ripetergli decisa: «Non sono abbastanza di rilievo?»
Lui mi squadrò per un attimo perplesso e aprì la bocca per rispondere, ma io decisi di facilitargli la situazione.
«Oh, lo sai. Non sono speciale, sono facilissima da dimenticare e non mi distinguo assolutamente in nulla.» sbottai innervosita, ma lui alzò un dito per fermarmi ed io lo feci, inaspettatamente.
«Hai un bel caratterino, quando ti arrabbi. Quindi in qualcosa ti contraddistingui, no?» dopo aver detto questo, sistemò meglio la testa sullo schienale ed io dischiusi le labbra per ribattere, ma poi non feci altro che lasciarmi ricadere con pesantezza sul sedile anteriore, spostando lo sguardo verso le case che scorrevano veloci intorno a noi.
Nessuno dei due pronunciò più parola, ma in aria non c'era tensione. Avevo solo bisogno di calmarmi, mentre lui sembrava tranquillissimo.

Dopo qualche minuto arrivammo a destinazione e, come alla partenza, lui uscì per primo e mi aprì la portiera, mormorando leggero: «Va meglio, ora?» 
Io annuii piano, sembravo una bambina piccola che si era appena fatta un taglietto su un dito. Nick richiuse la portiera ed entrambi ci avviamo verso il grande palazzo che imponente ci guardava dall'alto.
Dentro di me, però un po' sorrisi: non ero più, Jane l'insignificante.


 

*

Mi sento un po' come un fantasma. Sapete cosa intendo, vero?
Come se la mia presenza sulla terra non fosse notata da nessuno, come se fossi già morta.
Addirittura come se non fossi mai esistita.
Ognuno di noi ha la sua occasione per cambiare le cose, per diventare importante, per realizzare i propri sogni.
Devo smetterla con la scusa del Io invece no, perchè non è affatto vero.  
La vera motivazione è che io non ho nulla su cui puntare, nulla su cui indirizzare la mia - anche se breve - vita.
Niente da sognare ad occhi aperti e niente da rivelare ad una migliore amica in una notte di confessioni: niente.
Fidatevi, è molto peggio di non riuscire a realizzare i propri obbiettivi.
Il motivo è semplice; se hai degli scopi, dei traguardi da raggiungere, puoi sempre fantasticare su di essi e puoi fare finta nella tua mente che si siano avverati, regalandoti qualche attimo di piacere, anche solo nell'immaginazione.
Se non hai idea di ciò che ti potrebbe rendere felice, non puoi nemmeno fare finta di averlo già ottenuto.
E' come quando si gira per casa, senza meta e senza destinazione, pensando che si ha voglia di fare qualcosa, ma non riuscendo proprio a capire cosa.
Vi è mai successo di stare depressi un mese perchè non c'era nessun ragazzo carino e non avevate nessun intreccio di civetterie, ma tanto meno un qualcuno da amare segretamente?
Ecco, è così che mi sento.


*



«Allora, è tanto che conosci Nick?» 
Mi risvegliai dai miei pensieri, sollevando leggermente il capo e ritrovandomi una macchia rossa sulla guancia destra: mi ero quasi addormentata appoggiata sulla mia stessa mano.
Un uomo molto alto e mingherlino si era seduto accanto a me, con una tazza di Frappuccino tra le dita e lo sguardo puntato verso il vetro sottile che divideva noi e l'ultimo appena nominato.
Ah, sì, Nick! mi scossi dal torpore.
«Emh, no, non da molto.» cercai di sembrare interessata in qualche modo al riccio e alla sua band, mentre collegavano gli strumenti e si scambiavano pensieri a me irraggiungibili, per via della stanza insonorizzata in cui essi si trovavano.
L'uomo non distolse l'attenzione da questi e mi rispose soddisfatto: «Sono sicuro che il CD da solista che inciderà Nick sarà un successone.» apparentemente non era più minimamente interessato a me e sembrava rivolgersi più a sè stesso.
Mormorai un Mmh sovrappensiero e capii finalmente a cosa stesse lavorando Nicholas, perchè lui non mi aveva fornito molte nozioni.

«Oggi mi sembra in forma, sei molto fortunata a vederlo adesso. A proposito, come hai detto di chiamarti?» continuò poi, degnandomi finalmente di uno sguardo fugace, in cui sicuramente non aveva memorizzato nemmeno mezzo tratto dei miei lineamenti. Ma d'altronde, chi lo faceva?
Scrutai bene Nick, mentre cominciava a parlare fittamente con un signore in giacca e cravatta che non sembrava far parte della band e distrattamente risposi: «Jane, mi chiamo Jane.»
A quel punto il mingherlino cominciò una serie di commenti sull'impianto audio, su come sarebbe stato fantastico lavorare con un Jonas, sui video musicali da girare e sulla propaganda ancora non iniziata, ma io mi ero già persa alle prime due parole.
Piuttosto mi sembrava molto più interessante il modo in cui il riccio, da uno scambio di opinioni moderato, era arrivato a gesticolare animatamente, mentre il suo interlocutore urlava come un pazzo - non che io lo sentissi, ma i movimenti ampi della bocca me lo fecero intuire - e Nicholas portava una mano fra i capelli, imprecando furiosamente.
Mi accorsi solo nel momento in cui quest'ultimo fece irruzione fuori dalla sala di registrazione, che il mingherlino di prima si era già da tempo levato di torno, e che io ero rimasta da sola seduta su una sedia scomoda nera.
Le urla del signore vestito in giacca e cravatta raggiunsero le mie orecchie e cercai di non puntare lo sguardo verso di esso, ma poi non mi feci troppi problemi, visto che l'attenzione di tutti era ormai completamente spostata su di loro ed io non avrei fatto di certo la differenza.
«Nick, stammi a sentire! Io voglio un'altra canzone, hai capito? Ho bisogno di un pezzo da rappresentare in un video e non mi interessa come, ma lo devo avere!»
Mi sentii subito fuori luogo e provai un
profondo imbarazzo. Diedi un'occhiata in giro: tutti avevano smesso di svolgere quello che stavano facendo e pendevano dalle labbra del riccio, a cui toccava rispondere. 
Lui non fece aspettare molto, a dire il vero. «No, ascoltami tu, Dave! Il CD è mio e io sento che è già completo, punto e stop.» Trattenni il fiato, mordendomi l'interno delle guance. 
L'uomo che a quanto pare portava il nome di Dave si avvicinò pericolosamente a lui e strinse forte i denti: «Niente nuova canzone, niente disco.» si interruppe per qualche secondo e lasciò vagare lo sguardo su tutti noi. «Non c'è nulla da vedere, tornate al lavoro.» affermò con la stessa ferocità.
Io mi tinsi subito di rosso e distolsi fintamente l'attenzione, portandola sulle mie ginocchia frettolosamente. Sentii i passi pesanti del gentleman avvicinarsi e poi passarmi accanto, con una lentezza quasi distruggente, e poi il rumore di una porta che sbatteva forte.
Se n'era andato.


 

*

Hello girlssss. :3
Allora, ho un sacco di cose da dire, davvero.
Meglio se le divido per punti, ecco.
1) Sono in Scozia, in un college, quindi non posso usare Internet e tanto meno scrivere.
2) Questo capitolo l'ho pubblicato perché era già pronto, ma E' L'ULTIMO DI QUELLI GIA' SCRITTI, d'ora in poi dovrò mettermici sul serio.
3) Ho scoperto che 'perchè' non si scrive così, ma in questo modo: 'perché'. Fatene tesoro. v.v
4) MI SCUSO DA MATTI PER NON AVER RECENSITO CHI DOVEVO RECENSIRE, ma davvero sono un sacco occupata e non posso usare il computer.
Giuro che mi metterò in pari appena sarà finita l'estate!
5) Ed ecco la nota dolente. Probabilmente gli aggiornamenti di todoss le mie storie avverranno a Settembre.
Scusate da matti, ma la notizia buona è che probabilmente per quel mese avrò già scritto un sacco di chapters e li posterò ancora più frequentemente!
6) Per quanto riguarda l'ultimo capitolo di 'Yours, forever', don't worry, lo aggiornerò appena avrò un minuscolo attimo di tempo, tanto è già ready per metà.
7) Io vi adoro. Mi sono trovata un sacco di recensioni - purtroppo non posso rispondere a tutte - e vorrei solo farvi sapere che davvero, lo apprezzo tantissimo.
I LOVE YOU.
Mi aspetterete fino a September? Tocca a voi deciderlo.
Ricordate: tante recensioni, Annavii mooooolto felice.
Poche recensioni, Annavi triste e capitolo postato in ritardo (verso Ottobre, ahahah. u.u).
Vero, Lee, Emy,  . + Charlie, Gabrielle, Sonny,  .
A.

  

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Capitolo 9
*** - he knows the ending, but he can't do anything about it. ***


You don't even know.
 

Mi rigirai fra le lenzuola e buttai una gamba fuori da esse, ispirando profondamente e sbuffando verso l'alto per scacciare una ciocca di capelli ribelle.
Controllai per l'ennesima volta: la finestra era aperta. Ma allora perchè sentivo così caldo?
Ecco una cosa che odiavo profondamente della leucemia: le sudorazioni notturne. Erano molto frequenti e non mi davano quasi mai tregua.
I miei occhi andarono in cerca dell'esile orologio che era legato al mio polso e intuii dalla posizione delle lancette fosforescenti che si trattava solo delle nove e undici. Ero andata a letto presto, davvero molto presto.
Scostai totalmente il leggero velo che mi copriva e detestai il mio pigiama che in quel momento appariva del tutto troppo accollato. Incrociai le gambe sotto di me e appoggiai le spalle allo schienale, voltando il capo verso il comodino, ritrovandomi a fissare il mio cellulare.
Lo presi in mano e scorsi pigramente la breve rubrica, fino ad arrivare al numero più recente: Nick Jonas.
E se lo chiamassi? fu il mio primo pensiero, seguito subito dopo da Ma per favore, cosa sto dicendo. Non avrà minimamente voglia di sentirmi, non ne ha mai avuta. Ha solo pena di me e oggi ha già fatto abbastanza. ricordai poi la giornata passata in cui la nostra unica conversazione significante era stata quella nella sua macchina rombante.
Alzai lo sguardo dal display e mi passai una mano sulla fronte imperlata di sudore, spostando i capelli dal collo per donargli un po' di sollievo.
Oh, al diavolo. Tanto fra nove mesi muoio. e così premetti la cornetta verde. In un istante. Un attimo dopo però realizzai quanto fosse stata stupida la mia idea e cominciai ad entrare in iper ventilazione.
Quando il primo Tuu raggiunse il mio orecchio destro, il battito del mio cuore accelerò notevolmente e il caldo cominciò davvero a farsi sentire, mentre la sudorazione aumentava fredda.
Un fantastico contrasto, no?
Ipotizzai di mettere giù immediatamente, ma fui fermata dalla paura che lui vedesse un mio squillo e pensasse che volevo che mi richiamasse, perchè non avevo voglia di spendere soldi. Sarebbe stato tremendo fargli pensare che volevo altra beneficenza.
Così rimasi ferma, con gli occhi a palla e l'ansia che aumentava ad ogni squillo. Socchiusi le palpebre e cominciai a sussurrare preghiere sconnesse. «Ti prego, non rispondere. Ti prego.»

«Pronto?»  la sua voce sembrava sconcertata ed io mi morsi la lingua con ferocità, punendomi amaramente. «Nick? Emh, sono Jane. Quella.. leucemica.»
Brillante inizio, pensai sconvolta: Ciao, sono quella leucemica, ma che mi è saltato in mente? Quante Jane vuoi che conosca?

Lo sentii ridacchiare sommesso dall'altra parte dell'apparecchio acustico. «Lo so chi sei, ho il tuo numero memorizzato.»
Io passai il cellulare dall'altro orecchio, perchè ormai quello destro era bollente, come la mia faccia. «Già. Mmh, bene.» supplicai mentalmente che iniziasse lui una conversazione, per dimenticare il fatto che ero stata io a chiamarlo, ma ciò purtroppo non avvenne.
«
Jane, c'è un motivo particolare per cui mi hai chiamato?» arrivò dritto al punto senza troppi giri di parole e io mi sentii avvampare internamente. 
«Io..» vagai con lo sguardo nella stanza, nella disperata ricerca di trovare qualcosa che mi ispirasse, ma a causa del buio non riuscii a trovare molto. 
Poi sentii un suo sbadiglio bloccato a metà probabilmente dalla sua mano educata e così sparai la prima cosa che avevo in testa. «Sì, ecco, volevo dirti che la maggior parte dei nastri audio con le risate registrate che spesso mettono nei film, sono state fatte intorno al 1950 e questo significa che le persone che tu senti ridere in verità, beh, sono perlopiù morte.»
Un momento di silenzio, in cui probabilmente lui si chiese se io stessi bene a livello di salute mentale, ed io invece mi torturai la fronte, corrucciandola al massimo.
Un lieve colpo di tosse da parte mia, per assicurarmi che lui fosse ancora dall'altra parte. Avvertii il suono del riccio che dischiudeva le labbra. «Sbadigliare è contagioso. E' un fatto psicologico: anche leggere di qualcuno che sbadiglia potrebbe portarti a farlo, con il 50% di possibilità.»
Dentro di me tirai un sospiro enorme, ma poi mi chiesi perchè lo stesse facendo e se avessi dovuto continuare con la messa in scena. Fortunatamente continuò lui la conversazione, senza lasciarmi il tempo di reagire totalmente.
«Mi dispiace per oggi. Non volevo che vedessi quella scenata, non è da me.» cominciò serio, abbandonando l'argomento di prima con facilità. «Oh, no, non ti scusare. Non sarei dovuta venire.» rimandai tutto d'un fiato, mentre un briciolo di felicità cominciava a farsi spazio dentro il mio corpo.
«Cosa fai domani?» la domanda mi arrivò completamente inaspettata e per un attimo trattenni il respiro. Portai le ginocchia al petto e mi scostai una ciocca di capelli sulla fronte. «Niente. Tu?»
«Tutto.» fu la sua breve risposta: effettivamente essere una rockstar doveva avere i suoi svantaggi. «Però la sera sono libero. Magari potremmo mangiare insieme.» disse poi, mentre lo sentivo che si spostava probabilmente e si metteva seduto da qualche parte.
Io strabuzzai gli occhi e deglutii silenziosamente. «Perchè no?» affermai cercando di sembrare abituata a questo di genere di cose. «Per le otto?» domandai con finta disinvoltura.
Una risatina breve e poi il suo consenso. Decisi di non chiedergli il perchè del suo divertimento. «Ti passo a prendere io.»
Annuii piano, anche se sapevo che non mi avrebbe potuta vedere in alcun modo. «Perchè lo fai?» Ecco, ancora una volta avevo rovinato tutto. Perchè non potevo semplicemente godermi la situazione e fregarmene del resto?
Passarono almeno sette secondi - che io contai - in cui lui rimase in silenzio e, credetemi, sono tanti. «Sempre per lo stesso motivo, penso.» era sincero. 
Da una parte questo mi fece provare molto dolore, ma dall'altra apprezzai il fatto che lui non mi mentisse, almeno in quello.
«Devo andare, scusa.» mormorai leggera e feci per allontanare il telefono dal mio padiglione auricolare, quando la voce di Nick si fece strada anche a distanza. «Jane?»
Io riavvicinai l'apparecchio e mormorai un Sì? abbastanza patetico. «Alle otto, allora.» constatò insicuro, a mezza voce.
Un fragile sorriso a bocca chiusa si disegnò sul mio volto. «Alle otto.»

*

«Non è un appuntamento, nonna.» insistetti stringendomi nell'accappatoio, per poi chinarmi con la schiena e scuotere i capelli bagnati, strofinandoli forte con un asciugamano.
Lei, dal suo canto, rimase seduta sulla sua sedia a rotelle, vicino al mio letto, fissandomi scettica e inarcando un sopracciglio perplessa. Io sbuffai e buttai la testa indietro, rialzandomi.
«E che cosa sarebbe, se no?» domandò quasi sarcastica, ma io decisi di ignorare il tono. «Lui ha pena di me e mi porta fuori perchè si sente in colpa per ieri.»
Ovviamente le avevo già raccontato tutto del giorno precedente e lei si era precipitata da me - attraverso l'aiuto della sua vicina di casa, che gentilmente l'aveva accompagnata in macchina e le aveva offerto un taxi per disabili per il ritorno - in modo da potermi supervisionare sul look.
Lei borbottò spazientita e spinse la sedia più vicino a me, aprendo l'armadio e osservando vispa i miei più che comuni vestiti. «L'hai almeno detto a tua madre?»
Io annuii convincente, ripensando alla sua reazione esagerata: voleva davvero che io mi divertissi, voleva davvero che io fossi felice durante la fine della mia vita.
«Che ne dici di questo?» tirai fuori dei pantaloni neri ed una maglietta bianco panna, poi ci abbinai delle ballerine del medesimo colore. Le mostrai il tutto e lei sembrò soddisfatta.
Saltellai fino al bagno e mi asciugai i capelli di fretta, lasciandoli bagnati leggermente sulle punte, così sarebbero diventati abbastanza mossi in quei punti.
«Non fare la brava, mi raccomando!» mi urlò dall'altra stanza lei, mentre io mi infilavo di fretta i vestiti e davo un'occhiata veloce all'orologio.
Feci una piroetta e mi presentai di fronte alla mia anziana nonna, successivamente piegandomi in un goffo inchino che sarebbe dovuto sembrare aggraziato.
Lei applaudì con la sua - incredibile per la sua età - grande energia ed io le mandai uno sguardo abbastanza sicuro, più per incoraggiare me che lei.
«Un'ultima cosa, Jane.» Io mi voltai e la fissai con sguardo interrogativo, dopo aver fatto qualche passo verso la porta della mia camera. «Sì?»
Lei sembrò pensarci qualche secondo e per un attimo mi convinsi che si fosse persa nelle sue riflessioni, quando di scatto come si risvegliò e tornò a guardarmi.
Con una faccia seria e un tono di voce talmente basso che feci fatica a sentire le sue parole, lei disse: «Se mai ti trovassi nel bel mezzo di una sparatoria: sdraiati per terra e fingi di essere morta.»
Un sorriso di compassione mi incrinò le labbra. «Stai tranquilla, nonna.»

 
*
E' stupido avere paura. 
Giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, mi accorgo sempre di più di quanto sia inutile ribellarsi al proprio destino.
Io non lo so se ci credo al destino: però so anche che una ragione percui morirò ci deve essere per forza.
Da piccola ho chiesto a mia madre il motivo per cui Dio non interveniva, per cui non aveva salvato papà.
Ogni tanto mi riscopro a domandarmi anche: perchè Dio non ha pietà di me?
Ma la risposta la so già ed è la stessa che mi ha dato mia madre quando ero solo una bambina.
«Le nostre vite per Dio sono come un film che sta riguardando per l'ennesima volta. Sa benissimo come andrà a finire, ma non può fare nulla per cambiare le cose.»
Mi era piaciuta moltissima come risposta, lo trovavo giusto; incredibile come ora mi sembri solamente sbagliato.
Ingiustizia. Ecco un'altra parola che descrive bene pensieri che ho verso la mia malattia.
In verità non è sempre così, non sempre penso che sia tutta un'ingiustizia. Molte volte dentro di me qualcosa mi sussurra che io lo so il perchè, che è colpa mia.
Mi avevano detto che mi sarei avvicinata moltissimo alla religione, mi avevano avvertita.
Ed effettivamente c'è qualcosa che mi lega in modo profondo a Lui, qualcosa che prima non si era mai fatto sentire: nemmeno dopo la morte di mio padre.
Forse perchè è l'ultima cosa che mi rimane, oltre a mia madre e a mia nonna. Ah sì, c'è anche Snasante. 
Qualcuno potrebbe dirmi: «E i tuoi amici?» Non ne ho. E non so il perchè; ma d'altronde - mi sono appena resa conto - io non so il perchè di nulla.
Nessuno mi ha mai detto di essere antipatica, sono sempre considerata gentile da tutti. Peccato che io attraversi le persone come un fantasma.
Non lascio mai il segno, su niente e nessuno. Nemmeno un impressione negativa, nemmeno una brutta reputazione, nulla.
Perchè?
Spero che in Paradiso tutti i miei dubbi vengano risolti. 
 
*
 
Seduta a gambe incrociate sul gradino dell'entrata di casa mia mi maledivo silenziosamente per esserci cascata.
Le persone mi passavano accanto lente e qualcuno mi degnava di uno sguardo fugace, una di quelle occhiate curiose attraverso le quali la gente spera di intuire almeno una piccola parte della vita degli estranei.
Tirai fuori il cellulare e finsi di fissare il display per evitare di sostenere facce imbarazzate. Davvero immaginavo che sarebbe venuto? Che illusa.
Controllai l'ora: trentadue minuti di ritardo. Non è quel genere di tempo che ci si mette se si rimane bloccati nel traffico o l'asciugacapelli non funziona, no. Sono trentadue minuti, cavoli.
Eppure io ero ancora lì, tenendomi le ginocchia con le mani ad aspettare che lui arrivasse, come se non avessi ancora perso la speranza. Che sciocchezza, la speranza io non l'avevo mai avuta e non solo in quello.
Decisi di aspettare ancora cinque minuti, poi sarei risalita su per le scale e probabilmente avrei affogato i miei dolori nel cuscino: cosa avrei raccontato a mia nonna? E a mia madre?
Ci sarebbero rimaste così male, non potevo farlo. Magari avrei potuto fare un giro per la città da sola per poi tornare a casa e raccontare che era andata bene, ma non ci saremmo più rivisti, perchè.. Perchè lui partiva per un tour, esatto.
Mentre formulavo questi pensieri, estrassi dalla tasca dei miei pantaloni le chiavi di casa, mi alzai e mi diressi verso il portone, faticando per trovare la chiave giusta.
Mi venne in mente che probabilmente l'unico che avrebbe potuto sapere la verità sarebbe stato Snasante, ma non credo gli sarebbe importato molto.
«Ti arrendi così facilmente?» presa dai miei pensieri come ero in quel momento, infilai la chiave nella serratura e la feci girare senza neanche voltarmi o accorgermi di chi fosse quella voce proveniente da dietro me.
«Non è che ci sia molto per cui combattere.» risposi distratta e diedi uno spintone alla porta per aprirla, per poi girarmi a guardare finalmente il mio interlocutore.
«Secondo me invece dovresti farlo.» insistette Nick, rivolgendomi uno sguardo serio, che non mostrava segno di scuse o dispiacere. Un moto di rabbia mi inondò e mi chiesi perchè mi fosse venuto solo in quel momento e anche perchè mi arrabbiassi così spesso in sua compagnia.
«Io..» balbettai per un istante, ma venni subito interrotta da lui: «Dai, coraggio. Dimmi veramente cosa pensi, insultami e prendimi a pugni.» Rimasi ancora più sconvolta di prima.
Sentivo il calore prendere il sopravvento e le dita inumidirsi per il sudore. Tuttavia da fuori il mio aspetto doveva apparire abbastanza fragile e innocente, perchè appena dischiusi le labbra per parlare, lui si voltò dall'altra parte e cominciò a camminare via, borbottando: «Ah, lascia perdere.»
A quel punto non risposi più delle mie azioni e lo afferrai per una spalla - non curante del passante che mi lanciò un'occhiata perplessa dall'altro lato della strada - e lo costrinsi a girarsi, anche se con poca forza.
«Senti, signorino io.sono.un.gran.figo.e.tu.no davvero pensi che io sia così stupida? Mi merito almeno delle scuse, oppure tu potresti farti male scendendo dal tuo piedistallo? Per non parlare del fatto che non ti ho nemmeno chiesto io di uscire insieme, ma l'hai fatto tu! Tu, non io, chiaro? E ora vieni qua, con mezz'ora di ritardo, senza alcuna spiegazione e mi dici pure di insultarti? E pensi che io non lo possa fare, non è così? Beh, ti sbagli perchè se proprio lo vuoi sapere, io penso che tu sia soltanto un grosso pallone gonfiato e per dirla tutta non trovo nemmeno che i tuoi capelli siano questo gran spettacolo.» feci una pausa per respirare e notai che lui mi guardava perplesso per la mia ultima frase «Sì, ho fatto delle ricerche anche io e a quanto pare tutte le tue fans ne vanno pazze.»
E per concludere quello che a me pareva un fantastico monologo, con la mano destra gli diedi una spinta all'altezza del petto, facendogli quasi perdere l'equilibrio.
Dopo aver smaltito la rabbia, un grosso senso di stanchezza prese il sopravvento e all'improvviso tutto cominciò ad annebbiarsi e dopo pochi secondi solo il nero popolava la mia mente. 


 
*
 
Ehiehiehi. 
Indovinate, indovinate?
Soooono tornata. E ho anche un sacco di cose da dire.
a) Mi dispiace tantissimo per non aver postato l'ultimo capitolo di Yours, forever. ma giuro che lo farò, parola di scout.
b) Tutte le persone a cui dovrei recensire varie storie o altro, potrebbero farmi il favore di postare nei commenti il link di cosa devo andare a leggere? 
Così mi rimetto in pari, scusate, ma non mi ricordo proprio tutti - stupida memoria - e avrei bisogno che me lo ricordaste voi!
Quindi scrivetemelo, ecco qua. 
c) Vorrei davvero ringraziare tutte le persone che leggeranno questo capitolo ugualmente anche se è passato veramente tanto tempo.
Non ci posso credere, mi avete veramente aspettata! Sono commoooossa.
I loved you then, I love you now, I'll love you always.

Vero, Lee, Emy,  . + Charlie, Gabrielle, Sonny,  .
A.

 

  

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Capitolo 10
*** - let's spit the hot fire of truth. ***


You don't even know.
 

Nero. Rosso, verde, giallo, bianco.
Puntini di tutti questi colori su uno sfondo scuro.
Poi una strana sensazione alla testa, come se qualcosa di freddo fosse stato a contatto con la mia fronte: mi ricordai improvvisamente di possedere la vista e mossi leggermente le palpebre.
Un piccolo spiraglio di luce si aprì e instintivamente richiusi le palpebre per il fastidio, ma poi feci un secondo tentativo: le immagini sfocate e confuse vibrarono di fronte a me e mano a mano che la nitidezza aumentava, io recuperavo la restante parte dei miei sensi.
Mossi una mano piano, poi respirai più fortemente e vidi una figura ancora leggermente scura avvicinarsi verso di me, ma solo dopo un po' il mio udito si risvegliò e mi giunsero le esatte parole.

«Jane? Sei sveglia?» domandò Nick, finalmente riconoscibile. Non risposi, ancora piuttosto scombussolata e mi portai una mano alla fronte: sopra vi era posizionata una sacca del ghiaccio. Attorno a me c'era quella che poteva passare per una comune camera da letto, un po' formale, ma moderna e semplice. Mi accorsi di trovarmi in un letto dalle lenzuola sottili e celesti, così cercai di tirarmi su per vedere meglio. Nick mise il cuscino dritto dietro le mie spalle per farmi appoggiare e mi tolse il ghiaccio dalla testa, senza parlare. Aspettò un po' e poi si mise seduto su una poltroncina vicino al materasso su cui probabilmente era stato tutto il tempo. Ritrovai finalmente la voce e puntai il mio sguardo su Nick: «Sono molto confusa e ti chiedo di rispondermi semplicemente con dei sì e dei no, per evitare di attorcigliarci e di farmi venire un malditesta pazzesco.»
Feci una breve pausa in cui lui continuò a sostenere il mio sguardo e così procedetti: «Per strada, quando ti ho urlato contro, ho perso i sensi e sono svenuta.» 
«Sì.» Sistemai meglio il cuscino dietro di me. «A quel punto, non sapendo cosa fare, hai deciso di portarmi a casa tua e mettermi nella..» Mi soffermai per guardarmi intorno.
«... camera degli ospiti?» Lui annuì piano. «E offrirmi le tue migliori cure finchè non mi fossi svegliata.» Lui accennò un assenso con il capo. «Tutto ovviamente perchè ti faccio pena.»
Lui rimase in silenzio, ma i suoi occhi parlavano per lui. 
«Prevedibile.» Commentai distogliendo lo sguardo, ma lasciando trasparire dell'amarezza.
Nick incassò il colpo e non rispose, cosa che invece mi aspettavo: forse non era così tanto prevedibile. 
«Vedo che sei ancora arrabbiata con me.» sussurrò poi mettendo una mano sul suo ginocchio.
Alzai un sopracciglio scettica: 
«Non era proprio quello che volevi?» domandai con ironia, girando di scatto la testa. La rabbia non era affatto passata, no.
«Ti sbagli, è solo che io detesto le persone che si fingono diverse da quello che sono. Tu ti sai difendere, quindi smettile di avere sempre quell'aria da martire. Volevo solo constatarlo.» Aprii la bocca come per esprimere un Mi prendi in giro, vero?«Da che pulpito viene la predica! Tu sei qua, a fingere che ti importi di me, quando in verità lo fai soltanto per la tua coscenza! Beh, sai cosa ti dico? La tua beneficenza non è gradita, quindi lasciami in pace e basta!» mi ritrovai ad alzare la voce, come poco tempo prima sul marciapiede.
Lui non distolse lo sguardo e si grattò la testa: 
«Sei stanca, si è fatto tardi e devi avvisare i tuoi parenti del fatto che sei qui.» si alzò e mi lasciò delicatamente il cellulare accanto alla mano, sul materasso.
Poi senza dire una parola uscì dalla porta e la richiuse dietro di sè, lasciandomi ai miei sensi di colpa, che come al solito arrivavano sempre troppo tardi.


*
 
Appoggiai i piedi sul parquet freddo, mentre il mio sguardo si puntava oltre il vetro della finestra poco distante e si soffermava ad osservare il mondo esterno.
Tutto era grigio, le nuvole scure e nessun raggio di luce solcava la superficie della volta celeste, fatta eccezione per quel piccolo spiraglio in cui l'arancione bluastro prendeva posto, come per farmi capire che non era passato molto dal momento in cui ero svenuta.
Ripensai alla voce preoccupata di mia madre al telefono, al suo monologo sul perchè doveva venirmi subito a prendere e al suo chiedermi se fosse il caso di chiamare il medico.
Alla richiesta avevo acconsentito, alla domanda invece no. Sì, volevo tornare a casa il più presto possibile. No, non avevo bisogno di un medico.
Le mie condizioni, infatti, d'un tratto sembravano passate tutte in secondo piano: la malattia, i suoi effetti e tutto ciò che la riguardava non mi sfioravano più la mente, lontane per qualche momento.
Tutto ciò che sapevo era che non mi ero del tutto pentita di aver risposto così male a Nick, ma un peso opprimente nel petto sembrava dimostrarmi il contrario.
Mi alzai piano dal letto e fui presto raggiunta da un lieve giramento di testa, ma non mi fermai e, s'eppure barcollando, raggiunsi il bordo della finestra, per poi sedermici sopra, parallela al vetro.
Fui allettata dall'idea di aprirla almeno in parte, per lasciarmi colpire dal vento freddo e sentire qualcosa che non fosse caldo e pressante, come i miei sensi di colpa. Ma nello stesso momento in cui le mie dita sfiorarono la maniglia argentata, fui distratta.
«Detesto quando il cielo diventa così. Detesto l'aria che sembra appannata, le nuvole sporche e ancora di più come si comportano le persone quando il clima peggiora.»
Girai la testa e trovai un Nick corrucciato, appoggiato con la spalla destra allo stipite della porta, fermo sulla soglia. Non un passo in più, non un passo in meno.
Non potei fare a meno di lasciarmi sfuggire una risata, mentre pronunciavo la mia risposta. «Come hai detto?» chiesi, per poi balzare giù dal bordo della finestra e tornare a sedermi a gambe incrociate sul letto.
Nick non perse la sua espressione imbronciata e un po' melanconica e si ripetè: «Ho detto che non mi piace questo tempo, che è..» Lo interruppi istantaneamente, per velocizzare le cose.
«No, la parte sull'aria.» dissi per poi voltarmi a guardarlo. Portai un ginocchio all'altezza della mia bocca e appoggia il viso al di sopra di esso.
Lui cercò di sostenere lo sguardo e ci riuscì bene, anche se la sua mimica facciale ora era più sul confuso, che sul rimuginante. «Che l'aria sembra appannata? Come quella delle metropoli.»
Continuai a sorridere, anche se più debolmente. «Sì. Sì, è così.» Appannata? Non avrei saputo descrivere meglio l'aria di una città. Come avevo fatto a non pensarci prima?
Lui intanto non accennò un solo movimento e sembrò perso nei suoi pensieri quanto me, ma io, troppo presa dalle mie riflessioni, non ci feci molto caso.
Finchè non decise di proferire parola di nuovo e io fui costretta a staccarmi, almeno per metà, dalla mia fantasia. «Ho sentito che tua madre sta venendo a prenderti.»
Annuii piano, ancora troppo assente per dargli veramente retta e non mi disturbai nemmeno di tornare a guardarlo negli occhi. Cosa che non credo gli diede molto fastidio, anche perchè con la coda dell'occhio sinistro riuscivo a vedere che aveva perso la sua solita sicurezza e sembrava essersi inarcato. Dentro di me però una voce continuava a susssurrare Ha origliato?
«E' un vero peccato. Insomma, non ti ho nemmeno offerto da mangiare.» aggiunse dopo poco e a quel punto decisi di dedicargli la mia attenzione, mentre lui sotto il mio sguardo si raddrizzava e toglieva le mani dalle tasche dei jeans blu scuri.
Dai miei occhi gli feci intendere che non avrei detto nulla e lui capì che era meglio arrivare dritti al punto. Così, senza troppi giri di parole, cercò un contatto visivo, riuscendo senza poi tanta fatica e si decise a esprimersi chiaramente.
«E' ancora troppo tardi per chiederti di restare?»


*
 
Seduta ad un lato del tavolo, osservavo Nick davanti a me, girato di spalle, mentre posizionava il coperchio sopra una pentola piena d'acqua bollente e cercava il sale da qualche parte nella dispensa.
Si muoveva veloce da una parte della cucina all'altra, lanciandomi occhiate di sfuggita e evitando accuratamente di sfiorarmi durante i suoi passaggi. Dal canto mio, non ci avevo messo troppo ad acconsentire al suo invito e ad acconsentire a passare la serata da spettatrice, mentre lui preparava qualcosa da mangiare al volo, perchè ormai non era più tanto presto.
Convincere mia madre era stato leggermente più difficile, ma dopo che Nick si era fatto passare il telefono e aveva mormorato qualche frase in tono caldo e rassicurante, perfino lei era rimasta incantata come una delle sue fan.
«Giochiamo.» sentenziò lui, sedendosi di fronte a me, con le mani congiunte a poca distanza dai miei gomiti. Inclinai il viso da un lato, mostrandomi interessata e intimandogli di spiegarsi.
«Io ti faccio una domanda e tu sei obbligata a rispondere, altrimenti penitenza. E viceversa, ovviamente.» Esitai, ma poi fui convinta dal pensiero che così avrei potuto conoscere qualcos'altro di lui e, dopotutto, era un personaggio interessante.
«Comincia tu.» gli dissi, cercando di non farlo suonare come un ordine, anche se in verità un po' lo era. Lui sorrise e si appoggiò allo schienale della sedia, toccandosi la punta del naso con una mano, per qualche secondo.
«Hai fatto delle ricerche? Cosa hai scoperto? Davvero non ti piacciono i miei capelli?» pronunciò l'ultima domanda enfatizzandola molto, scherzando sul fatto che a tutti piacevano i suoi capelli.
Portai due mani in avanti e assunsi una posizione di guardia: «Ehi, ehi, ehi. Avevamo detto una domanda, non mille!» Lui sorrise e mi diede ragione, fermandosi qualche secondo per poter riformulare tutto meglio.
«Cosa hai scoperto dalle tue ricerche, se le hai fatte veramente?» domandò di nuovo. Io riflettei un attimo e mi venne voglia di rispondere Tutto, ma mi bloccai in tempo, fortunatamente. Effettivamente ero stata tanto al computer la mattina dell'appuntamento e avevo cliccato ogni singola notizia, per essere sicura di saper ribattere in caso lui mi attaccasse. E ora che mi veniva in mente, mi era stato utile alla fine.
«Ho letto che da piccolo facevi Broadway, che hai una band con due dei tuoi fratelli, entrambi più grandi di te e che vi chiamate i Jonas Brothers. Ho letto anche che da poco però tu hai deciso di incidere qualcosa da solo, perchè le tue nuove canzoni erano abbastanza diverse al vostro genere solito. So che i tuoi punti forti sono la sensibilità e i tuoi famosi riccioli, che a me non piacciono troppo, devo dire.» Mi bloccai qualche istante, sopportando le occhiate inorridite di Nick, per poi scoppiare in una risata leggera. «Insomma, ti stanno bene, ma non ci trovo nulla di speciale. Ah, ho anche letto che non sorridi mai!» 
Lui mi accompagnò nella risata, confutando la mia ultima frase con solo quel piccolo gesto, e poi commentò scherzoso: «Il giorno in cui mi dimostrerai di essere sincera, me li taglierò.»
Dopo poco si alzò per scolare la pasta, ma continuò a parlarmi, cercando di non perdere il contatto visivo. «Non hai letto nulla sul mio essere un famoso ruba cuori?» 
Ignorai il fatto che quella era da considerare una domanda in più, ma decisi di graziarlo e stare al gioco ancora per un po'. «Oh sì. E di tutte le tue ex e delle canzoni dedicate e blablabla.»

Lui sorrise mentre versava il sugo di pomodoro sui fusilli fumanti e poi appoggiò il cibo al centro del tavolo, mimando un sarcastico inchino, come per dire Grazie, grazie, grazie.
Risi e intuii che fosse arrivato il mio turno. «Perchè non vuoi scrivere un'altra canzone? Da quanto avevo capito, tu eri uno di quelli che di brani, ne sfornava otto al giorno.»
Lui abbassò lo sguardo nervoso, cercando di mantenersi normale, mentre metteva la pasta nei nostri piatti. Beccato, pensai subito.
Aspettò qualche secondo e, una volta seduto di nuovo, mormorò con un tono di voce basso: «Penitenza.»
Arricciai le labbra in un sorriso soddisfatto e affondai la mia forchetta nel piatto, con l'aria di chi ha appena vinto qualcosa.
«Speravo dicessi questo.»



*

Vi prego non uccidetemi.
Lo so che avevo detto di essere tornata, mentre alla fine non ho combinato nulla.
Ma in quest'ultimo periodo non ho molto tempo per scrivere, mentre l'anno scorso il tempo non era affatto un problema.
Spero comunque che questo capitolo vi piaccia, ci ho lavorato sta sera ed è stato molto bello rincontrare Jane e Nick.
Jick mi mancava e non poco! O forse Nane? Bah, decidete voi. v.v
Sappiate che siete sempre lo stesso fantastici, che continuo a volervi bene e che se non fosse per voi, probabilmente questa sera non avrei scritto proprio un bel niente.
Quindi sì, le recensioni sono un incoraggiamento unico, ahah!
Mi dispiace per l'attesa, davvero.
Vero, Lee, Emy,  . + Charlie, Gabrielle, Sonny,  .

A.

 

  

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Capitolo 11
*** - au claire de la lune. ***


You don't even know.
 

La luna era finalmente uscita allo scoperto, anche se due o tre bande di nuvole ancora cercavano di ostentare la sua bellezza.
L'odore della terra fresca sotto le suole delle mie scarpe mi alleggeriva il corpo e la distesa d'erba davanti a me, andava sempre più espandendosi, fino a formare una specie di triangolo in cui io ero al vertice. Non mi ero cambiata i vestiti, ma Nick aveva detto che non ce n'era bisogno. Il freddo mi entrava nelle ossa, tuttavia, ma non era un grande dispiacere.
Posai lo sguardo sul ragazzo con un cappellino dei Lakers in testa e lo osservai mentre si riscaldava le mani, strofinandole entrambe quasi aggressivamente. Non indossava nessuna divisa, come me.
Si decise a voltarsi e mi sorrise debolmente. «Davvero vuoi che ti insegni a giocare a baseball?» fu la prima frase che pronunciò, da quando eravamo arrivati in quel campo pratica che lui, come mi aveva detto, solitamente usava per allenarsi con gli amici ai lanci.
Mi afferrai i gomiti con entrambe le mani ed espirai forte, solo per il gusto di vedere il vapore uscire dalla mia bocca. «No, Nick, ti ho costretto a venire qua solo perchè avevo voglia di morire ibernata.» commentai sarcastica, ma in un modo leggero e non offensivo.
«Okay, ma intanto continuiamo il gioco.» Non risposi nemmeno, perchè sapevo che quella era più un'affermazione che una domanda. Dopo qualche rapida spiegazione sul come farlo, mi apprestai, s'eppur premurosa e non più spavalda come prima, a impugnare la mazza da baseball nel modo corretto, come mi aveva mostrato lui.
Mentre cercavo di far scivolare le dita su quella superficie di legno ruvido, lui mi osservava da dietro. «Okay, ora vado dall'altra parte così ti tiro una palla e vediamo come te la cavi.»
Detto ciò si posizionò a qualche passo da me, non molto lontano, ma nemmeno troppo vicino ed io cercai disperatamente di non spostare la presa da come l'avevo posizionata prima. Ci scambiammo degli sguardi che stavano un po' a significare Pronti, partenza.. 
Fium, il rumore della mazza che colpisce il vento e la pallina bianca a poca distanza: non l'avevo nemmeno colpita. Aggrottai le sopracciglia confusa e dentro di me mi rimproverai per la figuraccia. Ma era così veloce, dannazione!
«Non ti preoccupare, capita spesso le prime volte. Sei pronta?» Io annuii e cercai di colpire con più forza, ma anche quella volta i miei tentativi furono vani.
Nick non disse niente e recuperò un'altra pallina da un cesto rosso metallico dietro di lui, che fino a quel momento non avevo notato e ripetemmo la stessa azione: con gli stessi scarsi risultati. E poi un'altra volta. Di nuovo. E ancora.
A quel punto ero davvero arrabbiata, sentivo le mani sudate e la fronte accaldata, così tanto che all'ennesimo lancio mancato emisi uno strano suono, come un ringhio soffocato e buttai la mazza a terra, rivoltando il viso verso il cielo nebbioso.
Nel momento in cui tornai a guardare di fronte a me, Nick era sparito e al suo posto rimaneva solo il cesto rosso, colmo ancora per metà di palline. Poi sentii qualcosa, dietro di me, all'altezza di entrambe le orecchie e fu come se qualcuno ci avesse infilato qualcosa dentro.
No, non come. Qualcuno aveva infilato davvero delle cuffie nei miei padiglioni auricolari. E posizionato un iPod nella tasca frontale dei miei pantaloni; lo sentivo premere a destra sulla mia coscia.
Ne ebbi la conferma quando una melodia composta di solo piano iniziò a volare dentro la mia mente, sbattendo le note come delle ali.
La rabbia cominciò a svanire, man mano che i tasti si susseguivano l'uno all'altro, prendendo posto nel mio corpo. Fui tentata di chiudere gli occhi, ma la vista di Nick che si posizionava di nuovo al suo vecchio posto, mi fece risvegliare.

Con un cenno del capo mi invitò ad aggrappare meglio la mazza e con un altro movimento impercettibile, mi comunicò di essere pronto. Dopo poco la palla era in aria, ma qualcosa era diverso.
Il suo volo corrispondeva a quello della musica nel mio cervello, erano perfettamente sincronizzati e mi sentivo molto meno impaurita.. Piuttosto, sentivo di avere la situazione sotto controllo.
Era come se tutto andasse insieme a quella colonna sonora dolce e io avessi tutto il tempo per afferrare la pallina. E infatti fu così: Toc, la mazza colpì la piccola sfera bianca che si precipitò distante.
Alzai lo sguardo, seguendola con trepidazione, finchè con un sonoro, ma comunque leggere tonfo lei andò a finire dall'altra parte del campo. Solo a quel punto mi sfilai una cuffia per sentire le parole che mi stava rivolgendo Nick che, a giudicare dall'espressione, pareva molto contento.
«Ce l'hai fatta! Ce l'hai fatta!» ripetè, buttando a terra il cappello e spiccando qualche saltello per raggiungermi. Dal canto mio, io mi sentivo ancora un po' imbambolata per via della canzone che ancora suonava lenta nell'altra cuffia, finchè non decisi di sfilarmi anch'essa.
«Com'era?» chiesi intimorita da tutto il suo entusiasmo. Lui tirò su la mano destra ed io gli battei il cinque contenta, mentre sentivo le sue parole allegre. «Era perfetto! Bastava solo lasciarti andare.»
Sorrisi contenta di aver vinto quella battaglia interiore e lasciai cadere la mazza a terra, abbastanza stanca dopo tutto quel movimento. Lui tornò serio e si rinfilò il cappellino in testa, continuando ad osservarmi.
Dopo un po' mi stufai di quelle occhiate indagatorie e, inclinando la testa in modo vistoso, gli domandai semplicemente, ma sempre allegra: «Che c'è?»
Nick sembrò accorgersi in quel momento di aver passato almeno venti secondi a guardarmi - e fidatevi, sono tanti - e si grattò il dietro del collo con la mano sinistra, un po' più impacciato.
«No, è che mi chiedevo solo perchè avessi scelto questa come penitenza. Insomma, avresti potuto ridicolizzarmi in mille modi.»
Improvvisamente il vuoto davanti a me parve molto interessante e distolsi lo sguardo da Nick per concentrarmi totalmente su quello. Dopo qualche esitazione, decisi di rispondere, perchè dopo tutto stavamo ancora facendo un gioco. «Non sono brava in niente. Volevo imparare a fare qualcosa prima di morire.»
La buttai alla leggera, ma distinsi chiaramente il suo corpo irrigidirsi di scatto al suono della mia risposta. Rimanemmo in silenzio per un po', finchè non mi voltai per chiedergli che ore fossero.
Lui si controllò l'orologio al polso e mi rispose cautamente, forse ancora un po' in imbarazzo: «Mezzanotte e quattro minuti.» Io inizialmente mi rabbuiai, ma poi sorrisi in modo abbastanza dolce.
«Meno uno.» mormorai piano, senza guardarlo negli occhi, mentre di nuovo mi concentravo sul vuoto di fronte a me. Nick si mostrò confuso e mi chiese a mezza voce: «Meno uno di cosa?»
Mi girai totalmente dalla sua parte, giocando con i bordi e la cerniera della mia giacca leggera. «Meno un mese. Oggi è il primo Novembre.»


*


«Au clair de la lune, mon ami Pierrot.»
Tre ore dalla trasfusione.
Vi prego, voglio solo che smetta. Non ce la posso fare, fatelo finire. Dentro di me queste parole si ripetevano all'infinito, mentre il dolore straziante opprimeva la mia forza e mi impediva di pronunciarle ad alta voce. Nero: una lampada, la mia camera da letto, le tende accostate una all'altra.
Non ero abbastanza forte, non lo ero mai stata. Il mio unico desiderio era quello di cessare quel malessere impermeabile ai miei vani sforzi per resistergli. Nero: la mano di mia madre che mi accarezzava lentamente la fronte con la punta delle dita.
Abbassai le palpebre definitivamente, per evitare quei flash scuri che mi colpivano da un momento all'altro. Sentii l'angolo esterno del mio occhio destro cominciare a bagnarsi.
«Prête-moi ta plume, pour écrire un mot.» la ninna nanna in francese di mia madre risuonava lontana, quasi ovattata. Non conoscevo il significato di quelle frasi e forse nemmeno lei, ma non importava. Era abituata a cantarmela ogni volta e a me piaceva pensare che mi facesse stare meglio, mentre rannicchiate nel mio letto mi sussurrava quei dolci suoni. 
Ogni volta in cui mi curavo. Ogni volta in cui il dolore raggiungeva i limiti e li sbriciolava come pane croccante.
D'improvviso del filo spinato cominciò a delineare il contorno della mia testa, fino a formare una strana corona immaginaria che mi graffiava la mente, che mi pungeva.
«Ma chandelle est morte, je n’ai plus de feu.» Con la stessa velocità con cui erano arrivate, le spine cominciarono a premere da tutti i punti della circonferenza poco prima disegnata, causandomi un malditesta indescrivibile. Si spingevano sempre più in fondo. Provai a portarmi la mano sinistra sulla fronte, ma mi accorsi di essere troppo debole anche solo per muovere un dito.
Combatti, fu l'ordine dettato dal mio cervello. Subito dopo però la logica mi ricordò che provavo sempre a combattere, ma che i miei tentativi non erano mai stati premiati.
A poco a poco, il nero dentro i miei occhi si andò sfumando. Anzi no, degradando: sempre più. Nel frattempo le spine non avevano smesso di avanzare e una volta arrivate al nucleo, finirono per causare un'esplosione di dolore indescrivibile, paragonabile allo scoppio dei fuochi d'artificio.
Bianco.
Poi un battito d'ali di farfalla, al chiaro della luna.

«Ouvre-moi ta porte, pour l’amour de Dieu.»


*
 

Il rumore delle uova che friggevano nella padella era l'unica cosa a tenermi compagnia quel giorno, fatta eccezione per Snasante che giaceva acciambellato in un angolo del salotto, probabilmente stufo di quel freddo rigido tipico di Novembre.
Gli lanciai un'occhiata intenerita e tornai a strapazzare il contenuto della padella con una forchetta malandata, sussultando quando rischiai di bruciarle e renderne i contorni marrone scuri. Lentamente versai il contenuto giallo con striature bianche nel mio patto di vetro spesso e rivoli di fumo mi scaldarono le mani mentre accompagnavo il cibo con la forchetta fino a destinazione.
Da quando ero stata a casa di Nick, cucinare era diventato un po' più piacevole: il modo in cui lo faceva mi aveva affascinata, mi aveva fatto vedere nell'arte culinaria qualcosa in più dello sforzo e della poca voglia di applicarmi.
Mi accomodai a sedere, sentendo scricchiolare dolcemente il legno sotto di me, per poi afferrare una posata e gustare finalmente i miei sforzi. Da sola, perchè mia madre era a lavoro come al solito. Anche se erano delle semplici uova strapazzate, io mi ero divertita a danzare per la stanza, in cerca dell'olio o di quant'altro mi potesse servire.
In modo teatrale avevo rotto le uova e le avevo fatte scivolare sulla superficie levigata e con la stessa drammaticità avevo svolto le poche restanti azioni. Il sale, borbottai dentro di me, nello stesso momento in cui assaporai il mio magnifico pasto.. senza sale.
Possibile? Dovevo fare solo quattro passaggi e mi ero dimenticata di uno! Sbuffando mi alzai e con malavoglia raggiunsi la credenza, afferrando tra le dita il contenitore trasparente ricco di neve nitida.
Mentre svitavo il tappo d'argento, l'occhio mi cadde sul telecomando del televisore della cucina e per la prima volta in vita mia, mi venne in mente di trasgredire un po', anche se era più che altro solo un'abitudine. 
Perchè no? mi chiesi tranquilla e nel momento in cui la mia mano sinistra spargeva la neve granulosa sulle uova, quella destra accendeva un canale a caso, preparandosi poi a fare zapping per trovarne un buono.
Non dovetti cercare molto, infatti dopo qualche 'avanti' e 'indietro' annoiato, bloccai la mia forchetta in aria a qualche centimetro dalla mia bocca, mentre i miei occhi fissavano lo schermo inebetiti. Era ancora strano per me, vederlo all'interno di uno schermo. Eppure era lì, mentre sorrideva a bocca chiusa e ascoltava interessato le parole della conduttrice dai capelli rossi e lo sguardo caldo come quello di un cane appena sveglio. Come quello di Snasante. Ridacchiai: come quello di Elvis.
Ritornando a concentrarmi sulle immagini, mi decisi finalmente ad alzare il volume più che potei, abbastanza in tempo per sentirlo mormorare una risposta con lo sguardo sulle sue mani, tendenti a gesticolare vispe. 
«.. sì, questo progetto per me è abbastanza importante e penso che dovrebbe importare a tutti, perchè oggi è qualcuno che nemmeno conosci, ma domani è un tuo amico, un tuo parente, o peggio ancora tu. So che i miei fans collaboreranno come hanno sempre fatto con le donazioni per il diabete e non resterò deluso. Il tutto consiste nella raccolta di denaro per aiutare la ricerca alla cura di malattie come il cancro e la leucemia. Una buona percentuale del prodotto delle vendite del mio nuovo disco contribuirà appena sarà in circolazione l'album. Ti ringrazio Jenna, per avermi permesso di parlarne qui sulla tua trasmissione.»
Trattenni il fiato, mentre i suoni si annullavano non appena la conduttrice passava ad un'altra domanda e Nick sorrideva al pubblico con occhi gentili. Non sapevo cosa fare, cosa dire. Se essere arrabbiata, lusingata o semplicemente solo confusa. Decisi che l'aggettivo 'confusa' si accordava abbastanza bene con il mio stato d'animo in quel momento e premetti il pulsante Off del telecomando, rimanendo sola con le mie uova tiepide e Snasante che dall'inizio della vicenda, non si era spostato di un millimetro.
Finii di mangiare con il sapore di alluminio in bocca e lo stomaco compresso. Poi tutto ad un tratto smisi di chiedermi come mi sentivo a riguardo e altre domande cominciarono a galoppare nella mia mente pesanti come una mandria.
L'ha fatto per pubblicità o è stata davvero una sua idea? E' un altro modo di elemosinarmi?, ma soprattutto: Mi userà come esempio per mostrare al mondo intero com'è essere affetti da queste malattie?
No, questo no. Non volevo essere ricordata per quello; piuttosto preferivo non essere ricordata affatto. E lui non ne avrebbe avuto il diritto, non avrebbe potuto usarmi come modellino di scienze.
Non gli avrei nemmeno permesso di inserire il mio nome in una delle stupide biografie che si farà scrivere tra un paio d'anni: si intitoleranno 'Vita di un giovane e della strada per il suo successo' oppure 'Infanzia sotto i riflettori', ma anche 'Nick Jonas: un nome, una storia, milioni di fans'. Lui avrebbe dedicato un capitolo a com'era cambiato dopo aver conosciuto una persona con la leucemia, come ci aveva sofferto e come aveva deciso di tirare su un'impresa contro quelle malattie, perchè era ingiusto, dannatamente ingiusto. E non l'avrebbe scritto lui quel libro, anche se avrebbero fatto a credere a tutti che sarebbe stato così.
Io non ci stavo, non volevo e anche dopo la mia morte non avrei potuto sopportare niente del genere.
La finestra in salotto sbattè forte, causandomi un sussulto e i battiti di cuore accellerati come i piedini di un piccolo topo. Anche Snasante era balzato in piedi ed era rigido come un soldato, in allerta. Mi alzai e andai a chiuderla, combattendo contro la corrente d'aria gelata che mi colpiva dritta in faccia, trasportando i miei capelli fin dietro le spalle.
Lo sguardo mi cadde sul cielo grigio che persisteva da ormai una settimana, a partire dal giorno in cui avevo mangiato con Nick, e che incombeva minaccioso, senza alcuna intenzione di svanire.
Se fossi svanita in quel momento, probabilmente mi sarei ritrovata sopra una tempesta, abbastanza vicina da percepirla, ma abbastanza lontana da non poterla nemmeno sfiorare.
Oppure sarei svanita e basta.

*

Nuovo capitolo. 
Mi ci sono davvero messa su questo e mi sono anche molto lasciata trasportare dalle emozioni:
immedesimarmi in una persona completamente diversa da me
- quale è Jane - sta diventando sempre meno complicato.
Mentre scrivo ascolto la canzone più bella del mondo e vi consiglio davvero di cercarla, perchè è ispirante al massimo.
Parlando di canzoni, quella sul campo da baseball, di Jane e Nick è quella che mia sorella sta suonando da un bel po' in casa e mi piace davvero molto.
Mi trasmette mistero, nostaglia:
così ho deciso di farla diventare la bandiera di questa storia. :)
Vi amo tutte, ma specialmente..

Vero, Lee, Emy,  . + Charlie, Gabrielle, Sonny,  .
(Anche se Lee e Gabrielle non mi filano più e Vero manco. ç_ç)

A.

 

  

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Capitolo 12
*** - by the way, i do think of you. ***


You don't even know.
 

Mi piacevano molto gli universi paralleli, la rottura tra spazio e tempo, il non sense e tutto ciò che è privo di trama, luogo, orario, personaggi e azioni.
Erano qualcosa che non potevo afferrare, qualcosa su cui io spendevo il mio tempo per riflettere, ma che alla fine mi attraversava come l'aria entra nei miei polmoni, percorrendomi da capo a piedi. Tutto senza lasciare alcun segno visibile del suo passaggio.
Mentre pensavo a uno di questi argomenti, era come se io passassi in secondo piano, come se ci fosse qualcosa di molto più grande a sovrastarmi e tutta la mia realtà circoscritta fosse solo una bugia, una bugia detta per nascondere un segreto molto più frammentato.
Se venivo seriamente coinvolta da questi concetti, poteva anche capitarmi di provare paura: perchè tutto ciò in cui credevo improvvisamente non era più valido, tutti gli schemi in cui si suddivideva la vita erano stravolti da nuove concezioni ed ero costretta a rivalutare, anche solo per poco, tutto il mondo senza il tempo o lo spazio, oppure senza che i due coincidessero volutamente.
Era fuori dalla mia portata, fuori dalla portata di tutti: inafferrabile. Se sommassi la vita e la morte, cosa verrebbe fuori? 
Noi. Perchè mentre viviamo, moriamo. Più viviamo, più moriamo. Man mano che ci allontaniamo dalla bandierina iniziale, quella finale si fa più vicina e cominciamo a usare il carburante, fino a finirlo.. fino a morire.
E' buffo come tutto sia una presa in giro, come tutto non abbia senso, come tutto sia così dannatamente inafferabile.
Sto cercando di vedere il mondo attraverso un bicchiere di latte. E la parte divertente è che non è di certo questo a rendere ogni cosa così confusa.

 

*
 

Se fossi stata Jane la ribelle, sarei entrata di fretta e furia, non gli avrei permesso nemmeno di pronunciare metà della frase Posso spiegarti, gli avrei tirato uno schiaffo che l'avrebbe pietrificato con gli occhi puntati sul pavimento e avrei fatto un'uscita drammatica, con tanto di porta sbattuta. 
Se fossi stata Jane l’intellettuale, invece sarei stata io quella con lo sguardo a terra, poco al di sopra della punta dei miei piedi, ed una lacrima solitaria avrebbe solcato il mio viso in fretta e furia, finchè la mia mano previdente non l'avrebbe stoppata con un gesto goffo, ma con un qualcosa di tenero.
Oppure avrei potuto essere Jane l’alternativa, che non si sarebbe fatta alcun problema a tingersi i capelli di un altro colore, per dimostrargli quanto lui l'aveva ferita, ma anche quanto lei stesse voltando pagina per aprire un nuovo capitolo, di cui lui sicuramente non avrebbe fatto parte. A pensarci bene, Jane l'alternativa si sarebbe anche probabilmente tatuata la scritta: I hate you.

Ma purtroppo ero solo Jane. Così, mentre premevo il pulsante del citofono proprio accanto alla scintillante targhetta che indicava il suo nome, fui tentata di scappare via e lasciarmi tutto indietro, come il lampo fugge dalle nuvole, per non tornare mai indietro e svanire all'orizzonte.
Solo che poi mi venne in mente che quello mi avrebbe resa Jane la codarda e fra tutte le possibilità, quella era forse la peggiore che mi potesse capitare. 
«Chi è?» il suono metallico arrivò ben distinto dalla scatoletta color argento verso cui avevo teso l'orecchio e senza troppi affanni, la mia bocca si increspò per rispondere ad una domanda che mi facevo anche troppo spesso. «Sono Jane. Jane Kirstel!» aggiunsi il cognome, perchè era sicuramente più identificativo di un nome come il mio.
Dopo pochi secondi, il trillo e il rumore dello scatto dell'ingranaggio del portone fu come una doccia fredda per me: ci stavo andando, ci stavo andando veramente. 
Avete presente quando dicono che ogni passo si fa sempre più pesante, quando ci si dirige verso qualcosa di spiacevole? Ecco, può sembrare una sciocchezza, ma era vero.
Ogni centimetro cubo percorso, mi sentivo come una alunna che sta per essere interrogata in una materia per cui non si è poi così tanto preparata: cercando di riassumere velocemente, nel tragitto dal banco alla cattedra, tutte le informazioni che avevo per ripassare le mie poche nozioni.
Riassemblavo i pezzi del discorso che avevo preparato, ma loro sembravano essere poli opposti e non volevano riprendere il senso logico che cinque minuti prima avevano assunto.
«Oh mio Dio, è proprio un brutto momento, tesoro.» esordì l'uomo che mi aprì la porta di scatto, con aria tragica.
Sulla quarantina, quest'ultimo aveva un metro appeso intorno al collo, una lucida testa pelata che rifletteva la luce mentre si muoveva melodrammatica e l'abbigliamento di jeans neri, accompagnati da una maglietta bianca e un gilet, mi fece intendere che era decisamente gay. Decisamente, aggiunsi dentro la mia testa.
«E' Jane?» sentì urlare dalla stanza accanto da Nick, mentre rimanevo impalata sulla soglia della porta come un pesce rosso fissa oltre la sua boccia.
Il rumore di qualcuno che saltava a terra fece quasi prendere un infarto all'uomo che ancora ostentava ad invitarmi ad entrare, che prontamente urlò. 

«Tesoro, azzardati a rovinare il mio lavoro con i tuoi movimenti da rude bifolco e io ti infilo uno ad uno i miei spilli nelle guance!» esclamò brandendo un ago nella mano destra, manco fosse stato una mitragliatrice. «La tua amica arriva subito, aspetta là! Santo cielo, non ti muovere, per favore!» aggiunse con aria esasperata.
In tutto questo io ero stata ferma immobile, senza osare fare un minimo rumore, come a sperare di svanire nel nulla. Cosa che però non accadde, sfortunatamente.
Dopo poco, infatti, testa pelata si rese conto della mia presenza e mi rivolse uno sguardo dispiaciuto.
«Scusa tesoro, sono lo stilista di Nick e proprio adesso che dovrebbe stare fermo immobile, i suoi amici lo vengono a trovare! Poteva anche avvisarmi quel birbante..» disse più a sè stesso che a me e sorrisi quando sentii uno scorbutico Nick mormorare da dentro casa Non sono un birbante! «... comunque mi chiamo Paul. Oh che stupido! Entra tesoro, fai pure.»
Il sorriso che mi era comparso per l'intervento di Nick scomparse in meno di un istante. Se mi chiama ancora tesoro lo uccido, pensai. Una volta varcata la soglia, fui piacevolmente sorpresa dai vestiti di Nick.
O almeno da quelli che sarebbero poi dovuti diventare vestiti, credo. Era piuttosto buffo, ricoperto da quelli spilli e irrigidito come un pinguino che cammina.
Questo avrebbe reso più facile dirgli che non mi piaceva la sua elemosina e che assolutamente non la volevo; l'unico problema è che con Paul - tesoro - testa pelata, non avrei avuto molte chances di comunicazione.
«Jane, ehi! Non fare caso a.. beh, non so bene come chiamarlo.» mi salutò, lanciando uno sguardo fugace ai tessuti che aveva addosso. Testa pelata tossicchiò leggermente, per far notare il suo marcato disappunto.
Aprii la bocca per la prima volta da quando ero lì e lo salutai, cercando di mantenere la calma. Stavo per trovare il coraggio e spiegargli il motivo per cui ero piombata in casa sua, quando Paul battè le mani forti in aria e mi fece sobbalzare. Anche Nick sembrò raddrizzarsi, come un cane che vede un gatto. 
«Allora, vi lascio cinque minuti per chiacchierare in pace mentre vado a prendere in macchina dei disegni che avevo fatto l'altro giorno: al mio ritorno, voglio Nick eretto e fermo, massimo mezz'ora e giuro che ho finito, tesoro.» buttò il metro sul divano e non feci a tempo a salutarlo che era già sparito.
Okay, è arrivato il momento di scegliere, mi dissi nella mente, Che Jane sei, dannazione?
«Comunque..» esclamammo entrambi nello stesso momento. Oh, ma cos'è, una serie tv? Non avevo intenzione di fare il solito Prima tu!, No, prima io, Okay, prima tu! che sarebbe stato ancora più imbarazzante, così mi limitai a parlare molto in fretta.
«Hovistolatuaintervistaintv.»: forse, troppo in fretta. Nick fece un cenno di assenso che probabilmente stava a indicare di continuare, o per lo meno di indicare quale intervista, visto che partecipava a tante. «Quella in cui parlavi del tuo progetto per la leucemia.»
Lui sembrò intuire che qualcosa nell'aria non andava, perchè si limitò a sussurrare Ah. «Non mi è piaciuto.» continuai, sforzandomi di non restare in silenzio, ma di assumere il controllo della situazione.
Dopo tutto, non era lui che voleva che io mi arrabbiassi? Che io avessi carattere? «Ma allora ti interessa di quello che gli altri pensano di te.» rispose, ancora prima che io potessi esprimermi pienamente.
Sgranai gli occhi: Perchè fa così? Assume questo atteggiamento spavaldo, come se lo facesse apposta a innervosirmi. «Non ne hai il diritto!» strepitai, s'eppur a mezza voce, come quando ad una bambina si nega il gelato. Nick appoggiò entrambe le mani dietro di sè, afferrando la spalliera del divano e quel gesto non fece altro che aumentare la rabbia che stava nascendo dentro di me.
«Mi fai impazzire. Non capisco se vuoi essere mio amico, se fai tutto questo perchè mi compatisci o che altro! L'altro giorno mi sono divertita e mi sembrava che anche a te non dispiacesse, a dirla tutta. In entrambi i casi, una cosa del genere non me la sarei mai aspettata. Perchè se davvero vuoi essere mio amico, beh, din din din, dire al mondo che fai beneficenza ai malati di cancro non è esattamente il modo! E se ti faccio pena neppure, perchè dovresti sapere che non mi aiuta affatto!» mi scaricai leggermente, ma non alzai mai la voce. Non volevo perdere le staffe come l'altra volta, io non ero il suo giochino anti stress.
Provai a mantenere il contatto visivo, ma dopo qualche momento cedetti e voltai lo sguardo verso il tavolo alla mia destra, aggiungendo piano: «Scusami se ti sto dicendo questo, forse tu lo fai con delle buonissime intenzioni, ma se una cosa a me non piace e mi riguarda, allora ho il diritto di protestare. In più mi è parso di capire che a te piaccio di più quando non mi faccio mettere i piedi in testa, no? Accontentato.»
Per una buona manciata di secondi nessuno dei due proferì parola e io mi guardai bene dall'incrociare il suo sguardo; non volevo tradirmi in alcun modo, per una volta sola nella mia vita, io mi stavo comportando egregiamente, facendo valere le mie opinioni e muovendomi come mi ero programmata di fare.
Lo sentii respirare profondamente e poi muovere un passo verso la mia direzione; senza accorgermene io mi ero allontanata, presa dal fastidio. «Quindi tu fai quello che a me piace tu faccia?»
Se avessi potuto, l'avrei schiaffeggiato. «Non ci arrivi? Non è questo il punto. Senti, facciamo una cosa: il tuo compito da missionario finisce qui. Arrivederci e si ritorna a quando io ero solo la sconosciuta con l'enorme cane-orso.»
Mi voltai per dirigermi verso la porta con le guance in fiamme e il respiro corto, anche se in verità non avrebbe dovuto essere così, no? Avevo fatto quello che dovevo, ma l'unica cosa che avvertivo era un grosso peso nello stomaco. Potevo dire di avere quasi afferrato la maniglia, quando la stessa scena di quando stavo per suonare, si ripetè.
Solo che questa volta, la porta si spalancò verso di me e fui costretta a fare un balzo indietro per non finire spiaccicata al muro. Diedi una botta a qualcosa dietro di me e realizzai subito di essermi scontrata con Nick, che mi aveva afferrato le braccia per non permettermi di cadere. Mi liberai in fretta e furia dalla presa, ancora più imbarazzata. Proprio non ci riuscivo io, a concludere le cose con stile, eh?
Dal canto suo, testa pelata non si era accorto di nulla e si limitava a far svolazzare il suo album dei disegni con la mano sinistra, finchè non gli cadde un occhio su di me: «Tesoro, sembri affannata, sicura di sentirti bene?»
Un cenno veloce col capo e presi la porta in tutta fretta, promettendomi di non guardarmi mai indietro e nemmeno di inciampare ancora. Riuscii a non voltarmi quando sentii Paul urlare: «E' stato un piacere conoscerti!»
E me la sarei anche cavata benissimo, se tutto ad un tratto la sua voce non avesse urlato il mio nome, come distante, ma pur sempre percepibile. Tentai di non muovere alcun muscolo, ma per colpa della mio animo debole, non potei fare a meno di ascoltarlo mentre lui alzava la voce per farsi sentire, dalla soglia di casa dove era arrivato prima di fermarsi con i pugni stretti quanto la morsa che era in quel preciso istante nel mio stomaco. Come facevo a sapere che teneva le mani serrate? Semplice, mi girai dalla sua parte non appena lui pronunciò quattro sole parole, così da farmi cambiare idea in mezzo attimo.
«Comunque io ci penso!» Un respiro profondo, alzai il mento tentando di mostrarmi orgogliosa, ma ottenendo un risultato scarso: una risatina ironica attraversò l'aria, proveniente dalla mia bocca, mentre le mie mani si sollevarono per poi ricadere in maniera pesante, come a significare Fatti sotto, coraggio«E a cosa pensi, sentiamo.» risposi più sul punto di crollare che su quello di risultare sicura.
«A te.»

 

*
 

God only knows dei Beach Boys suonava in sottofondo, dolcemente. La tipica canzone che tutte vorrebbero al loro matrimonio, durante il primo ballo da sposati.
I cuscini accanto a me mi circondavano come una corazza e la luce non penetrava dalla coperta che era stata legata, ad imitare un soffitto, tra le due poltrone abbastanza distanti in modo da creare un ambiente confortevole e protetto. Effettivamente, mentre me ne stavo rannicchiata in quel forte di trapunte, l'unica cosa che potevo avvertire era la leggera pressione dei piedi di Nick sul guanciale che ci divideva. 
«Mi dispiace.» furono le sue parole bisbigliate.
Tutto era successo in fretta. Fino a un'ora prima, stavo correndo lungo la strada cercando di non scontrarmi con tutte le persone che mi lanciavano occhiate sconcertate, nella disperata ricerca di un taxi libero; l'unica cosa che volevo era andare a casa e rimproverarmi per quanto stupida fossi stata ad avere speranza in lui. Poi mi ero seduta su una panchina, esausta forse anche a causa della malattia, tirando fuori il cellulare per chiamare un taxi, quando un auto mi si era parcheggiata di fronte, facendo calare piano il finestrino scuro. Inizialmente non me ne accorsi nemmeno, ma la portiera si spalancò, rivelando un posto libero accanto ad un Nick che teneva una mano sul volante e l'altra sul sedile disponibile, invitandomi dolcemente ad entrare. E giuro che se avessi avuto un briciolo in più di determinazione, molto probabilmente non l'avrei accontentato. Ma in fondo a me mancava sempre un briciolo di tutto. 
«Hai ragione, non avrei dovuto fare tutto questo senza prima chiedertelo. Voleva essere una buona azione, ma ho solo peggiorato le cose.» mi riportò per un attimo alla realtà Nick, continuando a bisbigliare le sue scuse a poca distanza da me: decisi di riconcentrarmi sui ricordi di qualche quarto d'ora prima.
Una volta tornati a casa sua, testa-pelata era sparito, probabilmente mandato via da Nick e i 'vestiti' che quest'ultimo indossava mentre Paul gli girava intorno misurandogli ogni centimetro del corpo, giacevano per terra, rimpiazzati da un abbigliamento normale in cui lui si era cambiato, prima di saltare in macchina e provare a seguirmi: con successo.
Da lì in poi non ci eravamo più detti nulla. Nemmeno quando Nick mise un cd nello stereo e abbassò il volume in modo da non far diventare la musica la protagonista della situazione; neanche quando con la stessa naturalezza cominciò a cercare per casa tutti i cuscini e le coperte possibili e li lanciò in un angolo della stanza; o quando io rimasi con un'espressione confusa a guardarlo mentre spostava le poltrone del soggiorno in modo da formare un quadrato ordinato.
Dopo averci messo sopra e intorno coperte e cuscini, si poteva dire che Nick da piccolo fosse stato uno scout, perchè aveva proprio costruito una vera casetta di quelle che si fanno a otto anni, in casa delle nonne. Quando ci si annoia. 
«E scusa anche per aver reagito male prima quando mi hai detto che non ti andava bene: ero spiazzato, l'unica cosa che mi era venuta in mente era atteggiarmi da menefreghista.» appoggiai la testa sul mio ginocchio e cominciai a pensare che dentro quel castello infantile l'aria stava iniziando a farsi pesante. 
Alzai leggermente lo sguardo per osservarlo con le gambe al petto, una mano che si tormentava il lobo dell'orecchio destro e l'altra appoggiata su un cuscino, mentre le sue dita si muovevano piano come a grattarlo. Pensai che quel momento forse non si sarebbe mai più ripetuto, perchè sembrava così indifeso ed io di certo non dovevo essere meglio; ad un occhio esterno saremmo apparsi davvero patetici, nascosti sotto una coperta a sussurrarci due parole ogni tanto, con un'aria che ad ogni respiro si riscaldava sempre più, invece che a parlare civilmente, come due persone mature. 
«Va bene, sei perdonato.» dissi piano e lui si rilassò visibilmente, tirando un sospiro più lungo degli altri ansiosi che avevo avvertito prima. «Non vuol dire che dobbiamo continuare a vederci, però.» continuai, aggravando la pressione che già era presente sul mio petto da quando ero entrata in quella casa quel giorno.
A chi stavo facendo più male, a me o a lui? Lui grugnì leggermente: «Ma io voglio vederti.»
Sentii la sua mano farsi strada fra noi e sfiorarmi una caviglia, timorosa. Tuffo al cuore, mi sentivo come l'attimo prima lanciarmi da un aereo. Non avevo mai provato, ma ero sicura che la sensazione fosse quella.
Ah, mormorai senza fiato. Continuavo a fissare il suo indice che era a contatto con una minuscola frazione della mia pelle e, proprio in quella zona, il calore mi stava torturando, bruciando lentamente dall'interno. «Cosa intendevi, prima, quando mi hai detto quella cosa?» alzai gli occhi e notai che lui era a disagio quanto me.
Non sapevo bene se definirlo disagio, imbarazzo o semplice tensione: comunque fosse, mi stavo sforzando al massimo per non fare nulla di sbagliato, ma avevo bisogno di saperlo e quello era l'unico momento in cui avrei potuto fare una domanda del genere.
Pregai che Nick non facesse il finto tonto con frasi del genere Quale cosa?, ma fui fortunatamente graziata. «Beh, io intendevo che..» si fermò un attimo a contemplare il suo ginocchio, buttando poi la testa all'indietro e ritornando seguentemente in posizione normale. «.. che io penso a te e non perchè mi fai pena. A dir la verità, dall'ultima volta in cui ci siamo visti, non credo di avere più compassione per te. O di averla mai veramente provata. Io, ecco, ti penso durante la giornata, immagino cosa tu stia facendo, quali programmi hai..» si fermò un attimo e emesse una risatina nervosa. «A volte vorrei anche venire a trovarti, così, dal nulla.» ritornò serio ed io mi accorsi di trattenere il respiro.
Lui attese qualche secondo; stavo per aprire la bocca e dirgli tutto quello che sentivo in quell'istante. Volevo comunicargli la mia gioia, ma poi ritrasse la mano, nascondendola nella tasca dei pantaloni e si mise a gesticolare velocemente con l'altra. Parlava a vanvera, come qualcuno che spiega molto in fretta il motivo per cui non è stato lui a commettere un determinato crimine.
«Ma sai cosa ti dico? Probabilmente è perchè è la prima volta in cui incontro una persona con questo genere di problemi, o forse è perchè mi distraggo facilmente e ogni motivo è buono per farlo o anche perchè alla fine io mi interesso molto di tutti, insomma non lo so, però mi capisci, no? Ovviamente non è perchè io sia fissato con te e passi il mio tempo a sognarti, eh.» abbozzò un sorriso come per dire Impossibile, ti pare? ed io sentii tanti minuscoli piragna azzannarmi da dentro lo stomaco.
Gnam, gnam.
«Sì, certo. Capisco.»


*
 

Hola, come va?
Se aggiorno in ritardo è tutta colpa vostra sta volta, perchè il mio capitolo era già pronto da un pezzo. :3
Aspettavo solo di raggiungere un certo numero di recensioni!
By the way, questo capitolo è molto roar per la nostra piccola Jane.
Insomma, sono le sue prime esperienze, no? Oddio, parlo come una mamma orgogliosa, ahah.
Lascio a voi i commenti, ma vi auguro..
Merry Christmas, Feliz Navidad, Joyeux Noël e Buon Natale.
Vorrei mettervelo in altre lingue, ma sono una pelandrona.
Godetevi il capitolo! *Scompare come Piton.*
A.



 

 

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Capitolo 13
*** - i didn't mean to say it THAT way, but.. ***


You don't even know.
 

A metà di Novembre, il buio invadeva le strade nel pomeriggio ed ogni azione era rallentata, congelata dal freddo che s'inoltrava nel mio letto in concomitanza con l'avanzare delle ombre sulla città.
Nella mia camera, tanti libri erano sparsi per terra e i titoli si confondevano, dandomi l'impressione di essere dislessica. A testa in giu, io ero appesa con le braccia molli, lasciandomi cadere dal materasso stanca. La porta era socchiusa, uno spiraglio di luce calda mi mostrava il disordine che sembrava possedere quella stanza più di quanto lo facessi io.
Così capovolta, le figure erano confuse, ma riuscivo bene a distinguere una scatola ormai vuota di fazzoletti che mi riportava a sei ore prima con il pensiero: visita medica.
Play. Stop. Anzi, play. Le immagini e le parole del dottore si mischiarono ad un senso di nausea che repressi con tutta la mia forza in fondo a me stessa. Cominciai a giocherellare ondeggiando lievemente le punte dei capelli che sfioravano il pavimento consumato e chiusi gli occhi, ma la maschera di un clown si materializzò così velocemente all'interno delle mie palpebre che fui costretta a riaprirli di scatto.
La sentivo. Lei pensava che io non me ne accorgessi, ma non era così. Mi sembrava di affogare nelle sue lacrime dense, mentre il suono dei singhiozzi raggiungeva il corridoio e, una volta di fronte alla porta, abbatteva i muri per portare via tutto quello che io ricostruivo con la sabbia la mattina.
A volte cercavo di non badarci, serravo le orecchie nella protezione del cuscino e canticchiavo nella mente parole a caso; altre invece mi arrendevo e prestavo attenzione ad ogni piccolo rumore, sperando di avvertire alla fine di quei pianti liberatori, un sospiro di sollievo o magari anche solo il silenzio. Mi avrebbero comunicato che si era messa in pace.
Purtroppo, non mi era mai capitato: solitamente finivo per addormentarmi prima io. E mentre mia madre si disperava pensando al futuro, tutto quello che riuscivo a sentire io era Non ci pensare, manca ancora tanto. Non è reale, fin quando tu non decidi che lo sia.
Così anche quella notte io giocavo a chi soffriva di più in silenzio, accarezzando con la punta delle dita ogni singola sensazione che la vita mi lasciava, domandandomi per quanto ancora si sarebbe lasciata solleticare inerme. I passi sempre più pesanti mi comunicarono di rimettermi in posizione composta e di fingere di essere profondamente abbandonata al sonno, mentre lei passava a darmi un bacio sulla fronte bagnato di sconfitta.
Avrei voluto aprire gli occhi e dirle che non stavo bene nemmeno io, che soffrivo ogni minuto, ma non potevo. Non ci pensare, manca ancora tanto. Non è reale, fin quando tu non decidi che lo sia. Il mio mantra mi veniva somministrato all'altezza del collo da denti affilati che non lasciavano spazio al dolore, non lasciavano spazio alla vita.
Sentii la porta chiudersi e mi immaginai lo spiraglio di luce sparire gradualmente, percependo l'oscurità attorno a me. Ero da sola.
Ma, in fondo, non avevo mai smesso di esserlo.

 

*
 

«Ripetimi quanti anni hai, scusa.» ridacchiai lanciandogli una palla di carta sulla schiena. Nick era chino sulla sua scrivania, con una penna melodrammaticamente posta dietro un orecchio e una matita nella mano destra; un foglio pieno di pastrocchi era fermo davanti a lui, nell'attesa di essere impresso con parole mielose e poetiche quanto la luna un attimo prima di eclissarsi.
Circondata da fogli accartocciati, io ero comodamente posizionata sul suo letto, a gambe incrociate con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, come quelle bambine che ascoltano la lezione all'aperto invece che in classe, per un atto di bontà del maestro. 
«Diciannove.» mormorò lui come una cantilena, visto che me l'aveva ripetuto almeno quattro volte, da quando eravamo in quella stanza.
Non si scompose però e rimase ad incenerire la sua esile grafia con uno sguardo che da combattivo mutò in affranto, nell'arco di una manciata di secondi. 
«Lo dici come se fosse normale avere una casa tutta per sè a diciannove anni!» ribattei io, sarcasticamente, ma pur sempre benevola: i nostri rapporti erano molto migliorati dalla riunione nel castello di coperte ed eravamo riusciti a vederci anche spesso, entrando in atteggiamenti un po' più intimi e senz'altro più naturali. 
«E poi, non ti sembra un po' presto?» aggiunsi poi, mordendomi la lingua per il mio lato da Anacleto di Merlino che era spuntato fuori nel momento meno appropriato.
Cercai di recuperare la situazione con una risatina che sarebbe servita a sdrammatizzare la mia frase precedente, se non ci avesse già pensato lui.
Infatti Nick si girò con il busto, aggrappandosi con entrambe le mani allo schienale della sedia e mi rivolse un'occhiata fintamente vanitosa, che mi provocò un inizio di sorriso sulle labbra. 
«Beh, ma è normale per me! Perchè io sono Nick Jonas.» completò il quadro con un'alzata di sopracciglio ammiccante ed un'altra pallina di carta lo colpì al centro del viso: devo dire che la mia mira era migliorata in modo impressionante da dopo la mia unica lezione di baseball.
Lui ridacchiò, per poi tastarsi il naso, bisbigliare un Ahio imbronciato e rigirarsi verso la scrivania.
Mi alzai dal letto e lo raggiunsi, accostandomi in ginocchio al banco, sbirciando di nascosto il foglio disordinato e lui lo coprì con l'intero palmo destro: 
«Ah-ah-ah, signorina. Niente anticipi! E se vuoi veramente sapere come sarà la canzone, dovresti smetterla di distrarmi; sto cercando di lavorare, eh!» commentò sarcastico ed io gli diedi un colpetto sulla spalla.
Sempre con il sorriso sulle labbra, Nick afferrò un nuovo foglio e impresse velocemente con la sua calligrafia un po' storta le seguenti parole Genio al lavoro, si prega Jane di rimanere in silenzio ed un sacco di punti esclamativi ancora più storti delle lettere.
Dopo aver messo a soqquadro un cassetto, trovò un pezzo di scotch e si appiccicò il cartello sulla schiena, per poi sorridermi soddisfatto. 
«Okay, se non mi vuoi allora me ne vado, eh!» esclamai per punzecchiarlo, imitando un espressione particolarmente offesa, ma non riuscendo a trattenerla feci finta di alzarmi e dirigermi verso la porta con grandi passi. 
«Smettila scema, resta qui.» io mi girai a fargli una linguaccia, ma notai che mi aveva già anticipata, per poi staccare il cartello e accartocciarlo insieme ai mille sul letto.
Mi rimisi seduta sul materasso, ma lui non ricominciò a fissare il foglio come prima ed appoggiò il mento sul dorso delle sue mani, mostrandosi di colpo melanconico.
Dopo una rapida alzata di spalle, capii il motivo del suo cambiamento improvviso d'umore e sentenziai: «Dai, vedrai che ti verrà in mente qualcosa per la canzone!» cercando di apparire allegra e speranzosa, ma dalla mia posizione, diciamo che non ero proprio convincente.
Lui fece cenno di no con il capo e mise su un broncio comparabile a quello di un bambino in punizione: «No, non è quello.»
Avanzai leggermente con la testa, come per fargli capire di continuare e darmi una spiegazione, ma lui non mi stava già più guardando. I suoi occhi erano infatti puntati sopra quel rigido calendario che era appeso, attraverso una cordicella sottile, alla maniglia della finestra e che segnava esattamente il 23 Novembre.
Non ci potevo credere, io e Nick avevamo fatto proprio un bel salto, rispetto a come andavano le cose prima.
Una volta avevamo perfino visto un film insieme e l'avevo accompagnato davanti allo studio di registrazione; poi però mi aveva chiesto di non andare con lui, perchè non voleva ripetere la scena dell'ultima volta.
Il nostro rapporto era migliorato sotto tutti gli aspetti, ma in alcuni momenti, mi sembrava di tornare la Jane che gli urlava contro perchè era arrivato in ritardo al nostro incontro.
Ogni tanto pensavo che lui non sarebbe potuto essere più odioso. O contraddittorio.
«Capelli a forma di pop corn, spiegati.» cercai di risultare simpatica e a quanto pare il mio tentativo ebbe successo, perchè tornò a posare lo sguardo su di me e si passò una mano tra i capelli, mormorando qualcosa di simile ad un Solo a te non piacciono i miei ricci, ma decisi di ignorarlo e di godermi solamente i nostri sorrisi.
«Beh, diciamo che sto per chiederti una cosa di cui so che mi pentirò, ma devo farlo.»
Tesi le orecchie incuriosita, mentre lui socchiudeva un occhio come alla ricerca delle parole più adatte.
Come ti capisco, pensai sospirando, Anche io la maggior parte delle volte non riesco ad esprimermi come vorrei.
«Beh, ecco. Ti sembrerà una pazzia, già lo so.» fece una piccola pausa per ridacchiare sommessamente «E capisco che sia un po' strano da parte mia, però se non te lo dico ora; penso che non avrò mai più l'occasione di passare un Natale con te, quindi..» 
Alzai una mano per aria in segno di Stop e spalancai gli occhi, avevo già capito tutto. «Frena, frena, tu mi stai chiedendo di passare il Natale con te!» trillai nervosa, sotto il suo sguardo altrettanto inquieto. 
«Io, emh, non avevo proprio intenzione di metterla così, ma se vogliamo essere indelicati, ecco.. diciamo di sì.»
Scattai in piedi nello stesso modo in cui Snasante balza sulle zampe quando sente il rumore della porta di casa: cominciai a camminare nervosa da un lato all'altro della stanza, quasi solcando i  miei passi sul pavimento e borbottando più a me che a Nick parole sconnesse.
«Cioè, quindi tu.. Insomma, pensavo che le rockstar avessero altre persone con cui passare il Natale! Oddio, è perchè non hai nessun altro, non è vero? Anche peggio! Nick, ma ti rendi conto di ciò che dici? E ora che faccio?» mi portai una mano fra i capelli, senza accorgermi del fatto che lui, nel frattempo, era passato da imbarazzato a divertito, accomodandosi sulla sedia ad osservarmi come fossi pazza, ma buffa. 
«Tu non puoi far così, hai capito?! Non è che da un momento all'altro ti giri e mi chiedi queste cose, perchè è molto sconveniente e in più tu sei sempre sotto gli occhi di tutti, mentre io.. Nick, non lo so, davvero pensi che possa decidere in così poco? Che razza di idiota può pensare di sottopormi ad una decisione del genere così da un momento all'altro?» esclamai voltandomi finalmente a guardarlo e accorgendomi delle sue espressioni estasiate, nemmeno stesse guardando un cartone animato particolarmente esilarante. 
In seguito portò le mani in alto come per difendersi e aggiunse: «Jane, io non ti ho detto niente di tutto questo, hai fatto tutto da sola!»
Così mi fermai di botto e decisi i ricompormi e darmi una calmata, dopo tutto aveva ragione. Mi risedetti sul letto e lui si voltò cercando di comunicarmi di guardarlo bene negli occhi.
«Allora, i piani sarebbero questi. Potresti venire la sera della vigilia di Natale a mangiare da me e dalla mia famiglia, se ti va.» spiegò lentamente, come per compensare la velocità con cui prima avevo parlato io.
Tirai un respiro profondo e risposi con tutta la dignità che mi rimaneva: «Dovrò chiedere a mia madre. Noi solitamente festeggiamo il giorno di Natale, non la vigilia, ma vedrò che cosa ne pensa.»
Sì, brava Jane, atteggiati da donna impegnata, eh? mi battei mentalmente una mano sulla fronte, sconsolata dalla mia stupidità.
Lui si soffermò un attimo a pensare e intanto mille dubbi mi sorsero in mente. 
Dovrai conoscere sua madre e suo padre, Jane, ti ritieni davvero all'altezza? Respiro. E i suoi fratelli? Sono gente famosa e tu non te la cavi nemmeno con le persone normali! Respiro. Magari dovresti soltanto stare a casa o andare a trovare la nonna, invece che cercare di affrontare qualcosa di più grande di te. Respiro.
«Se vuoi puoi anche portare tua madre!» sembrò risvegliarsi dai suoi pensieri lui, illuminandosi come una piccola lampadina.
Io cercai di sorridere senza mostrare i denti nel modo più gentile che riuscii: «Certo, perchè no?»
Nick mi diede una pacca sul ginocchio e si rivolse nuovamente verso la scrivania.
«Forza, ora si torna al lavoro! Cosa fa rima con disastro?» 
Mi sfuggì una risatina e sussurrai sommessamente: «
Jane.»


*
 

«Ci devi assolutamente andare!»
«Sì, ma non può mica presentarsi insieme a sua mamma! Conviene che tu stia con me e la lasci introdursi da sola, bambina.»

Andavano avanti da ben dieci minuti, a scambiarsi commenti veloci e occhiate dubbiose, mentre io ero ferma sul divano con le gambe accavallate come chi è lì solo per far presenza, ma non per contribuire alla decisione.
Da mia madre, beh sì, da lei me l'aspettavo, ma di certo non pensavo che anche mia nonna mi avrebbe totalmente tagliata fuori dalla conversazione, dando per scontato il mio parere o soprattutto, il mio consenso.
Nel salotto della famiglia Kirstel, anche se in verità di Kirstel c'ero solo io, un'importante riunione era in corso e a presidenziarla si occupavano le mie due amorevoli parenti, che convinte di poter scegliere solo il meglio per me, non si erano nemmeno prese il disturbo di porre la fatidica domanda. Tu ci vuoi andare, Jane? 
Niente di preoccupante, perchè come al solito ci avevo pensato io tante, troppe volte, assillandomi esageratamente fino ad arrivare a quella che sarebbe potuta essere l'unica conclusione migliore.
Mia nonna stava accarezzando con una mano la ruota sinistra della sua sedia a rotelle, mentre con l'altra si grattava il mento ascoltando con attenzione le proposte di sua figlia.
Stavo per scoppiare: un altro commento su cosa dovevo o non dovevo fare e avrei giurato loro che non avrei nemmeno mai più rivisto Nick: poi ci ripensaii una seconda volta e cambiai idea.
Emessi due colpetti di tosse leggeri, che però bastarono a mia nonna per farle capire che erano andate ben oltre il limite ed era giunto il momento di appellarmi. Così fece infatti, rivolgendomi uno sguardo piuttosto eloquente.
«Io pensavo di andarci.» Mia madre si era già voltata ed era già a metà di una delle sue ramanzine del genere Ti farà bene stare da loro, vedrai che ti diverti etc, quando realizzò le mie parole e si aprì in un meraviglioso sorriso da squalo. 
«Oh Jane, bravissima! Sarà molto carino, te lo prometto. Concordo con la nonna, dovresti andarci da sola: dopo tutto loro non conoscono nemmeno te, non è che posso spuntare anche io fuori dal nulla.»
Ci accordammo nel migliore dei modi, cosicchè anche loro due potessero passare una vigilia felice insieme, anche se senza di me: non che io fossi l'anima della festa, però.
Mi affrettai a spedire un messaggio a Nick confermando la mia presenza e mi ritrovai a chiedermi se lui non l'avesse per caso ancora detto alla madre. Fui sul punto di cancellare i caratteri dallo schermo, ma poi decisi che se me l'aveva chiesto era molto probabilmente perchè pensava che la famiglia non avrebbe avuto problemi.
Coraggio Jane, invialo. Se non lo fai, te ne pentirai dopo. Con decisione, schiacciai il tasto per inviare e sperai che quella finta sicurezza potesse regalarmene davvero un po': non funzionò.
Ma intanto avevo avvertito lui e questa era la cosa più importante. Ora non si poteva più andare indietro, quindi tanto valeva fare le cose per bene.
Mia nonna mi lesse probabilmente nel pensiero perchè esclamò come se avesse appena scoperto di avere otto braccia: «Oh santo cielo! Ma tu non hai nulla da metterti!»



*
 

Buona sera a tutte, scusate tanto se vi ho fatte aspettare, ma le vacanze mi hanno risucchiata. :3
Comunque ora sono tornata e potete godervi (?) questo capitolo che è abbastanza di passaggio, ma almeno capiamo come si evolve il rapporto Jick, no?
O il rapporto Nane? Boh, devo ancora decidere, ahah.
Piccola informazione di passaggio: le età non corrispondono se avete notato.
Nick non aveva diciannove anni quando ha pubblicato l'album da solista, li ha compiuti solo ora!
Anche nella malattia, fortunatamente non ne so nulla, quindi se sparo delle cavolate non arrabbiatevi, sono una povera ignorante. v.v
Per il prossimo capitolo dodici recensioni?
Giuro che aggiorno in fretta, ma anche se sono in ritardo, almeno lo faccio, no? ç_ç
Vi voglio tantissimo bene, siete tutte meravigliose.

Ps: molto probabilmente nel capitolo della vigilia di Natale, ci sarà anche Joe.
Ahah, mi vedo già la vostra faccia mentre pensate a Joe, Nick e Jane insieme!
Tipo questa, no?
A.

 
 

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