Punto di non ritorno

di Iurin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ebbene... Eccomi qua.
Presento subito questa storia, chiedendo venia qualora sembrasse banale o altro. Vedete, più che altro questa storia è un... esperimento. Già: un esperimento sulla mia coppia preferita, che però, nonostante ami, è (almeno per me) piuttosto difficile, da scrivere, dato che implica una quantità impressionabile di interrogativi, dubbi, e paturnie mentali da parte dei due personaggi principali (o forse solo di uno? XD). Beh, io ci provo. Siate clementi, per favore xD
E poi... Ah, sì: non so per quale assurdo motivo, il cibo, in questa fanfic, è praticamente onnipresente xD
I capitoli, purtroppo, saranno piuttosto brevi, ma fa parte dell'"esperimento" :)
E poi...
Che aggiungere...
Ah! Ve l'ho detto che è una Repayment? ;)



 

      



~ Mi ameresti,
non provarci: perderesti.
Da una vita stravissuta che ti aspetti?
(Renato Zero – Mi ameresti) ~

 Capitolo 1

 
Chiunque, almeno una volta nella sua vita, in un posto lontano o vicino dal luogo d’origine, ha fatto il cosiddetto ‘turista’: si sarà immerso in lunghissime passeggiate, avrà pranzato nei locali più caratteristici, avrà setacciato scrupolosamente tutte le bancarelle presenti. Beh, a volte capita di trovare, per caso, qualcosa di carino, in queste bancarelle. Per esempio, la famiglia del giovane Harry Potter – non più così giovane, in realtà – aveva comprato, in visita in un piccolo villaggio del sud dell’Inghilterra, una targhetta di legno con su scritto ‘Il padrone di casa sono io. Chi comanda è mia moglie’; lui l’aveva fatta vedere a sua moglie, Ginny Weasley, e dopo essersi fatti un paio di risate l’avevano comprata e, una volta tornati a casa, l’avevano appesa in salotto, proprio accanto alla libreria.
E in quel tardo pomeriggio di fine Agosto del 2027, mai frase fu più attinente.
“Ginny, amore,” sempre meglio inserire qualche ‘amore’ qua e là, se si voleva riuscire ad intenerire la controparte “ti ricordi, vero, che, tra poco meno di un’ora e mezza, io, Ron e George andiamo al pub? Non ho il tempo materiale di fare quanto mi chiedi. Amore.”
Ginny l’aveva guardato in un modo che non ammetteva repliche.
“Harry, te lo chiedo gentilmente… Il nostro frigo langue! Sai come sono i nostri figli, soprattutto James! Se potessi andarci io, a fare la spesa, non te lo avrei chiesto!”
Ed Harry Potter aveva finito con l’impuntarsi.
“Io non andrò a fare la spesa, Ginny. Manda Albus, manda Lily! Non mi ridurrò all’ultimo secondo per potermi preparare ad uscire!”
Com’è che recitava, quella targa? ‘Il padrone di casa sono io. Chi comanda è mia moglie’.
E così, circa un quarto d’ora dopo, Harry aveva dovuto prendere il proprio giacchetto ed andare a comprare qualcosa per riempire il frigorifero, avvalendosi dell’aiuto di una lista compilata direttamente da sua moglie. Camminava borbottando furiosamente e velocemente, diretto al supermercato più vicino, con le mani nelle tasche, stringendo, forse neanche troppo involontariamente, la lista che gli aveva dato Ginny, accartocciandola tutta.
Doveva andare al pub con Ron e George, accidenti. E doveva sbrigarsi, altrimenti non avrebbe avuto neanche il tempo di farsi una doccia.
Si fermò davanti alle porte scorrevoli del supermercato, chiedendosi perché ci mettessero tanto ad aprirsi, quelle maledette. Dopo qualche secondo fece un cenno col braccio alla fotocellula e finalmente quelle si degnarono di aprirsi. Quando entrò dovette bloccarsi un attimo per il gelo che provò, semplicemente a causa dell’utilizzo dell’aria condizionata babbana, e per un momento temette seriamente che ciò gli avrebbe provocato qualcosa di grave alla sua cervicale, ma poi ripensò a che ore fossero, e cominciò a darsi una mossa. Afferrò un cestino con le rotelle e prese a tirarselo dietro, mentre con l’altra mano estrasse la lista dalla tasca, accorgendosi di quanto si fosse accartocciata, e allora prese a spianarla sulla propria gamba.
Accidenti, c’era scritto ‘pepe’ o ‘pane’?
Harry cominciò a vagare per il supermercato trascinandosi dietro quel carrellino che, oltretutto, faceva un rumore infernale, e riuscì ad uscire da lì – godendosi un altro meraviglioso sbalzo di temperatura – non presto quanto avrebbe voluto, con una pesante busta tra le mani.
Doveva sbrigarsi, doveva sbrigarsi, doveva sbrigarsi.
Con un’andatura un po’ sbilenca Harry si incamminò verso casa: tutta la famiglia Potter abitava, infatti, in un tranquillo quartiere di Londra, in una modesta villetta. Non molto lontano da dove abitavano Ron, Hermione e figli, in effetti.
La busta di plastica, poi, gli stava praticamente segando in due le dita, quindi si fermò un momento e l’afferrò meglio, per poi continuare a camminare. Ormai era il crepuscolo, e i lampioni si stavano lentamente accendendo e illuminavano il marciapiede con la loro luce ‘eclettica’, come ancora si ostinava a dire suo suocero. Un orologio, da qualche parte, rintoccò l’ora. Accidenti, accidenti. Riprese a camminare – sempre in maniera un po’ sbilenca – un po’ più velocemente, ma poi… poi lo vide.
Era esattamente dall’altra parte della strada, sul marciapiede, che camminava con quel passo che ormai era diventata una sua caratteristica. No, un momento… Cosa accidenti ci faceva dall’altra parte della strada? Cosa ci faceva lui, lì? Quando avrebbe dovuto, invece, trovarsi ad almeno mezzo metro sotto terra da… da almeno trent’anni?!
La busta che Harry stava faticando a tenere sospesa in perfetto equilibrio cadde, improvvisamente, rovinosamente a terra; il sacchetto delle patate si ruppe e quattro o cinque di esse fuoriuscirono dal loro contenitore e rotolarono sul marciapiede. Un sonoro crack gli indicò che probabilmente le uova si erano appena fracassate, ma Harry non aveva occhi che per l’uomo – macchia nera nel crepuscolo – che, dall’altra parte della strada, aveva appena svoltato in un vicolo, sparendo agli occhi di Harry.
Harry raccolse la sua spesa – o quello che ne rimaneva – ed attraversò la strada, di fretta, ringraziando Merlino che in quel momento non stesse passando nessuna automobile; si diresse immediatamente al vicolo in cui aveva visto scomparire quell’uomo, ma quando lo imboccò non vide anima viva. Harry spostò il peso del proprio corpo dal piede destro a quello sinistro, mentre rifletteva che… insomma… alla fine era pure normale che non ci fosse nessuno, lì. Probabilmente l’uomo che aveva visto si era smaterializzato non appena voltato l’angolo.
Se non fosse stato sicuro di avere gli occhiali ben piantati sul naso, quasi avrebbe ammesso di esser stato vittima di un’allucinazione.
Perché… Non era possibile che avesse appena visto un vivo e vegeto Severus Piton camminare dall’altra parte della strada. Giusto?
 
“Non me lo sono inventato, Ron, l’ho visto.” disse Harry, stringendo un bicchiere di birra tra le mani e rimanendo seduto con la schiena curvata in avanti, sul tavolo, verso un Ron e un George che lo ascoltavano attenti.
Alla fine, dopo quella… sconcertante esperienza, e dopo essere riuscito a riprendesi, Harry era subito tornato sui propri passi e si era davvero precipitato a casa di corsa, quella volta. Purtroppo non aveva neanche fatto in tempo a cambiarsi (la doccia fu momentaneamente dimenticata) che era dovuto uscire, senza neppure il tempo di parlare con Ginny di quanto avesse appena visto. Di chi avesse appena visto.
“Harry, Harry, carissimo Harry, sicuro di aver avuto i tuoi preziosi occhiali sul nasino?” lo prese in giro George.
Il diretto interessato alzò gli occhi al cielo. “Sì, che ce li avevo, gli occhiali!” rispose stizzito “Anche perché non è che senza di essi vedo Piton da tutte le parti.”
“Semplicemente non vedi nulla.” concluse Ron.
“Appunto.”
“Beh…” continuò allora George “Ovviamente è piuttosto… Beh, sì, piuttosto curioso, no?”
Curioso?” gli fece l’eco suo fratello Ron “Tu lo definisci solo ‘curioso’? Quell’uomo potrebbe essere anche uno…” Ron spostò per un momento i suoi occhi su Harry “… uno zambee?”
“Uno zombie, Ron.” lo corresse il mago con gli occhiali “E comunque non penso si trattasse di un morto vivente o cose del genere.”
“Anche se” intervenne George “considerando che dovrebbe essere morto… quando? Ventinove anni fa!”
“Già.”
“Miseriaccia, gli abbiamo anche fatto il funerale! Come lo spieghi, questo?”
“Non lo so, Ron, non lo so!” esclamò Harry con le mani tra i capelli.
Diedero tutti e tre una sorsata ai loro boccali di birra, e l’unico rumore che si sentì fu quello del loro deglutire, per un po’.
“Sicuro che non fosse uno zambee, eh?”

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Salve a tutti! Sono appena tornata da una giornata più che sfiancante in università... Babba bia, come sto :S
Comunque, bando alle chiacchiere, vi lascio con il nuovo capitolo... E' un po'... Ok, a mio avviso è più che banale, ma... giudicate voi :)
Alla prossima!

 


Capitolo 2

 
Harry Potter camminava tra gli ampi corridoi del Ministero, in preda alla… sì, beh, alla nullafacenza. O alla noia. O alla mancanza di interesse. Oh, insomma, si stava solo prendendo una pausa, e, quando si era reso conto di aver assolutamente bisogno di un caffè, era uscito dal suo ufficio ed aveva iniziato ad incamminarsi verso la caffetteria sita all’interno dello stesso Ministero.
Erano già vent’anni – vent’anni precisi, a dirla tutta – che era Capo dell’Ufficio Auror. Beh, era… elettrizzante, a pensarci; in fondo era tutto ciò che Harry aveva sempre desiderato; ma ora che i Tempi Oscuri erano finiti lui non aveva avuto molto da fare, e come Capo dell’Ufficio non gli spettava più neanche il compito di addestrare i nuovi ‘cadetti’, ma solo tanti mucchi di scartoffie. Certo, le decisioni importanti le prendeva comunque lui, ma le scariche di adrenalina di quando si trovava in prima linea un po’ gli mancavano. Ron, per lo meno, ancora li addestrava, i giovani cadetti.
“Buongiorno, signor Potter!” lo richiamò alla realtà, giunto alla caffetteria, il barista.
“Ciao, Joe.” rispose Harry “Un caffè, grazie. Bello lungo.”
“Arriva subito!”
Ma Harry poteva davvero dire, quel giorno, di non trovare interessante il suo lavoro per della semplice noia? Non era forse perché, dalla sera prima, non riusciva a smettere di pensare alla figura in nero che aveva visto per strada? Fece una smorfia.
Ne aveva parlato anche con Ginny, ovviamente, una volta tornato dal pub, e con suo rammarico anche lei aveva dato ragione a Ron e a George, dicendo che probabilmente aveva visto male – a questo erano giunti a conclusione, i suoi amici – e che sicuramente (non più neanche ‘probabilmente’) aveva solo notato un passante vestito di scuro e si era confuso. Anche perché quell’uomo si trovava dall’altra parte della strada. Anche perché era quasi buio. Anche perché Severus Piton era morto.
Harry fece un’altra smorfia, mentre Joe, con un sorriso a dir poco reverenziale, gli poggiava davanti una bella tazza di caffè.
Dopo aver parlato con Ginny, la sera prima, gli era persino arrivata una lettera di Hermione:
Ciao, Harry,
Ron mi ha appena parlato di quello che credi di aver visto.
Secondo me ti stai preoccupando inutilmente: se Piton fosse vivo, dopotutto, perché non avrebbe detto niente? Gli abbiamo fatto un funerale, Harry! E poi tutti avevano iniziato a parlare di lui! Se davvero fosse stato vivo avrebbe smentito le voci che lo proclamavano morto, non credi? E dopo ventinove anni lo avresti visto passeggiare per Londra?
Harry… Probabilmente eri solo sovrappensiero ed hai preso una svista, tutto qua. Non angustiarti per un uomo che ormai vive nel passato.
Buonanotte, Harry,
con affetto,
Hermione
E quindi, in conclusione, lui aveva solo ‘creduto di aver visto’ Severus Piton. Lo dicevano tutti. Ma quei ‘tutti’ non si erano trovati , nell’esatto momento in cui il suo ex professore di Pozioni camminava a grandi falcate esattamente dall’altra parte della strada, rispetto a lui. Perché – – lui lo aveva visto. Punto. Ne era certo, e neanche sua moglie sarebbe stata in grado di fargli credere di essersi rimbambito totalmente.
Ma, d’altronde, che poteva fare?
Aveva visto Piton una volta, per strada… Come poteva riuscire a trovarlo di nuovo? Perché lui lo sapeva: Severus Piton era vivo.
Harry prese la tazza di caffè e diede un sorso al liquido scuro, assaporandolo per un momento.
Non poteva mica presentarsi a casa sua. Non aveva neanche l’indirizzo, poi.
La sua mano, che ancora stringeva la tazza, rimase ferma a mezz’aria.
Per la misera, era o non era il Capo dell’Ufficio Auror del Ministero?
 
Harry rilesse per l’ennesima volta il bigliettino che aveva in mano, sincerandosi di trovarsi davvero nel posto giusto. Spinner’s End. Beh, così recitava il suo biglietto, e così recitava l’incrostata targa appesa malamente ad un muro qualunque.
Non era stato molto difficile ottenere l’indirizzo dell’abitazione di Piton; a dire il vero non lo era stato affatto.
Dopotutto, sapere che l’archivista aveva praticamente una cotta per lui poteva essere sfruttato, no? Certo… Non che Harry si fosse sentito un vero e proprio galantuomo, ad andare da Miranda con un sorriso zuccheroso solo per raggiungere i propri scopi. Non aveva neanche detto niente a Ron, probabilmente per evitare uno dei suoi eloquenti sguardi. Ma ormai aveva l’indirizzo di casa Piton tra le mani, quindi sarebbe stato meglio non pensarci più
Cominciò, allora, scacciati gli ultimi pensieri con un gesto secco della testa, a dirigersi verso la ‘Casa’.
Ogni passo che faceva, a dirla tutta, era un colpo al petto incredibile. Quasi lo stesso Harry Potter stentava a credere di trovarsi lì, alla periferia di Londra, in quel pomeriggio, in quello che era di sicuro uno dei peggiori tuguri babbani che Harry avesse mai visto. Eppure non riusciva a farne a meno: da quando aveva visto Piton, il giorno prima, non era più riuscito a pensare ad altro. Si era proprio fissato. Perché, poi?
Harry se lo stava ancora chiedendo, mentre camminava per Spinner’s End.
Ma il passato non è mai morto; non è nemmeno passato, in verità.
Harry si fermò, a quel punto, semplicemente perché si era accorto di essere giunto a destinazione; davanti a sé aveva una casa, o quello che ne rimaneva: le pareti, già scure sin dalla loro nascita, erano sporche di decenni di polvere e di smog; le finestre erano tutte chiuse, e, se non lo erano, voleva dire che le persiane erano state semplicemente staccate via – dal vento o da chissà chi altro; anzi, da qualche finestra pendevano persino sconsolate, appese soltanto ad uno dei cardini, oramai. Quel poco di prato che circondava la casa era quanto di più dissimile ci fosse ad un giardino. La staccionata era praticamente a pezzi.
Harry non aveva mai pensato che Piton vivesse in una reggia o in un maniero – come i Malfoy, magari – ma quello… quello sarebbe stato troppo anche per lui.
Si avvicinò ad una di quelle finestre senza alcuna imposta, e vi guardò dentro, oltre lo spesso strato di polvere che le faceva quasi da protezione: Harry si stava ritrovando ad osservare quello che un tempo doveva essere il salotto, ma nessun tipo di luce illuminava l’ambiente, ambiente che, per altro, sembrava irrimediabilmente spoglio. La parte di libreria visibile era completamente priva di libri; sul camino non vi era nessun soprammobile; quelli che dovevano essere una poltrona ed un divano erano ricoperti da dei teli forse bianchi, un tempo; alle pareti nessun quadro, nessuna foto, niente di niente.
Quella casa sembrava disabitata da anni ed anni.
Harry si allontanò dalla finestra, iniziando a domandarsi se quello fosse veramente l’indirizzo di Severus Piton. Si guardò intorno ancora un po’, nella desolazione più completa, ma poi, dopo essersi sistemato gli occhiali sul naso, decise che sarebbe entrato comunque. Dopotutto l’indirizzo che Miranda gli aveva dato non poteva essere sbagliato. E Severus Piton era vivo. Ed Harry sperava che, per lo meno in quella casa fatiscente, potesse trovare qualche indizio riguardante il suo proprietario.
Così si avvicinò alla porta d’ingresso, prese la propria bacchetta, e dopo aver pensato ad un ‘Alohomora’, la porta si aprì. Harry entrò immediatamente, per poi richiudersi la porta alle spalle, prima che venisse visto da qualche vicino troppo curioso. Casomai ne fosse rimasto ancora qualcuno.
La puzza di abbandono era quasi insopportabile. Il pavimento, notò Harry, mentre ci camminava sopra, era praticamente bianco, a causa della polvere accumulata dal tempo. Mosse ancora qualche passo in avanti, con una smorfia quasi involontaria sul volto, mentre pensava da dove avrebbe potuto cominciare per cercare quegli ipotetici indizi. Ma poi…
Improvvisamente Harry sentì dietro di sé soltanto il rumore di un lieve fruscio, e non fece in tempo a voltarsi che subito percepì qualcosa premergli proprio all’altezza dell’attaccatura del collo. Una bacchetta, senza alcun dubbio.
“Dopo quasi trent’anni, Potter, non sei cambiato affatto: sempre disposto a violare qualche regola, se se ne presenta l’occasione, non è così?”
Quelle parole, pronunciate con quel familiare tono niente affatto cordiale, furono per Harry peggio di un’improvvisa doccia fredda: come avrebbe mai potuto scordare quella voce, nonostante non l’udisse ormai da tempo immemorabile?
Sgranò gli occhi, pur sapendo che la sua espressione non sarebbe stata assolutamente visibile all’uomo che, dietro le sue spalle, gli teneva ancora la bacchetta puntata contro.
“Professor Piton…” fu solo in grado di dire l’Auror, complice lo shock per aver finalmente appurato di non aver avuto qualche sorta di allucinazione, il giorno prima.
“Che ci fai in casa mia, Potter?” disse, allora, Severus Piton “Non mi pare di averti sentito bussare.”
Ed Harry, anche di spalle, era praticamente certo che il suo ex professore stesse ghignando, probabilmente. Mentre a lui stava quasi per venire un infarto.
“Non crede” rispose allora Harry, cercando di calmare i nervi, per quel poco che fosse possibile “che sarebbe meglio parlarci guardandoci negli occhi, professore?”
Harry, a quel punto, sentì la pressione sul collo svanire, e allora si voltò, lentamente. Per poi rimanere completamente di sasso: Severus Piton aveva rimesso a posto la propria bacchetta, e ora lo stava fissando. Semplicemente fissando.
Accidenti, sembrava fosse passato un giorno, e non ventinove anni; quell’uomo non era cambiato di una virgola: indossava degli abiti babbani, sempre e comunque neri ed accollati; tra i capelli, per quanto la luce consentisse di accertarsene, non aveva neanche un capello bianco, complice il fatto che, avendo sangue magico nelle vene, avrebbe vissuto più a lungo di un comune Babbano. E poi lo stava fissando, ovviamente; con il suo solito cipiglio ostile. Harry boccheggiò. Quello che aveva davanti era davvero Severus Piton.
“Potter.” disse, allora, quest’ultimo, interromendo il pesante silenzio “Mi pare di averti chiesto cosa tu ci faccia in casa mia.”
Nessun ‘buonasera’, nessun ‘come va’, nessun ‘ehi, Potter, hai visto? Sono vivo’.
Harry cercò di impossessarsi di nuovo della poca lucidità che in quel momento gli rimaneva.
“Professor Piton.” disse il più giovane tra i due, cercando il modo di trovare parole che fossero le più… gentili possibile “Lei – ehm – dovrebbe…”
“… essere morto?” concluse Piton, con un sorrisetto, incrociando le braccia al petto “Sagace osservazione, Potter. La tua perspicacia mi sorprende.”
L’espressione di Harry si rabbuiò appena. Si ricordò di quanto fosse difficile, in fondo, trattare con quell’uomo.
“Beh, così non è, a quanto pare.” rispose Harry, facendo un piccolo passo in avanti “Ma… Perché? Insomma, le è stata persino…”
“… celebrata una funzione funebre, Potter. Lo so.” Piton fece una pausa, alzando entrambe le sopracciglia “Ho sentito dire che è stata organizzata piuttosto bene, e che rimarrà per sempre nella mente di chi vi ha presto parte. Presumo che, da quanto ho sentito, l’avrei apprezzata, se non fossi ancora vivo.”
Harry non sapeva che dire, e continuò a guardarlo, in attesa.
Piton, allora, si fece più vicino, anzi: cominciò a girargli intorno, come se fosse un animale intento a studiare la propria preda.
“Sai, Potter,” riprese l’ex docente “l’inconveniente di celebrare funzioni… cotali, è di non far caso ai presenti. A quelli nelle bare, intendo.”
Harry lo guardò stranito. “La sua bara c’era professore. Io l’ho vista.”
Era un sorriso beffardo quella che Piton aveva sul volto.
“E hai visto anche me?”
“E’ naturale.”
“Anche poco prima che venisse celebrato il tutto?”
“Io non…”
E poi capì; e rimase di stucco. Non aveva controllato. A nessuno era venuto in mente di dover controllare le bare, dopo che erano state richiuse, con i corpi al loro interno; sarebbe stato insensato; i caduti della guerra erano lì, nei loro sarcofagi, disposti in fila nei giardini di Hogwarts, una volta rimosse le macerie. Erano tutti lì, Lupin, Tonks, Fred… tutti gli studenti spirati, tutti i morti ingiustamente; e non; e tutti credevano che lì, tra quelle bare chiuse, vi fosse anche il corpo di Piton. Lui l’aveva visto, nella bara. Come era possibile che…
Cos’era, se n’era semplicemente andato prima della funzione?
Incredibile.
L’espressione di Piton, nel frattempo, non era mutata affatto.
“Perché non si è fatto vivo, per tutto questo tempo?” disse allora Harry, cercando di non badare al pietoso gioco di parole che gli era uscito.
“Volevo pace, Potter.” rispose semplicemente Piton, ma poi continuò: “Volevo non avere più niente a che fare con tutto… questo. Il mio compito era concluso, e la mia presenza si era fatta irrilevante.”
Harry avrebbe voluto dire che – no – la presenza di Piton sarebbe stata tutt’altro che irrilevante, e che avrebbero potuto parlare, loro due, proprio di quel compito che l’uomo di fronte a sé aveva concluso trent’anni prima; e del perché si fosse impegnato tanto per riuscire a portarlo a termine.
Non appena Harry ebbe formulato quest’ultimo pensiero, si rese di nuovo conto di quanto l’atmosfera, in quella stanza polverosa, si fosse fatta tesa.
“Presumo che questo non sia il suo indirizzo, comunque.” disse allora Harry, cambiando argomento “O comunque che non lo sia da un bel po’.”
Una ventata d’aria, proveniente da una finestra rotta, alzò una piccola nuvola di polvere.
“La tua perspicacia continua a sorprendermi.”
E fu silenzio.
Harry abbassò lo sguardo a terra. Si sentiva di nuovo l’inconsapevole ragazzo di fronte al professore più temuto di tutta Hogwarts.
“Ora, Potter, di grazia…”
“A pranzo a casa mia.” disse Harry, rialzando il volto di scatto e maledicendosi immediatamente per aver interrotto Piton.
“Prego?”
“La invito a pranzo a casa mia.” continuò poi, però, Harry “Fra due giorni. Una cosa per poche persone. Mi farebbe piacere che lei fosse presente, stavolta.”
E di nuovo fu silenzio. Il tutto contornato da un’unica, visibile alzata di sopracciglio da parte di Piton.
“Potter: sparisci.”
No, non era cambiato affatto.
Harry sospirò, la testa ciondoloni, e si diresse verso la porta, passando accanto a Piton, che si spostò di lato.
Prima di oltrepassare l’uscio, però, si girò verso di lui, un’ultima – e sempre la stessa – sottintesa domanda a fior di labbra.
“Avrebbe potuto vivere in pace lo stesso.”
Piton increspò solo un angolo delle proprie labbra. “Non lo capirai mai, Potter, non è così?”
Harry lo guardò ancora per un momento, e scuotendo di nuovo la testa si allontanò definitivamente, uscendo una volta per tutte da quella casa.
 
Piton seguì l’Auror, con gli occhi, ancora per un po’, ma poi si concesse di poter richiudere la porta, rimanendo, in quella che un tempo era stata la sua casa, da solo. Come gli ultimi ventinove anni. O come molto di più, in verità.
Piton si guardò intorno, non curandosi affatto dell’ambiente in declino. Tanto sarebbe andato via di lì giusto qualche minuto dopo; e mentre vagava con lo sguardo sulla vecchia mobilia, non poté fare a meno di ripensare a quanto gli aveva detto l’Auror che se n’era appena andato.
Non era questione di voler vivere in pace.
Ma Potter, questo, non lo avrebbe mai capito.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salve, gente!
Ho deciso di aggiornare oggi, nonostante sia passato relativamente poco dall'ultimo capitolo, perché, beh... il capitolo era già pronto, e in più non so se mi collegherò, nei prossimi giorni, ergo... eccomi qua! :D
Spero vi piaccia, e che il possessore del pov risulti abbastanza IC. Sapete quanto io mi scervelli, a riguardo xD
Allora vi lascio, e a presto!!


 


Capitolo 3

 
A dire il vero non sapeva perché si stesse dirigendo lì. Probabilmente – pensava lui – era stato tutto dovuto al whiskey di troppo della sera prima, oppure ad una galoppante demenza senile, perché… sinceramente… chi mai avrebbe pensato che Severus Piton sarebbe davvero finito per andare a pranzo a casa del ragazzo?
D’accordo, lo stesso Piton era pronto ad ammetterlo: quell’invito gli aveva fatto un certo... effetto. Certo, probabilmente aveva anche contribuito il fatto che Piton avesse una vita sociale assomigliante sempre di più a quella di un eremita – non che prima fosse un uomo di mondo, ma di sicuro era stato socialmente più impegnato di adesso, e quindi un invito a pranzo era sembrato più attraente di quanto fosse in realtà; dato che si stava comunque parlando di andare a casa del ragazzo.
E doveva anche smetterla di chiamarlo ‘ragazzo’, dato che ragazzo non era più. E si vedeva, pensava Piton con una punta di malignità.
Eppure, quando la sera prima gli era arrivata una lettera di Potter, pronta a ricordargli l’invito ricevuto e a comunicargli l’indirizzo di dove si sarebbe svolto il tutto, Piton, all’inizio restio, alla fine aveva risposto a quella lettera, confermando così la propria presenza all’‘evento’.
“Come sono caduto in basso.” pensò proprio Piton, mentre camminava sul marciapiede di una strada leggermente isolata, che portava ad un complesso di tante linde villette a schiera.
Ormai era quasi arrivato a destinazione, eppure Piton stava persino ponderando l’idea di tornarsene a casa inventandosi una scusa, quando, mentre camminava lentamente con gli occhi puntati sull’asfalto di fronte e sotto di sé, udì, alle proprie spalle, uno… scampanellio. E anche piuttosto insistente. Piton si fermò, girandosi quel tanto che bastava per vedere da dove e da cosa esattamente provenisse quel rumore, che quasi gli prese un colpo: se non avesse fatto istintivamente un paio di veloci passi all’indietro, una bicicletta l’avrebbe sicuramente preso in pieno.
“Vado di fretta!” gridò colei che, seduta sul sellino, si stava già allontanando pedalando veloce.
Piton si voltò subito di nuovo, pronto a lanciare ad alta voce qualche impropero a quella sciagurata, ma lei era già lontana, in fondo alla strada; riuscì a scorgere, di lei, solo una specie di mantellina blu che svolazzava, leggermente gonfiata dal vento. Piton la guardò sparire dietro l’angolo, senza poter fare nient’altro se non borbottare tra i denti un sentito ‘incosciente’.
E poi non gli rimase che sistemarsi il proprio competo nero – per quel giorno volutamente sprovvisto di mantello – e ricominciare a camminare, se non voleva arrivare in ritardo a quel pranzo che, ne era sicuro, sarebbe stato uno dei più bizzarri a cui avrebbe mai partecipato.
 
Casa Potter era abbastanza… accettabile: intonaco giallino all’esterno, finestre con le tende bianche, porta di legno massiccio, un piccolo giardino, sul davanti, delimitato da una staccionata bianca non troppo alta. Era una casa classica, nulla a che vedere con l’originale assembramento edilizio chiamato Grimmauld Place. Chissà perché, poi, Potter non fosse andato a vivere lì. Ma a Piton non era dato sapere, e, in più, lui non avrebbe neanche chiesto delucidazioni a riguardo. Piton diede un’ultima occhiata alla facciata della casa, e poi oltrepassò il cancelletto, già aperto, che annetteva al giardino; con quei pochi, ultimi passi, aveva definitivamente accettato l’idea, probabilmente, di partecipare a quell’esperimento chiamato pranzo. Perché non poteva che trattarsi di un esperimento: avrebbe parlato con Potter dopo quasi trent’anni che non avevano dialogo; avrebbero parlato, sì, ma di cosa, poi? Piton già ne aveva una mezza idea, e già solo per quello sarebbe stato davvero tentato di ‘dare buca’. Ma ormai era lì, nel territorio ‘nemico’, e fuggire sarebbe stato inutile; e poi erano passati così tanti anni… Perché fuggire ancora, dopotutto?
E così Piton si addentrò ulteriormente in quel piccolo giardino, avvicinandosi sempre più alla porta d’ingresso.
I suoi passi si fermarono per un momento, quando l’uomo notò, malamente buttata a terra, accanto alla staccionata, una bicicletta. Piton alzò un sopracciglio, nell’osservarla, dato che, indiscutibilmente, si trattava della stessa bicicletta che poco prima aveva praticamente attentato alla sua vita.
Bene.
Si presumeva, dunque, che Potter avesse una figlia – che, per altro, sembrava già essere sulla buona strada per emulare il padre.
“Nuove generazioni col gene dei Potter, disgraziatamente.” pensò Piton con un sorriso sghembo, mentre si fermava davanti alla porta.
E stava proprio per bussare, lui, quando sentì, indistintamente, delle voci provenire dall’interno dell’abitazione:
“… Dovrebbe stare qui?”
“Praticamente adesso.”
“E quello lì è un tipo puntuale, quindi… Oh, miseriaccia.”
“Ronald, chiamalo per nome! Cosa sarebbe ‘quello lì’? Non iniziamo a fare figuracce…”
“Ma se neanche è arrivato!”
Piton si ritrovò a ghignare tra sé e sé.
“E poi il più teso, qui, dovrebbe essere Harry, e invece guardalo!”
“Ma guardalo tu: non vedi che ci manca poco che gli venga un infarto?”
“Oh, per favore, smettetela!”
E a quel punto Piton pensò bene di darci un taglio definitivo, così suonò il campanello. E dall’altra parte della porta non si sentì più niente.
Inevitabile.
“Salve, professore.” lo salutò Harry Potter, non appena ebbe aperto la porta, comparendogli davanti.
“Potter.” fece semplicemente Piton, di rimando.
E a quel punto il ragazzo che più ragazzo non era, ormai, si fece leggermente da parte, quel tanto che bastava a far entrare in casa il suo ex professore. E così infatti fu; Piton oltrepassò la soglia di casa, ritrovandosi subito in un ampio salotto: sulla sinistra c’era un lungo tavolo, già completamente imbandito, mentre sulla destra, seduti sui due divani blu presenti nella stanza, c’erano… gli altri. Bastò un’occhiata che Piton li riconobbe tutti. O quasi: quelli che di sicuro erano Weasley e la Granger erano seduti su uno dei divani; l’unica Weasley donna, invece, era proprio in piedi accanto a loro; sull’altro divano, invece, vi erano due ragazzi ed una ragazza che Piton non conosceva. E se questi ultimi lo stavano fissando quasi… curiosi, Weasley lo stava guardando perplesso, la Granger con un mezzo sorriso e la Weasley semplicemente seria, con la testa inclinata di poco da un lato. Mentre Potter non la finiva di guardarlo come se dovesse sparire da un momento all’altro.
Ma chi gliel’aveva fatto fare…
“Buongiorno.” disse Piton.
Forse infatti era opportuno che fosse lui quello a cominciare una conversazione, dato che si era praticamente finto morto per quasi trent’anni.
“Buongiorno professore!” esclamò prontamente la Granger scattando in piedi ed andandogli incontro con la mano tesa di fronte a sé.
Piton la soppesò per un momento, poco prima di stringere quella mano.
“Salve, Granger.”
“Oh, è Weasley, adesso.” rispose lei, al che Piton girò il capo verso l’uomo ancora seduto sul divano, guardandolo con entrambe le sopracciglia alzate.
Ron Weasley lo guardò di rimando, ma non poté evitare che un cupo rossore gli imporporasse le orecchie.
Certe cose non cambiavano mai.
E poi fu il turno di salutare anche gli altri, in un teso teatrino di cortesie forzate.
Forse.
E ovviamente toccò anche ai tre ragazzi che, fino a quel momento, erano stati completamente in silenzio.
“Loro sono Hugo e Rose,” disse infatti Harry Potter “i miei nipoti.”
E Piton posò gli occhi su un giovane dai soliti capelli color carota e su una ragazza castana, apparentemente intimoriti entrambi, che però gli sorrisero per mera educazione.
“Mentre lui è mio figlio Albus.” continuò Potter indicando con la mano il terzo ragazzo.
Piton alzò un sopracciglio.
Anche Albus Potter, come suo padre, aveva gli occhi verdi. Quegli occhi verdi.
Era una maledizione, per Salazar.
“Un nome altisonante.” commentò alla fine Piton, guardando Albus, che, invece, gli stava apertamente sorridendo.
Piton non avrebbe mai creduto di poter suscitare così tanti sorrisi in una volta sola.
“E non sa ancora il mio secondo nome, signor Piton.” disse poi il ragazzo.
L’uomo si voltò verso il padre di Albus, leggermente perplesso, e si accorse di come Harry avesse fissato per un momento il figlio con tanto d’occhi. Ma poi fu proprio il diretto interessato a continuare la presentazione:
“Mi chiamo Albus Severus!”
Se non fosse stato per il fatto che Piton fosse poco avvezzo a compiere un gesto del genere, in quel momento sarebbe probabilmente rimasto a bocca aperta.
“Potter, per Merlino, cosa pensavi, mentre gli davi un nome così?” riuscì poi a dire l’ex professore.
Harry rimase, per un attimo, incerto, in silenzio, e poi… beh, evitò praticamente di rispondere, perché si rivolse, invece, a sua moglie – ignorando così un Piton dal cipiglio sempre più… strano – per chiederle dove fossero finiti ‘gli altri due’.
“Ancora non è finita?” pensò Piton, ma non passò  molto che si udirono dei passi scendere dalle scale, e consecutivamente apparvero in salotto altre due persone.
“Oh, eccoli.” esordì di nuovo Potter “Professore, loro sono gli altri miei due figli: James e Lily.”
E ora…
Per quanto riguardava James, beh… era semplicemente la copia sputata di suo padre, e quindi del suo carissimo nonno.
“L’erba grama non muore mai, vero?” disse Piton rivolgendosi al padrone di casa, che, per la prima volta da quando si erano rivisti, lo guardò male.
E Piton si ritrovò a ghignare.
“Ehi!” esclamò, però, chiamato in causa, James, ma nessuno gli badò più di tanto, soprattutto sapendo che, con Severus Piton, ogni protesta sarebbe stata più che vana.
E allora, a quel punto, quest’ultimo spostò definitivamente lo sguardo su Lily: una ragazza abbastanza semplice, a dirla tutta, anch’essa con i capelli rossi. Di un rosso scuro, però… non il quasi arancione che contraddistingueva ogni Weasley che si rispettasse.
Salazar. Le assomigliava fin troppo. Era davvero una maledizione.
Perlomeno non aveva gli occhi verdi anche lei… Sarebbe stato decisamente troppo. Ma la somiglianza impressionante rimaneva comunque.
E Piton sarebbe rimasto persino a fissarla, se non si fosse ritrovato a dire, leggermente maligno:
“Ti piace andare in bicicletta, Potter?”
Lily, all’inizio, lo guardò un tantino spaesata, ma poi fu il suo turno di sgranare gli occhi. Evidentemente si era appena resa conto che l’uomo che aveva quasi investito con la propria bici era il Severus Piton di cui, ogni tanto, si parlava in casa.
“Ehm… Sì, signor Piton.” rispose però Lily, leggermente titubante.
Piton contraccambiò alzando il solito sopracciglio.
E poi, finalmente, si misero tutti a tavola.
Stranamente il tutto passò abbastanza velocemente, sebbene vi fosse stata più di un’occasione in cui qualcuno dei commensali avrebbe preferito fare qualcosa di meglio piuttosto che trovarsi lì. Per esempio quando James, osservando che Piton e il famoso Sirius Black fossero stati coetanei, chiese proprio al professore di parlargli di lui per avere un altro punto di vista che non fosse quello di suo padre. E ovviamente Harry aveva subito cercato di cambiare argomento, prima che Piton potesse dire alcunché.
“Non ha più pensato di voler tornare a scuola, professore?” aveva, infatti, detto lui.
“No.” aveva risposto Piton con un ghigno “E da quanto so neanche tu, giusto, Potter?”
Harry era leggermente arrossito a quella domanda che non avrebbe ricevuto alcuna risposta.
E poi il pranzo era andato avanti. Nessuno chiese all’ospite come avesse fatto a salvarsi dal morso di Nagini e come – e perché – fosse sparito nel nulla, e a Piton andò bene così. Cosa più importante di tutti fu comunque il fatto che nessuno, davvero nessuno, nemmeno Harry, gli avesse chiesto nulla di Lily. D’altronde Piton, pensando che non avrebbe più incontrato alcuno per il resto della vita, aveva già mostrato a Potter, e consecutivamente al mondo intero, tutto il mostrabile. Quindi che cosa avrebbe potuto dire, di più, creando soltanto una situazione di disagio per tutti? Era stato meglio così, e Piton lo sapeva.
Per quanto invece riguardava gli altri commensali, i signori Weasley raccontarono che cosa stessero facendo nella vita, così come i loro figli. James si limitò a qualche osservazione qua e là, ma nulla di più; Albus raccontò di com’era stata la sua vita da unico Potter-Serpeverde, ad Hogwarts; e Lily… Lily aveva parlato davvero poco, ancora meno di suo fratello James. Più che altro si era limitata a fissare Piton, come se lo stesse… studiando.
Quando il pranzo finì Piton fu davvero sollevato di potersene tornare a casa, a quel punto.
E mentre camminava, prima di smaterializzarsi, pensò che probabilmente – anzi: quasi sicuramente – quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe visto qualcuno legato alla famiglia Potter; Piton sarebbe tornato nella casa in cui abitava da ventinove anni e sarebbe rimasto lì, nella sua routine, senza l’influenza di altri, e senza che nessuno si prendesse la briga di disturbarlo.
Ah, beh. Ci sperava, almeno.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


"Piove, guarda come piove, madonna come piove, senti come viene giù-uh!"
Ok, citazione musicale - che comunque rispecchia molto il clima che c'è a Roma (altro che neve! Ahahah!) - a parte (x'D), sono qui con un nuovo capitolo ^^
E... che dire... suona molto strano, annunciarlo, ma siamo già a metà storia!
Spero che non vi schifi e che vi piaccia (maddai?) e beh... fatemi sapere, mi raccomando!!
Un bacio!
Ciao, nì! (mi mancava, questo saluto xD)

p.s. rettifico: NEVICA!





Capitolo 4

 
Lily Luna non amava particolarmente stare in mezzo alla gente.
Ovviamente c’era quasi costretta, a volte, quando usciva con qualche amico o con sua cugina Rose – che adorava. Per questo certi pomeriggi se li ritagliava esclusivamente per sé, pomeriggi durante i quali, in sella alla sua bicicletta, percorreva la strada che separava casa sua da uno dei parchi di Londra, piccoli, grandi, o insignificanti che fossero.
Così, infatti, quella mattina, Lily si era ritrovata in un piccolo giardino pubblico, quasi alla periferia della città. La parte bella, però. C’era il sole che riscaldava l’atmosfera e quindi la ragazza non aveva avuto nessuna remora a tirarsi su i pantaloni, a togliersi scarpe e calze e a infilare i piedi nell’acqua della fontana, sedendosi sul bordo della stessa. Forse ai passanti sarebbe sembrata un po’ strana, una ragazza con il naso rivolto all’insù, verso il sole, e con un sorriso sul viso; ma soprattutto con gli occhi chiusi e, appunto, con i piedi nella piccola fontana.
A vederla, chiunque avrebbe detto che Lily Luna fosse una ragazza con la testa tra le nuvole. E anche chi la conosceva, in effetti, molto spesso concordava con questo giudizio. Il fatto era che Lily, nonostante avesse finito Hogwarts da circa due anni, ormai, e sebbene i suoi M.A.G.O. fossero stati per lo più eccellenti, ancora non aveva dato una svolta alla sua vita. All’inizio aveva giustificato questo suo comportamento dicendo di volersi prendere un anno sabbatico, ma l’anno in questione era finito già da un paio d’anni, e ancora Lily non aveva fatto nulla per cambiare la situazione. Semplicemente stava bene così, per il momento, anche se lei stessa sapeva che prima o poi avrebbe davvero dovuto prendere in mano le redini della propria vita, e che forse ‘lavoricchiare’ qua e là non era affatto la sua massima aspirazione. Presto ci avrebbe pensato senz’altro, ma ora voleva soltanto godersi l’estate, più che altro, con la sua famiglia, i suoi amici, e le sue sporadiche corse lontano dal mondo a bordo della sua bicicletta, che ora, infatti, giaceva a terra accanto alla fontana, buttata lì come se fosse qualcosa di poco conto.
In realtà Lily adorava la sua bicicletta, anche se sembrava che la trattasse nel peggiore dei modi (con tutti i pezzi di ricambio che suo padre aveva dovuto comprare per aggiustarla, se ne sarebbero potute costruire altre tre, di biciclette). Era proprio un modo di fare di Lily: ogni cosa a cui teneva veniva trattata come fosse una reliquia per la prima settimana, e poi già cominciavano a comparire sull’oggetto in questione qualche graffio, o strappo, e ammaccatura, a seconda di cosa si trattasse.
‘In un oggetto si ama ciò che il suo proprietario vi mette dentro’¹, aveva detto qualcuno – più o meno. Ed era per questo che Lily amava i suoi libri consumati e la sua bicicletta ammaccata, per quanto gli altri continuassero a ripeterle di trattare meglio le sue cose, se teneva loro.
Beh, fatto sta che, quel giorno, la sua amata bicicletta giaceva semplicemente a terra, accanto a quella fontana.
E poi, quando ormai il giorno stava venendo meno e quel sole che aveva fino ad allora scaldato la ragazza, cominciava a tramontare, e l’acqua a farsi gelida, Lily decise che fosse ora – e meglio – uscire da lì e tornarsene a casa, prima che suo padre mandasse in giro uno squadrone di Auror a cercarla. E così, infatti, dopo essersi rinfilata le scarpe ed essersi sistemata i pantaloni, Lily si alzò in piedi, pronta a lasciare quel giardino, quando, voltandosi leggermente verso la strada, pensò che, effettivamente, sarebbe arrivata un po’ in ritardo per cena.
Dall’altra parte del cancello d’entrata di quel piccolo parco, infatti, che camminava con quelle che sembravano delle enormi buste della spesa (possibile?) in mano, c’era Severus Piton.
A Lily sembrò più che naturale che, all’inizio, le fosse quasi preso un colpo; non se l’aspettava assolutamente. Ma già dopo un paio di secondi aveva praticamente ancorato al terreno, tramite magia, la sua bicicletta, ed aveva iniziato a seguire quel Piton a debita distanza.
A dire il vero non sapeva neanche lei perché stesse facendo una cosa del genere, ma… Era rimasta piuttosto sorpresa nel vederlo lì, e poi era inutile dire che quell’uomo la… incuriosisse.
Più o meno.
Insomma: dopo quasi trent’anni era sbucato fuori dal nulla, e pochi giorni prima si era persino presentato per pranzo a casa Potter. Non erano cose di routine, per lei.
Lily l’aveva guardato, durante il pranzo; l’aveva quasi studiato, ma non era riuscita affatto ad inquadrarlo, quel giorno. Aveva notato come il signor Piton sembrasse – e fosse – un uomo costantemente sulle sue, ma sospettava che vi fosse molto di più, dietro quella sua costante espressione burbera. Semplicemente era un libro chiuso, pensava Lily, di cui lui lasciava intravedere soltanto la copertina. Rigida, oltretutto.
Eppure, nonostante i suoi ragionamenti, Lily non sapeva perché si fosse messa a seguire l’uomo. Era stata una cosa dettata dall’istinto, senza alcun dubbio, e che probabilmente sarebbe finita di lì a pochi minuti. Era una di quelle cose fatte tanto per farle, solo per togliersi una stupida soddisfazione, probabilmente.
Lily accelerò leggermente il passo, però, quando Piton svoltò dietro un angolo, e anche lei girò l’angolo, allora, ma non fece in tempo né a scansarsi, né a fermarsi, né a fare qualsiasi altra cosa, che si ritrovò con i naso schiacciato contro qualcosa. O meglio: qualcuno. Infatti Lily alzò lo sguardo, rendendosi così conto, con una nota di sgomento (o forse di imbarazzo) di essere finita proprio contro Severus Piton.
Merda.
Era ovvio che lui si fosse accorto di essere seguito, a quel punto.
“Oh, buonasera, signor Piton.” disse però Lily, con tono neutrale, massaggiandosi leggermente il naso.
Piton, per il momento, si limitò ad inarcare un sopracciglio.
 
Dannazione. Aveva ceduto una volta – una – da quando Potter si era reso conto della sua sopravvivenza, e ora, dopo neanche una settimana, si ritrovava un membro della sua prole tra i piedi. Onestamente, pensava che l’avrebbero lasciato in pace un po’ più a lungo, almeno. E invece no. Ora si ritrovava persino braccato da quella ragazza.
Fosse stato uno degli altri figli, almeno. No. Lei. Qualcuno lo stava prendendo in giro, lassù?
“Signorina Potter.” disse, infine e finalmente, Piton “Posso chiederti cosa staresti cercando di fare?”
“Io… Niente. L’avevo solo vista, e così ho pensato…”
“Di seguirmi.” finì la frase l’uomo “Beh, ragionevole; stai già cercando di seguire le orme di tuo padre?”
Lily incrociò le braccia al petto. Ora iniziava probabilmente a capire perché suo padre non avesse avuto particolarmente in simpatia il suo insegnante di Pozioni.
Ma comunque… Lily non poteva davvero ammettere di star seguendo l’uomo per un’infantile curiosità, quindi si sforzò di trovare un’altra motivazione più… plausibile. E magari meno scema.
“Ovviamente no.” rispose allora “Ero solo… L’ho raggiunta solamente perchè volevo– uhm– scusarmi con lei. Per l’altra volta, quando l’ho quasi presa in pieno, vicino casa.

Piton la guardò per un momento in silenzio, quasi di sottecchi. Sembrava non fosse del tutto convinto; forse perché la scena (una giovane del clan Weasley-Potter che si scusava con lui) sembrava leggermente fuori dal suo ordinario. O forse perchè era da molto tempo che non riceveva delle scuse di qualsiasi tipo da qualcuno, Potter, Weasley, o chicchessia che fosse.
“Bene.” rispose comunque, però, Piton “Accetto le tue scuse.”
Lily sembrò rilassarsi leggermente.
“Perfetto, allora!” trillò “E…” Aggiunse lanciando uno sguardo alle grandi buste di plastica che l’uomo portava con sé “Potrei aiutarla a portare quelle, se le va.”
E sorrise. Un sorriso innocente e semplice.
“No, grazie.” rispose però Piton “Ho intenzione di smaterializzarmi poco lontano da qui, quindi non ce n’è bisogno.”
Da quando si sentiva in dovere di dare una giustificazione ad un suo diniego?
“Insisto!” esclamò invece la ragazza, poco prima che le sue mani andassero ad afferrare una delle buste e che la togliesse dalle dita di Piton. La tenne ben ferma afferrandola con entrambe le mani.
Piton non poté fare altro che alzare gli occhi al cielo, borbottando.
“E va bene.”
 
Quando Lily riaprì gli occhi, si ritrovò immersa nella campagna.
C’erano campi di un colore tendente al giallo tutt’intorno a lei; era in piedi su una stradina sterrata e polverosa, e di sicuro le si sarebbero sporcate le scarpe. Lily lasciò il piccolo lembo della giacca babbana di Piton che aveva afferrato poco prima per effettuare una smaterializzazione congiunta, e continuò a guardarsi intorno, prendendo nota della poca presenza di alberi, in quella zona.
“Lei vive qui?” chiese allora, curiosa, con gli occhi grandi.
Piton ancora non riusciva a credere di essersi portato dietro Lily Luna. Fu probabilmente per questo che sentì il bisogno di dire qualcosa che avrebbe smorzato l’entusiasmo crescente di lei.
Perché non sembrava… normale che qualcuno si animasse tanto soltanto per essere finito con lui in campagna.
“No, Potter, io non vivo qui. Siamo in mezzo alla strada.”
Vide Lily alzare gli occhi al cielo e sbuffare.
Meglio.
“Beh, e allora dove?”
Con la mano libera Piton fece un gesto noncurante verso la loro sinistra, e Lily seguì quel movimento con lo sguardo, prima di focalizzarsi su quanto presumibilmente stava indicando l’uomo.
E così Lily, sporgendosi oltre la figura di Piton, che le impediva la visuale, vide una piccola casa interamente costruita in pietra. Da quella distanza, ancora, non poteva esserne sicura, ma non sembrava essere tanto grande.
O forse era l’immensità che li circondava, a farla apparire tale.
Lily continuava a guardare quella casa, pensierosa, con la testa solo leggermente inclinata da un lato.
“Ora, se permetti…” fece allora Piton per poi sporgersi leggermente in avanti per recuperare dalle mani di Lily la propria busta, in modo da porre finalmente fine a quel siparietto.
Lei purtroppo se ne accorse, però, e allora fece una specie di salto laterale, scansandolo appena in tempo.
Piton quasi la fulminò con lo sguardo, ma Lily gli fece soltanto un sorriso e cominciò ad incamminarsi velocemente – per quanto il perso tra le braccia glielo consentisse – verso quella che quindi era casa Piton. All’uomo non rimase che seguirla, leggermente infastidito.
Lily aveva già imboccato il vialetto d’ingresso che avrebbe condotto all’abitazione, tenendosi a qualche passo di distanza da lui.
“Ci vive con qualcuno?” domando lei, poi, rimanendo a debita distanza.
“No.” si sentì lei rispondere, da dietro, con tono seccato e che non ammetteva repliche.
Alla fine giunsero entrambi davanti alla porta principale di quella casa, che, a dire il vero, adesso sembrava nettamente meno piccola di prima. Lily aspettò in silenzio che Piton si avvicinasse, coprendo la distanza che si era creata tra di loro. Aveva la netta impressione di averlo un po’… scocciato, forse – constatò lei quando lui tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una chiave e la infilò nella toppa senza lanciarle neanche una mezza occhiata. Eppure, se davvero a Piton avesse dato così fastidio la sua presenza, lui l'avrebbe cacciata via molto prima, no? Lily aveva sentito parlare di lui nei racconti della sua famiglia, e… beh, lui non era mai stato descritto come una persona molto… accomodante.
“Allora?” fece poi la voce di Piton, scuotendola appena “Posso riavere le mie cose o devo Appellarle?”
Lily gli porse subito l’ormai famosa busta, sempre in silenzio, e lui la afferrò.
“Bene, arrivederci, Potter.”
Piton stava proprio per chiudere la porta, evidentemente manifestazione del non voler far entrare la ragazza in casa sua.
Le aveva permesso di accompagnarlo. Non le avrebbe permesso di invadere tutto il resto.
“Posso tornare?”
La domanda di Lily bloccò il movimento della porta, per un istante, e Piton la guardò apparentemente senza espressione.
Poi lui richiuse la porta, lasciando Lily fuori.
Lei si smaterializzò quasi subito con un lieve ‘pop’, con il velo di un sorriso sulle labbra.
D’altronde, a volte, anche il silenzio poteva considerarsi una risposta più che esauriente.





¹ Pirandello.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Eccomi qui! :D Come vedete non ho fatto passare molto dal mio ultimo aggiornamento, ergo... sono stata brava, no?
Spero che il capitolo vi piaccia... personalmente è uno dei miei preferiti, in questa breve storia!
Un bacione, gente, fatemi sapere che ne pensate! XD
Ciao, nì!




Capitolo 5

 
Severus Piton era seduto sulla propria poltrona. Un libro in mano, le gambe accavallate, e l’espressione concentrata di chi non vuole perdersi neanche una virgola di ciò che sta leggendo. Non c’era nessun rumore, intorno a lui, che potesse distrarlo da tale piacevole attività. Nessuno rumore molesto, almeno. Era per questo che, una volta finita la guerra, aveva deciso di trasferirsi nella campagna inglese; non tanto distante da Londra, dopotutto. Ora gli unici rumori che udiva, mentre leggeva seduto in poltrona, erano il ticchettio dell’orologio, il fischiare occasionale del vento, e qualche occasionale cinguettio. Niente a che vedere con Spinner’s End: il continuo vociare per le strade, in canto degli ubriaconi, il clacson delle automobili, lo scampanellio delle biciclette.
Biciclette.
Piton si ritrovò a fissare una parola, sulla pagina del suo libro, senza proseguire nella lettura, come se qualcosa lo avesse improvvisamente bloccato.
Si era rifugiato nella campagna, lui, per cercare un po’ di tranquillità, se possibile. Dopo la fine della guerra, quando si era reso conto di essere ancora vivo, e dopo aver recuperato un minimo di forze, aveva semplicemente preferito andare via da tutto e da tutti. Non voleva vedere negli occhi di chiunque gli si fosse presentato davanti quello sguardo di compassione misto ad ammirazione. Non ci teneva affatto. Ecco perché era andato via: per poter stare solo. Certo, era stato solo per anni e anni – per quasi tutta la vita, in effetti, ancor prima che finisse la guerra, anche quando si trovava circondato da decine di persone. Ma la solitudine corrente, a differenza dell’altra, non gli pesava; aveva adempiuto ai suoi doveri, Piton, fino all’ultimo, perciò ciò che stava vivendo poteva considerarsi (invece che ‘solitudine’, in effetti) riposo. Puro e semplice. Senza disturbi, senza affanni, senza niente.
Solo i suoi libri, la sua poltrona, il suo piccolo laboratorio in cantina e i suoi articoli che inviava a qualche mensile sulle Pozioni, tanto per guadagnare qualcosa con cui campare.
Basta.
E a Piton stava bene così, dopo tanti anni di pericoli, di spionaggio, di menzogne, e di giudizi.
Ma poi la sua ‘latitanza’ era stata scoperta, e niente popo di meno da chi dal quale Piton si stava maggiormente nascondendo.
No, un momento: lui non si stava nascondendo. Lui voleva soltanto essere lasciato in pace.
Piton stava pensando proprio a questo, quando qualcuno suonò al campanello.
Lui quasi sussultò, ma poi tornò in sé, costringendosi ad ignorare quel suono molesto che ancora gli rimbombava nelle orecchie. Oh, no, non sarebbe andato ad aprire; sarebbe rimasto lì, a leggere per la milionesima volta sempre la stessa riga, ma non si sarebbe comunque alzato da quella poltrona. Anche perché sapeva benissimo chi si trovava al di là della porta di casa.
Salazar, aveva fatto un errore madornale, un paio di giorni prima, quando se l’era portata dietro. Se quel giorno l’avesse mandata via in malo modo, come faceva praticamente con tutti, ora non si sarebbe ritrovato con una Lily Luna che ancora bussava insistentemente alla sua porta.
Perché tanto lo sapeva che era lei.
Era stato uno stupido.
“Signor Piton, è in casa?”
La voce squillante della ragazza lo raggiunse in un istante. Ma tanto non sarebbe andato ad aprire.
Prigioniero in casa propria. Patetico.
“Signor Piton?”
“Cosa vuoi?” fece il diretto interessato, una volta aperta la porta a quella ragazza che avrebbe dovuto avere di sicuro un milione di altre cose da fare, piuttosto che spingersi fin là, da lui.
“Ah, lo sapevo che era in casa.” rispose lei, poco prima di tirare fuori dalla propria borsa un barattolo contenente qualcosa di ambrato.
“E’ marmellata al limone.” spiegò Lily “L’ha fatta ieri mia nonna, e allora ho pensato…” si strinse nelle spalle “che magari le piace.” fece un sorriso “Ce l’ha del pane, sì?”
Un’altra debolezza, e adesso Lily si trovava seduta al tavolo della cucina, intenta a spalmare un abbondante strato di marmellata su due fette di pane.
“Non ho né detto che lo mangerò, né che mi piace; né che potevi entrare in casa mia, a dirla tutta.”
Lily lo guardò dal basso verso l’alto, all’inizio leggermente perplessa, anche se poi cambiò espressione.
“Pensavo che il suo farsi di lato ed incamminarsi verso la cucina fosse un invito. Così come farmi vedere dov’è il pane.”
“Io lo definirei un’obbligata rassegnazione.”
Lei fece spallucce. “Intanto sono qui, no? E lei non mi ha neanche detto esplicitamente di andarmene.” gli porse una fetta di pane, a quel punto “La prenda: è buona e, soprattutto, non è stata avvelenata.”
Lily fece una specie di sbuffo divertito, e Piton si rilassò appena, inconsapevolmente.
“A te piace?”
“L’adoro.”
Strano. L’altra Lily odiava letteralmente la marmellata di limoni.
Piton scacciò quel pensiero dalla testa, focalizzandosi su quanto stava accadendo nella sua cucina.
“L’accetto solo perché confido nelle capacità culinarie di Molly Weasley.”
Lily alzò gli occhi al cielo, ma fece una faccia soddisfatta, quando Piton addentò la fetta di pane che ormai aveva in mano.
 
Un breve bussare alla porta. Di nuovo.
“Non ti ho detto di poter tornare, Potter.” disse Piton ad una Lily Luna già praticamente al centro del suo salotto.
“Veramente” rispose Lily, mentre cercava qualcosa nella sua borsa a tracolla “lei ha detto ‘Non sei tenuta a ripresentarti’. O qualcosa del genere.” e gli sorrise, alzando per un attimo gli occhi dalla propria borsa.
Piton la guardò con una smorfia. Non era più abituato a trattare con i ragazzini. Che poi Lily non era praticamente neanche più una ragazzina.
E sicuramente non era una cosa positiva.
Piton incrociò le braccia al petto, dopo aver richiuso la porta di casa.
“E cosa saresti cercando, di grazia? Non dirmi qualche altra roba dolciastra ed appiccicosa.”
“No.” rispose subito lei, tirando fuori dalla borsa, finalmente, ciò che stava cercando, e guardandolo divertita “Anche se scommetto che non disprezzerebbe così tanto, alla fine. Ma comunque…” batté con le nocche sulla copertina del libro che aveva portato con sé – era questo ciò che prima cercava.
Piton la guardò con un sopracciglio alzato, di rimando alla sua affermazione sui dolci. Poi focalizzò l’attenzione sul libro.
“E quello sarebbe…?”
“Parla di Pozioni. Lo stavo leggendo, e… ci sono alcune cose che non ho ben capito, così ho pensato…”
“Beh, hai pensato male.” la interruppe subito lui “Non insegno da decenni, e in tutta franchezza non ci tengo a perdere il mio tempo in…”
“Ma non è come insegnare!” esclamò Lily, e lei pensò bene di abbassare di un po’ il tono di voce, specie dopo l’occhiataccia che lui le riservò dopo essere stato bruscamente interrotto.
“Intendevo…” riprese allora Lily “Io le so, le cose, ci sono giusto alcuni passaggi che non sono molto chiari. Sarebbe come approfondire, no? Non come una lezione.”
“Certo. Perché tu sai le cose.”
E – no – Piton non poteva aver fatto una sottospecie di sorrisetto divertito senza neanche accorgersene, giusto? O comunque accorgendosene troppo tardi.
Lily non aspettò che il mago dicesse altro, ed andò subito, allora, a sedersi sul divano, con il libro sulle gambe.
Sembrava così… naturale e a suo agio. Ed era così strano che lo fosse.
E mentre Piton si sedeva sulla sua poltrona, con una mano tesa verso di lei, come a chiederle di consegnargli alla svelta quel volume, prima che cambiasse idea, pensò che in fondo non stava succedendo niente di eccezionalmente insolito.
Almeno poteva evitare che il gene-dei-Potter rendesse totalmente irrecuperabile quella ragazza alla quale, a quanto pareva, piacevano le pozioni.
E poi anche l’altra Lily, in fondo, aveva adorato quella materia.
Non c’era niente di strano.
 
“Potter. Una ragazza della tua età, d’estate, non ha null’altro da fare se non venire qui praticamente tutti i giorni?”
Piton aveva aperto la porta di casa, dopo aver sentito il suono del campanello, sapendo già chi vi avrebbe trovato dietro, come al solito. Era passata poco più di una settimana, da quando Lily Luna si era presentata per la prima volta a casa sua, con quel barattolo di marmellata in mano – che ancora era in bella vista su un mobile in cucina, peraltro.
Nessuno andava mai a casa sua così spesso. Anche se, a dire il vero, nessuno andava a casa sua praticamente mai.
Ah, beh. Le conseguenze dell’esser creduto defunto.
E quindi aveva esordito con quella frase, appena aperta la porta, senza neanche dare alla ragazza il tempo di salutare. Non che poi lui avesse salutato, effettivamente, ma tant’era.
Lily Luna si limitò a guardarlo con la testa leggermente inclinata da un lato.
“Ah, non so cosa fanno le altre ragazze della mia età, sinceramente.” rispose “E neanche mi interessa più di tanto; io penso a quello che faccio io, e a ciò che piace fare a me.”
Senza attendere una risposta, Lily si fiondò praticamente dentro casa dell’uomo, avanzando nel salotto che ormai conosceva.
Piton inarcò un sopracciglio.
“Ovvero? Passare i pomeriggi in un quasi perenne silenzio in casa di uno sconosciuto dal dubbio passato?”
“Ah, ma lei non è uno sconosciuto. E il suo passato poi non è neanche troppo dubbio, a dirla tutta.”
Piton la guardò senza espressione.
Ecco. Ci mancava solo che ciò di cui per fortuna non era finito per parlare con Potter, venisse fuori con sua figlia. Con quella figlia, poi. Sarebbe stato un paradosso bello e buono.
“Sì, immagino tuo padre si sia premunito di sbandierare i fatti miei al mondo intero.”
L’uomo ebbe la netta impressione, guardando Lily, che lei si stesse mordendo la lingua, in quel momento, come se avesse capito di aver detto, forse, qualcosa di non troppo adeguato. E difatti neanche rispose.
Piton si appoggiò con le spalle alla porta, appena richiusa dietro di sé.
“Tuo padre lo sa che vieni qui, Potter?”
“Dovrebbe?”
“Mi parrebbe anche giusto, sebbene sia nota la mia antipatia nei suoi confronti. Reciproca, peraltro.”
“Oh, beh… Occhio non vede – od orecchio non sente, in questo caso, cuore non duole, giusto?”
Piton alzò nuovamente il sopracciglio.
Quindi quell’impertinente di ragazza che aveva di fronte non aveva neanche detto al padre (o alla madre; faceva poca differenza) di star passando tutti i pomeriggi a casa di Piton. Forse, un tempo, questo avrebbe provocato a Piton anche una sorta di tiepida soddisfazione, ma solo perché avrebbe constatato che persino la prole del grande Harry Potter – o almeno parte di essa – non reputava il genitore così affidabile da potergli dirgli tutto. Ma adesso, invece, a sentire quelle parole, lui rimase piuttosto… perplesso.
Ma tanto l’idea che gli stava venendo in testa, riguardo alle intenzioni della giovane Potter, era assolutamente malsana. O per lo meno provava a crederci. Fingeva di crederci. Perché… Beh, non era semplicemente possibile.
O almeno lo sperava, anche se da un paio di giorni si ritrovava ad avere qualche dubbio, a riguardo; specie quando si accorgeva, magari durante una breve conversazione tra loro, di come Lily sembrasse pendere letteralmente dalle sue labbra, anche se l’argomento in questione era tra i più stupidi che ci fossero al mondo; oppure di quando si accorgeva di come lei lo fissasse, quando credeva di non essere guardata a sua volta.
Oh, sì, perché anche Piton la guardava, suo malgrado. Se n’era accorto solo il giorno prima, a dirla tutta. E non lo faceva neanche così velatamente, il che era assolutamente riprovevole, per lui. E si era resto conto di ciò proprio dopo aver appurato che, quasi giunta la solita ora del’ormai inevitabile arrivo di Lily a casa sua, si era ritrovato a contare i minuti che lo separavano da quel momento. Come se lui la aspettasse sul serio. Come se volesse che arrivasse. Come se ci sperasse.
Ridicolo. Assolutamente ridicolo.
“Beh, certo.” rispose comunque Piton all’ultima frase di Lily, prendendola leggermente in giro con un ghigno sulle labbra “Far sapere in giro che vieni qui potrebbe rovinare la tua reputazione, me ne rendo conto.”
Non che comunque cercasse davvero di convincerla a non presentarsi più da lui. Le sue parole erano solo meri pensieri passeggeri che prendevano forma uscendo dalla sua bocca. Perché, d’altronde, alla fine, non gli dispiaceva così tanto la sua compagnia; anche se ogni tanto lei se ne usciva con qualche stramba idea (come l’andare a cogliere more, per esempio), immediatamente bocciata dallo stesso Piton. Era solo che… Lily non era particolarmente fastidiosa, in fondo, e non pretendeva che Piton si impegnasse in lunghe conversazioni che di sicuro gli avrebbero dato noia: si limitava, quelle volte, o a rimanere in silenzio anche lei, dedicandosi alla lettura, o a parlare senza aspettarsi delle risposte da parte dell’uomo.
E Piton si dava dell’incosciente, mentre pensava tutto quello. E darsi dell’incosciente, a più di sessant’anni, non era una cosa molto rincuorante.
L’espressione di Lily, comunque, dopo la risposta di Piton, fu delle più sorprese.
“Oh, no! Io non intendevo quello!” esclamò lei “Cioè… Non mi vergogno mica a venire qui! È solo che… Beh… Mio padre, lei lo sa meglio di me…”
E si azzittì completamente, non trovando altre parole sconnesse da aggiungere alla sua frase, ed abbassando gli occhi al pavimento.
Era solo un’idea malsana ed idiota. Meglio ripeterselo a mente.
“Capisco.” fu tutto quello con cui commentò Piton. Anche se probabilmente o aveva capito fin troppo, o non aveva capito assolutamente nulla.
Per il momento preferì non indagare.
“Allora…” ricominciò a quel punto Lily “Che le andrebbe di fare?”
Piton si riscosse dai propri pensieri. “Prego?”
“Ho chiesto: che le va di fare? È una bella giornata fuori, e magari si potrebbe fare un giro qua intorno.”
Tu, Potter, se ne hai così tanta voglia, vai a farti un giro ‘qua intorno’.” rispose piccato Piton, staccandosi finalmente dalla porta e muovendosi con tutta l’intenzione di sedersi sulla propria poltrona “O anche da qualsiasi altra parte; non mi interessa. Io rimarrò qui.”
Esattamente diciassette minuti dopo, entrambi stavano camminando sulla stessa stradina sterrata sulla quale Lily si era smaterializzata con Piton la prima volta che lei aveva visto dove vivesse l’uomo. Lui camminava in silenzio, e anche con guardo piuttosto cupo, a dirla tutta, mentre Lily, accanto a lui, ogni tanto guardava i campi attorno a loro, ogni tanto guardava il cielo, ogni tanto lo stesso Piton.
“Su, avanti, non faccia quella faccia.” gli disse a quel punto Lily, camminando all’indietro per poterlo guardare in viso.
“Questa è la mia espressione, dato che ti avevo detto che non avevo alcuna voglia di uscire di casa.”
Lily rise sotto i baffi. “Però alla fine è venuto lo stesso.”
“Dettagli.”
“Ed è stato tanto male?”
Piton notò come il sole illuminasse i capelli rossi della ragazza più di quanto si sarebbe aspettato, e anche di come rilucesse il castano dei suoi occhi.
“Sì.” rispose lui.
Lily alzò gli occhi al cielo, rimettendosi a camminare finalmente guardando dove metteva i piedi. E poi si fermò, quando giunsero all’inizio di un nuovo prato: era per la maggior parte pieno di girasoli, non fosse stato per qualche zona in cui i lunghi fiori non erano presenti, lasciando come degli avvallamenti d’erba.
“Perché non mi ha mai detto di questa meraviglia?!” esclamò lei, praticamente estasiata, alzando gli occhi in alto, per poter guardare meglio i fiori, che, almeno, erano lunghi soltanto poco più di lei.
“Avrei dovuto?” rispose semplicemente  Piton, con espressione neutra “E poi non ne vedevo il motivo, anche fosse: i fiori, specie quelli allegri, non sono propriamente il mio genere.”
Non che un fiore potesse definirsi ‘allegro’, comunque.
“Oh, ma i girasoli non sono mica allegri.” rispose Lily, tornando a guardare lui “Cioè, secondo me, almeno. Sa… C’è una leggenda che racconta di una ninfa che era innamorata del dio del sole, ma che non era ricambiata; e lei, così, stava seduta e lo fissava tutto il giorno; solo che poi, per magia, il corpo della ninfa venne trasformato in un girasole, ed ecco perché anche il fiore è sempre voltato verso il sole. In più il girasole non è un fiore… normale, perché in realtà è formato da tanti altri fiori raggruppati insieme: quelli che formano i petali sono fiori sterili, mentre quelli del disco al centro sono altri, il che può pure collegarsi alla leggenda della ninfa e al suo – uhm… amore infelice.”
Lily aveva smesso di guardare Piton più o meno a metà discorso, voltandosi di nuovo verso i fiori, mentre Piton, a dire il vero, aveva continuato a guardare la ragazza, mentre lei proseguiva nel parlare.
“Ma comunque!” disse poi lei, cambiando discorso e rompendo il breve silenzio “Le va di entrare nel campo?”
Piton alzò un sopracciglio. “Come?”
“Avanti, signor Piton, non mi dica che non è mai entrato in un campo di fiori.” lui non cambiò espressione “Oh, beh… Meglio, allora, no? E poi c’è sempre una prima volta per tutto.”
Lily gli sorrise luminosa, prima di prendergli piano una mano e di cominciare ad avvicinarsi al bordo della strada, che coincideva proprio con il limitare del campo di girasoli.
“Potter, no.” rispose però Piton, con un tono che non ammetteva repliche.
Lily gli lasciò subito la mano, allora, ma non smise di sorridere.
“Okay.” fece lei, continuando comunque ad avvicinarsi al prato “Mi aspetti qui, allora!”
E, sempre camminando all’indietro, prima che Piton potesse ribattere in qualsiasi modo, sparì tra gli steli dei girasoli.
E così Piton rimase da solo in mezzo alla strada, in pratica.
Sul viso gli si presentò la solita espressione leggermente piccata. Beh, anche se ormai non era tanto ‘solita’, non avendo più praticamente a che fare con la maggior parte del mondo che prima conosceva. Più che altro gli si stava ripresentando da quando Lily Luna aveva cominciato ad infiltrarsi nella sua quotidianità. Si mise le mani nelle tasche dei pantaloni, in attesa.
Che cosa diamine poi ci era dovuta andare a fare, in un campo di girasoli?
Se la immaginava, a correre tra i fiori più grandi di lei senza una motivazione precisa.
Piton cominciò a fare qualche passo, avanti e indietro, per poi tornare sempre al punto in cui era scomparsa Lily, ripromettendosi che, non appena sarebbe tornata, le avrebbe fatto la prima e seria lavata di capo da quando si conoscevano.
Con una mano si grattò il collo, coperto dalla stoffa scura della sua maglietta, in corrispondenza del punto in cui si trovava la sua cicatrice. Gli pizzicava sempre un po’, durante il giorno. Poi, però, la sua mano non ricadde lungo il fianco, ma rimase sospesa per aria, quando sentì espandersi per l’aria un urlo acuto.
 
“Potter!” esclamò Piton, scansando stelo su stelo, mentre camminava velocemente, avanzando tra i girasoli “Se mi stai facendo fare tutto questo e poi scopro che sei solo inciampata, ti conviene iniziare a correre! Hai capito, Potter?!”
Gli steli diminuirono fino a diventare giusto una manciata, quando si presentò una di quelle piazzole d’erba quasi prive di fiori, e fu lì che lui trovò Lily, in piedi e non mezza morta, per fortuna, ma con un’espressione terrorizzata sul viso, accanto ad un girasole, e con gli occhi fissi a terra, verso qualcosa posizionato non troppo distante da lei; quando poi si accorse dell’arrivo di Piton, lei lo fissò, per un momento, appena rassicurata, ma non meno spaventata. Difatti, quando lo stesso Piton guardò a terra, vide un serpente, immobile, che fissava la ragazza.
Lentamente il professore infilò una mano all’interno della giacca, ed afferrò la propria bacchetta, senza staccare per neanche un momento gli occhi dall’animale, che aveva cominciato pericolosamente a sibilare. Era vero che i serpenti attaccavano soltanto quando avevano paura e si sentivano minacciati, ma di sicuro non si poteva sapere che cosa passasse per la testa di un rettile. E così Piton tirò fuori la bacchetta e velocemente la puntò contro l’animale, mentre nella sua mente si enunciò all’istante la formula ‘Vipera Evanesca’.
Un attimo dopo il serpente non c’era più.
L’attimo esattamente successivo Piton si ritrovò Lily aggrappata a sé.
“Potter, stai calma.” disse Piton, posando una mano sulla spalla della ragazza ed allontanandola da sé “Non c’è motivo per cui tu dia in escandescenze di qualsiasi tipo, adesso. Quello dovrei essere io, considerata la tua incoscienza.” provò a guardarla male, specie dopo aver visto i suoi occhi pieni di ringraziamento.
Sospirò.
“Cammina, avanti, Potter.” aggiunse Piton, e la mano poggiata sulla spalla di lei divenne un invito a precederlo sulla strada del ritorno.
“Grazie, signor Piton, grazie, grazie davvero.”
“Di nulla.”
“Sul serio, io non…”
“Ho capito, Potter.” tagliò corto Piton, leggermente spazientito, ma senza alcun tipo di cattiveria nella voce “Basta ora.”
La mano che prima era sulla spalla di Lily ricadde pesantemente lungo il fianco di lui.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ariecchime! :D
Grazie mille a tutti quanti per quanto mi state seguendo, gente! Sono al settimo cielo, per questo! :3
Vi lascio subito con il capitolo, allora!
Ciao, nì!! <3


 


Capitolo 6

 
I passi veloci di quattro gambe rumoreggiavano per le scale di casa Weasley. Lily Luna e Rose, infatti, stavano correndo, dirette verso la camera di quest’ultima; e l’avrebbero raggiunta con molta più tranquillità, se non fossero state inseguite da James e da Hugo. Un comportamento infantile, quello dei due ragazzi, data la loro età, ma, quando avevano sentito Lily dire a sua cugina che ‘le doveva parlare’, non aveva resistito dal punzecchiare le due – specialmente la rossa.
“Avanti, Lily!” gridò uno dei due, per le scale, cercando di raggiungere le ragazze “Cos’è che devi confessare di tanto urgente?”
“Non sono affari vostri!” esclamò di rimando la diretta interessata, mentre, insieme a Rose, riusciva a giungere incolume a destinazione, ed a chiudersi la porta alle spalle, appoggiandosi ad essa con la schiena.
Rose fece appena in tempo a chiudere a chiave, che entrambe udirono la lieve spallata di Hugo e di James alla porta.
“Secondo me hai combinato qualcosa di grosso, dico bene, sorellina?” iniziò James.
“E poi…” continuò Hugo “Possiamo sempre usare una delle Orecchie Oblunghe di zio George, sapete?”
“Tu azzardati a fare una cosa del genere” rispose Rose, dall’altra parte della porta “e lo dico a nostra madre!”
“Ah!” esclamò James “Ancora con questa minaccia da bimba di sei anni, cugina? Ormai non attacca più! Giusto, Hugo?” ci fu una piccola pausa “Hugo?”
“Andiamo, James, mi sa che è meglio se torniamo di sotto.” fu tutto quello che rispose proprio Hugo.
“Ma… Ma… Non mi dire che…”
“Oh, tu non conosci com’è nostra madre, quando si incavola.” disse Hugo, per poi parlare a voce un po’ più alta “Specie quando mia sorella fa la spia!”
Rose fece una linguaccia, sapendo comunque di non poter essere vista dal fratello, e Lily soffocò una risata.
E poi le voci dei due ‘assalitori’ sparirono in lontananza, insieme al rumore dei loro passi. Lily e Rose, a quel punto, poterono staccarsi finalmente dalla porta. La rossa andò a sedersi – o meglio: a sdraiarsi a pancia in sotto – sul letto, mentre Rose si avvicinò alla finestra, guardando di fuori.
“Maschi.” disse poi, voltandosi verso la cugina “Stanno giocando in giardino con Albus.” fece spallucce, prima di sedersi, a gambe incrociate, accanto a Lily, che osservava il muro, a dire il vero, un po’ assorta “Allora…” riprese “Di cosa mi vuoi parlare? Del ragazzo che ti piace, forse?”
Lily si voltò di scatto verso di lei, spostando il peso del proprio corpo su un gomito, guardandola ad occhi sgranati.
“Che cosa…” disse, sorpresa “Come…?”
“Ah, ma allora è vero!” esclamò Rose, illuminandosi, e afferrò un cuscino tondo, a righe, portandoselo poi al petto ed abbracciandolo.
“Te l’ho letto in faccia.” spiegò poi la bruna, allo sguardo interrogativo di Lily “Sono giorni che ogni volta che ti vedo, anche se per poco, hai la testa da tutt’altra parte. E ogni tanto sorridi pure da sola. Insomma… Non ci ho messo più di tanto, a capirlo.”
“Oh, Godric…” mormorò Lily, affondando con la testa nel copriletto “Spero solo che non se ne siano accorti anche a casa mia.”
“Oh, non credo: i genitori non riescono a decifrare nulla quasi mai, e fanno sempre in modo di pensare che non ci sia nulla di nuovo, nelle vite dei figli. James e Albus, invece… Beh, sono maschi. E questo basta.” fece una piccola pausa “Ma quindi… Ho ragione? Ti piace davvero qualcuno?”
Il volto di Lily riemerse, notevolmente arrossito.
Le piaceva qualcuno? Qualcuno aveva fatto breccia del cuore di Lily Luna? Si sentiva sicura, lei, a poter rispondere di sì. Le piaceva qualcuno. Forse le piaceva persino troppo.
Ovviamente lei l’aveva scoperto qualche giorno prima, ma all’inizio non aveva voluto dare ascolto a quella vocina nella sua testa, dicendosi che tutto quello che provava, in realtà, era una fervente curiosità nei confronti di quell’uomo solitario e apparentemente scorbutico che aveva conosciuto neanche troppo tempo prima. Poi, però, ogni volta che lo vedeva, si sentiva attagliare lo stomaco. O meglio: quando lui la guardava. Quando la osservava, da dietro il suo libro, Lily non riusciva a non sentirsi… leggera e pesante allo stesso tempo, confusa e con la mente libera, in un ossimoro di sensazioni contrastanti.
Le piaceva Severus Piton. E le piaceva tanto. Troppo.
Le piaceva così tanto che questo sentimento l’aveva invasa a tal punto che, se non ne avesse parlato con qualcuno, presto sarebbe scoppiata letteralmente. Aveva paura, ogni giorno, poi, che potesse sfuggirle qualcosa da un momento all’altro, inconsapevolmente, tanta era l’euforia; e tanto era il consecutivo malessere che subito dopo sopraggiungeva; perché, nonostante tutto, lei sapeva che questa era una cosa non tanto… normale, per lei (e per chiunque altro). E poi… Se solo Piton avesse saputo qualcosa… Come avrebbe reagito?
E così le giornate di Lily – o quello che ne rimaneva, dopo le ore passate proprio con Piton – trascorrevano tra sbalzi d’umore e tra parole che lei doveva stare attenta a controllare.
Ecco perché aveva deciso di parlarne con sua cugina: si sarebbe aperta con qualcuno, e, nonostante la stranezza della situazione, lei non l’avrebbe umiliata, abbattuta o sgridata. L’avrebbe consigliata e avrebbe cercato di capire. O almeno ci sperava.
“Sì.” rispose alla fine Lily, in un sospiro “Diciamo che… Mi piace qualcuno, sì.”
Rose sorrise a trentadue denti. “E…? Insomma, chi è?”
“E’… Ehm, è questo, il punto…”
Il sorriso di Rose non svanì, anche se si affievolì appena. “C’è qualcosa che non va? Insomma, chi è questo ragazzo?”
Che, poi, tanto ragazzo non era.
Forse dicendolo subito e senza girarci intorno avrebbe fatto prima.
“E’ Piton. Severus Piton, Rose.”
Già ad averlo nominato, in effetti, le sembrava di essersi tolta un gran peso.
Rose la guardò abbastanza perplessa, per un istante.
“No, un momento… Sei seria?”
“Sì, Rose, certo che sono seria!”
“Ma… L’hai visto una volta sola, e c’ero anch’io!” esclamò Rose, bloccandosi nell’attimo immediatamente successivo “Perché l’hai visto una volta sola, non è vero?”
“Er…” ecco, già cominciava a pensare che non fosse stata totalmente una buona idea “No. Sono un po’ di giorni, che lo vedo…”
Lei sgranò gli occhi. “Cioè ci sei uscita insieme? Ma Lily! Quanti… Quanti anni avrà?”
“Non lo so quanti anni ha, di preciso!” Lily fece un cenno di diniego con la testa, come a voler scacciare un pensiero fastidioso “E comunque non siamo ‘usciti insieme’. Ci siamo solo visti.”
“E dove?”
“A casa sua.”
Perché suonava così male, detta così?
“Ah.” fu tutto quello che commentò Rose.
“Oh, avanti, Rose, ma che hai capito!”
“Ah, ecco, mi sembrava strano…” disse, lievemente incerta.
“Appunto. E comunque sono io che lo vado a trovare, e non facciamo altro se non parlare, e…” fece spallucce “… e basta, praticamente.”
“Però hai detto che ti piace.”
“Sì.” confermò Lily, e finalmente fece un sorriso “E’ così… strano. Voglio dire… Hai visto com’era al pranzo, no? Sembrava che persino mio padre e tuo padre ne avessero paura.”
Rose ridacchiò, piano. “Sì, ho notato.”
“Però, invece, è… piacevole; sa tante cose, e non trova che sia una perdita di tempo parlarmene, o semplicemente passare del tempo con me senza fare assolutamente niente. Ovviamente dice che gli sto sempre tra i piedi, ma poi non fa davvero niente di concreto per mandarmi via. Quindi ciò vuol dire che tanto fastidio non gli do.”
Il sorriso che aveva Rose, però, lentamente se ne andò. “Lily, forse… Io non credo che…”
“E poi…” continuò comunque imperterrita Lily, che si sentì leggermente arrossire “Ogni tanto… Ogni tanto l’ho sorpreso a fissarmi.”
Rose la guardò ad occhi sgranati e Lily continuò:
“Hai presente quando… Accidenti, non riesco a spiegarlo… Quando qualcuno ti guarda con due occhi così vivi, ed il suo sguardo è come se ti trapassasse, ma allo stesso tempo ti accarezzasse. E allora sto quasi iniziando a pensare che, se gli parlassi di quello che provo…”
Ma poi, guardando l’espressione di Rose, come se non se ne fosse accorta prima, si azzittì.
Rose chinò lo sguardo verso il basso, mordendosi un labbro, poco prima di tornare ad osservare la cugina.
“Lily, ti rendi conto di quello che dici?”
“Certo. È ovvio che me ne renda conto.”
“E’… Andiamo, già è piuttosto strambo il fatto che sei andata a casa sua – come tu abbia fatto a scoprire dove abita, poi! – dopo solo una volta che l’hai visto. E poi… Lily, è troppo grande!”
“Ti sorprenderesti, se ti dicessi che non mi interessa?”
Rose fece una leggera pausa, abbozzando appena un sorriso. “Probabilmente no.”
“Appunto.”
“E che direbbero tutti gli altri, comunque? Potrebbe essere tuo nonno!”
“Ho capito, Rose, ho capito la faccenda dell’età! Ma… Ecco… A me piace. Io credevo… Avresti potuto consigliarmi cosa fare, Rose…”
Lily non poté far altro che sentirsi piuttosto amareggiata, a dirla tutta.
“Oh, Lily, lo sai che ti voglio bene.” rispose allora proprio Rose “Ti considero come una sorella, lo sai. Però… Mi hai sorpresa, ecco tutto.”
“‘Ecco tutto’?” ripeté Lily.
“Beh… Io voglio consigliarti, è ovvio, solo che dal mio punto di vista… Okay, l’hai detto anche tu che è una cosa strana. Ma lo è troppo! È…”
“… Troppo più grande di me. Ho capito come la pensi. Non fa niente.”
“Non fare quella faccia… Per favore. E poi, in base a quanto ci ha raccontato lo zio Harry… Insomma… Piton non è praticamente sempre stato innamorato di tua nonna?”
Ecco. L’aveva detto. Solo che, se Rose l’avesse appoggiata, prima di affrontare questo discorso, magari lei si sarebbe sentita un po’ meno persa. Anche Lily ci aveva già pensato, ovviamente, ma aveva preferito non rimuginarci su. Aveva finto, per un momento, che fosse qualcosa di poco conto.
“Sì, lo so. Me lo ricordo anch’io.”
“E… Anche nonna Molly sta sempre a dire quanto tu somigli a lei, e…”
“Non voglio pensare che lui abbia piacere a passare del tempo con me solo perché assomiglio a lei.” ammise allora Lily “E poi questa teoria – se può chiamarsi tale – potrebbe andar bene per spiegare come mai abbia acconsentito a vedermi la prima volta. Non tutte le altre. Non ci credo che ho persino lo stesso carattere di mia nonna; sarebbe una cosa paurosa!”
Lily abbassò lo sguardo, improvvisamente più cupa di quanto già non fosse.
“Lily…” mormorò Rose, risoluta, ma, allo stesso tempo, quasi dispiaciuta “Lo so cosa ti vorresti sentir dire, ma… la vedo come una cosa così… così…”
“… Impossibile?”
La cugina le rispose solo dopo un po’. “Sì… E, davvero, vorrei poterti dire che magari anche lui potrebbe provare qualcosa per te, o che sarebbe stupendo se vi metteste insieme…” ‘Lo sarebbe’, mormorò Lily, quasi inudibile “… Ma, per me, dovresti solo… Non darci troppo peso.” Lily non rispose “Forse ti sei lasciata trasportare dalla novità, ed hai confuso l’euforia di una ‘nuova scoperta’ con qualcos’altro.” Rose la guardò tristemente “Per me non dovresti pensarci più di tanto.”
La rossa, a quel punto, guardò la cugina negli occhi. “E se invece non fosse così? Se fosse veramente qualcos’altro?”
Rose si morse un labbro. “Probabilmente sai già cosa ti risponderei.”
La rossa sospirò. “Di lasciarlo perdere, presumo. Di dimenticarlo, magari.”
Rose annuì, e a quel punto nessuna delle due parlò.
La bruna, poi, toccò appena il braccio di Lily. “Ti ho delusa, non è vero? Ti aspettavi una reazione diversa.”
Era dispiaciuta, in fin dei conti. Rose non aveva fatto altro che esprimere la sua idea, e, consecutivamente, darle un consiglio inerente ad essa. Non era colpa sua se non era quel che Lily voleva sentirsi dire.
“No.” Lily abbozzò un piccolo sorriso “Non mi hai delusa, stai tranquilla.”
Lily si sporse verso la cugina, e l’abbracciò, forse per evitare di far notare che, alla fine, un po’ le stavano pizzicando gli occhi.
“Fai la brava, mi raccomando, eh, Lily?”
Lily si strinse a lei un po’ di più. “Okay.”
 
“Ah, sei tu.”
Lily guardò Piton con un’espressione piuttosto perplessa.
“Non pensavo che venissi.” spiegò in poche parole l’uomo, guardando Lily che entrava in casa sua, stavolta, stranamente, senza togliersi né borsa né giacchetto.
“No?” chiese lei, senza comunque ottenere risposta da parte dell’ex professore.
In effetti Lily non era andata da lui per un paio di giorni consecutivamente, il primo perché aveva avuto da fare, e il secondo perché era andata a casa degli zii insieme a tutta la famiglia. Giornata, poi, durante la quale aveva avuto la sua chiacchierata con Rose. Lily non pensava che, dato che non si era fatta viva per due giorni, Piton avrebbe creduto che lei non si sarebbe più presentata. Forse avrebbe dovuto mandargli una lettera via gufo…
“Beh, ora sono qui.” continuò comunque Lily, con un piccolo sorriso “E per farmi perdonare – che ne dice? – le offro un caffè.”
Piton la guardò in modo quasi sospetto, per un paio di secondi.
“Dopo l’ultima volta che ti sei voluta far perdonare di qualcosa, ho finito per averti intorno quasi tutti i giorni.” rispose lui, poi “Non oso pensare che potrebbe derivare da un’altra tua proposta del genere.”
Lily ridacchiò, divertita. “Allora, è un sì o un no?”
Piton alzò gli occhi al cielo, poco prima di dirigersi verso l’attaccapanni e di prendere la propria giacca (estiva, perlomeno).
“Ragazzina.”
 
Il bar al quale, dopo diverse reticenze, a dire il vero, lo condusse Lily, non si trovava esattamente alla periferia di Londra. Ma neanche al centro, se era per questo.
Era un bar che alla ragazza piaceva particolarmente: grande, con le pareti in legno, tanti tavolini provvisti di sgabelli piuttosto alti, e tanti televisori attaccati alle pareti che trasmettevano video musicali, mentre nell’aria si diffondeva la musica delle canzoni corrispondenti ai vari video. Proprio a causa della musica, poi, un po’ in disparte, nel bar, era stato lasciato uno spazio vuoto, all’interno del quale, chi avesse voluto, avrebbe potuto ballare. Infatti, quando Lily e Piton varcarono la porta d’ingresso, un paio di ragazzi si stavano muovendo a ritmo di una moderna canzone babbana.
Piton guardò l’ambiente in modo leggermente scettico, mentre Lily andava spedita a sedersi ad uno dei diversi tavoli, poco prima di venir raggiunta dallo stesso Piton.
Fecero appena in tempo a sedersi, comunque, che subito vennero raggiunti da un cameriere.
Lily ordinò uno di quei cappuccini al caramello fin troppo zuccherosi, mentre Piton una semplice tazza di caffè.
“Allora, le piace?” chiese poi Lily, non appena il ragazzo se ne fu andato, dopo aver portato loro quanto ordinato.
“Non lo so, Potter, ancora non l’ho assaggiato.”
La ragazza si mise a ridere, beccandosi così un’alzata di sopracciglio da parte di Piton.
“Intendevo il posto, non il caffè.” spiegò lei.
“E’… poco meno che passabile.” rispose allora Piton, anche se con una smorfia “Vedremo se il caffè corrisponderà agli… elevati standard del locale.”
Lily sorrise, e diede un sorso al suo cappuccino.
E poi, proprio in quel momento, la canzone rock finì, e al suo posto ne iniziò un’altra decisamente molto, molto vecchia, a parere di Lily. Di sicuro era dei tempi di suo padre. Era orecchiabile, però.
Singing Oah
I love you, Moa.
You’re way too young for me
but I don’t mind. ¹
“Le va di ballare?” chiese all’improvviso Lily, probabilmente dandosi della stupida nell’istante immediatamente successivo.
Difatti fu quello che di sicuro pensò il suo interlocutore, perché lui la guardò leggermente sorpreso, all’inizio, rimanendo con la tazza di caffè sospesa a mezz’aria. Poi, però, Piton si ricompose quasi immediatamente, posando il proprio caffè sul tavolo.
“Io non ballo, Potter.” fu tutto quello che disse.
… So let’s start by being friends
and let this friendship never end.
I knew you years ago.
What I want, I don’t know,
but let’s just say it’s love!¹
Lily cominciò a battere le dita sul tavolo, andando a tempo con la musica. Mah sì, in fondo non era male, nonostante fosse sicuramente antiquata.
Il rumore del ticchettio sul tavolo era ben udibile, e Piton si soffermò a guardarle le dita alzarsi e poi tornare giù per dare un colpo, sul legno, esattamente con l’unghia. Quando lui alzò gli occhi si accorse che Lily lo stava fissando.
Che stupido.
Don’t say “maybe”,
just be my lady.
No need to hesitate,
‘cause you’ll be fine.¹
“Hai finito di fare questo rumore?” le chiese allora lui, inarcando un sopracciglio.
Lei fece un sorriso e continuò a battere il tempo.
“Le dà fastidio?”
“Molto.” rispose lui mellifluamente, guardandola truce, ma lei fece soltanto un’ulteriore sorriso compiaciuto.
“Oh, per Salazar, vieni, ragazzina.”
Piton scese dallo sgabello e afferrò il polso della mano che ‘batteva’, costringendo anche Lily, stupefatta, ad alzarsi. E senza che proprio Lily riuscisse a rendersi conto di quanto stesse succedendo, Piton le aveva già lasciato il polso – glielo aveva lasciato praticamente subito, in realtà – e tutti e due si ritrovarono in quella raccattata sala da ballo al lato del locale.
So tell me what I want to hear.
No, wait, let’s just leave it there.
You know I’m not good for you.
God, I don’t know what to do!¹
“Ma non aveva detto di non saper ballare?” chiese Lily, perplessa.
“Ho detto che non ballo.” rispose, leggermente funereo, Piton “Non di non saper ballare.”
E poi la guardò male, come per dirle ‘guarda, guarda cosa sto facendo per colpa tua’, ma tutto quello che riuscì ad ottenere da lei fu una risata squillante.
I liked you from the start,
you melt my icy heart,
and now it’s burning hot.¹
Lily mise subito le proprie mani sulle spalle di lui, ma Piton gliene poggiò una sulla schiena, mentre con l’altra prese una mano di Lily, togliendosela dalla spalla. Lily accettò di buon grado – e con un sorriso – il cambio di posizione: d’altronde era riuscita a convincere (anche se non aveva ben capito come) Piton a ballare, c’era riuscita davvero, e una posizione da ballo più formale non le avrebbe frenato l’entusiasmo, misto ad una sottile soddisfazione, nel poterlo toccare senza che lui la guardasse accigliato; poteva tenergli la mano e lui non si sarebbe scostato.
Le batteva il cuore sempre più forte, mentre cominciavano a girare su loro stessi, e, come ormai succedeva da un po’, si sentì ‘scoppiare’.
Don’t throw away
all what’s left to me,
I once believed you would save my soul.
But if you saw me now,
crying secretly,
would you hold my hand and never let it go?¹
“Comunque balla piuttosto bene per uno che invece non balla mai.” convenne, a quel punto, Lily.
“Potter,” rispose Piton “mi ascolti quando parlo? Ti ho detto che io so ballare.”
“Certo che l’ascolto. Io l’ascolto sempre, signor Piton.”
Quest’ultimo alzò appena il sopracciglio.
Singing Oah
I love you, Moa.
You’re way too young for me
but I don’t mind. ¹
“E balla molto meglio di me, questo è certo.” aggiunse la ragazza, che abbassò poi lo sguardo sui loro piedi, che comunque si muovevano piuttosto lentamente, nonostante la musica incalzante “Io a mala pena ci riesco.”
“E perché mi avresti invitato a ballare, allora?” chiese dunque Piton con un ghigno che però, agli occhi di Lily, apparve semplicemente come un sorriso divertito.
“Perché è uno dei pochi modi in cui posso averti davvero vicino, signor Piton.” pensò lei.
E gliel’avrebbe davvero voluto dire, lei, ma quella frase rimase solo un pensiero, che ebbe solo il tempo di tramutarsi in un piccolo, lieve sospiro.
Forse doveva fare come aveva detto Rose… Smettere di cercarlo, dimenticarlo… Come era stata folle l’idea del giorno prima! Come avrebbe potuto esternare i suoi sentimenti? Servirglieli su un piatto d’argento per poi aspettare silenziosamente che lui rovesciasse tutto via?
Ma nonostante tutto lei sapeva che se fosse rimasta zitta non sarebbe cambiato niente comunque, anzi: sarebbe impazzita ulteriormente, non dimenticandolo affatto, vivendo nel costante desiderio di voler perdersi in quegli occhi sempre e comunque. Quegli occhi che a volte la guardavano diffidenti, strani, e che a volte la guardavano accesi. Come già succedeva da un po’; come aveva raccontato a Rose; come proprio in quel momento.
Ma tanto Lily sapeva che prima o poi non ce l’avrebbe fatta più lo stesso, a tenersi tutto dentro.
Don’t say “maybe”,
just be my lady.
No need to hesitate,
‘cause you’ll be fine.¹
“Non hai risposto.” convenne Piton, risvegliando la ragazza dai suoi pensieri, così imperscrutabili per l’uomo che aveva di fronte a sé.
O forse no.
“Come?” fece lei, come caduta dalle nuvole, guardandolo piena d’aspettativa.
“Ho detto: non hai risposto.”
Lily rimase per un momento in silenzio, ma poi fece un sorriso, uno dei suoi.
“E lei perché ha accettato, anche se non balla?” chiese allora lei, eludendo completamente e senza alcuna cura la domanda che Piton le aveva rivolto per primo.
“Touché.” rispose Piton, e, mentre parlava, la mano della ragazza lasciò quella dell’uomo e si posò
di nuovo sulla spalla di Piton; anzi, Lily si era anche fatta più vicina, per andare così a intrecciare le dita dietro il collo di lui.
Piton deglutì.
Non stava succedendo niente di strano, niente di niente. Eppure Piton iniziò a percepire che qualcosa, invece, stava accadendo eccome; era cominciato dal sorriso enigmatico di Lily di poco prima. Ed era… inaccettabile, il fatto che lei si fosse messa in quella posizione, come stessero ballando sul serio, il fatto che nonostante la musica ci fosse ancora, sebbene in chiusura della canzone, i piedi adorabilmente impacciati di Lily non si muovessero più; era inaccettabile che Piton, pur intuendo, pur sapendo, pur sorprendendosi e spaventandosi al contempo, fosse rimasto fermo anche lui.
“Lei mi piace, Severus.” gli disse Lily, così, d’un tratto.
Piton sgranò impercettibilmente gli occhi, e solo a quel punto fece ricadere le proprie braccia lungo i propri fianchi, costringendo Lily, con un passo indietro, a fare altrettanto.
Sembrava che Piton stesse quasi tentando di… fuggire, di mettere la più grande distanza possibile tra lui e Lily. Anche se in quel caso la maggior distanza possibile consisteva soltanto in un paio di passi.
Chiunque avrebbe potuto dire che Piton stesse cercando di fuggire. Ma da cosa? Da Lily, forse? Da quella ragazza, che, volendo, non ci avrebbe messo nulla a coprire quella poca distanza che si era creata tra loro? No, Piton, stava cercando di fuggire non da Lily, ma da se stesso: voleva tenere lontano lui, non lei; era lui che non doveva stare così vicino. L’aveva capito solo in quell’istante, specie nell’esatto momento in cui si era accorto che dopo le ultime, inequivocabili parole pronunciate da Lily, lui si era ritrovato a provare un piccolo piacere, a sentirlo proprio lì, nel proprio petto; l’aveva capito quando si era ritrovato a pensare di voler risentir pronunciare il proprio nome da lei.
Ma forse Piton aveva frainteso. Forse il suo cuore inesperto aveva tradotto male una tale affermazione; forse c’era solo una giovane innocenza, in quelle parole.
Piton non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi, un giorno, ad appigliarsi ad una scusa così palese, pur di non dover costringersi a mandar via una persona – perché questo, alla fine, stava pensando, a sgridarla, a dirle che – no – non c’era più posto per l’uno nella vita dell’altro, in realtà.
E così, alla fine, rispose:
“Al provare piacere spesso si accompagna il dolore.” 2
Patetico. Da quando parlava come Albus?
Lily lo fissò, credendo di non aver capito bene: che c’entrava quella risposta? Quasi sperava, Lily, che lui l’avrebbe guardata negli occhi e che, con un lieve sorriso, le avrebbe detto che il sentimento era reciproco. E invece… quello.
“Vuole dire che soffrirò, allora?” chiese lei, a quel punto.
Piton fece una piccola smorfia, quasi un sorriso amaro, che però quasi non poteva chiamarsi neanche sorriso.
“No, non soffrirai.” rispose “Perché non c’è motivo per cui tu provi piacere, Lily.”
E poi si voltò, e camminando lentamente si allontanò, per poi tornare a sedersi al loro tavolo; Lily lo seguì poco dopo, meditabonda.
“Un motivo c’è sempre.” disse lei, una volta che si fu seduta.
“Andrà a perdersi col tempo.”
“E se non fosse vero?”
“Lo sarà.”
Lei lo guardò quasi dura, determinata. “Non deve per forza venire il dolore, dopo il piacere.”
Fu il turno di Piton, a quel punto, di fare un lieve sospiro.
“Ti farei piangere.”
“E’ da vedere.”
“Finiresti con lo stancarti.”
Dalle labbra di Lily uscì una bassa risata. “No, non credo.”
“Lily…” Piton stava proprio per parlare, magari cominciando un elaborato discorso deontologico che sarebbe calzato alla perfezione, data l’inequivocabile situazione che stava intercorrendo tra i due, eppure, non appena lui aprì bocca, Lily si alzò in piedi.
“Credo di dover andare.” disse lei.
Piton la fissò con un sopracciglio inarcato.
“E’ tardi, e… avevo promesso a mia madre che sarei tornata ora, in pratica.” fece lei.
Che scusa idiota. Lily ne era consapevole, ma non aveva potuto fare altrimenti; d’altronde, se fosse rimasta, lui avrebbe probabilmente iniziato a parlare della differenza d’età che c’era tra loro, della differenza tra i loro caratteri, tra le loro vite. Insomma, tutte balle di questo tipo: perché Lily lo sapeva, che con lei non avrebbero retto. Però d’altro canto non voleva che Piton le dicesse apertamente che… sì, beh… non poteva esserci nulla, tra di loro. Perché era evidente che lo avrebbe detto.
E quindi pensò che fosse meglio continuare a rimanere nel dubbio, dopotutto.
Certo, un dubbio non più tanto… dubbioso: lei si era sbilanciata parecchio, e Piton aveva sicuramente capito cosa lei provasse nei suoi confronti; solo che… Lily non voleva un rifiuto netto da parte sua, che d’altronde, ancora non le aveva apertamente dato; non era pronta, non… non l’avrebbe sopportato, tanta era la voglia di passare del tempo con lui, di poter parlare con lui, di poterlo guardare e di essere guardata.
Oppure poteva rimanere e controbattere tutto ciò che lui le avrebbe propinato. D’altronde Lily sapeva di non essere indifferente a Severus: se lo sentiva, anche se non poteva averne la prova.
Severus.
Le si dipinse un impercettibile sorriso sulle sue labbra, a pensare a quella singola parola.
Poi però si riscosse, specie quando lui le parlò:
“Allora vai, se devi andare. Saldo io il conto e tutto il resto.”
Lily fece un altro sorriso, stavolta di ringraziamento. E poi le venne in mente una cosa.
“Vuole venire fra due giorni a casa mia?”
La piega delle labbra di Piton assunse una forma totalmente… piatta.
“E’ il mio compleanno,” continuò però lei “ed io e i miei diamo una specie di festa: sa, i parenti, i cugini… Vorrei che venisse anche lei; è alle cinque del pomeriggio.” e aggiunse, ridendo appena: “Sappia che non è obbligato a farmi alcun regalo.”
Piton la guardò, silenzioso, chiedendosi dove mai lei volesse andare a parare: prima gli faceva una dichiarazione, in pratica, poi, quando lui stava per spiegarle quanto fosse sbagliato il suo pensiero, lei aveva detto di doversene andare, e ora lo invitava a casa sua.
“Lily, non credo…”
“Per favore.” fece lei, interrompendolo, con sguardo quasi supplichevole, tanto che lui dovette guardare per un momento da un’altra parte.
Poi sospirò. “Ci penserò.”
Lei gli sorrise, entusiasta, spontanea, tanto che lui fu costretto a precisare ulteriormente:
“Ma non te lo sto promettendo, né sto acconsentendo; ho solo detto che ci penserò.”
“Sì, sì, d’accordo!” fece lei, e poi, quasi con un saltello, si diresse verso l’uscita del locale.
Sulla porta si voltò e lo salutò con la mano, poco prima di uscire e di sparire dalla visuale di Piton.
Per Salazar, già sapeva come sarebbe andata a finire quella storia. Lily si sarebbe fatta un’idea sbagliata, e poi non avrebbe fatto altro che rendere tutto più difficile. Quello che stava avvenendo a Lily non era… sano, non era plausibile; ma, per quanto fosse inammissibile, Piton già sapeva che per i successivi due giorni – durante i quali si sarebbe sicuramente dato dell’idiota più e più volte, lui non avrebbe fatto altro che pensare a quello che, invece, sarebbe potuto accadere se il mondo non avesse girato così in fretta.
E intanto aveva persino cominciato a chiamarla per nome, senza neanche accorgersene.
Come se non bastasse.





¹ Alexander Rybak – ‘Oha’.
Papa Pio II.






Sì, sono sempre io xD
Vi volevo dire che il prossimo capitolo (il numero 7) sarà il penultimo capitolo!
Cavolo, suona strano dirlo di già xD
Alla prossima!!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Salve gente!! :D
Dunque... siamo qui con il penultimo capitolo, allora. Gosh. Oh, beh. Ancora non siamo alla fine-fine-fine, dopotutto.
Devo dire che questo capitolo non mi soddisfa appiena, ma - ehi - ormai sapete come sono fatta xD
Alla prossima, allora!
....E perdonatemi gli eventuali errori di battitura, ché mi sfuggono sempre .___.
Ciao, nì!!



Capitolo 7

 
Severus Piton si guardò allo specchio della sua camera, mentre si sistemava la giacca; e poi, quando era ormai evidente che non avesse nessun’altra cosa che non andasse, nel suo abbigliamento, rimasse fermo a guardarsi, per un tempo che nella sua mente sembrò un’eternità. Indossava, com’era suo solito, qualcosa di estremamente accollato: una sorta di camicia bianca, abbinata ad una giacca nera; alzò un sopracciglio, guardandosi. Sembrava vagamente somigliante ad un personaggio di fine Ottocento.
Poco importava, dato che il giudizio della gente gli interessava molto poco. Meno che in passato, comunque.
Buttò uno sguardo all’orologio, a quel punto, accorgendosi che era ancora in tempo per uscire tanto quanto in tempo per non uscire.
Non voleva andare a quella festa, a casa di Lily; non solo avrebbe incontrato Potter, ma anche tutto il resto del parentame, gli amici, i conoscenti… Tutte persone che con lui non avevano niente a che fare, e che anzi: lo avrebbero fissato interrogativi tutto il tempo, facendolo sentire a disagio e facendolo innervosire a dismisura; sarebbe stato costretto a rimanere in disparte, perché non aveva voglia di instaurare una conversazione su ‘quanto fossero belli i vecchi tempi’ con nessuno. Sarebbe stato visto come quello strano, quello che – chissà perché, poi? – non si era fatto più vedere, inspiegabilmente, per quasi trent’anni. Come avrebbe potuto presentarsi lì così?
Ma per far cosa, poi? Sentirsi ridicolo e sotto gli sguardi di tutti?
Sospirò.
Era il compleanno di Lily Luna, quel giorno. Ecco perché si sarebbe presentato lì, in caso. E volente o nolente era a questo che stava pensando, pochi minuti prima, mentre si vestiva: pensava al fatto che sarebbe andato lì per salutarla, per consegnarle il suo stupido regalo e per andarsene. Mentre si preparava nessun pensiero su sguardi scettici da parte di chicchessia l’aveva sfiorato, in realtà.
Sospirò di nuovo.
Andare sarebbe stato sbagliato, probabilmente, e lui lo sapeva, specie dopo quanto successo un paio di giorni prima, specie dopo il discorso sconclusionato che i due erano riusciti a fare in quel bar. Senza venire a capo di niente, poi. Lily aveva espresso il suo… apprezzamento su Piton in maniera così… semplice, genuina, e Piton non aveva neanche replicato in modo adeguato, non aveva detto quelle parole che avrebbero messo fine a tutte le visite di lei. In fin dei conti non aveva fatto niente. Per questo si sentiva uno stupido, e per questo sapeva che sarebbe stato molto sbagliato uscire e presentarsi a casa sua; perché, anche se lei non avesse continuato il discorso di giorni prima – d’altronde, con tutta quella gente, non si sarebbe presentata l’occasione – anche solo il fatto di vederlo lì, da lei, di vedere che aveva nuovamente acconsentito alle sue richieste, le avrebbe dato un’idea sbagliata di lui e di quello che lui provava.
O meglio… No, non sbagliata: un’idea sconveniente, piuttosto.
Perché, probabilmente, se qualcuno fosse entrato in quella stessa stanza, in quell’esatto momento, e gli avesse detto ‘Severus Piton, ti sei affezionato anche troppo a quella ragazzina’, il diretto interessato, alla fine e con riluttanza, avrebbe risposto di sì.
Piton, ancora davanti allo specchio, si passò una mano davanti agli occhi. Non poteva andare a quella festa, perché sapeva che prima o poi se ne sarebbe pentito.
Poi però ripensò anche allo sguardo di Lily, mentre lo invitava a quell’evento, ancora raggiante, come se quel principio di discussione tra loro non fosse mai avvenuto. L’aveva guardato speranzosa in un suo sì, e Piton, come al solito, aveva solo dato una mezza risposta. E, come al solito, a Lily non era importato, perché tanto sapeva che la mezza risposa di prima equivaleva proprio ad un sì. Ed aveva continuato a guardarlo raggiante.
Perciò Piton non si sorprese più di tanto quando, nonostante tutti i pensieri e propositi fatti davanti allo specchio, si chiuse alle spalle la porta di casa propria e si smaterializzò.
 
Casa Potter era ovviamente come la ricordava, con la sola differenza che nel giardino ora erano state posizionate delle lanterne di carta – ancora spente, dato che il sole non era ancora calato – e che la porta di casa era stata lasciata aperta, per far sì che gli invitati entrassero senza problemi e senza far sì che vi fosse la necessità di un usciere.
Piton si avvicinò lentamente a quella casa, e, come l’ultima – e unica – volta che c’era stato, fu di nuovo tentato di andar via. Solo che adesso era per motivi nettamente diversi. Ma proprio come l’ultima volta, continuava ad avvicinarsi a quella casa, cosicché molto presto raggiunse anche la porta di ingresso. All’inizio nessuno fece caso alla sua presenza, affaccendati com’erano a parlare tra di loro, ma poi, evidentemente, qualcuno si accorse della macchia troppo scura che ancora stava in piedi sulla soglia di casa.
E così, come previsto, Piton si sentì decine di occhi puntati addosso.
Subito, però e per fortuna, la signora Potter gli si avvicinò, facendolo entrare.
“Buonasera, professor Piton.” disse lei “Alla fine è venuto, allora.”
Lui la focalizzò solo in quell’istante. “Prego?”
“Lily ci aveva detto di averle mandato un invito, ma che non sapeva se si sarebbe presentato o no.”
“Sì, mi ha… mandato un invito.” rispose lui “A proposito, questo è per la ragazza.”
E porse alla donna quel pacco incartato con della semplice carta grigia. Proprio da Piton.
Come previsto, comunque, giusto qualche minuto dopo si ritrovò seduto su una sedia e con un bicchiere di vino in mano; guardandosi intorno, da lì, poteva vedere le facce di tutti, in pratica, ma di Lily Luna non c’era neanche traccia, ancora. Fece una smorfia.
Un quarto d’ora dopo si erano presentati da lui Harry Potter, Ronald Weasley e la moglie, George Weasley e la Johnson, e persino Luna Lovegood e marito, e Neville Paciock con la moglie, di cui però non ricordava il nome, anche se era stata una sua studentessa. Aveva persino scoperto che Paciock insegnava ad Hogwarts, adesso. Per non parlare delle chiacchiere di Molly e di Arthur, poi.
Si ripromise di andarsene entro cinque minuti, se quella sconsiderata di una Potter non si fosse fatta viva.
Beh, non fu costretto ad andare via.
Neanche un paio di minuti dopo, infatti, da chissà quale stanza, venne fuori lei, accompagnata da quelle che erano un paio di amiche, presumibilmente.
Piton si scoprì pateticamente a disagio, seduto su quella sedia con un bicchiere di vino in mano, così si alzò in piedi continuando a guardarla. Lily cominciò a salutare tutti gli invitati, mentre svolazzava da una parte all’altra della stanza con quell’abitino viola che indossava quasi come se fosse una seconda pelle.
E quindi fu inevitabile che presto lei giunse anche da lui. Come se poi Piton non volesse, dopo che era stato lì, senza far niente e spazientendosi tutto quel tempo.
“E’ venuto, allora, signor Piton!” esclamò lei, appena lo vide.
‘Signor Piton’, non ‘Severus’. Meglio.
“Mi pare evidente.” rispose lui “Dato che sto parlando con te, Potter.” lei fece quella che presumibilmente doveva essere una smorfia divertita “Comunque ho dato il regalo a tua madre.”
“Davvero?” fece, ma poi cambiò leggermente tono “Le avevo detto che non doveva!”
“Da quando prendo ordini da te?”
Lily sorrise, nonostante la risposta pungente, e poi… scappò via.
Piton rimase parecchio interdetto.
Poi, però, Lily tornò immediatamente, con in mano, peraltro, con un pacco dalla carta grigia in mano.
Piton alzò gli occhi al cielo, mentre lei toglieva la carta.
“E’ una stupidaggine.” disse Piton, a quel punto.
“No, non lo è.” rispose lei, mentre si rendeva conto che il suo regalo consisteva in un semplice album per fotografie “Ciò vuol dire che adesso ci faremo delle foto insieme?” continuò lei, tornando a guardarlo.
“Non ci penso assolutamente, Potter, toglitelo dalla testa.”
La riposta di Lily fu una breve risata, prima che lei sembrasse pericolosamente sul punto di fare qualcosa. Ma desistette, ovviamente, per la presenza di così tante persone nella stanza. E Piton quasi le ringraziò mentalmente, per quello, sorprendendosi poi per un pensiero del genere.
“Beh, ci vediamo dopo, allora.” fece allora lei, e Piton fece soltanto un piccolo cenno del capo.
E a quel punto lui si risiedette sulla sua sedia a sorseggiare il suo vino, mentre Lily si diresse verso gli altri invitati, che magari si stavano anche chiedendo come mai la ragazza avesse scartato di già  il regalo dell’uomo in quasi-nero.
Dopo neanche un paio d’ore, comunque, Piton pensò che, a quel punto, fosse il caso di andar via.
Si accomiatò con i padroni di casa, i quali lo ringraziarono per essere venuto; Piton rispose con un gesto della mano, quasi a voler scacciare una mosca. Dopodiché cercò Lily, e quando l’ebbe trovata la ringraziò semplicemente dell’invito, dicendole che però doveva tornare a casa propria.
“Va già via?” fece però lei.
“E’ quello che ho detto.”
“Va bene, allora.” ‘acconsentì’ lei, e, prima che Piton potesse accorgersene, si alzò sulle punte dei piedi e gli diede un bacio sulla guancia.
Lì. Davanti a tutti.
“Grazie per essere venuto, signor Piton.” continuò imperterrita lei, mentre Piton la guardò tra il confuso e il profondamente irritato “E grazie mille per il regalo.” un altro sorriso “Arrivederci.”
Piton se ne andò senza dire nient’altro.
 
Esattamente tre giorni dopo Piton si trovava seduto sulla proprio poltrona, nel suo salotto, con un libro in mano. Non aveva più avuto contatti con Lily dalla sera del suo compleanno, e continuava a ripetersi che d’altronde era meglio così, specie dopo l’ennesima dimostrazione d’affetto da parte sua. Salazar, l’aveva baciato. Certo, sulla guancia, ma sempre di un bacio si trattava, specie in una situazione tanto delicata quanto la loro. Perciò era meglio così.
Stava proprio leggendo, lui, un libro appena uscito sulle migliorie adottate nella preparazione della Pozione Antilupo, quando, improvvisamente, bussarono alla porta.
Piton smise immediatamente di leggere.
Doveva essere lei, senza alcun dubbio, specie quando al bussare si sostituì uno scampanellio. Se fosse stato il postino, ad esempio, se ne sarebbe già andato.
“Signor Piton?” sentì dall’altra parte della porta, e allora l’uomo si alzò.
Quella voce era indiscutibilmente di Lily, ma quando Piton arrivò davanti alla porta di casa, non l’aprì, bensì rimase così, fermo, a guardare il legno scuro di fronte a sé.
Di nuovo Lily suonò al campanello.
“Signor Piton, è in casa?” ripeté lei, ma di nuovo Piton non aprì comunque la porta, anzi, si voltò e tornò a sedersi.
Accavallò le gambe e vi poggiò il libro sopra, aspettando che Lily se ne andasse.
Non sarebbe andato ad aprire, non stavolta: lui si sarebbe comportato come un recluso in casa propria, era vero, il che lo faceva anche sentire dannatamente stupido, ma farla rientrare in casa sarebbe significato che lui avesse accettato la piega che stava prendendo il loro… rapporto.
E non doveva, nonostante…
“Nonostante niente.” pensò, prima di cercare di ricominciare a leggere.
Lily se ne sarebbe andata via e basta, senza ulteriori complicazioni.
Alla fine il bussare insistente alla porta finì, e Piton rimase in ascolto. Passò ancora qualche minuto, prima che l’uomo udisse il solito suono corrispondente ad una smaterializzazione. Solo a quel punto si rilassò davvero.
“Allora…” si disse a quel punto, sistemandosi di nuovo in un’altra posizione “La Pozione Antilupo…”
Lesse pochissimo, quel giorno.
La mattina dopo Piton non stava leggendo, ma lavando i piatti, quando di nuovo bussarono alla porta. E, come il giorno addietro, interruppe ogni attività, quando sentì quel suono.
Ovviamente non passarono molti minuti che risuonò, di nuovo, la voce di Lily, ma Piton stavolta neanche si mosse per andare a fissare, da dietro, la porta, come se fosse un eterno indeciso. Semplicemente rimase in cucina, con le mani poggiate ai lati del lavabo, aspettando che lei se ne andasse.
Non era un comportamento molto corretto, quello di Piton, ma lui… lui, alla fine, non aveva mai avuto a che fare con cose di quel genere, perciò agì più che altro seguendo l’istinto, anche se sapeva che, in quel modo, sarebbe risultato un idiota ed un vigliacco. Si morse l’interno della guancia, quando ci pensò; poi però udì, come il giorno prima, che Lily se n’era andata, di nuovo, e allora riprese quello che poco prima aveva bruscamente interrotto. Anche se forse ci mise troppa energia, perché finì per scheggiare una tazza.
 
Lily Luna era distesa supina sul proprio letto, guardando il soffitto con lo sguardo fisso nel vuoto. Quel giorno non sarebbe andata da Piton. Tanto, a quanto pareva, non c’era già da un po’.
Lily pensava che fosse partito per qualche viaggio… Strano, però, che non le avesse detto niente. Okay, non che Piton la informasse su tutto quello che faceva, però lui sapeva che sarebbe tornata a trovarlo, quindi magari avrebbe anche potuto degnarsi di farle sapere che per un po’ non ci sarebbe stato! Ma poi per ‘un po’’ quanto? Lily sperava che si trattasse di questione di un paio di giorni, e non, per esempio, di un mese! Però non poteva esserne sicura… Così decise che, invece di andare a casa sua facendo un ulteriore viaggio a vuoto, gli avrebbe mandato un gufo.
Gli scrisse quella mattina, e poi anche il giorno dopo e anche quello dopo ancora. E ogni volta non ricevette uno straccio di risposta. A quel punto, più che irritata, Lily iniziava a sentirsi preoccupata, e non poco. Così gli scrisse per la quarta volta, uno di quei pomeriggi, chiedendogli di farle sapere dove fosse finito e se stesse bene, perché era strano che fosse sparito in quel modo e perché non voleva che gli fosse capitato qualcosa di spiacevole.
Qualche ora dopo già disperava che lui le avrebbe risposto almeno quella volta, però poi, improvvisamente, sentì un lieve ticchettio alla propria finestra.
Quando vide un gufo che non conosceva, saltò giù dal letto, e spalancò la finestra per far entrare il volatile nella propria stanza. Non appena afferrò il foglio di pergamena indirizzato a lei, quel gufo volò subito via, senza neanche aspettare di venir rifocillato. Lily richiuse i vetri, a quel punto, e si sedette di nuovo sul letto, srotolando immediatamente il foglio che ora aveva in mano.
Vieni domani mattina, alle 10 in punto, alla mia vecchia abitazione. Si trova a Spinner’s End, ed è facile da trovare.
Non ammetto ritardi.
S.P.
Chiaro e coinciso. E burbero persino nelle lettere.
Ma Lily si sentì comunque al settimo cielo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Salve, gente!
Ebbene... Siamo qui, alla fine della storia, dunque, difatti quello che andrete ora a leggere è veramente l'ultimo capitolo.
Ringrazio davvero tutti quanti per l'entusiasmo dimostrato, nonostante, come già detto all'inizio, questa long è stata un esperimento vero e proprio: prima di tutto per la coppia, dato che è stata la prima volta che ho scritto su di loro. In più questo non è il mio solito modo di scrivere... Cioè, io scrivo così, effettivamente, è il mio stile (xD), però io sono molto, molto, molto più... logorroica xD E chi mi conosce credo lo sappia benissimo xD Però, dato che ho voluto fare una prova, con questa fanfiction, mi è sembrato opportuno non allungare troppo il brodo, ma far nascere e concludere il tutto nel giro di pochi capitoli. Nonostante ciò, però, ho notato che questa storia vi è piaciuta (almeno fin'ora), perciò direi che più o meno l'esperimento è riuscito, e chissà che non torni a scrivere qualcosa si Lily Luna e Piton (ah, su quest'ultimo sicuramente, l'incognita è Lily xD).

A proposito di questo, volevo anche dirvi che, effettivamente, non ho la più pallida idea di quando ricomincerò a pubblicare qualcosa. Ho mille idee in mente, questo è vero, un'altra long da continuare (e possibilmente concludere) più ancora un'altra long di cui ho strutturato tutti i capitoli ma di cui ho scritto solo il prologo. Più altre idee appuntate su vari foglietti in giro per camera mia xD Nonostante questo, però, ho anche un altro enorme progetto (che probabilmente non porterò mai a termine ._.) tra le mani, perciò voglio concentrarmi su quello. Solo dopo tornerò a scivere fanfiction, ma - ehi! - non vi libererete tanto facilmente di me xD .......Il che non so quanto possa importarvi, ma tant'è :P

Ma veniamo al capitolo, che già mi sto dilungando troppo!
Dunque... Questa fanfiction è nata tanto tanto tempo fa, anche se l'ho pubblicata solo da relativamente poco, e la prima cosa che ho scritto è stato il titolo, e poi... la fine. Di cui, peraltro, mi sono sorpresa io stessa O.o Insomma, questa fanfiction è nata dalla fine, perciò è nata per finire così, è stata pensata in questo modo sin dall'inizio ^_^ Non vi anticipo nulla, ovviamente, ma ho scritto questo solo per dirvi che... boh, insomma, spero vi piaccia, dato che è stato questo capitolo che ha fatto partire tutto (ma tutto cosa, poi? Vabbè xD).

Insomma, la sto facendo melodrammatica (?) e noiosa, e non mi pare proprio il caso, quindi mi eclisso qui, augurandovi buona lettura e facendovi i complimenti se siete giunti a leggere fin qui xD
Un bacio, gentaglia, ci si becca in giro!! :D
Ciao, nì!! <3





Capitolo 8



Lily si trovava a vagare per la periferia londinese; quella brutta, stavolta, però. Si guardava intorno come se si trovasse in un altro Paese, come se si fosse irrimediabilmente persa, nonostante, invece, fosse proprio lì che doveva andare. Incrociò le braccia al petto e continuò a camminare, circospetta, fino a quando, finalmente, non vide una targa con su scritto ‘Spinner’s End’. Tirò un sospiro di sollievo, nell’accorgersi di essa. E così, almeno, il suo vagare era finito; più o meno… perché a quel punto prese ad avvicinarsi ad ogni casa di quella strada per leggere il nome scritto sulla cassetta della posta o sul citofono. Ci mise un bel po’ a trovare la casa di Piton, in effetti. Anzi, se avesse dato retta al suo istinto ci avrebbe messo anche di più. Quando infatti era passata di fronte a quella casa decadente e malconcia, non si era presa la briga di controllare chi potessero esserne i proprietari. Semplicemente credeva che fosse una casa abbandonata – cosa neanche troppo difficile da trovare, in una periferia del genere. Poi però era tornata indietro, e per scrupolo aveva dato un’occhiata, accorgendosi così di come stesse per fare un grande errore di valutazione.
Guardò l’abitazione inclinando la testa da un lato, osservando quanto fosse malridotta. Era così diversa dall’altra casa di Piton, in campagna… Quasi stentava a credere che quella casa fosse davvero di proprietà dell’uomo che aveva conosciuto. Ma a che serviva pensarci su? Quella era la casa che doveva trovare, e l’aveva trovata, perciò, proprio per questo, vi si avvicinò ulteriormente, fino a trovarsi ad un palmo dalla porta. Bussò, a quel punto. Dovette attendere un paio di minuti prima che qualcuno le venisse ad aprire.
“Sei in ritardo.” fu la prima cosa che le disse Piton.
“Davvero?” rispose lei “Mi dispiace, ma non ho un orologio, con me.”
Piton sbuffò, ma alla fine la fece entrare.
Lily si guardò immediatamente intorno, e il primo pensiero che le venne fu di come l’interno della casa rispecchiasse l’esterno. Se sua nonna Molly avesse fatto un salto lì dentro, sarebbe svenuta.
“E’ molto che non viene qui, vero?”
“Esattamente.” rispose Piton “E considerando che ho anche messo un po’ a posto…”
Lily lo guardò sorpresa, prima di avvicinarsi al divano. “Posso sedermi o rischierò di morire soffocata?”
“Non c’è una Tentacolo Velenoso nascosta tra i cuscini, ergo…”
Lily gli fece un sorriso di ringraziamento e si sedette, a quel punto. Si sentiva l’odore di vecchio, ma per lo meno non le venne né da tossire né da starnutire.
“Perché non l’ha messa in affitto o… non so, venduta direttamente?”
Piton rispose dopo essersi seduto sul divano, alla destra di lei – causando un impercettibile moto di sorpresa da parte di Lily.
“Non potevo. E comunque nessuno viene più ad abitare in questa zona, quindi sarebbe stato inutile. E i vicini non hanno mai visto con… simpatia questa casa, e le male voci girano.”
“Capisco…”
E calò un breve silenzio, a quel punto.
L’atmosfera, percepiva Lily, era un po’ diversa da quella abituale che c’era tra loro due; forse perché si trovavano in un luogo diverso dal solito? In quella casa decadente?
“Signor Piton…” lo chiamò allora lei, e attese che lui si voltasse verso di lei per continuare “Perché siamo venuti qui?”
Era una domanda più che lecita, in effetti.
Piton rispose solo dopo un paio di secondi. “Perché voglio farti vedere che non è tutto oro quel che luccica.” fece una piccola pausa “Io sono come questa casa. Io sono questa casa, in effetti. La vedi com’è? È… in degrado, sporca, marcia.”
La fissò bene negli occhi, Piton, attendendo una risposta. L’espressione di lui era tra le più serie che Lily gli avesse mai visto in volto. Ma non era solo seria, era… era come se lui volesse farle capire qualcosa.
“Oh, lei è tutto tranne che marcio, signor Piton.” rispose però lei, con un breve sorriso, al che Piton sbuffò appena, poco prima di poggiare un gomito sul bracciolo del divano e di portarsi la mano al mento.
Calò di nuovo il silenzio.
Lily sentiva perfettamente che c’era qualcosa che non andava.
Di solito stavano molto spesso in silenzio, sì, ma adesso era… diverso. E lei non capiva quale fosse la causa di quella sensazione.
Così decise di cambiare nettamente argomento, qualunque fosse stato quello di prima, comunque.
“Posso chiederle una cosa?”
“Cosa?”
“Lei – uhm… Porta sempre cose a collo alto perché ha la cicatrice proprio lì, non è vero?”
In effetti le era venuta una certa curiosità, a riguardo.
Piton si voltò nuovamente verso di lei, con un sopracciglio alzato. Lily quasi si mise a ridere per la sua espressione.
“Allora?”
“Sì, Potter, è per quello.” borbottò lui, e poi si voltò di nuovo per guardare di fronte a sé.
“E perché la nasconde?”
L’uomo sbuffò ancora, ma Lily non ci fece neanche caso.
“Non è un bel vedere.”
“E’ sul lato sinistro o destro? E le fa male?”
“Ma che cos’è, Potter, un interrogatorio?”
Stavolta Lily si mise a ridere veramente. “Avanti, sto solo chiedendo. Allora?”
“Sinistro.” rispose alla fine Piton, dopo un po’ “E no, non mi fa male, mi dà solo… fastidio.”
“Ho capito.” sembrò concludere Lily, prima di, però, avvicinarsi appena “Quindi è proprio qui, più o meno…” aggiunse, allungando una mano, e facendo scorrere un dito sulla parte sinistra del collo di Piton, sopra la stoffa scura.
Piton non si mosse per niente. Semplicemente era rimasto… impietrito. Semplicemente non se lo aspettava.
Colpa sua, che ancora non aveva affrontato nessun discorso serio con la giusta scelta di parole e di disciplina. Ma poi… Poi avvertì che la mano di Lily si era ormai disinteressata alla stoffa del suo collo e che gli stava toccando senza pudore la pelle della guancia.
“Lily.” la ammonì lui, voltandosi ancora e guardandola con un’occhiata che forse voleva essere più torva in quanto invece sembrasse in realtà.
“Cosa c’è?”
“Non fare la stupida.” fu tutto quello che disse Piton, e lei capì all’istante.
Lily non rispose, rimanendo con gli occhi scuri fissi in quelli altrettanto bui di lui.
“E’ meglio che tu vada.” aggiunse allora Piton, serio, nonostante lei fosse entrata in casa sua solo da qualche misero minuto.
Lily si allontanò definitivamente da lui, a quel punto – non poteva fare altrimenti, e si alzò dal divano. Gli diede le spalle, rimanendo praticamente immobile, con i pugni stretti lungo i fianchi.
Non voleva arrabbiarsi. Non lo voleva assolutamente, ma stavolta… stavolta era davvero in collera, per quell’ennesimo rifiuto da parte dell’uomo. Perché era un altro rifiuto, non c’era dubbio, seppur velato come lo era stato il primo. Lily allora si voltò di scatto, trovandolo ancora seduto sul divano, che ancora la fissava.
E la stava fissando con quegli occhi. Quelli accesi.
Lily non ci vide più; velocemente percorse la poca distanza che ancora li separava, si chinò su di lui, e infine lo baciò.
Piton sgranò gli occhi, non appena si rese conto di cosa stesse avvenendo proprio lì, nel suo salotto, ed istintivamente serrò le labbra quando il calore di quelle di lei gli penetrò fin sotto la pelle. Subito le afferrò i polsi, allora, e la spinse via da sé, come se avesse tra le mani qualcosa con la quale avrebbe finito con lo scottarsi, se l’avesse toccata troppo a lungo.
Lily si sentì spintonata via violentemente, e non essendo in grado di opporsi dovette per forza allontanarsi, e rimettersi a schiena eretta. Quando vide l’espressione di Piton pensò che sarebbe stato opportuno fare anche un passo indietro.
Piton, dal canto suo, era scattato in piedi, tutti i muscoli facciali contratti in un smorfia che si sarebbe detta di rabbia o, più semplicemente, di frustrazione.
“Ti avevo chiesto di andare via.” disse subito, duro, Piton “Ma adesso mi vedo costretto a dirti di non tornare più.”
Lei ci mise un po’ ad assimilare quelle parole.
“Che… Che cosa?” disse poi, flebilmente, prima di scuotersi leggermente, decidendo che fosse il momento, ormai, di ‘partire alla carica’ “Perché?”
“Perché sta succedendo qualcosa, qui. E non deve.”
“Non deve…” ripeté Lily, pensierosa “E perché no?”
“Non fare la stupida.” ridisse lui “Devo cominciare ad enunciarti tutte le varie problematiche che comporterebbe una cosa del genere? Tutti i vari fattori che anche tu, se ci pensassi bene e con razionalità, riterresti più che sufficienti per piantarla con questa sceneggiata?”
“Cosa?! Oh, per favore. Quali problematiche, poi? Non mi venga a dire che è per… per l’età!” esclamò Lily “Perché a me non interessa l’età. Sono maggiorenne, e se lei provasse qualcosa per me, non importerebbe neanche a lei! Sia sincero, per una volta.”
Sincero?” si sentì rispondere Piton con lo stesso tono della ragazza che aveva di fronte a sé “Osi dubitare del fatto che…”
“Oh, la smetta!” lo interruppe Lily, cosa che mai nessuno si sarebbe sognato di fare con Severus Piton “Me lo dica in faccia, perché, a dispetto di quanto ho pensato fin’ora, non riesco più a sopportare di… crogiolarmi nel dubbio per poi venir mandata via da lei, quando tento di fare qualcosa!” prese aria, riempiendosi i polmoni “Me lo dica una volta per tutte, che lei… lei non prova veramente niente, per me, e che ha passato tutto questo tempo in mia compagnia, che ha rischiato sul serio di assecondare – e quasi oserai dire ‘ricambiare’ – quello che… oh, che diamine… questo, solo perché io sono uguale a… a mia nonna.”
Ecco. L’aveva detto. Ora non le rimaneva che aspettare.
Piton, dal canto suo, non rispose, probabilmente trovandosi spiazzato, per l’ennesima volta, in pochissimo tempo. E lo fu di nuovo – ancora – un attimo dopo, quando vide le guance di Lily bagnarsi, inevitabilmente.
“Lo ammetta.” continuò allora lei “Mi dica che ha deciso di vedermi non perché sono io, ma perché le ricordo mia nonna. Me lo dica e poi la lascerò in pace sul serio.”
E a questo punto Piton si ritrovò indiscutibilmente in silenzio.
Voleva che lei lo lasciasse in pace?
Ma certo. Era vissuto per anni, ed anni, ed anni senza nessuno. Cosa pretendeva, lei? Lei si era infilata a forza nella sua vita; e l’aveva fatto neanche due settimane prima. Due settimane non potevano cambiare una vita così lunga.
Ma allora perché istintivamente Piton si era ritrovato a voler quasi… consolare la ragazza?
… Stava proprio invecchiando seriamente, era evidente.
“E’ vero.” si ritrovò però a dire, infine, Piton. Perché era meglio così.
Dopo tutto quel silenzio la voce di Piton sembrò quasi rimbombare, in quella stanza spoglia. E rimbombò anche nel cuore di Lily, fin troppo incline alla rottura, in quel momento.
“Quando, in quei momenti di assoluta debolezza, ho accettato di vederti, Lily, è stato proprio perché assomigliavi terribilmente a lei.” continuò Piton, quasi tranquillamente, come se l’emozione precedente fosse momentaneamente sparita; ma il respiro leggermente affannoso finiva col tradirlo “Persino ora le assomigli fin troppo.”
Che rumore fa un’anima infranta? Perché Lily, mentre ascoltava l’uomo di fronte a sé, fu assolutamente certa che non fosse stato il cuore ad essersi spezzato e ad averle causato quel dolore così intenso. No, qualcosa di persino più profondo e importante stava soffrendo.
Piton socchiuse le palpebre, abbassando lo sguardo sul pavimento di quella casa ormai abbandonata. Perché aveva chinato il capo? Rammarico? Semplice incapacità nel guardarla? Ma in fondo – in fondo – lui non era nel torto, lo sapeva: stava parlando con sincerità, anche se quella era solo una piccola parte delle verità che Piton si teneva dentro. D’altronde, se le avesse detto tutto, per caso non avrebbe sofferto? Ma guardandola di nuovo, alzando gli occhi,  poteva dire che, se le avesse rivelato il resto, Lily avrebbe sofferto meno? Come, quando colei che aveva davanti in quell’istante sembrava solo lo spettro della ragazza che aveva tentato di baciarlo?
Forse continuare a parlare non sarebbe stato così terribile, né per lei, né per lui, che sentiva quasi che, se le cose fossero rimaste così, non se lo sarebbe mai perdonato.
“Eppure…” riprese Piton, allora, con infinita cautela, e Lily, a quella singola parola, parve quasi risvegliarsi.
Quella parola – quell’‘eppure’ – lasciava aperte molte, troppe possibilità sospese.
Piton la fissò nei suoi occhi umidi e, mentre parlava, cominciava di già a maledirsi. “Eppure” ripeté “non sei… totalmente uguale a lei, e non è per questo che ti ho scostata.”
Gli occhi di Lily sembravano diventare più grandi.
Piton fece un sospiro, rassegnato all’evidenza delle sue stesse parole.
“Tu avresti scelto me. Lei non l’ha fatto.”
Lily trattenne il respiro; forse allora c’era davvero uno spiraglio, una possibilità… un qualcosa.
“Non dovrebbe…” cominciò lei, ma poi si bloccò, e si corresse “Non dovresti usare il condizionale.” lei allora coprì , per la seconda volta, quella distanza che si era venuta a creare tra di loro. “Io ho scelto te.”
Oh, adesso sì che sarebbe stato difficile. Lo era già. Ma il discorso doveva essere portato a termine, per quanto difficile e straziante potesse essere. Ma straziante per chi, poi?
Forse entrambi.
“Sarebbe una cosa inutile, Lily.”
“Perché lo sarebbe?”
“Perché…” Piton ci pensò un attimo, prima di finire la frase, ma poi decise di continuare “Perché sto per andarmene.” rispose, infine.
“Cosa?” esclamò Lily, che, a sentirlo, fu presa dal panico “No!”
“Mi spiace.”
Lei cominciò a guardarlo come se le mancasse il mondo sotto ai piedi, e per un momento il suo cuore mancò un colpo.
“Non… Non puoi andartene.”
“Devo.” rispose.
“Ma perché?”
Piton chiuse per un momento gli occhi, raccogliendo i pensieri.
“Sono stanco, Lily.” ammise poi Piton, riprendendo a guardarla, ormai davvero sincero “Sono stanco.”
Lily lo guardò, non capendo perché avesse utilizzato quelle parole come risposta alla sua domanda, ma rimase comunque in silenzio, ad ascoltarlo.
“Durante la mia vita non ho fatto altro che portare le mie colpe sulle spalle, un masso volutamente scelto, ma non per questo meno greve.” continuò allora Piton “Mi sono caricato dei destini di tante persone, e del peso che hanno comportato anche le colpe di molti altri. E il rimorso non ha fatto altro che aggiungere chilo su chilo. È stato così per tutta la mia vita, Lily. Ancora adesso li sento su di me. E sono stanco. Terribilmente stanco. Le mie gambe non mi reggono più.”
Lily continuava a non capire cosa c’entrasse quel discorso, a dirla tutta, ma poi, alla fine, tutto le parve così infinitamente, dolorosamente chiaro nell’esatto momento in cui Piton fece un piccolo sorriso amaro.
“Sto andando via.” concluse lui.
La ragazza, capendo, sgranò gli occhi d’istinto, in un’espressione di panico. E quando si è presi dal panico, molto spesso, si ha bisogno di aggrapparsi a qualcuno, anche se quel qualcuno – l’unico presente nella stanza in quel momento – è colui che aveva finito con il causarlo, quell’attacco di panico. Fu così, infatti, che Lily si precipitò letteralmente addosso a Piton, che dovette attutire il colpo, oltretutto, non aspettandoselo assolutamente.
“No, no, per favore.” mormorò Lily “Non puoi dire così! Come fai ad accettarlo? Non… Non…”
La ragazza emise una sorta di lamento, e presto Piton capì che stava piangendo. Come darle torto… Era stato troppo – troppo – per lei. Ma ormai non aveva potuto farne a meno, di dirglielo. Gliel’aveva chiesto lei, sì, e lui avrebbe potuto rifiutarsi di farlo, data la gravità dell’argomento, ma non c’era riuscito.
Non era che non avesse voluto; semplicemente non c’era riuscito.
“E poi…” riprese allora lei, facendo respiri molto pesanti “E poi lo pensi tu, non è mica detto. Non… Non è detto.”
Lily alzò la testa verso di lui. Erano di nuovo così maledettamente, tremendamente, dolorosamente vicini. Ma Lily non si sarebbe mossa più di così. Non doveva muoversi.
Non che non avesse voluto; semplicemente non poteva.
“Non è vero?” gli chiese, con quegli occhi così ancora da bambina.
Piton le passò una mano dietro la testa, tra i capelli rossi.
“Lily.” fece lui, quasi sentendosi colpevole, senza esserlo, in realtà.
Era solo successo così. Era capitato così. Era così.
“Ho raggiunto il punto di non ritorno anni fa.” concluse, togliendo la mano da quei capelli, quando Lily, a quelle parole, aveva riappoggiato, sconsolata, la testa sul suo petto, di nuovo.
 
Alla fine non avevano potuto fare altro che rassegnarsi. Entrambi.
E Lily, allontanandosi da quella casa, camminava di spalle, piano, per poter ancora vedere il profilo di quell’edificio quasi abbandonato. Perché non se ne andava di corsa? Cosa aspettava? Magari che quell’uomo aprisse la porta e velocemente la raggiungesse, infine?
E invece… Non riusciva neanche a capire se lui la stesse guardando da una finestra, mentre andava via. Quella era davvero l’ultima volta in cui si sarebbero visti; e lei non riusciva a scorgerlo, da lì.
Si sentì di nuovo pizzicare gli occhi.
Alla fine aveva dovuto rinunciare. Aveva dovuto costringersi a dirgli addio, senza lasciare che i suoi sentimenti ostacolassero ciò che sarebbe stata la cosa migliore per tutti e due.¹
E allora perché si sentiva così male, e triste?
Guardò ancora quella casa, probabilmente per l’ultima volta. Voleva immaginarsi che lui la stesse guardando da una di quelle finestre sporche, prima di andare davvero via. Voleva immaginarsi che anche lui, alla fine, stesse male, almeno un po’. Non perché lo odiasse, non perché sperasse che soffrisse. Dopo quello che aveva saputo, come poteva? Non voleva augurargli niente di brutto. Solo che… Solo che, se lui si fosse sentito una fastidiosa e dolorosa stretta al cuore, come la stava sentendo lei, ciò avrebbe voluto dire che, almeno, anche lui aveva tenuto a lei.
Ma in fondo era così. Non gliel’aveva detto apertamente, ma lei l’aveva capito.
Lily sorrise, rivolta alla casa, in particolare alle finestre del salotto, immaginando che lui fosse proprio lì. Alla fine, scomparve con un ‘pop’.
 
“Ciao, Lily, tua madre mi ha detto se puoi scendere da lei.” le giunse all’orecchio l’inconfondibile voce di Luna Lovegood, e allora Lily si alzò in piedi.
Non appena però la ragazza si voltò verso la madrina, questa le fece un sorriso e le chiese, tranquilla:
“Cos’è c’è che non va, Nargillina?”
Lily si lasciò scappare un debole sorriso. Era sempre così, con sua ‘zia’ Luna.
“E’ tutto okay, zia, non c’è niente che non va.” rispose comunque Lily, ma Luna non parve darle ascolto affatto, perché entrò nella stanza e richiuse la porta alle spalle.
Lily, a quel punto, si lasciò ricadere seduta sul proprio letto, e poco dopo la donna le si sedette accanto.
“Allora.” disse a quel punto Luna, iniziando ad accarezzare la schiena della ragazza “E’ successa una cosa tanto brutta?”
“Si vede tanto?”
“Mmh, meno di quanto pensi, comunque.” rispose, con un sorriso.
Lily sospirò. “E’ che… E’ che…” non fece in tempo ad aggiungere altro che sentì gli occhi inumidirsi di nuovo “Perché le cose devono andare sempre storte?”
“Dipende da che punto di vista le guardi, piccola.”
Lily la guardò, seria. “Stavolta no, zia. È… E’ difficile…” Lily non disse nient’altro, più che altro, forse, per la paura che potesse mettersi di nuovo a piangere. Non sarebbe mai potuta essere una cosa buona, quello che sarebbe capitato a lui. Mai.
E poi fissò lo sguardo a terra, contraddicendo tra sé e sé, a mente e di nuovo, quello che la donna le aveva appena detto. Non dipendeva da niente. Era una cosa orribile e basta. Tremendamente, ingiustamente, dolorosamente orribile.
Luna, però, riprese a parlare:
“Per esempio tu adesso ti senti tanto male, però forse quell’altra persona così male non sta.” La carezza di Luna passò dalla schiena alla testa di Lily.
La ragazza non ebbe neanche la forza di domandarsi a quali conclusioni stesse giungendo Luna.
“Come puoi dirlo?”
“Almeno, ora, quell’altra persona adesso ha capito che, anche se solo per un po’, c’è qualcuno, al mondo, che le ha voluto tanto bene.”
Lily si girò e la guardò di nuovo, mentre sentiva il labbro inferiore tremare, ma mentre sentiva anche qualcos’altro che le faceva battere il cuore un po’ più velocemente.
“Ma non è… non è giusto, comunque.”
“Forse quello che per te non è giusto non lo è per l’altra persona…”
“No, invece!” una piccola lacrima scese giù “Non deve.”
“Forse è stato meglio così, piuttosto che rimanere sempre soli. Ha avuto un po’ di compagnia, alla fine.” provò a dire Luna, ancora.
Lily non rispose, ma rimase con lo sguardo fisso davanti a sé, come in contemplazione di qualcosa.
Luna allora si alzò da letto, e si diresse nuovamente alla porta della camera, aprendola leggermente.
“Ci penso io a Ginny: oggi la convincerò a lasciarti in pace.” fece lei, guardando Lily con la testa inclinata da un lato “E comunque” precisò poi “sono sicura che anche lui ti vuole tanto bene. E che anche dopo te ne vorrà.”
Lily si voltò verso di lei, e quest’ultima si congedò con l’ennesimo sorriso, prima di uscire definitivamente dalla camera.
Lily non poté fare a meno di pensare, con un amaro sorriso sulle labbra, che sua zia avesse già capito tutto quanto, su di lei e sull’‘altra persona’. E non si era arrabbiata, anzi, l’aveva aiutata, l’aveva consolata. A modo suo. D’altronde – e ormai Lily l’aveva capito – Luna era Luna.
La rossa si alzò in piedi e si diresse alla propria finestra, e poi vi guardò fuori; osservò il giardino di casa propria, la strada, gli alberi, le nuvole, il cielo plumbeo.
Sospirò.
Forse anche lui stava guardando in alto. Forse stavano guardando la stessa cosa, in quel momento.
Forse, dopotutto, non erano ancora così lontani.

 

~ Mi ameresti,
sono certo: mi ameresti.
Come è vero che col tempo capiresti
che il sorriso che ho da darti sufficiente non sarà,
perché ha già viaggiato tanto, quanto è stanco non si sa.
(Renato Zero – Mi ameresti) ~

 

Fine




¹ Sergio Bambarén

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