collision.

di Autumnsong
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First. ***
Capitolo 2: *** Second. ***
Capitolo 3: *** Third. ***



Capitolo 1
*** First. ***


Collision.

Collisione.
Urto di due o più corpi in movimento.
Scontro.
Scambio di energia fra corpi.

 


Mentre cercava di riprendere coscienza, Frank vedeva davanti ai suoi occhi chiusi due potenti luci bianche venirgli incontro, poi nulla.
Si concentrò sul suo corpo, cercando di ascoltare; realizzò di poter respirare e di poter muovere le palpebre, che vibrarono quando il cervello intimò loro di socchiudersi.
Testò le dita dei piedi, si muovevano tutte e dieci.
Quando provò a muovere quelle della mano destra ebbe una fitta e strinse i denti.
Polso rotto.
Deglutì e aprì completamente gli occhi, anche se si rese subito conto che non c’era molto da vedere: il soffitto bianco volteggiava e delle facce sfocate continuavano a muoversi davanti a lui.
Sbattè le palpebre un paio di volte finchè non mise a fuoco la sala di pronto soccorso, poi con la coda dell’occhio seguì un camice bianco che dal suo letto era passato velocemente a quello accanto a lui.
Frank non aveva bisogno di guardare per sapere che di fianco a lui stava steso il suo ragazzo.
Forse la sua vena tragica l’aveva avvisato durante il periodo di incoscienza, forse aveva potuto inevitabilmente cogliere dei capelli neri e delle mani ossute sporgere dal lettino, o forse semplicemente sapeva. Non ricordava nulla dell’incidente, tranne le maledette luci bianche.
Si passò la mano buona tra i capelli sudaticci e respirò profondamente.
Poi richiuse gli occhi e si lasciò cullare dal finto sollievo di essere vivo – almeno quello.

 
Glielo dissero troppo in fretta.
Gli buttarono lì la frase senza costruirci attorno una logica, senza condire il momento con finti gesti di comprensione, di solidarietà, di tatto.
Effettivamente in tutto ciò, Frank avrebbe potuto trovarci del divertente, a parte il fatto che era a lui che stava per cadere il mondo addosso.
Ma non era abbastanza lucido, ancora sotto anestetici e antidolorifici. Non era pronto per una cosa del genere, non potevano aspettare?
Glielo dissero troppo in fretta, e non ebbe il tempo materiale.
Gerard era in coma.
Gerard soffriva.
Gerard stava degenerando.
Gerard era quasi in stato vegetativo.
Gerard soffriva, e l’unico modo per alleviargli il dolore era staccare la spina.
Glielo dissero troppo in fretta, e lui li lasciò fare.

“Non fatelo soffrire”.


-
 

“Amore sono a casa!” una voce fece sobbalzare un Frank indaffarato a preparare la cena: non fece in tempo a girarsi che venne assalito da una massa di capelli biondo sporco arruffati, e da un profumo intenso di vaniglia.
Frank baciò Jamia sulla testa e poi sulla guancia, la strinse e la trascinò sul divano dove si sedette anche lui.
La osservò accarezzandole le mani, perdendosi nel suo sorriso.
Era proprio bella. Di una bellezza semplice, quasi innocente, ma lo era.
Dentro e fuori. Frank probabilmente non avrebbe potuto desiderare di meglio.
“Ho un nuovo allievo!” esclamò felice Jamia agitandosi sul divano, ansiosa di raccontare la giornata.
“Lo seguirò in uno stage, gli spiegherò come scrivere articoli interessanti e che colpiscano la gente, che buchino lo schermo del giornalismo contemporaneo” spiegò tutto d’un fiato sorridendo estasiata “e in cambio lui mi darà una mano con l’inchiesta che stiamo svolgendo in redazione e oddio, sono eccitatissima!”
Frank ridacchiò e la guardò battere le mani, divertito. “Ebbene, com’è il ragazzo?” chiese provocante.
Jamia si mordicchiò un labbro pensierosa. “Mhh... Beh avrà al massimo diciannove anni, capelli neri, sguardo intelligente, è simpatico ma è piuttosto timido. Credo che andreste d’accordo! Potrei presentartelo, sai? Tanto anche tu lavori nel campo giornalistico, potrebbe tornarti utile... Anche se gli mancano un po’ di anni di gavetta già programmata prima di poter fare quello che vuole...”
Jamia si perse nei suoi pensieri e Frank si stiracchiò e tornò in cucina.
Mentre aspettava che il sugo finisse di bollire, diede un’occhiata in giro e posò lo sguardo su una vecchia fotografia di circa dieci anni prima.
Un Frank sorridente e con i capelli più lunghi teneva stretto un braccio attorno ad un ragazzo pallido, con capelli corvini e occhioni verdi, che lo guardava.
Frank sentì un brivido e rivide davanti a sé due grosse luci bianche, sbattè le palpebre e tornò al sugo sospirando.

 







Mi è uscita di getto, non so come o perchè.

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Capitolo 2
*** Second. ***


Collision
2.



Quella notte Gerard “dormì” piuttosto tranquillamente, almeno per quanto gli era concesso di fare nella sua nuova vita pseudo-terrena. Sicuramente stava meglio nella sua calda bara sottoterra, protetto dal vento, dal freddo, dalle intemperie...
Scosse la testa, ma che stava dicendo?
Aveva un preciso motivo per essere lì ed era più importante del poter stare al caldo.
Assaporò il caffè che aveva in mano, e gli sembrò buono come mai prima: d’altronde, erano dieci anni che non ne beveva uno.
Guardò la sua immagine riflessa nello specchio della stanza d’albergo dove alloggiava, e si passò una mano tra i capelli cercando di sistemarli.
Era vestito con una giacca nera piuttosto elegante, e un paio di pantaloni anch’essi neri: nonostante avesse – diciamo dimostrasse – esattamente diciannove anni, vestito in quel modo ne dimostrava almeno cinque in più.
Sperò che l’abbigliamento giusto per una prima giornata di lavoro non fosse cambiato, in tutto quel tempo.
Si guardò attorno facendo viaggiare lo sguardo per tutta la stanza, e poi fuori dalla finestra, in strada: erano cambiate tantissime cose in soli dieci anni. Le strade erano un po’ più pulite, le persone molto più indaffarate e stressate, gli edifici più robotici, le macchine più tecnologiche...
E tutto era molto più grigio di quanto non ricordasse.  

Riportando lo sguardo allo specchio si sfiorò una guancia pensieroso: l’unica cosa lì che non era cambiata era proprio lui.
Stessi capelli nerissimi, stessi occhi verdi, stessa pelle diafana che era sempre stata oggetto di prese in giro da parte dei compagni e preoccupazioni della madre.
Ripensò proprio alla madre, chissà come stava.
Chissà se aveva superato la morte del figlio, chissà se ne aveva avuto degli altri.
E papà? E suo fratello? Doveva essere cresciuto tanto, e Gerard ne era sicuro, doveva essere diventato un uomo responsabile come ben prometteva dieci anni prima.
Agitò la mano automaticamente, come per scacciare quei pensieri: ci sarebbe stato tempo più avanti per pensare ai suoi familiari, seppure fossero sempre stati quasi in primo piano per lui.
In realtà però, quel giorno era lì per un’altra persona, e non aveva intenzione di distrarsi: anzi, voleva tornare il prima possibile al principio, per poter ricominciare daccapo senza lasciar passare troppo tempo.
Dieci anni erano già moltissimi.

Finito di vestirsi, Gerard prese la il portatile e scese al bar dell’albergo, dove ordinò tramezzini e caffè, poi si sedette ad un tavolino ed iniziò a sfogliare il giornale, rendendosi presto conto che in quanto a delinquenza il mondo non era avanzato, anzi.
I titoli che riempivano le grezze pagine dei quotidiani erano gli stessi di dieci anni prima, e l’unica differenza in quel momento era l’interesse che Gerard provava nei confronti dei giornali stessi.
Un tempo non si interessava di quel mondo: ne aveva uno suo, nel quale c’erano disegno, musica, droga e divertimento.
E Frank, pensò con un sorrisetto.
Rimase al bar circa un’ora, finchè non decise di dirigersi alla redazione ed aspettare lì.
 
Aveva cercato a lungo un modo per riuscire a vedere Frank, senza presentarsi direttamente a lui.
Voleva che fosse presente qualcuno quando si sarebbero incontrati, perché sospettava che trovarsi di fronte una persona che si credeva morta da dieci anni non sarebbe stata una cosa molto tranquilla per il ragazzo, e non voleva spaventarlo troppo.
All’inizio era rimasto terrorizzato anche lui: ad un tratto, mentre era lì, in quella specie di universo parallelo dove tutto era bianco e silenzioso, dove per dieci anni aveva desiderato di poter tornare da Frank, aveva sentito una forza innaturale spingerlo verso un buco, un qualcosa, non sapeva cosa fosse.
Fatto sta che si era trovato a poter decidere se tornare nel mondo umano e poter rivedere Frank, e quell’opzione gli aveva creato non poche difficoltà. In primo luogo, non riusciva a capire se stesse sognando o se fosse sveglio, se così si poteva definire.
Soprattutto però era preoccupato per Frank: probabilmente in quei dieci anni si era rifatto una vita, e forse ripiombargli addosso gli avrebbe scombussolato i piani, forse Gerard non sarebbe più stato il benvenuto.

Alla fine aveva ceduto al proprio desiderio, ed aveva varcato la soglia del mondo umano.

La prima sensazione che aveva provato era stata quella di essersi infilato in una vasca d’acqua ghiacciata.
L’inverno in città era secco e freddissimo, e oramai Gerard si era abituato all’assenza di temperatura di cui godeva nell'altro mondo.
Quando uscì dal’albergo dove alloggiava, provò quasi la stessa spiacevole sensazione: forse gli abiti che indossava non erano proprio adatti al clima.
Si avviò comunque verso la redazione del giornale dove lavorava Jamia, la fidanzata di Frank.
Era una ragazza solare e Gerard aveva apprezzato la sua voglia di fare, e la sua accoglienza, ed era arrivato a sentirsi quasi in colpa di usarla per altri scopi. Ma era troppo, troppo importante.

La ragazza lo aspettava seduta alla piccola scrivania in un angolo dell’ufficio.
Era circondata da tantissimi fogli sparsi sul tavolo, sulle sedie, addirittura a terra; alla sua destra una grossa stampante, un mobiletto di plastica verde e un distributore di bibite a gettoni.
Alla sua sinistra un’ampia finestra e un altro mobile. Jamia gli sorrise e Gerard si sedette di fronte a lei, salutandola.
“Oggi lavoreremo sull’inchiesta, ti mostrerò qualche articolo e ritagli di giornali che trattarono l’argomento quando uscirono le prime accuse contro l’azienda. Prima però voglio farti conoscere Frank” esclamò la ragazza con un sorriso estasiato, e Gerard fu percosso da un brivido. “Come ti ho già detto fa il giornalista da circa quattro anni, scrive principalmente articoli che trattano di musica, lui suona la chitarra ed è veramente bravo!”
Gerard si ritrovò ad annuire, per poi bloccarsi e mordersi un labbro: sapeva dell’abilità di Frank come musicista, eccome!
“Al momento ci sta aspettando a casa, ti offriamo un caffè e parlate un po’, e nel frattempo io tornerò in redazione per rivedere un paio di articoli che andranno sul prossimo numero del giornale.”
Gerard annuì di nuovo e seguì Jamia fuori dalla porta dell’ufficio, sperando che la casa non fosse troppo lontana: la ragazza parlava fin troppo per i suoi gusti di uomo solitario.

Camminarono velocemente fino ad arrivare in un piccolo quartiere di periferia, piuttosto pulito e silenzioso.
Gli appartamenti erano ben schierati e sembravano grandi visti da fuori, ed ogni condominio aveva il proprio giardinetto, un garage, un aspetto accogliente seppur freddo e grigio come tutto il resto.
Salirono fino al terzo piano con un ascensore scricchiolante e Jamia aprì la porta sfilandosi un mazzo di chiavi dalla tasca del cappotto.

“Amore sono io, ho portato Gerard!” gridò la ragazza lasciando cadere la borsa sul divano, poi andò verso la cucina, separata dal soggiorno da una porta scorrevole.
“Ehi” sentì rispondere dall’altra stanza, e fu percorso dall’ennesimo brivido: la voce di Frank.
La bellissima, calda, rassicurante voce che lo aveva aiutato a superare i momenti più bui, che aveva sentito e risentito e che aveva bramato per dieci lunghissimi anni, sentendone terribilmente la mancanza.
I ragazzi si scambiarono poche parole mentre Gerard si guardava attorno; si soffermò sulle fotografie, tra le quali ce n’era una che lo ritraeva assieme a Frank.
“Fa freddo, vero?” sentì chiedere dal ragazzo dalla cucina, che interruppe i suoi pensieri.
Gerard si riscosse e, non udendo risposta, si rese conto che Frank si era rivolto a lui.
“Ehm, sì...” rispose distratto.
Silenzio.
Jamia fece capolino dalla stanza con il solito sorriso a trentadue denti. “Scusa Gerard, ti ho lasciato lì da solo. Vieni pure!” disse agitando la mano; il ragazzo si alzò e si diresse in cucina, facendo un respiro profondo e chiudendo gli occhi per un momento.

Fece scorrere completamente la porta ed entrò nella stanza, e dieci anni della sua vita gli apparvero davanti agli occhi come in sogno, quando vide la faccia di Frank, e soprattutto, quando notò lo sguardo del ragazzo alla sua vista.

“Piacere, Gerard”.


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Capitolo 3
*** Third. ***


Collision
3.



"Chi sei, che cazzo... Che..." Frank camminava avanti ed indietro per la stanza, urlandogli addosso, prendendo a pugni il muro, con le lacrime che gli scendevano lungo le guance.
Era così bello.
Ed era uguale al ragazzo che Gerard aveva amato dieci anni prima, come uguale era rimasto l'amore che provava per lui.
Si avvicinò e lo bloccò con le spalle al muro, guardandolo negli occhi.
"Frank. Sono io. Gerard."
Frank scosse la testa, chiudendo gli occhi e stringendo i denti. "No, no, non è vero, non puoi, sono pazzo!" ricominciò ad urlare dimenandosi.
Gerard sospirò, non gli piaceva certo vedere l'uomo che amava soffrire così.
Lo scosse. "Frank, ascoltami. Sono io. Giuro" gemette, e si alzò la manica della maglia scoprendo quel tatuaggio che aveva tenuto nascosto persino a sé stesso per tutto quel tempo.
Era una semplice àncora, piccola e nera, tatuata all'interno del polso sinistro, a coprire vecchie cicatrici che Gerard avrebbe voluto dimenticare.
"Guarda" disse stendendo il braccio verso Frank "Toccala. Toccami, sono io. Vedi?" prese la mano tremante del ragazzo e posò il dito sul suo polso, premendo.  
Aveva sempre odiato gli aghi, ma per Frank avrebbe fatto di tutto e quello era stato un modo per incidersi nella pelle il suo amore per lui, che superava anche la paura. 
Frank ritirò la mano ed osservò il proprio polso, dove nello stesso punto era tatuata la stessa àncora.
Si scaraventò addosso a Gerard e lo strinse in un abbraccio fortissimo, scoppiando a piangere a dirotto.
"Spiegami" singhiozzava "che cazzo significa tutto questo, ti prego." Gerard annuì, si sedettero ed iniziò a raccontare.

 
 
"Mi giuri che andrà tutto bene? Mi giuri che funzionerà? Mi giuri che vivrai, stavolta?" Frank tremava, mentre ripeteva per l'ennesima volta quelle domande. Amava Jamia. Gli dispiaceva lasciarla, ma… Gerard.
Gerard era stato tutto, per lui.
Tutto.
E dopo quell'incidente, dopo che il suo mondo era stato infranto, Frank aveva fatto di tutto per cercare di rimettere assieme i pezzi, pensando che, dopotutto, prima o poi avrebbe ritrovato il suo amore e avrebbero potuto vivere assieme, per sempre.
Ma non aveva mai dimenticato, mai.
Aveva sopportato, archiviato, scacciato i pensieri troppo dolorosi per essere contemplati, e soltanto la notte, quando Jamia dormiva, aveva lasciato defluire i ricordi e permesso al suo corpo di soffrire fisicamente: aveva pianto, urlato nella sua testa, si era piantato le unghie nelle braccia e si era graffiato, tagliato, perché sperava di uscire da quell'incubo, ma era rimasto lì.
Da solo.
E poi, dopo dieci fottuti anni di fantasmi e dolore, il suo amore era tornato in qualche modo - non voleva nemmeno sapere come aveva fatto, come potesse essere successo – ed ora lui era lì, indeciso se scegliere la certezza o la follia.
Ma non aveva molti dubbi. "Giuro" disse Gerard annuendo "andrà bene, te lo prometto" gli strinse la mano.
Il moro sapeva cosa fare, anche se nessuno gli aveva dato istruzioni.
Sapeva che gli sarebbe bastato chiudere gli occhi e ordinare a quella strana magia di portarli indietro nel tempo, e sarebbe successo.
Non aveva paura, soltanto dei fremiti di eccitazione: aveva voglia di tornare indietro.
Non sapeva però se avrebbe sofferto fisicamente come aveva sofferto prima di morire.
Ma era pronto anche a quello, per tornare con Frank.
Guardò il ragazzo sorridendo dolcemente.
L'altro annuì, sorridendo a sua volta.
Gerard sospirò.

Chiuse gli occhi.



 
Mentre cercava di riprendere coscienza, Frank vedeva davanti ai suoi occhi chiusi due potenti luci bianche venirgli incontro, poi nulla.
Si concentrò sul suo corpo, cercando di ascoltare; realizzò di poter respirare e di poter muovere le palpebre, che vibrarono quando il cervello intimò loro di socchiudersi. Testò le dita dei piedi, si muovevano tutte e dieci.
Quando provò a muovere quelle della mano destra ebbe una fitta e strinse i denti. Polso rotto.
Deglutì e aprì completamente gli occhi, anche se si rese subito conto che non c’era molto da vedere: il soffitto bianco volteggiava e delle facce sfocate continuavano a muoversi davanti a lui.
Sbattè le palpebre un paio di volte finchè non mise a fuoco la sala di pronto soccorso, poi con la coda dell’occhio seguì un camice bianco che dal suo letto era passato velocemente a quello accanto a lui.
Frank non aveva bisogno di guardare per sapere che di fianco a lui stava steso il suo ragazzo.
Forse la sua vena tragica l’aveva avvisato durante il periodo di incoscienza, forse aveva potuto inevitabilmente cogliere dei capelli neri e delle mani ossute sporgere dal lettino, o forse semplicemente sapeva.
Non ricordava nulla dell’incidente, tranne le maledette luci bianche.
Si passò la mano buona tra i capelli sudaticci e respirò profondamente.
Poi richiuse gli occhi e si lasciò cullare dal finto sollievo di essere vivo – almeno quello.


Si risvegliò in una stanza troppo buia e troppo silenziosa per i suoi gusti.
Tutte le tende erano state tirate, la porta era chiusa e l'unica cosa che si muoveva era la gente in corridoio, che passava senza degnarlo di uno sguardo, concentrata sui più vari compiti da svolgere o pensieri su cui crogiolarsi.
Sentiva freddo, ma non sentiva dolore.
Probabilmente lo avevano imbottito di antidolorifici, e quello spiegava anche il forte mal di testa, l'unico dolore che effettivamente provava. Si chiese dove fosse Gerard, come stesse, se fosse ancora vivo.
Rabbrividì, non ci voleva pensare nemmeno.
Quel ragazzo era troppo forte per morire così.

"E' in coma" disse il dottore, quando Frank gli chiese notizie di Gerard.
"Soffre?" fu l'unica cosa che seppe chiedergli.
Parlarono, e sì, Gerard soffriva.
Staccare la spina? L'unica soluzione.
Stava per dire di sì, ma sentì il suo istinto parlare per lui. "No" esclamò "aspetti ancora un po'" disse.
Qualcosa era cambiato.

Passarono i giorni e Gerard non si svegliava.
Frank trascorreva le giornate tenendogli la mano, accarezzando la pelle diafana e sperando di aver fatto la scelta giusta.
"Scusami" diceva corpo inerte "spero che valga la pena soffrire un po', spero ti risveglierai" e annuiva a sé stesso, ingoiando il groppo che aveva in gola. Fece tanti sogni in quelle notti: sognava Gerard, sognava la sua voce che gli prometteva che si sarebbe risvegliato, prima o poi.
Ma le palpebre del ragazzo non si alzavano e la speranza si stava affievolendo sempre di più.
Frank piangeva.
E sperava.

 
 



too many years later.

 
Frank si alzò dal letto molto presto, come al solito.
Si lavò velocemente, si infilò una maglietta consunta e uscì subito dal piccolo appartamento, rabbrividendo per il freddo.
Oltrepassò il grosso cancello nero e si sedette davanti alla solita pietra bianca come la luna.
Sospirò, e pianse lacrime asciutte.

"Perché mi hai fatto questo, Gerard?" chiese Frank.
Era pienamente consapevole, ormai, di essere in un sogno.
Era notte, stava sognando, ed erano gli unici momenti nei quali poteva incontrare Gerard, quindi cercava di goderseli.
Avrebbe dormito per sempre, per stare con lui.
"Perché, eh?" ripetè, triste.
Il ragazzo davanti a lui si mosse e aggrottò le sopracciglia lanciandogli uno sguardo di puro dolore.
Si mordicchiò un labbro, sospirò. "Scusami, sono stato egoista.

Ti amavo. Ti amo. Sapevo che sarebbe andata male. Sapevo che sarei comunque morto. Ma sono stato egoista, e volevo rivederti un'ultima volta."





Can we pretend to leave and then we'll meet again,
when both our cars collide?






















 

Oddio è finita *piange* ok ci ho messo tanto tempo, ma ci ho anche messo tanto amore e impegno.
Non so, tengo a questa mini-ff anche se non è nulla di particolare. 
Lascio a voi i commenti, spero che abbiate apprezzato. Grazie.


PS: un paio di persone mi hanno detto di non avere capito il finale. A me sembra piuttosto chiaro, ma è perchè ce l'ho nella testa, ovviamente.
Se per caso qualcosa non fosse chiaro fatemi pure delle domande e risponderò.

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