Empire di glorietta (/viewuser.php?uid=102265)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Futuro Libero ***
Capitolo 2: *** freddo ***
Capitolo 3: *** L'amarezza di un nome ***
Capitolo 4: *** Incertezza ***
Capitolo 5: *** IL TEMPO NEL VUOTO ***
Capitolo 1 *** Futuro Libero ***
Futuro libero
Erano ormai passati dieci anni da quando Eragon aveva trionfato su Galbatorix, tuttavia gestire la pace si era dimostrato complicato quanto guerreggiare e sul mondo di Alagaësia non splendeva sempre il sole. Oh c'era stato un periodo di serenità tuttavia lo sforzo di molti non bastava per ricoprire ciò che sarebbe stato lo sforzo di tutti.
Col passare del tempo i popoli che abitavano Alagaësia avevano cominciato a chiudersi nei propri territori e anche se non c'erano ostilità nell'aria si avvertiva un certo nervosismo. La decisione di Nasuada nel voler comandare i maghi si era dimostrata assai impopolare, molti dotati di poteri magici erano scappati altrove, sotto governi meno oppressori, altri si sottomisero.
Gli elfi, tutti dotati di poteri magici giudicarono oltraggiosa la decisione della regina, anche i nani pur rispettandola non aderirono, gli uragali erano impegnati a tenere a freno il loro sangue caldo,poco interessati a quello che succedeva nel resto del mondo.
Due figure si stagliavano nel deserto proiettando la loro ombra oltre la duna di sabbia che stavano attraversando: una donna dall'aspetto stravagante e un gatto anche esso dall'aria strana.
“Forza Solembum il sole è già alto e abbiamo ancora molta strada da fare” il gatto fissò la donna con occhi penetranti prima di trasformarsi in quello che poteva sembrare un piccolo essere umano,poi rispose “Non capisco cosa sia tutta questa fretta,sono anni che stiamo con i nani, facendo vita tranquilla e sul più bello che mi ci abituo tu mi scaraventi qui,in mezzo al deserto. Voglio una spiegazione!”.
“Esiste un bosco nei territori del clan di Orik, il bosco di pietra, se ti fossi degnato di seguirmi, anzi che stare a casa e oziare ora non dovrei darti mille spiegazioni! E' una meraviglia e poi dov'è finito l'interesse che voi gatti mannari nutrite per tutto e tutti? Io proprio non so cos....”
“Cosa è successo in questo bosco?”
“E' maleducazione interrompere le persone quando ti rimproverano, oh beh ho tutto il viaggio per farlo, allora, ecco, lì ho avuto una visione” tagliò corto la donna ma ad un'occhiata del gatto aggiunse con un sorriso amaro “Eragon e Saphira faranno ritorno”.
”Pensavo che il ragazzo ti piacesse nonostante il poco senso dell'umorismo, dovresti rallegrartene! ”
“Non è perché Eragon torna che ci siamo messi in viaggio, ma quello che potrebbe essere il perchè del suo ritorno. Sarei felice di vedere il ragazzo e il drago, tuttavia sento che non troverei la stessa persona.”
“Avevi predetto loro che una volta lasciata Alagaësia non vi avrebbero fatto più ritorno!”
“Lo sai bene che ne ero convinta, di rado sbaglio, l'unica cosa che posso pensare è che per Eragon e Saphira il futuro sia molto più libero da predizioni rispetto a molti altri. I tempi stanno cambiando Solembum. Da quando Nasuada ha deciso di catalogare i maghi circolano strane voci, ancora sussurri, ma è meglio giocare d'anticipo e poi un po' di pepe nella vita non fa male.”
“Stiamo rincorrendo voci?”
“ Beh qualche fatto anomalo è accaduto lo sai...”
“Parli del nuovo consigliere di Orrin o dell'ostilità che gli elfi nutrono per Nasuada?”
“Anche tra i nani la cosa non è piaciuta se è per questo. Ho delle domande a cui dare risposta. Siamo nel bel mezzo della quiete...prima della tempesta.”
Sazio di informazioni il bambino si ritrasformò in gatto, era dunque venuto il momento di accompagnare Angela la veggente.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** freddo ***
FREDDO
Freddo,
tutto intorno a lui era freddo, il fuoco che aveva acceso con tanta
facilità non bastava a riscaldarlo, non che non fosse abituato
alle basse temperature, erano anni ormai che viveva in mezzo alla
neve e alle vette delle montagne. Per lui e il suo compagno, tuttavia
non risultava difficile, erano stati abituati a cose ben peggiori e
anche se avrebbero potuto vivere in qualunque altro luogo molto meno
ostile, avevano deciso che solo un posto del genere poteva placare il
fuoco che scorreva loro nelle vene.
Le
colpe da espiare erano infinite.
Erano
passati dieci anni, la voglia di abbattere le montagne era passata,
il mondo sembrava un luogo meno detestabile, lì dove si
trovavano.
Tutto
era ricoperto da uno spesso strato di neve, ovunque si volgeva lo
sguardo c'era bianco, anche quando arrivava la bella stagione.
Da
quando erano partiti quel giorno,benedetto e maledetto
insieme,avevano girovagato, stando attenti a non avvicinarsi agli
abissi e a dove la terra odorava di zolfo, per niente smaniosi ad
affrontarsi con l'unico e solo re degli Urgali. La sfortuna o il fato
gli aveva lasciati liberi, almeno così sembrava, forse anche
il destino che tempo addietro si era accanito su di loro aveva
preferito altre prede o aveva permesso loro di ristabilirsi per poi
tornare a tormentarli, questo lui non lo sapeva.
Nel
tempo che era trascorso aveva imparato che cosa voleva dire libertà,
ma il rimorso lo attanagliava, la solitudine lo aveva curato ma gli
aveva fatto assaporare la mancanze delle persone a lui più
care.
Si
era reso conto che le uniche cose che che ancora ardevano in lui
erano le spalle che per qualche millesimo di secondo erano state
cinte dal più tenero degli abbracci e la mano che stata
sfiorata dal suo stesso sangue con il quale aveva trascorso il
periodo più bello della sua esistenza secondo solo alla
nascita del suo compagno.
Sapeva
bene inoltre che la sua mente era stabile solo lì nella
solitudine ricoperta di freddo. Ogni volta che l'esuberanza lo aveva
preso e aveva deciso di interessarsi alle faccende esterne,
divinando, né aveva pagato care le conseguenze, la stabilità
che credeva di padroneggiare, lo aveva abbandonato ogni volta,
facendolo soffrire.
Aveva
potuto vedere,con una certa difficoltà, a causa delle
protezioni magiche, la donna che amava e questo lo aveva annientato.
Vederla sorridere e sapere che non era grazie a lui lo uccideva,
notare per qualche secondo in lei sofferenza, subito nascosta, e non
poter fare nulla lo dilaniava.
Fortuna
o sfortuna,non sapeva ancora rispondersi, non era mai riuscito a
vedere suo fratello, probabilmente le difese che aveva erano molto
superiori alle sue capacità.
Così
da anni, non sapeva nemmeno quanti, aveva smesso.
Si
era prodigato, invece, nel corso del tempo a costruire una dimora
adatta a lui e Castigo in un antro della montagna. Lo aveva fatto con
le sue sole forze, il lavoro è spesso la cura migliore per
guarire una malattia dell'anima, gli aveva detto qualcuno.
Aveva
preso quel consiglio alla lettera, trovando qualcosa da fare ogni
giorno era andato avanti, l'abitudine lo aiutava.
Tuttavia,
durante la notte passata, strani incubi lo avevano reso inquieto. Non
li ricordava eppure anche ora che era sveglio, né era scosso.
Tutti
questi pensieri nostalgici non erano da lui, lì evitava.
“Murtagh...”
Castigo. Il suo compagno aveva aperto un occhio color cremisi, subito
si rese conto che tutti i suoi pensieri avevano messo in allerta il
drago.
“Non
volevo interrompere il tuo sonno”, sapeva bene che come lui,
Castigo odiava essere disturbato mentre dormiva, si aspettava di
trovarlo irritato, non in allerta.
“Non
ho più bisogno di dormire, non avrei continuato comunque, mi
prudono le squame come quando eravamo prigionieri di quel
rompi-uova-di Galbatorix”.
“Non
volevo turbarti” cercò di sdrammatizzare Murtagh, sapeva
che con una frase del genere avrebbe fatto alterare il drago(“Nessuno
può turbare un drago”).
Ma
Castigo non disse nulla, allora il suo cavaliere si insinuò
nella sua mente e vi lesse dubbio, incertezza, cose che non
appartenevano al suo drago.
“Pensi
che stia per succedere qualcosa? Pensi che dovremo fare qualcosa?”.
“Qui
dove siamo non ho nulla che mi dia da pensare....”
“Ma
allora...”
“Forse
dovremo cambiare luogo per poter pensare a qualcosa.”
Murtagh
rimase in silenzio, non era da Castigo un'affermazione del genere,
come lui il suo drago aveva adorato quei luoghi che gli avano fatto
scoprire la serenità, per quanto un drago possa stare
tranquillo e sereno, ma non capiva come qualche sogno che lui aveva
fatto e che nemmeno ricordava potessero mettere in allarme il drago.
Fu
in quel momento che si rese conto, espandendo la mente che non erano
soli, qualcuno li spiava, e lui non se né era nemmeno accorto
a causa di tutto quel pensare.
“E'
li che osserva da ore, dalle menti di altri esseri che vivono qui, ho
visto che è un
bipede dalle orecchie
rotonde”.
“Perchè
non mi hai detto nulla?”.
“Perché
volevo accertarmene, inoltre speravo che tu facessi chiarezza nel
sogno che hai fatto, chiaramente indice di qualcosa, visto le recenti
visite. Nessuno può arrivare fin qui se non dotato di ali
o...”
“.....di
magia”.
La
logica del guerriero che credeva di non possedere più, si
impossessò di lui, schermò la sua mente e corse a
prendere Zar'roc.
Uscì
di casa con la spada sotto il mantello diretto a prendere la legna,
un brivido lungo la schiena gli fece sapere che la sua mossa non era
passata inosservata.
Non
aveva bisogno di spiegare a Castigo cosa aveva intenzione di fare,
lui e il suo drago erano una cosa sola. A metà strada cambiò
direzione, andò verso l uomo.
L'ospite,
non uno sprovveduto poiché dovette capire all'istante di
essere stato scoperto, uscì dal suo nascondiglio.
Era
di sicuro un uomo a giudicare dalla stazza imponente,tuttavia non né
si potevano scorgere i tratti poiché era completamente
nascosto dal mantello.
“Se
non ricordo male, le buone maniere indicano di presentarsi non appena
si raggiunge la dimora di un'altra persona. Chi sei? Cosa sei venuto
a fare?”
“Mi
avevano detto che eri un uomo di poche parole, sono Tirin Firesson,
mi hanno detto che proseguendo verso nord avrei trovato Murtagh
figlio di Morrzan”
“Figlio
di uno dei rinnegati vorrai dire, vattene qui non troverai nessuno.”
“Mi
rincresce aver fatto tutta questa strada per niente, tuttavia la tua
casa mi sembra molto grande, talmente grande che un drago potrebbe
facilmente entrare, anche la spada che tieni lì nascosta,
sembra di fattura singolare, elfica direi, mi gioco tutto se la lama
non è rossa.” Murtagh sorrise gelido.
“Te
lo ripeto: chi sei? Che cosa vuoi?”
“Oh,
non sono venuto qui per recarti disturbo, ma se tu non sei la persona
che sto cercando è inutile che ti dica di più, se lo
sei sarebbe bello che tutti i niei ospiti fossero qui davanti a me,
l'educazione deve valere per tutti”.
“E
sia...”.
Prima che potesse dire o fare qualcosa Castigo uscì dalla
casa.
“ Che
meraviglia Bjartskular
è un onore fare la tua conoscenza e un onore fare la tua
Murtagh Morzanson, ora che siamo tutti mi presento: sono Tirin
Firesson e sono venuto da voi in cerca di aiuto, come sapete da dieci
anni, da quando Galbatorix venne distrutto non regna più la
pace in Alagaësia per i maghi, l'indegna persona che è
salita sul trono tiranneggia sulle persone dotate di poteri magici,
siamo qui per chiedervi aiuto, aiutateci a fermare questo abominio.”
“Deduco
che non sei solo ad agire, quindi”
“Sono
stato mandato qui, per conto dei miei superiori, vi offriamo aiuto,
anche voi siete dei maghi, e come sono riuscito a trovarvi io può
farlo anche l'usurpatrice per darvi la caccia.”
“Ha,
aiuto a noi, da tempo siamo qui senza che nessuno ci infastidisca e
siamo in grado di badare a noi stessi:” Castigo approvò
ogni parola e per dare più enfasi a quello che aveva detto il
suo cavaliere, ruggì.
“Nessuno
mette in dubbio la vostra forza, vi chiedo di pensarci o potrebbe
verificarsi eventi spiacevoli.”
“Piccolo
bipede untuoso, minacciare un drago?”. Anche
Murtagh si innervosì parecchio “la nostra risposta è
no, vattene”.
“Che
peccato, oh beh, gli ordini sono stati chiari: o con noi o morti”.
Dei
tentacoli invisibili attanagliarono la mente del cavaliere e delle
funi comparirono dal nulla per immobilizzare il suo drago, dopo
qualche secondo di sorpresa Murtagh riprese il controllo di sé
e si prodigò per respingere la coscienza del avversario mentre
Castigo ruggiva furioso. Trovata la concentrazione i due
contrattaccarono con la mente, ma quello che si trovavano davanti era
un avversario molto forte e loro non erano più allenati.
“Così
non ce la faremo, tienilo impegnato” ,Castigo smise di
divincolarsi e concentrandosi attaccò la mente dell'uomo,
nello stesso momento Murtagh sguainò la spada e con un balzo
si abbatte sull'uomo che cadde a terra sconfitto.
“Maledetto
cane” imprecò girandosi per liberare il drago.
Un
uomo ammantato di nero nell'ombra con un pugnale, lei solo che
cammina, l uomo la segue, buio.
“Questo
cos'era....”Era ciò che Castigo aveva visto prima che l
uomo morisse, ma era famigliare, c' era qualcosa che....
“Tu
questo lo hai già visto”.
Un
baleno, capì.
“Dobbiamo
partire! E' in pericolo” Castigo fece schioccare le mascelle in
segno di assenso.
“Il
bipede era forte, ma non era cero alla nostra altezza, stava
combattendo ma io ho visto solo questa scena scollegata dal
presente...qualcuno vuole che noi partiamo”
Castigo
aveva ragione, ma per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Sentiva
freddo, maledetto freddo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** L'amarezza di un nome ***
L'amarezza
di un nome
Piano,
piano le luci del tramonto facevano spazio all'oscurità.
Gli
piaceva quel momento, la calma lo avvolgeva; pensava, con un sorriso,
a quanto la fortuna lo avesse protetto.
Era
nella stalla con i cavalli, da una finestrella poteva ammirare la sua
casa che aveva costruito con il sudore della fronte e le vette della
grande dorsale.
Carvahall
era stata ricostruita più bella di prima. Dopo la grande
guerra tutti gli abitanti originari erano ritornati nella valle
Palancar e senza sosta avevano ricostruito il villaggio.
Era
lì che, con sua moglie Katrina e la figlia Ismira, viveva
ormai da dieci anni.
Grazie
alla forza e al coraggio che aveva dimostrato nella battaglia contro
Galbatorix, godeva del rispetto di tutti gli abitanti.
Sua
moglie e sua figlia erano per lui la gioia più grande.
Aveva
ottenuto tutto quello che un uomo poteva desiderare, tuttavia in un
angolo del suo cuore non poteva non pensare a suo cugino e alle
persone a lui care conosciute durante la guerra.
Eragon
gli mancava, era la sua famiglia e lui non era riuscito a trattenerlo
con sé, e dopo dieci anni se lo rimproverava ancora.
A
sua figlia aveva parlato spesso dello zio, le aveva descritto la sua
forza e la sua grande integrità morale, ma quando lei chiedeva
perchè suo zio non fosse mai venuto a trovarla non sapeva che
rispondere.
Sapeva
molto bene quali grandi oneri si era preso suo cugino e sapeva
benissimo che nessuno avrebbe potuto svolgerli meglio di lui, ma gli
faceva male sapere, che per seguire il suo dovere, lo aveva
abbandonato.
Odiava
quei momenti in cui pensare a quello che considerava un fratello, gli
provocava amarezza e doveva ammetterlo negli ultimo anni era successo
sempre più frequentemente.
Eragon
era sparito. Non aveva più sue notizie da almeno quattro anni.
Appena
tornato nella valle Palancar, era sta costantemente occupato.
Ricostruire il villaggio lo aveva prosciugato di molte energie; dopo
ogni giornata di lavoro tornava dalla sua famiglia e spesso trovava
nello specchio, che aveva collocato in un angolo della sua dimora,
l'immagine di suo cugino, pronto ad aggiornarlo su ogni singolo
sviluppo della sua avventura. Dall'ultimo loro colloquio, però,
aveva aspettato invano la volta successiva, giorno dopo giorno, ma lo
specchio continuava a riflettere soltanto la sua immagine.
Aveva
cercato di dissimulare la sua sofferenza, Katrina, tuttavia, se né
era accorta e cercava di consolarlo come poteva.
Katrina...
Sapeva
bene che in nessun angolo di Alagaesia esisteva una donna come lei,
dolce e forte allo stesso tempo, anche quando aveva perso il loro
secondo figlio, era rimasta apparentemente la stessa, per non far
preoccupare lui e la piccola Ismira.
Erano
dannatamente uguali in questo lui e sua moglie, cercavano di
nascondere il loro dolore per non fare preoccupare le persone vicino
a loro.
Katrina
però era meglio di lui, lo sapeva, lei andava avanti con
maggiore serenità, lui non smetteva di pensare che se suo
cugino fosse stato con loro avrebbe potuto fare qualcosa per quel
bambino innocente mai venuto alla luce, morto nel grembo della madre.
Dopo
quella tragica perdita aveva temuto per la salute della moglie,
Gertrude, la guaritrice l'aveva curata, ma era stata chiara al
riguardo, Katrina non avrebbe più potuto avere figli.
Solo
gli abitanti del suo villaggio gli erano stati vicini, Nasuada, Jeod,
Arya, al momento del bisogno non c'erano stati.
Suo
cugino meno di tutti.
Fiammabianca
interruppe i suoi pensieri con un sonoro nitrato.
“Buono,
bello, buono.”
Il
cavallo bianco lo fissò, sembrava irrequieto, ma Roran non ci
badò.
Finì
le faccende e decise di rientrare in casa, si era fatto tardi.
“Dov'è
Ismira?”
“E'
crollata, ora dorme. Oggi sembrava che uno spettro si fosse
impossessata di lei, non è mai stata ferma neanche per
momento”disse Katrina con un sorriso divertito.
“Tutta
sua madre”scoppiò a ridere lui.
“Roran
Garrowson se tua figlia somigliasse più a me.....”
Toc
Toc.
Qualcuno
bussava alla porta. Roran e Katrina si guardarono smarriti, doveva
essere successo qualcosa se qualcuno andava a far visita loro di
notte, ma non si sentivano rumori al di fuori della loro casa.
Vicino
al camino era adagiato un martello dall'aria anonima, pronto ad
essere impugnato.
Preso
il martello, Roran si accorse dello sguardo impaurito che quel gesto
aveva provocato alla moglie.
Le
fece segno di fare silenzio e con uno scatto aprì la porta con
il martello in mano pronto ad essere usato.
“Pensavo
che con il tempo i tuoi modi fossero migliorati, ma queste sono, come
si dice, le speranze che solo un vecchio può avere.”
“Jormundu?”
Non
avrebbe mai dimenticato voce di quella persona, un uomo saggio,
deciso.
“Si,
o almeno quello né resta. Non mi fai entrare? Non è
saggio restare sulle soglie di questi tempi”.
Roran
si fece di parte, stupito. Sua moglie era confusa e dopo aver
scambiato i convenevoli e offerto all'uomo quel che avevano in casa,
andò nell'altra stanza e li lasciò parlare.
Seduti
intorno al tavolo, con il fuoco del camino che andava scemando, Roran
parlò per primo.
“Che
cosa ti porta nella Valle Palancar vecchio compagno?”
“Sono
venuto a trovare un amico” disse l'altro sorridendo.
“Perdonami,
forse è vero i mie modi non sono migliorati, e non vorrei che
pensassi che la tua visita non è gradita, ma dubito caro amico
che hai fatto tutta questa strada per arrivare qui nel cuore della
notte, solo perchè ti mancavo. Dopo tutti questi anni...”
“Diretto
come sempre. Bene Roran anche io voglio esserlo con te, sono qui per
chiederti aiuto. Vedi da quando sei partito, Nasuada ha cercato con
tutte le sue forza di riportare equilibrio e pace in Alagaesia, ma
vedi alcune scelte che ha dovuto fare non sono state da tutti
condivise...”
“Se
avessero tentato controllarmi nemmeno io sarei stato
d?accordo.”Sentenziò lui.
“No”
convenne Jormundu “Forse non sarei stato contento nemmeno io,
anche Nasuada lo capisce questo, e sa che agli occhi di molti è
risultata impopolare.”
“Allora
non capisco...” Jormundu fece un gesto eloquente con la mano
per impedire che lui lo interrompesse di nuovo.
“Non
sono solo i maghi a non essere d'accordo, il mese scorso c'è
stato un attentato, e noi non sappiamo chi sia l'artefice il dissenso
è sempre più alto e la nostra regina ha le mani legate,
ritornare sui suoi passi è un atto di debolezza che chi regna
non può concedersi, inoltre, la legge ha portata anche dei
benefici non trascurabili.
Pensiamo
che preso il colpevole tutto questo si potrà sistemare.
“Uno
viene punito per dare l'esempio... Credo che abbiate i mezzi per
farlo, buona fortuna.”
“Se
sono qui è perchè non siamo più vicini da
predere il colpevole da quanto i draghi siano creature mansuete:”
Draghi,
con un groppo in gola disse
“E
Erag....”
“ E'
sparito Roran, dalle mie fonti nessuno lo sente più. Tu
compreso credo. No, quello che ci serve ora è un uomo fidato
che si occupi della faccenda. Io faccio quel che posso ma sono
vecchio. Ci servi tu e tutto quello che rappresenti. Ti prego di
pensarci, ora io devo andare, se entro dieci giorni dal mio arrivo a
Ilirea non ti vedrò saprò che hai rifiutato.”
“Ma
sei appena arrivato....”
“Pensaci
ti prego.” E senza aggiungere altro si alzò ed uscì.
Roran
rimase seduto e paralizzato. Dove sei Eragon pensò.
C'era
sempre più amarezza in quel nome.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Incertezza ***
Incertezza
“Dobbiamo prendere posizione in
questa storia, i tuoi sentimenti annebbiano il tuo giudizio!”disse
lord Dathedr.
“Fino ad ora ho sempre messo il
mio popolo davanti a tutto, me compresa. Mi sembra di averlo
dimostrato più volte in tutti questi anni.
Tuttavia non credo che ci sia bisogno
di essere così diretti”.
Come spesso accadeva, l'ordine del
giorno del consiglio verteva sulla decisione di Nasuada, far
catalogare i maghi.
Capiva il motivo per cui la regina dei
varden avesse preso preso quella decisione, gli umani non erano come
gli elfi, la magia non faceva parte integrante della loro vita, la
temevano.
Ed era questo lo stesso motivo per cui
capiva le preoccupazioni di lord Dathedr, per gli elfi non c'era
nulla di più importante e bello della magia, era la loro
stessa vera essenza.
Capiva, per un intero secolo aveva
potuto solo capire.
Aveva fatto del suo meglio come regina
dopo che come ambasciatrice prima.
Ma era così stanca...
“Mi scuso, Arya-drottining, non
era mia intenzione ferirla.”
“Scuse accettate Dathedr-elda.”
“redo sia meglio interrompere il
consiglio per oggi, siamo stanchi, lasciamo che la notte ci allevi da
fatiche e pensieri.” disse un elfo presente al consiglio.
“Molto bene” disse Arya
congedandosi.
Appena fu lontana dalla sala del
consiglio cominciò a correre. Le sembrava che tutto quello in
cui credeva le stesse crollando addosso.
Le sue gambe si muovevano sempre più
velocemente, si ritrovo in mezzo ai boschi di Ellesmera, turbata.
“Non è
da te scappare, come un coniglio che ha appena visto il lupo”
Sollievo, caldo e meraviglioso sollievo, andava tutto bene quando
Firnen era accanto a lei.
Sapeva che non ce l'aveva con lei, che la capiva che anche lui stava
male.
“Comincio a pensare che questo non sia più il posto per
noi, non per un drago e il suo cavaliere, come regina degli elfi so
che devo garantire il benessere del mio popolo, come cavaliere devo
mantenere la pace. Ci ho condannati a un inferno di incertezze con la
mia scelta. Ti ho condannato a stare distante dalla tua compagna....”
“Abbiamo deciso insieme, abbiamo deciso di non farci guidare
dai sentimenti, abbiamo deciso secondo ciò che è
giusto, non lasciarti abbattere da ciò che non è certo,
vivi il presente, il resto non conta. Siamo tu ed io, se hai bisogno
di un momento di debolezza, è lecito, so che arriverai a
prendere una decisione, quale essa sia io sono con te, sempre.”
Non c'era bisogno di esprimere a parole quanto grata fosse al suo
compagno di cuore e di mente, loro erano una cosa sola.
Firnen il drago verde, il colore che più amava, il colore
della sua stessa magia, dei sui stessi occhi.
Da quando si era schiuso per lei, si era sentita completa, unica.
Vederlo crescere, sentire dei tentacolini nella sua mente, che via
via diventavano sempre più grandi, sicuri, che le leggevano
l'anima era ciò che le permetteva di andare avanti.
Era un cavaliere dei draghi, il suo sogno.
Era la regina degli elfi, il suo onere.
Era stanca, la sua debolezza.
Stanca di non poter essere libera, stanca delle etichette, dei
problemi, delle decisioni senza senso degli altri.
Quei due grandi occhi smeraldo, quel corpo verde e possente, quelle
due immense ali, erano le uniche cose che la facessero stare bene.
Dopo la morte del suo compagno, anni addietro, si era sentita sola e
ferita. Aveva fatto di tutto per difendere il suo cuore dai
sentimenti, dalle avversità.
Aveva fallito e se ne era accorta troppo tardi.
“Anche a me manca molto lei... e spesso penso che il nostro
posto non sia questo.”
“E' sciocco pensare che una sola
persona possa risolvere tutte le controversie che si sono create, ma
devo ammetterlo, l'ha già fatto, ed era solo un ragazzino.
Chissà com'è ora, dieci
anni per la razza umana sono un periodo importante di vita, deve
essere sicuramente cambiato. In mezzo ai draghi e agli eldunari....
La verità è che non posso
fare a meno di chiedermi tutti i giorni se stia bene se ce l'abbia
fatto...e se provi ancora gli stessi sentimenti per me.
Mi sento così sciocca a dirlo ad
alta voce.”
“Per noi draghi, nulla di
quello che diciamo o pensiamo è sciocco. Poiché siamo
noi stessi a pensarlo, per te che sei il mio cavaliere non deve
essere diverso”
Anche questa volta il suo drago l'aveva
salvata, stava per ribattere...
“Arriva qualcuno”.
Firnen non era mai preoccupato, ma era chiaro che la presenza che si
stava avvicinando non era simile alle presenze degli elfi che
vivevano a Ellesmera.
E
ciò li turbò, era impossibile entrare nella Du
Weldenvarden senza essere annunciati.
La presenza era vicina, potevano
sentirne i passi che si muovevano verso di loro.
“Come abbiamo potuto non
accorgercene prima?!” Penso
Arya.
In
tutta risposta il drago cominciò a ringhiare nella direzione
dei rumori.
Si
capiva che erano due persone. I loro passi erano leggeri. Uno dei due
non poteva essere adulto.
Anche
l'altro non sembrava uomo. Passi troppo leggieri.
L'elfa
sguainò la spada.
Erano
a pochi metri ma ancora non riuscivano a vederli.
Drago
e cavaliere pronti a scattare.
“Credevo
che la cortesia degli elfi fosse migliore di quella degli umani o dei
nani. Non so degli Urgali...”
Arya
rimase di stucco.
“Venerabile”
sussurò.
Perchè
la veggente era a Ellesmera? Perchè le protezioni magiche
della Du Weldenvarden non avevano funzionato?
Improvvisamente
Arya si sentì incerta.
Non
capiva.
“Non
c'è tempo ora, Arya figlia di Islanzadi
, per rispondere alle tue domande, dobbiamo partire, ma tieni i tuoi
dubbi bene a mente, potranno forse esserti utile.”
“Partire?
Ma per dove?”.
“A
risolvere il primo dei dubbi. Quello a cui stai cercando
disperatamente di non pensare.
Ho
visto chiaramente che lui
farà ritorno e per capire dobbiamo chiederci il perchè.
Non
hai tempo per diffidare delle mie parole, né delle mie
capacità di veggente. E' chiaro che qualcosa è in moto
e voi elfi ancora una volta non ve ne siete accorti.”
Firnen, che fino a quel momento era
rimasto in disparte disse:
“Dobbiamo
andare, non conosco questa donna, ma sento che dobbiamo fidarci.”
Rivolgendosi poi alla veggente:
“ Sono felice di
conoscerti venerabile, sei stata amica fidata del mio cavaliere in
momenti cupi. Ti seguiremo.”
“E'
un piacere conoscerti Bjartskular , sono chiamata in molti modi, ma
tu puoi chiamarmi Angela.
E
questo è Solembum” Disse indicando il gatto mannaro
rimasto nell'ombra.
“Ora
che ti vedo, veggente capisco, che per molto tempo i miei occhi non
hanno visto.
Partiremo.”disse
Arya.
“Oh
bene, vedo che oltre a cantare alle piante a voi elfi è
rimasto ancora un po' di sale in zucca. Bene bene bene. Ho proprio
bisogno di voi. Per trovare un drago e il suo cavaliere ci vuole un
altro drago e il suo cavaliere.”
“Vuoi
dire che.....?”
“No!
Non è ancora il tempo. Tuttavia alcune deliziosi volati mi
hanno portato delle immagini di un immenso drago rosso, montato da un
uomo. Ricordi vero?”
“Murtagh,
Castigo? Perchè?”
“E'
proprio per questo che sono qui, ho bisogno di aiuto, mi mancano
risposte, ma sono certa di essere nella direzione giusta. Forza
cavaliere andiamo a caccia del drago rosso.”
Il
drago verde ringhiò in segno di assenso.
Le
parole rimbombavano nella sua testa.
Non
sapeva.
Era
incerta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** IL TEMPO NEL VUOTO ***
IL TEMPO NEL VUOTO
Aveva scordato il calore delle giornate
estive, lì sulle vette gelide dove aveva vissuto con Castigo.
Sapeva che più sarebbero scesi a
sud, più avrebbero incontrato calore.
Il suo compagno non sembrava curarsene,
del resto come aveva detto, i draghi hanno il fuoco nel ventre.
Quella era stata una delle poche volte
che avevano conversato dopo settimane di viaggio.
Murtagh sapeva perché, un
sorriso affiorò dalle sue labbra, il suo drago lo conosceva
meglio di quanto si conoscesse lui.
Un tempo, prima di isolarsi
nell'estremo nord conosceva il suo nome nell'antica lingua, il nome
della sua essenza, il nome che lo descriveva completamente.
Ma era passato molto tempo dall'ultima
volta che l'aveva pronunciato, il motivo per cui non lo aveva fatto
ammise a stesso, era perché temeva quel significato, temeva di
essere quello che era, che ben si distanziava dalla visione fiabesca
di eroe, che tra le braccia di sua madre Selena, sognava.
Non c'era nulla del temerario cavaliere
che bramava essere nelle sua infanzia, il suo nome era nero, pieno di
rabbia paura e risentimento.
Nella sua solitudine lo aveva evitato,
si era forzato di dimenticarlo, fino a che da solo era cambiato.
Con il passare del tempo la rabbia si
era placata, ma aveva fatto posto a nuovi sentimenti che lo avevano
annientato, sofferenza, impotenza, vuoto.
Cosa aveva fatto, in tutto questo
tempo?
Se ci pensava ora che era lontano dal
gelido paesaggio del suo ritiro, non lo ricordava bene, non avrebbe
saputo descriverlo con chi che sia, era tutto sbiadito, offuscato.
E quel viaggio?
Era scattato come una molla non appena
aveva intuito che Nasuada poteva essere in pericolo, uno slancio
dettato da un vecchio sentimento, ma per lei era così?
Avrebbe voluto il suo aiuto se né
avesse avuto bisogno?
Lui l'aveva abbandonata.
Tutto questo gli faceva pensare che il
suo nome poteva essere cambiato in qualcosa di ancora più
orrendo e sbagliato. Sbagliato, come le sue scelte, come quello che
la gente poteva ancora pensare di lui.
Si odiava, perchè era partito
con buoni propositi, perchè si era sforzato di allenare la sua
mente alla sicurezza, alla positività, e ora essere lì
a fare quei pensieri lo faceva sentire in piena ricaduta. Vanificava
tutti i suoi progressi.
Come poteva aiutare qualcuno, se non
riusciva nemmeno a camminare con le sue gambe.
Castigo c'era, lo sapeva, era la sua
famiglia.
Ma che cavaliere era se non sarebbe
riuscito a cavarsela da solo e prima o poi setta oscura o meno,
avrebbe dovuto affrontare da solo situazioni di pericolo.
Non si era accorto che calava la sera e
che Castigo scendeva in picchiata verso la foresta della Grande
Dorsale.
“Hai l'aspetto di un coniglio
che vede un drago e anche un cattivo odore. Vado a caccia, cerca di
trovare la pace almeno nel sonno, quando ti risveglierai domani, mi
troverai.”
Murtagh lo guardò
alzarsi in volo, era più luminoso della sfera di fuoco che
spariva dietro le vette delle montagne. Magnifico, possente, forte,
sicuro...Castigo.
Si guardò
intorno e sentì l'acqua di una sorgente scorrere.
Decise che il
giorno dopo non si sarebbe fatto rimproverare di nuovo dal drago.
Si sarebbe lavato.
Si immerse
nell'acqua gelida, e si lascio cullare dall'acqua.
Quando riemerse si
rese conto di essere affamato, e trangugiò un po' delle
provviste che aveva con sé.
“Brisingr”
mormorò e un ceppo vicino a lui prese fuoco.
Forse quella notte
avrebbe trovato la pace che durante il giorno l'aveva abbandonato,
stava provando una bella sensazione.
I suoi pensieri si
interruppero, avvertì una presenza.
“Chi va là?” gridò,
passi leggeri si mossero nella sua direzione, un umano pensò,
i nani, gli elfi avevano u altro tipo di incedere, me erano troppo
leggeri per essere quelli di un uomo, non potevano essere che essere
di una donna.
Poco dopo fece capolino dagli alberi
una fanciulla, dai lineamenti delicati, con due grandi occhi verde
scuro e capelli castano chiaro che gli cadevano mossi fino le spalle.
Sembrava un pulcino spaurito.
“Chiedo scusa, mi sono p-persa,
n-non v-volevo... mi s-sono persa.”balbettò, le lacrime
avevano cominciato a solcarle il viso.
Non sapeva che fare, davanti a lui
c'era una delle creature più inermi che avesse mai visto, ma
non poteva fare nulla per lei, era in viaggio, il suo compagno era un
drago, non sapeva nemmeno lui a cosa stava andando incontro, la sua
bocca parlò prima che potesse essere d'accordo anche il suo
cervello.
“Calma ragazza, non ho intenzione
di farti del male, puoi sederti vicino al fuoco, ti procuro qualcosa
da mangiare e tu cominci a spiegarmi cosa ti è successo”.
Si maledisse non appena ebbe finito di
parlare, ma ormai era fatta.
La ragazza cominciò a parlare
con disperazione.
Era un abitante di uno dei villaggi
anonimi della Grande Dorsale, si era persa dopo essersi addentrata
nella foresta per cercare delle erbe. Si chiamava Lauda.
“Non mi sono mai allontanata così
tanto da casa, ho paura.”concluse.
“Magari i tuoi genitori ti
staranno cercando, non puoi esserti allontanata di molto”.
“Io non ho famiglia, nessuno mi
cerca, vivo sola, insieme ad altri come me, raccolgo erbe e aiuto la
guaritrice del villaggio per guadagnarmi qualcosa, vivo così
se vivere si può dire. E' l'unica cosa che ho.”
“Domani ti aiuterò a
cercare il tuo villaggio... Per ora tieni, copriti con questo
mantello e riposa, ci sveglieremo presto.”
Con una certa fatica individuò
Castigo disperso tra i monti, che lo lasciò entrare nella sua
mente con una nota di disappunto, era in procinto di azzannare il
primo dei tre cervi che aveva ucciso.
Murtagh gli inviò alcune
immagini della ragazza e spiegò in breve cosa le era accaduto.
Castigo si lasciò andare a un
ruggito gutturale che lui sapeva essere una risata.
“Certo,Certo, non mi farò
vedere, inoltre preferisco i cervi che ho sotto le mie zanne a voi
cosi dalle orecchie rotonde in calore.”e
prima che lui potesse ribattere qualcosa il drago gli chiuse la
mente.
“Questa
volta non hai capito capito proprio nulla, tu brutto enorme
coso....”ma
perchè aveva deciso di aiutare quella giovane?
Di nobile in lui non c'era nulla...
Si assopì sognando di quando era rinchiuso nel castello di
Galbatorix.
Si svegliò di scatto e si accorse subito che Lauda non c'era,
la trovò con le mani immerse nella sorgente, i raggi di luna
esaltavano le curve sinuose della giovane.
“Non sta bene che una ragazza dorma vicina a un uomo di cui non
sa neanche il nome...”
“Se è che questo che ti ha svegliata il mio nome è
Murtagh, e....”
“Anche tu sembri esserti perso, non è vero? Siamo soli,
due esuli in mezzo al mondo che ci disprezza l'ho capito subito, sei
come me.”
Lui non disse nulla, quelle parole lo avevano immobilizzato, la
ragazza continuò.
“Non fa niente se non vuoi parlare, permettimi di ringraziarti,
le erbe che ho raccolto, calmano lo spirito, ti prego accettale come
segno della mia gratitudine.”
Quella ragazza era strana, prima le era sembrata così
indifesa, e ora mentre parlava sembrava così sicura...Si
convinse a credere che era la forza della disperazione e accettò
il dono, infondo erano solo erbe.
Avevano un gusto insolito, dolce ma pungente allo stesso tempo.
Ingoiò.
Lei gli sorrise e si avvicino, cingendogli le spalle si alzò
in punta di piedi e gli sussurrò:
“Due persone come noi, dovrebbero
tenersi compagnia a vicenda” e cominciò a baciarlo.
In quel momento, la mente di Murtagh si
annebbiò, il suo corpo cominciò ad agire meccanicamente
agli stimoli della ragazza.
Continuarono a baciasi con forza sempre
maggiore, indietreggiando fino al giaciglio per la notte, dove ormai
il fuoco si affievoliva.
Si distesero e cominciarono l'antica
danza.
Il cavaliere aprì con foga il
corsetto di lei, e né scopri dei seni turgidi pronti per
essere baciati e stuzzicati, ormai la pressione al basso ventre era
incontrollabile.
I sospiri aumentavano, Lauda sempre più
in preda all'extasi, cominciò a sfilarsi la gonna e con gesti
del bacino sempre più veloci e sofferti, invitava il compagno
a fare lo stesso con le sue braghe, in pochi attimi si ritrovarono
nudi.
Il continuo toccarsi non bastava più,
Murtagh era al limite, la mente sempre più annebbiata, si
posizionò in mezzo le gambe di lei ed entrò.
Non incontrò nessuna resistenza,
ma non se né curò.
Il suo membro andava avanti e indietro
a ritmo sempre più veloce, ormai i loro corpi erano un
tutt'uno.
Arrivati quasi all'apice del piacere
lei inarcò la schiena, a quel punto Murtagh non seppe più
resistere e si lasciò andare inondando di calore il ventre di
Lauda, che pure era arrivata al massimo.
Si accovacciò sul seno di lei,
tutto era nebbia.
L'indomani si svegliò ancora
nudo. Solo.
Castigo doveva ancora arrivare, provò
a cercarlo con la mente ma era incredibilmente stordito, e non sapeva
dove era la ragazza, voleva cercarla ma gli mancavano le forze.
Svenne.
Poco più avanti in mezzo agli
alberi una giovane camminava tra le ombre.
Davanti a lei un uomo ammantato di nero
apparve quasi dal nulla, era moro di capelli e carnagione, un naso
pronunciato e occhi da serpente.
La guardò con sguardo laido e
disse:
“Una fanciulla non dovrebbe
andare in giro da so....”
“Come ti permetti di rivolgerti a
me in quel modo?! Vai a prendere un mezzo, sono stanca di camminare.”
L'uomo si inginocchiò in segno
di obbedienza.
“Come desidera mia signora, ha
trovato quel che cercava?”
La giovane ghignò, i suoi
lineamenti si deformarono, gli occhi da verdi e limpidi si
trasformarono in viola scuro.
“Il cavaliere rosso è
tornato, come secondo i nostri piani, ed ora credo che la situazione
si potrà sfruttare ancora meglio di come avevo previsto”.
Sorrise maligna e si toccò il
ventre.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=920759
|