T.G.I.F.

di _Marika_
(/viewuser.php?uid=41914)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Shots and Mr.Maybe ***
Capitolo 3: *** Drama classes and a little cherry ***
Capitolo 4: *** Bringing up the Thanksgiving Lunch ***
Capitolo 5: *** Strange awakenings ***
Capitolo 6: *** Manolo Blahnik and Chanel n°5 ***
Capitolo 7: *** Hidden lives ***
Capitolo 8: *** First Date ***
Capitolo 9: *** REAL First Date ***
Capitolo 10: *** Alice in Wonderland ***
Capitolo 11: *** Pink Flamingos and a Matryoshka Doll ***
Capitolo 12: *** Worst Party Ever ***
Capitolo 13: *** The fish, the dog and the guy in the closet ***
Capitolo 14: *** Blood and Tears ***
Capitolo 15: *** I want you to be mine ***
Capitolo 16: *** A Turning Point ***
Capitolo 17: *** Talks ***
Capitolo 18: *** Emma's story ***
Capitolo 19: *** Il Biglietto Vincente ***
Capitolo 20: *** L'Araba Fenice ***
Capitolo 21: *** Thank God It's Friday ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


 

T.G.I.F.

Prologo.

 

L'alcool mi bruciò in gola, rassicurandomi. Se questa festa si fosse rivelata un fiasco assoluto, almeno avrei potuto concedermi il sacro oblio della sbornia.

Mi appoggiai il bicchiere rosso alle labbra e osservai il mondo esterno da sopra il bordo di plastica.

Tipica festa americana.

Da quando ero arrivata lì, in Ohio, nemmeno un mese prima, non ci avevo messo molto a capire che tutti gli stereotipi che in Europa abbiamo dell'America sono tutti -tutti- veri.

Il bicchiere rosso che avevo in mano ne era un esempio lampante.

E quella festa?

Dai, c'era perfino un'intera squadra di football in divisa, più stereotipo di così!

E il nerd grassoccio, occhialuto e svenuto sul divano? Un classico senza tempo.

Mi guardai intorno, esaltata dalla circolazione alcolica nelle mie vene.

Nerd a parte, c'erano un sacco di bei ragazzi.

Donna mi aveva detto di tenermi alla larga dai giocatori di football, e così avrei fatto: non sarebbe stato intelligente disdegnare un consiglio fatto da un'autoctona.

Un ragazzo andò a sbattere contro un tavolo il quale, dopo un momento di incertezza su due gambe, cadde a terra con un gran fracasso rovesciando bibite e ciotole di patatine. Il ragazzo guardò il tavolo rovesciato con uno sguardo vacuo, gelatinoso. Si guardò attorno circospetto e si accorse che l'avevo visto: mi fece una strana smorfia, stringendo gli occhi a due fessure. Poi sembrò dimenticarsi di me e se ne andò barcollando.

Nessuno aveva notato il tavolo. D'altronde, con la musica a quel volume, avrei trovato più strano il contrario.

C'erano ovunque festoni, palloncini, glitter, coriandoli; tavoli ricoperti di bottiglie vuote e di bicchieri rossi; il pavimento era tutto appiccicoso.

E gente, tanta, tantissima gente.

Non avrei mai voluto essere nei panni dei genitori di quella ragazza, quella che aveva dato la festa.

Perché prima o poi sarebbe arrivata la polizia, ovvio. Mica succede solo nei film.

La tipa in questione era una barbie bionda e abbronzata che indossava una maglietta verde con su scritto BITCH e un paio di shorts inguinali.

Un po' da zoccola, forse. Ma chi potevo giudicare, io, con addosso un vestitino leopardato con tanto di push-up in vista che mi strizzava le tette? Proprio nessuno.

Bevvi ancora, inebriata. Cos'era quella roba, gin? Mmm.

In mezzo alla sala era precipitato il lampadario, ma nessuno si era fatto male e il fatto era stato così liquidato come di scarsa importanza. Intorno vi ballavano una trentina di persone, tra cui la barbie padrona di casa, marcata stretta stretta da due fusti a petto nudo.

Decisi che avevo aspettato abbastanza. Donna non mi aveva imbucato a quella festa perché facessi da tappezzeria. Dovevo trovarmi un uomo, diceva.

Bene, era il momento di buttarsi.

...forse però prima avevo bisogno di un altro bicchiere.

Me lo versai, lo ingoiai e partii all'attacco. Ma per poco non inciampai su un fagotto scuro che scoprii essere una persona. Una ragazza con un capellino da baseball, capelli argentati e pantaloni a cavallo basso. Mi assicurai che respirasse e poi la scavalcai.

Aggirai il lampadario, e mi infilai nel vivo della festa. Un nerd con la maglietta di Star Wars mi lanciò un'occhiata speranzosa; lo ignorai.

Un ragazzo mi adocchiò, e mi fu subito addosso. Era carino, era afroamericano e non puzzava di sigaretta, ma metteva le mani in posti un po' troppo privati per i miei gusti.

Lo scaricai con un sorriso prima che gli venisse in mente di procreare lì davanti a tutti.

Lui aveva borbottato qualcosa che sembrava un “what's up, girl?”, ma io avevo continuato a sorridere e me n'ero andata.

Ero italiana, potevo fare finta di essere scema.

Andai a sbattere contro qualcuno. Mi voltai e mi trovai addosso una ragazza dai folti capelli rossi. La scrollai perché si staccasse, ma quella mi fissò, mormorò qualcosa e mi diede un sonoro bacio sulla bocca.

Uhm.

Poi con aria nebulosa veleggiò fino al lampadario, là inciampò e restò per terra.

La parte più responsabile di me mi disse di andare a controllare che stesse bene; e lo stavo per fare quando la musica cambiò e la folla attorno a me cominciò a dimenarsi come impazzita.

Ah, la magia della musica pop.

La voce di Katy Perry rimbombò nelle casse, assordandomi.

There’s a stranger in my bed,

There’s a pounding in my head

Glitter all over the room

Pink flamingos in the pool

I smell like a minibar

DJ’s passed out in the yard

Barbie’s on the barbeque

There’s a hickie or a bruise?

Frastornata, cercai di ricordarmi cosa dovevo fare. Perché vedevo tutto sfocato?

Barcollai fino ad un divanetto e mi ci lasciai cadere sopra.

Ow! What the fuck are you doing?”

Ops. Scivolai di lato, mormorando scuse sconnesse al povero malcapitato sul quale mi ero seduta.

L'alcol cominciava a fare effetto. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. Non dovevo vomitare. Non dovevo vomitare. Non dovevo...

Hey”.

Aprii un occhio. Era il tipo su cui mi ero seduta. “Are you ok?” mi chiese, ridacchiando.

Che sfrontato.

Yeah, I am” risposi. Mi sembrava di avere tutta la bocca impastata. Lui continuò a guardarmi, incuriosito. Mi disse qualcos'altro in inglese, del tipo “you're not from here”.

Chiusi gli occhi, stordita.

No, I'm not” borbottai in risposta “I'm from Italy”.

Lui fece un "ah" convinto, come se avessi detto qualcosa di estremamente intelligente. Dio, mi veniva da vomitare sul serio.

Rimasi lì, immobile e con gli occhi chiusi, a respirare pesantemente. Probabilmente ero uno squallido esempio di esercizi pre-parto, ma al momento non me ne fregava proprio niente.

Risatine.

Ok, cominciavo ad incazzarmi. Con un notevole sforzo di volontà riaprii gli occhi e mi sedetti eretta sul divano per fronteggiare il mio avversario.

Ma le parole mi morirono in gola.

Di lui, mi colpì una cosa. Una sola. E mi strisciò dentro. La mia attenzione fu catalizzata da una fossetta solitaria a sinistra della sua bocca. E rimasi lì così, imbambolata, a fissarlo. A fissargli quella fossetta.

Quanto gin lemon mi ero scolata...?

Rimasi così finché lui non mi passò una mano davanti alla faccia. Riprendere il controllo di me fu tragico, perché mi resi conto di essere ubriaca di stare facendo una colossale figura di merda.

Hey” ripeté lui, sorridendo “Sure?”

Sure?” ripetei, instupidita.

Sure you're ok?”

Oh, yeah, yeah. Sure.” Dovevo avere un accento tremendo, perché continuava a sorridere sotto i baffi.

You're cute” sogghignò. Lo fissai; mi stava guardando in modo strano.

Non feci a tempo a rispondere perché mi ritrovai annaffiata di quello che pareva champagne scadente. Un idiota aveva giustamente pensato di aprire una bottiglia nella mia direzione.

L'americano con la fossetta mi guardò stralunato. Poi cominciò a ridacchiare. Poi fu scosso da risa talmente violente che dovette piegarsi in avanti per il mal di pancia.

Io ero lì, frastornata, bagnata, oltraggiata, e quello yankee rideva di me?

Poi mi parve di vedermi da fuori. Vidi me stessa, con l'abitino leopardato troppo corto e puzzolente di infimo champagne, lo sguardo vacuo da ubriaca, il capelli scomposti, l'espressione a metà tra l'offeso e lo shock anafilattico... e risi anch'io.

Complice l'alcol, risi fino a piangere. La dignità era ormai perduta, scivolata via con le la lacrime e il trucco.

Finito l'imbarazzante scoppio di ilarità lui mi porse una mano e mi aiutò ad alzarmi. Stavo molto meglio.

Last Friday night

Yeah we danced on tabletops

And we took too many shots

Think we kissed but I forgot.

I'm Brian” si presentò porgendomi la mano. Ubriaca o no, non potei fare a meno di guardargli la fossetta. Brian. Lo ripetei stupidamente. Era un bel nome, soprattutto nella pronuncia masticata americana.

Gli strinsi la mano. “I'm Emma”.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Shots and Mr.Maybe ***


Shots and Mr.Maybe

 

Trovai Donna che dormiva in giardino.

Nel vederla, risi ancora. Mi sembrava tutto estremamente buffo quella sera. La mia amica era sdraiata sull'erba, vicino alla piscina, e russava beatamente mentre le persone che le camminavano accanto non davano segno di averla notata.

Mi sedetti accanto a lei. Qualcuno le aveva disegnato un monociglio con un pennarello nero. Le toccai la spalla trattenendo le risate.

Hey, Donna”.

Uhm?” mugugnò. Borbottò qualcosa in inglese, poi aprì gli occhi.

Si alzò a sedere di scatto e guardò terrorizzata. “Non sono brasiliana! Non voglio ballare la capoeira!” strillò in un americano perfetto.

Ah-ah.” annuii con aria saggia, spingendola delicatamente di nuovo supina. Da sdraiata, strinse gli occhi e mi riconobbe.

Sbuffò. “Me la rinfaccerai tutta la vita questa, vero?”

Tutta” confermai. “Chi ballava la capoeira?”

Si strinse nelle spalle “Ah, bo. Un bianco. E non era niente male! Ha sradicato le lampade a olio, quelle lunghe da giardino, sai, e le roteava in aria. Pensavo avrebbe finito per bruciare qualcosa, e invece è caduto in piscina”.

Scrutò la vasca, illuminata anche da luci subacquee.

Dev'essere annegato” sentenziò.

La aiutai ad alzarsi e ci sedemmo su delle sedie sdraio lontano dalla folla. Se possibile, lei era messa peggio di me: monociglio a parte -del quale ovviamente non le dissi nulla-, puzzava di alcol in una maniera stomachevole e aveva i vestiti a brandelli.

Mi accomodai meglio sullo sdraio, guardandomi le doppie punte. “Chi ti ha ridotto i vestiti così?” domandai salottiera.

Così com..?” Si guardò. Se avesse potuto, sarebbe impallidita.

Dopo lo shock iniziale, liquidò la cosa con un raffinato colpo di tosse. “Ehm. Allora. Dicevamo?”

Non dicevamo niente” risposi innocente, lasciando ricadere la ciocca di capelli.

Quanto sei petulante. Allora, hai trovato un uomo di tuo gradimento?”

Prima ancora di poter formulare un pensiero, il flash di un sorriso mi attraversò il cervello. Un sorriso con una piccola fossetta sul lato sinistro.

Forse” minimizzai.

E' già un buon punto di partenza. E dov'è dunque questo Mr. Maybe?”

Mi strinsi nelle spalle: “E' sparito”.

Ed era vero. L'avevo perso nella zona cucina. Stavamo tentando una conversazione -piuttosto sgrammaticata a dire il vero, ma davo la colpa al gin- quando avevo sentito un botto. Avevo fatto un salto per lo spavento, ma era stato solo un altro demente che aveva fatto saltare il tappo ad una bottiglia di spumante.

Non avevo fatto in tempo a riprendermi che lui era sparito. Un momento prima mi era accanto e quello dopo -puff!- volatilizzato.

Sparito?” ripeté Donna, scettica. Con quell'espressione snob e il sopracciglio colorato era assolutamente ridicola, ma mi trattenni.

Sparito” sospirai con drammatico trasporto.

Non mi credeva. “Secondo me l'hai spaventato, ecco cosa. Tu e la tua mania di gesticolare”.

Non è una mania, è un gene dominante del DNA italiano”.

Donna mi fece una smorfia. Quelle smorfie da aristocratica con la puzza sotto il naso erano caratteristiche di lei. Tipico ego delle donne di colore.

Ebbene, pensi di ritrovarlo entro la serata o aspetti un segno del destino?”

Credo che aspetterò il destino” sbuffai. “E' sempre così gentile nei miei riguardi. E poi non ho voglia di alzarmi, si sta comodi qui”.

Donna rise. “Scordatelo. Sei o non sei qui per vivere la vera vita americana? Com'on, sweetie, let's go!”

Rientrare fu un trauma. Il volume della musica sfiorava l'assurdo, e la sala era così, così... overcrowded!

Donna mi trascinò al bancone degli alcolici, dove un paio di ragazzi si davano da fare come barman. Dopo aver ingoiato due shots, già la sobrietà era un nebuloso ricordo.

Donna sembrò invece più lucida. “Avanti!” Esordì, bellicosa “Cerchiamo questo sexy Mr. Maybe. Com'è fatto?”

Già, com'era fatto? Non me lo ricordavo. L'unica cosa che avevo stampata a fuoco nella corteccia celebrale era il suo sorriso irriverente. E quella dannata, dannata fossetta.

Non me lo ricordo” ammisi.

Are you kidding me? Non ti ricordi niente? Proprio niente niente?”

Bè... aveva una fossetta sulla guancia, quando sorrideva. Una sola”. Perché quel dettaglio continuava a sembrarmi così importante?

Una fossetta? Oh, gosh. Nient'altro? Era alto? Biondo, moro, rosso?”

Domanda da un milione di dollari. “Uhm... castano. Credo”.

Cool. Non lo troveremo mai. Sai almeno come si chiama?”

Certo che lo sapevo. Glielo dissi.

Lei ci pensò un po' su, poi scosse la testa e mi afferrò per un braccio. “No, non mi dice niente. Andiamo a caso, faremo prima”.

Il salotto, se possibile, era ancora più devastato di quando lo avevo lasciato.

Il lampadario di cristalli faceva bella mostra di sé, semidistrutto, in mezzo al pavimento sala; una ragazza bionda rideva incastrata nel mezzo. Nel mio delirio di ubriaca, mi parve quasi la Venere nella Conchiglia di... di? Non riuscivo a ricordare chi lo avesse dipinto.

Dovevo smetterla di bere.

La gente spumeggiava qua e là, esaltata, e i palloncini che accarezzavano il soffitto avanti e indietro mi davano ancora di più quell'idea di mareggiata. I festoni ora giacevano scomposti per terra come grossi serpenti multicolore. Era una bambola gonfiabile quella?

Shit, qui è un devasto” commentò Donna “Dobbiamo dividerci. Io comincio da qui, tu prova a tornare in cucina”. Sembrava proprio in assetto di battaglia, con i vestiti distrutti e il fiero monociglio.

Trattenni una risata. “Ma dai, Donna, non è così importante...”

Lei alzò un dito ammonitore “Non esiste. Sei qui per dimenticare il passato ed è mio dovere di amica aiutarti a farlo”.

Non vedo come trovare un ragazzo possa...”

Shut up and move!”

Sospirai esageratamente e mi avviai verso la cucina.

Superate le porte scorrevoli, una scarpa volante mi mancò di un soffio. Anche lì dentro era affollatissimo. C'era una coppia che si dava da fare sull'isola della cucina, un ragazzo seduto dentro il frigo, un altro che stava cucinando beatamente dei pancake. Camminai rapida, sgusciando tra le persone. Feci cadere un paio di bicchieri in bilico sul tavolo e per poco non mi inzuppai le scarpe. Per terra c'erano macchie viscide di dubbia provenienza.

Mi fermai e mi guardai attorno critica, analizzando con lo sguardo ogni rappresentante del sesso maschile di quella stanza.

Fu quello il momento. Fu mentre fissavo un ragazzo -privo di fossetta, purtroppo-, che sentii quel suono. Quel suono capace di far tremare e azzittire un'intera folla di post-adolescenti. Quel suono capace di far impallidire perfino la voce di Katy Perry.

Le sirene della polizia.

Il ragazzo privo di fossetta mi guardò, allarmato.

Urla.

Scalpiccio di migliaia di passi terrorizzati.

Il tizio dentro al frigo sembrò riemergere da suo stato comatoso e fuggì rovesciando sedie e bottiglie vuote. La coppia sull'isola si rivestì malamente e scappò da tutt'altra direzione.

Poi le luci si spensero di botto, e potei fidarmi solo del mio istinto.

Ero al buio.

E dovevo scappare.

 

 

Corsi via, urtando chiunque mi trovassi davanti. Per fortuna la cucina aveva una porta che dava sul giardino: lì almeno erano rimaste le fiaccole e le luci azzurre e liquide della piscina.

Non sapevo dove andare, sapevo solo di dover andare via da lì. Notavo appena le ombre scure che scivolavano ai lati del mio campo visivo, ragazzi e ragazze eccitati dalla paura quanto me.

Parecchie ragazze strillavano, e udivo rumori sempre più strani provenire dalla villa.

Andare via, andare via, andare via.

Sì, ma dove?

Il pensiero di Donna mi attraversò la mente. Lei sì che avrebbe saputo cosa fare, con la sua navigata esperienza in fatto di feste abusive. Ma non avevo tempo di cercarla: avrei dovuto arrangiarmi.

Mi tolsi i tacchi e corsi verso il limitare dell'immenso giardino.

Ricordavo che dopo delle aiuole di fiori c'erano delle alte siepi scure. Se fossi riuscita a passare al di là sarei stata in salvo.

Corsi a perdifiato e mi fiondai tra le aiuole.

What the fuck?!”

Erano rose. Imprecai, lacrimando per le spine che mi erano affondate nella carne. Mi aprii un varco, graffiandomi le mani e la gambe, fino ad arrivare proprio sotto le siepi.

Shit. Erano alte. Troppo alte.

Stavo pensando di rinunciare, quando avvertii dei passi concitati dietro di me, nel buio. Mi si gelò il sangue nelle vene.

Senza più pensare, lanciai le scarpe oltre la siepe e cominciai ad arrampicarmi. I passi erano sempre più vicini. Afferrai un ciuffo di rami sopra la mia testa, cercando di issarmi sempre più in alto. Ma i miei piedi scivolavano, non trovando appigli adeguati.

Shit, shit, shit!

Quasi urlai, quando un paio di mani decise mi spinsero il piede destro verso l'alto. Grazie a quella spinta potei aggrapparmi alla cima delle siepe e a issarmi sopra di essa. A cavalcioni, guardai giù: un ragazzo si stava arrampicando. Quando anche lui fu in cima i nostri sguardi si incontrarono.

Poi un fascio di luce gialla ci colpì in piena faccia.

Hey, you! Get off of there! Immediately!” abbaiò un poliziotto. Risi istericamente.

Ma certo! E adesso?

Il ragazzo con me sulla siepe saltò giù dall'altra parte con l'agilità di un atleta, mentre io rimanevo lassù, in bilico tra il terrore per il poliziotto e la paura di uccidermi saltando giù nel giardino accanto.

Get off!” ruggì ancora l'agente.

Eh no. O la va o la spacca. O meglio, mi spacco io.

Saltai.

Le caviglie urlarono di dolore, cedettero e finii lunga distesa per terra.

Ma, a parte le mani graffiate e le caviglie malmesse, ero viva e -cosa ancora più strabiliante- intera. Il poliziotto sbraitava contro qualcuno dall'altra parte della siepe. Capii che erano arrivati i rinforzi. Recuperai le mie scarpe e mi avviai zoppicando verso il cancello che vedevo in lontananza. Il ragazzo era lì, e sembrava mi stesse aspettando.

Are you waiting for me?” gli chiesi, sbuffando. Ansimavo e stavo sudando come un maiale. Non dovevo essere un bello spettacolo.

Yes, I am” rispose lui, quasi infastidito “You don't look able to walk back home on your own”.

Oh, ma che cavaliere snob!

Non mi lamentai, comunque, perché un cavaliere snob era sempre meglio di nessun cavaliere. E poi le caviglie mi facevano male veramente.

Mi prese un braccio e me lo mise attorno alle sue spalle; con l'altro mi sostenne per la vita. Così mi avviai a casa, lungo il marciapiede di una delle zone più chic dell'intero paese: brutta, malmessa, dolorante e aggrappata ad un perfetto sconosciuto.

Un perfetto sconosciuto che non sembrava per nulla interessato ad intavolare una conversazione. Bè, meglio così. Ero troppo stanca per parlare. E il silenzio era gioia per le mie orecchie, dopo tutto quel frastuono. Procedevamo a piccoli passi incerti. Io ero zoppa, ok, ma lui non doveva essere granché sobrio. Il silenzio era rotto solo dalle rare macchine che sfrecciavano sulla strada accanto a noi.

Lo guardai. La luce gialla dei lampione rendeva i suoi lineamenti quasi caricaturali, era sbronzo ed era incazzato: nonostante questo, ero bello. Gli guardai i capelli, gli occhi, il naso, la bocca. Volevo ricordarmela, la sua faccia.

Well?” sbottò, guardandomi in tralice “Che hai da guardare?”

Risposi senza collegare il cervello alla bocca: “Voglio ricordami di te”. Mi guardò male, ma non mi vergognai. Avevo ancora troppo alcol in corpo per provare vergogna.

Arrivammo ad una stradina secondaria e lui chiamò un taxi.

Dove abiti?” mi chiese. Dovetti fare un enorme sforzo per mettere insieme le parole e i numeri del mio indirizzo. Aspettammo qualche minuto e il taxi arrivò. Lui mi ci ficcò dentro e ripeté l'indirizzo al taxista.

Mi guardò, la testa ancora infilata nel finestrino del passeggero. “Goodnight, sweetheart” mi augurò, sarcastico. Sfilò la testa dall'abitacolo e risalì sul marciapiede. Il taxista mise il moto.

Il calore dell'abitacolo mi cullò, e il ronzio basso del motore mi rilassò i nervi. La tensione si sciolse.

Stavo andando a casa.

 

 

 

 

Grazie di essere arrivati fino a qui! E' la prima Originale a capitoli che pubblico su EFP. Spero che leggerla sia divertente quanto lo è per me scriverla! Fatemi sapere cosa ne pensate, così so se posso continuare o se è meglio che mi trasferisca in Australia a raccogliere ananas :D

Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Drama classes and a little cherry ***


Eccomi con un nuovo capitolo! Spero non sia troppo deprimente... in ogni caso fatemi sapere per aggiunte, correzioni o critiche. Sono ben accette =)

Ho scritto questo capitolo ascoltando “You and I” di Lady Gaga come un mantra; ne deriva che ne sia diventata ufficialmente la colonna sonora. Credo renda bene ciò che voglio esprimere.

Anyway, buona lettura!

 

 

 

 

 

 

 

 

Drama classes and the little cherry

 

 

Arrivai a casa più morta che viva. Avevo un... com'è che si dice in italiano? A pounding in my head, ecco, per rubare le parole di Katy Perry.

Mi trascinai su per gli scalini come una sonnambula. Avevo bisogno di un bagno caldo e di un paio di aspirine, come minimo.

Mancai la toppa della porta una dozzina di volte prima di riuscire ad entrare. Il profumo di casa mi rinvigorì quel poco che mi serviva per raggiungere la camera da letto.

Donna non c'era. Ebbene sì, vivevo da lei.

Diedi un'occhiata alla sveglia su mio comodino: le quattro e quarantacinque.

Mi buttai sopra il letto, ancora vestita e con le scarpe in mano. Mi addormentai appena chiusi gli occhi.

 

•••

 

Non fu un pessimo risveglio.

Well, prima di riuscire ad aprire gli occhi dovetti passare un quarto d'ora al bagno per togliere le ciglia finte che mi avevano incollato le palpebre e il primo a darmi il buongiorno fu un martellante mal di testa, ma a parte questi trascurabilissimi dettagli non stavo affatto male.

Donna, nemmeno a dirlo, era fresca come una rosa. La sentivo cantare a bocca chiusa dalla cucina, mentre preparava la colazione con la radio accesa.

Mi feci una doccia bollente per eliminare i residui di trucco e di fetore alcolico. Mi asciugai alla meglio, mi misi una tuta e ciabattai in cucina.

Goodmorning sweetei!” cinguettò Donna, tutta indaffarata a preparare toast. Un caffè americano -vedi: annacquato- mi aspettava fumante sul tavolo.

Come va?” mi chiese allegramente.

Mi lasciai cadere sulla sedia. “Bene, grazie. A te nemmeno lo chiedo, sembri uscita da un centro benessere”.

Rise, recuperando dal frigo quello che sembrava del bacon.

Sì, sì, sto bene. Ma allora!” ciarlò “Alla fine sei riuscita a dare un volto a questo Mr. Maybe? Perché io ne ho trovati ben tre fanciulli forniti di fossette, ma mi pareva di aver capito che tu ne cercassi una solitaria”.

Mi concentrai. Pensavo che da sobria avrei potuto far riemergere un ricordo, che so, i capelli, il colore degli occhi... mi sbagliavo. Tornare con la mente alla sera prima era come avventurarsi un una palude tropicale: tutto era umido, fangoso e pieno di nebbia. Ripensai alla breve conversazione che avevo avuto con quel Brian. Possibile che non ricordassi niente? Niente, a parte quel maledettissimo sorriso?

Però però... un altro volto mi tornava alla memoria, un volto dai lineamenti duri, dalle sopracciglia scure e decise, dal naso... mmm. Come si può definire un naso?

Hey, honey, ci sei?”

Riemersi dalla palude scrollando la testa. Donna mi stava guardando, in attesa, con una padella sfrigolante in mano.

No, nessun volto. Però ho conosciuto un altro tipo ieri sera”.

Appena lo dissi pensai che 'conosciuto' non era esattamente la parola giusta. Trascinarsi a peso morto lungo un marciapiede di notte e ubriachi marci non era esattamente come conoscersi al bar. Però vabbé, mica lo avevo deciso io.

E di questo tipo ricordi qualche connotato usuale alla stragrande maggioranza delle persone o anche lui è destinato a rimanere nell'anonimato di una fossetta?” continuò Donna salottiera, rigirando le fette di bacon nella padella.

Ingollai un altro morso di toast. “Scusa se sono una persona normale e quando mi sbronzo tendo a dimenticarmi qualche dettaglio. E comunque questo qui me lo ricordo” aggiunsi.

Ah sì, e com'era? Carino?”

Sì. Well, non l'ho visto così bene...” Donna fece un colpo di tosse troppo simile ad una risata “...ma me lo ricordo!” aggiunsi in fretta “Era alto, più alto di me, almeno così” e misi la mano sopra la mia testa di un paio di spanne “e aveva i capelli scuri. Neri, credo. E un naso...”

Appunto, un naso come?

Bè, se aveva perfino un naso doveva essere proprio un figo da paura” commentò Donna, mettendomi davanti un piatto con bacon e uova. Le lanciai un'occhiataccia.

Bè, hai capito. Mi ha aiutato ad arrivare in strada e a trovare un taxi dopo che è arrivata la polizia”

Un vero cavaliere!” esclamò Donna “E come avete fatto a uscire da quella villa? Io sono scappata con Jeremy e Thomas -avevano la macchina lì davanti, sai- e una volante ci ha inseguito per quasi un miglio. Thomas guida come un pazzo; ricordami di non salire mai più in macchina con lui”.

Forse guidava come un pazzo perché aveva la polizia alle calcagna”.

Donna sembrò rifletterci su. Poi alzò le spalle: “Non è un valido argomento”.

Risi. “Io ho scalato la siepe e sono passata nel giardino accanto. Penso di averti rovinato il vestito, in effetti”.

Tranquilla, l'avevo preso al discount. Ma...”

Sì, le scarpe sono integre, tranquilla. Forse non troppo pulite, ma integre”.

Donna sospirò di sollievo. Sapevo che quelle scarpe le aveva pagate con lo stipendio di un mese.

Perché Donna mi prestava i suoi vestiti? Perché quando ero arrivata lì, circa un mese prima, non ero troppo in me. Non avevo portato via niente da casa mia. Niente, nemmeno lo spazzolino. Ero piombata a casa di Donna, dall'altra parte dell'Oceano, senza nemmeno uno straccio di beauty case.

Perché? Troppo umiliante da spiegare.

Ero lì per ricominciare, e questo bastava.

E come si chiamava questo tipo con il naso?” continuò Donna.

Solo allora mi accorsi che non mi aveva detto il suo nome. “Oh. Non lo so. Non me l'ha detto”

Donna sollevò entrambe le sopracciglia: “No? Un cavaliere senza nome, quindi. Però perlomeno te ne ricordi la faccia. Mentre di quell'altro, poveretto, non ricordi che il nome. Hai un nome senza volto e un volto senza nome. Che cosa bizzarra!”

Non l'avevo ancora considerata sotto quel punto di vista. Il destino si divertiva proprio un mondo a prendermi in giro.

Ma se non vi siete nemmeno presentati di cosa avete parlato nella vostra romantica fuga? O forse siete passati subito ai fatti, complici l'alcol e l'oscurità?”

Le lanciai un'occhiata divertita.

No, niente di tutto ciò. Non abbiamo parlato affatto, in effetti. Lui sembrava piuttosto incazzato”

Incazzato? Ah. E quindi non ti ha detto proprio niente?”

Bè, no. Mi ha solo chiesto dove abitavo e...”

Flash. Buio, la luce gialla dei lampioni. Le macchine che sfrecciano lungo la statale. Una testa scura infilata nel finestrino. Goodnight sweetheart.

...e mi ha augurato la buonanotte. 'Goodnight, sweetheart'.”

Sweetheart? Ah, ma lui allora un pensierino l'aveva fatto” mi fece l'occhiolino e si alzò. Aveva già spazzolato tutta la colazione.

Donna!” mi lamentai, ridendo.

E poi dici che sono io la mente perversa. Sei tu quella che si fa accompagnare da sconosciuti ubriachi nel bel mezzo della notte”.

Stavo scappando! E tu sei andata via con ben due uomini, ti ricordo”.

Sbagliato: Jeremy non conta come uomo. Lo considererei piuttosto come una scimmia molto evoluta, ecco”.

Ridemmo entrambe. Donna, da brava donna di casa, si mise a stirare su di un'asse che spuntava dal muro. Guardarla era rilassante.

Bè? Che festa abbiamo stasera?” le chiesi dopo un po', ancora sorridendo.

Stasera sono al bar fino alle due, poi possiamo fare quello che ti va”.

Vengo al bar con te allora.” dissi, prendendo un sorso di caffè annacquato “Io e il destino abbiamo un conto in sospeso”.

 

•••

 

La canzone alla radio mi parlava di passato.

Me ne stavo lì, seduta al bancone, a rigirare il mio cocktail. Era quello il momento in cui la tristezza mi assaliva, puntuale e precisa come un orologio al cesio: le ventidue e un quarto del post venerdì sera.

Tutto attorno a me sembrava raccontarmi la mia stessa storia. Perfino lì, nei favolosi United States dove tutto era nuovo ed eccitante, non riuscivo a sentirmi felice.

Non riuscivo a sentirmi me.

C'era ancora qualcosa, qualcosa di indefinito, vischioso, che mi imprigionava, che mi obbligava a sopportare quella malinconia deprimente.

E mi si abbatteva addosso la consapevolezza, più pesante e dolorosa di tutti i carichi che avevo mai sopportato: la consapevolezza di non poter scappare da me stessa. Non riuscivo a sentirmi felice, completa, serena. Non riuscivo ancora ad accettarmi come una che ha fallito. Non riuscivo, a ventitré anni, ad accettare di aver perso tutti i sogni per strada.

Sapevo che prima o poi avrei dovuto fare la pace con me stessa, prima che con tutti gli altri.

Guardavo Donna che correva indaffarata da un tavolo all'altro. Un ciuffo scuro le era sfuggito alla coda alta; che anche lui, piccolo ciuffo ribelle, stesse rivendicando la sua libertà, con quella sua manifestazione di trasgressione al sistema?

Chiaro, stavo delirando.

Rigirai la mia ciliegina con fare assorto. Rieccoci qui, ciliegina. Io, te e le mie deprimenti riflessioni del sabato sera.

Avrei potuto dare la colpa a lui. Se la meritava tutta, in fondo. Vero, ciliegina? Era tutta colpa sua, altroché. Ma avevo un peso, all'altezza dello stomaco, che mi diceva qualcos'altro. Qualcosa di molto scomodo in realtà, che cercavo in tutti i modi di zittire. Ma si sa, la coscienza ha modi tutti suoi per farsi ascoltare.

Senza di lui tu non saresti qui.

Grazie tante. Aveva dunque anche un merito, lui? Dopo quello che mi aveva fatto? Non ero pronta ad accettarlo.

Un rumore mi fece voltare: un ragazzo si era seduto sullo sgabello accanto al mio. Aveva i capelli rossi.

Tornai a concentrami sul moto circolare uniforme del mio Widow Kiss. Era tutto il giorno che pensavo a quel Brian: qualunque altro esponente del sesso maschile difficilmente avrebbe potuto incontrare il mio interesse. Ed ecco che lo facevo di nuovo. Perché dovevo impuntarmi con gli uomini, dannazione a me? Aveva ragione Donna: finché non ti ficcano la lingua in bocca uno vale l'altro. Poi potevi decidere se mollargli un ceffone o sbatterlo al muro, a seconda dei casi. Ma prima, sono tutti uguali; prima regola del cacciatore. Pardon, della cacciatrice.

Ma era davvero così? Forse no, forse era solo una forma di difesa: se non permetti agli altri di avere influenza su di te, sei tu a decidere il gioco. Chissà. Forse Donna voleva solo proteggermi e quei consigli balordi erano solo una delle tante dimostrazioni del suo affetto.

La guardai.

Come avrei fatto, senza di lei? Chi mi avrebbe accolta in casa d'improvviso, bagnata come un pulcino, in lacrime, senza un soldo e nemmeno un cambio di mutande?

Perché, sotto quei modi da aristocratica decaduta, Donna era un angelo. Era fragile, proprio come me, solo che lei era stata temprata dalla vita; si era fatta la corazza, lei.

E invece, la povera piccola Emma? Altro che corazza: si sentiva esposta e vulnerabile come un cucciolo di foca che ha perso la mamma. Guardai il mio cocktail con espressione lugubre.

Tutto bene?”

Ed eccola di nuovo, con la sua faccina da chioccia. Avrebbe dovuto infastidirmi, è vero; invece sapere che almeno lei si preoccupava per me era una delle poche cose che mi aveva aiutato a tirare avanti. Mi scaldava il cuore.

Sì, Donna, tutto bene. La solita depressione del sabato sera”.

Ma no, ma no, sweetei! Su, finisci il tuo Widow Kiss che poi ti porto un bel caffè ristretto. Very italian”. Le sorrisi. Lei ricambiò e sparì da una porta sul retro.

Bevvi un sorso del cocktail, ma l'odore di gin era ancora troppo vivido nella mia mente e dovetti fare violenza su me stessa per deglutire. Feci una smorfia e scostai da me il bicchiere.

Basta alcol, basta feste. Lo dicevo ogni sabato sera, e ogni sabato notte ci ricadevo. Di chi era la colpa? C'era davvero, poi, un colpevole?

Il caffè fu un miracolo amaro. Mi scosse lo stomaco e mi riportò con violenza alla realtà. Fu quando tirai fuori i soldi per pagare che cominciarono i soliti problemi.

No, senti, no. Non devi pagare, te lo offro io”.

Quante volte avevamo inscenato quella farsa? Ma ogni volta Donna non cedeva di un millimetro, irremovibile. Secondo lei io non potevo pagare, punto. Potevo lamentarmi quanto mi pareva, lei non avrebbe mai preso dei soldi da me.

Donna, ho perso il conto di quanti caffè mi hai offerto da quando sono qui, lasciami pagare”.

No, non devi. Sei ospite e non hai nemmeno un lavoro”.

Un motivo in più per pagare chi sgobba tutto il giorno! Questo caffè fa parte dell'incasso della serata e di conseguenza del tuo stipendio: prendi i soldi”.

No”. Cocciuta come un mulo.

Prendili, dai!”.

Non insistere, no”.

Sì, invece”.

No!”.

Sì! Donna, dai...!”

Emma, senti...!”

Pago io!” Io e Donna ci voltammo entrambe. A parlare era stato un giovanotto abbronzato seduto a due sgabelli di distanza dal mio. Dalla sua espressione non era difficile capire quanto fosse esasperato dalla nostra discussione. Si alzò e mise i soldi in mano ad una sbigottita Donna. Poi si sedette accanto a me.

Sono tre sere che vedo questa scenetta. Così siete contente tutte e due” commentò il tipo, guardandoci con una spocchiosa self-confidence.

Donna alzò un sopracciglio, scettica. Mise i soldi in cassa e strappò lo scontrino con eccessivo fervore. Lo lanciò al tizio che aveva pagato, andandosene con il naso per aria a servire altri clienti.

Il ragazzo mi guardò incerto: “Ho fatto qualcosa che non va?”

Mi strinsi nelle spalle: “E' fatta così” lo tranquillizzai. Poi gli sorrisi: “Grazie, ad ogni modo”.

Di niente”. Mi sorrise. Aveva i denti bianchi e dritti, un bellissimo sorriso... ma nessuna fossetta.

Basta, basta! Stavo diventando paranoica.

Mi porse la mano senza smettere di sorridere. “Io sono Justin. Tu sei...?”

Emma” dissi, rispondendo alla stretta. Una stretta sicura e forte.

Non sei americana, sbaglio?”

Quanto brutto doveva essere il mio accento?!

No” risposi per l'ennesima volta in quel mese “non sono americana. Vengo dall'Italia”.

Fece un fischio sommesso. “L'Italia! La patria dell'Arte!”

Lo guardai stupita. Non era la risposta che mi aspettavo. Lui sorrise di nuovo di fronte al mio sconcerto. “Io vivo di Arte. Ho studiato Arte Drammatica a Pittsburgh. La School of Drama di Pittsbourgh, sai? In Pennsylvania, è famosa, magari la conosci...”.

La mia espressione ebbe il potere di farlo desistere.

Scrollò le spalle.“Fa niente. Quindi sì, mi occupo di arte. Tu invece che fai nella vita? Emma, giusto?”

Annuii. Ma quanto parlava questo?

Sì, sì, Emma, Emma è giusto. Io sono qui... in vacanza” dissi, vaga.

In vacanza? E tra tutti i posti meravigliosi degli Stati Uniti hai scelto proprio l'Ohio?” sorrise. Sorrideva decisamente troppo.

E' stata una scelta obbligata. Sto da un'amica” feci un cenno con la testa verso Donna, al momento impegnata in alcune ordinazioni ai tavoli. Lui afferrò al volo. “Ah, capisco. Bè, Emma, lasciami dire che non hai affatto l'aspetto di una che sta in vacanza. Sembri piuttosto una che è appena naufragata qui per caso ed è troppo depressa per prendere un biglietto d'aereo per tornare indietro. Se devi mentire, non devi né metterti una mano davanti alla bocca né grattarti il naso mentre la stai facendo. Perfino un sordomuto lo noterebbe, te l'assicuro. E poi se fossi davvero in vacanza saresti in giro a fare la turista, mentre è la terza sera questa settimana che ti vedo seduta qui; e sorrideresti, sorrideresti molto: e invece prima guardavi il tuo cocktail come se ci ti volessi affogare dentro. E non ci sono solo questi dettagli, così fisici diciamo, c'è anche l'intenzione, la sfumatura della tua voce, il colore de...” si fermò.

Lo stavo guardando con espressione assolutamente inebetita.

Scusa” mi disse, l'eterno sorriso stampato sulle labbra “deformazione professionale”.

Gli sorrisi a mia volta; un riso timido, impacciato, che sapeva di rugiada mattutina.

Probabilmente, il primo sorriso sincero da settimane.

Ecco, così va molto meglio” mi incoraggiò lui, amabile.

La ciliegia del Widow Kiss mi fissava dolcemente attraverso il liquido ambrato. D'un tratto capii che tutto sarebbe andato meglio. Doveva andare meglio.

Presi l'iniziativa: “C'è un festa, stanotte, a casa di un tipo. Ti va di venirci con noi?”

Lui, ovviamente, sorrise.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Bringing up the Thanksgiving Lunch ***


 

 

 

Bringing up the Thanksgiving Lunch

 

Non avrei mai finito di stupirmi per la balorda concezione delle distanze da quella parte dell'Oceano; quello che in Italia era obiettivamente definito un viaggio lungo in America erano “oh, pochi minuti, sweetei”.

Dopo due ore -due ore!- di macchina arrivammo a destinazione.

Erano state due ore molto particolari: Justin, seduto dietro, non aveva finito un secondo di ciarlare con i gomiti appoggiato ai due sedili anteriori. Ci disse che viveva a Cleveland da appena un anno, che condivideva il suo mini monolocale con uno sfigato depresso, che cantava in un pub per pagarsi l'affitto. Era una persona estremamente calorosa e accattivante: impossibile non esserne conquistati.

E infatti Donna, dapprima scettica, aveva poi finito per abbandonare la sua maschera da baronessa per lasciarsi coinvolgere dall'espansività del nuovo arrivato. Aveva parlato molto: scoprì che lei e Justin avevano interessi simili, se pur con divergenti opinioni. Avevano passato metà del viaggio a litigare su chi fosse il miglior male artist dell'ultimo decennio -Justin insisteva su Justin Timberlake, forse per un legame di confidenzialità creato dall'omonimia- e l'altra metà a raccontare aneddoti esilaranti sulle ultime feste della zona. Se c'era una cosa in cui si trovavano meravigliosamente d'accordo, era la voglia di fare casino.

Ed eccoci arrivati a questo posto sperduto.

Ehm. Come non detto.

La parola 'sperduto' svanì dalla mia mente non appena scesi dall'auto. Era uno dei posti più cool in cui fossi mai stata. Dopo un'alta cancellata di ferro battuto, oziosamente spalancata, si estendeva un giardino sconfinato; in fondo, illuminata, c'era una villa bianca.

Ci incamminammo. La musica, ovattata, arrivava fino a lì.

Memore della serata prima avevo evitato i tacchi in favore di un paio di comode ballerine; in caso di fuga acrobatica i miei piedi mi avrebbero ringraziato. Io e Donna ci eravamo cambiate apposta per la serata, nel retro del bar. Lei si era vestita sobriamente, per i suoi standard; io invece indossavo una gonna talmente corta che si poteva immaginare perfino la fisionomia dei miei organi interni. La strattonai giù con nonchalance, sorridendo partecipe ai discorsi di Justin.

...e quella volta mi sono svegliato nel giardino di mia cugina, completamente nudo se non per un salvagente a forma di papera attorno alla testa. Credo sia stata la mia sbornia peggiore in assoluto, quella. Un mal di testa allucinante”.

Mi immaginai la scena e ridacchiai. Donna annuì saggiamente: “Ah, la mia peggiore è stata il giorno del mio ventunesimo compleanno. Non ricordo assolutamente niente”.

Niente?”

Niente. Però so per certo che ho inseguito il mio ex con una vanga per poi limonare per mezz'ora con mio cugino. Ah, e ho improvvisato un live di Singles Ladies in mezzo al giardino. Ballato e cantato eh, roba seria. Ho anche usato il pollo di plastica del mio cane come microfono. Credo ci siano ancora filmati che lo provano, nonostante abbia minacciato di rogo e tortura dei pollici chiunque ne fosse in possesso”.

Justin la guardò incredulo, poi gettò indietro la testa e rise singhiozzando.

E non l'hai vista ieri sera!” mi intromisi innocentemente io “Russava in giardino con un monociglio disegnato con il pennarello e vestiti strappati. A proposito di vestiti strappati, non me ne hai ancora spiegato il motivo...”

A proposito...?” mi fermò lei fintamente velenosa “Devo farti pentire amaramente per non avermi detto di quel sopracciglio. Per tutta la sera Thomas e Jeremy non hanno fatto altro che ridermi in faccia e io ero troppo ubriaca anche solo per poter pensare di cercare uno specchio; me ne sono accorta solo la mattina dopo! Meriti una punizione esemplare”.

Se si parla di vestiti strappati e di punizioni io sono sempre interessato” si fece avanti Justin sorridendo innocente. Donna gli scoccò un'occhiata altezzosa. “Sono io che decido da chi e quando farmi strappare i vestiti, white yokel”.

Ah-ah!” esultai “Allora ammetti che te li ha strappati qualcuno!”

Calunnia e maldicenza!”

Justin arricciò la bocca, malizioso “La faccenda si fa sempre più inter...” si interruppe. Fischiò ammirato: “Wow! La voglio anch'io una piscina così!”

Guardai anch'io. Proprio davanti alla monumentale porta d'ingresso, con tanto di colonne ioniche, stanziava un'ampia piscina rotondeggiante. Emanava una tenue luce azzurrina e c'erano almeno una ventina di persone che vi sguazzavano dentro; in quella zona la musica era altissima.

Donna sorrise, pregustando la serata.

Girammo attorno alla piscina, evitando gli schizzi e la gente che ballava e rideva furiosamente, e arrivammo all'entrata.

La porta, elegante, di legno lucido, era spalancata.

Donna!”.

Davvero, davvero ancora non riuscivo a spiegarmelo. Come poteva Donna conoscere così tanta gente? Ovunque andassimo c'era qualcuno che berciava il suo nome, che era felicissimo di vederla, che la baciava sulle guance, che le chiedeva come stava e dov'era finita.

E quella volta non fu da meno: dopo i convenevoli e i bacetti il ragazzo in questione cominciò a parlare a ruota libera, catalizzato da Donna. Non aveva occhi che per lei.

Lo osservai. Era biondiccio e pallido, con labbra troppo sottili e occhi troppo distanti per essere davvero attraente. Donna lo guardava annuendo brevemente e dovette frenare la sua cascata di parole per presentare me e Justin. Il ragazzo pallido ci guardò con disinteresse per poi tornare a mangiarsi Donna con gli occhi. E come dargli torto, poveretto? Donna era uno schianto anche in jeans e maglietta.

Justin mi lanciò un'occhiata divertita. Poi si rivolse a Donna con una genuinità ammiccante: “Vi lasciamo soli?”

...oh, ma che peccato devo andare!” strillò Donna assolutamente poco spontanea; sorrise al biondino e ci prese sotto braccio.

Non ridete! E' il proprietario della casa” snocciolò trascinandoci via“E uno dei miei tanti ex”.

Tanti?” sorrise Justin.

Oh, non puoi nemmeno immaginare” replicò Donna con un gesto svogliato della mano.

Annuii compostamente: “No, non puoi”.

Entrammo.

Fummo catapultati in un mondo di luci stroboscopiche e di corpi accaldati che si strusciavano l'uno contro all'altro. Un odore acre e dolciastro mi riempì le narici.

Donna ci teneva ancora sottobraccio. Sorrise. “Bene, children. E' ora di fare casino”.

 

I raggi bianchi tagliavano la realtà in tanti fasci sottili di luce, portandomi ad immaginare più che a vedere davvero ciò che mi stava davanti. Le luci erano intermittenti e andavano a tempo con la musica, violentissima e ritmata.

Persi Donna e Justin dopo pochi minuti.

Ovviamente.

Mi aggirai nella folla da sola, inebriata e esaltata da quell'inferno di ritmo e di persone. Mi ritrovai con un bicchiere in mano, ma non lo bevvi; finì in faccia ad un tipo un po' troppo fiducioso di potermi mettere le mani sotto la gonna.

Andai proprio in mezzo al tumulto. Desideravo perdermi del tutto, perdere tutta me stessa; come sempre, come ogni notte. Per un secondo, un flash, mi parve di intravedere un fossetta. Ma mi parve anche di vedere un tizio vestito da ananas, quindi non ritenni troppo attendibili le mie capacità sensoriali.

Ballai fino a farmi girare la testa. Da sola, con sconosciuti, con sconosciute. Un mare di volti mi passò davanti agli occhi. Volti con occhi troppo grandi, troppo vicini, a mandorla; menti troppo a punta o troppo sfuggenti; guance troppo scavate, capelli troppo rossi, nasi troppo ingombranti. Persone diverse, che fuori di lì avevano una loro vita. Persone perdute, che erano lì per dimenticare tutto. Come me.

Drink, drink, drink, drink, drink, drink, drink, drink, drink, e-very-bo-dy!

Drink, drink, drink, drink, drink, drink, drink, drink, drink, e-very-bo-dy!*

Un paio di ragazzi cercarono un contatto più intimo, ma io li respinsi. Non ero lì per quello, proprio no. Il terzo tizio però fu più insistente, e dovetti spingerlo via in malo modo per fargli capire che non ero interessata.

Sgusciai via dalla folla, cercando un po' di calma.

E, adesso che ci pensavo, dovevo proprio andare in bagno.

Arrivai ad una scalinata; la sua maestosità era scalfita dalle numerose coppiette che vi si davano da fare incuranti del pudore. Salii i gradini due a due per non guardare. Percorsi il corridoio di sinistra. Dove cavolo era il bagno? C'erano troppe porte.

Bussai in una. Nessuna risposta; aprii un poco lo stipite e sbriciai dentro. Sobbalzai e lo richiusi immediatamente, desiderando eliminare quanto avevo visto.

La seconda stanza era una camera da letto, piena di persone che cantavano stonate. La terza era vuota, se non per il tipo vestito da ananas svenuto sul pavimento che ondeggiava miseramente qua e là. La mia fortuna fu la quinta porta. Entrai nel bagno, raffinato, color panna e miracolosamente vuoto, e espletai con sollievo le mie funzioni corporali.

Mi guardai allo specchio e sospirai.

Eccomi qui, di nuovo. Lo sguardo esaltato, i capelli fuori posto, la gonna troppo corta. Mi guardai negli occhi con intensità, come se volessi comunicarmi qualcosa da sola. Ed era un po' così, in realtà. La vita notturna mi stava aiutando a rivedere la luce dopo l'oscurità.

Forza, Emma, forza. Ce la faremo”.

Feci un respiro profondo e riaprii la porta; la musica, prima ovattata e distante, mi aggredì di nuovo le orecchie. Feci un passo: non riuscii nemmeno a registrare quanto stava accadendo che mi ritrovai per terra, schiacciata e sgomenta.

Qualcuno mi era caduto addosso.

What the hell...?” borbottai, divincolandomi. Una voce mi rispose un debole: “I'm sorry”.

Riuscii a sfilarmi da quel cadavere e a trascinarlo dentro il bagno; dava troppo nell'occhio, lì, prono a terra tra il bagno e il corridoio. Un paio di cheerleader ci squadrarono disgustate. Richiusi loro la porta in faccia.

Uh, che fatica. La musica tornò ad essere solo un rimbombo ritmico sul pavimento. Mi appoggiai al lavandino, incerta sul da farsi, osservando poco convinta il tizio per terra.

E adesso che ci devo fare con te?”

Non che mi aspettassi davvero una risposta, eh. Infatti quello non si mosse né disse nulla. Sospirai e mi inginocchiai accanto a lui. Lo scossi leggermente, titubante.

Niente. Nothing. Nada de nada.

Ehi” tentai. Riprovai più forte: “Ehi!”

Oddio. Ma era morto?

Gli diedi uno schiaffo sulla testa. Oh, grazie a Dio! Un segno di vita! Il tizio mugugnò qualcosa di incomprensibile e tentò di alzarsi.

Si mise in ginocchio e fissò il vuoto con occhi persi.

Fu quando si scostò i capelli dal viso che lo riconobbi.

Rimasi lì, sorpresa e stordita quasi quanto il tizio che avevo davanti. Era assurdo. Meditai su quali deliranti assetti astrali avrebbero mai potuto fare in modo che ci rincontrassimo. Il destino doveva proprio divertirsi nel rendere grottesca la mia vita.

Avevo ritrovato il mio cavaliere senza nome.

 

Vomitò l'anima, in quel bagno.

Dopo che si era riavuto avrei potuto lasciarlo lì, certo, ma non ne avevo avuto il cuore. E poi lui era stato carino con me e, per quanto snob, non potevo non ricambiare la gentilezza.

Così mi ritrovai a sostenergli la fronte unticcia mentre buttava fuori anche il pranzo del Ringraziamento.

Assurdo.

Forse Dio voleva che ricambiassi quel favore con gli interessi.

Il cavalier servente era pallidissimo e sconvolto. Tra un pausa e l'altra cercava di dirmi qualcosa, ma lo sforzo gli costava un altro rigurgito e un altro viaggio verso il wc. Io continuavo ad accarezzargli i capelli, a raccontargli la mia vita, a rassicurarlo. Ma per lo più dicevo cose senza senso, in inglese e in italiano; l'importante era non stare zitti. Donna l'aveva già fatto con me, a mio tempo, e io l'avevo trovato di grandissimo conforto.

Dopo un'ora, lui si accasciò sul muro e non si mosse più. Mi guardava fisso con quei suoi occhi azzurrognoli, stremato, senza dire niente.

Non sapevo più cosa fare. Un conto era aiutare una persona a svuotare le viscere, un'altra era riportarla sana e salva a casa. Cosa che lui ha fatto con te, tra l'altro.

Uhm.

Scusami”.

Era stato poco più che un sussurro, una flebile preghiera. Cercai qualcosa da dire, ma lui mi anticipò: “Mi sto... vergognando da morire”. Lo disse con un'espressione talmente abbattuta che quasi mi fece tenerezza. “Non fa niente” replicai sorridendo “Sono cose che capitano”.

Non...” si sforzò “...non dovrebbero. Non... con te”.

Cosa? Non ero certa di avere inteso bene. Stava parlando nel delirio dell'ebbrezza, sicuro.

Ovvio che deve capitare con me” scherzai “devo ricambiare il favore di ieri notte. Non credo sarei mai arrivata a casa senza di te”.

Lui sbuffò, in un tentativo di sembrare contrariato. Provò anche a dire qualcos'altro, ma fu costretto a serrare gli occhi in preda ad una vertigine. Sapevo bene come si stava sentendo.

Seguirono alcuni minuti di silenzio. Non imbarazzante, no: rilassante. Era rilassante sapere di poter stare lì, seduta sul bordo della vasca da bagno, e sapere che al di là di quella porta di legno chiaro si stava scatenando un inferno di musica e di corpi sudati.

Chissà dov'erano Donna e Justin.

Guardai il mio cavaliere esausto sul pavimento. Era ancora molto pallido, ma sembrava più tranquillo. Diedi un'occhiata al telefono: le cinque e quarantasei. Decisi che era l'ora di prendere il mano la situazione.

Mi alzai. “Su! E' ora di andare a casa”. Mi chinai verso di lui, passando un suo braccio attorno alle mie spalle proprio come lui aveva fatto con me. Feci uno sforzo immane per tiralo su; ma, pur barcollanti, riuscimmo a ritrovarci in piedi.

Aprii con cautela la porta del bagno e trascinai fuori quel peso morto. La testa gli ciondolava pericolosamente; temevo di crollare ad ogni passo sotto il suo peso. Sbuffai e grugnii fino alle scale. Oh, bella. E adesso? Mica potevo farlo rotolare giù come un sacco di patate.

Studiai i dintorni. Attorno a me c'era solo gente che vomitava o impegnata in contorsioni con l'altro sesso, quindi di nessuna utilità. Cercai una faccia amica, ma con scarso successo. Dov'erano i muscoli pompati di Justin quando servivano?

La scala, altissima e ricoperta di una sontuosa moquette rossa, mi scrutava con aria di sfida. Sospirai, preparandomi alla prova di forza.

Forza, tesoro. Adesso dobbiamo scendere le scale. Li vedi i gradini?”

In risposta ottenni un mugugno incomprensibile. Dio, che situazione.

Strinsi più saldamente il ragazzo alla vita e scesi il primo scalino. Lui ciondolò pericolosamente in avanti; persi cinque anni di vita.

Poi per fortuna riuscì a riprendere possesso delle sue facoltà motorie e ad appoggiare i piedi sul gradino. Ringraziai il cielo e con tutta la calma del mondo riuscimmo ad arrivare in fondo alla scalinata. Il sudore mi colava lungo la schiena e avevo tutte le spalle contratte, ma alzai un pugno vittorioso.

Hai visto? Siamo ancora vivi” lo rassicurai. Lui provò a fare un sorriso, ma ne uscì più una smorfia di dolore. “Adesso ti chiamo un taxi”.

Sì, certo, con quel caos. Perché non avevo chiamato prima, nella tranquillità del secondo piano? Che idiota.

Grazie al cielo, in quel momento comparve Justin. “Emma!” urlò, per farsi sentire attraverso quel delirio “Che stai facendo?” scrutò la mia espressione stremata e il peso morto che mi trascinavo dietro. “E' amico tuo?” tuonò.

Ehm, più o meno” risposi. “Me la dai una mano o quei muscoli da palestrato te li tieni solo per decorazione?”

Lui sorrise e si passò l'altro braccio del ragazzo senza nome attorno alle spalle. Mi sentii leggerissima, come liberata da un peso enorme. Mi scrocchiai con soddisfazione il collo provato.

Grazie. Potresti mica portarlo fuori? Devo chiamare un taxi perché lo porti a casa e qui c'è troppo casino”.

Cosa?” urlò lui. Mi avvicinai al suo orecchio: “Qui c'è troppo casino! Dobbiamo uscire”. Annuì per farmi intendere di aver capito. Ci avviammo all'uscita spingendo e urtando chiunque si trovasse sulla nostra strada.

Quando potei finalmente assaporare l'aria fresca della notte mi sentii molto meglio. Justin fece sedere l'ubriaco sugli scalini d'entrata, accanto alla colonna ionica. Il poveretto si lasciò manovrare come un burattino. Justin lo osservò un po', cauto, mentre io digitavo il numero del servizio taxi e gli riferivo l'indirizzo di quel posto. Chiusa la chiamata, Justin si rivolse a me: “Va tutto bene?”

Sospirai e feci un sorriso: “Sì, va tutto bene”. Lui mi lanciò un'occhiata divertita che sembrava dire: tu non me la racconti giusta. Cambiai discorso con nonchalance: “Tu invece? Ti sei divertito?”

Oh, molto. La musica faceva schifo e il punch sapeva da rum, però ho incontrato un paio di biondine niente male che mi hanno intrattenuto a dovere”.

Lo guardai sbalordita. “Cioè, tu...?”

Mi guardò ingenuamente, poi scoppiò a ridere. “Ma no, scema di un'italiana!” replicò, facendomi l'occhiolino. “Mi solo limitato a chiacchiere e a strusciamenti innocenti”.

Non ne ero così convinta. “Adesso mi rimarrà il dubbio, però”.

Ma dai” mi rimbrottò lui “ti sembro il tipo da sesso occasionale? Io, con il mio esorbitante talento artistico e questa faccia da schiaffi?”

Ridacchiai. “No, in effetti no”.

Il ragazzo accasciato sulla colonna emise un basso borbottio. Mi inginocchiai al suo fianco e gli scostai un ciuffo di capelli neri che gli copriva la fronte. Lui sembrò fare uno sforzo immane per aprire gli occhi. Mi fissò.

Aveva degli occhi strani, di un azzurro scuro e liquido, come due pozze di acqua torbida e melmosa. Due occhi paludosi. Mi sentii stupida appena lo pensai, però mi dissi che quella descrizione calzava a pennello. E quel naso? Ecco, adesso che potevo osservarlo bene, tutti gli aggettivi che mi passavano per la mente non erano adeguati. Era un naso dritto, sì, ma non importante. Era... deciso. Un naso deciso? Come fa un naso ad essere deciso? No, no, non andava bene. Patrizio, ecco, sì. Un naso patrizio.

Lui mi stava scrutando con la stessa intensità. Che si fosse accorto del mio esame?

La voce di Justin mi riportò alla realtà, dicendomi che sarebbe stato meglio avviarci verso il parcheggio.

Il taxi arrivò poco dopo. Pagai il taxista in anticipo con un'abbondante mancia perché portasse il mio cavaliere fino alla porta di casa -gli avevo frugato addosso per trovare l'indirizzo nella sua carta d'identità- e poi non potei far altro che sperare che fosse di parola.

Ad ogni modo, avevo fatto quel che potevo.

Appena il taxi sparì dalla vista, Donna arrivò: aveva un festone verde e giallo attorno al collo e un un paio di manette attaccate ad un polso, ma era perfettamente lucida e sobria. Non sgarrava mai quando doveva guidare.

Il viaggio di ritorno fu pervaso da una nebbiosa sonnolenza, e nessuno sembrava avere la forza di parlare. Justin russava piano e Donna guardava fisso la strada mormorando una vecchia canzone pop. Arrivammo a casa piuttosto provati. Lo sbattere delle portiere mi infastidì parecchio, e così l'interruttore della luce una volta entrati in cucina. Non capii dove trovai la forza per spogliarmi, lavarmi e buttarmi a letto. Volevo solo dormire fino alla prossima era glaciale.

Chiusi gli occhi.

Anche per quella volta, la festa era finita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*”Drink” di Lil Jon ft. LMFAO.

 

 

Eccomi qui con un nuovo capitolo!

Vi prego di non badare troppo alla struttura, al lessico, all'impostazione: è una storiella nata per caso e senza pretese. Ha il solo scopo di procurare un po' di diletto.

Come suggerisce il titolo, T.G.I.F., la storia vorrebbe riprendere la spensieratezza della famosa canzone di Katy Perry Last Friday Night. In questo racconto voglio mettere ogni singolo elemento dei versi di quella canzone; alcuni -pochi- sono già presenti ;)

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Strange awakenings ***


 

 

 

Strange awakenings

 

 

Mmm. Quel letto era così meravigliosamente comodo!

Ci misi un po' a riemergere dal mondo dei sogni, avvolta così dolcemente nel tepore delle lenzuola. Il sole era alto nel cielo e splendeva glorioso attraverso le tendine verde acqua della mia stanza. Probabilmente mezzogiorno era passato da un pezzo. Mi strofinai gli occhi con un mano, sbadigliando. Il mio cervello, provato da due notti pressoché insonni e annacquato dall'alcol, non fu rapido ad elaborare la situazione in cui mi trovavo.

Ero mezza nuda. Ok, pensai, ma perché la sera prima mi ero fatta la doccia e il pigiamone con i pinguini che mi aveva prestato Donna era ad asciugare sullo stendibiancheria. Pertanto non mi stupii troppo di indossare solo reggiseno e mutandine di seta -sempre gentile concessione della mia ospite.

Ma c'era dell'altro: Justin era nel mio letto. Quando me ne accorsi il sangue mi salì vorticando al cervello per poi scendere in caduta libera nelle parti basse. Deglutii e presi a respirare affannata.

C'era Justin nel mio letto. Justin. Nel mio letto. Sotto le mie lenzuola. Feci un profondissimo respiro per anestetizzare gli ormoni febbricitanti. Ma... anche quello era ok in fondo, no? Cercai di convincermene. La sera prima aveva bevuto anche lui, e di conseguenza non sarebbe stato in grado di guidare fino al suo appartamento. Quindi... l'avevamo invitato a restare per la notte? Probabile, anche se non lo ricordavo. Quello che non mi spiegavo era perché fosse nudo anche lui e perché io gli fossi completamente spalmata addosso. Quello no, proprio non me lo spiegavo.

Era una situazione... imbarazzante. Quantomeno, era bizzarra.

Sollevai un poco la testa. Al di là dei pettorali ampi e perfettamente glabri di Justin c'era Donna, raggomitolata sul fianco del ragazzo proprio come lo ero io.

Ok. Era una situazione decisamente bizzarra.

Respira, respira.

Dopo essere arrossita atrocemente per un paio di minuti e aver costretto gli ormoni imbizzarriti a rientrare nelle loro stalle, riuscii a ritrovare la lucidità. Era quasi... dolce. Non c'era niente di osceno o di sconveniente in quell'immagine. Eravamo due donne a letto con un uomo, sì, ma stavamo dormendo innocenti come angioletti dopo una notte di follia. Semplicemente, eravamo amici.

Va bene, conoscevo Donna da sei anni e Justin da meno di un giorno, però... non me la sentivo di fare distinzioni. A volte bastano poche ore perché due anime si riconoscano come affini. In fondo faceva quasi ridere: io, la perfettina, la secchiona, la fedele Emma a letto con un'amica americana e un uomo conosciuto la sera prima al bar. Se i miei compagni di corso avessero potuto vedermi...

Ridacchiai e mi divertii un po' a disegnare forme astratte sul fianco di Justin.

Eh già. Avevo voluto ucciderla, quella Emma; ora, in quel letto candido, cominciavo ad avere il sospetto che fosse morta veramente.

Mi ero ripresa tutto ciò che avevo perso in quegli anni, tutto ciò che era mio di diritto: il divertimento, la vita leggera, la spensieratezze dell'adolescenza. Certo, a ventitré anni ero un po' fuori età, però ero convinta che quella decisione fosse stata la più giusta. L'avevo fatto per me. Forse era la prima vera cosa che facevo solo per me stessa.

La vecchia Emma era morta; la nuova Emma sorgeva.

Mi alzai dal letto con questa nuova visione del mondo, facendo attenzione a non far rumore per non disturbare il sonno altrui. Arraffai una felpa e zampettai piano verso la cucina. Qualcosa però mi trattenne, e indugiai sulla porta. Osservai con affetto le due figure addormentate. Il petto vigoroso di Justin emergeva dalle lenzuola stropicciate mentre Donna gli dormiva accoccolata addosso con una mano posata proprio all'altezza del cuore. Erano terribilmente carini stretti in quell'abbraccio così disinvolto e rilassato.

Quell'umore spensierato mi accompagnò tutto il pomeriggio. Mi preparai un toast -colazione? pranzo? cena?- canticchiando Michael Bublé; misi in ordine la cucina, la stanza di Donna, il soggiorno e il bagno. Presi in considerazione anche l'idea di lavare la macchina, ma finii per guardare una sitcom idiota che davano in tv.

Donna entrò in cucina verso le tre di pomeriggio, arruffata e stranamente silenziosa.

Tutto bene?” le chiesi con leggerezza; stavo sistemando le mollette dello stendibiancheria in meticoloso ordine cromatico.

Mmm” rispose lei, appoggiandosi a braccia conserte sulla lavatrice. Finite le mollette rosse mi girai verso di lei. Aveva un'espressione strana, corrucciata. “Sicura?”.

Sì” rispose senza pensare. “Cioè, no”.

Tornai alle mie mollettine colorate. “Adesso sì che è tutto più chiaro” commentai ironica. Non aggiunsi altro, certa che lei avrebbe ripreso a parlare quanto prima.

E' che...” si bloccò.

Mi rigirai verso di lei. “Cosa?” la invitai, salottiera. Potevo vedere le rotelline del suo cervello girare e sbuffare sotto quei capelli nerissimi. Ci mise un po' a trovare le parole giuste per esprimersi.

Ma Justin si è fermato a dormire da noi stanotte?” mi chiese infine, con un'aria sperduta e un po' accigliata.

Eccolo, il dubbio ancestrale!

Risi di gusto. “Eri mica tu quella sobria, ieri sera?” la presi affettuosamente in giro “Dovresti ricordati di chi inviti a infilarsi nel tuo letto. Cioè, nel mio”.

Lei si corrucciò. “Sì, ma...” si bloccò di nuovo.

In attesa che lei riordinasse i concetti prima di esternarli al resto del mondo, tornai alla mia occupazione. Otto mollette rosse, sei arancioni, due...

E' la prima volta che mi sveglio accanto ad un uomo”.

Le due mollette gialle mi caddero di mano. Quel suono plastico sulle piastrelle della cucina ebbe il potere di rendere ancora più stentorea quella rivelazione, come il suono di trombe nel momento cruciale di un film. Cosa...?

Mi... mi ha fatto impressione” continuò lei, ancora più a disagio di fronte alla mia reazione “Cioè, non nel senso che mi abbia fatto schifo, eh, certo che no, ma nel senso che è stato strano... io e Justin quasi non ci conosciamo... Cioè, non che io non sia mai andata a letto con uomini praticamente sconosciuti, eh, ci sono andata, però, cioè...” si impappinò e la voce le morì in gola.

Donna abusava di intercalari quando non riusciva a spiegarsi. Cosa che avveniva raramente, in realtà. La guardai come se fosse un'aliena viscida e pustolosa.

Tu non hai mai dormito con un uomo?” la mia voce uscì più acuta di quanto avrei voluto.

Sì che ho dormito con un uomo! Con un sacco di uomini!” si difese subito, anche lei più stridula del dovuto. Ma poi si morse un labbro e si agitò sulla lavatrice. “Però non mi sono mai svegliata accanto ad un uomo” ammise infine, a disagio. “E stamattina invece sì. Scusa se ne sono rimasta... colpita”. L'ultima parola la buttò fuori come se sputasse veleno. Era un'accusa sottile a me e alle mie scenate. E che ne sapevo io che non si era mai svegliata con un uomo? Era stata con un sacco di gente! Era legittimo...

E invece no, mi disse una vocina. E invece no. Si può voler fare sesso con qualcuno senza avere la minima voglia di dormici insieme. Dormire accanto a una persona è una dimostrazione di attaccamento molto più intima e profonda del sesso. Nel sesso ci si può nascondere; nel sonno no. Nel sonno si è tutti arruffati, brutti, senza trucco, senza inibizioni. Nel sonno si russa e si sbava, si fanno smorfie e si borbotta. Nel sonno tutte le maschere cadono. Dormire accanto a qualcuno è un atto di dedizione estrema.

E così la mia Donna, la mia esuberante, impetuosa Donna, non aveva mai dormito con un uomo.

Pardon, non si era mai svegliata con un uomo.

Le sorrisi.

Qualcosa, nella sua insicurezza, nel suo esserne colpita, mi fece sorridere. Pensai che, forse per la prima volta nella sua vita, Donna aveva condiviso il letto con l'uomo giusto.

Capisco. Perdona la mia reazione, è stata esagerata” le dissi, chinandomi a raccogliere le due mollette fuggitive. “Però scenograficamente era una favola, ammettilo”.

Le sue labbra piene e perfette si distesero in un sorriso.

Justin entrò proprio in quel momento, facendoci sobbalzare. “Goodmorning ladies!” ci salutò, garrulo.

Scuotemmo la testa nascondendo un sorriso segreto. Lui sbadigliò platealmente sfregandosi la nuca. Aveva la barba sfatta, quasi più lunga dei capelli tagliati cortissimi. Ed era ancora mezzo nudo: sembrava pigramente orgoglioso di mostrare quel suo corpo da dio greco. Con assoluta noncuranza aprì il frigo e prese la tanica del latte, dalla quale bevve a canna. Rimasi vagamente affascinata dal movimento del suo pomo d'Adamo.

Quando ebbe finito si leccò le labbra come un gatto. Si accorse che lo stavamo osservando: “Che c'è?” domandò “Ho fatto qualcosa che non va?”.

Niente, niente” lo rassicurai, con un eloquente gesto della mano “Dormito bene?”

Meravigliosamente!” esclamò lui estasiato. Sospettai che avesse ancora qualche traccia alcolica nelle vene. “Mai dormito meglio. Hai un letto che è una favola, Emma”.

Annuii: “Ah, sicuramente è molto accogliente e spazioso”. Non saprei dire chi colse l'ironia. Probabilmente nessuno.

Justin appoggiò il latte sul tavolo e si mise a frugare nel frigo. Donna mi lanciò un'occhiata eloquente, e fui costretta ad concordare con lei che il lato B di Justin era davvero... ammirevole. Soprattutto con quei boxer neri e stretti.

Ehm.

Mi girai verso la finestra, fingendo di provare un grande interesse per il cortile sul retro.

E così stanotte ti sei fermato a dormire da noi” tossicchiò Donna. Justin le rivolse un'espressione di pura letizia: “Sì, vi sono molto grato per l'ospitalità! Non sarei proprio stato in grado di guidare fino a casa questa notte. E poi qui mi sento davvero a mio agio, non come in quel nel buco del mio appartamento, con Liam. Quel ragazzo mi fa venire voglia di prendere a testate il comodino, giuro”. Richiuse il frigo per andare a frugare nella dispensa.“E' così... depresso! Dio, non si può essere così disgustati dalla vita già a ventisette anni! Davvero, vivo con il terrore di rientrare a casa una sera e trovarlo impiccato ad una delle travi del soffitto”.

E tu cambia appartamento, no?” commentò Donna con leggerezza, rubandogli un biscotto dal pacco che aveva appena vittoriosamente scovato.

Scherzi?!” si sconvolse lui “E dove lo trovo un affitto così basso? No, no. Come minimo dovrei prostituirmi”.

E allora fa' in modo che il tuo amichetto non si impicchi. Anche se con quel fondoschiena che ti ritrovi faresti affari d'oro come gigolò”.

Justin dapprima sbatté gli occhi meravigliato, poi si sciolse in un sorriso sornione degno di un consumato dongiovanni di Hollywood. “Deve dirmi qualcosa, miss Prince?” domandò con voce suadente.

Donna lo guardò con uno scettico sopracciglio alzato.

No, yokel, se non di rimettere il latte in frigo”.

 

•••

 

Matt R. J. Dawson.

Ecco come si chiamava il mio cavaliere servente. L'avevo visto scritto nella sua carta di identità, proprio accanto alla sua faccia truce da tossicodipendente.

Ci ripensai mentre rimescolavo il mio caffè espresso, seduta al bancone del Bud's. C'era poca gente quella sera, e una luce soffusa che cullava i miei pensieri. Donna veleggiava da un tavolo all'altro per ricevere ordinazioni sfoderando le sue armi migliori: sorriso bianchissimo e decoltè bene in vista.

Mordicchiai il cucchiaino. Matt Dawson. Me lo vedevo ancora accasciato accanto alla tazza di quel bagno super chic, stravolto e pallidissimo. Chissà se era arrivato a casa, poi.

Ma per quanto mi sforzarsi di trattenerla, la mia mente si distraeva e vagava lontano, cercando di raggiungere lidi sconosciuti. Era un altro volto quello che avrei voluto ricordare, dannazione a me. Brian. Sì, ma Brian come? E che viso aveva? E che voce aveva? E, domanda ancora più amletica, si ricordava di me?

Speravo ardentemente che il destino non avesse finito di giocare con me, e che le sue volute sbarazzine mi mandassero a sbattere di nuovo contro quella squisita fossetta. Dopo tutto quello che mi aveva fatto, il destino, me lo doveva. Con il 20% di interessi, minimo.

A cosa pensi, fissando così trucemente quel povero espresso?”

Donna era apparsa davanti a me trafficando con i foglietti delle ordinazioni, facendomi sobbalzare.

Al ragazzo ubriaco di ieri sera” mentii. Non volevo fare la figura della disperata, proprio no.

Chi, Sweetheart? Quello che hai rimandato a casa con il taxi?”

Sì, sì, lui”. Rimescolai il mio caffè, cogitabonda.

Assurdo come vi siate rincontrati per due sere di seguito in due posti totalmente differenti” commentò Donna indaffarata.

Già. Assurdo. Perché quell'aggettivo tornava sempre, nella mia vita?

Ah, e Justin mi ha mandato un messaggio” continuò scribacchiando sul suo taccuino “Dobbiamo raggiungerlo al Flannery's dopo mezzanotte”.

Perché?”

Donna mi fece l'occhiolino. “Un suo amico dà una festa”.

 

•••

 

No. Assolutamente no”.

Smettila di lagnarti e cambiati”.

Non indosso cose di così cattivo gusto”.

Ha parlato principessa d'Austria! Su, Princesse, mettiti quel costume e finiscila. E' solo per una sera”.

Non chiamarmi Princesse. Il mio nome è Prince, senza eccezioni. E poi si può sapere dove hai preso questa roba?! Gestivi un sexy shop prima di fare l'attorucolo da quattro soldi?”

Justin fece una smorfia. “Era della mia ex, va bene? Adesso smettila di rompere e sbrigati, che se no ci perdiamo il meglio”.

Ah, della ex! Posso immaginare l'utilizzo che ne avete fatto. Adesso ho ancora meno voglia di cambiarmi” commentò Donna sarcastica.

Osservavo questa scenetta seduta sul wc del bagno del Flannery's, il pub dove Justin faceva il cantante per raccattare qualche mancia extra. Era da mezz'ora che stava cercando di convincere Donna a indossare un completino da coniglietta di dubbio gusto. E' l'unica cosa che ho della tua taglia, si era giustificato lui con un bustino di pizzo tra le braccia.

Donna, per favore. E' quasi l'una, sono stanco e non ci faranno nemmeno entrare se non siamo mascherati”.

E va bene!” si arrese lei, cominciando a sbottonare la camicetta con furia. Justin rimase senza parole quando se lasciò scivolare via la, scoprendo il seno generoso. Lo vidi distintamente socchiudere la bocca e deglutire, prima di affrettarsi ad uscire dal bagno per lasciarle un po' di privacy. Scossi la testa ridacchiando: la mancanza di pudore di Donna avrebbe fatto arrossire le più esuberanti attrici di film a luci rosse. Caratteristica che ben si accordava con la sua personalità, dopotutto.

Si sfilò le scarpe e i pantaloni per poi guerreggiare con le chiusure del corpetto. Mi alzai per aiutarla; dopo dieci minuti era pronta.

Puoi entrare!”.

Justin abbassò la maniglia ed entrò. Esaminò Donna con espressione saputa da critico d'arte. “Può andare” concesse. Balle, glielo leggevo in faccia. Donna vestita così da pornostar avrebbe potuto guadagnare tanti di quei soldi da sfamare tutto il terzo mondo.

Mi guardai allo specchio per l'ennesima volta e non potei fare a meno di sorridere. Ecco l'ordine del mondo ristabilito: le ragazze sexy vestite da conigliette, quelle sfigate da ortaggio e da personaggi dei fumetti. Io rientravo nella categoria dei vegetali, ovvio. Un vestitino rosa e gonfio a pallini neri, una voluminosa parrucca rosa e un cerchietto verde a forma di picciolo. Talmente ridicolo da essere quasi carino.

Smettila di lamentarti, Donna, tu non hai un picciolo in testa” la presi in giro.

No, ma ho un batuffolo di cotone sul culo!”.

Ed ecco che ritorna la principessa d'Austria!” esclamò Justin sbuffando “Su, andiamo, che sia siamo in ritardo”. “Dobbiamo uscire così?!” urlammo all'unisono.

Justin roteò gli occhi esasperato: “E va bene, passiamo dal retro!”

Sgattaiolammo fuori come ladri e ci infilammo nella macchina di Justin. Una Range Rover nera, alla faccia dell'attorucolo da quattro soldi.

La casa del suo fantomatico amico -tale Ian A. Evans- era a pochi minuti da lì. Già all'inizio del quartiere si poteva sentire la musica esageratamente alta. La casa, semplice e a due piani, sembrava essere stata presa d'assalto da un branco multietnico: c'erano indiani d'America, superheroes, uomini di latta, ragazze pon-pon. Il giardino era illuminato da lampade ad olio e era dotato perfino di consolle e vasca idromassaggio.

A controllare l'ingresso non c'era nessuno. Donna tirò un pugno alla spalla di Justin, piccata: “Ecco, loser, avrei potuto mantenere la mia dignità con il grembiule da cameriera”.

Dignità?”

Incassò un secondo pugno senza fiatare.

L'ingresso, nemmeno a dirlo, era pieno di gente. Una cheerleader ubriaca stava flirtando con uno Spiderman un po' sfigato, e Gandalf si stava spanciando dal ridere insieme a Lady Gaga e ad un Wolwerine decisamente sovrappeso. Ci avviammo verso il salotto, dove un gruppo di hippies si stava sfidando a Just Dance davanti alla gigantesca tv al plasma. Il pavimento era ricoperto di glitter e stelle filanti.

O mio Dio, ho appena visto un tizio vestito da Arbre Magique gigante” commentò Donna inorridita. Scosse la testa e mormorò un “devo bere qualcosa” prima di mollarci lì e dirigersi verso la cucina.

Guardai Justin, ma non feci tempo da aprire bocca che lui mi anticipò: “Scusa, Emma, ma devo proprio andare a cercare Ian. E' importante. Ti dispiace se ti lascio qui da sola?”

Come potevo dirgli di sì? Scossi la testa a lui si dileguò su per le scale.

Ero sola e abbandonata. Di nuovo.

Mi strinsi nel mio vestito rosa e sospirai.

Ti preferivo vestita da leopardo, italian girl”.

Shit.

Era lui.

Fu come se un cassettino della mia memoria si fosse spalancato all'improvviso, riportandomi quella voce da un luogo e da un tempo a lungo dimenticati.

Il tempo parve dilatarsi all'infinito; mi impressi a fuoco nella corteccia celebrale quel tono, quel timbro, quella voce. La musica era sparita, i colori erano spariti. Ci misi un'eternità a voltarmi; mi parve di vedermi da fuori, come una scena al rallentatore. Quando gli fui di fronte, un brivido mi accarezzò la schiena con dita gelide.

Eccola lì, quella dannata fossetta che invadeva i miei pensieri e popolava i miei sogni.

Mr. Maybe sorrise. “Ciao, Emma”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mr. Maybe è finalmente ricomparso! Adesso non se ne andrà più tanto facilmente. Il destino -questo elemento ritorna spesso nei pensieri di Emma, fateci caso perché sarà fondamentale- li ha riuniti ad una festa in maschera come nella più banale commedia americana :D

Sono molto contenta che ci siano persone che seguono questa storia, è una cosa che mi gasa tantissimo **

Pensavo di aggiungere delle foto dei personaggi nei prossimi capitoli, però sono indecisa, non so se è una cosa banale... non voglio costringere nessuno a vedere Emma e Co. come li vedo io. Non so, ditemi voi, i consigli sono sempre bene accetti.

Alla prossima!

 

...e ricordatevi che lasciare recensioni allunga la vita ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Manolo Blahnik and Chanel n°5 ***


Premetto che non sono molto sicura di questo capitolo. Intanto lo posto, poi magari domani lo rileggo e lo riscrivo da cima a fondo xD Intanto, buona lettura!

 

 

 

 

 

 

Manolo Blahnik and Chanel n°5

 

Brian era bello da far tirare un colpo.

Come avevo potuto far cadere nell'oblio un viso del genere?! Dovevo avere serie mutilazioni all'area del cervello adibita alla memoria. Colpa dell'abuso di alcol probabilmente. Chissà, forse ormai ero segnata per sempre.

Rimasi per un pezzo a fissare il mio Mr. Maybe senza spiccicare parola, con la bocca più arida del deserto del Sahara e le gambe tremolanti come gelatine alla frutta, frastornata dalla sua sola presenza. Ma non era colpa mia! Come potevano i miei poveri neuroni ritrovare la lucidità con davanti quel sorriso da svenimento?

Come va?” buttò lì lui con deliziosa noncuranza.

Parla. Avanti, parla, parla, non fare la figura dell'idiota.

Bene!” mi uscì, di due ottave sopra il normale “Meravigliosamente! Mai stata meglio!” Ok, ora smettila, il concetto è chiaro. Poi di solito si chiede... “E tu?”

Bene” rispose “Speravo proprio di rivederti”. Lo disse in un modo così casuale e spontaneo che la mia mandibola precipitò sul pavimento. Ok. Questo mi vuole morta. Oddio. Oddio. Oddio, sto andando in iperventilazione.

Recuperato l'uso dei muscoli facciali, le mie labbra si stirarono in un sorriso ebete prima che potessi fermarle. Ma cosa si dice ad un tizio semisconosciuto, bello come un modello Armani, che ti spiattella con noncuranza una cosa del genere?!

Pensai freneticamente a cosa rispondere, ma i miei neuroni erano troppo spossati. “Er. Grazie”. Fantastico. Meglio di Ryan Atwood, davvero. “Cioè” cercai di recuperare, affannata “anch'io. Anch'io speravo di rivederti!” Dio, questo era ancora peggio. Tanto valeva che gli dichiarassi amore eterno lì sull'istante, con sottofondo di marcia nuziale e cascate di confetti alle mandorle.

Lui parve molto soddisfatto di quella risposta. Mi guardava in modo strano, fisso, inchiodandomi sul posto con quelle due iridi verdi con un sorrisetto aleggiante sulle labbra. Due labbra proprio invitanti, non potei fare a meno di pensare, stordita. E non avevo ancora toccato un goccio di alcol! Cominciavo a farmi paura da sola.

Sei qui con qualcuno?” si informò.

Sì, con degli amici”.

Amici... particolari?” Voleva sapere se ero libera?! Oh, che fosse ringraziato l'Altissimo con tutti i santi del Paradiso al seguito!

No, solo amici. Nessun fidanzato” risposi entusiasta, per rafforzare il concetto. Che figura del cavolo. Ormai mi ero guadagnata l'etichetta di sfigata disperata, sicuro come la morte.

Mi fa piacere” sorrise lui. Quel sorriso era un attentato al mio autocontrollo, giuro. Non mi veniva in mente nulla di intelligente da dire. Cavolo. Aprii la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Guardavo Brian e la mia mente era vuota e polverosa come una steppa del Wild West, con tanto di balla di fieno rotolante.

E tu?” Tu cosa, scema? “Anche tu sei qui con qualcuno?”

Sì, con un paio di miei amici idioti” rispose leggero. “Ora però non ho idea di dove siano”.

Ma ti faccio compagnia io, tesoro. Bleah, il mio alter ego mentale era una cortigiana da quattro soldi. Abbassai lo sguardo, incerta su cosa dire. Osservai la divisa da militare di Brian; sembrava originale. “E' vera quella?”

Questa?” chiese, pizzicando la mimetica con due dita “Sì. Era di mio padre”.

Era? Prima che tu gliela fregassi?” scherzai.

Lui sorrise un po' in imbarazzo. “No. Prima che morisse”.

Oh” belai. Arrossii fino alla radice dei capelli, desiderando che il pavimento ricoperto di glitter sotto i miei piedi si aprisse per ingoiarmi. Fantastico! Questo sì che era un bel modo per ingraziarsi la gente, davvero, applausi, complimenti Emma!

Hei” disse lui con voce tranquilla, avvicinandosi di un passo. “Non fa niente, non lo sapevi”.

Mi dispiace!” articolai in ritardo, vergognandomi da morire. Lui non si tolse dalla faccia quel sorrisetto tentatore, assolutamente a suo agio. “Va tutto bene” disse. I miei occhi si incatenarono ai suoi. Adesso era vicino. Troppo vicino. Allungò una mano per sistemarmi un ricciolo rosa sulla fronte. Se possibile, arrossii ancora di più.

Sembri proprio una fragola, sai?” sogghignò “La tua faccia ormai è dello stesso colore del vestito”.

Ehm” belai con passione. Oddio, e adesso?

Fu Donna a interrompere quel mistico momento di imbarazzo, catapultandosi tra di noi come una meteora. Reggeva tre bicchieri rossi e una delle orecchie del suo costume pendeva floscia da un lato. “Ma ciao!” ci salutò, frizzante. “Ecco, Emma, bevi che ti fa bene. E poi di là stanno già finendo tutto”. Mi mise in mano i bicchieri con entusiasmo e mi prese sottobraccio. “Te la rubo un secondo, eh, poi te la riporto” fece a Brian, per poi trascinarmi verso il salotto.

Lontano da orecchie indiscrete, Donna mi abbracciò di slancio. I bicchieri rischiarono grosso. “Oh, sweetei, sono così contenta! Non puoi nemmeno immaginare!”.

Io mi lasciai sbatacchiare, frastornata. “Perché? Cos'è successo?”.

Ma per quel gran pezzo di manzo che ti sei trovata! Dove cazzo si nascondeva? Non è mai passato dal mio letto!”.

Non potei fare a meno di ridere. “E' per questo che sei così contenta? Sicura che non c'entri un buon mezzo litro di vodka alla pesca?”.

Non infastidirmi con questi dettagli. Allora, chi è? Come vi siete conosciuti? Te lo porterai a letto?”.

Donna!”.

Non fare la puritana, hai ventitré anni, mica quindici!” sbuffò lei “E poi è la prima volta che ti vedo flirtare in modo così spudorato; io ti controllo, sai. Non hai mai trovato un uomo che ti ispirasse, in un mese intero che sei qui!”.

Bè, a parte quel tipo di due sere fa...” buttai lì con leggerezza eloquente. Donna mi guardò, fece due più due e si illuminò d'immenso. “Quello è Mr Maybe? Quello è Mr. Maybe? Gosh, Emma, è assurdo!” Lo guardò; Brian era ancora appoggiato alle scale vicine all'ingresso, vigoroso e composto nella sua divisa militare. Sospirò. “Oh, sono contenta che sia così figo. Te lo meriti, dopo quello scorfano coriaceo del tuo ex”.

Mi irrigidii. Ricordare lui senza venire assalita da tic maniacali era ancora difficile per me. Donna sospirò di nuovo, persa in contemplazione. Poi sembrò accorgersi di nuovo della mia presenza: “Ma cosa ci fai tu ancora qui?! Su, su, vai da lui! Sii sexy e non gesticolare troppo, che agli americani non piace”.

Mi spinse da lui come una mamma previdente spinge il bimbo verso le paurose porte della scuola. Respira, respira. E' solo un ragazzo. Un figo da paura, d'accordo, ma mica ti mangia.

Peccato che i suoi occhi mi dissero il contrario, appena tornai da lui. Mi guardava come se fossi un delizioso dolce alla panna. Anzi, la fragolina decorativa del dolce: quella da divorare per prima.

Gli feci un sorriso incerto, tendendogli uno dei tre bicchieri che tenevo in mano. Lo accettò con garbo e ne bevve un sorso. “Sta bene la tua amica?”

Non lo so, è da molto tempo che me lo chiedo” risposi, in uno scialbo tentativo di ironia. Lui mi sorrise da sopra l'orlo del bicchiere; la fossetta sulla sua guancia si formò dal nulla, delicatamente.

Qualcosa dentro di me andò a fuoco.

Stavo per aggiungere qualcosa di estremamente intelligente quando mi piombò addosso Justin, tutto scomposto e trafelato nel suo costume da damerino settecentesco. “Emma!” strillò “Ho bisogno di te!”

Ma stiamo scherzando?

Dovetti fare violenza su me stessa per chiedere: “Cosa c'è?”

C'è una pazza che mi sta cercando” confessò, guardandosi freneticamente attorno. “Devi venire con me!”. Detto questo mi afferrò per un braccio e mi trascinò via. Ma no! Ma no! “Ma Justin!” mi lamentai “Stavo parlando con una persona!”

D'accordo, d'accordo” annuì lui senza ascoltare una parola e senza smettere di scrutare il corridoio affollato. Rovesciai il contenuto di un bicchiere addosso ad un tizio grosso e nero vestito da polpo gigante. Per fortuna non se ne accorse. Mi voltai, cercando Brian con lo sguardo. Lo intercettai e gli sillabai un “I'm sorry” silenzioso. Lui fece cenno di aver capito, sempre con quel sorriso irriverente sulle labbra. Justin non smise di marciare finché non uscimmo in giardino. Lanciò una nervosa occhiata di perlustrazione e poi mi prese per le spalle.

Allora” esordì, militaresco “Prima o poi una certa Alexis Johnson arriverà qui e avanzerà ogni genere di pretesa su di me, ok?”

Eh? Sì, ma io...”

Tu dovrai dire di essere la mia ragazza. Lei non ti ha mai vista prima, quindi sarai più credibile. Io e te stiamo insieme da tre settimane, ci siamo conosciuti da Starbucks e io ti ho offerto un Mocaccino Venti al doppio cioccolato, quello da 4 dollari e 20. Ci sei?”

Ok, ma...”

Il mio nome completo è Justin Stewart Warren Richmond, devo compiere ventisette anni questo 13 settembre -quindi tra trenta giorni esatti-, ho giocato a basket dodici anni il mio colore preferito è l'arancione”.

Justin, io...”

Ah, e tu non conosci i miei genitori né sei mai venuta a casa mia. Però sei stata nel mio appartamento a Quincy Avenue tre volte. Ami il surf, suoni la chitarra e non sopporti il mio compagno di stanza, Liam Davis”.

Non ebbi la forza di ribellarmi. “Perché suono la chitarra?” sfiatai, rassegnata.

Perché i dettagli inutili danno spessore al personaggio” ribatté lui con convinzione. “Oh, God, eccola”.

Alexis Johnson fece la sua entrata in grande stile, questo non si può negare. Il corpo slanciato fasciato da un abitino bianco, i capelli biondissimi cotonati e acconciati di fresco, il trucco leggero, il passo sicuro, lo sguardo conturbante fisso davanti a sé; tutto di lei urlava: sono figa sono stronza e sono ricca sfondata, fatemi passare!

Justin si affrettò a lasciarmi andare e si mise davanti a me con fare protettivo, con l'espressione sgomenta ma risoluta di chi si appresta ad affrontare una catastrofe inevitabile.

Alexis Johnson avanzò con grazia fino al centro del giardino, seguita a ruota da due fedelissime amichette del cuore, magre e belle quanto lei. Ecco che gli stereotipi americani colpivano ancora. Lei si guardò attorno con algido disinteresse, ma attirando gli sguardi di ogni singola persona in quel pezzettino d'erba. Aveva un vestito troppo corto e gambe troppo magre, ma era un'imitazione accettabile di Marilyn Monroe.

Il suo viso affilato si alluminò quando individuò Justin. Ci raggiunse in poche falcate decise e si fermò proprio davanti a noi. Il suo Chanel n°5 mi colpì in faccia come uno schiaffo.

Justin!” miagolò Alexis, la voce acuta e stucchevole come zucchero filato. “Tesoro! Che birbantello che sei! Non mi hai più chiamato dall'ultima volta” specificò, mordendosi sensualmente il labbro. Dal tono che aveva usato non avevo dubbi di cosa fosse successo l'ultima volta. Le era bastata una sola frase per farmi passare davanti agli occhi tante circostanze oscene da girarci un film porno.

Eh, Alexis, sono successe tante cose dall'ultima volta” replicò Justin, recitando una sicurezza che certamente non gli apparteneva.

Tante?” miagolò lei, assottigliando gli occhi obliqui. “Per esempio? Quali circostanze potrebbero aver distolto la tua attenzione da me? Non riesco a immaginarne, sai. Ti è morto un parente, un amico, un gatto? Ti sei iscritto alla facoltà di Economia? Hai attraversato l'Erie a nuoto? Sei stato in tournée con la tua combriccola teatrale?” il tono diventava sempre più alto e non voleva veramente una risposta.

Non mi hai più richiamata, Justin Richmond. Non sono tanti i ragazzi che possono permettersi un atteggiamento del genere con me e vivere abbastanza a lungo per raccontarlo”. Concluse esibendo il più dolce dei sorrisi; le ciglia lunghissime le ombreggiarono vezzosamente le gote rosate. Era bella come una bambola di porcellana, e altrettanto inquietante.

Avrei voluto farlo, Alexis, davvero. Ma te l'ho detto, sono cambiate tante cose. Ho conosciuto... delle persone” aggiunse, cercando la mia mano con la sua e stringendola.

Solo allora Alexis sembrò accorgersi di me. Mi piantò addosso quelle due schegge di ghiaccio che aveva per occhi e mi fece un esame completo, dalla testa ai piedi, senza pudore. Un angolo della sua bocca si arricciò maligno; evidentemente, per la sua modestissima opinione il mio picciolo, la mia ingombrante parrucca rosa e io non rappresentavamo che un misero intralcio per la sua battuta di caccia.

Chi è questa bella fragolina?”

Oddio, mi faceva paura.

Alexis, ti presento la mia fidanzata italiana, Emma”. Alla parola 'fidanzata' vidi chiaramente l'ombra di uno spasmo sul suo viso d'avorio. Maledizione a Justin e alle sue trovate geniali! Quella mi faceva a pezzettini e mi mangiava nella macedonia, altroché!

Piacere!” mentii con entusiasmo, porgendole una mano.

Lei guardò la mia mano, mi riguardò in faccia e poi fissò Justin. “Fidanzata?” soffiò ferina.

Justin passò un braccio attorno alle mie spalle. “Eh già. Ci amiamo tanto”.

Che...?!

Annuii convinta. La biondissima Alexis mi guardò disgustata. Capii molto bene quello che stava pensando: come poteva un gran tomo come Justin essere fidanzato con uno sgorbietto come me?

Sono felicissima per te, Justin, caro” sputò fuori quella con un sorriso falso come le Manolo Blahnik che indossava. O aspetta, forse erano vere...?

Grazie, Alexis, è gentile da parte tua” rispose amabile Justin con un cenno di capo. Lei sorrise, lanciando lampi d'odio con gli occhi sapientemente allungati con l'eye-liner. Spostò lo sguardo azzurro su di me, senza smettere di sorridere.

Forse fu solo un'allucinazione, un inganno dei sensi dovuto alla mancanza di sonno e alla dieta ipercalorica; forse. Fatto sta che, miraggio o no, senza perdere il sorriso le sue labbra lucide di gloss sillabarono una frase.

'I will kill you'.

 

•••

 

Bevvi d'un fiato il drink nel mio bicchiere rosso. Le due amiche di Alexis avevano seguito la scenetta in un insulso silenzio, l'una masticando a bocca aperta una Big-Babol rosa, l'altra rimirandosi le unghie. Quest'ultima esibiva uno scandaloso abitino alla marinara, mentre quella con la gomma era vestita da Barbie: la somiglianza era terrificante. Justin non pareva aver notato nulla di strano negli sguardi omicidi che Alexis mi riservava, anzi sembrava molto soddisfatto della sua interpretazione. Cos'è, voleva un Oscar adesso?

Ma io non avevo tempo di preoccuparmi di spasimanti bionde e maniache, io avevo altro di cui occuparmi! Più i minuti passavano più il pensiero di Brian si faceva insistente, come un picchio isterico che mi batteva all'altezza delle tempie. Lo vedevo, là, vicino alle scale, con la sola compagnia del suo cocktail. Sapevo che non mi avrebbe aspettato in eterno. Dovevo tornare da lui.

Justin, io adesso dovrei proprio...”

Ma certo, amore!” cinguettò lui, schioccandomi un bacio sulla tempia “Vai pure a salutare le tue amiche; ma non andare troppo in giro, che tra un po' ti riporto a casa”. Forse avrei dovuto prestare più attenzione al tono allarmato con cui disse l'ultima frase. Forse. Ad ogni modo mi sciolsi dal suo abbraccio e marciai spedita fino alla sala d'ingresso, la riccioluta parrucca rosa che mi sobbalzava sulla testa. Avevo solo una cosa in mente: Brian.

Che, ovviamente, era sparito.

Shit.

Fui assalita dal panico. La sfiga mi perseguitava, porca miseria!

E adesso che potevo fare? Chissà dov'era finito! E non sapevo niente di lui, non avevo il suo numero di telefono, non conoscevo nemmeno il suo cognome! Non l'avrei mai più ritrovato, lo sapevo, lo sapevo! Mi veniva da piangere.

Oh.

Eccolo lì.

Ehm.

Mi ricomposi e, ancora scombussolata, mi avvicinai. Brian era lì, bello come il sole, e stava chiacchierando con un tizio di colore piuttosto ridanciano. Non avrei mai avuto il coraggio di infilarmi nella conversazione, lo sapevo. Quindi, che fare? Mimetizzarmi con la tappezzeria e aspettare che Brian si liberasse? Fingere uno svenimento? Appiccare un incendio per far fuggire tutti e poter avere finalmente una conversazione decente?

Mmh.

Emma!”

Cristo, no! Ancora!

Vestito da joker, Jeremy Wilson mi si avvicinò ballonzolando con un sorriso idiota stampato in faccia. Era un amico di vecchia data di Donna -sì, uno dei due tizi loschi con cui era fuggita in macchina due sere prima-, compagno inseparabile di Thomas Smith, nonché persona più pettegola dell'intero sistema solare.

Ciao, Jeremy” lo salutai monocorde “Come va?”.

Da quanto stai con Justin?” mi chiese a bruciapelo. Mi guardava fisso, con un'espressione canzonatoria che mi inquietò non poco.

Non sto con Justin” precisai “Era solo...”

Dai, Emma, non fare la timidona con me” mi rimbrottò lui, tirandomi un pugno affettuoso sulla spalla “l'hanno sentito tutti là fuori! Sei la fidanzata di Justin! Sai che questo farà uscire dai gangheri miss regina-delle-nevi Alexis, vero? Sbava dietro a Justin dall'ultimo anno di liceo. E si pensava che facessero coppia fissa, da quando il mese scorso sono finiti a letto insieme! E' stato lo scoop più succoso di tutta l'Ohio settentrionale! E adesso invece salta fuori che tu, italiana basso borghese, hai una relazione con lui. Oddio, ti farà a pezzi, ci scommetto. Ma dimmi, da quanto tu e Justin avete una storia? Siete già stati a letto insieme?”.

Ecco Jeremy Wilson: giornale radio di tutta Cleveland; quello che sa sempre tutto di tutti, specialmente quello che non dovrebbe sapere.

Se smettessi di ciarlare per un attimo e mi ascoltassi, capiresti che la storia tra me e Justin è tutta una montatura. Ha detto che sono la sua fidanzata perché quella bionda anoressica smettesse di perseguitarlo, credo”.

Cosa?”.

Hai capito bene. Dai, è stata solo una scenetta”.

Jeremy era ammutolito. “Una scenetta?” sfiatò infine. Quell'espressione smarrita proprio non donava alle brutte cicatrici che aveva disegnate ai lati della bocca.

Sì, niente di che”.

Hai idea” cominciò lui, appassionato “Hai idea di quello che hai fatto?”.

Lo guardai interrogativa. Jeremy pareva incredulo e assolutamente esaltato dalla mia mancanza di senso comune. “Con questa scenetta, come la chiami tu, hai istigato una delle belve più feroci della East Coast, mia cara, piccola Emma. Alexis Johnson è la figlia unigenita di Richard James Johnson, direttore generale della Union Bank nonché persona più influente sulla scena finanziaria internazionale. Ha un patrimonio che vale 57 miliardi di dollari e uno stipendio annuale che noi poveri mortali possiamo solo relegare ai nostri sogni più sconclusionati” concluse, soddisfatto della sua erudizione in materia.

La fai troppo tragica secondo me” minimizzai “Quella Alexis ha un che di terrificante, te lo concedo, però concretamente cosa può farmi? Stordirmi con il suo Chanel? Punzecchiarmi con le sue Manolo Blahnik? Non ce la vedo”.

Come minimo ti ci infilza un occhio, con quelle scarpe” commentò placido lui.

Questo è molto rassicurante, grazie Jeremy”.

Di niente”.

Un tramestio sulle scale ci fece voltare. “Emma!”

Ma sì, avanti un altro! Tanto ormai...

Thomas! Mi chiedevo dove fossi finito; è raro veder separati te e Jeremy. A volte penso che abbiate una qualche affinità più forte dell'amicizia a legarvi”.

Che provocazione vuota e insensibile” commentò Thomas imperturbabile “Tu, piuttosto: da quando stai con Justin?”.

Anche tu!” esclamai, affranta “Ma nessuno si fa gli affari propri, qui?”.

Avete messo su uno spettacolo teatrale di tre atti, là in giardino: anche volendo era difficile non ascoltare” replicò Thomas imparziale.

Lo guardai male. “E' stata un'idea di Justin, per la cronaca. Anche tu hai pronostici da fare sul mio imminente futuro? Perché Jeremy già prevede occhi infilzati da tacchi costosi”.

Interessante come congettura, ma la biondina rischierebbe di rovinarsi le unghie”.

Feci la linguaccia a Jeremy. “Visto?”.

...è più probabile che cerchi di rovinarti la vita in tutti i modi subdoli e crudeli che solo voi ragazze conoscete” concluse con noncuranza.

Ah” articolai, smontata. “Grazie ragazzi, voi sì che sapete come si consola qualcuno”.

Ti stiamo solo mettendo in guardia” asserì Jeremy candidamente.

E poi non è detto che regina-delle-nevi Alexis cerchi di vendicarsi” lo sostenne Thomas. Poi si guardarono e scoppiarono a ridere come due dementi. Ebbi la vaga impressione che si stessero prendendo gioco di me.

Decisamente, avevo bisogno di alcol. Lasciai i loro stessi quei due spiritosi babbuini e, con un'occhiata di rammarico verso il mio bel soldato in divisa -ancora occupato in una conversazione che pareva spassosissima- andai in cucina.

Scavalcai una bella sirenetta svenuta, aggirai un paio di personaggi di Final Fantasy e raggiunsi il tavolo degli alcolici. Fu un impresa trovare qualcosa: il tavolo era perlopiù ricoperto di bottiglie vuote e bicchieri rovesciati. Mi versai il rimasuglio di una bottiglia di vodka e bevvi tutto d'un fiato. Wow. La testa mi girò pericolosamente.

Tornai all'ingresso. Jeremy e Thomas erano ancora lì a ridere e a spintonarsi come due idioti; Brian era ancora a parlare con il suo amico nero; Donna non si vedeva. Mi sentii estremamente afflitta e abbandonata.

Uscii in giardino, sperando di trovarvi Justin. Non c'era.

Invece, con mio sommo sconcerto, c'era qualcun altro ad aspettarmi.

 

 

 

 

 

 

 

Chi si sarà appostato in giardino ad aspettare Emma? Chissà, chissà! Si accettano le congetture e le ipotesi più strampalate ;D Ecco, spero che nonostante i miei dubbi questo capitolo sia accettabile. Grazie di essere arrivati fino a qui!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Hidden lives ***





 

Hidden lives

 

 

TU! Cagna italiana!”

Alexis mi fu addosso in un turbinio di riccioli e occhi fiammeggianti. Non ebbi il tempo materiale di ribattere, basita da quell'apparizione.

Dopo un mese, un mese, che cerco Justin in ogni luogo, in ogni pulciosissima festa, perfino a quella topaia di pub folkloristico dove si ostina a lavorare, compari TU! Si può sapere chi sei? Che cosa c'entri tu con lui, con noi?” berciò, furente.

Arretrai di un passo, spaventata. Oh, bella. E adesso? Le due amichette del cuore spalleggiavano Alexis, fissandomi aggressive. Fui costretta a retrocedere fino al muro esterno dell'abitazione.

Perché Justin spariva sempre nel momento del bisogno?!

Ehm” esordii, poco convinta. Che dovevo dire? Rivelare la montatura della mia storia con Justin, o reggere il gioco e ritrovarmi con qualche osso rotto? Dilemma.

Intanto ero con le spalle al muro, letteralmente.

Non è come sembra” articolai. Ecco. Un classico intramontabile.

Mi stai prendendo per il culo?!” sbottò giustamente lei, puntandomi addosso un dito con una svettante unghia finta color avorio.

No, no” rettificai. Pensa, pensa, veloce, dannazione! Come esco da questo casino?

Alexis era stata strategica nello spingermi in quell'angolo di giardino. Era la zona barbecue, nascosta a sinistra da una piccola veranda. Non c'era nessuno a cui chiedere aiuto. Dovevo cavarmela da sola.

Non posso farci niente, mi dispiace. Tra me e Justin è stato amore a prima vista”.

Ma ora, io dico.

Tra tutte le cose che avrei potuto dire al mondo, proprio quella avevo scelto?! Mi stavo scavando la fossa da sola, meraviglioso! Alexis sembrò surriscaldarsi come una caffettiera. Deglutii a vuoto. “Mi dispiace per la vostra storia, ma io...”

TU NIENTE!” mi sbraitò addosso quella. Era bella in modo inquietante, così sconvolta e rossa in viso. Oddio. “Tu non sai niente di me e Justin!” continuò fuori di sé, stringendo i denti come se mantenere la calma le costasse grande sforzo “Lui è mio, capisci? Capisci?! E non me ne frega un cazzo se sei spuntata fuori tu da quel buco europeo, questo non cambia le cose! Non cambia niente!” Tremava mentre lo diceva, sembrava trattenersi dal fare qualcosa. Azzannarmi, probabilmente.

Alexis...” la chiamò l'amica non-Barbie, dubbiosa.

Alexis cercò di ricomporsi, forse rendendosi conto della scenata che stava facendo. Prese un lungo sospiro e si sistemò un ricciolo fuori posto. Era ancora perfettamente truccata e pettinata, nonostante tutto: lo sdegno furibondo non aveva scalfito nemmeno la compattezza del fondotinta. Adesso non tremava più, ma vedere il bagliore lucido e consapevole dei suoi occhi mi spaventò ancora di più della sua furia cieca.

Quando parlò, la sua voce era tranquilla e melodiosa. “Dobbiamo sistemare civilmente questa faccenda” riprese, accomodante. Perché sospettavo che il suo 'civilmente' non rispecchiasse quello del mio vocabolario?

Mi sorrise. “Non so chi sia tu, né che genere di relazione tu abbia con Justin, ma in fondo la cosa non mi interessa. Tra me e Justin c'è qualcosa che una sciacquetta come te non può nemmeno immaginare. Non so che cosa tu gli abbia fatto perché si prendesse questa sbandata, ma sappi che non durerà. Probabilmente per ora è attratto dal tuo fascino esotico da extracomunitaria. Si stuferà in fretta, fidati; conosco bene Justin. Non sei né bella né sicuramente ricca: non sei proprio il suo tipo!” rise di una risata graziosa e cristallina. Le sue compagne sghignazzarono con lei.

Mi presi quella valanga di insulti sottili senza fiatare. Mi stava mostrando un quadro più articolato di quello presentatomi da Jeremy. Alexis voleva Justin per un motivo ben preciso, non era solo un ragazzo carino tra gli altri. Ne era... innamorata?

Avrei riso, se un avessi avuto davanti tre modelle anoressiche pronte a massacrarmi con il loro set da manicure.

Quindi, piccola Emma, devi sparire” continuò, melodiosa come il sibilo di una serpe “Tornatene in Europa, cambia numero di telefono, cambia profilo di facebook, cambia indirizzo, cambia nome se necessario! Justin non dovrà trovarti mai più”.

E se non lo faccio?” chiesi, con un tono di sfida che non avrei voluto avere.

Il dolce sorriso di Alexis si allargò ancora di più. “Farò in modo di rendere la tua vita un inferno”. E, da come lo disse, capii che l'avrebbe fatto davvero.

Non puoi disporre della vita degli altri a tuo piacimento” replicai, incerta.

Vuoi scommettere, little italian girl?” chiese soavemente Alexis.

No.

Sì” risposi, alzando il mento. Oh sì, dovevo essere proprio una fragola minacciosa. Alexis mi si avvicinò di un passo. Il suo Chanel mi avvolse, ammaliatore.

Tu...” cominciò. Ma non seppi mai che nuovo argomento avrebbe usato per minacciarmi, perché qualcuno la bloccò. E quel qualcuno, grazie a Dio, era Donna.

 

•••

 

Ma tesoro!” cinguettò Donna in direzione della mia torturatrice. Alexis si voltò lentamente, il bel viso trasformatosi in una maschera di ribrezzo.

Da quanto tempo non ci vediamo!” continuò Donna inesorabile “Come stai, amore? Bene? E il papi come sta? E' sempre in giro a fregare poveri risparmiatori tacendo sulle conseguenze dei loro titoli in borsa? Eh, ma siamo in crisi, cosa non si fa per permettere ai propri figlioli tutto il lusso di cui hanno bisogno. E la sorellina? Sempre in prigione? Povera cara, le fai arrivare le arance, vero? Non vorrai che le venga lo scorbuto, no? Le si rovina tutto il lavoro del chirurgo!”

Alexis non rispose, pietrificata dalla rabbia.

Ma guardati! Stai una favola vestita così, giuro” la adulò Donna, falsissima. Poi ammiccò nella mia direzione. In quel momento la amai con tutta me stessa.

Alexis sorrise, misurata e maligna. “Anche tu stai una favola, tesoro. Cos'è, un ritorno agli anni cinquanta della moda dei night club di periferia? Un amore, davvero”.

Donna sistemò con un gesto vezzoso l'orecchia pendente. “Sì, avevo voglia di essere un po' trash stasera. Oh, ma stavi parlando con una mia amica? Perdonami tanto tesoro, vi ho interrotte. Di cosa discutevate?”

Di scarpe” rispose pronta Alexis, con un sorriso cattivo. “E di come le Loubutin non siano scarpe da tutti, anche se la ragazzetta qui cerca di convincermi del contrario. Ma sulle Loubutin non si discute. Non sei forse d'accordo, Donna?”

Lei le tenne il gioco. “Certo che sono d'accordo. Ma chi non desidererebbe un bel paio di suole rosse nel proprio guardaroba?”

Ovviamente. Però ogni persona deve rendersi conto del proprio budget, sai. E di come stonerebbero un bel paio di scarpe costose con un guardaroba troppo dozzinale. Ognuno deve comprendere qual è il proprio posto, non credi?”

Aspetta, ero io la persona dozzinale che doveva restare al suo posto? Quindi... stava paragonando Justin ad un paio di Loubutin?

Non potrei essere più d'accordo, mia cara” cinguettò Donna.

Vedo che mi capisci, tesoro. stavo ricordando alla tua amica qui che forse dovrebbe optare per un paio di più sobrie, tutto qui. Altrimenti si rischia di diventare... ridicole”.

Ma che razza di... bitch!

Certo, certo, capisco” la assecondò Donna. “Solo, mi sfugge il motivo di tanta solerzia. Da dove nasce il problema di tali famigerate scarpe?”

Oh, un conflitto di interessi, sai, capita tra donne” rise graziosamente Alexis. “La tua amica dovrebbe semplicemente capire che certe cose non sono adatte a lei. Potrebbe finire per farsi male” aggiunse. Donna colse al volo il significato intrinseco e si rabbuiò.

La stai minacciando, Johnson?”.

Alexis non si scompose per il repentino cambio di registro. “La tua amica deve capire qual è il suo posto, Prince. E, proprio perché è amica tua, probabilmente dovrebbe tornare nel suo ghetto”.

Donna rise di gusto “Siamo in America, tesoro: gli insulti razzisti mi scivolano addosso da quando avevo cinque anni”.

Alexis non si scompose.“In effetti l'epiteto di puttana ti si addirebbe di più”. Le sue accolite la sostennero con risatine sommesse.

Oh, anche questo mi scivola addosso, Johnson. Tu invece sei sempre la solita stronza”.

Il viso di Alexis ebbe uno spasmo. Barbie e l'altra amichetta si agitarono.

Non osare, Prince. Non sei nella posizione di farlo” minacciò.

Posizione? Le ho provate tutte, tesoro, il kamasutra mi fa un baffo. Non parlare a me di posizioni”.

Alexis la guardò schifata. “Sei disgustosa”.

E ne vado orgogliosa, mia cara. Quindi se non vuoi che ti strappi ad uno ad uno quei bei capelli biondi che ti ritrovi, cerca di essere più gentile. Nel ghetto si imparano molte cose interessanti, te l'assicuro”.

Alexis non rispose. L'aspettativa di essere dolosamente privata dei capelli non doveva essere delle migliori. “Sei una burina incivile, Prince. Tua madre dovrebbe vergognarsi di te. Oh, dimenticavo che tua madre è una zoccola ignorante almeno quanto te!”

L'unica ignorante qui sei tu, Johnson, anche se hai frequentato gli istituti più prestigiosi di tutto il continente. Ciò lascia ampi dubbi sulla preparazione scolastica americana, in effetti. Pagando si può avere tutto, non è vero? Perfino un diploma, perfino una laurea. Perfino l'amore”.

Taci!” la Alexis furente stava riemergendo sotto la patina di algida perfezione. “Tu non sai niente di me! NIENTE!”

Tutti sanno tutto di te, tesoro. Adori sbattere la tua vita privata in faccia alla gente”.

Alexis fremeva. Donna aveva colpito nel punto giusto. Perfino l'amore... a cosa alludeva?

Barbie e non-Barbie assistevano impotenti. Dubitavo che avrebbero potuto intromettersi in una conversazione così scottante senza uscirne verbalmente distrutte.

Alexis pareva essere rimasta senza munizioni. Le tremava un labbro e teneva gli occhi infuocati fissi in quelli di Donna.

Barbara, Spencer, andiamo via” disse infine “Abbiamo perso fin troppo tempo con la plebe”.

Ecco, brava, vai” la liquidò Donna con cattiveria. Il trio si avviò, ma Alexis non aveva finito. Si voltò e mi guardò rabbiosa. “E tu... stai lontana da Justin, bitch”.

 

•••

 

Justin? Justin?!”

Dopo che il mistico trio se ne era andato, Donna mi aveva fatto spiegare tutto. Era ancora incredula del fatto che la divina e inarrivabile Alexis Johnson avesse una cotta per Justin.

Justin?” ripeté “Justin! Cioè, stiamo scherzando?”. Un po' rideva e un po' mi guardava esterrefatta. “Regina-delle-nevi Alexis Johnson presa male per Justin...? Assurdo” disse scuotendo la testa. I lisci capelli neri e le lunghe orecchie pelose le ballavano qua e là.

Perché è così assurdo? Alla fine Justin è un ragazzo carino e intelligente” obiettai, dubbiosa.

Carino e intelligente?! Ma l'hai vista? Credi davvero che una come lei possa innamorarsi della bellezza e dell'intelligenza? Innamorarsi, poi! No, no, qui c'è qualcosa sotto, da' retta a me”.

Avrei voluto chiedere delucidazioni sull'argomento -sviscerarlo se possibile- ma proprio in quel momento fummo assalite da un vorticoso agitarsi di pizzi e merletti. Justin ci aveva trovate.

E' da un'ora che vi cerco, dannazione!” ci sbraitò addosso. Aveva il colletto di pizzo di traverso e il tricorno che quasi sgusciava fuori dalla parrucca incipriata. “Si può sapere dov'eravate finite?! E' tardissimo!”.

Donna alzò un raffinato sopracciglio, in netto contrasto con la tenuta da squillo. “Non ti agitare tanto, yokel, è solo colpa tua se Emma stava per essere divorata in un sol boccone da quel manico di scopa della tua amante. Se non ci fossi stata io! Ah! Altro che muscoli da palestrato”.

Justin passò con lo sguardo da me a Donna, smarrito. “Sono confuso” ammise.

E' una storia lunga” lo preparai. Lui si sedette accanto a me, togliendosi il tricorno. I capelli bianchi della parrucca gli si erano spiaccicati tutti sul cranio.

Alexis Johnson ha cercato di fare la festa a Emma perché è convinta che stia con te” liquidò la faccenda Donna.

Bè, ma se la metti così non è una storia lunga!” mi lamentai.

Si chiama dono della sintesi, sweetei”.

Ma si perde tutto il pathos”.

E allora dilla tu!”.

Oh, insomma...!”.

Justin ci guardava come se fossimo ammattite, le mani immobili a stringere il cappello.

Bè, allora...” cominciai.

Cosa ti ha fatto Alexis, Emma?” mi fermò Justin. Non riuscii a interpretare bene la sua espressione a quella domanda. Rammaricata? Mortificata?

Mi ha minacciato. Un po'” ammisi.

L'espressione indefinibile di Justin mutò; dapprima in stizza, poi in collera, poi in una sorta di irritazione impetuosa che lo rese nervoso. Cominciò a torturare l'innocente tricorno che aveva in mano. “Non può, non può continuare a tormentare in questo modo tutti quelli che mi sono attorno” sbottò. “E' inammissibile! Non sono un giocattolo fra le sue mani!”.

Forse dovresti parlarci” suggerii io.

Forse dovresti sbattertela un po' e poi lasciarla con il cuore in frantumi” suggerì candidamente Donna. La guardai malissimo. “Che c'è?” si stupì. “Io se fossi un uomo lo farei. Miss manico-di-scopa non merita alcuna pietà”. Lo disse con leggerezza, ma mi accorsi della nota amara nascosta sotto la superficie. Che cosa aveva fatto Alexis perché Donna provasse un odio così genuino nei suoi confronti?

Che tipo di relazione hai con Alexis, Donna?” chiesi.

Perlopiù di civile disprezzo” rispose pronta lei. “Ci ignoriamo, in genere. Ma oggi ha passato il limite, davvero. Non avrebbe dovuto dirti quelle cose” aggiunse, convinta.

Tu, piuttosto” riprese, stavolta rivolta a Justin “tu ci sei andato a letto?”

Justin fece una smorfia, ma non rispose subito. “Sì” rispose, fissando il tricorno “ma è stato uno sbaglio”.

Uno sbaglio” ripeté Donna, scettica. “La perfettissima Alexis Johnson non commette sbagli, Justin, di sicuro non con i plebei. Ci stai nascondendo qualcosa?”

In che senso?” le chiese lui, corruciandosi.

Nel senso che vai in giro con una Range Rover, yokel, non con un pick-up arrugginito. Non si può vivere di teatro e pagarsi la benzina nella stessa vita. Come si chiama tuo padre?”.

Justin, ancora una volta, non rispose subito. Perché Donna voleva il nome del padre di Justin? Era così fondamentale?

Infine rispose, malvolentieri: “Sandy Warren Richmond”.

Donna sgranò gli occhi. “Quel Sandy Richmond? Oh. My. God. Questo sì che è uno scoop!”. Mi guardò e batté le mani, estasiata. “Visto? Lo sapevo! Lo sapevo che c'era qualcosa sotto!”.

Perché io ero l'unica a non capire?! “Spiegatemi!” mi lamentai. “Chi è questo Sandy? Cosa c'è di tanto sconvolgente?”.

Oh, Emma! Sandy Richmond è il miglior avvocato divorzista sulla piazza!”.

Sbuffai. “E questo dovrebbe dirmi qualcosa?”.

Sì, se sapessi che è anche l'avvocato della madre di Alexis Johnson!”.

Sua madre vuole divorziare?”.
“Bè, sono alle trattative... Ma che c'entra?! Non è questa lo cosa fondamentale!”.

Guardai Justin. Il suo viso si era fatto scuro. “Ah no?” ripresi “E cos'è, allora?”.

Donna gongolò sprizzante di entusiasmo. “Sandy Richmond è l'amante della madre di Alexis!”

Cosa?!” trasecolai. Mi girai di nuovo verso Donna e poi di nuovo verso Justin. “Cioè... sei andato a letto con la figlia dell'amante di tuo padre?!”

E' stato uno sbaglio!” si difese lui, rattrappendosi vergognoso sul divano.

Adesso si spiega l'attrazione di Alexis nei tuoi confronti! Sei pieno di soldi da far schifo!” esultò Donna, estremamente divertita dalla situazione.

Grazie per la considerazione, eh” sbuffò Justin. “E poi non sono pieno di soldi. Mio padre lo è, ma ti posso assicurare che non mi passa un quattrino. La macchina è il suo regalo dello scorso Natale, unico giorno -eccetto il Ringraziamento- in cui ci vediamo”.

Donna non osò contraddirlo. Sapevo cosa stava pensando. Anche lei aveva vissuto in una situazione familiare difficile; anche lei aveva un padre ricco sfondato che vedeva solo due o tre volte l'anno. L'unica differenza era che suo padre cercava un contatto con le figlie -Donna e sua sorella- mentre Donna lo evitava come la peste e non accettava né soldi né regali da lui. Radicale? Forse. Donna non era tipa da compromessi.

...e quindi non mi chiamare ricco sfondato, Princesse. Preferisco essere un barman e guadagnarmi da vivere con ciò che mi fa battere il cuore che avere il futuro spianato davanti a me per continuare la carriera di mio padre. Non voglio essere come lui. E' un mondo che mi fa schifo”.

Né io né Donna avemmo il coraggio di replicare. Con un'occhiata silenziosa ci dicemmo tutto quello che era necessario.

Quindi?” azzardai.

Justin sospirò. “Andiamo a casa”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Che fatica questo capitolo! La cara Alexis Johnson alla fine mi è venuta più umana di quanto avrei voluto. L'avrei preferita più schizzata. Vi aspettavate che fosse lei ad attendere Emma, vero? Eheh.

Spero che gli scorci di vita di Alexis, Justin e Donna vi siano parsi interessanti e non scontati. E so che non l'ho ribadito abbastanza, ma la storia è ambientata nella città di Cleveland, in Ohio, e siamo a metà Agosto (così chi si chiedeva come fosse possibile avere tante feste ravvicinate ha una risposta: è estate! E la maggior parte delle persone non ha corsi universitari da seguire ;D) .

Ok, credo di aver finito. Se avete altri dubbi basta chiedere ;)

Alla prossima!

  

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** First Date ***


 

First Date

 

 

I raggi lievi del mattino colpivano la mia pelle, giocosi. Ero ancora a letto, sveglia da parecchio, e stavo troppo comoda per desiderare di alzarmi. In quel preciso momento, con le coperte verdi disfatte ai miei piedi e la luce del mattino che mi accarezzava ruffiana il viso, ero felice.

Mi stupii di poter provare ancora quella sensazione di leggerezza e di intima letizia.

Era come se una tenda fosse caduta, rivelando una realtà che non avevo mai preso in considerazione. Una realtà in cui io potevo essere tutto.

Osservai il mio braccio. La pelle chiara del polso era attraversata da uno una serie di numeri scritti con inchiostro blu. Avevo guardato talmente tanto quella sequenza che ormai l'avevo impressa dietro le palpebre. Ricordavo ancora alla perfezione il leggero solletico provocato dalla pressione della punta della biro sulla mia pelle, l'emozione che avevo provato. Perché quello, signori e signore, era il numero di Mr. Maybe. O meglio, di Brian Hawkings, come aveva scherzosamente aggiunto sotto “perché così tu te lo possa ricordare anche da ubriaca marcia”.

Come se io fossi stata spesso ubriaca marcia...!

Ehm.

Non così spesso, dai.

Oh, insomma.

Era stata Donna a costringermi a chiedere il suo numero, giusto prima di uscire per tornare a casa. Mi aveva praticamente buttata tra le sue braccia. E lui non era sembrato minimamente sorpreso, al contrario, quasi lusingato...

Mi accorsi di star sorridendo come un'idiota. Ricordavo bene la sua espressione divertita mentre raccattava una penna dal tavolino accanto alla porta; la pressione della sue dite attorno al mio braccio; la sua espressione concentrata mentre vergava i numeri con la calligrafia sottile e sconclusionata tipica dei ragazzi.

Mi avevo sorriso con quel suo sorriso strano, sbilenco, con quella fossetta da infarto esibita come se non fosse un'arma di sterminio ormonale. Donna aveva dovuto trascinarmi via perché i miei occhi adoranti non destassero troppi sospetti.

Justin ci aveva riaccompagnate a casa con la Range Rover incriminata e dopo aver mormorato qualche scusa per il comportamento di Alexis si era congedato subito. Niente sorprese al risveglio, stavolta. Il mio letto verde era tutto per me, morbido e comodissimo. Mi allungai come un gatto, crogiolandomi ai raggi del sole che filtravano dalle tende acquamarina. Donna dormiva ancora, nel letto dall'altra parte della stanza. Era un bozzolo irriconoscibile di coperte gialle e ronfanti.

Ma che ora era?

Allungai una mano verso il comodino, raccattando il telefono che avevo messo sotto carica la sera prima. Le undici e mezza. Era presto!

Ricaddi supina sul materasso con un tonfo leggero. Che potevo fare di quella giornata? Aspetta... che giorno era? Domenica...? No, domenica era stata ieri. Lunedì. Sì, lunedì. Lunedì 15 Agosto 2011. Ferragosto, in Italia. Lì, un giorno come un altro. Che potevo fare dunque di quel giorno come un altro? Di certo non stare chiusa in casa a dormire.

Mi alzai, raccattai le ciabatte e mi infilai in bagno. Una bella doccia era proprio quel che mi ci voleva: puzzavo ancora come un minibar. Feci attenzione a non cancellare il numero scritto sul mio braccio -lo sapevo a memoria, ma non mi andava di rischiare-, uscii dal bagno canticchiando e tornai in camera per vestirmi. Aprii l'armadio di Donna. Che ci si mette in un giorno come un altro? Bah. Tanto qui nessuno bada a come sei vestito. Ed era vero. Avrei potuto mettermi pantaloni grigi della tuta, ciabatte di plastica gialla e maglietta a fiori blu e nessuno avrebbe potuto dirmi niente. Anzi, forse avrei perfino ricevuto qualche complimento.

Mi vestii e scesi in cucina per preparami un pranzo a base di cereali e latte in tanica. Mangiai con calma, in pace assoluta. L'unico rumore era lo scricchiolio delizioso dei cereali sotto i miei denti.

Prima di uscire, lasciai un post-it fuxia per Donna attaccato al frigo: Vado al Memorial. Ho già mangiato, non aspettarmi per pranzo.

 

•••

 

Il Memorial Park era, per l'appunto, un parco. Si trovava a quindici minuti da casa di Donna, adiacente ad un'immensa High School. In Italia non si vedevano cose del genere, non di quelle dimensioni: il Memorial Park contava tre campi da baseball, due da calcetto, uno da calcio e due da rugby. Pardon, football americano. Senza contare i tre piccoli anfiteatri all'aperto e la pista dei 1000 metri che fiancheggiava alla scuola.

Quando emersi dagli alberi e mi affacciai direttamente su quella distesa di erba, essa raggiungeva l'orizzonte. Altro che l'Italia, tutta ruvida e montuosa! In America, grandi palazzi permettendo, la linea dell'orizzonte era sempre piatta e perfettamente visibile.

L'aria tiepida e il sole avevano attratto un sacco di gente. C'erano gruppi di ragazzi, coppiette, famiglie con squadroni di bimbi al seguito. Quasi in ogni campo da gioco era in corso una partita.

Passai accanto al diamante del baseball, trovandomi di fronte ad un campo da football. Frotte di ragazzi correvano dietro alla palla ovale; avevo sempre pensato che le ingombranti protezioni li gonfiassero in modo ridicolo.

Mi fermai a guardare.

Non conoscevo granché le regole, ma potevo intuire chi stesse vincendo. La palla volava ripetutamente nella mia direzione varcando la porta a forma di U, quindi la squadra bianca doveva essere in vantaggio.

C'erano numerosi spettatori; da come erano in fermento capii che la partita era quasi finita. Insulti e anatemi volavano in tutte le direzioni. Mi avvicinai alla metà campo.

Il 60esimo minuto scattò. La squadra bianca si mosse come una sola entità, stringendosi al centro del tappeto erboso e esultando con urla e strepiti. I giocatori si scontrarono con violenza; i caschi volarono in alto.

Quante scene per una partitella estiva...!

Bah. Maschi.

Mi girai per andarmene, ma nel farlo urtai una ragazzina. “Scusa” le sorrisi. Lei mi guardò con aria persa. Feci per procedere, ma lei mi afferrò un braccio. Una stretta sorprendentemente salda per la corporatura sottile della proprietaria.

Io ti ho già vista” mi disse lei, fissandomi negli occhi. E pensai che sì, anch'io l'avevo già vista.

Avevo già visto quei capelli rossi tinti, quell'espressione di lucida follia. Ma il ricordo era vago e confuso, come il ricordo di un sogno. Probabilmente l'avevo vista in una delle tante feste a cui avevo partecipato da un mese a questa parte.

Ad ogni modo, la mia espressione interrogativa non la indusse a lasciami a andare. Continuava a guardarmi, forse lambiccandosi il cervello su dove avesse potuto avermi già incontrata.

Ehm” provai, muovendo piano il braccio “dovrei andare”.

Come ti chiami?” insisté lei sfarfallando le ciglia. Glielo dissi.

Emma” ripeté, estasiata. C'era un che di incomprensibile nella sua espressione. Pareva drogata.

Hai visto Ian Evans?” mi chiese, dolce.

Chi?

No, mi dispiace” risposi, in allarme.

Oh” si rattristò lei. La sua mano scivolò via dal mio braccio. “Allora non importa” concluse, tirando su con il naso. Si stava mettendo a piangere?!

Bé, ma magari è qui attorno” mi affrettai ad aggiungere. I singhiozzi si facevano sempre più forti. “Magari sta giocando a football proprio in questo campo”. Niente da fare. Ormai piangeva a dirotto, la bocca spalancata e piegata in giù come quella di un neonato. Le persone accanto a noi cominciavano a guardarci infastidite.

Perché, perché tutte a me?!

Mi stavo vergognando da morire.

Ok, ok” mormorai. Allungai una mano per farle un civile pat-pat sulla spalla, ma lei mi si tuffò tra le braccia. Incastrò la testa sulla mia spalla e seguitò a piangere. Sentivo le sue lacrime inzupparmi la maglietta.

Ehm. Sì” borbottai, battendole la spalla. “Andrà tutto bene, vedrai”. Non sapevo nemmeno quello che stavo dicendo. Tutto ciò che ottenni in risposta furono gemiti ancora più forti. Una signora obesa accanto a me mi lanciò un'occhiata sdegnosa.

Forse dovremmo spostarci da qui, che dici?” tentai. La ragazza si strinse ancora di più a me, scuotendo la testa. Per lunghi imbarazzanti minuti non smise di frignarmi sulla spalla; solo dopo molti pat-pat e rassicurazioni random riuscì a recuperare un po' di controllo. Si staccò da me, tirò su con il naso e mi fece un sorriso sghembo.

Grazie. Adesso sto molto meglio”.

Fu un colpo al cuore. Perché? Perché vidi formarsi, su quel viso rigato di lacrime e moccio, una fossetta. Una sola. Sul lato sinistro della bocca. Quella fossetta.

Sei stata molto gentile” stava continuando quella, radiosa “non molte persone sono così carine con me”.

Figurati” risposi io come un automa, ancora trasecolata.

Sai, Ian è l'amore della mia vita. E' l'uomo che sposerò. Saremo felicissimi e faremo tanto sesso e tanti bambini” continuò convinta.

Non seppi che rispondere. Decisi che era meglio far vertere la conversazione su qualcosa di più concreto: “Come ti chiami?”.

Caroline” rispose felice lei. Calcolai che dovesse avere non più di sedici anni.

E cosa fai qui, Caroline? Aspetti... Ian?” chiesi, cauta. Lei si rabbuiò, ma solo un poco. “Mio fratello dice che Ian non verrà più, dice che non vuole vedermi. Ma io non gli credo. Ian mi ama” concluse con semplicità.

Il mio cervello registrò una sola informazione, e me la sparò a tutto volume come una hit su Radio Dj. Mio fratello. Mio fratello. Mio fratello!

Qualcuno lassù mi amava.

E... tuo fratello, è qui, lui?”.

Quando Carolina annuì, avrei voluto esultare come quei giocatori di football. Lui era lì, era lì! Quanta fortuna si deve avere per incontrare l'uomo della propria vita tre volte in tre giorni? Troppa! Dopo tutte le sfighe che avevo avuto questo era il dono divino, aveva ragione Donna.

Ma non potevo esserne sicura, non ancora. Serviva una prova del nove. “E questo tuo fratello” continuai “per caso si chiama Brian?”.

Sì. Lo conosci?”.

Quasi mi sarei messa a piangere dalla felicità.

Un po'” concessi. “E dov'è? Vorrei... salutarlo”. Saltargli addosso non sarebbe stato carino da dire, non ad un suo consanguineo.

Caroline fece un cenno con la testa in direzione del campo da football. “Sta giocando. Anzi, adesso dovrebbe aver finito”.

Un giocatore di football? Ricordavo gli avvisi di Donna su quella categoria, ma non era il momento di preoccuparsi di tali piccolezze. Brian era lì, e io l'avrei visto.

Ancora non riuscivo a capacitarmi della mia fortuna sfacciata.

Caroline!”.

Mi paralizzai. Ricordavo alla perfezione la sua voce. Ricordavo tutto di lui. Lo vidi arrivare rapido verso di noi, gli occhi fissi sulla sorella. L'ingombrante divisa che indossava gli rendeva difficile passare tra la folla. Divisa bianca. Era uno dei vincitori, dunque. Avrei mai potuto dubitarne?

Per fortuna sei ancora qui. Sei...” si bloccò, accorgendosi di me.

Non seppi dire quale fu l'espressione dominante sul suo viso quando mi vide. Sicuramente era sorpreso. “Emma! Che... cosa ci fa qui?” articolò. Sembrava scosso quanto me.

Sono qui per caso” risposi, esilarata da quella situazione. Era troppo assurdo. “Stavo guardando la partita quando ho incontrato... tua sorella”.

Brian posò lo sguardo su Caroline. Sembrava preoccupato. “Non ha... fatto scenate, vero?”.

Scenate? No, no” mentii. Proprio in quel momento Caroline si asciugò il moccio con il dorso della mano, vanificando le mie parole. Brian parve intuire la verità, perché la sua espressione si fece scura. “Mi dispiace. Lei... ha dei problemi... relazionali. Spero non ti abbia infastidito”. Era davvero mortificato.

No no!” replicai, sventolando le mani “Nessun fastidio!”. Brian mi guardò, poi guardò la sorella. Caroline stava fissando il vuoto, dondolando sui talloni.

Ehm” articolai.

Brian sospirò, mesto. Poi tornò a guardarmi e tentò un sorriso. La sua fossetta nacque dal nulla, ammaliatrice. “Vieni, devo farmi perdonare. Ti offro qualcosa”.

 

•••

 

Con panna o senza panna?”.

Eravamo davanti ad un baracchino dei gelati, come una vera coppietta americana. Avevo insistito che non era necessario che mi offrisse qualcosa e che sua sorella non aveva fatto niente di strano, ma lui non aveva voluto sentire ragioni.

Con panna” risposi.

Io doppia!” saltò su Caroline, felice come un coniglietto pasquale. Brian pagò e ci sedemmo tutti e tre su una panchina lì accanto, miracolosamente libera. Caroline attaccò subito il suo vaniglia-cioccolato-doppia-panna.

Brian invece non sembrava molto convinto del suo gelato, e lo fissava con disappunto. Desiderai ardentemente sapere a cosa stava pensando.

Tutto bene?” osai. Non ero troppo a mio agio, seduta tra lui e la sorella schizofrenica, ma non volevo che lui fosse così pensieroso.

Avevo immaginato diverso il nostro primo appuntamento” sospirò infine.

Lo fissai stralunata, il cucchiaino sospeso a metà strada tra la coppetta e la bocca.

Non riuscivo a credere a quello che avevo appena sentito. Lui non aveva immaginato così il nostro primo appuntamento? Voleva dire che lo aveva immaginato! Voleva dire che aveva pensato a me! Oddio, oddio. Voleva dire che... quello era un appuntamento! E...

...e io indossavo delle ciabatte di plastica gialla. Merda.

Incrocia le caviglie sotto la panchina e sorrisi, rispondendo senza pensare: “Non puoi giudicarlo adesso, poverino. E' appena cominciato”. Da dove veniva quella temerarietà? Non da me, sicuramente. Donna mi stava contagiando.

Lui parve colpito. Il suo viso si aprì in un sorriso lento, misurato. I miei ormoni ne risentirono parecchio.

Hai ragione” soffiò. “Ci sono molti modi per rendere memorabile un appuntamento”.

Un brivido mi scosse il bassoventre.

Ok, forse ero io la maliziosa, però dei molti modi che c'erano per rendere memorabile un appuntamento mi vennero in mente solo quelli vietati ai minori di diciotto anni. Colpa del suo tono roco da divo di Hollywood, sicuramente.

Caroline, dal canto suo, sembrava non accorgersi di niente. Il gelato gigante occupava tutta la sua attenzione.

Da quanto sei qui in America?” mi chiese Brian come se nulla fosse stato, ingollando una cucchiaiata di gelato alla menta. Solo io avevo percepito quel mostruoso cambio di temperatura...? Riacquistai la facoltà di parola in tempo record. “Da quasi un mese” risposi.

Un mese? E dove vivi? Stai in hotel?”.

No, sto da un'amica. Ricordi quella ragazza pazza vestita da coniglietta play boy?”.

Aspettai che annuisse.

Ecco, sto da lei”.

Brian inarcò le sopracciglia. “Non pensavo foste così amiche. Siete... diverse”.

Risi di gusto. “Lo so, Donna è molto più esuberante di me. La ammiro anche per questo”.

Brian prese un'altra cucchiaiata del suo gelato, cogitabondo. “E come mai sei qui? Voglio dire, sei qui in vacanza? O per qualche altro motivo?”.

Sto scappando.

Sto allargando i miei orizzonti” risposi lapidaria. Infilzai la mia pallina con il cucchiaino di plastica. Brian non indagò oltre, e gliene fui grata.

Ti piace l'Ohio?” continuò. Mi stava facendo un sacco di domande, ma non avevano l'aria di un interrogatorio. Erano un modo come un altro per spronare la conversazione.

Sì” risposi. “E' arioso. Diverso”.

A me non piace granché. Mi sono trasferito lo scorso inverno e ti assicuro che da settembre in poi il freddo è insopportabile”.

Ti sei trasferito?”. Svelato il mistero! Ecco perché non era ancora passato dal letto di Donna!

Sì, dalla California” rispose lui, con un'ombra di nostalgia nella voce.

Wow!” esclamai, sorpresa. “Bè, allora è comprensibile che non ti piaccia il freddo”.

Sì, eh?” mi sorrise, lanciandomi un'occhiata di traverso alla Johnny Depp. Non riuscii a rispondere; i miei ormoni erano stati sballottati fin troppo quel giorno. Non avrebbero retto ancora a lungo.

Fa freddo in Italia?”

La lingua mi era rimasta incollata al palato e sembrava non avere nessunissima intenzione di venire giù.

Uhm uhm” mugolai con falsissima nonchalance.

Lui ridacchiò. “E' un sì o un no, questo?”

Un sì” sfiatai infine, lottando contro la mia inettitudine. “Almeno, da dove vengo io, sì. D'estate si muore di afa e l'inverno e nebbioso e freddissimo. Non come qui, ovviamente, ma io sto al nord Italia, sai. Cioè, stavo”. Stavo. Mi fece strano pronunciare quel verbo al passato. Rendeva tutto estremamente... definitivo.

Lui annuì, pensieroso.

Ma sicuramente in California il freddo non è nemmeno contemplato, o sbaglio?” continuai, per non lasciare cadere la conversazione. Avevo paura che un tempo morto avrebbe rivelato tutta la mia sfigataggine.

Bè, le stagioni si susseguono anche lì, sì” rise lui. “Ma con meno sbalzi di temperatura. E' un bel posto in cui vivere” aggiunse, con un tono particolarmente sentito e distante.

La curiosità divampò in me. “E perché ti sei trasferito qui? Se si può sapere, ovvio...”.

Lui ci mise un po' a rispondere. Sembrava star misurando le parole, cosa dire e cosa non dire. Avrei dato un rene per sapere che cosa stava pensando. Aprì la bocca per parlare, ma Caroline ormai aveva finito il suo gelato e esigeva la nostra attenzione.

Dove si va adesso?” ci interruppe radiosa “Mi piace questa giornata”.

Brian richiuse la bocca e sorrise. Ma era un sorriso a bocca chiusa, smorzato, senza nemmeno l'entusiasmo necessario per creare quella magica fossetta.

Adesso dobbiamo tornare a casa, mostriciattolo” la ammonì lui senza perdere quel mezzo sorriso. “E anche Emma dovrà tornare a casa, giusto?”.

Mi piacque un mondo il modo in cui disse il mio nome. Sulla sua lingua anglofona le due emme si accavallavano una sull'altra in una melodia deliziosamente esotica per me.

Sì” mentii “Sì, devo proprio tornare anch'io”.

Ma io non voglio!” si lamentò Caroline. Sembrava molto più piccola della sua età quando aveva quegli atteggiamenti.

Su, che la mamma ci aspetta” replicò, alzandosi. Raccolse la voluminosa sacca di football da terra e gettò via coppetta e cucchiaino. Mi alzai anch'io. Caroline si tirò su di malavoglia e si avviò da sola.

Brian la guardò allontanarsi, accigliato.

Non devi...?” cominciai.

Sì, sì, adesso vado. Non voglio che si metta nei guai” sospirò. Il suo sguardo cadde sul mio braccio e quasi meccanicamente allungò una mano per sfiorarlo.

Hai ancora il mio numero” commentò, con un piccolo sorriso.

Certo!” risposi, con troppa enfasi. Mi stavo esponendo troppo, lo sapevo, ma che potevo farci?

Lui mi fissò negli occhi. Rabbrividii quando le sue iridi verdi toccarono le mie, così pacate e rassicuranti. Aveva una sfumatura castana attorno alla pupilla.

Dovremmo vederci” disse. Non era una domanda, né una proposta. Era un'affermazione, limpida e convinta. Dovevo rispondere...?

Questa sera” continuò lui, sicuro “hai da fare?”.

Provai un brivido in fondo allo stomaco.

No, sono libera”. Mi stava tremando la voce?

Allora adesso considerati impegnata. Se mi lasci il tuo indirizzo vengo io a prenderti”.

Non poteva essere vero. Non stava succedendo.

Ma... per fare cosa?” chiesi, titubante, mentre lui si frugava nelle tasche alla ricerca di un pezzo di carta.

Quello che vuoi” rispose sorridendo. “Ti offro la cena se ti va”. Mi allungò un vecchio scontrino e una biro senza tappo.

Scribacchiai il mio indirizzo e gli resi il foglietto. “Non stai distante da qui” commentò, dopo averlo letto.

No, da qui sono dieci-quindici minuti a piedi” confermai. Sentivo la faccia calda e distesa in un sorriso ebete.

Ok, allora intanto vado” si congedò. Mi sorrise. Un sorriso pieno stavolta, che metteva in mostra i denti bianchissimi.

A stasera!” salutò, voltandosi.

A stasera” ricambiai, pianissimo. Fissai la sua schiena che si allontanava in mezzo al verde, non osando muovermi. Avevo paura che con un impercettibile movimento avrei potuto frantumare tutto.

Ero gradevolmente turbata, ero agitata, ero scossa.

Avevo un appuntamento con Mr. Maybe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo capitolo non è lungo quanto avrei desiderato, ma prometto che migliorerò. E così Emma rincontra Mr. Maybe per la terza volta in tre giorni: un miracolo! XD

E facciamo conoscenza con Caroline... ho voluto aggiungere una presenza femminile perché in questa storia c'è una netta prevalenza di testosterone. E' una ragazza un po' problematica, ma spero vi sia piaciuta. E tutti i luoghi (il Memorial Park, Quincy Avenue, il Flannery's Pub) sono reali. Su Google Maps li trovate, anche se non troppo facilmente xD

Per le foto, non vedo altro modo se non quello di mettere un http xD

http://us.123rf.com/400wm/400/400/jetzt/jetzt1007/jetzt100700025/7305044-beautiful-black-girl-studio-portrait-on-blue-background.jpg (Donna)

http://www.lovelyhairstyles.net/wp-content/uploads/2011/09/hairstyles-for-curly-hair-hairdo-videos-2011-2012.jpg (Emma, anche se io la immagino con gli occhi castani xD)

http://cdn.cinezapping.com/wp-content/uploads/2010/05/justin-timberlake2707.jpg (Justin)

Per ora solo questi, gli altri li aggiungerò nei prossimi capitoli ;D

Ad ogni modo scrivetemi, fatemi sapere cosa pensate, cosa dovrei cambiare, dove migliorare, aggiungere o togliere! Le critiche sono sempre ben accette!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** REAL First Date ***


 

 

 

 

REAL First Date

 

 

 

 

DONNA!”

Ero entrata sbattendo la porta, ansiosa, ansimante, sudata per la marcia forzata che avevo fatto dal Memorial fino a lì. Stavo tremando.

Cosa c'è?!” urlò Donna dal piano di sopra, terrorizzata dal mio urlo. Capitolò giù dalle scale con una mazza da baseball in mano. “Ti hanno stuprata? Ti hanno derubata? Ci sono i ladri in casa?!” mi ruggì addosso. In poche falcate attraversò il corridoio e spalancò tutte le porte con un calcio, impugnando la mazza come un'ascia da guerra. Realizzando che non c'era nessuno a minacciare la nostra casa, mi fissò feroce. Era in mutande e aveva i capelli sparati in tutte le direzioni.

Il fiatone mi impediva di parlare. Feci ampi gesti con le mani per negare tutte le sue ipotesi, poi dovetti sostenermi alla balaustra delle scale per riprendere fiato.

No, no” sfiatai infine. “Peggio!”.

Peggio dei ladri in casa?” replicò Donna stralunata, abbassando l'arma.

Peggio!” ripetei con il respiro mozzo.

Peggio di uno stupro?!”

Non ebbi il fiato per rispondere.

Emma, cos'è successo?!”

Ho un appuntamento con Mr. Maybe!” capitolai, disperata. “Stasera!”.

Tu hai un...?”.

Sì!”.

La sua espressione da feroce divenne estasiata. “Ma è una cosa meravigliosa!” trillò, lasciando cadere la mazza da baseball e buttandosi tra le mie braccia.

Cercai di divincolarmi. Non comprendeva la gravità della situazione.

Era ora! Un appuntamento! E con un figo pazzesco, per di più!” continuò Donna, stritolandomi. “Te lo dicevo, io, te lo dicevo che sarebbe arrivato il momento del tuo riscatto. Ma tu no no, chi vuoi che mi voglia, sono sfigata, sono brutta, sono bassa, sono senza tette...”

La smetti di elencare le mie disgrazie, per favore?” tossicchiai.

...e adesso hai un appuntamento con Mr. Maybe! Dovrai essere meravigliosa, oh sì, ti vesto io, ti trucco io! Sarai uno schianto! Sarai... aspetta, stasera?”.

Sì!” esclamai. “Stasera!”

Donna si staccò da me. Il sorriso era sparito dalle sue labbra. Finalmente aveva compreso appieno la gravità estrema della situazione in cui mi trovavo. Mi squadrò dall'alto in basso: scandagliò con una smorfia i capelli sconvolti, il viso congestionato, la maglietta a fiori incollata al torace dal sudore, i pantaloni logori, le ciabatte gialle.

Che ora è?” chiese, fredda.

Quasi le tre” balbettai.

Abbiamo circa cinque ore. Dobbiamo rivoluzionarti, sweetei”.

 

•••

 

Ma Donna, è proprio necessario...?”

Shut up, che ti cola tutto!”

Ero semi sdraiata sul divano, cercando di stare immobile per non macchiare i cuscini con lo scrub allo yogurt magro che mi impiastricciava la faccia; Donna mi stava limando le unghie delle mani mentre io ero in accappatoio, dopo una doccia di quarantacinque minuti con tanto di spugna anticellulite e shampoo alla pesca; avevo i piedi appoggiati sul tavolino in modo da non rovinare lo smalto appena messo e i capelli incastrati in dei bigodini che mi tiravano in modo insopportabile.

Che ora è?” chiesi, ansiosa.

Emma, non sono passati nemmeno cinque minuti dall'ultima volta che me l'hai chiesto” sbuffò Donna spazientita. “Sono le cinque e un quarto”.

Feci un profondissimo respiro tremulo. Un cetriolino rischiò di rotolarmi giù dalla guancia e Donna lo rimise a posto sulla mia palpebra con un gesto stizzoso.

Sono agitata” ripetei per l'ennesima volta.

Lo so, sweetei, lo so” disse lei addolcendosi. “Ma vedrai che andrà tutto una favola. Sarai fantastica”.

Sospirai ancora, e un rivolo di yogurt mi colò da uno zigomo. Donna fu lesta a recuperarlo con il dorso della mano.

Devi stare ferma però” mi ammonì, leccandosi lo yogurt dalla mano “ho mandato a lavare il copridivano la settimana scorsa”.

Preferii non ripensare a cosa aveva fatto su quel divano.

E' finito il latte?”.

La testa di Justin sbucò dalla cucina. Era arrivato lì mezz'ora prima alla ricerca di un mazzo di chiavi che pareva aver dimenticato da noi, trovandomi in quelle condizioni sul divano.

Aveva riso come un deficiente.

Non era stato granché incoraggiante.

L'hai finito tu ieri mattina, genio” lo rimbrottò Donna senza guardarlo, concentratissima nell'applicare lo smalto sulla mia mano sinistra.

Ah. Allora mi faccio un caffè. Ne volete un po'?”.

Sentii Donna sbuffare piano. Justin era assolutamente a suo agio a comportarsi come se fosse a casa sua, e la nostra dispensa ne risentiva.

Io sì, grazie” dissi cercando di non muovere nessun muscolo del viso.

Donna mi stroncò subito: “Tu? Caffè? Ah no no, che mi diventi ancora più esagitata. E poi il caffè fa venire i denti gialli”.

Ma Donna, ne ho bisogno!” la supplicai.

No no. Una bella tisana, piuttosto. Cameriere, una tisana per la signorina!”.

Justin urlò un 'agli ordini!' dall'altra stanza. Ecco, lo sapevo. Tutta l'America complottava contro di me e la mia dipendenza dal caffè.

Ecco fatto!” esultò Donna, rigirando la mia mano con fare soddisfatto. “Ora aspetta due minuti che si asciughi lo smalto e poi puoi alzarti e andare a sciacquare lo scrub. Usa l'asciugamano rosa, mi raccomando”. Mi tolse un cetriolino dalla faccia e se lo infilò in bocca.

Sospirai di sollievo e tolsi anche l'altro. Dopo poco mi alzai e con massima prudenza arrivai in bagno. Salire le scale non fu affatto facile. Quando finalmente mi liberai di quella maschera bianchiccia e appiccicosa potei guardarmi allo specchio. Senza trucco, pallida, con le occhiaie fino al mento e i bigodini della nonna in testa: una meraviglia!

Non sarei uscita quella sera, oh no.

Che depressione.

Sembro il mostro della laguna!” urlai, disperata.

Cosa?! Oh, non ci provare, sweetei. Fila in camera, sto arrivando!” mi urlò di rimando Donna dal piano di sotto.

Come non detto.

Andai in camera e mi lasciai cadere sul letto. L'armadio era già aperto, minaccioso.

Donna entrò e chiuse la porta.

Cominciamo”.

 

•••

 

Donna... è il primo appuntamento. Non credo che andremo così a fondo”.

Ero in piedi di fronte allo specchio, imbarazzatissima in un completo intimo rosso fuoco con inserti di pizzo viola. Il reggicalze mi sfiorava le cosce nude, decorato con vezzosi fiocchi di seta.

Cosa c'entra? Tu saprai di averlo addosso e ti sentirai sexy. E ad ogni modo, primo appuntamento o no, mai lasciare le cose al caso” annuì Donna con espressione convinta.

Io invece ero molto meno convinta. Il reggiseno poi pizzicava in maniera insopportabile.

Non credo sia necessario. E inoltre è scomodo...” tentai.

Vuoi una prova lampante della mia solerzia? JUSTIN! Vieni su, serve un parere testosteronico: la signorina fa la difficile!”

Da rattrappita che ero balzai sull'attenti. “Eh? Cosa? No...!”

Ma Justin salì allegramente le scale e spalancò la porta, trovandomi mezza nuda e rossa almeno quanto il mio completino. Stava mangiando un panino, ma nel vedermi sembrò perdere le facoltà masticatorie. Con mia enorme sorpresa, anche lui arrossì.

Ehm. Non male, direi” esordì, in imbarazzo.

Donna fece un sospiro esasperato. “Non male? Ma che ormoni hai? Solo un mollusco non farebbe i salti di gioia per una ragazza bardata così” lo rimbrottò, offesa come se avesse criticato una sua opera d'arte.

Bè, sì, insomma, male non sta. Però io lì sopra una giacchina la metterei, non fa così caldo...”

Ah ah ah” rise falsamente Donna. “Siete tutti contro di me, ho capito. Provati l'altro Emma, quello blu. Tu, mollusco, sparisci”.

Justin si dileguò gentilmente, e io mi cambiai. Mi riguardai allo specchio: stavolta sembravo più me e meno una spogliarellista.

Donna mi osservò con sguardo critico.

Ti fa delle belle tette. Justin!”

Ma che...?

Justin riaprì la porta, stavolta con un sorriso furbo.

Questo mi piace di più” commentò, appoggiandosi allo stipite. Arrossii ancora. “Justin, è già abbastanza imbarazzante, non infierire”.

Lui si strinse nelle spalle. “E' stata Donna a chiamarmi”.

Balle. Tu sei capitato qui per cercare delle fantomatiche chiavi” replicò Donna, mezza infilata nell'armadio e intenta a lanciare sui letti tutto ciò che le pareva interessante. “Le hai trovate alla fine?”.

Eh?” si svegliò Justin, intento ad osservare Donna e il tornado di vestiti che stava venendo catapultato fuori. “Ah, sì, sì, le ho trovate”.

Un cardigan mi volò addosso, e me lo tenni stretto per coprirmi. Ormai l'armadio era vuoto e la stanza era nel caos più completo.

Ok” disse Donna, soddisfatta. “Ora direi che ci siamo. Cerca qualcosa che ti ispira, così poi io potrò criticarlo cercando di convincerti ad indossare qualcos'altro”.

Confortante” la canzonai. “Justin, tu devi proprio stare qui?”.

Perché no? In tv non fanno niente di interessante”.

Spiritoso”.

Justin ci serve” si intromise Donna. “Però anche una tisana ci serve. Sei scarso come cameriere”.

La tisana!” Justin sparì e volò giù dalle scale.

Donna si girò verso di me. La guardai stretta vergognosamente al mio cardigan.

Su, prova questo” cominciò, allungandomi un vestito di tessuto satinato.

 

•••

 

Dopo un'ora avevo provato tanti di quei vestiti da perderne il conto. Ora indossavo quello che a Donna convinceva di più: un vestitino bianco a balze con cintura beige e tacchi vertiginosi dello stesso colore.

Aiuto.

Secondo me quei tacchi sono troppo alti” si intromise Justin, spaparanzato sul mio letto.

Secondo me tu parli troppo” lo rimbrottò Donna girandomi attorno con sguardo critico.

Justin si strinse nelle spalle. “Dico semplicemente che a me non piacerebbe portare una ragazza al pronto soccorso perché si è rotta una caviglia la sera del nostro primo appuntamento”.

Non puoi negare che sarebbe un appuntamento memorabile” commentò Donna asciutta. “Ok, è deciso. Siediti, ti faccio il trucco. A che ora ha detto che passa Mr. Maybe?”

Alle otto”. Avevo la gola secca e la voce mi uscì raschiante.

Mi sedetti al tavolino adibito a zona make-up. La tazza della mia tisana giaceva lì accanto, vuota e fredda. Donna mi mise correttore, fondotinta, ombretto chiaro, eye-liner, matita, mascara, rossetto e gloss. Avevo tanta di quella roba in faccia che non osavo muovermi.

Justin si era alzato a sedere per fissarmi. La sua espressione era a metà tra l'affascinato e l'inorridito.

Certo che voi donne...”

Zitto, yokel. Commenti su come le donne si vestono e si truccano non sono graditi. Tu devi solo giudicare l'effetto finale”.

Justin ridacchiò e ricadde indietro sul letto.

Donna finì di applicare il lucidalabbra e mi fece voltare.

Quando vidi la mia immagine riflessa non credevo ai miei occhi. Non ero mai stata così figa in vita mia. Avevo un che di falso e artificioso, sicuramente, ma ero una figa pazzesca.

Sfiorai i boccoli perfettamente a cavatappi che mi molleggiavano sulle spalle. Le labbra erano rosse e piene, gli occhi scuri e intriganti, il seno prorompeva dal vestitino bianco e casto. Avrei portato per tutta la vita quel push-up, poco ma sicuro.

Mi alzai e volteggiai in mezzo alla stanza.

Donna mi guardava con le mani sulle anche, soddisfattissima.

Mancava solo Justin. Lui con estrema calma si mise a sedere sul letto e mi guardò.

Mi squadrò dall'alto in basso, passando dai riccioli al vestito scandalosamente corto, dalle labbra rosso fuoco alle scarpe beige. La sua espressione era così poco convinta che già Donna era pronta a saltargli addosso per strozzarlo.

Ma poi mi fece l'occhiolino.

Mr. Maybe cadrà ai tuoi piedi prima del dessert, Emma”.

 

•••

 

Driiin!

Merda, merda, merda!!

Avevo le budella attorcigliate dall'ansia. E quando ero davvero agitata pensavo improperi in italiano. Dov'erano gli orecchini? E... cazzo! La borsa!

Donna! La borsa!” strillai.

Te l'ho lasciata sul letto, scema!”

Il letto il letto il letto il letto il letto il letto!

Quasi mi ammazzai per salire le scale; arrivata in camera scaraventai a terra tutti i vestiti che ancora si trovavano sul letto e trovai la borsa. Ok, forse ce l'avrei fatta. Mi diedi un'ultima occhiata veloce allo specchio e mi precipitai giù per le scale.

Clack.

Cazzomerdafigatroia!

Mi aggrappai al corrimano per non rovinare giù. Avevo rotto il tacco.

Ma... ma... ma si poteva essere più sfigate?!

Donna mi avrebbe ucciso.

Driiin!

Un'altra morsa allo stomaco.

Emmaaa!” urlò Donna.

Lo so, lo so!” urlai di rimando.

Pensai velocemente, risalendo claudicando le scale. Entrai in camera e mi tolsi le scarpe ormai inutilizzabili. Sondai la stanza con raggi radar per individuare un paio di calzature adatte. Magliette, biancheria intima, calzini, sciarpe, costumi da bagno, mazza da baseball... Individuai una ballerina che spuntava da sotto il letto di Donna e quasi esultai di gioia. La afferrai e me la strinsi al petto.

Ora c'era da trovare l'altra.

Mollai la borsa sul letto e mi misi a gattoni per trovare la scarpa gemella.

Emmaaaaa!”

Arrivo!” risposi, disperata.

Frugai tra i vestiti buttati per terra, tra i cuscini; guardai sotto il letto e sotto il tavolino da trucco. Niente. Mi rialzai, ormai rassegnata ad ammettere il mio fallimento e a chiamare Donna per supplicare perdono e aiuto, quando -miracolo!- intravidi l'altra ballerina spuntare da sotto l'armadio. Mi lanciai su di essa reprimendo un urlo di vittoria. Finalmente indossai le scarpe -mi stavano larghe di un paio di numeri, ma non era il momento per preoccuparsene-, recuperai la borsa e scesi le scale.

Trovai Donna all'ingresso. La porta era aperta e lei stava chiacchierando amabilmente con Brian. Scesi gli ultimi gradini con quello speravo sembrasse un portamento aggraziato e sorrisi.

Ciao, Brian”.

Ciao” mi salutò.

Ok, ho fatto da intrattenitrice, adesso me ne vado” disse avviandosi verso la cucina. “Hei yokel, hai da fare stasera?”

Sentii vagamente Justin rispondere “no, perché?” dall'altra stanza, ma ormai la mia mente era distratta da tutt'altro. Brian stava sorridendo e io non avevo occhi che per lui.

Come va?” mi chiese.

Benissimo! Tu?” risposi allegramente. La cosa bizzarra era che lo pensavo sul serio.

Bene” mi disse con un tono caldo. E anche lui sembrava convinto di quello che diceva. Chiusi la porta alle mie spalle e ci avviammo verso la Hummer parcheggiata sulla strada. “Per stasera avevo pensato di portarti in un ristorante italiano, sai” cominciò lui “ma poi mi sono ricordato del tuo voler 'allargare gli orizzonti' e allora pensavo di optare per qualcosa di più esotico. Cosa ne dici della cucina vietnamita? Ti ispira?”.

Annuii. “Certo!”. Sapevo che avrei risposto con il medesimo entusiasmo anche se mi avesse proposto di mangiare cavallette allo spiedo.

Perfetto allora. Conosco un bel posto non lontano da qui”.

Montammo in macchina. Il tragitto mi sembrò lunghissimo e fu interrotto sporadicamente da imbarazzati -e imbarazzanti- tentativi di conversazione.

Per quanto comunque sembrasse lungo, il viaggio non durò nemmeno mezz'ora. Brian mi aveva portato proprio in centro. Lasciammo la macchina in un immenso parcheggio poco distante, attraversammo la strada -passando di fianco al Flannery's Pub!- e fummo davanti al Saigon Food.

Appena varcammo le porte una zaffata di odore di pesce e erbe mi aggredì le narici. Il locale era molto accogliente e ben arredato: la sala dove il cameriere ci fece accomodare era spaziosa e dipinta con colori caldi. C'erano molti tavoli rotondi circondati da divanetti imbottiti, ma siccome eravamo solo in due fummo indirizzati verso un tavolino squadrato in un angolo. Accanto al tavolo le pareti erano interamente ricoperte di bambù beige chiaro.

Ci sedemmo.

Il ristorante era già pieno di gente; eravamo circondati da un vociare allegro e rilassante. Il cameriere fu lesto a togliere le posate di troppo e a portarci una candela rossa; poi ci abbandonò a noi stessi e al nostro quieto imbarazzo.

Ti piace?” mi chiese Brian, abbattendo con nonchalance il muro di silenzio tra noi.

Sì” risposi, sincera. “Non c'ero mai stata”.

Bene, allora il mio primo obiettivo è raggiunto” disse con una mezza risata.

Primo obiettivo?” domandai stando al gioco. “Devo dedurne che ce ne sono altri?”.

Oh sì. Molti altri” rispose guardandomi dritto negli occhi.

Forse fu il tono in cui lo disse, forse la luce rossa e tremolante della candela, forse l'odore di gamberi e riso e eucalipto: fatto sta che provai un brivido fin giù nello stomaco, mentre la mia mente andava in black-out.

Ah, perdonami per l'incidente con mia sorella oggi...”

Aprii la bocca per ribattere.

...e non dire che non è successo niente, conosco Caroline. Come minimo ti avrà raccontato la sua vita per poi esigere una qualche sorta di conforto psicologico. Adesso è innamorata di un certo Ian, sai”.

Sì, penso di averlo intuito” sorrisi.

Penso sia drogato. O comunque non del tutto normale. Ieri sera alla festa era più di là che di qua”.

Ieri sera alla festa? C'era anche lui?” domandai sorpresa.

Brian rise. “Certo, quella era casa sua!”

Un flash, e il nome Ian Evans mi galleggiò nella mente -pronunciato con la voce di Justin. Ma certo! Ian era il suo amico della festa! Che scema a non averlo ricordato prima.

Ma aspetta... quindi Justin aveva amici tossicodipendenti?

Sì, adesso ricordo” dissi “dovrebbe essere un amico di un amico in effetti”.

Bè, non è bella gente da frequentare. Ho giocato con lui solo un paio di partite di football e ti assicuro che mi sono bastate”.

Immagino. E come mai tua sorella è così presa di questo ragazzo?”

Ah, chi può dirlo. E' una ragazza... confusa. Problematica. E ingenua, molto”.

Non volli indagare. Mi parevano problemi troppo personali e scottanti da trattare così alla leggera. Pensai a cosa dire per cambiare argomento senza sembrare insensibile, ma lui mi precedette: “Ma non parliamo di Caroline, va. Anche se è stato merito suo se ci siamo incontrati oggi” ammise poi.

Avevo il tuo numero. Ti avrei trovato comunque” replicai sorridendo. Avrei voluto sembrare sexy, ma forse suonai più come una stalker in erba.

Lui fece un sorrisetto ambiguo. La fossetta sulla guancia si formò in un battere di ciglia, e i miei occhi ne furono ammaliati.

Dici che è stato avventato dare il mio numero ad una sconosciuta ubriaca incontrata ad una festa?” domandò, con un tono di voce vellutato che non avrei saputo definire.

Non ero ubriaca!” mi difesi, ma ci ripensai subito dopo. “Cioè. Sì, ok, ero ubriaca. Ma se lo dici con quel tono mi fai sembrare una pessima persona!” aggiunsi ridendo.

E non sei una pessima persona?” chiese gentilmente.

Strana domanda. “No” risposi “sono una brava ragazza”.

Mi fissò negli occhi come alla ricerca di qualcosa. Sostenni il suo esame con un'espressione interrogativa. Probabilmente arrossii.

Lo penso anch'io” disse infine. “C'è qualcosa di strano in te”.

Di strano?”.

Sì. Hai qualcosa che mi intriga. Mi affascini”.

Rimasi a bocca aperta. L'aveva detto veramente...?

Lui fece un mezzo sorriso, e proprio in quel momento arrivò il cameriere per le ordinazioni. Non avevo nemmeno guardato il menù, ma Brian sembrava conoscere bene quel posto e ordinò anche per me. Mi chiese se ero allergica a qualche cosa e, congedato il cameriere, tornò a guardarmi.

Di che parlavamo?”

Di me. Che ti affascino.

Di dare il proprio numero a sconosciuti improbabili incontrati alle feste” ripiegai sorridendo.

Giusto. Nobile occupazione, direi”.

Assolutamente”.

Seguì un silenzio piuttosto lungo, che io occupai giocherellando con la forchetta. Non osavo riprendere l'argomento del pomeriggio, e cioè chiedergli perché fosse lì in Ohio. Avevo già fatto abbastanza figure di merda chiedendogli di suo padre; non avevo il coraggio addentrarmi ancora nella sua vita privata.

Quindi rimasi sul vago: “Su, parlami di te. Che cosa fai nella vita?”.

Lui sorrise alla mia domanda. “Cosa faccio nella vita?” ripeté. “Bè, vediamo... lavoro”

E cosa fai?”

Insegno hockey su ghiaccio. Adesso però sono in pausa estiva, ricomincio tra un paio di settimane”.

Insegni a bambini?”

Ho due fasce d'età. Bambini fino a quattordici anni e l'under 21. Sono il mio orgoglio” aggiunse con un sorriso.

Non mi fu difficile immaginarlo in tuta a bordo campo, intento ad urlare addosso a degli adolescenti, oppure in cerchio a dare consigli su come meglio distruggere l'avversario. C'era un che di violento e vigoroso in lui.

Ecco. Adesso comunque sono in pausa, quindi per arrotondare faccio il triste lavoro di uomo-pizza”.

Risi. “Pizzeria d'asporto?”.

Sì. E anche per questo che ho evitato un locale italiano: se sento ancora odore di pizza potrei avere un attacco epilettico. Non sarebbe carino” disse, guardandomi. Per un istante mi persi a contemplare la sfumatura castana nel mare di verde dei suoi occhi.

No” dissi, distante, dopo troppo tempo.

Lui nascose un sorriso rigirandosi il bicchiere tra le mani.

E tu?” mi chiese dopo un po'. “Tu cosa fai nella vita?”.

Studio” risposi con un sospiro. “Lingue”.

Che lingue studi?”.

Inglese, tedesco, spagnolo e russo. Anche se in russo faccio abbastanza schifo”.

Lui annuì comprensivo. “E cos'era quel sospiro tetro? Non ti piace quello che fai?”.

Non risposi subito, presa in contropiede. Poi dissi l'unica cosa che sapevo per certo: “Non lo so più”.

Lui sembrò metabolizzare con calma quanto avevo detto. Mi sentii analizzata.

Sei qui per capirlo, allora?”

Bang. Colpita e affondata. Mi mossi a disagio. Avevo lasciato trasparire così tanto?

Vedendomi così smarrita pensò di sdrammatizzare: “A parte il voler allargare gli orizzonti, ovvio”.

Non potei rispondere, perché in quel momento arrivò il cameriere con le ordinazioni. In un batter d'occhio il nostro tavolo fu pieno di ciotole e terrine piene di salse e di verdure crude, e mi ritrovai sotto il naso un piatto che espandeva un odore di patatine fritte.

Che cosa sono?” chiesi a Brian dopo aver fissato per un po' quelle cose rotonde, gialle, fritte e con sopra una guarnizione rosa-arancione.

Sono Banh Tom. I miei invece con Banh cuon, se vuoi assaggiare” rispose lui, che davanti aveva un piatto pieno di involtini molli e bianchicci. “Spero ti piacciano”.

Afferrai le bacchette e presi un boccone dal piatto. Masticandolo, pensai che sapeva di patate dolci, e quella decorazione arancione sopra non era che una semplicissima salsa di gamberetti. Nel complesso, il sapore non era affatto male.

E' buono” commentai.

Lui aveva già attaccato il suo secondo involtino, e annuì per farmi intendere che aveva capito. Mangiammo quasi senza parlare, se non per ordinare un'altra bottiglia d'acqua frizzante e per farmi cambiare una bacchetta che mi era volata per terra.

Finita la cena, avevamo avanzato solo un paio di bocconi a testa, ma quando Brian chiese al cameriere dei sacchetti per portare a casa il cibo rimasto non mi stupii. Imbarazzantissima per un cliente italiano, quella pratica era tanto comune in America da far apparire anormale chi non la mettesse in atto. Avrei voluto lasciare lì quelle due misere patate dolci, ma non osai impormi per non sembrare polemica. In Italia mi sarei vergognata come una ladra a portare a casa gli avanzi della cena, ma lì nessuno si faceva problemi.

Da bravo cavaliere Brian pagò il contro per entrambi, e io come da copione finsi di insistere per pagare almeno la mia parte.

Quando uscimmo era quasi buio.

Il rumore del motore in accensione mi rilassò moltissimo. Brian guidò con calma e mi riaccompagnò a casa. Il tragitto fu ancora più silenzioso del precedente, ma non imbarazzato: era il silenzio di chi aveva la pancia piena e tante cose serene a cui pensare.

Arrivati al vialetto davanti casa, Brian parcheggiò e spense il motore. Il quieto stato di sonnolenza che mi aveva accompagnato per tutto il viaggio fu bruscamente interrotto: l'appuntamento era agli sgoccioli.

Che dovevo fare? Che dovevo dire?

Mi buttai sul banale. “E' stata un bella serata” dissi.

Lui mi sorrise. Anche con quella scarsa luce potei intravedere l'ombra creatasi sulla sua guancia.

Lo pensi davvero?”.

Sì, lo penso davvero”.

Silenzio. Ero ancorata al sedile con le mani, non sapevo come comportami. Il cuore mi batteva a mille.

Nemmeno lui sapeva cosa aggiungere. Nessuno dei due voleva andarsene e nessuno dei due sapeva come rimanere.

Bé, allora alla prossima. Hai il mio numero, no?”.

Sì” balbettai.

Mi concederai un altro appuntamento?”.

Sì” ripetei. Avevo la gola asciuttissima, non sarei riuscita e dire nient'altro di intelligibile.

Il suo sorriso si allargò ancora di più.

Silenzio.

Ehm. Bé, vado” dissi. Feci per slacciarmi la cintura di sicurezza ma lui mi bloccò la mano.

Lo guardai, gli occhi spalancati dalla sorpresa.

Si avvicinò.

C'era troppa poca luce perché potessi vederlo chiaramente, ma il suo profumo mi aveva già avvolta in una nuvola di essenza maschile. I miei ormoni gridarono aiuto, annegando in quel profumo.

E' da quella festa in piscina che ho voglia di darti il bacio della buonanotte, italian girl” soffiò.

Avevo tutti i sensi tesi allo spasmo, ero pietrificata. Neanche volendo avrei potuto rispondere.

Adesso non mi scappi più” mormorò sulle mie labbra.

E poi mi baciò.

Ero stordita. Non potevo credere che stesse davvero succedendo a me. Un brivido mi percorse il bassoventre, portandomi a rispondere a quel bacio con una veemenza inopportuna. Lui si staccò di un millimetro, e lo sentii sorridere sulle mie labbra. “A cuccia, leopardo”.

Non pensai a niente, non riuscii nemmeno a vergognarmi. Lo volevo tanto da impazzire.

Non osai muovermi per prendermi un altro bacio.

Lui lasciò andare la mia mano e la cintura di sicurezza fu risucchiata dal meccanismo. Io quasi non me ne accorsi. Avevo ancora la bocca socchiusa e lo sguardo perso.

Mr. Maybe mi sorrise e mi aggiustò un ricciolo dietro l'orecchio. “Buonanotte”.

Buonanotte” riuscii ad articolare. Trafficai con la borsa e la maniglia della portiera per riuscire a scendere, lui mi fece un breve cenno con la mano e poi ripartì.

Rimasi lì, in piedi sul vialetto, con le scarpe troppo grandi e l'espressione confusa di chi non sa nemmeno perché si trova nel mondo.

Camminai lentamente fino alla porta, realizzando ad ogni passo quello che era successo. Appuntamento.

Io.

Brian.

Bacio.

Solo al ricordo un altro brivido mi sconquassò le budella. Mr. Maybe mi aveva baciata. Aveva baciato me!

Ancora mi sembrava impossibile. Arrivai all'ingresso. Stavo per infilare la chiave nella toppa quando la porta si spalancò.

Donna era lì, stagliata in controluce, con le braccia conserte e il cipiglio severo.

Racconta. Tutto”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ohohoh xD

Come promesso, ecco a voi Mr.Maybe! Sono due attori diversi, Chace Crawford e Gaspard Ulliel (quest'ultimo suggerito da Alex04, e personalmente lo trovo adattissimo).

http://www.telefilmzone.it/imgImmagini/Attori/ChaceCrawford/chace5.jpg

http://imstars.aufeminin.com/stars/fan/gaspard-ulliel/gaspard-ulliel-20080418-401278.jpg

E' di vostro gradimento? Lo immaginavate diverso? XD

Ringrazio di cuore tutte le persone che mi seguono, tutte le persone che mi danno consigli che a volte ascolto e a volte no, tutte le persone che si interessano a quello che faccio e a quello che scrivo. Grazie, davvero.

Ancora una volta, il Saigon Food esiste. Eccolo qui: http://www.saigoncleveland.com/photo_gallery

 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! E se siete arrivati fin qui lasciate una recensione anche piccola piccola, che male non vi fa ;)

Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Alice in Wonderland ***


Perdonate l'attesa!!

Ho dovuto riscrivere questo capitolo tre volte, perché mi faceva schifo sempre e comunque =.=

E non mi convince nemmeno adesso, ha quasi l'aria di un capitolo di transizione più che di un capitolo vero e proprio, ma se avessi cercato di allungarlo avrei pubblicato tra un mese... è un periodo complicato xD

Spero che vi piaccia comunque, aspetto critiche e commenti.

 

 

 

 

 

 

 

Alice in Wonderland

 

 

 

 

Forza! E.... ehm... Sweetei? Ci sei?”

Entrai in casa quasi senza toccare il terreno, leggera come una ninfa. Mi sembrava di essere in un sogno. Donna mi seguì incerta fino al soggiorno, dove mi lasciai cadere sul divano. Justin, spaparanzato beatamente in canottiera, spostò le gambe per fare in modo che non mi ci sedessi sopra.

No” riposi in un soffio. “Non ci sono”.

Intravidi Donna e Justin scambiarsi un'occhiata preoccupata.

 

•••

 

Quasi non dormii quella notte.

Volevo rivivere ogni istante di quella serata, in modo da marcare a fuoco nella memoria ogni espressione e ogni sensazione. Non volevo dimenticare nemmeno un secondo.

Mi rigirai nel letto con un sorriso idiota stampato in faccia.

Appena mi ero lasciata cadere sul divano, Donna si era premurata di chiedermi se avessimo usato il preservativo. Avevo dovuto ripeterglielo tre volte prima che accettasse l'idea che tra noi non c'era stato niente. Niente, se non un bacio.

Il mio sorriso si allargò.

Ogni volta che ci ripensavo provavo un brivido in fondo allo stomaco.

Cambiai fianco, lottando con le coperte che mi imprigionavano le gambe.

Ero assolutamente fuori di me dalla felicità.

Donna e Justin -sì, era ancora a casa nostra- mi avevano fatto un terzo grado molto accurato su cosa avessimo fatto, cosa ci fossimo detti. Justin era parso affascinato dal mio racconto come una ragazzina davanti alla sua telenovela preferita.

Quando entrambi erano parsi soddisfatti avevo potuto salire le scale, struccarmi, svestirmi e mettermi a letto. C'avevo messo un'ora solo per togliermi i vestiti. Dopo ogni azione -che fosse sfilare una scarpa o slacciare la cintura- mi bloccavo a fissare il vuoto, la mente persa a ripercorrere i recenti avvenimenti.

Mi sembrava di galleggiare, e quella sensazione non mi lasciò nemmeno quando finalmente spensi la luce.

Ed eccomi lì.

Donna e Justin erano ancora di sotto a guardare la tv, mentre io ero lì sotto le coperte a sospirare tutta contenta. Avevo ventitré anni ed ero cotta come una di sedici.

Mi addormentai senza accorgermene.

Con il sorriso sulle labbra.

 

•••

 

Il cellulare vibrò.

Mi svegliai di soprassalto, interrompendo un sogno molto vago con dei gatti arancioni. Allungai una mano verso il comodino per spegnere quel rumore infernale.

Un messaggio.

Goodmorning, italian girl

Dovetti chiudere gli occhi e rileggerlo tre volte per convincermi che fosse vero. Brian mi aveva scritto. Brian mi... ma aspetta, con qualche numero?! Lui non aveva il mio numero!

Balle: gliel'avevo dato dopo aver pagato al Saigon Food.

Ah.

Ecco perché.

Lasciai cadere il braccio con il telefono, estasiata.

Brian mi aveva scritto. Brain mi aveva scritto il buongiorno!

Potevo morire felice.

Ma aspetta, dovevo rispondergli? Domanda retorica.

Ma cosa? Restare sul classico 'buongiorno anche a te' o fare l'ironica? O la maliziosa? No no, la maliziosa meglio di no. E quanti smiley dovevo mettere? E poi... rispondere subito o farlo aspettare? Concedermi o fare la preziosa?

Mi agitai nel letto, nervosissima e felicissima.

Mentre mi davo da fare per decidere alzai la testa per controllare se il mio telefono aveva svegliato Donna: ma lei dormiva ancora, ignara di tutto.

Lei avrebbe saputo che cosa scrivere.

Mi lambiccai per un po' e poi optai per un neutro: Goodmorning ;)

Perfetto. Lo faccina con l'occhiolino era un tocco di classe, davvero. Pacato ma con uno sbuffo di delicata ironia, né troppo audace né troppo scontato...

Ok, basta con le stronzate.

Mi alzai, troppo agitata per restare ancora a letto.

Presa com'ero dai miei pensieri, quasi mi prese un infarto quando trovai Justin in cucina. Dovetti attaccarmi allo stipite della porta per non cadere, stringendomi una mano sul cuore.

Ma tu sei ancora qui?!” gli chiesi con una smorfia divertita.

Lui mi dedicò una rapida occhiata. Era appoggiato al bancone della cucina, in boxer e maglietta, e sorseggiava placidamente un caffè.

Buongiorno anche a te Emma. Sei riuscita a dormire o il bel cavaliere ha popolato i tuo pensieri tenendoti sveglia tutta la notte?”.

Eh. Un po' e un po'” ammisi, facendo un lungo sospiro e prendendo il sacchetto dei toast dalla dispensa. “Ma tu non ce l'hai una casa?”.

Sì, ma qui non c'è un emo depresso che minaccia di suicidarsi un giorno sì e uno no”.

Secondo me sei troppo cattivo con lui” commentai leggera.

Non conosci Liam” ribatté sicuro lui.

Infilai i toast nel tostapane e mi girai verso di lui. “Tu che sei uomo: dammi un consiglio”

Dimmi tutto”.

Cosa significa che un ragazzo ti scriva il buongiorno il giorno dopo del primo appuntamento?”.

Che ne vuole un secondo, in genere”.

Sicuro? Non lo so”. Fuori dalla sicurezza delle coperte, cominciavano a venirmi i dubbi più assurdi. Magari mi stavo immaginando tutto. Magari mi stavo solo illudendo.

Perché questi dubbi?”.

Perché magari mi sto illudendo”.

Ho detto che probabilmente lui vuole un secondo appuntamento. Del fatto che voglia approfittare o meno di te io non ho detto niente”.

Confortante. Sei antipatico di prima mattina, sai?”.

Lo so. Credo sia il caffè”.

Evitalo. Ti preferisco nella tua accomodante versione serale”.

E quindi?”.

Quindi cosa?”. Quasi rovesciai i toast.

Quindi cosa pensi?”.

Eh. Bella domanda”. Posai il piatto sul tavolo, dov'era appoggiato anche il mio telefono rosa. Una vibrazione improvvisa mi fece sobbalzare: un altro messaggio di Brian?

Agguantai il telefono e lessi la dicitura sul display. Era un promemoria.

Oh cazzo!” mi sfuggì, in un italiano limpido e sublime.

Scusa?” mi fece Justin, con la sua pronuncia americana da attore hollywoodiano.

E' un promemoria. Domani è il compleanno di Donna!”.

Come avevo fatto a dimenticarmene? Era una settimana che Donna non cianciava d'altro! Per il giorno dopo era organizzata una festa coi fiocchi a casa nostra... e io dovevo ancora comprarle un regalo!

Ah se?” continuò Justin sorseggiando il suo caffè.

Sì! Damn! Che posso comprarle?”.

Che si prende a una come Donna? Le ho già regalato tutto: profumi, sciarpe, orecchini, cosmetici, sali da bagno alla violetta...

Ah, io opterei per un sexy shop” rispose placido Justin, riponendo la tazza nel lavandino.

Sì, come no, le prendo un vibratore” replicai, sconfortata.

Ma Justin sembrò non cogliere il sarcasmo. Sembrava piuttosto stanco e di cattivo umore.

Ecco sì, uno di quei gingilli che a voi donne fanno tanto ridere”.

Ci riflettei su. Non era una grande idea, ma almeno era un'idea.

Perché no?” ripresi subito dopo. “Conosci qualche sexy shop in zona?”.

Ho un amico che ci lavora”.

Una sirena d'allarme mi si accese in testa, riportandomi alla conversazione avuta la sera prima con Brian. Justin aveva un amico, tale Ian, tossicodipendente... e adesso pure uno che gestiva un sexy shop! Avrei dovuto preoccuparmi?

Mmm.

Forse dopo.

Dov'è questo posto?”

 

•••

 

Il 'Wonderland' era a pochi passi dal centro di Cleveland, ed era un sexy shop piuttosto grande e frequentato.

All'ingresso c'era il tipico nero grosso come un armadio che faceva da controllore. Chissà, forse la gente di colore di quella stazza poteva aspirare solo a quel genere di lavoro. Come il buttafuori. Bah.

Entrammo, e nessuno ci chiese niente. Probabilmente perché ero con Justin, che con la sua barba di tre giorni aveva tutta l'aria dell'uomo vissuto.

Anyway.

Cominciammo a girare per i corridoi trasbordanti di gingilli arotici. Mi sentivo vagamente in imbarazzo.

E poi non avevo la più pallida idea di cosa prendere a Donna. La varietà di articoli esposti mi stava mettendo in confusione. Mi fermai e presi in mano una grossa confezione sullo scaffale.

Mm. Meglio un dildo gigante di plastica rosa o una specie di biberon di eloquente forma fallica?” chiesi inorridita e retorica, rivolta a Justin.

Lui sembrò soppesare seriamente la mia domanda. “Io voto per lo strap-on viola là in cima. Guarda, è anche in sconto”.

Inclinai la testa dal un lato come per osservare una discussa opera d'arte moderna. “Lo trovo inquietante” commentai infine.

Justin rise della mia espressione disgustata. Sembrava star riacquistando il buon umore.

Su, andiamo verso l'altro reparto”.

Quale, quello della biancheria da zoccola?”.

Proprio quello” mi sorrise lui, prendendomi per le spalle e spingendomi avanti.

Non sono sicura di volerlo vedere” scherzai, mentre ai lati mi sfilavano scaffali e scaffali pieni di sex toys e bambole gonfiabili.

Mi stupisci Emma, ti facevo più... di larghe vedute” stette al gioco lui.

Certe cose preferisco evitarle” tagliai corto.

Arrivati alla sezione lingerie, Justin mi disse: “Eppure sei amica di Donna Prince”.

Che c'entra?” mi impuntai, nascondendo un mezzo sorriso.

Mi fece l'occhiolino.

Chi va con lo zoppo impara a zoppicare”.

 

•••

 

Sono 42 dollari e 99 centesimi”.

La voce piatta e rude del cassiere mi fece sobbalzare. Stavo ancora fissando il completino che io e Justin avevamo scelto, appoggiato scompostamente sul bancone della cassa. Era un volgarissimo perizoma nero con una sottoveste di pizzo praticamente trasparente. A me non ispirava granché, ma Justin aveva insistito e io sapevo che aveva ragione.

E' perfetto per Donna!” non finiva di ripetere.

Quindi mi apprestai a pagare, frugando nella mia borsa gigantesca per trovare il portafoglio.

Ma dov'era finito?

Tolsi la borsa dalla spalla e ripresi a cercare.

Con calma eh”.

Lanciai un'occhiata di sdegno al cassiere.

Spostai il set per la manicure e i kleneex e finalmente recuperai il portafoglio. Lo aprii e buttai sul bancone una banconota da cinquanta dollari.

Ecco” borbottai, infastidita.

Il cassiere era un giovane uomo dall'espressione scontrosa, con lunghi capelli ramati che gli cadevano ribelli sugli occhi e un septum al naso. Aveva proprio l'aspetto da gestore di sexy shop, impressione acuita dal braccio destro completamente tatuato e dal dilatatore bianco all'orecchio. Aveva l'aria consumata, eppure non doveva avere più di trent'anni.

Mi mollò il resto e tornò a fissarmi con quell'aria da strafatto incazzato.

Ciao Ian!” salutò la voce di Justin.

Ian?!

Mi girai. Justin stava infati venendo verso di noi, con un largo sorriso stampato in faccia.

Il cassiere si voltò e fece una sorta di smorfia che avrebbe dovuto sembrare un sorriso.

Hei” gracchiò Ian il cassiere.

Spostai lo sguardo dall'uno all'altro, incredula.

Dunque l'amico Ian Evans il drogato e l'amico gestore del sexy shop coincidevano. Erano la stessa persona. Erano tutti e due Ian.

Ottimo.

Una meraviglia.

Guardai di nuovo il cassiere incazzato, cercando di immaginarlo di fianco alla sorella di Brian. Mi venne quasi da ridere.

Come stai?” stava continuando Justin, amabile.

Perché continui a farmi queste domande del cazzo?” lo troncò Ian noncurante.

Perché tu trovi sempre un modo delizioso per rispondermi” replicò Justin, per nulla scalfito.

Mi sentii estremamente fuori posto, quasi un'intrusa.

Quello Ian aveva un che di indefinibile.

E' la tua ragazza questa?”.

Ritornai alla realtà, sentendomi presa in causa. Aprii la bocca per rispondere, ma Justin mi anticipò: “No, no. E' solo un'amica. Immagino tu abbia sentito di...”.

Di Alexis Johnson, sì. Ho sentito tutto. Eravate a casa mia, no?” replicò, con un ghigno malefico in faccia.

Ma lo sapevano proprio tutti?!

Avrei potuto deprimermi.

Sì, ecco. E' tutta una stronzata, inventata per tenere a bada quella faina di Alexis. Da quella volta non la smette di perseguitarmi”.

Colpa tua che te la sei scopata” ribatté Ian sornione.

Justin incassò il colpo. “Grazie, eh”.

Prego” rispose, lapidario. “Vieni, ho della roba da farti vedere”. Ian fece passare Justin dalla sua parte del bancone. Mi lasciarono lì, da sola, con il sacchettino rosso del Wonderland in mano. Da sopra la cassa mi fissava un grosso pene di gomma.

Attesi.

Dopo un po' mi allungai verso la cassa e spiai con nonchalance i due ragazzi. Confabulavano fitto fitto. Ogni tanto lanciavano occhiate nella mia direzione, e io dovevo essere lesta a spostare lo sguardo.

Di che stavano parlando?

Mmm.

Non è che Ian stesse vendendo della roba a Justin... no?

Cioè, dai.

Non l'avrebbero fatto davanti a me.

giusto?

Vidi Justin negare con decisione qualcosa. Ian insisteva, ma Justin era fermo nella sua decisione. Purtroppo non riuscivo a sentire niente. Poi Justin tornò verso di me, e il suo umore sembrava essere precipitato di nuovo.

Andiamo” sbottò.

 

•••

 

In macchina aleggiava un silenzio inquietante.

Sicuro che non vuoi dirmi che cosa ti ha detto Ian? Sembri piuttosto incazzato”.

Vidi le mani di Justin stringersi attorno al volante. “Sto bene” ripeté.

Ok” sospirai.

Fissai fuori dal finestrino, quando Justin improvvisamente parlò.

Stai attenta a Ian”.

Sembrava molto, molto serio. Quasi arrabbiato.

A-attenta? Perché?”.

Seguì un lungo silenzio. Potevo percepire chiaramente come Justin stesse cercando di trovare le parole giuste per esprimersi. “Perché può diventare pericoloso” confessò infine, sospirando.

Pericoloso? Justin, mi stai spaventando. Non è mica un tuo amico...?”.

Sì, sì, lo è. Però non sempre... è in grado di rispondere delle sue azioni. E' una persona incasinata. Non sai quanto”.

Bè ok, ma che c'entro io?”.

Tu sta' attenta” concluse lapidario. Le sue nocche attorno al volante erano diventate bianche, e io non osai insistere.

Mi venne da sbuffare. Possibile che appena trovassi un'isola di pace nel mare di sfiga che mi circondava sbucasse un maniaco tossicodipendente dal quale guardarsi le spalle?

Assurdo.

Cincischiai con il sacchetto rosso che tenevo in mano, persa in mille pensieri. Brian era il primo. Colta da un'improvvisa illuminazione controllai il telefono: nessun messaggio.

Che delusione, ci avevo sperato.

 

•••

 

Entrai sbattendo la porta.

Justin mi aveva lasciato davanti a casa e poi se n'era ripartito senza dire niente.

Certo che era proprio lunatico.

Sono a casa!” urlai.

Nessuno rispose.

Salii in camera. Donna non c'era. Nascosi il sacchetto nel fondo dell'armadio e tornai al piano terra.

E adesso? Che fare in un assolato martedì pomeriggio di metà Agosto nel bel mezzo del continente americano?

Nell'attesa dell'illuminazione, uscii in cortile. Mi sedetti sullo scalino del portico. Mi fissai le converse, accarezzate dai fili d'erba troppo lunghi che nessuno aveva mai voglia di tagliare.

Mi misi a fare un riepilogo degli ultimi giorni lì in Ohio.

Erano stati densi di eventi, senza dubbio.

Primo: avevo incontrato Brian. Ricordavo bene le circostanze, pur con qualche buco mnemonico dovuto all'eccesso di gin. Eravamo a casa di quel tipo pieno di soldi da far schifo, un amico di Donna. La casa con la piscina e le torce da giardino.

Mi ero seduta sopra di lui.

Ripensandoci, mi venne da ridere.

E poi era sparito, ed era arrivata la polizia. Dio, che paura assurda che mi ero presa quella volta. Per fortuna che c'era stato Sweetheart a tirarmi fuori dai guai.

Già, Sweetheart.

Chissà dov'era finito. Dopo averlo visto rigettare le viscere nel bagno nella villa dell'ex di Donna non l'avevo più rivisto. Mi strinsi nelle spalle e mi augurai che non fosse morto.

Ripensai ad Alexis, al mio vestito da fragola, al fingersi fidanzati di qualcun altro, alla giornata al parco, a Caroline, al gelato, all'appuntamento con Brian...

Brian.

Anche nei miei pensieri c'era un circolo vizioso che iniziava e finiva con lui.

Bè, come biasimarmi? Se non fossi stata me stessa mi sarei invidiata. Cosa che capita con estrema rarità.

Era stata una settimana piuttosto esaltante, in effetti.

Ah, e come scordarlo? Avevo conosciuto un drogato e avevo comprato lingerie pornografica in un sexy shop.

Sommato a tutte le sbornie che avevo avuto quella settimana, faceva venire fuori un bel curriculum, no?

Quasi da Jersey Shore.

Bè, no, forse no.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Pink Flamingos and a Matryoshka Doll ***


 

 

 

Pink Flamingos and a Matryoshka Doll

 

 

 

 

 

Botticelli.

Botticelli aveva dipinto la Venere nella Conchiglia.

Annuii, da sola, positivamente sorpresa di quello slancio da parte della mia attività cerebrale. Mmm. Che fosse il canto del cigno prima della disfatta?

Ero seduta a bordo di una piscina, con i piedi a mollo nell'acqua. Non sapevo da quanto ero lì, né come c'ero arrivata. Ricordavo vagamente che Donna dopo il lavoro aveva detto che saremmo andate a casa di una tizia piena di soldi. Giusto mezz'ora, aveva detto. Un posto tranquillo, aveva detto.

Quindi sicuramente i bassi che tambureggiavano nel suolo, gli schiamazzi degli ubriachi, lo sforzo di vomito che sentivo in fondo alla gola erano frutto della mia immaginazione. Come pure quei cosi rosa che galleggiavano nella piscina. Sicuramente.

Socchiusi gli occhi e indovinai la sagoma di un fenicottero di plastica, di quelli che si mettono in giardino come decorazione di dubbio gusto.

Bleah. Mi persi a fissare quel coso rosa. Ma quel cavolo di fenicottero andava terribilmente su e giù e stimolò ancora di più la tequila che mi si agitava nella pancia.

Oddio, avrei sicuramente vomitato.

Maledetta quella volta che avevo deciso di dare ascolto a Donna.

Mai più tequila sale e limone, mai più.

Ciao”.

I girai e quasi non lo riconobbi.

Era molto diverso dall'ultima volta: si era tagliato i capelli a fatto la barba.

Si sedette accanto a me. Una volta che fu vicino capii che c'era anche qualcos'altro di diverso. Ne ero sicura, anche se non avrei saputo dire cosa. Qualcosa di più sottile e indefinibile nella sua espressione, qualcosa di fondamentale che mi sfuggiva.

Ad ogni modo, Sweetheart era ricomparso.

Ciao” esalai.

Lui non mi chiese come stavo; mi squadrò invece con un'espressione decisamente infastidita.

Stai uno schifo” commentò.

Che dolce. Grazie”. Un conato più forte quasi mi fece rimettere la cena nella piscina.

Ansimai e sbavai un po' prima di recuperare il contegno.

La musica in quel punto del giardino non era troppo alta, e attorno a noi c'era gente messa più o meno come me: che vomitava l'anima o in procinto di farlo.

Io non dicevo niente, lui non diceva niente.

Si limitava a fissarmi con quell'espressione indefinibile e corrucciata.

Se volessi comportarti da cavaliere avresti già smesso di fissarmi dieci minuti fa” dissi dopo un po', scocciata.

Silenzio.

Poi finalmente si decise a rompere quel silenzio innaturale. “E' strano rivederti”.

Non risposi. Non potevo, stavo combattendo una violenta battaglia con le mie viscere.

E' la prima volta che ti vedo da sobrio” continuò lui, cauto.

Mi voltai a guardarlo, le budella placate per un attimo. Era vero: ecco la sostanziale differenza. Era sempre piuttosto pallido, ma non c'era traccia delle guance scavate, né degli occhi lucidi e languidi. L'avevo sempre incontrato ad un passo dal coma etilico, ora invece era indubbiamente sobrio.

Al contrario di me.

Ricambiò il mio sguardo, ma a disagio. Quella confessione l'aveva messo in imbarazzo per qualche motivo. Perché voleva rivedermi? Perché gli faceva piacere parlarmi senza vomitare ogni due sillabe? Dal suo tono avevo inteso che c'era di più di quello che aveva detto a parole, che quella confessione nascondeva qualcosa di più profondo, di più...

Ti ricordavo più bella”.

...ma vaffanculo.

Un conato più forte mi salì fino all'ugola, e non potei più trattenermi. Vomitai sul bordo piscina, nascondendo il viso per salvaguardare quel poco di onore di donna che mi era rimasto.

Sentii un sospiro e dei fruscii. Poi percepii una mano decisa sostenermi il fianco e un'altra sollevarmi la fronte. E rimasi lì, a rigettare sul prato la tequila, il limone e il cinese d'asporto che avevo mangiato con Donna, mentre un ragazzo che avevo incontrato due volte nella vita mi sosteneva la fronte.

Che schifo.

Però avvertire la presenza di Sweetheart mi diede un po' di conforto; la sua mano destra sul mio fianco era un calore amichevole, quasi fraterno.

Ma purtroppo era un conforto vago e confuso, annegato nell'alcol.

Sweetheart non disse niente finché la disfatta non fu ultimata.

Dopo qualche sforzo a vuoto capii che il mio stomaco per quella sera aveva dato, e con lentezza estrema mi rimisi a sedere. Sweetheart si sedette al mio fianco.

Aspetta, com'è che si chiamava?

Mica potevo continuare a chiamarlo mentalmente con quel nomignolo smielato che gli aveva affibbiato Donna, no?

Malcom. No, Michael. No, non era Michael, era un nome breve... Mark! Sì, Mark. Mm. No, non Mark. Non c'era la cappa. Però erano quattro lettere... Matt! Sì, sì. Matt. Matt Dawson. La sua carta di identità. La foto da tossico. Sì, sì.

I ricordi tornavano a galla nebulosi e parevano tutti estremamente divertenti, sia che fossero foto sui documenti di uno sconosciuto sia lezioni di arte del liceo; annegati nell'alcol tutto appariva ridicolo, almeno quanto quel fenicottero rosa.

Senza pensarci, ripresi a fissarlo.

Va meglio?”.

Sì, meglio” risposi senza guardarlo. L'affare galleggiante occupava tutta la mia attenzione. Poi pensai che lui si era preso la briga di stare lì a soccorrermi, quindi forse meritava qualcosa di più.

Grazie” gli dissi sentitamente, guardandolo negli occhi.

I suoi occhi non avevano più quel qualcosa di torbido e oscuro, notai. Erano sempre di quel colore indefinito tra l'azzurro e il marrone palude, sì, ma era semplicemente occhi, piatti e vitrei come tutti gli occhi.

Come mai sei qui?” provai, per fare un po' di sobria conversazione.

Ti cercavo”. Ecco. La risposta più imbarazzante che avrebbe potuto darmi.

Ma il mio narcisismo di donna non poté essere fermato. “Cercavi me?” domandai soave.

Sì”. Risposta netta e sicura.

Avrei potuto fargli un milione di altre domande sull'argomento, ma avevo paura di dove avrebbe potuto andare a parare. Ci stava... provando?

Di chi è questa casa?” tergiversai, con falsa nonchalance. “Donna mi aveva detto qualcosa, ma poi la tequila è stata più esaustiva di lei”.

Di una ragazza di nome Spencer Milton. E' il suo compleanno. La conosci?”

Spencer. Spencer. Spencer Milton. Stavo per dire che no, non la conoscevo, quando all'improvviso una chioma bionda e profumata Chanel si fece prepotentemente largo tra i miei ricordi.

Spencer era l'amica di Alexis. Quella che zitta zitta con l'aria da snob si rimirava le unghie mentre Alexis si dilettava a giocare al gatto e il topo con la sottoscritta.

Eravamo a casa di Spencer, l'amica di Alexis.

Feci un profondissimo respiro.

E poi mi partì una risata isterica di cui mi sarei vergognata moltissimo, se la mia performance ributtante di poco prima non avesse già azzerato il mio quoziente di sex appeal.

Peggio di così...

Dopo l'attacco di isteria, un po' a causa della tensione nervosa, un po' a causa dell'alcol, mi calmai.

Ridacchiai per un po', da sola, immaginandomi vittima delle più cruente persecuzioni da parte di regina-delle-nevi Alexis. Chissà perché diavolo Donna aveva voluto venire lì.

Matt mi guardava con compassione.

Come biasimarlo?

Un lato di me -quello ragionevole e sobrio- mi diceva che presto mi sarei vergognata di quell'esibizione di idiozia. Esibizione di idiozia. Esibizione. Idiozia. Un'allitterazione.

Ripresi a ridere.

Matt ormai mi guardava come se fossi da rinchiudere in un centro di igiene mentale.

Che c'è, il suo nome ti fa ridere?” sbottò.

Il nome di chi?” domandai tutta allegra, dimentica di tutto.

Di Spencer” sospirò lui paziente, come se avesse a che fare con una bambina molto piccola.

Ah già. Che idiota.

Ah! No, in realtà dovrebbe terrorizzarmi. La sua cara amica Alexis non vede l'ora di buttarmi giù da un ponte chiusa in un sacco dell'immondizia”. E risi. Da sola. Di nuovo.

Matt mi guardò strano.

Cos'hai fatto per finire nella lista nera della Johnson?”.

Cosa lei crede che io abbia fatto!” esclamai. “Io non ho fatto niente. Sono innocente. Bianca e innocente come una favola per bambini. Come Biancaneve”.

Risi.

Lui ignorò il mare di stronzate che stavo cianciando e arrivò al dunque. “Cosa crede che tu abbia fatto?”.

Crede che io sia la fidanzata del tizio che le piace, Justin. Conosci Justin? Non è male. Un po' lunatico a volte, ma è simpatico. Fa l'attore sai? Però ha una Range Rover. Una Range Rover nera”. Stavo straparlando, ne ero consapevole e non potevo fare nulla per fermarmi. Aiuto.

Matti mi interruppe. “Justin Richmond. Sì, lo conosco di fama”.

Lo disse con un tono ambiguo, un tono che non potei fare a meno di notare.

Sì, sì. Non è male, davvero. Oddio, finisce il mio latte della colazione e ha degli amici discutibili, però in mutante è così carino...!”.

Che cazzo stavo dicendo?

Vidi Sweetheart irrigidirsi e il suo sguardo appannarsi. Ma fu solo un secondo, e l'istante dopo già mi parve di essermelo immaginato.

Non che io l'abbia visto in mutante!” cercai di rimediare, ridacchiando come una stupida “Abbiamo solo dormito insieme!”.

Ma brava, davvero.

Questa volta fui sicura di non essermelo immaginato. Il volto di Matt si incupì.

Capisco. Allora forse è meglio che te ne vai a casa. Alexis potrebbe davvero decidere di annegarti”.

Detto questo, si alzò con un movimento brusco e se ne andò a grandi falcate.

Eh?

Che gli era preso adesso?

Certo che la gente schizzata la trovavo solo io, eh.

 

•••

 

Anche se cominciavo a stare meglio, non osavo rientrare in casa.

Solo Dio sapeva cosa Donna fosse venuta a fare nella tana del lupo, e perché cavolo ci avesse trascinato pure me. Se Alexis mi trovava, altro che Biancaneve!, ero la misera Cappuccetto Rosso divorata dal lupo cattivo. E non ci sarebbe stato un cacciatore così ardito da aprire la pancia di Alexis Johnson per salvarmi, di questo ero certa.

Quindi bazzicai un po' nel giardino, aggirando gli ubriachi inerti sul prato, sperando che Donna si chiedesse che fine avevo fatto e che venisse a cercarmi.

Ovviamente, dopo dieci minuti mi stufai di aspettare.

Mi avvicinai alla porta sul retro, quella da cui probabilmente ero uscita per arrivare in piscina. Mi guardai attorno guardinga e rientrai. D'altronde, se nessuno mi aveva notata prima non c'era pericolo che mi notassero ora, no?

Emma!”

Come no.

Buttai giù tutti i santi del paradiso, per poi scoprire che si trattava solo di Jeremy. Figurarsi se il giornale radio di Cleveland si perdeva un evento mondano come la festa di compleanno della fighissima Spencer Milton.

Jeremy, salvami tu, ti prego!”

Mi guardò con un mezzo sorriso. “Cosa? Ma che ci fai qui?”.

Non lo so, giuro. Non ho ricordi nitidi da... Che ora è?”

Jeremy sfilò elegantemente il telefono dalla tasca dei jeans e diede un'occhiata al display. “Le due e venti”.

Wow” commentai. “Questo significa che ho un buco di circa... otto ore. Dal sexy shop di oggi, in effetti. La tequila ha un effetto devastante sulle mie capacità mnemoniche, sai”.

Non voglio sapere cosa tu stessi facendo in un sexy shop”.

Tu che non vuoi sapere qualcosa? Strano”.

Vero? Ma questa sera sono stanco e questa festa è una noia mortale. Piena di ricconi figli di papà che si fingono interessanti”.

Vuoi dirmi che nessuno di loro ha uno scheletro nell'armadio da riportare alla luce e al pubblico scherno?”.

Pensi che non sappia già tutto di ogni singola persona in questa stanza?”.

Mi guardai attorno.

C'erano molti ragazzi con orologi costosi al polso, che ridevano e conversavano con ragazze altrettanto ricche e belle. Che erano ricche si vedeva: bastava guardare la marca delle scarpe per avere un attacco di cuore.

Bè, illustra allora. Quale oscuro passato potranno mai avere questi bei figli di papà?”.

Jeremy si appoggiò al muro e con la mano in cui teneva il cocktail mi indicò un ragazzo slanciato con una massa di riccioli neri.

Quello è uno dei tanti ex di Donna, laureando in giurisprudenza. Fino al mese scorso se la faceva con la domestica messicana, ma lo sapevano tutti. Quando i suoi genitori li hanno beccati a fare sesso nella casetta in piscina hanno sbattuto quella povera ragazza fuori di casa. Quello invece è John Mitchell” continuò, indicandomi un tizio biondo non troppo alto. “ E' arrivato ieri fresco fresco da New York. E' figlio di un boss di una grande azienda di nanotecnologie denunciata per evasione fiscale; suo padre sarebbe già in galera da un pezzo se non avesse Richmond come avvocato”.

Ah, ecco, appunto.

Ah, e quello” continuò Jeremy indolente “è Luke Brandon, arrestato due volte per atti osceni in luogo pubblico. E come dimenticare la piccola Linda Olsen, che il mese scorso ha trasmesso la Chlamydia a mezzo quartiere...”.

Ok, ok” lo interruppi ridendo. “Ti credo. Mi inchino alla tua erudizione in materia”.

Ecco. Adesso capisci perché mi annoio a morte”.

Consolati. Se Alexis o una delle sue sentinelle scoprono che io sono qui avrai sicuramente una nuova e bellissima storiella da aggiungere al tuo bagaglio culturale”.

Ma appunto, che ci fai qui? Se Alexis ti trova questa volta ti uccide veramente”.

Lo so, non serve che me lo ricordi. Secondo te se mi nascondo in bagno ho qualche possibilità di uscire viva da questa serata?”.

Lui parve pensarci su. Poi osservò un punto al di là della mia spalla, a sinistra, e disse: “Puoi provarci. Ma credo tu debba cominciare a correre: Alexis Johnson è appena arrivata”.

 

•••

 

Mi voltai di scatto verso il punto che Jeremy stava fissando.

Eccola lì, la regina dei ghiacci: avanzava con l'alterigia di una leonessa ed era vestita così bene da farmi piangere. Il suo vestito l'avevo visto su Vogue, quindi no comment.

Ma che Vogue! Io dovevo sparire da lì, all'istante!

Jeremy!” balbettai terrorizzata. “Nascondimi!”.

Uhm. No, credo che mi divertirei di più a vederti sbranare dalla Johnson”.

Non fare lo stronzo, Jeremy, portami via da qui!”.

Lo sentii sbuffare, ma parve più una risata trattenuta.

Andiamo” disse, e senza tante cerimonie mi prese in braccio. Strillai dalla sorpresa.

Ma che cavolo...?”.

Stai zitta e fingi un coma etilico” mi intimò.

Obbedii all'istante, facendo ricadere la testa sulla sua spalla; i capelli mi coprivano strategicamente il viso. Jeremy si fece largo strillando 'permesso, permesso, sta male, lasciateci passare!' e mi portò al piano di sopra, dove trovò subito il bagno.

Solo quando sentii la porta richiudersi dietro di noi ricominciai a respirare.

Wow. Sei più intelligente di quanto sembri, Jeremy” gli dissi, una volta tornata in posizione eretta.

Dopo questa uscita ti sei giocata la mia benevolenza, italian girl” replicò lui, impassibile.

Ridacchiai “Dai, scherzo. Grazie ti tutto. Adesso devo elaborare un piano di fuga...”

Ma in quel momento la porta si aprì, troncandomi le parole in gola.

Una testa nera e ribelle entrò nel mio campo visivo, seguita da un viso pallido e un fisico troppo magro.

Matt Dawson.

Di nuovo.

Quando mi vide si paralizzò con la mano sulla maniglia. Passò con lo sguardo da me a Jeremy e poi di nuovo a me. Il suo viso era più cupo ogni secondo che passava.

Er. Ciao”.

Matt richiuse la porta di botto. Jeremy mi lanciò un'occhiata interrogativa. “Lo conosci quello?”

Più o meno” risposi, continuando a fissare la porta chiusa. Cominciavo a capire che idea si stesse facendo di me il caro Sweetheart. E non era una cosa carina.

Oh, e vabbè.

Stavo dicendo?”

Cianciavi di un piano di fuga”.

Ah già. Quindi, riepilogando: punto uno, devo trovare Donna. Senza farmi beccare. Punto due, devo uscire di qui. Sempre senza farmi beccare”.

Ma com'è possibile che tu sia qui senza sapere il perché? Non ti ricordi proprio niente?”.

Ho un buco, te l'ho detto. Colpa della tequila”.

Dovresti smetterla di bere, sai? Donna ti sta trascinando sulla strada della perdizione”.

Taci va. Allora, adesso tu dovresti farmi un favore”.

Jeremy mi lanciò un'occhiata di sufficienza.

Chiusi gli occhi, esasperata. “Lo so, lo so, che ci conosciamo appena e che pensi che io non sia granché normale, però devi aiutarmi. Tu stesso hai detto che Alexis non esiterebbe a trasformarmi in un puntaspilli con i tacchi delle sue Manolo”.

Probabile che abbia accennato a qualcosa del genere, sì”.

L'hai fatto. Quindi tu adesso devi trovare Donna e spedirla qui da me, capito? Io mi chiuderò in bagno, buona buona, e aspetterò”.

Jeremy pareva estremamente divertito da quell'abbozzo di mission impossible. “E va bene” concesse infine. “Ma non lo faccio perché mi stai simpatica, sia chiaro”.

Chiarissimo. Ora va'!”

Jeremy se ne andò con un sorrisetto aleggiante sulle labbra, e io non potei che sperare che mantenesse la parola data.

Chiusi a chiave la porta e mi lasciai cadere sulla tavoletta del wc. Speravo di potermi concedere qualche minuto di isterica serenità, ma non fu così. Subito qualcuno cominciò a picchiare con violenza il battente della porta.

Apri! So che sei lì!”.

Riconobbi subito la voce. Che cazzo voleva Sweetheart adesso?!

Aprii la porta e me lo ritrovai davanti, stravolto e infuriato. Entrò nel bagno come un uragano e mi strappò la porta di mano per richiuderla. Cominciavo ad avere paura.

Mi fissò con occhi fiammeggianti. “Che cazzo stavi facendo con quel tizio?!”

Cosa?

Oh, perfetto.

Mi mancava una scenata di gelosia da uno semisconosciuto.

Ma che hai? Si può sapere che diavolo vuoi da me?” gli sbraitai addosso.

Che stavi facendo con quel tizio chiusa qui dentro?!” ripeté lui, alzando la voce.

Ma saranno anche affari miei, no?! Chi ti conosce!”.

Lui incassò il colpo, con in volto un un'espressione furiosa e ferita.

Noi ci conosciamo” ribatté lui, con un tono accettabile.

Ah sì, e come mi chiamo?”

Emma. Emma Villoresi”.

Rimasi in silenzio, basita. La doppia elle del mio cognome era quasi sparita nella sua pronuncia anglofona, e fui stupita di notare quel dettaglio. C'era ben altro di cui avrei dovuto preoccuparmi: Sweetheart era uno stalker.

Come lo sai?” indagai, fredda.

Lui parve ingobbirsi, vergognoso. “L'ho chiesto in giro. Non è stato difficile scoprirlo”.

Ah”.

D'altronde io avevo gli avevo frugato addosso per rubargli i documenti di identità -per una buona causa, certo, ma ciò non cambiava le cose- quindi forse potevamo essere considerati alla pari.

Io sono Matt Dawson” si presentò di malavoglia, porgendomi una mano.

Lo so, avrei voluto rispondere, ma grazie a Dio mi trattenni. Troppe domande scomode.

Assurdo. Un attimo prima ci stavamo urlando addosso e adesso ci stavamo scambiando convenevoli. Il tutto dentro il bagno della casa di un'amica di una pazza ossessiva che mi avrebbe volentieri staccato la testa a morsi perché credeva che me la stessi facendo con il suo tipo.

Normale. Tutto perfettamente normale.

Quasi mi aspettavo che Sweetheart si scusasse per la scenata di poco prima.

Cosa che non accadde, ovviamente. Rimase anzi in un cupo silenzio.

Il cavaliere sgarbato era sgarbato come sempre. E anche un po' schizzato, considerati i più recenti avvenimenti. E adesso ero intrappolata con lui in quel bagno finché Jeremy non trovava Donna.

Sempre che la stesse cercando.

Aiuto.

Bè, ehm” esordii.

Lui non mi aiutò in nessun modo, guardandomi strano.

“ Bè, io devo aspettare...”

Mi interruppi, perché la porta del bagno si spalancò facendomi sobbalzare.

Donna!”

Donna entrò nel bagno come una saetta, individuandomi subito con lo sguardo e richiudendo velocemente la porta alle sue spalle. Ansimava, era spettinata e le mancava la scarpa destra.

Che ti è successo?” esclamammo all'unisono.

Lanciai un'occhiata allo specchio. Effettivamente non ero all'apice del mio splendore, con il vestito impregnato di tequila e pallida come un morto.

Troppo lungo da spiegare” mi liquidò Donna. “Ti racconto più tardi. Lui chi è?”.

Si era resa conto della presenza di Matt, in piedi tra di noi.

Matt Dawson” le dissi. Davanti all'espressione smarrita di lei fui costretta a correggermi: “Sweetheart”.

Oddio, lui è Sweetheart?” lo studiò attentamente. “Cazzo tesoro, sei sempre stato così figo?”.

Matt sollevò un altezzoso sopracciglio.

Non importa, non ho tempo per corteggiarti. Su Emma, dobbiamo andare via”. Riaprì la porta e controllò che il corridoio fosse libero.

Come mai adesso tutta questa fretta?” mi impuntai. “E perché cavolo mi hai portato a casa di Spencer Milton? C'è Alexis, l'ho vista! Mi vuoi forse morta?”.

Ma va' là, cosa vuoi che ti faccia quel fiocco di neve” minimizzò lei, prendendomi per un polso e trascinandomi fuori.

Mmh. Cambiarmi i connotati?”.

Non rischierebbe tanto. Si rovinerebbe le unghie”. Percorremmo tutto il corridoio e arrivammo alle scale. Mi diedi un'occhiata alle spalle e notai che Sweetheart ci stava seguendo a breve distanza. Donna si mimetizzò dietro ad una frondosa pianta in un vaso di vetro, trascinandomi con lei.

Ok. Sono stata un camaleonte tutta la sera, adesso non voglio casini, ok?”.

Casini?!” mi ribellai “Sei tu che mi hai portato a...!”

Non mi stava nemmeno ascoltando. “Sì, sì, adesso stai buona però”. Si stava concentrando per trovare la via d'uscita può comoda. Mi sentivo un'idiota, lì accucciata dietro ad una pianta con Sweetheart che ci osservava a braccia conserte a due metri da lì.

Hei, tu, uomo”.

Donna chiamò Sweetheart, che parve piuttosto infastidito.

Ti dispiacerebbe farci un favore?”. Lui non rispose, e Donna interpretò la sua espressione disgustata come un fervido slancio di entusiasmo e disponibilità.

Andresti giù dalle scale per vedere se c'è Alexis Johnson? Una ragazza bionda e anoressica vestita con...”

So chi è Alexis Johnson” sbottò Matt. Mi lanciò un'occhiata d'odio e si avviò in silenzio.

Rimasi sola con Donna, rannicchiata come ladra.

Ma che ha quel tipo? Gli è morto un parente?” domandò Donna, leggera.

Non chiedermelo” sbuffai.

Un minuto dopo, Sweetheart fu di ritorno. “Non c'è. Però c'è la sua amica, quella stupida”.

Barbara” sintetizzò Donna con un cenno d'assenso. “Non è un problema”.

Si alzò di scatto e io caddi a terra come un sacco di patate. Diedi la colpa all'alcol e con fatica mi rimisi in piedi. Solo quando me lo trovai alle spalle capii che Matt mi aveva tirato su per un braccio. “Andiamo!” esclamò Donna tutta contenta.

Scendemmo le scale. Matt non si separò da me per un attimo, mentre Donna incedeva senza nemmeno guardarsi indietro.

Attraversammo l'affollato soggiorno di vetro senza venire notati. Perfino con una scarpa sola Donna riusciva ad esibire una nonchalance invidiabile. Riuscì perfino a raccattare un bicchiere di champagne prima di uscire.

Solo quando fummo alla macchina che si girò verso di me. Fu stupita di vedere Sweetheart ancora al mio fianco. “Lui viene con noi?” ammiccò, leggermente brilla.

No” borbottammo in coro. Ci lanciammo un'occhiata.

Che razza di legame avevamo io e quel tipo?

No? Bè, io credo di sì. Sono ubriaca e non posso guidare in queste condizioni. Ci accompagneresti a casa, cavaliere senza nome?”.

Matt guardò male prima Donna e poi me. Non fece domande, per fortuna, e afferrò le chiavi che Donna gli porgeva.

Ecco. Ci accompagnava perfino a casa.

Da quando avevo conosciuto Donna non c'era più niente di normale nella mia vita, poco ma sicuro.

Con una bizzarra associazione di idee, la mia mente corse a Brian. Chissà se mi aveva scritto...

Sfiorai la tasca dove tenevo il telefono. Dove di solito tenevo il telefono.

Perché non c'era.

Cazzo!” mi uscì, in un perfetto italiano. “Donna, ho perso il telefono?”.

Vuoi scherzare? E dove l'hai lasciato?”.

Se lo sapessi non sarei qui a chiedermelo!”.

Seguì un silenzio imbarazzato, con Donna che mi guardava pensosa e Matt che mi fissava con le chiavi ancora in mano.

Forse l'hai lasciato accanto alla piscina” interloquì Matt con un aplomb invidiabile.

In effetti era possibile. Il teatro della disfatta era il posto più probabile in cui potevo aver lasciato cadere i miei effetti personali.

Può essere. Ma come ci arrivo adesso?”

Silenzio. C'era un'unica possibilità, chiara come il sole, ma non osavo proporla. Non dopo avergli urlato addosso.

Ma Sweetheart capì al volo e restituì le chiavi a Donna con un sospiro.

Com'è fatto il telefono?”.

 

•••

 

E' un proprio un cavaliere, eh?” sgomitò Donna. Lo guardai allontanarsi e entrare di nuovo a casa Milton, sconcertata. Era troppo strano quel ragazzo.

Mm” mugugnai.

Bè, dovresti fartelo”.

Donna! Mi sto sentendo con Brian”.

E allora? C'è qualche legge che ti impone di vedere un solo ragazzo per volta?”.

E' una legge non scritta”.

Te lo sei inventato”.

Bè, a me Brian piace”.

Brian è un gran pezzo di gnocco”.

E invece questo... Matt... mi sa troppo da schizzato. Secondo me è uno stalker”.

E' innamorato di te”.

Questa affermazione, così limpida e sicura, mi destabilizzò per un attimo.

Cosa?” sfiatai.

Non fare la finta tonta, Emma. Si vede da lontano un chilometro”.

Mi misi sulla difensiva. “Nemmeno ci conosciamo”.

E da quando questo è un requisito fondamentale per essere innamorati?”

Bè...”

Ecco” mi interruppe lei.

Mi persi a riflettere. In effetti gli elementi c'erano tutti, dalle scenate di gelosia immotivata alle strane parole che mi aveva detto ancora la volta prima, quando lui aveva vomitato l'anima e io l'avevo rispedito a casa su di un taxi. Bè, ma che avrei dovuto fare?

C'era Brian e io mi stavo innamorando di lui.

Senza dubbio. Se ripensavo al bacio che ci eravamo scambiati davanti a casa di Donna ancora mi venivano i bollori dall'agitazione.

Un rumore di passi mi fece alzare la testa. Ecco Sweetheart di ritorno.

Appena fu abbastanza vicino mi allungò un telefono. Era il mio. Non potei fare a meno di controllare subito la casella di posta. Tre messaggi!

Guardai Matt sorridendo. “Grazie, davvero”. Lui non rispose, né tanto meno sorrise.

Tornai a concentrami sul telefono. Erano tre messaggi di Brian! Avrei potuto sciogliermi sull'istante.

Aprii l'ultimo, troppo eccitata per andare con ordine.

Stasera sono alla festa della Milton, tu ci sei?

 

•••

 

Emma! No, non esiste!”

Scalcia e mi dibattei per sfuggire alla stretta di Donna.

Non capisci! C'è LUI!”.

E lui aspetterà. Non mi va di tornare ancora là dentro, è tardissimo. Magari se n'è già andato, o non è proprio venuto perché tu non gli hai risposto. Che ne sai! Sarebbe stupido rischiare. Non sono nella condizione di gestire una rissa, fisica o verbale che sia”.

I bollenti spiriti mi si raffreddarono, lasciandomi stanca e malinconica. Mi ero illusa di poter vedere Brian di nuovo. Ma perché non l'avevo incontrato alla festa?

Forse perché sei stata per metà serata a vomitare in una piscina e per l'altra metà chiusa in bagno con vari uomini?

Come suonava male detta così.

Va bene, andiamo a casa”.

Ecco, brava. Invitalo alla festa di domani sera a casa nostra, no?” mi fece Donna, aprendo la portiera posteriore della sua Wrangler. Feci per salire, ma lei fu più rapida. Voleva che salissi davanti con Matt, la maledetta.

Sbuffai molto piano e feci il giro della macchina. Matt era già al posto di guida e aveva inserito le chiavi nel cruscotto.

Mi guardò per un secondo, sempre con quella sua espressione indecifrabile.

Poi girò la chiave e inserì la prima.

 

•••

 

Ah, casa dolce casa!”

Dopo aver cantato Gloria Gaynor per tutto il viaggio, Donna si lasciò andare in questa esclamazione di affetto. Fece uno sbadiglio falsissimo e si stiracchiò. “Grazie per averci riportato a casa, Sweetheart. Puoi lasciare la macchina qui sul vialetto, poi dai le chiavi a Emma”.

Poi dai le chiavi a...?

Troppo tardi. Ci augurò un caloroso “buonanotte!”, aprì la portiera e sparì. La osservai entrare in casa lanciandole maledizioni in due lingue. La vidi frugare sotto il vaso delle peonie, trovare la chiave di riserva e entrare in casa. Non distolsi lo sguardo finché non vidi accendersi la luce del soggiorno.

Poi il silenzio opprimente dell'abitacolo mi costrinse a voltarmi.

Matt mi stava fissando, tanto per cambiare. La luci interne della macchina erano ancora accese a causa della fuga di Donna, quindi potei vedere ogni centimetro del suo viso. Abbassai in fretta lo sguardo, in imbarazzo. Non sapevo com'ero conciata, primo; e, secondo, i suoi occhi palustri mi mettevano soggezione.

Bè, grazie” gli dissi.

Di niente”.

Mi misi a giocherellare con la maniglia della portiera, non sapendo cosa aggiungere.

Come tornerai a casa adesso?”.

Chiamerò un taxi”.

Ecco. E adesso sapeva perfino dove abitavo, splendido.

Non avevo nemmeno visto Brian. Mi aveva innervosito saperlo a pochi metri da me e non poterlo vedere, parlargli...

Una grande serata, davvero.

Dio, volevo solo dormire.

Stavo per auguragli la buonanotte, abbattuta, quando lui mi anticipò.

Cercando il tuo telefono ho trovato questo” disse. Armeggiò un po' con le tasche dei jeans e estrasse qualcosa di piccolo e piatto. Nel frattempo le luci si erano spente, quindi toccai dappertutto sul soffitto per riuscire a riaccenderle.

Clack.

La luce mi investì di nuovo, e colsi un bagliore argenteo. Matt teneva in mano un ciondolo a forma di matrioska, d'argento dipinto rosso e blu, scheggiato appena in un angolo.

Guardai il ciondolo e poi guardai lui. Cosa si aspettava che facessi?

Voglio che lo tenga tu” disse, ricambiando il mio sguardo. I suoi occhi liquidi e fermi mi impedirono di pensare ad una risposta coerente. Presi il ciondolo, confusa.

Lui intanto tirò il freno a mano e sfilò le chiavi; poi aprì la portiere e scese.

Scesi anch'io, non sapendo cosa aspettarmi.

Ma lui non fece niente di strano, e dopo aver chiuso la macchina mi allungò le chiavi.

Grazie” gli dissi, afferrandole.

E rimasi lì, spostando il peso da un piede all'altro, senza sapere bene in che modo dovessimo congedarci.

Buonanotte allora” si decise a dire lui, togliendomi dall'indecisione.

Sì, buonanotte” risposi.

E, dopo un'ultima lunga occhiata, Sweetheart si infilò le mani in tasca fece per andarsene, ma io ricordai una cosa.

Ah, aspetta!”.

Lui si voltò per metà, in attesa.

Domani... domani sera... se vuoi puoi venire alla festa di Donna”.

Che diavolo mi era saltato in mente? Ci sarebbe stato anche Brian a quella festa!

Ma ormai era troppo tardi per ritirare l'invito. Sweetheart aprì la bocca per dire qualcosa, poi sembrò cambiare idea e scrollò la testa.

Vedremo”.

E se ne andò. Io rimasi lì da sola, ad osservare la sua maglietta rossa che si allontanava.

La matrioska d'argento ormai era diventata calda a contatto con il palmo della mia mano. Senza pensarci, la infilai in tasca.

Poi bussai e aspettai che Donna mi facesse entrare in casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo capitolo è incasinato e delirante, lo so.

Per fari perdonare, ecco a voi Sweetheart, alias Matt Dawson:

http://a1.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-ash4/377543_352613991430679_1518582315062257_1418809_581413977_n.jpeg

Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Worst Party Ever ***


So che è quasi un mese che non pubblico, lo so.

In compenso questo capitolo è più lungo e... denso degli altri, quindi spero che possiate perdonarmi. Buona lettura.

 

 

 

 

 

 

 

 

Worst Party Ever

 

 

 

Mi svegliai giurando che mai, mai, mai più avrei bevuto ancora così tanto.

...per poi ricordarmi che quella sera ci sarebbe stata la festa di Donna.

Mi rigirai nel piumone, mugugnando con disappunto. Pensare che anche quella sera sarei stata circondata da persone ubriache, che l'alcol mi avrebbe ancora un volta bruciato la gola, che la musica mi avrebbe di nuovo riempito la testa... già risentivo l'amaro dei succhi gastrici solleticarmi l'ugola.

Ma prima che potessi disperarmi del tutto udii un suono inintelligibile provenire dal letto alla mia sinistra, seguito da un improvviso movimento di coperte.

Donna?” chiamai.

Mm?” ripose lei.

Sei sveglia?”.

No, sto facendo un sogno bellissimo. Lasciami in pace”.

Pur nel torpore della sonnolenza, abbozzai un sorriso.

Donna, è il tuo compleanno”.

E tu disturbi il mio sacro sonno per dirmi una cosa del genere? Sarà il mio compleanno fino a stanotte, potrai farmi dopo le felicitazioni”.

No, in realtà non ti sto disturbando per questo. E' da ieri sera che ho un sacco di domande che esigono una risposta, sai?”.

La voce di Donna mi giunse da sotto i meandri delle lenzuola. “Prendi un appuntamento con la mia segretaria” borbottò.

Non penso di piacerle. L'ultima volta mi ha sbattuto fuori” sorrisi.

Con un altro movimento di coperte Donna si voltò. Aveva l'espressione stravolta del post sbornia, con gli occhi ridotti a fessure e le labbra tumide. E, come se non bastasse questo a giovare al suo aspetto, mi stava fissando con un'espressione decisamente ostile.

Emma, è l'alba. La smetti di importunarmi? Guarda che chiamo Justin”.

Ma se saranno le dieci del mattino!”

Appunto, l'alba”.

Ma poi il nome Justin mi risuonò nelle orecchie e mi insospettii. “Ma che c'entra Justin, scusa?”.

Donna mugugnò con disappunto, esasperata.

Non ne ho idea. Stanotte rientrando l'ho trovato che dormiva sul divano. Tu non l'hai visto, scusa?”

No” risposi, stupita. In effetti la sera precedente ero rientrata in casa come un zombie, figurarsi se avevo notato una figura addormentata in salotto. Avevo appena augurato la buonanotte a Sweetheart invitandolo alla festa di Donna, logico che fossi un po' sconvolta. Era una cosa che da lucida non avrei mai fatto, no?

Sbirciai sul comodino. Accanto al mio cellulare era posata la matrioska d'argento, quasi a confermarmi che quello che era avvenuto la sera prima non era stato solo un bizzarro sogno. Quasi quasi me lo ero augurato. Che sfiga.

E si può sapere perché Justin sta dormendo sul nostro divano?” chiesi allora, sospirando.

Non ne sono tanto sicura. Quando sono rientrata l'ho svegliato, e lui ha detto qualcosa del tipo: 'non potevo più restare a casa'. Però non ci giurerei. Lui era morto di sonno e io ubriaca, quindi puoi capire come la cosa non sia molto affidabile”.

Capisco”. Allungai una mano per agguantare il telefono. Erano effettivamente le dieci e un quarto. Nessun messaggio. Mi dissi che non avrei dovuto sentire quel senso di mancanza nello stomaco, ma lo provai lo stesso. Brian non mi aveva scritto. Eppure la sera prima mi ero scusata con lui per non esserci incontrati alla festa della Milton!

Bè, tutte queste domande senza risposta?” mi incalzò Donna, scalciando via le coperte come una bambina.

Quasi sobbalzai nel letto. “Ah. Sì. Giusto”. Posai il telefono sul comodino, mi rimisi comoda sotto le coperte e finalmente potei liberarmi della filippica che mi tenevo dentro dalla sera prima.

Perché cavolo mi hai portato alla festa di Spencer Milton?!” cominciai. Donna mi guardava stralunata, con quei suoi occhi da gatta gonfi di sonno. “Sai meglio di me che dopo il finto love affair che ho avuto con Justin la Johnson non vede l'ora di trovarmi sola e vulnerabile per attuare la sua vendetta, che non dubbi sarà lunga e dolorosa! Ieri sera io nemmeno sapevo come mi chiamavo, figuriamoci se avrei potuto difendermi da lei...! E poi mi hai lasciato da sola, ubriaca marcia, nella tana del nemico! Questo non è da te, Donna!”.

Quante storie!” si lamentò lei. Ma da come aveva evitato il mio sguardo capii che il mio discorso aveva fatto presa sulla sua coscienza. “Sapevo che Alexis non ti avrebbe mai cercata, non poteva nemmeno sospettare della tua presenza” continuò lei. “E poi sapevo che non ti saresti cacciata nei guai, sei una brava bimba anche da ubriaca”.

Mi fece la linguaccia, e io risposi allo stesso modo.

Se non ci fosse stato Sweetheart a soccorrermi probabilmente mi avrebbero ripescato stamattina nella piscina”.

In piscina? Ma se io ti avevo lasciato su quella specie di dondolo in legno...!”

Mi avevi lasciato?” finsi di alterarmi, nascondendo un sorriso. “Cosa sono, una bambina da lasciare all'asilo?”.

No, certo che no, però...”

Però? Confessa, Donna Prince! Cosa dovevi fare di tanto importante per abbandonare un'amica ubriaca su una desolata sedia a dondolo?”.

Seguì un silenzio piuttosto esplicativo.

Come immaginavo” sogghignai, sorniona.

Questa volta è diverso”.

Ogni volta è diverso, Donna”.

Non è vero! Questa volta è quello giusto”.

Anche di Patrick l'hai detto. E anche di Stephan. Ah, e anche di quello con i dreadlocks, com'è che si chiamava?”.

Carl. Ma non è questo il punto!”.

No?”

No. Questa volta...”

...non è solo sesso?” finii per lei.

Esatto”.

La guardai con un'espressione assolutamente scettica; lei ricambiò lo sguardo. Per un po' Donna riuscì a mantenersi seria, poi gli angoli della bocca cominciarono ad arricciarsi, e poi le labbra a fremere...

Un minuto dopo stavamo entrambe ridendo come pazze.

Non è solo sesso!” mi scimmiottò, ridendo tra le lacrime.

No! Assolutamente!”. Mi stavo scompisciando, trattenendo la pancia. Continuammo a ridere e strillare cazzate finché guance e addominali non supplicarono pietà.

Dopo un po' riuscimmo a recuperare il contegno; asciugandomi gli occhi le chiesi: “E lui ci ha creduto?”.

Ogni parola” confermò Donna, rischiando di scoppiare a ridere di nuovo. “Gli ho detto che per me lui è l'unico, che questa relazione mi ha cambiato nel profondo...”.

Cazzo, Donna, vorrei vederti mentre dici queste cose”.

Sarei da Oscar. Altro che Ghoopi Golberg! Questa è vera recitazione!”.

E come si chiama il tipo?” chiesi, allungando le braccia verso la testata del letto per tendere i muscoli.

Trevor. Forse l'hai visto qualche volta, è l'amico sfigato di Thomas, quello con gli occhiali”.

Interruppi lo stiracchiamento. “Come sarebbe, 'sfigato'?”.

Bé, un po' sfigato lo è. Un po' nerd, sai, di quelli che sanno tutto sui videogiochi e poco niente della vita reale... però mi piace. Non è stupido come sembra. E' profondo”.

Hai una grande stima di lui, insomma” ridacchiai.

Cosa te lo fa dire?” domandò lei, sinceramente stupita.

'Non è stupido come sembra'. Ma dai, Donna, ti sembra un complimento?” chiesi, ironica.

Conoscevo Donna da anni e ancora mi stupivo della sua mancanza di delicatezza.

Bè, che vuol dire? Ho detto che è profondo”.

Ah, allora cambia tutto, hai ragione”.

Smettila di fare la rompiballe”.

Ok” concessi, ridendo. “Allora raccontami com'è successo. Da quanto vi frequentate?”.

Mmm. Da quattro giorni, se conti la festa in maschera di domenica notte”.

Wow, una relazione lunga e sofferta. E dopo quattro giorni già vi imbucate in una delle lussuose stanze di una villa di centro città?”.

Te l'ho detto che sa poco niente della vita reale. Segue gli ormoni, poverino”.

Non che tu sia da meno” la provocai.

Lei incassò senza battere ciglio.“Ma io lo faccio con classe”.

E quindi?”.

Quindi cosa?”.

Quindi com'è andato lo scontro di ormoni?”.

Oh, piuttosto bene”. Poi, persa nei pensieri, sorrise appena. “Appena si è calato i pantaloni pensavo di star avendo un'allucinazione, sai. Madre natura è davvero spiritosa, a volte”.

Che vuoi dire?”.

Ti ricordi Pedro, il modello argentino?”.

Sospirai estasiata. “Come dimenticarlo?”.

Ecco”.

Ecco cosa?” chiesi, non capendo.

Donna mi lanciò un'occhiata eloquente. “Pedro era nulla in confronto”.

 

•••

 

Dopo circa venti minuti, mi ritenni soddisfatta delle spiegazioni di Donna e mi decisi ad alzarmi. Mi feci una doccia e ancora in accappatoio scesi in cucina.

Mi ero dimenticata della presenza di Justin, ovviamente.

Stava fissando il frigo, aperto, con un'espressione in volto di chi si sta dibattendo in uno straziante dilemma. Quando entrai in cucina alzò gli occhi e mi riservò un'occhiata sorpresa. “Buongiorno”.

Buongiorno” risposi. “Comodo il divano?”.

Non tanto” rispose placido, tornando a studiare il contenuto del frigorifero. “E io ci cambierei il colore, quell'arancione a fiori è inguardabile”.

Ti intona con le tende”.

Ci credo, perché sono orribili anche quelle”.

Questa è la tua sgarbataggine di prima mattina, giusto?”.

Giusto”.

Ti avevo detto di evitare il caffè”.

O quello o l'eroina”.

Ridacchiai. “E allora non so cosa dirti. Nel frattempo allora potresti spiegarmi perché stanotte non hai fatto compagnia a Liam, nel tuo appartamento”.

Io non dormo con gli uomini” mi spiegò scandalizzato, optando finalmente per una vaschetta di burro. “E poi ci hanno sfrattato”.

Lo guardai spalancando gli occhi, mettendomi a sedere. “Come sarebbe che vi hanno sfrattato?”.

Quando si sta in un appartamento bisogna pagare una cosa che si chiama affitto, lo sapevi?”

L'avevo intuito, sì, ma...”

E se i pagamenti richiesti non vengono versati entro i tempi stabiliti, si creano circostanze spiacevoli. Come questa”. La sua voce si era indurita nel pronunciare l'ultima frase, e fu per questo che rimasi in silenzio per un po'. Lo osservai mentre apriva una confezione di toast e recuperava un coltello dal primo cassetto della cucina.

Avete avuto problemi di soldi?”. Nel momento stesso in cui lo chiesi mi sentii invadente e inadeguata. Ma avevo tutte le ragioni per fare una domanda del genere, no? Dopotutto non ero io a campeggiare indebitamente in casa altrui.

Lui finì di imburrare una fetta di toast prima di rispondere.

Sì” ammise. Era arrabbiato, rassegnato, deluso. Mi sentii a disagio, come se i suoi dolori non mi appartenessero, come se avessi di fronte uno sconosciuto e non il ragazzo spigliato che pochi giorni prima mi aveva tracciato un profilo psicologico davanti ad un cocktail. Era come se mi stesse mostrando una parte troppo intima di sé. Il che era assurdo, se ripensavo al fatto che avevo dormito con lui indossando solo un completo intimo, che stavo tutt'ora fingendo di essere la sua fidanzata e che chiedendo a chiunque in città avrei potuto sapere perfino la posizione in cui lui e Alexis avevano fatto sesso.

Sapevo cose di lui che non mi davano una corretta visione della realtà, e la cosa mi colpì.

Ti va... di parlarne?”. Mi stupii io stessa di quella richiesta. Sentii che davvero mi interessava conoscere Justin. Capii che era una persona per la quale valeva la pena stare ad ascoltare, e non solo ridere, divertirsi e ubriacarsi. Sentivo che volevo fosse una persona vera.

Lui finì di masticare il toast, inghiottì e mi guardò. Era proprio a terra.

Sono tre mesi che non paghiamo l'affitto. Non è la prima volta che arriviamo ad essere così in ritardo, e già in passato Flanders aveva già minacciato di buttarci fuori, ma poi non era mai passato ai fatti. Ma in questo periodo dev'essere successo qualcosa, non so, forse la crisi, e ha deciso di buttarci fuori. Ieri sera sono tornato e ho trovato la serratura cambiata”.

Immaginai dovesse essere una brutta sensazione.

Quindi ho aspettato Liam che era fuori a suonare e poi ho deciso di venire qui. Mi dispiace se vi sono capitato in casa così, ma sapevo che Donna teneva le chiavi sotto il vaso della finestra e non volevo disturbare nessuno”.

Pensai che entrare di soppiatto in casa altrui fosse un modo davvero strano di 'non disturbare'. Però forse Justin non aveva avuto voglia di chiamare perché poi avrebbe dovuto spiegare tutta la sua situazione, no? Sarebbe stato comprensibile.

Però non esplicai i miei pensieri, trovandoli fuori luogo.

Quindi...”

Donna ti ha detto qualcosa?” mi interruppe, visibilmente teso.

Sbattei gli occhi. “Donna? No, perché?”.

Lui si strinse nelle spalle, ma non riusci a celare del tutto l'apprensione.

Gli sorrisi incoraggiante, pensando di intuire perché fosse preoccupato. “Donna non si fa di questi problemi, Justin. Per lei non sarà un problema ospitarti qui per qualche tempo”.

No, certo...” cominciò, ma non finì. Finì di spalmare la seconda fetta di toast, cogitabondo.

Donna sicuramente non avrebbe avuto da ridire. Lo testimoniava la sua placida insofferenza nel trovarlo a dormire sul nostro divano nel cuore della notte 'ah, mi pare abbia detto che non poteva restare nell'appartamento, ma non sono tanto sicura'. Atteggiamento tipico di Donna.

O che fosse proprio quell'atteggiamento a preoccupare Justin?

Quell'indifferenza nel averlo attorno oppure no... forse non gli andava a genio. Forse si aspettava di capire in che modo lei lo considerasse, un conoscente, un amico, un parassita, qualcosa di più...

Justin si stava innamorando di Donna?

Forse stavo correndo troppo, però in quanto esponente del sesso XX non potevo non essermi già fatta dai filmini mentali. Già dall'espressione titubante con cui Donna aveva ammesso che Justin era il primo uomo al quale si era svegliata accanto... come non creare un'intensa love story su una premessa così intrigante?

Nascosi un sorriso e mi imposi una missione.

Justin e Donna sarebbero finiti insieme prima della fine del mese, oh sì.

Esibendo un sorrisone da pantera mi strinsi nel mio accappatoio; osservai Justin per qualche minuto e poi attaccai con nonchalanche il primo argomento che i venne in mente.

E quindi Liam dove l'hai lasciato poverino? Dorme da un suo amico altrettanto emo e depresso?” chiesi, sorridendo divertita.

Justin mi fissò stralunato. “Come sarebbe?”.

Dove ha dormito i tuo coinquilino stanotte” ripetei. “Si chiama Liam, no? L'hai abbandonato sotto un ponte?”.

Justin prese un grosso morso del tuo terzo toast.

Guarda che Liam sta dormendo nella stanza del matrimoniale”.

Caddi dalle nuvole. “Cos...?”.

In quel momento ci furono un urlo e un tonfo.

Donna aveva trovato Liam.

 

•••

 

Corsi in cima alle scale per trovarmi Donna, di spalle e con addosso solo una vecchia maglia scolorita, che puntava una spazzola addosso a qualcuno dentro la camera matrimoniale.

E tu chi cazzo sei?” stava chiedendo, né sconvolta né arrabbiata, ma solo candidamente sorpresa.

L'interlocutore, che dalla mia posizione non potevo vedere, non rispose. Incuriosita, mi accostai a Donna.

Liam era esattamente come lo avevo immaginato.

Portava i capelli lunghi, talmente rovinati dalla piastra da rassomigliare ad una cascata da rametti secchi e diritti, neri come la pece. Anzi, non tutti neri: c'erano ciocche chiarissime, come scolorite, che spuntavano qua e là nella chioma corvina come messe a caso. Il viso, pallido e quasi giallognolo, spuntava appena sotto quella massa di capelli. Una maglietta grigia gli pendeva addosso, troppo larga. In effetti, tutti i suoi vestiti parevano troppo larghi per lui, talmente era magro e spigoloso.

Hei, dude, ci senti?” ribadì Donna, all'apice del tatto.

Sì” borbottò quello, così piano da farmi credere di averlo immaginato.

Justin spuntò al mio fianco come un fungo. Doveva sembrare proprio una scena bizzarra: un tizio vestito da emo in piedi di fronte alla porta; dall'altra parte io in accappatoio, Justin che ancora stava masticando il toast e Donna che puntava la spazzola contro il malcapitato a mo' di giavellotto.

Lui è Liam” lo presentò tranquillamente Justin appena smise di ruminare.

Liam chi?” si informò Donna.

Liam il mio coinquilino”.

Quello depresso?”.

Perché, non si vede?”.

Tossii, desiderosa di mettere fine a un discorso tanto indelicato. “Ma perché non discutiamo dopo?! Justin, va a preparare una colazione decente anche per lui. E tu Donna, non dovevi farti una doccia? Su, vai, ti ho lasciato gli asciugamani di fianco alla vasca” conclusi, spingendola delicatamente verso il bagno.

Donna si lasciò convincere, lanciando un'ultima occhiata dubbiosa in direzione di Liam. Justin mi guardò scettico, ma io lo fulminai con lo sguardo e lui, dopo aver alzato le mani in segno di resa, scese le scale per tornare in cucina.

Io e Liam ci trovammo soli.

L'acqua della doccia cominciò a scrosciare, seguita da un'inconfondibile nota di Adele.

Ehm” tossicchiai, a disagio.

Liam mi fissò, immobile, poi sembrò decidere che non ero sufficientemente interessante e si ributtò, con scarpe e vestiti, sul letto.

Ok.

Tutto nella norma.

Ehm.

Tornai in camera mia e di Donna, scelsi un paio di shorts e un maglietta a caso, mi vestii e uscii. Passando davanti alla camera di Liam infilai dentro la testa e gli dissi che, quando voleva, Justin stava preparando la colazione. Lui nemmeno si mosse, fermo a faccia in giù nella medesima posizione in cui era ricaduto nel letto. Non ricevetti risposta di nessun genere, quindi, sempre più dubbiosa, tornai in cucina.

Ma il tuo coinquilino sta bene?”.

Justin stava rigirando una frittata. “E' da quando lo conosco che me lo chiedo”.

Mi sedetti e sospirai. Avevo ancora i capelli bagnati, c'era uno sconosciuto inquietante che faceva il morto al piano di sopra, Justin era stato sfrattato e si era accampato come un rom a casa nostra, c'era una matrioska d'argento sul mio comodino e Brian non mi aveva scritto.

E Donna, insofferente a tutto, stava cantando a squarciagola sotto la doccia.

Sospirai.

Sarà una lunga, lunga giornata”.

 

•••

 

Ma che cazzo! Justin, sei inutile”.

Fallo tu allora, visto che sei tanto brava!”.

Sono tre parti di pomodoro e una di vodka, non il contrario!”.

Ma dove l'hai sentito? Metà vodka e metà pomodoro, da sempre!”.

Forse lasciare Justin e Donna da soli in cucina non era stata una grande idea.

Lasciai bruscamente la mia occupazione -nascondere gli oggetti di valore in previsione dell'ondata anomala di gente in arrivo per il compleanno di Donna- e li raggiunsi al piano di sotto, trovandoli intenti a preparare i cocktail per la serata. O almeno, a provarci. Donna un'ora prima era andata a fare la spesa, e ora la cucina traboccava di sacchetti di plastica e di bottiglie di ogni forma e misura.

Inutile dire che anche quella sera sarebbe stata all'insegna dell'alcol.

Lavoro in un bar da due cazzo di anni, saprò come si fa un Bloody Mary!” stava urlando Donna quando entrai in cucina.

E allora che cavolo vuoi da me? Arrangiati!”.

Con questa battuta finale Justin sbatté la bottiglia sul tavolo e mise il broncio. Donna gli fece la linguaccia e versò succo di pomodoro in tre quarti del bicchiere posato sul bancone.

Parevano due bambini che giocavano a fare le torte con la sabbia e le erbacce, altro che due adulti vaccinati che stavano organizzando una festa.

Ma io sorrisi.

Dovevano finire insieme entro la fine del mese, no? Tanto valeva buttare qualche mina qua e là.

Ma, Donna, quel tipo si cui mi dicevi... ci sarà stasera?” domandai con fare leggero, aprendo il frigo giusto per non sembrare troppo interessata all'argomento.

Mm, chi, Trevor? Penso di sì, perché?” rispose lei senza nemmeno sollevare gli occhi dal cocktail.

No, bè, così per chiedere...”.

Justin, appoggiato alla parete, smise di fare l'offeso per un attimo. “Chi è Trevor?”.

Sorrisi di un sorriso segreto, intimamente soddisfatta. Finsi di non trovare quello che stavo cercando e richiusi il frigorifero, godendomi l'espressione incuriosita di Justin.

Un tizio” rispose Donna. “Magari lo conosci, è amico di Thomas e Jeremy. Più di Thomas in realtà, Jeremy non lo sopporta. Quello alto, grasso, con i capelli ricci e gli occhiali”.

Ah, ho capito. Il nerd sfigato con la maglia dei Simpson”.

Proprio quello” confermò Donna, per nulla toccata dal tentativo di insulto.

E cosa hai da spartire tu con quel tizio?”.

Lo chiese in tono morbidamente colloquiale, con una lieve sfumatura di ironia, senza lasciar trasparire nessun secondo fine. O veramente non aveva interesse per Donna, o era un attore eccezionale.

A parte una notte occasionale di sesso selvaggio, nulla”.

Una relazione breve ma intensa, insomma” commentò lui con un lieve sorriso. Se stava recitando, era dannatamente bravo.

Sì. E non mi dispiacerebbe riesaminare la mercanzia, in tutta sincerità”.

Non sembra uno che ci sa fare”.

Come sei superficiale”.

Io superficiale?”.

Mi rimisi in mezzo, per far scemare la tensione. Justin era particolarmente suscettibile da quando era stato sbattuto fuori casa. “Allora! Come siete messi con i preparativi?”.

Mmm. Non male” rispose Donna, finendo di mescolare il suo Bloody Mary. “Abbiamo fatto qualche test per i drink, ma non vanno affatto male. Poi stasera ci sarà Thomas a fare da barman, e anche Justin, se smette di sindacare le mie direttive”.

Davo semplicemente la mia opinione” si lamentò lui, appoggiato alla parete a braccia conserte.

E' la mia festa, ok? Decido io. Tutto deve essere perfetto”.

Aggiunse un ciuffetto di menta al Bloody Mary e si allontanò di un passo per ammirarlo soddisfatta.

Tutto deve essere perfetto” ripeté.

 

•••

 

Thomas e Jeremy arrivarono verso le otto, miracolosamente in anticipo.

Guys! Finalmente!” li accolse Donna fiondandosi su di loro, stringendoli in un abbraccio collettivo mentre erano ancora sulla porta. Era decisamente su di giri.

Dopo diversi baci e auguri di buon compleanno, Thomas fu il primo a staccarsi, dicendo che sarebbe andato in cucina. Jeremy invece si coccolò Donna per un po'. “Come stai, honey?” le chiese, arricciandole una ciocca perfettamente lucida e piastrata. “Ti senti più vecchia, matura e responsabile?”.

Taci, che stamattina mi sono spalmata la crema antirughe fin sotto le ascelle” rispose lei con un finto broncio. Poi però la sua espressione divenne maliziosa. “E comunque no, né più matura né più responsabile”.

Jeremy le fece l'occhiolino. “Era quello che volevo sentirti dire, baby”.

Arrivati tutti in cucina, dove io stavo finendo di mettere sistemare insieme a Justin, Thomas mi fece appena un cenno di saluto mentre Jeremy mi schioccò un bacio sulla tempia.

Tutto bene, Emma?”

Tutto bene” gli sorrisi.

Ora!” esordì Donna, attirando l'attenzione di tutti. “Io vado a finire di tirarmi come una zoccola, voi finite qui e non spostate niente, decido io come mettere i tavoli. Jeremy, Thomas, lui è Justin, starà qui da noi per un po'. Justin: Jeremy e Thomas” spiegò indicandoli.

Justin fece un breve cenno con la testa.

Fece per uscire, poi però sembrò ricordarsi di qualcosa e aggiunse: “E guai a voi maschioni se approfittate di Emma mentre non ci sono. Non è giusto che tutto il divertimento vada a lei”.

Detto questo se ne andò, prendendosi un “you're a bitch!” da Jeremy mentre saliva le scale.

Lo guardai. Sia lui che Thomas erano molto eleganti quella sera: Jeremy, con i suoi soliti capelli nerissimi tirati indietro con il gel, indossava un cardigan grigio e un paio di jeans bianchi strettissimi; Thomas invece, riccio e castano, una camicia bianca arrotolata sugli avambracci e dei jeans scuri.

Justin invece non si era ancora preparato: aveva la barba sfatta, la canottiera con cui era andato a dormire e un paio di pantaloni della tuta. Senza contare le occhiaie e lo sguardo assente, che non contribuivano per niente a renderlo più affabile.

Avete idea di quanta gente ci sarà stasera?” chiesi, per scacciare l'apprensione. “Così so cosa aspettarmi”.

Aspettati di dover recuperare qualche cadavere dal giardino e di doverlo poi spiegare alla polizia, così ti prepari già psicologicamente” replicò graziosamente Jeremy, nascondendo le bottiglie di scorta in tutti gli anfratti della credenza.

Sperai di tutto cuore di non trovarmi mai in una situazione del genere. Poi Thomas si mise a raccontare del suo amico che era finito quattro volte all'ospedale per coma etilico e poi morire per una palla da baseball che gli era finita sul naso; Jeremy si lamentò che non si doveva parlare di certe cose prima di una festa e mi fece una domanda piuttosto evocativa: “Sai che Donna si è scopata Trevor ieri sera, vero?”.

Il brusco cambio di argomento mi fece sobbalzare. Lanciai uno sguardo a Justin, ma lui non parve nemmeno aver sentito.

Mi ha detto qualcosa del genere, sì” risposi.

Era esaltatissimo, poveretto. Stasera non so come farà”.

In che senso?”.

Che verrà nei pantaloni solo a vederla” si intromise Thomas lapidario.

Ta-daaan!” cianciò Donna proprio in quel momento, apparsa come per magia all'ingresso in cucina.

Era davvero, davvero bella.

Il vestitino -maglietta?- era cortissimo e aderente, ricoperto di paillettes dorate; i capelli erano perfettamente lisci e le scarpe rosse si intonavano con il rossetto. Gli occhi, nerissimi e allungati da matita e eye-liner, sembravano ancora più grandi e ammaliatori.

Come sto?” biascicò, arricciando le labbra e adagiandosi sulla porta come se si stesse strusciando su un palo da lap-dance.

Da prostituta di strada sei passata a escort di alto borgo” commentò Jeremy con un sorriso.

Donna gli fece l'occhiolino. “Tu sai sempre cosa dire per farmi felice, honey”. Poi mi guardò e inorridì nel vedermi vestita ancora come quella mattina. “E tu che fai ancora conciata come una sguattera? Su, vai a cambiarti, tra mezz'ora cominceranno ad arrivare tutti!”.

Le sorrisi e andai al piano di sopra. Sapevo già cosa mettermi, quindi frugai nell'armadio per trovare il vestito blu e lo indossai. Poi qualcuno bussò alla porta.

La aprii mentre cercavo di infilarmi una ballerina e quasi presi un colpo.

Liam!”

Liam mi guardò fisso da sotto il suo ciuffo improponibile. “L'altra tizia mi ha detto che non posso più stare nell'altra camera”.

Ehm. Ok”. Lo lasciai entrare, e lui si sedette sul mio letto ancora sfatto.

Lo guardai dubbiosa, ancora con una scarpa in mano.

Poi dalle scale giunse la voce di Justin.“Emma!”

Cosa?”

Ricordati di dare il regalo a Donna” disse, per poi chiudersi in bagno.

Giusto. Il regalo di Donna. Mi accertai che fosse ancora dove l'avevo nascosto e mi misi l'altra scarpa. Lo specchio mi disse che non ero granché, ma per quella sera potevo andare. Tanto Brian non sarebbe venuto, mi rammendai con una sorta di disappunto misto a compiacimento.

Del tipo: potevo essere orribile quanto mi pareva, perché solo se c'era lui aveva senso farsi carina.

Quindi mi truccai poco e mi ravviai i capelli alla meno peggio. Lanciai un'occhiata a Liam e giusto per non farlo sentire emarginato gli chiesi come stavo. Lui alzò appena la testa e si strinse nelle spalle. Lo presi come un 'non me ne frega un cazzo, ma non male'.

Il campanello suonò per la seconda volta della serata.

Di lì a poco non avrebbe più smesso.

 

•••

 

Scusate, permesso, scusate, dovrei passare...”

Due ore dopo, perfino arrivare dal salotto alla cucina era un'impresa. C'erano tutti, ma proprio tutti, gli ex di Donna; e già qui eravamo ad una buona fetta della popolazione maschile. C'erano tutti i suoi ex compagni di scuola, le sue lontane cugine di New York, le sue ex compagne di danza, i suoi amici di facebook e twitter, i suoi colleghi di lavoro; insomma, tutte le persone che direttamente o indirettamente erano entrate in contatto con Donna, quella sera affollavano la nostra piccola casetta e tutto il giardino retrostante. L'impianto audio, curato da nientemeno che Trevor, era pazzesco: sospettai che la musica si sentisse perfino dal quartiere vicino.

Finalmente trovai Donna, che rideva aggrappata ad un tizio pelato e muscoloso che le stava sussurrando qualcosa ad un orecchio. Intravidi anche Justin, poco lontano: era ancora in tuta e aveva un'espressione scontrosa che teneva tutti alla larga.

Donna!” gridai. Lei scostò il macho e mi guardò sorridente. “Ti vuole il cantante della band, è fuori in giardino” le urlai, sovrastando la musica.

E' arrivato?!” cinguettò Donna, fuori si sé. “Che meraviglia! Vado subito!”.

Se ne andò, mollandomi lì con il tizio pelato con cui si stava strusciando poco prima. Lui mi guardò dapprima poco convinto, ma poi sollevò le sopracciglia e fece un sorrisetto spaventoso che mi indusse a darmela a gambe. Scappai fuori, dove perlomeno si riusciva a respirare, anche se la musica era assordante. Intravidi Donna parlare con il cantante, un suo amico di Praga che aveva accettato con slancio l'invito di inscenare un live per la sua festa di compleanno. E infatti ormai il nostro giardino pareva un rave party, con tanto di batteria, chitarre, casse e fili che correvano ovunque. Trevor, il nerd sfigato, era dall'altra parte del giardino di fianco alla consolle della Dj. Dire che stava guardando male il cantante europeo era un eufemismo: lo stava facendo a pezzettini con lo sguardo.

Donna e il cantante sembrarono trovare un accordo. Donna andò verso la Dj, una ragazza asiatica con i capelli di un improponibile color argento -che mi pareva di aver già visto, tra l'altro- per accordarsi sul piano musicale della serata.

Tornai dentro. Era in atto una specie di conga attorno al tavolo della cucina, mentre sopra l'isola di marmo una ragazza con un boa di piume attorno al collo stava improvvisando uno streap-tease. In salotto c'erano bottiglie sparse ovunque, un paio di boxer appesi al lampadario e una coppia smaniosa che si stava dando da fare su un bracciolo del divano. Un paio di tizi stavano giocando a freccette: il bersaglio era un loro amico, attaccato al muro con dello scotch da pacchi. Dio solo sa dove l'avevano trovato. Superai un giocatore di football che stava vomitando dentro il vaso delle gerbere e arrivai all'ingresso. Evidentemente qualcuno aveva ordinato delle pizze, perché sotto il tavolino del telefono c'era un ammasso di cartoni con su scritto: “Da Toni”.

Che fantasia.

La porta, ovviamente, era spalancata. Fuori c'erano due tizi che pomiciavano addosso al muro. E entrambi indossavano i tacchi. E una parrucca. Più in là c'erano dei ragazzi che si pestavano alla grande, mezza squadra di calcetto con tanto di mascotte -un pollo giallo gigante- e un mare di gente che fumava, beveva e rideva.

Tornai dentro. Arrivare in cucina fu un'impresa, perché i tizi delle freccette avevano avvolto completamente il compagno nello scotch e lo stavano portando in giro sopra le loro teste. Da sotto lo strato di adesivo provenivano suoni sinistri. Sperando che non morisse soffocato, li seguii fino in cucina. Lì, la signorina con il boa era stata spodestata: ora era Donna a ergersi sopra la folla.

Io vi amo tutti!” stava urlando, ridendo come una demente. Aveva una bottiglia di rum in mano, i piedi scalzi e il rossetto fino al mento. Un ragazzo muscoloso la raggiunse e presero a strusciarsi a ritmo di una musica house. Donna lo annaffiò con il rum, e lui sembrò gradire: si tolse la maglietta, ormai fradicia, la fece roteare sopra la testa e la lanciò sulla folla urlante. Donna scoppiò a ridere istericamente, invocando un'altra bottiglia.

Justin comparve al mio fianco.

La cosa sta un po' degenerando” mi disse con un sorriso teso. Cercava di essere ironico, ma fui felice di trovare qualcuno preoccupato quanto me.

Non dovremmo toglierla da lì?” mi chiese dopo un po', accennando a Donna che si stava lasciando convincere a togliere il reggiseno.

Bè, non fa niente di male” commentai. Avevo visto Donna in situazioni molto peggiori.

Poi vidi l'espressione di Justin.

Ok, tiriamola giù”.

Aiutata da Justin, convinsi Donna che la consolle stava andando a fuoco e che doveva assolutamente intervenire. Lei rispose che Titanic come film non le era mai piaciuto, però acconsentì ad abbandonare la sua postazione.

Improvvisamente udii un rumore di vetro infranto dal piano di sopra. Sospirai: di sicuro qualche genio aveva rotto un vetro, una lampada, o peggio. Dissi a Justin di portare Donna in un posto tranquillo e di farle mangiare qualcosa. Lui fece un cenno di assenso e si avviò verso il retro con Donna aggrappata ad una spalla.

Io mi voltai per tornare indietro, ma mi scontrai con qualcuno. Mi scostai per scusarmi...

E Sweetheart era lì a fissarmi, più alto di me di almeno venti centimetri.

Ciao” sfiatai, stupita di vederlo lì. Che poi non avrei dovuto essere sorpresa, no? L'avevo invitato io. Eppure non potei fare a meno di pensare che avrei voluto che fosse qualcun altro.

Qualcun altro con una fossetta particolarmente attraente.

Scusa, temo che abbiano spaccato qualcosa di sopra. Devo andare a controllare” lo liquidai, improvvisamente di malumore.

Lui mi lanciò un'occhiata cupa. “Vengo con te”.

Mi strinsi nelle spalle e lasciai che mi seguisse. Non meritava di essere trattato così, lo sapevo; però dall'inizio della serata avevano già spaccato uno specchio, due lampade e un'anta della cucina, e Donna non aveva nessun senso di responsabilità, quindi ero io a portarmi sulle spalle tutto lo stress. Ero nervosa, irritabile e acida; sentivo che dovevo controllare tutto o sarebbe accaduto un disastro, come quello ipotizzato da Jeremy quello stesso pomeriggio.

Andare una festa è un conto; organizzarla è un altro.

Dopo essere sgusciata tra i corpi accaldati stretti tra la cucina e il corridoio d'entrata, riuscii a guadagnare le scale. Di sopra tutte le porte erano spalancate: stelle filanti colorate fuoriuscivano dalle soglie come tanti lombrichi arcobaleno.

E per fortuna che il secondo piano avrebbe dovuto essere una zona off limits!!

Siccome mi era sembrato che il rumore provenisse dalla camera matrimoniale, vi marciai dentro senza tante cerimonie.

Un odore nauseabondo di fumo mi aggredì, facendomi tossire in modo convulso prima di riuscire a metterne a fuoco la provenienza.

Emma!”.

Strizzai gli occhi, incredula. “Jeremy! Che stai... che stai facendo?!”.

Jeremy e Thomas erano seduti a terra, con la schiena appoggiata al muro, e stavano ridacchiando tra loro come due imbecilli con un equivocabile spinello tra le mani. Quando si accorse di me, Jeremy non smise di sorridere, e la sua voce suonò accomodante.

Ma niente, solo...”.

Ti stai fumando una canna?! Qui dentro???!!” sbottai. Già stavo rischiando che mi partisse un embolo per limitare la presenza di alcolici in quella casa, ci mancavano solo quei due idioti che si drogavano nella camera degli ospiti! Meraviglioso!

Si può sapere dove lo avete preso? E perlomeno andate fuori, cazzo! Non si respira!”.

Quei due mi fissarono smarriti, per poi lanciarsi un'occhiata d'intesa e ricominciare a sghignazzare.

FUORI!” esplosi.

Eh va bene, quante storie...”. Jeremy si tirò in piedi, barcollando ma senza smettere di sorridere. Aiutò Thomas ad alzarsi, ma quello inciampò sul piede del letto e cadde a terra, dove rimase a rotolarsi dalle risate. Jeremy, poco stabile ma in piedi, si tratteneva la pancia e aveva le lacrime agli occhi.

Avrei voluto ucciderli entrambi.

Per fortuna fu Sweetheart a intervenire, tirando su Thomas e spingendoli entrambi verso le scale. Jeremy fece il primo gradino, poi scivolò e con un susseguirsi di tonfi e strilli da donnicciola cadde fino in fondo alla scalinata.

Per una frazione di secondo pensai di preoccuparmi, poi lo sentii scoppiare a ridere di nuovo e la cosa mi mandò in bestia. Scansai Matt e andai verso la finestra, decisa ad aprirla per far uscire almeno un po' di quel puzzo acre. Sarebbe rimasto impregnato nei mobili per almeno un paio di settimane, sicuro.

Arrivai alla finestra e percepii qualcosa in frantumi sotto le suole delle scarpe.

Ecco cos'era stato quel rumore di vetri rotti: la sveglia.

Non trovai nemmeno la forza di arrabbiarmi ancora.

Aprii la finestra e feci un respiro profondo. Ma tossii ancora, la gola e il naso ancora pieni di quell'odore penetrante.

Ti vado a prendere un bicchiere di acqua”. Non era una domanda, quindi non feci in tempo a rispondere che Sweetheart era già sparito.

Matt, Matt, non Sweetheart, mi ricordai stancamente.

Sapevo che non avrebbe trovato un bicchiere d'acqua nemmeno a pagarlo oro -Donna, nel riempire il frigorifero di alcolici, aveva eliminato le bottiglie d'acqua in quanto “occupanti indebite di spazio”- e quindi, sempre in preda ai colpi di tosse, entrai in bagno e mi chiusi la porta alle spalle. Aprendo il rubinetto per liberarmi la gola di quel nodo insopportabile udii un suono sospetto: il clack di una serratura che si chiudeva. Sollevai di scatto la testa dal lavandino e il mio cuore perse un battito.

Ian Evans era appoggiato alla porta del bagno.

E sorrideva.

 

•••

In un nanosecondo mi tornò in mente tutto quello che Justin mi aveva detto su di lui. Che era pericoloso, incontrollabile, da evitare.

Da evitare.

E adesso ero chiusa in un bagno con lui, con un inferno di trecento persone al piano di sotto e la musica sparata a 110 decibel per tutto il quartiere.

Sicuramente qualcuno avrebbe udito le mie grida di aiuto, sicuramente.

La gola mi si era fatta secca, ma non osai bere ancora. Richiusi il rubinetto con una lentezza esasperante, senza staccare lo sguardo da Ian.

Era proprio come me lo ricordavo al sexy shop: muscoloso, tatuato e spaventoso. Il septum nero al naso riluceva appena, e i capelli gli ricadevano scarmigliati sugli occhi.

Ciao” mi fece, ferino.

Oddio, mi avrebbe stuprato.

Presi seriamente in considerazione l'idea di mettermi ad urlare già da subito, così, dal nulla, giusto per avere qualche chance in più; ma poi ricordai che Matt sapeva che ero lì da qualche parte. Dovevo solo tendere le orecchie e capire quando sarebbe salito con il fantomatico bicchiere di acqua; e solo allora strillare come un'ossessa. Sì, era un buon piano.

Evitai di pensare che forse era anche la mia unica possibilità.

Ehm. Ciao” risposi, per prendere tempo. Il suo sorriso si allargò.

Ma forse non voleva farmi del male, no? Forse mi aveva chiuso in bagno solo per una chiacchierata innocente...

Sei molto bella stasera” sviolinò, socchiudendo appena gli occhi come un grosso felino davanti alla sua preda.

Ok, no. Mi avrebbe stuprata.

Grazie. Anche tu non stai male. Quel tatuaggio lì, poi, una favola. Cos'è, un dragone?”.

Ok, quando ho paura tendo a straparlare.

Cioè, intendo, ti sta bene. Ti da personalità” rettificai, tirando le labbra in un sorriso terrorizzato e desiderando allo stesso tempo di buttarmi fuori dalla finestra.

Ian mi stava squadrando sospettoso, le sopracciglia corrugate in un'espressione che non mi piaceva per niente.

Ecco, brava. L'hai fatto incazzare.

Seguì un silenzio lungo e denso come budino.

Stai insieme a Justin?”.

La domanda mi stupì non poco. “No, siamo solo amici. Te l'ha detto, no, era tutta una bal...”

Lo so che mi ha detto” mi interruppe lui, sgarbato. “Voglio sapere se è vero o no. State insieme?”.

No” ripetei, sforzandomi di guardarlo negli occhi. Ma non dovevo essere stata convincente, perché le sopracciglia di Ian si aggrottarono ancora di più.

No?” domandò ancora lui, staccandosi dalla parete e facendo un passo verso di me.

No” dissi per l'ennesima volta, sempre più allarmata.

Ian fece un altro passo nella mia direzione. “Quindi non si arrabbierà se tocco qualcosa che non è suo, no?”.

No... aspetta, cosa?!”. Mi spalmai addosso alla parete, desiderando affondarci.

Nessuno verrà a reclamarti” attestò lui, serafico e ammaliatore come un leone che gioca con la sua preda, ormai segnata.

Cazzo. Cazzo. Cazzo!

Artigliai le mattonelle fredde con le unghie, fissando con gli occhi sbarrati Ian che si avvicinava inesorabilmente.

Qualcuno mi aiuti!, pensai disperata, senza riuscire ad emettere un suono.

Emma?”.

Una voce famigliare, accigliata: la voce di Sweetheart, proprio al di là di quella parete.

Sono qui!” urlai, quasi piangendo dalla felicità.

Ma poi Ian mi fu addosso, e una mano pesante calò a mozzarmi il respiro.

 

•••

 

Emma!”.

Ian mi serrava la bocca con un mano, e io mi sentii inerme e inutile, premuta tra il suo corpo e la parete. Cercai di fare più rumore possibile, divincolandomi e scalciando, colpendo a caso, facendo volare barattoli di sapone.

Emma, stai bene? Che cosa sta succedendo?”. La voce di Matt, attutita appena dallo spessore della porta, si faceva sempre più allarmata.

Se solo avessi potuto fargli capire... ma il dolore alla faccia era insopportabile, non riuscivo ad articolare nessun suono. Riuscii a liberare un piede, e con la forza della disperazione diedi un colpo verso il basso. Ian grugnì di dolore e per un attimo allentò la stretta sulla mia bocca.

Aiuto! Matt, sono...”.

Ma di nuovo la mano di Ian calò sulla mia bocca, zittendo le mie richieste di aiuto.

Ma grazie a Dio Matt era un ragazzo sveglio, e lo sentii armeggiare con la maniglia della porta. Ian mi guardò furioso, e io ero sempre più spaventata. La porta cominciò a sobbalzare, scossa da colpi violenti.

Ian era sulle spine, indeciso sul da farsi. Lo vedevo, ma il suo corpo stringeva sempre impietoso il mio contro la parete. D'improvviso, i colpi alla porta cessarono.

Sia io sia il mio aggressore drizzammo le orecchie, ma più i minuti passavano più era chiaro che il dall'altra parte non c'era più nessuno.

Sweetheart se n'era andato.

Sembra che il tuo cavaliere abbia rinunciato alla missione, principessa” sogghignò Ian a pochi centimetri dalla mia faccia. Il suo alito puzzava di fumo, e in un attimo seppi che aveva portato l'erba a Thomas e Jeremy. Chi altri, se non il drogato gestore del Wondeland?

Questi pensieri erano la più lampante manifestazione della disperazione che mi aveva rivoltato le viscere. Matt se n'era andato. Nessun altro avrebbe potuto salvarmi.

La principessa sarebbe stata sacrificata. Lacrime di frustrazione cominciarono a pizzicarmi gli occhi.

Siamo solo io e te, adesso” sussurrò Ian, quasi dolce, mentre la sua mano risaliva la mia coscia, lenta e inesorabile.

Avevo sempre avuto il sospetto che quella non sarebbe stata una bella giornata, ma non pensavo si potesse arrivare a quel punto. Ormai stavo singhiozzando, tenendo gli occhi serrati per non vedere. La mano di Ian ormai aveva raggiunto i miei slip, quando si udì un boato: la porta aveva tremato pericolosamente.

La speranza mi riaccese come una lampadina natalizia.

Un secondo boato, e la porta si scardinò, rivelando un Justin piuttosto alterato e rosso in faccia, con i muscoli tesi per lo sforzo. Subito dietro di lui c'era Matt: esagitato, furioso, incazzato, e mille altre cose che vidi riflesse sul suo viso come in un caleidoscopio di emozioni.

CHE CAZZO STAI FACENDO?!” urlò Justin, sovrastando la musica di vari decibel. Ian si staccò da me all'improvviso, come punto da una vespa. Io, senza più un solido sostegno, scivolai a terra. Matt fu subito da me, mi prese da sotto le ascelle come una bambina e mi strascinò dietro a Justin, fuori dal bagno. Lì mi stritolò tra le braccia.

Il suo respiro affannato quanto il mio.

Justin, intanto, continuava ad urlare. “Che cazzo ti salta in mente?! Si può sapere che pensavi di fare?!”. Era fuori di sé, con le mani strette e le vene sulle fronte che rischiavano di scoppiargli. Ian non rispondeva. Si limitava a guardarlo, con un mare di espressioni diverse che si avvicendavano sul suo volto. Rabbia, odio, delusione, rassegnazione, stanchezza.

Ma che hai? Mi senti?” continuò Justin. Aveva l'aria di poter continuare per tutta la notte, tanta era la tensione che aveva in corpo. “O quella merda che ti fumi ti ha spappolato il cervello una volte per tutte?”.

In quel momento, arrivò Donna.

Guys! Si può sapere che...”.

Ma le parole le morirono in gola quando inquadrò me, in lacrime e con il vestito sollevato, tra le braccia di Matt; Justin, furioso, aizzato come un cane da combattimento contro Ian; e infine Ian, freddo e lontano come se la situazione non avesse nulla a che fare con lui.

Cosa...” cominciò Donna, ma Ian la interruppe. La sua voce parve provenire da qualche altro luogo, un luogo fatto di oscurità, vergogna e incomprensione.

Tu non capisci un cazzo, Justin”.

Poi si avventò su di lui e lo baciò.

 

•••

 

Quello che accadde dopo fu molto confuso.

Justin si era staccato sbalordito; Ian lo aveva guardato con un'espressione molto intensa, a metà tra il furioso e il sofferente; poi era fuggito via, volando giù per i gradini della scalinata e sparendo fuori dalla porta d'ingresso.

Donna mi era saltata addosso, preoccupatissima, scaraventando via Matt e palpandomi dappertutto per assicurarsi che stessi bene. Poi anche Justin, anche se ancora sconvolto, mi aveva chiesto se stavo bene.

Mi aveva confortato moltissimo sentire così tante persone sinceramente preoccupate per me.

Donna aveva proposto di chiudere lì la festa e mandare tutti a casa; era molto convinta, ma io riuscii a dissuaderla. Non volevo che rinunciasse alla sua festa per me.

Poi Matt aveva insistito per mettermi a letto, e io non avevo potuto fare altro che acconsentire. Nel mio letto c'era Liam che russava come un grizzly, quindi Matt mi fece accomodare in quello di Donna, sedendosi accanto a me. Non potei fare a meno di notare che le mani gli tremavano vistosamente.

Matt, stai bene? Stai tremando”.

Lui sobbalzò.

No che non sto bene” ringhiò, sgarbato come sempre.

E' tutto passato” lo rassicurai. Curioso che fossi io a consolare lui e non il contrario.

Passato?” strillò, con una vocetta acutissima. “Passato?! Se solo ripenso a... che fai, ridi?”.

Scossi la testa, nascondendo il sorriso. “No, scusa”.

Se solo ripenso a quello che avrebbe potuto farti...” continuò, scaldandosi. Riprese a tremare, stringendo spasmodicamente i pugni.

Gli posai una mano sul braccio, e lui mi guardò come se avessi commesso un'eresia. Feci per ritrarla, scusandomi, ma lui se la riprese con uno scatto felino. Mi ritrovai con la mano sinistra intrappolata nella sua, mentre lui mi fissava con un'espressione un po' folle.

Ero terrorizzato” confessò, sincero e innocente come un bambino.

Anch'io” risposi con un mezzo sorriso, in un fallimentare tentativo di ironia. “E devo ringraziare solo te. Se non ci fossi stato tu io...”.

Non dirlo nemmeno!” sbottò lui, stritolandomi la mano. Liam si agitò nel sonno, disturbato dal rumore. Lo guardammo per un attimo, poi Matt tornò a fissare me.

Non voglio nemmeno pensarci” aggiunse, abbassando la voce. I suoi occhi liquidi si incatenarono ai miei, mettendomi a disagio. Non ero pronta per quello che mi stavano rivelando.

Era... troppo.

E poi ha baciato Justin” dissi con un sorriso incerto, per smorzare la tensione.

Già”. Sembrò non sapere che altro aggiungere. In effetti, che altro si sarebbe potuto dire?

Forse dovrei provare a dormire” tentai.

Lui sollevò un sopracciglio, scettico: “Con questo casino?”.

Guarda Liam come dorme pacifico” ironizzai, indicandolo con il mento.

Matt gli lanciò un'occhiata. “Chi è?”.

Il coinquilino di Justin. Ex coinquilino, in realtà: sono stati sfrattati. Per ora stanno qui da noi”. Liam stava dormendo sopra le coperte, vestito, scomposto e con la bocca aperta. Sentii un misterioso moto di affetto materno nei sui confronti. La tensione che avevo accumulato si stava sciogliendo, lasciandomi una sorta di rilassatezza, un senso di amore universale nei confronti di chiunque.

Matt non disse niente. Continuava a tenere stretta la mia mano, accarezzandola con il pollice.

Nella luce soffusa della camera, quella situazione aveva un che di intimo. Più passavano i minuti, più la sensazione di disagio scemava. Cominciavo a sentirmi a casa.

Sì, meglio che provi a dormire” asserì lui ,improvvisamente burbero, facendo per alzarsi.

No, resta” lo trattenni, senza pensare.

Brava, ma brava. Alimenta i suoi sentimenti, illudilo.

La voce dentro di me mi fece sentire una stronza, ma non avevo davvero voglia di stare da sola. Ero contraddittoria e opportunista, sì, ma non volevo stare da sola.

Mi autoconvinsi dicendomi che avevo appena subito un trauma.

Mi sfilai le scarpe e mi misi sotto le coperte, ancora vestita. Sentivo le tracce di trucco e lacrime ancora sul viso, ma non avevo nessuna voglia di passare per il bagno.

Resti ancora un po'?”. Mi sentii un mostro nel chiederlo, perché sapevo che lui avrebbe acconsentito senza riserve.

Ero davvero un'opportunista?

Forse. Ma avevo bisogno di affetto.

E Sweetheart, pur nel suo modo atipico e scontroso, sembrava traboccare di affetto per me.

Mi raggomitolai per bene sotto le coperte e Matt si sistemò accanto a me. Si mise ad accarezzarmi i capelli, dolce ma distratto, come faceva mio padre quand'ero piccola. La musica rimbombava ancora nelle casse, e sapevo che centinaia di ragazzi e ragazze stavano godendosi forse la miglior festa della loro vita. Ma per me quella festa era giunta al termine, e di certo non era stata la migliore.

Quella stanza pareva il guscio caldo e accogliente di un uovo; tutti i rumori, le preoccupazioni, le angosce erano all'esterno. Lì c'era solo pace.

Gli occhi mi si chiusero, trasportati dalle carezze sulla fronte.

Grazie, Matt” mormorai, giusto prima di sentire Morfeo attrarmi dolcemente a sé.

In risposta, mi parve di sentire un: “Buonanotte, sweetheart”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ehm.

Non odiatemi.

E' stata una festa un po' strana, che dite? Giusto qualche imprevisto qua e là.

Non so davvero cosa dire, perché questo capitolo è stato un parto. Quindi lascio a voi i commenti, sperando sempre che siano numerosi ed entusiastici xD

(E 10 punti a chi si ricorda dove Emma ha già visto la tipa con i capelli argentati!)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** The fish, the dog and the guy in the closet ***


 

 

 

Questo capitolo è dedicato alla mia migliore amica.

A colei che sopporta le mie fisime sui cavilli della trama, sui costrutti grammaticali, sui risvolti psicologici; a colei che ascolta con pazienza vita, morte e miracoli di ogni mio singolo personaggio (ormai ci riferiamo a loro come se fossero i nostri vicini di casa); a colei che legge e commenta i capitoli prima ancora che siano pronti per essere pubblicati. Avrei dovuto pubblicare questo capitolo il giorno del suo compleanno ma, ahimé, lei sa bene quanto andiamo d'accordo io e le scadenze.

Detto questo, buona lettura!

Un bacio (anche da Jeremy).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

The fish, the dog and the guy in the closet

 

 

 

 

 

Mi svegliai e mi costrinsi a non muovermi, a stare tranquilla, lasciando che i ricordi della sera precedente si rischiarassero poco a poco senza farmi del male. Fissai il soffitto con occhi sbarrati. Suoni, colori, odori, persone mi ritornavano alla mente: Jeremy, Thomas, Justin, Liam, il culturista pelato, la tizia con i boa di piume, Trevor, la Dj asiatica, i giocatori di freccette, Donna che versava una bottiglia di rum sugli addominali scolpiti di un giocatore di football...

Matt.

Ian.

Richiusi gli occhi.

Grazie a Dio, il silenzio sembrava essere tornato a far parte di quel mondo. Nessuno che urlava, cantava inni patriottici o ansimava in preda ai più bassi istinti sessuali. Nessun scoppio di palloncini, nessun rumore di bicchieri infranti, niente risate sguaiate da ubriachi.

Niente.

Solo un sacro, meritatissimo silenzio.

Quella era stata la notte più caotica della mia vita, e per vari aspetti. Mi rigirai nel letto, cercando di nascondermi ai raggi del sole. Volevo solo dormire, dormire, dormire. Mi sentivo stanca come se avessi fatto after per un mese. Aprii con circospezione un occhio e notai che Liam non era più a letto: al suo posto c'era un tizio che non avevo mai visto prima. Sospirai, decidendo che non avevo nessuna voglia di alzarmi per controllare che fosse. Alzarmi avrebbe voluto dire fare una conta dei morti e dei feriti, individuare e classificare i danni, salvare il salvabile, gettare via tutto ciò che era distrutto e/o irriconoscibile e, ultimo ma non ultimo, last but not least, rassicurare il vicinato che casa nostra non si era trasformata all'improvviso in un covo di drogati e spogliarellisti.

Quindi ignorai il nuovo arrivato che dormiva nel mio letto e mi rigirai placidamente in quello di Donna, chiudendo gli occhi.

Subito, pensai che Matt fosse rimasto a dormire, perché sfiorai un ciuffo di capelli alla mia sinistra. Poi aprii gli occhi, e capii che non poteva essere Matt, perché quei capelli non erano neri e ruvidi come i suoi, bensì morbidi, lunghi e di un bel color miele. Accarezzai distrattamente quella testa sconosciuta, che si agitò e si sollevò. Poi qualcosa di umido mi sfiorò la guancia.

Ma che cazz...!”.

Feci un salto sul letto.

Non era Matt, né nessun altro di mia conoscenza. Lì, seduto sul letto di Donna, a fissarmi giocoso a pochi centimetri dalla faccia, c'era un grosso golden retriver.

Ok, forse alzarsi sarebbe stato il male minore.

Avevo paura di cos'altro avrei potuto trovare per casa.

Feci un sobrio pat pat in testa al cucciolotto e scivolai fuori dalle coperte. Lanciai un'occhiata allo sconosciuto nel mio letto. Ah, no, non era uno sconosciuto: era Jeremy.

E non era nella sue condizioni migliori: il capelli, di solito lisci e perfetti, erano sparati in tutte le direzioni e intrecciati di stelle filanti; il cardigan era aperto, e potei così constatare che Jeremy non se la cavava affatto male in quanto ad addominali. La cintura slacciata, insieme alle tracce di rossetto sulla bocca, mi fece sospettare che avesse passato una notte di perdizione.

Sospirai e continuai la mia ispezione.

Solo nel raggiungere il corridoio, contai otto bottiglie di birra, due di vodka e una di rum.

Avevo terrore di quello che avrei potuto trovare di sotto.

Coriandoli e rotoli di carta igienica erano disseminati su tutta la moquette; palloncini a forma di cuore erano incastrati sul soffitto; sulla maniglia della porta erano appena un paio di mutandine da donna. Probabilmente la compagna di giochi di Jeremy, mi dissi.

Feci un profondo respiro e mi arrischiai di andare nell'altra stanza, quella degli ospiti. Lì il puzzo di erba era ancora vividissimo. La prima cosa che attirò la mia attenzione furono un paio di manette agganciate alla testiera del letto. Ma, adesso che lo notavo, tutta la camera aveva l'aria del set di un film porno: biancheria intima sparsa artisticamente sul pavimento, preservativi usati che spuntavano qua e là, un frustino sadomaso dimenticato sulle lenzuola. Una scarpa con un tacco altissimo, luccicante di borchie, era stata dimenticata sul davanzale della finestra.

Le tende erano state strappate. Sospirai e raccolsi un cassetto, volato dall'altra parte della stanza rispetto al comodino in cui solitamente dimorava. Dentro c'erano solo un crocifisso e una scatoletta di preservativi, vuota.

Il sacro e il profano, insomma.

Con cautela, rinfilai il cassetto nel suo giusto posto.

Evitai di indugiare ancora a lungo in quel luogo dionisiaco per non demoralizzarmi troppo. Sapevo che ci sarebbero volute settimane per ripulire quel caos. Evitai di andare in bagno e scesi le scale con prudenza.

I gradini erano disseminati di cose.

Parevano un campo minato. Evitai un paio di lattine di birra, un vaso rovesciato e distrutto, piume rosa e gialle, un portafoglio e un calzino.

In fondo alle scale trovai una boccia di vetro miracolosamente integra, ma vuota. Sospettai che il nostro piccolo Nemo avesse fatto una brutta fine.

Attraversai il corridoio.

Quasi mi prese un infarto quando udii un grugnito. Proprio lì, sdraiato supino vicino alle scale, c'era la mia amica mummia. Alias: il poveretto che la sera prima avevano incartato di scotch come un pacco regalo e trascinato in giro come un macabro trofeo. Spinta da pietà, mi misi di buona lena per liberarlo; ma era impossibile. Lo scotch si era incollato definitivamente alla sua pelle e ai suoi vestiti, per toglierlo ci sarebbero volute ore. Guardai il misero bozzolo con compassione, ma lui era addormentato e ubriaco. Decisi di lasciarlo lì.

Arrivai finalmente in cucina, dove mi aspettavo il disastro.

E il disastro c'era.

Nel microsecondo in cui avevo spalancato la porta, quasi mi ero illusa del contrario.

Illusa era la parola giusta.

Le tendine a fiori che di solito incorniciavano le finestre erano state divelte e abbandonate sul pavimento. Alcune sedie erano rovesciate, bottiglie e bicchieri ricoprivano il pavimento. Azzardai un passo, ma quasi rimasi incollata a terra. Il suolo era tutto appiccicoso e ricoperto di glitter che erano spuntati da chissà dove.

Mi feci coraggio e avanzai verso il centro della stanza. Raccattai il boa di piume che penzolava dal lampadario e rimisi a posto le sedie. Un portasapone spuntava sotto la tavola, assieme ai resti di un iPhone.

I fornelli erano ricoperti di panna montata.

Pensare di farsi una colazione era fuori discussione, dunque.

Ma il mio stomaco la pensava diversamente, quindi aprii il frigo per cercare qualcosa di commestibile.

Che cazzo ci fa un pesce in frigo?”.

Sobbalzai e mi voltai. Era Justin, comparso magicamente alle mie spalle.

Curioso come tutto ciò che riguardasse il frigorifero concernesse anche lui.

Tornai a guardare davanti a me e constatai che aveva ragione, c'era un pesce nel frigo. Proprio lì, sul ripiano più alto, tutto raggrinzito e gelato, c'era il nostro Nemo.

E' il nostro pesce rosso” commentai.

Justin afferrò con nonchalance il cartone del latte accanto al pesce.

Era, vorrai dire. Non mi sembra che stia troppo bene. A meno che...”

Prese cautamente il pesciolino e lo portò al lavandino. Lì prese un bicchiere a caso e lo riempì d'acqua, dopodiché ci mise dentro il pesce. Tornò da me tenendo alto il bicchiere. Il povero Nemo ci ballava dentro inerte, freddo e duro come uno stoccafisso, con gli occhi spalancati da maniaco.

Ti prego. E' inquietante” dissi.

Che ne sai, magari adesso si ripiglia”. Posò il bicchiere sul tavolo e tornò a ispezionare il frigo. “Ah, e in corridoio c'è una sorta di crisalide gigante che aspetta di diventare farfalla” aggiunse prendendo uno yogurt.

L'ho vista” sospirai, lasciandomi cadere su una sedia. Mi era passata la fame.

Justin chiuse il frigo, si voltò e si fermò a guardarmi. Insospettita dal suo silenzio, lo guardai anch'io. Indossava un paio di pantaloni di felpa e una canottiera nera.

Come stai?” mi chiese, con un tono del tutto diverso. Un tono serio, di chi si interessa e si preoccupa.

Sto... bene” risposi. Non sapevo fino a che punto fosse vero, ma lo dissi comunque.

Lui annuì, aprendo lo yogurt.

Da quella posizione potei notare che aveva un segno scuro vicino al sopracciglio sinistro.

Cos'hai fatto alla faccia?” gli chiesi, insospettita.

Che? Niente”.

Mi alzai e mi avvicinai. Alzai una mano fino a sfiorargli il viso, proprio nel punto violaceo sopra l'occhio. “E questo che cos'è?”.

Ah, quello” disse, scostandosi da mio tocco e trovando dietro di sé il frigorifero. “Una rissa tra ubriachi, niente di insolito”.

Una rissa? Chi ha cominciato?”.

Non lo so, era un tizio che non avevo mai visto prima. Mi ha colpito per primo e io l'ho solo rimesso al suo posto”.

Quel racconto così scarno e sterile non era da Justin. Il Justin che conoscevo io si sarebbe lanciato in una lunga e avvincente narrazione dei fatti, con tanto di particolareggiata descrizione anatomica dell'aggressore e di risvolto filosofico che quella circostanza avrebbe potuto avere sulla sua vita. Quindi o Justin stava nascondendo qualcosa, o stava mentendo. O entrambe.

E com'era questo tizio?” indagai, fingendo di esaminare preoccupata il suo livido.

Bah. Era alto e ubriaco” liquidò lui con un mezzo sorriso.

Non me la raccontava giusta. “E' successo dopo che hai portato fuori Donna, quando sono andata di sopra a controllare per quel rumore?”.

Un attimo di incertezza.

Bingo.

Sì” disse lui, di nuovo sicuro di sé.

E questo tizio era piuttosto in carne, riccio e nerd fino al midollo?”.

Sì” ripeté Justin. La sicurezza cominciava a vacillare. Avevamo parlato di Trevor solo la mattina prima, e Justin aveva capito benissimo che alludevo a lui.

E forse non è stato lui a cominciare, ma tu hai attaccato rissa a causa di Donna?”.

Il self-control di Justin andò in frantumi.

Lui voleva approfittare di lei, era chiaro!” si inalberò. Poi si accorse della mia espressione maliziosa. “Sì, insomma, lei era fuori di sé e lui ha cercato di portarsela via, e io non potevo permettere che...” continuò, tentando di riparare il danno che sapeva di aver commesso.

Sì, sì. Il tuo spirito cavalleresco ha preso il sopravvento” lo interruppi.

Sì” ammise. “Diciamo così”.

Diciamo pure che “spirito cavalleresco” si potrebbe tradurre con “gelosia bruciante”, ma forse è presto per farglielo notare così apertamente.

Justin mi lanciò un'occhiata superba, ma imbarazzata. Mi venne da ridere. Era troppo carino.

Fu Donna a interromperci, entrando in cucina con un sonoro sbadiglio. Era in camicia da notte, i capelli più crespi che mai e l'espressione soddisfatta di una ragazza che ha passato la notte a... bè, certamente non a dormire. Capii che anche Justin aveva notato questo particolare dalla foga con cui affondò il cucchiaino nello yogurt.

Buongiorno!” salutò Donna con un secondo sbadiglio. “Sapevate che c'è un tizio avvolto nello scotch in corridoio?”.

L'abbiamo visto” rispondemmo io e Justin. Donna mi fissò per un momento, ancora poco lucida, poi aprì la bocca e si gettò tra le mie braccia. Io rimasi immobile per un attimo, perplessa, ma quando lei mi chiese con tono incrinato “stai bene?”, capii.

Presi un respiro. “Sì, sto bene”. Donna si staccò, mi squadrò per un attimo e fece un cenno con il capo. Poi rubò lo yogurt dalle mani di Justin e fece il punto della situazione.

Dunque. Presupponendo che ho dei buchi pazzeschi dei miei ricordi di questa notte, ci sono delle cose che non mi sono sfuggite: Ian ha tentato di stuprarti.”

Non fui stupita dalla mancanza di delicatezza di Donna.

Ma poi” continuò “ha misteriosamente deciso che Justin gli piaceva di più e si è lanciato nel miglior bacio alla francese di sempre”.

Non c'era la lingua” la corresse Justin.

E' stato interessante comunque”.

Confermo” annuii.

Sono allucinato. Emma ha quasi subito una violenza e voi volere discutere della presunta omosessualità di Ian?” si scandalizzò Justin.

Perché, tu già lo sospettavi?” civettò Donna.

Bè, no... ma che c'entra?! Non sviare il discorso”.

Perché io mai l'avrei detto! Ian Evans finocchio. E' come una Nicky Minaj senza culo e senza motherfucker. Un mondo alla rovescia”.

Donna...”

Che hai fatto all'occhio?” chiese lei a tradimento.

Justin si bloccò un secondo, poi si strinse nelle spalle. “Ho preso un pugno da un ubriaco”.

Mi dispiace”.

Buongiorno!”

Jeremy fece la sua comparsa in cucina con un sorriso smagliante. “Sapevate che c'è un tizio avvolto nello scotch in corr...”

Lo sappiamo!” rispondemmo in coro io, Justin e Donna.

...idoio”. Jeremy alzò le mani in segno di resa e si dedicò al frigo.

Quello è Nemo?” mi chiese distrattamente Donna, notando il bicchiere d'acqua sul tavolo.

Sì. Credo che questa notte sia stata troppo per lui” spiegai.

Dici?” disse avvicinando il viso al pesce. “Bè, potremmo tenerlo così e fare finta che sia vivo”.

Che schifo”.

Era solo un'ipotesi”.

Ci sono delle uova?” si intromise Jeremy, con un sorriso che gli andava da una parte all'altra della faccia.

Come mai così contento tu?” si infornò Donna. “Hai passato una notte di libidine?”.

Puoi dirlo forte” l'assecondò, sistemandosi un ciuffo di capelli e facendole l'occhiolino.

Assurdo come il tuo fascino da checca attiri le donne”.

Siete creature banali”.

Vedendo te e Thomas si direbbe che è lui il grande scopatore, con quei bicipiti da meccanico. E invece fotti più tu con quei capelli brillantinati che tutta la periferia di Cleveland. Sconvolgente”.

Io e te siamo amici per un motivo”

Che vuol dire? Anche Emma è mia amica, e guarda che faccia da santarellina che ha!”

Eh, sai cosa si dice delle sante...”

Non mi sembra il caso di discutere della mia vita sessuale” dissi stancamente.

No, infatti. Parliamo di quella di Justin!” dichiarò Donna esultante.

Sì, parliamo di Justin” ghignò Jeremy. “Chi era la tipa che ti stavi slinguazzando verso le tre?”.

Non sono affari vostri” si irritò Justin.

Stavi copulando con una tipa e non ci racconti niente?” si offese Donna.

Non mi sembra sia il caso di parlarne ora”. Notai che era molto più nervoso di quel che volesse dar a vedere.

Che tipa era?” chiesi, pettegola.

Bionda, bassa, con un paio di pantaloncini rosa e un Louis Vuitton platealmente falsa appesa al braccio” descrisse metodico Jeremy.

Non ti facevo un tipo da bionde” commentò Donna stringendo gli occhi. Quel commento, unito al tono e all'espressione colpita di Donna, mi parve quasi una confessione.

Ci si arrangia con quello che c'è” replicò Justin, recitando una parte che chiaramente non era la sua. Ricordavo bene cosa mi aveva detto riguardo ai rapporti occasionali.

Scese un silenzio che catapultò tutti in una sorta di distacco emotivo dal caos che ci circondava. Era come se quella non fosse casa nostra, ma un set semidistrutto di una puntata del Jersey Shore.

Caffè?” disse Jeremy, per rompere quel misterioso momento di riflessione.

Credi davvero che sia rimasto qualcosa nella dispensa?” ironizzai.

Basta controllare” replicò lui smagliante.

Justin stava guardando Donna. C'era elettricità in quello sguardo.

Sai” cominciò Donna, voltandosi improvvisamente verso Justin e cogliendolo quasi in fallo “credo che ci siamo baciati stanotte”.

Jeremy rizzò le sue orecchie da radiogossip e mi lanciò un'occhiata d'intesa.

Justin aprì la bocca e la richiuse, preso in contropiede. Sembrava quasi il povero Nemo.

Però non mi ricordo bene” stava dicendo Donna senza guardarlo. Rigirava il cucchiaino nello yogurt, l'espressione corrucciata nella speranza di recuperare stralci di ricordi.

Forse mi hai confuso con qualcun altro” tentò Justin, ricevendo da Jeremy un'occhiata di commiserazione.

Donna si strinse nelle spalle. “Sì, forse mi sbaglio. Dopotutto tu eri occupato con la bionda di Louis Vuitton, no?” disse, facendogli l'occhiolino.

Ma appena si voltò per buttare il barattolo vuoto dello yogurt, la sua espressione parlò chiaro: gelosia.

Guardai Jeremy, e lui fece un brevissimo cenno di capo arricciando le labbra: aveva capito anche lui.

Insomma stanotte tutti si sono lasciati andare ai piaceri della carne. Tu Emma, niente vicende amorose di cui raccontare?”.

La mia mente corse a quel momento in cui la mano di Matt si era posata sulla mia.

No, mi dispiace”.

Ma Brian non doveva venire?” chiese Donna.

No”. Mi si strinse il cuore. “E' da un po' che non lo sento”.

Forse dovresti farti viva tu” suggerì Justin.

Donna lo guardò scandalizzata. “Scherzi? E' l'uomo che deve farsi avanti”.

Ah, questi vaneggiamenti da prime donne. Magari ha solo bisogno di un po' di incoraggiamento”.

E allora significa che non ne vale la pena. Quale donna vorrebbe mai stare con un uomo che non ha nemmeno il coraggio di invitarti fuori?”.

Forse il nostro primo appuntamento non è stato come si aspettava” ipotizzai.

Ma se eri una figa pazzesca!”.

Forse non era abbastanza”.

Anche se davvero non riuscivo a capire perché. Insomma, era andato tutto bene in quella prima uscita insieme, no? E poi Brian mi aveva chiesto di incontrarci alla festa della Milton. Certo, il fatto che io fossi ubriaca marcia e avessi perso il telefono aveva complicato un po' le cose, ma...

Impossibile. Sarebbe un idiota se non volesse rivedere una come te”.

Le fui grata di quel commento, anche se poco obiettivo. Donna era la mia migliore amica.

Stavo per replicare, ma qualcuno suonò il campanello e il golden retriver si lanciò giù dalle scale abbaiando come un forsennato.

Abbiamo un cane?” si informò Donna.

Me lo sono ritrovata nel letto questa mattina”.

Già sospettavo avessi gusti strani in fatti di partner Emma, ma così tanto...”

Diedi a Jeremy un pugno poco affettuoso sulla spalla, mentre Justin si avviava all'ingresso. Zittì il cane con un colpetto alla testa e e lo afferrò per il collare. Dopodiché aprì la porta.

Ciao, Justin”.

 

•••

 

Sandy Warren Richmond era il tipico uomo di successo: completo scuro fresco di sartoria, cravatta neutra, scarpe ben lucidate e Blackberry perennemente attaccato all'orecchio destro.

Che fosse il padre di Justin era intuibile: avevano gli stessi zigomi, lo stesso naso e le stesse sopracciglia. Il signor Richmond aveva lo stesso sguardo scanzonato del figlio, con la differenza del colore: Justin aveva occhi scuri e languidi, mentre il padre esibiva due schegge color ghiaccio molto meno attraenti. I capelli erano ancora scuri, e nessuna calvizie denotava la sua età. Anche se aveva passato quarant'anni, Richmond senior pareva proprio un giovanotto.

Ciao Justin” salutò, pacato ma cortese.

Ciao, papà”.

Justin era fermo sulla porta, di spalle, e nessuno di noi riuscì a capire che cosa rappresentasse per lui quell'apparizione improvvisa. Il cane scalpitava, cercando di liberarsi dalla sua stretta.

Mi fai entrare?” chiese il signor Richmond, ma non era una domanda.

Justin si spostò di lato e io potei vedere la sua faccia. Non era sorpreso dall'arrivo di suo padre; ne era seccato.

Richmond senior entrò in cucina, dove eravamo tutti. Ci guardò e ci sorrise.

Buongiorno. Siete amici di quel delinquente di mio figlio?”.

Più o meno” rispose Donna, sentendo il dovere di parlare in quanto padrona di casa. Jeremy si sistemò con nonchalance la cintura, ancora slacciata.

Il signor Richmond si guardò intorno. “Carino qui”.

Seguii il suo sguardo. Le piume sul tavolo, i bicchieri e le bottiglie che ricoprivano il pavimento, le tende strappate, la panna sui fornelli, i resti di mobilio da bagno sotto il tavolo.

Sì, c'è stata un po' di confusione l'altra notte” minimizzò Donna, con lo stesso tono leggero del padre di Justin.

Il Blackberry del signor Richmond si mise a squillare, ma lui rifiutò la chiamata. “Esotico direi” scherzò. Si voltò verso il figlio ancora sulla porta. Il golden retriver non si agitava più, ma ansimava con la lunga lingua rosa penzoloni fuori dalla bocca.

Justin, dobbiamo parlare” disse il signor Richmond, dolce ma autoritario.

Non ho niente da dirti”.

Ma io sì” replicò.

Il Blackberry del signor Richmond squillò di nuovo, prepotente.

Justin non rispose. Diede un'occhiata al cane e poi al padre. “Non qui”.

D'accordo. Dove vuoi”.

Justin fece cenno verso la porta, e uscì trascinandosi dietro il cucciolo entusiasta. Il signor Richmond si congedò da noi con un sorriso e uscì.

Mi vidi da fuori, con lo sguardo omicida, i capelli a cespuglio, la maglietta sformata che usavo come pigiama; Jeremy a bocca aperta, la cintura slacciata e un succhiotto sul collo. La vestaglia di Donna che scopriva il solco del seno. I glitter sparsi per tutta la stanza. Il pesce morto nel bicchiere.

Forse non eravamo esattamente la compagnia che un padre desidera per un figlio.

Credete che ci siano problemi?” chiesi, preoccupata per Justin.

Naa” liquidò Donna, grattandosi la nuca. Si voltò verso di noi con le mani sui fianchi.

E adesso” disse “liberiamoci di questo casino”.

 

 

Io e Jeremy passammo circa un'ora a srotolare la crisalide in corridoio. Per fortuna il tizio all'interno era ancora ubriaco marcio, altrimenti le sue urla avrebbero esortato i vicini a chiamare la polizia. O un esorcista.

Una volta libero dalle strisce appiccicose dello scotch lo portammo fuori e lo lasciammo dormire sulla veranda. Da come era ridotto il nostro giardino, un tizio addormentato davanti alla porta non avrebbe suscitato sorpresa.

Jeremy trovò la dj asiatica svenuta nel cortile sul retro. Dopo averle offerto una tazza di caffè -che Jeremy aveva scovato nella dispensa segreta di Donna nella camera degli ospiti- la accompagnai fino alla stazione del bus e la lasciai lì, certa che prima o poi si sarebbe ricordata del numero del bus che doveva prendere per tornare a casa.

Rientrata in casa, ci fu un urlo perforante. Donna. Salii di corsa le scale e spalancai la porta del bagno, per trovare Donna che fissava inorridita la vasca da bagno.

Un'iguana.

Un'iguana nella vasca da bagno.

Come diavolo era arrivata un'iguana nella nostra vasca da bagno?!

Dopo un cane e un pesce morto, un rettile esotico era proprio quello che ci voleva. Avremmo potuto aprire uno zoo.

Mi massaggiai le tempie.

E mentre Jeremy si dava da fare per ripulire la stanza degli ospiti -il set sadomaso- e Donna escogitava un piano per liberarsi del mostro di Lochness, io mi occupavo della cucina.

Raccolsi gran parte delle bottiglie, dei bicchieri, delle piume e dei festoni e li misi in tre grossi sacchi neri.

Quasi mi illusi di aver fatto la parte difficile del lavoro, ma guardandomi attorno fui costretta a ricredermi. Certo, non c'erano più i colori sgargianti dei festoni e delle piume, ma restavano i segni della distruzione: lampade rotte, vomito, tende strappate. Per non deprimermi decisi che a quello ci avrei pensato il giorno dopo e mi accinsi a portare fuori i sacchi dell'immondizia. Fu mentre li trascinavo faticosamente giù per i due gradini della veranda che il golden retriven tornò galoppando. Mi fece le feste con due sonori latrati. Poi si mise a leccare la faccia dell'ex mummia che giaceva davanti all'ingresso.

Justin stava tornando.

Quando fu vicino lo salutai, ma lui non rispose. La sua faccia era un puzzle di emozioni contrastanti, ma l'irritazione prevaleva. Mi aiutò a mettere i sacchi nell'immondizia senza dire niente.

Provai a spezzare la tensione con una battuta. “Carino tuo padre”.

Un fotomodello” rispose Justin accennando un sorriso. Guardammo i tentativi del cane di rianimare l'incosciente con la saliva.

Cosa ti ha detto?”.

Quello che mi dice sempre, anche se ogni volta è più diplomatico”. Mi sorrise. “Deformazione professionale”.

Giocherellai con l'orlo bucato della mia maglietta. “Non gli abbiamo fatto una buona impressione, eh?” scherzai.

No” rispose. “Ma non siete voi il problema. Il suo problema sono io. Lo sono sempre stato”.

Come può un figlio essere un problema per il padre?”.

Può, se non è il figlio che avrebbe voluto che fosse”.

Non sapevo cosa dire. “Cosa vorrebbe da te?”.

Justin fece un sorriso amaro, sempre senza guardarmi. “Vorrebbe che fossi come lui. Vorrebbe che andassi in una rinomata università inglese, che studiassi legge, che diventassi un avvocato”.

E tu invece vuoi fare l'attorucolo” lo presi un giro con affetto.

Sì” mi guardò, sorridendo. “E' quello che voglio, è quello che amo fare”.

E dirglielo non basta?”.

Fece una risata tagliente. “Figurati. Con mio padre non bastano mai gli argomenti per sostenere una tesi. C'è sempre un dettaglio, un cavillo, una clausola che porta la situazione a suo favore”.

E qual è il cavillo questa volta?”.

Bè, principalmente è venuto qui perché ha saputo che sono stato sfrattato, e Dio solo sa come è riuscito a rintracciare la casa di Donna. Ha cercato di convincermi ancora una volta che non farò mai fortuna come attore, che è un ambiente duro, che la competizione uccide; mi ha ripetuto che ormai sono un uomo, che devo cercarmi un lavoro vero che mi procuri da vivere e mi permetta di trovare una casa e non di 'vivere in una casa comune in compagnia di alcolizzati e depravati'. Carino mio padre, eh?”.

Justin, chiunque vedendoci ridotti così avrebbe detto la stessa cosa. E' legittimo e naturale che tuo padre desideri il meglio per te”.

Ma perché non riesce a capire che il meglio per lui è diverso dal meglio che voglio io?”.

Perché è tuo padre. Amate cose diverse e ciò vi porta ad essere in conflitto. E ti svelerò una grande verità: anche questo è normale”.

Justin finalmente mi guardò e sorrise.

 

Quando entrammo in cucina, c'era un nuovo ospite.

L'ho trovato ammanettato nell'armadio” commentò Jeremy vedendoci entrare. In cane fu subito addosso al nuovo arrivato, che sobbalzò versandosi il caffè addosso.

Non l'avevo mai visto prima: era un ragazzo magro, non troppo alto, con capelli color rame. Un paio di occhiali dalla montatura spessa e nera gli incorniciava gli occhi castani; esclusi quelli, l'unica cosa che indossava era un paio di boxer bianchi con una stampa a coniglietti rosa e verdi. Decisamente, l'intimo meno sexy che avessi mai visto in un uomo.

Ammanettato?” chiesi, per poi ricordarmi che Jeremy aveva ripulito la stanza dei riti dionisiaci.

Sì” rispose Jeremy, che stava mollemente appoggiato all'isola della cucina sorseggiando una tazza di caffè. “E terrorizzato. Da quando l'ho tirato fuori non ha aperto bocca”.

Lanciai uno sguardo pietoso al ragazzino e mi versai una tazza di caffè anch'io. Donna non c'era.

Andai di sopra a cercarla, ma non era neppure lì. Trovai però il mio telefono, appoggiato al comodino come la mattina prima. Sembrava essere passato un secolo.

Appoggiai la tazza e controllai se c'erano messaggi.

Nessuno.

Accantonai la delusione dicendomi che non era per nulla strano, che era passato solo un giorno. Posai il telefono, per poi riprenderlo subito. Donna aveva ragione, ma non potevo aspettare ancora: selezionai il numero di Brian e digitai un messaggio.

Hei, ciao! Scusami per la festa, non ti ho risposto perché avevo perso il telefono. Sì, so che sembra una scusa, ma davvero non riuscivo a trovarlo! Ti scrivo perché volevo sapere se va tutto bene, se magari ti va di uscire ancora...

Osceno.

Cancellai tutto e ricominciai.

Ciao, sono Emma. Non ci siamo più sentiti dopo l'ultima volta. Va tutto bene?

Fui tentata dall'aggiungere 'ti prego richiamami', ma non lo feci.

Inviai il messaggio e sospirai.

Presi la tazza piena di caffè annacquato.

La matrioska d'argento baluginò per un istante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-There's a stranger in my bed

-Glitter all over the room

-DJ's passed out in the yard

-We danced on tabletops

-Think we kissed but I forgot

 

 

 

 

 

 

E' da più di un mese che non aggiorno, lo so.

Ed ecco un'altra brutta notizia: nei mesi estivi non mi sarà possibile aggiornare. Insomma: ci rivediamo a settembre.

Spero davvero che fino a ora questa storia va abbia intrigato, e che vorrete continuare. Grazie per il vostro tempo e le vostre deliziose recensioni. Grazie alle 22 persone che hanno messo la mia storia tra le seguite, alle 6 che l'hanno inserita tra le preferite e a mary1234 che l'ha messa nelle ricordate. Mi fate sentire importante T.T

E dopo tutte queste ciance melodrammatiche, ecco il ringraziamento vero e proprio:

 

foto di Ian: http://images4.fanpop.com/image/photos/23200000/Taylor-Kitsch-taylor-kitsch-23298185-391-518.jpg

foto di Cameron: http://www.dallasnews.com/incoming/20110803-cameron-mitchell-glee-project.jpg.ece/BINARY/w620x413/cameron-mitchell-glee-project.jpp (lo sfigato ammanettato nell'armadio)

foto di Jeremy: https://mail-attachment.googleusercontent.com/attachment/?ui=2&ik=e179e17902&view=att&th=137049c702fac3bb&attid=0.1&disp=inline&realattid=f_h1nw257t0&safe=1&zw&saduie=AG9B_P-dgnzyZwi_UdqNdZMiueJU&sadet=1339242245998&sads=OFRGNA2xSvdV6aW3s3Qqu6qcbus&sadssc=1

(un po' troppo asiatico del previsto, ma è in onore di qualcuno ;D)

foto PERFETTA per Matt: http://www.facebook.com/photo.php?fbid=363463817001429&set=a.266690413345437.83969.254390591242086&type=3&theater

 

Per avere foto di altri personaggi date un'occhiata al mio BLOG:

http://xelith.blogspot.it/

 

 

 

Lasciate tante recensioni! Ciao a tutti!

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Blood and Tears ***


Blood and Tears

 

 

 

 

Liam tornò verso le sette di sera. Nessuno aveva notato la sua assenza.

L'atmosfera in casa era di pacifica indolenza. Era quel clima vacanziero quasi pigro, ma fittizio: era la calma tra due tempeste. E la festa di Donna era stata una tempesta piuttosto violenta, almeno dalle condizioni del nostro soggiorno.

Quella stronza di Jane mi ha rotto un tacco. Sono sicura che è stata lei. Quella befana si prova sempre la mia roba” stava borbottando Donna, scendendo dalle scale. Aveva un paio di scarpe in mano, delle decolleté beige.

Le riconobbi: erano quelle che volevo indossare per l'appuntamento con Brian.

Evitai di puntualizzare che cosa era realmente successo a quelle scarpe.

Che gente di merda che c'è in giro” mi disse Donna mentre mi passava accanto.

La voce Justin mi salvò da quell'ignobile situazione.

Non posso andare in giro con questa roba!” stava urlando. Era al piano di sopra. Aspettammo che scendesse le scale e scoppiammo a ridere: indossava i vestiti che suo padre gli aveva portato in un impulso di pietà.

Non era tanto la giacca blazer grigio fumo, né la camicia a quadretti blu, né i pantaloni con la piega. Era tutto l'insieme, era l'imbarazzo mostruoso di Justin di mostrarsi con quegli abiti... ridemmo per un quarto d'ora.

No... dai... in realtà non stai male...” gli dissi tra i singulti. Era vero. Pareva uno serio. Un giornalista, tipo.

Donna non era della mia opinione. “Sei terribile. Torna a vestirti da Eminem dei poveri, ti prego” sancì, scostando Justin di lato per salire le scale.

La testa di Jeremy fece capolino dal salotto. Guardò Justin.

Oh mio Dio”.

Già” rispose Justin incrociando le braccia al petto.

Jeremy scosse la testa “Non puoi andare in giro così, assolutamente”. Lo disse con un tono così da Enzo Miccio che mi fece ridere ancora. Ma come ti vesti?!

Domani ti porto io qualcosa di decente” concluse, eclissandosi dietro la porta.

Justin mi lanciò uno sguardo sconsolato. Io gli sorrisi stringendomi nelle spalle.

Lui si voltò e risalì le scale. Era ancora piuttosto scontroso e depresso da quando lo avevano sbattuto fuori di casa. Avevo come l'impressione che ci sarebbe voluto un bel po' prima di rivedere il Justin irriverente e spigliato che avevo conosciuto quel sabato sera al Bud's.

 

•••

 

Preparare la cena fu uno sforzo sovrumano. Non ero mai stata particolarmente abile in cucina, e tentare di preparare qualcosa di decente quando in frigo c'erano solo uova, sedano e burro era una vera presunzione. Alla fine andai al cinese più vicino e tornai a casa con sacchetti ricolmi di scatolette. Cominciavo a pensare che il cibo cinese fosse stato inventato proprio per le disgraziate come me che non riuscivano a cucinare nemmeno un uovo sodo.

Conclusione: io, Jeremy, Justin, Donna, Liam, Thomas (che avevo incontrato al take-away -le fatalità della vita) e il cane seduti sul tappeto del salotto a mangiare wasabi e involtini primavera.

Dovremmo dare un nome a questo cane” mugugnò Donna con la bocca piena di spaghetti mollicci.

Perché? E' un cane” replicò Justin, intento a litigare con le bacchette.

Donna inghiottì il suo boccone. “Non puoi chiamarlo sempre 'cane'! E' degradante”.

Lui mica si offende”.

Bè, a me non va. Dunque sarà battezzato”.

Come sai che è cristiano?” puntualizzò Thomas, in vena di spazientire Donna.

Che?”.

Se non aderisce alla religione cristiana magari non gli va di essere battezzato, che ne sai?”.

Magari è ebreo” buttai lì.

O shintoista” aggiunse Jeremy, serio.

O sikh” propose Justin.

Che rompicoglioni. Allora sarà una laica cerimonia di denominazione, ok?” sbottò Donna, suo malgrado divertita.

Propongo Ernie” disse subito Jeremy.

Jeremy, è un cane!” esclamò Donna. “Sei un pervertito”.

Jeremy la guardò male. “Non horny, cretina, Ernie!”.

Ah. Bé, no. Suona perverso lo stesso”.

Non è colpa mia se cogli malizia in ogni dove”.

Smettila. Io comunque lo chiamerei Aaron” affermò decisa Donna.

Che nome scemo”.

Ho un amico che si chiama Aaron. E' un coglione” disse Thomas.

Guardai il grosso golden retriver. Annusava il divano con un'espressione poco furba, la lingua molliccia penzolante fuori dalla bocca.

Diamogli un nome colto e britannico” suggerii “tipo Shakespeare”.

Sì, vabbè, Thomas Gray” sbuffò Jeremy.

Che c'è di male? Io dico Burke”.

Allora perché non Byron?” si intromise Justin.

Chaucer!”.

Shelley”.

Secondo me Oscar non sarebbe male” disse Jeremy. “Come Oscar Wilde”.

Allora tanto vale chiamarlo Ernest. Che suona come onest, ma è Ernest. In fondo i cani sono spesso migliori delle persone. Non fingono. Sono onesti”.

Ci fu un silenzio improvviso. Era stato Liam a parlare. Provammo tutti una sorta di disagio imbarazzato per la stronzata poetica che aveva sparato.

Ernest” ripeté Donna, scettica.

Sì, come L'importanza di chiamarsi Ernest, di Oscar Wilde” aggiunse Liam con lo sguardo basso, fisso sulla sua scatoletta di cibo cinese.

Dubitavo che Donna avesse così vaste conoscenze della letteratura inglese dell'ottocento da conoscere quel romanzo, ma io l'avevo portato ad un esame e mi era piaciuto molto. Mi dissi d'accordo con quel nome, e tutti gli altri si aggregarono.

Dopo il battesimo di Ernest, i discorsi virarono sul nostro nuovo ospite.

Ma quel tizio che abbiamo trovato nell'armadio?” si interessò Donna.

Sta dormendo di sopra” disse Justin. “Non mi sembra del tutto apposto”.

Nell'armadio? Di chi state parlando?” chiese Thomas salottiero.

Justin fece una smorfia. “C'era un ragazzo ammanettato praticamente nudo nell'armadio della stanza degli ospiti”.

Affascinante” commentò lui, addentando con indifferenza un involtino primavera.

Cominciano a esserci troppi uomini in questa casa” commentò Donna con leggerezza.

Lanciai un'occhiata a Justin. Aveva gli occhi incollati su Donna, e stava pensando a qualcosa molto intensamente. Qualcosa che non lo faceva stare troppo tranquillo.

Lei, ignara di tanta appassionata attenzione, posò a terra la vaschetta vuota e emise un sospiro soddisfatto.

Dunque. Riepiloghiamo. Da questa festa abbiamo ricavato: un ragazzino-bondage al piano di sopra; un cane shintoista di nome Ernest; un attore da strapazzo e un emo depresso con i capelli a scopa che prolungheranno la permanenza in questa dimora a tempo indeterminato;” -Justin e Liam guardarono il soffitto con nonchalance- “ un'iguana maledetta che non mi permette di fare il mio bagno ai sali di rosa; un ubriaco svenuto davanti casa...”

No, quello se n'è andato” interloquì Jeremy. “E' entrato a chiedere se avessimo visto il suo portafoglio e poi se n'è andato”.

Meraviglioso, uno in meno. Cosa ho dimenticato?”.

Un bacio” buttò lì Jeremy.

Ci fu un attimo di silenzio carico di tensione. Donna lanciò un'occhiata in tralice a Jeremy, come a dirgli: che cazzo stai dicendo?

Poi scoccò un'occhiata velocissima a Justin.

Giusto, un bacio” concesse, scandendo le parole. “Poi?”

La morte di Nemo, pace all'anima sua” dissi io per sciogliere la tensione. Tutti risero, più a loro agio, ma io non mi persi un solo scambio di occhiate. Io e Jeremy, senza esserci messi d'accordo, stavamo perseguendo lo stesso obiettivo.

Amen” concluse Donna, dopo aver smesso di ridere.

Seguì un silenzio placido e sonnacchioso, il silenzio tipico di chi ha appena concluso un lauto pasto. Justin si stiracchiò, nascondendo il disagio. “Film?”.

 

•••

 

Ma dai. Non è anatomicamente possibile”.

Forse solo un contorsionista”.

Ma uno bravo, però”.

Bè, ovvio. Mica uno sfigato”.

Donna e Justin si erano lanciati in una lunga discussione sull'improbabile scena di sesso del film che avevamo scelto.

Shhhhh! Sto cercando di seguire la trama!” si scocciò Jeremy.

Trama? C'è una trama?” chiesi io scettica.

Sì, e riuscirei a capire perché diavolo i mafioso stanno cercando quel tizio, se 'sti due smettessero di commentare ogni singolo fotogramma” borbottò Jeremy, incrociando le braccia al petto e affondando nel divano.

Macché commentare!” si difese Donna. “Dico solo che non è fisicamente...”

BASTA!” berciò Jeremy.

Donna si zittì. I gemiti e gli ansiti della coppia di amanti riempirono il silenzio del salotto.

Bè, ma secondo me...”

BASTA!!!” urlammo tutti.

Poi la scena hot si fece veramente indecente.

Questo voglio provarlo” rise Justin dopo un po'. “A casa voglio una cosa come quella”.

Donna fissava lo schermo affascinata. “Quando la compri chiamami, che vengo a provarla”.

Solo dopo sembrò accorgersi che quello che aveva detto avrebbe potuto suonare equivoco, e si girò a guardare Justin. Ma lui, da bravo XY, era troppo impegnato a osservare i dettagli anatomici della modella del film per cogliere sfumature erotiche della frase di Donna.

A me, però, non sfuggì quella manifestazione di imbarazzo, così atipica in lei. Guardai Jeremy; lui ricambiò con un occhiolino.

 

•••

 

Alla fine del film, eravamo rimaste solo io e Donna sul divano. Eravamo entrambe sdraiate con le gambe sopra i braccioli, quindi le nostre teste si sfioravano l'una accanto all'altra. Stavamo parlando del più e del meno, quando, neanche a farlo apposta, mi fece l'unica domanda che non avrei voluto che mi facesse.

Come va con Brian?”.

Non risposi subito, e questo insospettì il radar individua-problemi-con-gli-uomini di Donna.

Non va?”.

Non lo so. Diciamo che non lo sento da un po'”.

Da quanto, esattamente?”.

Feci un paio di conti mentali. “Da martedì, da quel messaggio alla festa della Milton. Sono...”

Sono tre giorni”.

E' grave?”.

Sinceramente?”.

No, guarda, per finta”.

Un po' grave lo è, sweetei. Se non ha voluto sentirti per così tanto tempo significa che il suo interesse per te è...”

Andato a farsi fottere?”

Volevo dire 'scemato', che è una parola molto più aulica, ma il succo è quello, sì”.

Schietta, concisa, diretta al punto. Mi piaceva quel lato di Donna.

Allora perché faceva così maledettamente male?

Dopotutto mi ero già fatta un'idea simile a quella. Dopo il primo appuntamento non ci eravamo più visti; conseguenza logica: non voleva più vedermi. Cosa c'è di più elementare in un ragionamento del genere?

Però...

Però bo. Non tutto si incastrava. Prima di tutto, ero quasi certa di piacergli. Una donna se le sente queste cose. E poi era stato lui a chiedermi un altro maledetto appuntamento. Se io fossi stata una rompiballe mostruosa non me l'avrebbe chiesto, no? Nemmeno per cortesia, no, no. Quel primo appuntamento era stato magnifico, coronato da un bacio da far vedere i fuochi d'artificio. E poi... quella dannata fossetta, il modo affettuoso con cui guardava quella sua sorella mezza matta, come mi aveva capita in un attimo, tradita da un sospiro.

Aveva detto che lo affascinavo.

Perfino il fatto che lavorasse in una pizzeria mi sembrava fosse un indizio inoppugnabile del suo interesse per me.

Quindi cos'era successo?

Certo che è proprio un cretino” stava dicendo Donna. “Non voler uscire con te! Certi ragazzi non capiscono proprio un cazzo della vita”.

Lo squillo del telefono fisso interruppe la sua arringa in mia difesa. La testa di Jeremy sbucò dalla cucina. “E' per te Donna. E' Anika”.

Donna si alzò, prese il cordless e uscì sul patio. Sentii solo un affettuoso “ciao, honey” prima che chiudesse la porta.

Anika era la sorella di Donna. Si sentivano per telefono almeno una volta a settimana, e Donna era sempre felicissima di parlare con lei. Anika aveva quindici anni, un sacco di treccine e un sorriso simpatico che ti faceva venir voglia di strapazzarla. L'avevo conosciuta due anni prima, quando lei, Donna e loro madre erano venute a trovarmi in Italia. Era un piccolo genietto già allora, quella ragazzina, altro che strapazzarla! Aveva i voti più alti di tutta la sua high school, soprattutto in matematica e fisica. Al 7th grade aveva risolto da sola un teorema insolubile, o che so io.

Donna una volta mi aveva detto: “Se non l'avessi personalmente vista uscire dalla pancia di mia madre, direi che è stata portata qui dagli alieni; non può avere il mio stesso patrimonio genetico!”.

Ma nonostante questa parentesi fantascientifica, Donna adorava sua sorella. Avevano un bellissimo rapporto, loro due e la madre.

Ok, ne ero invidiosa, sì.

Emma!”

Era stato Jeremy ad urlare. Sembrava spaventato.

Che cavolo vuoi?” gli urlai di rimando, alzandomi subito. Lo raggiunsi in cucina aspettandomi chissà quale catastrofe (tipo un pollo fritto con due teste. Era già capitato una volta), ma non notai nulla di strano. Poi Jeremy mi indicò il bicchiere sul tavolo.

E' vivo!” articolò, come posseduto.

E in effetti Nemo stava sguazzando in tondo nel bicchiere, fissando il vuoto con quei suoi occhi a palla.

Wow. E' una specie... di miracolo” dissi. “Anche se fa un po' schifo lo stesso”.

Già”.

In quel momento Liam entrò in cucina, aprì il primo cassetto, prese un lungo coltello e se ne andò.

Guardai Jeremy alzando un sopracciglio. “Pensi che voglia uccidersi?”.

Naaa”.

Poi sentimmo la voce di Justin al piano di sopra. “Porca puttana, Liam!! Metti giù quel coltello!! METTILO GIU'!!!”.

 

•••

 

Dopo aver salvato Liam da un tentativo di suicidio -aveva rischiato di amputarsi una mano- e averlo imbottito di camomilla, mi lasciai cadere, stremata, sugli scalini davanti casa.

Decisamente, quella convivenza si stava rivelando stressante.

Donna aveva urlato come un'ossessa fino a cinque minuti prima, dicendo che doveva essere impazzita ad ospitare in casa quel branco di squilibrati, e che per lei potevamo morire tutti.

Quindi aveva sbattuto la porta del bagno, chiudendosi dentro.

Per poi urlare di nuovo. Si era dimenticata dell'iguana che abitava la nostra vasca da bagno.

Ma vabbè.

Come darle torto.

Ernest -il cane- stava scavando una buca in giardino. Ansimava e guaiva come un dannato. Rimasi a guardarlo per un po', perdendo il filo dei pensieri.

Sentii un 'vaffanculo' dal piano di sopra, poi rumore di passi concitati. Justin uscì sbattendo la porta.

Si bloccò appena mi vide. “Oh. Non pensavo fossi qui”.

Sto tenendo a bada il segugio” mentii, indicando Ernest. In realtà, se fossi rimasta un altro minuto chiusa in quella casa, sarei uscita di senno. Non mi erano mai piaciute le urla.

Cosa sta succedendo adesso?”.

Il ragazzino -quello dell'armadio- si è svegliato. E ha visto Liam pieno di sangue e noi che cercavamo di togliergli il coltello di mano. Adesso è talmente terrorizzato che non spiccica parola. Io e Thomas stavamo cercando di tranquillizzarlo, ma Thomas ha poca pazienza e io in questo periodo meno di lui, quindi mi sa che stiamo solo peggiorando le cose”.

Sospirai. “Tra cinque minuti vado su io. Lasciami solo un attimo per smaltire il recente episodio splatter”.

Volevo essere ironica, e Justin sorrise. Si sedette accanto a me. “Ti capisco benissimo. Dividevo la stanza con Liam da nove mesi ormai, quindi sono abituato a certe scenate; però ricordo bene come mi sentivo le prime volte. Stai qui seduta e non pensarci”.

Sembrava un maledetto film dell'orrore!” mi agitai. “Hai visto quanto sangue?!”.

Lo so. Ma stai tranquilla adesso. Non succederà più”.

Come fai a saperlo?”.

Lo so e basta. Ora non pensarci”.

Rimasi zitta. Il cane intanto continuava tutto contento a sradicare le nostre aiuole.

Sto portando un sacco di casini nelle vostre vite” mi disse Justin. Aveva un sorriso triste in faccia.

Sapevo che si riferiva anche a quello che era successo con Ian.

Non sei tu” replicai decisa.

Prima che io piombassi qui sono sicuro che nessuno aveva mai tentato di stuprarti, né aveva cercato di tagliarsi via un braccio in camera da letto”.

No, in effetti no. Diciamo allora che forse dovresti riconsiderare le tue amicizie” scherzai, guardandolo in tralice. Indossava di nuovo maglietta e pantaloni della tuta.

Attiro le disgrazie, che vuoi farci” replicò lui, stringendosi nelle spalle.

Risi. “Pensavo di essere io, quella”.

Seguì un silenzio strano. “Come va con Brian?”.

Perché, perché tutti si intestardivano a fare quella domanda?!

Non va. Non ci sentiamo più” risposi, laconica.

Mi dispiace”.

Anche a me”.

Justin guardava fisso la strada. Ormai il cielo era buio; dovevano essere circa le dieci di sera.

E quell'altro ragazzo? Quel tizio che c'era ieri sera?”.

Chi, Sweet... ehm, Matt Dawson, intendi? Quello alto con i capelli neri?”.

Sì, lui”.

Ah. E'... un amico. Credo”.

Credi?”.

Sì. Cioè, non mi sembra nemmeno del tutto normale”.

Bè, proprio proprio tutto giusto non lo è”.

Lo conosci?!”

Sì che lo conosco. O almeno, lo conosco per sentito dire. Circolano un sacco di pettegolezzi su chiunque, in queste zone. Non hai chiesto a Jeremy, scusa?”.

In effetti era un'idea intelligente.

No, non ancora. Tu cosa sai di lui?”.

Non molto. Dovrebbe studiare medicina in Pennsylviana, se non è ancora stato buttato fuori. E tutti quelli che lo vedono in giro affermano che è perennemente ubriaco marcio. Ah, si dice anche che abbia passato una notte in prigione perché molestava la sua ex ragazza, ma questo me l'ha detto Alexis Johnson e non so quanto sia attendibile”.

Rimasi senza parole. “Lo disegni come un ottimo partito, davvero” dissi infine. “Questo sostiene la mia teoria. Sono io che attiro disgrazie”.

Sospirai e mi lascia cadere indietro. Mi sdraiai sull'ingresso, fregandomene dello schifo che c'era per terra.

Eppure lui c'era quando Ian... insomma, hai capito. Quando è successo, lui c'era; Brian invece no. Questo vorrà dire qualcosa”.

In che senso?”.

Non lo so. Qualcosa tipo karma, o destino, o che so io”.

Destino. Perché sentivo che quella parola fosse tanto importante nella mia vita?

Ah, stai zitta” mi smontò Justin. “Quello che so è che devi risolvere i problemi che hai nella tua testa, prima di caricarti dei problemi di un'altra persona, Matt, o Brian, o chi per loro”.

Cos...? Guarda che io non ho problemi”. Ma la mia voce suonò così falsa che nemmeno un bambino idiota ci avrebbe creduto.

Ti devo ricordare una conversazione avuta davanti ad un Widow Kiss, diverse sere fa?”.

Per l'appunto.

Tu non sai niente di me”. Non voleva essere un'accusa, questa. Era un semplice dato di fatto. Per quanto avessimo passato un sacco di tempo insieme negli ultimi giorni, non gli avevo mai detto granché della mia vita privata.

Lo riconosco. Ma non sempre serve sapere per comprendere”.

Aggrottai la fronte. “Una frase molto poetica, te lo concedo. Dove vuoi arrivare?”.

Justin sospirò e si appoggiò sulla mani, guardando fisso il cielo. “Tu sei naufragata qui per un qualche motivo, Emma, e ancora non riesci a trovare un appiglio solido a cui ancorarti. Donna ti trascina nel vortice della sua vita, piena di feste, sesso, alcol, ma tu non ci sei veramente dentro. Ti lasci trasportare solo perché non hai ancora capito cosa stai cercando veramente. Tu sei diversa da lei. E questa non vuole essere una critica, né per lei né per te. Siete semplicemente due persone che hanno bisogno di cose diverse per essere felici. E finché non saprai di cosa hai bisogno per essere felice, non starai bene con te stessa. E sarai destinata a rimanere qui; a lasciarti portare via dalle onde”.

Rimasi a bocca aperta. “Wow” sfiatai.

Non sarei riuscita a tracciare un'immagine più fedele di me stessa neanche pensandoci cent'anni. Quel ragazzo era proprio fuori dal comune.

Oh, Cristo Santo. Usciamo da questa casa, non ne posso più!”.

Io e Justin sobbalzammo. Donna era uscita come un uragano, sbattendo la porta e quasi investendoci. Justin mi lanciò un'occhiata, dubitando dell'equilibrio mentale della nostra amica. Donna scese i gradini del patio e raggiunse la macchina a grandi falcate. Continuava a borbottare tra sé, inferocita.

Aprì la portiera imprecando e salì al posto di guida. Mise in moto, facendo rombare il motore del fuoristrada; poi fece sbucare la testa dal finestrino. “Bè, che cazzo state aspettando? Muovetevi!”.

Guardai Justin sconcertata, per poi alzarmi e raggiungere la macchina. Justin mi seguì.

Vuoi che guidi io, Donna?” tentò Justin. “La mia Range Rover è proprio qui davanti, e tu non mi sembri in condizioni di...”

Sali e stai zitto, yokel”.

Justin alzò le mani e montò dietro. Io salii di fianco a Donna e mi misi subito la cintura di sicurezza. Avevo paura di quel che sarebbe potuto succedere.

 

•••

 

Dove stiamo andando?” chiese Justin dopo un po'.

Stavamo viaggiando da quasi mezz'ora. Mezz'ora in cui l'unico suono udibile era stato il mormorio del motore.

Da John Mitchell”.

Non avevo idea di chi fosse, anche se quel nome non mi era nuovo. Forse era stato Jeremy ad accennarmi qualcosa di quel tizio.

E cosa andiamo a fare da questo John Mitchell alle undici di sera?” chiesi, titubante. Avevo paura che Donna si infuriasse e mi urlasse addosso. Odiavo le persone che mi urlavano addosso.

Mi rispose invece con molta calma: “C'è un po' di gente, un po' di alcol...”.

Sospirai. Un festa. Perché la cosa non mi stupiva?

Proprio tipico di Donna: andare a far danni da qualche parte prima ancora di aver sistemato i danni in casa propria.

Un 'perché?' esasperato mi salì alle labbra, ma non lo lasciai uscire. Donna non avrebbe accettato obiezioni, non quella sera.

Quindi arrivammo a destinazione. Donna parcheggiò la macchina e scendemmo in silenzio.

Una musica rimbombava in lontananza.

 

•••

 

Tenni d'occhio Donna tutta la sera. Non mi piaceva in quelle condizioni. Era uno dei suoi tremendi sbalzi d'umore. L'episodio di Liam l'aveva scossa parecchio.

La era festa piuttosto figa, in verità: c'era un sacco di gente vestita bene, un dj con un'enorme consolle in giardino, una piscina piena di lanterne galleggianti. Una cosa di classe.

Scacciai un ubriaco che mi si stava strusciando addosso. Doveva essere proprio fuori di sé, poverino: struccata, con i capelli unti, con addosso tuta e ciabatte dovevo essere tutto fuorché arrapante. Donna non ci aveva lasciato il tempo per cambiarci, ci aveva trascinato via di casa così com'eravamo. Non che lei fosse messa meglio, comunque: indossava un paio di leggins grigi, una maglia da basket e una fascia per capelli con i gattini. Una cosa indecente. Però si stava limonando alla grande con un tizio piuttosto carino, quindi forse ero io ad avere un senso dell'estetica troppo sviluppato. Tipico italiano, sicuramente.

Justin era sparito.

Probabilmente era anche lui intento a dedicarsi all'altro sesso.

Così stavo lì da sola come una cretina, ad osservare Donna che placava i suoi ormoni inferociti e ad allontanare ragazzi allupati dal mio fondoschiena.

Alzai gli occhi al cielo, sperando che quella tortura finisse presto.

Poi vidi qualcosa che avrei preferito non vedere. O meglio, qualcuno che avrei preferito non vedere. Perché là in fondo, vicino al tavolo dei cocktail, Alexis Johnson rideva in tutto il suo splendore.

Merda.

E adesso? Se mi vedeva ero finita. Morta e sepolta, con tanto di crisantemi vicino alla foto sbiadita della mia lapide. Già mi figuravo l'epitaffio: Giovane coraggiosa, oltraggiata e perseguitata, è venuta meno nel tentativo di salvarsi la vita. Resterà sempre nei nostri cuori. Firmato, amici e parenti.

Dio, che tristezza.

Smisi di fissare quel mostro biondo e mi voltai, pronta a fuggire. Altro che giovane coraggiosa. Mi infilai in un gruppo di giocatori di football, che mi fischiarono dietro sghignazzando. Ma che avevano tutti?! Era la serata dell'ormone libero?!

Oltrepassai la soglia del soggiorno e mi ritrovai nel corridoio che portava nell'altra ala della casa, dove probabilmente si trovavano le camere da letto. Anche lì era pieno di gente, di rumore, di puzzo di alcol. Venni travolta da ragazzina con i capelli rossi che correva come una forsennata, che nemmeno si fermò per controllare se stavo bene. Svoltai l'angolo e mi ritrovai davanti ad una scena a cui mai avrei voluto assistere.

 

•••

 

Un flash.

Una porta spalancata.

Gemiti nell'aria.

Una schiena muscolosa. Unghie che graffiano in mezzo alle scapole.

Capelli di donna riversi sulla spalla.

Muscoli che si contraggono.

Un gemito.

Un flash.

 

Un senso di nausea mi fece barcollare. Quel deja-vu mi aveva aggredito come una cazzo di bestia.

Un ragazzo e una ragazza stavano pomiciando alla grande, avviluppati in un abbraccio intenso. Vedevo il ragazzo di spalle. Fissai quel punto tra le scapole dove la maglietta si tendeva sopra i muscoli. Era lui. Lo seppi, in quell'istante, senza nemmeno cercare di illudermi.

Brian.

Il mio Brian. Il Mr. Maybe di cui avevo favoleggiato per giorni, il cui sguardo mi aveva incatenata, ammaliata, stregata. Con quella meravigliosa fossetta che appariva solo con un sorriso, quella fossetta che avevo sognato di sfiorare con la punta delle dita. Con quel suo modo di essere, prestante, virile, e allo stesso tempo sensibile. Con quel primo e unico bacio che mi aveva infuocato mente e anima.

Quel Brian stava baciando un'altra. Lì, davanti a me. Premeva il corpo della ragazza contro la parete, mentre lei gli aveva allacciato le gambe attorno alla vita, in una posizione terribilmente intima.

Mi venne da svenire e da vomitare contemporaneamente.

Non poteva essere.

Il Brian pacato e sentimentale che avevo conosciuto quel giorno di sole al parco non esisteva più. Al suo posto c'era un animale da feste, ossessionato da sesso e alcol, che stava palpando in modo osceno una... puttana!

Probabilmente quel Brian era esistito solo nella mia testa. Era una proiezione della mia mente innamorata.

Le lacrime mi pizzicarono gli occhi.

Riconobbi quella sensazione: la delusione accecante di quando tutte le certezze riguardo ad una persona crollano. E la consapevolezza che la colpa non era sua; era mia. Perché non ero stata capace di vedere al di là delle mie sciocche illusioni, dei castelli dorati che mi ero costruita. Sciocca, sciocca ragazza. Caderci una volta, ci stava; ma due...

Brian infilò languidamente una mano sotto la maglietta della ragazza, e io dovetti andarmene.

Tremavo di rabbia e di delusione. Mi veniva da piangere.

Quanto tempo sprecato in seghe mentali! Vaneggiamenti, pensieri, illusioni per uno stronzo arrapato come quello!

Mi portai una mano al petto. Faceva malissimo, cazzo. Non ero mai riuscita a spiegarmi di come un dolore psicologico potesse procurare un così acuto dolore fisico. Di come una cosa così carnale e animalesca potesse essere condizionata da una cosa astratta e spirituale come i sentimenti.

Fatto sta, che faceva un male d'inferno.

Mi portai l'altra mano alla bocca, perché smettesse di tremare.

Mi veniva da vomitare.

Dovevo trovare Donna.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** I want you to be mine ***


 

 

 

 

 

 

 

 

I want you to be mine

 

 

 

 

Di nuovo, di nuovo, di nuovo.

Inciampai, accecata dalle lacrime. Mi sentivo soffocare in mezzo a tutte quelle persone, all'odore di alcol e di sudore. Il petto mi faceva un male d'inferno; continuavo a premerlo con una mano nella speranza di placare il dolore. Volevo solo uscire da quella casa.

Flash di Brian con quella ragazza mi graffiavano le palpebre ogni volta che chiudevo gli occhi.

Donna. Dovevo trovare Donna.

Riuscii a tornare all'affollato ingresso, ma non vidi nessuna faccia conosciuta. Un senso di abbandono mi assalì, facendomi girare la testa.

Non fregava a nessuno. A nessuno importava di me.

Singhiozzai senza ritegno, in piedi, da sola, torturandomi la maglietta all'altezza del cuore. Piangevo di tutti i fallimenti della mia vita, tutti in una volta. Volevo solo nascondermi in un buco e consumarmi di autocommiserazione.

Emma!” .

Perché tutte le disgrazie del mondo cominciavano sempre con il mio nome?

Justin, apparso in modo quasi miracoloso, si inginocchiò accanto a me. Ero caduta a terra senza nemmeno accorgermene. “Cosa c'è? Perché piangi?” gridò, visibilmente preoccupato.

Esisteva forse una domanda più difficile a cui rispondere? Avrei voluto dirgli che mi sentivo tradita, offesa, banale, inetta. Che non riuscivo a combinare niente nella mia vita. Che non ero mai riuscita in qualcosa. Che non avevo nessuno che mi amasse, che mi stimasse, che mi capisse veramente. Ma non riuscii a dire nulla di tutto ciò. Quando piangevo le parole mi si incastravano in gola, e tirarle fuori era doloroso a livello fisico.

Justin fu gentile. Mi portò fuori, in un posto tranquillo, un angolo di giardino in cui non c'era nessuno. Ascoltò i miei singhiozzi, i miei vani tentativi di dare una spiegazione; asciugò le lacrime e il moccio dal naso come si fa con i bambini.

Questo non fece altro che farmi stare ancora peggio. Lui non avrebbe dovuto stare lì a consolare una cretina come me. Avrebbe dovuto divertirsi, godersi la serata, stare con Donna. Se stavo così male era solo colpa mia. Brian viveva la sua vita, niente di più. Ero stata io a illudermi, a travisare i segnali, a costruire una relazione immaginaria con l'idea che avevo di lui.

Non potevo avere la presunzione di sentirmi tradita. Lui non aveva tradito proprio nessuno. Al massimo, io avevo tradito me stessa. Avevo rotto una promessa che mi ero fatta molto tempo prima.

Emma, su. Calmati”.

Quando Justin mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, io sentii il desiderio di scostarmi. Non volevo che mi toccasse. Ma rimasi ferma, sapendo che quel gesto l'avrebbe ferito.

Certo che era proprio un'ingrata. Lui mi stava aiutando, e io pensavo solo a me stessa.

Presi due profondi respiri e ringraziai Justin, ma gli dissi che avrei voluto rimanere sola per un po'. Lui non voleva andarsene, ma io insistetti. Gli ripetei almeno otto volte che adesso stavo bene.

Lui mi guardò preoccupato, e infine se ne andò.

Appena lo vidi scomparire in lontananza, tirai fuori un fazzoletto e mi pulii il viso con rabbia. Le lacrime mi avevano svuotato. Non sentivo più niente. C'era solo una sorta di nervosismo che mi non mi faceva stare tranquilla. Una rabbia inconscia contro qualcosa di altrettanto vago e indefinito.

Non pensavo a Brian, non più.

Brian era solo l'ennesima persona che mi aveva ferito, forse anche senza volerlo. Dovevo smetterla di mettere la mia felicità nelle mani degli altri.

La mia felicità ero io.

Mi alzai con furia e mi avviai verso la casa di John Mitchell.

 

•••

 

Ma nonostante quella rivelazione, quel vuoto dentro di me non accennava a sparire.

E quale modo migliore per riempire un vuoto, se non imbottirlo di alcol?

Afferrai un red cup e lo riempii con la prima bottiglia che mi capitò sotto mano. Il sapore terribile della tequila mi lasciò una scia bruciante dalla gola allo stomaco.

Feci una smorfia di disgusto e lo riempii di nuovo, febbricitante. Non capivo il motivo di quello che stavo facendo, agivo e basta. Non volevo più pensare.

Una sensazione di appagamento mi fece dimenticare il vuoto all'altezza della pancia, ma non mi rese più tranquilla. C'era una sorta di agitazione ancestrale che mi scuoteva tutta. Non sapevo. Non capivo.

Bevvi d'un fiato anche quel secondo bicchiere, stavolta di gin lemon. La testa mi girò, ma fu un attimo. Quando il mondo smise di girare, la musica mi sembrò più forte, la sala più affollata, i ragazzi più carini.

Strinsi il bicchiere fino a romperlo. Lo osservai e mi stupii di me stessa. Poi lo lasciai cadere a terra.

E mi buttai nella mischia.

Mi misi a ballare senza pensare più a niente, guidata dal ritmo altissimo, dall'euforia, dalla tequila. Ero arrivata ad uno stato di incoscienza in cui il dolore non poteva toccarmi.

Un ragazzo mi si avvicinò da dietro, afferrandomi per i fianchi. Un calore mi salì in tutto il corpo, accendendomi. Mi chiesi perché no. Non ne avevo forse il diritto, io?

Mi girai. Era un ragazzo di colore, con un cappello da hip hop. Era sexy. Lo baciai.

E da lì persi il controllo di me stessa. Non pensavo, non volevo pensare.

Tutto ciò che esisteva erano la musica e le sue labbra sulle mie.

Era da tanto che non baciavo qualcuno con quella furia. La sua lingua si scontrava con irruenza con la mia, violando la mia bocca. Il piercing che aveva sulla lingua mi stuzzicava. Il calore saliva, saliva, senza tregua. Avevo un caldo d'inferno.

Le sue mani trovarono presto la strada verso il mio reggiseno, e io le lasciai fare. Poi lui cercò di slacciarmelo, e io mi staccai fingendomi offesa. Lui mi guardò strano, ma io risi e me ne andai. Cercai un'altra preda.

Mi ritrovai tra le braccia di un ragazzo carino, ma troppo alto. Anche se aveva un buonissimo sapore, baciarlo era scomodo. Lo scaricai per un biondino poco più basso di me, che infilò senza troppi riguardi le mani nei miei pantaloni. Mi scostai ridendo, e andai a prendermi un altro bicchiere. Buttai giù altra tequila. Il vuoto dentro di me sembrò sorridermi, sazio.

Mi feci un tizio che pareva spagnolo, poi una lesbica, poi un ragazzo orrendo che però baciava come un dio.

Lo scaricai per un figo pazzesco che mi sbatté contro un muro. Quando lui si staccò per baciarmi il collo, sorrisi. Ecco la mia felicità.

Gli presi con violenza il viso tra le mani, anche lui mi sorrise. Aveva le fossette. Lo baciai con passione, allacciando le braccia dietro il suo collo.

Ci ritrovammo in una camera da letto, sdraiati l'uno sull'altro. Prima che potessi accorgermene, lui mi aveva sfilato i pantaloni. Io non lo fermai. Lo desideravo. Lo volevo dentro di me, in un istinto ancestrale e animalesco, senza sentimenti, senza preoccupazioni, senza conseguenze.

Senza smettere di baciarmi il collo, lui mi sfiorò da sopra gli slip. Ansimai, inarcando la schiena.

Di più, pensavo. Di più. Adesso.

Mi morse il collo. Gemetti, pendendo il controllo. La sua mano vagava rude tra le mie cosce, sfiorandomi veloce e accorto, ma senza mai arrivare nel punto in cui si concentrava tutto il mio desiderio. O non sapeva cosa stava facendo, o era bravo davvero. Mi stava facendo impazzire.

Ormai non controllavo più i miei ansiti.

Il tizio fece scorrere le dita sull'orlo dei miei slip, sollevandolo un poco.

Oh mio Dio, sì.

Proprio in quel momento, qualcuno aprì la porta.

 

•••

 

What the fuck...?”.

Con uno scatto dell'interruttore, la luce si accese. Sussultai.

Hei, non hai capito. Abbiamo da fare qui” disse scocciato il tizio con le fossette, girandosi verso il motivo dell'interruzione.

Tu non hai capito. Levati da lei. Immediatamente”.

Mi sentii morire quando riconobbi quella voce.

Il mio amante si sollevò sulle ginocchia per affrontare il nuovo arrivato, lasciandomi scoperta e indifesa. Mi tirai giù la maglietta, arrossendo, cercando di nascondere, insieme alla pancia, quello che era successo. Ma niente avrebbe mai potuto farmi dimenticare il modo in cui Matt Dawson mi guardò in quel momento. Il suo sguardo rovente mi percorse da cima a fondo, sfiorando le mie gambe nude, il mio intimo bianco, la maglietta stropicciata, il viso congestionato.

Quello sguardo mi fece stare male. Riuscì a farmi vergognare di me stessa.

Che problema hai?” si scaldò il tizio con le fossette.

Tu sei il mio problema. Levati da lì”.

L'altro si alzò dal letto, incazzato. “Scusa?” ringhiò.

Matt tremava, come era solito fare quando era presa di una violenza emozione. Stringeva i pugni in modo spasmodico, fissando l'avversario con quel suo sguardo fisso e furioso.

Matt era più alto, ma l'altro aveva il fisico piazzato di un giocatore di rugby e avrebbe sicuramente avuto la meglio. Sweetheart non aveva l'aria di uno che aveva fatto a botte tante volte in vita sua. Mi alzai precipitosamente, mettendomi in mezzo. Ero in mutande, ubriaca e egoista, ma non avrei permesso che qualcuno si facesse male a causa mia.

FERMI, tutti e due. Lui è... mio fratello. E' venuto a prendermi”.

Il tizio con le fossette sembrò ridimensionare la sua rabbia. Probabilmente anche lui aveva una sorella minore da difendere dai brutti ceffi, e sembrò comprendere. In questo modo il suo orgoglio maschile non ne avrebbe risentito e noi avremmo potuto filarcela senza problemi.

Mi infilai in fretta i miei pantaloni e presi Matt per un braccio. Lui si lasciò trascinare fuori senza dire una parola.

Percorremmo tutto il corridoio e la sala d'ingresso, guadagnando infine l'uscita. Solo allora, nella calma del giardino, Matt esplose.

CHE CAZZO STAVI FACENDO?”.

Me lo aspettavo, ma quella furia così gratuita mi lasciò spiazzata lo stesso.

Matt, io...”.

Non eri persa per tale Brian Hustings? E ti scopi chiunque ti capiti?!”

Questo mi ferì. “Io non scopo nessuno!” ribattei offesa. Come diavolo faceva a sapere di Brian?!

Ah no? E quello chi era?!”.

Non sono comunque affari tuoi!”.

Se fino ad un attimo prima era riuscito a farmi sentire in colpa, ora volevo solo litigare a morte. Era lui ad essere nel torto. Non aveva niente a che fare con me e con la mia vita. Le mie relazioni non lo riguardavano.

Sì, invece! Quel tizio voleva solo approfittare di te!”.

Era vero. Ma non gliel'avrei data vinta. “E se fossi stata io ad approfittare di lui? Che ne sai tu?”.

Lui scosse la testa. “Non è vero, e lo sai. Smettila di dire cose che non pensi. Hai bevuto”.

E allora? Tu sei perennemente ubriaco marcio!!”.

Fu come se l'avessi schiaffeggiato. Prese un respiro e mi guardò intensamente. “Calmati adesso. Hai bevuto” ripeté.

Avanzò di un passo verso di me, e io indietreggiai.

Smettila!” gridai. “Smettila di perseguitarmi, smettila di preoccuparti, smettila di intervenire nella mia vita!!”.

Lui mi guardò. Il suo sguardo diceva tutto, e io mi sentii morire.

Quasi scoppiai a piangere.

Smettila di amarmi!, avrei voluto urlare. Io non ti merito.

Lui si avvicinò ancora, e io mi misi definitivamente a piangere. Mi avvolse in un abbraccio, e io soffocai i singhiozzi sulla sua spalla.

Brian si stava facendo un'altra” confessai tra le lacrime. Mi stupii di me stessa, e diedi la colpa all'alcol. Da sobria non avrei mai e poi mai confessato qualcosa di così privato.

Matt non disse niente e mi strinse più forte tra le braccia. Io singhiozzai ancora di più. “Non mi vuole! Non mi vuole!”.

Sssshh” mi cullò lui. Ma io ormai avevo rotto gli argini. “Credevo che lui fosse quello giusto! Era perfetto! Perfetto!”. “Nessuno è perfetto” mormorò Matt contro i miei capelli.

Lui lo era. Nella mia testa lo era”.

Rimasi in silenzio per un po', dando sfogo alle lacrime.

Lui mi accarezzava i capelli, io torturavo con le dita il bordo della sua T-shirt.

Scusami” sussurrai contro la sua spalla. “Non so perché ti sto dicendo queste cose. Non sono in me”.

Non ti devi preoccupare con me”.

Un'altra pugnalata al cuore. Mi staccai dal suo abbraccio. “Non voglio approfittare di te, Matt. Tu sei gentile, sei carino con me, ma... sei strano. Io non ti capisco”.

Lui non rispose. Rimase lì a guardarmi, così solo e freddo senza me tra le braccia.

Io...” cominciò. Poi si bloccò, si innervosì, si infilò le mani in tasca. Io lo guardai confusa, aspettando che continuasse. “Io voglio il meglio per te” disse infine.

Io feci un sorriso amaro. “E pensi di essere tu il meglio per me?”.

Mi guardò dritto negli occhi. Mi avrebbe fatto sentire a disagio, se non avessi avuto mezzo litro di tequila in corpo.“Sì” rispose, cristallino.

Quella risposta così convinta uccise il mio sarcasmo. Non potevo permettere che lui continuasse a farsi illusioni su di me, su di noi; una persona non può, da un giorno all'altro, entrare nella vita di qualcuno ed esigere di farne parte.

Presi fiato. “Tu... noi... noi non siamo niente, Matt. Tu non mi piaci”.

Sapevo che l'avrei ferito, ma lo dissi lo stesso.

Credi che non lo sappia?” replicò rude lui. “Credi che non sappia di essere un folle senza speranza? Eppure non riesco a smettere di pensare a te, Emma. Voglio proteggerti. Voglio che tu sia mia”.

Rimasi senza parole.

Non mi aspettavo una dichiarazione tanto diretta, né tanto risoluta.

Come faceva una persona a trovare una determinazione tanto potente da scavalcare il senso comune, il pensiero della gente, la realtà stessa? Come poteva essere tanto innamorato di me, dopo che gli avevo detto quelle cose, dopo che mi aveva visto nei miei momenti peggiori?

Non sapeva niente di me, niente.

Ma cosa sapevo, io, di Brian?

Mi venne da ridere e da piangere allo stesso tempo. Mi strofinai la fronte con una mano. “Non so cosa dire” ammisi.

Non dire niente” mormorò lui, senza guardarmi. Poi si voltò verso di me e mi allungò una mano. Non sapevo cosa aspettarmi.

Lui fece una smorfia. “Ti porto a casa”.

 

•••

 

Mi svegliai la mattina successiva con un mal di testa da Guinnes dei primati. In casa regnava un silenzio sovrannaturale; nessuno stava cucinando uova e toast in cucina, nessuno stava russando in modo molesto, nessuno abbaiava, gemeva o rideva. C'era una pace che non ricordavo da tempo, in effetti.

Brian.

Quella apparente serenità si disintegrò in mille pezzi. Richiusi gli occhi, desiderando fuggire dalla mia vita. La sera precedente si sarebbe potuta catalogare, imballare e etichettare come una delle serate peggiori della mia intera esistenza. Non solo mi ero sfinita a forza di piangere per uno stronzo insensibile, no! Avevo vomitato tequila e cibo cinese per almeno un'ora, obbligando Matt non solo a riportarmi a casa, ma a spogliarmi, lavarmi e mettermi a letto; Donna e Justin non erano stati irraggiungibili al telefono per tutta la notte, così che Matt, per non avermi sulla coscienza in caso fossi entrata in coma etilico o tentato il suicidio durante la notte, era stato costretto a rimanere con me fino all'alba.

Avevo sempre odiato il senso di colpa. Mi faceva sentire così impotente, e sbagliata, e inadeguata. Il punto era che io non volevo sentirmi in colpa. Avrei preferito che nessuno mi aiutasse, piuttosto. Mi ero messa in quel casino da sola, e da sola dovevo uscirne.

Mi alzai, ma una violenta vertigine mi fece ricadere sul letto. Dovetti aspettare che il mio cuore impazzito si calmasse, prima di riprovare. Al secondo tentativo, riuscii ad alzarmi. Mi guardai triste allo specchio.

I capelli erano tutti appiccicati al cranio, pregni di sudore e di odore di alcol. Matt mi aveva ficcato sotto la doccia solo per lavarmi via il vomito, tralasciando l'uso di shampoo e balsamo. Forse il fatto che io mi stessi abbandonando ad un'appassionata interpretazione di Hit me with your best shot non gli aveva facilitato il compito.

Indossavo il mio pigiamone con i pinguini e avevo due occhiaie scure che avrebbero fatto invidia all'intera famiglia Cullen. Decisamente, non ero in forma smagliante.

Andai in bagno e mi concessi una lunga doccia calda. Rubai perfino un po' dei sali di Donna con cui mi sfregai gambe e spalle, giusto per sentirmi un po' meno scialba.

Uscii dalla doccia e mi accorsi dell'iguana. Mi stava fissando orribilmente. Presi il phon e glielo puntai contro, accendendolo alla massima potenza. Lei non si mosse, annoiata.

Presi ad asciugarmi i capelli, sospirando.

Il mal di testa non accennava ad andarsene. Sistemati i capelli alla meno peggio, andai giù in cucina a farmi un caffè.

Ma dov'erano tutti? Quel silenzio innaturale cominciava a preoccuparmi.

Adesso chiamo Donna.

Ma proprio in quel momento il citofono suonò.

Lasciai la moka sul fornello e mi avvicinai all'ingresso. Aprendo la porta, sorrisi nel modo più convincente possibile. Ero certa di trovarmi davanti Donna, Justin e probabilmente Jeremy, appesi l'uno all'altro che ridevano come pazzi con la faccia stravolta quanto la mia.

Ma non fu così.

Davanti a me si stagliava il ragazzo della posta, con quel suo sorriso finto e i capelli troppo ricci e lunghi. In mano stringeva un grosso mazzo di fiori, che aveva tutta l'aria di essere per me.

Emma Villoresi?”.

Per l'appunto.

Sono io”.

Il ragazzo mi consegnò il mazzo, poi si chinò e mi ficcò tra le braccia anche un grosso pacco marrone. Fin troppo contento di essersi disfatto di quel carico, il ragazzo se ne andò senza nemmeno rivolgermi un “arrivederci” di cortesia.

Corrugai la fronte e chiusi la porta con un piede. Tornai in cucina e appoggiai quelle novità sul tavolo.

Il mazzo era bello, ma aveva un che di familiare che fece scattare un campanello di allarme nella mia testa. Quelle rose gialle le avevo già viste...

Strappai via il biglietto pinzato sulla carta trasparente e lo lessi. Lacrime di rabbia mi pizzicarono gli occhi, improvvise e odiose come quelle poche parole incise sulla carta con inchiostro blu.

Ridussi il biglietto in mille pezzi prima ancora di rendermene conto. Mi tremavano le mani. Afferrai lo scatolone e lottai contro il nastro adesivo. Alla seconda unghia rotta presi un coltello. Trafissi il pacco e lo aprii come faceva la nonna di Donna con il tacchino del giorno del ringraziamento: brutalmente e con una certa dose di sadismo. Buttai a terra le formine di polistirolo e liberai l'oggetto di tanta devozione. Una cornice di peluche, rossa, a forma di cuore. Riconobbi la foto racchiusa nel vetro. Era una vecchia foto scattata anni prima, il giorno del mio diploma. Dio, com'ero piccola. E decisamente orribile con quella frangia. Ma pur essendo in primo piano, non ero io il soggetto principale di quella piccola putrida immagine. Era lui.

Lui mi abbracciava da dietro, intrecciando le sue dita con le mie, e mi posava un bacio sulla tempia. Un gesto che una volta mi sembrava così naturale...

Fui tentata di scaraventare tutto a terra, fiori compresi.

Ma ero come paralizzata. Mi rigirai la cornice tra le mani. Un oggetto talmente pacchiano e ridicolo che solo a lui sarebbe potuto sembrare romantico. Trovai un'altra scritta, che si vedeva appena, sul retro della cornice.

Possiamo ancora essere così”.

Possiamo ancora essere così” ripetei, stringendo i bordi della foto. “Possiamo ancora... essere così”. Le nocche mi stavano diventando bianche.

Possiamo...”

Presi il mazzo di fiori, respirando forte.

...ancora...”

Andai verso la porta.

...ESSERE COSI'!!”.

Scaraventai la cornice a terra, che rimbalzò nel suo tessuto di peluche. Questo mi fece uscire dai gangheri. La raccolsi da terra e la sbattei con forza contro il corrimano delle scale. Il vetro si incrinò. Una riga correva in diagonale, deturpando la faccia della vecchia me. Lui invece era ancora intatto, sospeso in quel bacio senza tempo. Lo scagliai a terra, mentre le lacrime minacciavano di nuovo di fare capolino. Afferrai i fiori e li strappai uno ad uno, ferendomi le dita con le spine. Distrussi perfino il pacco, riducendo in briciole il polistirolo e il cartone della scatola.

Fu proprio mentre ero a terra, esangue, che lottavo disperatamente contro due pezzi di cartone troppo ostinati, che il campanello suonò di nuovo.

Ero troppo arrabbiata e ferita per pensare di guardarmi allo specchio, e aprii così com'ero.

Con mia enorme sorpresa, furono gli occhi paludosi di Matt Dawson a incrociare i miei.

Che chi fai qui?” pigolai, la voce improvvisamente incastrata in gola come un osso di pollo. La consapevolezza di indossare un accappatoio rosa che mi arrivava parecchio sopra il ginocchio mi aggredì all'istante.

Lui sembrò soppesare la situazione con perizia clinica. Notò i fiori sparpagliati sulla moquette, le migliaia di palline di polistirolo, i due squarci di cartone che ancora tenevo in mano; poi guardò me.

Quello che vide gli intristì lo sguardo.

Ero venuto ad assicurarmi che stessi bene”.

Avrebbe quasi potuto sembrare una battuta, per quanto surreale fosse quella situazione.

Sto benissimo, non vedi?” replicai, sull'orlo di nuove lacrime.

Vedo, sì”.

Rimanemmo lì a fissarci, entrambi a disagio. Ero psicologicamente distrutta e praticamente svestita, ma sapevo che non avrei potuto cacciarlo via, non stavolta. Non dopo che mi aveva rimboccato le coperte. Non dopo che aveva dovuto sopportare una mia esibizione canora mentre mi lavava via il vomito dai vestiti.

Feci un profondo respiro e mi scostai di lato.

Ti va un caffè?”.

 

•••

 

Fu stranissimo avere Matt in casa.

C'era già stato, sì, ma adesso era diverso. Era mio ospite. In casa c'eravamo solo io e lui.

Gli offrii il caffè, che miracolosamente non aveva ancora strabordato dalla moka. I miei deliri di sterminio di materiale domestico non dovevano essere durati molto, dunque.

Quindi, ehm” cominciai, non potendo più sopportare quel silenzio. “Bè, prima di tutto, credo di dovermi scusare per ieri. Sono stata... patetica”.

Sì, patetica era proprio la parola giusta.

Lui sollevò lo sguardo dalla sua tazzina. Era seduto sulla sedia in modo innaturalmente rigido, e pareva, se possibile, ancora più scorbutico del solito.

Non importa”.

Uhm. Non importa. Grande frase, d'effetto. Utilissima per mandare avanti una conversazione.

Mi guardai attorno, come se sulle figurine magnetiche attaccate al frigo potessi trovare un brillante argomento con cui portare avanti quel tentativo di socializzazione. Sweetheart certamente non contribuiva allo scopo.

E... non fare caso alla confusione. Ho avuto una... crisi di nervi”. Facevo pause molto lunghe per obbligarmi a respirare.

Lui prese un sorso di caffè, non curandosi di rispondere.

Non riuscivo a capire, davvero. Perché venuto fino a lì, se non sembrava intenzionato nemmeno a rivolgermi la parola? Solo la sera prima aveva confessato di (amarmi?) volermi, e adesso appariva scocciato di dover star lì ad ascoltare le mie scuse. Beveva il suo caffè in silenzio, guardando fuori dalla finestra. Che cavolo vuole da me questo pazzo?

Sospirai, e mi alzai per lavare la tazzina, quando anche Matt si alzò di scatto. “Lui non ti merita”.

Rimasi lì a fissarlo come se fosse pazzo, con la tazza stretta in due mani.

Lui non ti merita” continuò, accorciando la distanza tra noi. “Ed è un idiota se ti lascia andare via”.

Cosa?” mormorai, cadendo dalle nuvole. “Chi è un idiota?”.

Quel Brian! O... chiunque ti abbia mandato questi fiori per scusarsi con te”. Allungò una mano per togliermi un petalo giallo impigliatosi nei miei capelli.

Era carino a dirmelo, ma...

Forse l'idiota sono io” ammisi sorridendo, mentre lottavo per ricacciare indietro le lacrime. Basta piangere, Emma.

Matt scosse la testa con enfasi. “Impossibile”.

Era improvvisamente diventato nervoso e loquace. Che fosse bipolare?

Quel pensiero mi fece ridere, mentre la prima lacrima mi scivolava giù dalla guancia. “Ho rotto una promessa che mi ero fatta. E' mia la colpa”.

Lui mi guardò come se fossi impazzita. I suoi occhi liquidi parevano infiammati, come benzina che brucia sull'asfalto.

Strinsi la tazzina e respirai forte. “Mi ero ripromessa di non innamorarmi mai più di uno stronzo. Di stare attenta, di non bruciare le tappe, di conoscere a fondo una persona prima di mettere tutta la mia vita nelle mani di qualcun altro”.

Lui rimase zitto, pensoso.

E invece ho fallito” continuai, posando finalmente la tazza nel lavandino. “Ho tradito me stessa. E adesso ne pago le conseguenze”.

Seguì un silenzio davvero opprimente. Lui si infilò le mani nelle tasche dei jeans.

Una saggia promessa, davvero. Non poteva che fallire”.

Lo guardai con cattiveria, non capendo cosa intendesse dire.

Scusa?”.

Lui addolcì il tono e tornò a guardarmi negli occhi. “Nel momento stesso in cui diciamo “Io giuro” inconsciamente sappiamo che non riusciremo a mantenere fede a quella promessa. Se sentiamo il bisogno di giurare, è perché non ci sentiamo sicuri. Se fossimo sicuri non giureremmo, non lo faremmo, non ci verrebbe nemmeno in mente”.

Perché tutte le persone che incontravo si improvvisavano poeti e filosofi? Prima Justin, poi Matt. E perché tutti avevano da dire cose così fottutamente intelligenti da farmi sembrare un'oca scema?

E' facile giudicare, da fuori” ribattei alzando il mento.

Matt mi guardò. I suoi occhi erano tornati foschi, pieni di ombre misteriose. “Sì” confermò. “E' facile giudicare da fuori”.

Capì che era un'accusa. Lo capii da quel modo triste di guardami, dalle spalle contratte, dalle mani ostinatamente infilate nelle tasche.

Improvvisamente mi sentii male per lui. L'avevo giudicato, deriso e offeso senza nemmeno conoscerlo. Non sapevo una singola cosa di lui. Solo voci, chiacchiere, maldicenze. E lui non mi aveva mai rifiutato niente, quando gliel'avevo chiesto. E anche quando non gliel'avevo chiesto. Era stato lui, immemore tempo prima, a issarmi su un muro di cinta quando un poliziotto isterico mi inseguiva. Era stato lui a salvarmi da Ian prima che... prima che...

Scoppiai a piangere.

Piansi per la mia incapacità, per il mio orgoglio, per gli innumerevoli fallimenti che sembravo decisa a voler conseguire nella mia vita.

Mi ritrovai avvinghiata a Sweetheart singhiozzando come una bambina. Lui mi accarezzò la schiena con gesti brevi e nervosi, probabilmente a disagio.

Da quando sono diventata così lagnosa? pensai dispiacendomi per Matt, costretto ancora una volta a sopportare le mie paturnie.

Piansi per un bel po', mugolando sulle sfighe cosmiche della mia vita, sulla mia inettitudine, sul mio ex ragazzo che mi aveva tradita. Ebbene sì. Roberto Torre, dopo un fidanzamento di ben sette anni, si era fatto beccare dalla sottoscritta a fornicare con la cugina di secondo grado. Ok, la cugina faceva la modella. Ok, lui era ubriaco. Ma sono forse scusanti per un tradimento in piena regola davanti agli occhi innocenti del mio gatto? Direi di no.

Adesso basta piangere”.

Fu Matt a dirlo, scostandomi da sé. Mi asciugò rudemente le lacrime con i pollici e mi ravviò una ciocca di capelli finita fuori posto. Aveva ascoltato la storia delle disgrazie della mia vita senza proferire sillaba.

Tu sei perfetta, Emma. Non devi soffrire per nessuno”.

Era arrabbiato. E, in modo assurdamente spontaneo, capii che quello era il suo strano modo per dimostrare l'affetto che provava per me.

Nessuno è perfetto” lo canzonai, accennando un sorriso tra le lacrime.

Tu sì”.

E mi baciò.

 

•••

 

Fu un bacio arrogante, che mi svuotò il cervello in un secondo. Mai, mai mi sarei aspettata un gesto così irruento. Una vocina nella testa mi disse che avrei dovuto prevederlo, considerate le premesse. Ma era riuscito lo stesso a cogliermi impreparata, e il suo bacio sortì su di me l'effetto di una bomba atomica: mi sentii alla deriva, sperduta; pensai di svenire, ma le sue braccia mi tenevano ancorata al suolo.

Ed era una prigione così dolce...

Ricambiai il bacio.

Disperatamente.

Mi aggrappai a lui come se fosse un dannato pezzo di legno nel mare in tempesta che era la mia esistenza. Lui si staccò.

Quello che vidi nei suoi occhi mi capovolse lo stomaco.

Un fuoco liquido, una lava lenta e ribollente. Con quello sguardo mi avrebbe spogliata e presa lì, all'istante. Quello sguardo prometteva notti intere di lussuria, di passione, di... amore.

Ma avrebbe aspettato. Avrebbe aspettato perché Matt mi rispettava e mi voleva; voleva me, non il mio corpo.

Sapevo riconoscere l'amore quando lo vedevo.

L'avevo visto per anni, riflesso negli occhi di Roberto. Ricordavo il suo sguardo languido dopo una notte passata a fare l'amore. Il suo respiro spezzato quando ci perdevamo l'uno nell'altra. Il modo in cui la sua espressione si scioglieva in un sorriso quando dicevo di amarlo.

Sì. Lui mi aveva amato davvero. Dopo di lui non c'era stato nessuno.

Solo lì, negli occhi di Matt, ritrovai quell'amore.

Come biasimarmi se vi cedetti all'istante?

Riaffondai in quel bacio, annegandoci. Non volevo pensare più a niente.

Ti prego. Fammi dimenticare. Ti prego.

Lui mi amava. Mi amava. E io avevo un disperato bisogno di amore. Chi l'ha provato una volta sa quanto è difficile accontentarsi di meno, accontentarsi del sesso senza sentimenti. E' impossibile. E' distruttivo.

Ma io non l'avevo forse cercato, desiderato, quell'oblio dei sensi, senza preoccuparmi delle conseguenze?

Poi Matt afferrò il nodo che stringeva l'accappatoio e io persi la facoltà di pensare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e mi scuso per il perenne ritardo. Ma il prossimo capitolo è già in progettazione e prometto che non tarderà ad arrivare, con tutti i succosi avvenimenti che esso comporta ;)

Lasciate una recensione per farmi contenta! A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** A Turning Point ***


 

 

 

A Turning Point

 

 

 

 

 

Mi svegliai nel mio letto, da sola.

Fu triste, ma fu anche un immenso conforto. Mi alzai svogliatamente e mi infilai le ciabatte. Tesi le orecchie, cercando di capire se ne frattempo qualcuno fosse rientrato a casa. Un lieve russare mi confermò la presenza di Liam nella stanza accanto. Il letto di Donna invece era vuoto, sfatto da giorni.

Avevo il morale a terra.

E quello che è successo con Matt non aiuta, vero?

Zitta, vocetta di merda.

Lisciai con una mano le lenzuola, fissando il vuoto con espressione sconfitta.

Dovevo riprendere in mano la mia vita, capii. Quella deriva non poteva continuare per sempre. Mi stava distruggendo.

...finché non saprai di cosa hai bisogno per essere felice, non starai bene con te stessa. E sarai destinata a rimanere qui; a lasciarti portare via dalle onde”.

Perché le parole di Justin, che mi erano sembrate così ovvie e giuste, si ammantavano adesso di un significato così oscuro? Perché suonavano così vuote e irraggiungibili? Non erano ovvie, non lo erano affatto.

Perché, innanzitutto, cosa mi rendeva felice?

Di cosa avevo bisogno, io?

Non lo sapevo. Non è la cosa più orribile del mondo non sapere cosa ci rende felici di essere su questa Terra?

Avevo pensato di essere felice, prima di arrivare qui in Ohio.

Se la mia fosse stata vera felicità o uno stato mentale che mi ero autoimposta, ancora dovevo capirlo.

Avevo uno splendido ragazzo, amici di cui fidarmi, una famiglia che mi voleva bene. Studiavo lingue per il diritto internazionale con l'intento di trovare un lavoro che mi permettesse di vedere un po' il mondo. Avevo uno sgorbio di gatto obeso che mi mordeva i piedi quando dormivo.

Volevo una vita perfetta. Volevo essere perfetta, per tutti.

Non lo ero, ovviamente.

Studiavo molto, ma i miei voti non erano granché. I miei genitori fingevano che i diciotto e ventidue che portavo a casa fossero voti fantastici per potersi vantare con i vicini. Studiavo tantissimo per colmare le lacune della mia intelligenza. Giornate intere chiusa in casa per un misero diciotto.

Mediocre era pure la mia vita sociale. Avevo pochi amici, e certamente nessuno avrebbe potuto rientrare nella categoria cool: la mia migliore amica aveva una malsana fissazione per le piante grasse, ad esempio. Giulio, vecchio amico d'infanzia, ancora non aveva capito perché Dungeons and Dragons non fosse un buon argomento per abbordare una ragazza. E Francesca, occhiali e golfino all'uncinetto, a ventiquattro anni un uomo nudo l'aveva visto solo su YouJizz.

Non pensavo male di loro, non l'avevo mai fatto. Ma l'America mi aveva aperto gli occhi, senza dubbio. Forse mi aveva resa più crudele, chissà.

E mediocre, probabilmente, era la mia vita sessuale. Con Roberto ero docile e premurosa, mai aggressiva. Non avevo gli schizzi isterici di certe mie coetanee, non gli facevo pesare nulla, non lo rimproveravo, non lo costringevo a venire con me ai congressi di storia della lingua romanza.

Non che non facessimo sesso, eh. Lo facevamo. Ok, non ero certamente la dea del sesso che tutti gli uomini sognavano di avere nel proprio letto, ma me la cavavo.

Credevo che fosse abbastanza. Credevo che amarlo fosse abbastanza. Ma non lo era.

Trovarlo sul divano a stantuffare la cugina non fu divertente. Ma non fu divertente nemmeno dopo, quando mi ritrovai di notte a piangere morsicando il cuscino e di giorno a prestare ai compagni di corso gli appunti di glottologia con un sorriso gelido stampato in faccia.

Non fu carino quando la mia migliore amica mi confessò, con pindarici giri di parole, che secondo lei era colpa mia, se Roberto mi aveva tradito. Ero troppo dolce con lui, aveva detto. Troppo rassicurante. Lui aveva cercato un po' di avventura, poverino.

Non fu bello quando mia madre mi disse di perdonarlo, perché un errore così lo potevano fare tutti, e che non dovevo buttare via una relazione di anni per una scappatella. Mi disse che io e Roberto eravamo sempre stati perfetti insieme. Perfetti.

La cosa peggiore era che lo pensavo anch'io.

Mi era salita una grande rabbia dentro. Una frustrazione cieca e pulsante che avrei dovuto sfogare, o sarei implosa come una supernova.

Non ero mai stata impulsiva. Ero stata metodica, razionale, equilibrata; impulsiva, mai. Eppure lo diventai. Cominciai a saltare le lezioni.

Mi vedevo per quello che ero.

Una studentessa universitaria di ventitré anni, non particolarmente attraente, con amici sfigati, voti mediocri e non uno straccio di sogno per cui lottare.

Non avevo mai avuto talenti degni di nota. Non sapevo cantare, né ballare, né recitare, né disegnare, né intagliare il legno. Non ricamavo né cucivo, non sapevo né cucinare né occuparmi di un giardino.

Senza Roberto non sapevo nemmeno che tipo di film mi piacessero. Era sempre lui a scegliere. Sempre lui a portarmi in bruschetteria, lui a decidere le vacanze. E a me andava bene tutto, perché con lui tutto era bello.

Cominciai a pensare a me stessa, per la prima volta. Cosa mi piaceva, cosa no. Cosa volevo dalla mia vita.

A sei anni avevo dichiarato che da grande avrei fatto la restauratrice. Una parola così difficile da sillabare, a quel tempo. Perché non avevo seguito un corso di arte, poi? Non riuscii a trovare una risposta.

Pensai di mollare l'università, ma non lo feci. Arrendersi non avrebbe dimostrato un bel niente, se non che la ferita che mi avevano inflitto mi aveva lasciata dissanguata sul terreno e incapace di riprendere in mano la mia vita.

Non volevo arrendermi.

Ma se il tradimento nasconde sempre una colpa da entrambe le parti, qual'era stata la mia? Ero stata troppo davvero cauta, troppo attenta ai suoi problemi, troppo dolce, troppo mediocre?

Roberto mi aveva inviato fiori, lettere, e-mail. Aveva invaso la mia bacheca di Facebook con dichiarazioni strappalacrime alternate a autoflagellazioni in diretta.

Ma io non avevo ceduto. Non erano bastati il cordoglio delle amiche, l'insistenza di mia madre, l'indifferenza del mio gatto.

Per la prima volta, stavo conoscendo la vera Emma Villoresi.

A lei, signore e signore, dell'opinione degli altri se ne sbatteva alla grande.

Seduta su una panchina arrugginita fuori dall'università, cominciai a fare dei progetti. Il peso di quella situazioni stava diventando insostenibile. Tutti erano contro di me, anche senza saperlo: la loro compassione mi abbatteva, invece di aiutarmi.

Io non volevo essere compatita; io volevo dimenticare.

Volevo rinascere. Volevo cambiare tutta la mia vita, a partire da me stessa.

Ero ubriaca per la prima volta nella mia vita, quando chiamai Donna dal bagno di un locale sfigatissimo della periferia di Trento. Lei, con naturalezza, mi offrì un alloggio a casa sua, negli U.S.A., dall'altra parte dell'Oceano. Era un'idea talmente assurda che, in lacrime e annebbiata dall'alcol, avevo accettato.

La mattina dopo, preda di un violento mal di testa, avevo cercato il suo numero per scusarmi di quella scenata e mettere a tacere per sempre la follia di quell'idea: ma un messaggio di Roberto lampeggiava sull'angolino della schermata.

Una foto. Un bacio sospeso nel tempo, il suo naso che sfiorava i miei capelli.

Avevo chiuso il messaggio e cercato il numero di Donna.

Le avevo detto che il giorno dopo sarei stata da lei.

 

Ero esposta, nuda sotto i suoi occhi. Ma non riuscì a farmi sentire a disagio. Lo volevo almeno quanto lui voleva me, e mi stupii di quel desiderio. Infilai le mani tra i suoi capelli neri e crespi, affondando di più nella sua bocca. Lui mi strinse forte, per poi percorrere la mia schiena con le dita. Gemetti contro le sue labbra, preda dei brividi. Lo volevo. In quel momento, lo volevo.

 

Suonarono alla porta.

Mi sforzai di scacciare i pensieri molesti e scesi le scale. L'ingresso era pulito e in ordine; qualcuno aveva raccolto i resti di rose e polistirolo. Con una stretta al cuore, seppi che quel qualcuno era Matt.

Aprii la porta, e fui tentata di richiuderla di botto.

Che cazzo ci fai tu qui?” mi uscì invece.

Ian Evans si mosse a disagio nelle sue logore All Stars. Lo guardai fisso, divisa tra la repulsione e la paura.

Sono venuto a parlare con Justin”.

A parlare con Justin, pensai orripilata, non a scusarsi con me, pregandomi di non denunciarlo alla polizia.

Justin non c'è” risposi, tentando di essere fredda. Suonai invece terribilmente malinconica.

Ti prego. Ho bisogno di parlargli” replicò lui, con un'urgenza prepotente che nascondeva umiltà e vergogna.

Ti vergogni, Ian Evans?

Io mi sentivo in una bolla. Intuivo le mie emozioni, piuttosto che provarle veramente. Pensavo di dover essere sdegnata, e quindi lo ero. Pensavo di dover avere un sano e logico terrore di quel tizio, e quindi l'avevo. Ma era tutto così lontano e distante, così indifferente...

Justin non c'è” ripetei, monocorde. La mia imperturbabilità parve mettere ancora più in difficoltà il ragazzo di fronte a me.

Ian Evans si ficcò le mani nelle tasche, in un gesto che mi ricordò molto un'altra persona. “Credo di dovermi scusare con te”.

Credi?” mormorai.

Ian mi guardò strano. Non capiva se ero ironica, o scema, o drogata, o tutt'e tre.

Sì. Io... non sono così. E' stato un incidente. Mi dispiace”.

Ok”.

Però devo parlare davvero con Justin. E' urgente”.

Sospirai. Cominciavo a innervosirmi.

Justin non c'è. Non ho idea di dove sia né di quando tornerà” sbottai.

Quella dimostrazione di enfasi verbale convinse Ian, che abbassò il capo sconfitto.

D'accordo” concesse. “Tornerò più tardi”.

Bene”.

Sbattei la porta.

 

 

Donna mi aveva accettato senza riserve. Mi aveva accolto in casa sua senza fare domande, mi aveva infilato in un pigiama e mi aveva spedito a letto con una tazza di tisana bollente.

Non avevo una valigia, né un cambio di vestiti. Avevo preso la mia decisione con l'insolita fermezza che accompagna la follia. Ero arrivata lì con un passaporto e un biglietto aereo. Nient'altro.

Per circa una settimana avevo vissuto da lei come un parassito, dormendo e respirando e piangendo. Lei mi consolava, mi spingeva a reagire.

Ricominciai a recuperare poco a poco. Con lei ero una persona diversa. Aveva sempre avuto questo potere su di me.

Dopo una settimana risposi alle chiamate di mia madre. Sapeva dov'ero, ovviamente. Donna l'aveva chiamata poco dopo il mio arrivo, per dirle che ero viva e che sarei stata da lei per un po'. E che no, non ero stata rapita e no, chiamare i servizi segreti non sarebbe stato di aiuto.

Emma!” aveva strillato mia madre nella cornetta. “Sei impazzita ad andartene in questo modo? Non pensi a me e a tuo padre? Non pensi a Roberto, povero caro? Che ti è saltato in mente di andare in America?! Perché?!”.

Io non ero riuscita a rispondere. Avevo il respiro incastrato in gola, mentre i pensieri si affastellavano incoerenti l'uno sull'altro.

Sei un'egoista, Emma”.

Un'egoista.

Ecco cos'ero per mia madre.

Lei era sempre stata molto brava a farmi sentire in colpa.

Perché sono venuta qui?” avevo chiesto a Donna quella stessa sera, tra i singhiozzi. Donna si era seduta sul letto accanto a me, facendo inclinare un poco il materasso. Aveva sospirato e aveva stretto la mia mano sul lenzuolo. “Perché tu ti rispetti, Emma. E non avresti permesso a nessuno, nemmeno a Roberto, di calpestarti”.

Poi si era inginocchiata davanti a me, costringendomi a guardarla. “Una donna più debole sarebbe rimasta, sweetei. Avrebbe ceduto alle lusinghe di un uomo pentito, alle sue vuote parole d'amore. Avrebbe raccolto i cocci del suo ego e avrebbe accettato di continuare quella relazione. Una donna più debole sarebbe scesa a compromessi, persino con se stessa. Ma tu no, sweetei. Tu ti ami troppo per permettere tutto questo. Tu hai troppo rispetto per la persona che sei perché un uomo meschino possa sputare sui tuoi sentimenti e poi decidere di riaverli. Tu sei venuta qui perché sai che meriti molto di più. Tu sei venuta qui perché non ti lascerai mai mettere i piedi in testa”.

Quelle parole mi avevano scaldato il cuore.

Non erano vere, ovvio.

Non ero io quella donna forte che lei aveva dipinto. Ma mi piaceva pensarlo, questo sì. Mi cullavo nell'illusione che fosse vero, che fosse vero che avevo lasciato l'Italia per il rispetto che provavo verso me stessa e non per l'estenuante situazione che sarei stata costretta a sopportare.

Sguardi di compassione, pacche sulle spalle, imbarazzati sorrisi d'incoraggiamento. Tutti quei vi siete lasciati?!, e i mi dispiace!, e i bè, con il prossimo andrà meglio!, come se Roberto fosse stato un fidanzato tascabile da cambiare ogni sei mesi. Magari cambiando profumazione, come un arbre magique.

Io allora lo amavo ancora, porca puttana.

Ma gli incoraggiamenti di Donna ebbero un effetto concreto su di me.

Cominciai a uscire. Mi vestivo bene, mi truccavo, flirtavo con i ragazzi carini.

Mi guardavo allo specchio e mi vedevo bella. Spensierata, luminosa. Non ero più la vecchia Emma secchiona, mediocre in tutto. La nuova Emma aveva il mascara sbavato e la gonna troppo corta. Non cercavo l'amore, ma la trasgressione.

Era la mia giovinezza, fatta di bottiglie di vodka e musica a palla, di baci rubati in piscina, di tramonti mozzafiato. La giovinezza che, a ventitré anni, non avevo ancora vissuto.

Quel mese in America aveva attuato in me una trasformazione che nessuno avrebbe creduto possibile. Io meno di tutti.

Ero cambiata, o forse ero diventata me stessa. La sottile differenza tra queste due possibilità mi aveva sempre lasciato sconcertata.

 

Mi aggrappai al collo della sua T-shirt, mentre le sue mani si chiudevano sui miei glutei. Dio, sì. Sì. Mi staccai dalla sua bocca solo per guardarlo negli occhi. Lo sguardo appannato di desiderio, torbido, accese calore ben conosciuto tra le mie gambe. Gli tolsi la maglietta in uno scatto di follia. Per un attimo gli rimase impigliata sotto il mento, ma poi scivolò libera verso l'alto. Matt mi guardò, senza parole. I capelli arruffati e gli occhi vitrei furono troppo per me. Mi desiderava. Mi voleva con tanta forza da non capire nemmeno dove si trovava. Mi addossai a lui, facendo aderire ogni mia curva nuda al suo corpo. Il suo torace solido fu delizia per il mio cuore infranto.

 

Adesso sentivo di essere ad un punto di svolta.

Ero quasi crollata, con Brian Hustings. Mi ero svuotata a furia di piangere quella relazione che mai era esistita. Tutto quello spreco di liquidi corporei, e per cosa? Per un idiota con l'ormone impazzito.

Forse non ero cambiata, in effetti. Cercavo ancora l'amore. E cercarlo nei posti sbagliati sembrava essere diventata la mia specialità.

Lo deturpavo, nascondendolo sotto una maschera di disinteressata lussuria. Volevo essere come Donna, imperturbabile ammaliatrice, che non si faceva mai invischiare in cose banali come i sentimenti. Era lei a decidere, era lei la padrona.

Io non ero mai stata la padrona di niente, nemmeno di me stessa.

Altro che amarmi troppo. Io non mi amavo affatto, perché ancora non sapevo chi ero.

 

Non arrivammo al letto. Sapevo che quei pochi istanti necessari a salire le scale avrebbero spezzato la magia. Dalla cucina ci trascinammo al salotto, per cadere sul divano senza lasciarci mai, bocca su bocca. Le mie mani cercarono frenetiche i passanti della sua cintura. Lui si sollevò e completò l'opera, sfilandosi jeans e boxer in un unico movimento. Sentii il calore della sua bocca sul collo. Mi inarcai quando la sua lingua bollente scese a lambirmi un capezzolo. Le scie di fuoco e saliva andarono sempre più giù, finché non sentii il suo fiato caldo sull'ombelico.

Poi Matt alzò la testa e incatenò i suoi occhi a miei.

 

Mi ritrovai a fissare attonita il corrimano delle scale.

Ma che ora era?

Salii le scale a entrai in camera. Il telefono era sempre al solito posto, posato sul comodino. Lì accanto la matrioska scheggiata pareva sogghignare.

Il senso di colpa mi aggredì lo stomaco, pesante come il cotechino di capodanno. Matt, con la sua bocca sul mio seno solo poche ore prima. Brian, che accavallava le due emme del mio nome in un suono come mi affascinava. Roberto, con quel 'ti amo' sussurrato sotto i fuochi d'artificio...

Basta, mi dissi.

Basta con Matt, Brian, Roberto. Basta uomini. Basta stare di merda.

Io merito di più.

Afferrai il telefono per controllare l'ora.

Un messaggio.

Di Brian.

Dobbiamo parlare. Raggiungimi al memorial

 

•••

 

I quindici minuti che occorrevano per arrivare al Memorial Park furono tra i più lunghi della mia vita.

Quando i miei piedi si posarono sull'erba mi mancava il fiato. Mi strinsi il fianco per far rientrare la milza al suo posto e presi due lunghi respiri. La mia dieta di uova, toast e tequila forse non era la migliore per quel tipo di esercizio fisico.

Ormai erano le sette p.m., un'ora stupenda per andare al parco. L'aria era più fresca e il cielo cominciava a tingersi di indaco.

E Brian era lì, e doveva parlarmi.

L'immagine di lui spalmato su quella baldracca a casa di Mitchell non mi abbandonava. Ricordavo ogni schifoso dettaglio. Le unghie di lei, laccate di viola, che stringevano la maglietta bianca di lui in mezzo alle scapole. I capelli di Brian che si arricciavano appena dietro il collo.

E d'improvviso lui era lì, seduto su una panchina accanto al campo da rugby. Mi salutò appena con la mano e io mi avvicinai. Il cuore mi batteva all'impazzata. Diedi la colpa al fatto che stessi per sputare un polmone.

Ciao”.

Ciao” risposi, cauta. Non mi sedetti. Rimasi in piedi di fronte a lui.

Lui si mosse a disagio sulla panchina, ma rimase in silenzio. Voleva che continuassi.

Io dovevo continuare?

Questa è proprio bella! Chi è sparito di punto in bianco per poi ricomparire magicamente tra le gambe di un'altra?

Cosa devi dirmi?” lo incalzai. Cominciavo ad innervosirmi. Soprattutto perché il mio cuore non la smetteva di pomparmi furiosamente sangue nelle tempie.

Cosa io devo dirti?”. Brian spalancò gli occhi, ma si riprese subito. Anche lui stava cominciando ad incazzarsi.

Toccò a me rimanere sbigottita. Mi ero aspettata delle scuse, un monologo straziante e supplicante. Una sorta di replica di una soap opera che avevo già visto, insomma. Che cosa voleva sapere Brian da me?

Davanti al mio silenzio il nervosismo di Brian crebbe a dismisura. Si alzò dalla panchina con uno scatto, facendomi indietreggiare.

Quando avevi intenzione di dirmi che sei fidanzata?!” sbottò, impetuoso.

Rimasi senza parole.

Io, fidanzata...?

Cosa?!

Cosa... chi te l'ha detto?” articolai.

Brian si inalberò. “Che importa chi me l'ha detto?! Perché uscivi con me se eri già impegnata?” continuò, ferito.

Non riuscii a rispondere.

Fu come se qualcuno avesse rovesciato una scatola di puzzle dentro la mia testa, e i miei neuroni umiliati stessero cercando di ricomporre l'immagine. Un pezzetto era Brian, che dopo un incontro da fiaba e appuntamento da sogno smetteva di scrivermi apparentemente senza motivo. Un altro pezzo era Justin, che annunciava davanti ad un'intera platea il nostro fidanzamento. Un pezzo biondo e profumato era Alexis, che giurava di trasformarmi in un puntaspilli per le sue Manolo.

Quando Brian aveva smesso di pensare a me?

Dopo quella festa, mi dissi. Quella festa a casa della Milton.

Eccolo, quel pezzettino insignificante che non ero mai riuscita a trovare. L'amica di Alexis. Brian era andato a casa sua e aveva sentito delle voci velenose sulla mia presunta relazione con Justin.

Era così maledettamente ovvio!

E Brian si era sentito umiliato, usato, tradito. Forse per quello era finito a consolarsi con una ragazza random contro la carta da parati.

Il che significava che Brian, in realtà, non aveva mai smesso di pensare a me.

Io non sono fidanzata con Justin” scandii. “Non lo sono mai stata”.

Brian mi fissò corrucciato.

Come sarebbe che non lo sei mai stata? Ho sentito la Johnson parlarne due... tre sere fa” spiegò. Voleva apparire intaccabile, ma intravedevo tentacoli di dubbio farsi strada nelle incrinature della sua voce.

Era tutta una montatura!” replicai con troppa enfasi. “Justin l'ha detto perché Alexis smettesse di perseguitarlo. La nostra è una relazione inventata. Per il suo benessere”.

Un po' meno per il mio.

Devi credermi, Brian. Sono morta quando hai smesso di scrivermi. Pensavo non volessi più vedermi perché ero troppo banale per te”.

Da dove arrivava tutta quella sincerità?

Ma era così facile dire quello che veramente pensavo...

In un'altra occasione, in un altro paese, avrei usato frasi più retoriche ed evocative, ma molto meno chiare. Inutili e vuoti giri di parole per nascondere il vero significato dei sentimenti.

Parlare una lingua straniera, soprattutto una pragmatica come l'inglese, mi aveva reso più diretta. Districavo meglio i miei pensieri se dovevo esporli in un'altra lingua.

Brian rimase a bocca aperta, letteralmente.

Devi credermi” ripetei, più convinta.

E, improvvisamente, capii che non sarebbe stato difficile convincerlo. Perché lui voleva credermi. Lui voleva che io non fossi mai stata con Justin, voleva che io mi fossi logorata pensando a lui in questi giorni.

Lui...

Tu mi piaci, Emma” confessò, trascinato forse dalla mia sincerità. “Mi sei piaciuta subito, da quella sera, in quel vestito leopardato. Forse avrei dovuto dirtelo allora, ma ho deviato un più neutro 'sei carina'. Sembra sempre così difficile dire quello che si pensa, così fuori luogo”.

Tacque per un attimo, rimettendo a posto i pensieri.

Avrei voluto baciarti quella sera, sai. Ho voluto baciarti da quando quell'idiota ti ha lavato con lo champagne e noi non riuscivamo più a smettere di ridere”.

Il polmone ormai era risalito fino alla gola, ostruendomi il respiro.

Ma non ero l'unica ad avere difficoltà a respirare. Brian prese fiato rumorosamente.

Il mondo mi è crollato addosso quando ho sentito che stavi con un altro. Che ti stavi prendendo gioco dei miei sentimenti. Puoi capire come mi sentivo”.

Certo che lo capivo.

Mi sono ubriacato” continuò, parlando velocissimo. “Il giorno dopo sono stato di merda e mi sono detto che non l'avrei fatto mai più. Ma poi ieri mi hai scritto quel messaggio, e io volevo solo dimenticarti. Sono andato ad una festa, ho bevuto troppo. Credo di aver baciato una ragazza”.

Mi accorsi di quanto costava quella confessione a Brian. Era mortificato. E spaventato all'idea che io potessi considerare quell'atto un tradimento.

Tradimento per chi, poi?

La maglietta impigliata sotto al mento di Matt.

Scossi la testa, cacciando via i pensieri. La mia testa era un ronzio assordante. Dovevo dire qualcosa, prima di impazzire.

Tu mi piaci, Brian” esalai “ma...”

Ma cosa?

Ma non sono pronta per cominciare una nuova relazione.

Risi amaramente. Se c'era qualcosa che avevo imparato leggendo gli Harmony scadenti che Francesca mi rifilava -oltre a legare un uomo alla testiera del letto con una cravatta- era che un “non sono pronto” equivaleva ad un “non voglio avere una relazione con te”. E siccome ormai quella conversazione era diventata il party della sincerità, la vera domanda era: perché non voglio avere una relazione con Brian Hustings?

Boccheggiai, incapace di trovare una risposta.

Brian mi piaceva da impazzire, e io piacevo a lui. E allora cosa, cosa mi impediva di stare con lui?!

Poi un pezzo del puzzle venne a galla, limpido e sincero come pochi.

Non volevo preoccuparmi di un'altra persona.

...ma voglio pensare a me stessa, adesso”.

L'espressione da cucciolo di Brian mi fece sentire meschina. “Non capisco”.

Nemmeno io.

Presi fiato. “Per troppo tempo mi sono occupata degli altri. Adesso è il mio turno. Devo prendermi cura di me stessa. E' per questo che sono venuta in America”.

Lui continuava a fissarmi in quel modo che mi lacerava dentro, e fui costretta a distogliere lo sguardo.

Non voglio aspettare che tu mi chiami, Brian” spiegai al terriccio ai miei piedi. “Non voglio aspettare che sia tu a chiedermi di uscire. Non voglio preoccuparmi di essere abbastanza bella, abbastanza intelligente, abbastanza sexy per te. Non voglio che sia il tuo umore a decidere la mia giornata. Non voglio passare la notte a consumarmi per decifrare ogni tua frase e ogni tuo gesto”.

Brian non mi interruppe.

Perché è questo quello che faccio” continuai allora io “mi logoro, mi consumo, metto tutta me stessa nelle mani dell'altra persona. E io non voglio più farlo”.

Tornai a guardarlo negli occhi.

Adesso voglio pensare a me stessa”.

Brian aveva l'espressione di uno a cui hanno sparato. “Ma io... noi...” tentò. Deglutì e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, aveva una luce decisa nello sguardo.

Io non voglio rinunciare a te, Emma”.

Perché, dico io, perché dopo un discorso così toccante e intimo e sensazionale, tu mi complichi la vita in questo modo?!

Annaspai, cercando aria.

Il mio nome suonava così morbido accarezzato dalla sua lingua straniera...

No.

No, Emma. Sei tu a decidere.

Io tornerò in Italia, Brian”.

 

•••

 

Quando varcai la soglia di casa, mi sentii annientata.

Avevo distrutto tutto quello che avrei potuto avere con Brian. Avevo distrutto ogni tipo di relazione civile con Matt. Avevo tagliato i ponti con il passato, e adesso era proprio in quell'abisso che volevo tornare.

Io non ero come Donna, aveva ragione Justin. L'Ohio non era la mia casa. Dovevo tornare a Trento e prendere in mano la mia vita.

Non volevo più scappare.

Uno scalpiccio fuori dalla porta mi costrinse a tornare sui miei passi.

Chi diavolo era adesso?

Marciai fino all'ingresso. Fuori dalle finestre, il sole era ormai tramontato.

Spalancai la porta e mi trovai faccia a faccia con una Donna con gli occhi sbarrati, la mano con la chiave sollevata a mezz'aria.

Ho quasi fatto sesso con Justin” sparò a bruciapelo.

Ho quasi fatto sesso con Matt” replicai io neutra.

Donna mi guardò affranta.

Abbiamo ancora dell'alcol in casa, vero?”.

 

 

 

 

 

 

Lo so, avevo promesso un rapido aggiornamento. Lo so, ho mentito di nuovo. Lo so, mi brucerete al rogo dopo questo capitolo.

Dopo molte disavventure, comincia a delinearsi l'epilogo di questa storia. Finalmente vedo la luce in fondo al tunnel, per così dire. Che ne pensate? Cosa succederà alla cara piccola Emma?

Spero in molti commenti, che mi aiutano a tirare avanti.

A presto! (forse)

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Talks ***


 

 

Talks

 

 

 

Donna era seduta sul divano con in mano l'unica bottiglia che eravamo riuscite a scovare mettendo sotto sopra tutta la casa. Io stavo sdraiata con la testa sulle sue gambe, fissando il soffitto cogitabonda.

Non so da dove cominciare” confessò Donna, prendendo un piccolo sorso di prosecco.

Seguì un lungo silenzio.

Facciamo che io ti faccio delle domande facili e tu rispondi, ok?” proposi. Quello era un espediente pseudo psicologico che Donna aveva attuato su di me, un mese prima, per capire cos'era successo con Roberto. Formulare delle semplici domande guida per spronare il soggetto a parlare.

Donna prese un altro sorso frettoloso. “Vai”.

Ok. Quando?”

Quando che?”.

Quando è successo?”

Ah. Non so... un'ora fa, due? Non saprei con certezza. Stanotte tu sei sparita, eravamo solo io e lui. Abbiamo parlato tanto, sai”.

Sembrava volersi giustificare. Molto strano.

Di cosa avete parlato?”. Tecnica della psicanalisi fai-da-te: insistere anche sui dettagli che appaiono ininfluenti.

Di lavoro. Della sua accademia. Di te”.

Di me?”.

Sì. Del perché sei qui”.

Mi sforzai di pensare ad una domanda intelligente. Non venne.

Dov'eravate?”

Siamo andati a fare colazione, poi in centro. Abbiamo mangiato un kebab e fatto un giro per negozi”.

Un'appuntamento”. Mi accorsi che non era una domanda, ma Donna non ci fece caso.

Sì, assomigliava molto ad un appuntamento. Nessuno dei due aveva sonno, eppure non dormivamo da due giorni. Assurdo, no?”

Sì. Cioè, no. Immagino che voi stesse pensando ad altro”.

Donna prese un altro sorso dalla bottiglia.

Mi passai la lingua sulle labbra. “Dove?”.

Nella sua macchina”.

Sorrisi.

Era comoda?”.

Per niente”.

Dov'è Justin adesso?”.

Al pub. Lavora il venerdì sera”.

Last Friday night... pareva un secolo dall'ultima volta che avevo sentito quella canzone. E invece era passata solo una settimana.

T.G.I.F.

T.G.I.F.

Com'è successo?”

Eccola, la domanda per eccellenza. Seguita dal perché. Solo che il 'perché' era una domanda inutile. Nessuno sapeva mai rispondere ai perché.

Donna prese fiato.

Lui... mi ha colto di sorpresa. Stavamo discutendo di cose assurde, giuro, tipo di alieni e cose così. Lui ha detto di aver visto un'astronave, e io gli ho detto che era un idiota a credere a certe cose, e poi abbiamo cominciato a parlare di Dio, e del destino, e della reincarnazione... non sono argomenti normali di cui parlare”.

Bé, dipende” commentai. “E poi?”.

E poi... ci siamo fermati, di botto, ed è sceso il silenzio. Un silenzio strano. Un silenzio che non ci dovrebbe mai essere tra due persone”.

Non la interruppi, lasciando che mettesse a posto i pensieri.

Ci fissavamo senza dire niente, capisci? Eppure era così, così... ah, non lo so. Poi mi ha preso per la nuca e mi ha baciato”.

Risi, riconoscendo Donna in quella conclusione così concreta e sbrigativa. “Bacia bene?” chiesi, per smorzare la piega metafisica della situazione.

Sì, per essere un bianco”.

Razzista”.

Sono negra, non posso essere razzista”.

Balle”.

E' scritto nella costituzione”.

Ridacchiai. “Com'è stato?”.

Donna non rispose subito. “Bello”.

Spiritualmente, com'è stato?”.

Molto bello”.

Insomma, Donna!”.

Ok! E' stato... diverso, va bene? Nessuno mi aveva mai baciata così... cosa c'è? Cos'è quel sorriso?”.

Niente”.

Sweetei...”.

Niente. E quindi? Eravate in macchine mentre accadeva tutto ciò?”.

Sì. Lui ha reclinato un sedile a tradimento e mi è finito addosso”.

E... perché vi siete fermati?”.

Donna ci mise un po' a rispondere. “Non lo so” confessò. Non era... il momento. Era tutto perfetto, lui, io, noi, perfino la macchina... ma era come se non fosse il momento adatto. Come se fosse troppo presto, capisci? So che è assurdo...”.

Non è assurdo. E' normale. Tu credi che sia assurdo perché sei assurda per la maggior parte del tempo”.

Che?”.

Ti sto dando della poco di buono”.

Ah ecco, mi pareva”.

Della poco di buono che ha trovato un ragazzo carino e sensibile che non vuole ridurre l'amore al mero atto sessuale”.

Perché usi parole così complicate?”.

Perché sono la tua analista”.

Quanto mi costerà?”.

Una cena al Mama's”.

Affare fatto”.

E Trevor?”.

Che c'entra Trevor?”.

Non so, non uscivi con lui... l'altro ieri?”.

Ha smesso di chiamarmi. Non ho idea di cosa sia successo”.

Il livido sul sopracciglio di Justin mi attraversò la mente.

Magari si è accorto che doveva assolutamente sconfiggere l'ultima orribile metamorfosi di Sephiroth prima di richiamarti”.

Sconfiggere chi?”.

Lascia perdere. Quindi Justin vince perfino sul superdotato Trevor?”.

Quelle domande così leggere erano volute. Dovevo destreggiarmi in un campo che Donna conosceva bene -quello sessuale- per capire fino a che punto fosse presa da Justin. Il tempo che si prese per rispondere mi fece già intuire la risposta.

Non so spiegarlo. Justin è diverso. A volte è irritante come un gatto attaccato alle palle, è scorbutico la mattina e campeggia in casa nostra come un fottuto zingaro. Ma poi inaspettatamente diventa intelligente e perfino divertente. E altre volte sembra così... empatico. Come se capisse tutto. Capisci cosa voglio dire?”.

Le sorrisi, guardandola da sotto in su. “Certo che capisco. Conosco Justin”.

Donna si agitò nervosamente sul divano e prese un altro sorso di prosecco.

Tu cosa ne pensi?”.

Di cosa?”.

Di questa situazione. Di Justin. Di me che sono impazzita”.

Sorrisi con affetto.

Penso che tu stia provando qualcosa di nuovo, Donna. Qualcosa che non dovresti perderti. Quindi stai tranquilla, e lascia che gli eventi facciano il loro corso senza avere fretta”. Gli rubai la bottiglia di mano. “E poi Justin è meraviglioso. Non farlo scappare”.

Io non faccio scappare nessuno!”.

E quel surfista marocchino?”.

Quello è stato un errore”.

Ah ecco”.

Ci fu un silenzio rilassato e benefico. Il tipo di pausa che c'è tra due persone molto amiche che non hanno bisogno di parlare per dirsi tutto il necessario.

Tocca a te” cominciò Donna, sistemandosi meglio sul divano. Aspettando una risposta si mise a giocare con i miei capelli.

Devi preparati psicologicamente” la avvisai.

Potrebbe servire altro alcol?”.

Potrebbe”.

Siamo fottute”.

Dovremmo moderare il consumo di questo qui e farcelo bastare”.

Mi sento già male”.

Fatti forza”.

Donna sospirò come un'attricetta. “Dunque: quando?”.

Oggi... pomeriggio? Sto perdendo la cognizione del tempo a cause delle tue maledette feste. Mi ero appena alzata comunque, e in casa non c'era nessuno”.

E' venuto qui?”.

Sì, per accertarsi che stessi bene”.

Avevi bevuto troppo ieri sera?”.

Rullo di tamburi...!

Anche. Diciamo che stavo per conoscere biblicamente un perfetto sconosciuto dopo aver visto Mr. Maybe che esplorava le tonsille di una puttanella con la perizia di uno speleologo”.

Ta-dàààà!

Donna sobbalzò, tirandomi una ciocca di capelli. “COSA? Oh, sweetei. Brutta, brutta cosa! Davvero orribile! Sia per Brian e la puttanella sia per l'incontro biblico!”.

Lo so”.

Dov'ero io in tutto questo?! Ah, se c'ero io altro che speleologo...! Diventava un cazzo di bruco! Un ameba senza pseudopodi!”.

Che diavolo è uno pseudopodo?”.

Non ne ho idea. Justin blaterava di amebe e cianobatteri su Marte, oggi. O era Giove?”.

Comunque non prendertela con Brian, con o senza pseudopodi. La storia è ancora lunga e piena di memorabili colpi di scena” l'ammansii con un sorriso malinconico.

Cosa? Va' avanti”.

Domande, prego”.

Aspetta un attimo. Quindi stavi copulando con questo tizio alla festa, e poi stavi copulando qui a casa con Matt. Mmm. No. Credo di essermi persa un passaggio”.

Non stavo copulando. Matt è arrivato e ci ha fermato. E' stato orribile. Pensavo si sarebbero picchiati, ho avuto paura”.

Da vero cavaliere, insomma. Poi?”.

Presi un lungo respiro. C'erano molte cose da confessare, molte delle quali non mi mettevano esattamente in buona luce. Chiusi gli occhi e dissi tutto prima di perdere il coraggio. “Poi mi ha confessato eterno amore, io l'ho rifiutato; lui mi ha portata a casa e io ho vomitato; quindi mi ha spogliata, lavata, cambiata e messa a letto. E' rimasto con me fino al mattino perché voi non c'eravate e io non riuscivo a dormire. Poi mi ha dato un bacio sulla fronte e se n'è andato”.

Donna sembrava senza parole. “Sweetei, sembra così... carino. E tu sembri un mostro”.

Lo sono”.

Ci fu una breve pausa. “Ma in tutto questo il sesso dov'è?”.

Risi nervosamente. “Aspetta. Mi sono alzata dopo qualche ora e ho ricevuto un pacco postale”.

Eh? Da parte di chi?”.

Presi un sorso di prosecco e quasi mi soffocai. “Di Roberto”.

 

•••

 

CHE COSA?! Ancora? Come si permette?! Quel brutto stronzo ipocrita e meschino! E ha avuto il coraggio di mandarti dei fiori! Dopo quello che ti ha fatto!! Che razza di...!”.

Lasciai sfogare Donna per qualche minuto, conoscendo bene l'odio viscerale che nutriva per il mio ex ragazzo. La storia dei fiori e della foto in particolare l'aveva fatta uscire dai gangheri.

Cioè, sbattersi la cugina va bene -cioè, no sweetei, scusa, non va bene!- ma poi striscia umile e bavoso come una lumaca implorandoti di tornare con lui. Che razza di uomo è?!”.

I paragoni faunistici si sprecano quando parli di lui”.

Perché non lo si può definire uomo! Non è nemmeno coerente!”.

Sospirai. “Le persone non sono coerenti”.

Però dovrebbero, eccheccazzo” sbottò lei strappandomi di mano la bottiglia. Prese un lungo sorso ristoratore prima di continuare.

Ok, sono calma” disse infine. “Sento una per una le particelle di alcool che scendono lungo l'esofago e vanno a coccolare le mie povere fibre nervose. Adesso puoi andare avanti”.

Non avrai più schizzi isterici?”.

Promesso”.

Poi è arrivato Matt e mi ha spogliata”.

Donna fece un verso strozzato, come se stesse soffocando. Deglutì rumorosamente. “Cazzo, Emma! Lo fai apposta però!”.

Scusa, la tentazione era troppa”.

Ma ti ha spogliato come? Cioè ha suonato alla porta, è entrato e ti ha spogliato lì all'ingresso?”.

No, Donna, che dici!” replicai ridendo. “Prima gli ho offerto un caffè!”.

Ah, mi sembra giusto”.

Le buone maniere prima di tutto”.

Ti ho educata bene”.

Seguì un altro silenzio, in cui Donna rubò un altro sorso dalla bottiglia.

Però vi siete fermati. Perché?” chiese Donna, parafrasando la stessa domanda che io avevo rivolto a lei.

Io...”. Mi bloccai. Non sapevo cosa dire. O meglio, lo sapevo bene. Ma era troppo, troppo imbarazzante. “Non so se ce la faccio a dirlo. E' imbarazzante” confessai.

Fai un riassunto del riassunto. Non voglio i dettagli”.

Prima ancora che il mio cervello trovasse le parole, la mia lingua le buttò fuori per me.

Io lo volevo... carnalmente. Lui voleva di più. Se n'è accorto. Si è rivestito, mi ha dato un bacio e se n'è andato”.

Ricordavo benissimo quel momento. Eravamo stesi sul divano, completamente nudi, lui sopra di me, i suoi gomiti a lato della mia testa. Lo volevo, ero pronta, ero vogliosa. Lui lo voleva quanto me. Lo capivo dai suoi occhi, dai suoi movimenti troppo urgenti, troppo bruschi. Eravamo due assetati in un deserto di tentazione.

Il suo sesso sfiorava il mio, ma a tratti, quasi per caso, e senza mai toccarlo veramente. Ad ogni sfioramento un neurone nel mio cervello moriva di miocardia.

Avevo pensato che sotto il termine “tentazione” il dizionario avrebbe dovuto riportare quell'esatta sensazione.

Forse sarebbe stato un dizionario vietato ai minori.

Ma vabbé.

Ricordavo quando lui si era alzato in ginocchio per mettersi il preservativo. Quel momento fatale in cui il mio cervello era stato costretto ad entrare in funzione per capire in che situazione si trovava. Qualche neurone era rinvenuto sotto gli assalti del defibrillatore.

Ero lì, nuda, con un tizio che nemmeno mi piaceva tra le gambe. Un neurone aveva provato timidamente a chiedere una spiegazione di quella circostanza, ma era stato subito zittito dagli altri.

Ma i miei occhi mi avevano tradito.

La mia espressione doveva essere veramente sconvolta, perché quando Matt aveva finito con il suo operato ed era tornato a guardarmi, avevo visto i suoi occhi addolorarsi. Con lentezza aveva scavalcato la mia gamba e si era alzato in piedi. Poi, senza una parola, aveva cercato i suoi vestiti sparsi per la stanza.

Si era già infilato boxer e jeans quando io avevo trovato la voce per parlare.

Che stai facendo?” avevo pigolato.

Me ne sto andando” aveva risposto lui con voce dolce.

Perché?”. Forse per lui la risposta era ovvia, visto che non sembrava intenzionato a darmi nessuna spiegazione, ma per me non lo era affatto!

Matt si era infilato la sua maglietta e aveva raccolto la mia. Me l'aveva porta senza guardarmi. Era un “copriti”. Ma non un “copriti per l'amor del cielo brutta svergognata”, né un “copriti ne no ti scopo selvaggiamente”.

Fui grata di quella maglietta e la indossai subito. Poi Matt si era seduto accanto a me. Aveva allungato una mano per accarezzarmi i capelli e io l'avevo lasciato fare. Mi sentivo inerme e stupida come una bambina di cinque anni.

Tu non... tu non lo vuoi. Non come lo voglio io”. Lo aveva detto con una sincerità disarmante, inchiodandomi sul quel divano con i suoi occhi palustri.

Se non mi fossi fermato sarei stato uguale a quel maiale che voleva approfittare di te questa notte”. Il significato di quelle parole ci aveva messo un po' ad arrivare; quando anche i neuroni più rincitrulliti lo compresero, avevo desiderato di essere inghiottita dal divano. Letteralmente.

Io ti voglio, Emma. Ti voglio da morire. Ma non così”.

Poi si era sporto verso di me era mi aveva lasciato sulle labbra il bacio più dolce del mondo. Un bacio che sapeva di lui, di me, di noi. Un bacio che sapeva di quei momenti folli appena trascorsi, ma anche di molto altro.

Soprattutto di molto altro.

Donna rimase zitta a lungo, permettendomi di rivivere quegli eventi con una precisione clinica che fece piuttosto male.

Prosecco?”.

Risi. Perfino Donna era senza parole. Mi misi seduta e presi un sorso.

Un uomo che rifiuta una donna che lo vuole a gambe aperte davanti a lui. Affascinante. Non credevo esistessero individui del genere”.

Credi che dovremmo renderlo noto al National Geoghaphic?”.

Come minimo. Credo che l'ultimo esemplare di una specie in estinzione”.

Non credo. E' più probabile che sia una nuova specie. Un mutamento genetico”.

Dici che la cavalleria non ci sia mai stata?”.

Quando? Quando le donne erano oggetti senza diritti né prospettive? Quando l'unica ambizione era occuparsi della casa e dei figli?” risi, bevendo ancora. “Facile davvero fare i gentiluomini. I veri gentiluomini sono adesso che la donna ha i suoi diritti”.

Interessante interpretazione antropologica. Poi che è successo?”.

Poi ho ricevuto un messaggio da Mr. Maybe”.

COSA? Tu vuoi farmi morire, ammettilo!”.

Solo un po'” risi.

E che diceva il messaggio?”.

Di incontrarlo al Memorial”.

E tu che hai fatto?”.

Secondo te?”.

Dimmi che sei andata là con la mia mazza da baseball. Ti prego, dimmi che l'hai fatto”.

Ci sono andata, ma senza mazza da baseball”.

Tu non hai presenza scenica, sweetei”.

Cercherò di rimediare”.

Che ti ha detto, quell'animale? Ti ha supplicato strisciando anche lui?”.

Non ha fatto nulla che concerna sostanze unticce come lacrime o bava. A dire la verità, era piuttosto incazzato”.

Con te?”.

Sì”.

Mi sfugge un passaggio”.

Le raccontai della festa in cui Brian era venuto a conoscenza della mia relazione con Justin; che era impazzito sapendomi di un altro e che era mortificato di aver baciato un'altra preda dei fumi dell'alcol.

Donna ascoltò tutta la storia senza interrompermi, due occhi rotondi come palle da biliardo.

E' una storia talmente strana che potrebbe essere vera” commentò infine. “Quindi com'è finita? Hai copulato anche con lui?”.

La brutalità di questa affermazione mi ferì, ma non lo diedi a vedere.

Gli ho detto che non sono pronta per una relazione. Che, tradotto, significa che non voglio stare con lui”.

Perché no, sweetei? Svenivi al pensiero della sua fossetta!”.

Perché sono stanca di pensare agli altri. Adesso voglio occuparmi di me stessa”.

Grande risposta! Così ti voglio, sweetei!”.

Gli ho detto che tornerò in Italia”.

Ben gli sta! Così smetterà di perseguitarti, e non ti cercherà in ogni angolo del paese come è successo a me con quell'idiota di Baker...!” Pausa. “Perché è una balla, vero, sweetei?”. Donna si era bloccata vedendo la mia espressione. Posò una mano sulla mia, ancorata al divano. “Non hai davvero intenzione di tornarci, vero?” ribadì.

Sospirai, vedendola così sinceramente contrita.

Penso che sia giusto così. I miei problemi sono laggiù, qui sto avvizzendo fingendo che non esistano”.

Oh, sweetei...!”. Donna si lanciò su di me, stritolandomi in un abbraccio da rompere le cervicali. Il prosecco schizzò dappertutto.

E io come farò senza di te?” proseguì, ansiosa. “Con chi parlerò dei miei traumi post-sbornia e degli orgasmi multipli che avrò con Justin Richmond?”.

Un tramestio all'ingresso e una voce stridula ci fecero sussultare. “Orgasmi multipli con chi?”

 

•••

 

Jeremy Wilson non avrebbe potuto scegliere momento migliore per fare la sua entrata in scena. Era nella sua natura scegliere i momenti più privati di chiunque e invaderli senza essere invitato, come se la sua presenza fosse innocua ed essenziale al tempo stesso.

Jeremy si districò dal boa di piume nero che indossava e si sedette elegantemente sulla poltrona accanto al divano.

Dicevamo?”.

Donna ribollì come una caffettiera. “Non dicevamo proprio niente, lama schifoso che non sei altro!”

Jeremy sollevò le sopracciglia, sorpreso. “A cosa devo questa apostrofe camelide?”.

Sei stato tu a sputare un dente nel mio bicchiere stanotte, ammettilo!”.

Non ho ricordi di questo spiacevole inconveniente. In verità, non ho ricordi di nessun genere prima delle due di pomeriggio. Però mi sarei accorto di un molare mancante, non dubitare. L'emo suicida come sta?”.

Liam? Dorme”.

Quindi bene direi. Ero venuto ad accertarmi che fosse ancora vivo e che non vi avesse fatto fuori tutti nascondendo i vostri resti nel cestello della lavatrice. Ma noto con piacere che non è così. E il tizio delle manette? Si è calmato?”.

Da quel che sappiamo non è in casa”.

Io mi preoccuperei”.

Io no”.

Pensavo vi avesse denunciato alla polizia in quanto detentori di un potenziale killer squilibrato”.

Non è accaduto niente di tutto ciò”.

Bene”.

Ecco. Adesso che hai appurato che le tue deliranti supposizioni erano solo frutto della tua mente malata, ti dispiacerebbe levarti dai piedi e lasciarci la nostra privacy?”.

Privacy? E' una parolaccia?”.

No, è una minaccia. Significa che se non se ne vai immediatamente il cestello della lavatrice te lo ritrovi su per lo sfintere”.

Sembra interessante. Credo che resterò per provare”.

Ti odio, Jeremy”.

Cerca di capirmi, honey: non mi posso allontanare da questa casa di un solo passo dopo aver sentito le parole “Justin” e “orgasmi multipli” nella stessa frase! Si chiama senso del dovere!”.

Si chiama morbo della curiosità cronica e purulenta, altro che senso del dovere!”.

Dici che è infettiva?”.

Abbiamo una maschera antigas dietro la tv” intervenni ilare.

Perché?” chiese affabile lui.

Nessuno l'ha mai saputo. Ciao Jeremy” risposi placida io.

Ciao, Emma. Come stai?”.

Male. Tu?”.

Malissimo. Mi sono svegliato legato al letto con questo coso piumoso” spiegò indicando con il pollice il boa appeso allo schienale della poltrona “e dopo aver maledetto il mondo in cinque lingue diverse prima di riuscire a liberarmi, ho trovato un preservativo usato sotto il letto. E temo non sia mio”.

Cacchio. Questa sì che è una storia interessante” commentai.

Capisci perché il cestello non mi spaventa? Sono un uomo vissuto ormai”.

E dopo aver scoperto di essere stato sodomizzato...” lo interruppe Donna.

Presunto sodomizzato” precisò Jeremy.

...sodomizzato” sottolineò Donna “non trovi niente di meglio da fare che venire qui a origliare?”.

Conducete delle vite mediamente interessanti. Sai, il killer, le manette... E poi ho finito il pane di riso. Sai che non posso vivere senza il pane di riso”.

Sei un dannato scroccone”.

Mi adori anche per questo”.

Temo che la lista dei tuoi difetti superi di gran lunga quella dei pregi”.

Mi dai del pane di riso?”.

No”.

Non puoi negare del pane ad un affamato. E' scritto nella Bibbia”.

Da quando sei un credente così appassionato?”.

Sempre stato. Non lo sapevi?”.

E in quale passaggio esattamente è scritto che dovere di buon cristiano farsi legare e sodomizzare da uno sconosciuto? Devo essermelo perso domenica scorsa”.

Nessuno cita mai quel passaggio. Sai, per i bambini”.

Donna, suo malgrado, sorrise. “Idiota. E pane di riso sia!” disse alzandosi. “Sempre che ne sia rimasto, beninteso”.

•••

 

Dopo aver ri-raccontato ogni cosa a Jeremy -era inevitabile, quindi perché fingere una refrattarietà che non avevamo?- con dovizia di particolari -le sue domande erano molto meno discrete delle nostre- e dopo aver mangiato mezzo chilo a testa di pane insapore, eravamo tutti e tre silenziosi e cogitabondi. In parte a causa della digestione in corso, in parte a causa delle sconvolgenti novità che avevamo rivelato.

Sempre che Jeremy non stesse pensando alla subita coercizione notturna.

Mah.

Quando pensavi di tornare in Italia?”.

Quella domanda mi riportò alla realtà. No, Jeremy non stava elucubrando sulle sue esperienze clandestine.

Pensavo tra una settimana” gli risposi. “Giusto il tempo di mettere a posto un po' di cose e salutare tutti. E trovare un volo che non costi come un appartamento, ovvio”.

Mi sembra giusto” confermò Donna, depressa.

Dai honey, mi sembra che Emma sia grande abbastanza per capire cosa è giusto per lei” la coccolò Jeremy con voce zuccherosa.

Donna incrociò le braccia al petto. “Tu non sai com'è là. Non sai che persone ha intorno. Secondo me non è una buona idea, sweetei” aggiunse rivolta a me.

Non sapevo che dire. Jeremy mi fece l'occhiolino e disse a Donna: “Avanti, honey, ammettilo che vuoi Emma tutta per te e che il tuo è un desiderio prettamente egoistico”.

Certo che lo è!” sbottò Donna senza remore. “Ma è anche scientificamente certo che qui starà meglio che non in Italia, circondata da persone orribili che non fanno che giudicarla!”.

Jeremy alzò le mani. “Non so in che situazione si trovi Emma in Italia, però se lei desidera andare penso che tu dovresti semplificare le cose, no?”.

Donna mi guardò con occhi da cucciola, le braccia ancora incrociate strette sotto il seno. “Sì, lo so. Posso tenere il broncio ancora un po' però?”.

Lo disse in modo così carino che quasi mi commossi. L'abbracciai e le scoccai un bacio sulla guancia. “Certo che puoi. Hai un bonus-broncio di mezz'ora; poi però non lo voglio più vedere”.

Mi guardò con affetto. Le ciglia finte le facevano due occhi enormi da bambolina di porcellana. “Va bene” disse. E sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti! A grande richiesta, ecco a voi... Jeremy! Ta-daaan!(con tanto di boa di piume, vorrei dire)! E' un capitolo molto (troppo?) dialogico, e temo che il prossimo sarà altrettanto. Ormai non prometto più niente, non ho idea di quando pubblicherò. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento :D

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Emma's story ***


 

 

 

 

 

 

 

Emma's story

 

 

 

 

Un sordo bussare alla porta ci mise tutti sull'attenti.

Donna si alzò e si avviò all'ingresso. Io e Jeremy ci scambiammo un'occhiata complice e sporgemmo la testa dal divano, curiosi come scimmie.

E a ragione!

Dall'espressione sgomenta di Donna non fu difficile capire chi fosse appena arrivato al numero 12 di Russel Avenue, Cleveland, Ohio.

Quando infatti Justin Richmond entrò in salotto io e Jeremy mimammo la più perfetta nonchalance. Jeremy si guardava le unghie, ed era assolutamente convincente perfino con un boa di piume nero che gli sfiorava il collo.

Ciao Justin!” esordii io con una vocetta stridula; Jeremy invece fece un sobrio e aristocratico cenno di capo.

Ciao Emma. Ciao Jeremy”.

Justin non nascose il suo disagio nel vederci tutti lì. Donna gli si affiancò.

Come mai già di ritorno?” gli chiese lei, titubante. “Non lavori fino a tardi il weekend?”.

Justin la guardò e sorrise imbarazzato. L'intensità che c'era in quello scambio di sguardi mi costrinse a guardare il soffitto.

Ero troppo distratto stasera. Al terzo bicchiere in frantumi il boss mi ha cacciato”.

Ma non ti licenzieranno, vero?” chiese Donna con un'apprensione insolita per lei.

Macché. Non possono licenziare il barman/chitarrista/cabarettista/cameriere più figo dello staff per tre bicchieri” replicò Justin in tono scherzoso, cercando di rasserenare l'atmosfera.

Donna recuperò il suo atteggiamento di sufficienza, che però suonò finto in modo fin troppo palese. “Ah, ecco. Non sognarti di farti licenziare per poi insediarti qui come una colonia di cimici, yokel”.

Justin sorrise indulgente. “Tranquilla”.

Mi sentii improvvisamente di troppo.

Jeremy fece un sonoro e falsissimo sbadiglio. “Che taaardi che si è fatto!” chiosò. “Ormai sono le... oh, le dieci e mezza. Meglio che vada a casa, mi serve una bella dormita. Grazie per il pane di riso, Donna. E, Emma, mi... accompagneresti?”.

Colsi l'antifona e mi alzai subito.

In meno di un minuto io e Jeremy eravamo fuori, e la porta sbattuta risuonò nel vialetto silenzioso. Ci sedemmo sul patio.

Per un po', nessuno parlò.

Era una di quelle sere d'estate che hanno un profumo tutto particolare, quel profumo che non ero mai riuscita a definire. Un profumo dolce, come di fiori, ma allo stesso tempo di acqua, di frutta e di caldo.

Il giardino era bluastro, alluminato dalla luna piena. Le rare stelle brillavano fioche, soffocate dall'inquinamento luminoso.

Mi rannicchiai sullo scalino, esausta della vita. Jeremy non sembrava affatto intenzionato ad andarsene come aveva annunciato; ne se stava lì seduto, immobile come un gatto.

Dall'interno della casa provenivano dei rumori flebili, dei sussurri. Donna e Justin stavano parlando fitto fitto di qualcosa che non volevano rendere noto al mondo.

Jeremy non fece nulla per origliare. Sapeva stare al suo posto, quando era il momento.

Donna e Justin” commentò infine. “Chi l'avrebbe detto”.

Io l'avrei detto” controbattei io con il mento sulle ginocchia. “C'è sempre stata sinergia tra di loro”.

Jeremy non rispose, così continuai: “Spero possa funzionare, tra di loro. Donna si merita qualcosa di più di quello che pensa”.

Sì, Donna si è sempre buttata via con omuncoli di basso livello con la scusa di essere 'una donna libera di vivere la propria vita'. Chissà che capisca che esiste altro oltre al sesso”.

Feci tanto d'occhi a quella dichiarazione tanto convinta. Non avevo mai sentito parlare di Donna in quel modo, e tanto meno di aspettavo una cosa del genere da Jeremy, uno dei suoi migliori amici.

Non fare quella faccia, Emma” proseguì subito Jeremy con astio. “Io voglio bene a Donna e la rispetto molto, ma è oggettivo che non capisca una cippa di che cosa ci sia di bello nella vita oltre al sesso e all'alcol”.

Quella versione così profonda di Jeremy mi lasciò cogitabonda. Guardammo entrambi verso la strada illuminata dai lampioni, senza dire una parola.

Tu...” cominciai dopo un po', “tu sei mai stato innamorato, Jeremy?”.

Oh sì” mi sentii rispondere. Nessun dubbio, nessuna incertezza. Non chiesi altro, temendo di risultare invadente.

Ma Jeremy non si fece problemi.

Mi sono innamorato due volte, una più bella e dolorosa dell'altra” spiegò. “La prima volta a sedici anni, di un amico di mio fratello maggiore. La seconda a ventidue, di una bellissima ragazza venuta qui in Erasmus dalla Turchia”.

Non mi sfuggì il fatto che le sue cotte avessero due sessi diversi, ma non commentai. L'Amore prescindeva quei dettagli.

E... com'è finita?”.

Male, ovvio. Altrimenti non sarei in questo buco di culo di città a sfondarmi di canne ogni sera”.

L'improvvisa volgarità di linguaggio mi impedì di interromperlo. Aspettai che Jeremy fosse pronto a ricominciare a raccontare. Sempre che ne avesse ancora voglia.

Ci sentiamo ancora ogni tanto” disse. La sua voce era piena di rammarico. “Ha un fidanzato”.

Non dissi niente. Non avevo le parole per confortarlo.

Poi Jeremy si schiarì la voce, si stropicciò la fronte e appoggiò le mani sul patio in modo da stare più comodo. “E tu, Emma? Sei mai stata innamorata?” chiese a bruciapelo, con la sua solita aria canzonatoria.

Sì” risposi. “Ero innamorata veramente di Roberto”.

Non avevo paura di parlarne, ormai. Jeremy era al corrente di tutte le cose tremende che avevo fatto a Matt e a Brian ed ero certa che ormai mi giudicasse come una persona orrenda.

Ma ero stufa di preoccuparmi di piacere a tutti. Tanto valeva sfogarsi e essere sincera fino in fondo.

Lui era perfetto per me. Non avevo mai nemmeno pensato al fatto che la nostra storia potesse finire. Forse è finita proprio per questo, in effetti”.

Jeremy mi guardò con una domanda sulle labbra.

E' andato con un'altra” spiegai. “E sono cose che non si possono perdonare. Non a vent'anni”.

Forse mai” sospirò Jeremy.

Restammo in silenzio per un po'. Nel buio, rumori di risate lontane e di un motorino che sfreccia.

Sono venuta qui per scappare, sai” confessai appena i rumori si spensero in lontananza. “Ma ora penso di aver avuto abbastanza tempo per riflettere”.

E a che conclusione sei giunta?”.

Ho capito che il tradimento di Roberto è stato solo il tassello che ha fatto crollare tutto. Lui era la mia base. Quando è crollata, ho scoperto che sopra non c'era nulla. L'errore ero io, non lui. Lui ha compiuto un gesto cattivo e insensibile, ma grazie a quel gesto ho capito che stavo perdendo di vista la mia vita. Quello che studio non mi interessa più. Non è il mio sogno, non è qualcosa per cui lottare. Io voglio vivere, amare, essere felice. E divertirmi, divertirmi, divertirmi. Trento è una bella città, ma è morta dentro. Credo di non essermi mai divertita veramente prima di venire qui. In una qualsiasi serata con Donna, io mi guardavo allo specchio e mi vedevo bella, provocante, entusiasta. Un'adolescente che si gode le meraviglie della vita per la prima volta. Ma ho anche capito che anche quella delle feste e delle minigonne troppo corte era una fase. Capisci? Ho attraversato l'adolescenza in poche settimane, ma era una fase necessaria, senza la quale non avrei mai potuto crescere e maturare. Adesso ho ancora della strada da fare, ma penso di essere sulla via giusta”.

Ripresi fiato. “Capisci cosa intendo? Sto dicendo cazzate?”.

Jeremy mi guardava e capiva. Lo sapevo che capiva.

Qual è la tua prossima fase?”.

La mia prossima fase è risolvere i disastri che ho provocato in questi giorni. E la fase dopo è fare la persona adulta e tornare a casa”.

Sembra difficile. E doloroso”.

Lo sarà. Ma adesso so che posso farcela”.

Silenzio.

Sai, all'inizio non mi piacevi”.

Cosa?!” esclamai ridendo. “Impossibile” scherzai.

Non mi piacevi” ripeté Jeremy, ma aveva un bel sorriso sulle labbra. “Avevi quell'aria di ragazzetta di campagna, tutta timida e impaurita.. tutto quello a cui riuscivo a pensare era: a questa ragazza serve uno scossone come si deve!”.

Risi, lieta. “Era vero. Mi serviva proprio un bello scossone”.

Jeremy guardò lontano, nel buio. “E poi ti sei lasciata andare. Sei diventata divertente, spigliata, quasi affascinante”.

Quasi?”.

Jeremy sollevò il naso per aria, altezzoso. “Guarda che io ho stardart alti, mica come te e quell'altra!” esclamò facendo un cenno alla casa dietro di noi.

Sbuffai, fingendomi offesa.

E poi hai cominciato a fare cazzate” continuò lui imperterrito.

Del tipo?”

Tipo ubriacarti. E fingere di essere la fidanzata di Justin”.

Ah, quella è stata la cosa più stupida che ho fatto da quando sono qui”.

La più stupida?”.

Ci pensai. “No” ammisi con un certo imbarazzo, “forse non è la più stupida”.

Jeremy fu buono e non rise.

Mi strofinai la fronte e sospirai. “Ho fatto un sacco di cazzate da quando sono qui”.

Sì, ma a quanto pare dovevi. La fase, no?” mi ricordò Jeremy.

Sì...” dissi, non più tanto convinta, “ma ho coinvolto un sacco di persone”.

Tipo Brian” accennò lui.

Tipo Matt” replicai mogia io.

Matt. Quello sì che è un tipo strano”.

Lo conosci?” chiesi, memore del consiglio di Justin: chiedere a Jeremy, la stazione radio-gossip di Cleveland, informazioni su Sweetheart.

Poco. Frequenta gruppi di sostegno, questo sì: me l'ha detto Stephanie Morris, che frequenta qualche corso di medicina con lui”.

Gruppi per cosa?”.

Alcolisti anonimi. E' dipendente dall'alcol”.

Oddio”.

Sì. Però quando è sobrio è un tipo ok, mi ha detto Stephanie. Aveva una cotta per lui al primo anno, ma le è passata. Troppo problematico come soggetto”.

Sembra bipolare” aggiunsi io, “a volte è dolce e... normale, altre volte ha degli attacchi di rabbia e di gelosia spaventosi”.

Non mi sorprende”.

Provavo vergogna per quello che avevo fatto a Matt, ma non riuscivo a trovare una soluzione a quella situazione. Lui era innamorato di me, e io pensavo solo che fosse un tizio da evitare. Con tali premesse, com'era possibile anche solo pensare di poter costruire una relazione?

E Brian. Brian era perfetto... nella mia testa.

Non sapevo molto di lui, in effetti, a parte che era orfano di padre e che aveva una sorella adolescente disturbata. Ah, e che lavorava in pizzeria e come allenatore di hockey. E che era californiano. E che la sua fossetta mi faceva impazzire.

Comunque fosse, avevo buttato all'aria qualunque possibile relazione con lui quando gli avevo detto che sarei partita per l'Italia.

Cosa che ero tutt'ora intenzionata a fare.

Ma cos'era a guidarmi? Il coraggio di ripiombare nel caos della mia vita, o la codardia di scappare da una situazione che non riuscivo più a gestire?

Jeremy?” chiamai piano.

Mmm?”.

Presi un profondo respiro. “Pensi che io sia una vigliacca?”.

Jeremy rifletté a lungo.

No” rispose infine. “No, non penso che tu sia una vigliacca, Emma. Confusa, incasinata, un po' stronza forse, ma vigliacca no”.

Boccheggiai. “Pensi che io sia una stronza?”.

Bè, forse non lo sei, ma a volte ti comporti come tale”.

Non replicai, incassando il colpo. Jeremy mi reputava una stronza. Ma come potevo biasimarlo?

Jeremy si preoccupò del mio silenzio. “Non tormentarti troppo, honey” riprese subito. “Nessuno è solo buono o solo cattivo. Stai attraversando un periodo -o una fase, come preferisci- nella quale, sì... sei un po' stronza, ecco”.

Rimanemmo in silenzio a lungo, ascoltando la notte immobile.

Hai conosciuto persone cattive, e forse questo è un modo per riprenderti la tua vendetta” ipotizzò ancora.

Non risposi. Quella versione non mi convinceva.

Poi Jeremy ridacchiò, fece un sorriso sornione e si girò verso di me. “O forse sei tu la cattiva di questa storia, dopo tutto”.

Cosa? Io sono dolcissima, ti sbagli” scherzai.

Lui fece un gesto stizzito con la mano “Non sto dicendo stronzate. Quello che voglio dire è che questa è la tua storia, Emma. Sei tu che decidi come va a finire”.

La storia di Emma” annunciai solennemente.

Sì. La storia di una ragazza che...”

Feci una smorfia. “Che attira disgrazie?”

...che vuole solo essere felice” concluse Jeremy guardandomi storto.

Non risposi, riflettendo su quelle parole.

E non è detto che debba essere per forza una storia d'amore. Non deve esserci per forza un uomo nel tuo lieto fine” continuò lui, esaltato.

Lo guardai, smarrita. Sentivo che quello che stava dicendo aveva un senso, un senso profondo, e che io dovevo afferrarlo.

Questa è la tua storia Emma. Adesso sta a te decidere come arrivare al lieto fine”.

Lo guardai senza parole.

Ha ragione, pensai febbrilmente, ha ragione!

Sono venuta qui per essere indipendente, forte, sola. E adesso che ci sono riuscita, mi preoccupo di sistemare la vita di tutti gli altri? No way.

La mia storia” ripetei, guardando il cielo. La luna saliva piano, rotolando come una palla da biliardo.

Dalla casa adesso si udiva solo il leggero russare di Justin. Sembrava che lui e Donna alla fine si fossero addormentati sul divano. Dopotutto avevano avuto una giornata intensa.

Jeremy si alzò facendo schioccare le ginocchia. “I due amanti hanno finito di confessarsi. Su, entra. Noi ci vediamo domani”.

Mi alzai anch'io.

Sospirai.

Grazie, Jeremy. Di tutto”.

Jeremy sorrise. Il suo orecchino dentro brillò alla luce del lampione. “Figurati”.

Gli sorrisi anch'io, mordendomi il labbro. “Buonanotte”.

Buonanotte”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo so.

E' una vita che non aggiorno.

LO SO.

Mi dispiace tantissimo, vorrei essere riuscita a pubblicare prima. PERDONATEMI!

Ma questa storia avrà una fine, vedrete. Non giuro perché sappiamo cosa Matt pensa dei giuramenti.

Emma in questo capitolo capisce una cosa molto importante di sé: è sempre stata lei l'errore nella sua vita. Il tradimento di Roberto ha solo innescato una serie di eventi che l'hanno portata a capire che la sua vita era un fallimento su tutta la linea. Quindi ha trovato la forza e la voglia di cambiare, di vivere per se stessa e nessun altro.

Adesso vedremo cosa combinerà con i suoi giovanotti!!

 

Quindi, care lettrici, seguite e non temete. E lasciate tanti commenti, così mi rendete felice!

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Il Biglietto Vincente ***


Il Biglietto Vincente 

 

Quel giorno mi svegliai con il desiderio febbrile di sistemare ogni singolo elemento della mia vita. 

Mi sentivo come se avessi in tasca il biglietto vincente della lotteria. Sapevo ci sarebbero voluti impegno e fatica per sistemare le cose, ma adesso sapevo che ce l'avrei fatta. 

Cominciai con le cose pratiche. Non avevo molti oggetti da portare con me in Italia, ma decisi di preparare comunque il mio bagaglio. 

Dopo quindici minuti, una sacca di tela floscia era pronta sul letto. Un baluginio colpì un lato del mio campo visivo. Sospirai. Quella maledetta matrioska sbeccata mi perseguitava. 

Afferrai il monile e me lo ficcai in tasca. L'avrei restituito al mittente. 

 

 

Perché, per la prima volta nella mia vita, ero io il biglietto vincente. 

 

 

 

Eh no. Adesso basta. 

Non potevo sopportare quella situazione ancora a lungo. Mi alzai dal letto, arruffata e inviperita. Quando era troppo era troppo. 

“DONNA! JUSTIN!”. 

I rumori dal piano di sotto si affievolirono all'istante. 

Non mi fermai: “Smettetela di scopare come ricci per un minuto, c'è gente che vorrebbe dormire qui! Fate un casino d'inferno!”. 

Un silenzio di tomba cadde in tutta la casa. 

Poi, piano, Donna cominciò a ridere. Poi sempre più forte, sempre di più. 

Justin la seguì, e ben presto un ululare di risate sostituì gli ansiti dell'amplesso. 

Non potei trattenere un sorriso, seppur controvoglia. 

“Siete degli animali!” urlai. 

Le risate non accennarono a sparire. 

Sbuffai. Ma ormai ero sveglia, tanto valeva andare a fare colazione. 

“Sto scendendo! Coprite le vostre grazie, devo andare in cucina!” urlai facendo il primo gradino. 

Arrivata in fondo alle scale sentivo ancora gli ultimi risolini. Varcai la porta della cucina e chiusi la porta con forza. 

“Okkei, potete ricominciare. Fate piano però, non mi va di sentire un film porno mentre mangio le mie uova”. 

Donna rise. Una risata limpida come un cielo senza nuvole. 

“Ti voglio troppo bene, Emma!”. 

Sorrisi afferrando la scatola di burro. “Anch'io Donna. Anche se ho scoperto le tue qualità vocali di pornostar stanotte, il mio affetto è immutato”. 

Anche Justin rise. Sentii lo schiocco di un bacio. 

Ero felice per loro, davvero. 

Feci colazione in tutta calma, guardando il sole fuori dalla finestra. Erano le nove di mattina, c'era il sole, c'era amore nell'aria. 

Sentii che potevo farcela. 

Mi sentivo come se avessi in tasca il biglietto vincente della lotteria. Sapevo ci sarebbero voluti impegno e fatica per sistemare le cose, ma adesso sapevo potevo farcela. 

Sciacquai le stoviglie e le misi ad asciugare su uno strofinaccio. Accesi la radio della cucina per sentire un po' di musica. Mi stiracchiai e mi avviai verso il bagno, su per le scale. 

La porta si aprì mentre la mia mano sfiorava la maniglia. 

Un Justin nudo, sereno e splendente si materializzò davanti a me. Restai di sasso. 

Il suo sorriso si incrinò un poco. “Oddio Emma, scusa”. Afferrò l'asciugamano più vicino e si coprì. In quel momento arrivò Donna. 

“Che fate?”. 

“Justin se ne va in giro con la sua mercanzia in bella mostra e si stupisce di incontrare me in questa casa” spiegai indolente. 

Donna si appoggiò alla mia spalla. “Bè, è un bel vedere”. 

Scrutammo senza remore gli addominali scolpiti di Justin. “Sì, dai, non c'è male” ammisi. Mi voltai verso di lei. 

“Ma... nemmeno un perizoma, tu?” le chiesi ironica, notando che si mostrava spoglia di ogni pudore. Donna si strinse nella spalle, scostò Justin e si chiuse in bagno come se niente fosse. 

“Dio li fa e poi li accoppia” sentenziai. 

E intanto Donna mi aveva rubato il bagno. 

 

Cominciai con le cose pratiche. Non avevo molti oggetti da portare con me in Italia, ma decisi comunque di mettere ordine tra le mie cose. 

Dopo quindici minuti, una sacca di tela floscia era pronta sul letto. Un baluginio colpì un lato del mio campo visivo. Sospirai. Quella maledetta matrioska sbeccata mi perseguitava. 

Afferrai il monile e me lo ficcai in tasca. L'avrei restituito al mittente. 

Donna uscì dal bagno e entrò in camera avvolta in un asciugamano verde. Mi sorrise, ma poi lanciò un'occhiata torva alla sacca di tela. Sapevo che non aveva ancora accettato la mia decisione di partire. 

“Cosa farai oggi?” mi chiese, sciogliendosi i capelli. 

“Sistemo le ultime cose” risposi, vaga. 

Donna annuì poco convinta. Si pettinò i capelli per qualche minuto, poi non si trattenne: “Quel ragazzo morirà se non ti vede più, Emma”. 

Sobbalzai. “Ragazzo? Brian?”. 

Donna fece un gesto stizzoso con la mano “Macché Brian, sciocca; Matt!” 

Rividi in un secondo il viso addolorato di Matt. “Io ti voglio da morire, Emma. Ma non così”. Fu come ricevere un pugno nello stomaco. 

Boccheggiai. “Sì, devo parlargli”. 

La mia mano sfiorò la matrioska nella tasca. Perché era tutto così complicato? 

Ma quella era la mia storia ormai. Io potevo essere chi volevo. La strega cattiva, la principessa da salvare, il principe affascinante. 

Ero stufa di fare il cespuglio. Quello che sta lì a guardare mentre tutti gli altri lottano per quello che amano. 

Dovevo prendere in mano la mia vita e fare ciò che ritenevo giusto. 

Perché, per la prima volta nella mia vita, ero io il biglietto vincente. 

 

Tu tu tuuuu. 

Tu tu tuuuu. 

Un rumore metallico molto forte quasi mi rese sorda da un orecchio. 

“Sì?” rispose poi una vocetta femminile. Riconobbi Caroline, la sorella... problematica di Brian. 

Presi fiato. “Ciao, non so se... sono Emma. C'è Brian?”. 

“Nope, Brian è in pizzeria. Ma chi sei?”. 

“Sono Emma, una... amica di Brian. Tu sei Caroline giusto? Non ti ricordi di me? Siamo andati a prendere il gelato insieme”. 

“...” 

“Caroline?”. 

“Mi ricordo di te”. 

“Ah... ok, bene. Sai... sai dirmi l'indirizzo della pizzeria in cui lavora tuo fratello?”. 

“Sì”. 

Feci un profondo respiro per mantenere la calma. 

“E qual è?” 

“Brian era molto arrabbiato ieri”. 

Non risposi subito, a disagio. “Lo so” dissi infine. 

“E masticava la gomma”. 

“La gomma?” 

“Sì. Mio fratello non mastica mai le gomme”. 

Stavo perdendo l'attenzione di Caroline. “Sì, d'accordo, le gomme, ma l'indirizzo...” 

“Mai. Solo quando è morto papà masticava le gomme. Tutto il giorno”. 

Pausa. 

“Significa che era davvero molto molto arrabbiato, sai” spiegò Caroline con tono da maestrina. 

Nel petto mi si aprì una voragine. “Mi dispiace” dissi. E lo pensavo veramente. 

Caroline aspettò un po' prima di rispondere. “Va bene” sospirò. “Brian lavora al numero 13 di Saint Patrick Street, North Cl.”. 

E riattaccò. 

 

Avevo stretto quel foglietto tra le mani talmente tanto che ormai non ne rimaneva che un cartoccio giallognolo. 13, Saint Patrick Street, North Cl. L'inchiostro era ormai sbiadito, finito tutto sui miei polpastrelli. 

Era tutto il giorno che mi preparavo per quel momento. 

Avevo trovato la pizzeria verso le nove di sera, in una via poco affollata. Avevo parcheggiato lì vicino e avevo atteso, con tremante nonchalance, di veder apparire il mio Mr. Maybe. 

Mi ero preparata un sacco di discorsi e stupende frasi fatte. Dovevo spiegare a Brian che non avevo mai voluto giocare con i suoi sentimenti, che mi sentivo uno schifo per averlo illuso, deluso e poi trattato come se non contasse niente. Ma tutti questi discorsi nella mia mente erano diretti ad un ammiratore innamorato e pronto a perdonare: tutto il contrario di quello che Brian era quella sera. 

“Che cazzo ci fai qui?” esordì appena mi vide. 

Io sobbalzai, dimenticando in un lampo tutto ciò che volevo dirgli. Aveva tre cartoni di pizza tra le mani e un caschetto ridicolo bianco e rosso che citava “Da Mario”. 

Ma non potei soffermarmi troppo su quei particolari: Brian mi stava fissando con due occhi verdi di odio. E stava masticando una gomma. 

“Io... ciao Brian... sono venuta per... scusarmi” balbettai. Non riuscivo a concentrarmi con quella faccia furente davanti a me. 

Brian rise di gusto, ma solo con la bocca. “Di avermi scaricato? Pensa, che beneducata. Grazie ma non era necessario”. Detto ciò fece per andarsene. Il suo motorino era parcheggiato a pochi passi. 

“No!” cercai di fermarlo “Io... non voglio che tu pensi che io ti abbia usato, Brian. Non era mia intenzione, tu mi piacevi davvero, solo che...”. 

“Senti, non mi interessa, ok?” sbottò lui, sistemando le pizze nell'apposito contenitore del sellino. “E poi sto lavorando”. 

Salì sullo scooter e diede gas. Sparì prima che io potessi ribattere. 

 

Che avessi una tendenza al masochismo già lo sapevo, ma non credevo davvero fino a quel punto. Questa mia tendenza mi fece rimanere congelata dov'ero, seduta sugli scalini davanti alla pizzeria d'asporto, a spezzettare con pazienza il post-it giallo. 

Brian sarebbe dovuto tornare prima o poi, e io ero intenzionata a dirgli tutta la verità. Cioè che non mi ero presa gioco di lui, ma che ero quasi finita a letto con un altro. Molto coerente davvero, Emma, complimenti. 

Lui tornò dopo circa venti minuti. Quando mi vide ancora lì fece una smorfia spazientita. 

“Sto lavorando” ripeté passandomi accanto. 

“Posso aspettare” replicai subito io, decisa. Lui si fermò un attimo e mi guardò sorpreso. Poi entrò nella pizzeria. 

Il suo turno finì un'ora e mezza dopo. Il post-it ormai era un mucchietto di polvere ai miei piedi e per quella strada buia non passava un'anima. 

Brian uscì, senza casco stavolta. Mi guardò con gravità e fece un sospiro “Che cosa vuoi da me?”. 

Mi fece male vederlo così affranto. 

“Vuoi sederti?” gli chiesi, indicandogli gli scalini. Lui si avvicinò e si sedette. 

“Voglio essere sincera con te, Brian” esordii, più sicura. “Non so nemmeno io perché. Forse perché mi piaci, forse perché parlare con le persone mi aiuta a sistemare il casino che ho in testa”. 

Lui non mi interruppe. Guardava lontano, verso la strada. 

“Questa settimana è stata una belle più belle e più orribili della mia vita. Venerdì ti ho conosciuto e mi hai subito riempito la testa. Non facevo altro che pensare a te, davvero. Poter uscire con te è stato come... un crociato che scopre il santo Graal”. 

Brian mi guardò bieco per quella similitudine infelice. 

“Bé, hai capito” arrossii. “Davvero, Brian, io volevo stare con te. Ma poi sono successe un sacco di cose, e in così poco tempo! Penso di non essere mai stata così confusa in vita mia”. 

“Di certo adesso lo sei” mi rimbeccò lui. “Non sto capendo un accidente di quello che stai cercando di dirmi”. 

Presi un profondo respiro. “Quello che sto cercando di dirti è che... poteva funzionare. Avevamo le carte in regola, anche se ci conoscevamo poco. Ma adesso non funziona più. Tu per uno scherzo del destino credevi che io stessi con Justin e sei... finito con un altra. Io ti ho visto e sono finita con un altro”. 

“Tu mi hai visto?!” esclamò lui, voltandosi a guardarmi. 

“Sì. E' stato... orribile”. 

“E sei andata con un altro”. 

“...sì”. 

“Bene. Ottimo. Hai altro da aggiungere a questo disastro?”. 

“Cosa? Brian, devi capirmi, io...” 

Brian scattò in piedi come una molla. “No, cazzo, no. Io non devo capire un accidente”. 

Cercai di alzarmi anch'io, ma Brian non aveva finito. “Non puoi trattarmi così, Emma” sputò, grondando risentimento. “Non puoi uscire con me, essere gentile con mia sorella, fingere di stare con uno, dire che non è vero, dirmi che sei stata quasi a letto con un altro, cambiare continente e sperare che io capisca. Come faccio a sapere che non sono tutte balle, eh?! Io non voglio capire un accidente! Vuoi vivere la tua vita? Bene! Non venire a rompere i coglioni a me!”. 

Stavo per balbettare qualche scusa incoerente quando lui mi interruppe di nuovo. 

“Non posso aspettarti per sempre Emma”. 

Non posso aspettarti per sempre. 

Dio, come aveva ragione. 

A quell'affermazione non avevo argomenti con cui difendermi. 

Mr. Maybe mi guardava astioso, masticando la gomma con irruenza. Avevo appena deciso di dirgli che me ne sarei andata, quando un'altra voce parlò al posto mio. 

“Brian...?”. 

Mi voltai. 

Un ragazza bionda e mingherlina stava in piedi sul marciapiede, tenendo in mano le chiavi della macchina. Sembrava piuttosto scossa e in imbarazzo. 

“Sono venuta a prenderti” mormorò lei. 

Brian non disse nulla. Andò verso la ragazza, la prese per la vita con un solo braccio e la baciò con furia. “Andiamo” le disse, serio. 

Il mio stupore fu tanto grande da lasciarmi lì a bocca aperta per un pezzo. Brian e la sua tipa se n'erano andati da parecchio quando riuscii a riprendermi. 

Bene. 

Quanto tempo era passato, ventiquattro ore? E già baciava un'altra? Bene. 

Da un lato la cosa mi sollevava. Se io mi ero tanto preoccupata di non far soffrire lui, di certo lui non aveva avuto la stessa premura nei miei confronti. Il che voleva dire solo una cosa: Mr. Maybe non era affatto Mr. Right. 

Una vocina nella mia testa diceva che forse lui l'aveva baciata solo per vendicarsi di me -il che era probabile, visto lo shock della bionda a quel gesto- ma non volevo essere così egocentrica e narcisista. 

Il mondo non gira attorno a te, Emma. 

No, il mondo non girava attorno a me. Non è che adesso i ragazzi si mettevano a baciare le tipe per dare fastidio a me. I ragazzi baciano le tipe perché a loro piace baciare le tipe, stop. 

E se a Brian piaceva baciare quella biondina, buon per lui. 

Assurdamente, mi ritrovai a sperare che lui si comportasse da gentiluomo con lei. Sembrava una brava ragazza. 

 

Il signor Mario fu estremamente gentile con me quando, uscito per fumare, mi trovò ancora seduta su quei gradini freddi e scomodi. 

Gli piacqui nel momento stesso in cui gli dissi che ero italiana, e probabilmente gli piacqui ancora di più quando vide la lunghezza (cortezza?) dei miei shorts. 

Dagli shorts alla pizza gratis il passo fu breve. Dalla pizza a raccontargli della mia pseudo-relazione-conoscenza-disastro con Brian in passo fu ancora più breve. 

Mario si fece delle grasse e sane risate davanti alle mie turbe adolescenziali. 

“Tutto qui?” chiese alla fine del mio estenuante racconto. Avevo tralasciato alcuni particolari trash o volgari, ma non avevo dubbi che il malizioso grasso italiano li avesse colti tra le righe. 

“Bè... sì”. 

“Non vedo perché preoccuparsi tanto” mi consolò con un sorriso. 

Io attaccai una nuova fetta della mia pepperoni pizza. “Adesso questa situazione ti sembra insormontabile, più grande di te e di tutta la tua vita” continuò lui “ma vedrai che passerà. Alla fine passa sempre tutto”. 

Trovai quella affermazione molto più profonda di quello che voleva essere. Feci a Mario un sorriso sporco di pomodoro. “Grazie”. 

 

 

Tornai a casa provata da quello scontro a fuoco. 

Avevo parlato con Brian, ad ogni modo, e mi sentivo meglio. Adesso toccava a Matt. 

La mia scaletta prevedeva di cercare domani il suo numero di telefono e chiamarlo per fissare un incontro. Non potevo andarmene senza dirgli addio. Senza contare quello che mi aveva detto Donna, che mi tormentava da quella mattina. 

“Quel ragazzo morirà se non ti vede più, Emma”. 

Non avevo fatto soffrire abbastanza persone? 

Ma quella sera sentivo di avere la forza per affrontare un secondo round. Forse era merito della pizza. 

Avevo raccontato a Donna di Brian. 

“Cioè, quello è già con un'altra? Bello stronzo!” aveva urlato, spargendo popcorn per tutto il tappeto. 

Evitai di dire che lei aveva cambiato tre uomini quella settimana, Justin non l'avrebbe presa bene. Li lasciai al loro film e andai di sopra. Dovevo recuperare l'elenco telefonico che Donna teneva come fermaporte nello sgabuzzino. 

In corridoio trovai le mutandine di pizzo nero che avevo regalato a Donna per il suo compleanno. Potevo dire che era stato un regalo apprezzato. 

Trovai il libro sotto una cassetta da ferramenta e due vinili polverosi. Accesi una lampada e mi misi a sfogliare l'elenco seduta per terra in mezzo alla polvere. 

Dawson, Dawson... 

C'erano ben quattro Matt Dawson nella zona di Cleveland. Ne scartai due in quanto rispettivamente veterinario e ingegnere. Avevo il 50% di possibilità di trovare il mio Matt al primo colpo. Ovviamente non fu quello il caso. 

“No, grazie, devo aver sbagliato numero... arrivederci”. 

Sospirai e composi il quarto numero. 

Al terzo squillo, qualcuno sollevò la cornetta. “Matt?” chiesi, titubante. Mi rispose una voce maschile che non conoscevo: “No, adesso te lo chiamo”. Udii vari rumori di sottofondo e la stessa voce che urlava. Vari rumori dopo, una voce familiare mi giunse all'orecchio. 

“Sì?”. 

“Ciao Matt. Sono Emma”. 

Un silenzio ronzante accolse quell'affermazione. 

“Cosa vuoi?” mi chiese rude. 

“Volevo scusarmi per quello che è successo” spiegai in fretta” mi sono comportata da vera stronza, e tu non meritavi di essere trattato così”. 

Non giunse nessuna risposta per parecchio tempo. Ripensai a Jeremy, a quanta ragione c'era nella parole che mi avevano fatto così male. Stronza. 

“E' vero. Non lo meritavo” disse Matt infine. 

Sospirai, mortificata. Parlai senza nemmeno pensare. “Pensavo che potremmo vederci, così posso scusarmi di persona e... dirti addio”. 

Un altro interminabile silenzio. Rimasi lì, tesa e imbarazzata per tutta quella situazione. 

“Vediamoci domani alle 10 da Claire's”. 

Poi mise giù senza aspettare una risposta. 

Basita, scostai il telefono dall'orecchio e chiusi la comunicazione. Matt aveva paura che io potessi rifiutare? O era semplicemente un cafone? 

Rimasi con il telefono in mano in quello sgabuzzino, certa che quella notte non avrei chiuso occhio. 

 

Passai la notte fissando il soffitto. 

Donna dormiva nel suo letto, dall'altra parte della stanza. Finalmente lei e Justin avevano placato gli ormoni e si erano concessi una notte separati. Sospettavo che Donna in realtà non volesse perdersi gli ultimi giorni con me. Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo poi per recuperare il buon sesso perduto. 

Il suo respiro lento e regolare comunque mi rilassava. Tutto sarebbe finito presto. 

Sarei tornata a casa mia, non sarei dipesa più da nessuno. Solo io, me, e me stessa. 

Alle sette e un quarto sgusciai fuori dalle coperte e scesi in cucina. Il sole era sorto da poco e tutta la casa era silenziosa. Mi preparai la colazione più sana che la dispensa permetteva -succo, un toast, una mela sgualcita- e fissai il cortile del retro dalla finestra. 

Non so cosa mi aspettavo da quella giornata. L'incontro con Brian era stato tosto abbastanza da darmi coraggio: non sarebbe potuta andare peggio di così. 

Sapevo che Matt avrebbe ripetuto quello che già mi aveva detto Brian: non posso aspettarti per sempre, non puoi trattarmi così, sei stata una stronza, blablabla... 

Sì, avrei potuto sopportarlo. C'ero già passata. 

Ignorai il senso di malessere che mi aveva invasa e sistemai la cucina. 

Guardai l'ora. Le otto. Mancava un'infinità di tempo. 

Mi buttai sul divano e accesi la tv con l'audio il più basso possibile. 

Donna comparve sulla porta dopo pochi minuti. 

“Donna, scusa, ti ho svegliato” mi scusai. 

Lei fece un poderoso sbadiglio e scosse la testa. “Macché, il sole mi ha svegliato. Che guardi?” chiese sedendosi sul divano accanto a me. 

“Spongebob”. 

“Sweetei, tu odi Spongebob” replicò con un secondo sbadiglio. 

“Lo so”. 

Donna non aggiunse niente. Appoggiò la testa sulla mia spalla e guardò la tv con me. 

Dopo un'ora di cartoni animati decisi che era il momento di prepararsi. Mi lavai i denti, mi misi il mascara, infilai un paio di shorts e prima maglia che trovai sul letto di Donna. Maglia che si rivelò essere di Justin, e che quindi cambiai in fretta. 

“Pensi di andare vestita così?” mi squadrò Donna quando ero già sulla porta pronta per uscire. 

Mi guardai. Scarpe da tennis, shorts e maglietta gialla. “Perché? Che c'è che non va?”. 

“Sei sexy come una teiera”. 

Sbuffai. “Non devo essere sexy per nessuno, Donna. Sto andando a farmi insultare”. 

Donna non smise di guardarmi storto, ma non disse altro e io me ne andai. 

Claire's era una caffetteria carina ad un paio di chilometri da casa. Decisi di prendere la bici scassata dal cortile sul retro per fare prima. 

Ero nervosa. 

Claire's era una caffetteria alla mano, con vasetti di fiori rosa ad ogni tavolo e cameriere cordialmente scontrose. Scesi dal mio bolide e lo legai ad uno stallo con un catenaccio rugginoso. Ero arrivata troppo presto. 

Pensai di aspettare fuori, ma dopo dodici secondi decisi che mi sentivo un'idiota ed entrai. Scelsi un tavolino appartato e piombai sul sedile rosa. Alla cameriera dissi che stavo aspettando qualcuno. Lei mi riservò un'occhiata gelida da dicono-tutti-così. 

Matt varcò la soglia del Claire's alle dieci punto zero zero. Si guardò attorno e quando mi vide si bloccò, come se fosse sorpreso nel trovarmi veramente lì. 

Si avvicinò scelse il sedile di fronte al mio. 

“Ciao”. 

“Ciao”. 

“Sei qui da molto?” 

“Da venti minuti” 

“Sei arrivata presto” 

“Sì”. 

Seguì qualche momento di silenzio imbarazzato. 

 

“Tu hai... dei problemi. Dei problemi con l'alcol”. 

“Sì, Emma, ho dei problemi. Forse dei problemi più gravi e più spaventosi di quelli che hanno gli altri, ma non credere che qualcuno ne sia immune. Tutti hanno dei problemi. Le persone non si dividono per “con problemi” e “senza problemi”. Ci sono solo persone che cercano di risolverli e persone che piagnucolano lamentandosi di quanto è difficile la loro vita. 

Quindi sì, Emma, io ho dei problemi. Ma sto cercando di superarli. So che non mi crederai, ma tutto questo grazie a te” 

“Grazie a me?” 

“Sì. Adesso ho una ragione per smettere di bere. Diventare un uomo indipendente forte abbastanza da prendersi cura di te”. 

Ero molto, molto imbarazzata. “Tu... per me?” 

“Per te. E' una sciocchezza romantica, dirai tu. E sai cosa dico io?” 

Avevo paura di fare quella domanda “Cosa?” 

“Mettimi alla prova”. 

 

 

Non credevo che Matt sarebbe riuscito ad aspettarmi. Insomma, ci sarebbero stati un oceano e due continenti pieni di persone a dividerci! Avrebbe potuto incontrare un'altra ragazza, sistemare un po' la sua vita, rimettersi a studiare... 

Era impensabile cominciare una relazione ora, aveva detto. “Tu sei incasinata” (IO ero quella incasinata adesso) “devi capire che cosa vuoi, che cosa cerchi. Io devo eliminare ciò che intossica la mia vita e il mio futuro. Ci vorrà tempo. Sarà difficile. Ma io tenterò”. 

“Perché? Voglio dire, è una bellissima iniziativa, può farti solo che bene, ma perché vuoi fare tutto questo per me?” 

Matt mi guardò a lungo. “Perché non è detto che riuscirò; ma per te senza dubbio vale la pena tentare”. 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** L'Araba Fenice ***


Ho scritto T.G.I.F 10 anni fa, quando Katy Perry risuonava in tutte le stazioni radio e era ok indossare una cintura di pelle sopra un vestito sopra i jeans. Ho amato scrivere questa storia, che è stata una valvola di sfogo per tutto quello che avrei voluto fare nella mia adolescenza - che, nella realtà, non è stata neanche lontanamente paragonabile alle montagne russe che abbiamo vissuto qui. Ma è questo il bello della scrittura: poter vivere vite che non abbiamo vissuto.

 

Oggi, 10 anni dopo, vedo moltissimi difetti in questa storia. Ad oggi, di certo non la scriverei più, non così. Ma ci sono affezionata: è uno specchio della me di allora, e devo accettarlo per quello che è, pregi e difetti.

 

Scrivo quindi questo epilogo 10 anni più tardi. Il mio stile di scrittura potrebbe suonare molto diverso, per questo ho pensato che sarebbe stato adatto scrivere un capitolo ambientato anni dopo la settimana intensa che Emma ha vissuto a Cleveland.

 

Ho voluto dare una chiusura a questa storia, io che di chiudere progetti artistici non sono mai stata capace. Spero sia un inizio di nuove e belle cose.

 

L’Araba Fenice

 

Erano passati 5 anni da quando ero stata l’ultima volta in questo aeroporto. Donna piangeva, io pure, Justin mi aiutava a trascinare una valigia malconcia piena di ricordi. Ci siamo salutati e abbracciati così a lungo che poi ho dovuto correre per non perdere il mio volo. 

Quell’ultimo mese passato a Cleveland era stato il più intenso della mia vita.

Un mese di mente annebbiata dall’alcol, di strusciamenti indecenti e fenicotteri galleggianti in piscina. Un mese di fuoco, di baci, di follia. Un mese in cui avevo recuperato la mia adolescenza, ero bruciata e rinata dalle ceneri.

Ci ripensai con una certa nostalgia, scendendo dalle scalette di ferro dell’aereo. La scritta CLEVELAND HOPKINS INTERNATIONAL AIRPORT mi strizzò l’occhio e io non potei fare a meno di ingoiare il magone che avevo in gola.

Ero tornata.

 

______________________________________________________________

 

Percorsi senza fretta il lungo corridoio dell’uscita passeggeri. Sentivo la stanchezza, ma anche un senso di quieta felicità che mi gonfiava il petto. Non vedevo l’ora di rivedere Donna e gli altri.

Varcai le ultime porte scorrevoli con mille pensieri in testa. Controllai il mio telefono per vedere se il mio tassista fosse arrivato. Nessun messaggio.

Alzai la testa e frugai con lo sguardo tra la gente. 

Mi era sempre piaciuta la sala degli arrivi degli aeroporti. I tassisti impassibili con i cartelli in mano, le famiglie chiassose, le coppie che si abbracciavano in un singulto di gioia. Sì, come in quella scena di Love Actually.

 

La verità è che è sempre bello quando c’è qualcuno che ti aspetta.

 

Mi feci largo tra le persone e mi avviai verso l’uscita. Nonostante il caldo, mi fermai per allacciarmi il cappotto: fuori segnava -3 gradi, non era il caso di uscire così.

“Hi, Sweetheart"

Stavo ancora litigando con la zip. Alzai la testa e sbattei gli occhi.

Matt era lì, davanti a me. Le mani ficcate in tasca, il giubbotto incastrato sotto un braccio, e il sorriso più bello del mondo. 

Lo fissai, incredula, senza riuscire a parlare. C’era qualcosa di molto diverso in lui, ma non seppi dire cosa. Era come se una pesante nebbia nera si fosse alzata dal suo viso, che ora risplendeva come non l’avevo mai visto. Davanti a me non c’è più il ragazzo scontroso e buio che conoscevo. C’era un uomo adulto, solido, con i lineamenti affilati e gli occhi gentili. Il blu torbido dei suoi occhi era stato sostituito da un azzurro sincero. Aveva un’aria serena. 

Matt si accorse del mio straniamento. Titubante, si tolse le mani dalle tasche e si avvicinò a me. Mi sorrise di nuovo. “So che sei sorpresa di vedermi. Donna mi aveva detto che arrivavi oggi, e so che lei e Justin non potevano venire a prenderti a quest’ora. Spero non sia un problema se sono venuto io. Volevo farti una sorpresa”. Aggiunse l’ultima frase con un guizzo di incertezza, come se volesse chiedermi scusa per essersi preso quella libertà, ma senza perdere il sorriso.

Mi accorsi che toccava a me dire qualcosa. “Io… no… ma figurati!” balbettai “È che… sei così… diverso!” Sperai di non averlo offeso. “...in senso buono” aggiunsi, in un soffio.

Matt incassò senza battere ciglio. “Sono passati anni. Anche tu sei diversa”.

Qualcosa dentro di me si strinse. Era vero. Eravamo diversi, tutti e due. Gli sorrisi e annuii. Quasi mi commossi. “Sono felice che tu sia qui”

 

______________________________________________________________

 

Matt mi accompagnò in macchina alla nuova casa di Donna e Justin. Per fortuna non avevo già pagato il taxi.

Il tragitto fu costellato di domande generiche su lavoro, casa, animali domestici, ipotetici compagni di vita. Fui sinceramente felice di scoprire che Matt si era laureato l’anno precedente e ora lavorava come medico in uno studio privato, e viveva in un appartamento in centro con un cane di nome Ronny.

“Sei un medico di successo e hai già l’aspetto di un padre di famiglia. Le donne devono cadere ai tuoi piedi continuamente” gli dissi senza riflettere. Matt sorrise senza staccare gli occhi dalla strada.“Non è così, ma se gioca a mio favore, facciamo finta di sì”. 

Mi pentii subito di quell’uscita e non osai chiedere altro sulla sua vita sentimentale; lui fece altrettanto. Chiacchierammo del più e del meno fino all’arrivo.

 

Donna mi accolse con un urletto inconfondibile e mi stritolò in un abbraccio prima ancora di farmi entrare in casa. “Come sono felice di vederti, Emma! Stai una favola!” Le sorrisi. Mi sentivo davvero molto bene, in realtà, nonostante la stanchezza.

Donna mi fece fare subito un un tour della casa. Lei e Justin avevano comprato una casa enorme in un quartiere residenziale di Cleveland; qua e là nelle stanze si vedevano ancora gli scatoloni del trasloco. Come potessero permettersi tutto ciò, io non lo sapevo e non indagai.

 

“Questa è la tua stanza! Sistemati e cambiati con calma, noi ti aspettiamo di là”. 

Appoggiai i miei bagagli sul pavimento e presi un respiro profondo. Ero felice ma esausta: ero in viaggio da più di 16 ore. Mi feci una doccia, mi cambiai e mi passai il correttore sotto gli occhi cercando di nascondere le occhiaie. 

 

Quando arrivai in sala da pranzo mi ritrovai davanti la squadra al completo: Donna, Justin, Jeremy, Thomas, Liam. Tutti mi salutarono e mi fecero un sacco di domande sull’Italia, sul nuovo lavoro, sul viaggio. Erano sinceramente felici di vedermi. A tratti mi venivano le lacrime agli occhi per tutto quell’affetto.

Notai che Matt non se n‘era andato via dopo avermi accompagnato; stava appoggiato al bancone della cucina con un bicchiere in mano. Era sulle sue, ma non sembrava a disagio. Mi sorrise da lontano, e io ricambiai.

 

“La cena è arrivata!” annunciò Justin dopo un discreto scampanellio alla porta.

A cena finii seduta vicino a Matt, e qualcosa nello sguardo innocente di Donna mi disse che non era un caso.

Sentivo la sua presenza solida di fianco a me. Percepivo che ogni tanto mi guardava, ma non gli chiesi nulla. Avevamo parlato per quasi un’ora durante il viaggio in macchina, e non mi veniva in mente nulla di intelligente da chiedergli senza ripetermi.

“... ma ti ricordi di quella volta che Emma è caduta dalle scale di Brenda?”

“Oddio sì! E quando l’abbiamo beccata a limonare con quel jock dal Nebraska?”

 …e poi Justin e Jeremy cominciarono a tirare fuori tutti gli aneddoti più imbarazzanti che ricordavano su di me, e conclusi la serata a ridere e a difendermi, rossa come un pomodoro, da maldicenze e fatti - purtroppo - fin troppo veri. 

 

L’eco dei sorrisi e delle risate sembrò rimanere impregnato nelle pareti della casa anche quando, verso mezzanotte, tutti gli ospiti se ne andarono, allegri e alticci.

Donna e Justin si misero a sistemare la sala da pranzo. Io mi avviai verso la cucina, dove trovai Matt intento a lavare i bicchieri. La disinvoltura con cui si muoveva nella cucina di Donna mi fece pensare che fosse ospite lì molto spesso. Lo raggiunsi e appoggiai sul bancone i cartoni della cena d’asporto. Matt mi scoccò un’occhiata. “Va’ a letto Emma, sei esausta” mi disse, gentile.

 

“È vero, sono esausta” gli concessi. “Ma speravo di poter parlare un po’ con te”.

Matt chiuse il rubinetto. L’improvviso silenzio dopo l’acqua che scorreva creò una strana atmosfera. Mi sorrise. “Pensavo ne avessi abbastanza di parlare con me”

“Eh?” 

“Non mi hai rivolto la parola per tutta la cena” replicò, sorridendo. “Pensavo di aver colto il messaggio, forte e chiaro”.

“Ah”. Mi strofinai la fronte con le mani. Ero davvero stanca. “Non… non era mia intenzione. Ho fatto finta di niente oggi in macchina, ma sono ancora in imbarazzo per quello che è successo tra di noi. E poi stasera Justin e Jeremy si sono messi d’impegno a rievocare episodi poco… lusinghieri su di me”. Risi per nascondere il mio disagio. 

 

Matt si tolse i guanti da cucina e si girò verso di me. “Non devi essere in imbarazzo, Emma. Eravamo due persone diverse. Volevamo cose diverse. Non c’è niente di cui sentirsi in colpa”. 

Matt mi prese la spazzatura dalle mani “Faccio io. Tu va a sederti di là; arrivo subito” e mi fece cenno di andare verso il salotto.

 

Ci sedemmo entrambi sul divano. Bè, lui si sedette: io mi ci accasciai.

“Da quanto sei in piedi?” 

Feci un difficilissimo conto mentale. “Da almeno 24 ore, direi”.

“Deve essere stata una giornata tosta”.

“Sì”.

Fece per parlare di nuovo, ma io sapevo che era quello il mio momento. Alzai una mano e lo interruppi: “Non mi sono comportata bene con te, Matt” cominciai “So che hai affrontato difficoltà molto più grandi di quelle che ho dovuto affrontare io, e non ho saputo vederlo. Ti ho giudicato sulla base di dicerie e pettegolezzi, ero una ragazza sciocca. Ti ho trattato male. Sono stata… una stronza”

Matt mi guardò con le sopracciglia sollevate, senza rispondere. 

Deglutii. “Volevo parlarti, stasera. Ma ero in imbarazzo. Prima dovevo… scusarmi con te” conclusi.

Matt mi scoccò uno sguardo pieno di dolcezza. “Scuse accettate” mi dice. 

Mi sentii subito rasserenata. 

“Adesso vai a letto” mi disse “Io finisco qui e poi me ne vado”.

Lottai contro le palpebre che mi si chiudevano. “No” sospirai “resto qui… ti aiuto”.

Matt rise. La sua risata mi piaceva. Mi accorsi, con una morsa al cuore, che non l’avevo mai sentita prima di oggi.

“Non saresti di grande aiuto”. Si alzò e si sedette accanto a me. “Su, vai di sopra e mettiti a letto”.

“Io… non voglio…” mormorai, evitando il suo sguardo.

“Non vuoi? Cosa non vuoi?”

“... che tu te ne vada” ammisi. Non seppi mai perché lo dissi. Ma sapevo che era una delle cose più vere che avessi mai detto in vita mia.

Matt parve colpito. Sbatté gli occhi e mi osservò più attentamente, la fronte corrucciata. “Io… devo andare via, Emma. Devo tornare a casa… a dormire… Il cane…” si impappinò e tacque. “Ma possiamo vederci domani” aggiunse, cauto. “Se tu lo vuoi”.

“Lo voglio”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Thank God It's Friday ***


Thank God It’s Friday

 

Mi svegliai con un profumo di uova che mi ricordò subito che non mi trovavo più in Italia. Mi stiracchiai, felice. Era venerdì, e non avrei cominciato il nuovo lavoro fino al lunedì dopo.

Scesi in cucina e trovai Justin intento a preparare la colazione, mentre Donna fissava cogitabonda il suo caffè annacquato.

“Non ho la forza di andare a lavorare stamattina” annunciò e, dopo un rumoroso sbadiglio, tracannò il suo caffè. Solo dopo parve accorgersi di me. “Buongiorno splendore! Hai dormito bene?”

“Molto bene, grazie”.

“Vorrei poter stare a casa con te oggi a sparlare di tutto quello che ci siamo perse in questi anni… ma quello stronzo del mio capo non mi ha lasciato la giornata libera” disse, immusonita. 

“Non importa, Donna. Stasera la possiamo dedicare ad un riassunto dei pettegolezzi e delle tappe di vita vissuta. E poi abbiamo anche tutto il weekend per noi”

Donna tentennò. “Va bene” concesse. “Ma oggi che farai?”

“Oggi ho un appuntamento”.

“Wowowo, Italian girl! Sei qui da meno di 24 ore” si intromise Justin ridendo. 

Donna alzò la testa di scatto dal suo caffè. 

“Lui?”.

“Lui”.

“Lo sapevo” .

Justin alzò le mani. “Sento che devo uscire”.

Donna non lo guardò neanche. Continuò a fissarmi con la bocca serrata. 

“Emma” cominciò “Matt… si è legato molto a noi dopo che sei andata via. Aveva bisogno di amici, e noi siamo stati con lui nel suo percorso. E il… cambiamento che ha fatto è stato straordinario. Oserei dire che è una persona completamente diversa rispetto a quella che hai conosciuto cinque anni fa”.

Non la interruppi.

“Noi teniamo molto a lui” continuò, incerta. Fece un sospiro. “Matt non ha mai parlato di te in questi anni. Ma secondo me tu c’eri in ogni cosa che faceva”.

Aggrottai la fronte. “Mi sembra… un po’ eccessivo” provai a dire. “Ci siamo visti così poco… e poi non si cambia per le altre persone”.

“Hai ragione” mi concesse Donna “non si cambia per gli altri, si cambia perché lo si vuole. E lui voleva cambiare… per te. Almeno, all’inizio voleva cambiare per te, e tanto è bastato per metterlo sulla giusta strada. Adesso è cambiato per sé stesso, ed è felice”.

Non ero certa di capire dove Donna volesse andare a parare. Avevo paura di chiederlo, perché la risposta mi rendeva triste.

“Temi che io… lo renda di nuovo infelice?” domandai. “Vuoi che non esca con lui, per non rovinare il percorso che ha fatto?”.

La tazza di caffè che stava per sorseggiare si bloccò a mezz’aria; Donna mi guardò con occhi fiammeggianti: “Che cazzo hai capito? Voglio che tu e lui vi mettiate insieme, che scopiate come ricci e che siate vergognosamente felici!”.

_______________________________________________________________

Matt mi aveva portato alla pista di pattinaggio sul ghiaccio, che con le decorazioni natalizie dava il meglio di sé. Il cielo era plumbeo e le temperature erano ancora vicine allo zero, ma il vento si era placato e mi sentivo piacevolmente al caldo dentro il mio piumino.

Passeggiammo un po’ attorno alla pista, guardando i bambini e le coppiette volteggiare e schiantarsi gli uni contro gli altri.

“Quanto starai qui?” mi chiese Matt. 

“Un anno. All’inizio starò da Donna, poi cercherò un appartamento per conto mio. Lunedì comincio con il nuovo lavoro”.

Seguì un silenzio meditabondo. Mi concentrai per formulare una domanda intelligente, quando Matt mi anticipò.

“Sai perché ero arrabbiato la prima volta che ci siamo incontrati?”.

Inarcai le sopracciglia, sorpresa. “Aspetta, quando siamo scappati dai poliziotti alla festa di Brittany, la bionda?”.

“Sì” confermò. “Ero arrabbiato perché ero già ubriaco quando ti ho visto entrare con Donna. Avrei voluto parlarti, ma sapevo che non avrei potuto in quelle condizioni”.

Risi. “Insomma, mi stai confessando che ti sei innamorato di me al primo sguardo?”.

Lui non rise, ma distolse lo sguardo con un sorrise imbarazzato “Credo di sì”.

Rimasi in silenzio, colpita. Mi sentii arrossire.

“Ti avevo già vista con Donna a qualche festa. Era da un po’ che speravo di parlarti, ma non osavo. Solo quando ti ho vista scappare e rimanere bloccata ho deciso di seguirti - e di aiutarti”.

“Per poi fare quella pessima figura la volta dopo…” Matt si passò una mano sul viso, imbarazzandosi al ricordo di quella serata.

“Quando hai vomitato per un’ora nel bagno della villa?”

“Sì”.

Matt mi afferrò la mano e mi portò verso di sé. Non fu un gesto brusco, avrei avuto tutto il tempo del mondo per fermarlo. Mi strinse contro il suo petto, con dolcezza. Mi mancò il respiro. Sentii le sue braccia avvolgermi e io non riuscii a fare altro che stare lì, bloccata, con il respiro mozzo e il cuore a mille.

Piano piano recuperai il controllo motorio dei miei arti, e alzai le braccia per ricambiare la stretta. La sua schiena era piacevolmente solida sotto le mie mani.

Stemmo così per un po’, senza dire niente. Sentivo il respiro di Matt sui capelli, e le sue dita che mi accarezzavano piano le scapole.

Dopo qualche minuto, si staccò da me. Sentii subito che il suo corpo, lontano dal mio, mi mancava terribilmente.

Matt mi guardò, poi tornò a guardare lontano, verso la pista di pattinaggio. “Penso che tu mi piaccia ancora moltissimo, Emma” mi disse. “Mi sei piaciuta subito, in un modo chimico, folle, che non sapevo gestire né capire. Ma all’epoca non ero… nel momento giusto della mia vita” continuò. “Sono cinque anni che sono sobrio. Ora so camminare sulle mie gambe. Sopravviverò se non mi vuoi, e troverò il modo di essere felice lo stesso. Ma quando ho saputo che saresti tornata… dovevo provarci, capisci. Dovevo sapere”.

Sentii di capire perfettamente cosa voleva dire. Dentro il petto mi sbocciò una bolla calda. Cercai di non dare a vedere quanto ero emozionata.

“Certo che saresti felice anche senza di me” dico, sincera. “Si vede che stai bene. Hai ripreso in mano la tua vita. Ti ammiro per questo”.

Matt mi guardò con due occhi ricolmi di tenerezza. Ci ritrovai lo stesso amore di anni prima, ma più consapevole, più maturo. Mi si strinse il cuore a ripensarci. 

Mi avvicinai a lui, attratta da una forza ineluttabile. Lui non si scompose, non mi sfiorò. Era chiaro che si aspettava un altro tipo di risposta da me.

Tossicchiai e scostai la mia sciarpa. Frugai con la mano dentro il collo del maglione e estrassi un ciondolo d’argento. “Anche tu mi piaci Matt” dissi, mostrandogli una piccola luccicante matrioska.

I suoi occhi si fecero enormi. Aveva un’espressione sbalordita. “... ce l’hai ancora”.

“Sì”.

Si avventò su di me con un ardore che mi fece barcollare. Le sue mani mi strinsero il viso e mi baciò con forza. Ricambiai con molta partecipazione. Mi baciò a lungo, lì, davanti a quella pista di pattinaggio, dopo 5 anni di attesa, di dubbi, di rinascita. Fu il bacio migliore della mia vita.

Si scostò e mi guardò con occhi appassionati. Aveva il respiro affannato dai troppi baci.

“Aspetta, quando cominci a lavorare?” mi chiese.

“Lunedì”.

“E oggi è…?”.

“Venerdì”.

“Thank God”.

E mi baciò di nuovo.

 

 

FINE

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=921299