The Key.

di Hope_mybrandnewname
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One day I will get revenge. ***
Capitolo 2: *** Here we are, searching for a sign. ***
Capitolo 3: *** Pleasure to meet you, prepare to bleed. ***
Capitolo 4: *** Why are you here? ***
Capitolo 5: *** Lost in a daydream. ***
Capitolo 6: *** To find youself, just look inside the wreckage of your past. ***
Capitolo 7: *** This is the life on Mars. ***
Capitolo 8: *** It took a moment before I lost myself in here. ***
Capitolo 9: *** I see your face in everything. ***
Capitolo 10: *** Don't be afraid of the dark. ***
Capitolo 11: *** It's time to forget about the past. ***
Capitolo 12: *** Mary was a different girl. ***
Capitolo 13: *** She always liked to fly. ***
Capitolo 14: *** It's time to pay. ***
Capitolo 15: *** The secret is out. ***
Capitolo 16: *** Buddha for Mary... ***
Capitolo 17: *** ...Here It Comes. ***
Capitolo 18: *** You're the reason I can't control myself ***
Capitolo 19: *** Lose your mind. ***
Capitolo 20: *** It's the end. Here. Today. ***
Capitolo 21: *** Enemy of mine. ***
Capitolo 22: *** Never coming back. ***
Capitolo 23: *** I am the one you cannot see. ***
Capitolo 24: *** Attack. ***
Capitolo 25: *** Cross the line. Redefine. ***
Capitolo 26: *** I need you right now. ***
Capitolo 27: *** Night Of The Hunter. ***
Capitolo 28: *** Open your eyes, the devil's inside. ***
Capitolo 29: *** Underground. ***
Capitolo 30: *** Kings and Queens... between Heaven and Hell. ***



Capitolo 1
*** One day I will get revenge. ***


Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo.




The Key.



Jared

 
Non sono ancora riuscito ad abituarmi alle limousine. Non mi piacciono, soprattutto quando sono da solo.
Ci fosse almeno una bella ragazza a farmi compagnia...
Il veicolo si ferma.
-Siamo arrivati, signore- mi dice l’autista.
Prima di scendere, gli lascio una lauta mancia per impedire che spifferi tutto in giro.
-Non mi hai mai visto- gli intimo.
-Certamente, signore.-
Scendo e respiro l’aria fredda. Cerco le chiavi nel cappotto, mentre cammino veloce sul marciapiede. Devono esserci da qualche parte…
Dopo un attimo di terrore puro le trovo. Cazzo, sono adulto e vaccinato e non ho ancora capito come si fa ad essere ordinati. Già che ci sono, controllo pure che il BlackBerry sia al suo posto.
Trovo la mia macchina. È una Ford talmente anonima che ho dovuto controllare la targa per riconoscerla.
Parcheggiata tra le altre non si nota assolutamente. È perfetta.
Metto in moto e mi lascio sfuggire un sospiro. Non ho mai amato guidare. Shan, al contrario, si è innamorato delle moto. Lo posso capire, ma questi aggeggi non mi hanno mai ispirato granché. Andare a cavallo è decisamente meglio, ma i tempi sono cambiati, quindi, tanto vale adattarsi.
Il tragitto è piuttosto breve, per fortuna. Cerco un parcheggio che non sia troppo vicino alla mia destinazione, in modo da sviare i sospetti, e ne trovo uno proprio tra una Ford come la mia e una BMW. Parcheggio senza troppa difficoltà e mi dirigo a piedi verso il pub di un mio amico.
Si chiama “Magnus”, probabilmente in riferimento ad Alessandro Magno. Sorrido.
Quando entro, nessuno mi nota. Sono le 7 e mezza della sera ed il locale è ancora vuoto.
Cammino fino al bancone senza guardarmi in giro.
Il barista non tarda ad arrivare. Non è cambiato molto dall’ultima volta che l’ho visto. A quell’epoca, era diretto verso ovest, alla ricerca di oro, sempre pronto ad aggiungersi a qualche malsana spedizione per uccidere quanti più indiani possibile.
-Cosa desidera?-
-La chiave per conoscere tutto- rispondo.
L’uomo si blocca e mi fissa.
-Jared?-
-Oui, c’est moi-
Nicholas si mette a ridere.
-Vecchio mio, non sei cambiato affatto! Ma d’altronde, cosa potevo aspettarmi da un vampiro?-
-Mezzo vampiro, prego- lo correggo.
-Giusto, non ti piace mescolarti con noi sanguisughe, eh?- ride.
Mi unisco alla sua risata.
-Ho sentito che stai organizzando una riunione. Pensavo che non avresti voluto più averci niente a che fare.-
Sposto lo sguardo altrove.
-Lo so Jared. Davvero, ti capisco. Però penso che tu stia facendo la cosa giusta. Spero che non sia solo per vendetta.-
Quando vede che non rispondo, la sua espressione cambia. Mi prepara un drink analcolico.
-Non puoi biasimarmi- dico.
-No, non posso- risponde Nicholas.
Mi porge il drink. -Non è colpa tua quello che è successo a tuo padre.-
Ne bevo metà prima di rispondere. -Vendicarlo è il minimo che posso fare. Inoltre, non si tratta solo di vendetta…-
Poso il bicchiere sul tavolo in modo più sgarbato di quanto volessi.
-Qui c’è in gioco molto di più- aggiungo sussurrando.
-Lo so, lo so…-
Finisco il mio drink e intanto osservo il mio interlocutore. È davvero uguale a come me lo ricordavo.
Occhi grigi, capelli castani… anche se è vestito normalmente, la mia mente continua a figurarselo con i tipici vestiti dei cowboy.
-Ho trovato un modo per far avere a tutti l’indirizzo e l’orario della riunione.-
-Ovvero?-
-Tramite una password. Anzi, due.-
Nicholas è esterrefatto.
-Di che diamine stai parlando, Devour?-
Sentire il cognome di mio padre è un colpo allo stomaco. È quasi mezzo secolo che nessuno mi chiama più col mio vero cognome.
-Parlo di un post sul mio blog.- rispondo, fingendo che non sia successo nulla. Sono bravo a fingere.
-Stai scherzando?-
-No, affatto. Già la password normale è introvabile. Quella per i fratelli e le sorelle lo è ancora di più. E comunque c’è un controllo sull’identità.-
-Sei pazzo, Leto.-
-Lo so.-
Noto che Nicholas sta guardando la Triad che porto al collo.
-Ora che la portano in così tanti, come faremo a riconoscere i nostri?- mi chiede.
-Non preoccuparti, li riconosceremo.-
-Ah, a proposito, ci sono dei nuovi fratelli.-
-Benissimo. Ci vediamo là! Ti auguro di trovare la password.-

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Capitolo 2
*** Here we are, searching for a sign. ***


Mary

 
-Che rabbia!-
Non riesco a trovare la password per il post di Jared. Syzygy. Che diamine significa?
Ci sono. Userò Wikipedia.
Cerco la voce “sizigia”. Per metà tratta di cose che non conosco, però ad un certo punto mi blocco.
Fisso lo schermo e leggo più attentamente.
Ma no… forse ho letto male.
“…la riunificazione col proprio doppio o gemello scisso”
Non so perché, penso ad Efestione. Poi, la pagina wikipedia e altre pagine web traboccano di citazioni sul mondo ellenico. Il doppio di Efestione era Alessandro Magno, no? Paul Cartledge diceva che Alessandro sembrava aver fatto riferimento ad Efestione come al suo alter ego.
Decido di inserire come password la data di nascita di Alessandro, chissà che funzioni.
“July 20th 356 B.C.”
Premo il tasto “submit”.
Sono in attesa febbrile. Perché internet è così lento?
La pagina si carica. E rischio di svenire.
Non è più la stessa che si ricaricava ad ogni tentativo, è una nuova!
C’è un messaggio.
 
"Congratulazioni fratello/sorella, hai trovato la password. L’incontro avrà luogo il 26 gennaio 2012. Il luogo non sarà ancora reso noto, tuttavia, compila questo form affinchè l’Associazione provveda ai tuoi bisogni.
L’Associazione si preoccuperà di fornirti un’alibi valida per giustificare la tua partecipazione.
Provehito in Altum."
 
Sembra il modulo che si compila per ottenere un indirizzo e-mail nuovo. I campi da completare sono nome, cognome, indirizzo e-mail, indirizzo di casa, città, telefono… Senza pensarci due volte, riempio tutti i campi e clicco su “done”, fatto.
Trattengo il fiato. La pagina si ricarica.

"Il modulo è stato inviato in maniera corretta. Grazie, sorella."
 
Non posso crederci. Un’incontro? Incontrerò i Mars? Non posso crederci. Devo dirlo a qualcuno.
Facebook. Apro la pagina di un gruppo di Echelon e scrivo frettolosamente che ho trovato la password.
Premo invio e si spegne il computer.
Ma che..?
Lo riaccendo, riapro il browser e pubblico ancora lo stesso post nel gruppo. Il computer si spegne di nuovo.
Sul mio cellulare arriva un messaggio. Il numero del mittente è 6277.
 
"Ti informiamo che comunicare la password o ogni altra informazione inerente al post del blog di Jared o all’incontro è severamente vietato."
 
Come diamine sapevano quello che stavo facendo? Sono sotto controllo?
Rabbrividisco. Chi sono veramente i Thirty Seconds To Mars?
 

*
Jared

Il mio BlackBerry comincia a squillare. È Nicholas. Cosa diamine succede? Sa che può chiamarmi solo durante le emergenze!
-C’è un infiltrato- dice senza perdere tempo.
-Ha provato a comunicare le informazioni ad altri?-
-Sì, ma l’abbiamo bloccata.-
-Oh, è una lei?-
-Esatto… si fa chiamare Mary- dice Nicholas ridendo.
-Beh, tra poco smetterà di usare quel nome a sproposito.-
-Te ne vuoi occupare tu?-
-Precisamente-
-Ma sei troppo importante! Non posso lasciarti correre questo rischio!-
-E invece lo farai, visto che l’unico vampiro disponibile qui sono io. E poi sai che le caccie mi divertono- rispondo.
-Va bene, tanto so che troveresti il modo per occupartene tu stesso.-
-Bene, dove la incontro?-
-Sto per mandarle la mail… Io direi stasera, in periferia.-
-Perfetto. Scrivimi l’indirizzo in un messaggio. Ora devo staccare. Fa’ in modo che non dica nulla a nessuno.-
-Non preoccuparti… se ho capito che tipo è, non lo dirà a nessuno.-
-Meglio così. A presto.-
Chiudo la chiamata. Quella stronza smetterà di infangare la memoria della vera Mary usando il suo nome unicamente per sbeffeggiarmi. È ora che i miei nemici imparino la lezione.

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Capitolo 3
*** Pleasure to meet you, prepare to bleed. ***


Mary

 
L’icona delle mail mi segnala che c’è un messaggio non letto. Non so se voglio aprirla, quel messaggio sul cellulare mi ha lasciata molto scossa.
È solo una mail, che vuoi che faccia?
Il mittente è thirtysecondstomars.com e sembra innocua. La apro.
 
"Sorella Mary6277,
vorremmo informarla che la data della riunione è stata modificata. L’incontro avrà luogo oggi 27 dicembre 2011 alle ore 18.00. Invii conferma per ottenere l’informazione sul luogo dell’incontro.
Cordiali saluti.
PIA"
 
Stasera!?
Senza pensarci due volte, mando la conferma. Mia mamma è ancora al lavoro a quell’ora, non sarà un problema presentarmi.
L’indirizzo mi viene spedito all’interno di un messaggio sul cellulare. Per fortuna non è lontano da dove abito. Non ci metterò neanche un quarto d’ora per arrivarci.
Controllo l’orologio.
Merda! Sono le quattro e mezza e devo ancora vestirmi!
Mi faccio una doccia veloce e mi trucco velocemente, abbondando con l’ombretto nero. Altro che divaH!
Pesco al volo la maglia This Is War che ho comprato sul loro sito. Poi ci ripenso.
Così metto la canottiera con il muso della tigre, l’altro mio acquisto dal sito. Una felpa a caso sopra e poi metterò il chiodo. Chissene se avrò freddo. Metto i jeans neri, le scarpe e sono pronta.
I capelli sono impossibili come sempre. Castani dorati, un bel colore, ma indomabili. Quando li voglio lisci, sono mossi, quando li voglio mossi non si arricciano nemmeno se li paghi. Oggi non si capisce come sono. Almeno gli occhi sono accettabili. Azzurri quanto quelli di Jared. Ecco, dei miei occhi vado davvero fiera.
Passo la piastra velocemente e ottengo un risultato apprezzabile. Indosso la Triad, acchiappo borsa, sciarpa, guanti e chiavi della macchina. Sono pronta.
Sono le cinque e mezza. Mi precipito fuori casa e cerco di arrivare il prima possibile.
Arrivata a destinazione, mi chiedo se non ho sbagliato qualcosa. Il luogo sembra suggerire tutto tranne che un incontro con i Mars.
Sono nella zona industriale della città, e non c’è nessuno. Il cielo è talmente buio che sembra che sia già notte, i capannoni delle ditte non sono illuminati neanche all’esterno, e alcuni sembrano abbandonati.
In più, non ci sono macchine in giro. Per la seconda volta in questo giorno, ho paura.
Sono un po’ in anticipo, mancano cinque minuti alle sei. Esco dalla macchina per vedere se c’è qualcuno nel capannone indicato dal numero civico 26, quello descritto nel SMS. Suono il citofono, ma nulla. Il cancello è chiuso. Non è molto alto, potrei scavalcarlo senza troppa fatica, ma decido di farlo solo nel caso che non mi risponda nessuno entro dieci minuti.
Fa molto freddo, così rientro in macchina. Accendo il riscaldamento e lo stereo. Parte Night Of The Hunter, la mia canzone preferita. Me ne sto buona buona, pensando al da farsi.
Il mittente dei messaggi e della mail era sempre quello ufficiale dei Mars, quindi non può essere uno scherzo. Ma l’assenza di fangirl mi mette in ansia. Dove sono gli altri? Possibile che sia l’unica che ha indovinato la password?
Sono sovrappensiero, mentre osservo il buio che mi circonda senza vederlo veramente.
E mi prende un infarto quando vedo qualcosa muoversi dalla parte del passeggero. C’era qualcuno lì fuori.
Stringo le mani al volante. In una frazione di secondo, un braccio spacca il vetro del finestrino. Poi una figura apre la portiera ed entra in macchina.
Non ho nemmeno il tempo di pensare cosa fare, che esco dalla macchina, mi fiondo sul cancello che avevo osservato poco prima e salto dall’altra parte. Poi corro.
Il capannone era aperto, così riesco ad entrare. Chiudo la porta dietro di me fermandola con una sedia solitaria, abbandonata lì chissà quando. Mi guardo intorno. L’edificio è completamente vuoto. Nessun macchinario, nessun attrezzo, nessuna porta, solo tanta polvere. A dire il vero c’è una porticina sulla parete opposta, così corro verso di essa per cercare di nascondermi lì dietro.
Non faccio neanche in tempo a guadagnare la metà dell’edificio che vengo buttata a terra.
Il mio aggressore è in ginocchio sopra di me. Mi prende un infarto quando vedo chi è.
-Jared??-
-Una ragazzina?- dice lui.
-Solo perché tu hai 40 anni, non significa che siamo tutti dei poppanti. E poi, chi ti aspettavi? La maggior parte degli Echelon ha la mia età adesso.-
Il suo sguardo è di ghiaccio. Mi schiaccia a terra con più forza, tanto da farmi male.
-Come osi pronunciare il nome “Echelon”? Non sai la forza che hanno quei ragazzi, cosa passano ogni giorno. E tu fingi di essere una di loro solo perché sei pagata da quegli immondi figli di puttana?-
-Ma di che diavolo parli? Io non sono pagata da nessuno!-
-Quindi ti sei unita a loro solo per gloria? Mi fai ancora più schifo.-
Le sue parole sono terribili.
-Ma di che diavolo parli? Lasciami subito!- ripeto.
Per risposta, mi colpisce con uno sguardo di ghiaccio.
-Senti, puoi dire quello che vuoi, io sono Echelon! È essere parte di una famiglia, è sentirsi una persona sola invece che milioni. È piangere per una sorella che muore, anche se non l’hai mai incontrata. E ora, diamine, lasciami andare!-
Jared sembra essere colpito dalle mie parole. Poi alza lo sguardo come se avesse sentito un rumore. Sembra spaventato. Si alza di colpo e con una forza sovraumana mi solleva e mi mette in piedi.
-Ma che c..?- mi lascio sfuggire.
Lui probabilmente intuisce cosa sto per dire, perché accenna un sorriso, ma prima che possa finire la frase mi mette una mano sulla bocca per zittirmi.
Poi comincia a correre. È dura stargli dietro, perché è troppo veloce. Tuttavia, sembra perfettamente riposato, come se stesse camminando invece che correndo.
Usciamo dalla porticina e ci troviamo in un cortile di ciottoli. C’è un’auto nera che ci aspetta.
-E la mia macchina?- protesto.
-La riavrai ancora prima di tornare a casa.-
-Stiamo andando a casa mia ora? Come sai dove abito? E perché corri così maledettamente veloce?- chiedo, sull’orlo di una crisi isterica.
Mi apre la portiera e mi spinge in macchina.
-Baby, io sono Jared Leto.- dice ammiccando. Poi chiude la mia portiera con un tonfo secco.
 

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Capitolo 4
*** Why are you here? ***


Jared

 

Metto in moto il veicolo. Mary è seduta di fianco a me. È spaventata, guarda fuori dal finestrino come se fosse la prima volta che si trova in una macchina.
-Come ti chiami?- le chiedo.
-Mary.-
Sospiro. -Intendo, qual è il tuo vero nome?-
Mi rivolge una breve occhiata, poi torna a guardare fuori.
-Il mio vero nome è Mary,- ripete. -Quello che c’è scritto all’anagrafe è solo una parola che non mi appartiene.-
Sono colpito dalla sua risposta.
-E come hai fatto a scoprire la password?-
-Ho letto su wikipedia. La pagina sulla sizigia, sai. Ho letto e mi è venuto in mente Efestione, così ho pensato che il doppio di Efestione fosse Alessandro e ho inserito la sua data di nascita. Ammetto che non è un ragionamento molto logico.-
-No, non lo è affatto. Ed è proprio per questo che nessuno avrebbe dovuto arrivarci.-
-E allora perché hai fatto quel post?-
-Per comunicare la data dell’incontro.-
-Ma se non ha partecipato nessuno!-
Stacco lo sguardo dalla strada e osservo Mary. I suoi occhi azzurri sono spalancati dalla sorpresa. Rido.
-Che hai da ridere, Jared?-
Rido ancora più forte.
-Quindi tu davvero non sai nulla dell’Associazione?-
-Quale associazione? Gli Echelon? Non sapevo che li chiamassi così.-
-No, non gli Echelon. L’Associazione, dai!-
Mi guarda come se fossi pazzo.
-Okay, non ne sapevi nulla. Oppure sei un’attrice stupenda.- aggiungo sussurrando.
Mary abbandona la testa contro il sedile.
-Non. Sto. Mentendo. Secondo te mentirei davanti a Jared Leto??-
-Solo se fossi pagata da loro.-
-Non so neanche chi siano questi “loro”!- sbotta, arrabbiata.
Taccio per qualche secondo. Sento il suo respiro rallentare. Si sta calmando.
-Mai sentito parlare degli Illuminati?-
-Quei tizi che si dice governino il mondo a nostra insaputa?-
-Uhm sì. Loro.-
Mi osserva. Pensa che io stia mentendo.
-Quindi tu mi hai buttata a terra perché pensavi che fossi una di loro.-
-Precisamente.-
-Allora loro sono i tuoi… nemici?-
-Oui, mademoiselle.-
Ora è lei a tacere. Sta soppesando le mie parole.
-Oh, sì. Sicuramente. Ora che me lo fai notare, tutta questa storia ha senso. Tu sei Jared Leto, e oltre ad essere membro dei 30 Seconds To Mars, attore, regista e tutto il resto, fai parte di un’associazione che ti manda a picchiare gli Illuminati.-
-Riassunto quasi esatto.-
-Perché, cos’ho tralasciato?-
-Se te lo dico, o ti metti ad urlare, o minacci di scendere da questa macchina in corsa, oppure ti metti a ridere.-
Mi scocca un’occhiataccia.
-Dimenticavo, potresti anche dire qualcosa tipo “esci da questo corpo!” o potresti anche lanciarmi dell’aglio addosso. O magari un crocefisso. Dubito che tu abbia uno spicchio d’aglio in tasca.-
-Perché dovrei fare tutto questo?-
-Perché sono un vampiro.-
Mentre lo dico, le mostro i denti con un sorriso minaccioso.
Lei sgrana di più gli occhi.
-Sì, questo ha senso. Decisamente.- dice con un tono asciutto.
-Guarda che sono serio.-
-Infatti stai per metterti a ridere. Dai, Leto, vedendo i tuoi film pensavo che fossi un attore migliore.-
-Quindi non ci credi.- La mia non è una domanda.
-No, affatto, signor Leto.-
Incrocia le braccia al petto.
-Ora capisco perché Emma sembra sempre così…-
Si interrompe per cercare una parola.
-Così come?- dico, accennando una risata.
-Depressa. Se ogni giorno ti comporti così, quella povera ragazza fa bene ad assecondarti.-
-Nessuno si è mai lamentato di come mi comporto.-
-Nemmeno Shannon?-
Ah. Beccato.
-Solo quando litighiamo per i biscotti.-
Non riesce più a trattenersi, e scoppia a ridere. Mi piace la sua risata.
-Ti sei appena fregato, Jared. I vampiri non mangiano biscotti.-
-I mezzi vampiri sì.-
-Ah giusto. I mezzi vampiri sì.- ripete.
Siamo giunti a casa sua. Come al solito, parcheggio lontano dalla mia meta.
Spengo il motore e mi giro verso di lei. Mary si irrigidisce. Sospetto che mai avrebbe immaginato di trovarsi chiusa in una macchina con me, soprattutto dopo averle rivelato la mia vera natura.
-Ho dimenticato.- dico. -Io sono il capo di quell’associazione. E loro, gli Illuminati, verranno presto a cercarti. Ti hanno visto poco fa.-
-Quindi non stavi mentendo?- balbetta.
-No. Affatto.-
-Ma… che vogliono da me?-
-Solo sapere perché eri con me nella zona industriale della città, e possibilmente rapirti per trovare il modo di danneggiarmi.-
Ora è davvero spaventata.
-Smetti di mentire, Jared… lo scherzo è bello finché dura poco. C’è una telecamera qui, non è vero? Stai registrando tutto questo per un vostro video…?-
-No, Mary. Vorrei tanto che fosse così. Ma ti sei trovata in una situazione decisamente compromettente, inserendo quella password.-
-E ora che faccio?-
-Nulla. Vai a casa e fai come se niente fosse. Domani riceverai una lettera che ti informerà che sei stata scelta per quel viaggio premio all’estero. Ti ricordi? Due mesi fa hai fatto la domanda.-
Ad ogni parola che dico, Mary è sempre più sgomenta.
-Sì può sapere come fai a sapere tutte queste cose?-
Rido di nuovo.
-È meglio che tu non lo sappia, ti spaventeresti.-
-Più di così?- dice. Ma poi si mette a ridere.
-Dicevo, domani riceverai quella lettera, così ufficialmente tutti sapranno che sei lì. Invece, sarai con me. Finiranno per rapirti o farti qualcosa di peggio se resti qui, e non posso permettere che una squadra ti stia appresso ogni minuto.-
-La polizia non può fare nulla?-
-Sì, certo. E gli alieni esistono- rispondo.
-Se esistono i vampiri, non vedo perché gli alieni non possano esistere- sbotta.
Decido che è tempo che Mary vada a casa. Ma prima di congedarla, mi tolgo il bracciale con scritto “I belong to the Echelon” e glielo porgo.
-Cosa…?-
-Domattina quando ti sveglierai ti servirà una prova per credere a tutto questo. Quindi, se penserai che la tua mente abbia inventato tutto, guarda quel bracciale. Me lo ridarai non appena ci rivedremo.-
-Quando ci rivedremo?- dice, mettendosi il bracciale come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
Sorrido.
-Soon. Very soon.-
-Non dire queste cose!- dice, tappandosi le orecchie.
-Va bene, va bene. Domani è troppo presto?-
Vedo che sta per dire qualcosa, ma si trattiene e arrossisce.
-Domani va benissimo.-
-A domani allora, Mary.-
Tolgo la sicura e le apro la portiera, sfiorandola appena. Mary trattiene il fiato.
-A domani- farfuglia. Poi scende dall’auto, mi fa un breve cenno di saluto con la mano e si dirige verso casa sua.
Gli Echelon non finiranno mai di stupirmi, penso, mentre mi dirigo verso la mia casa.

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Capitolo 5
*** Lost in a daydream. ***


Mary

 
Apro gli occhi. Mi metto a sedere di colpo e fisso la scrivania. Il bracciale di Jared è ancora lì, esattamente dove l’ho lasciato la sera prima.
Quindi è tutto vero.
Mi alzo e mi avvicino tremando al bracciale. Lo fisso.
“I belong to the Echelon”. La scritta rossa sullo sfondo bianco è lì davanti a me, posso toccarla e sentirla sotto le dita.
Sono ancora scioccata. Rivivo come in un sogno quello che è successo il giorno precedente.
La paura di essere inseguita e aggredita da uno sconosciuto, la sorpresa nello scoprire che si trattava di Jared,  Jared Leto!, e di venire a conoscenza che lui non è davvero quello che sembra.
Poi il brivido che mi ha attraversata quando si è girato verso di me, e mi ha guardata negli occhi, parlandomi sinceramente. La sua voce, che finora avevo solo sentito nelle canzoni dei Mars, o nelle interviste, ha riempito l’abitacolo della sua auto, ed era diretta a me.
Per non parlare di quando ho trovato la mia macchina sul vialetto, perfettamente integra.
Mi sono avvicinata al finestrino destro. Ho preferito non chiedermi come avesse fatto l’Associazione a riparare il finestrino così in fretta, e soprattutto come avessero potuto arrivare a casa prima di noi.
Jared Leto. È. Realmente. Un. Vampiro. Ed è a capo di un’associazione segreta che combatte gli Illuminati.
È troppo per me. Il cuore comincia a battere all’impazzata, e devo sedermi sul bordo del letto, perché temo di stare male. Mi conosco: posso vivere di tutto, al momento sto bene, ma il giorno dopo tutta la tensione si riversa su di me come una valanga.
Sento mia madre chiamarmi, così respiro profondamente, mi do una calmata e la raggiungo.
Non faccio nemmeno in tempo ad entrare in cucina che lei mi è saltata addosso, abbracciandomi.
-Oh, piccola mia! Ce l’hai fatta!-
-A fare cosa?- chiedo.
-Ma come cosa? Il viaggio all’estero! Hanno scelto te!- dice, e mi abbraccia ancora.
Jared dovrà spiegarmi parecchie cose, penso, mentre sorrido.
-Ma è fantastico!- dico. -Quando parto?-
Mia madre legge la lettera che ha in mano, e il suo sorriso si spegne.
-Parti stasera- dice.
-Beh, non è bellissimo?-
-Sì, ma… non festeggerai il capodanno con noi!-
Ecco dov’è il problema. Lei è così attaccata alle tradizioni, e in famiglia abbiamo sempre festeggiato Natale, capodanno e Pasqua tutti insieme.
-Mamma, lo so… però non posso perdere quest’occasione.- Più che altro, non posso permettermi di restare qui, in balia di “loro”.
Lei sbuffa.
-Sì, hai ragione,- mi dice. -Dai, vai a preparare le valigie.-
-Un momento, dove mi manderanno?-
Sulle sue labbra ritorna il sorriso estasiato di poco prima.
-À Paris!- dice, euforica, cercando di imitare la “r” francese.
Oh, Leto!

*

Jared

Osservo il cielo dal finestrino dell’aereo. È il tramonto, e mi tornano in mente le mie stesse parole, contenute nella canzone Echelon. Look at the red, red changes in the sky.
L’hostess si avvicina.
-Abbiamo dell’ottimo succo di ananas- dice.
Non posso fare a meno di non ridere.
-Chi ha scelto questa password?-
Anche Jiana si mette a ridere. Le labbra scoprono una schiera di denti bianchi, che contrastano con la sua pelle scura. I capelli neri, che di solito lascia sciolti, ora sono racconti in un elegante acconciatura, e in parte nascosti sotto il cappellino della sua divisa.
-È stato Nick- dice.
-Quel vampiro ha molta fantasia.-
-Mai quanto te. Senti, non posso trattenermi molto, e tra poco arriveranno gli altri passeggeri. La ragazza ha appena completato il check-in. Le abbiamo riservato un posto accanto a te.-
-Grazie- dico con un sorriso.
-Buon viaggio, mr. Leto.- Accompagna la frase con un’occhiata eloquente, poi si allontana.
Poco dopo, i passeggeri cominciano a prendere posto. Lei non tarda ad arrivare.
Osservo compiaciuto il suo sguardo stupito quando vede che il suo compagno di viaggio sono io, e quando ricontrolla il numero del suo sedile.
Rido e con un cenno del capo la invito a sedersi accanto a me.
Lei arrossisce, poi abbandona il suo giubbino di pelle sul sedile e cerca di mettere il suo bagaglio a mano nella cappelliera. Io mi alzo e le do una mano.
-Grazie.-
-Non c’è di che, mademoiselle. Pronta per vedere la città dell’amore?-
Mary scoppia a ridere.
-Non lo so. Per colpa tua adesso non so più quale sia la realtà e quale sia la fantasia.-
-Meglio così- dico mentre ci sediamo.
Jiana ci passa accanto, e con uno scambio di sguardi mi fa intendere che veglierà su di noi per tutto il viaggio.
Mary non sa chi è lei, così mi guarda e dice: -Cominci già a sedurre tutte le belle ragazze che vedi?-
Sento che Jiana si mette a ridere.
-Lei è dei nostri. Comunque, ho cominciato già ieri sera, se ti può interessare.-
Il modo in cui spalanca gli occhi mi fa venire una gran voglia di ridere.
-Non è divertente- dice, ma si vede che si sta trattenendo anche lei. Ci guardiamo e scoppiamo entrambi a ridere.
Non mi capitava di stare così bene con una persona da molto tempo. Distolgo lo sguardo dai suoi occhi e osservo il cielo che continua a scurirsi.
-Allora,- dice lei ad un certo punto. -Come giustifichiamo la mia presenza a Parigi accanto a Jared Leto?-
-Non accanto a me. Accanto a Shannon.-
-Prego?-
-Sarai la sua assistente. Io ho delle questioni in India che non posso rimandare. E lavorare per lui sarà un alibi perfetta, perché così Shannon potrà starti accanto senza problemi.-
Mary è confusa.
-E cosa dovrò fare io?-
-Nulla di che. Rispondere a qualche telefonata, accompagnarlo qua e là… sarà divertente.-
-Ma non pensi che mia madre si insospettirà? Potrebbe vedermi in qualche foto su internet.-
-Guarda che è tutto giustificato. Alla tua scuola lo sanno.-
Ora mi fissa come se le stessi dicendo che Babbo Natale esiste davvero. È interessante il modo in cui socchiude gli occhi, come per analizzare i miei pensieri. Nessuno è mai riuscito a capirmi, non penso che riuscirai nemmeno tu, penso.
-Stai scherzando.-
-No, affatto.-
Lei fissa un punto indefinito davanti a sé.
-Okay, questo è un sogno e ora mi sveglio. Un gran bel sogno, ma è tutto finto.-
Le do un pizzico sul braccio.
-Ahia!-
-Ora ti sei convinta che è tutto vero?- chiedo ridendo.
-Più o meno- mi dice sorridendomi. -Ah, dimenticavo. Tieni.-
Mi ridà il mio bracciale.
-Avevi ragione. Stamattina pensavo che fosse tutto frutto della mia immaginazione.-
-Lo so,- sussurro indossandolo. -Io ho sempre ragione.-
Mary dice qualcosa riguardo alla temperatura troppo alta all’interno dell’aereo, e si toglie la felpa. Noto che indossa la maglia con scritto This Is War. Non poteva indossare qualcosa di più azzeccato, data la situazione…
Lascio vagare lo sguardo sugli altri passeggeri. La maggior parte sono americani estasiati di visitare il vecchio continente, ma noto anche qualche isolato francese di ritorno in patria e alcuni individui che sono a proprio agio sull’aereo: probabilmente viaggiano spesso per lavoro. Considero tutto questo in un secondo. Devo stare attento a dei comportamenti insoliti, e nel caso, devo intervenire in tempo.
Il viaggio, però, è tranquillo. Parlo con Mary per tanto tempo, e mi ritrovo a rispondere a domande molto personali, che normalmente avrei evitato sparando qualche cavolata, come quando una volta dissi che volevo diventare un ninja. Non capisco il perché, ma Mary mi incuriosisce. Ad ogni modo, faccio finta di nulla.
Dopo un po’ le luci si abbassano, e le hostess ci invitano a dormire.
Cerco di mettermi comodo su questo dannato sedile. Odio dormire in aereo.
Chiudo gli occhi per pochi secondi. Quando li riapro, scopro che Mary mi sta osservando. Non mi ero accorto di quanto fossero luminose le sue iridi…
Rimaniamo per qualche secondo ad osservarci.
-Ho paura.- si lascia scappare Mary. Poi tace, come se avesse appena detto il suo più grande segreto.
Le accarezzo delicatamente una guancia.
-Lo so, lo capisco… anche io ho paura. Ma ci sono troppe ragioni per cui vale la pena lottare.-
-Per esempio?- mi chiede, sussurrando.
Stringo le labbra prima di rispondere.
-Giuro che saprai tutto. Ma non ora.-
-Va bene… buona notte, Jared.-
-Buonanotte, Mary.-
Lei chiude gli occhi, e io mi perdo nei miei ricordi, che sembrano appartenere ad una vita fa.
Ho appena giurato che le dirò tutto, appena sarà il momento.
Raccontare la mia storia non sarà semplice, e sono felice di non doverlo fare in questo momento.
Dopo un’ultima occhiata agli altri passeggeri, chiudo anche io gli occhi e decido di provare ad addormentarmi.

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Capitolo 6
*** To find youself, just look inside the wreckage of your past. ***


Jared

Marsiglia, anno 1762.
 
Mio padre mi stava aspettando in biblioteca. Così, camminavo veloce attraverso i vari corridoi della nostra grande tenuta nella campagna marsigliese. Aveva detto di volermi parlare di una questione importante, così avevo interrotto il mio abituale allenamento di equitazione, per raggiungerlo.
Affrettai un po’ il passo, prestando poca attenzione alle serve che pulivano.
Aprii la pesante porta, che si mosse senza cigolare, e notai mio padre, seduto alla scrivania inondata di luce pomeridiana.
 -Joseph, grazie di essere arrivato subito.-
 -Sapete che potete sempre contare su di me, padre. Christopher non è qui?-
Mio padre chiuse il grande libro che si trovava davanti a lui e lo rimise al suo posto, su uno scaffale proprio dietro la sua sedia.
 -No, tuo fratello doveva andare a Parigi, per sbrigare delle faccende. Siediti, figlio mio.-
Obbedii, osservando il suo fisico statuario e la grazia dei suoi movimenti.
I suoi vestiti erano alla moda del tempo, ma senza essere stravaganti. Non gli piacevano gli eccessi. I capelli neri ricadevano sulle spalle con dei grandiosi ricci. Quando si voltò verso di me, potei rivedere anche il suo volto: era bellissimo, con i lineamenti delicati, ma virili, la pelle chiara e gli occhi azzurri come i miei.
Sebbene il suo fisico fosse quello di un trentenne, il suo sguardo era molto più antico. Non sapevo in che anno fosse nato mio padre, perché non me l’aveva mai detto, ma quando raccontava della sua vita, si perdeva spesso in racconti provenienti dal tredicesimo secolo. Sì, lui aveva visto il mondo cambiare attraverso il tempo, grazie al suo status di vampiro. Quanto a me, io ero relativamente giovane: avevo solo 90 anni, anzi, 91 a dicembre, mi ricordai. Eppure, dato che a venticinque anni il mio corpo aveva smesso di invecchiare, sembravo molto più giovane di quanto fossi in realtà.
Si sedette di fronte a me, aprendo uno dei tanti libri lasciati sulla scrivania.
 -Dimmi, Joseph. Cosa pensi di questi Illuminati?- chiese con tranquillità.
 -Il loro modo di vedere il mondo mi incuriosisce. La loro volontà di governare con giustizia è senz’altro lodevole, ma ho paura che in questo modo non faranno altro che stabilire un’oligarchia.-
 -Giusto, giusto… però hai valutato solo il lato politico della questione.-
 -C’è forse dell’altro, padre? Pensavo che gli Illuminati fossero nati per creare un ordine politico diverso. Anche se mi accorgo di aver dimenticato che si interessano anche di scienze, di filosofia e di storia, ma come gli illuministi…-
Mio padre sorrise. Mi accorsi di quanto le sue espressioni fossero simili alle mie. Ci assomigliavamo molto, malgrado la differenza di età.
 -Joseph, tu vedi solo quello che loro lasciano vedere. Ti sei mai chiesto come possano aver raggiunto un potere del genere in così poco tempo?-
Nei suoi occhi brillava una luce che vedevo spesso: compariva sempre, quando parlava di un argomento che gli interessava profondamente.
 -Non ti sei chiesto,- aggiunse, -come possano aver acquistato la lealtà di così tanti regnanti, in nome di una società migliore?-
 -Me lo sono chiesto, ma ho pensato che fosse solo in base alle loro idee innovative.-
 -Ti sbagli. C’è molto di più dietro.-
 -Di cosa parlate, padre?-
Lui sfogliò il libro che aveva di fronte, prima di rispondermi.
 -Cosa faresti se avessi a tua disposizione il potere di rendere immortali le persone?-
Era una domanda che mi faceva spesso.
 -Non lo so. Qualche tempo fa, vi avrei risposto dicendo che avrei salvato quanti più possibile. E lo farei ancora, ma ora penso che un’azione del genere attirerebbe troppo l’attenzione, e che darebbe origine a molti atti riprovevoli. Qualcuno potrebbe scoprirlo, e userebbe questo potere in modo sbagliato.-
 -Potrebbe venderlo, magari- suggerì.
 -Probabilmente… ma padre, questo cosa centra con gli Illuminati?- chiesi, anche se cominciavo a capire dove andasse a parare il discorso.
 -Hanno promesso che avrebbero trovato il modo di usare questa,- disse, mostrandomi un disegno della Pietra Filosofale, all’interno del libro che stava sfogliando fino a poco tempo prima, -per creare l’Elisir.-
 -Ma è assurdo. La Pietra non esiste.-
 -E se la Pietra fosse solo il nome della formula di questa miracolosa pozione?-
 -Padre, sappiamo entrambi che non è dalla Pietra che si ricava l’Elisir. Chiedetelo a mia madre.-
 -Quello non era il vero Elisir, Joseph. Era solo una mera imitazione.-
 -Che funziona altrettanto bene quanto l’originale.-
 -Il vero Elisir assicura la protezione contro ogni tipo di veleno, arma, o metallo, e preserva dalla distruzione del tempo. Si diventa invulnerabili e immortali, assumendolo. Quello che ho somministrato a tua madre le ha solo dato la possibilità di invecchiare in modo estremamente lento.-
Soppesai quello che mi aveva appena detto mio padre.
 -Ogni tipo di metallo? Anche il platino?-
Il sorriso di mio padre si allargò.
 -Esattamente, Joseph. Vedo che hai colto esattamente il nocciolo della questione.-
 -Quindi hanno promesso l’Elisir ai regnanti attuali… e se osano fare una promessa simile, significa che hanno la Pietra?- chiesi, stupefatto.
 -Non lo so ancora… gli Illuminati hanno più segreti di un atomo- disse, chiudendo il libro improvvisamente. -Rifletti , e pensa se questo potere sia davvero una cosa buona, Joseph. Quando ti sarai fatto un’idea al riguardo ne discuteremo insieme- concluse, e io capii di essere stato congedato.
 
Anno 2011.

 -Jared?-
Mary mi sta chiamando. Devo essermi addormentato, e i miei sogni mi hanno permesso di rivivere questo ricordo di me e mio padre.
 -Cosa succede?- le chiedo.
 -Stiamo per atterrare. La hostess ha detto di allacciarci le cinture.-
La ringrazio per avermi svegliato, e mentre allaccio la cintura rifletto su quanto siano cambiate le cose.
Riavvio i capelli e spengo il BlackBerry. E mentalmente rinnovo il mio giuramento di punire chi ha ucciso mio padre.

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Capitolo 7
*** This is the life on Mars. ***


Shannon

 
L’aereo di Jared è in ritardo. Sarebbe dovuto atterrare mezz’ora fa, ma sono ancora in volo. Che sia successo qualcosa? Spero tanto che Jiana tenga tutto sotto controllo.
Mi metto più comodo sulla sedia in plastica dell’aeroporto. Alcuni mi guardano male, perché sono mezzo steso su queste maledette sedie. Sbuffo e comincio a tamburellare con le dita sulla sedia accanto.
 -Mi scusi, potrebbe smetterla?- mi chiede una signora francese.
Se solo potessi risponderti in francese, ti metterei a tacere in un istante. Ma devo fingere di non sapere questa lingua, o rovinerei tutto.
 -Mi dispiace, non parlo francese- le dico in inglese.
Lei mi guarda confusa, poi capisce che sono americano, fa spallucce e sposta lo sguardo altrove, altezzosa.
Stringo le labbra per impedirmi di risponderle male. Comincio a tenere il tempo con i piedi, come se stessi usando il doppio pedale. La signora mi guarda ancora in malo modo, poi si alza stizzita e se ne va, guardandomi con disprezzo. Le regalo il mio sguardo più velenoso.
Mi appoggio allo schienale e abbandono la testa all’indietro. Quanto ci mette ad atterrare? Spero che nessuno mi riconosca fino al loro arrivo.
Faccio appena in tempo a finire il pensiero, che noto una ragazza mora che bisbiglia verso una donna che potrebbe essere sua madre. Poi si gira verso di me e mi fissa, avvampando. Anche la madre si volta, dice qualcosa alla figlia e le fa cenno di alzarsi. La ragazza rovista nella sua borsa, prende un foglio e una penna e si dirige con passo incerto verso di me. Faccio finta di non aver notato nulla, e mi volto verso di lei solo quando mi chiama.
 -Monsieur Leto?-
È carina. Tiene il foglio stretto al petto, mi guarda stupefatta con i suoi occhi scuri. Avrà al massimo 18 anni.
 -Oui, c’est moi!- rispondo, contaminando il mio in realtà perfetto francese con un pesante accento americano.
 -Fantastico! Ho sempre desiderato incontrarti!- dice in inglese, mantenendo la sua pronuncia nasale e la tipica “r” gutturale.
Quando finisce la frase, apre e chiude la bocca, come se volesse qualcosa, ma se ne vergognasse troppo.
 -Come ti chiami?- le dico.
 -Josephine- risponde veloce. Poi mi porge il foglio e la penna.
 -Posso avere un…- comincia, ma probabilmente non sa la parola inglese per dire “autografo”, quindi si limita a mimare l’atto di fare una firma.
 -Certamente- rispondo. Faccio l’autografo e le restituisco il tutto con un sorriso.
Lei avvampa di nuovo, riprende carta e penna, biascica un saluto e se ne va.
Passo una mano tra i capelli. Mai nessuno che mi faccia un’altra domanda, al posto della solita richiesta dell’autografo…
Mi alzo e vado al banco delle informazioni. Mi appoggio con entrambi i gomiti e aspetto che una hostess mi dia retta.
 -Ha bisogno di qualcosa, signor Leto?-
 -Sì, avrei bisogno di un’informazione…-
Le lancio uno sguardo di fuoco, poi chiedo tra quanto atterrerà l’aereo di Jared. Osservo divertito come lei rimane a bocca aperta, in seguito alla mia occhiata. Poi si ricompone e cerca la risposta tramite il computer.
-Sta atterrando in questo momento. C’è qualcos’altro che posso fare per lei?- aggiunge, squadrandomi. Vedo che si sofferma ad osservare i muscoli delle mie braccia, lasciati scoperti dalla maglia a maniche corte. Così impari a vestirti come se fosse agosto, mi dico.
 -No, grazie- rispondo, sorridendo educatamente.
 -Davvero,- continua. -Qualunque cosa.- E mi guarda come se possedesse i raggi X.
Rimango interdetto per un momento.
 -Sono a posto così. Arrivederci- dico, nel tono più asciutto che possiedo. Lei sbatte gli occhi un paio di volte, poi deglutisce e torna alla sua postazione.
E così, impari a lanciare occhiate alla gente.
Decido di ritornare alla mia sedia, e per fortuna non devo aspettare molto prima che Jared e Mary arrivino.
Jared e Mary… Erano anni che non includevo più quei due nomi nella stessa frase. Distolgo la mia attenzione dai miei ricordi, e mi concentro sul presente. Mio fratello sta per arrivare, devo tenere sotto controllo tutte queste persone intorno a me. Loro potrebbero aver piazzato un sacco di spie in giro. Spero tanto che il piano di Jared funzioni.
Finalmente arrivano. Noto subito che Jared è strano. All’erta, ma sembra un po’ confuso, come se ci fosse qualcosa a turbarlo. Tiene gli occhi bassi, poi guarda altrove, poi lascia che lo sguardo guizzi qua e là. Lo fa sempre quando è nervoso.
Mary… mi colpisce. È identica all’altra Mary. Piuttosto alta, magra, capelli castani, lineamenti dolci… mi chiedo quale colpo sarà stato per Jared incontrarla. O forse, è stato così bravo a controllarsi, che il pensiero non lo ha nemmeno sfiorato. Temo per quando quel momento arriverà.
Quando Mary si avvicina, mi accorgo di quanto sia singolare il suo sguardo. Lo shock di aver scoperto così tante cose tutte assieme non ha scalfito la sua curiosità. Jared aveva ragione. E poi il colore degli occhi… mi ricorda tanto quello di nostro padre.
Mi lascio sfuggire un sospiro, e spero che nulla di quanto ho appena pensato traspaia. Sorrido a Mary e le stringo la mano quando si presenta. Il sorriso che mi rivolge è caldo, e noto che le sue guance si arrossano un po’ quando la guardo negli occhi. Ma almeno non inizia a balbettare come fanno tutte.
Ci incamminiamo, e usciamo dall’aeroporto. Aspetto di essere sul taxi per farle qualche domanda. Lei mi risponde con tranquillità. Noto come Jared fissi la strada, apparentemente distratto, ma in realtà sta ascoltando con molta attenzione quello che Mary dice. Lei, mi parla guardandomi negli occhi, ma ogni tanto guarda altrove, come se potesse vedere cose che esistono solo per lei. E a volte, vedo che lancia qualche rapido sguardo a Jared.
Mi ritrovo presto a sorridere, spontaneamente. Questa Mary è davvero particolare…
 

*
Mary

 
Non ci mettiamo molto ad arrivare all’albergo. È in centro, è bello, e mi sembra di essere in un sogno. La mia camera stupenda. C’è un bel letto a baldacchino, e il colore predominante della stanza è un rosa delicato. I mobili sono in legno chiarissimo, e la luce del tardo mattino, che passa attraverso le tende, avvolge tutto in un atmosfera surreale. E soprattutto, i Leto bros sono a pochi passi dalla mia stanza. Non può essere vero.
Mi abbandono sul letto. Sono esausta. Non ho mai chiuso occhio, sull’aereo. Avevo paura di addormentarmi, e al mio risveglio scoprire che Jared era andato via. Adesso, volendo, potrei anche dormire un po’…
Sento bussare.
 -Mary? Sono Shannon. Posso entrare?-
 -Certo, entra pure.- dico, mettendomi a sedere.
Shannon arriva e mi rivolge un gran sorriso.
 -Come ti senti?-
 -Bene, perché?-
Il suo sorriso si allarga un po’.
 -Ti va di… fare shopping?-
La sua proposta mi sorprende.
 -Wow, certo! Spero che mi bastino i soldi…-
 -Non preoccuparti,- mi dice, facendomi l’occhiolino. -C’è sempre l’Associazione…-
Mi lascia cinque minuti per sistemarmi un po’, poi usciamo.
Sul pianerottolo incontriamo Jared.
 -Dove state andando?- chiede.
 -Uh uh,- dice Shannon, facendo “no” con la testa. -semmai, dove noi stiamo andando.- E indica se stesso, me e Jared. Lui alza gli occhi al cielo e sbuffa.
 -Cosa vuoi comprarti?- domanda, sfinito.
Il fratello gli regala lo stesso sorriso entusiasta cha ha rivolto a me poco prima.
 -Un paio di scarpe nuove- risponde, tutto felice.
 -Okay, questo significa che avrai bisogno del mio aiuto, altrimenti chissà cosa compri…- dice, dandogli una gomitata.
Io mi lascio sfuggire una risata. I Leto mi guardano confusi.
 -Non arrabbiatevi, eh, ma il vostro abbigliamento va bene solo sul palco.-
Jared e Shannon si guardano. In effetti, tra i pantaloni con il cavallo basso di Jared e le scarpe multicolor di Shannon, non so chi sia peggio.
Shannon stringe le labbra. -Farò finta di non aver sentito. In cambio, ci accompagnerai in tutti i negozi di scarpe di Parigi.-
E infatti, poco dopo mi trascinano in ogni negozio che attira la loro attenzione, non solo di scarpe. Il negozio che li lascia più contenti è un’ottica, dove si provano tutti gli occhiali da sole che trovano.
Jared mi affida la sua macchina fotografica, in modo che possa fare una foto ogni volta che indossano un nuovo modello. Sono combattuta tra il desiderio di scoppiare a ridere, per tutte le facce che fanno, e quello di abbracciarli, perché sono la cosa più tenera di questo mondo.
Mi fanno anche vedere velocemente alcune delle attrazioni di Parigi, come la torre Eiffel, Notre Dame de Paris, e anche il Louvre.
 -Ti prometto che un giorno lo visiteremo insieme.- mi dice Jared. Il mio sorriso estasiato è l’unica risposta che trovo.
Decidiamo che è ora di mangiare. Shannon propone di andare in un ristorante tipico.
 -Non è che possiamo scegliere un ristorante vegetariano?- chiedo.
Jared si blocca e mi fissa, interessato.
 -Sei vegetariana?-
 -Beh sì… non riesco proprio a mangiare la carne.-
Il fratello minore mi sorride a trentadue denti. Shannon sbuffa.
 -Ci mancava un’altra con le tue fisse…- dice, dando una leggera spinta a Jared. Parte una risata collettiva.
Dopo aver mangiato, mi dicono che è ora di tornare in albergo. Jared riceve un sms.
 -Sarà meglio scegliere strade secondarie…- Lancia un’occhiata a Shannon. Probabilmente loro hanno saputo qualcosa. Ci incamminiamo verso l’albergo, percorrendo vie deserte. Il cielo si sta facendo già buio.
 -Scusate, ma perché finora non ci siamo nascosti?- chiedo.
 -Perché così loro sanno che sei con noi. È più difficile giustificare un attacco in pieno centro, invece che uno in una zona deserta della città- risponde Jared.
 -E perché ora ci nascondiamo?-
 -Perché hanno deciso di uscire a giocare- dice Shannon. Rabbrividisco.
Noto che anche i due fratelli sono piuttosto tesi. Acceleriamo il passo.
 -Succede qualcosa?- domando poco dopo.
 -No, va tutto bene…- risponde Jared, distratto. Sta controllando il suo BB. -Shannon. Non si può.- dice.
Il fratello si blocca e ci indica un negozio abbandonato.
 -Lì dentro.-
 -Ma non pensi che…-
 -Presto o tardi, non possiamo scappare. Evitiamo il peggio.-
Io non capisco. Jared mi prende per il braccio e mi trascina, quasi, al negozio.
 -Qualsiasi cosa succeda,- mi sussurra all’orecchio, -non allontanarti da me.-
Entriamo. La polvere è ovunque. L’intonaco manca in diversi punti, e non si vede nulla. Ci dirigiamo sul retro, in cerca dell’uscita secondaria. Scopriamo un locale ancora più polveroso. C’è una scala, su cui è fissato un tappeto che un tempo doveva essere rosso.
Shannon ci precede, ma poi si ferma.
Posso contare i battiti del mio cuore, mentre ho già capito cosa sta per succedere.
Un tizio incappucciato sbuca dal nulla e si avventa su Shannon. Non riesce a fare molto, dato che Shannon lo stende subito con pochi colpi. Ad un tratto, non sento più la presa di Jared, e vedo che sta correndo verso un altro uomo incappucciato, e lo neutralizza in poco tempo.
Gli uomini incappucciati diventano sempre di più. Non capisco più se i Leto sono in vantaggio, ho troppa paura per capire cosa sta succedendo.
Qualcuno mi afferra per la gola. I due fratelli si bloccano e mi fissano spaventati.
Una cosa fredda mi preme sulla gola. Spero davvero che non sia una pistola.
 -Ora, voi tre venite con me. Altrimenti lei muore.-
Jared è visibilmente scioccato. Fissa me e l’uomo che mi trattiene con gli occhi spalancati. Shannon respira più velocemente del solito.
Sento il mio cuore che batte velocissimo, e la fronte che si bagna dal sudore. Basterebbe un secondo…
Parte uno sparo. Jared corre verso di me e mi prende, prima che io svenga. L’uomo che mi stava minacciando si abbandona all’indietro e cade.
 -Tomo!- dice Shannon. -Tempismo perfetto, bro!-
Mi volto appena, e scopro che Tomo ha in mano una pistola fumante.
 -Pensavate davvero che vi avrei lasciato in balia dei francesi? Andiamo…-
Fa un gran sorriso, e abbraccia Shannon.
Tra le braccia di Jared, mi riprendo un po’. Lascio la presa sulla sua maglia. Non sapevo di essermi aggrappata così tanto.
 -Come stai?- mi chiede, mentre Shannon parla con il chitarrista.
 -Benissimo- dico, sarcastica. Il sorriso che Jared mi rivolge spegne un po’ della mia paura.
Tomo si avvicina a noi e saluta Jared. I due si abbracciano, e Jared gli chiede come ha fatto a trovarci così in fretta.
 -Hey, stai parlando con Crazy Mofo! Un po’ di rispetto!-
Shannon scoppia a ridere e batte il cinque a Tomo.
 -Oh, e tu sei Mary!- dice, infine.
 -Già, eccomi qui- dico, prima di rendermi conto di cosa sto dicendo. Sono ancora sconvolta.
 -Grazie per… aver sparato a quel tizio…-
 -Ho fatto il mio dovere- risponde, dandomi una leggera pacca sulla spalla.
D’un tratto parte la suoneria del mio cellulare. È “We Are Mars”, la canzoncina che avevano fatto una volta in radio. I Mars si guardano e scoppiano a ridere.
 -Faresti meglio a rispondere- dice Shannon.
 -Sì, è mia madre.- Rispondo alla chiamata, tranquillizzandola, senza riferirle nulla di quanto appena successo. Poi, a chiamata conclusa, usciamo dal negozio e andiamo all’albergo.
 -Posso dirti un segreto?- mi dice Jared, sotto voce, facendo l’occhiolino. -“We Are Mars” è anche la mia suoneria.-
 

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Capitolo 8
*** It took a moment before I lost myself in here. ***


Mary

 
Rientriamo all’albergo. Lo spavento è passato ormai, ma ho ancora la sensazione della canna della pistola sulla mia gola… come se fosse ancora lì… Metallo freddo sulla mia pelle. Sarebbe davvero bastato un secondo…
Entriamo nell’ascensore. Jared è proprio accanto a me. Mi guarda e mi sorride. Sa a cosa sto pensando. Rispondo con un timido sorriso. Ho paura che tutto quello che sto vivendo possa ingoiarmi di colpo, e trascinarmi giù. È troppo. Ma poi vedo i suoi occhi… distolgo lo sguardo e cerco di pensare a qualcos’altro.
 -Dobbiamo lasciare Parigi- dice Jared, d’un tratto.
 -Hai ragione. Non li pensavo in grado di attaccarci così facilmente. Non erano stati più accorti negli ultimi anni?- chiede Tomo.
 -Sì, si comportavano così solo negli ultimi anni del diciottesimo secolo. Metà delle esecuzioni erano opera loro, ma formalmente le vittime erano solo oppositori politici e nemici della Rivoluzione, non nemici degli Illuminati- risponde Shannon.
Da come ne parla, sembra averlo vissuto. Non mi ero mai fatta questa domanda prima, ma ora il pensiero si insinua nella mia mente, e non se ne va più. Quanti anni hanno realmente Jared e Shannon? E Tomo? È anche lui un vampiro, o mezzo vampiro?
Scopro che non ne sono terrorizzata. Anzi, capisco di essere ancora più interessata alle loro vite. Quante persone avranno conosciuto in tutto questo tempo? Quante aggressioni come questa hanno subito?
Quante ne hanno causate?
Le porte dell’ascensore si aprono e io sobbalzo. Per un secondo ho pensato che qualcuno avrebbe potuto fingere un incidente, facendoci precipitare… Sto andando in paranoia…
 -Ho bisogno di dormire. Vado in camera mia- annuncio.
 -Non preferisci mangiare qualcosa prima?- chiede Jared.
Mi accorgo di avere una fame assurda.
 -Sì… sì, okay.- Lasciamo giubbotti e altro nelle nostre camere, e poco dopo seguo i Mars al ristorante.
Sussulto per ogni piccolo rumore. Temo che qualcuno possa aggredirci in ogni momento. Mi faccio forza pensando che Jared, Shannon e Tomo non permetterebbero mai che qualcuno mi facesse del male. Ma non mi basta… continuo ad avere la sensazione del metallo sulla pelle…
Jared se ne accorge, lo vedo, ma non dice nulla. Si limita a distrarmi, facendo domande sulla mia vita.
Rispondo senza grande energia. Svegliati, mi dico, hai Jared Leto davanti e stai a pensare ad una pistola?
Noto che ad un certo punto i toni di voce dei miei compagni si abbassano, e le frasi diventano più corte. Sembra quasi che stiano sussurrando. Cerco di prestare attenzione, ma parlano a voce troppo bassa.
Però, qualcosa lo capisco: sono indecisi se andare a New York, o da qualche parte in Germania.
Non so l’esito della conversazione, visto che cinque minuti dopo mi alzo, chiedo scusa a tutti e me ne vado in camera. Per un momento penso di aver visto con la coda dell’occhio Jared che faceva per alzarsi e Shannon che lo fermava, ma non appena mi giro li vedo tutti seduti e rilassati, che stanno ancora parlando.
Scuoto la testa, come se bastasse per dare un senso logico ai miei pensieri.
Con mio grande disappunto, non riesco a dormire, nemmeno per cinque minuti. Continuo a rivivere l’aggressione. C’è gente che ha vissuto di peggio! Perché non riesco semplicemente a dimenticare?
Alla fine, alle 3.06 esatte decido che non posso continuare così. Ho bisogno di dormire.
Mi vesto ed esco dalla mia camera. Voglio andare al bar, bere qualcosa e tornare di sopra. So che il bar dell’albergo sta aperto per tutta la notte. Ho il frigo bar, è vero, ma non mi importa: forse camminando un po’ mi passerà questa sensazione.
Passo davanti alla camera di Jared. Mi fermo davanti per un secondo.
Voglio bussare? Sarebbe bello essere qualcuno di così importante per Jared, da poterlo svegliare di notte con un pretesto così ridicolo. Aspetto ancora per qualche secondo, poi me ne vado.
Al bancone del bar trovo Shannon.
 -E tu cosa ci fai qui?-
La cosa più stupida che potessi mai dire. E l’ho detta.
Shannon ride.
 -Quello che ci fai anche tu. Non riesco a dormire.-
Mi fa cenno di sedermi accanto a lui. Lo raggiungo.
 -Come mai non riesci a dormire?- mi chiede, con fare molto fraterno.
 -Ehm… è una cosa molto stupida. Tu?-
 -Troppi ricordi. Dai, dimmi perché non dormi… guarda che puoi parlare.-
 -Okay.- Prendo fiato. È brutto da ammettere. Ho paura che dicendolo la sensazione aumenterà, fino a soffocarmi.
Intanto Shannon mi ordina un cocktail. Non ne capisco il nome, però.
 -Cosa c’è qui dentro?- chiedo, sospettosa.
 -C’è un potente sonnifero.-
La mia faccia sbigottita lo diverte molto.
 -Daaaai, non mi permetterei mai. E se ci provasse lui,- dice, indicando il barista, un ragazzo giovane, moro, con capelli corti e occhi di un bel verde. -Lo butterei fuori dall’Associazione a calci in culo.-
 -Non mi permetterei mai, Fratello.- risponde quello.
Shannon ride ancora.
 -Sì, tranquilla, è dei nostri. E quella è vodka e limonata. Andiamo, raccontami perché non riesci a dormire.-
Prendo un sorso prima di rispondere.
 -Continuo a sentirmi quella pistola puntata sulla gola.-
 -Lo so, è una brutta sensazione.-
Taccio. Come posso aver pensato che non mi avrebbe capito? E che loro, i Mars, non sapessero quello che provo?
 -Stand out on the edge of the earth- canto, a bassa voce.
 -Dive into the center of faith- continua lui, annuendo.
 -Walk right in the sight of the gun.- Accenno un sorriso amaro.
 -Look into this new future’s face- conclude. -Bevilo tutto, ti aiuterà a dormire. Domani, la sveglia è alle 7. Partiremo non appena saremo pronti, quindi cerca di non pensare troppo, e perditi nei tuoi sogni.-
Detto questo, si alza, mi fa una leggera carezza e se ne va.
Rimasta sola, bevo il drink più in fretta che posso, saluto il barista (che mi risponde con un gentile “Buonanotte, Sorella”) e salgo in ascensore.
Quando le porte si aprono, scopro che Jared si trova proprio lì davanti, in piedi.
 -Non dovresti andare in giro da sola. Anche se è pieno di confratelli, non mi fido comunque degli altri.-
 -La situazione è così grave?- chiedo.
 -Considerando che abbiamo subito due attacchi in ventiquattro ore, beh, sì.-
 -Due attacchi?-
 -Uno oggi pomeriggio, e uno sull’aereo. Se ne è occupata Jiana.-
Rabbrividisco. Comincio a camminare verso camera mia, lentamente. Jared mi accompagna fino a dentro, poi chiude la porta a chiave.
 -Mary… domani partiremo...-
 -Lo so, me l’ha detto Shannon.- lo interrompo.
 -Non è questo il punto. Il punto è che domani tu vai in Messico con Shannon.-
 -E tu?-
 -Ho delle cose urgenti da fare in India. Tomo resterà qui per qualche altro giorno, poi partirà anche lui. Non ci rivedremo per un po’.-
 -Un po’ quanto?-
 -Di sicuro fino a Capodanno. Non manca molto… è solo qualche giorno.-
Solo qualche giorno…
 -E dopo?-
 -Dopo non lo so… dipende dall’esito che avranno le nostre ricerche.-
 -Basta che non dici che ci rivedremo very soon.-
Jared ride.
 -Cosa?-
 -Beh, quando tu dici very soon, si sa che la gente dovrà aspettare molto più tempo.-
Scoppiamo entrambi a ridere.
 -Okay, okay, non dirò…-
 -No! Non dirlo!- lo interrompo, mettendogli una mano sulla bocca.
Jared sembra stupito da quel contatto. Tuttavia, prende la mia mano tra le sue, dolcemente.
 -Non dirò quello che non devo dire- conclude, accarezzando la mia mano.
 -Buon viaggio, e buonanotte- aggiunge.
 -Anche a te, Jared.-
Poi mi abbraccia e se ne va, richiudendo la porta dietro di sé.
E io rimango lì, in piedi, come una scema. Mi auguro di non dimenticare mai quell’abbraccio così spontaneo.

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Capitolo 9
*** I see your face in everything. ***


Mary
 

Mi sveglio di colpo alle 6, temendo di non aver sentito la sveglia. Invece, non appena leggo l’orario, capisco di essere in anticipo di un’ora. Mi butto sotto la doccia per svegliarmi del tutto, tanto non ho voglia di tornare a dormire. Asciugo i capelli con calma, mi vesto e do una sistemata alla valigia. Il contenuto era ancora in ordine, dato che non l’avevo disfatta del tutto, ma decido comunque di togliere i vestiti, piegarli e rimetterli al loro posto con cura. Sto disperatamente cercando di non pensare. Tenermi occupata è l’unico modo per farlo.
Alle 7 in punto il mio cellulare squilla brevemente. Riconosco il numero di Shannon (io e i Mars ci eravamo scambiati i numeri di telefono in taxi, il giorno prima. La parte più Echelon di me avrebbe voluto saltare dalla gioia e mettersi a urlare). Non ho una gran fame, ma scendo comunque: spero di poter salutare Jared e Tomo prima di dividerci.
Al nostro tavolo, lo stesso della sera precedente, ci sono solo Shannon e Tomo. Mentre mi avvicino a loro guardo in giro, ma non c’è traccia di Jared. Sarà ancora in camera sua, penso, mentre mi siedo accanto a loro e li saluto. Nonostante abbia dormito quanto me, Shannon è sveglio e pimpante, e ha una splendida cera. Cerco di non pensare al mio aspetto fisico per evitare di deprimermi.
 -Jared?- chiedo, mentre mi verso del tè.
 -È già partito- dice Tomo, e si concede uno sbadiglio. Io nascondo la mia delusione.
 -Hai bisogno di dormire, amico- gli dice Shannon.
 -Lo farei, se i miei superiori non mi dessero così tante cose a cui pensare.-
 -Io e Jared siamo dei capi così insopportabili?- chiede sorridendo.
 -No, solo quando state troppo lontani da Twitter.-
Shannon sbuffa.
 -Solo perché tu non hai ancora capito bene come si usa…- borbotta piano.
 -Davvero, Shan, ne siete quasi dipendenti. Che poi, non basta un account…- aggiunge Tomo, rivolgendosi a me. -No, Jared ne ha due, uno in cui è se stesso, e l’altro in cui si chiama Bart Cubbins. E si tagga da solo. Ah già, poi c’è quello che usa in “incognito”,- e mima il gesto delle virgolette. -Io non gli sto più dietro, davvero. Come hai fatto a sopportarlo per più di tre secoli?- chiede a Shannon, infine.
 -Esattamente come sopporto te e la tua barba. È ora di tagliarla, sai?-
 -Se a Vicky non dà fastidio, non vedo perché deve dare fastidio a te.-
 -Sono il tuo superiore insopportabile, quindi, mi da fastidio e devi tagliarla- dice il batterista, facendomi l’occhiolino. Io mi sto letteralmente trattenendo dal ridere.
 -Non dicevo sul serio, non penso che tu sia insopportabile- risponde Tomo sbigottito.
 -Io invece sì, Mofo.-
Shannon e Tomo si guardano seri per trenta secondi, poi scoppiano a ridere. Riprendono a parlare e a punzecchiarsi, poi Tomo si alza in piedi e ci saluta. Abbraccia brevemente Shannon, poi anche me. Shannon lo accompagna verso l’uscita, e vedo che si dicono qualcosa sottovoce. Io distolgo lo sguardo: non voglio che pensino che li stia spiando. Alla fine Tomo se ne va e Shannon ritorna al tavolo.
 -Hai finito o hai ancora fame?- mi chiede, gentilmente.
 -No, sono a posto.-
 -Okay, allora va’ a sistemare la valigia… appena sei pronta partiamo.-
 -L’ho già preparata.-
Shannon mi fissa per qualche secondo confuso.
 -Mi sono svegliata presto stamattina, e non avevo sonno- dico, a mo’ di spiegazione.
 -Oh. Beh, allora, chiedo di portarle giù, così andiamo subito all’aeroporto.-
Un’ora e mezzo dopo siamo già sull’aereo. Grazie all’Associazione non abbiamo incontrato file, e i controlli sono stati velocissimi. Durante il viaggio mi sono addormentata. Non ricordo granché del sogno: l’unica cosa che è rimasta impressa nella mia mente, è la presenza costante degli occhi di Jared.
 
I giorni scorrono veloci in compagnia di Shannon. Lo seguo ovunque, in quanto sua segretaria. Capisco molte cose di lui che prima non avrei mai immaginato, e io per una delle poche volte nella mia vita mi sento finalmente bene. Shannon è incredibile: è divertente, brillante. Non parla molto, a parte quando scherza. Ma quando dice qualcosa, si può star certi che sarà qualcosa di profondo, o di assurdo. È perso nel suo mondo, almeno quanto Jared, però ogni tanto fa ritorno sul pianeta Terra, e lascia tutti sbalorditi.
A volte tace e guarda in giro, tranquillo. Si potrebbe pensare che sia solo annoiato. Ma se lo guardi negli occhi vedi qualcosa brillare. Il marrone dorato si accende: chissà quali progetti sta facendo, o in quali ricordi è perso. Starà ricordando l’ultima battaglia? L’ultima volta in cui ha affrontato loro? Oppure sta solo valutando qualche eventuale pericolo?
Anche quando qualcosa lo diverte davvero fa così. Gli occhi brillano e la sua risata contagia chiunque. È difficile rimanere impassibili se Shannon ride.
Shannon non è solo ricordi e risate, però. Una volta l’ho visto arrabbiato: stavamo camminando lungo un marciapiede, e un fotografo continuava a starci appiccicati. Shannon era al telefono con Tomo. Io ho chiesto più volte di lasciarci in pace, ma questo faceva come se nulla fosse. Alla fine Shannon ha chiuso la chiamata, si è girato verso il fotografo e ha cominciato a parlargli in spagnolo. Non ha urlato, non ha alzato la voce. Ma il suo sguardo era qualcosa di terribile e affascinante al tempo stesso. Il fotografo se ne è andato spaventato, e Shannon ha ripreso a camminare, un po’ più deciso di prima. Da brava osservatrice, ho notato che respirava più profondamente del solito, come se stesse cercando di trattenersi.
 -Shannon? Tutto okay?- ho chiesto, timidamente.
 -A meraviglia, dolcezza- ha risposto serio. Poi ha preso un bel respiro e finalmente mi ha fatto un sorriso.
La sera di Capodanno la festeggiamo tutti insieme. Beh, tutti si fa per dire. Di Jared e Tomo non si vede nemmeno l’ombra, ma ci sono moltissimi fratelli e sorelle Echelon, che fanno parte dell’Associazione. Ci troviamo tutti in un locale alla moda, e Shannon viene chiamato ad esibirsi alle percussioni. E suona in modo spettacolare.
Faccio un sacco di foto, e vedo che Shannon è felice di farsi fotografare. Rivolge gran sorrisi a tutti.
A mezzanotte, sono la prima che Shannon abbraccia. Poi entrambi veniamo travolti da tanti confratelli che ci abbracciano e ci augurano un buon anno nuovo. La festa riprende, più gioiosa di prima.
Qualche ora dopo che la mezzanotte è passata, Shannon mi saluta, mi augura una buona notte e mi dice che ci saremmo visti il giorno dopo. Fa per andarsene, quando si gira e tira fuori l’Iphone. Guarda lo schermo, poi me lo passa.
 -C’è una chiamata per te.-
 -Ma…?-
 -Il tuo cellulare è nella tua camera, vero? Te lo sei dimenticato là.-
Mi rendo conto che ha ragione. Lui mi porge di nuovo l’Iphone, regalandomi uno dei suoi sorrisi furbi.
 -Rispondi, è Jared.- Si allontana lentamente, sempre sorridendo.
Accetto la chiamata senza pensarci due volte.
 -Shan?-
 -No, Jared, sono io, Mary.-
 -Oh, Mary! Scusa se non mi sono fatto sentire… ero piuttosto impegnato. Buon anno nuovo, bellezza.-
 -Buon anno nuovo anche a te. Cosa stai facendo di bello?-
 -Ballo con Babu!- risponde, estasiato.
 -Cosa stai facendo tu?- ripeto, confusa.
 -Aaah, lascia stare.- E ride come un bambino. È bella la sua risata. Comincio a ridere senza rendermene conto.
 Parliamo un altro po’, poi sento che qualcuno da lui lo sta chiamando.
 -Vuoi che ti passi tuo fratello?- chiedo, realizzando che tra poco dovrà chiudere la chiamata, e che è Shannon che ha chiamato, non me.
 -Ah, sì, giusto. Passamelo, grazie.-
 -Eccolo, arriva.- In effetti Shannon si materializza subito, come se fosse stato chiamato a gran voce. Non riesco a capire come ha fatto. L’ho visto allontanarsi di tanto…
 -Bene… buonanotte Mary. E ancora, buon anno nuovo.-
 -Anche a te Jared, fai sogni d’oro- gli dico. Sento che sta ridendo piano. Passo l’Iphone a Shannon, che mi saluta con la mano mentre se ne va.
Non ho molta voglia di stare alla festa. Vorrei tanto buttarmi sul letto e dormire. Così, chiedo di essere portata all’albergo, e subito un Fratello si offre per accompagnarmi. Un altro Fratello e una Sorella vengono con noi.
Mezz’ora dopo sono sotto le coperte, senza la minima traccia di stanchezza. Sono perfettamente sveglia. Accendo l’Ipod. A Modern Myth parte da sola, con la riproduzione automatica. Mi addormento poco dopo, mentre la mia mente oscilla tra il chiedersi per chi Jared ha scritto quella canzone, quanto tempo passerà prima che io lo possa rivedere, e la consapevolezza della perfezione della sua voce.

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Capitolo 10
*** Don't be afraid of the dark. ***


Mary

 
Sono sdraiata sul letto. Non riesco a muovere un muscolo. Di fianco a me c’è una ragazza avvolta in un mantello nero, con il cappuccio le copre il viso. Indossa una maschera chiara. E mi fissa. Sta lì, in piedi, nell’angolo della mia camera d’albergo, senza fare nulla. Ho paura. Cerco di muovermi, ma niente, sono bloccata. Il battito del mio cuore è velocissimo. La ragazza si avvicina a me, le mani tese, verso il mio collo… Jared! Cerco di gridare, ma non funziona. Jared! Mi hanno trovata!
La sveglia del cellulare mi trapana le orecchie. Apro gli occhi e mi guardo attorno, cercando la ragazza mascherata. Non c’è nessuno. Era solo un sogno.
La testa mi sta per scoppiare. Ho decisamente bevuto troppo ieri sera. Eppure non ricordo di aver dormito così tanto. Mi alzo, vado in bagno. Il mio riflesso nello specchio mi sconvolge: non mi sono struccata ieri sera, e tutto il mascara è colato lungo le guance, lasciando la sagoma delle mie lacrime. Tutto per colpa di quello stupido sogno.
Cancello quei segni dalla mia faccia, poi torno a dormire. Chiudo gli occhi un attimo, poi li riapro, e vedo che è mezzogiorno passato. La cosa più preoccupante, è che Shannon non mi ha fatto nemmeno uno squillo, cosa che invece fa ogni giorno.
Magari sta ancora dormendo… ma se fosse successo qualcosa?
Mi faccio coraggio e vado da Shannon. Gli busso. Niente.
Busso più forte. Non ho ancora nessuna risposta.
Provo a fargli uno squillo. Il suo cellulare è irraggiungibile. Non è normale, non è normale!
Tento di aprire la porta, ma so già che è chiusa. Fisso il dispositivo che chiude la porta, di quelli che si aprono con le tessere, come se bastasse per farlo scattare. Mi ricordo che forse ho il modo per entrare.
Io e Shannon ci eravamo scambiati delle tessere gemelle, in modo che se fosse successo qualcosa, avremmo potuto avere accesso alle camere di ciascuno. È un’emergenza, no?
Decido di sì, così corro in camera mia, cerco la sua tessera tra le mie mille cose, senza trovarla. Odio essere così disordinata. Alla fine la trovo. Mi precipito alla sua porta, inserisco la tessera ed entro.
La luce è spenta, le tende sono tirate quasi del tutto, e la camera è immersa nel buio, a parte un piccolo raggio di sole che batte sull’armadio.
Vedo Shannon, e tiro un sospiro di sollievo. È completamente scoperto, girato su un fianco, e dorme come un bambino. Indossa solo un paio di pantaloncini e una maglietta bianca.
Mi chiedo se sia normale che un mezzo vampiro resti addormentato con tutto il rumore che ho fatto. Ad ogni modo, decido di lasciarlo dormire, così vado verso la porta.
Ho già la mano sulla maniglia, quando Shannon mi chiama.
 -Mary?-
La sua voce è così assonnata che mi fa tenerezza.
 -Scusa, volevo controllare se fosse tutto a posto. Me ne vado.-
 -Aspetta, aspetta- dice, mentre si alza dal letto. -Spiega un po’ meglio.-
 -Beh, semplice: era mezzogiorno passato e non ti eri fatto vivo. Così busso alla tua camera, quasi butto giù la porta e tu non senti nulla, quindi penso che forse è successo qualcosa. Ed eccomi qui.-
 -Interessante- dice, mentre apre le tende e osserva il panorama.
 -Pensi che sia stata stupida.-
 -No, io avrei fatto lo stesso. Vista la situazione in cui ci troviamo, hai fatto bene. La prossima volta, però, non fare più una cosa del genere- dice, serio.
 -Mi dispiace di essere entrata in camera tua senza permesso, ma…- comincio, a bassa voce.
 -Non è per quello, Mary.- Mi sorride. -Intendo, chiama qualcun altro dell’Associazione. Se ci fosse stato davvero qualcuno di loro qui? Avrebbe potuto farti del male.-
Ripenso al mio incubo, a quanto sono indifesa…
 -Sai una cosa, Shan?-
 -Cosa?- risponde, mentre controlla l'iPad.
 -Mi dispiace di averti svegliato così. Eri tanto bello mentre dormivi.-
 -Ah… mio fratello non sarebbe felice di sentirlo…- dice sottovoce.
 -Shannon, cosa intendi?-
 -Uhm, niente.- dice, senza alzare lo sguardo dal tablet.
Mi siedo sul letto, e mi perdo un po’ nei miei pensieri. Poco dopo, parte l’audio di un filmato, ma non capisco subito cosa dice, perché le voci sono molto distorte. Vedo che rigira il tablet sottosopra, confuso, e poi scoppia a ridere.
 -Cosa succede?- gli chiedo.
 -Niente- dice, ridendo. Lascia il tablet sul comodino. -“Sweat sweat sweat” conquisterà il mondo! Amo gli Echelon- aggiunge, sempre ridendo, mentre va verso il bagno.
 -Ah, Mary- esordisce, mentre prendiamo posto al nostro solito tavolo per fare colazione. Ormai è diventato una specie di rito. Stesso tavolo e stesso cameriere, che in realtà fa parte dell’Associazione, e ci rivolge sempre dei grandi sorrisi.
 -Oggi riceveremo visite.-
 -Ah sì, e da chi?-
 -Guarda tu stessa.- Mi indica l’entrata del ristorante.
Mi giro, e vedo Jared. Incontro i suoi occhi e mi chiedo se tutto questo sia reale. Quando ci sorride, ho voglia di andargli incontro e saltargli addosso, ma riesco a trattenermi. Mi limito a rispondere al suo sorriso.
Mentre si avvicina, vedo che dietro di lui ci sono Tomo e Vicky. È un sollievo vederli tutti e sapere che non gli è successo nulla di brutto.
 -Buon anno, muddafuggaz!- dice Jared, imitando il fratello. Prende posto accanto a me, dopo aver salutato Shannon con un breve abbraccio. Tomo e Vicky si siedono di fronte a noi. Sono così belli insieme.
 -Com’è andato il soggiorno qui?- chiede Tomo a Shannon.
 -Bene, non abbiamo avuto particolari problemi. Ma dopo tutto, c’era mezza Associazione. Non avrebbero mai osato attaccarci platealmente.-
 -Ottimo- dice Jared.
 -Voi avete trovato tutto quello che cercavate?- chiede Shannon.
 -Sì, tutto. Tomo ha fatto delle belle scoperte.-
 -Solo grazie a Vicky.-
 -Sempre a fare il modesto tu…- risponde lei.
 -Basta fare i piccioncini voi due- dice Jared.
 -Hanno appena cominciato, suvvia…- risponde il fratello, facendo l’occhiolino.
 -Lo dici tu. Hanno fatto così per tutto il viaggio…- Jared finge un espressione annoiata degna di un Oscar. Poi si mette a ridere.
 -Emma?- chiede Shannon all’improvviso.
 -Arriva più tardi- risponde Tomo. Vedo che lui e Jared si scambiano uno sguardo d’intesa.
 -Che cos’avete voi due adesso?-
 -Niente… niente…- dice Jared.
 -Jared, mi arrabbio.-
 -Hey, calmo. Non ho detto nulla.- Tenta di stare serio, ma poi lui e Tomo scoppiano ancora a ridere.
Shannon scuote la testa.
 -Sembra che abbiate dieci anni.-
 -Moltiplica quel numero per 34, allora- fa presente il cantante, mentre il cameriere ci porta le ordinazioni.
 -Per me, moltiplicalo solo per 22.- dice Tomo.
 -Siete vecchi- dice Vicky, ridendo.
 -Beh, amore, non li porto così male.- risponde il chitarrista, e poi da un leggero bacio a Vicky.
 -Pfff- fa Jared.
La conversazione prosegue così per un po’, poi arriva anche Emma. Noto subito come Shannon cambia. Si siede subito più composto, e cerca di dire solo cose sensate, anche se qualche battuta se la lascia scappare. Oh, oh, oh. Ora capisco molte cose.
Sono felice di conoscere Vicky ed Emma. Sono stupende. Ed Emma non è così depressa come pensavo. Cerco di non far caso agli sguardi che lancia a Shannon.
 -Allora, Shannon, cominciato bene l’anno? Che hai fatto di bello questa notte? - chiede Emma.
 -Beh, posso dirti che non ho dormito molto.- Accompagna la risposta con uno sguardo che non lascia spazio a fraintendimenti. Emma spalanca gli occhi e lo fissa, arricciando le labbra.
 -Buon per te, allora.- Il tono di voce di Emma è piatto piatto.
Guardo Jared in cerca di spiegazioni. L’unica cosa che vedo è un sorrisino divertito.
 -Bene, scusate tanto ma io e Mary dobbiamo andare- dice Jared.
 -Prego?-
Il cantante fissa il fratello per un secondo.
 -Non gliel’hai detto?-
 -Mi sono dimenticato- risponde Shannon, facendo spallucce.
 -Qualcuno può spiegarmi?-
 -Sto per portarti all’Hive. Shannon ha bisogno di un po’ di tempo da solo.-
 -Già, devo recuperare le energie.-
 -Spero che non sia per colpa mia…- dico.
Non capisco perché, ma Emma mi guarda malissimo. Ma che ho detto?
Tomo nasconde un sorrisino simile a quello di Jared. Vicky gli da una gomitata senza farsi vedere da Emma.
 -No, è solo che ho bisogno di un po’ di tempo da solo. All’hotel S. Leto. Su una spiaggia, a guardare il mare. Completamente da solo- ripete Shannon.
 -Sì, okay, da solo. Ciao a tutti. Io e Mary andiamo.-
Mi prende la mano e mi porta via. Ho il tempo solo di dire un piccolo “ciao” che mi ha già portata nella hall.
 -Non ho ancora fatto la valigia! Ci metterò un secolo.-
 -Non abbiamo tutto questo tempo, per questo ci hanno già pensato due Sorelle. Sapevo che Shan si sarebbe dimenticato.-
In quel momento le ante dell’ascensore si aprono, rivelando due ragazze, una con la mia valigia, l’altra con la mia giacca di pelle e la mia borsa appese al braccio.
La seconda ragazza mi porge il tutto.
 -Partiamo subito?- chiedo stupefatta.
 -Certo. Il tempo corre. Non ci metteremo trenta secondi per arrivare, purtroppo.-
 -Non dirmi che l’Hive è in Francia.-
Jared ride. Quanto mi è mancata la sua risata. Usciamo dall’albergo. Due facchini stanno mettendo la mia valigia e quella di Jared su un taxi.
 -No, non è in Francia. Contenta?-
 -Contentissima.-
Shannon, Tomo, Vicky ed Emma ci raggiungono. Ci salutiamo in fretta, abbraccio forte Shannon, poi saliamo sul taxi. Seduta accanto a Jared, non mi sento più così ansiosa. Il mio incubo è ormai sparito nelle parti più remote della memoria.

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Capitolo 11
*** It's time to forget about the past. ***


Jared

 

Sono vittima dei miei ricordi. Mi assalgono. Mi torturano. Il mio passato sta divorando il mio presente, e ora come non mai il futuro è così incerto.
Non ci avevo fatto caso prima. Il mio subconscio ha cercato di proteggermi dalla realtà. Ma alla fine mi sono ricordato.
Mary…
Me ne sono accorto durante il viaggio in aereo. Il secondo che abbiamo condiviso. Lei stava leggendo, accanto a me, si è girata e mi ha sorriso. In quel momento, mi sono sentito rinascere e morire dentro.
Nei suoi occhi ho rivisto Mary, l’altra Mary. Quella che avevo visto l’ultima volta dieci anni fa. Che era morta tra le mie braccia. Per un secondo, ho pensato che fosse lei, che in qualche modo fosse tornata da me. Non credo nella reincarnazione, eppure l’ho sperato. L’ho sperato così intensamente, che quando ho capito di essermi sbagliato, mi è sembrato che Mary fosse morta una seconda volta.
Per tutti questi anni mi sono imposto di ricordare la mia Mary solo come una persona di passaggio nella mia vita, di ricordarne il nome, di dedicarle una canzone, ma senza perdermi nei momenti che ho condiviso con lei.
Adesso, il ricordo di Mary è più vivo che mai. La Mary che è seduta accanto a me è così simile a lei… stessi capelli, stessa corporatura, stesso sguardo. Il sorriso, invece, è così diverso. La mia Mary nascondeva dietro il suo sorriso una profonda inquietudine. La droga l’aveva cambiata. Anche se ero riuscito a convincerla a smettere di drogarsi, non era più la stessa. Come se fosse sempre pronta a spezzarsi.
L’amavo. L’ho amata con tutto me stesso. Quando se n’è andata, sono morto anche io. Dopo 300 anni avevo trovato la donna della mia vita, e mi era stata portata via brutalmente. Prima mio padre, poi lei.
La Mary che vedo adesso dentro ha un’energia incredibile. È curiosa, divertente, intelligente… fa un sacco di domande. Vuole sapere tutto. Mi affascina. E ha una voce bellissima.
Mi chiedo se riuscirò a guardarla negli occhi senza pensare alla mia Mary… No, non posso lasciarmi uccidere dai ricordi. È tempo di dimenticare il passato.
Mi concentro sul motivo per cui continuo a lottare. Devo vendicarli entrambi. Basta affogare in quello che è successo anni fa. È tempo di andare avanti.
Penso che Shannon tornerà presto. Con mio fratello accanto, mi sentirò meglio. Fino ad allora, lotterò ogni giorno per tenere i ricordi lontani. Ma sono così debole… Per adesso, mi faccio forza, e canto.

 

Mary

 

Jared era strano, durante il viaggio in aereo. Continuava a fissarmi. Sentivo il suo sguardo addosso mentre leggevo. Mi sono girata, e gli ho sorriso. La sua reazione è stata… particolare. Ha spalancato gli occhi, per un istante. Poi ha ripreso il controllo, e mi ha rivolto un sorriso freddo, ma il modo in cui ha continuato a guardarmi in seguito era diverso. Come se finalmente mi vedesse davvero. O come se fossi un fantasma.
Ha detto solo poche parole, in seguito. Non ha nemmeno voluto dirmi dove eravamo diretti.
L’aereo era atterrato a Nashville, in Tennessee, ma non era quella la nostra destinazione. Una volta usciti dall’aeroporto, Jared si è incamminato verso una macchina scura, parcheggiata tra le altre; ha sistemato le valigie, ha presto le chiavi e mi ha aperto la portiera del passeggiero. Il tutto senza dire una parola.
Guidava senza neanche prestare molta attenzione alla strada. Fingeva di farlo, ma io sapevo che stava pensando a tutt’altro. Non aveva nemmeno acceso la radio.
 -Dobbiamo stare in silenzio tutto il tempo?- ho chiesto.
 -Come, scusa?-
 -Beh, potremmo ascoltare qualcosa intanto.-
 -Per esempio?-
Ho notato che Jared si stava dirigendo verso Ashland City, stando ai cartelloni stradali.
 -Una delle vostre canzoni?- ho proposto.
 -Solo se scegli una del nuovo album.-
 -Non è giusto.-
 -Mia la macchina, mie le canzoni, mie le regole.-
Mi ha rivolto un sorriso furbo. Era bellissimo. Ho distolto lo sguardo e ho sbuffato.
 -Va bene… però devi cantare- ho detto, tirando fuori l’Ipod e sistemandolo sulla dock station. Quella macchina era molto più equipaggiata di quanto non sembrasse.
 -Ho mal di gola- ha detto. E sicuramente l’ha fatto solo per contraddirmi. Il sorrisino non se n’era ancora andato.
 -Sì, certo- ho detto, ironica.
 -Dai, non ho voglia di cantare.-
 -Mio l’Ipod, mie le regole. Vuoi una canzone del nuovo album? Devi cantare.-
Gli ho rivolto il suo stesso sorriso. Jared si è messo a ridere di gusto.
 -Okay, okay, allora canterò, ma solo se canterai con me.-
 -Jared, pensi davvero che mi lascerei sfuggire l’occasione di duettare con te?-
Ho alzato gli occhi verso il cielo, come spesso faceva lui per prendere in giro Tomo o Shannon.
 -Allora, milady, scegli la canzone- disse, con una voce sexy, avvicinandosi un poco al mio viso. La macchina aveva continuato a procedere, normalmente. Anche se stava guardando me, non aveva sbandato di un centimetro.
Mi sono limitata a scuotere la testa. Mantieni il controllo, Mary. Lo fa solo per provocarti.
Ho scelto la mia canzone preferita. Night Of The Hunter.
Negli occhi di Jared è apparsa una scintilla. Ha sorriso, felice, e cominciato a muovere la testa a tempo con la musica.
  -I was born of the womb of a poisonous man.
 Beaten, and broken, and chased from the land.
 But I rise up, above it.
 High, up above it and see.-
La sua voce era da togliere il fiato. In effetti, finché non ha concluso la frase, e mi ha rivolto un sorriso pericoloso, non mi sono accorta di non aver respirato.
 -Devi cantare con me, ricordi?- mi ha detto. Ho annuito, cercando di darmi una controllata. Ho cominciato a cantare con lui, tenendo la voce bassa.
 -I was hung from a tree made of tongues of the weak.
 The branches, the bones of the liars and thieves.
 Rise up above it.
 High, up above it and see.-
Dopo, mi sono fatta coraggio, e ho cantata la mia parte preferita con la voce un poco più alta.
 -Pray to your God.
 Open your heart.
 Whatever you do,
 don’t be afraid of the dark.-
Jared mi ha guardata negli occhi, felice. Abbiamo preso a cantare più forte, insieme.
 -Cover your eyes, the devil’s inside.-
 -One night of the hunter.-
 -One day, I will get revenge.-
 -One night to remember.-
 -One day, it’ll all just end.-
Poi è cominciato il coro. E abbiamo cantato con tutto il fiato che avevamo.
Durante la seconda strofa, la sua voce ha ricominciato ad uccidermi. Anzi, no. Più che uccidermi, ha cominciato a tirarmi verso di lui. Come se lui fosse un pianeta, e io fossi solo un satellite, in balia della sua orbita.
Mi sono abbandonata quella sensazione. Raramente avevo permesso ad un ragazzo di farmi quell’effetto. Ma Jared è diverso.
Quando la canzone è finita, ha scelto lui cosa avremmo cantato.
 -Metti “A Beautiful Lie”.-
 -Va bene, la macchina è tua.- Ha riso.
Mentre cantavamo, ho notato che sembrava perso dentro se stesso. Stava cantando per se stesso. Sembrava che volesse ricordarsi qualcosa che il tempo aveva cancellato.
 -It’s time to forget about the past.
 To wash away what happened last.
 Hide behind and empty face.
 Don’t ask too much, just say.
 ‘cause this is just a game.
 It’s a beautiful lie.-
L’intensità con la quale aveva cantata queste frasi mi aveva scioccata. Ho continuato io, da sola, come se fosse un duetto.
 -It’s a perfect denial.-
 -Such a beautiful lie to believe in.- ha ripreso lui.
 -So beautiful, beautiful…- E ci credevo, mentre lo cantavo. E capivo cosa provasse. Perché noi stavamo vivendo in una bugia. Una splendida bugia, perché ero con lui, ma una menzogna restava. Fingevamo di essere chi non eravamo davvero. Io, con un nome falso, un lavoro falso, nel posto sbagliato. Lui, con un’identità falsa, un’associazione segreta, una guerra che si combatteva da secoli. E chissà quanti segreti.
Eppure, mi sentivo bene. Sì, non era quello il mio posto, e sapevo che presto la realtà mi avrebbe riportato indietro, sulla Terra. Ma lì, su Marte, con Jared, ero felice. E potevo giurarlo, anche Jared era felice in quel momento.
 -That makes me!- ha cantato Jared in screamo. Poi, silenzio.
La voce di Jared registrata. La batteria. Il piano. Ma non ci facevo caso. Non mi ero nemmeno accorta che aveva parcheggiato da qualche parte. Avevo perso la cognizione dello spazio, del tempo.
Vedevo solo i suoi occhi, la sua bocca. Ed era così vicino. Il resto non contava più ormai.
Jared si è avvicinato un poco. Io devo aver fatto lo stesso.
In pochi secondi, eravamo l’uno di fronte all’altra, vicinissimi, e le nostre labbra stavano per sfiorarsi.
Sentivo il suo respiro sulla bocca. Non capivo più niente.
Nel momento in cui ho sfiorato le sue labbra Jared si è bloccato, e lentamente si è allontanato.
Complimenti, Mary. Hai rovinato tutto. Tu e la tua mancanza di autocontrollo.
Ero già pronta a scusarmi. Ma Jared mi ha sorpresa.
Ha colmato la distanza tra noi in un secondo e mi ha baciata.
È stato… magico. In quel momento per esisteva solo lui, Jared, non Jared Leto.
Esistevano le sue labbra, non tutti i film in cui aveva recitato. Non tutte le canzoni che aveva cantato.
Esisteva il suo profumo, non la sua pubblicità per Hugo Boss.
Esisteva la pelle del suo viso, sotto le mie dita, non tutta la popolarità incontrata con i tour mondiali dei Mars.
Ed esistevo io, mentre sentivo le sue dita sul mio collo. Per la prima volta ero viva.
Poi Jared si è sottratto. Aveva il fiato corto, ed io pure.
 -Scusa, non avrei dovuto…-
 -Jared…-
 -Siamo arrivati. Prendo le valigie. Tu sali in casa. È aperto adesso.-
 -Jared…- ho ripetuto. Non volevo che si sentisse in colpa per una cosa del genere. Era assurdo.
Non volevo le sue scuse. L’unica cosa che volevo era che mi baciasse ancora. L’audacia dei miei pensieri mi sconvolse.
 -Va’ pure. Ti raggiungo.-
Ed è sceso dalla macchina. L’ho imitato, sperando che quel bacio non fosse solo un gioco, o una bella bugia.

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Capitolo 12
*** Mary was a different girl. ***


Jared

 
20 settembre 1999, Los Angeles.
 

Uscii dagli studios con passo stanco, ma felice. Mi stavo impegnando tanto per quel film, Sunset Strip… Interpretavo una rockstar country, e avevo i capelli lunghissimi, come non li avevo mai avuti prima. Nemmeno a Versailles li avevo portati così lunghi. Il mio look però mi piaceva: aveva qualcosa di selvaggio. Alcune mie ammiratrici dicevano che ero molto sexy. Mi lusingava, certo, tuttavia la parte che mi interessava di più di quel film non era il look che avevo adottato, ma l’emozione che provavo mentre recitavo.
Avevamo cominciato a girare nel 1998, e a quanto sembrava avrei passato ancora tanto tempo sul set. Ma andava bene così: facevo quello che mi piaceva, era la mia passione. Certo, cantare, suonare, erano cose diverse, ma diventare un personaggio nuovo ogni volta che recitavo in un film diverso era affascinante. Era spingermi verso un limite e cercare di varcarlo. Era essere una persona diversa.
Non sto forse recitando anche ora? Questo non è il mio vero aspetto. Nessuno sa chi sono.
E di nuovo, andava bene così. Ero felice di essermi lasciato alle spalle la vita che avevo vissuto fino a poco tempo prima. Quei secoli erano una fase ormai chiusa: erano diventati parte di una vita passata.
Io ero rinato negli anni 90. Nuovo nome, Jared, nuovo cognome, Leto. Non ero più Joseph Devour. Mio padre era lontano, in Francia, ad inseguire i suoi strani ideali, a muover guerra a dei fantasmi; io, Christopher e mamma eravamo negli Stati Uniti. Attualmente, loro stavano nel Louisiana, mentre io ero nella città degli angeli per lavoro. Christopher, anzi, Shannon, come si chiamava adesso, sarebbe presto tornato a New York, e io sarei andato con lui. Avevamo un progetto grandioso in mente: prendere la nostra passione per la musica e trasformarla in qualcosa di reale, tangibile e spettacolare. Volevamo diventare i nuovi Pink Floyd, i nuovi Depeche Mode, ma con un’intensità diversa. Volevamo qualcosa di più potente, più cattivo, quasi. Alcuni testi erano già fatti, e una canzone, Revolution, era già in parte registrata. Ma mi mancava qualcosa… un dettaglio che mi sfuggiva. Quello che componevo mi piaceva, ma non era come volevo. Era come se dentro di me le canzoni esistessero già, e fossero solo lì ad aspettare che io le cercassi, e le trovassi. Solo, non avevo cercato ancora abbastanza. In quel caos era facile perdersi. Una volta trovato un senso alle mie idee, avrei dato vita alla musica che sognavo. Fino ad allora, dentro di me c’era un uragano.
Respirai a fondo l’aria inquinata di Los Angeles. Quanto era cambiato il mondo. Era duro ammetterlo, ma Marsiglia cominciava a mancarmi. Scossi la testa. Niente ripensamenti. Ora sono Jared Leto. Ricomincerò con un nuovo nome, e guarderò verso l’infinito.
Cercai le chiavi della macchina delle tasche del mio giaccone, inseguendo quel pensiero. Sarebbe potuto diventare una frase di una canzone… Mi ero perso nei miei pensieri, come mi accadeva spesso, quando delle grida interruppero il mio volo pindarico.
Una ragazza stava urlando a gran voce, imprecando ed insultando chiunque avesse sotto tiro.
 -Stronzi! Figli di puttana che non siete altro! Non sapreste riconoscere l’arte nemmeno se ballasse nuda davanti ai vostri occhi da porci!-
Mi bloccai a quella vista. Quella ragazza era così diversa dalle altre che frequentavo a Hollywood.
Camminava veloce, infilandosi una giacca di pelle. I capelli castani, lunghi, ribelli, danzavano attorno a lei come se fosse immersa nell’acqua. E il suo sguardo bruciava. Vidi l’azzurro dei suoi occhi anche da quella distanza. Erano ghiaccio rovente.
La osservai, divertito, mentre si girava, e con un gesto plateale faceva il dito medio con entrambe le mani al via vai di persone che entravano e uscivano dagli studios.
 -Fottetevi tutti, dal primo all’ultimo!- disse, poi riprese a camminare. Qualcuno le urlò dietro un insulto, e lei si limitò a tenere ben alto il braccio con cui faceva il suo gesto.
Quella ragazza mi incuriosiva. La vidi dirigersi verso la fermata del pullman. Mi tenni a distanza e la seguii.
La trovai appoggiata al palo che sosteneva il cartello della fermata. Mi avvicinai un po’, e vidi due righe lucide lungo le sue guance: stava piangendo. Il trucco nero era colato un poco. Eppure, non avevo mai visto nessuno di così affascinante. Ero rapito. Ricordo di essere rimasto ad osservarla, a qualche metro di distanza, mentre controllava l’orologio e si lasciava sfuggire un’imprecazione.
Mi feci coraggio e mi avvicinai di più. Farmi coraggio? Farmi coraggio?? Non capivo come quella ragazza potesse mettermi in soggezione.
 -Va tutto bene?- le chiesi.
Mi trafisse con il suo sguardo di ghiaccio.
 -Secondo te?- rispose.
Si asciugò le lacrime con un gesto veloce.
 -Hai del fumo?- mi chiese.
 -No, mi dispiace.-
 -Acido? Pasticche? Niente di niente?- chiese ancora, impaziente.
 -No, non ho nulla.-
Lei sbuffò.
 -Scusami, è che… lasciamo perdere. Mi chiamo Mary.-
 -Io sono… Jared.-
Stavo per rispondere Joseph… cosa mi prendeva?
Rise della mia incertezza e mi strinse la mano. Indugiò un momento, prima di lasciarmi andare.
 -Sei uno di loro? Uno schiavo dell’industria cinematografica?-
Feci un timido sorriso.
 -Gli piacerebbe... No, sono solo un attore che vuole qualcosa di più dalla vita.-
 -Tipo?-
 -Vivere della mia arte. Le mie parole, le mie canzoni…- mi interruppi. Perché le sto rivelando tutto questo?, pensai.
 -Oh, suoni.- Non era una domanda. -Hai un gruppo?-
 -Sì, ci chiamiamo…-
Mi bloccai di nuovo. Avrebbe riso del nostro nome. Tutti quelli a cui l’avevo detto mi avevano guardato come se fossi pazzo. A parte Christopher, cioè… Shannon. Dovevo mettermi in testa di chiamarlo con il nuovo nome.
 -Vi chiamate?- mi chiese, strappandomi dal mio delirio mentale.
 -30 Seconds To Mars.-
Mary accese una sigaretta, aspirò il fumo, poi lo lasciò andare piano piano.
 -30 Seconds To Mars…- ripeté, come se stesse assaporando le parole. -Mi piace- sentenziò, sorridendomi.
 -Mi piacerebbe tanto vivere su Marte. Chissà com’è la vita lassù. Sicuramente, sarà meglio di questo schifo.-
Fece un’altra boccata, poi lasciò la sua sigaretta a metà, la lanciò lontano e si avvicinò a me.
 -Non ho nessuna voglia di aspettare quel dannato pullman. Perché non mi porti tu a casa?-
 -Come sai che sono venuto qui in macchina?- chiesi, assecondandola. Incrociai le braccia al petto.
 -Ti ho visto mentre cercavi le chiavi nel giubbino. Non sei esattamente il tipo di ragazzo che non si fa notare…-
Queste cose mi erano state dette tanto volte, e spesso non mi avevano fatto effetto. Dette da lei, ebbero un risultato totalmente diverso. Ero quasi felice che mi avesse notato. E avrei voluto prendermi a sberle, per quanto mi stessi comportando da stupido.
 -E come sai che non sono un maniaco?-
 -I tuoi occhi…- disse. Poi si interruppe, sbatté gli occhi e si allontanò di un passo.La imitai.
 -Beh, allora andiamo, no?- proposi, incerto.
La accompagnai a casa. Per tutto il tragitto era stata favolosamente in silenzio. Mi diceva solo dove andare, e per il resto del tempo guardava fuori dal finestrino. Amavo questo comportamento: in quel periodo troppe persone mi assillavano con le loro parole senza senso.
Mi stupì ancora quando arrivammo a casa sua. A quel punto, tutte le ragazze che avevo incontrato nella mia vita invitavano a salire, e io perdevo puntualmente il mio interesse. Lei non lo fece.
Mi sorrise, mi ringraziò per il passaggio e mi diede un bacio sulla guancia. Poi scese dalla macchina e si diresse verso casa sua correndo.
Ancora non avevo capito quanto fosse speciale per me. Altrimenti, non l’avrei mai lasciata andare.

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Capitolo 13
*** She always liked to fly. ***


Jared

 

28 settembre 1999, Los Angeles.
 

I miei pensieri continuarono ad essere rivolti a quella ragazza per tutto il giorno seguente, e quello dopo, e quello dopo ancora. Non l’avevo più vista, ma non avevo certo dimenticato il suo sguardo.
Soprattutto, avevo impresse nella memoria due sue immagini: la prima, in cui lei faceva il dito medio alla folla di gente che entrava e usciva dagli studios, e la seconda, in cui lei era alla fermata del bus, e le lacrime luccicavano sulle sue guance. Il contrasto tra questi due aspetti della sua personalità mi affascinava.
Ricordo che in quei giorni mi ero diretto verso la mia macchina sperando di rivederla. Invece, lei non c’era. Non aveva nessun motivo di essere lì, dopo tutto.
Avevo anche pensato che forse sarei potuto andare a trovarla a casa sua. Ma chi ero per prendermi una libertà del genere? Le avevo solo dato un passaggio, dopo tutto.
Mi decisi a levarmela dalla testa. Ormai era passata una settimana. La sera prima ero uscito con una mia collega, avevamo cenato insieme, eravamo finiti a letto. E per tutto il tempo avevo immaginato come sarebbe stato se al posto di quella bionda tinta ci fosse stata lei, Mary. Mi avrebbe scioccato con qualche sua frase, avrebbe messo a tacere la confusione dentro di me dicendo qualcosa di particolarmente ironico, oppure sarebbe semplicemente rimasta a guardarmi. Guardarmi seriamente, però, non come quella bionda aveva fatto per tutta la sera, il solito sguardo del tipo “non hai idea di cosa ti farei in questo momento”. Fino ad una settimana prima non mi avrebbe dato fastidio. Invece, quella sera essere stato trattato in quel modo mi aveva disgustato. La bionda - non mi ricordavo il suo nome - era una ragazza bellissima, con un corpo mozzafiato, ma io non volevo lei. Volevo Mary.
Quel mattino mi ero svegliato in un letto non mio, con ancora il profumo della bionda addosso. Però, per un secondo meraviglioso ero stato felice. Avevo sognato la ragazza di cui ero innamorato, e avevo sperato che aprendo gli occhi avrei visto lei. Invece, c’era la bionda, che dormiva ancora.
Mi ero vestito, facendo piano per non disturbarla, poi l’avevo svegliata per dirle che me ne stavo andando, perché era tardissimo per me.
Lei aveva aperto gli occhi ancora truccati, mi aveva guardato confusa e aveva borbottato un “okay”. Ero pronto a scommettere che non si ricordasse nemmeno il mio nome. Ma dopo tutto, io non mi ricordavo il suo: eravamo pari.
Ripercorsi mentalmente tutta la serata, mentre tornavo a casa in macchina. Quanto avevo sperato che tra i clienti del ristorante ci fosse lei… invano, però.
Arrivato a casa, feci una doccia veloce, mi vestii in fretta e uscii di casa subito, senza mangiare nulla. Ero in ritardo per le registrazioni, e il regista era già abbastanza suscettibile senza che gli dessi delle ragioni per urlarmi dietro.
Le registrazioni quel giorno furono anche peggio del previsto. Il regista, Adam Collis, diede di matto. Se la prese con noi attori, perché gli rendevamo impossibile girare quel film, dato che non eravamo immersi nei nostri personaggi.
 -Voi… non siete abbastanza!-
 -Abbastanza cosa?- osai chiedere.
 -Abbastanza e basta! Abbastanza! Dovete essere di più!-
Andò avanti con un monologo estenuante per cinque minuti buoni, e poi se la prese con i macchinisti, perché non interpretavano bene le sue indicazioni.
 -Tu!- apostrofò un cameraman. -Non sei capace! Ti ho detto, fai un mezzo busto su Jared, non un primo piano! Cazzo! Ti ci vuole molto?-
 -Io non devo seguire Jared, devo seguire Anna- rispose.
 -E allora segui Anna e fai un fottutissimo mezzo busto pure a lei!- sbraitò.
Riprese fiato. Era paonazzo.
 -Così non va. Non posso registrare un film così, no… così non posso… non in questo modo… Vacanza. Avete quindici giorni liberi. Fate quel cazzo che volete… e non rompete i coglioni. Ci rivediamo qui a metà ottobre.- Era uscito dal set e aveva lanciato il copione dietro di sé.
Io e gli altri attori ci scambiammo degli sguardi preoccupati.
 -Dovremmo convincerlo a tornare?- disse Anna, l’attrice che interpretava Tammy.
 -No, non servirebbe- dissi. Gli altri attori e i macchinisti mi diedero ragione. -Allora, ci vediamo a metà ottobre.-
Li salutai in fretta. Ero così frustrato che non vedevo l’ora di chiudermi in casa. Cos’avrei fatto in quei quindici giorni? Non sarei certo rimasto a Los Angeles. Ogni angolo di quella città mi ricordava Mary, e questa sorta di dipendenza mi spaventava. Dovevo togliermela dalla testa il prima possibile.
Ripetei la solita routine. Saluta la guardia all’ingresso, mostra il cartellino, cerca le chiavi, cammina verso la macchina…
Quasi non mi ero accorto di chi mi aspettava vicino al mio veicolo.
 -Jared!- sentii, e poi venni travolto da un turbine di capelli castani. Era Mary, mi si era gettata addosso, abbracciandomi. La sentii singhiozzare sulla mia spalla.
 -Mary? Ma cosa succede?- sussurrai.
Non aveva nemmeno la forza di rispondermi. I singhiozzi erano troppo forti.
 -Mio… padre…- riuscì a dirmi. Si staccò da me quel tanto da potermi guardare negli occhi. Tutti i miei tentativi di dimenticarla… svanirono tutti in quell’istante. Esisteva lei, e basta.
 -Jared, ti prego, portami via.-
 -Mi conosci appena. Non sai chi sono.-
Le mie parole non la intimorivano.
 -Non mi interessa chi sei, o cosa sei. Ti prego, portami in un posto che amo, portami altrove.-
 -Ho dei segreti. Ho un passato diverso da quello che ti aspetti.- Non volevo spaventarla, ma doveva sapere. Non avrei mai potuto nascondere chi ero a lei. Non ne sarei stato capace.
 -Sei l’unico di cui posso fidarmi. Lo sento. Tu non sei come gli altri. Ti prego- ripeté.
Rimanemmo zitti per trenta secondi, a guardarci negli occhi. Come se avessimo potuto dirci tutti i nostri segreti grazie ad una comunicazione telepatica. Lei, lei sapeva leggermi l’anima.
 -Andiamo- dissi. Mi sorrise (un sorriso che rimase impresso nella memoria per anni, e che è impresso anche ora), mi diede un bacio leggero sulle labbra e salì in macchina.
Aveva appena cambiato la mia vita, con la sua fiducia spontanea, e ancora non lo sapeva. O forse sì, sapeva così tante cose di me, dopo avermi visto per così poco tempo.
La portai a casa mia, giusto il tempo di fare le valigie. Lei non aveva portato niente con sé, quando era scappata di casa. Non aveva avuto tempo. Non aveva voluto spiegarmi, ma avevo capito che suo padre le aveva fatto qualcosa di molto grave. Era ancora visibilmente scossa, così decisi di lasciar stare. Mi avrebbe spiegato, prima o poi.
Proposi di andare io stesso a casa sua a prenderle qualcosa, ma era troppo spaventata.
 -Non sono così debole come pensi. Posso cavarmela- le dissi.
Rifiutò categoricamente. Mi chiesi cosa le avesse fatto quell’uomo, e pensai subito al peggio. Tuttavia, le diedi retta, non feci nulla.
Chiamai Shannon (finalmente mi stavo abituando a chiamarlo con il suo nuovo nome) per dirgli che stavo tornando in Louisiana, e che con me c’era Mary.
 -Oh, e così il mio fratellino fa conquiste! Finalmente, dopo più di 300 anni, basta flirt! Hai messo la testa a posto…-
 -Scemo, non è la mia ragazza.-
 -Ma ti piace.-
Non risposi.
 -Ti sei innamorato!? Jared!-
 -Che c’è?-
 -Niente, niente… Io e mamma ti aspettiamo. Non guidare troppo forte, lumaca.-
 -Andiamo in aereo. E comunque, bro, non sfidarmi.-
Rise di gusto. Quanto mi mancava avere mio fratello vicino. Mi mancavano anche le sue prese in giro sulla mia totale mancanza di adattamento ai motori.
Qualche ora dopo l’aereo era atterrato a New Orleans. Mary fu entusiasta del volo in aereo. Mi disse che aveva sempre sognato di volare.
Prendemmo un taxi fino a casa mia, che non era molto distante dall’aeroporto. Shannon e mamma ci accolsero con grande affetto. Non mi vedevano da mesi, ed erano incuriositi da quella strana ragazza.
I giorni trascorsero veloci e magnifici. Avevo Shannon, avevo Constance, avevo Mary. Il pensiero di mio padre, tornato in Francia dopo una breve permanenza in America durante il secolo scorso, mi rendeva un po’ malinconico. Ma mi bastava il sorriso di Mary per dimenticare tutto.
Dentro di me, l’uragano stava diventando sempre meno potente. Si stava creando una sorta di ordine. Abbozzai alcuni dei testi che, a parer mio, diventarono i migliori che ebbi mai scritto. Scrissi Capricorn, cominciai una parte di Echelon, e dopo una favolosa giornata con Shannon e Mary scrissi Oblivion. Sì, se il Sole fosse caduto, sarei stato comunque felice. Ed era bello sapere che la nostra lontananza non ci aveva separati, anzi, eravamo ancora più uniti. Avevo la mia famiglia. Avevo la mia musica. Ero felice.
Una sera, Mary mi si avvicinò. Stavo leggendo “Il giovane Holden”, il mio libro preferito, ed ero nella mia camera. Shannon e Constance quella sera avevano deciso di andare al cinema, e sia io che Mary avevamo declinato l’invito.
Si sedette sul mio letto. Vedevo che stava per dirmi qualcosa. Tuttavia, non la forzai, e aspettai che cominciasse, fingendo di essere immerso nella lettura.
 -Quanti anni hai?-
 -28- risposi automaticamente.
 -Intendo, quanti ne hai realmente?-
Il libro mi cadde dalle mani.
Lei mi sorrise, e raccolse il libro.
 -Come…?-
Non riuscivo nemmeno a formulare la domanda. Temevo che lei se ne volesse andare, una volta scoperta la verità.
 -Allora, cosa farai, ora che so tutto? Mi ucciderai? Berrai il mio sangue? Mi violenterai, adesso?- mi chiese, ironica.
 -Io non bevo il sangue di nessuno. Non sono quel tipo di vampiro… lo sono solo per metà- dissi, sulla difensiva.
 -Stavo solo scherzando, dai. So che non lo faresti.-
Non mi disse come aveva scoperto la mia vera natura. Non me lo rivelò nemmeno in seguito. Però, si avvicinò a me e mi diede un bacio sulle labbra, proprio come aveva fatto prima che partissimo. Non si era più avvicinata così tanto a me.
Rimasi senza fiato. Risposi al bacio. Non potevo credere che la donna che amavo corrispondesse i miei sentimenti, soprattutto dopo aver scoperto chi ero. Mai, mai nella vita avrei sperato di essere così felice.
La baciai con passione crescente. Lei faceva lo stesso. Lei era tutto quello che volevo.
Poi si bloccò. Temetti di aver perso il controllo, di essermi spinto troppo in là. Invece, mi guardò intensamente e mi sussurrò: -Jared, ti amo.-
La strinsi a me. -Ti amo anche io, Mary. Ti amo, come non ho mai amato nessuno prima.-
 
Basta. Basta, Jared. Così ti uccidi.
Prendo fiato. Cerco di smettere di ricordare. Ma è troppo tardi. Tanto vale, allora, abbandonare ogni buon senso e ricordare tutto, non solo i momenti piacevoli.
Chiudo gli occhi. 

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Capitolo 14
*** It's time to pay. ***


Jared

 

Era il 2001. Io e Mary stavamo assieme da due anni. Sapeva tutto di me, il mio vero nome, il mio passato, la storia di mio padre, la sua assurda lotta contro gli Illuminati.
Io, Mary e Shannon eravamo a New York. Il nostro progetto chiamato 30 Seconds To Mars non era più solo un sogno, stava diventando reale. Eravamo noi quelli persi dentro un sogno, tanto che non vedevamo più la realtà.
Un giorno, infatti, nostro padre prese un aereo e atterrò nella Grande Mela. Si presentò a casa nostra all’improvviso. Non lo vedevo da almeno un secolo, e non era cambiato fisicamente. Invecelo sguardo… lo sguardoera totalmente diverso. Me lo ricordavo rilassato, paziente, sereno… adesso era teso, all’erta, quasi spaventato.
 -Padre?-dissi, senza voce, quando aprii la porta di casa e lo vidi.
Mi abbracciò. Trattenni le lacrime. Mi era mancato terribilmente. Lo lasciai andare, affinché potesse salutare anche Shannon. Mio fratello, infatti, era rimasto dietro di me, pietrificato dalla presenza di nostro padre.
 -Christopher… Joseph… siete vivi.-
 -Certo, padre. Cosa sta succedendo?-
Non rispose. Si presentò brevemente a Mary, poi si sedette.
 -Loro… vi hanno trovati.-
 -Cosa…?- sussurrai. Non era difficile trovarmi. Tutto il mondo sapeva che facevo l’attore, che vivevo a New York con mio fratello.
 -Hanno progettato un attacco memorabile. L’Empire State Building. Hanno complici, hanno corrotto governi, hanno fatto di tutto perché questa guerra scoppiasse!-
 -Padre, calmatevi!- disse Shannon.
 -Non posso calmarmi! È stato tutto vano! Loro sanno! Sanno dov’è! E lo prenderanno!-
Io e Shannon rimanemmo senza parole. Mary ci osservava spaventata.Dopo mesi in cui sembrava che stesse vivendo su altro pianeta, sembrava davvero conscia della realtà.
 -L’Elisir?- mormorai.
Mio padre annuì.
 -Joseph, tu devi…-
 -Io, io non devo fare nulla. E nemmeno voi dovete. Se hanno scatenato questa guerra non c’è nulla che può fermarli. Nemmeno voi.-
 -Mi stai chiedendo di arrendermi?- mi chiese mio padre, animandosi di una nuova energia. Avevo ferito il suo orgoglio.
-Padre, vi sto chiedendo di accettare la realtà- dissi duramente.
 -Ovvero, mi stai chiedendo di arrendermi. Non lo farò. Mai!-
Mio padre guardò verso Shannon.
 -Christopher, tu cosa dici?-
Osservai mio fratello prendere un respiro profondo.
 -Padre…- cominciò piano. -Penso che Jared abbia ragione. L’unica cosa che possiamo fare è nasconderci.-
 -No- disse Mary all’improvviso. -Non potete nascondervi proprio ora che avete la possibilità di vivere il vostro sogno, i 30 Seconds To Mars. Jared,- disse, avvicinandosi a me. -Non puoi rinunciare. Ti conosco da poco tempo, è vero, ma c’èuna cosa che ho capito di te: non ti arrenderai mai. E allora,sii sempre lanciato verso l’alto, e non rinunciare ora. Combatti.-
Le sue parole mi colpirono. Lo stava dicendo in un modo contorto, come faceva spesso ultimamente, ma in sostanza mi chiedeva di combattere con mio padre. Osservai lei, poi mio padre, poi Shannon. Imitai mio fratello e respirai a fondo.
 -Non parteciperò a questa guerra. Non è la mia guerra- dissi, con la morte nel cuore. Ma dovevo farlo, altrimenti mio padre si sarebbe condannato a morte. Speravo che si convincesse a cambiare vita, una volta per tutte.
Shannon abbassò la testa. Anche lui la pensava come me.
Mio padre era devastato. Lui era l’uomo che mi aveva dato la vita, e non una vita qualsiasi, ma una vita eterna… sempre giovane, sempre bello, sempre forte. E ora lo stavo ripudiando. A fin di bene, è vero, ma non mi si poteva giustificare. Solo dopo capii l’errore che stavo commettendo.
 -Devo andare…- mormorò.
 -Padre, vi prego, restate. Non vi chiedo di nascondervi, vi chiedo solo di lasciare stare questa guerra. Non possiamo fare nulla.-
 -Possiamo fare più di quanto tu immagini! E te lo dimostrerò!-
 -Non abbiamo bisogno di nessuna dimostrazione- disse Shannon. -Sappiamo quanto siete forte, quanto li avete tenuti a bada, ma bisogna riconoscere quando…-
 -Quando è finita? È questo quello che volevi dire? Christopher, da te non me lo sarei mai aspettato.-
Mio padre alzò la testa, fiero.
 -Io combatterò. Se volete unirvi a me, sarò sempre felice di riconciliarmicon voi.-
 -Padre… vi scongiuro…- supplicai. Ma sapevo che avrebbe fatto di testa sua. Nemmeno minacciare di abbandonarlo in quellabattaglia era servito. Aveva preso la sua decisione, e niente gli avrebbe fatto cambiare idea.
Se ne andò sbattendo la porta di casa.
 
Basta… basta…
No, devo ricordare un ultima cosa. Poi, potrò crollare. Ma ora devo ricordare.
 
Una sparatoria. Eravamo arrivati all’ultimo momento. Io, Shannon e Tomo. Avevamo fatto amicizia da poco con quello strano ragazzo croato, pure lui un mezzo vampiro. Non dimostrava più di venticinque, massimo trent’anni, se non si fosse fatto la barba.
Avevamo corso a perdifiato. Dovevamo arrivare in tempo. Ricordo ancora la telefonata di mio padre.
Avevi ragione, Joseph. Dovevo lasciar perdere… vieni subito. Stanno per venirmi a prendere, e tu e Christopher dovete sapere una cosa.
L’appartamento di mio padre a New York. Lui non c’era. Eravamo arrivati tardi.
Non ci fu neanche bisogno di metterci d’accordo, o di decidere sul da farsi. Ci eravamo diretti tutti e tre verso quella che sapevamo fosse la loro base.
L’entrata dava su un vicolo. Un posto più fatiscente non potevano trovarlo. Ad ogni modo, ci preoccupammo poco del luogo. La nostra attenzione era concentrata sull’uomo solitario che si reggeva a fatica, in piedi, appoggiato ad un sudicio muro. Era nostro padre.
Corsi. Shannon lo prese appena in tempo, prima che potesse cadere.
 -Christopher… Joseph…-
 -Padre- dissi. Quante cose avrei voluto dire, ma lo chiamai semplicemente. Vidi la macchia rossa, scura,che si spandeva sotto al suo giubbino.
 -Stanno… per attaccare…-
 -Riposatevi, avremo tutto il tempo per parlare- disse Shannon, con le lacrime agli occhi. Come me, lottava per non cedere.
 -No, non ho tempo… è platino…-
Un brivido corse lungo la mia schiena. Vidi Tomo irrigidirsi.
Un boato pervase la città. Urla, grida, e di nuovo un boato. Misi una mano sulla ferita di mio padre, tentando ingenuamente di bloccare l’emorragia.
 -Le torri… le torri…non l’Empire… ho fallito…- diceva.
 -Non temete, andrà tutto bene…- dissi, ma non mi sentivo, tanto era forte il baccano.
Sirene, pianti, e ancora boati, e il suono agonizzante di una città che stava morendo, attaccata nel suo cuore pulsante, il World Trade Center.
Cosa potevamo fare, se non assistere nostro padre mentre ci lasciava? Non potevamo fare nulla per salvare tutte quelle persone. Saremmo morti anche noi con loro se avessimo fatto qualcosa.
Con le ultime forze rimaste, mio padre portò la mano al collo e strappò una catenina. La tenne per un secondo davanti agli occhi. Era un ciondolo, un triangolo con una linea al centro, che la tagliava orizzontalmente. Si chiamava “Triad”, era il simbolo alchemico dell’aria, ed era stata adottata da mio padre come simbolo della lotta agli Illuminati. “Troncare la piramide, ovvero il loro simbolo. Questo è la Triad. La prova che esiste chi si oppone a loro.” Era quello chemi aveva detto sulla Triad decenni e decenni prima.
Me la porse, in un gesto disperato. La accettai. Ormai le lacrime mi inondavano il viso.
 -Combattete, Devour…-
Un ultimo sguardo a Shannon, e morì. Era l’11 settembre. Tra le tantissime persone innocenti che morirono quel giorno c’era anche nostro padre. Ed erano tutti morti per quegli immondi figli di puttana…
E poi, qualche giorno dopo, lei, Mary, mi aveva lasciato in un modo così simile…
 
Basta, basta, BASTA!
Apro gli occhi. È stato tutto in un secondo. Davanti a me, non c’è una città in delirio, mio padre morente, Shannon in lacrime, ma il baule della macchina. Le valigie mie e di Mary, la nuova Mary. Anno 2012, Tennessee.
Lei è ancora ferma davanti alla casa. La sta osservando. Suppongo che le piaccia. Ma non ne sono sicuro.
Non sono più sicuro di nulla. Resta una sola certezza.
Ti vendicherò, padre. E vendicherò anche te, Mary. È tempo di pagare.

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Capitolo 15
*** The secret is out. ***


Mary

 
Osservo la casa di fronte a me. È grande. Sembra antica, ma deve essere stata intonacata di bianco di recente. È così bella.
Do anche un’occhiata a quello che c’è intorno. Un grande prato, e poi tutto attorno un bosco fitto. La strada di cemento, che taglia quella radura gigantesca a metà, è l’unico elemento che mi ricorda l’epoca in cui vivo. Per il resto, sembra di essere fuori dal tempo. Ho il timore che da quei boschi possano uscire creature immaginarie. Che differenza farebbe? Ho scoperto che i vampiri, e i mezzi vampiri, esistono realmente. Una creatura fantastica in più non cambierà le cose.
La luce del sole smorza questo strano effetto. Ma appena arriverà la notte, so già che mi prenderà un senso di claustrofobia. Sì, sono claustrofobica. Ricordo ancora quanto mi avesse angosciata la scena di Hurricane in cui Jared è chiuso dentro una bara… l’ho rivissuta nei miei sogni per molte notti.
Sarà davvero buio, qui fuori, penso. Non si vede nemmeno un lampione.
Ma quando mi giro verso Jared, l’ansia passa. Non riesco a capire come possa avere un tale effetto su di me. Lo osservo mentre prende le valigie dal baule, senza sforzo. Eppure, sembra che stia prendendo tempo. Sospiro, e decido di lasciarlo un po’ per conto suo, così entro in casa per prima.
Arrivata alla porta, mi rendo conto di non aver mai immaginato davvero come potesse essere la casa di Jared e Shannon. Avevo visto delle foto della casa di Los Angeles, ma ora comincio a sospettare che quell’edificio non sia davvero il loro rifugio. Invece, è questo il luogo che loro considerano casa.
Entro trattenendo il fiato, quasi. Mi sembra di violare la loro privacy. Osservo tutto quello che mi circonda come in trance. Attraverso l’ingresso arioso e mi ritrovo in soggiorno.
Le pareti sono dipinte di bianco, e sono tappezzate di tantissimi quadri, fotografie, stampe. Una parete è coperta di scritte fitte per metà, mentre il resto è completamente vuoto, come se fosse in attesa di essere riempito. Mi avvicino: quelle scritte sono tutti i testi delle loro canzoni. Alcuni testi sono scritti di fretta, in altri invece le lettere sono scritte così bene che mi fanno pensare ai monaci amanuensi.
A volte i testi sono corretti: vedo ad esempio che il testo di Fallen originariamente era intitolato Jupiter. Il vecchio titolo è cancellato da una riga semplice, che taglia le lettere a metà, e proprio di fianco è scritto il titolo attuale, a caratteri maiuscoli, un poco più grandi.
I testi che mi colpiscono di più sono The Kill, A Beautiful Lie, A Modern Mythe Buddha For Mary. I primi tresono scritti tutti in maiuscolo. Le lettere sembrano essere state scavate nell’intonaco bianco, come in preda alla rabbia; a volte le lettere sono confuse, e sembra che in seguito siano state ripassate, in modo da rendere le parole più leggibili. La frase “this is who I really am inside” è addirittura sottolineata. Anche “it’s time to forget the past” è evidenziata: le lettere sono come distanziate e più spesse. Sembra quasi che sia scritta in grassetto.
Buddha For Mary invece quasi non si nota. È posta tra Echelon e End of The Beginning, ed è scritta in caratteri così piccoli che devo avvicinarmi di molto per leggere. Leggo tutto il testo con una tristezza infinita… La scrittura varia spesso, come se Jared, mentre la scriveva (sono sicura che sia la sua scrittura) si fosse fermato più volte, e l’avesse ripresa più tardi.
Chi era davvero Mary? E cosa rappresentava per Jared?
Stacco gli occhi dal testo di quella canzone, e mi perdo in quel labirinto di emozioni nero su bianco.
Con molta felicità noto alcuni testi che non conoscevo, e quindi capisco che sono alcune delle loro canzoni nuove.
 -Non vale leggere i nuovi testi prima che le canzoni siano finite.-
Mi volto di scatto, come se fossi stata sorpresa a leggere un diario segreto.
Jared è appena entrato in casa, con le valigie ancora in mano. Mi fissa per un secondo interminabile, e non posso fare altro che perdermi nei suoi occhi.
È lui il primo a cedere. Sposta lo sguardo sul pavimento.
 -Porto le valigie al piano di sopra.- Annuisco. Poi lui si blocca, come incerto.
 -Vuoi vedere la tua camera?- mi chiede.
Gli sorrido e rispondo di sì con entusiasmo.
Mentre ci dirigiamo verso le scale, osservo meglio il soggiorno.
I mobili sono simili a quelli della casa di Los Angeles: bianchi o neri. Il divano, anch’esso bianco, è coperto di cuscini. Il tappeto lì vicino ha un’aria esotica, sembra venire da lontano. Non so perché, eppure penso che sia stato Shannon a comprarlo.
Di fianco alla parete con i testi delle canzoni c’è una libreria grandissima, colma di libri vecchi e nuovi e tante altre cose: alcuni scaffali sono pieni di cd, dvd e vhs, e noto anche due scaffali pieni di vinili. So già che entro stasera ne saprò a memoria tutti i titoli. Sulla parete opposta, trovo un impianto stereo dall’aria professionale, e un televisore di nuova generazione. Usciamo dal grande soggiorno, e mi ritrovo in un corridoio, anch’esso pieno di fotografie alle pareti. Alcune sembrano davvero molto vecchie, e altre ritraggono Jared e Shannon: a volte insieme, a volte da soli, e a volte con altre persone. Rimango scioccata nel vedere come i Leto siano sempre uguali, nonostante il tempo sia inevitabilmente trascorso.
Mentre saliamo le scale, noto una fotografia particolare. È isolata, al centro della parete, come se avesse bisogno di più spazio per essere ammirata. Ritrae un uomo dai capelli neri, in mezzo tra i fratelli Leto.
I tre sono vestiti come nell’Ottocento. La fotografia è in bianco e nero, eppure riconosco che gli occhi dell’uomo sono dello stesso colore di quelli di Jared. Il naso e la bocca invece sono gli stessi di Shannon, e i lineamenti sono così simili a quelli dei due fratelli musicisti che non ho dubbi su chi sia quell’uomo.
Mi fermo a metà scala, trattenendo il fiato. Jared se ne accorge, ma io sono troppo persa dentro quella carta stampata per vedere altro.
 -Jared, qui ci siete tu e Shannon con…?-
 -Nostro padre- dice, interrompendo la mia domanda. Sento il tono di voce spezzato e mi preoccupo all’istante. Ma non faccio in tempo a girarmi che lui è già salito ed è sparito in una stanza.
Lo raggiungo in una bella camera, abbastanza grande, arredata nei toni dell’azzurro pastello. Il letto è a baldacchino, bordato di stoffa chiara. Ci sono due porte, in legno laccato: una conduce ad un bagno piccolo, ma elegante, e l’altra ad un guardaroba spazioso.
 -Spero che sia di tuo gradimento, perché a quanto pare, dovremo restare qui per un po’…-
 -È bellissima- dico, prima che possa aggiungere altro. E lo penso davvero. Quella stanza mi ricorda i colori della mia prima cameretta, nella casa in cui abitavo con mamma quando ero solo una bambina.
Jared sorride. -Senti, Mary…- e si interrompe per un attimo. -Ho del lavoro da fare, quindi sarò nello studio per il resto della giornata… tu fai come se fossi a casa tua. Sistema le tue cose, senti della musica, guarda un film, non so. Ah, ho la tv via cavo. E se vuoi in soggiorno troverai un portatile: sentiti libera di usarlo per internet o quello che ti pare. Se hai fame, la cucina è piena di cibo… non aspettarmi per pranzo.-
 -Grazie, Jared.- Cerco di rivolgergli un sorriso caloroso, per ringraziarlo di tutta quella disponibilità, ma probabilmente ottengo solo un sorriso finto. Ho solo immaginato quel tono distaccato, mentre diceva “Mary”? Non so cosa pensare.
Jared apparentemente non gli da peso. Mi rivolge un cenno, e poi esce, lasciandomi sola.
Come avevo programmato, dopo aver sistemato i miei vestiti e il resto, scendo in soggiorno ed esamino minuziosamente tutti i vinili, i cd, i dvd, i libri… come sospettato, tra i vinili trovo molte opere di artisti come Pink Floyd, Depeche Mode, Iron Maiden, Queen, Rolling Stones, Beatles, Ac Dc, Genesis, Led Zeppelin, Police, Ramones, U2 e tra la collezione interminabile di cd trovo anche album recenti, di un po’ tutti i generi musicali. E poi ci sono Bjork, Phil Collins, i Linkin Park, i Puddle of Mudd. Mi esalto quando trovo la discografia completa dei Nirvana, Metallica, dei My Chemical Romance, dei Muse, dei Pantera e dei Red Hot Chili Peppers.
I libri sono così tanti che mi perdo in quell’elenco infinito, e penso che probabilmente non siano gli unici volumi presenti in quella casa: sicuramente nello studio che aveva citato Jared si trovano moltissimi libri, anche molto antichi.
Un libro attira la mia attenzione: si tratta de “Il giovane Holden”. Sporge un po’ dalla libreria, come se fosse stato riposto da poco, e sembra che sia stato letto moltissime volte, da quanto è consumato. Tra i libri trovo anche raccolte di spartiti di musica classica, da Bach a Vivaldi, a Wagner, e tanti libri di fotografia. Ci sono una miriade di romanzi, e anche trattati di filosofia, storia, geografia, psicologia, economia, arte, matematica… Sono così tanti che finisco per non ricordarne più nessuno.
Alla fine, mi decido, e seguo il consiglio di Jared: prendo il cd dei My Chemical Romance “I Brought You My Bullets, You Brought Me Your Love” e lo inserisco nello stereo. So quell’album a memoria, ma ascoltarlo in questa stanza rende le canzoni totalmente nuove. All’inizio, mi stendo sul divano, ad occhi chiusi, concentrandomi sulla musica. Poi, decido di osservare meglio le fotografie, che prima avevo degnato solo di uno sguardo. Attraverso il tempo, tramite quegli istanti rubati da una macchina fotografica. Mi sembra quasi di vedere con gli occhi di Jared e Shannon. Ci sono fotografie che raffigurano paesaggi abbandonati, in mezzo al deserto, in una foresta, davanti ad un lago ghiacciato... Riconosco immagini di città come Parigi, Londra, New York, Los Angeles, Tokio, Pechino: alcune delle fotografie più interessanti sono state scattate proprio all’interno della città proibita. Osservo una foto di Shannon, Tomo e Matt mentre fanno gli scemi sul set di From Yesterday. Immagino che sia stata scattata da Jared tra una ripresa e l’altra.
Mi perdo in ogni immagine, e passo in rassegna ogni volto femminile che incontro, chiedendomi quale appartenga a Mary. Ma non trovo nulla di strano: nessuna dicitura, nessuna nota particolare. Forse Mary qui non c’è, penso.
Alle pareti sono appesi anche dei quadri. Uno rappresenta una villa bellissima, settecentesca, circondata da un parco enorme. In un angolo del dipinto c’è la firma “J. D.” e cerco di capire a chi faccia riferimento. Mi viene in mente il cognome del padre di Jared e Shannon. So che i due fratelli non sono figli del marito di Constance, il medico di cognome Leto, ma di un altro uomo, il cui cognome era Devour. Ma sarà vera la storia che riportano i siti internet? È quello il cognome dell’uomo che ho visto nella fotografia?
Penso che probabilmente non saprò mai la verità. Ad ogni modo, continuo ad interrogarmi, cercando di capire qualcosa di più sulla storia della famiglia Leto. Fisso ancora le due iniziali.
Jared… Devour? È così strano pensare di chiamarlo il quel modo.
Ad un certo punto mi accorgo della canzone che è appena partita. Riconoscerei quell’arpeggio ovunque.
In quel momento entra Jared. Lancia un’occhiata allo stereo, poi sorride.
 -Demolition Lovers- dice.
 -Già… è bellissima- rispondo.
Annuisce. Attraversa la stanza, e va verso la libreria. Lo sento canticchiare la canzone, mentre cerca un libro. Trattengo le lacrime. La sua voce è così bella. Una volta trovato il libro, vedo che fissa per qualche secondo “Il giovane Holden”, poi lo sistema meglio nella libreria. Infine, mi rivolge un sorriso freddo, e se ne va, sempre canticchiando.
Mi lascio cadere sul divano, cullata dalle note di quella canzone meravigliosa. Nelle mie orecchie c’è ancora la sua voce, che si sovrappone a quella registrata di Gerard.
L’effetto è devastante. Sto per piangere, e non so nemmeno perché. Mi trovo nella vera casa di Shannon e Jared, dovrei essere felice. Invece mi lascio travolgere dai fantasmi del passato di Jared.
Senza accorgermi, mi addormento. Sogno ragazze sprezzanti, che mi fissano e mi dicono che non sarò mai nessuno per Jared, perché è troppo occupato a dipingere il ritratto di Mary. “Quella vera, quella di Jared, non tu”, aggiungono.
“Ma anche io sono Mary”, rispondo.
“Tu non sei la Mary giusta”. E si allontanano ridendo, lasciandomi sola in una stanza piena di specchi. Mi accorgo che di fianco a me c’è Jared, che effettivamente sta dipingendo. Eppure c’è qualcosa di strano.
“Jared,” dico, sconvolta, appena capisco. “Gli specchi non ti riflettono!”
“Lo so,” dice lui, senza staccare gli occhi dal dipinto. “È perché sono un vampiro, no? Dai, lascia stare gli specchi, e osserva la mia opera d’arte.”
Mi avvicino alla tela. Per ritrarre la ragazza ha usato solo il rosso, tranne che un azzurro acceso, per gli occhi. Anche così, però, riconosco i lineamenti.
“Ma quella sono io.”
“Sì, tu sei Mary.”
“No, non sono quella Mary. La tua Mary non c’è più, non è vero?”
“Già,” dice, ridendo. E mentre ride scopre i suoi denti da vampiro. “Infatti quella sei tu, e sei morta.”
Mi sveglio di soprassalto, con il cuore in gola. Mi metto a sedere, mentre la testa comincia a girarmi. Ho lo stomaco dolorante, e capisco che devo mangiare qualcosa.
Guardando l’orologio, scopro che sono le sette di sera. E con mia grande sorpresa, mi accorgo di avere una coperta di pile addosso. Lo stereo è spento, e il libro che Jared aveva preso dalla libreria si trova sul tavolino di fronte al divano. Capisco che è stato lui a portarmi la coperta, mentre dormivo. Quel gesto così spontaneo mi fa completamente dimenticare il mio incubo.
Abbandono quel rifugio caldo e cucino qualcosa. Ovviamente, non uso carne, latte, o uova, in modo che anche Jared possa mangiare con me.
Quando è quasi pronto, vado a chiamarlo. Cerco il suo studio, e dopo aver vagato per la casa almeno due volte lo trovo. Scopro che però lui non c’è. Noto che ha lasciato il computer acceso e la sua chitarra acustica adagiata sul divano. E mi rendo conto di aver avuto ragione: anche questa stanza è piena di libri.
Continuo a cercare Jared, e alla fine lo trovo nella veranda. Sta fissando il bosco, una cornice nera attorno ad un drappo di cielo scuro. La luna brilla già nel cielo, ed è l’unica luce che si vede lì fuori.
 -Il mio nome non è Jared Leto- dice, quando sente i miei passi. Si gira verso di me, e mi guarda negli occhi.
 -Mi chiamo Joseph Devour. Ho 340 anni.-
Vedo il suo petto alzarsi e abbassarsi più velocemente del solito. Capisco che dirmi tutto questo gli costa davvero tanto.
 -Il mio nome non è Mary, ma è Leehanne. E ho 17 anni. Che dici, c’è un po’ di differenza d’età tra noi?-
Finalmente lo vedo sorridere veramente.
 -Ci sarebbe anche se avessi davvero l’età che dichiaro.-
 -Tanto non dimostri nemmeno quella. Di che ti preoccupi?-
Ridiamo tutti e due. Cominciamo a parlare di musica, di cinema, di libri, e con mio grande sollievo noto che non è più freddo con me, come lo era stato durante il pomeriggio. Poco dopo rientriamo in casa per cenare, e poi passiamo la serata a parlare ancora. Jared mi racconta aneddoti sui concerti dei 30 Seconds To Mars, e su tutte le star della musica che ha incontrato nella sua carriera. Mi racconta anche che nei secoli scorsi sia lui che Shannon sono sempre stati appassionati di musica, e che hanno suonato in diverse orchestre.
 -A Shannon sono sempre piaciuti i timpani, e tutti gli strumenti a percussione. Devi vedere che faccia ha fatto la prima volta che ha provato a suonare un timpano. Non penso di averlo mai visto così estasiato… forse solo nel natale del 1680, quando nostro padre gli regalò il suo primo cavallo.-
Io rimango ad ascoltarlo, come rapita. Le ore passano veloci, e io finisco per rivelargli tanto della mia giovane vita, molto più di quanto mi sarei aspettata. Ad un certo punto Jared dice che è tardi, e che è meglio che io vada a dormire.
 -Aspetta,- dice, prima che io salga le scale.
 -Cosa c’è?-
 -Vorrei che continuassi a chiamarmi Jared. E anche riguardo Shannon… chiamaci con i nostri nuovi nomi. Quando sentiamo i nostri nomi di battesimo ci perdiamo nei ricordi… e poi, beh, ormai sono vent’anni che consideriamo questi due nuovi nomi come quelli veri.-
 -Va bene, non c’è problema, lo capisco.- Ma capisco anche che forse c’è di più dietro questa richiesta.
 -E io, come dovrei chiamarti d’ora in poi?- mi chiede, raggiungendomi sulle scale.
Ci penso per un attimo. E realizzo che non è Mary il mio nome, anche se è quello il nome che ho scelto. Quanto a Leehanne, beh, l’ho sempre odiato. Venivo sempre presa in giro per quel nome. Chi essere, dunque: una me che odiavo, che ormai avevo isolato in un mare di ricordi, o un’altra persona che speravo di diventare, ma che non ero sicura di essere?
 -Non lo so,- rispondo. -Nel dubbio, chiamami Shaniqua.-
Jared scoppia a ridere. Decide lui per me.
 -Buonanotte, Mary- dice, dandomi un bacio sulla fronte, e poi ritorna in soggiorno.

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Capitolo 16
*** Buddha for Mary... ***


 
Basta una semplice paura per spazzarti via.
Una mente aperta l’ha cancellata oggi.
Una canzone silenziosa che è nelle tue parole.
Un sapore differente che è nella tua mente.
 
Questa è la vita su Marte.
 
Mary era una ragazza diversa, aveva una fissazione per gli astronauti.
Mary era il tipo di ragazza a cui piaceva molto giocare.
Mary era una santa. Il padre le stimolaval’appetito.
Mary era il tipo di ragazza a cui piaceva cadere a pezzi.
 
Dimmi, hai visto il suo viso?
Dimmi, hai sentito il suo sapore?
Dimmi, qual è la differenza?
Non sembrano tutti uguali dentro?
Buddha per Mary, ecco che arriva.
 
Mary era un’acrobata, ma non sembrava che respirasse.
Mary stava diventando tutto ciò che non voleva essere.
Mary aveva le allucinazioni e vedeva il cielo sul muro.
Mary era il tipo di ragazza a cui era sempre piaciuto volare.
 
Dimmi, hai visto il suo viso?
Dimmi, hai sentito il suo sapore?
Dimmi, qual è la differenza?
Non sembrano tutti uguali dentro?
Buddha per Mary… ecco che arriva….
 
Questa è la vita su Marte. Questa è la vita…
 
Lui disse: “Mi senti? Stai dormendo?”
Lei disse: “Mi violenterai adesso?”
Lui disse: “Lascia la politica ai pazzi.”
Lei disse: “Credo alle tue bugie.”
Lui disse: “C’è un paradiso sotto di me.”
Lei disse: “Dovrei sanguinare?”
Lui disse: “Faresti meglio a pregare Gesù.”
Lei disse: “Non credo in Dio.”
 
Mary era una ragazza diversa. Aveva una fissazione per gli astronauti.
Mary era il tipo di ragazza a cui piaceva molto giocare.
Mary era una santa. Il padre le stimolava l’appetito.
Mary era il tipo di ragazza a cui piaceva cadere a pezzi.
 
Buddha per Mary, ecco che arriva.
 
 

Jared

 
I giornalisti facevano a gara per potermi fare una domanda. Tenevano le loro mani più alte che potevano, prendevano appunti, registravano le mie parole. Shannon era accanto a me, come sempre.
Non era un bel periodo per me: ero devastato. Ma chi non lo sarebbe stato, al posto mio? No, nessuno avrebbe potuto capire cosa provavo in quel momento. Era passato così poco tempo da quando lei non c’era più…
Era come se fossi due persone diverse. Joseph Devour e Jared Leto. Joseph era agonizzante, distrutto dal dolore; Jared era pieno di energia, e voleva incanalarla tutta nei 30 Seconds To Mars. Lo spirito di sopravvivenza mi impose di essere Jared Leto.
Massaggiai la gola con fare distratto. Avevo parlato decisamente troppo quel giorno. In più, le prove giornaliere, per tenerci in forma per il tour imminente, avevano decisamente dichiarato guerra alle mie corde vocali.
Guardai Shannon, e indicai il microfono con lo sguardo. Speravo che lui volesse rispondere al posto mio. Shannon rispose con un’occhiata preoccupata: non gli era mai piaciuto parlare in pubblico.
Sbuffai, impercettibilmente, e schiarii la voce.
 -Abbiamo tempo per un ultima domanda- annunciai.
Tutte le braccia scattarono verso l’alto. Scelsi a caso.
 -Signor Leto,- disse un giornalista occhialuto, un poco stempiato, con i capelli corti e il viso magro, -ho letto il testo di una vostra canzone, e sono rimasto leggermente perplesso.-
 -Per quale motivo?-
 -Beh, per il chiaro riferimento ad uno scontro tra oriente ed occidente. Di questi tempi, non pensa che sia pericoloso affrontare questa tematica?-
Ero confuso.
 -Nessuna delle nostre canzoni parla di scontri, o di guerre vere e proprie, tantomeno tra oriente e occidente.-
 -Nemmeno Buddha For Mary?-
Il mio corpo fu scosso da un brivido. Mary…
Il giornalista non si accorse del terremoto che aveva appena causato in me, e andò avanti con la sua domanda.
 -Di cosa parla Buddha For Mary, allora?-
 
26 gennaio 2002
 -Jared, no!-
Mary posò una mano sul mio braccio. La guardai. Era così spaventata…
 -Mi dispiace, Mary, ma devo farlo. Non sarò mai in pace finché quei bastardi non saranno morti.-
 -Ma non moriranno mai tutti. Non riuscirai mai…-
Abitavamo ancora nell’appartamento a New York. Io, Mary e Shannon e Tomo. Si era trasferito da noi da ormai molti mesi, ed era diventato un grande amico di Shannon. Ero felice che ci fosse qualcuno che lo distraesse un po’, e Tomo era l’amico ideale. Aveva sempre la battuta pronta, e rendeva un po’ meno grigie le nostre giornate.
Ero anche contento del fatto che tenesse sotto controllo mio fratello. Negli ultimi tempi, da quando nostro padre era stato ucciso, si era lasciato un po’ andare: ogni notte tornava a casa con una ragazza diversa, che puntualmente non rivedeva più. Avevo paura che così avrebbe finito per distruggersi.
Da quando aveva cominciato a parlare con Tomo, invece, si era dato una calmata. Certo, aveva comunque molte amanti, ma erano una cifra molto più accettabile.
L’effetto che aveva avuto la morte di nostro padre su di me? Volevo vendetta. Ogni secondo che passava, pregustavo la sensazione di pace che avrei ottenuto uccidendoli.
Dovevano morire tutti, dal primo all’ultimo. Non solo avevano ucciso mio padre, ma anche moltissime persone innocenti che quel giorno lavoravano a New York. E avevano sconvolto moltissime famiglie…
Otterrò la mia vendetta. Me lo ripetevo sempre, come un mantra.
E poi, ero sempre in ansia per Mary. Dall’inizio del 2001 aveva ripreso l’uso di droghe. Avevo provato in tutti i modi a farla smettere, ma era più forte di lei. Probabilmente dentro di lei c’era una ferita insanabile.
Temevo di essere io la causa del suo dolore. La vita che conducevamo era troppo fuori dal mondo. Vivevamo sulla terra, ma le nostri menti erano su Marte, sul pianeta che prendeva il nome dal dio romano della guerra. E solo a quella pensavamo.
Io, come mio padre, lottavo per ottenere vendetta. Shannon lottava per non autodistruggersi. Anche Mary lottava, ma era una lotta diversa: lei cercava disperatamente di scappare dal mondo reale, di creare una bolla in cui finalmente sarebbe stata felice. Ma così, non aveva fatto altro che abbandonare il campo di battaglia.
Preferiva spararsi nelle vene quella porcheria, e pensare che grazie a quella… cosa sarebbe stata più forte.
Facevo di tutto per farla smettere. E ogni giorno le dicevo che l’amavo, che quella cosa non le serviva per essere felice. Ma non bastava. Lei era cocciuta, non capiva quanto le facesse male. O meglio, lo capiva, ma era convinta del fatto che per guarire dovesse continuare ad assumere quel veleno.
Per fortuna negli ultimi mesi aveva diminuito di molto le dosi. Si era accorta di quanto io stessi andando a fondo, e forse aveva capito che avevo bisogno di lei.
Una volta riacquistata la lucidità, aveva anche realizzato quanto fossi deciso a compiere la mia missione. E quel giorno sapevo che sarebbe stato il climax, perché Shannon e Mary si sarebbero opposti: volevo entrare nel loro edificio, che ormai tutti a New York conoscevano, raggiungere il presidente della loro setta, puntargli una pistola addosso e sparargli. Poi, avrei sparato a chiunque avrei trovato davanti. Era un piano stupido, in cui la probabilità di rimanere ucciso era altissima. Ma volevo vendetta, a qualunque costo.
 -Jared, non ti lascerò andare- disse Shannon.
 -Vieni con me allora.-
 -Hai idea di cosa mi stai chiedendo?-
 -Ti sto chiedendo di aiutarmi ad uccidere gli assassini di nostro padre.-
 -Sì, ma a quale prezzo? Non voglio rimanere ucciso per un tuo capriccio.-
 -Non. È. Un. Capriccio!- scandii.
Shannon mi fissò intensamente.
 -Sei così simile a nostro padre…-
Sbattei velocemente le palpebre. Non potevo crollare in quel momento.
Mary posò le sue mani sul mio petto.
 -Jared, no. Per favore.- Mi guardò dolcemente. -Sei il mio astronauta, ricordi? Non posso vivere su questo pianeta senza il mio astronauta- sussurrò, sorridendo.
Ebbi la forza di rispondere al suo sorriso. Le diedi un bacio, e lei rispose con entusiasmo. Sentimmo Shannon schiarirsi la voce, così ci separammo, ridendo.
 -Sei sempre il solito…- dissi.
 -Non amo le scene particolarmente diabetiche.-
 -Ne riparleremo, prima o poi, non preoccuparti. E se ti da fastidio, ti ricordo che esiste camera tua, con un televisore, un letto ed un divano molto comodi.- Baciai ancora Mary. Shannon sbuffò, e andò a cucinarsi qualcosa.
Il giorno dopo, io e Mary venimmo svegliati da Shannon, che entro di corsa nella nostra camera e cominciò a parlare.
 -Che cosa diavolo c’è a quest’ora, Christopher?-
 -Joseph, guarda cosa ho trovato.-
Eravamo passati a chiamarci con i nostri nomi di battesimo senza neanche essercene accorti. Ma la sorpresa era troppo grande.
Shannon si sedette sul letto, accanto a me, e ci mostrò una scatoletta in legno. Sul coperchio era incisa una sottilissima Triad.
 -Dove l’hai trovata?- chiesi, senza fiato.
 -Me l’ha data Nicholas. Ha detto che apparteneva a nostro padre.-
 -Come facciamo ad aprirla?-
 -Non lo so… dovrebbe esserci una chiave…-
 -Cosa? Non hai la chiave?- lo interruppi.
 -Calmati, Jay. Nicholas ha detto che la chiave ce l’abbiamo già-
Non potei trattenere un’espressione sconcertata.
 -Ma… Nostro padre non ci ha dato nessuna chiave! A quanto ne sappiamo, la chiave per aprire questa scatola potrebbe ancora essere a Versailles! O nella tenuta a Marsiglia!-
Shannon tacque. Sapeva che avevo ragione. Cominciò a guardarsi in giro, ma poi si bloccò, e vidi che stava osservando il mio collo.
 -Shan…?-
 -Ma certo!- disse.
Aggrottai le sopracciglia. Mary ci guardò sorridendo distrattamente, come se fossimo una specie di spettacolo televisivo.
 -Sì, Shan, hai ragione- disse, all’improvviso.
 -Si può sapere di che state parlando?-
Mio fratello rise di gusto.
 -La Triad, Jay! La catenina di papà!-
La mia mano scattò automaticamente al ciondolo che portavo al collo. Ce l’avevo io perché per Shan era troppo doloroso portarla… era ancora sconvolto per la morte di nostro padre.
Tolsi la catenina lentamente, e poi ammirai quella sorta di triangolo, così scintillante.
 -Come può essere la chiave?- domandai. Per risposta, Shannon arricciò le labbra e si mise a studiare quella strana scatolina.
Scoprimmo che non c’era una serratura, enemmeno una piccola fessura. Romperla era fuori discussione, perché avevamo intuito che all’interno doveva esserci del liquido, stando a sentire il gorgoglio che proveniva dalla scatolina quando veniva agitata.
 -Che facciamo?- disse Shannon. Non sapevo cosa dire.
 -Ho capito!- esclamò Mary qualche secondo dopo.Prese le catenina dalle mie mani e premette il ciondolo proprio sulla Triad. Sentimmo un lievissimo tac.
La serratura si era aperta.

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Capitolo 17
*** ...Here It Comes. ***


Jared

 
Aprimmo la scatolina, e scoprimmo una boccetta di vetro colma di un liquido ambrato.
Guardai Shannon: anche lui mi guardò negli occhi, e capimmo che stavamo pensando alla stessa cosa.
L’Elisir…
Tolsi velocemente la boccetta dalla scatola in legno e pensai ad un posto sicuro in cui nascondere quel liquido così prezioso. Non mi veniva in mente nulla, ero troppo scioccato.
 -Jared, si può sapere cosa…?- cominciò Mary, ma le tappai la bocca prima che potesse aggiungere altro. Con un’occhiata eloquente le comunicai di non parlare mai della scoperta. Lei sospirò e ubbidì.
 -La domanda è… perché?- fece Shannon.
 -Già… Nicholas avrebbe potuto continuare a fare quello che faceva, senza coinvolgerci.- E senza esporre il liquido a inutili pericoli, pensai. E se invece Nicholas fosse…?
 -No,- disse Shannon, che aveva chiaramente intuito a cosa stessi pensando. -Lui è rimasto fedele.-
Annuii.
 -Ma adesso?- chiesi.
 -Non lo so- fu la risposta di mio fratello.
Alla fine, la decisione fu presa: nascondemmo la fiala in una banca ad alta sicurezza, usando tutte le precauzioni possibili nell’effettuare il deposito. Non la lasciammo nella sua scatola di legno. Usammo invece un contenitore in grado di passare inosservato.
I giorni passavano, e noi pensavamo di essere riusciti a guadagnarci un po’ di pace. Il progetto “30 Seconds To Mars” continuava, e ormai eravamo pronti per registrare le ultime tracce. Dopo ci sarebbe stato un gran lavoro di mixaggio, lo sapevamo, ma per il momento eravamo soddisfatti del punto raggiunto.
Ciò nonostante, io e Shannon passavamo intere nottate a parlare e scrivere. Una chitarra acustica, un foglio di carta, e nasceva una canzone. Mary e Tomo restavano lì ad ascoltarci, e a volte Tomo prendeva la sua chitarra e suonava con me. Alla fine i pezzi scritti furono così tanti, e così personali e intensi, che sceglierne solo alcuni per l’album fu quasi un abominio.
Un giorno, però, la nostra armonia venne distrutta da un accordo diminuito.
Una telefonata dalla banca ci mise al corrente dell’accaduto: quella notte tre persone si erano introdotte nel loro caveau, e a dispetto di tutte le misure di sicurezza, erano riusciti a rubare qualcosa.
 -La polizia è scioccata… non sa spiegare come possa essere successo. E inoltre, pensa che i ladri sapessero quello che stavano cercando: l’unica cosa che hanno rubato è l’oggetto che avete deposto circa 10 giorni fa. Signor Leto, era di grande valore? Perché, sa, l’assicurazione risponderà e coprirà la perdita che avete subito.-
Non so proprio come trovai la voce per poter rispondere al direttore di quella famosa banca.
 -Lasci stare… l’oggetto aveva solo un valore affettivo. Non avvisi nessuno, non ce n’è bisogno.-
 -Mi scusi se le sembro indiscreto… ma vuol farmi davvero credere che lei ha sborsato tutti quei soldi solo per proteggere un oggetto che aveva un valore puramente affettivo? Un oggetto per cui tre persone stanno rischiando di finire i loro giorni in una cella? Signor Leto, farà bene ad essere sincero. Potrei denunciarla.-
Tacqui un secondo prima di rispondergli. Cercai il mio tono di voce più pacato e pericoloso, e dissi, lentamente: -Lei vede quell’agente, afroamericano, con i capelli corti? Quello che adesso sta scrivendo il verbale, che gli sta dettando l’ispettore Rubins?-
 -Lei come…?-
 -Non si preoccupi di queste cose. Piuttosto, si preoccupi del fatto che quell’agente, che si chiama Rick ed è un mio grande amico, ha un fratello nei piani più alti dell’FBI. Rick potrebbe mettere al corrente il fratello del suo conto alle isole Cayman, e del fatto che nasconde illegalmente nella sua banca un’opera di Leonardo da Vinci ufficialmente andata perduta, ovvero la terza copia della Vergine delle Rocce. Sa quanti anni di reclusione spettano a reati del genere?-
 -Mi sta minacciando?- Ma non c’era traccia di orgoglio nelle sue parole. Solo una cieca paura.
 -Secondo lei?-
Sentii l’uomo deglutire.
 -Mi perdoni, signore.- Riattaccò la cornetta prima che ebbi il tempo di rispondere.
Aggiornai subito gli altri della situazione. Tutti sapevamo che erano stati loro a rubare l’Elisir. Questo significava che avrebbero venduto quel liquido, che offriva l’immortalità vera e propria, al più presto e al miglior offerente.
Sicuramente, non avrebbero voluto soldi, ma potere. Avrebbero minacciato qualche capo di stato, avrebbero fatto scoppiare nuove guerre, e avrebbero consolidato il proprio potere. Tutto questo, a spese di milioni di persone, che direttamente o no, ne avrebbero pagato le conseguenze.
Decidemmo subito di recuperare la fiala. Il piano era semplice, quasi demenziale: saremmo entrati, avremmo trovato la boccetta, avremmo ucciso quanti più Illuminati possibile, specialmente il loro presidente, e poi saremmo fuggiti. Il nostro status di mezzi vampiri ci permetteva di essere più veloci, più forti e più silenziosi. E poi eravamo in tre, ed eravamo più che allenati, con secoli di esperienza alle spalle: il piano avrebbe funzionato.
Il problema era Mary. Non voleva proprio rimanere a casa.
-Ci rallenterai- le dissi, per la trentesima volta.
 -VOGLIO venire con voi! Non è qualcosa che puoi vietarmi.-
 -Invece, sì! Te lo sto vietando! Potresti rimanere uccisa, lì dentro.-
 -Anche voi potreste morire.-
Scoppiò in lacrime, e si lasciò cadere sul divano del soggiorno. Mi sedetti accanto a lei. Shannon e Tomo ci lasciarono soli.
 -Jared… per favore. Sei tutto quello che ho.- Faticava a parlare per colpa dei singhiozzi.
 -E tu sei la cosa più bella e preziosa che mi sia mai capitata. Non voglio metterti in pericolo.-
 -Non pensi che sia più in pericolo così? Loro sapranno che sono in casa da sola.-
Mi si avvicinò, e prese a sussurrare velocemente, con fare quasi maniacale.
 -Io li sento, Jared. Di notte. Vogliono ucciderci. Ci osservano. Sono lì, fuori dalla finestra. Bussano e scappano. Sanno volare… sai, mi è sempre piaciuto volare.- E sorrise, con le guance ancora bagnate dalle sue lacrime.
Fissai i suoi occhi. Le pupille erano dilatate. Presi il suo braccio, sollevai la manica e scoprii diversi buchi, decisamente recenti.
 -Cazzo, Mary! Ti sei bucata ancora. E questi segni… eri talmente fuori che non hai nemmeno trovato la vena?-
Con un guizzo di forza si liberò dalla mia presa.
 -Sono affari miei, okay? Chi sei, mio padre?-
 -Certo che non sono tuo padre! Non sono un mostro, io!-
 -Cosa ne sai tu di mio padre, eh? Chi ti ha detto che era un mostro?-
 -Me l’hai detto tu! Quel coglione ti ha stuprata!- Mi pentii all’istante di aver pronunciato quelle parole. Non le avevo mai detto nulla di simile, ed ero sconvolto dalla mia reazione.
 -Non è vero, Jared! Non ti ho mai detto questo- gridò.
 -E cos’era successo allora, quando mi hai chiesto di portarti via da Los Angeles?-
Mary si fermò, e riprese fiato. Dopo qualche secondo, era calma. Sembrava che la nostra litigata non fosse mai avvenuta. Fissava la parete del soggiorno come se ci fossero scritte le più belle parole mai esistite. O come se stesse osservando il cielo direttamente dal Paradiso.
Mi chiesi a quali droghe facesse ricorso, per ridursi in quello stato. Il sentimento di ribrezzo per quelle sostanze, e di rabbia perché non potevo fare nulla per salvarla infuriarono dentro me. Cercai di darmi una calmata.
 -Non posso più fidarmi di te, Mary- dissi, lentamente. -Tu… mi hai giurato che non avresti più assunto droghe, e invece appena mi giro riprendi a bucarti.-
 -Jared, ne ho bisogno.- La voce ora le tremava.
 -Per cosa? Per ucciderti? Per rischiare l’overdose ogni volta? Ho già perso mio padre. Non voglio perdere anche te.-
Sentii le lacrime sul bordo delle palpebre, pronte a liberarsi e fuggire. Vidi Mary, che mi fissava, finalmente vedendomi realmente, e non attraverso il velo di quella porcheria.
Feci per uscire di casa, ma lei mi seguì e mi fermò. Mi chiese scusa, mi disse che non voleva farmi soffrire, che ero troppo importante per lei, ma che la dipendenza era troppo forte per essere spezzata.
 -Ti prego, non mi lasciare- mi disse, tra le lacrime. -Io ti amo.-
La strinsi a me. Non volevo lasciarla, volevo solo farle capire che stava sbagliando. Ci riappacificammo, e silenziosamente ci giurammo di non litigare più in quel modo.
Quella notte fu difficile prendere sonno. Mary mi aveva tenuto sveglio per molto tempo, e adesso dormiva accanto a me. Aveva la testa sul mio petto e un braccio intorno ai miei fianchi.
Era bello sentire la sua pelle contro la mia. Nel sonno, si strinse a me. Avrei tanto voluto che quel momento potesse durare per l’eternità.
Invece, dovevo alzarmi. Se non lo avessi fatto quella notte, non lo avrei più fatto.
Fui molto attento a non svegliarla mentre mi alzavo dal letto. Poi le coprii la schiena nuda, che era rimasta scoperta, tirando la coperta verso di lei. Le accarezzai il viso, poi le diedi un bacio sulla guancia. Speravo davvero di avere una nuova occasione per rivivere quella notte magnifica assieme a lei.
Mi preparai, poi uscii dalla stanza, guardando Mary un’ultima volta. Dormiva ancora.
Trovai Shannon e Tomo ad aspettarmi, vicino al divano, completamente vestiti ed armati.
 -Dove sono i due Associati?- chiesi, sussurrando.
 -Fuori dalla porta- rispose Shannon. -Entreranno qui non appena usciremo, e proteggeranno Mary a costo della vita.-
Fui soddisfatto della sua risposta.
Guardai Tomo e Shannon negli occhi. In quegli sguardi c’era tutto quello che volevamo dirci: la paura di fallire, la voglia di vendicarci, il desiderio di porre fine al loro potere. E tante altre cose, che le parole non avrebbero mai potuto descrivere.
Diedi un pacca sulla spalla sia a Shan che a Tomo, e poi uscimmo di casa.
Il piano funzionò alla perfezione. Entrammo, e arrivammo fino ai piani più alti dell’edificio. Nessuno si accorse di noi. Quando però arrivammo nella zona di massima sicurezza, quella degli appartamenti del presidente, fu necessario uccidere alcune guardie.
Trenta secondi, poi spalancammo le porte di mogano finemente intarsiato, quelle che conducevano all’ufficio presidenziale.
La vista mi raggelò il sangue. Mary era legata all’antica poltrona posta dietro la scrivania. Era priva di sensi, e il volto e le braccia erano pieni di ematomi. Il presidente le puntava una pistola sulle tempie, e con l’altra mano stringeva la boccetta con l’Elisir.
Sentii un lieve rumore dietro di me. Tutti e tre ci voltammo di scatto. Almeno dieci persone armate stavano facendo il loro ingresso. Mi rivolsi di nuovo verso Mary. Lei aprì lievemente gli occhi, e le sue labbra scandirono il mio nome. Vederla così mi stava uccidendo.
Volevo ammazzarli tutti. Volevo porre fine a questa follia. Ma prima dovevo recuperare l’Elisir. E trovare un modo per portare Mary fuori da quell’edificio viva.
Elaborai tutte le possibilità.
Girarmi e sparare ai soldati, rischiando di essere ferito a mia volta. Sparare al presidente, che avrebbe comunque avuto il tempo di sparare a Mary e qualcuno di noi. Sì, avevamo saputo che il presidente aveva raggiunto uno status simile al vampirismo grazie ad alcune scoperte nel campo dell’alchimia. E nonostante i nostri proiettili al platino, avrebbe avuto forza a sufficienza per uccidere due o più di noi.
C’era un ultima opzione. Nella mia tasca c’era una bomba a mano. Ci avrei messo meno di un secondo per attivarla. Avrei ucciso tutti noi (solo un vampiro “puro sangue” poteva resistere ad un attacco del genere, e nessuno in quella stanza lo era), è vero, ma avrei anche ammazzato il presidente, i soldati, e avrei fatto in modo che l’Elisir fosse distrutto, e finalmente fuori dalle mani degli Illuminati.
Sentivo il peso dell’esplosivo nella mia tasca… e vedevo Mary, legata a quella sedia… l’Elisir nelle mani del presidente…
Fu immediato.
Io e Shannon sparammo al presidente, mentre Tomo si girava per sparare alle guardie. Anche io e Shan ci voltammo, e sparammo a raffica. Fummo così veloci che non si resero nemmeno conto di cosa stesse succedendo.
Solo il presidente fu abbastanza veloce. I due proiettili alla testa non erano bastati.
Premette il grilletto contro Mary, sparandole al cuore.
Agii senza pensare, e lo stesso fece Shannon.
Mio fratello spezzò il collo al presidente e recuperò la bottiglietta. Io corsi da Mary.
Dissi cose senza senso. Chiamai il suo nome. Lei pronunciò il mio con il fiato che le restava e prese la mia mano con una stretta molto debole.
Ci guardammo. Le dissi che l’amavo. La implorai di non abbandonarmi.
Ma non era nella sua natura obbedire. Vidi qualcosa spegnersi nel suo sguardo. Lasciò la mia mano.
Shannon mi portò via di peso da quella stanza, prima che facessi qualcosa di stupido.
Ma cos’era stupido? E cos’era giusto? Era stato giusto recuperare l’Elisir? Era stato stupido pensare che i nostri migliori associati sarebbero riusciti a proteggere Mary? Era stato stupido pensare che eravamo più furbi di loro?
Mentre mi facevo queste domande, sparavo e uccidevo. Io, Shannon e Tomo ci liberammo la strada con le pallottole.
Alla fine raggiungemmo una finestra che dava sul retro dell’edificio.
Ruppi il vetro, vidi Shannon e Tomo saltare giù. Presi la bomba dalla mia tasca, tolsi la sicura e pensai.
Dovevo davvero saltare giù? O era meglio se rimanevo lì? Almeno, avrei seguito Mary, almeno, ovunque fosse andata.
Shannon e Tomo toccarono terra e si rialzarono subito in piedi.
Prima che potessero cominciare a correre, lanciai la bomba dietro le mie spalle e saltai giù.
 
Adesso, fisso le parole di Buddha For Mary che io stesso ho scritto sul muro.
Ci sono voluti giorni per scriverla tutta. Ogni parola che scrivevo era un’altra pallottola che volava sulla mia testa, che raggiungeva mio padre, che colpiva Mary al cuore. Era la sua mano che mi lasciava andare. Erano i suoi occhi senza vita. Era il suo viso coperto di sangue. Era il sorriso del presidente.
Ogni lettera era un pugnalata, un proiettile che io avrei dovuto ricevere, una bomba che esplodeva alle mie spalle.
Una notte, mentre scrivevo su quella parete, i ricordi furono così vividi che scoppiai in un pianto disperato.
Così Shannon mi abbracciò e mi portò fuori casa. Prese le nostre bici, salì sulla sua e fece cenno di seguirlo. Obbedii.
Girovagammo per i boschi, persi in quella notte, con le anime infrante, e le nostre urla e i suoni della battaglia nelle orecchie. In quel bosco i proiettili non erano così potenti, ma gli occhi di Mary continuavano a manifestarsi in ogni albero.
Andai avanti così per giorni. Arrivai a scrivere fino al secondo ritornello, poi la rilessi.
L’inizio non andava bene. Era così dannatamente personale. Mi immaginai mentre la cantavo davanti ad un pubblico. Solo leggere quelle parole mi devastava, figurarsi cantarle.
Mi appellai alla frase di Mary. “Sii sempre puntato verso l’alto”. Quindi, non potevo crollare ed affogare in una mia canzone durante un concerto. Avrei infranto la promessa.
Presi la vernice bianca e coprii per bene quelle parole. Aspettai che fosse asciutta, poi intinsi il pennello nella vernice nera. Le parole furono spontanee.
A simple fear to wash you away. Era riferito a me. Alle mie paure, soprattutto a quella di non riuscire a proteggere chi mi stava intorno. Mi ammazzavano ogni volta, e lavavano via ogni mio tentativo di resistergli.
An open mind cancelled it today. Gli Illuminati si consideravano delle “menti aperte” al progresso, quando fecero la loro comparsa nel mondo. E una “mente aperta”, il loro presidente, aveva cancellato Mary. Infatti, stavo per scrivere “her” al posto di “it”. Ma non sarei mai riuscito a cantare una frase del genere senza crollare. Così, scrissi “it”. Funzionava. Sembrava che mi riferissi alla mia paura.
A silent song that’s in your words.Era quello che Mary mi ripeteva sempre. Nelle parole che scrivevo c’era già una canzone finita che però era nascosta in silenzio. Dovevo solo dargli voce e richiamarla dal silenzio in cui era intrappolata.
A different taste that’s in your mind. Sì, anche questo era riferito a me. Perché nella mia mente la vendetta aveva preso un altro sapore, diverso da quello che immaginavo.
Non sapeva di vittoria. Non sapeva  di giustizia, né di pace.
Sapeva di perdita. Sapeva di vite spezzate. Sapeva di giorni sprecati ad inseguire qualcosa che non sarei mai riuscito ad uccidere. E quel qualcosa era il senso di colpa per non essere riuscito a salvare Mary.
 
Riesco ancora a vedere le altre parole, sebbene le abbia nascoste sotto uno spesso strato di vernice. Ma come posso cancellare qualcosa che è comunque dentro di me?
Prendo fiato e allontano quelle parole dai miei pensieri. Rinnovare il dolore non serve a nulla.
Capisci, Mary? È per questo che ho deciso di chiamare quella ragazza con il tuo nome, anche se ciò significa una nuova pugnalata allo stomaco ogni volta che lo pronuncio.
E poi, ora “Mary” è anche il suo nome. È il nome che ha scelto, esattamente come io ho scelto il mio, e Shannon ha scelto il proprio.
Non significa che ti sto dimenticando. Anche volendo non riuscirei mai.
Mi avvicino alla libreria e prendo “il giovane Holden”. Lo apro. In mezzo c’è la foto che mi hai scattato mentre dormivo, dopo la prima notte che avevamo condiviso.
Ci sei anche tu. Guardi l’obbiettivo e sorridi. Io ho gli occhi chiusi e i capelli lunghi sparsi sul cuscino.
Ho il viso rivolto nella tua direzione, come se, nonostante fossi addormentato, sapessi benissimo dove sei.
Ora non lo so dove sei. Tu non credevi in Dio, ma io sì, nonostante a volte sembri tutto il contrario.
Ricordo quando mi parlavi di Buddha, e io ti dicevo che era meglio che leggessi la Bibbia. E tu ridevi, dicevi in tutta la tua vita mai avresti sperato di incontrare un mezzo vampiro che le dicesse di pregare Gesù.
Rido anche io. Rimetto a posto il libro, chiudendoci dentro tutto quello che provo per te. Ma dentro di me so che un giorno, forse, ci incontreremo di nuovo.
Puoi sentirmi, Mary? 

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Capitolo 18
*** You're the reason I can't control myself ***


Mary

 
Il mattino mi accoglie con la sensazione di essere osservata. Apro gli occhi, e vedo davanti a me due spettacolari iridi azzurre.
 -Buongiorno Mary!-
 -Jared?- Sono costretta a sbattere gli occhi più volte, perché mi sembra di vedere i suoi occhi come attraverso un sogno. Invece è tutto reale. È seduto sul mio letto, e il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Così dannatamente reale che ho voglia di gettarmi addosso a lui e abbracciarlo. Mi trattengo, però. Anche perché sono troppo incantata dal suo sorriso per poter fare qualsiasi cosa.
 -Non ti chiedi perché ti ho svegliata alle…- si interrompe per controllare l’orario. -8 e mezza?-
 -In effetti…-
Jared sbuffa, alza gli occhi al cielo e mi regala la sua espressione più stupita.
 -Tesoro, è il tuo compleanno oggi! Non penserai di volerlo festeggiare dormendo…- dice,alzandosi.
Non posso evitare di notare la sua bellezza. Sembra una statua greca. I suoi muscoli si vedono bene anche sotto la maglietta grigia a maniche corte e i pantaloni scuri che sta indossando.
Tiene le mani in tasca e mi guarda sorridendo.
 -Allora, vuoi restare qui? C’è una persona che ti aspetta…-
Mi alzo subito.
 -Chi?-
Jared non risponde, ma mi rivolge un sorriso divertito e se ne va lentamente.
In pochi minuti sono pronta. Mi precipito giù dalle scale e trovo Shannon.
 -Mary!- dice, abbracciandomi.
Sono davvero sorpresa dal calore del suo abbraccio. E solo ora mi accorgo di quanto mi sia mancato il suo sorriso.
Facciamo colazione tutti insieme. Poi Jared rivolge uno strano sguardo a Shannon.
 -Che succede?- chiedo.
 -Nulla,- risponde Jared in fretta. -Perché me lo chiedi?-
 -Nulla- dico anche io, e finisco il tè rimasto nella mia tazza. Jared accenna un sorriso. Sta per combinarne una delle sue, e sa che io l’ho capito. Sparecchia in fretta e va a lavare i piatti.
 -Mary, Jared ti ha fatto già vedere la sala prove?- dice Shannon.
 -Avete una sala prove in casa?- chiedo stupita.
Jared alza gli occhi al cielo.
 -Andiamo, pensi davvero che Shannon riuscirebbe a vivere senza un posto in cui poter suonare la batteria anche alle 4 di notte?-
Shannon conferma quello che ha detto Jared, annuendo solennemente. Poi si alza, mi prende per mano e mi porta alla loro sala prove.
La prima cosa che penso quando entro è “wow”.
Alle pareti sono appese tantissime chitarre. Ci sono anche Pythagoras e Artemis.
Christine, la batteria di Shannon, sembra ancora più grande vista da vicino.
Shannon si accorge di come la sto guardando.
 -Ragazza, nessuna donna l’ha mai toccata- dice, con un tono minaccioso.
 -Nemmeno… Emma?-
Per la prima volta, vedo Shannon interdetto.
 -Cosa c’entra Emma…?-
 -Lascia stare, Shan… tanto lo so che c’è qualcosa tra voi due.-
Shannon sbuffa, si avvicina a Christine, prende un paio di bacchette, e poi me le porge.
 -Divertiti. Meglio sentirti maltrattare Christine che parlare di Emma- dice, seccato, però poi scoppia a ridere.
Accetto con gioia le bacchette e mi siedo sul trono di Shannon.
Per qualche secondo rimango lì senza fare nulla. Allora il batterista sbuffa ancora, si avvicina e mi spiega a grandi linee come si suona. In poco tempo capisco che non sono davvero capace.
 -Ah, basta. Sono proprio negata.- Mi alzo e restituisco le bacchette a Shannon.
Lui sfoggia un sorriso furbetto, si siede e comincia a suonare.
È davvero, davvero bravo. Molto più di quanto già sapessi. Non solo tecnicamente: mette l’anima all’interno delle canzoni, ogni colpo corrisponde ad un emozione. E si capisce benissimo che è fatto per suonare la batteria, che quello è il suo mondo.
Mi ritornano in mente le parole di Jared. Shannon non suona in una canzone. Lui ne prende il controllo. Ha proprio ragione.
Shannon si ferma, sorridendo.
 -Allora, che te ne pare?-
 -Non ci sono parole per descriverti- dico sinceramente. Lui sorride, tutto contento.
Per il resto della giornata Shannon mi trascina in giro per casa, mi mostra fotografie, mi racconta storie. E dato che sembra in vena di parlare, mi faccio coraggio e gli pongo la domanda che mi tormenta sin da quando ho conosciuto i 30 Seconds To Mars.
 -Senti, Shannon… per chi è stata scritta Buddha For Mary?-
Lui smette di sorridere. Arriccia le labbra e guarda in basso.
 -Preferirei non parlarne, se non ti dispiace. È… doloroso.-
 -Capisco. Posso almeno sapere una cosa?-
 -Chiedi.-
 -Chi l’ha scritta? Tu, o Jared?-
 -Jared, ed è stato molto duro per lui scriverla… per favore, non fargli domande su quella canzone. Se è doloroso per me, per lui è devastante. E l’ho già visto soffrire parecchio…-
 -Va bene, va bene. Non c’è problema, era solo curiosità.-
 -Grazie- dice, dandomi una pacca sulla spalla.
Il tour per la casa riprende, e Shannon mi mostra anche il giardino, la palestra e la biblioteca.
 -Avete anche una biblioteca? Ma tutti i libri che ci sono in soggiorno…?- gli chiedo, prima di entrarci.
 -Non sono nulla rispetto a quelli che ci sono in biblioteca- dice, interrompendomi. -Insomma, abbiamo più di tre secoli alle spalle. Pensi davvero che non abbiamo avuto tempo per comprare libri?-
Mi porta quindi in una sala enorme, piena di libri. Qui ci sono volumi che sembrano davvero antichi.
 -Erano di nostro padre- mi spiega. -Si chiamava Philippe Devour. Ed era un vampiro. Lo hanno ucciso gli Illuminati, dieci anni fa.-
Io rimango senza parole.
 -Mi dispiace…- mormoro.
 -Non fa nulla. Te l’ho detto, così non proverai a chiederlo a Jared. Per lui sarebbe doloroso quanto sentire parlare di Mary…-
 -Un po’ posso capirvi. Mio padre è morto quando avevo 7 anni, ma l’avrò visto quattro volte massimo in tutta la mia vita...- La voce mi si spezza. Non parlo di mio padre da anni.
Shannon mi abbraccia, poi lascia cadere il discorso, e mi parla di altro. Però, io continuo a domandarmi chi sia stata Mary, e a cercare di immaginarmi il suo viso. Quanto a cercare di ricordare mio padre, è fuori questione. Capisco i Leto: alcuni ricordi vanno lasciati ad impolverare nella memoria, in attesa di dimenticare.
 

Jared

 
È tutto pronto. Shannon ha distratto Mary e l’ha tenuta lontana dal soggiorno abbastanza a lungo da potermi permettere di prepararle una piccola sorpresa per il suo compleanno.
Tomo e Vicky arrivano poco prima delle 19. Emma invece non si fa vedere fino alle 20. Insieme, finiamo di cucinare le ultime cose. Io ci ho provato, ma non sono davvero portato per la cucina. Ogni volta che provo ad inventarmi qualcosa rischio di dar fuoco alla casa.
Noto che Emma è strana. Sembra che sia arrabbiata per qualche motivo. No, peggio, è seccata. Vorrebbe essere da tutt’altra parte, immagino.
 -Emma, va tutto bene?- le chiedo sottovoce mentre mi aiuta a scolare la pasta. Se già cucinare mi risulta difficoltoso, il cibo italiano è tre volte più difficile da preparare.
 -Lasciamo stare, per favore.-
Sospiro.
 -Il problema è Shannon?-
 -No. Cioè, non proprio. Il problema è Mary.-
Mi blocco.
 -Cosa?-
Lei ride amaramente.
 -Non dirmi che non hai notato il modo in cui lei e Shannon si guardano…-
Shannon? Mary?? Mi sembra di ricevere un pugno nello stomaco. Ma cerco di far finta che non sia successo nulla. A quanto pare, non sono abbastanza bravo per convincere Emma, vista l’espressione che fa.
 -Anche se fosse,- dico, -sei stata tu a lasciare Shannon, proprio perché pensavi che ti tradisse ogni volta che spostavi lo sguardo. E non era così, non fare quella faccia… comunque, dicevo, anche se fosse, non dovrebbe più importarti.-
 -Io sono ancora innamorata di lui.- Mi guarda, come se stesse aspettando una risposta. Ma io non dico nulla. Lei mi rivolge uno sguardo velenoso.
 -Sono problemi tra te e lui. Vuoi sapere cosa prova per te? Chiediglielo- le dico.
 -Perché non lo fai anche tu con Mary, allora?-
Comincio ad affettare i pomodori.
 -Non sono cose che ti riguardano.-
 -Jared,- dice, mettendo una mano sul coltello. Alzo lo sguardo su di lei. -So come ci si sente. Siamo nella stessa situazione, mi sembra. Abbiamo troppa paura per dire cosa proviamo.-
 -Non è solo questo…-
 -Per te non è mai solo “questo”.- Gira i tacchi e va a portare le posate in tavola. Abbasso lo sguardo: i pomodori sono ormai ridotti ad una poltiglia rosso sangue.
Dopo cinque minuti le pietanze sono pronte. La grande tavola nella sala da pranzo è apparecchiata.
Vicky ha dato un tocco di classe, scegliendo il servizio di piatti di porcellana e la tovaglia color avorio. I bicchieri di vetro nero, i tovaglioli scarlatti, e le posate scintillanti contrastano con il fondo chiaro. Approvo la sua scelta.
Finalmente è tutto pronto. Chiedo a Tomo di andare a chiamare Mary e Shannon. Io mi nascondo in un angolo, con la videocamera in mano, pronto a riprendere l’ingresso di Mary.
Sento i suoi passi avvicinarsi. Non so perché, ma il mio cuore comincia a battere più velocemente. Contare i suoi passi mi rende nervoso, non tanto perché devo stare attento a non mancare la sua entrata, ma perché diventa sempre minore la distanza che ci tiene separati.
Mi rendo conto di cosa sto pensando e rimango sconvolto. Tanto sconvolto che quasi non riprendo il momento della sua entrata. Un passo prima che arrivi alla porta, ritorno in me, aggiusto l’inquadratura e premo “rec”.
Shannon le apre la porta, e poi le lascia lo spazio per passare. Lei entra. È splendida nella sua semplicità e nel suo stupore. La maglia dei Nirvana, i jeans strappati… è più bella di tutte le donne truccate vistosamente e agghindate che ho visto nella mia vita. È più bella delle tante top model e attrici che ci hanno provato con me. È molto più bella di tutte loro messe assieme.
I suoi occhi azzurri come il cielo estivo brillano, e riflettono l’ampio sorriso sorpreso che si è formato sulle sue labbra.
Il suo sguardo si sofferma sulla tavola imbandita, vaga sulle pareti addobbate da palloncini e festoni, scorre sugli invitati... Tomo, Vicky, Emma, poi guarda Shannon, con fare accusatorio quasi, perché l’ha tenuta all’oscuro da tutto, ma si dopo si mette a ridere.
E infine guarda me. No, non attraverso l’obbiettivo. Cerca i miei occhi oltre la telecamera e mi guarda. Mi rivolge uno dei sorrisi più caldi che abbia mai visto, poi fa il giro del tavolo, si avvicina a me e mi abbraccia.
Dimentico di avere in mano una videocamera in funzione e la abbraccio forte. Lei ricambia la stretta. E provo una felicità infinita dopo anni in cui mi sono sentito spezzato e irreparabile.
Respiro il profumo dei suoi capelli e mi sciolgo quando mi ringrazia a bassa voce. La lascio andare controvoglia. Le dico che è stato divertente preparare tutto quanto in segreto. Lei mi sorride ancora e prende posto a tavola.
Mentre metto giù la videocamera non posso fare a meno di notare lo scambio di sguardi tra Emma e Shannon. Se qualcuno passasse lì in mezzo rimarrebbe incenerito. È strano che loro due siano ancora integri e non abbiano subito la forza distruttrice delle loro occhiate.
Sospiro. È meglio se oggi tengo a bada mio fratello. Lo chiamo, chiedendogli di aiutarmi con gli antipasti.
Risponde allo sguardo astioso di Emma con un’ultima occhiata altrettanto pungente prima di seguirmi in cucina.
 -La vuoi smettere con questa cosa tra te ed Emma? Finirai per rovinare la festa a Mary.-
 -Ma non sono stato io a cominciare! L’hai vista, no? Da quando sono entrato non ha fatto altro che fissarmi come se fossi il più crudele dei vampiri. Anche l’ultima volta che ci siamo trovati a tavola insieme, mi guardava disgustata… ma cosa le ho fatto?-
Non posso impedirmi di ridere. Soffoco in parte la mia risata e mollo a Shannon tre piatti.
 -Si può sapere perché ti fa ridere?- chiede, offeso.
 -Perché non hai capito assolutamente nulla, Shan. Vai, prima che si raffreddino. Non ho speso tre ore ad la cucina italiana per vedere il frutto della mia arte rovinato da un mezzo vampiro.-
 -Beh, allora stai attento… qui di mezzi vampiri ce ne sono molti in circolazione.-
Portiamo di là i piatti e la cena comincia. La musica che fa da sottofondo è scelta da Shannon, e varia dal rock, al metal, alle musiche orientali che piacciono tanto a mio fratello. E ogni tanto si sente anche un pezzo dance, di quelli che suona ai dj set con Antoine Becks. L’insieme non è male, ma di per sé non amo molto quel genere di musica.
Ad ogni modo, non è sulla musica che sono concentrato. Sono costantemente rapito da Mary, che è seduta di fronte a me. Non riesco a capire per quale motivo ora più che mai riesce a stregarmi. Sarà stata Emma, con la sua insinuazione su un possibile sentimento tra Mary e Shannon? È colpa della gelosia se ora mi trovo in questa condizione? La causa, comunque, non cambia l’effetto. Faccio fatica a concentrarmi su qualcosa che non sia lei.
Shannon capisce che c’è qualcosa che non va in me, visti gli sguardi allarmati che mi lancia dall’altro capo del tavolo, dove è seduto. Con un altro sguardo rispondo che va tutto bene. Non se la beve e con la scusa di portare altro vino mi trascina fuori dalla sala da pranzo. Ma perché nessuno mi crede stasera?
Non siamo nemmeno arrivati in cantina che mi chiede: -Okay, cosa mi sono perso?-
 -Nulla, perché?-
Shannon si blocca e mi fissa. La sua espressione si potrebbe riassumere nell’espressione “are you fucking kidding me?
 -Beh, è vero, non è successo nulla.- Riprendo a camminare, mentre Shannon resta fermo.
 -Ma…?-
Mi fermo, dandogli le spalle.
 -Okay. Penso di provare qualcosa per Mary. Contento?- aggiungo, quando mi raggiunge.
 -Bene, ammetterlo è già qualcosa. Lei cosa prova per te?-
 -Ma che ne so…-
 -Sei sempre pessimista quando sei innamorato, Jay. E diventi pure insopportabile: non rispondi mai alle domande direttamente e mi tocca farti tremila altre domande per ottenere una risposta soddisfacente.-
Taccio e continuo a camminare. È lui ad interrompere il silenzio.
 -Jay, lei ti ama. Me ne sono accorto dal primo instante in cui l’ho incontrata.-
 -Non lo so… quando ci siamo baciati…-
 -Vi siete baciati?? E non mi dici nulla?- mi interrompe, e mi da uno scappellotto.
 -Ahia! Aspetta…- dico, massaggiandomi il capo. -Dicevo, quando ci siamo baciati, mi sembrava che fosse incerta di quello che faceva. Come se non lo volesse davvero…-
 -O come se non riuscisse a credere a cosa le stava capitando. Andiamo, Jared. Avrai anche 340 anni ma sei ancora un bambino per molte cose.-
 -Senti chi parla! Un mezzo vampiro che non ha ancora chiarito con la sua ex…- dico, con l’espressione di chi la sa lunga, e accenno un sorriso.
Shannon spalanca gli occhi. L’ho fatto irritare, ma vedo già il sorriso sulle sue labbra
Mi metto a ridere, entro in cantina, prendo due bottiglie di vino e scappio via, prima che Shannon mi prenda. Mio fratello fa lo stesso e mi insegue.
Ridiamo come matti finché non entriamo di nuovo in sala da pranzo.
L’atmosfera lì dentro è cambiata. Emma guarda Mary in cagnesco, e la ragazza fa altrettanto con l’altra. Gli occhi di Mary però sembrano lucidi, come se stesse per piangere. Tomo e Vicky, seduti al centro del tavolo, l’una di fronte all’altro, sembrano in imbarazzo.
Emma si alza. -Penso che sia meglio che vada, adesso.- Non saluta nessuno, rivolge uno strano sguardo a me e uno bruciante a Shannon e lascia la casa.
Per un secondo tutti tacciono. Poi io e Shannon prendiamo posto e Tomo fa ripartire la conversazione. Mary non parla molto. Riesco a distrarla un po’, ma si vede che c’è qualcosa che la turba profondamente.
Arriva il momento di portare la torta. Accendo le diciotto candeline rosa sulla torta coperta di panna montata e frutta. Shannon prende la macchina fotografica e si prepara a scattare la foto quando Mary spegnerà le candeline.
Tutti insieme le cantiamo “tanti auguri a te” e Tomo fa sfoggio della sua voce lirica. Mary ha le lacrime agli occhi e ci guarda felicissima.
Vicky le dice di esprimere un desiderio prima di soffiare.
 -Sarà difficile desiderare qualcos’altro stasera- dice.
Poi chiude gli occhi, stringendoli. Si china sulla torta, apre gli occhi e soffia. Le diciotto candeline si spengono. Ma la scintilla nei suoi occhi azzurri rimane accesa, come il sole cocente nel cielo sereno.

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Capitolo 19
*** Lose your mind. ***


Mary

 
 -Va bene, mamma, farò la brava. Grazie per la chiamata, e per gli auguri… è stato bello sentirti.-
Ho la voce quasi spezzata, e mi viene da piangere. Quanto mi manchi, mamma…
 -Piccola, ti voglio bene. E divertiti lì a Parigi, mi raccomando!- dice lei, attraverso il telefono.
 -Certo. Ti voglio bene anche io. Un bacio.-
Chiudo la chiamata. Dentro di me c’è una tempesta di sentimenti discordanti: la gioia per la chiamata della mamma, la felicità per la festa che mi ha organizzato Jared, la rabbia nei confronti di Emma… ma soprattutto, il senso di colpa per aver mentito a mia madre.
Ho dovuto dirle che mi trovo ancora a Parigi, che va tutto bene, che il lavoro di assistente di Shannon (che non ho praticamente svolto) è grandioso.
Non ho potuto dirle che mi trovavo nel suo stesso Stato, a pochi chilometri di distanza. Non ho potuto dirle che ho paura che accada qualcosa di brutto, sia a lei, che a Jared, Shannon, Tomo, Vicky… o a tutti gli altri dell’Associazione, Emma compresa. Non ho potuto dirle che ho bisogno del suo abbraccio.
Mi sento la peggiore figlia del mondo. Anzi, la persona peggiore del mondo. Mi chiedo se merito davvero tutto questo affetto…
 

Jared

 
 -Certo. Ti voglio bene anche io. Un bacio.-
Mary chiude la chiamata. Il tono di voce con cui ha salutato sua madre mi preoccupa… è come se si sentisse in colpa.
Ma sono io quello che ha tutte le colpe. È stata costretta a mentire a sua madre per proteggere la nostra copertura.
Sento che sospira. Salgo le scale, raggiungo la sua camera e busso piano alla porta.
 -Entra pure- dice.
È seduta sul letto, con il cellulare ancora in mano.
Alza lo sguardo su di me, e mi guarda negli occhi. Cerco di resistere all’impulso di baciarla. Non è affatto il momento adatto, Leto, mi dico.
 -Sono stata convincente?- chiede.
Annuisco e mi siedo vicino a lei. -Tua madre non sospetta nulla. E poi, lei è sotto la protezione di membri fidati dell’Associazione. Puoi stare tranquilla, non corre alcun pericolo.-
Mi fa un timido sorriso. Mette il cellulare sul comodino e poi torna a guardarmi.
 -Grazie per la festa, Jared. E per tutto quello che fai per me… sei fantastico.-
Le sorrido e la abbraccio. Lei ricambia l’abbraccio e mi stringe.
Dopo un po’ Mary si allontana. La guardo negli occhi, e vedo che ha cominciato a piangere.
 -Hey, hey, che succede?- le dico, dolcemente.
Scuote la testa. -Niente, è solo che…- si blocca e piange più forte.
Vedo un pacchetto di fazzolettini sul comodino. Li prendo e gliene porgo uno. Si calma per un momento.
 -Grazie,- dice, prendendo il fazzoletto, e di colpo torna a piangere. Si copre gli occhi con le mani.
Allora io le prendo le mani e delicatamente le allontano dal suo viso.
Passo lentamente il pollice sotto il suo occhio, e cancello una lacrima che le era sfuggita.
Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo. Mi perdo nelle sue iridi azzurre, affogo nelle pupille. Non ho mai sentito il mio cuore battere tanto forte.
Mi avvicino e la bacio. Mary risponde al bacio e si stringe a me.
Sento le sue mani sul petto, e poi le sue dita attraversano i miei capelli. Le do un bacio sul collo.
Entrambi perdiamo il controllo.
In poco tempo i nostri vestiti volano chissà dove. E baci, da più delicati, diventano appassionati, e necessari. Sì, è questa la parola giusta. Perché abbiamo bisogno l’uno dell’altra.
 

Shannon

 
Nemmeno guidare riesce a calmarmi. Ho passato l’ultima fottutissima ora su questa fottutissima autostrada.
Anzi, di più.Un’ora e venti minuti fa ero ancora a casa, e Mary aveva spento le candeline da poco.
La festa è stata bellissima, certo, a parte le continue frecciatine di Emma. Ho cercato di non darle peso, però lei riesce a farmi imbestialire come pochi sanno fare.
E poi, poco dopo che se n’era andata, ho avuto una bruttissima sensazione. Ho fatto finta di nulla, mentre Mary spegneva le candeline. Ma qualche minuto dopo la sensazione era diventata terrore e ho dovuto salutare tutti e andarmene.
E adesso, questa cazzo di coda in autostrada! E nemmeno un mezzo vampiro può evitarla. Dovevo prendere la moto, lo sapevo.
Proprio quando sto per perdere la speranza, le auto davanti a me cominciano a muoversi.
Si apre un piccolo spiraglio tra le auto che ho intorno. So che non dovrei farlo, ma non posso aspettare ancora in cosa.
Lo spiraglio diventa più grande, e appena raggiunta la misura giusta, invece di procedere in avanti, sterzo a destra e accelero, sgommando. Tiro fuori tutta la mia abilità di pilota e cerco di uscire da quel caos.
Taglio la strada a tutti, e vado nella corsia di emergenza. Spingo al massimo il motore della mia auto, torno nelle corsie di sorpasso, faccio slalom tra le auto che finalmente si muovono e i loro guidatori isterici, che suonano il clacson e mi lanciano insulti.
Vedo un’uscita. Con una brusca sterzata, attraverso le corsie e imbocco la rampa ad una velocità esagerata.
Mi trovo in poco tempo nella zona sud di Nashville, e so che dovrei rallentare, ma continuo ad avanzare a velocità sostenuta, fregandomene dei sensi unici e dei cartelli stradali.
Eccolo.
Finalmente vedo il palazzo dove abita Emma. Quante volte sono stato qui in macchina, ad aspettare che scendesse… Torno con la mente all’ultima volta in cui mi sono trovato così vicino al suo palazzo: avevo parcheggiato, avevo scavalcato il cancello ed ero entrato nell’edificio con facilità.
Davanti alla porta di casa sua avevo esitato. Poi avevo bussato.
Quando Emma mi aveva aperto, e mi aveva visto, aveva cominciato ad insultarmi, senza nemmeno lasciarmi la possibilità di parlare.
Mi aveva detto di tutto: che ero falso, bugiardo, che era stanca di vedermi, che ero un maniaco, che ci provavo con tutte. Mi aveva rinfacciato di averla tradita con Jiana e con diverse ragazze che avevano partecipato ai miei dj set con Antoine. Aveva detto che era stata stupida ad innamorarsi di me, e che non sarebbe mai tornata sui suoi passi.
E io a quel punto ho fatto lo sbaglio più grande che potessi fare. Avevo detto “Bene, non sei l’unica ad amare la persona sbagliata, allora. Nemmeno io tornerei sui miei passi.”…anche se non lo pensavo davvero. La amavo, e quello che volevo era stare con lei. Non ho tentato di dirle che non l’avevo mai tradita: mi sono preso il mio “vaffanculo” e me ne sono andato. Così.
Sono tornato alla nostra base, mi sono chiuso in sala prove e ho cominciato a suonare. Erano le tre di notte quando sono entrato in quella stanza: ne sono uscito solo alle 7 e mezza del mattino, quando Jared mi ha implorato di uscire di lì, altrimenti saremmo arrivati in ritardo in aeroporto e avremmo dovuto posticipare il concerto. Più tardi, ho giustificato la mia assurda frase, dicendomi che Emma era più al sicuro se non stava con me.
Non ho mai pensato qualcosa di più stupido: Emma era comunque in pericolo finché rimaneva nell’Associazione, anzi, sarebbe comunque stata in pericolo, anche se avesse mai lasciato la guerra. Gli Illuminati non si facevano scrupoli quando volevano ottenere qualcosa.
Torno al presente, ed esco dalla macchina. Mi avvicino lentamente al cancello, suono il citofono. Aspetto due secondi, poi suono ancora.
Emma non risponde. Ma so che è in casa. Sento che devo entrare a tutti i costi. Scavalco il cancello, come in un déjà-vu.
 

Emma

 
Il citofono suona. Il suono odioso e nasale arriva fino al bagno.
Non ho nessuna intenzione di aprire.
Fisso l’acqua limpida che sta nella vasca da bagno. È così ferma…
Una pace così io la posso solo sognare.
Mi chino e tocco l’acqua con un dito. Tutta la superficie si muove, ipnotizzandomi, quasi. Sarebbe bello immergersi lì sotto, e dimenticare il mondo.
Un secondo suono nasale richiama la mia attenzione.Ma cosa sto facendo…
Mi alzo, schifata da quello che avevo pensato.
Lo specchio riflette la mia immagine. Lo fisso per un secondo, poi gli tiro un pugno, proprio in corrispondenza della mia faccia.
Le schegge di vetro volano ovunque. Aggredisco lo specchio, staccando i pezzi che sono rimasti sulla parete.
Poi vedo il sangue che cola dalle mie mani. E i vestiti che ho addosso sono già tutti macchiati.
In quel momento la porta del bagno si spalanca ed entra Shannon. Non ho idea di come sia arrivato fino a qui.
Non dice nulla, ma mi guarda, poi prende della carta igienica e tampona la ferita più grave, sulla mano destra, quella con cui ho dato il pugno. Stringe forte, quasi fino a farmi male.
 -Che cosa diavolo volevi fare?- mi chiede, fissandomi negli occhi.
Non riesco a sostenere il suo sguardo. Abbasso gli occhi.
Ma lui mi solleva il mento, costringendomi a guardarlo.
I suoi occhi dorati sembrano bruciare. Sbatte gli occhi, controlla la mia mano, poi torna a guardarmi.
 -Sei una stupida, Emma, se pensavi davvero che sarebbe bastato questo ad allontanarti da me- dice, indicando la vasca piena d’acqua con la testa.
La carta igienica è tutta inzuppata di sangue. Shannon la sostituisce con un pezzo pulito.
Do un’occhiata alla mano: la ferita non è così grave come sembrava.
Guardo il caos in cui ci troviamo. Pezzi di vetro, macchie di sangue per terra…
 -Lascia stare. Puliremo dopo…- dice Shannon, intuendo i miei pensieri.
Non resisto più. Scoppio a piangere.
 -S-scusami. Io… non so che mi è preso…- balbetto.
Mi abbraccia. Mi aggrappo a lui con tutta la forza che ho. Lui mi stringe a sua volta.
Mi era mancato così tanto.
 -Ti amo. Non dimenticartelo mai- dice.
Cerco di trattenere un po’ le lacrime.
 -Ti amo anche io. E non mi sono mai pentita di averti amato… nonostante tutto quello che ti ho detto quel giorno…-
Mi zittisce, appoggiando un dito sulle mie labbra.
 -Il passato è passato, punto.-
Mi da un bacio sulla fronte, poi insieme andiamo in soggiorno.
Ci sediamo sul divano. Le cose di cui dovremmo parlare sono davvero troppe.
Così, ci limitiamo restare lì seduti e abbracciati. E anche se la ferita sulla mano sanguina ancora un po’, l’enorme ferita che c’era dentro di me comincia a guarire.

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Capitolo 20
*** It's the end. Here. Today. ***


Mary

 
Il sole acceca i miei occhi e decide di svegliarmi. Ma non voglio. C’è un sogno, ancora da qualche parte nella mia testa, che proprio non ne vuole sapere di dissolversi alla luce diurna.
Poi, ricordo.
Jared…
E allora sì che per un secondo penso di vivere in un sogno bellissimo ma irrealizzabile.
La realtà ha la meglio sulla mia fantasia. Cos’altro potrebbe offrirmi l’immaginazione, rispetto a quello che ho già?
Così apro gli occhi, e finalmente mi sveglio.
Il lenzuolo celeste del mio letto copre il mio corpo ancora nudo. Ma Jared non è sdraiato accanto a me.
Mi metto a sedere.
I miei vestiti sono sparsi ovunque, ma dei suoi non c’è traccia.
E poi, possibile che io senta odore di caffè?
Mi vesto scegliendo gli indumenti a caso, passo velocemente dal bagno ed esco da camera mia senza nemmeno rimettere in ordine i vestiti della sera prima, abbandonati a terra.
A metà scala, mi blocco. La Triad… Me la sono dimenticata. Torno a prenderla, la indosso e mi precipito giù dalle scale.
In cucina trovo Shannon.
 -Hey- gli dico.
 -Hey- dice lui, con un tono di voce piatto piatto.
Beve il suo caffè, con la schiena appoggiata al mobile della cucina. Fissa il liquido scuro nella tazza.
Il silenzio è imbarazzante. Da quando conosco Shannon, non c’è mai stato un momento così tra noi.
 -Dov’è Jared?- chiedo, esitante.
 -Fuori.- Continua a fissare il suo caffè.
Per un secondo, un terribile secondo, vorrei tanto prendere quella tazza e rovesciare il caffè sulla sua testa.
Sono sconvolta dai miei pensieri.
Mi do una calmata.
 -Fuori… dove?-
Shannon mi volta le spalle per posare la tazza ormai vuota nel lavello.
 -Ad allenarsi. Sta tirando con l’arco.-
La sua voce ora sembra un tantino più amichevole.
Ma quest’atmosfera… me ne accorgo solo io?
No. Lo vedo dal modo in cui Shannon tamburella sul bordo del lavello.
 -E… se lo raggiungessi?-
 -Non sarebbe una grande idea. Ha bisogno di concentrazione.-
Sempre dandomi le spalle, fa per andarsene.
E allora io reagisco di istinto, e lo trattengo per il braccio.
 -Shannon.-
Lo dico quasi come una supplica. Ma non aggiungo altro. Eppure, Shannon ha capito la mia domanda implicita. Che cosa sta succedendo?
Finalmente si gira e mi guarda negli occhi. Poi distoglie lo sguardo, con un gesto di stizza, come se guardarmi fosse troppo per lui. Fissa il bosco fuori dalla finestra.
Io taccio. Rimango ferma, immobile, senza il coraggio di respirare. Aggrappata al suo braccio come se fosse la mia unica ancora di salvezza.
Shannon rompe quel silenzio assordante.
 -Abbiamo ricevuto una brutta notizia, questa mattina… Conosci Jared, ormai. Ha bisogno di sfogarsi…anche se sono ore che sta là fuori, ormai.-
Cosa sta tentando di dirmi, mi chiedo. Che non è colpa mia se ora Jared sta così?
Ma io so perché Jared sta così adesso. È tutta colpa mia in effetti.
Io l’ho messo in pericolo, a Parigi, come nella mia città, come sto facendo adesso. Intralcio ogni giorno i suoi piani per fermare gli Illuminati, e oltretutto, essendo io stessa in pericolo, deve preoccuparsi anche della mia sicurezza.
E forse si è pure pentito di quello che è successo stanotte.Anzi. Sicuramente se ne è pentito.
Non sono altro che un peso per i Leto. Ma per non compromettere la mia sanità mentale, visto che sto per impazzire, cerco di distrarmi.
 -Da quanto è lì fuori?-
 -Cinque ore.-
 -Un momento, che ore sono?-
 -Le 12.26,- dice Shannon, senza bisogno di controllare l’orologio.
Mi avvicino alla finestra. Strizzando gli occhi, vedo la schiena nuda di Jared fare contrasto con gli alberi scuri.
Lo vedo prendere l’arco, incoccare le freccia, tendere l’arma e poi scagliare la freccia. Questa, con una precisione allucinante, va a conficcarsi al centro del bersaglio.
Jared ne scaglia un’altra, che va a conficcarsi, nella freccia precedente. Poi un’altra. Poi un’altra. E poi un’altra ancora. Passa un’ora, così.
Dopo un po’, si stanca. Le frecce non colpiscono più il centro del bersaglio. Allora Jared lancia l’arco il mezzo al prato. Si avvicina al bersaglio, con una camminata lenta, ma che grida la sua micidiale potenza anche alla distanza che lo separa da me. Cammina come farebbe un cacciatore certo di avere la sua preda in trappola.
Per la prima volta, lo vedo per quello che realmente è: un vampiro.
Cinque ore che è là a tirare con l’arco. Posso davvero avergli causato tutta quella sofferenza?
Intanto Jared è arrivato al bersaglio. Estrae le frecce una ad una. Un colpo secco per ciascuna freccia, e poi la lancia lontano.
E ora Jared si inginocchia a terra, e urla.
È un grido di rabbia, di dolore, di angoscia, di paura. È un urlo che sconvolge anche me.
Piango ancora prima di rendermi conto di avere gli occhi pieni di lacrime.
Devo andare da lui.A costo che mi urli in faccia tutte le mie colpe.
Faccio per andare verso la porta, ma ora è Shannon a bloccare me per il braccio.
 -Lascialo stare. Davvero, non gli servirà a nulla se vai lì adesso.-
Annuisco.
Vado in camera mia.
Metto a posto i vestiti che avevo lasciato a terra, poi mi siedo sul letto e cerco di non pensare.
Ma il silenzio lì dentro è così opprimente…
Esco dalla mia camera e comincio a camminare. Non so davvero dove sono diretta.
Arrivo davanti alla porta della camera di Jared. Non sono mai stata lì dentro. E la porta è socchiusa… Un desiderio irresistibile mi costringe ad entrare.
È grande, ariosa. Il parquet scuro contrasta con il letto e il gigantesco armadio bianco. Delle grandi vetrate lasciano entrare la luce del sole.
C’è un enorme libreria anche in questa stanza. C’è un divano di pelle bianca, su cui è distesa Artemis.
Prima di notare altro, mi accorgo che la stanza è in completo disordine.
Ci sono fogli sparsi per terra, sul divano, sui tappeti… Fogli scritti a mano, stampati a computer, foto, schemi…
Una foto mi attira. Ritrae un signore vestito in giacca e cravatta. Sta parlando al telefono. Non è in posa, non guarda nell’obbiettivo. Sparse lì vicino ci sono altre dieci foto. Sembrano state scattate l’una a pochi secondi di distanza dall’altra.
L’uomo sta in piedi sul marciapiede, parla al telefono, gira la testa verso sinistra, controlla l’orologio, poi entra in un edificio.
Lascio sul tavolino quelle foto. Un foglio appallottolato richiama la mia attenzione. Lo apro.
È strappato in quattro parti, tutto spiegazzato. Ricompongo il foglio. Era un fax, stampato in bianco e nero.
C’è una foto. Lo stesso signore di prima, appena sceso da una vettura scura e dall’aria molto costosa.
Sotto la foto, una scritta a penna.
“MICHAEL ARTHUR WAYNE. 157 MADISON AVENUE. 3 GENNAIO 2012. ORE 07.04”
Rileggo il nome altre dieci volte.
Non è possibile.
 
Torno ad freddo pomeriggio invernale di dieci anni fa.
Tante persone vestite di nero. Tante persone che mi fanno le condoglianze. Mia madre che fissa la bara. Il prete che celebra la funzione. La bara viene portata all’esterno. Il carro funebre che lascia la piazzetta della chiesa.
Io, in macchina con mia madre. Io, che non mi rendo ancora pienamente conto di quello che stava succedendo.
Mia madre, che guida con la radio spenta. Mia madre, che ad un tratto scoppia a piangere ed è costretta ad accostare. Io che la abbraccio. Lei che mi dice che è tutto a posto.
Il cimitero. Le stesse persone vestite di nero. Gente che mi abbraccia. Gente che mi dice di essere forte.
Parole. Parole. Parole. Parole. Parole. Parole. Parole. Parole. Parole.
Non ce la faccio più, scappo dalla folla. Esco dal cimitero. Mi ritrovo a fissare la bacheca dove appendono i manifesti funebri. Sono tutti vecchi, tranne uno che spicca per la sua carta ancora immacolata.
 

“E’ mancato all’amore dei suoi cari
Michael Arthur Wayne.
Ne danno il triste annuncio la moglie Cheryl e la figlia Leehanne.

 
Torno al presente. Rileggere quel nome adesso è come ricevere una coltellata in mezzo allo stomaco. Fisso la foto, non capacitandomi di quanto quell’uomo assomigli a mio padre. Mi torna in mente la foto stampata sull’annuncio funebre. L’uomo in quella foto di dieci anni fa, mio padre, era identico all’uomo nella foto che tengo in mano adesso.
Quell’uomo è mio padre. E quell’uomo doveva essere morto dieci anni fa.
Cerco febbrilmente altre informazioni tra tutti i fogli sparsi a terra.
Ne trovo uno che riesce a sconvolgermi ancora di più.
Si tratta di un articolo di giornale. Alcune parole sono sottolineate e c’è una scritta a penna.
Michael Arthur Wayne è deceduto il giorno 10 gennaio 2002 in seguito all’esplosionedella sede degli Illuminati. L’hai fatto fuori, J. Ce l’abbiamo fatta.
Nick.
Leggo distrattamente l’articolo. Parla di una fuga di gas in un edificio a New York avvenuta nel 2002, che ha causato l’esplosione di un appartamento. Le vittime erano 72, tra cui Michael Arthur Wayne.
Trovo altri fogli. Tutti che parlano di Michael Arthur Wayne (è davvero mio padre? Devo parlarne come se fosse lui??) ma solo uno ha l’aspetto di un documento ufficiale.
Sembra uno di quei fogli che servono per identificare le persone, e che poi gli uffici lasciano in uno schedario, a marcire per anni e anni finché non decidono che non servono più a nulla.
Ci sono due foto dello stesso uomo, una di fronte, l’altra di profilo. Entrambe sembrano scattate all’insaputa del soggetto. Di fianco, spiccano i dati personali dell’uomo.
 
Nome: Michael Arthur
Cognome: Wayne
Data di nascita: 14 ottobre 1920
 
Rileggo l’ultimo dato. Come può quest’uomo essere mio padre? E come può avere l’aspetto di un quarantenne?
Poi mi ricordo dei fratelli Leto e del loro status di mezzi vampiri. Forse anche quest’uomo è un vampiro. Ma non può comunque essere mio padre! Non può essere!
Continuo a leggere i dati.
La descrizione fisica (occhi castani, capelli castani, pelle chiara, razza europea) è la stessa di mio padre, a quanto ricordo. Ma io ho visto mio padre solo poche volte nella mia vita, e non ho mai avuto molte foto a disposizione.
Nei segni particolari, però, viene descritta una piccola cicatrice sotto l’occhio.
E anche mio padre aveva la stessa cicatrice.
Leggo tutte le altre righe con attenzione maniacale. Scopro che questo Michael Arthur Wayne era al 33° grado nella Loggia di New York, ovvero il grado più alto. Veniva comunemente chiamato Presidente ed era a tutti gli effetti il capo della Loggia. Gli sono attribuiti diversi omicidi, rapimenti, ricatti, frodi allo Stato, accuse di terrorismo, criminalità organizzata, spaccio di droga e di armi. Più avanti, viene specificato che Wayne aveva assunto il controllo di tutte le Logge negli Stati Uniti, in Francia e poi nel mondo.
Poi, con un tuffo al cuore, leggo che a quest’uomo è attribuito l’omicidio di Philippe Antoine Henri Devour, nato a Marsiglia nel 1345 e morto a New York l’11 settembre 2001, e di Mary Stephanie Warren, nata a Boston il 13 agosto 1978 e morta a New York il 10 gennaio 2002.
Mary! Mary! E Philippe Devour, il padre di Jared e Shannon!
 
Non posso crederci. Michael Wayne, mio padre, era a capo degli Illuminati e ha ucciso il padre di Shannon e Jared, e Mary. La ragazza di cui ho scelto di portare il nome.
 
Nonostante la mia testa stia scoppiando, leggo ancora.
 
Data del decesso: 10 gennaio 2002  E’ ANCORA VIVO.
 
Non so più che pensare.
 
Continuo a rileggere quei fogli, sperando che mi dicano qualcosa di diverso.
Sento un rumore alle mie spalle. Mi volto di colpo.
È Jared. Indossa una maglietta a maniche corte nera e dei bermuda grigio chiaro. I capelli castani sono tutti spettinati. Gli occhi azzurri sono un oceano di senso di colpa.
Mi accorgo di avere il viso completamente bagnato di lacrime. E di voler conoscere tutta la verità.
 -Tu… sapevi?-
Jared stringe le labbra.
 -Jared. Ti prego. Voglio la verità.-
Lui si avvicina ad una vetrata, e guarda fuori. Tiene le mani in tasca e sembra distratto. Perso dentro chissà quali ricordi. Ma so che, quando parlerò, mi ascolterà.
 -Hai ucciso mio padre?- sussurro.
 -Credevo di averlo fatto. Tuo padre ha ucciso il mio, e la ragazza che amavo- aggiunge, a mo’ di giustifica.
Mi gira la testa. Mi appoggio al bordo della scrivania.
 -Quindi è per questo che sono qui? Perché sono… la figlia del Presidente?-
Lo stomaco deve aver deciso di farla finita. Si contorce su se stesso, sperando di strangolarsi. Forse vuole solo evitarmi tanto dolore.
Jared sospira.
 -All’inizio, no. Quel giorno, quando ti ho vista nella zona industriale della tua città, sapevo solo che eri una spia. Il nome che avevi indicato era chiaramente falso! Insomma, ti sei firmata come Mary Christine Leto! Era ovvio che fosse un nome falso, ma comunque non sapevo i tuoi dati. Nel corso della giornata abbiamo fatto delle ricerche, però, e prima di riportarti la tua auto conoscevo già il tuo vero nome, il giorno del tuo compleanno, la scuola che frequentavi, la tua media scolastica, e soprattutto, conoscevo il tuo albero genealogico.
Immagina il mio stupore, nel sapere che l’uomo che aveva ammazzato mio padre e Mary non solo si era fatto una famiglia, ma non aveva minimamente pensato alla sicurezza dei suoi cari, presentandosi a voi con il suo vero nome. Non avremmo mai osato pensare di arrivare alla sua famiglia partendo dal suo vero nome. Abbiamo sempre dato per scontato che avesse adottato efficienti misure di sicurezza per voi.-
Fa una piccola pausa.
 -Credevo di aver fatto bene il mio lavoro. Invece quel bastardo è ancora vivo. Come diavolo ha fatto?- dice, quasi parlando tra sé. I suoi occhi fissano il vuoto, mentre parla.
Poi, finalmente, alza gli occhi su di me. Mi fissa freddamente, come se avesse deciso di calare la maschera di gentilezza che aveva portato davanti a me in questi giorni.
 -E poi, tu. Echelon, che porti il simbolo dell’Associazione al collo, sei la figlia dell’uomo che ha rovinato la mia vita, e quella di tutte le persone a cui tengo.-
Devo aver smesso di respirare da un po’. Forzo i miei polmoni e respiro dalla bocca quel po’ di aria necessaria a non farmi svenire.
 -Era tutto finto, quindi? Dovevi solo trattenermi qui?- boccheggio.
 -Tutto cosa?- dice, accennando una risata.
Lo fisso, mentre tutto dentro di me sta andando in pezzi.
 -Stanotte. La festa di ieri sera. Il bacio in macchina…- devo interrompermi, perché la gola mi si è chiusa. Magari le lacrime smettessero di scendere, proprio come le mie corde vocali hanno smesso di vibrare.
 -Le nostre chiacchierate. Il plaid con cui mi hai coperto due giorni fa… La promessa di rivedere Parigi insieme…-
Sono patetica, vero? Farei meglio a tacere. Ma è più forte di me.
Jared sorride. È un sorriso di scherno.
 -Ho fatto quello che meglio mi riesce per convincerti a rimanere qui. Ho mentito. Pensavi che mi fossi innamorato di te? Io non potrei mai innamorarmi della figlia dell’uomo che mi ha rovinato la vita.-
Con quanta calma dice queste cose e distrugge la mia anima. Con che tono posato e nobile mi dice che non potrebbe mai amarmi.
 -Quella sera, quando ci siamo messi a parlare… hai detto che ero libera di stare qui o andarmene, giusto?-
 -Sì.-
 -Quindi ora me ne posso andare.-
 -Se lo desideri.-
Perché, perché mi ostino a vedere nei suoi occhi il terrore al pensiero di vedermi andare via? PERCHE’ MI ILLUDO COSI’?
 -Desidero sapere un’ultima cosa.-
 -Chiedi.-
 -Chi era Mary?-
Jared tace. Guarda ancora fuori dalla finestra prima di rispondermi.
 -Mary era tutto per me.-
 -Era?-
 -Era. Tuo padre me l’ha portata via.-
Fisso i suoi occhi, desiderando di odiarli, invece di esserne così maledettamente succube.
 -L’amore non svanisce. Mai. Nemmeno dopo dieci anni- dico.
Mi guarda negli occhi. Apre le labbra, che tremano, come se volesse dire qualcosa. I suoi occhi bruciano. Posso vedere le sue mani, pugni stretti, nelle tasche, attraverso il tessuto dei pantaloni.
Poi lo sguardo cambia. Diventa freddo e distante.
 -Non se lo lasci andare.-
 -Allora lasciami andare adesso.-
 -Non ti ho mai trattenuta, Leehanne.-
Qualcuno mi dia il potere di tornare indietro nel tempo. Tornare indietro di qualche ora e mettere in pausa sarebbe l’ideale. Ma mi andrebbe bene anche riavvolgere di diciotto anni. Evitare l’incontro tra mio padre e mia madre farebbe al caso mio.
Oppure modificare il mio dna, e cancellare ogni traccia genetica di Michael Arthur Wayne nelle mie cellule.
 
Non posso fare nulla di tutto questo, però. Giro sui tacchi, vado in camera mia, prendo la valigia ed esco.
 

Jared

 
Ti odio. Ti odio. Ti odio. Ti odio. Ti odio. Continuo a ripetermelo. Mi odio così tanto.
Sento Mary, Leehanne, che va in camera sua, prende la sua valigia e scende rumorosamente le scale.
Prendo il telefono e ordino ad un Associato di presentarsi qui con un taxi entro un minuto. Riattacco prima che l’Associato risponda.
La ragazza attraversa il corridoio e raggiunge l’ingresso. Shannon le dice qualcosa. Leehanne non risponde.
Apre la porta ed esce.
Shannon corre velocemente su per le scale.
 -CHE CAZZO HAI FATTO?-
 -Quello che avrei dovuto fare il primo giorno.-
 -Ma non puoi! Cazzo, non puoi! La prenderanno, lo sai!-
 -Qui sarebbe stata più in pericolo. Il Presidente la accoglierà e sarà al sicuro. Lo sai.- rispondo, ripetendo le sue parole.
Shannon tace, sconvolto.
 -Ma tu la ami! Non puoi lasciarla andare così!-
Sono io a tacere adesso.
Shannon ride.
 -Le hai detto che hai mentito per tutto questo tempo, giusto? Hai usato la stessa scusa con Scarlett Johanson, quando hai avuto paura di innamorarti sul serio, dicendole che sei stato con lei per la pubblicità. Peccato che lei fosse solo seccata di essere stata mollata da te. Mary no, invece. Mary. È. Distrutta.-
 -Il suo nome è Leehanne.-
Mio fratello si blocca di colpo. Oh, riconosco quello sguardo. Vedo la scena al rallentatore. Shannon stringe le labbra, alza il braccio e mi tira uno schiaffo.
Avrei potuto difendermi. Ma so di meritarmelo.
Punta il dito contro di me. -Sei un idiota, Joseph Devour. E lei ne pagherà le conseguenze.-
Lo schiaffo ha effetto.
Come in una conversazione telepatica, rivedo il Presidente che spara a Mary al cuore. Come può un uomo del genere prendersi cura di sua figlia?
Fisso Shannon per qualche secondo. Poi corro.
Un secondo dopo sono fuori dalla casa. Il taxi si è appena allontanato.
Cosa vorresti fare, adesso, mi dico. Rincorrere il taxi, fermarlo e dire a Leehanne che la ami, e che le hai detto quelle cose solo per allontanarla da te e non metterla più in pericolo?
Resto fermo e guardo il taxi allontanarsi.
Michael Arthur Wayne sarà pure un grosso figlio di puttana con l’abitudine di non morire, però non potrà voltare le spalle a sua figlia questa volta, penso.
Mi accorgo in questo momento che piove. Guardo i miei vestiti: sono tutti completamente fradici.
Sento Shannon che si avvicina. Mette un braccio attorno alle mie spalle. Non ce l’ha più con me.
 -Non le farà del male. E poi, lei adesso ti odia, probabilmente. Lei e suo padre avranno qualcosa in comune almeno.-
 -Non fa ridere.-
 -Lo so.-
 Mi trascina dentro casa.
 -Jared?-
Alzo lo sguardo.
 -Dico davvero. Non le farà del male. Sei un’idiota, ma il tuo piano per metterla in salvo funzionerà.-
Non rispondo e salgo le scale. In cima, dico: -Anticipa il volo per Calcutta a domani. Avvisa Tomo. Non possiamo rimandare oltre.-
 -Va bene.-
Cammino lungo tutto il corridoio. Entro in sala prove, chiudo la porta a chiave. Inizio ad urlare.


____________________________________________________________________________________-



Allora! Ventesimo capitolo... sconvolti? Spero di avervi lasciato abbastanza suspense e voglia di continuare a leggere la storia!
Ho aspettato fino a questo momento prima di parlarvi direttamente perché non volevo distrarvi dalla storia, ma penso che sia giunto il momento di fare qualche ringraziamento :3

Prima di tutto, ringrazio Mary Cubbins (IlaMars) per sopportarmi ogni volta che la stresso con pezzi di capitoli incompleti, lampi di genio momentanei e tante altre cose. E per leggere con attenzione i capitoli prima che io li pubblichi.
Ma soprattutto, la ringrazio per avermi fatto conoscere la spendida famiglia Echelon. Ho altri mille motivi per ringraziarla, ma non preccupatevi, non vi romperò così a lungo LOL. Comunque, grazie mille, Ila. Questa storia è nata anche grazie a te <3 

E poi, la Chià! (ItsLaylaHere) che recensisce ogni capitolo, mi fa notare i miei sbagli, mi da suggerimenti molto utili e mi carica abbastanza da continuare a dare il meglio in ogni capitolo. Chià, non immagini quanto aspetto il momento di leggere la tua recensione! Spero che continuerai a darmi le tue opinioni e a seguire le mie storie. Ti voglio bene, bbbella!

Ringrazio uno ad uno anche tutti quelli che hanno recensito: 
D95_Silvia
imafuckingmofo
zetavengeance
MartaDreamer
crystaljoy
(grazie mille per le tue risposte su Twitter!)
Maria_A
Perfect_Denial
Ronnie02
xAriel
IlaOnMars6277
Closer to the edge 
(posso ringraziarti ancora per la tua recensione? :D)

Ringrazio tutti voi che seguite la storia:
25lena25
AliceLol
almosthero
antoL490
bulletproofAliz
Closer to the edge
crystaljoy
ery_rouge
fra3
Grace kiwi
IlaOnMars6277
imafuckingmofo
joesminidanger
Lady of the sea
Manganese
Maria_A
Mars_Riot
MartaDreamer
Moon10
Ronnie02
SaraHasAMission
Smartgirl
xjustaghost
zetavengeance
_fra5_
_Phobos_
_soonMe


E voi che l'avete preferita.. merito davvero così tanto?? 
Alexa Echelon 1D
crazyJAX
D95_Silvia
Fucking Deathwish
Grace kiwi
IlaMars
marghefrommars96
NikkiFromMars
xAriel


E xbareyourheart, grazie per aver ricordato la storia! 

Mi sembrava giusto ringraziarvi uno ad uno :3 

Oookay, mi sono dilungata abbastanza. Spero davvero di continuare ad appassionarvi con la storia!
Lasciate una recensione se vi va :) 

Provehito In Altum.

Vee.

PS: meno 10... 

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Capitolo 21
*** Enemy of mine. ***


Jared

 
 -Apri questa cazzo di porta, Jared!-
Stacco lo sguardo dalle fotografie che ho in mano. Le lascio lì, per terra. Mi alzo e vado ad aprire a Shannon.
Mio fratello regge un vassoio pieno di panini con una mano, e la mia chitarra acustica con l’altra.
 -Cosa c’è?-
 -Devi mangiare. Sei un mezzo vampiro, ma non sei immortale.-
Mi scanso e lo lascio entrare. Shannon entra nell’angusto bagno della mia stanza d’albergo a Calcutta e appoggia il vassoio di fianco al lavandino.
Io mi siedo per terra, di fianco alle foto. Le guardo con la coda dell’occhio, incerto se voler continuare quella tortura.
 -Guardare le foto del compleanno di Mary non cambierà le cose, Jared.-
 -Smettila di chiamarci con i nostri falsi nomi. Lei è Leehanne, e io sono Joseph.-
Shannon alza lo sguardo dai panini ripieni di crema di tofu, mais e seitan. Mi fissa sconvolto. Non so se è per la mia richiesta, o per la mia voce atona e piatta. È da qualche giorno che, se parlo, parlo con questo tono di voce.
 -Oh, e così abbiamo deciso di rispolverare i vecchi ricordi, eh Jay? Altro che it’s time to forget about the past. Questo mi sembra più this is who I really am inside.-
 -Finally found myself- rispondo, cantando a voce bassa il continuo di The Kill.
 -Pensi di volermi chiamare Christopher, d’ora in poi?- dice Shannon sarcastico.
 -Solo se lo vuoi.-
Lui scuote la testa e si stropiccia gli occhi. Prende la mia chitarra acustica e me la mette davanti al naso.
Alzo lo sguardo, con un’espressione interrogativa.
 -Devi comporre. Solo così uscirai da questo stato.-
 -Perché invece non mi porti il mio fucile? Trovo che sarebbe molto meno doloroso…-
 -Basta, Joseph.- Dice il mio nome a denti stretti. -Sono stanco di vederti così. Mi sembra di essere tornato indietro di dieci anni… e smettila di fare quella faccia. Non posso continuare a fare finta di nulla. Il Presidente ha ucciso nostro padre e Mary ed è ancora vivo. E ora potrebbe anche far fuori Leehanne. Cosa vuoi fare? Stare chiuso qui dentro finché non ti consumerai? Oppure vuoi riprendere la battaglia?-
Shannon ha lo stesso sguardo fiero di nostro padre, quando parla di battaglie. Mi chiedo cosa sarebbe successo se Shannon fosse nato in Macedonia nel periodo di Alessandro Magno. Sarebbe diventato un grande condottiero? Avrebbe superato il grande Alessandro, in popolarità e potere? Di sicuro il suo sguardo avrebbe incantato molte persone, e le avrebbe convinte ad affrontare battaglie epiche contro nemici davvero temibili.
Il suo discorso riesce a smuovere qualcosa anche in me. Accetto la chitarra e il plettro. Faccio l’accordo di mi minore per controllare se è accordata. È perfetta.
Shannon fa un lieve sorriso, alzando il capo. Prende un panino dal vassoio e mi lascia lì da solo, in quel bagno a Calcutta, con l’uragano che si è formato dentro di me e la tempesta di pensieri, di paure e di incubi nella mia testa.
 

Leehanne

 
Fisso il soffitto della squallida stanza d’albergo che ho affittato per le ultime due notti.
Perché non sono ancora venuti a prendermi? Perché non hanno ancora tentato di uccidermi?
Non è che desidero essere uccisa da un gruppo di fanatici Illuminati. È solo che… beh, è strano che non si siano ancora fatti vivi.
 -What if I wanted to break? Laugh it all off in your face. What would you do?-
Sobbalzo al sentire la voce di Jared. Ma è solo la suoneria del mio cellulare. Guardo lo schermo: è mia madre.
Oh no, oh no, e adesso cosa le dico? Che sono ancora in Francia, che lavoro per i Leto? E se li ha già chiamati, e loro gli hanno rivelato che sono due giorni ormai che ci siamo divisi?
Che cosa stupida. Mia madre non può aver chiamato i Leto, di sicuro non ha il loro numero. Però i Leto potrebbero aver chiamato lei, per farmi tornare a casa.
 -What if I fell to the floor? Couldn’t take this anymore? What would you do, do, do?-
Ed io? Cosa farò adesso?
Lascio che il cellulare squilli. Prenderò tempo e deciderò sul da farsi. Ascolto il ritornello, agonizzando un po’ di più ad ogni parola che canta Jared, ad ogni colpo sul rullante, ad ogni accordo, ad ogni nota suonata da Matt.
Alla fine, sul “you say, you wanted more” il cellulare smette di squillare. Mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo. Il destino ha deciso che il tempo per rispondere è scaduto. Se avrò fortuna, mia madre troverà il modo per contattare i Mars. Loro inventeranno qualche bugia, e quando mi chiamerà di nuovo la farò parlare, e poi confermerò qualsiasi versione le abbiano fornito.
Sì, è la soluzione migliore.
Torno a fissare il soffitto.
Cosa devo fare adesso?
Penso agli occhi di Jared e mi viene una gran voglia di piangere. No, basta, devo fermare tutto questo. Se voglio sopravvivere, devo imparare ad odiarti.
Odiare la tua voce. Odiare il tuo sguardo.Odiare il modo in cui sorridi. Odiare la tua creatività. Odiare la tua gentilezza e la tua pazzia. Odiare il tuo accento. Odiare tutto ciò che amo di te.
Rivedo con gli occhi della mente il viso di Shannon.
Devo imparare ad odiare anche te. Tutto quello che mi faceva desiderare di averti accanto, di poter parlare con te e che mi ha fatto avvicinare subito a te, quasi fossi il mio fratello maggiore… devo odiarlo, adesso.
E poi, Tomo. Come posso odiarti? Il tuo sorriso così… non so nemmeno come descriverti. Ma so che quando sorridi ho una voglia irrefrenabile di abbracciarti. E le tue trovate geniali… il tuo modo unico di risollevare il morale a Jared e Shannon… No, basta. Devo odiare anche te, non c’è soluzione. Devo odiare il tuo modo di stare sul palco, la tua disponibilità con gli Echelon… devo odiarti e basta.
Gli occhi di Jared si manifestano un ultima volta sul soffitto, prima che io dica loro addio.
Fisso il nulla per un po’, considerando quanto mi sento vuota, nonostante stia cercando di riempire il mio cuore di odio e risentimento.
Poi un impulso irrefrenabile di lasciare quell’edificio mi assale.
Raccolgo le mie poche cose: la mia valigia, la mia borsa, il mio giubbino di pelle. Poi, prendo da sotto il cuscino la revolver che ho rubato in casa Leto poco prima di uscire e salire sul taxi che, due giorni fa, mi ha portata qui.
La ammiro per un po’. Tolgo i proiettili, ammiro la loro lucentezza (ma di cosa sono fatti? Argento? Platino?), li rimetto a posto e provo a puntarmela addosso. Fisso nella canna della pistola, considerando quanto sia cambiata la mia situazione dall’ultima volta che ho guardato una pistola da quella prospettiva.
Isn’t that much fun, staring down a loaded gun? I My Chemical Romance hanno ragione. Metto la sicura e sistemo l’arma nei jeans, dietro la schiena. Il metallo freddo mi fa rabbrividire. Sistemo bene il chiodo, in modo che la pistola non si noti.
Lo specchio riflette la mia immagine. Sembro un’altra persona. Sembro qualcuno che ha appena perso tutto, ed è disposto a fare qualsiasi cosa per sopravvivere. Ma dopo tutto, è vero. Non ho più nulla da perdere. I Leto proteggeranno mia madre. Quanto a me… saprò cavarmela. Posso stare tranquilla.
Devo fare un’ultima cosa, però, prima di andarmene.
Con la morte nel cuore, porto le mani al collo. Chiudo gli occhi e cerco la cordicella a tentoni.
Eccola.
Sento il tessuto morbido sotto le dita. Faccio passare la cordicella sopra la mia testa, apro gli occhi, e davanti a me c’è la Triad. “Il simbolo di chi combatte contro gli Illuminati. Troncare la piramide del loro potere”.
Scuoto la testa, come a far uscire dalla mia mente le parole che Jared mi aveva detto qualche sera fa per spiegarmi il significato della Triad.
Prendo la collana, tenendo il ciondolo sul palmo della mano e ammirandolo un’ultima volta.
Apro un cassetto a caso della scrivania di quella squallida stanza d’albergo. Metto la collana lì dentro, senza tante cerimonie. Chissà se un giorno potrò tornare a prenderla… No, non devo pensare queste cose. Ho detto addio ai 30 Seconds To Mars. Ho detto addio a Mary. Ho detto addio all’Associazione. Devo essere convinta fino in fondo di quello che sto facendo. Altrimenti è tutto inutile.
Prendo borsa e valigia, spengo le luci e lascio quella stanza. Alla reception non c’è nessuno. Lascio le chiavi della camera e dei soldi sul bancone, poi me ne vado.
L’aria fredda della sera colpisce il mio viso. Quel posto, poi è deserto. Prendo il cellulare per chiamare un taxi, però ho una strana sensazione. Mi guardo intorno, con cautela.
C’è una macchina parcheggiata non lontano da dove mi trovo. Strizzo gli occhi. Ci sono due uomini a bordo.
Strano luogo per una serata romantica a bordo di un auto, questo, penso.
Con calma, schiaccio punti a caso sullo schermo touch del mio telefonino. Poi lo porto all’orecchio.
 -Jared?- Fingo una voce contrita dal dolore. Non che sia così difficile, nel mio stato.
Mi blocco, in una presunta incertezza della mia voce. Il guidatore di quella macchina abbassa il finestrino.
Sono loro, penso. Il nome di Jared ha attirato la loro attenzione, e gli ha fatto fare un passo falso. Finalmente.
Tolgo il coperchio del mio cellulare. Rimuovo la batteria, estraggo la sim. La spezzo, e continuo a piegarla, finché non diventa solo un pezzetto informe di plastica. Poi lancio cellulare, batteria, coperchio e quel che rimane della sim per strada. Una macchina passa di lì qualche secondo dopo, distruggendo il tutto.
Faccio un grande sospiro. Bene, è ora di entrare in scena.
Mi avvicino lentamente all’auto sospetta. È una banalissima Golf nera. Man mano che mi avvicino, scopro dettagli in più sugli uomini a bordo: sono gli stessi che hanno inseguito il taxi che mi ha portato a quell’albergo. Riconosco le sopracciglia folte del guidatore e la bocca sottile del suo compagno.
 -Buonasera, signori- dico, una volta raggiunta l’auto.
Il guidatore alza lo sguardo, spaventato. Un secondo dopo, scendono entrambi dalla macchina.
 -Buonasera, signorina Wayne- dice l’uomo con la bocca sottile. Ha un accento strano, sembra inglese.
L’uomo con le sopracciglia folte alza una mano. Gli sta intimando di tacere.
 -Sa perché siamo qui, immagino- mi dice.
 -Certo. Quindi, perché non la smettiamo con i convenevoli e i pedinamenti, e non mi portate da mio padre?-
I due si scambiano uno sguardo sconvolto, con molta discrezione. Poi il guidatore mi porge una mano, in attesa.
 -La pistola.-
 -Anche voi ne avete una- dico, sulla difensiva.
 -Appunto. Non ci costringa ad usarla. Suo padre non lo apprezzerebbe, dopo così tanti anni senza vederla.-
Hanno il coltello dalla parte del manico.
Tolgo la pistola dai jeans, e quei due per un momento si irrigidiscono. Cosa pensano? Che potrei sparagli, così?
Gli consegno l’arma. Il guidatore sorride.
 -Sarà un piacere portarla da suo padre. È una ragazza davvero intelligente.-
 -Grazie,- gli rispondo, automaticamente, cercando di mantenere un tono di voce freddo.
 L’inglese mi si avvicina con calma. -Sarò costretto a bendarla.-
Annuisco. L’uomo estrae una fascia di stoffa scura e mi copre gli occhi, legando la stoffa dietro la testa. Poi mi guida fino alla macchina e mi aiuta a salire sul sedile posteriore.
Nel buio in cui sono immersa, mi vengono in mente le parole di Hunter. You just didn’t know me. No, io stessa, in effetti, non mi conoscevo davvero. Non avrei mai pensato di poter fare una cosa del genere: consegnarmi volontariamente a coloro che, probabilmente, mi vogliono morta.
You just didn’t know me.No, Jared, non mi conosci affatto. Ma nemmeno loro mi conoscono. Pronuncio mentalmente “loro” con lo stesso tono che usava Jared.
Basta, ti devo lasciare andare. Altrimenti è tutto vano.
Mi perdo nel buio che ho negli occhi.
Enemy of mine, I’m just a stranger in a strange land.
Jared, mio nuovo nemico, sto correndo fuori dal tempo. Ed è meglio che vada.

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Capitolo 22
*** Never coming back. ***


Jared

 
 -We’ve crossed the line… never coming back. We’ve crossed the line… but still there’s no regret.-
No, l’ultima frase deve essere tolta. Meglio ripetere “never coming back”, suona meglio.
Suono quel piccolo pezzetto di canzone un’ultima volta. Parto dall’inizio.
 -I lost, then found…- e qui canto solo le note. Devo ancora trovare la frase giusta.
 -My life, insane. Nothing I would change… We’ve crossed the line.-
Ripeto la frase quattro volte.
 -My heart, on fire.-
C’è forse un altro modo di descrivere come mi sento? Sono consumato dalle fiamme. E il mio cuore va a fuoco, proprio come la mia anima. Mi stai distruggendo, Leehanne. Abbiamo varcato il confine, ormai. Non possiamo tornare indietro. Non posso fare nulla per tornare al giorno in cui hai inserito la password in quella stramaledettissima pagina del mio blog e impedirti di scrivere la data di nascita di Alessandro Magno.
Non posso fare nulla per proteggerti. E neanche averti allontanata così bruscamente mi fa sentire che sei al sicuro... Credevo di essere io a metterti in pericolo... Ma nonostante tutto, non rimpiango di averti incontrata. Anche se mi stai distruggendo, poco a poco.
Ma devo ancora trovare il modo di inserire questo concetto tra le righe della canzone.
Un altro giro di accordi, ed eccomi al ritornello. -We’ve crossed the line… never coming back. We’ve crossed the line… never coming back.- Sì, è meglio ripetendo questa frase.
Continuo a suonare solo gli accordi. Ce n’è voluto, di tempo, prima di trovare quelli giusti.
Ma questa canzone ancora non va bene…
Poi capisco. È troppo presto per scrivere una canzone su Leehanne. Ho paura che, invece di aiutarmi, una canzone su di noi mi uccida.
Ho la tentazione di strappare il foglio su cui ho scritto parole e accordi in mille pezzi, e poi buttarlo del cestino. Ma resisto.
Chissà che non ne esca comunque una bella canzone. La farò sentire a Shannon. Magari lui penserà ad un modo di usare questo materiale per raccontare una storia diversa. Una storia che non mi faccia pensare a Leehanne.
Appoggio delicatamente la chitarra per terra e mi alzo, sgranchendo le gambe. Quanto tempo sono rimasto qui dentro?
Mi guardo allo specchio. La barba incolta, i capelli che stanno crescendo… sembro un disoccupato, asociale, che tira avanti solo perché deve.
Mi tolgo i vestiti e mi butto sotto la doccia.
Resto lì, sotto l’acqua corrente, per un po’. L’odore dello shampoo e del doccia schiuma mi portano altrove. Dimentico addirittura di trovarmi in India, mentre cerco di non pensare a chi sono, ma l’acqua bollente non riesce comunque a riscaldare il mio corpo.
Sento un rumore. La porta della mia stanza viene aperta. Chiudo subito il rubinetto, afferro un asciugamano a caso e mi copro come riesco. Prendo la pistola che ho lasciato di fianco al rubinetto, proprio accanto ai panini che mi ha portato Shannon, e cerco di muovermi facendo meno rumore possibile.
Spalanco la porta di colpo, puntando la pistola di fronte a me, e mi ritrovo davanti Shannon.
 -Ottimo,- dice lui. -Lo prendo come un “sì, ho deciso di riprendere la battaglia”. Ti servirà aiuto per riconoscere i nemici, comunque, se mi scambi per uno di loro.-
Punto immediatamente la pistola da un’altra parte.
 -Scusa, Shan…-
 -Lascia stare. Ah, vedi di renderti più presentabile, la prossima volta. Se fosse stata la cameriera, avrebbe avuto un infarto, vedendoti così, mezzo nudo.-
 -Oh, beh, sarebbe stato peggio se Shanimal si fosse presentato ad una donna con questo look. Sai com’è, Emma ti avrebbe ucciso seduta stante.-
Mio fratello si mette a ridere. Mi unisco alla sua risata.
 -Bentornato, fratellino.- Afferra un panino dal vassoio. Poi mi fa un cenno con la testa. -Non hai ancora mangiato un boccone? Vergognati, Leto! Ho girato mezza Calcutta per trovare delle cose mangiabili.-
Prendo un panino e mi affretto ad assaggiarlo. Mi accorgo solo ora di quanto abbia fame. E poi, questo panino è davvero buono.
Shannon fa per uscire dal bagno, però nota qualcosa vicino al water e lo indica.
 -Cosa sono quei fogli?-
 -Oh, nulla… solo un pezzo che ti passerò. Non riesco a cavarne qualcosa di decente, avrò bisogno del tuo aiuto- dico, mentre mastico il panino.
Si china e prende i fogli. Li legge, stringendo gli occhi.
 -Jared, è bellissima.-
 -Ma che dici…-
 -Sai, è uno dei testi più sinceri che tu abbia mai scritto. Sicuro che potrai cantarlo davanti ad un pubblico? Insomma…-
Lo interrompo. So già che sta per riferirsi a Buddha For Mary, al primo intro che avevo scritto, e che non sono mai riuscito a cantare, nemmeno davanti a Tomo e mio fratello. Nemmeno adesso riesco a cantarlo.
 -Appunto. È per questo che ho bisogno del tuo aiuto. Devo trovare una storia per quelle parole. Qualcosa che sia diverso dalla nostra vita vera. Devo trovare il modo di allontanare questo testo dalla verità.-
Shannon sospira. -Non è quello che intendevo, quando ti ho chiesto di metterti a scrivere…-
 -Tu mi hai chiesto di scrivere. Non di scrivere di Leehanne.-
 -Okay, okay, hai vinto. Troveremo qualcosa di realmente accaduto, però, per continuare a scrivere questo testo. Non possiamo mentire agli Echelon. Non l’abbiamo mai fatto, né cominceremo ora.-
Annuisco. Shannon ha pienamente ragione. Anche io sono sempre stato contrario allo scrivere testi senza una base reale. Metafore, figure retoriche… queste cose andavano bene. Ma inventarsi una storia di sana pianta, no, questo era contro i nostri ideali.
Mio fratello esce dal bagno portandosi dietro un altro panino. Io finisco il mio, poi mi do una sistemata. Mi faccio la barba, lavo i denti… quando sono pronto, esco dal bagno e comincio a tirare fuori dei vestiti puliti dalla valigia.
Il mio cellulare squilla. La suoneria “We Are Mars” riempie la stanza.
 -Rispondi tu, per favore- dico a Shannon.
Lui annuisce e afferra il BlackBerry.
 -Sì? No, sono Shannon… certo, dimmi.- Piccola pausa. -Perfetto. Ascolta, per la guida? No, non ci serve l’interprete. Solo una guida… va bene. Grazie mille, Nick.-
Altra pausa. Shannon aggrotta le sopracciglia.
 -Chiedo a Tomo, un secondo.- Mi fa un cenno ed esce dalla stanza.
Finisco di asciugare il mio corpo ancora bagnato e poi mi vesto.
Mezz’ora dopo io, Shannon e Tomo siamo fuori dal nostro hotel a cinque stelle, situato al centro di Calcutta.
Il nostro taxi è appena arrivato. Un uomo magro, sorridente e iperagitato scende dal mezzo e ci invita a salire, gesticolando a più non posso. Il tempo di avvicinarci al suo taxi un po’ malandato, e altri tre tassisti ci vengono incontro, chiedendoci di scegliere loro, urlando prezzi sempre più bassi.
Li congediamo velocemente e saliamo sul nostro taxi.
 -Buonasera! Tutto bene? Partiamo?- dice l’uomo, con un accento pesantissimo. 
 -Certo, partiamo.-
L’uomo sa già la destinazione, essendo anche lui un Associato. Per un secondo penso a mio padre, a quanto si sia impegnato per l’Associazione, e sono profondamente grato a lui se adesso possiamo contare su fratelli e sorelle in ogni angolo del mondo.
Il taxi procede veloce sulle strade indiane. Passano tre ore e siamo ancora su quel taxi. Il paesaggio nel frattempo cambia più volte: prima la città, poi i villaggi poveri della periferia di Calcutta, infine la campagna cede ai paesaggi montuosi.
Dopo ore e ore di viaggio, in cui mi sembra di essere finito su un altro pianeta (siamo ancora in India? Abbiamo varcato il confine?) il taxi si ferma.
 -Da adesso, a piedi!- ci dice il tassista. -Che la fortuna vi assista!-
 -Grazie mille, amico.- Gli stringo la mano. Gli occhi dell’uomo luccicano a quel contatto. -Tu non ci accompagni?-
 -No, è vietato. Brahmini, non parlano con noi- tenta di spiegare con il suo inglese scolastico.
Che si riferisca alla guida che ci ha assegnato Nick? Un Brahmino ha accettato di farci da guida? L’uomo torna al suo taxi prima che io possa fargli altre domande.
Ci incamminiamo. Il paesaggio è montuoso: sembra di essere sperduti in una qualche remota regione montuosa del paese… Ma quanti chilometri abbiamo percorso? Non ne avevo tenuto conto.
Il sentiero che stiamo seguendo ci porta, piano piano, sempre più in alto. Camminiamo, finché la salita non diventa ripida. Verso la fine, diventa una scalata. Basterebbe un passo falso, solo uno, per cadere. E se cade uno, cadiamo tutti. Ci incoraggiamo l’un l’altro, e insieme superiamo il freddo e la fatica.
Arriviamo in cima. La vegetazione è estinta, a questa altura. La neve ricopre questi monti, regalandoci l’impressione di trovarci sulla luna. E il paesaggio è straordinario.
Valli color smeraldo, boschi, si susseguono, cangianti, e riflettono tutti i toni del verde, fino a perdersi nella distanza e diventare prima blu, poi azzurri, e svanire nel grigio. Il cielo sopra le nostre teste sembra quasi liquido. Le nuvole non sono mai state tanto basse. Shannon alza il braccio verso l’alto. Il primo glyphic, il Trenta, Mercurio, sembra quasi nuotare in quel mare di nuvole. Salta e tocca il cielo, fratello.
E il sole… la sua luminosità è accecante. La nostra stella brilla nel cielo, bruciante, e la neve riflette la sua potenza. Fuoco e ghiaccio, uniti, per creare questo magnifico spettacolo.
Tomo ride estasiato, dopo la fatica della scalata. Urla la sua felicità al mondo: e il mondo è lì, sotto di noi, pronto ad ascoltarci e a rispondere al suo grido di battaglia, alla sua chiamata alle armi. Pronto a ribellarsi e a scegliere la propria sorte.
Senza rendermene conto, comincio a cantare. A voce bassa, piano.
 -Unity divides. Division will unite. Everybody run now, everybody run now, everybody run now…-
 -Everybody run!- cantano Shannon e Tomo, assieme a me.
E Marte sembra risplendere attraverso le nuvole… Sulla nostra pelle, sui nostri abiti pesanti, sulla neve, e scintilla assieme al sole bruciante.
 -Under the burning sun, I’ll take a look around. Imagine if this all came down. I’m waiting for the day to come…-
Ci guardiamo. Sui nostri volti vedo la stessa determinazione che avevamo dieci anni fa, quando andammo a vendicare la morte di nostro padre e a recuperare l’Elisir.
Ed è con quella espressione che accogliamo all’arrivo della nostra guida, un monaco buddhista, vestito della tipica tunica arancione.
Ci saluta, composto, e con un cenno silenzioso, ci guida in quel paesaggio alieno, eppure così vicino alle nostre anime.
Lo seguiamo, ciecamente. Ci perdiamo ad ammirare il paesaggio, ancora, finché non siamo ubriachi di quel paradiso. Eppure, Leehanne continua ad essere presente nei miei pensieri. Nemmeno questo universo di colori riesce a distrarmi da lei.
Shannon e Tomo se ne accorgono. E allora Tomo passa un braccio sopra le mie spalle, abbracciandomi. Shannon si avvicina a noi. La guida procede, silenziosa e decisa allo stesso tempo. Si allontana un poco da noi. Recuperiamo il distacco, e camminiamo per ore. Su, giù, e così per tutto il tempo, per quelle montagne straniere.
Finché, eccola. La nostra meta.
Osserviamo commossi il sito archeologico. La guida ci ha condotti alla tomba in cui giace l’uomo che sognò un’umanità unita, un grande regno che avrebbe compreso Europa e Asia. L’uomo che sognò il confine estremo del mondo, che emulò la grandezza di Achille.
Davanti ai nostri occhi si estende il sito archeologico che comprende la tomba di Alessandro Magno.
 

Leehanne

 
La macchina si ferma. Le gambe, le braccia, la schiena… tutto mi fa male. Sono stata seduta qui dentro per troppo tempo.
Ma finalmente siamo arrivati.Uno dei due uomini mi sbenda. La luce mi acceca, e gli occhi protestano.
Intorno a noi ci sono tanti edifici. Una strada trafficatissima, marciapiedi invasi da pedoni incuranti del prossimo.
Mi spingono gentilmente e mi fanno scendere.
Capisco subito dove sono, anche se non ci sono mai stata, perché ho già visto quel luogo in una fotografia.
E infatti, uno sguardo alla facciata dell’edificio di fronte a me conferma la mia tesi.
“157 MADISON AVENUE”
Rivedo la foto di mio padre con gli occhi della mente. Qualcuno starà fotografando anche me in questo momento, mentre mi trovo a New York per incontrare mio padre?
Sì, di sicuro, qualcuno mi sta fotografando. Che sia qualcuno dell’Associazione, o qualcuno degli Illuminati, non cambia nulla. Io sto recitando per tutti.
Cerco di trasformare l’odio che ho sempre provato per quell’uomo che aveva abbandonato me e mia madre, in odio verso i 30 Seconds To Mars e la loro Associazione. Tra pochi minuti, entrerò nel loro “tempio”, mi daranno il benvenuto. Oppure, mi consegneranno al boia. L’esito dipende solo da me, e dalla mia abilità nel recitare.
Mentre i due uomini mi scortano all’interno dell’edificio, dico addio alle ultime due cose che ho trattenuto.
Dico addio a Leehanne, la ragazza che si è lasciata attrarre su Marte, la ragazza che ha sempre lottato per essere qualcuno di migliore, ma che alla fine finiva per ripetere sempre gli stessi errori.
Dico addio a Mary, non la ragazza che Jared ha amato, ma la Mary che sono stata. La ringrazio per essere stata un’ottima fuga da me stessa, ma le dico addio, perché non posso permettermi di essere lei. Non sono mai stata veramente la Mary giusta, nemmeno quando lo stesso Jared me ne aveva dato il permesso.
Così, entro in quell’edificio, senza un nome, senza identità, senza amore, senza una storia. Solo con un grande, grande odio nel cuore.

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Capitolo 23
*** I am the one you cannot see. ***


Leehanne

 
Lascio che mi guidino attraverso tutti i corridoi e le scalinate di questo palazzo. Sembra quasi infinito. Alla fine, arriviamo alla nostra meta.
Aprono una porta in legno intarsiato e mi fanno strada.
C’è una scrivania in legno color ebano. Una sedia, leggermente spostata, come a dare il benvenuto al visitatore, posta davanti alla scrivania.
Mi scortano fino a quella sedia, tenendomi una mano sopra le spalle. Delicatamente, mi spingono a sedermi.
Non oppongo resistenza.
Una volta che sono seduta, se ne vanno, lasciandomi sola.
Cerco di respirare lentamente. Tengo a mente il piano. Posso farcela.
La porta dietro di me cigola.
Non mi volto. Trasformo il mio viso in una maschera e aspetto che il mio interlocutore prenda posto alla scrivania.
Passi lievi, calcolati. Chi deve affermare la propria personalità cammina facendo più rumore possibile. Chi deve sentirsi vivo, colpisce il suolo con forza, come a sottolineare con ogni passo la propria esistenza. La sua camminata, invece, è di qualcuno che conosce i propri passi e il suolo su cui sta camminando a memoria. E non ha nemmeno bisogno di far sapere agli altri che è vivo.
Lo sento mentre si siede di fronte a me.
Non riesco più a tenere a freno la curiosità, alzo lo sguardo. Incontro gli occhi grigi di mio padre.
 -Leehanne… come sei cresciuta.-
Mi sorride. Gli sorrido anche io.
 -E così… sai la verità su tuo padre… Deve essere stato uno shock per te.-
 -Lo è stato. Ti ho creduto morto per tutto questo tempo…-
Stringe le labbra, come ad indicare il suo rammarico.
 -Anche per me è stato uno shock… sapere che eri con Devour, intendo. Pensavo che fingere la mia morte sarebbe bastato a proteggervi. Mi sono sbagliato.-
Ha un tono di voce posatissimo. Parla della sua recita come se mi stesse raccontando del tempo atmosferico.
Esamino il suo viso, cercando tutte le somiglianze con me.
Il taglio degli occhi, forse… ma lo sguardo no. È diverso. Il colore degli occhi è diverso, pure. I miei occhi sono azzurri, i suoi sono più grigi. I suoi capelli sono chiari, biondi, proprio nei miei ricordi di infanzia, tendenti ad arricciarsi, ma non ricci. Indecisi, ecco, come i miei.
 -Ad ogni modo,- comincia, distogliendomi dai miei pensieri. -Come mai sei venuta qui, senza neanche opporre resistenza? Pensavo che Devour ti avesse fatto il lavaggio del cervello…-
Sospende la frase in modo teatrale.
 -Sono qui perché mi ha mentito. Mi ha ingannata. E ora lo voglio… morto.-
Faccio passare la mia incertezza per decisione.
Michael strabuzza gli occhi.
 -Ma dai… lo vuoi morto?-
Si avvicina, sporgendosi sulla scrivania.
 -Hai mai ucciso qualcuno, Leehanne?-
Scuoto la testa, come per negare.
 -Io sì, invece. E ho anche provato ad ammazzare me stesso… e penso di esserci riuscito, visto che tutti mi hanno creduto morto finché non ho voluto uscire allo scoperto. E lo sai perché sono tornato?-
Nego ancora.
 -Esattamente per lo stesso motivo per cui tu sei qui, ora. Lo voglio morto, Leehanne. Voglio morto lui, suo fratello, il loro amichetto croato. Voglio morto anche quel bastardo di Nicholas. E voglio morte tutte le persone a cui loro tengono. Tranne te, ovviamente, mia cara.-
 -Non c’è pericolo.- Alzo la testa. -Non tengono a me più di quanto non tengano a te.-
Michael sorride. Sorrido con lui.
 -Ottima battuta, mia cara.- Si appoggia con la schiena alla sedia. Mi fissa per qualche secondo. Scuote la testa.
 -Sai, è un peccato che ci abbiano separati per così tanto tempo. Non avrei voluto allontanarmi da te e da tua madre… ma ho dovuto. Puoi capirmi, no?-
 -Sì, certo…-
Sorride, soddisfatto. -Sono felice che tu non ce l’abbia con me. Dobbiamo essere uniti se vogliamo annientarli.-
 -Hai già in mente qualcosa?-
 -Certo, mia cara. E tra poco ti rivelerò tutto… Ma tu sei davvero decisa ad entrare in Guerra?-
Il suo sguardo è di acciaio. Non mi sta guardando come guarderebbe sua figlia, mi guarda come una potenziale nemica, o una preziosa alleata.
 -Lo sono.-
Sono già entrata in Guerra tempo fa…
 -Benissimo, Leehanne…-
Si blocca.
 -Non mi è mai piaciuto molto quel nome- aggiunge, con un tono scherzoso.
 -Allora, trovamene un altro- propongo.
Michael mi osserva per qualche secondo.
 -Ti chiamerò Alexandra. Il nostro Efestione ne sarà felice… che ne pensi?-
Si mette a ridere. Rido con lui. Sempre ridendo, lui prende il suo telefono e compone un numero.
Poi, lo lascia sulla scrivania, spingendolo verso di me.
 -Bene, Alexandra. Sei in Guerra contro i Devour, adesso. Noi contro l’Associazione. Perché non mi dimostri che sei dalla mia parte?-
Nascondo con tutta me stessa la repulsione che provo.
Tento un’espressione glaciale.
 -Cosa devo fare?-
Lui indica il suo cellulare con un cenno della testa.
 -Chiama quel numero, e dì soltanto: “attaccate”.-
 -E cosa succederà?-
 -Oh, semplice. I nostri uomini attaccheranno i due Devour e Milicevic. Abbiamo un’alta percentuale di successo. Ma dipende da quanto tempo ci metti a chiamare quel numero…-
Lo fisso negli occhi per un secondo. Non ho idea di cosa stia pensando.
Prendo il cellulare e faccio partire la chiamata.
 

Jared

 
La nostra guida silenziosa ci porta fino all’entrata della tomba. Noi intanto tiriamo fuori le armi.
Ma la nostra guida si gira e ci blocca con un gesto.
 -Niente armi all’interno della tomba del Grande- dice, con un inglese perfetto.
Scambio un’occhiata con gli altri. Shannon mi fa un cenno. Rimettiamo le armi a posto.
La guida arriccia le labbra.
 -Non abbiamo intenzione di entrare disarmati. Ci limiteremo a tenere le armi a posto- dico, con un tono inflessibile.
La guida alza la testa, come se si sentisse superiore, e volesse cercare aria nuova più in alto, invece che respirare la nostra stessa aria.
 -Fate silenzio. Entrate con rispetto- ci intima. Poi entra.
Lo seguiamo.
La tomba è buia, ma i nostri occhi si abituano al buio con facilità. La nostra guida non sembra uno di noi, ma forse si muove con così tanta sicurezza perché conosce la tomba e tutti i suoi corridoi a memoria.
Ci guida per una scalinata in discesa, polverosa e anche piuttosto ripida. Dopo un po’, raggiungiamo una porta in pietra.
 -Non potreste passare di qui.-
 -Nostro padre l’ha fatto dieci anni fa. E anche molti secoli prima. Non vedo perché ora noi non possiamo- dice Shannon.
 -Ho detto che non potreste passare di qui- ripete la guida. -Ma il vostro intento è nobile, come lo era quello di vostro padre. E io lo condivido. Non perdete voi stessi, lì dentro.-
Si scansa, lasciandoci lo spazio per passare.
Insieme, io, Tomo e Shannon spostiamo la pietra fino ad avere spazio a sufficienza per entrare.
Entriamo nel luogo di riposo di Alessandro il Grande. Il grande sarcofago riluce al lieve riverbero della luce esterna, che filtra attraverso la porta e fa risaltare tanti minuscoli granelli di polvere.
Fissiamo il suo sarcofago senza sapere come comportarci. Cerchiamo di fare meno rumore possibile, temendo quasi di svegliare il grande sovrano, come se lì dentro Alessandro stesse soltanto riposando.
Ci inginocchiamo di fronte al lato nord del sarcofago. Dei bassorilievi mostrano la grande battaglia contro Dario, il Gran Re, la battaglia che venne vinta da Alessandro Magno, e che costrinse Dario alla fuga.
Piccoli, minuscoli, quasi invisibili, ecco i quattro simboli che cerchiamo. Un triangolo rivolto verso il basso, vuoto, a fianco un altro triangolo, però questo è rivolto verso l’alto, ed è tagliato a metà da una linea orizzontale. La nostra Triad… Subito sotto a questi due simboli, ci sono altri due triangoli. Un triangolo rivolto verso l’alto e un triangolo rivolto verso il basso tagliato in due orizzontalmente.
Sono talmente piccoli che si sarebbero persi in quel bassorilievo. Ma noi sapevamo dove cercare.
Qui è dove nostro padre aveva trovato la Pietra. Le sue ricerche l’avevano infatti portato a pensare che, lungo l’interminabile viaggio verso Oriente, Alessandro avesse incontrato una tribù di nomadi particolarmente interessati agli astri e all’alchimia. Aveva scoperto che gli uomini e le donne di quella tribù, che Alessandro chiamò “Alchemi”, per l’antico nome tribale della piccola regione desertica in cui li aveva incontrati, l’Alchèmia, avevano una conoscenza fuori dal tempo in quanto a medicina, ad astrologia, e ad una scienza misteriosa che loro stessi avevano inventato.
Questa scienza non aveva nemmeno un nome, prima di Alessandro. E così, il Grande diede un nome pure ai loro studi dagli effetti miracolosi, chiamando questa scienza così simile alla magia “Alchimia”.
Si interessò ai loro studi, e gli Alchemi gli rivelarono i quattro elementi fondamentali per cui la vita può continuare: la Terra, la madre, l’Aria, il soffio vitale, il Fuoco, forza purificatrice, e l’Acqua, che sta alla base della vita stessa. Ma non gli rivelarono solo questo: gli rivelarono anche di uno studio che avrebbe portato, se avesse avuto successo, ad una bevanda che avrebbe garantito la vita eterna in questo mondo. Ma gli ingredienti di cui disponevano erano troppo pochi per poter formulare quell’elisir.
Alessandro ne fu strabiliato, e si convinse che l’unico modo di trovare quegli ingredienti era di continuare a spostarsi verso Oriente. Purtroppo, non riuscì nel suo intento, poiché l’esercito e tutti i membri della corte erano stanchi di quella vita spartana e di stenti. Lo obbligarono a tornare indietro, verso la Macedonia, la loro patria.
Alessandro lasciò gli Alchemi con la promessa che gli facessero avere la formula di quell’Elisir, una volta pronto. Sognava, oltre che una vita eterna per sé e per Efestione, l’unica persona di cui poteva fidarsi, che tutti i suoi sudditi potessero avere una vita lunga e prospera.
Ma la malattia aveva colto Efestione prima del tempo. Efestione morì prima che la formula venisse scoperta, e questo gettò Alessandro nella disperazione più assoluta. Sconfitto anche dalla perdita dell’erede, che la Regina aveva perso prima che nascesse, Alessandro non volle più saperne di quell’elisir miracoloso. Chiese agli Alchemi di custodire quel segreto, affinché la formula non finisse in mani sbagliate.
La perdita di tutto quello che aveva di più caro lo indebolì, e Alessandro morì senza nemmeno designare il suo erede.
La salma di Alessandro fu contesa da più parti. I Macedoni e i Babilonesi, per primi, volevano Alessandro.
Gli Alchemi, però, riuscirono ad ingannarli. Portarono la salma di Alessandro in un luogo isolato, ai confini con l’India, e costruirono una tomba segreta per lui. Lo seppellirono assieme alla formula dell’Elisir, che nascosero in una pietra del sarcofago, come a voler mantenere la promessa che avevano fatto al grande sovrano mentre era in vita.
Ricordo questa leggenda, che mi aveva raccontato mio padre, mentre fisso i quattro simboli alchemici. Terra, Aria, Fuoco e Acqua. Mi immagino mio padre, secoli prima della nostra nascita, che prende la Pietra e comincia a studiarla. Fabbrica una bevanda capace di rallentare l’invecchiamento. Ma capisce che non è il vero Elisir. Compie altri studi, e una volta trovato quello che sembra l’Elisir vero e proprio, teme di aver sbagliato ad aver tolto la Pietra dal luogo in cui era nascosta e torna, per rimetterla al suo posto.
Ed ora noi siamo qui, per riprendere la Pietra prima che la prendano gli Illuminati.Il fatto che il Presidente non sia morto, dieci anni fa, vuol dire soltanto che i loro studi in alchimia li hanno portati molto vicini ad avere l’Elisir. E se sono così potenti, ora vorranno la vera Pietra per sé.
 -Jared, manca poco al tramonto- dice Tomo.
Annuisco.
Conto i secondi. 3… 2… 1…
Premo quei simboli nel momento esatto in cui so che il Sole ha appena toccato la linea dell’orizzonte.
Un tassello del bassorilievo scatta. Estraggo con delicatezza quella pietra, e controllo che al suo interno ci sia un piccolo foglio di papiro arrotolato.
 -Ci siamo.-
Senza dire altro, rivolgiamo un ultimo sguardo al sarcofago di Alessandro. Poi usciamo nella luce dorata del tramonto.
 

Leehanne

 
Porto il telefono all’orecchio.
Temo che la mia voce possa andarsene. No, devo dirlo. Devo farlo.
Sento un solo squillo. Poi una voce dice “sì?”
Stringo i denti.
 -Attaccate.-

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Capitolo 24
*** Attack. ***


Jared

 
Varchiamo l’uscita della tomba di Alessandro, quando una brutta sensazione mi blocca. Sento un rumore strano. Sia Tomo che Shannon devono aver sentito la stessa cosa, perché li sento irrigidirsi.
Fisso dritto davanti a me, mentre cerco di capire e di ascoltare tutto quello che accade intorno a noi.
E poi, con una sintonia acquisita in secoli, io e Shannon tiriamo fuori le armi, ci mettiamo uno contro le spalle dell’altro e cominciamo a sparare alle decine di soldati degli Illuminati che stanno uscendo in quel momento dagli altri edifici in rovina.
Vedo Tomo guadagnarsi una postazione meno esposta e aprirci la strada con i proiettili, proteggendosi dietro un pezzo di muro.
Un proiettile mi passa così vicino all’orecchio che dal timore il mio cuore perde un battito. L’ho visto bene. Era un proiettile di platino.
 -Shannon!- urlo. Mio fratello capisce. Il pericolo è troppo alto.
Mentre Tomo continua ad uccidere soldati, io e Shannon troviamo riparo in un edificio a due piani, con le pareti scrostate e in gran parte crollate. Riprendiamo fiato. Tomo ci raggiunge subito dopo.
 -Sono troppi! Sono troppi, cazzo!- sbraita Tomo. -Che diamine facciamo?-
Rimaniamo per qualche secondo a guardarci negli occhi.
 -Procedura di attacco- dice Shannon, infine.
 -Cosa?- esclamo.
 -Mi hai sentito, Jared. Procedura di attacco. Nessuno di quei soldati là fuori è un mezzo vampiro…-
 -Hanno proiettili al platino, dannazione!- lo interrompo. -E poi, che ne sai? Il Presidente non è morto, e sai bene che solo un vampiro poteva sopravvivere all’esplosione di dieci anni fa. Questo significa che il Presidente ha assunto una specie di Elisir…-
 -Dieci anni fa, Jared. Non adesso. Andiamo. Credi davvero che sprecherebbero tutto quell’Elisir, se davvero ce l’hanno, per darlo a dei soldati? A delle insulse pedine nella loro partita?-
Capisco dove mio fratello vuole arrivare. Siamo tre mezzi vampiri, vulnerabili al platino, è vero, ma siamo comunque più forti, veloci e precisi di tutti quei soldati che, per forza di cose, sono umani.
 -Procedura di attacco- confermo. Tomo annuisce.
Ricarichiamo le armi. Io esco dall’edificio in direzione sud. Shannon procede verso est. Tomo invece va verso ovest.
Mi riparo sul bordo dell’entrata, prima di uscire effettivamente. Intanto valuto ancora la situazione.
Non ci stanno attaccando. Gli sporadici spari che sento sono quelli di Shannon e Tomo che fanno fuori altri soldati.
Avrebbero potuto fare qualcosa mentre ci stavamo ancora consultando. Mi sarei aspettato che sfruttassero quel momento di debolezza… abbiamo dovuto rischiare, per poter decidere cosa fare. Noi non avevamo alternativa, mentre loro potevano trarne vantaggio. Invece non hanno fatto nulla…
Capisco che chi gli ha ordinato di attaccare sperava che cadessimo nei primi secondi dopo l’attacco. E adesso che lo abbiamo smentito non sa più cosa fare.
Ma il Presidente, perché sicuramente è stato lui ad organizzare l’attacco, si lascerebbe trarre in inganno così facilmente?
Mi affaccio. Un colpo alla testa per un soldato che, ingenuamente, si era alzato in piedi, restando esposto con il busto. Un altro colpo al torace, e atterro un soldato che stava correndo verso il nostro edificio.
La guida potrebbe averci traditi? No, è escluso. Non accetterebbe mai la profanazione della tomba di Alessandro da parte di decine di soldati…
Torno al riparo.
Shannon e Tomo adesso saranno ai lati dei soldati. Si stanno muovendo silenziosamente tra le rovine di questo sito estesissimo, mietono soldati che non li hanno nemmeno sentiti. Disegnano un cerchio attorno al loro esercito, e presto saranno alle loro spalle. A quel punto, attaccherò io.
Altri soldati cercano di spararmi. Tre colpi precisi, e altrettanti soldati cadono.
Ricarico la mia arma, proteggendomi dietro al muro.
Prendo fiato. Sento qualche sparo. Prego con tutto il cuore che nessuno colpisca Tomo o Shannon.
Un pensiero mi toglie il fiato.
Potrebbe essere una trappola? Noi pensiamo di averli quasi accerchiati, ma magari da un momento all’altro potrebbero far cadere una bomba su tutti noi…
Scaccio questo pensiero.
Non distruggerebbero mai la Pietra. E finché la Pietra è con noi, forse abbiamo una speranza.
Il cellulare comincia a vibrare. È il mio segnale.
Esco allo scoperto, sparando a quanti più soldati possibile.
Sono più veloce di loro. Non riescono nemmeno a mirarmi, che già li ho uccisi con colpi precisi.
Mi faccio strada così. Cerco occasionale riparo, mi affaccio, uccido, esco allo scoperto e ricomincio a correre. Torno al riparo, ricarico, osservo i nemici. Poi mi alzo e gli sparo.
Shannon e Tomo stanno facendo lo stesso. Li sento mentre sparano. Sento che i soldati rispondono al fuoco, ma non è abbastanza.
E se fosse solo un avvertimento? Se non volessero davvero ucciderci?
Ma quale comandante sano di mente manderebbe a morire così tante persone per avvertire tre delle persone che odia di più al mondo?
Siamo quasi al centro. I soldati si urlano a vicenda di non abbandonare le posizioni. Ma è troppo tardi.
Alcuni hanno già cominciato a scappare.
Sono talmente presi dai loro problemi interni che non mi hanno sentito mentre sono arrivato al sergente che ha il comando della spedizione contro di noi.
Lo afferro da dietro, per il collo, e gli punto la pistola alla gola.
Mio fratello e Tomo escono allo scoperto proprio in quel momento, puntando le loro armi contro i pochissimi sopravvissuti.
 -Abbassate le armi. Subito- gli intimo.
I soldati e il sergente obbediscono. Sono scioccati. Abbiamo sbaragliato le loro difese in pochissimi minuti. Tre contro almeno cinquanta soldati. Il sergente ha gli occhi fuori dalle orbite.
 -Chi ti ha ordinato di attaccarci?- gli chiedo.
Non dice nulla.
Spingo la pistola più a fondo della sua gola. Gli parlo direttamente nell’orecchio.
 -Ti conviene parlare subito. E sarà meglio che tu dica la verità- sussurro.
Il sergente trema.
 -Una… ragazza. Lei ha ordinato di attaccare.-
Dalla sorpresa quasi lascio andare il mio prigioniero. Si dimena, sperando di liberarsi. Shannon gli punta la pistola addosso, e io rinsaldo la presa. Afferro il suo braccio e glielo storto contro la schiena.
 -Ho detto che devi dire la verità.-
L’uomo urla dal dolore.
 -Era una ragazza! Lo giuro!-
Gli altri soldati annuiscono, spaventati.
 -Come si chiama?-
 -Non lo so!-
 -COME SI CHIAMA?-
 -NON LO SO! NON LO SO!- ripete, urlando più forte.
Il sergente ha preso a piangere. -Te lo giuro, non lo so.-
Incontro lo sguardo di Shannon. L’uomo ha detto la verità. Ma ora dobbiamo decidere se ammazzarli o lasciarli fuggire.
A Tomo non chiederei nemmeno: lui li lascerebbe sempre fuggire. Ma noto che la sua giacca è come strappata, sulla spalla. Osservo meglio e vedo il sangue, poi capisco. Un proiettile l’ha preso di striscio. Forse non sarebbe clemente, oggi.
Vedo il dubbio negli occhi di Shannon. Non sappiamo cosa fare.
Provo a lasciarelentamente la presa sul sergente.
L’uomo si butta a terra, piangendo.
Il tempo di un sospiro, e l’uomo recupera la sua arma e la punta contro Shannon.
Contemporaneamente, io sparo al sergente, Tomo uccide i due soldati che stava puntando e Shannon fa fuoco su un soldato vicino a me.
Gli ultimi nemici sopravvissuti sono morti. Ci mettiamo in ascolto, per sentire se ci sono altre persone. Ma non c’è più anima viva in quel sito.
Il cellulare ha ripreso a vibrare. Controllo lo schermo, mentre ho la morte nel cuore.
Una foto di Leehanne in Madison Avenue mi toglie il fiato.
E’ di spalle. Riconosco i suoi capelli castani e lievemente mossi, la sua giacca di pelle.
Arriva un’altra foto. Qui la si vede in faccia. Non è spaventata. È determinata, pericolosa e quasi sorridente.
Due uomini la stanno scortando nell’edificio, senza nemmeno toccarla o minacciarla con un’arma. Cammina di sua spontanea volontà verso la sede degli Illuminati.
Shannon si sporge sopra la mia spalla per vedere il display.
 -LEEHANNE?-
Mi ruba il BlackBerry di mano per poter vedere meglio. Controlla le foto assieme a Tomo. Il cellulare riprende a vibrare, segnalando una chiamata in arrivo.
Io fisso il vuoto, incapace di respirare.
Non ho bisogno nemmeno che Shannon risponda alla chiamata entrante di Nick e che mi riferisca quello che il vampiro gli ha appena detto. L’ho capito subito, non appena ho visto quelle foto.
Leehanne è passata dalla parte degli Illuminati e ha ordinato la nostra morte.
 
Il tradimento di Leehanne continua a bruciare come una ferita ancora aperta per giorni e giorni. Ma non posso permettermi di affondare a causa sua, ora. Dobbiamo decifrare la Pietra e trovare il vero Elisir.
Così, torniamo al nostro quartier generale in Tennessee appena possiamo.
Una volta a casa, mi concentro anima e corpo negli studi lasciati a metà da mio padre.
La Pietra non fu scritta in greco, purtroppo. Gli Alchemi scrissero la formula nei loro strani geroglifici, attualmente intraducibili.
Per giorni rimango chiuso in biblioteca a studiare, ma non trovo nulla. E quando non trovo nulla, divento così irascibile che pianto lì tutto e corro in palestra a sfogare la mia rabbia contro il sacco da boxe.
Continuo a vivere in questo stato. Divento paranoico e insopportabile. Quando Shannon torna a casa, allegro perché ha passato del tempo con Emma, finisco per aggredirlo ad ogni cosa che dice. Allora lui prende un grande respiro e lascia la stanza, il più delle volte per andare a suonare.
Quando Tomo viene qui, mi fa qualche domanda sui progressi riguardo l’Elisir. Ma finisco per rispondere male anche a lui. Così ha preso l’abitudine di parlarmi poco e di restare più che altro con Shannon.
Non dormo, di notte. La sera, bevo un bicchiere d’acqua, annuncio a mio fratello che vado a dormire, se è in casa, e poi mi chiudo a chiave in camera.
Rimango per ore steso a pancia in su, con gli occhi aperti, perché se li chiudo vedo Leehanne che entra nell’edificio di Madison Avenue, prende il cellulare di suo padre e con un sorriso pericoloso, ordina al sergente di attaccarci.
Mi odia davvero così tanto? A volte me lo chiedo, quando sono le tre di notte passate e non sono ancora sopraffatto da sonno e dall’oblio.
Un giorno però questa monotonia viene spezzata.
La prima parte della giornata trascorre identica al giorno precedente. Mi sveglio, mi do una sistemata, mi chiudo in biblioteca, faccio qualche minimo progresso, che comunque non mi porta da nessuna parte, esco dalla biblioteca, vado in cucina, mangio qualcosa, torno in biblioteca.
Per ore non trovo nulla. Ritorno ad esaminare gli scaffali della vasta biblioteca.
Tiro fuori un libro sull’arte persiana. E cade un piccolo libricino rilegato in cuoio.
Lo riconosco immediatamente. È il taccuino su cui nostro padre ha scritto gran parte dei suoi progressi negli studi alchemici.
Lo raccolgo e comincio a sfogliarlo, con il cuore che batte a mille. Trovo appunti preziosissimi sui geroglifici alchemi, e dettagli sulla preparazione dell’Elisir di cui mi aveva parlato solo qualche volta, secoli fa.
Corro fuori dalla biblioteca con Pietra e taccuino in mano.
 -Shannon! SHANNON!-
Non mi sente. È chiuso in sala prove.
Colpisco la porta a ripetizione finché non si accorge di me, e mi osserva oltre il vetro insonorizzato della porta, con espressione stranita. La sua faccia, combinata alle cuffie che sta indossando, è davvero comica. O forse sono io che sono talmente entusiasta per la scoperta che trovo ogni cosa particolarmente divertente.
 Mio fratello lascia giù cuffie e bacchette ed esce dalla sala prove.
 -Che hai?-
 -GUARDA!- urlo.
Lui prende in mano il taccuino, dubbioso, e lo sfoglia a caso.
 -Sono i simboli riportati sulla Pietra…- dice. -Aspetta. Questa è la scrittura di nostro padre!-
Annuisco, entusiasta. Lo abbraccio.
 -Ci siamo, Shan! Sappiamo come decifrare la Pietra!-
Lui risponde al mio abbraccio, ridendo.
Ci dirigiamo verso la biblioteca, attraversando il corridoio dell’ingresso.
E sentiamo tre colpi fortissimi alla porta.
Ci blocchiamo davanti alla porta.
Lascio in mano a Shannon taccuino e Pietra e apro la porta. Prima però, prendo la pistola che ho nascosto sottola maglia. Dall’ultimo attacco, giro per casa costantemente armato.
Spalanco la porta. Non c’è nessuno.
Abbasso lo sguardo.
Con un nauseante senso di déjà-vu, vedo delle foto sul tappetino.
Mi abbasso, le prendo, e mentre mi rialzo le guardo.
Io che dormo. Io che busso contro la porta della sala prove. Shannon che sfoglia il taccuino di nostro padre. Io che abbraccio mio fratello.
Un’ultima foto. Sfondo bianco, una scritta nera. La riconosco immediatamente. È una parte del testo di Attack. La scrittura è mia.
Run away, run away, I’ll attack.
Sto guardando una fotografia del testo di Attack che io stesso ho scritto sul muro del soggiorno.
Mi si accappona la pelle.
Sentiamo il rumore di un elicottero.
Afferro mio fratello e lo trascino in garage. Prendiamo una macchina a caso, ci entriamo, e scappiamo via. 

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Capitolo 25
*** Cross the line. Redefine. ***


Leehanne

 
8 gennaio 2012, New York.
 
Aspetto la mia valigia da quelle che sembrano ore. Ma l’aeroporto di New York è affollatissimo, dopo tutto, quindi penso che sia normale.
Rivivo gli ultimi giorni trascorsi. La tensione, la paura di fare un passo falso… e le interminabili cene con Michael Wayne (no, non ce la faccio a chiamarlo “padre”) e i suoi amici…
Mi lascio sfuggire un sospiro. Mi sembra di essere così cambiata in poche settimane.
La mia valigia arriva. La prendo e traffico per tirarla giù, ma è così pesante che riesco soltanto ad incastrarla tra le valigie ci sono intorno.
 -Posso darti una mano?-
Mi volto di scatto. L’inglese, quello che mi ha scortato fino a New York, mi sorride.
 -Grazie…- dico. Mi accorgo di non sapere il suo nome.
 -Gregor- mi suggerisce.
Lui prende la mia valigia e la tira giù dal carrello.
 -Ma guarda, non avrei mai pensato di trovarti qui in aeroporto, ora...- dice, lentamente.
 -Avevo una cosa da fare.-
 -Davvero? E cos’avevi da fare a…- si blocca, prende la striscia di carta che hanno incollato alla mia valigia e legge l’aeroporto di provenienza. -…Nashville?-
Mi guarda intensamente. Cerco di mantenere la calma.
 -Avevo una cosa da fare, gliel’ho detto- ripeto, cercando di tagliare corto.
 -Dammi pure del tu, Leehanne.-
Ora sono io a fissarlo.
 -Tutti a New York mi chiamano Alexandra. Perché… tu- dico, incerta, mentre mi decido a dargli del tu, -mi chiami Leehanne?-
 -Perché è quello il tuo nome. O preferisci Mary?-
Smetto di respirare.
Gregor mi sorride. Gli occhi bruni si accendono, nel vedere la mia reazione scioccata.
 -So tutto del tuo giretto all’Hive, mia cara. E della tua passione per le fotografie.-
Oh, merda. Oh, merda merda merda merda.
Cerco di contenermi.
 -E cosa vuoi fare, allora? Denunciare tutto a Michael?- dico, restando più calma possibile.
L’inglese ride.
 -No, non precisamente…-
Lo guardo, spaventata. Vuole ricattarmi?
Gregor si guarda attorno con nonchalance.
 -Cosa sai dell’Elisir di Lunga Vita?-
­Sono sempre più confusa.
Elisir? Ma mi prende in giro?
 -Quello di Harry Potter?- dico, ingenuamente, mentre cerco di trovare un collegamento tra l’Elisir di Lunga Vita e gli Illuminati.
Gregor ride. La mia evidente confusione non fa che divertirlo sempre più.
 -Qualcosa di simile. L’Elisir che garantisce l’immortalità. Non pensi che sia una trovata grandiosa?-
 -Diabolica, semmai. Ma tanto non esiste.-
 Ora è Gregor ad essere confuso.
 -Diabolica? In che senso?-
 -Essere immortali è una maledizione, più che un vantaggio. Vedi tutta la gente che ami morire prima di te. Vedi il mondo cambiare. E perdi ogni tipo di legame.-
Lo guardo negli occhi. È sconvolto dalle mie parole.
 -Ne parli come se l’avessi vissuto in prima persona.-
 -Stare un po’ di tempo con i Leto mi ha fatto capire tante cose- mi lascio sfuggire.
Non devo pensare a loro. Non. Devo. Farlo.
Gregor fa un sospiro ed osserva le persone attorno a noi.
 -Sei davvero convinta che l’Elisir non esista?-
 -Perché, esiste davvero?- dico, con un tono piatto. Ci sono poche cose che mi stupiscono, ultimamente.
 -Come pensi che abbia fatto tuo padre a resistere all’attentato di Jared?-
Ah. Come mandare in fumo i miei tentativi di dimenticarlo…
Ma cerco di restare concentrata sulle sue parole.
 -Mio padre… ha bevuto l’Elisir?-
 -Lo beve ogni giorno. Si mantiene giovane così.-
Tento di trovare un senso alle sue parole. Mi sembra di essere in una bolla. I suoni sono ovattati. Spenti. Le luci sono troppo forti. Ed è tutto così confuso. Lotto per restare lucida.
 -Perché me lo stai dicendo? Perché dovrei fidarmi di te?-
 -Non sei l’unica in questa Guerra.-
 -Perché dovrei fidarmi? Perché dovrei credere a quello che mi stai dicendo?- ripeto.
 -Uccideresti per salvare la tua vita?-
 -Cosa?-
Non lo seguo più ormai.
 -Non hai alternative, Leehanne. O ti fidi di me, o tuo padre comunque scoprirà quello che hai fatto. Capirà da che parte stai, e fidati, dimenticherà che sei sangue del suo sangue. E poi, ci sono molte cose che devi sapere…-
Rabbrividisco. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato prima o poi. Ma speravo di essere più forte.
 -E tu, invece, da che parte stai?- gli chiedo.
Gregor ride.
 -C’è bisogno di portare una Triad al collo per farti capire che sono dalla tua parte?-
 -Tu non sai da che parte sto.-
 -Sei brava a recitare. Ti servirà per convincere tuo padre che vuoi Jared morto.-
 -Non mi fido di te.-
 -Non te lo sto chiedendo. Non ti sto ancora chiedendo nulla, in effetti.-
 -Allora, dai, chiedi. Forza. Cosa vuoi da me?-
 -Ho un piano- dice, all’improvviso, come se non avesse sentito la mia domanda. Alza le sopracciglia, spalanca gli occhi. -Voglio chiudere una volta per tutte questa Guerra. Tu puoi aiutarmi.-
Si avvicina di un passo.
 -Non è quello che vuoi anche tu? Il motivo per cui sei tornata da tuo padre?-
Sento di avere le lacrime agli occhi. Sbatto gli occhi velocemente. Poi sorrido.
 -Davvero geniale, Gregor. Sei davvero molto bravo nel tuo lavoro. Per un secondo ho pensato che facessi sul serio…-
Gregor mi guarda incredulo.
 -Ma tu sai già da che parte sto, vero? Sai già che ti puoi fidare…- continuo.
Prendo la mia valigia, mi avvicino a lui di un passo e sussurro: -…fratello.-
Giro sui tacchi e me ne vado.
 

Shannon

 
9 gennaio 2012, Los Angeles.
 
Uno. Due. Tre. Quattro e cinque. Sei. Sette. Otto e nove. Dieci. Undici, dodici, tredici. Quattordici e quindici.
Sfogo la mia rabbia sul sacco da boxe. Conto ogni colpo. Seguo un tempo che sento solo io, mi lascio andare e penso solo al mio obiettivo.
Mio fratello? Seduto sul divano, davanti al pc. Da ore, ormai.
Sedici. Diciassette. Diciotto, diciannove, venti.
Distolgo lo sguardo dal sacco e osservo Jared lavorare al computer. Dietro di lui, vedo quegli inquietanti manichini. Lo sento sbuffare.
 -Shan, non puoi smetterla un po’? Mi distrai…-
Lo dice con una voce talmente assente da preoccuparmi.
Si volta appena verso di me e mi rivolge uno sguardo infastidito.
Per tutta risposta, recupero il mio Iphone, indosso le cuffiette e imposto la riproduzione casuale in una playlist che contiene le mie canzoni preferite dei Metallica.
Poi, ritorno al sacco da boxe e continuo a prenderlo a pugni.
Parte The Unforgiven. Rallento la velocità. Adatto i miei colpi al tempo della batteria. Mi è naturale, quasi non mi rendo conto di quello che sto facendo. Alla fine, mi fermo e resto ad ascoltare la musica.
Amo quella canzone. Non ho un motivo particolare. La amo e basta.
Ad essere sincero, ci sono quattro parole che, ogni volta che le sento, mi danno i brividi.
Never free. Never me.Non posso farci nulla, mi ricordano troppo la mia vita.
Non sono mai stato libero di essere me stesso. Mio padre ha sempre avuto aspettative troppo alte su di me. Ma io non ero abbastanza. Lui voleva un comandante, voleva un guerriero. Quello che volevo io, era vivere di musica. Fin da quando sono nato è stato così.
Nonostante tutto, la vita mi ha fatto diventare un guerriero, come desiderava mio padre. Combatto tutti i giorni per proteggere mio fratello, Emma, Tomo, la sua famiglia, nostra madre Constance…
Non è molto che non la sento. Le ho detto dell’attacco all’Hive ed è rimasta sconvolta. Voleva a tutti i costi raggiungerci qui a Los Angeles, a casa di Jared. Ma gliel’abbiamo proibito. È più al sicuro nella sua casa in North Carolina. Stare vicino a noi non avrebbe fatto altro che metterla in pericolo.
Per fortuna il nostro rifugio è ancora in piedi. L’elicottero che avevamo sentito ha sparato solo poche volte sulla nostra macchina, mentre scappavamo. Poi, una volta arrivati all’autostrada, l’elicottero si è allontanato e non si è fatto più vedere. Ora l’Hive è controllato 24 ore su 24, in modo che nessuno provi ad ancora ad attaccarlo, ma rimanere lì era comunque troppo pericoloso. E così, eccoci nella casa di Jared a Los Angeles.
Il mio pensiero va a Leehanne. Dovevamo proteggerla, invece, siamo noi a doverci proteggere da lei.
Ma davvero ci ha traditi? Quelle foto non possono essere arrivate da sole fino a casa nostra. E quel riferimento ad Hurricane non poteva essere casuale. Sicuramente, era opera di un Echelon.
Comunque, qualcuno deve aver rivelato la posizione dell’Hive. Solo io, Jared, Tomo, Emma, Vicky e Leehanne sappiamo dove si trova. E Leehanne è stata vista in presenza di quegli stronzi Illuminati.
Senza contare quello che aveva confessato il sergente.
Sbuffo. Non so proprio che pensare.
Jared invece sa benissimo cosa pensare. È convinto dell’innocenza di Leehanne. Da due giorni, appena ne ha l’occasione, continua a ripetere mille motivi per credere al fatto che sia stata lei ad “avvisarci” dell’attacco. E aggiunge che troverà il modo di dimostrare il fatto che lei è dalla nostra parte. Io puntualmente alzo le spalle e cambio discorso.
Pensare a Leehanne gli fa male. So che non dorme più la notte perché continua a pensare a lei. Lo vedo dalle ombre sotto i suoi occhi azzurri. E lo vedo da come sbatte le palpebre davanti al computer, da come li strizza gli occhi per mettere a fuoco.
Ero convinto che la morte di Mary l’avesse quasi distrutto, e pensavo che nient’altro avrebbe portato Jared a quel livello di depressione. Ma mi sono sbagliato.
Me ne sono reso conto già quando ho letto il testo di Cross The Line, ed ora ne ho la dimostrazione proprio sotto il mio naso: Jared non mi avrebbe mai chiesto di smettere di prendere a pugni il sacco da boxe, ma mi avrebbe raggiunto e avrebbe tenuto fermo il sacco, mentre io avrei sfogato un po’ di rabbia con l’esercizio fisico. E poco dopo, avremmo invertito i ruoli.
Osservo mio fratello, e decido che è rimasto troppo tempo davanti a quello schermo.
Vado da lui e gli do una pacca sulla spalla. Lui mi guarda con un’aria interrogativa.
Tolgo le cuffiette.
 -Non dovevamo arrangiare Cross The Line?- gli chiedo.
Distoglie lo sguardo.
 -Non ora, Shan…-
 -E quando, allora?-
Jared torna a fissarmi. Poi si alza in piedi, mi da una gomitata e va a prendere Pythagoras.
 

Leehanne

 
10 gennaio 2012, New York.
 
Le vie della metropoli oggi sono davvero affollate. Meglio così. Meno gente mi vede, più sono al sicuro.
Gregor se n’è appena andato. Comincio a fidarmi di quell’uomo, ma prima di riporre la mia completa fiducia in lui, dovrà rispondere a molte domande. E quando avrò ottenuto la verità, deciderò da che parte stare. O almeno, così sembrerà agli altri.
Cammino sul marciapiede, senza fretta. Raggiungo un’entrata della metro proprio all’ora di arrivo di un treno. E così mi vedo travolta da una massa di persone incuranti di quello che gli si presenta di fronte.
Passo in mezzo a loro, scontrandomi con uomini in giacca e cravatta, turisti, e donne che, a giudicare dal loro abbigliamento, pensano di vivere nel telefilm “Sex & The City”.
D’un tratto vengo letteralmente placcata: un uomo dai capelli di uno stranissimo biondo tendente al giallo mi prende e mi sbatte contro il muro.
 -A che gioco stai giocando?- mi chiede, mentre la folla continua a passarci accanto, ignara.
Lo osservo.
Occhi verdi come smeraldi, pelle bianchissima e fine, che sembra quasi fatta di alabastro, o avorio. E quei capelli corti, tinti di un colore che non è proprio giallo, ma non è nemmeno biondo.
 -Gerard Way,- dico lentamente. Guardo il suo collo bianco. C’è una catenina sottile, nascosta in parte dalla maglia verde scuro che indossa sotto il giubbino di pelle. La tiro fuori.
Alla catenina argentata è appesa una Triad lucidissima.
 -…fratello dell’Associazione. Questo non me l’aspettavo- dico, mantenendo il tono glaciale che ho imparato come Alexandra, invece che mettermi ad urlare e saltare per la gioia di questo incontro.
Gerard mi spinge con più forza contro il muro.
 -Rispondi alla domanda.- Nei suoi occhi c’è sia un odio bruciante, che la speranza di sentirmi dire che sono dalla parte dell’Associazione.
 -Faccio il gioco che ho sempre fatto- rispondo freddamente.
A Gerard la mia risposta non piace.
 -Mary, ascolta…-
 -No! Il mio nome non è Mary, e non è nemmeno Leehanne, se proprio lo vuoi sapere!-
Lui tace, stringe le labbra.
 -E chi sei, allora?-
Gli rivolgo uno sguardo pieno di astio.
 -Io sono chi devo essere. Non sei d’accordo con me?- dico, ironica, citando le sue stesse parole.
Gerard lascia la presa su di me. Faccio per andarmene. Però lui mi trattiene per il braccio.
 -Tu puoi essere chiunque tu voglia. Ricordatelo.- dice.
Si avvicina un poco. -Jared ti lascia questo.-
Mi da un leggero bacio sulla guancia e poi sparisce in mezzo alla folla.
E quando il flusso di gente finisce, io rimango lì da sola, con il bacio di Gerard, o meglio, di Jared, ancora sulla pelle.
 
25 gennaio 2012
 
Il corridoio che precede l’ufficio di Michael Wayne mi mette ansia. O forse, sto così solo per il fatto che ha voluto vedermi con tanta insistenza.
Faccio dei lunghi respiri, e mi dico che andrà tutto bene.
Le porte si spalancano. Mi alzo, lentamente, e abbandono la sedia su cui ero seduta con timore, come se rappresentasse il mio ultimo rifugio sicuro.
Entro nell’ufficio, ricordandomi ad ogni passo il motivo per cui mi trovo lì. Riacquisto la mia sicurezza. E quando mi siedo di fronte a Michael, sono tornata completamente ad essere Alexandra.
 -Perché volevi vedermi?- esordisco, senza perdere tempo.
 -Perché so tutto.-
Mi fissa con i suoi gelidi occhi grigi. Poi riprende a parlare.
 -Sei stata brava. Ma non abbastanza. Pensavi di potermi ingannare facilmente? Che un paio di bugie da scolaretta mi convincessero del fatto che stai dalla nostra parte?-
Il tono di voce diventa sempre più alto e Michael si arrabbia sempre di più.
Vedo il sudore luccicare sulla sua fronte. Prende il fazzoletto dalla tasca interna della giacca e lo tampona sul viso. Sembra quasi tremare.
Osservo impassibile la scena.
 -Pensi che io ti abbia ingannato?- chiedo, tranquillamente.
 -Penso? Penso? LO SO! Gregor mi ha portato le foto di te che scappi dalla villa dei Leto in Tennessee!-
Mi guarda, con gli occhi fuori dalle orbite.
 -Un gesto del genere non poteva certo rimanere segreto, con tutti i collaboratori che ho! Mi sono stupito del fatto che lo abbiano scoperto solo ora…-
Sostengo il suo sguardo indagatore, mentre la sua espressione, da scioccata che era, diventa sconvolta e spaventata.
 -Me lo hanno tenuto nascosto. Un complotto…?- sussurra. Sembra quasi che sia rivolto a se stesso.
Gli occhi vagano per la stanza, come se si aspettasse un qualunque segno che gli dica che è tutto uno scherzo. O come se volesse trovare un àncora nel suo mondo, ora che ha compreso che il suo potere si sta sgretolando.
Michael annaspa e tossisce.
Assaporo le parole che sto per dirgli, prendendo tempo. Piego leggermente la testa su un lato.
 -Il tuo Elisir non funziona più?-
La sua reazione mi stupisce. Pensavo che mi avrebbe urlato addosso. Invece, si fa piccolo piccolo sulla sua sedia.
 -Come sai dell’Elisir?-
 -Non è importante, questo. Ma penso che ti interesserà sapere che da quindici giorni non hai bevuto altro che acqua, zucchero e colorante arancione.-
 -Che cosa?-
 -L’Elisir che avevi bevuto in tutti questi anni ha finito per toglierti il senso del gusto. Era l’unica controindicazione per quel surrogato della “bevanda miracolosa”. Me l’ha detto Gregor.-
 -Perché lo hai fatto? A tuo padre?-
Non rispondo. Mi limito a guardarlo.
Michael riprende a tossire.
 -Sai,- dico, avvicinandomi alla scrivania. - Fino ad una ventina di giorni fa, ero convinta che mio padre fosse morto a causa di un’esplosione dovuta ad una fuga di gas. Poi, il 3 gennaio scorso, mi è stato detto che mio padre era vivo, che si era finto morto per dieci anni, e che era a capo della Loggia più potente al mondo. Sai cosa mi è stato detto, non molti giorni fa?-
Scuote la testa.
 -Che mio padre era morto per davvero. Nel 1996, un certo David Smith, un professore di storia dell’arte, che si era dedicato alle truffe dopo trent’anni di onorata carriera, gli ha sparato. E dopo molte operazioni di chirurgia estetica, ha assunto l’aspetto e i dati anagrafici di mio padre. Poi, questo David si è affiliato alla Loggia di New York e in pochissimo tempo ha fatto carriera, corrompendo le più alte cariche con i soldi ottenuti con truffe e quant’altro. Ma alcuni hanno scoperto che era più vecchio dell’età che dichiarava. Così, ha ritenuto prudente dichiarare la sua vera data di nascita, anziché quella di Michael Wayne. Curioso, no? Ma sto divagando…-
Tento di controllare l’odio crescente e il senso di repulsione per l’uomo che mi trovo di fronte.
Michael, anzi, David, è preso da un attacco di tosse, e sta diventando sempre più scuro in volto. Non riesce nemmeno più a respirare.
 -Il giorno di Natale del 2000, ero convinta di aver abbracciato mio padre. Era uno dei pochi ricordi che conservavo, perché ero troppo piccola per ricordarne altri. E sai, lo conservavo gelosamente, perché era l’ultima volta che avevo visto mio padre, prima che fosse ucciso in quell’esplosione. Ogni anno, a Natale, io e mia madre portavamo un fiore sulla sua tomba. Una rosa rossa, come quella che mio padre aveva regalato a mia madre quando gli chiese di sposarlo. E io mi ricordavo di quell’abbraccio mentre guardavo la sua lapide. E invece non era mio padre l’uomo che avevo abbracciato. Eri tu. E non ti trovavi nemmeno due metri sotto terra, ma, lurido bastardo, eri vivo e vegeto, qui a New York, ad ingraziarti qualche Presidente di uno Stato orientale. Se tu avessi un minimo di cuore, capiresti come mi sento ora.-
Mi alzo in piedi.
 -Hai distrutto la mia famiglia. Mia madre è sempre stata convinta che l’uomo che aveva sposato avesse smesso di amarla e fosse andato a vivere a New York con un’altra…
 -Mi hai tolto tutto quello che avevo. Mio padre… Jared…-
La voce mi si spezza. Impongo alle lacrime di non scendere. Non so come ci riesco.
 -Va’ all’inferno, David.-
Metto tutto l’odio che provo in quelle quattro parole. Giro sui tacchi ed esco dalla stanza.
Sento l’uomo chiamare aiuto e poi soffocare nel suo stesso sangue.

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Capitolo 26
*** I need you right now. ***


Jared

 
Apro gli occhi. Mary mi sorride. Ha una polaroid in mano.
 -Mary…?-
 -Buongiorno, Jay!-
Mi scatta una foto. Il flash mi abbaglia. Sbatto velocemente le palpebre per cancellare il quadratino colorato che è mi è rimasto negli occhi.
Sorride, compiaciuta. Poi prende la foto appena scattata e la sventola, come per farla asciugare.
 -È vero che se la agito, i colori si confondono?- mi chiede.
Sbuffo nel cuscino.
 -No, non è vero.-
 -Meno male, altrimenti tutte le foto che ti ho scattato mentre dormivi sarebbero già rovinate…-
 -Mi hai scattato delle foto mentre dormivo?- chiedo, incredulo.
Mary annuisce. Prende una foto e me la mostra.
L’immagine è già completamente formata, e ritrae me mentre dormo. E accanto a me c’è Mary, che guarda nell’obbiettivo.
 -Non trovi che sia bellissima?- dice.
La guardo negli occhi prima di rispondere, serio. -Tu lo sei.-
Mary mi sorride, e si avvicina per baciarmi.
Ma invece che toccare le sue labbra, trovo il vuoto. Mi sento cadere.
E mi ritrovo a nuotare nella gelida acqua del Pacifico.
Lotto per rimanere a galla. Ed è a quel punto che vedo le mie mani.
Rosse. Coperte di sangue. Le esamino, e trovo tante piccole ferite, sparse un po’ ovunque. Sanguinano tantissimo.
Questo attirerà gli squali, penso, terrorizzato.
E gli squali arrivano. Mi afferrano per le gambe e mi trascinano giù.
Vorrei urlare, perché il dolore è troppo forte. Ma non posso. Gli squali mi portano sott’acqua. La luce, l’aria, diventano sempre più distanti.
I polmoni stanno per scoppiare. Non resisterò ancora per molto. E mentre mi rendo conto che tra poco sarà tutto finito, mi stupisco. Perché non riesco ad arrendermi. So che devo continuare a lottare, che non posso lasciarmi andare. È semplicemente inaccettabile.
Vado sempre più a fondo. Il dolore è insopportabile. Gli squali mi stanno dilaniando. Sto perdendo le forze.
E mentre i polmoni mi obbligano all’atto di respirare, qualcosa mi prende e mi porta via da quell’inferno.
Respiro a grandi boccate l’aria fresca. Tossisco. La gola brucia, quasi come se fosse in fiamme. Mi rendo conto di avere gli occhi chiusi.
Li apro, lentamente. Ho la vista appannata.
Distinguo due occhi azzurri come il cielo. Mary?
No, non è lei.
Metto a fuoco.
Leehanne mi osserva, sorridente ma preoccupata.
 -Non ti avrei mai lasciato annegare- mi dice.
E mi bacia.
 
Apro gli occhi e mi metto a sedere. Era solo un sogno. Ma è stato così vivido, così reale, che per quanto illogico mi è sembrato vero. Ho il fiato corto, e cerco di darmi una calmata.
Mi copro gli occhi con le mani. Non riesco a trattenermi e scoppio a piangere, come un bambino di cinque anni.
Mi concedo solo pochi minuti per sfogarmi. Poi asciugo le lacrime, passando il dorso delle mani sul viso, mi alzo e prendo il BlackBerry.
Leggo l’ora e la data.  05.39 am. Giovedì 26 gennaio 2012.
Oggi non sarà una giornata semplice. Sospiro, lascio giù il BlackBerry. Torno a letto e seppellisco la testa sotto il cuscino.
 

Leehanne

 
22 chiamate perse.Non va bene… non va affatto bene.
Gregor ha intasato la mia segreteria telefonica, la scorsa notte. Ma non ha detto nulla di importante nei messaggi registrati. Ha chiesto solo di essere richiamato.
Così, obbedisco. Compongo il suo numero sul cellulare che mi ha prestato e aspetto che risponda.
 -Mary!- dice, subito dopo il primo squillo.
 -Perché mi chiami ancora in quel modo…-
 -Non è importante ora!- dice, con il suo accento inglese. -Siamo fottuti!-
 -Di che stai parlando?- chiedo, seria.
 -Dove ti trovi?-
 -Nel mio appartamento a New York…-
 -Ti raggiungo subito. Non posso parlarne al telefono.-
E riattacca.
Rimango con il telefono all’orecchio per qualche secondo. Siamo fottuti? Che cosa è successo stavolta?
Sono terrorizzata. Controllo l’ora sul cellulare. Sono le 08.39, ora locale di New York. Ma non è l’orario a sconvolgermi.
Fisso la data, mentre qualcosa riaffiora nella mia mente.
26 gennaio 2012…
 -LA RIUNIONE!- urlo, appena mi rendo conto. Poi mi tappo la bocca con le mani. E mentre lo stomaco si stringe, un sacco di scenari catastrofici attraversano la mia mente.
Forse il Presidente non è morto per davvero, e ora si vendicherà uccidendomi. Oppure, gli Illuminati hanno saputo della riunione e stanno andando a prenderli…
Mi rendo conto che la seconda ipotesi mi spaventa molto più della prima.
Spero che i Leto abbiano spostato quella riunione. Se sono riuscita io a trovare la password, può riuscirci chiunque.E poi, con un’altra stretta allo stomaco, ma stavolta per il rimorso, penso che i Leto avranno comunque cambiato la data della riunione, visto il mio soggiorno presso gli Illuminati.
Avranno sicuramente pensato che io li abbia traditi, e che abbia rivelato tutto ciò che so su di loro e sull’Associazione.Dopo tutto, qualcosa avevo detto, per non insospettire “mio padre”, ma si trattava di particolari talmente insignificanti, che loro non avrebbero potuto usarli contro i Leto.
Comunque, mentre mi preparo all’arrivo di Gregor, mi vengono in mente un centinaio di ipotesi. Alla fine devo fermarmi, perché sto andando in paranoia.
Dopo un po’ il citofono suona. È Gregor. Gli apro, preparandomi psicologicamente a ricevere la brutta notizia.
 

Jared

 
La zona industriale della città di Leehanne… sembra che siano passati anni dall’ultima volta che sono stato qui.
Osservo i vari capannoni mentre l’auto procede tra le vie della città. In realtà, sto pensando a tutt’altro. E sto cercando disperatamente di non pensare a lei.
 -Continuo a pensare che sia un’autentica follia- dice Shannon.
Con un’occhiata veloce, vedo che anche lui sta guardando fuori dal finestrino. Tomo, seduto sul sedile del passeggero, si gira verso di noi.
 -Lo penso anche io.-
 -Eppure, siamo qui tutti insieme- gli rispondo.
 -Sì, tutti insieme appassionatamente. È una cosa molto romantica.-
 -Ah, taci, Jamie.-
Lui, che per oggi ci fa da autista, mi sorride dallo specchietto.
 -Non so davvero come fai ad essere così allegro, Jamie. Potrebbero ucciderci tutti con un colpo solo, oggi, in questa cittadina sperduta- dice mio fratello, con un tono leggermente imbronciato. Tra i motivi del suo malumore, c’è sicuramente il fatto che non sta guidando lui. È fatto così: vorrebbe guidare sempre lui, odia stare in macchina quando guidano altre persone.
 -Io la trovo un’idea brillante, invece. Nessuno sospetterebbe mai che siate così stupidi da scegliere proprio il luogo del primo incontro di Jared e Leehanne. Ah, e poi, in una cittadina sperduta, per citare Shannon, e se posso, tutti questi capannoni abbandonati sono il posto ideale per nascondere qualche truppa. E guardate, c’è pure il posto per far atterrare un elicottero!- Jamie stacca una mano dal volante e indica un campo da calcio che stiamo sorpassando. -No, vi sopravvalutano troppo per credervi così idioti- conclude.
 -Grazie per i complimenti- gli dico.
 -Non c’è di che, fratello.-
Noto che Tomo sta trattenendo le risate. Alla fine non riesce più a controllarsi e scoppia a ridere. La sua risata contagia anche Shannon, e poco dopo anche io e Jamie cediamo.
 -Ragazzi, complimenti per quest’atto di pura follia- dice Tomo, porgendo il pugno a Shannon e a me. Entrambi rispondiamo al gesto, mentre ancora ridiamo.
Jamie porge il pugno a Tomo, ma lui gli da uno scappellotto e gli dice, serio: -Tu pensa a guidare.-
Il ragazzo sorride. -Signorsì.-
Con Jamie è sempre così, anzi, anche peggio. Lo prendiamo in giro fino allo sfinimento, lo maltrattiamo… ma gli vogliamo bene. È intelligente, sveglio, e ha un modo di pensare diverso dal nostro. Ci fa bene avere vicino qualcuno con un altro punto di vista.
Chiudo gli occhi e ripasso il discorso che dovrò tenere. Stringo tra le mani la scatolina di legno di nostro padre, quella con la Triad. La sfioro, ripasso i suoi contorni. E la mano vola alla collana. Stringo forte quel ciondolo, ripenso al momento in cui me l’aveva affidato. Rinnovo la mia promessa di vendicare la sua morte, e quella di Mary.
È assurdo come adesso il ricordo di Mary sia legato a quello di Leehanne. Mi ritrovo di nuovo a pensare a lei. Svio i pensieri, e torno a ripassare il mio discorso.
La macchina rallenta. Apro gli occhi. Il cancello, il capannone… non è cambiato nulla. Scendo dalla macchina per secondo, visto che Shannon mi ha già preceduto. È quasi saltato fuori dall’auto.
Mio fratello si ferma davanti al cancello, poi si guarda intorno.
 -Sarà meglio fare un giro di perlustrazione.-
Annuisco.
Shannon porta le mani dietro la schiena e prende la pistola che aveva nascosto sotto la giacca. Lo imito, e tolgo la sicura.
Decidiamo che saremo io e Shannon a controllare che dentro sia tutto a posto, mentre Tomo e Jamie resteranno fuori. Aspetto che entrambi siano armati, e poi io e mio fratello entriamo nell’edificio.
Non c’è nessuno dentro. Il piano terra è vuoto, e il pavimento è coperto di polvere, anche se qua e là si vedono delle impronte.
Shannon mi fa un cenno, indicando il soffitto. Annuisco. Bisogna controllare il piano superiore, dove si trovano gli uffici.
Saliamo una scala in ferro senza fare rumore e apriamo la porta. Controlliamo le varie stanze, e constatiamo che non c’è davvero nessuno. Raggiungiamo la sala dove si terrà la riunione: lì dentro c’è un grande tavolo con tante sedie.
Rimettiamo la sicura alle armi.
 -Sarà meglio fare un giro di perlustrazione anche intorno al capannone, e magari dare un’occhiata ai vicini. Dico a Tomo di raggiungerti qui, mi farò accompagnare da Jamie- dice mio fratello.
Fa per uscire, mentre nasconde di nuovo la pistola dietro la schiena.
 -Shannon?- lo chiamo, prima che sia uscito.
Lui si gira verso di me.
 -Sta’ attento.-
Mio fratello sorride e annuisce. -Lo sono sempre, non preoccuparti.- Mi fa l’occhiolino ed esce.
Rimango solo, ad aspettare Tomo. Non so cosa fare, e devo trovare il modo di far andare via l’ansia, così cammino intorno al tavolo e ripeto il discorso a bassa voce.
Sento la porta chiudersi. Mi giro di scatto e vedo che Tomo è arrivato. Non l’avevo sentito salire le scale.
 -Non volevo spaventarti…- dice, data la mia reazione.
 -Non preoccuparti, sono ancora tutto intero. Per ora- ridacchio.
 -Lo so, divento ogni giorno più bravo… tra poco sarò capace di sbucare alle vostre spalle e farvi prendere un infarto dallo spavento.-
Il chitarrista si siede su una delle tante sedie, si toglie la giacca di pelle e lascia la pistola sul tavolo.
 -Dovrò avvertire Shannon del pericolo, allora.-
Mi siedo vicino a lui e lo imito. Appendo la mia giacca sullo schienale della sedia e rimbocco le maniche della maglia azzurra che sto indossando. Poso sul tavolo la scatolina di legno.
Prendo un gran respiro.
 -Jared, andrà tutto bene.-
 -Non lo so… ho una brutta sensazione- sussurro.
 -Forse è dipeso dall’ultima volta in cui sei stato qui… hai paura che Leehanne sbuchi con un esercito ai suoi comandi?-
 -No, certo che no- mi affretto a rispondere. -Tomo, tu pensi davvero che Leehanne sia definitivamente dalla loro parte?-
Il chitarrista lascia vagare lo sguardo per la stanza prima di rispondere.
 -Non lo so… non ho assistito alla vostra litigata, ma sono certo di una cosa: lei ti ama. E un sentimento del genere non può trasformarsi in odio da un momento all’altro.-
 -Ma lei ha creduto davvero a quello che le ho detto quel giorno. Gliel’ho letto negli occhi, era sconvolta… ho distrutto tutto, dicendole quelle cose…-
 -Era l’unica cosa che potessi fare. L’avrei fatto anche io…-
Alzo gli occhi su di lui. Lui può capirmi come nessun’altro, a parte Shannon. Tomo sa cosa provo per Leehanne, perché è la stessa cosa che lui prova per Vicky. Sarebbe disposto a tutto pur di proteggerla, e anche se non lo dice, capisco che era proprio questo quello che intendeva dire.
 -Sto davvero mettendo tutti noi in pericolo, giusto?-
 -Stiamo,- mi corregge. -Ricorda che non sei il solo ad aver deciso di tenere la riunione qui.-
 -Ma questo non cambia le cose.-
 -Esatto. Senti, anche se ci fossimo riuniti alla Casa Bianca, saremmo comunque stati in pericolo, forse di più. Se loro ci vogliono davvero trovare, ci trovano, punto. Non sarà una grande città a fermarli, come sai, e nemmeno una montagna. E poi, hanno avuto un sacco di occasioni di farci fuori, mentre eravamo in tour. Abbiamo sventato tutti gli attacchi, e sanno che siamo troppo forti per tentare una mossa plateale come quella alla tomba di Alessandro Magno qui.-
Lo guardo negli occhi per qualche secondo. È terrorizzato quanto lo sono io, però è anche fiducioso. Il suo discorso mi trasmette un po’ del suo ottimismo.
 -Grazie- gli dico.
Lui mi da una pacca sulla spalla. -Di nulla, amico. Shannon sta arrivando. Ora metto in atto il mio piano e lo spavento a morte.-
 -Attento a non beccarti una pallottola in testa- lo avverto mentre si alza e va a nascondersi dietro la porta.
 

Leehanne

 
La mia vita ultimamente sembra svolgersi negli aeroporti. Cerco di trovare una posizione più comoda sul sedile dell’aereo che mi è stato assegnato e ignoro i passeggeri accanto a me. La mia mente vola al primo volo in aereo con Jared.
Devi farlo per lui, Lee. Per lui, per Shannon, per Tomo, per le loro famiglie. Per gli Echelon.
Ma non ho paura di rischiare la vita per loro. L’ho già accettato da un pezzo. È lontano il periodo in cui la sola vista di una pistola era capace di inquietarmi e spaventarmi a morte.
Prego che il mio aereo arrivi presto a destinazione. Se Gregor ha ragione, come penso che sia, allora ho davvero pochissimo tempo.

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Capitolo 27
*** Night Of The Hunter. ***


Leehanne

 
Ed eccomi arrivata nella mia piccola città. Sembra così assurdo pensare di aver incontrato di persona Jared qui. Ma non è l’unica cosa che mi sembra surreale.
Tutta la mia vita negli ultimi mesi sembra una grandissima illusione. A metà tra il sogno più bello e il peggiore incubo.
Come reagirà Jared, quando mi vedrà? Continuo a torturarmi con dubbi simili per tutto il viaggio in taxi.
Sempre se riuscirò a vederlo. Forse i confratelli mi fermeranno prima di raggiungerlo. Forse mi spareranno non appena vedranno il taxi. E forse, sarà giusto così.
Scuoto la testa, come per allontanare questi pensieri.
Che cazzo, no. Devo riuscire a far arrivare il messaggio a Jared. Devo trovare il modo.
Mi chiedo se per caso l’Associazione non sappia già di quello che sta per succedere. Ma allora perché non hanno spostato la riunione? O perché non farla altrove?
Chissà cosa passa per la mente di Jared…
 

Jared

 
I confratelli stanno arrivando. Ripasso ancora una volta il mio discorso, ma so già che all’ultimo deciderò di ignorarlo e parlerò seguendo l’istinto. Sono anche un attore, è vero, e imparare battute a memoria per poi recitarle come se fossero autentiche è parte del mio lavoro, ma spesso scelgo di dimenticare i copioni apposta e di agire secondo quello che mi dice il cuore. Proprio come immagino che farò ora.
Emma e gli altri nostri collaboratori ci hanno già raggiunto da un po’, e ci stanno aiutando ad organizzare e monitorare gli spostamenti dei nostri fratelli e sorelle.
So che stanno tutti svolgendo un ottimo lavoro, e che la sicurezza è in primo piano. Eppure, continuo ad avere una brutta sensazione. Controllo il cellulare e perdo tempo su Twitter, nella speranza di distrarmi.
Ma non basta. La sensazione è sempre lì. C’è qualcosa di sbagliato. Pericolo. Pericolo. Pericolo.
È difficile tenere i pensieri in silenzio in occasioni del genere.
Nel frattempo altri fratelli sono arrivati. Accolgo tutti, ringraziandoli per essere lì con noi. Stringo mani, mormoro ringraziamenti e indico posti a sedere. Ci sono anche Gerard e Mikey Way. Mi dicono che se faranno in tempo anche Frank Iero e Ray Toro ci raggiungeranno. Ringrazio anche loro, chiedo come stanno le loro famiglie, e dopo qualche minuto li congedo, indicandogli dei posti a sedere non troppo lontani dal mio. Devo accogliere altri confratelli. Penso di impazzire. C’è così tanta gente. Ma sono felice che siano così tanti a sostenerci e a combattere con noi.
Anche Shannon sta salutando i nuovi arrivati, ma sembra perfettamente tranquillo e a suo agio. Solo io riconosco i segni della sua agitazione. Sta tenendo il tempo con il ginocchio. Soffoco una risata e mi rivolgo verso altre persone.
 

Leehanne

 
Mi faccio lasciare a debita distanza dal capannone che si trova al numero civico 26. Pago il tassista e comincio a dirigermi a passo spedito verso la mia destinazione.
Speriamo che non siano lì. Speriamo che Gregor si sia sbagliato.
Ma c’è uno strano movimento attorno a quel capannone. Non si nota subito, ma io sono cresciuta in questa città e conosco a memoria ogni angolo. E tutto sembra farmi notare che c’è qualcosa di diverso.
Per prima cosa, le macchine solitarie che si avventurano per queste strade. Anonime, di colore scuro, scorrono per le strade a velocità non troppo eccessiva. Sembrano andare e venire tutte da una zona in particolare.
Quando arrivo al capannone numero 20, all’angolo della strada, vedo quelle macchine fermarsi davanti ad un cancello, lasciare giù alcuni passeggeri, e poi defilarsi. Accade tutto in pochi secondi, e poi le auto sembrano smaterializzarsi nell’oscurità invernale. Le vedi solo se sai dove cercare. E loro sanno sicuramente dove cercare.
 

Jared

 
Alle sette e mezza circa, mi schiarisco la voce e chiedo ai presenti di sedersi. Tutti prendono posto.
Osservo la scatolina in legno di mio padre e mi faccio un po’ di coraggio.
 -Grazie per essere qui oggi, Fratelli e Sorelle. Questo vuol dire davvero molto per noi. Sappiamo quanto fate ogni giorno per l’Associazione e vi ringraziamo per questo. Speriamo che la nostra collaborazione porterà qualcosa di buono nel mondo, e che riusciremo a vincere questa Guerra. Tutti siamo consci di quanto sia importante continuare a combattere loro, gli Illuminati, soprattutto in un momento storico come questo. Combattere è di vitale importanza. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Impedire che prendano il controllo sulle nostre vite. Difendere la nostra e la libertà di tutti. E vi siamo infinitamente grati di combattere al nostro fianco.
 -Se vi abbiamo riuniti qui oggi non è solo per ringraziarvi, comunque. Abbiamo una novità da condividere con voi.
 -Tutti voi conoscete la storia della nostra famiglia,- dico, indicando me e Shannon. -E alcuni di voi hanno persino incontrato nostro padre. Bene, lui era un immortale. Un vampiro, per così dire. E ha dedicato la sua vita alla lotta contro gli Illuminati e i loro soprusi. Sapeva che loro erano alla ricerca dell’Elisir, la miracolosa bevanda che dona l’immortalità, al fine di venderla ai più potenti capi di Stato mondiali. Voi tutti siete al corrente delle moltissime guerre che gli Illuminati hanno scatenato, promettendo l’Elisir. E per questo ha intrapreso vari studi per trovare l’Elisir prima di loro.
 -Nostro padre ci è quasi riuscito, ma è stato fermato dagli Illuminati. Ma Shannon, Tomo ed io abbiamo avuto successo.-
Sento i confratelli trattenere il fiato.
Prendo la scatolina di legno, faccio scorrere la Triad che porto al collo contro quella disegnata sul legno e la scatolina si apre.
Mostro a tutti la boccetta contenuta al suo interno. Il liquido ambrato sembra scintillare anche sotto la fredda luce dei neon.
 -Questo è l’Elisir che si ottiene con la Pietra Filosofale. Il suo contenuto è unico al mondo. Sappiamo che gli Illuminati hanno sintetizzato un composto simile, ma non è comunque niente, in confronto a questo. L’Elisir che ho tra le mani garantisce la più pura immortalità, e l’invulnerabilità assoluta. Nemmeno il platino può danneggiare chi ha assunto questo Elisir.-
Osservo tutti i confratelli. Sono sconvolti.
 -Non pensate che sia pericoloso lasciare un tale liquido in circolazione? Potrebbe finire in mani sbagliate, come è già successo… Non vi sto criticando, ci terrei a precisarlo. Ma sono confuso- dice Gerard Way.
 -Gerard, condividiamo i tuoi stessi timori. Ricordiamo benissimo cosa è successo dieci anni fa. L’attentato alle Torri Gemelle ha sconvolto tutti, soprattutto chi conosce la vera storia dietro quell’attacco. So che ci capiamo alla perfezione.-
Gerard e Mikey annuiscono, come tanti altri fratelli e sorelle.
 -Ed è per questo che la Pietra è già stata distrutta. E lo stesso sarà per l’Elisir, dopo questa sera.-
C’è un mormorio di “cosa?” e altri commenti simili. Ma dopo un momento di evidente stupore, tutti si dicono d’accordo con la nostra decisione.
Ho appena il tempo di sentirmi compiaciuto per l’approvazione dell’Associazione, quando Jamie si avvicina improvvisamente a me, con un’espressione sconvolta.
 -Jamie, che succede?- chiedo, preoccupato.
 -C’è qualcuno per te- dice, sottovoce.
 -Di chi si tratta?-
Lui non risponde, e si limita ad indicarmi la porta.
 -Ti sta aspettando giù. Resterò di guardia, non preoccuparti.-
Sono confuso. Perché non vuole dirmi chi mi sta aspettando? Non riesco a cavargli una parola in più, comunque.
 -Scusatemi, sarò di nuovo da voi prestissimo. Shannon, perché non spieghi quali sono i nostri prossimi obiettivi, nel frattempo?-
Mio fratello annuisce, ma non senza riservarmi un’occhiataccia, e prende la parola. Io mi allontano.
Apro la porta e mi sporgo dal pianerottolo delle scale, in attesa, mentre la brutta sensazione sembra ingigantirsi.
 

Leehanne

 
Resto come rapita, immobile, alla base delle scale. Jared è appena uscito sul pianerottolo, per vedere chi chiedeva di lui. E quando mi vede, resta immobile quanto me.
Cosa dirgli? Ciao Jared, sono tornata, ho rivelato qualche segreto su di voi ai vostri nemici, ho attentato alla vostra vita, e ora sto per portarti una brutta notizia. Come vanno le cose, comunque?
Taccio, in attesa che sia lui a dire qualcosa. Ma Jared si limita a guardarmi, diffidente, dalla cima delle scale.
Alla fine decide di scendere qualche gradino, silenziosamente.
 -Che ci fai qui?-
Il tono di voce glaciale che ha usato è peggio di una coltellata. Non sembra nemmeno sorpreso di vedermi.
 -Dovevo dirti una cosa.-
 -Allora avanti, dilla.-
 -Non è così semplice. E tu non mi crederai.-
Jared continua a scendere, e mi raggiunge.
 -Mi sembra logico, no?-
 -Jared, non sono dalla loro parte.-
 -Dovrei crederti, quindi?-
 -Certo! Non avresti mai dovuto dubitarne. C’è un motivo se ho finto di passare dalla loro parte.-
 -Ovvero?-
 -Avevate bisogno di una spia. Qualcuno che potesse infiltrarsi e danneggiare gli Illuminati dall’interno…-
 -Non l’abbiamo mai fatto solo perché abbiamo sempre considerato le spie un mezzo spregevole per vincere…-
 -Credi davvero che sia il momento di giocare a chi è il più onesto? Jared, loro non sono onesti.-
 -Non è un buon motivo per diventare come loro…-
 -E questo non è un buon motivo per farmi la ramanzina ora.-
Gli scocco un’occhiataccia. Jared tace.
 -Il Presidente non era mio padre. Ha finto di essere lui per tutto questo tempo, ma era solo un prof d’arte fanatico delle sette massoniche, ha rubato l’identità di mio padre e ha guadagnato il posto di “comandante” degli Illuminati, per così dire. Si chiamava David Smith.-
Jared è confuso. -Tu sei venuta fin qui solo per dirmi questa cosa?-
 -Certo che no. Jared, il Presidente è morto.-
Gli lascio un secondo per metabolizzare la notizia.
 -Non è finita qui. Hanno già un sostituto. Anzi, una. È una ragazza, e tu la conosci bene.-
 -No, no, ferma, di chi stai parlando…?-
Non fa quasi in tempo a finire la frase, che Jamie sbuca dal pianerottolo delle scale e chiama Jared.
Jared mi afferra e mi trascina con sé, correndo sulle scale. Io tento di stargli dietro, ma è velocissimo. Una volta salite le scale, apre una porta e mi spinge dentro. Subito la porta viene sbarrata da altri confratelli.
Mi guardo intorno e trovo Shannon e Tomo. E tantissime altre persone.
 -Ci stanno per attaccare- dice Shannon, non appena siamo dentro.
 -Riusciamo ad evacuare tutti?-
 -No, è impossibile. Possiamo solo sperare che la struttura non ceda- risponde Tomo.
Jared strabuzza gli occhi. -Quanto tempo abbiamo?-
 -Poco. Maledizione!- si lascia sfuggire Shannon. Poi richiama l’attenzione di tutti. -Fratelli, Sorelle, l’attacco è imminente. Ma siamo preparati a tutto questo. Impugnate le armi e seguite le nostre istruzioni. Faremo tutto il possibile per uscire incolumi di qui.-
Ci siamo, dunque. Mi concedo di osservare Jared, mentre ascolta attentamente suo fratello.
È così bello. Tanto da farmi male. Mi chiedo se tutto questo non sia colpa mia. Se io, Gregor, e gli altri Illuminati ribelli non avessimo ucciso il Presidente, forse questo non sarebbe accaduto. O forse sarebbe accaduto comunque. Forse era solo questione di tempo.
Jared si accorge del mio sguardo puntato su di lui. Si gira verso di me, ma subito guardo da un’altra parte.
 -Leehanne…- esordisce, a bassa voce, prendendomi in disparte. -Cosa mi stavi dicendo prima?-
Avrebbe senso dirglielo ora? Immagino di no. Lo scoprirà comunque tra poco.
Scuoto la testa. -Non è importante adesso. Devi pensare agli altri confratelli.-
 -Ma forse è importante.-
 -Lo è, ma la sicurezza degli altri ha più importanza.-
Rimane ad osservarmi per qualche secondo, in silenzio. Annuisce.
 -Hai ragione- dice. Poi si avvicina e mi da un bacio sulla fronte. -Mi sei mancata- sussurra, rimanendo vicinissimo al mio viso.
 -Anche tu mi sei mancato- rispondo, piano, chiudendo gli occhi. Sento le lacrime formarsi e fuggire subito lungo le mie guance.
Lo attiro a me per un secondo e lo abbraccio forte. Lui mi stringe. Tengo gli occhi serrati e appoggio la fronte contro la sua spalla. Annego nel suo profumo, augurandomi che non gli accada nulla di brutto, né a lui, né alla sua famiglia, né membri dell’Associazione.
 -Fa’ attenzione, ti prego- mi lascio sfuggire. Spero che non si sia accorto di quanto fosse spezzata la mia voce. Mi allontano da lui e gli indico con lo sguardo Shannon, che sta coordinando la difesa.
 -Anche tu- dice. Un ultimo sguardo, e va da suo fratello.
Rimaniamo tutti in attesa febbrile, ascoltando le indicazioni di Shannon e Tomo. Negli occhi dei confratelli leggo paura, per sé e per i propri cari, e una determinazione assoluta. Leggo il coraggio e la voglia di difendere non solo la propria vita, ma anche la libertà e la giustizia.
Nessuno si sottrarrà al combattimento, stasera.
Questa è davvero la notte del cacciatore. E tutto potrebbe finire in un attimo. Ma prima della fine, tutti sembrano intenzionati a fare in modo che loro si ricordino di noi.
Ed è un attimo, infine, e un’esplosione ci investe. Il mondo è rosso. Fiamme, e un boato pazzesco. Il fischio nelle orecchie.
E così, è tempo di andare all’inferno.



E così siamo quasi giunti alla fine... 3 capitoli e la storia sarà conclusa. Mi sono affezionata molto ai personaggi, e sarà doloroso separarmene.
Ringrazio tutti voi che state seguendo la storia, tutti quelli che hanno recensito e che mi hanno fatto sapere la loro opinione riguardo la storia anche via Twitter e Facebook. Vorrei tanto abbracciarvi e dirvi grazie di persona.
Un grande grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite e quelli che l'hanno ricordata. 

Ci vediamo il 26 dicembre con il ventottesimo capitolo!


Lasciate una recensione, se vi va :)

Vee



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Capitolo 28
*** Open your eyes, the devil's inside. ***


Leehanne

 
Qualcuno sembra uscire da quel fuoco infernale. Man mano che metto a fuoco, mi accorgo che si tratta di una donna. E più si avvicina, più noto sconvolta quanto mi assomigli. Capelli lunghi, fisico slanciato. Sembra la mia fotocopia.
Mi accorgo che qualcuno mi sta tenendo a terra. Jared mi ha fatto da scudo, tenendomi giù per proteggermi dalle fiamme. Controllo subito se sta bene. Non sembra ferito, ed è cosciente, ma solo un po’ confuso e spaventato.
Guardo velocemente intorno a me, e noto che sono tutti svenuti. Shannon e Tomo però sembrano riprendersi lentamente. E come loro, anche qualche altro confratello. L’esplosione, dunque, a parte aver distrutto una parete dell’edificio, non ha causato troppi feriti.
Mi concentro ancora sulla figura che è quasi uscita dalle fiamme.
È incolume. Sembra che le fiamme non l’abbiano nemmeno sfiorata.
Si dirige a passi lunghi verso Jared. È armata. Tiene una revolver e la punta contro Jared. Mi alzo immediatamente e mi metto davanti a lui.
Anche Jared si è accorto della donna, che nel frattempo si è fermata a qualche metro da noi. E con la coda dell’occhio lo vedo immobilizzarsi.
 -Tu.. M-mary?- chiede, sconvolto. No, sconvolto non è abbastanza. È completamente scioccato.
 -Buona sera, Joseph… hai visto un fantasma, per caso?- chiede la donna.
Lei è… Mary? Quella Mary?
Ora che è più vicina, riesco a vederla per bene. Ha gli occhi azzurri, truccati di nero. I lineamenti sono delicati, ma un’evidente rabbia interiore li deturpa. La bocca è sottile, colorata da un rossetto scarlatto. I capelli castani, lunghi, mossi e decisamente ribelli sono ripartiti sulle spalle. Indossa degli abiti che sembrano usciti da una boutique molto costosa. Ma è la pistola che tiene in mano, e che punta verso Jared, ad attirare la mia attenzione.
 -Tu… tu eri morta! Io ti ho vista morire!- urla, disperato.
 -Ti sbagli. Non ero morta.- Il suo tono di voce è pacato, ragionato. Come se avesse ripetuto più volte quella frase, e ormai avesse perso ogni significato. E di sicuro, non si rende conto di quello che sta causando a Jared. Oppure, devastarlo era proprio quello che voleva.
 -Io… io ti ho vista…- mormora di nuovo Jared, scansandomi. Shannon, che nel frattempo è tornato completamente cosciente, si affretta a prendermi e ad allontanarmi da suo fratello.
 -Tu mi hai vista priva di sensi, nell’ufficio del Presidente. E non hai pensato di trascinarmi via di lì, vero? No, tu, tuo fratello e il vostro amico avete pensato a salvarvi la pelle- dice Mary.
 -Ma di che cazzo stai parlando?-
 -Sto parlando di quello che è successo, Joseph! Avevi il tuo bell’Elisir, ma non hai pensato a darmelo, per rendermi immortale come te…-
 -TU ERI MORTA! Sei morta davanti ai miei occhi! Che cazzo dovevo fare?- grida.
 -Salvarmi! Portarmi via di lì! Invece ti sei subito arreso, e non hai nemmeno tentato di rianimarmi- lo accusa Mary, alzando la voce.
 -Mary… perché?- chiede Jared, quasi senza voce.
 -Perché sono qui oggi? O perché sono dalla parte “dei cattivi”?-
Mary usa un tono ironico e sprezzante.
 -Subito dopo l’attentato di dieci anni fa, David mi ha somministrato uno speciale Elisir che avevano sintetizzato i chimici Illuminati, studiando quello che aveva creato tuo padre. E così sono sopravvissuta. L’Elisir mi ha mantenuta in salute e giovane per tutto questo tempo. E David mi ha cresciuta come la figlia che non ha mai avuto, e mi ha tenuta nascosta con lui, finché non ha deciso di uscire allo scoperto. Ma mi ha consigliato di nascondermi ancora, come ho fatto. Mi sarei rifatta viva solo in caso estremo. Tutto era perfetto… finché la tua nuova ragazza non ha ucciso David- conclude, rivolgendomi un sorriso velenoso.
Lui le va più vicino.
 -Io ti ho creduta morta per tutti questi anni. Non hai idea di cosa abbiamo passato tutti noi…-
 -Già, mi hai dedicato una canzone. Comodo, invece che rischiare la tua vita e portarmi in salvo. Tu non mi hai mai amata come dicevi. Ero solo un passatempo, giusto? Una delle tante ragazze del bell’attore di Hollywood con la passione per la musica…-
 -Mary, non è così… lo sai anche tu…-
 -Cosa dovrei sapere? Io non so niente! So solo che se fosse stato per te sarei morta davvero dieci anni fa!-
 -Quindi ora vuoi ucciderci tutti per questo? Perché quegli stronzi ti hanno reso “immortale”?-
 -Avresti potuto farlo tu! E se avessi significato qualcosa per te l’avresti fatto!-
Jared è ormai in lacrime. Prende il braccio di Mary e lo solleva fino a puntare la pistola contro la sua fronte.
 -Avanti, allora. Vendicati. Uccidimi. Sarò felice di prendermi tutta la responsabilità, se poi interromperai questa fottutissima Guerra- dice, spalancando le braccia.
Mary sembra sorpresa dalla reazione di Jared. Ma non fa una piega. Resta immobile per qualche secondo, e poi si allontana lentamente dal cantante, puntando la pistola verso tutti noi.
 -La Guerra non finirà. Mai. Neanche quando avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi. Ci sarà sempre qualcos’altro da ottenere, no? E scommetto che ci saranno sempre persone come voi che decideranno di assumere il ruolo di eroi…- dice, usando un tono sprezzante.
 -Mary, smettila, ti prego… Ti hanno fatto il lavaggio del cervello…- mormora Jared.
 -Mi hanno solo aperto gli occhi, mio caro Joseph.-
Le fiamme si sono ormai estinte. Una parte del muro ha ceduto, rivelando la buia zona industriale della città. Le luci dei lampioni brillano come tante finte e solitarie stelle.
Gli altri confratelli sono tutti svegli. Qualcuno tenta di alzarsi, ma Mary gli punta contro la pistola.
Shannon osa rivolgerle la parola. -Mary, ragiona. Siamo molti più di te. Anche se sparassi ad uno solo di noi, non ne usciresti viva.-
 -Tu dici davvero? Io credo di no. L’Elisir di David rende immuni al platino. Sono immortale, a differenza vostra.-
Il batterista è chiaramente stupefatto. Lascia la presa su di me lentamente. La tensione tra i confratelli è palpabile.
Mary fa qualche passo, poi all’improvviso punta la pistola nuovamente contro Jared.
 -Addio, Joseph.-
E preme il grilletto.
Solo che il proiettile non lo raggiunge.
Appena ho visto Mary girarsi, ho intuito cosa stava per fare. E sono corsa in avanti, facendo da scudo umano a Jared.
E da quel momento il mondo diventa confuso. Sento degli spari, voci che chiamano qualcuno che si chiama Nick. Ma più che altro, noto il sangue che si sta spandendo sotto la mia giacca, più o meno all’altezza dello stomaco. E poi c’è il dolore e il freddo.
Qualcuno mi ha afferrata prima che cadessi a terra. Distinguo un paio di occhi azzurri come il cielo. Jared.
Sta dicendo qualcosa. Cerco di concentrarmi.
 -No… non ancora, no. Leehanne, ti prego… ti prego, resisti.-
Vorrei dirgli che ci proverò. Ma tutto diventa così pesante. Anche le palpebre. Eppure obbedisco e cerco di rimanere lucida.
Sento la voce profonda di Shannon dire qualcosa. Parla di un liquido.
 -Jared, deve berlo! Andrà comunque distrutto entro stasera. Fa’ che non vada sprecato!-
E dopo qualche minuto, o forse dopo qualche ora, sento un liquido freddo scorrere in gola. Ha un sapore strano. Sa di arancia, di cannella, di zenzero. Ma ha anche un retrogusto metallico. Mi ricorda l’oro e il sole.
Tento di riaprire gli occhi. Incontro quelli di Jared.
 -Andrà tutto bene, Leehanne. Te lo giuro. Andrà tutto bene.-
Sento le sue labbra sfiorarmi la fronte.
 -Hai fatto il possibile,- dice Shannon. -Così non dovrebbe nemmeno soffrire.-
Che cosa mi hanno dato? Un veleno?
La mia mente è così confusa che ora anche le voci si mescolano, si sovrappongono, e diventano suoni indistinguibili.
E il mondo diventa un inferno fatto di ombre scure e pesanti, dove nemmeno gli occhi di Jared mi possono salvare.

-

Il capitolo non è lunghissimo, ma spero vi piaccia comunque. Questi ultimi capitoli sono stati molto complessi da scrivere... sarà che mi sono affezionata ai personaggi...
Ringrazio tutti voi che state leggendo questa storia. Ormai è passato più di un anno da quando The Key ha avuto origine ed è bellissimo sapere che vi piace. Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, che mi hanno fatto sapere la loro opinione qui, su Twitter o su Facebook, quelli che hanno messo questa storia tra le seguite, le preferite o le ricordate. 
Vorrei abbracciarvi uno ad uno. E un grande grazie anche a chi ha votato questa storia nel concorso su FB "FF che passioneeea cura della pagina ***a million little pieces of stars***. The Key ha vinto nella categorie "FF più appassionante" ed "FF più originale". Grazie, grazie e grazie! Se vi interessa, sulla pagina ***a million little pieces of stars*** stanno pubblicando un album per questa storia, e in ogni capitolo ci sarà una foto ispirata al capitolo. Date un'occhiata se vi va :)


L'attesa per il prossimo capitolo non sarà più lunga come la precedente: il capitolo 29 (il penultimo çwç) sarà pubblicato il 13 gennaio 2013. 

Buone feste!

Vee

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Capitolo 29
*** Underground. ***


Leehanne

 
Apro lentamente gli occhi. La luce del mattino investe tutto quello che mi circonda e mi acceca.
Il mondo si divide in tante forme e colori diversi. Metto a fuoco.
Shannon mi osserva, sorridendomi.
 -Buongiorno, Lee.-
Lo guardo, confusa, e cerco di capire dove sono. Realizzo che mi trovo nella mia camera da letto nel quartier generale dei Mars, quella in cui ho trascorso i primi giorni dell’anno. Riconosco i toni azzurro pastello dell’arredamento.
 -Cosa è successo?- chiedo.
Shannon stringe le labbra. -Più tardi, Lee. È una storia lunga. Hai ancora bisogno di riposarti.-
Mi ricordo improvvisamente della riunione. Il mare di fuoco, gli spari, Mary…
Guardo il mio addome, scoprendomi dalle lenzuola chiare e alzando la maglietta.
La mia pelle è liscia e intatta, senza l’ombra di cicatrici. Sembra che nessun proiettile mi abbia mai raggiunta.
Alzo lo sguardo su Shannon. Lui fa un sorriso tirato e guarda altrove, ma poi decide di rispondere alla mia domanda. Fa un sospiro prima di cominciare.
 -Non appena Mary ti ha sparato, Nick l’ha uccisa. Era appena arrivato, proprio per avvertirci di persona del fatto che il Presidente era morto, e del fatto che Mary era ancora viva. Un po’ come hai fatto tu, insomma. Nick sapeva anche che, se siete riusciti ad uccidere il Presidente, è perché avete sabotato l’Elisir. Bene, anche Mary beveva quello stesso Elisir, ogni giorno. Ormai erano due settimane che assumeva l’Elisir che hai modificato… non aveva perso la forza perché il suo organismo era ancora giovane, ma comunque non era più immortale. Così le ha sparato in testa… ma non è stato abbastanza veloce da impedirle di far fuoco, e di colpirti.-
Metabolizzo tutto quello che Shannon mi ha detto. Alla fine, allora, il tentativo mio e di Gregor a qualcosa è servito.
 -Quanto tempo è passato?-
 -Quasi due giorni. Ti abbiamo subito portata qui, hai dormito per molte ore. Ma sapevamo che stavi bene.-
Torno ad osservare l’addome, e sfioro la pelle con le dita.
 -Quindi, mi avete dato l’Elisir?- chiedo, non appena tutte le tesserine del puzzle vanno al proprio posto.
Shannon annuisce. -Tu… ce l’hai con noi, per questo?-
 -Cosa? No, affatto. Vi devo la vita.-
 -E io ti devo la vita di Jared. Sono in debito con te.-
Jared. Mi torna in mente il suo dolore immenso, quando ha rivisto Mary.
 -Dov’è?-
 -Jared è partito. Ha bisogno di passare del tempo da solo… non è affatto facile per lui.-
Qualcosa sembra smuoversi dentro di me. Metto a tacere la brutta sensazione che sta nascendo.
 -Quando torna?-
Shannon tace per qualche secondo. -Non lo sappiamo. Ha detto che si rifarà vivo tra un po’. E mi ha detto anche altre cose.-
Resto in attesa che continui, mentre la sensazione mi divora lo stomaco.
 -Leehanne… Jared vuole che tu ci stia definitivamente alla larga. E siamo d’accordo con lui. No, aspetta, fammi finire,- dice, quando apro la bocca per ribattere. -Sei stata coraggiosissima. Dico davvero. Hai rischiato la vita un sacco di volte, hai salvato Jared, e te ne sarò riconoscente per il resto dei miei giorni. Ma la Guerra non è finita, e noi non ci sentiamo in diritto di metterti nuovamente in pericolo. Non possiamo appropriarci della tua vita. Perciò, non appena ti sarai ripresa tornerai da tua madre. Riprenderai la scuola, ti diplomerai, andrai al college. Conoscerai nuove persone e vivrai la tua vita. E mi devi giurare che resterai alla larga da questa Guerra. Puoi farlo?-
No, non posso. La mia vita siete voi. Ma come fate a non capirlo?
Ma invece di dar voce ai miei pensieri, dico un’altra cosa.
 -Te lo giuro.-
Shannon annuisce di nuovo, e si lascia sfuggire un leggerissimo sospiro. Poi improvvisamente si avvicina e mi abbraccia, con delicatezza.
 -Ho davvero temuto che l’Elisir non sarebbe stato abbastanza. Noi tre siamo quasi impazziti. Non sapevamo che fare…-
 -Shannon, è tutto a posto. Sono viva, non vedi? E mi sento benissimo. Siete stati grandi.-
Ma non posso nascondergli il tono depresso nella mia voce.
Lui si allontana un po’ e si siede sul bordo del letto.
 -Comunque sia, hai l’eternità davanti. Per sempre giovane, per sempre bella. È una prospettiva allettante.-
Taccio per qualche secondo prima di rispondere.
 -E tu ne sai qualcosa, vero?- ridacchio. Shannon mi guarda e sorride.
 -Sei davvero una delle sorelle più coraggiose che abbia mai conosciuto. Sono fiero di potermi considerare tuo amico- dice.
Gli sorrido di rimando, trattenendo a stento le lacrime.
 -Vuoi proprio farmi piangere?-
Shannon scoppia a ridere, ed io con lui. Lo attiro a me e lo abbraccio ancora per un po’.
 -Mi mancherai moltissimo, Lee.-
 -Anche tu mi mancherai. Tratta bene gli altri due, mi raccomando. E non far sclerare Emma.-
 -Promesso.-
 -Bravo.-
Lo lascio andare. Rimaniamo lì ancora per un po’. Shannon mi racconta nei dettagli quello che è successo negli ultimi due giorni.
Ad attaccarci era stata Mary, da sola. In realtà non era mai diventata Presidente, ma voleva solo trovare il modo di vendicarsi, per così dire, di Jared. Era ancora profondamente convinta che lui avesse recitato per tutto il tempo in cui erano stati insieme, e questo era probabilmente dovuto a false informazioni che gli Illuminati le avevano inculcato.
E non appena Jared ha scoperto tutta la verità, ha preso la decisione di vivere da solo per un periodo. Ha dato qualche disposizione riguardo l’Associazione, poi ha salutato Shannon, Tomo e tutti gli altri ed è partito, senza rivelare a nessuno dove si sarebbe diretto.
Il giorno della riunione nessuno degli Associati è rimasto ferito, per fortuna. La scelta di quel capannone si è rivelata fondamentale, poiché la struttura dell’edificio era tanto resistente da non cedere alla bomba che Mary aveva fatto esplodere. Solo una parte è rimasta danneggiata, ma alcuni fratelli hanno riparato il danno subito dopo che Shannon e gli altri mi avevano portata via.
Nessuno si è accorto dell’attentato. La mia tranquilla cittadina ha continuato la sua vita senza accorgersi del pericolo che tutti noi abbiamo corso. Quasi come se ci fossimo trovati su un altro pianeta.
Rivolgo a Shannon qualche altra domanda, ma poi mi rendo conto di quanto sia stanco. Immagino che Jared gli abbia delegato alcuni dei compiti principali, e gravosi, riguardo l’Associazione.
Così lo saluto, abbracciandolo forte.
 -Saranno due fidatissimi Fratelli a riportarti a casa. E non preoccuparti per le domande, a casa: nessuno sa cosa è successo davvero in questo mese, hai un alibi intoccabile.-
Fa l’occhiolino, mentre pronuncia il titolo di una delle loro canzoni.
 -Allora… ciao, Leehanne. Un giorno ci rivedremo.-
Lo stringo forte a me. -A presto, Shan.-
Mi lascia andare ed esce dalla stanza. Ed io non posso fare a meno di pensare ai tanti anni che mi si presentano davanti. Immutabili. Soprattutto, sarò io ad essere immutabile.
Come potrei mai dimenticarmi della vita che ho vissuto con loro, e riprendere la mia scandalosamente tranquilla esistenza, se ogni giorno mi guarderò allo specchio, senza mai invecchiare, grazie all’Elisir che loro mi hanno dato?
Dimenticare Jared, innamorarmi di altre persone magari… Tutto questo mi sembra impossibile.
Ma l’ho giurato a Shannon. So che se mi hanno esclusa dalla Guerra, e anche dalle loro vite, è solo per il mio bene.
Immagino Jared mentre dice a suo fratello le parole che dovrà riferirmi. Mentre insiste perché io resti fuori dal pericolo in cui loro incappano ogni giorno. Riesco quasi a vedere Shannon che annuisce, e che dice che è d’accordo con lui. Jared che gli dàuna pacca sulla spalla, poi lo abbraccia, prende la valigia, la carica in macchina, e poi parte.
Mi figuro tutto questo mentre le lacrime cominciano a scorrere lungo le mie guance, inarrestabili.
Eppure so che non è ancora tutto perduto. A differenza di quello che Mary ha detto, so che questa Guerra un giorno finirà. Mi aggrappo a quella speranza con tutto il cuore, sperando che non arrivi mai il giorno in cui deciderò di lasciarla volare via, e di scivolare nel buio. La speranza, ora, è tutto quello che mi rimane.
Un giorno, forse, ci incontreremo di nuovo.
 

Jared

 
1 gennaio 2003, ore 00.05
 
Uscii in terrazza, con il bicchiere di champagne ancora in mano. I fuochi d’artificio illuminarono il cielo di Los Angeles, e mi sentii più solo che mai.
Era il primo capodanno che trascorrevo senza Mary. Nel breve tempo che avevamo trascorso insieme, Mary era stata capace di stravolgere la mia vita. Al punto che quando se n’era andata, i colori avevano cessato di esistere. Se guardavo un cielo azzurro, non riuscivo a vedere per davvero quella tonalità luminosa. Vedevo solo un ceruleo pallido. E il calore del sole non riusciva a confortarmi.
Ma il rosso riuscivo a vederlo. Ed era per questo che, quando il tramonto si avvicinava, mi affacciavo alla finestra della mia camera, nel mio appartamento a Los Angeles, e ammiravo il disco dorato sparire tra mille sfumature di rosso e arancione. Il rosso mi ricordava la guerra. Mi faceva pensare al pianeta rosso. Mi faceva sentire a soli trenta secondi da Marte. E mi faceva pensare al mio futuro. Quel futuro che mi terrorizzava, perché non sapevo se ero pronto, ma che rappresentava la mia unica speranza.
Osservai i fuochi d’artificio, inspirando l’aria fredda. Ripensai al capodanno precedente. Improvvisamente, tutto mi sembrò così diverso.
Potevo quasi vedere Mary, accanto a me. Come un anno fa.
 
Eravamo proprio su quella terrazza. Lei guardava il cielo, osservando i fuochi d’artificio, meravigliata.
 -Sembra quasi di essere da tutt’altra parte. Non sembra neanche Los Angeles- disse, con una nota di sofferenza nella voce.
 -Los Angeles è un bel posto in cui vivere- ribattei, mentre passavo un braccio attorno ai suoi fianchi e appoggiavo il mento sulla sua spalla.
 -Forse, ma non voglio vivere qui per sempre. Voglio andare all’estero. In Oriente, se possibile.-
Era di spalle, ma potevo immaginare i suoi occhi illuminarsi, mentre mi raccontava i suoi sogni.
 -Comprerei una piccola casetta nella campagna cinese, e osserverei il tramonto ogni sera. Niente palazzi o edifici a disturbare il paesaggio. Solo un enorme campo coltivato. E un pozzo vicino alla casa- aggiunse, ridacchiando.
 -Ah, non sono incluso in questa visione…- dissi, fingendo risentimento.
 -Non c’è spazio per una fattoria in Cina nella tua vita, Joseph.- Aveva cominciato a chiamarmi con il mio vero nome. E non sapeva quanto ciò mi rendesse felice, e mi facesse sentire a casa.
 -Forse, assieme a te ci sarebbe.-
Lei si girò un poco verso di me.
 -Non ti lascerei mai abbandonare i tuoi sogni. Piuttosto, sparirei e andrei a nascondermi da qualche parte…-
 -E io ti seguirei.- dissi, irremovibile.
Mary rise. Mi diede un bacio sulla guancia e riprese a fissare il cielo.
 -Sei mai stato nella Città Proibita?- mi chiese, all’improvviso.
 -Non ci sono mai entrato. Ma ci sono passato davanti.-
 -Quanto tempo fa?- chiese ancora, ridendo.
 -Uhm… circa settantacinque anni fa. Ero a Pechino con Christopher per affari.-
Sentii Mary appoggiarsi contro il mio petto.
 -La Città Proibita l’ho vista solo in un documentario, ma penso che sia bellissima. Me la immagino di notte, mentre tanti fuochi d’artificio come questi illuminano il cielo. Mi ci porterai, un giorno?- chiese, girandosi all’improvviso verso di me, passando le braccia attorno al mio collo.
Sorrisi e annuii. Anche Mary sorrise, felice. Avrei fatto qualunque cosa per lei.
 
Sentii Shannon avvicinarsi lentamente, e tornai nel 2003, sentendo il cuore tremare per il dolore e la consapevolezza che un momento del genere, con Mary, non sarebbe più tornato. Quando mio fratello mi raggiunse, comunque, mi voltai e gli rivolsi un piccolo sorriso.
 -E così, è cominciato un nuovo anno- dissi.
 -Ti sbagli. È solo un nuovo giorno. Solo che ci sembra speciale. Ma non è cambiato assolutamente nulla, rispetto a cinque minuti fa- rispose, appoggiandosi alla ringhiera. -Però, devo ammettere quest’anno i fuochi d’artificio sono molto belli.-
Risi, e rischiai di strozzarmi con lo champagne che stavo bevendo. La capacità di mio fratello di passare da un argomento all’altro mi spiazzava. Shannon si unì alla risata, vedendomi in quello stato.
 -Sai,- dissi, quando mi fui ripreso. -Sto pensando a qualche nuova canzone.-
 -Di già? L’album è uscito solo da qualche mese. E abbiamo ancora alcune canzoni che abbiamo escluso da 30 Seconds To Mars. Puoi rilassarti, per un po’.-
 -No, non ci riesco. Devo tenermi occupato, e non pensare troppo al resto- aggiunsi, sussurrando. Sapevo che Shannon aveva capito il senso della frase. Infatti, lo vidi irrigidirsi.
Ma non volevo che si rattristasse. Così cercai di fare in modo che pensasse ad altro, e decisi di renderlo partecipe di un’idea stava prendendo forma nella mia mente.
 -Che ne diresti di fare un viaggio in Cina, Shan? Magari facciamo un salto nella Città Proibita.-
Mio fratello si girò e mi guardò, incuriosito.
 -A cosa stai pensando?-
Si sentì un fischio, e un fuoco d’artificio solitario illuminò il cielo. E con un ultimo, grave colpo, esplose, segnando la fine dello spettacolo pirotecnico.
Sorrisi a Shannon, finii lo champagne e mi diressi verso casa.
 -Lo scoprirai, presto.-
 
13 gennaio 2013, ore 11.57
 
 - Si rinnovano le richieste di leggi più severe riguardo il possesso di armi da fuoco. Le recenti sparatorie hanno riaperto il dibattito. Molte le proteste. Si propone l’assunzione di guardie armate nelle scuole oltre che nei luoghi pubblici più frequentati. I genitori insorgono. E nel frattempo si moltiplicano le dimostrazioni di affetto verso le famiglie delle vittime. Vediamo il servizio…-
Odio la musica di sottofondo del telegiornale, e il tono che usano i giornalisti quando annunciano le notizie. Tutto così spudoratamente falso. Le loro facce, contrite da un dolore che non provano davvero, quando parlano di gente che rimane uccisa. Le espressioni di finto biasimo per chi commette un crimine.
Eppure, recitano, proprio come faccio io. Non dovrei odiarli.
Mi alzo dal divano e mi affaccio alla finestra. La baia di San Francisco si lascia ammirare, e sembra così mansueta sotto quel sole pallido. Quanti anni sono passati da quel capodanno trascorso con Shannon, quando uno dei ricordi più preziosi e dolorosi che possedevo mi aveva assalito? Nove? Dieci? O forse, è passato più tempo?
La verità è che ho perso il conto degli anni. La Guerra mi sta consumando sempre più, e non vedo un singolo lato positivo in questa situazione.
C’è sempre l’album nuovo, Jay. Ci sarà un tour. La musica, gli Echelon, ti salveranno anche stavolta.
Forse, avrei potuto rivedere Leehanne, durante una tappa del tour. Mi immagino di vederla tra il pubblico, mentre canto le nuove canzoni. Posso quasi vederla saltare in mezzo a tanti altri Echelon. Posso quasi vederla mentre mi sorride, felice per poter finalmente assistere ad un nostro concerto.
Leehanne mi aveva detto che non aveva mai potuto essere presente ad uno show, e per questo avevo progettato di farle una sorpresa e invitarla nel backstage, in uno dei prossimi concerti. Questa possibilità era però svanita, dopo il 26 gennaio scorso.
Forse sto sbagliando, a tenerla così lontana. Potrei sempre chiamarla. Chiederle come sta. Non la metterei in pericolo.
Con la mente rivivo brevemente l’attentato del 26 gennaio 2012, e tutte le battaglie che sono seguite, all’insaputa dei mass media. Rivedo Mary, mentre mi punta la pistola alla testa. Scuoto la testa, e parlo ad alta voce, quasi come se stessi parlando con un altro Jared, quello appena riflesso nel vetro della finestra.
 -No. Non posso- dico, con estrema convinzione. -Non posso…-
Oltre alla sua sicurezza, c’è il fatto che non sono ancora pronto a rivederla. C’è ancora così tanto da superare… Forse, non riuscirò mai ad andare avanti, e lasciarmi tutto alle spalle. La verità è che la storia di Mary mi ha sconvolto. Vorrei riuscire a fidarmi ancora di qualcuno, ma ora mi sembra impossibile. Il dolore è troppo grande. Posso solo avere fiducia in Shannon e Tomo… non posso più contare sugli altri…
Leehanne invece può. Ha già cominciato a rifarsi la sua vita, a quanto dicono alcuni confratelli che l’hanno protetta per qualche tempo, a sua insaputa.
Leehanne ha il diritto di essere felice. Non posso privarla di tutto quello che possiede, prima del tempo. Tra una quindicina di anni dovrà già affrontare il problema di non invecchiare. Dovrà inevitabilmente separarsi da tutti quelli che ama, a partire dalla sua famiglia, da sua madre. Comunque, averla vicino ricorderebbe a entrambi tutte le cose brutte che abbiamo passato. La perdita dei nostri padri, il tradimento di Mary… No, non sono ancora pronto per rivederla.
Ed è così che rinnovo la mia decisione di chiamarmi fuori dalla sua vita. Comincerai a odiarmi per questo, Leehanne… ma io non smetterò di amarti. Anche nonostante quello che ci hanno fatto Mary e il Presidente. Non riuscirei mai a dimenticarti. Ora non riuscirei a starti vicino, ma comunque non smetterò di pensare a te.
Vorrei quasi che Leehanne avesse modo di sentire questo mio insieme di pensieri così confusi. Faccio un grande respiro, spengo la tv ed esco di casa. La mia “ora d’aria” è finita, e ora devo tornare a combattere.
Abbi cura di te, Lee. Un giorno, forse, ci incontreremo di nuovo.

-


Un capitolo solo e questa storia giungerà alla fine. Ringrazio tutti voi che state leggendo "The Key", chi ha recensito, chi ha inserito questa storia tra le seguite, le ricordate, le preferite, e chi ha commentato questa storia tramite Facebook e Twitter. Il mio account è sempre @Vee_Roxx, se volete farmi sapere che ne pensate, recensite o scrivetemi :)

Il prossimo capitolo sarà pubblicato il 26 gennaio.

Provehito in Altum, continuate a combattere le vostre guerre e non abbandonate mai la speranza.

A presto

Vee

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Capitolo 30
*** Kings and Queens... between Heaven and Hell. ***


Leehanne

 
Sono passati dieci anni. Dieci. Fottutissimi. Anni. Ed oggi, per la prima volta da allora, mi arriva un sms dal numero 6277.

“Ho bisogno di incontrarti. Pontile sud, Los Angeles, 26 gennaio 2022. Sarò lì ad aspettarti. J.”
 
Fisso lo schermo, incapace di prendere fiato.
Dieci anni dall’ultima volta in cui ho visto i suoi occhi. Dieci anni, in cui mi sono tenuta alla larga da tutto quello che portava il nome 30 Seconds To Mars. Niente musica, niente video, niente concerti, niente foto. Nulla. Ho finto di essermi dimenticata i loro visi e le loro voci. Ho finto di non averli mai conosciuti.
Ho mantenuto le promesse fatte a Shannon. Sono tornata da mia madre, raccontandole di aver vissuto a Parigi per tutto il tempo. Ho fornito dettagli che mi sono immaginata mentre le facevo il resoconto della vacanza studio. Ho ripreso davvero la scuola. E mi sono concentrata talmente tanto nello studio che hoottenuto i voti migliori nella mia classe. Mi sono diplomata con il massimo e mi sono iscritta ad un’università lontana da casa. Ho scelto l’Inghilterra. Ho vissuto lì per tutti questi anni, per poi tornare da mia madre negli USA per le vacanze invernali ed estive. Ho conosciuto nuove persone, ma non sono mai riuscita ad innamorarmi di nessuno. Anche nonostante tutti quegli anni senza i Mars, ogni volta che chiudevo gli occhi, pensavo allo sguardo di Jared.
Rileggo ancora il messaggio.
La firma “J”non mi consente di capire se sia “Jared” o “Joseph”. Mi torna in mente il quadro che ho visto nella loro casa in Tennessee, quando mi facevo mille domande riguardo le iniziali “J. D.” e immaginavo che volessero dire “Jared Devour”.
Tantissimi altri flashback mi assalgono. Dieci anni passati a tenerli lontani da me. Dieci secondi perché tutto torni al proprio posto.
Chissà come faceva a sapere che quest’anno avevo deciso di trattenermi più a lungo negli USA, e che mi trovo proprio a Los Angeles per lavoro, mi domando, prima che questo pensiero sia sostituito da una domanda molto più importante.
Andrò davvero ad incontrarlo?
Certo che ci andrò. Mi è bastato leggere il numero 6277 perché sentissi il bisogno di tornare a casa, dai Mars. Non so cosa aspettarmi, ma so che accetterò tutto.
Anche io ho bisogno di vederti, Jared. Ho bisogno di rivedere i tuoi occhi, di sentire la tua voce. Mi manchi così tanto.
 
Alle quattro del pomeriggio mi trovo sul luogo dell’appuntamento. La macchina è parcheggiata non lontano da me. Fa piuttosto freddo, ma non ho intenzione di aspettare in quell’abitacolo: davanti a me c’è l’oceano, e voglio ammirarlo in tutto il suo splendore, e respirare l’odore di salsedine. E se Jared deciderà di non venire… beh, almeno il paesaggio mi consolerà.
Mi perdo ad ammirare quelle acque scure, mosse da correnti forti. Non tengo più conto del tempo che passa e mi chiudo nel mio mondo. Ed è allora che sento qualcuno camminare, così mi volto di scatto.
E lo vedo.
Jared mi fissa, con gli occhi spalancati dallo stupore. Sembra quasi assorto.
Quello che provo è indescrivibile. Vorrei corrergli incontro e abbracciarlo, stringerlo a me, sentire il profumo della sua pelle e starmene lì tra le sue braccia. Vorrei dirgli un sacco di cose, e raccontargli com’è stata la mia vita negli ultimi dieci anni. E fargli moltissime domande. Invece, me ne sto lì ferma, a bocca aperta, ad ammirarlo.
È cambiato. La barba incolta si è un po’ ingrigita, e tra i suoi capelli castani, che ha lasciato crescere, e che porta tirati all’indietro, appare qua e là un capello argenteo. Ci sono delle piccole rughe intorno agli occhi, ma per il resto, è uguale.
Lo stesso sguardo vivo, bruciante, ammaliante, senza tempo, che fa sempre pensare sia ad un bambino, sia ad un uomo che ha visto scorrere i secoli davanti a lui. Lo stesso sorriso, la stessa espressione di meravigliache appariva sempre quando vedeva qualcosa di singolare, o di particolarmente bello.
È vestito semplicemente: un giaccone invernale sui toni del marrone, una sciarpa grigio-azzurra, che fa risaltare il colore meraviglioso dei suoi occhi, dei jeans scuri. Eppure porta gli abiti con tanta eleganza, che anche se fosse vestito di sacchi di iuta sarebbe comunque bellissimo.
Ritorno ad osservare i suoi occhi. Quanto mi è mancata quella sensazione di sprofondare nelle sue iridi, di restare senza fiato davanti a tanta magnificenza.
Jared si avvicina un po’ a me, e alza un braccio per accarezzarmi una guancia, come se avesse bisogno di una prova per sapere che sono reale. Sembra quasi che sia intimorito di vedermi sparire. E lo capisco, visto che è esattamente quello che temo anche io.
Mi lascio sfuggire il suo nome, incredula. Lui sorride e sfiora la mia guancia con il pollice.
 -Tutti questi anni... e sei identica- sussurra, non senza una nota di dolore nella voce. So che si sente colpevole. Pensa di avermi rovinato la vita, dandomi l’Elisir.
 -Ma tu non lo sei. Cos’è successo?-
 -Magie di Hollywood… apparire ancora con l’aspetto di un venticinquenne a “cinquant’anni” non sarebbe stata la mossa giusta per non dare nell’occhio- risponde, con un sorriso, e mimando il gesto delle virgolette. Non sembra stupito dal fatto che fossi sorpresa di vederlo invecchiato. Probabilmente, ha pensato che mi sarei tenuta alla larga da lui e dai Mars, per provare a dimenticare.
 -Sai, questo look ti dona…- dico, sorridendo.
 -Tu dici? Io continuo a preferire lo stile anni ’80.-
Scoppio a ridere, e lui con me. Poi ci guardiamo negli occhi, restando in silenzio. Lo osservo per un po’, e noto che al collo porta ancora la Triad. Ricordo la promessa di Shannon di tenermi lontana dalla Guerra. Se Jared è qui, allora forse tutto è andato per il meglio. O forse si sono arresi, penso, spaventata.
 -La Guerra… è finita, quindi?-chiedo, con un tono di voce incerto.
Jared rimane immobile, poi annuisce lentamente.
 -Quando Nick ha ucciso Mary… beh, abbiamo dovuto vedercela con una serie di nuovi Presidenti. Alcuni di loro si erano autoeletti, così ad un certo punto ci siamo trovati tre o più Presidenti, nello stesso momento. È stato piuttosto stressante…-
Noto che usa ancora quel tono, quando pronuncia “loro”. Mi viene da sorridere.
 -Abbiamo sventato tutti gli attentati che le varie parti avevano organizzato, ed è stato necessario eliminare qualcuno di loro… ma non è stato così difficile. Continuavano a nascere lotte intestine, e si sono uccisi quasi tutti tra di loro. Alla fine, uno è riuscito ad emergere, e ha ottenuto il titolo di Gran Maestro del Grande Occidente…- continua, non senza una nota di ironia. -…e abbiamo trovato un accordo con lui.-
Rimango sbalordita.
 -Cosa? Ma… quei mostri hanno ucciso i nostri padri, e un sacco di altre persone, e voi volevate vendetta…-
Jared mi interrompe.
 -Leehanne, li abbiamo perdonati. Abbiamo passato una vita a cercare di vendicarci, abbiamo sacrificato così tanto… Era tempo di mettere fine a tutto questo- conclude, voltandosi ad osservare il mare.
Non riesco a dire nulla. Sono semplicemente senza parole, ma capisco che è sincero, e capisco anche che ci è voluto molto per arrivare a quella decisione.
 -E poi… ho finalmente capito che c’era qualcosa di più importante di tutto il resto- dice.
Si gira verso di me, guardandomi intensamente. Mi sento avvampare.
Cerco di non distogliere lo sguardo, ma è difficile resistere. Infine cedo, e lo abbraccio forte, nascondendo la testa tra la spalla e l’incavo del collo. Jared ride, e mi stringe a sé.
 -Jared, in questi dieci anni, non è cambiato nulla. E credimi, ho provato a dimenticarti e a costruirmi una vita tutta mia…- dico poco dopo, scostandomi da lui, per guardarlo negli occhi. -Io ho bisogno di te. Voglio te nella mia vita, e non voglio più passare dieci anni così…-
 -Non ho mai voluto che soffrissi, scusami…- mi interrompe.
 -Non scusarti, so che l’hai fatto per proteggermi. …Jared, io ti amo.-
Ora tocca a lui distogliere lo sguardo.
 -Ho sperato ardentemente che in tutti questi anni tu avessi deciso di non vedermi più. Non sai quanto ho sperato che non accettassi l’invito, oggi.-
 -E allora perché hai voluto che ci incontrassimo?-
 -Perché questi dieci anni sono stati una tortura, senza di te.-
Mi guarda, e i suoi occhi sono lucidi. Dopo qualche secondo di pausa, va avanti.
 -Ho… sperato che tu non volessi vedermi per il semplice fatto che non volevo privarti della tua vita, e non volevo metterti di nuovo in pericolo. Ora siamo in pace con gli Illuminati, ma se l’accordo saltasse, e tornassimo a farci la guerra? Come potrei farti vivere ancora un attentato come quello del 26 gennaio di dieci anni fa? Come potrei vivere io stesso, sapendo che ti ho praticamente dato in pasto a loro?-
 -Se la Guerra riprendesse, sono pronta a combattere. Al tuo fianco. E sai che allontanarmi non mi impedirà di agire.-
 -Lo so… è una delle cose che amo di più di te- dice, senza riuscire a nascondere un sorriso.
Rimango in silenzio, soppesando le sue parole. So che è sincero, ma sembra comunque incredibile che lui stia parlando di me.
Jared si accorge del mio silenzio e mi rivolge un nuovo sorriso, ma questo è molto più furbo.
 -Quindi… non hai intenzione di prendermi a calci perché ti ho dato l’Immortalità, e poi ti ho condannata a dieci anni di solitudine?-
Fingo di pensarci su, stando al gioco. -Beh, sui dieci anni di solitudine ho qualcosa da ridire… riguardo l’Immortalità, non è così male come pensavo.-
Si mette a ridere e torna a guardare l’oceano.
-Bene, perché non sono minimamente pentito di averti dato l’Elisir. Non avrei mai potuto lasciarti morire lì. Soprattutto dopo che mi hai salvato la vita…- dice, rivolgendomi un’occhiata. -E poi, non avrei potuto sopportare di sapere che non esistevi più in questo mondo.-
Si avvicina di nuovo a me e mi prende il viso tra le mani.
 -Leehanne… io ti amo.-
Le sue iridi sembrano risplendere, come due pietre preziose. Colmo la distanza tra noi e sfioro le sue labbra con un bacio. Jared mi attira a sé e mi bacia con passione. Sentire ancora le sue labbra mi trasporta immediatamente dieci anni indietro nel tempo, quando ci eravamo baciati per la prima volta nella sua macchina. Rivivo il mio diciottesimo compleanno, la magnifica festa che Jared aveva organizzato per me, la notte trascorsa insieme. Il giorno dell’attentato, la gioia di rivederlo, la paura di perderlo di nuovo, e per sempre. Torno al nostro primo incontro, sempre in quel capannone, ma in circostanze diverse. Al soggiorno a Parigi, alle cene con lui, Shannon e Tomo, alla conversazione telefonica di Capodanno, ai viaggi in aereo che abbiamo condiviso.
Tutti questi ricordi e tanti altri sembrano tornare in vita. Passo le mani sul suo torace, poi salgo e sfioro il collo con le dita. Lui mi bacia ancora, e sento le sue dita attraversare i miei capelli. Poi si allontana un po’ dalle mie labbra, ma rimane comunque lì, vicinissimo a me.
Restiamo fronte contro fronte, ad occhi chiusi, mentre sento il suo respiro sul viso. Lo sento pronunciare il mio nome. Apro gli occhi e trovo le sue iridi azzurre. Ne rimango incantata, come sempre.
E penso che non mi importa se attraverseremo altre dieci, cento, mille guerre. Io sarò al suo fianco, sempre, e lui sarà al mio. Combatteremo insieme, più forti di prima, ci proteggeremo a vicenda e proteggeremo le persone che amiamo.
Combatteremo, in difesa dei nostri sogni, delle nostre vite.
Combatteremo, comunque sia, qualunque cosa accada.
Combatteremo, tra Paradiso ed Inferno.

-

"The Key" è giunta alla fine. All'inizio, la storia doveva solo riguardare la Guerra tra l'Associazione e gli Illuminati, ma mentre scrivevo, mi sono accorta che c'era molto di più dentro, più di quanto potessi immaginare. C'era la fratellanza, l'amicizia, il desiderio di vendetta, il perdono, la voglia di andare avanti, i sogni, gli incubi, l'amore. E ci sono tante altre cose che spero vi siano arrivate.

Vorrei ringraziare uno ad uno tutti coloro che hanno letto questa storia.

Innanzitutto, un gigantesco grazie a IlaMars e a ItsLaylaHere per il sostegno e i consigli. Avete seguito questa storia da più di un anno spronandomi a continuare e a dare sempre il meglio. Vi sono davvero riconoscente.

Grazie a chi ha recensito:

 ItsLaylaHere
 D95_Silvia
 imafuckingmofo
 zetavengeance
 IlaMars
 MartaDreamer
 JustJoy
 Maria_A
 Perfect_Denial
 Ronnie02
 xAriel
 IlaOnMars6277
 Closer to the edge
 Grace kiwi
 Equinox
 Moon10
 bluelilith
 Ila_Chia_Echelon
 balim_hnevz
 iscizu
 heartgranade
 __EleKtra__


 

Grazie a chi ha seguito la storia:


 25lena25
 Alexa Echelon 1D 
 AliceLol 
 almosthero 
 balim_hnevz 
 Bdb 
 bluelilith 
 bulletproofAliz 
 Closer to the edge 
 Doherty21 
 ery_rouge 
 Esme93 
 fanniex 
 fra3 
 Grace kiwi 
 Gun 
 heartgranade 
 IlaOnMars6277
 Ila_Chia_Echelon 
 imafuckingmofo 
 iscizu 
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 JustJoy 
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 Mars_Riot 
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 Ronnie02 
 SaraHasAMission 
 Smartgirl 
 stefaniapisani 
 Tinaechelon 
 Willhay 
 xAlessia 
 zetavengeance 
 _fra5_ 
 _Phobos_ 
 _soonMe 
 _TokiDoki_

Grazie a chi l'ha messa tra le preferite:

 
balim_hnevz
 D95_Silvia
 Equinox
 Fucking Deathwish
 Gee_Echelon
 Grace kiwi
 IlaMars
 JustJoy
 Mars PR_Black Rose
 NikkiFromMars
 TanyaFromMars
 ValeMihara
 Vale_Rose_Mary
 xAriel
 _Phobos_
 _TokiDoki_


Grazie a chi ha messo questa storia tra le ricordate: 

 balim_hnevz
 Mirtale
 xdouglashair


Last but not least, grazie a tutti voi che avete seguito "The Key" fino alla fine. Mi avete dato una forza incredibile. Spero che il finale non vi abbia delusi e che la storia vi abbia appassionato. Lasciate una recensione se vi va, mi piacerebbe sapere la vostra opinione :)

Continuate a combattere e continuare a sognare. Non abbandonate mai la speranza.

Provehito In Altum

Vee


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