L'amore non è mai una coincidenza

di Ariel Bliss Russo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo: Una delle tante. ***
Capitolo 3: *** Secondo: Modi di dire. ***
Capitolo 4: *** Terzo: Vane resistenze. ***
Capitolo 5: *** Quarto: Biscotti pacifici. ***
Capitolo 6: *** Quinto: Bocca cucita. ***
Capitolo 7: *** Sesto: Piccola eroina. ***
Capitolo 8: *** Settimo: Come il giorno e la notte. ***
Capitolo 9: *** Ottavo: Famiglia al completo. ***
Capitolo 10: *** Nono: Oddio, che situazioni! ***
Capitolo 11: *** Decimo: La ragazza nella media. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


~Prologo

Si dice che, in un punto preciso del tuo percorso e con un pò di fortuna,
incroci la strada della persona con cui passerai il resto della tua vita.
C'è chi non ci crede, chi pensa si tratti solo di una coincidenza.
Ma l'amore non è mai una coincidenza.
Non arriva mai per caso, e se due destini si trovano e si intrecciano, è perchè era giusto che accadesse.
Perchè doveva essere così, e non è qualcosa che si può combattere o cambiare.
L'amore non è mai una coincidenza.
C'è sempre qualcuno che ci mette lo zampino, magari una bambina bionda e con gli occhi azzurri.
No, nessuna coincidenza.

Solo che a volte ci vuole del tempo, per capirlo davvero.

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Capitolo 2
*** Primo: Una delle tante. ***


~Una delle tante.

Ricordo bene quando avvenne l'incontro che mi cambiò la vita.
Era estate, la mia stagione preferita, e avrei preferito qualunque cosa, pur di non dover rimanere chiusa in casa per tutta la giornata.
Così sono uscita.
Il parco in cui avevo intenzione di andare era uno di quei luoghi in cui io e Lia, la mia migliora amica, amiamo andare per parlare e fare i compiti sdraiate sul prato. Ovviamente, non in inverno!
L'avrei chiamata per venire con me, ma lei e la sua famiglia erano partiti per stare qualche settimana a casa dei suoi nonni.
La invidiavo, a volte, e lei per non farmela pesare troppo mi diceva sempre che non era un granchè, ma sapeva benissimo che non mi riferivo alle visite dai suoi nonni.
Lei aveva una famiglia.
Io, ormai, l'avevo persa da tempo.
Scossi la testa, per evitare di incappare ancora una volta in brutti ricordi.
Detti qualche schiaffetto alle guance, tanto per riprendermi del tutto, poi arrivai finalmente al parco.
Non era grande, occupava giusto un angolo della piazza del paese, eppure l'avevo sempre considerato un angolo di paradiso.
Già, perchè lì ci andavano sempre i bambini a giocare, e urla e schiamazzi mi facevano sorridere dalla tenerezza, il più delle volte.
C'era un'unica costruzione piena di scivoli colorati e percorsi tremolanti e altalene, poi qualche panchina per i genitori che osservavano attenti i figli, accorrendo se li sentivano piangere.
Ora quelle due panchine erano vuote, perciò mi sedetti in una delle due e rannicchiai le ginocchia al petto, avvolgendo le braccia intorno e poggiando il mento su di esse.
Per quanto potesse sembrare strano, mi piaceva stare da sola.
Potevo pensare e fissare il vuoto e ascoltare i rumori intorno a me, eclissandomi, senza che nessuno mi deridesse o dicesse alcunchè.
Non mi importava davvero dell'opinione che la gente aveva di me, però preferivo estraniarmi senza essere osservata da cima a fondo e sentire parole sommesse, bisbigli che dicevano 'Quella è strana'.
In più, mi piaceva osservare i bambini.
Loro ancora possedevano quell'innocenza, dipinta sul volto, quel sorriso onnipresente che non li abbandonava mai, l'allegria spiccava nei loro volti ed era una cosa che mi aveva sempre affascinata.
Stavo per mettermi le cuffie dell'mp3, quando una vocina irritata penetrò nel mio cervello e mi fece voltare la testa.
«Mamma, sei troppo lenta!»
Quel tono seccato mi fece sorridere, e la bimba che aveva pronunciato quella frase era al limitare del parco, con un piedino che batteva sul prato e le braccia strette al petto, sul viso dipinta un'espressione di rimprovero verso la madre che, trafelata, arrivò qualche secondo dopo di lei, chiedendo scusa alla bambina.
Però, che tipetto!
«Posso andare?» chiese di nuovo lei, guardando la donna.
«Si tesoro, vai pure, io sarò seduta laggiù» indicò le panchine, e non fece in tempo a dire -non correre! e stai attenta!-, che la ragazzina si era già volatilizzata.
Con un sospiro, la donna, probabilmente senza accorgersi della mia presenza, si sedette accanto alla sottoscritta.
Intanto la bambina era andata a rifugiarsi sull'altalena, ma non aveva la stessa foga di toccare il cielo che premeva sempre gli altri bimbi quando ci salivano sopra. No, lei si limitava a dondolarsi leggermente, con lo sguardo basso.
«Sembra triste..» mormorai, sovrapensiero.
La madre, pensando mi stessi rivolgendo a lei, fece una smorfia.
«E' arrabbiata con me, perchè non le ho comprato il cellulare. L'altro giorno l'ha visto ad un'amichetta e me ne ha chiesto uno. Ma è ancora piccola! A volte è così testarda..» rivelò lei, che sembrava non essersi accorta nemmeno di aver parlato.
Io sorrisi malinconica. «Le assicuro che sua figlia non è l'unica a mettere il broncio per cose simili. Bisogna solo saperle convincere.»
La donna scosse la testa, come a risvegliarsi da quella trance, e voltò il viso verso di me.
Non doveva avere più di quarantanni, tuttavia aveva ancora la bellezza di una trentenne.
Probabilmente erano le occhiaie scure e i tratti del viso tirati a far intuire che fosse più grande.
Aveva dei bei capelli biondo cenere e occhi sereni color nocciola e mi scrutava come se, per l'appunto, non si era accorta di avere una sedicenne accanto a sè.
«Oh, scusami, non mi era accorta..» prese a dire, ma la interruppi.
«Non si preoccupi, anche io avevo la testa fra le nuvole» per rassicurarla ulteriormente, feci un sorriso.
La signora si calmò un poco. «D'accordo. Mia figlia a volte mi fa quest'effetto. Solitamente non è così abbattuta, però, anzi» disse.
«Sembra una di quelle bimbe che fanno esasperare i genitori».
Lei mi guardò incuriosita. «Lo è. Lo fa continuamente» sospirò.
Che hai da perdere? Magari ci riesci pensai, mentre un'idea mi frullava in testa.
Ero brava a risolvere i problemi degli altri, ma sicuramente non i miei.
«Beh, mmh..» di colpo mi sentì invadente e in imbarazzo «potrei provare a parlare con lei. Sono brava con i bambini»
La donna aprì la bocca, come per declinare l'offerta in modo gentile, poi la richiuse.
«Caccia via tutte le baby-sitter che chiamo per lei ed è difficile che parli con qualcuno senza insultarlo» mi avvertì.
Sorrisi. «Magari io sono un'eccezione»
La donna rise, portando una mano alle labbra.
«Sei molto coraggiosa! Prova pure» e avendo il via libera, lasciai libere le gambe, le sgranchì un pò e mi alzai.
Passeggiai lentamente verso l'altalena accanto alla bimba, che, se si era accorta di me, non accennò a farmelo capire.
«Ciao» esclamai, sedendomi e iniziando a dondolare come lei.
Non disse nulla.
«Perchè non provi ad andare più in alto? Non ci riesci?» la provocai.
Lei alzò lo sguardo infastidita.
«Vado più in alto di tutti i bambini del mondo, ma ora non mi va» disse, invitandomi a ribattere.
Io invece, scrollai le spalle.
«Ok. Allora non ti dispiace se vado più in alto di te ora, giusto?» e presi a spingermi più forte.
L'altalena era la cosa che preferio di più, fin da quando ero piccola.
Non c'era un perchè preciso, non aveva nulla a che vedere con il cielo sempre più vicino e la voglia di toccare la punta degli alberi con i piedi, forse più che altro con il vento che mi accarezzava con delicatezza e decisone il viso.
Fatto sta che, le poche volte che i miei mi avevano portato al parco, a differenza degli altri bambini, io facevo solo quella.
La bambina accanto a me chinò di nuovo il viso, ma strinse le catene e si diede una spinta un pò più forte delle precedenti.
Sorrisi soddisfatta.
Non passarono neanche dei minuti che tra di noi era sfida aperta, con lunghe occhiataccie che non ci importava di nascondere all'altra, e più io andavo in alto, più lei diventava determinata.
«Va bene, va bene, hai vinto, non mi sento più le gambe!» esclamai, cominciando a rallentare.
«Sei vecchia anche tu, come la mamma?» chiese ridacchiando, mentre finalmente ci fermammo.
Alzai un sopraccigglio. «Ehi, ma dico, ti sembra che io e la tua mamma abbiamo la stessa età?»
«Si» e poi mi spiegò che «lei dice sempre di essere stanca, quando le chiedo di giocare»e mise di nuovo il broncio.
«Anche la mia mamma fa così» dissi.
Lei mi guardò, con grandi occhi azzurri.
«Ma non sei grande per giocare tu?»
Mi misi un dito sulle labbra e rivolsi il viso al cielo, come per pensarci su. «Secondo me, non si è mai troppo grandi per giocare. Sei adulto solo se vuoi fare l'adulto».
Le mi studiò, più interessata di prima. «Mi piaci, sai?» sentenziò alla fine.
«Anche tu» annuì convinta.
E l'occhiata complice che ci scambiammo era una delle tante che sarebbero seguite.

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Capitolo 3
*** Secondo: Modi di dire. ***


~Modi di dire.

Dopo quell'accordo di pace e una stretta di mano, rimanemmo un pò in silenzio, e io la guardai di sottecchi.
Aveva molti tratti comuni con la madre.
I capelli erano dello stesso biondo cenere, solo che non si vedeva alcun accenno di capelli bianchi. Il viso dai tratti morbidi e dolci la rendeva tenera e innocente al solo guardarla, se non fosse per quello sguardo furbo e intelligente racchiuso negli occhi zaffiro.
Di solito i bambini come lei erano sempre agitati e allegri e correvano dappertutto, ma lei aveva la calma e la consapevolezza che raramente si poteva trovare in una persona a quell'età. E quanti anni poteva avere? Sette? Otto?
«Hai intenzione di rimanere tutto il tempo sull'altalena?» le chiesi.
«E se anche fosse?» ribadì lei, accigliata.
Scrollai le spalle. «Nulla. Anche io alla tua età facevo solo l'altalena» dissi.
«Lo scivolo è per i piccoli»
Ridacchiai.
«Perchè ridi?» vollè sapere, con un tono a metà fra il curioso e l'irritato.
«La pensavo come te. Ehi, perchè sei così arrabiata?»
Spaesata, si guardò intorno, come a voler sviare la domanda, poi fissò i suoi occhioni azzuri su di me e rispose.
«Mamma non vuole comprarmi quello che voglio» si lamentò.
Feci una faccia stupita, fingendo di non sapere di cosa parlava. «Davvero? E cos'è che vorresti?»
«Voglio il cellulare, ce l'hanno anche le mie compagne di classe e ogni volta mi prendono in giro perchè io non ce l'ho» parlò tutto d'un fiato.
Conoscevo quella voglia di stare sempre al passo con gli altri, di conoscere sempre ciò di cui parlano senza sentirmi esclusa.
Comprendevo perfettamente quello che c'era dietro le sue parole.
«Non credi di essere..» iniziai, ma lei alzò una mano, fermandomi.
«Troppo piccola?»
«No! Anzi, sembri troppo sveglia per la tua età!» esclamai.
Rise. «Lo so. Lo dice sempre anche la mamma»
«Beh, è vero. Ed è proprio questo che intendevo» continuai, scendendo dall'altalena e piegandomi per starle di fronte.
«Non credi di essere più furba e intelligente delle tue compagne di classe?» dissi con dolcezza.
Lei abbassò un pò quel tenero visino che adesso rifletteva i suoi pensieri. Sapeva che avevo ragione, ciò che le rimaneva da decidere era se le convenisse rinunciare al suo desiderio.
«Forse..» esitò un secondo, poi rialzò piano lo sguardo «.. forse hai ragione»
Mi battei una mano sul petto. «Io ho sempre ragione, nessuno mi ha mai superato in questo»
Il suo viso si fece più sereno e allegro. «Non ci credo» disse con una smorfia.
Andai all'indietro, mettendomi a sedere sul prato, e mi passai a disagio una mano fra i capelli. «Ehm, perchè non ci crede mai nessuno?»
La bambina rise, più forte di prima.
«Faccio ridere così tanto?» stavolta era io, quella imbronciata.
«Si! Dovevi vedere la tua faccia!» esclamò, sbilanciandosi sull'altalena e perdendo l'equilibrio.
Sentì la madre della bimba che la chiamava preoccupata, accompagnata dai nostri urletti spaventati, mentre lei mi finava addosso e ci ritrovammo sdraiate sul prato. La donna, a pochi passi da noi, tirò un sospiro di sollievo, perchè noi due eravamo scoppiate a ridere.
«Ma cosa fai?» le urlai, ridendo ancora.
«Io? E' stata l'altalena!» diceva lei, ansimando e ridendo.
Rotolò via da me e ci mettemmò entrambe sedute, respirando a fatica, col riso incastrato fra le labbra.
«Stupida» esclamò la bambina.
«Arianna!» rimproverò la madre.
Feci un'espressione fintamente scioccata. «Capricciosa» le feci la linguaccia.
«Non sono capricciosa!» fece Arianna.
«E io non sono stupida» replicai, incrociando le braccia con aria di sfida.
Un sorriso fece capolino agli angoli della sua bocca. «Però sei buffa»
Ci pensai su.
«Si, questo te lo concedo»
Arianna scosse la testa. «Sei strana e buffa. Buffissima. Le persone che passano del tempo con me mi dicono sempre di stare ferma e non fare nulla»
La guardai orripilata. «Io non lo farei mai! Se qualcuno lo dicesse a me, probabilmente lo strozzerei»
Le si illuminò il viso e si rivolse alla madre, che ci guardava sorpresa. «Mamma, posso strozzare la signora Angela, oggi?» chiese, facendo gli occhi dolci.
Oddio, chissà cosa pensava di me quella donna!
Probabilmente questa signora Angela era la baby-sitter della bambina.
«Non si fa, assolutamente!» le rispose infatti.
«La mamma ha ragione» annuì, e Arianna mi guardò con disaccordo. «Non ero seria, era solo un modo di dire» mi giustificai.
Aggrottò le sopracciglia chiare.
«Cos'è un modo di dire?»
«E' come quando hai in mente qualcosa di ottimo per una situazione, ma non puoi farlo per tanti buoni motivi» spiegai, per essere il più chiara possibile.
«Quindi non posso strozzare la signora Angela perchè.. è una brutta cosa e non si fa?» chiese sfoggiando il suo sguardo da scoiattolo.
Sorrisi soddisfatta. «E brava Arianna!»
La donna, sorridendo alla scena, parlò alla bambina.
«Va bene, tesoro, è ora di andare» annunciò.
Arianna si voltò lentamente verso di lei. «No!» esclamò imbronciata.
Il viso della donna si contrasse in una smorfia. «Ma dobbiamo andare a casa, è quasi ora di pranzo!»
«Non fa niente, vai tu, io non ho fame! Voglio giocare con lei!» disse indicandomi.
Però! Era davvero facile innamorarsi di me, eh?!
Sua madre mi lanciò un'occhiata supplichevole, poi tornò alla figlia.
«Anche lei deve andare a casa dalla sua mamma, non è vero?» era evidente che mi chiedesse di stare al gioco.
Allora mi inginocchiai davanti ad Arianna e le presi le manine piccole fra le mie. Lei mi guardò triste.
«Ascolta. Devi andare a mangiare, altrimenti non potrai più superare tutti i bambini del modo con l'altalena» parlai dolcemente, per darle il tempo di ragionare.
La sue espressione si fece meno rigida, e annuì, anche se poco convinta.
«Allora ok, vado a mangiare. Ma poi torno qui e parliamo ancora ok?» mi chiese, tirando su col naso.
Mi venne una fitta al cuore.
Dio, com'erano simili quelle bambine!
Intervenne la madre. «Arianna non piagnucolare, anche lei deve rimanere a casa, non può stare tutto il tempo con te! E ora andiamo, su!»
Arianna ignorò la madre e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
«Non voglio andare a casa! Mamma è sempre a lavoro, mio fratello non gioca mai con me e odio tutte le vecchie con cui la mamma mi costringe a stare! Tu sei brava e divertente, perchè non vuoi stare con me?»
Quella richiesta mi chiuse la gola, e boccheggiai, cercando di dire qualcosa per convincerla a tornare con la sua mamma.
«Tesoro io..» iniziai «.. non è che non voglio stare con te. Ma devi fare quello che dice la tua mamma. Lei non vuole vederti triste e ti vuole molto bene e..» non trovavo più le parole adatte, non sapevo più cosa dirle per convincerla e mi accorsi con sconcerto totale di dover fermare le lacrime che premevano per uscire dai miei occhi.
Con che facilità i bambini riuscivano ad affezionarsi!
Questo vuol dire che sono una bambina anche io.
«Arianna..» la chiamò la madre, con tono più dolce, commossa dalla scena.
Probabilmente si era rattristata a sentire le parole della figlia, sapendo che erano la verità.
«Possiamo trovare un accordo, se ti va» si avvicinò a noi e si abbassò per guardarci entrambe.
Chissà che faccia dovevo avere!
«Ora andiamo a mangiare, a casa nostra..» Arianna stava per replicare, ma la mamma la fermò alzando una mano «Aspetta, fammi finire. Noi andiamo, poi per oggi, anzichè far venire la signora Angela, potrebbe stare lei con te. Una prova, vediamo come va» sorrise, fiera della sua proposta.
«Cosa??» esclamammo io e la bimba in coro, per poi guardarci confuse.
Arianna, dopo aver metabolizzato per bene le parole della madre, sorrise e iniziò a saltellare felice.
«Sisisisi! Dai, dì di si!» mi pregò.
Spiazzata, la bocca fece aprì e chiudi più volte, per cercare di articolare una risposta decente.
«Beh, sarebbe.. ecco, si, ehm.. ok!»
La madre sospirò sollevata e guardò sorridente la figlia, mentre sia io che lei ci alzavamo dalla scomoda posizione di prima.
«Credo sia giusto fare le presentazioni, allora» disse, con fare professionale, allungando una mano verso di me.
«Io sono Pamela, e questa peste di mia figlia, come avrai capito, è Arianna»
Strinsi goffamente la mano della signora. «Mi chiamo Giselle» risposi.
«E' un nome stupendo!» mi disse, poi guardo la figlia. «Bene! Sei contenta, adesso?»
«Eh si, ora farò i salti di gioia!» confessò lei, con le mani dietro la schiena, camminando avanti e indietro davanti a noi.
«Mi fa piacere, tesoro!» esordì felice sua madre.
Il sorriso della bimba sparì dalle sue labbra e guardò seria la donna. «Ma mamma, era un modo di dire!»
Poi, girandosi completamente verso di me e senza farsi vedere da lei, mi fece l'occhiolino.
La adoravo già, quella bambina.

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Capitolo 4
*** Terzo: Vane resistenze. ***


Alla mia mamma,
che pur essendo testarda e battagliera quando sa che ho ragione,
nella sua esigua conoscenza ma infinita saggezza,
mi ha insegnato una cosa importante: 
ricevi risposte stupide nel momento in cui
anche le domande poste lo sono.
Siamo entrambe troppo orgogliose,
ma non leggerai mai queste cose,
quindi lo dico qui.
Ti voglio bene.


~Vane Resistenze.

La prospettiva di fare da baby-sitter mi metteva giusto un pizzico d'ansia.
Ok, forse un pò di più.
Ero abituata a stare con mio fratello e le mie sorelle più piccoli, ma ricevere un incarico che non comprendesse loro era diverso.
Forse era la preoccupazione per quella nuova responsabilità, o forse al contrario l'eccitazione di un compito tanto importante.
O, probabilmente, la paura di fallire, di nuovo.
Quel timore mi stringeva lo stomaco in una morsa dolorosa e impossibile da ignorare e per un attimo mi chiesi stupidamente perchè avessi accettato.
Codarda.
Non ero riuscita a dirle di no.
Quella bambina... era troppo simile a lei.
Il suo viso, la sua dolcezza, la sua testardaggine, la sua furbizia... e quegli occhi!
Quante lacrime avevo visto versare da occhi del medesimo colore, della stessa profonda innocenza, senza curarmene più di tanto?
Ora le rimpiango.
Si, le rimpiangevo tutte, quelle gocce amare e salate, che avevano bagnato un viso troppo giovane per provare tutto quel dolore.
Potevo darmi della codarda, ripeterlo come fosse una litania che mi trafiggeva il cuore in ognuno dei momenti in cui quel nome appariva nella mia mente, come una lancia scagliata ad una velocità troppo alta, mossa dalla mano del destino.
Ma non sarebbe bastato a restituirmela.
Torna al presente, lascia andare il passato una volta per tutte mi diceva una vocina in fondo al cuore, che per troppo tempo aveva subìto le frustate di quella colpa, il ricordo di un pianto assordante, una richiesta segreta nascosta in uno sguardo supplichevole di qualcosa che non aveva avuto il tempo di conoscere davvero. Adesso, quell'organo pulsante e stanco di essere semplicemente ciò che era, sperava di essere risparmiato, per rimanere solo e chiuso nel proprio dolore, cercando un pò di quello spazio che forse gli avrebbe permesso di riposarsi e risanare ferite ancora fresche e doloranti, ma vecchie e stanche abbastanza da chiedere finalmente la possibilità di dimenticare e tornare a vivere.
Anche se probabilmente non sarebbero mai scomparse davvero.

Avevo la testa poggiata all'indietro sul muro, seduta davanti ai gradini di casa mia, in attesa che i tremiti smettessero di squotermi fuori e dentro, lasciando intravedere ad un possibile spettatore una sofferenza che da sola non sarei mai riuscita a combattere, ma che potevo limitarmi a sopprimere.
Niente lacrime, stavolta.
Le riserve d'acqua nel mio corpo si erano prosciugate già tanto tempo prima, quando di liquidi ne avevo avuti troppi, e troppo tempo avevo speso a gettarli via.
Sospirai. Circa qualche minuto fa ero tornata dal parco.
Io e Pamela ci eravame scambiate i numeri di cellulare -non le avrei mai dato quello di casa mia, ma lei, per ovvie ragioni, lo aveva fatto- e mi aveva dato "appuntamento" per quel pomeriggio alle 15:30, orario in cui di solito lei lasciava la villetta dove viveva con la famiglia, e andava a lavorare, così almeno mi aveva detto.
Scritte tutte le informazioni necessarie, con quell'aria seria e pratica che lasciava intuire un lavoro altrettanto austero, mi aveva sorriso, riconoscente e sollevata, come se si fosse levata un peso dal cuore.
Non ne ero sicura, ma mi sembrava che non fosse solo la bambina a dare un pò di problemi alla donna, piuttosto le sue responsabilità in generale.
Magari vedeva in me e nell'istantaneo affetto dimostrato dalla figlia, un modo per tirarsi fuori dal problema facendosi contemporaneamente accettare dalla bambina.
A volte gli adulti erano proprio ciechi.
Non capivano che sarebbe bastato anche un loro sorriso, un loro abbraccio, un qualunque gesto d'affetto o parola dolce, per abbattere anche il muro di rabbia e risentimento più imponente.
Io lo sapeva bene e avevo letto proprio quel bisogno nel cielo sereno riflesso dentro gli occhi in lacrime di Arianna.
Probabilmente avevo accettato più che altro per quel motivo.
Sapevo che noi due condividevamo qualcosa di più profondo che un semplice e fortuito incontro al parco.
E ancora una volta, poteva il destino averci messo la mano?
Forse si sentiva in colpa pensai poggiando la mano sul muro per darmi giusto una piccola spinta e mettermi in piedi. Forse vuole riparare l'enorme errore che ha fatto cadere sulla mia famiglia.
Ancora una volta, la figura di quella bambina si delineò davanti ai miei occhi.
Euforico distacco, metodica furbizia, dolcezza controllota.
Arianna era sicuramente una strega, e qualunque fosse l'intruglio che mi aveva fatto bere per manipolarmi in quel modo, non avevo scampo.
Qualcosa di dolce, che ti lascia credere di avere ancora il controllo di te stessa quando in verità non ce l'hai più.
Forse sto esagerando, forse è la mia immaginazione e Arianna non mi ha fatto niente.
Forse è stata lei, per prima, ad imprigionarmi in questo incantesimo immortale.
Quante poche certezze.
Fatto sta che, in un modo o nell'altro, cedere al rimorso non aiuta a riparare i propri errori.
Perciò le avevo salutate e osservato la bambina camminare accanto alla madre, senza tenerle per mano, ma mantenendo giusto quella vicinanza che comunicava indipendenza e bisogno d'affetto insieme, che confermava quanto sia importante avere una guida nel proprio cammino, che quella sia pessima o meno.
Ero rimasta lì per un pò, ferma, giusto il tempo di riflettere su quello strano incontro.
Lungo la strada di ritorno non riuscivo a smettere di pensare al modo in cui aveva sfogato la sua tristezza con una perfetta sconosciuta. Poi quei pensieri lugubri e prepotenti si erano impadroniti di me, e vane sarebbero state le resistenze che avrei potuto opporre per provare a liberarmi da quella presenza che ormai da troppo tempo coesisteva col mio animo, dentro il mio corpo.
Altro sospiro, poi mi convinsi a poggiare la mano sulla maniglia e aprire la porta di casa mia, per andare incontro alla routine che consumava i miei giorni come il vento, in autunno, fa con le foglie.
E lì dentro, la brezza era altrettanto pungente.

Non era sempre stato così.
Una volta la mia era una famiglia normale, con una mamma che faceva i dolci, un papà da abbracciare quando tornava da lavoro e tante piccole pesti in giro per caso, me compresa.
A volte, in mezzo al buio persistente dell'appartamento, lì dove le tende erano quasi sempre colpevoli di tenere lontana la luce, vedevo l'ombra di un ricordo, un movimento immaginario accanto al tavolo della cucina, o sul divano di fronte al televisore.
Svanivano con la stessa velocità con cui si manifestavano.
Elena, mia madre, non c'era quasi mai, anche se quel quasi era solo una cortesia.
La mattina, all'inizio, lasciava dei messaggi sul tavolo per avvisare che era fuori a lavorare, nel salone da parrucchiera giù in centro.
Poi aveva smesso di farlo, capendo che, con la forza dell'abitudine, ci eravamo adeguati a quei suoi sballi, sperando che finissero nel migliore dei modi, così da restituirci la stessa donna che ci aveva cresciuti.
Con i messaggi, era scomparsa anche quella speranza.
A volte vedevamo Elena a pranzo, quando non aveva una vera scusa per assentarsi da casa che riuscisse a convincerla abbastanza da lasciarci soli un'altra volta.
Forse era anche un pò di rimorso, o dolore.
Il pomeriggio la maggior parte di noi lo passava nella propria camera, a studiare o giocare.
Elena invece andava ancora a lavorare, e si ritirava a casa quando noi dormivamo già da un pezzo.
Una volta, qualche mese fa, ero ancora sveglia quando l'avevo sentita rincasare.
Aveva attraversato piano il corridoio, aprendo la porta della sua stanza e chiudendosela dietro.
Tempo qualche minuto e il suono dei singhiozzi aveva raggiunto persino me, e la mia camera era quasi all'opposto della sua.
Il giorno dopo l'avevamo incrociata per caso mentre finiva di fare colazione e prendeva la borsa per andare.
Le occhiaie, nascoste dal correttore, erano comunque visibili.
Papà non lo vedevo più da quasi sei mesi, da quando lui e Elena si erano presi una pausa e allontanati.
Se erano in prossimità del divorzio, ne ero all'oscuro, ma di certo non potevo scartare quell'ipotesi.
A volte chiamava, preoccupato per noi e -non lo chiedeva esplicitamente, ma io glielo dicevo lo stesso- per mia madre, e si scusava sempre, promettendoci che, trovato un momento libero da lavoro, sarebbe venuto a trovarci.
Anche quelle promesse mai rispettate facevano parte di quella che, da un anno a questa parte, era diventata la consuetudine della mia vita.

Angolo autrice:
Come vedete, ho iniziao una nuova storia.
Questa non ha nulla a che vedere col fantasy, piuttosto col mia lato romantico e malinconico.
E un pò ironico, anche, ma sicuramente non in questo capitolo, che è più che altro un miscuglio di narrazioni e descrizioni.
E' più un capitolo di collegamento.
Troppo struggente?
Spero non vi sia sembrato noioso.
In caso contrario, accetto anche lamentele.
Questo però è un punto fondamentale del percorso che ancora Giselle deve intraprendere.
Il suo passato.
Dovrà farci i conti, prima o poi.
E cosa è successo, davvero, in questo passato?
Spero siate almeno un pò curiosi di saperlo, tanto da continuare a leggere.

Prima di andare, vorrei ringraziare di cuore juststay_ per le recensioni e il sorriso con cui ha accolto Giselle e Arianna e poi Julia_Phantomhive e Carla Volturi
per aver messo la storia fra le seguie e averla recensita.
Anche Giselle e Arianna vi ringraziano xD

Baci,
_Bliss.

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Capitolo 5
*** Quarto: Biscotti pacifici. ***


Stavolta, questo capitolo
è dedicata ad un'amica
-o forse dovrei dire
mia figlia-
che appoggia sempre quelle, mmh,
discussioni, ecco, con la mia omonima.
E che con la sua pazzia mi fa capire
che non sono l'unica ad essere
da ricovero.
Grazie.

~Biscotti Pacifici.

Era mezzogiorno passato.
La casa puzzava di chiuso, e ciò mi costrinse ad aprire qualche finestra così da far cambiare l'aria, tanto per evitare di morire soffocata.
Molto probabilmente Elena non sarebbe tornata per pranzo nemmeno oggi, quindi toccava a me cucinare.
Sospirai.
Casa mia, la maggior parte delle volte, era sempre silenziosa. La mattina ci svegliavamo verso le 9:00, orario in cui mia madre era già a lavoro.
Andrea e Chiara, rispettivamente mio fratello e mia sorella, poltrivano indisturbati fin quando non si alzavano soli o, nel caso in cui fosse già tardi, venivano destati dal sonno dalla sottoscritta. E sicuramente non in maniera elegante.
Chiara, per esempio, faceva un sacco di capricci per scrollarsi di dosso la voglia di continuare a dormire, perciò gli unici metodi che funzionavano, prevedevano una buona dose di solletico, altrimenti un pò d'acqua fredda sul viso.
Andrea, invece, di solito si svegliava senza che io gli dicessi niente, spesso capitava -ed era già successo più di una volta- che fosse lui il primo a dare il buongiorno a me.
Quando li vidi seduti sul divano, intenti a guardare i soliti cartoni animati, sorrisi di sottecchi.
Tutto sommato, noi tre eravamo molto uniti, anche se, ovviamente i litigi non mancavano proprio.
La prima ad accorgersi di me fu Chiara, che si mise in ginocchio sul divano, dando le spalle ad un pesciolino animato che stava suonando una chitarra, per accertarsi che fossi io.
«Ciao Gisa!» disse sorridendo.
Feci un cenno con la mano, avvicinandomi.
«Ehilà, bimbi. Che state guardando?» mi appoggiai al bordo del divano, in equilibrio.
«Bubble Guppies» disse la voce annoiata di mio fratello, che aveva il telecomando in mano.
Guardai Chiara, incrociando le braccia. «Hai costretto tuo fratello a vedere questo cartone di nuovo?»
«Non l'ho costretto!» protestò lei.
«Nooo! E' un'ora che lo guardiamo!» mio fratello si rianimò, fissandola arrabbiato.
«Ma se questa è la prima puntata?!» disse lei alzandosi, e prese a pestare i piedi per terra.
«Che? E tutte quelle altre cose stupide di prima?»
«Dai, basta, è solo una cartone animato» provai a dire, ma non mi diedero conto.
«Non è vero!» urlò lei.
«Si invece!» ribattè Andrea,
«No!»
«Si!»
«Basta Andry! Chiara, tu cerca di accontentare anche lui!» la rimproverai.
«Si certo, sempre mia è la colpa, che palle!» disse lei infastidita, sbuffando con tanto di girata d'occhi, per poi correre in cucina.
Prima di seguirla, mi girai verso Andrea. «E tu, che sei più grande, dovresti evitare di essere prepotente. E' tua sorella!!»
«Si, vabbè, mica perchè è più piccola deve sempre avere ragione?!»
Scossi la testa. «Non dico questo. Solo che tu, in quanto fratello più grande, dovresti accontantarla per queste cose stupide»
«Si si, ok» acconsentì lui, poco convinto.
Avrei voluto che mi ascoltasse un pò di più, quella sua testardaggine gli avrebbe dato un sacco di impicci, più in là. Ma in quel momento lasciai correre.
«Vabbè, andiamo a cucinare su!» lo incitai.
Seppur di malavoglia, lui si alzò e mi seguì in cucina, dove vedemmo Chiara abbandonata su una delle sedie intorno al tavolo, che attorcigliava pensierosa un lembo della tovaglia a motivi floreali.
Battei le mani per richiamare l'attenzione e, una volta raggiunto il mio intento, feci un sorrisone.
«Che ne dite di preparare i biscotti per pranzo?»
«Si si! I biscotti! Non li facciamo da un sacco di tempo!» disse entusiasta Chiara, scendendo dalla sedia e saltellando sul posto, cancellando istantaneamente dalla testa il motivo per cui poco prima era così irritata.
«Ok...» acconsentì poi mio fratello, fintamente annoiato.
Prendemmo tutto l'occorrente, iniziando a mescolare gli ingredienti fra di loro.
Sorrisi nel constatare con quanta rapida i bambini erano capaci di dimenticare i loro problemi e riprendere a giocare.
Era possibile anche in una famiglia scomposta come la nostra, dove molti vedevano solo dolore e provavano pena.
Non avevano idea di come fossimo forti, con un pò di buona volontà.

«Squisiti!» decretai, divorandone uno.
«Buoni buoni, mi piacciono troppo questi biscotti!» disse Chiara, prendendone un'altro.
«Ce ne sono ancora con le gocce di cioccolato o te li sei mangiati tutti tu, Gisa?» mi accusò Andrea, cercando di adocchiare fra il gruppo di dolcetti caldi sul tavolo, uno che avesse una minima traccia di cioccolato.
Io gli feci la linguaccia. «Antipatico»
Il mio cellulare, dentro la tasca dei jeans scuri che indossavo, iniziò squillare con una fastidiosissima suoneria a campanella.
Sapevo chi era ancor prima di rispondere, perchè ricevevo poche chiamate di solito, e tutte da un'unica persona.
Cercai, apparentemente senza successo, una pezza da cucina da usare per eliminare le tracce di farina, nutella e zucchero dalle dita sporche.
Dovetti aprire un sacco di cassetti per trovarne una utilizzabile, affretandomi poi a rispondere.
Presi il cellulare, sorrisi e cliccai il tasto verde.
«Alleluia! Per quanto volevi lasciarlo squillare ancora?»
«Scusami Lia, avevo le mani sporche» mi giustificai. Feci un cenno ai due bambini, che continuarono a mangiare mentre io mi spostai nel corridoio.
«Hai fatto i biscotti con la nutella? Ma quanto ti odio! Proprio ora che io non ci sono, eh?!» mi aggredì subito, anche se il suo tono severo tradì una traccia di ilarità.
«I biscotti della pace hanno solo fatto il loro dovere» replicai.
«Oooh, cartoni animati. Litigio. Di nuovo. Quelle due pesti non cambiano proprio!» esclamò scoppiando a ridere.
Lia conosceva bene Andrea e Chiara, perchè a volte andavamo a prenderli insieme all'uscita da scuola, in più passava lunghi pomeriggi a casa mia a studiare, e non perdeva occasione di battibeccare con uno dei due. O entrambi.
«Ok, lasciamo stare. Come te la passi lì?» dissi, cambiando discorso.
«Bene..» rispose, lasciando trapelare quella leggera sfumatura di noia impossibile da ignorare.
«Ti diverti?»
«Oh, si! E' come vivere in una stalla con le mucche e le pecore e.. bah! Voglio tornare a casa!» piagnucolò.
«Quanto ti lamenti! Lì in campagna il cielo di notte deve essere uno splendore» osservai.
«Lo è! E lo sarebbe ancora di più se Marco fosse qui con me!» il suo tono si fece sognante. «Al posto dei miei nonni magari..» aggiunse.
Marco era il ragazzo di Lia, stavano insieme da, mmh.. due anni? Si, più o meno.
«Sono così terribili?» domandai curiosa.
«Non è che sono terribili... è che mi annoio. Tanto. Vieni per favore, salvami!»
Risi. «Non è che posso lasciare i bambini da soli, Lia. E poi ora ho.. una specia di lavoro, perciò..»
«Frena frena frena. Che hai detto? Lavori? Sei pazza?» cominciò a riempirmi di domande senza darmi neanche il tempo di replicare, tipico suo.
«E' successo per caso, insomma..» le raccontai dell'incontro di poche ore fa, di come Arianna mi aveva prima impressionata con il suo temperamento, poi pregata di stare con lei quel pomeriggio. E di come io non ero riuscita a negarle un simile desiderio.
«Wau, è una cosa dolcissima. Ma non ti sento convinta. Sei troppo buona, mia cara» replicò, e la immaginai mentre scuoteva la testa e picchiettava le unghia smaltate sulla scrivania della camera in cui alloggiava temporaneamente.
«Non è questo, è che... le somiglia, Lia. Le somiglia così tanto...» sussurrai.
Per un attimo udì solo un vuoto e lungo silenzio dall'altra capo del telefono. Poi un sospiro.
«Giselle... sai che, più di darti forza e starti vicino, non posso costringerti a dimenticare. Ma sappi che tu, più di chiunque altro in questo mondo, sei forte e coraggiosa. Andrà meglio, e troverai la strada giusta. Te lo meriti» disse lentamente, con tono addolcito.
Feci un bel respiro, riflettendo su quelle parole.
Aveva ragione, ero forte e coraggiosa. Ma lo ero abbastanza?
«Io... grazie Lia»
«Si si prego. Non c'è di che» fece in fretta a minimizzare la cosa, ma le sue parole sembravano aver fatto un buon effetto, per il momento.
«Dove hai preso quel discorso filosofico?» le chiesi ridendo, per smorzare la tensione.
Lei sembrò apprezzare.
«Mmh, dal mio cervello. Ehi, mi stai forse accusando di non riuscire a fare discorsi sensati?»
«Magari non direttamente..» risposi in tono vago.
«Basta. Dopo questa abbiamo chiuso. Ti odio. Ehi, sono le 15:10. A che ore dovevi essere da quella tizia?» disse, alzando il volume della voce di qualche ottava.
Guardai l'orologio. Ah, cavolo.
Sempre di fretta, io.
«Si, hai ragione. Devo andare» esclamai.
«Aspetta, mi spieghi perchè parliamo con frasi spezzate?» chiese allegra.
«Ehm, non lo so. E' fashion. Mi piace. Visto? Ordinato e pulito. Ora ti saluto»
Lei rise. «Certo certo, poi questa me la spieghi. Bye bye, my dear!» mi salutò, chiudendo la chiamata.
Alzai gli occhi al cielo e riportai il telefono in tasca.
«Allora..» iniziai, entrando in cucina. «Io devo uscire. Fate i bravi mentre non ci sono, intesi? Chiara, per favore, ascolta tuo fratello» sapevo che avrebbero trovato una qualche altra scusa per litigare.
«Hai sentito? Devi ascoltare me. Io vado alle scuole medie e sono grande, perciò comando io» esclamò Andrea, battendosi una mano sul petto.
«Si, meno male che sei grande, sei così stupido!» mia sorella fece dondolare la testa un paio di volte, poi mi salutò con un bacino sulla guancia e andò a sedersi sul divano, davanti alla TV.
«Gisa, io gioco al DS!» e anche se quella sarebbe dovuta essere una richiesta, non dissi nulla, limitandomi ad annuire al nulla, perchè mio fratello si era già buttato sul divano, accanto a Chiara, con la mini-console in mano.
Afferrai le chiavi di casa e mi richiusi la porta dietro.
Feci un bel respiro -e per quel giorno già ne avevo fatti troppi-, poi scesi velocemente le scale e uscii dal cancelletto di casa.

Ciò che ancora non sapevo, e che adesso so, era che le sorprese non erano ancora finite, per me.

Angolo autrice:
Grazie. Devo dire solo questo. Perchè ogni volta trovo recensioni e persone che mi fanno i complimenti, come la mia cara pazza Julia_Phantomhive e una futura detective, anonimaG.
Vedi che sono curiosa di sapere, eh?!
Spero proprio che continuerete a seguirmi, anche perchè Giselle non sa ancora con cosa -o forse meglio dire con chi- dovrà fare i conti..
Baci,
_Bliss.

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Capitolo 6
*** Quinto: Bocca cucita. ***


Mi diverte dedicare.
Questo è per la mia sorellina.
Piccola mia,
sii sempre così,
sei il sole di casa.


~Bocca cucita.

Trovai facilmente la via in cui abitava Arianna.
Si trovava in una strada lunga e piena di piccole villette a schiera, ad una decina di minuti da casa mia.
Con la bella giornata che c'era, poi, sembrava una di quelle scene da film dove il ragazzo in bici lanciava il giornale di prima mattina.
Solo che io camminavo, anzichè pedalare, con un piccolo bigliettino scribacchiato velocemente fra le mani.
Quando, confrontando la via col cartello che la indicava, capii di star facendo la strada giusta, tirai un sospiro di sollievo, ringraziando di non essermi persa e proseguii sul marciapiede, cercando con gli occhi il numero dell'abitazione corretta.
21! Finalmente.. pensai, quando trovai il riquadro in pietra lavorata accanto ad un grazioso portoncino verde smeraldo.
Presi un bel respiro.
Poi suonai il citofono.
L'attesa di pochi secondi mi sembrò lunga e snervante, tutt'intorno i suoni si erano acquietati, come per allungare le loro metaforiche orecchie e attendere con me la risposta di quella casa bianchissima ed elegante.
Ci fu un leggero ronzio improvviso proveniente dal microfono, poi una voce gracchiò: «Chi è?».
Mi mordicchiai il labbro.
«Sono Giselle, la..» e non ebbi il tempo di completare quella risposta titubante, che l'aggeggio attaccato al muro, quello che aveva appena parlato, tacque, sostituito dallo scricchiolio del cancelletto automatico che si apriva, per lasciarmi passare.
Bene, c'ero quasi.
Attraversai a passi leggeri e misurati il vialetto d'ingresso, accerchiato da un bellissimo giardino con l'erba perfettamente tagliata e fresca, fin quando a dividermi dalla porta d'entrata rimasero solo alcuni scalini.
In modo altrettanto accurato, superai anche quelli.
La porta, come il cancelletto d'entrata, era di un vivo color smeraldo, così come il pulsante del campanello, che premetti cercando di recuperare un pò di sicurezza.
Alla porta apparve Pamela, i capelli biondi legati in uno chignon scomposto, lo sguardo sereno e serio proprio come quella mattina.
Dietro di lei, non tardò ad arrivare il visino di Arianna, che dapprima rimase di lato, per vedere chi fosse l'ospite che piombava a casa sua.
Quando capì che quell'ospite ero io, le si illuminarono gli occhi.
Non persi tempo a ricambiare, addolcita e leggermente più calma, il sorriso.
«Giselle, cara. Prego, entra pure» mi disse la donna, e non me lo feci ripetere due volte.
Osservai stupefatta l'enorme casa dall'interno, col salottino di ingresso, le scale che portavano al piano superiore e un corridoio luminoso ed accogliente sulla sinistra, che terminava con l'enorme sala da pranzo collegata alla cucina da una porta in legno di ciliegio.
C'era un bellissimo televisore LCD davanti al divano beige con una fantasia semplice e raffinata che si intonava benissimo con le pareti tinte del medesimo colore.
Mentre io osservavo per bene la stanza, Pamela prese una giacca grigio piombo leggera da sopra il divano e lo indossò, sistemando per ultima la borsa sulla spalla destra.
«Mi dispiace dovermene andare tanto in fretta. Arianna potrebbe mostrarti il resto della casa, se ti va. A merenda non farle toccare dolci, anche se si mette a strillare. Per qualunque emergenza, sai dove rintracciarmi» proclamò pratica, dirigendosi a passo svelto verso il passaggio dal quale eravamo venute. Si fermò un secondo, girandosi giusto il tempo di dirmi: «Ti ringrazio davvero per quello che stai facendo», lasciandomi un sorriso gentile per poi tornare sui suoi passi.
Non appena sentimmo la porta chiudersi, Arianna si gettò di peso sul divano.
«Okkei... cosa facciamo?» le chiesi impacciata, andando a sedermi accanto a lei.
I suoi occhioni furbi incontrarono i miei. «Giochiamo» propose.
«Va bene. Come vorresti giocare?»
Lei si alzò sbuffando dal divano, parandosi di fronte a me con le braccia incrociate sul petto. «Eh no! Non trattarmi come una bambina piccola!»
Le sorrisi. «D'accordo, allora giochiamo come giocano i grandi»
«E cioè?» domandò lei, interessata.
Sorrisi compiaciuta. «A carte»

«Basta! Ci rinuncio! Battuta di nuovo! Ma non hai detto di non averci mai giocato, a 'scala quaranta'?» sbuffai esasperata, gettando le carte sul tavolo, mentre Arianna, tutta contenta, le raccoglieva.
Di nuovo.
«E' un gioco dove va attuata furbizia e intelligenza, qualità che non mi mancano di certo» disse fiera di sè, dondolando la testa.
Attuata? Qualità? Ma una bambina conosce queste parole? mi chiesi sconvolta.
«Devi umiliarmi ancora per molto?» poggiai sconsolata la testa sul tavolo, scuotendola di tanto in tanto.
Mi era capitato, qualche annp fa, di giocare con mia nonna a carte.
E' stata lei ad insegnarmi questo gioco.
Non lo diceva mai, ma io capivo sempre che mi lasciava vincere, per fare in modo che non ci rimanessi male.
Il fatto era che avevo provato lo stesso metodo poco prima, con Arianna.
Era stato inutile.
Non solo perchè mi aveva battuta, ma anche perchè nelle giocate successive, dove io presi ad impegnarmi seriamente, lei riusciva facilmente a trovare -per fortuna e/o distrazione mia- tutte le carte che le servivano per vincere.
Questo poi andava bene se accadeva per due, massimo tre partite a carte, poi per una bambina che aveva appena imparato... ma non per dieci partite di fila.
Sembrava strano, potevo capirlo, ma non ero riuscita a trionfare nemmeno una volta.
«Tranquilla, andrà meglio una prossima volta!» esclamò contenta Arianna.
Drizzai subito il capo. «Perchè, ci sarà una prossima volta?»
Rise. «Puoi scommetterci!»
«Ti prego, non farmi questo!»
«Cosa? Non ti sento»
«Mica sei sorda!»
«Chi te lo dice?»
«Mi hai appena risposto!»
Lei mi fece la linguaccia. «Ti svelo un segreto. A volte faccio finta di non sentire, ma solo per quello che non voglio ascoltare. E' più facile fare finta di niene che rispondere, no?»
La guardai a bocca aperta.
«Ma da dove vieni?»
«Dalla pancia di mia mamma!» rispose seria.
Ci guardammo senza fiatare per qualche secondo, poi scoppiammo a ridere.
Lasciando le carte sul tavolo, Arianna scese dalla sedia, ancora con la ridarella in bocca, e venne verso di me, tirandomi una mano e indicando la cucina.
Era strana. A volte si comportava da adulta, altre usava gli stessi atteggiamenti di quelli della sua età.
Ma non mi sarei dovuta meravigliare più di tanto.
«Okkei, senti. Anch'io ho fame. Cosa possiamo mangiare?» le chiesi, passandomi una mano sullo stomaco.
«Mmh...mamma dice niente dolci» disse contrariata.
Alzai un sopracciglio. «Ma questo non ci vieta di assaggiarne giusto un pò...»
Lo sguardo di Arianna si illuminò felice. «Lo sapevo che avevo fatto bene a sceglierti!»
«Ma a mamma non diciamo niente, okkei?»
Lei si portò una mano alle labbra, mimando una cerniera e chiudendosi la bocca.
Poi ci ripensò e la riaprì solo un attimo, giusto il tempo di dire: «Ho la bocca cucita!»
Corse verso la cucina, e io la seguii divertita. Era davvero una ragazzina speciale. Così vivace e intraprendente! Era impossibile ordinarle di stare ferma, e anche se qualcuno l'avesse fatto, sicuramente lei avrebbe trovato il modo di vendicarsi.
Sedute al tavolo della cucina, mangiammo squisiti biscotti al cioccolato o anche solo zuccherati, ridendo come due stupide quando a una delle due ne andava uno di traverso. Mi sembrava tanto di stare con Lia, e non con una bambina di...
«Ehi, Arianna, sono curiosa. Quanti anni hai?» domandai, per mettere fine a quel dubbio.
Fece una smorfia. «Non lo sai che ad una donna non si chiede l'età?» rispose.
Per poco il biscotto non si incastrò di nuovo in gola. «Ma a chi le sentì dire tutte queste cose?»
«Mamma, papà, Daniele o quella rottura della sua fidanzata!» esclamò.
Rimasi perplessa. Riflettendoci, poi, pensai che forse quel Daniele era suo fratello.
«Comunque, se proprio ci tieni a saperlo, e solo perchè sei tu.. ho quasi sette anni!»
«Dici sul serio?» c'ero andata vicina, ma era comunque strano.
Ne dimostrava almeno nove, e non mi riferivo sicuramente all'aspetto.
«Già. Tu ne avrai quindici... sedici forse» decretò, minimizzando quell'intuizione con un cenno.
«Sedici» confermai.
Mi sentivo come se fossi sotto interrogatorio. Lei sorrise.
In quel momento sentimmo una chiave girare nella toppa.
Strano che la madre di Arianna fosse già tornata. Non credevo fosse passato tutto quel tempo.
Io e lei ci guardammo, gli arti bloccati dalla paura, poi lo shock lasciò il posto alla ragione.
Dovevamo nascondere i dolci, prima che Pamela arrivasse lì!
Come due furie, Arianna prese a pulire il tavolo dalle briciole, mentre io riponevo, cercando di fare il minor rumore possibile, i biscotti nella credenza.
Il nostro sospiro di sollievo fu coperto dai passi che si avvicinarono lenti alla cucina.
Mi appoggiai con finta indifferenza alla cucina, mentre lei si sedeva su una sedia, davanti a me.
Fu così che il ragazzo ci trovò, fermandosi sulla soglia della stanza.

Angolo autrice:
Eh si, finalmente arriva il bello.
Chissà, magari qualcuno aveva intuito...
Ringrazio enormemente di cuore Julia_Phantomhive, anonimaG e _Violet per le recensioni.
Grazie **
Spero vi siate fatte un'idea... e che continuerete a recensire! :)
Baci,
_Bliss.

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Capitolo 7
*** Sesto: Piccola eroina. ***


Questo è per Violet.
'Fammi questo regalo di Natale :)'
mi ha chiesto.
Per te, eccolo qui.
E a tutti, buone feste!


~Piccola eroina.

Quel triangolo di sguardi risultò imbarazzante, nei primi istanti.
Nessuno si mosse e nessuno parlò.
Io e Arianna guardavamo, a metà fra la sorpresa e il sollievo, il ragazzo fermo davanti alla cucina.
Aveva dei bellissimi capelli biondo cenere, un pò scompigliati ma comunque adorabili, occhi azzurro cielo, zigomi alti, labbra carnose e un fisico da atleta.
E, a proposito di atleta, sembrava proprio pronto per una bella corsa, con quella T-shirt bianco sporco slabbrata e i pantaloni neri fino al ginocchio, il tutto completato da delle scarpe da tennis.
Probabilmente si accorse che stavo effettuando una specie di radiografia su di lui, eppure fu abbastanza educato da non dirlo ad alta voce.
Non che avesse detto qualcosa, fin'ora.
Perchè lui, da parte sua, si limitava ad osservare interrogativo la bambina, poi più a lungo me, con diffidenza e curiosità nello sguardo.
Cavolo, cosa avrei dovuto fare?
Dire, 'Ciao, non sono un dinosauro, quindi smettila di guardarmi come se lo fossi, grazie!' oppure presentarmi educatamente come la nuova baby-sitter?
Evitando brutte figure, preferii rimanere in silenzio.
«Che ci fai qui?» sentii dire ad Arianna, che, mentre io mi dedicavo al mio sensato monologo, si era alzata per mettersi vicino a me e aveva finalmente deciso di porre fine a quell'ingombrante silenzio.
La ringraziai mentalmente.
«E' casa mia, tonta. Semmai dovrei chiederti perchè ti porti gli sconosciuti a casa..» rispose, facendo un cenno col dito verso di me, rivolgendosi alla bambina come se io non ci fossi.
Ok, l'incanto iniziale era finito.
Già non lo sopportavo.
Che antipatico! Era il fratello di Arianna, no? Probabilmente, quindi perchè doveva parlarle in modo così offensivo?
Cacciai via il disagio e mi affrettai a parlare, prima che mi prendesse per una deficiente.
«Non sono una sconosciuta, sono un'amica di Arianna. Ti basta?» dissi, mantenendo il mio tono calmo, ma deciso, e lasciando trapelare giusto un pò di irritazione.
Lui si girò, al suono della mia voce, e prese a studiarmi più attentamente. 
Poi scosse le spalle. «Forse. Non sono affari miei, comunque» entrò definitivamente in cucina, passandoci accanto per aprire il frigo e prendere una bottiglietta d'acqua.
«Ovviamente. Ora, torna fuori ad acchiapparti la coda e corri finchè ci riesci. Magari arrivi dall'altro lato del mondo e non ti vedremo più per un bel pò di tempo» decretò lei con noncuranza, facendo finta di guardarsi le unghia.
Cercai di soffocare la risata che mi premeva in gola chiudendo la bocca con una mano, attenta a non farmi notare e facendomi scudo con i capelli.
Non funzionò.
Il frigò sbattè, mentre il fratello di Arianna mandava un'occhiataccia carica di irritazione prima a me, poi a lei.
Fece per aprire la bocca, forse pronto per replicare alla risposta della sorella, poi però la richiuse.
«Ne parliamo con la mamma, dopo» disse lui, sorridendo compiaciuto.
«Non vedo l'ora» sorrise di scherno la bambina, valutando soddisfatta l'impatto della sue parole. «Ora vai, su, corri da 'Oddiiiio, la mia manicuuure'..» nell'ultimo punto, probabilmente l'imitazione di qualcuno, la sua voce si fece stridula e agitata. Non avevo mai faticato tanto per trattenermi «..e lamentati della tua pestifera sorellina»
Oddio! Sarei scoppiata di lì a qualche secondo, se avesse continuato ancora.
Io feci un 'Ciao ciao' con la mano destra, rimanendo appoggiata alla cucina e guardandolo con compassione.
Lui scosse la testa, ignorando la sorella e me.
«Come vuoi» rispose tranquillo, e lo sforzo di mantenere la voce pacata si avvertiva comunque.
Imboccò il corridoio dal quale era venuto, per poi uscire dalla porta di ingresso, lasciandoci nuovamente sole.
«Era tuo fratello». Non era una domanda.
«Daniele, si» confermò, per poi osservarmi, in cerca di una qualunque reazione. «Oddio, hai visto com'è diventato rosso, prima?» provò.
Niente, in quel momento trattenersi fu inutile.
Esplosi in una risata talmente assurda da farmi venire le lacrime agli occhi e Arianna con me.
«Si» ansimai, fra un attacco di risa e l'altro «Sei stata.. fenomenale!»
«Pensa di prendermi in giro, ma sono io che vinco sempre. Poi odia essere messo in ridicolo davanti agli altri» rivelò, cercando di calmarsi un pò.
«E dato che c'ero io ci sei andata giù pesante» osservai, guardandola ammirata.
«L'argomento Clarissa è off-limits per me, ma adoro prenderla in giro e poi lui s'infuria di più!»
«Clarissa?» chiesi. Capì quasi all'istante. «Ah! La tizia della manicure!» esclamai, ridendo di nuovo.
«Proprio lei!» annuì la bambina, soddisfatta.
«Ma come fai?» non riuscii a trattenermi. Mi sedetti a gambe incrociate davanti a lei, senza toglierle gli occhi di dosso.
«Sono una stratega! Osservo il mio nemico, trovo il suo punto debole, lo so uso a mio favore» esclamò.
«Si, ma..» non sapevo come dirlo senza infastidirla.
«Non è una questione di età» mi rivelò, rispondendo alla domanda che non riuscivo a pronunciare con le giuste parole.
«Non voglio insinuare che tu sia troppo piccola o cose del genere. Solo... sei fuori dal comune. Riesci a tenere testa a tutti senza riserve» in quel momento capii qual'era il vero dubbio che mi tormentava. «Perchè?»
La bimba si rabbuiò, facendo un passo indietro.
Scossi la testa. «Non volevo dire qualcosa che»
«No!» mi interruppe, facendomi sobbalzare. «Se c'è una persona con cui posso parlarne, sei tu. Ma non ora. Forse lo capirai da sola» disse, facendomi un sorriso stentato. Non insistetti oltre. Se qualcuno l'avesse fatto con me, non l'avrei sopportato. Quando sarebbe stata pronta per parlarmi, l'avrei ascoltata.
Così piccola, così tenace. Era la mia piccola eroina.
«Ok. Andiamo a fare altro. Potresti farmi vedere la tua camera» proposi gentilmente.
Sorrise un pò più convinta. «Il mio regno, prego» mi corresse.
«Oh, certo, come vuoi» la assecondai, dondolando la testa di qua e di là per prenderla in giro.
Lei mi diede una lieve spinta e corse nell'altra stanza.
Ridacchiando, mi alzai e la seguii.


Angolo autrice:
Molti l'avevano capito, e ne sono felice.
Vuopl dire che avete facilmente colto il piccolo indizio del secondo capitolo.
E poi si poteva intuire ;)
Beh, ecco qui il nuovo capitolo.
Primo incontro, mmh.. chissà che succederà.
Se vi va di scoprirlo, continuate a leggere.
Ringrazio tantissimo Violet, che continua a sostenermi sempre, Julia_Phantomhive, a cui devo un enorme GRAZIE, anonimaG, che non smette mai di correggermi e incoraggiarmi e _maryc,
che ha incrociato la strada di Giselle, Arianna e Daniele per caso.
Oh, e ne approfitto per AUGURARE A TUTTI VOI UN SERENO NATALE, pieno di allegria!
Al prossimo capitolo! 

Baci,
_Bliss.

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Capitolo 8
*** Settimo: Come il giorno e la notte. ***


Ancora una volta, Violet.
Come sta il piede?
Consideralo un piccolo regalo
di, uhm...
pronta guarigione?

~Come il giorno e la notte.

La camera di Arianna, che ovviamente si trovava al piano di sopra, era la seconda delle quattro porte che si affacciavano al corridoio.
Lo capii perchè era l'unica aperta e dalla voce della bambina che mi incitava ad entrare.
«Vieni, mica mordo!» la sentii ridere.
Il corridoio, proprio come quello di sotto, era luminoso, con tanti bei quadri di paesaggi diversi appesi sul muro color beige.
Dava un pò la sensazione di trovarsi dal dentista, con quelle pareti chiare e la luce che sembrava arrivare dappertutto, anche se non c'erano finestre.
Solo che nel corridoio, lì, non c'erano quelle brutte macchie sul muro causate da colpi di scarpe o scritte e disegni a penna che trovavo sempre quando, da piccola, mamma e papà mi ci portavano.
Mi fermai davanti la porta della stanza.
Avevo già capito che sarebbe stata particolare, ma non mi ero chiesta troppo il motivo di tale presagio, per non rovinarmi la sorpresa.
Il mondo di Arianna, come lo aveva chiamato lei, era davvero degno di questo nome.
Non sembrava proprio la tipica camera associabile ad una bimba della sua età, ma, come ho detto, da lei ormai mi sarei aspettata di tutto.
Era letteralmente divisa in due.
Ma non c'era un confine netto a dichiararlo, come il giorno e la notte rappresentati nei libri di astronomia attorno al globo.
Ogni elemento faceva capire subito, a chi lo guardava, che tipo di oggetto era.
Prevalevano due aspetti, mi accorsi, in completo contrasto fra loro e comunque sempre legati.
Proprio come il giorno e la notte.
Nella parete di fronte alla porta c'era un'ampia finestra che rientrava nel muro, come a sporgersi verso l'esterno, e sotto vi era una panca in legno piena di cuscini celesti e lilla. Il letto, coperto da un semplice plaid leggero azzurro, si trovava alla mia destra, di quattro o cinque passi lontano dalla finestra, e accanto aveva un comodino con una lampada sopra. Frontale alla finestra c'era un grosso armadio a muro, dello stesso legno scuro del comodino, con quattro ante e qualche altro cassetto sotto.
Poi, sulla sinistra, c'era un enorme scrivania, ordinata nel suo disordine, come dicevo sempre, e svariati mobili di diverse altezze ai lati.
Insieme a qualche altra mensola sospesa e inchiodata alla parete, descritta così sarebbe sembrata una stanza normalissima.
Eppure Arianna aveva aggiunto il suo tocco personale. Uno dei mobili accanto alla scrivania a cui era seduta era diventato una specie di libreria, ed era così piena da farmi pensare che, magari, la libreria vista di sfuggita in soggiorno fosse talmente piena da aver convito la bambina ad ospitare qualche volume in camera sua.
Ma se conoscevo almeno un pò Arianna, sapevo che non avrebbe mai permesso a nessuno di fare una cosa del genere nel suo rifugio privato.
Non avrei acconsentito nemmeno io!
C'era un libro dimenticato sul comodino, accanto alla lampada, e intravidi la sagoma di un segnalibro fra le pagine.
Incuriosita, mi avvicinai, tanto per vedere cosa stava leggendo di preciso.
Sorrisi non appena mi accorsi quale fosse la storia in questione.
Matilde di Roald Dahl. Un pò me lo aspettavo e un pò no.
Sicuramente c'era qualcosa di forte che accomunava la protagonista e Arianna.
Forse era quel qualcosa di cui lei ancora non voleva parlare ma che io avevo già intuito.
Poi fu il turno della libreria.
C'erano titoli che conoscevo e altri che non avevo mai sentito nominare.
Individuai Harry Potter, Le Cronache di Narnia, Fairy Oak e qualcosa di un pò più vecchio o classico, come Pinocchio, La Sirenetta, Raperonzolo.
Poi, guardando le mensole e l'altro mobiletto al fianco della scrivania, sorrisi.
Fate.
Di tutti i tipi, ogni modello possibile e immaginabile.
Alcune avevano le ali in uno strano tessuto luccicante, altre erano interamente statuine molto graziose, di varie dimensioni, altre ancora bambole curatissime con piccolissimi specchi e pettinini incorporati accanto.
Ero affascinata.
Non ne avevo mai viste tante in vita mia, tranne qualche volta in quelle bancarelle che ogni tanto decorano il mercato in città.
Una bambina che legge, ma a cui piacciono le fate.
Intelligenza e fantasia.
Guardando la stanza da lontano, sembrava che la parte diligente e attenta della bambina nascondesse quella più sognante e romantica.
«Hai finito di scansionare la mia stanza?»
Mi voltai verso Arianna, che mi osservava attenta. Non sembrava proprio arrabbiata.
«Scusami. E' che... è davvero molto bella» sussurrai, scoccando qualche altra occhiata in giro.
«Non è la stanza tipo di una qualsiasi bambina della mia età, vero?» chiese titubante, incrociando il mio sguardo.
Le sorrisi. «Tu sei diversa, fuori dal comune, ma il mio è un complimento. Non sempre essere uguale agli altri ci fa sentire sicuri» spiegai.
Lei annuì. «E' quello che penso anche io. Però... a volte essere diversa, da fuori, può significare sentirsi superiori agli altri. E quindi do un immagine di me diverse da quella reale...»
«Tu ti senti superiore agli altri?»
Lei scosse forte la testa, abbandonando di colpo la sua sicurezza, come aveva fatto quella mattina al parco.
«E allora devi semplicemente aspettare. Trovare qualcuno che non si fermi solo al tuo aspetto esteriore, ma che guardi dentro di te. Tu, però, devi impegnarti a non respingere troppo le persone. Vedrai che troverai un'amica che non ti squadra dalla testa ai piedi quando ti vede» le diedi un buffetto affettuoso sulla guancia, e riuscì a farla ridere un pò.
Si difendeva con i gesti e con le parole, ma dentro di sè era piena di quella tenerezza e innocenza tanto tipica dei bambini che a volte persino per un tipino come lei era difficile nasconderla. Molti non la vedevano, per me invece era chiaro come il sole.
Abbassò la testa, riflettendo un pò sulle mie parole, e io mi sedetti sul letto dietro di lei.
Era comodissimo!
Non passò nemmeno un minuti che alzò di nuovi lo sguardo verso di me, girandosi sulla sedia per osservarmi meglio.
«Come fai a sapere tante cose?» domandò, col tono di una bambina che chiede alla propria maestra come fare due più due.
Inclinai lievemente il capo. Avevo esperienza, ecco cosa. «Beh.. non sono figlia unica. Ho» deglutii «un fratello e una sorella più piccoli di me»
Il viso di Arianna si tinse di aperta curiosità. «Davvero? Che età hanno?»
«Mio fratello Andrea ha dieci anni, Chiara invece ne ha sei» dissi. «Ehi, avete su per giù la stessa età. Quando compi sette anni?»
«Il 24 dicembre» sorrise.
Feci una piccola O con le labbra. «La vigilia di Natale? Dici sul serio?»
«Già! Ricevo sempre il doppio dei regali!» esclamò contenta.
«Approfittatrice! Comunque, vi scambiate giusto di due mesetti» continuai sovrappensiero.
Lei rimase in silenzio un attimo, guardandomi.
«Sono fortunati» si lasciò sfuggire, dato che subito dopo la sua espressione mi fece capire che non avrebbe voluto dirlo.
«Perchè?» ero sinceramente curiosa.
«Sei una brava sorella per loro, ecco perchè» disse poi, sospirando triste.
«Tuo fratello non lo è?»
Lei scosse la testa, incurvando le spalle e abbassando un pò il viso. «Non sa neanche che esisto» rivelò.
«Non dire così» provai a dirle per tirarla su di morale, ma non funzionò. Avrei volentieri fatto una ramanzina a quel Daniele, ma non potevo immischiarmi in faccende che non mi riguardavano. Poi mi venne un'idea.
«E se facessi finta di essere tua sorella?» proclamai, cercando una reazione.
Si raddrizzò lentamente, fissandomi con sospetto. «Ne sei sicura?». Pensava scherzassi.
Sorrisi. «Assolutamente»
Il suo viso fu attraversato da un lampo di gioia, oppresso poi da una scherzosa facciata indifferente.
Con un cenno infastidito della mano, Arianna disse: «Se proprio ci tieni...»
Ridemmo insieme, ma sottovoce, come fossimo complici di un segreto sussurrato appena.

Angolo autrice:
Francamente non credevo che avrei trovato del tempo per scriverne un altro prima di Capodanno, ma sono felice di averlo fatto.
Giselle e Arianna legano sempre di più!
E non mi aspettavo neanche che tante persone avrebbero seguito questa storia.
Dal più profondo del mio cuore, grazie!
A chi ha inserito la storia fra le seguite e chi perde un pò di tempo in più a recensire.
_Violet, Julia_Phantomhive e anonimaG, che ritrovo sempre fra le recensioni, chi prima chi dopo.
Grazie, davvero.
Non sapete quanto siete importanti per me!
Detto ciò, magari mi sorprenderò ancora e ne scriverò un altro prima del fatidico 2012.
Magari no.
Quindi, BUONE FESTE, di nuovo.
Baci,
_Bliss.

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Capitolo 9
*** Ottavo: Famiglia al completo. ***


~Famiglia al completo.

Una parte di me, lì, seduta sul tappeto della camera di quella ragazzina di appena sete anni, mi urlava di andarmene.
Mentre ero ancora in tempo, perché forse non era troppo tardi e il tempo si sarebbe fermato, per aiutarmi a fuggire, se solo glielo avessi chiesto.
E’ quello stesso angolo della mia testa che, prima di entrare in quella casa qualche ora prima, aveva pensato che fosse una follia credere anche solo per un attimo di poter provare a ricominciare, tutto per una strana somiglianza.
L’altra parte, invece, quella più fragile, piccola ma determinata, mi sussurrava di resistere, che respingere il passato non mi avrebbe aiutato a dimenticarlo.
Dovevo accogliere quell’opportunità, farne tesoro, gioirne finchè sarebbe durata, senza lasciarla andare.
La vitalità racchiusa nei suoi occhi rischiava di farmi cedere, ogni volta, alle stesse lacrime che avevo represso in fondo al cuore per tanto tempo.
Eppure, a fronte di quella sensazione di intorpidimento e rimorso, ce n’era un’altra, che diventava sempre più forte e mi mandava in confusione.
Conoscevo quella bambina da appena un giorno, ma starle vicino era piacevole, divertente, diverso da ciò che si poteva provare verso i propri fratelli o sorelle.
O entrambi, nel mio caso.
Era tanto che non mi sentivo così.
Non sapevo nemmeno bene cosa ci fosse, di tanto particolare, dentro quel così, da alleggerire il peso che mi gravava addosso.
Sarebbe potuta sembrare una parola messa lì, alla fine di una frase, campata in aria.
Ma c’era davvero qualcosa, nascosto lì dietro.
Dovevo solo scoprire cosa.
«Li hai letti tutti, quei libri?» le chiesi, indicando la libreria.
Scosse la testa. «Qualcuno manca ancora, però sono contenta di quelli che ho finito»
«Davvero?» mi misi seduta, poggiando la schiena alla testiera inferiore del letto, dietro di me. «Quali, ad esempio?»
«Non saprei... La Sirenetta, fra gli altri» mi confidò, sovrappensiero.
Inarcai un sopracciglio.
Non sapevo perchè, ma mi risultò strana quella scelta.
«E' una storia scontata» dissi, dondolando la testa in tutte le direzioni, per sciogliere un pò i muscoli del collo.
«Perchè mai?» domandò lei.
Mi sembrava quasi indignata.
Di colpo mi sentii a disagio.
Giocai con gli indici, facendo sbattere le punte fra di loro. «Beh, era ovvio che si sarebbero sposati... Ariel e il principe, dico»
Lei mi guardò confusa, sbattendo le palpebre velocemente.
Poi scoppiò a ridere, chissà per quale illuminazione.
«Non parlavo del film!» esclamò. «Il finale è diverso, dalla storia originale»
Spalancai senza ritegno la bocca, fissandola allibita.
«Mi stai prendendo in giro? Quale sarebbe allora?»
L'occhiata che mi rivolse era di puro sgomento. «Non hai mai letto quel libro? O mi stai prendendo in giro tu?»
«Pensavo che fossero uguali...» mi giustificai.
«Non lo sono» rivelò. «Nel libro, alla fine, il principe si sposa con la principessa del regno vicino e Sirenetta, che sarebbe dovuta morire, diventa invece una figlia dell'aria, una specie di anima» spiegò.
«Preferivo il finale del film» ammisi pensierosa. «E' molto più romantico»
Lei mi fece un sorrisino compiaciuto. «Allora vedi che non lo trovi poi così banale?»
Le lanciai un'occhiataccia.
Rizzammo entrambe a sedere quando un rumore, dalla porta di ingresso, ci fece capire che non eravamo più sole.
«Sono a casa!» urlò la madre di Arianna, e noi due ridemmo perchè avevamo entrambe pensato si trattasse di un ladro, o qualcosa di simile.
«Magari poteva essere un fantasma!» aveva detto lei mimando una faccia spaventata, mentre scendevamo le scale.
Feci una smorfia, entrando in cucina subito dopo Arianna.
«Ti fermi qui da noi?» mi chiese Pamela, al che smisi di camminare e ridere e la guardai.
Tornata da lavoro, sembrava ancora più stanca e abbattuta di quella mattina, eppure nulla sembrava riuscire ad eliminare la serenità che mi trasmetteva il suo sguardo.
Mi impedì di ribattere. «Usa pure il telefono di casa per rassicurare i tuoi» disse.
Potevo spiegarle che io, in realtà, ero l'unica a tenere i cocci di una famiglia distrutta e che, per questo, a casa mia c'erano solo mio fratello e mia sorella?
Annuii, presi il telefono e mi diressi in soggiorno, componendo il numero di casa mia.
«Tranquilla, prendo prosciutto e formaggio e ci facciamo due panini» mi rassicurò mio fratello, dopo che gli avevo descritto la situazione.
«Sei sicuro?»
«Certo! Ti chiamo se succede qualcosa! A dopo!» esclamò.
«A dopo» salutai anch'io, chiudendo il telefono.
Sospirando, mi diressi in cucina e Pamela sorrise. «Allora?»
«Rimango solo se mi permette di darle una mano» proclamai, mordicchiandomi un'unghia.
Il suo viso si illuminò. «Sei un angelo. E ti prego di darmi del tu, mi fai sentire vecchia» aggiunse contenta.
Aiutai Pamela ad apparecchiare, convincendo anche Arianna a collaborare, preparammo dell'ottima pasta al forno.
Ottima perchè il profumo che proveniva dal forno elettrico mi fece venir voglia di spalancare lo sportello e mangiarla cruda.
«Siamo a casa»
Una voce profonda ruppe la quiete culinaria in cui eravamo cadute e ci girammo verso i nuovi arrivati.

Angolo autrice:
E' tardi, lo so, ma eccomi qui.
Non posso restare più di tanto, perciò ringrazio al solito le mie adorate recensitrici e tutti coloro che seguono la storia.
A presto e BUON ANNO, domani è l'ultimo giorno del 2011!
Godetevelo!
Baci,
_Bliss

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Capitolo 10
*** Nono: Oddio, che situazioni! ***


Angolo autrice:
Stavolta l'angolo autrice sta qui, al posto delle solite dediche -che l'ultima volta non ho potuto fare-, perchè questo capitolo è per tutti coloro che continuano a seguirmi e incoraggiarmi.
Per voi, e solo perchè sono estremamente buona, questo è di -
udite udite- 4 pagine di word.
E c'è un -finalmente, molto sospirato- momentuccio Daniele e Giselle. Per la vostra grande gioia.
Non è molto, ma da qui, sicuramente, la storia si avvia rispettando il suo genere ;)
Ora, ringraziare per me è un abitudine e mi scuso ancora se nello scorso capitolo non l'ho fatto.
Ero al pc di nascosto xP
Potrebbero sembrare parole dette così, per attirare lettori, ma non potete capire quanto per me le vostre recensioni e le parole racchiuse in esse siano state importanti.
Saltava e urlavo e ballavo come una cretina, e non solo.
Perciò grazie _maryc per i tuoi complimenti, ce li ho scolpiti nel cuore, con le lacrime, e per avermi cercata dopo le tua vacanze!
Grazie anominaG che non perde mai occasione di riprendere e correggere i miei -sempre uguali, lo so, sono un caso perso!- errori, oltre al sostegno che mi da.
Grazie a Jennifer_Jareau per avermi detto cosa pensava e fatto letteralmente saltellare sulla sedia.
Grazie a Julia_Phantomhive, che sta sempre lì a riempirmi di 'Bravissima' mentre io la ringrazio infinitamente.
Semplicemente grazie per le vostre parole, per sono importantissime!
Grazie inoltre per chi ha inserito la storia fra le seguite/preferite/ricordate, per la pazienza che avete nell'aspettare i miei aggiornamenti.
Davvero, non so che dire, non mi aspettavo un simile entusiasmo.
Okkei, la smetto di fare la diabetica e vi lascio con questo capitolo.
Grazie per averlo letto -se lo avete fatto- questo kilometrico angolo autrice!

Buon anno,
amici miei,
anche da
Giselle,
Arianna
e Daniele.
Per mia madre,
anche se non leggerà
queste cose:
'Tu non vuoi che sto
al pc fino a tardi.
Visto che riesco a fare
all'una di notte? XP'

~Oddio, che situazioni!

L'uomo che entrò per primo, probabilmente il padre di Arianna, era poco più alto di Pamela.
Riconobbi immediatamente gli occhi azzurri che lo accomunavano ai figli, poi i corti cappeli castano chiaro, il fisico asciutto e l'espressione gentile chiudevano il tutto.
Gli altri due erano il fratello di Arianna e una ragazza, molto bella, alta e magra come una modella, lunghi capelli biondi e grandi occhi ambrati.
E mi stava analizzando, proprio come io avevo appena fatto con lei.
Distolsi lo sguardo, troppo imbarazzata per parlare o presentarmi.
«Oh, vedo che abbiamo degli ospiti» disse il padre della bambina, avvicinandosi a me.
«Papà, lei è una mia amica, ci siamo incontrate al parco e abbiamo passato il pomeriggio insieme» proclamò Arianna, prendendomi per mano e tirandomi verso di lei. «Ora, se non ti dispiace, lei si siede vicino a me»
Risi. «Tranquilla, lo davo per scontato» risposi.
«Anche io» annuì Pamela, guardandomi e ridendo con me. «Sei l'unica che la fa diventare così buona» ammise.
«Attenta a quello che dici, potrebbe cambiare idea» scossi la testa, indicandola.
Arianna incrociò le braccia, offesa. «Non parlate di me come se non ci fossi»
«Il fatto è, mia cara, che tu sembri essere sempre dappertutto» dissi divertita.
Sorrise soddisfatta. «Appunto»
«Ok, non te la ruba nessuno» disse l'uomo, allungando una mano verso di me. «Io sono Giovanni, il padre di Arianna»
Ricambiai la stretta. «Giselle»
«Bene, fatte tutte le presentazioni?» infastidita, Arianna si alzò sulla sedia. «Ah no aspetta, manca l'isterica» sussurrò, anche se la sentimmo tutti, e la seria rassegnazione e amarezza con cui lo disse fece ridacchiare me, e poi lei, ricordando il commento della manicure fatto quel pomeriggio.
Intravidi di sfuggita l'occhiata infastidita che la ragazza ci lanciò, rivolgendosi poi a Daniele.
Oddio, quasi provavo pena per lui!
Notai che anche i genitori di Arianna ci guardavano divertiti.
«Amica mia» riprendendosi, la bambina accanto a me indicò la ragazza di Daniele. «Lei è Clarissa»
Cercando di fare la seria, feci un cenno impacciato con la mano.
Lei rimase impassibile, a parte un lieve movimento del capo, che interpretai come il saluto più gentile che, in quel momento, fosse capace di rivolgermi.
«Non aggiungo altro, lei è troppo buona per te» disse Arianna, rivolta a quest'ultima «e spero che non diventerete amiche, anche se personalmente lo credo difficile. Io ho finito» annunciò, mettendosi seduta e guardando la madre, diventando improvvisamente dolce e gentile. «Possiamo mangiare?»
Clarissa era lì per lì pronta a ribattere, ma Daniele la trattenne e Pamela, con un'occhiata ammonitoria, li rimise al suo posto e uscì la pasta dal forno.
«Dopo facciamo i conti» sussurrò Daniele alla sorella, che rispose con una linguaccia.
Guardò male anche me e io scrollai le spalle, indifferente.
Io e Pamela sistemammo la pasta nei piatti.
«Grazie» mi disse sottovoce.
Corrucciai le sopracciglia. «Per quale motivo?»
«Non avevo mai visto mia figlia così... allegra» confessò. «E ammetto che è stato divertente»
Risi con lei. «Lo so»
«Allora, questa pasta?» disse il marito. «Sto morendo di fame»
«Arriva!» esclamammo in coro io e Pamela, guardandoci e sorridendo.
Con la coda dell'occhio, notai che Arianna annuiva, approvando.
«Sono allergica al formaggio» disse Clarissa, in tono serio e pacato.
«Ecco, mangia lo stesso, magari ti strozzi» bisbigliò la bambina, mentre io e Pamela le passammo accanto.
Mi trattenni, cercando di soffocare la risata in gola.
«E' stata un aggiunta che mi ha consigliato Giselle» dicendo ciò, Pamela mi sorrise. «Ma ne ho fatto un pò senza, ricordavo che non lo mangiassi»
Compiaciuta di essere stata nei pensieri della madre del suo fidanzato -o almeno così spiegai il suo sorriso maligno un attimo prima che diventasse cordiale e riconoscente-, esordì «la ringrazio, signora» in modo impeccabile.
«Oh, figurati, cara» minimizzò la donna. «E adesso ceniamo»
Seduti tutti attorno al tavolo e augurata in coro la buona cena, iniziammo a mangiare.
«Direi che così è molto meglio» osservò Giovanni, facendomi poi i complimenti.
«A casa di solito cucino io» dissi, tutto d'un fiato, pentendomene poco dopo.
«E tua madre?» chiese Pamela.
«Lei, beh...»
Inventati qualcosa! pensai. «Lavora fuori, come te, solo che molte volte non riesce a tornare a pranzo, quindi...»
Constatai che mi veniva quasi automatico darle del tu, e mi sbalordii della velocità con cui mi stavo adattando a quella situazione.
Probabilmente lo aveva notato anche Clarissa, dato che mi lanciò un'occhiata astiosa.
«Non dev'essere complicato, se sei sola» intervenne lei, con tono il più possibile curioso, ma da cui avvertii un pò d'acidità.
Mi sentivo un pò in soggezione, certo, ma non mi feci intimidire.
«Ha un fratello e una sorella più piccoli di lei, non è mica ricca e arrogante» rispose per me Arianna, borbottando a bassa voce: «Come te..»
Mi stava ritraendo un pò come il suo eroe personale e ciò mi faceva piacere, ma davanti a quelle persone l'imbarazzo era più forte.
«Non lo sapevo!» disse impressionata Pamela, guardandomi. «Se ti va, qualche volta potresti portarli qui, magari fanno amicizia» aggiunse, accennando ad Arianna.
«Perchè, verrà ancora?» a parlare, stavolta, fu Daniele, che alzò la testa e si introdusse nella discussione per la prima volta in tutta la serata.
In apparenza sembrava neutro, come se la risposta non gli avrebbe fatto nè caldo nè freddo.
Beh, nemmeno a me se era per quello.
«Si» sbottò Arianna infastidita. «Problemi?»
«Il mio problema sei tu» la scimmiottò, alzando gli occhi al cielo.
«Non credo di essere un problema, dal momento che tu non mi calcoli mai» ribattè la sorella.
«Ci credo, cosa dovrebbe importarmi di un essere fastidioso come te?» le chiese con un sorriso cattivo.
Forte come voleva mostrarsi, non lo diede a vedere, ma intuii che ci fosse rimasta male.
Parlava di questo, in camera sua.
Gli uscì la lingua. «Sei odioso»
«Tu di più» continuò lui.
«Ragazzi, datevi una calmata» li divise Giovanni, rimproverandoli.
«Ha cominciato lui!»
Daniele, in tutta risposta, alzò gli occhi al cielo e non rispose.
Grande gesto maturo.
Forse la baby-sitter serviva più a lui che ad Arianna.
Arrossii al pensiero di essere io a fargli da baby-sitter.
Pamela scosse la testa. «Si, Arianna sembra piuttosto contenta di averla a casa» mi rivolse un sorriso gentile. «Sempre per te non è troppo impegnativo»
Deglutii, improvvisamente insicura.
Mi stava offrendo... cosa? Un lavoro part-time come baby-sitter?
«Per lei va benissimo» rispose la bambina al posto mio, guardandomi.
Sospirai, e sarà stato il millesimo della giornata. «Immagino di si»
«Perfetto» disse soddisfatta Pamela.
Il resto della cena trascorse in una molto apparente tranquillità, dove sentivo qualche sguardo puntato su di me, ma senza farci troppo caso.
Io e Clarissa sparecchiammo la tavola, mentre Pamela puliva i piatti sporchi.
«E' meglio che vada ora» mi rivolsi ad Arianna.
Fece una smorfia contrariata, ma non disse nulla.
«Allora ci vediamo domani» Pamela si asciugò le mani in un panno, seguendomi nel soggiorno.
Clarissa e Daniele erano seduti sul divano chiacchierare, Giovanni stravaccato sulla poltrona a fare zapping col telecomando del televisore.
«Te ne vai?» chiese lui, che ad un'occhiata dalla moglie si sedette più composto.
«Già» risposi semplicemente.
«Ok, beh... Daniele, perchè non le dai un passaggio col motorino?» propose.
Si ritrovò quattro paia di occhi sconvolti puntati addosso.
«Cosa?!» esclamammo, più o meno contemporaneamente, io, Arianna, Daniele e Clarissa.
«Sono le dieci di sera e non vorrei che succedesse qualcosa lungo il tragitto» spiegò.
Non capii perchè, ma la mente di Arianna stava sicuramente progettando qualcosa, perchè la vidi saltare dalla felicità e farmi l'occhiolino quando si accorse che la guardavo.
Oddio.
«Non ce n'è bisogno, davvero» cercai di convincerlo.
«Tranquillo, a Daniele non dispiace, vero?» Pamela sorrise bonariamente al figlio, con un lieve accenno d'avvertimento.
Doppio oddio.
«E va bene, e va bene, non guardatemi in quel modo» sbottò alzandosi di mala voglia.
Ora si che ero sicura che Clarissa mi odiasse.
«Andiamo» brontolò scocciato Daniele a me, e lo seguii a occhi bassi, senza dire una parola.
«Ci vediamo domani!» esclamò Arianna, e voltandomi la vidi guardare con soddisfazione la faccia rossa di rabbia della ragazza di suo fratello.
Avrei riso a quella vista, se in mezzo alla questione non ci fossi capitata io.
Fuori, la tipica serata d'estate col venticello fresco mi accarezzò il viso e mi aiutò a smaltire un pò di tensione.
Accanto al vialetto di casa, dopo un pezzo di giardino, c'era uno scivolo di terra collegato all'asfalto della strada usato per i mezzi di trasporto.
C'erano due macchine, una dietro l'altra, e un motorino nero accanto.
Oddio.
Stava diventando un abitudine pensarlo.
Daniele prese due caschi e me ne porse uno, che afferrai riluttante.
Non ero mai salita su un motorino, prima.
Lui dovette intuirlo, perchè, allacciato il casco, disse: «Tieniti, prima che in ospedale ci finisci per colpa mia»
«Certo, figurati, sono così sbadata da non saper salire su un motorino» borbottai infastidita.
Stranamente, lo sentì ridere. «Ti ho sentito» mi provocò.
Non risposi.
Ma che problemi aveva?
Di fronte alla sua ragazza faceva tutto lo scontroso e con me si comportava in modo gentile?
Stupido ragazzo, sai che m'importa.
Mi chiese l'indirizzo e lo pronunciai senza troppo entusiasmo.
Mi aggrappai a lui, mentre metteva in moto e partiva, tenendo stretto con le mani la sua maglietta sui fianchi.
Cioè, mica potevo abbracciarlo e poggiargli la testa sulla schiena, come si vede nei film.
Non che volessi farlo, ovviamente.
Il viaggio fu breve, grazie a Dio, e davanti al cancelletto di casa smontai dalla moto.
Levai il casco, porgendoglielo.
«Grazie del passaggio» dissi, più per educazione che altro.
«Non c'è di che» rispose.
Stavo per girarmi ed entrare a casa, poi però mi costrinsi a dirgli quello che pensavo.
«Dovresti comportarti meglio con tua sorella»
«E a te cosa importa?» prontamente, sulla difensiva.
«E' tua sorella, semplicemente dovresti evitare di comportarti in quel modo»
Anzichè controbattere, decise di assecondarmi.
«Evitando cosa, ad esempio?»
Alzai gli occhi al cielo, sapendo che stavo sprecando fiato e che mi stava semplicemente prendendo in giro.
«Dirgli frasi minacciose come 'dopo facciamo i conti', oppure tenere quest'atteggiamento da gran duca che ti fa sembrare ridicolo» dissi, scrollando le spalle e sorridendo compiaciuta all'occhiata mezza infastidita e mezza divertita che mi lanciò.
Rimanemmo così per qualche secondo, scrutando l'una negli occhi dell'altro.
Mi accorsi solo in quel momento che, oddio, stavamo per caso flirtando?
Era troppo facile perdersi in quello sguardo.
Sbattei una, due volte le palpebre e mi costrinsi ad allontanarmi.
«Mmh.. buona notte» accennai, girandomi e entrando nel vialetto di casa.
«Notte» rispose lui, al che io alzai la mano senza girarmi, per fargli capire che avevo sentito ed estrassi la chiave della porta dalla tasca dei jeans.
Non controllai dal vetro accanto alla porta, ma sentì distintamente il rumore del motorino che sfrecciava via solo dopo che io mi chiusi la porta alle spalle.

Fine, per questo 2011!
Grazie ancora e BUON 2012 A TUTTI!

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Capitolo 11
*** Decimo: La ragazza nella media. ***


A nessuno in particolare,
a tutti in generale,
per dire grazie,
per ringraziare.


~La ragazza nella media.

«Tu e mio fratello dovete mettervi insieme!» saltò su Arianna, schizzando giù dalla sedia, non appena Pamela lasciò casa a noi due.
Il giorno dopo ero tornata, nel pomeriggio, a casa della bambina per farle compagnia e in quel momento eravamo in cucina a gustare un buonissimo tropical alla menta.
Pamela si era offerta di prepararlo prima di andare via, e noi due avevamo accettato di buon grado l’offerta, sedendoci attorno al tavolo lì accanto e salutando la donna mentre ci porgeva le tazze, con tanto di ghiaccio, e andava via.
Dato che stavo mandando giù un sorso della buonissima bevanda -a quanto pare non era l’unica ad amare lo sciroppo di menta!-, l’affermazione mi sorprese e confuse a tal punto da provocarmi un forte attacco di tosse, così che mi alzai velocemente dalla sedia alla disperata ricerca d’aria.
Ok, detta così sembrava una cosa ridicola, ma quanto stai bevendo qualcosa e qualcuno ti fa ridere o, come nel mio caso, spaventare, perdi la concentrazione e ti agiti, respirando e bevendo allo stesso tempo e pam!, ecco che non riesci più a smettere di tossire e lacrimare.
Le sue parole, poi, ebbero un doppio effetto su di me.
Prima di tutto, se, per esempio, fosse stata Lia, le avrei riso in faccia.
Andiamo, perchè mai dovrebbe piacermi uno sbruffone come lui, che si sente il più figo della terra e ti tratta come se fossi un perdente?
Non era il mio tipo, neanche un po’.
E io non ero il suo, sicuramente.
Certo, era bello, non lo mettevo in dubbio, ma era proprio vero che dietro la bellezza ci doveva essere altro.
E se quell’altro era un mucchio di arroganza e superiorità, beh, no, grazie!, non ci avrei perso la testa.
In secondo luogo, mi venne in mente la faccia che Arianna aveva fatto la sera prima, quando alla fine Daniele mi aveva riportata a casa con il suo motorino, e avevo pensato che stesse progettando qualcosa.
Era proprio un piccolo diavoletto quella tipa!
La sua manina mi dava dei colpetti sulla schiena, per aiutarmi, e la sentivo ridere vicino al mio orecchio.
Certo, lei rideva, io quasi morivo per mancanza d’ossigeno!
«Cosa?» riuscii a dire, con voce gracchiante e roca, e cercai di fare qualche altro colpetto di tosse per liberare la gola e parlare decentemente.
«Smettila, hai capito che voglio dire» sbuffò, scendendo dalla sedia su cui era salita per trovarsi alla mia altezza e tornando alla sua tazza bianca a poi verdi.
«Certo che ho sentito» borbottai, mettendomi di nuovo seduta.
«Quel ‘cosa?’, in poche parole, voleva dirti… ‘sei pazza?’» spiegai, gesticolando con una mano, mentre l’altra teneva saldamente la tazza per portarla alle labbra e bere, stavolta, senza il rischio di restarci secca.
Sbuffò di nuovo. «Non capisci nulla di romanticismo. Sareste perfetti insieme! Insomma, diciamocelo, Daniele è un idiota totale, ha bisogno di una come te» prese a dire, indicandomi col dito «per poter sperare di combinare qualcosa nella vita» annuì delle sue stesse parole, come per sottolinearne l’importanza.
Scossi la testa, per niente convinta, ma lei continuò.
«E Clarissa di certo non è un esemplare utile a questo scopo» borbottò, curvando le spalle, quasi a voler diventare ancora più piccola, poi prese un lungo sorso di tropical, imbronciata.
Feci una smorfia.
«Arianna, quando due persone si incontrano, non sempre, alla fine si innamo» mi bloccò ancora prima di lasciarmi finire.
«Naah, fidati di me. Riesco a capire subito quando due persone sono destinate a stare insieme» rivelò con un sorriso, senza smettere di fissarmi.
«E tu e mio fratello lo siete»
Era così convinta di ciò che diceva che quasi quasi ci credetti anch’io.
Poggiai un gomito sul tavolo, infilando la mano fra i capelli e sostenendomi il capo, pensierosa, e iniziai ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se Arianna avesse avuto ragione.
Nei film accadeva, a volte, che la protagonista romantica e il ragazzo scontroso, alla fine, scoprivano di amarsi e si mettevano insieme.
Ora, pensai, trasportando questi fatti nella realtà, quante probabilità ci sono che si avverino?
Alzai la testa.
Pochissime.
«Non credo» risposi poi ad alta voce, incerta, dato che dalla sua espressione Arianna sembrava attendere un qualche segno di partecipazione da parte mia.
Senza una ragione valida, mi ritrovai a pensare alla sera precedente, quando Daniele mi aveva accompagnata in moto.
Non avevo provato ribrezzo o cose simili, del tipo ‘mi stai antipatico, non toccarmi’.
Sembrava più una di quelle scene in cui i soggetti sono costretti a stare vicini per fare qualcosa e poi scoprono che non è poi così male.
O almeno, ripensandoci, non era stato poi così male.
Avevamo scambiato giusto qualche parola, da soli, lui sulla moto e io accanto, e quando mi ero accorta che quelle piccole battute erano sembrate quasi un pretesto per fare conversazione ed evitare di farlo andare via, mi ero scostata sorpresa e lo avevo salutato.
Non me n’ero nemmeno accorta, di voler arrivare a quello!
Cioè, non è che volessi arrivarci, però mi ero quasi illusa che forse, la sua compagnia sarebbe stata più piacevole senza quella specie di barbie che gli stava attaccata come una cozza.
In più, il modo quasi imbarazzante in cui ero rimasta a guardarlo quando, la prima volta, ci siamo incrociati in cucina…
Mi feci piccola piccola sulla sedia, un po’ come aveva fatto poco prima Arianna, ma per l’imbarazzo.
L’avevo radiografato come se avessi avuto davanti a me Patrick Dempsey, anche se con Daniele non si somigliavano molto.
Non è che fossi una di quelle ragazze super popolari che accalappiavano ragazzi con un solo sguardo e un corpo -com’è che diceva Lia? Ah, si!- da stuzzicadenti.
Anzi.
Come la maggior parte delle ragazze della mia età, portavo i capelli rossicci e mossi, di lunghezza media, tale da superare un pò le spalle.
Avevo gli occhi grigi -anche se in estate sembravano azzurri- e di certo non ero alta.
Probabilmente arrivavo a fatica al metro e sessantacinque, avevo le curve giuste nei posti giusti, non ero uno stuzzicadenti, ma nemmeno una mongolfiera.
Ero magra, nella media, come il resto.
Se avessero voluto classificarmi, avrebbero detto che Giselle Davies -si, mio padre era inglese- era una ragazza nella media.
«Ci hai riflettuto abbastanza o devo darti qualche altra ora?» chiese sempre più imbronciata Arianna, che aveva finito di bere ma non si era mossa per posare la tazza.
Mi alzai, scolandomi l’ultimo sorso di tropical rimasto nella mia, poi presi anche quella della bambina e mi girai verso il lavello per lavarle entrambe, riponendole nello sportello giusto.
Tenendo le mani poggiate sul bordo della cucina, mi voltai a guardarla.
«Non credo di essere il suo tipo» ammisi.
Le si illuminarono gli occhi e prese battere le mani felice, di nuovo.
«Allora lo dici pure tu che ti piace!»
«Non ho detto questo!» protestai.
«Si, invece» mi riprese, con voce cantilenante, iniziando a girare intorno al tavolo e recitare, a bassa voce: «A Giselle piace Daniele», come fosse una canzoncina.
«E dai, non volevo dire questo!» ripetei, sospirando.
Si fermò, guardandomi seria. «Non ci faresti nemmeno un pensierino? Può essere anche idiota» e lì sorrise maliziosa «ma è anche un gran bel ragazzo. Sicura sicura?»
Arianna mi sconvolgeva sempre di più.
«Io, ehm..» balbettai, presa in contropiede.
Si rianimò, soddisfatta. «Visto che avevo ragione? Ti piace!»
«State parlando di me?»
Una voce esterna, un po’ più lontana, si intromise nella nostra discussione e mi fece sobbalzare.
Oh, ma tu guarda che fortuna…
Feci segno ad Arianna di non aprire bocca e lei sorrise, come se avesse già in mente di disubbidire.
Pregai di aver capito male.
«Perché dovremmo parlare di te?» chiesi, quasi deridendolo.
Quando apparve in cucina, era ancora meglio di come lo ricordassi mentre ne parlavo con sua sorella.
Sembrava essersi appena alzato, anche se l’ora di pranzo era passata da qualche ora, con i capelli tutti scompigliati e disordinati, ma che gli davano un’aria adorabile, se abbinati ai grandi occhi turchesi che mi stavano fissando.
Che mi stavano fissando, per la miseria!
Deglutii.
Divertito, scrollò le spalle.
«Mi sarò sbagliato» replicò.
Annuii, forse con troppa convinzione. «Appunto»
Arianna, accanto a me, si mosse.
Ma no!, era ancora lì?
«Ehi bel cavaliere, dove hai lasciato la strega cattiva?» domandò con una smorfia disgustata.
Lui diventò serio, guardando male la sorella.
«Perché non ti fai gli affari tuoi?»
Lei alzò le sopracciglia. «Il primo che è venuto a rompere sei stato tu, perciò non dirmi di farmi gli affari miei» ribatté, facendogli il verso nell’ultima parte.
Lo guardai, inclinando lievemente il capo, per capire se avrebbe replicato.
In quel momento sentimmo dei rumori, dal giardino, seguiti dalla porta che si apriva e richiudeva.
Poi qualcuno che, dal soggiorno, urlava: «Ehi Da, certo che casa tua è proprio enorme!»
O avevo capito male, oppure quella voce era molto, molto familiare.
«Grazie, amico» rispose Daniele, sporgendosi dalla porta della cucina.
Io e Arianna, sgomentate, osservavamo la scena.
«Sono in cucina, di qua»
Rientrò, guardandomi e facendo spallucce, e dalla porta spuntò il ragazzo che avevo riconosciuto quasi immediatamente dal suo tono di voce.
Vedendomi, lui si fermò e confuso, chiese: «Che ci fai qui?»
Gli andai incontro.
«Che ci fai tu qui!» esclamai ridendo.
Daniele ci osservava, incuriosito.
«Vi conoscete?»
«Se ci conosciamo?» ripetè Marco, dopo avermi abbracciata.
«Hai presente Lia, la mia ragazza, quella che ti ho fatto conoscere quando ci siamo incontrati, al cinema?»
Daniele annuì.
Sentendola nominare, sorrisi e presi parola.
«La conosco. Lia è la mia migliore amica»
 
Angolo autrice:
Mostruoso ritardo, ma ci sono.
Saaalve :D
Allora, ecco qui un altro capitolo.
Come promesso, da ora in poi sarà difficile non vedere o non sentire nominare Daniele.
Irresistibile, quel ragazzo!
Dunque, che ne pensate?
Recensitee :D
Ringrazio moltissimo anonimaG, Jennifer_Jareau, Julia_Phantomhive,_maryc e _Violet per le vostre STRA SPLENDIDE recensioni.
Questo capitolo è soprattutto per voi! **
E per tutti quelli che seguono/ricordano/preferiscono questa storia.
Col cuore, GRAZIE.
Baci,
Bliss

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