Slices of Life.

di DreamWanderer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 3. Piccola Confessione. ***
Capitolo 2: *** 10. Amiche. ***
Capitolo 3: *** 11. Lite di Mezzanotte. ***
Capitolo 4: *** 15. A Te. ***



Capitolo 1
*** 3. Piccola Confessione. ***


Eeeeeeeeeeeed eccomi qua! Con un giorno di ritardo rispetto a quanto avevo promesso in Bottled Up Inside. (colpa del computer, GIURO!!!), ma mi faccio perdonare! Infatti, questo non è il secondo "capitolo" della serie Shards and Shades ma......... è il TERZO! Il secondo, che si intitola "Una Storia Senza Lieto Fine." lo trovate nella storia Of Dream and Desire. nella categoria Romantico della sezione Originali :D
Vi ricordo che la saga Shards and Shades è composta di quattro diverse storie parallele aggiornate a rotazione.
Adesso vi lascio alle vostre letture! Ci risentiamo in fondo :D










3.
Piccola Confessione.


Karen’s PoV

Scuote la testa, Melanie, quando finisco di raccontarle quella storia… una storia che pare assurda persino a me che l’ho vissuta, tanto la sfortuna ci si è accanita fino all’inverosimile.

Poi mi sorride. --Beh, direi che adesso facciamo una bella croce sopra a Ryan!--

Le sue parole mi arrivano all’improvviso, come una frustata, e reagisco istintivamente.

--No.--

Mi pento subito della veemenza, della testardaggine con cui mi è uscito quel rifiuto. Non volevo essere brusca.

Mel mi guarda un momento, e mi sorride ancora. Ed è un sorriso triste, forse perché a visto il tormento nei miei occhi.

--Perché no, Karen?--

Domanda da un milione di dollari.

Come spiegare l’inspiegabile, quando nemmeno io comprendo l’incomprensibile? Come posso anche solo tentare di dare un senso logico all’irrazionale? Come faccio a dirle perché, nonostante tutto, mi senta ancora legata a lui?

Scrollo leggermente le spalle, mentre chino la testa e comincio a torturare la malcapitata panna montata della mia cioccolata calda. Anche se dubito che martoriare quel povero dolce possa in alcun modo aiutarmi a trovare il senso di tutta questa storia.

--Non lo so.-- aggiungo con un filo di voce, come se i miei gesti non fossero riusciti a rendere il concetto.

--Lo ami?-- mi chiede ancora, facendomi l’occhiolino.

Siamo sempre state delle inguaribili romantiche, tutt’e due. Il principe azzurro è sempre stato il nostro sogno, il sogno di tutte. E anche se la vita cambia tante cose, i sogni mutano raramente. Eppure di nuovo la risposta mi esce automatica…

Ed è un altro diniego.

--No.--

Metto in bocca un cucchiaio di panna montata, anche se m’è passata la voglia. Ma il sapore dolce è molto piacevole, e copre in parte l’amarezza che ho sentito invadermi la bocca a quella piccola verità.

--Non credo di amarlo.-- ribadisco, senza alzare gli occhi dalla cioccolata.

--Però ti è entrato dentro.-- obietta lei, e stavolta non posso ribattere nulla.

Perché ha ragione lei.

--Ascolta Karen… non pensi che sarebbe meglio andare avanti? Prova a cercare qualcun altro magari. Non ti sto dicendo di andare col primo che capita, chiaro_-- aggiunge in fretta, notando l’ombra che mi ha sicuramente attraversato il viso. --_ma magari dovresti cercare di dare fiducia ad altre persone. Potrebbe aiutarti almeno a levartelo dalla testa.--

Chiodo scaccia chiodo. Sì, c’ho pensato anche io. Ma non sono capace.

Con un sospiro mi alzo e mi allungo per prendere la sua tazza, ormai vuota. L’avevo fatta mezz’ora fa, quella cioccolata. E la mia è ancora lì.

--Non sono un’illusa. Lo so che non potrebbe essere in ogni caso, che c’era _c’è_ ben poco di romantico o di sentimentale tra noi. Ma mi fa sentire speciale.--

E io, speciale, non mi sono sentita mai. Diversa, quello sì. Ma non in senso buono.

Speciale, invece, mai.

E lui mi ha fatta sentire speciale, mi ha fatto prendere confidenza con quel lato più intimo e ardente di me che prima non avevo mai avuto nemmeno l’occasione di conoscere. E mi ha voluto bene.

Il rumore di una sedia che gratta il pavimento, e due braccia esili che mi stringono. Mel, la mia amica, mi abbraccia, cercando di confortarmi almeno un po’.

--Lo sogni ancora?-- mi chiede, mentre torniamo a sederci.

E io le confesso tutto, in un sospiro. --Qualche volta. E ogni tanto, mentre sono in dormiveglia, mi sembra di averlo accanto a me, di sentire la sua voce o la sua risata, di sentire le sue mani che mi accarezzano.--

Peccato che ogni volta che cerco i suoi occhi mi ritrovi a fissare la parete.

Butto giù un sorso della cioccolata, ormai quasi fredda, ma ancora buona.

Non so cosa darei adesso per condensare tutte quelle pazzie che non ho mai fatto in una singola follia: correre a prendere un’aereo, e volare subito da lui.
Per avere quel tempo, quell’occasione, che la sfortuna mi ha rubato quest’estate.

Vorrei poter mettere un punto a questa storia, sorridere ai ricordi per metterli in un cassetto, e andare avanti. Ma non ce la faccio. E non perché io mi senta persa senza di lui, ma perché ho il terrore che lui possa essere l’unico a volermi bene.

Non sono una sciocca, anzi. Sono un’ingenua, quello un po’ sì, ma sono anche capace di far funzionare la testa. Non sono una bellezza folgorante, ma a curve e tratti sto messa bene, anche a detta degli altri. Porto gli occhiali, ma ormai non è più un marchio d’infamia. Sono timida, sempre troppo buona, ma so anche farmi valere all’occorrenza. Ho una tendenza alla malinconia, ma ho anche un bel sorriso. Non sono niente di speciale, certo, ma non sono nemmeno uno schifo.

Eppure, forse, ho qualcosa di sbagliato.

Perché altrimenti sarebbero troppe le cose che non so spiegare. Per esempio, perché io sia tanto brava eppure io non abbia la minima idea di cosa farne della mia esistenza. Oppure perché, nonostante io abbia una bella vita, io riesca ad odiarne ogni cosa, me stessa in particolare. O perché, nonostante io non sia da buttare, tutti quanti guardino sempre la sorella o l’amica di turno, e mai me.

Ryan è stato il primo a notarmi, a farmi trovare un po’ di pace dalle continue torture e dai ricorrenti rimproveri a cui sottoponevo me stessa.

E io ho il terrore che possa essere l’unico.

Sento gli occhi inumidirsi, il collo scaldarsi, la gola chiudersi. Ma le mie ciglia non lasciano scappare nemmeno una lacrima.

Mi sento sola in questo momento, sola come non mai. Vorrei riuscire a scrivere un po’, almeno per sfogarmi o per distrarmi, ma le parole non vengono. Manca anche la voglia di leggere, e l’MP3 non fa altro che propormi la musica sbagliata. In questo momento, sono davvero l’ombra di me stessa.

Sempre che io sia mai stata qualcosa di più.

Sento Mel sospirare, probabilmente irritata dal mio silenzio assente.

--Andiamo a mettere su un DVD?-- mi propone.

È un’amica, Mel. Ha capito che non riesco a dirle altro, che il mio piccolo momento di confidenza è finito, così cerca almeno di distrarmi. Mi alzo e l’abbraccio forte, cercando di trasmettere in quel gesto tutta la riconoscenza che un semplice “grazie” non potrebbe mai esprimere.

Ci sediamo sul divano morbido, prendendo il telecomando e ci accoccoliamo sotto la trapunta calda. Cominciamo a spulciare la pila di DVD, cercando qualcosa di coinvolgente da guardare. La mia tazza di cioccolata, invece, rimane in cucina.

Mezza vuota.

In quel momento si apre la porta d’ingresso, e mia madre entra in casa. Ci assomigliamo molto, ce lo dicono tutti: stesso colore di capelli, stesse labbra, stessi tratti, occhi simili.

--Ciao ragazze!-- ci saluta con un bel sorriso allegro, le guance arrossate dall’aria frizzante delle giornate d’inverno. --Siete state in casa?--

--Sì, fuori fa troppo freddo!-- rispondo, con un sorriso.

Un sorriso falso, che si tiene alla larga dai miei occhi. Non che importi comunque, visto che le lenti spesse impediscono a chiunque di guardarli davvero quando indosso gli occhiali.

--Stavamo per guardare un film.-- spiega Mel.

--D’accordo. Io sono di sopra a leggere un po’ se avete bisogno.-- ci ricorda, sempre disponibile, prima di appendere la giacca e salire su per le scale.

Noi annuiamo.

--Che ne dici?-- mi chiede poi la mia amica, mettendomi sotto il naso una custodia.

Film d’azione? Perché no.

Lo prendo, e lo metto nel lettore DVD. Poi le immagini riempiono lo schermo, e io le lascio invadere anche la mia mente.

Le mie preoccupazioni non sono scomparse, ma per il momento se ne stanno zitte. Domani torneranno, lo so, ma adesso non riesco a darci peso. Forse stanotte non riuscirò a dormire, ma adesso non ci penso. Adesso ci sono solo la mia amica, un bel film da commentare in compagnia e un po’ di dolce nello stomaco.

E, ora come ora, questo basta.








Angoletto!

Già, Ryan non ha mantenuto la sua promessa, e non è riuscito a rivedere Karen. Infatti, Karen odia le promesse. Qualcuno di voi si aspettava che l'avrei fatta andar male tra loro? :D
Che altro dire... spero di leggere un commento, e spero che qualcuno di voi abbia voglia di seguire tutte le storie :)
Vi lascio qui i titoli e dove trovare le storie (se dovesse essere confusionario, potete sempre cercare la serie Shards and Shades sul mio profilo :D)

1. Bottled Up Inside.: Originali > Introspettivo

2. Of Dream and Desire.: Originali > Romantico
3. Slices of Life.: Originali > Generale
4. From a Friend's Eye.:
Originali > (o Introspettivo o Generale, non ho ancora deciso ^-^''')

Il prossimo capitolo della saga lo troverete in Bottled Up Inside.
E... questo è tutto!


Ultima nota personale: se qualcuno ha voglia di essere sempre aggiornato sugli sviluppi delle mie storie, ecco il link della mia pagina-autore su Facebook:
DreamWanderer

Un bacio a tutti!
;*

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Capitolo 2
*** 10. Amiche. ***


10.
Amiche.

(Cheer Up, My Friend)





Karen’s PoV

Inspira, espira.

Me lo ripeto in continuazione, mentre stringo con forza le mani sul volante. Cerco di stare tranquilla, ma guidare… anche su questa autostrada dritta e sgombra, non mi fa impazzire. L’ho passata bene la patente, ma mi devo ancora abituare a sedermi dietro a un volante.

--Karen, rilassati! Stai andando bene.-- mi rassicura Selene, ridacchiando.

Io sbuffo, ma sorrido mio malgrado. --La fai facile te, guidare ti piace!--

La mia amica ride al tono semi-isterico della mia voce, trascinando anche me.

--Metti un po’ di musica va’, così penso meno alla paura.-- le dico, e lei subito si mette a scartabellare tra i CD per scegliere qualcosa da infilare nel lettore.

Riesco a intravedere velocemente la scritta sul disco: HIM. Sorrido mentre la musica parte, pensando che me lo sarei dovuto immaginare. Sel si rilassa contro il sedile, godendosi le note che riempiono l’abitacolo.

--Ancora non so come hai fatto a convincermi.-- borbotta per l’ennesima volta, ma lo vedo che è contenta.

--Mia cara, non potevo lasciarti tornare a spaccarti la schiena come se niente fosse dopo che a momenti mi svieni nel bel mezzo di Piazza Garibaldi.-- obietto, senza durezza.

Per un secondo rivedo i suoi occhi blu farsi grandi, mentre si porta una mano alla testa e trema leggermente. Il palo dietro di lei era stato provvidenziale, altrimenti mi sarebbe finita lunga distesa sul marciapiede della piazza. Per fortuna era stato solo un calo di pressione, dovuto alla stanchezza e allo stress a cui era stata sottoposta negli ultimi giorni. Ci ho messo una vita, a convincerla che doveva staccare un pochino. E adesso, approfittando di questa settimana di vacanza interamente fortuita, dopo aver trovato qualcuno che potesse prendersi cura delle cose a casa sua per questi pochi giorni, la sto praticamente costringendo a staccare.

--Ma almeno adesso me lo dici, dove mi stai portando?--mi chiede di nuovo, come ha fatto per mezz’oretta ormai.

Ha cominciato quando ho fatto una tappa a Pontremoli, per andare due minuti in pasticceria a prendere qualche amorino.

--Ti porto al mare, Sel.--

Al mare, dove ho una casetta. Dove per una settimana scarsa potremo non pensare a famiglie dispotiche o cuori spezzati. Dove potremo comportarci tutt’e due come le ragazze giovani che in fondo, molto in fondo, siamo.



Selene’s PoV

Mi piace questo posto. Lerici. È una piccola città sulla costa ligure, in una zona chiamata Golfo dei Poeti. Ci sono tante casette a schiera arroccate sul mare, tutte colorate. Il castello, più una rocca che un castello in realtà, si erge a un estremo del lungomare e si specchia con una seconda rocca, quella di San Terenzo, il paesino dall’altro lato della baia.

Karen ha un piccolo appartamento, ed è qui che mi ha portata. Ha parcheggiato la macchina in piazza, nella zona carico-scarico, e abbiamo portato i bagagli di sopra. La casa è veramente piccina: due stanze da letto, un bagno, soggiorno unito alla cucina, e un corridoio.

La prima cosa che ho fatto, non appena ho messo piede nel piccolissimo appartamento, è stata correre sul balcone. La vista è bella, mozzafiato. La casa è a breve dalla spiaggia, come tutte le case di qui del resto, e si vede il mare. Si sente il mare, anche nel profumo un po’ salato che impregna la fodera del divano.

Karen nota il mio entusiasmo, e sorride. Poi prende la mia valigia, bloccando sul nascere tutte le mie proteste, e mi accompagna oltre la prima porta del corridoio.

--Ti sta bene dormire qui?-- mi chiede, appoggiando i miei bagagli sul grande letto a due piazze che occupa la stanzetta.

Annuisco distrattamente mentre osservo gli intarsi nel legno dell’armadio, l’unico elemento di arredamento a parte la mensola sopra il letto.

--È la stanza dei miei, e quella in cui non c’è nemmeno un po’ di umidità.-- mi spiega, sorridendo. --Ho pensato che ti ci saresti trovata bene.--

La guardo con gratitudine, e lei scrolla le spalle con leggerezza.

Anche dalla finestra della stanza si vede il mare. Socchiudo appena le imposte e subito un refolo di vento fresco e morbido mi sfiora il viso, come una carezza. Mi volto, e vedo che la mia amica si sta gustando il contatto con l’aria forse anche più di me.

--Metti pure la roba dove vuoi, tanto qui è tutto vuoto.-- mi dice, riprendendosi dal momento di tranquillità. --Il bagno è infondo al corridoio. Io vado a litigare con la caldaia!--

La mia risata accompagna la sua uscita.

Svuoto le valigie in fretta, riempiendo un po’ il nulla che occupa le mensole e i ripiani dell’armadio. Le lenzuola del letto sono fresche e pulite, per niente umide, e sorrido quando vedo le stampe dei delfini che le ricoprono.

Poi noto i pochi piatti appesi alla parete, proprio sotto il punto in cui si attacca al soffitto. Devono essere i “famosi” Piatti del Buon Ricordo, quelli che Karen detesta in modo così aperto e cordiale.

Torno nel salottino all’ingresso, e trovo la mia amica che sta sistemando alcuni bagagli con un’espressione soddisfatta sul viso.

--Com’è andata con la caldaia?-- le chiedo, prendendo l’amorino che mi offre.

Sono buoni questi dolcetti. Quadrati biscotti wafer, un po’ più piccoli del palmo di una mano, riempiti da uno strato di crema pasticciera. Lei ne va matta, tanto da aver messo in programma una sosta a Pontremoli solo per passare a prenderne un po’.

--Ha fatto i capricci come al solito.-- sbuffa, mentre attacca la presa delle casse del suo iPod. --Questa casa sarebbe tutta da rifare, ormai ha vent’anni rotti.--

Rido ai suoi borbottii, ricordando quello che mi stava dicendo in macchina; i suoi hanno comprato la casa ancora prima che lei nascesse, quindi ormai gli elettrodomestici hanno il loro tempo. Hanno dovuto già ricomprare il frigo appena qualche mese fa perché era completamente andato.

Karen si abbraccia le spalle da sola, facendo scivolare le mani lungo le braccia con fare infreddolito.

Nonostante sia già aprile e l’aria stia cominciando a scaldarsi, qui in casa fa ancora freddo. I muri sono gelidi, perché è da quando è stato cambiato il frigorifero che nessuno è più venuto qui a riscaldare un minimo queste piccole stanze. Mi ha detto che sarebbe dovuta venire sua sorella Jen il mese scorso, ma ha avuto dei contrattempi e non ce l’ha fatta.

--Ti senti di andare a mangiare fuori?-- mi chiede. --Così intanto la casa si scalda un po’ e noi mettiamo sotto i denti qualcosa di più di quella miseria che c’è in frigo.--

Sorrido alla sua espressione stizzita a causa del freddo, ma in realtà nemmeno io mi sento molto a mio agio. Perché si tratta di quel freddo umido e sgradevole, quello che impregna sia i vestiti che le ossa, e che fa sembrare appiccicosa persino la pelle.

--Per me va bene.-- affermo mentre un sorriso furbo si disegna sulle mie labbra. --Ho visto un posto che si chiama “Fuoco e Fiamme”… pensi che potremmo andare lì?--

Lei ride di gusto assieme a me, rallegrata dai miei occhi che si stanno sicuramente accendendo di entusiasmo solo per il nome di quel posto.

Annuisce col capo. --Certo che sì! È un bel ristorante: la pizza è buona, la pasta non è affatto male, e costa poco. Dammi solo il tempo di accendere il deumidificatore e alzare il riscaldamento al massimo che poi andiamo!--

Ci sistemiamo appena, chiudiamo il tutto e ci fiondiamo nel ristorante prescelto. In effetti il posto è bello. Le sale dove si cena al chiuso danno sulla piazza, con finestre enormi chiuse da grandi vetri puliti, sorretti da intelaiature di caldo legno rossiccio. L’intonaco è di quell’ocra scuro, reso ancora più suggestivo dalle lampade aranciate. La pizza è buona, e ci riempie talmente tanto che decidiamo di fare a meno del dessert; ci mangeremo gli amorini a casa più tardi.

Poi Karen mi porta a fare quattro passi sul lungomare, un ampio marciapiede di un chilometro e mezzo che collega Lerici a San Terenzo. Costeggia tutte le spiagge, e il profumo del mare e la risacca delle onde non abbandona nemmeno un momento della nostra passeggiata. Il posto è ben illuminato, e entrambi i castelli arroccati a strapiombo sul mare sono un tripudio di luci dorate che si riflettono sulle acque morbide che invadono ritmicamente le spiagge che abbiamo intravisto durante questo giro.

Chiacchierando, arriviamo fino al castello da l’altro lato della baia, e lei mi porta a vederlo. Sono solo un paio di rampe di scale per accedere alla prima delle tre torri, e le facciamo con calma visto che in teoria sarei ancora convalescente. Ma questa passeggiata, presa con tanta calma e accarezzata da questo bel venticello salmastro, ha un non so che di rinvigorente.

E la vista è una meraviglia. Nel buio della sera, il castello di Lerici spicca contro la coltre scura del cielo. Le casette a schiera dei due paesini brillano come una via lattea di stelle luminose, e anche i lampioni che bordano il lungomare proiettano un flebile, tremulo riflesso sulle onde avvolgenti.

--Voglio portarti anche dietro i castelli, ma quello lo facciamo domani.-- mi dice, una volta tornare a Lerici. --C’è troppo buio adesso, non ti godresti la vista.--

Annuisco sorridente mentre lei gira le chiavi nella serratura. Oggi è stata una giornata di viaggio e passeggiate, e non mi sento nemmeno io di mettere troppo alla prova questo maledetto corpo traditore.

Entriamo in casa, e mi godo la lieve carezza del delicato tepore che ci accoglie. Temevo un forno, contando che il riscaldamento è stato al massimo fino ad ora, e invece non si sta affatto male. Appoggio una mano sui muri e li trovo freschi, ma non più umidicci e gelidi come prima di cena. Karen regola il termostato, soddisfatta come un gatto con un gomitolo di lana, e mi lascia il primo turno del bagno mentre lei va a disfare la sua valigia.



Karen’s PoV

--SONO LE UNDICI MENO UN QUARTO!!!--

Lo strillo di Sel mi fa sobbalzare sul divano, tanto che mi cade il libro dalle mani. A malapena cinque secondi dopo, il tornado rosso che è la mia amica fa irruzione nel soggiorno, ancora in pigiama, con un’espressione confusa e assolutamente sconvolta sul viso affilato.

E io scoppio a ridere come una perfetta idiota.

--Che ti ridi, iena?! È quaranta minuti che mi rigiro pacificamente nel letto! Quaranta minuti!! Poi mi sono alzata, ho guardato l’orologio e ho visto che segnava le undici meno un quarto! Le undici meno un quarto!!-- sbotta. --Perché non mi hai chiamata?--

Io ovviamente rido ancora di più. Ormai ho le lacrime agli occhi, il che in realtà è un vero sollievo visto che ho addosso queste cavolo di lenti a contatto che oggi non ne vogliono sapere di far pace con l’aria salmastra di qui.

--Hai dormito bene allora.-- dico tra una crisi di ridarella e l’altra, e lei mi fulmina con lo sguardo. --Rilassati Sel! Sei qui in vacanza, ricordi? Non me ne frega niente se ti alzi alle undici meno un quarto. Se ti va adesso possiamo andare a fare colazione.--

--Ma ora che scendiamo saranno le undici passate! Non hai ancora mangiato?!--

Questa donna è in crisi isterica.

Alzo gli occhi al cielo. --Va beh, se non ti va di fare colazione possiamo vestirci con calma e poi a mezzogiorno andiamo a farci un brunch. So che “Al Borgo” di San Terenzo hanno qualche brioche anche a quell’ora.--

Mi guarda stralunata come se avessi appena detto un’eresia. E a me torna la crisi di ridarella.

--Dai Sel, tranquilla! Lo so che sei abituata a ritmi più serrati, ma ti ho trascinata qui per rilassarti, non per buttarti giù dal letto alle otto di mattina!--

La sua espressione sconvolta evapora lentamente fino a diventare un sorriso tenero e intenerito insieme.

--Su, adesso vai in bagno mentre io mi vesto così poi ti faccio vedere le spiagge dietro i castelli come ti ho promesso ieri sera!-- dico, accompagnando un gesto di “sciò” con la mano per enfatizzare il concetto.

Tre quarti d’ora e passa dopo questo divertentissimo modo di iniziare una giornata, siamo entrambe sedute davanti al borgo con due belle tazze di tè caldo, due brioches a testa, biscottini, e un paio panini leggeri in stile toast da mangiare più tardi con calma.

--Non ti facevo così golosa.-- mi punzecchia sorridendo, accennando alle mie brioches con crema di riso e cioccolato fondente.

Io sfodero la mia faccia di bronzo migliore. --Non ho mai il tempo di fare colazione fuori, queste sono praticamente le mie scorte per l’inverno.--

E Sel scoppia a ridere, non so bene per cosa. Forse per la mia espressione menefreghista, praticamente introvabile sul mio viso, o forse per la frase da perfetta cretina, o forse per l’allegria che le mette addosso quest’atmosfera rilassata.

Spazzoliamo come si deve la colazione, lasciamo un po’ di mancia a quella povera cameriera disgraziata che si è subita i nostri scleri durante questo sostanzioso brunch, e poi la porto dietro il castello di San Terenzo.

Qui c’è un’insenatura con tanto di spiaggia e bar arroccato sulle pareti scoscese, il “Vertigo”. Saliamo per prenderci qualcosa di fresco da bere per accompagnare i panini-piadina di prima, e poi la porto ancora oltre l’insenatura. C’è una piccola scogliera, che qui chiamiamo “la torretta”. Non è altro che una grande roccia a strapiombo sul mare, che dista un tuffo di un paio di metri circa dalle onde forti ma non violente. Ci sediamo lì appena all’inizio della scogliera, apprezzando il calore della roccia scura sotto le nostre mani e quello del sole d’aprile sul viso.

--È uno dei miei posti preferiti.-- le dico, la testa ancora reclinata all’indietro per godermi sia i raggi delicati che i ricordi. --Con i nostri amici ci venivamo spesso, prima che la compagnia si sfaldasse. Una volta mi sono tuffata anche io. Una sola però, perché per salire bisogna o farsela a nuoto fino alla spiaggia o scaldando quello scoglio là.-- le spiego, indicandole uno scoglio a strapiombo sul mare con i bordi ricchi di appigli, ma anche molto irregolari. --È praticamente impossibile venirne fuori senza tagli. E visto che io ero riuscita a risalire con due graffi leggeri non ho voluto ritentare la sorte.--
Sel ascolta il mio racconto, gli occhi blu come l’oceano persi a cercare di dare una forma alle nuvole di panna montata che attraversano occasionalmente il cielo limpido.

Prima di tornare al lungomare facciamo due passi sulla spiaggia, sentendo tra le dita le onde lunghe del mare primaverile.

Quando arriviamo dietro al castello di Lerici, la guardo sorridere incantata alle insenature che si intravedono dalla spiaggetta sassosa sul lato della rocca. Approfittiamo del resto del pomeriggio per cercare qualche conchiglia e mettere ancora i piedi in acqua, e poi andiamo a comprare due cose per riempire il frigo.

Il supermercato è vicino per fortuna. È piccino, essenziale, ma riusciamo comunque a fare provviste per sopravvivere qui per una settimana. L’unico neo è che dovremo razionare gli amorini. Quando glielo dico scoppia giustamente a ridere di gusto.

Più tardi, giusto prima che cali la sera, vedo che osserva con disappunto il cielo leggermente annuvolato.

--Dovrebbe venire un po’ grigio per i prossimo tre o quattro giorni, anche se le previsioni mettevano variabile.-- le dico, e la guardo imbronciarsi.

--Vengo al mare e s’annuvola.-- sputa tra i denti, un po’ piccata. --Niente giro alle Cinque Terre, se c’è brutto i traghetti non vanno.--

--Vorrà dire che ripeteremo la gita a Lerici.-- sorrido io. --Comunque, ho portato il lettore DVD. Poi abbiamo anche i Piatti del Buon ricordo da tirare, la tombola, il monopoli e le carte da gioco. Per non parlare del telefono.--

Mi guarda perplessa, senza capire che diamine c’entri il telefono in questo elenco di giochi d’emergenza. Il mio sorriso si allarga, diventando quasi un ghigno furbo.

--Visto che stai qui una settimana, perché non chiami qualcuna delle tue amiche e vedi se può raggiungerci?--

Quando mi salta addosso per la contentezza, io ringrazio di essere seduta sul divano; perché se fossi stata in piedi, ora come ora sarei stata trasformata in una polpetta di gatto spiattellata sul pavimento!







Angoletto!

Sarò breve, perdonatemi, ma è colpa del mal di testa fulminante che mi trascino dietro da stamane :'(

Prima di tutto mi scuso, mi scuso immensamente per tutto il tempo che è passato dall'ultima pubblicazione di Shards & Shades. L'unica cosa che posso dire è che, tra tempo e meritatissima depressione post-vacanze, non ho davvero avuto voglia di riprendere questa serie in mano. E, a dirvela tutta, non ci sono nemmeno riuscita. Ci sarebbe dovuto essere un altro capitolo prima di questo, ma dopo 4 mesi senza essere riuscita a scriverlo ho deciso di posticiparlo. È solo rinviato, promesso :)

La seconda cosa è una dedica: ranyare, questo è tutto tuo, anche se lo sapevi già <3


Risponderò a tutte le recensioni per lo scorso capitolo, "Incanto di Neve.", domani appena ho un minuto, perché ci tengo a ringraziare quelle parole che mi avete lasciato.

In ultimo, vi ricordo come al solito la mia pagina:
DreamWanderer ~EFP

Chicos, vi saluto, e vi lascio con una promessa: non passerà più tanto tempo tra un aggiornamento e l'altro! Il prossimo capitolo lo troverete sempre qui, a "Slices of Life.", domenica prossima. E presto tornerò anche a farmi viva nelle recensioni :)

Un grazie a chi è arrivato fin qui.
;*

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Capitolo 3
*** 11. Lite di Mezzanotte. ***


11.
Lite di Mezzanotte.




Karen’s PoV

È capodanno, e stiamo festeggiando. Siamo tutti nella casa di campagna di Luke, e la prima cosa che ho fatto è stata piantarmi di fronte al fuoco scoppiettante nel camino.

Tutto sommato, la festa è tranquilla. C’è un po’ di buona musica, tanto spazio sia per ballare che per sedersi e rilassarsi, una porta isolata che i fumatori possono attraversare nel caso abbiano voglia di una sigaretta, un bel camino acceso e il riscaldamento al massimo. L’unica abbondanza è rappresentata dall’alcol, ma nemmeno quell’elemento è poi così eccessivo: dopotutto, è capodanno.

Personalmente, sto detestando ogni minuto di questa festa.

Ci sono tutte, ma proprio tutte le persone con cui avrei evitare di dover interagire. A parte Luke, che non credo riuscirò mai a perdonare del tutto, ci sono anche Mary e Judith. Ovviamente, Andrew non poteva mancare al quadretto, e la sua espressione rispecchia tutto il disagio che probabilmente ha attraversato i miei occhi non appena ho realizzato il casino della situazione in cui mi ero andata a cacciare. Ma ormai ci sono dentro, quindi tanto vale ballare.

--Vuoi qualcosa da bere?--

Mi volto di scatto, e mi trovo davanti un ragazzo dai capelli biondicci che mi porge un bicchierino. Ha un vassoio in mano, quindi immagino che sia uno degli amici di Luke che si occupa di tenere alto il morale di tutti gli invitati.

L’odore dell’alcol mi arriva subito alle narici, inconfondibile: vodka pesca, la mia preferita. Soppeso lo shot con lo sguardo, inclinando appena la testa di lato.

Perché no, in fondo?

Accetto il bicchiere e ringrazio il tipo con un mezzo sorriso di circostanza. Quello ricambia ampiamente, e se ne va a scocciare __pardon, a tirare su di morale__ qualcun altro. Io mi volto di nuovo verso le fiamme, mentre mi bagno appena le labbra con il corto drink alcolico.

È pure buona. A me piace il modo in cui si mescolano il sapore pungente dell’alcol forte e quello fruttato della pesca dolce. E poi, io reggo meglio gli shot piuttosto che i drink.

Una volta, mi ero bevuta pian piano una bella mezza bottiglia di vodka ma stavo bene. Avevo pure bevuto un po’ di acqua calda e limone per scongiurare la nausea, ed era andata giù come tè caldo. Mi era bastato un bicchiere di coca-cola e rum per avere vertigini, vista annebbiata, scarso controllo sul corpo… inutile dire che neanche mezz’ora dopo avevo rimesso anche l’anima. L’alcol leggero, o mescolato con roba normale, mi dà fastidio. Quello puro invece mi fa pure sentire bene. Meno male che in generale bevo poco e molto raramente, sennò il trapianto di fegato era già da mettere in agenda. Butto giù quello che resta della vodka, e sospiro per svuotarmi i polmoni dall’aroma dell’alcol.

--Come va?-- mi chiede Andrew, affiancandomi nella mia vacua contemplazione delle braci.

Io nemmeno mi giro a guardarlo. Con la coda dell’occhio vedo che si tiene un po’ a distanza da me. Non mi offendo, anzi, condivido la mossa e la trovo saggia. Considerando il casino che il mio aver bisogno di un suo consiglio aveva scatenato, è meglio se ostentiamo una certa distanza.

--Potrebbe andare peggio, immagino.-- rispondo moderando il tono di voce, giusto quanto basta perché lui possa sentirmi e perché il chiacchiericcio copra le mie parola a chiunque altro possa passare per caso.

Ho la tendenza a parlare forte, me lo dicono spesso. Mi viene naturale, e spesso non me ne accorgo. Qualche volta, tra me e me, ci rido su: ho letto una storia in cui si raccontava che quando si alza la voce, significa che il proprio cuore si sente distante da quello dell’interlocutore; magari vuol dire che il mio cuore si sente distante da tutto il mondo.

--Vedo che ti diverti.-- mi canzona Andrew, accennando al sorrisetto ironico che mi è fiorito sulle labbra.

Io ghigno, ricordando una delle nostre tante chat alle due di notte. --Sai benissimo che i miei pensieri sanno essere parecchio divertenti.--

Lo sento ridacchiare, probabilmente ha seguito lo stesso filo dei miei ricordi.

Si schiarisce appena la gola. --Sai, mi dispiace vederti qui sulle tue. Perché non ti siedi con noi? Almeno stai un po’ in compagnia.--

Il mio sorriso muore.

--Non penso sia il caso.-- mormoro, sospirando.

--Judith ormai non ci pensa più, e Mary non è così stupida da mettersi a fare una scenata supportata solo dai castelli che si è fatta da sé.-- mi rassicura.

Non riesco a controllare la smorfia che altera i tratti del mio viso. --Non sarei a mio agio. Non mi piace fingere cordialità, mi sembra sempre di essere falsa e ipocrita.--

Lui storce la bocca con disappunto. --A Judith non farà piacere.--

--Doveva pensarci prima di pugnalarmi alle spalle.-- ribatto, scrollando le spalle.

C’è tanto di quell’astio, nella mia voce, che non mi stupirei se il fuoco cominciasse a morire.

--A te invece come va?-- gli chiedo, per cambiare discorso.

--Sto facendo del mio meglio per sopportare.-- replica lui, e uno scatto nervoso delle sue dita mi fa capire quanto poco si senta a suo agio. --Avevo promesso ai miei amici di passare capodanno con loro, quindi quando si sono uniti alle due oche per venire alla festa di Luke non mi sono voluto rimangiare la parola.--

È molto corretto Andrew, come me. Sono convinta che questo pregio sarà la nostra rovina, prima o poi… perché alla fine i bastardi se la godono, e gli onesti si prendono i rimproveri per aver cercato di fare le cose come si deve. Così va il mondo, immagino.

--Tu piuttosto, che ci fai qui?-- mi chiede sorpreso.

Io scrollo le spalle. --Non mi andava di stare a casa da sola. I miei sono andati fuori a cena, mia sorella è in montagna con amici e fidanzato… insomma, ho accettato l’invito per disperazione. E poi, non mi andava di sorbirmi le domande di Judith.--

È stata proprio lei, a invitarmi qui. Da quando le ho mandato quella lapidaria mail di scuse per un fraintendimento che avevamo avuto __e che lei ha interpretato come un chiedo venia per tutto quello che pensava avessi fatto__ sta cercando di tornare a fare l’amicona con me e a impicciarsi dei fatti miei.

Io cerco di tenerla alla larga il più gentilmente possibile, ma a volte diventa talmente insistente che sono costretta a concederle qualche piccola verità.

Un’unica perla di verità, in mezzo a tutte le bugie che le racconto per tenerla lontana dalla mia vita. Mi sento un rifiuto tossico ogni volta che lo faccio, e allora mi ripeto che ne va della mia sanità mentale. Il che, probabilmente, è anche vero.

--Sai, le feste a cui ero andato per disperazione poi sono state quelle a cui mi sono divertito di più.-- mi dice confortante, porgendomi un altro shottino di vodka pesca.

Io lo accetto con un cenno di ringraziamento, sorvolando discretamente sul fatto che non mi ero nemmeno accorta che si fosse allontanato un momento, tanto ero presa dal mio rancore.

Stavolta, lo butto giù senza tentennamenti.

L’alcol mi scende lentamente nella gola, caldo. In realtà, quando bevo non lo faccio per bisogno o per sete: lo faccio unicamente per questa lieve scia di calore e per il breve giramento di testa che mi causa il bere qualcosa a goccia. Per un momento, mi concentro solo su quelle sensazioni e riesco a scordarmi dei miei pensieri.

Mi lascio sfuggire un mugolio soddisfatto dalle labbra, prima di buttare il bicchiere di plastica vuoto nel cestino lì accanto. Mi stampo un bel sorriso sulle labbra e mi volto verso Andrew. Lui sembra spaesato dal mio cambio d’umore, e la cosa mi diverte.

Sono un po’ lunatica, lo ammetto, ma in realtà voglio solo difendere la mia reputazione di ragazza solare. Mi sono concessa questo momento di malinconia davanti al caminetto, ma adesso è il momento di rientrare in scena indossando la mia maschera migliore: un bel sorriso.

--E ora, con permesso, vado a fare un giro di danza!-- trillo con voce serena, e mi avvio quasi saltellando verso lo spazio che è stato sgomberato per fare da pista da ballo.

Sento Andrew borbottare un “che tipa!”, e mi viene da sorridere ancora di più. Mi piace comportarmi con questa semplicità, perché so che mette allegria. Sia al mondo, che a me: è più facile portarsi dei pensieri cupi sulle spalle se si ha un bel sorriso stampato in volto.



Andrew’s PoV

Quando balla, Karen cambia radicalmente.

E la cosa migliore, è che non se ne accorge nemmeno.

L’avevo già vista lasciarsi andare una volta, quando stavo ancora con Judith, e ricordo di essere rimasto parecchio sorpreso.

Karen è poliedrica, strana. Quando balla, è come se la parte donna e quella bambina che si contendono un pezzo della sua personalità trovassero un modo per fondersi. I suoi movimenti sono sempre semplici, eseguiti con un candore che incanta, ma allo stesso tempo le morbidezze del suo corpo tutt’altro che infantile attirano come una calamita.

È bella, lei, anche se non si rende minimamente conto dell’effetto che può fare certe volte. È quel tipo di bellezza semplice, quasi banale, eppure impreziosita da un’innocenza di fondo che lascia spiazzati. Lei non si sforza di sedurre, quando balla: semplicemente, ha un bel corpo e le piace muoverlo bene. Non pensa, ai pensieri indecenti che io invece vedo tratteggiarsi nei lineamenti di chi la fissa.

Quando balla, Karen balla sola.

Si muove aggraziata al centro di un cerchio impreciso disegnato da quei morti di __sonno, per non dire volgarità__ che la stanno a guardare, che ogni tanto la spingono appena per esortarla a non smettere, sempre con gesti abbastanza controllati, mai violenti, anche se un po’ invadenti.

Nessuno osa avvicinarsi a lei più di tanto, interrompere i suoi movimenti modellati sulla musica in cui cerca di immedesimarsi con tutta sé stessa. Perché per quanto possa essere invitante, con le curve piene e i vestiti attillati, c’è un candore strano in lei, un candore gelido, che allo stesso tempo spinge a volerle stare alla larga. Il paradosso, è che invece è una persona gentilissima, sorridente per la maggior parte del tempo, brillante, timida, e tanto buona.

Tutti le danno spesso della piccolina, della bimba, e tutte le volte lei alza gli occhi al cielo. Lo fa scherzando, addirittura è la prima a ridere di questi epiteti carini, ma qualche volta mi sembra quasi che… le pesino. Forse, perché una parte di lei, quella più matura, non apprezza tanto di non essere mai riconosciuta.

Quando balla, Karen ricorda al mondo quanto sia donna.



Karen’s PoV

Mi lascio cadere su un divanetto, ancora sorridente. Distendo le gambe affaticate, e appoggio la testa all’indietro.

Mi piace ballare, anche se non sono molto brava. Intendiamoci, mi so muovere a tempo, ma le mie doti di danza si esauriscono lì. Mi piacerebbe essere brava davvero, e poter fare passi veri e coreografare brevi canzoni, ma la verità è che non ci sono proprio tagliata!

Rialzo la testa e scorgo Andrew mimare un applauso silenzioso. Io lo ringrazio con un cenno del capo.

Lui è uno di quelli convinti che io sia una grande ballerina. A voler guardare in faccia la realtà, sono una semplice ragazza che ha preso qualche lezione di danza moderna e che sa fare i movimenti giusti per valorizzare il proprio fisico.

Gli altri dicono che mi sminuisco. Personalmente, penso che dare a me della ballerina significhi sminuire il concetto stesso di danza intesa nel senso di arte.

Punti di vista, immagino.

--Complimenti, sei una vera ballerina!-- esclama un ragazzo.

Io rispondo con un cenno di cortesia, molto distaccato, ma dentro di me rido: se mia sorella Jen sentisse questi qui che mi danno della ballerina, comincerebbe a tirare le sue scarpette da danza, quelle con la punta… fa danza classica da dieci anni, come darle torto? Personalmente mi considererei offesa anche io!

Considero per un attimo l’idea di andarmi a prendere un altro sorso di vodka per ritemprarmi un po’, ma rinuncio. Non mi va di bere, e ora come ora sto bene così. Non ho voglia di esagerare, ho già ingerito alcol a sufficienza tra i bicchierini di prima e quelli sorseggiati mentre ballavo. Mi sento allegra, anche se ancora lucida, e tanto mi basta.

--Ti vedo stanca. Che ne dici di fare un giro, tanto per cambiare un po’ aria e schiarirti le idee?-- chiede qualcuno.

Si tratta dello stesso ragazzo che mi aveva offerto la vodka prima, quello con i capelli biondicci. Considero un momento la sua offerta, prendendomi il tempo per valutarla: l’impulsività mi fa sempre fare danni.

È il sentirmi addosso gli sguardi di diversi ragazzi, a convincermi ad accettare la proposta: mi va di allontanarmi per un po’.

Faccio un breve cenno al biondino, e mi alzo con calma. Lui annuisce contento, e mi porta al piano di sopra della casa.

Nella mia maledetta ingenuità, non do il minimo peso al sorrisetto che vedo passare sul volto di Luke.

Il ragazzo mi indica una porta infondo al corridoio che parte dal pianerottolo in cima alle scale.

--Quella lì è la stanza degli ospiti.-- mi spiega. --Se vuoi stare lì per riprendere fiato un momento, fai pure.--

Io annuisco sollevata, e lui mi sorride per poi tornare al piano terra, dove la festa non accenna a freddarsi. Mi avvio verso la camera che mi ha indicato e la raggiungo in pochi passi.

Quando socchiudo la porta alle mie spalle, tiro un sospiro di sollievo. In effetti la stanza è molto tranquilla, e della musica non arrivano altro che echi ovattati. C’è anche un bel letto dall’aspetto morbido, quindi se al massimo mi viene voglia di stendermi posso farlo. Ora come ora, però, preferisco bere un bel sorso di semplice acqua.

Vado nel bagno collegato alla camera e apro il rubinetto. Prendo qualche sorso dalle mani a coppa, e comincio a sentirmi già un po’ meglio: più lucida, quasi rinfrescata.

Mi lascio distrarre da quello che mi sembra il rumore di una porta che si chiude. Mi sporgo appena, ma l’armadio a muro mi copre la visuale e mi impedisce di vedere chi è entrato. Mi stampo in volto un sorriso di cortesia e ritorno nella stanza degli ospiti per vedere chi c’è; probabilmente, qualcun altro un po’ intontito che vuole riprendere fiato per un momento.

Quando i miei occhi si fissano sulla persona, però, mi gelo sul posto.

Di fronte a me, davanti alla porta, c’è Luke.



Luke’s PoV

La guardo bloccarsi all’improvviso, e ghigno come un idiota.

Ha un sorriso cristallizzato sul viso, ma le emozioni che si alternano rapidamente nella tensione dei suoi lineamenti palesa quanto fosse una semplice espressione di cortesia. Ha le mani strette a pugno, le spalle irrigidite. Persino le pieghe dei vestiti che aderiscono perfettamente al suo corpo morbido, quel corpo che poco fa ha saputo incantare mentre ballava, sembrano essersi congelate.

Quanto era bella, quando ballava. L’avevo già vista, quando Judith cercava di farmi mettere con lei, e io l’avevo fissata con lo stesso sguardo trasognato con cui l’ho guardata prima. Né oggi, né allora, ho avuto il coraggio di avvicinarmi a lei più di tanto, di toccarla. Vedevo i suoi occhi che brillavano, completamente persi nella musica da discoteca che riecheggiava in modo assordante.

Ora, ha gli occhi cupi.

Non sono mai riuscito a leggerli, quegli occhi, e non ci riesco nemmeno ora che le lenti a contatto hanno sostituito gli occhiali spessi. È un po’ frustrante.

Ma è rimasta bella, delicata. Non riesco a capire come possa quel visetto angelico celare tutte le emozioni che si alternano velocissime nei suoi occhi. È come se non mostrasse nulla, assolutamente nulla, e io mi ritrovo disposto a pagare non so quale cifra per riuscire a leggerle nella mente. Quando volevo stare con lei, a volte, non so cos’avrei dato per sbatterla con forza contro un muro e prenderla fino a farle male, fino a spezzare quella maschera dolce con cui cela ogni altro sentimento, per poterla finalmente capire, per poterle finalmente leggere dentro. Mi rendo conto di essere stato, e di essere, al limite dell’insofferenza verso quell’atteggiamento posato. Avevo cercato di fare le cose con calma, perché si fidasse di me. E cosa avevo ottenuto?

Picche.

Mi arrabbio di nuovo, se ci ripenso, e ora come ora non va bene: ora come ora, devo cercare di mantenere la calma.

--Cosa vuoi da me?-- sibila, e la temperatura sembra scendere all’improvviso tanto è il gelo che spira da lei.

--Ciao anche a te.-- ribatto con ironia, ma lei non coglie minimamente la provocazione. --Sto cercando solo di fare un po’ di chiarezza. Non c’è bisogno di mettersi sulla difensiva.--

Il suo sguardo si fa più sottile, affilato come una spada. --Non hai imparato che a voler fare chiarezza si incasinano le cose? Perché se vuoi ti ricordo cos’è successo a me quando ci ho provato.--

Sbuffo, e alzo una mano verso di lei per accarezzarle i capelli e sminuire la situazione a cui si riferisce. Lei indietreggia di due passi buoni.

--Sta’ lontano da me, Luke. È colpa tua, se adesso per loro sono una puttana.-- sputa, velenosa come una vipera, gli occhi che potrebbero uccidere.

Puttana. Non mi piace quella parola, e so che non piace nemmeno a lei, ma in questo momento mi fa capire una cosa: è ancora arrabbiata, addolorata per tutto quello che è successo.

E io non riesco a capire perché.



Karen’s PoV

Sento l’ira e il rancore scorrermi nelle vene, peggio di un veleno che infetta rapidamente tutto il corpo diramandosi attraverso il sistema circolatorio.

Sono furiosa, con lui e con me stessa.

Con me stessa, per la mia maledetta ingenuità.

Con lui, perché è anche colpa sua se ho perso tutto quello che avevo in questa città, è colpa della sua incapacità di capirmi. Per un semplice tentennamento, ha cercato di farmi arrabbiare per avere una mia reazione. Non aveva pensato, che ci sarei rimasta male. Non aveva pensato, che avrei rifiutato categoricamente i suoi ossessivi tentativi di rifilarmi le sue patetiche scuse. Immagino che non avesse minimamente considerato anche quanto avrei potuto sentirmi usata quando sono venuta a sapere che appena una settimana dopo si era messo con Mary.

E io non avevo pensato che proprio Mary, la mia amica Mary, mi avrebbe dato della puttana per aver tentato di parlare con lui e appianare l’imbarazzo che lui si sentiva ogni volta che ci incrociavamo. Non avevo messo in conto che Judith, qualche mese dopo, avrebbe dato ragione a Mary, lasciandomi sola.

Alzo lo sguardo su di lui, arrabbiata per tutto quello che ha causato la sua infantile presa di posizione, e trovo le sue iridi scure che cercano di leggermi nel volto e negli occhi, che cercano di carpire i miei pensieri e violare i miei sentimenti.

Io non mi sento minimamente toccata, da quello sguardo.

Lui non ci può arrivare, dentro di me. Non ha gli occhi abbastanza intensi. Non ha gli occhi abbastanza affilati, perspicaci, acuti. Semplicemente, non ha gli occhi giusti.

--Cosa vuoi?-- ripeto, cercando di controllare il tremito delle mie mani, in un patetico tentativo di non mostrarmi eccessivamente sconvolta da questo confronto.

--Voglio solo cercare di capire.-- ribadisce, guardandomi dritto in viso.

Il mio atteggiamento si ammorbidisce un po’: mi sembra sincero, e decido di concedergli il beneficio del dubbio.

--Bene.-- dico, decisa. --Allora chiedi.--

--Cos’è successo con Andrew?-- comincia, e io m’irrigidisco di nuovo.

Domanda sbagliata.

--Ma a te che ti frega?-- sbotto, di nuovo irritabile: diciamo che, se potessi scegliere, questo non è un argomento di cui vorrei parlare con lui. Cominciamo malissimo…

--Voglio sapere se sei davvero diventata una… poco di buono.-- si spiega, allarmato dalla mia reazione stizzita.

Ah ecco. Mi pareva che fosse strano che fosse mosso da genuino interesse. Piuttosto, è mosso dalla curiosità che gli è venuta dalle voci che ha sentito, quelle messe in giro da Judith e Mary.

Una piccola parte del mio cervello coglie il suo tentativo di mantenere un registro di conversazione più cauto, più formale. Peccato che in questo momento, tra un po’ d’alcol nel sangue, la rabbia nel cuore e l’imprevedibilità di questa conversazione, io non sia in grado di regolare il mio atteggiamento su questa lunghezza d’onda.

Sento gli angoli della mia bocca sollevarsi in un ghigno piccolo piccolo, poco rassicurante. Vedo lui irrigidirsi alla mia reazione, e le sue labbra si stringono per la stizza che gli provoca il mio sorrisetto.

--E se anche fosse?-- soffio con arroganza, del tutto incurante della sua scarsa stabilità emotiva, in quel momento.

È un attimo, e mi ritrovo sbattuta con forza contro il muro alle mie spalle.

Dannazione. Mi sono lasciata prendere dal rancore al punto da scordarmi quanto questo mio atteggiamento indifferente e trasognato lo faccia infuriare. Soprattutto, non ho minimamente tenuto conto del fatto che non è nemmeno lucido: l’ho visto bere, prima, non tanto da stare male, ma abbastanza da essere piuttosto brillo. E Luke tende a diventare cattivo, quando non riesce ad avere con le buone quello che vuole in un determinato momento. Mi è già successo una volta, ma allora mi aveva ferita a distanza, con parole mirate a farmi arrabbiare, facendomele arrivare per conti terzi. Adesso, non credo che me la caverò con qualche offesa.

Cerco di divincolarmi, ma sono infinitamente più debole di lui. Lo vedo sorridere soddisfatto, mentre mi immobilizza alla parete con una mano sola, schiacciandomi con il suo corpo. Mi guarda negli occhi, ma purtroppo so benissimo che non riuscirà a leggermi dentro, che non riuscirà a trovare né il timore né la verità che risiede in essi.

Purtroppo per me.

E infatti lo vedo stringere le labbra, irritato. E quando sento la sua mano libera premere contro il mio fianco, tanto da farmi male, capisco che ha intenzione di pretendere con le cattive le risposte che cerca.

--Karen, adesso rispondimi. Mi sto alterando.-- mi avverte, la voce che trema.

Sarebbe meglio se parlassi, se ingoiassi l’umiliazione e gli raccontassi la verità. A fermarmi, però, non è l’orgoglio: è lo shock, è la paura, a chiudermi la gola. Non riesco ad emettere il minimo suono, nemmeno volendolo: la mia voce è rimasta intrappolata chissà dove.

--Karen.-- ripete, il tono più alto, e mi stringe tanto forte da farmi un male assurdo.

Gemo, gemo per il dolore che mi provoca la sua presa, tanto salda da bloccarmi quasi la circolazione. Miseria se è forte.

Ma è grazie a quel gemito che la mia voce finalmente si sblocca. Sento la gola secca, le parole mi escono lievi e stentate quando cerco di raccontare. Ma almeno escono, e questo basta.

--Con Andrew è stato tutto un malin_-- inizio, ma mi scuote con violenza, facendomi urtare la testa contro la parete.

--Voglio la verità!-- sibila.

Mi interrompe, non mi permette di spiegare. Non mi crede, non mi crederebbe nemmeno se riuscissi a dirgliela, la verità. Non gli importa davvero di quello che ho da dire, vuole solo una conferma delle voci che ha sentito dagli altri. Si fida più di loro, che della diretta interessata.

Una lacrima mi scivola lungo la guancia, una lacrima di frustrazione e di dolore, una lacrima che vorrebbe giustizia.

Luke la nota, e mi guarda confuso: non capisce. È quella incomprensione, più di tutto, a farmi arrabbiare di nuovo, a spingermi ad urlargliela in faccia, la verità, in totale contraddizione con quella che lui ha già dato per scontata.

--LUKE CAZZO, SONO VERGINE!--

Finalmente, la presa si allenta un po’. Altre lacrime, che ricalcano il solco della prima, scendono a rigarmi il viso senza lasciare possibilità di dubbio riguardo a quello che ho appena affermato.

--Sei… vergine?-- balbetta, completamente incredulo.

Io riesco solo ad annuire, senza riuscire a fermare questo pianto lieve, senza singhiozzi, e lui mi lascia andare. Mi faccio scivolare contro la parete, sorprendentemente spossata dalla confessione che gli ho urlato, finché non mi ritrovo seduta a terra. Lui è ancora in piedi, davanti a me, con un’espressione stupita in volto.

--E… loro lo sanno?-- s’informa, imbarazzato.

--A… a Judith l’avevo detto.-- tentenno appena nel rispondere, rossa in viso, mentre altre lacrime colano lungo le mie guance: sono lacrime di dolore per i ricordi, e di sfogo per lo spavento che mi sono presa.

--Ma perché ti danno della puttana, allora?-- mi chiede, confuso.

La voce esce da sola, debole, stanca di tutta quella storia. --Avevo chiamato Andrew perché avevo un po’ di pensieri, e volevo il suo parere perché quello di Judith non mi bastava. Loro si erano già lasciati, e quando mia sorella ha detto a Judith che eravamo usciti lei ha pensato che il mio fosse un tentativo di mettermi con il suo ex. Mi ha scritto qualche mail di insulti. Io allora l’avevo rimossa dal mio social network e lei si è offesa, e per non peggiorare la cosa le ho mandato una mail dicendo che l’avevo fatto per sbaglio. Mi ha risposto tutta trillante dicendo amiche come prima, e io le ho mentito dicendo che era tutto a posto perché ero stanca di tutto questo casino.--

--Ma la voce era già andata in giro, e lei non l’ha mai smentita.-- completa lui per me. --Per questo continui a starci male per tutta questa storia, per questo non vuoi stare in nostra compagnia: non perché ti senti in colpa, ma perché soffri…--

E la voce gli muore, al pensiero di quanto possa pesarmi quest’ingiustizia, al pensiero di quanto possa pesarmi la decisione di non dire nulla per non ricombinare un casino completamente superfluo.

Sì, soffro.

Io nemmeno annuisco, tanto l’affermazione è retorica, e comunque sembra che stia parlando più con sé stesso. Lo sento inginocchiarsi di fronte a me, senti il suo respiro sui capelli.

--Karen, mi dispiace tantissimo, non volevo farti male, davvero, io pensavo_-- balbetta, e mi sfiora piano la testa.

Apro gli occhi di scatto, mi ritraggo al contatto, scaccio la sua mano, e lo spingo lontano da me. Non voglio che mi tocchi, voglio che se ne vada, voglio che mi lasci in pace. Detesto quando si comporta in questo modo, quando fa del male e dopo dieci minuti appena ritratta ogni suo singolo gesto, e non riesco a tollerare di averlo vicino in questo momento, con questo suo atteggiamento così infantile.

Lo guardo, e vedo che è tornato in sé stesso, vedo che adesso è calmo. Tanto meglio, anche se non fa poi tutta quella differenza.

--Karen…-- tenta ancora, ma io lo blocco con un cenno della mano.

--Va’ via.-- dico, lapidaria.

Lui cerca di avvicinarsi, di confortarmi, di scusarsi, ma io ripeto le stesse identiche parole che ho appena pronunciato. Lo vedo ritrarsi, dispiaciuto, e mi ci vuole un secondo per capire perché sembra anche un po’ sconvolto.

Perché ho urlato.

La porta si apre, e vedo Adrew sulla soglia. L’effetto dell’intrusione è immediato: abbandono i singhiozzi, blocco le lacrime che ancora cercano di sfuggire alle mie ciglia, asciugo quelle che già l’hanno fatto, liscio con un gesto le pieghe della gonna mentre mi alzo.

--Meno male che le serate a cui si partecipa per disperazione sono quelle a cui ci si diverte di più.-- ironizzo. --Se mi diverto un altro po’ finisce che mi butto dalla finestra.--

Andrew alza un sopracciglio, un po’ divertito dalla mia uscita, mentre fa scorrere lo sguardo da Luke a me.

--Tutto a posto?-- chiede, insospettito dai miei occhi arrossati.

--Certo.-- risponde immediatamente Luke. --Stavamo solo chiarendo due cose.--

Andrew mi guarda di traverso, poco convinto.

Io annuisco, e faccio un gesto leggero con la mano per fargli capire che non mi va di parlarne.

Non ho voglia di altri casini stasera, ne ho avuti già abbastanza. Ci manca solo una sfuriata tra questi due, più una faida tra loro, Mary e Judith. No, non credo di avere la forza per affrontare tutto questo nel giro di poche ore.

Perciò, semplicemente, taccio.

Tanto lo so che ne riparleremo, Andrew non è per niente convinto che vada tutto bene. Onestamente, mi chiedo come potrebbe non notarsi visto che ho sicuramente un aspetto piuttosto turbato, per non dire sconvolto. Ma non stasera. Domani forse, o dopo. Basta non stasera.

--Adesso vattene, Luke.-- sputo con rancore, cercando di fermare quel gioco di sguardi colpevoli e indagatori, un gioco che mi porterebbe solo altri guai.

Lui annuisce, l’espressione ancora contrita, e se ne va. Io tiro un sospiro di sollievo quando la porta si chiude, e mi lascio cadere sul letto morbidissimo. Qualche secondo dopo mi sento affondare, e capisco che Andrew si è seduto a poca distanza da me.

--Karen, è davvero tutto a posto?-- mi chiede. --Hai una faccia…--

--Ho sempre la mia solita faccia.-- scherzo io, poi mi volto verso di lui --Abbiamo solo discusso un po’.--

Lui capisce le mie reticenze, non insiste. --Ti lascio stare solo se mi assicuri di stare bene.--

Lo guardo negli occhi. --Sto bene.--

Annuisce. --Va bene allora. Perché adesso non ti riposi un po’? Sennò ti riaccompagno a casa.--

Lo fermo con un cenno. --Mi riposo. Tanto ho detto ai miei che dormivo qua insieme a Judith.--

--Vuoi che resti?--

Lo osservo di sbieco, già in guardia, ma nei suoi occhi scorgo solo una genuina preoccupazione.

Scuoto il capo. --No, non c’è bisogno. Anzi, è meglio se vai giù. Se qualcuno ti chiede qualcosa, dì che sto morendo dal mal di testa per un goccio d’alcol di troppo.--

Lui mi sorride, complice, poi se ne va. Io mi stendo per bene sul letto e allungo un braccio per spegnere le luci. Scalcio via le scarpe e mi intrufolo sotto le coperte, completamente vestita. Mi accoccolo per benino e chiudo per un po’ gli occhi.

Sola, finalmente.

Non mi piace starmene sulle mie, ma adesso mi serve. Ho bisogno di calmarmi, per ricostruire la mia maschera a forma di sorriso prima di tornare di sotto. Mi sono presa un bello spavento prima, ma tutto considerato non mi dispiace di essermi chiarita con Luke. Almeno adesso c’è qualcun altro che sa la verità, e io sento di aver ottenuto un po’ di quella giustizia a cui tengo tanto.

Stasera va bene così. Potrebbe andare meglio, certo, ma stasera va bene così. È questo ciò che mi ripeto, mentre soffoco il pensiero che Luke abbia deciso di affrontarmi solo perché volesse fisicamente prendermi, per avere la sua rivalsa.







Angoletto!

Aaaaah, ritardo ritardo ritardo!
Chiedo perdono ^^'''''' ho vissuto questi giorni scorsi tra treni e valigie (e piume, ma sorvoliamo) e proprio il tempo di mettersi lì a sistemare questo capitolo proprio non l'ho avuto.

Comunque, ecco a voi: a pochi giorni di distanza da Halloween, un bel capitolo su una festa di Capodanno! Che dire, sono un mostro di tempismo -.-

Come tanti altri, questo è un capitolo vecchio, scritto lo scorso capodanno, quando le ferite di Luke e Judith ancora bruciavano come sale nel petto della mia Karen. Vi tranquillizzo subito, Luke non l'ha mai sbattuta contro un muro, non le ha mai fatto del male fisico: questo capitolo salta fuori esclusivamente dalla mia immaginazione. Per viso di quel tesoro di Andrew, che ritroveremo più volte, vi rimando come al solito alla mia pagina su FB:
DreamWanderer ~EFP

Beh, non c'è molto altro da dire. Il prossimo capitolo lo troverete su una nuova storia che va a comporre il quarto elemento di questa saga, "From a Friend's Eye.", ovvero Karen vista da un PoV particolare, in cui la voce narrante pare rivolgersi a lei usando il tu, quasi le stesse parlando. La cosa che vi anticipo: si va a un concerto!

Spero che questo capitolo (bello lungo *o* soddisfazione personale!) vi piaccia :)

Un bacio a tutti voi, che siete arrivati sin qui.

;*

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Capitolo 4
*** 15. A Te. ***


15.
A Te.




Karen’s PoV

Quando ho letto il titolo della canzone e ho sentito le prime note, ho capito che tutta quella storia sarebbe finita male. Sia per me che per lui. Mi sono sentita uno schifo a liquidarlo, mi sono sentita ancora peggio quando l’amico a cui ho scritto per farmi coraggio non riusciva a inquadrare la situazione, e ho pianto chiudendo i singhiozzi in gola fino a… non me lo ricordo nemmeno, che ora ho fatto.

So solo che i due giorni successivi sono stati un supplizio. Mi sentivo in colpa, mi sentivo a disagio, e lui non mi aiutava. Si vedeva che cercava di trattarmi con i guanti, e di mantenere una certa distanza allo stesso tempo. Si vedeva che stava male.

Maledizione, Nick.

La rabbia è venuta dopo. All’improvviso quasi, ha cominciato a crescere lentamente dietro tutto il senso di colpa che ho covato per quel paio di giorni. E poi è esplosa, facendomi sentire sì in colpa, ma anche umiliata, in un certo senso, e offesa. È esplosa, quando ho risentito per caso quella canzone.

                                                                                                                                A te che sei l'unica al mondo
                                                                                                                                L'unica ragione per arrivare fino in fondo
                                                                                                                                Ad ogni mio respiro
                                                                                                                                Quando ti guardo
                                                                                                                                Dopo un giorno pieno di parole
                                                                                                                                Senza che tu mi dica niente
                                                                                                                                Tutto si fa chiaro

Io e Nick viviamo lontani, lontanissimi. Come può considerarmi il motivo di respirare quando non mi ha mai nemmeno baciata? Come può dire che la sua giornata ha senso quando mi vede, se ci vediamo a malapena due volte l’anno?

Insensato.

                                                                                                                                A te che mi hai trovato
                                                                                                                                All'angolo coi pugni chiusi
                                                                                                                                Con le mie spalle contro il muro
                                                                                                                                Pronto a difendermi
                                                                                                                                Con gli occhi bassi
                                                                                                                                Stavo in fila
                                                                                                                                Con i disillusi
                                                                                                                                Tu mi hai raccolto come un gatto
                                                                                                                                E mi hai portato con te

Sarà anche un ragazzo disilluso nei confronti dei sentimenti, Nick, ma io di sicuro non ho mai fatto nulla per dimostrargli che esiste una ragione per credervi. E di certo non mi sono mai presa cura di lui come se fosse stato un micio. Anzi. Non ci vediamo quasi mai, e ci sentiamo ancora meno. Come diamine avrei fatto a trattarlo come se fosse il mio gattino, quando sto a chilometri di distanza senza nemmeno scrivergli una volta al mese?

Illuso.

                                                                                                                                A te io canto una canzone
                                                                                                                                Perché non ho altro
                                                                                                                                Niente di meglio da offrirti
                                                                                                                                Di tutto quello che ho
                                                                                                                                Prendi il mio tempo
                                                                                                                                E la magia
                                                                                                                                Che con un solo salto
                                                                                                                                Ci fa volare dentro l'aria
                                                                                                                                Come bollicine

L’avesse almeno cantata, questa canzone. Che squallore, quella sera… dopo avermi presa da parte e aver passato un mezz’ora a tentennare borbottando di continuo “te lo dico, no, non te lo dico, no no aspetta, te lo dico, no, scusa, non ce la faccio” si è alzato e mi ha allungato il suo lettore musicale dicendo solo “questa mi fa pensare a te”. Che idiota, santo cielo.

Infantile.

                                                                                                                                A te che io
                                                                                                                                Ti ho visto piangere nella mia mano
                                                                                                                                Fragile che potevo ucciderti
                                                                                                                                Stringendoti un po'
                                                                                                                                E poi ti ho visto
                                                                                                                                Con la forza di un aeroplano
                                                                                                                                Prendere in mano la tua vita
                                                                                                                                E trascinarla in salvo

Quando mai, quando mai, lui ha visto la mia debolezza o la mia forza? Ha visto la mia rabbia e la mia serenità, d’accordo, ma mai ha anche solo intravisto una mia lacrima. Perché io non mi faccio mai vedere davvero da chi incontro poco. Lui ha visto il mio riflesso, ha visto solo quello che voleva vedere, e ha deciso che ero io.

Superficiale.

                                                                                                                                A te che mi hai insegnato i sogni
                                                                                                                                E l'arte dell'avventura
                                                                                                                                A te che credi nel coraggio
                                                                                                                                E anche nella paura
                                                                                                                                A te che sei la miglior cosa
                                                                                                                                Che mi sia successa
                                                                                                                                A te che cambi tutti i giorni
                                                                                                                                E resti sempre la stessa

Cosa ne sa lui, di come cambio io giorno per giorno, se nemmeno ci sentiamo ogni sera? Non sa quello che passo giorno per giorno, non sa né quello che faccio, né quello che penso. Non mi ha mai chiesto qualcosa sui miei gusti musicali, non sa che scrivo, non sa nemmeno cosa mi fa soffrire e cosa invece mi fa piacere. Dà per scontato che io sia ancora la ragazzina che ha conosciuto tanti, troppi anni fa.

Prepotente.

                                                                                                                                A te che non ti piaci mai
                                                                                                                                E sei una meraviglia
                                                                                                                                Le forze della natura
                                                                                                                                Si concentrano in te
                                                                                                                                Che sei una roccia sei una pianta
                                                                                                                                Sei un uragano sei l'orizzonte che mi accoglie
                                                                                                                                Quando mi allontano

Non sa niente di me. Forse nemmeno gli importa saperne tanto, altrimenti sarebbe stato più delicato. Altrimenti non avrebbe ammesso lui stesso che sapeva perfettamente che la storia tra noi non era possibile, ma che per quei giorni voleva comunque provarci. So io, cosa voleva lui da me. E sono quasi certa che non fosse qualcosa di sentimentale.

Menefreghista.

                                                                                                                                A te che sei l'unica amica
                                                                                                                                Che io posso avere
                                                                                                                                L'unico amore che vorrei
                                                                                                                                Se io non ti avessi con me
                                                                                                                                A te che hai reso la mia vita
                                                                                                                                Bella da morire
                                                                                                                                Che riesci a render la fatica
                                                                                                                                Un immenso piacere

Non mi vuole bene. Mi vuole e basta. Perché se mi avesse voluto bene, non mi avrebbe convinta ad andare a stare in montagna da lui con l’inganno, mentendomi dicendo che avrebbe dato una festa con i suoi amici. La festa c’era, ma si è scordato di dirmi che non era più la sua, bensì una cena con degli amici dei suoi. Se mi avesse voluto bene, sarebbe stato leale e non mi avrebbe messa a disagio in quel modo. Mi sono sentita in trappola.

Codardo.

                                                                                                                                A te che sei il mio grande amore
                                                                                                                                Ed il mio amore grande
                                                                                                                                A te che hai preso la mia vita
                                                                                                                                E ne hai fatto molto di più
                                                                                                                                A te che hai dato senso al tempo
                                                                                                                                Senza misurarlo
                                                                                                                                A te che sei il mio grande amore
                                                                                                                                Ed il mio amore grande

Certo. Sono il suo grande amore. Talmente grande che ha cominciato a guardarmi quando mia sorella si è messa con un ragazzo fisso. Prima, io nemmeno esistevo, ero solo “la sorella di Jen”. Adesso che Jen si fidanza, lui comincia a vedere anche me. Quale grazia divina, ora sì che mi sento proprio lusingata.

Falso.

                                                                                                                                A te che sei
                                                                                                                                Semplicemente sei
                                                                                                                                Sostanza dei giorni miei
                                                                                                                                Sostanza dei sogni miei
                                                                                                                                A te che sei
                                                                                                                                Semplicemente sei
                                                                                                                                Compagna dei giorni miei
                                                                                                                                Sostanza dei sogni miei

Spero di non averti rovinato i sogni, caro Nick. Tu non provi davvero ciò che invece trasmette “A Te” di Jovanotti. E io sono rimasta offesa, quando mi sono resa conto che mi hai dedicato una canzone del genere senza averla ascoltata con il cuore, senza che ci fosse identità tra le parole e i tuoi sentimenti nei miei confronti, non per davvero. Tu ti sei fermato alla mia apparenza, alla mia somiglianza con Jen, e hai pensato che bastasse.

Sbagliato.

Io non sono una bambola. Sono una persona. Sono complicata, sono lunatica, e so anche diventare lievemente venefica se mi si infastidisce nel momento sbagliato. Ho dei sentimenti, dei quali a te evidentemente non importa altrimenti ti saresti preoccupato di come mi sarei sentita una volta scoperta la presa in giro con cui mi hai costretta qui, o di quanto sarei stata male sapendo di causarti dolore. E non sono particolarmente incline a diventare la ragazza-surrogato scelta con superficialità a causa di una somiglianza di uno che non riesce nemmeno a interessarsi di come sto giorno per giorno.

Perciò adesso sto seduta qui, a fare i conti con rabbia e dolore, con risentimento e dispiacere. Perché a prescindere da come sia andata, io ho dovuto lasciare alle ortiche un’amicizia, forse leggera, che in realtà non mi dispiaceva.

Sto seduta qui, a fare i conti con un mondo che non capisce. Che pensa che la mia reazione sia completamente fuori luogo, che invece dovrei sentirmi lusingata e accettare la tua proposta. Non ce ne importa niente, del fatto che tu non mi piaccia affatto in quel senso.
Che vada tutto a quel paese, il mondo.







Angoletto!

Già, scommetto che ormai non ci speravate più... Onestamente, non ci speravo più neanche io.
Non vi abbandono, people.

Stay tuned
;*

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