L'uomo dalle mille Facce.

di Leannel
(/viewuser.php?uid=837)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CHAPTER I_PROLOGUE ***
Capitolo 2: *** CHAPTER II- A MAN WITHOUT NAME ***
Capitolo 3: *** CHAPTER III_PHOTOGRAPHS ***
Capitolo 4: *** CHAPTER-IV_ Congreve ***
Capitolo 5: *** CHAPTER V_ FINGER PRINTS ***
Capitolo 6: *** CHAPTER VI_ IDENTITY ***
Capitolo 7: *** CHAPTER VII_MATTEW PRICE ***
Capitolo 8: *** CHAPTER VIII_ TV EYE ***
Capitolo 9: *** CHAPTER IX_ I-95 ***



Capitolo 1
*** CHAPTER I_PROLOGUE ***


Un grosso MiniVan nero, sfreccia all’alba tra le affollate via di Las Vegas, una città dove le luci non si spengono mai

Un grosso MiniVan nero, sfreccia all’alba tra le affollate via di Las Vegas, una città dove le luci non si spengono mai.

Sara non era certo tipo da amare particolarmente il sonno. Così Sara si era svegliata, rivestita e aveva preparato una colazione veloce coi cereali. Ora, Sara lo era sempre stata una timida cronica e per quanto conoscesse il Moro da ormai, quanti? Cinque anni? Starsene così a letto, non le sarebbe piaciuto affatto.

Così adesso Sara era seduta davanti ai suoi fiocchi gialli, inzuppati in un mare di latte. E, cazzo erano le cinque e mezza del mattino. Considerando la rarità di un’occasione come quella, un’intera nottata senza chiamate, Sara pensò che avrebbe potuto sfruttarla decisamente meglio. Ad ogni modo ora era lì, lontana dal suo cerca persone e i cereali avevano un ottimo sapore. Placidamente affondò ancora il cucchiaio nella tazza.

Un bip bip sospetto dalla stanza in fondo a sinistra, spezzò questa sua perfetta tranquillità.

Così, tempo trenta secondi il Moro Warrick comparve con un mezzo sorriso assonnato.

“Andiamo, il capo chiama”

“Alle cinque?”

“Dice che è importante”

“Il turno è finito tipo sei ore fa”

“Proprio tu ti lamenti dell’orario?”

No, mi piacevano i cereali, Warrick.

“Ma se arriviamo insieme, non pensi che quella gente congetturerà?”

“Vuoi prendere un autobus, signorina? Col kit e tutto il resto sottobraccio? Andiamo, nessuno penserebbe mai che io e te scopiamo, Sara”

“Infatti io e te non scopiamo”

era stata davvero una settimana orribile per la vecchia drammatica Sara. La macchina rubata e ritrovata tre giorni dopo nel deserto del Nevada, completamente sfasciata. E dato che il vecchio amico Moro si trovava tutto solo, con la vecchia Tina fuori per lavoro o chissaddove glia veva chiesto di dormire da lui e di accompagnarla al mattino. Quello di Sara era davvero un quartiere orribile.

“Un caffè?” disse Warrick

“Siamo di fretta, no?” rispose Sara.

Cazzo, quanto la odiava in questo punto centrale tra vita normale e lavoro, in cui sembrava sempre alla disperata ricerca di un problema col quale affliggersi.

Sara non era nemmeno una troppo interessata ai vestiti e quelle cose là, così in un tempo oscillante tra i quindici e i venticinque minuti,m furono pronti nello splendido Minivan nero del vecchio Warrick.

Warrick guida davvero come un matto quando si trova in orari assurdi, da solo nelle strade di Las Vegas. Non che questo sia frequente, ma conosce un sacco di vie secondarie in cui provare le sue prodezze. Ora Sara detestava questo tipo di cose. Non le piacevano le macchine veloci. Però quella volta Sara si mise a ridacchiare.

“Che c’è?”

“Pensavo che se ci vede arrivare insieme, magari la bionda se la prenderà”

“’Fanculo, Sidle”

Sara allora rise di più. E Warrick, pure ridendo, pensò che l’alba in Nevada ha un tono particolare, irripetibile, e per questo lavorava di notte, non di giorno, per l’alba. E per questo non l’avrebbe mai lasciato, il Nevada.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CHAPTER II- A MAN WITHOUT NAME ***


Nick Stokes, un metro e settantacinque di bel ragazzo americano di buona famiglia, si chinò sul corpo ormai freddo del cadaver

Nick Stokes, un metro e settantacinque di bel ragazzo americano di buona famiglia, si chinò sul corpo ormai freddo del cadavere, mentre David lo ispezionava grossolanamente. Non che David fosse un tipo grossolano, ma palesemente non vedeva l’ora di potersi rinchiudere nel suo laboratorio e spulciare ogni centimetro di quell’ennesimo morto. Questo era un uomo non troppo grosso né troppo piccolo, piuttosto attraente per quanto avesse superato i cinquanta. Aveva i capelli grigi e una strana espressione sul viso. Nick cercò i suoi occhi morti, spenti. Su una scena del crimine nessuno deve toccare niente. Un morto si tiene i suoi orripilanti occhi sbarrati fino alla fine.

I fari delle auto e tutto l’armamentario della polizia rischiaravano a girono il buio pesta di una Las Vegas notturna, lontana dai casinò e tutto il resto.

“Dalla temperatura del fegato direi che il nostro amico sconosciuto è morto all’incirca… dodici ore fa. Ma di certo sarò più sicuro quando lo avremo portato in laboratorio…Nick?”

“Si? Da dodici ore? In dodici ore nessuno è passato di qui?”

“Molti non vedono in questa città” Catherine Willows, alle sue spalle, sorrideva.

“Tutto a posto, Nicky?”

“Ho l’influenza. Ma ero disponibile solo io, nei paraggi e sono venuto”

“Vai a casa, allora”

“A casa?” Poi fece cenno di no col capo

“Dave?” disse allora Catherine

“Si?” rispose David, che aveva riposto tutti i suoi cervellotici strumenti ed era pronto ad andarsene

“Porta con te Nick, in laboratorio”

“Andiamo Catherine…” Nick non aveva nessuna voglia di rinchiudersi in laboratorio. In primo luogo si era dovuto svegliare prestissimo e riprendere coscienza di sé per essere in grado di trovarsi lì per primo. In secondo luogo lasciare lì Cate da sola e tutto il resto non lo convinceva affatto. D’altra parte, analizzando il suo inutile flusso di pensieri aveva dovuto arrendersi alla leggera febbre che lo rendeva estremamente stanco e incapace di un pensiero compiuto.

“Ok. Nel portafogli non ci sono documenti. E questo tizio una come portachiavi ha una fiche del Mirage”

“Una fiche? Idea carina”

“Dici? La fiche vale cinquemila dollari”

A Cate non piaceva lo sperpero in denaro. Il dettaglio la lasciò sbigottita.

“Stokes, Io me ne sto andando” disse David dalla sua Jeep.

“Ok, arrivo” dopo aver fatto ciao ciao con la mano alla vecchia Cate, Nicky se ne andò in macchina.

Accovacciata sul corpo della vittima, ne estrasse il portafogli.

Tracento dollari, qualche scontrino e biglietto, delle fototessere, nessun documento.

“Ciao Catherine”

“Ciao Greg”

“Che mi dici del nostro uomo?”

“Del nostro uomo? Un bel niente. Uno scontrino del bar… un fast food… ha comprato dei vestiti al centro commerciale… però, ecco… il nostro amico forse dormiva qui.”

Cate lesse il biglietto di un albergo piuttosto misero, nella periferia di Las Vegas.

“Non ce ne sono altri?”

“Gli altri sono tutti biglietti di casinò. Guarda, aveva anche un gratta e vinci”

“E aveva vinto?”

silenzio.

“Si”

“Davvero?”

“Ti sembra che stia mentendo?”

“Non dico questo, ma…”

“La fortuna esiste Greg”

Greg si spostò. L’uomo aveva ancora la polvere argentate del gratta e vinci sotto l’unghia del pollice.

“Non ha avuto il tempo di dirlo a nessuno, sai?”

“O forse l’ha detto alla persona sbagliata”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CHAPTER III_PHOTOGRAPHS ***


CHAPTER III- PHOTOGRAPHS

CHAPTER III- PHOTOGRAPHS

Sara e Warrick scesero dal MiniVan con l’insolito buonumore portato da una sciocca battuta di lui riguardante gli orribili baffetti che Nicky aveva adottato e abbandonato nel giro di due settimane. E di quella volta che in un pub di periferia, sotto lo sguardo divertito di Sara, avevano fatto a gara a chi guadagnava più numeri di telefono dalle ragazze single ai tavoli vicini, per mezzo solo di bigliettini e drinks. E arrivati a rileggere i bigliettini avevano scoperto che la stessa signora rossa aveva dato il numero all’uno e all’altro e Nick aveva esclamato candidamente “Che troia!”.
Catherine li aveva raggiunti alla macchina.
“Hai una nuova fidanzatina, Warrick?” aveva detto. Era ironica ovviamente. Ma Cate metteva sempre quel tono acido, nelle cose.
“Oh no, lei è solo un passatempo” rispose Warrick
Des-De-Mo-Na, sillabò Sara con le labbra. Warrick non potè far altro che sorridere.
“Il capo?” chiese
“Non si è visto, pare” rispose la bionda
“Ma… ci aveva chiamato proprio lui…”
“Andiamo lo conosci. Avrà avuto qualche formichina da salvare”
“Diciamo che io mi prendo il perimetro e voi il corpo?” disse Warrick dopo essersi guardato intorno e aver indossato la maschera dello sbirro.
“No, aspetta, c’è una cosa che devi vedere. Sara ti prendi tu il perimetro?”
Sara alzò le spalle e rispose un tranquillo ‘Ok’.
“Come si chiama?” chiese Warrick
“Se riesci a scoprirlo avrai un aumento di stipendio” rispose Cate.
Allo sguardo interrogativo di Warrick rispose indicando la tasca del cadavere e il portafogli, che aveva rimesso al suo posto.
Aperta la valigetta Warrick si mise un guanto in lattice e prese una pinza.
“Quindi… cos’abbiamo qui?” disse Catherine.
“Ci sono dei bigliettini di vari alberghi nei paraggi… ma nessuno è recente”
“Il più recente l’ho già imbustato, scusa”
Cate estrasse il sacchetto di plastica. Warrick lo squadrò.
“Il Cassius è un vecchio albergo per giocatori. Facevo dei lavoretti, lì”
“Direi che potremmo farci una visitina”
“D’accordo, io resto qui per un po’”
L’ispezione del portafogli portò frutti insperati. In primo luogo, prima di andarsene Cate si era ricordata di mostrargli il portachiavi a forma di fiche del Mirage.
“Dev’essersene pentito” disse Warrick notando i segni di forzatura sul foro della fiche rossa.
Trovò segni di molti altri Casinò e anche di sale da gioco di bassa lega.
Era strano. Quel tizio non aveva assolutamente la faccia di un giocatore.
“Nel portafogli ci sono trecento dollari, eliminiamo l’ipotesi di una rapina finita male” annotò nel suo taccuino vocale (che poi era niente più di un registratore).
Le foto… il tizio aveva delle vecchie foto di almeno due bambini. Che strano tizio pensò. Erano palesemente delle vecchie orrende fototessere, quel genere di cosa che piace ai genitori. Ma perché non portarsi dietro delle foto più recenti o perlomeno meno orrende? Il tizio non doveva vederli da un sacco di tempo.
Ecco solo adesso vide quegli indizi che gli appartenevano davvero. C’era una piccola macchia di qualcosa di appiccicoso, sulla camicia dell’uomo all’altezza della pancia. La causa del decesso era palese, John (così vengono chiamati i cadaveri senza nome) aveva un grosso buco in mezzo al torace. Warrick sbirciò sotto il corpo, non c’era nessun foro d’uscita.
“Pare che avremo un sanissimo proiettile” disse a Sara, che stava arrivando.
“Un sanissimo proiettile? Fantastico” rispose lei
“Tu che hai?”
“Ho trovato delle impronte di scarpe da ginnastica, piuttosto fresche. Ma il corpo è qui da troppo tempo, non so se saranno indicative. Tu?”
“Non molto da analizzare in laboratorio. Immagino che dovremmo fare qualcosa perché si ritrovino i parenti della vittima”
“E’ un John Doe?” Warrick annuì “Fantastico. E Catherine?”
“Abbiamo trovato una cosa che ci riporta a un albergo, qua vicino. Vieni anche tu?”
“Ho ancora un po’ da fare. Vi raggiungo, se e la faccio”

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CHAPTER-IV_ Congreve ***


CHAPTER-IV_ Congreve

CHAPTER-IV_ Congreve

Cate aspettava Jim Brass all’entrata dell’Cassius Hotel, infreddolita dalla brezza mattutina.
Alle sue spalle il Cassius Hotel non si presentava affatto bene, con le pareti di quel colore orribile e l’interno piccolo. C’erano almeno tre altri posti un cui Catherine Willows avrebbe preferito trovarsi:
1- A casa a svegliare sua figlia, Lindsay, dicendole che è lunedì, le vacanze di primavera sono finite e deve andare a scuola
2- A casa a dormire, chiedendo a sua madre di svegliare Lindsay per lei
3- Il terzo non è carino da dire….
Jim scese dalla sua macchinona nera, coi vetri antiproiettile, con quel suo sorriso serafico e onnisciente.
“Cassius Hotel, aperto nel 1954 ebbe un momento di fama negli anni sessanta, sai, gli hippie, il rock queste cose qua, per poi perdersi e diventare nient’altro che un posto per giocatori d’azzardo”
“Perfetto, non ci daranno un terzo delle informazioni che servono”
“Esatto. Sai che Warrick ha lavorato qui?”
“Si mel’ha detto”
“Che bravo ragazzo”
Cate si decise ad entrare. Appoggiò le braccia al bancone e suonò il campanello.
Brass la guardò storto, avrebbero potuto liberare le forze armate e farsi portare il proprietario su un piatto d’argento, ma Catherine sembrava di un altro avviso.
Catherine aveva suonato una sola volta, l’uomo delle reception non arrivava, Brass era asonnatto e voleva fare in fretta, e Ggrissom non si vedeva.
Eppure Cate non suonò il campanello un’altra volta né niente. Aspettò semplicemente in silenzio con quella sua aria ammiccante, e a Jim veniva quasi da ridere.
“Da quanti anni lavoriamo insieme Catherine?”
“Un po’”
“E dimmi, perché non lasci che chiami uno o due dei ragazzi e ci facilitiamo il compito?”
“Io non riesco davvero a capire come tu possa essere stato il capo delle scientifica, un tempo”
rispose Catherine, ironica (ma neanche troppo).
“Si, bella signora, mi scusi per l’attesa” disse un uomo basso, arrivato dietro il bancone “mi scusi, ma sa, l’ora è quella che è”
“Catherine Willows, scientifica di Las Vegas. E lui è Jim Brass della polizia di Las Vegas.ora solo una domanda semplice… volevamo sapere se conosce quest’uomo”
Cate mostrò le foto del cadavere riverso in quel parcheggio tra una BMW e una Citroen.
Era sempre un momento particolare quando un possibile indiziato vedere per la prima volta la foto della vittima, morta. Gil poteva capire solo da quell’espressione se fosse stato l’assassino o no. Ad ogni modo, la parte sadica di Cate, adorava le facce sconvolte dei conoscenti che si fingevano sinceramente dispiaciuti per la morte di qualcuno di cui a malapena conoscevano il nome.
“Adrian, Adrian Maiers, dormiva qui, ogni tanto, per lunghi periodi”
“Adrien Maiers, perfetto, e che altro può dirci di quest’uomo?” chiese Brass.
Vaffanculo, Jim. Me lo stavo lavorando ben bene, Jim.
“Mi spiace, non so altro”
“Non sa altro? Questo signor Adrian non ha lasciato un documento? Niente del genere?”
l’omino basso, tale Stu Kane, rise per un po’ in modo forzato
“Documenti? In questo posto dormono uomini senza un soldo che vanno a giocare ogni giorno. Dovrei chiedere loro il documento? E perché? In caso un poliziotto venisse a chiedermi di loro? Vi ho già dato il suo nome, dovrebbe esservi sufficiente”
“Adrien non portava mai documenti con se” disse un vecchio con un cappello verde, dalla sala con la tv
“Ah no, signor…?”
“Lasci perdere” rispose il vecchio
“Sta’ zitto Todd” gli disse Stu, dal bancone,
“Senta signor Kane” disse allora Brass, con quella sua aria vichinga “Se lei non ci dirà tutto quello di cui abbiamo bisogno, non ci darà la chiave della stanza e tutto il resto, noi torneremo con un mandato del procuratore distrettuale, e le assicuro che sarà molto più doloroso”
seguirono i dieci secondi più intensi della vita di Stu Kane, intento a pensare quale fosse la via più giusta da seguire. In quel mentre Cate sentì il suo telefonino squillare e rispose.
“Pronto, Gil?”
“Buongiorno Cate”
“Dove sei finito? Ti abbiamo asettato un po’, poi ci siamo mossi”
“Brava Cate, ho sempre saputo di potermi fidare di te” rispose. Odioso, Gil.
“Non riusciamo a cavare nessun cazzo di ragno da nessun cazzo di buco”
“So che è un segreto, perché lo sento sussurrare dappertutto.”
“Congreve…?”
“Brava Catherine! Sei un’appassionata di teatro inglese del seicento?”
“Penso me ne abbia parlato tu, Gil”
“Allora Cat, scava nella menzogna per arrivare alla verità.”
“E tu non vieni, Gil? Gil? Gil!”


NdA: William Congreve era un autore di commedie per il teatro dello Yorkshire, nel seicento. Tra i suoi lavori si ricordano soprattutto Amore per amore (Love for love, 1695), e La via del mondo (The way of the world, 1700), che portano sulla scena i vizi e le frivolezze dell'alta società londinese.La loro apparente frivolezza suscitò la diffidenza del ceto medio emergente: "La via del mondo" fu un insuccesso presso i contemporanei. Più tardi il moralismo vittoriano lo ripudiò. Le sue commedie tornarono a essere apprezzate da Wilde, e da Shaw.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CHAPTER V_ FINGER PRINTS ***


CHAPTER-V_ FINGER PRINTS

CHAPTER-V_ FINGER PRINTS

Già in macchina ed a un solo isolato dall’hotel Cassius, Warrick decise di virare e cambiare strada. Caput, tutto d’un tratto. Warrick era un tipo istintivo. Warrick non aveva voglia di rivedere il Cassius, gli uomini anziani, grassi ed unti e di sentire l’odore del gioco appiccicarsi ai vestiti e di portarselo a casa finche, tornati dalla lavanderia, avrebbe potuto considerare i suoi vestiti di nuovo ‘normali’. C’era Cate, c’era Brass. Sarebbero stati piucchè sufficienti, s’era detto. E poi Cate, vaffanculo Sidle. M’icasini sempre, Sidle. Così s’era indirizzato verso il laboratorio, per vedere come poteva evolversi il caso, chiamare Tina e anche vedere come se la passava il vecchio Nick. E poi forse sarebbe arrivato in tempo per l’autopsia.
Warrick bussò alla finestra di vetro del laboratorio, dove Nicky lavorava alle impronte del John Doe, del parcheggio in centro.
“Vuoi che faccia io?” chiese. Non era affatto serio. Warrick era patologicamente pronto a sfottere chiunque.
“Non trattarmi come se avessi il vaiolo, ok?” rispose Nicky
“Ora dimmi, baffetto, perché non te ne sei rimasto a casa?”
“E tu” Nicky passò dalla prima alla seconda mano, lasciando dal lato di Warrick le dita del morto impiastricciate di quella polverina nera “Tu perché non sei al Mirage adesso”
Warrick rispose con un sorriso sarcastico e seccato.
“Vado a metterle nell’archivio se trovo qualche riscontro… tu gustati una bella autopsia di Robbins”
“Già la malattia deve averti affaticato lo stomaco, poverino…”
“Stai attento, Brown, stai attento” minacciò Nicky. I due risero un po’.
“Ma il capo? Non si occupa lui di Robbins?”
“E chi lo ha visto, il capo?” rispose Nick.

Catherine sarebbe subito entrata per dare un’occhiata a quella stanza, ma Brass insistette perché lo seguisse, solo dopo essersi fatto certo che nella stanza o nei paraggi non ci fosse stato niente di pericoloso.
“Jim, questo è impossibile” aveva risposto lei, lanciando un’occhiata fulminante al nano della reception.
“Andiamo, Cat, hai capito cosa intendo”
Così Jim si era avviato e nei cinque minuti successivi era tornato indietro a chiamare Catherine permettendole finalmente di visitare la camera di Adrien Maiers.
Maiers sembrava un uomo piuttosto ordinato, ordinario, senza i fregi assurdi dei giocatori d’azzardo. La camera non era certo una suite dell’Herald, era piccola e sporca, ma aveva la sua dignità, con le camice ripiegate sulla sedia e il telecomando posto perfettamente davanti lo schermo della tv.
“Vuoi che spenga la luce?” disse la voce pastosetta di Sara.
“In realtà credo che in una stanza come questa non servirà a un bel niente.” Si alzò e la guardò “ma perché non provare”
Come aveva sempre fatto Sara, si avventò con totale tranquillità sul letto di Maiers, divertita dall’idea di un’eventuale scoperta.
“Non c’è liquido seminale, non c’è proprio niente, Catherine”
“Ottimo”
L’attenzione di Sara si focalizzo da qualche altra parte. Aveva disfatto il letto, per cercare le tracce di sperma, ma aveva perso un particolare.
“Ho trovato della fibra…verde… sul cuscino” disse.
“Prendo le impronte sul pomello, per quanto potranno esserci utili” ma Cate cercava qualcosa di più profondo. Una stanza può dire tante cose, a prescindere la sesso o dal sangue, no?
Adrien aveva tre bottiglie di pessimo whiskey perfettamente ordinate nel cestino della spazzatura, e sulla piccola scrivania c’erano… delle fotografie.
Ce n’era una strappata per metà con una bambina sui dieci anni, una morettina graziosa, e un’altra di un bambino magrolino e biondiccio più grande di qualche anno.
Andiamo Adrien, che cosa sei? Perché un giocatore non lo puoi essere. Sei un pedofilo del cazzo, Adrien? Che cosa sei?
“Le ha bevute ieri sera, o al massimo ieri pomeriggio” disse Sara, che imbustava le bottiglie.
“Ah si? Magari lo sapeva, a cosa andava incontro”
“O magari era solo teso. Magari aveva paura di qualcuno, non credi, Catherine?”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** CHAPTER VI_ IDENTITY ***


CHAPTER VI_ IDENTITY

CHAPTER VI_ IDENTITY


Indossato il camice bianco e con un paio i guanti in lattice, puliti, Warrick camminava da solo nel corridoio dell’obitorio, da far rabbrividire.
A Warrick le autopsie piacevano con moderazione. Ovvio, non ci andava matto. Chi mai andrebbe matto per un morto svuotato, dico? A parte Grissom, naturalmente. Ma Grissom pareva proprio essersi dissolto nell’aria pungente di una Las Vegas mattutina.
“Su quanti ‘non identificati’ hai indagato, tu?” gli aveva chiesto Greg
“Un bel po’. Il mondo è pieno di ‘non identificati’”
“E’ il modo più facile per non essere rintracciati, no?”
“Si, ma Greg, non è così semplice” gli aveva risposto. Nessuno sopportava Warrick Brown quando questo era di cattivo umore. Dico, nessuno.
La porta dell’obitorio era chiuso. La porta dell’obitorio è sempre chiusa. Altrimenti ci morirebbe un sacco di gente là dentro. Warrick bussò due volte, ma non aspettò nessuna risposta ed aprì la porta, entrando con gli occhi bassi.
“Warrick? Pensavo tu fossi al Cassius” eccolo lì il capo, con un proiettile tra l’indice e il pollice e la sua aria sorniona.
“Gil? Hai chiamato Catherine per dirle che sei qui?”
fece di no col capo, Gil. E sorrise. Warrick si sentì d’un tratto più tranquillo, ed immaginò che sarebbe stato lo stesso anche per tutti gli altri.
“Dottore…A che punto siete?”
“Ci sono un bel po’ di cose interessanti” disse Robbins, sentitosi chiamato in causa. Il corpo morto del John Doe, giaceva nudo sul tavolo. La causa della morte, un proiettile in pieno petto, adesso stava nella mano di Grissom, e tra le altre cose, Warrick notò una cicatrice sul ventre, che sembrava essere una vecchia pallottola, o qualcosa di simile.
Dovevi essere proprio un gran stronzo, si disse.
“Interessanti?”
“Endorfine. Tu saprai in che consiste la relazione tra endorfine e droga, oppure endorfine e… dipendenza”
“Mi stai dicendo Gil, che quest’uomo giocava tanto da esserne dipendente? E che le sue endorfine erano talmente massacrate da essere inesistenti?” rispose
“Le cellule destinate alla produzione delle endorfine sono sparse in varie parti del sistema nervoso centrale, tuttavia le stesse sono presenti nell’ipofisi, nelle ghiandole surrenali, nelle ghiandole salivari e nel tratto gastrointestinale. Ora, in linea molto semplicistica, la droga sostituisce questo processo, con delle ‘false endorfine’.”
Ti sembra che stiamo al liceo, capo? Studio questa roba da sempre, non sono un adolescente drogato.
“Teorie più o meno recenti” proseguì Grissom sostengono che questo valga per ogni tipo di dipendenza tra cui anche il gioco”
“ E da qui tu vuoi arrivare a…”
“Niente. Il signor nessuno, qui, non ha nessun disturbo del genere il suo sistema nervoso è apposto”
“Mi stai dicendo che questo tizio, Gil, non era un giocatore?”
Grissom non rispose, sorrise.
“Ne avremo ancora per un po’” disse Robbins
“Vero. Se non ti va di restare, porta questo ad analizzare” disse il capo, porgendogli il sacchettino col proiettile spiaccicato. Warrick fece cenno di si col capo.
Uscito da quella porta l’unica cosa che gli interessasse era trovare per primo il vecchio Bobby Dawson.

Il cercapersone (Bip Bip) di Sara, squillò, mentre si trovava ancora nel palazzotto del Cassius Hotel. Con ancora in mano due o tre di quei sacchetti di carta, plastificati all’interno, si affacciò alla finestra.
“Catherine? Catherine!”
“Sara?
Che c’è? Scendi e dimmelo, no?”
“Nick mi ha cercato sul cercapersone, con la chiamata urgente!”
“Ah si? Vero, ha chiamato anche me sul telefonino. Adesso ti chiamerà lì, vedrai”
neanche a dirlo, la suoneria ‘al chiaro di luna’ di Sara risuonò nella stanzetta puzzolente di chiuso.
“Pronto, Nicky?”
“Perché non rispondevate, voi due signorine?” rispose lui, dall’altro capo del telefono
“Perché non apprezziamo la sua compagnia, signore” rispose ironica
“A parte tutto, Sara. Siete ancora lì? Avete finito? Correte qui. C’è una cosa davvero… non so neanche come definirlo… assurda. Del tutto assurda. Vieni velocemente, con Cath” e abbassò. Sarà aggrottò il suo sopracciglio destro nel modo speciale in cui sapeva farlo. Salutò i poliziotti, e scese in fretta le scale, dopo aver rimesso grossolanamente tutti i pacchettini nel kit.
“Ti ha richiamato?” Sara annuì “Che dice?”
“Dice di fare in fretta”
Così fu. Guidò Catherine e quando guidava Catherine si arrivava sempre in fretta, che era uno dei punti in comune di Desdemona e del Moro di Las Vegas.
Sara che era estremamente ansiosa ed odiava i ritardi spalancò con le due braccia le porte a vetri del laboratorio e corse teatralmente attraverso il corridoio, con Catherine che la seguiva camminando velocemente.
“Sto cercando…”
“Sta cercando l’agente Stokes?” le rispose la segretaria “E’ nel laboratorio delle impronte”
Non doveva essere la prima a chiederglielo, si disse Cath.
Arrivata tanto di fretta a quella porta, con le tendine tirate, Sara riprese il controllo di sé e bussò. Catherine l’adorava.
“Buongiorno” le salutò Grissom. Tutti e sei i membri della scientifica di Las Vegas erano in quella stanza adesso, e Nicky Stokes, seminascosto dal computer, sembrava essere l’unico e il solo a sapere il perché di questa, diosolosa cosa. Di questa riunione, insomma.
E nessuno diceva niente. E questo perché?
“Allora, Nick. Ci hai fatto chiamare qui, per quale motivo?” disse una diplomatica Catherine.
“D’accordo, se ci siamo davvero tutti, ora ve lo illustro. Allora, un’ora e mezza fa, mi lascio con Warrick, dopo che ho preso le impronte digitali e vengo qui al laboratorio. Metto le impronte del cadavere nell’Afis, ma non ci credo, insomma, quel tizio non ha la faccia da criminale. E infatti dopo un’ora niente, non sono venuto a capo di niente. Poi però mi chiama Warrick e mi dice dell’autopsia e del vecchio colpo nella pancia del morto. Ora, dato che l’amico Adrien, o John o come vogliamo, non era un criminale, ho pensato che potesse essere un militare. Così ho messo le impronte nell’archivio dei marines, ed ecco quello che è venuto fuori.” Qualche secondo di silenzio, a coronare il perfetto patos “vedi, Grissom, il tuo uomo è morto. Il nostro uomo è morto nel 1992”

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** CHAPTER VII_MATTEW PRICE ***


CHAPTER VII_MATTEW PRICE

CHAPTER VII_MATTEW PRICE


“Nel ’92?
Gil, Nick dice che il morto è morto nel ‘92”
“Ho sentito quello che ha detto Nicky, Greg” rispose Grissom, ammutolito, con la sua aria seria di quando la situazione di fa dura.
“Mattew Price, nato il sei agosto del ’57 a Reno. Troppo giovane per il Vietnam troppo vecchio per la guerra del Golfo. Però c’è andato, alla guerra del golfo, per poco tempo. Sei mesi. Nel ’75 sposa tale Thelma Bale e si spostano a vivere a Carson City, Nevada.”
“E poi?” chiese Sara “Non mi frega niente della sua telenovela personale. La morte Nicky”
Nick prese un fazzoletto bianco e si soffiò il naso. Era già tardi nella mattina e stava morendo di sonno e di tante altre piccole cose, che ignorò. Tossì. Non gli andava che Sara lo interrompesse. Per certe cose ci vuole un po’ di tempo, ecco. Eppoi…
“Ehi, Sara, fino a prova contraria ti sei ben più giovane di me, per cui non chiamarmi Nicky, ok?”
Sara rispose con un gesto della mano e sorrise, perché neanche Nicky era serio, e con quell’influenza o qualunque cosa fosse era ancora più buffo del solito.
Warrick sospirò. Poggiò le mani sullo schienale della sedia blu elettrico del vecchio Nicky e lesse il file dell’Afis.
“Mattew Price è morto nel novantadue, sulla I-95, che doveva riportarlo da Las Vegas a Carson City. Un incidente…nella notte un camion in contromano e ad alta velocità. Stimano che Mattew avesse bevuto, o cose del genere, di quelle che si fanno a Las Vegas.”
“Stimano?” Catherine Willows, un metro e sessantacinque, bel taglio di capelli e fantastici occhi blu del mare, se ne uscì dal suo coma riflessivo “perché avrebbero bisogno di ‘stimare’?”
“Il corpo è stato ritrovato carbonizzato, come la macchina. Era una Jeep. Sterzando dicono che Mattew è caduto in un dirupo, la macchina ha preso fuoco. Nient’altro.”
“Nient’altro? Grissom, mi stai dicendo che stiamo lavorando su uno di quegli orribili casi da serie tv, dove ci sono due gemelli omozigoti, vero?”
“Io non dico niente Catherine.”
“Mattew Price non aveva fratelli né eterozigoti né omozigoti” apostrofò Warrick
“Come fa al giorno d’oggi un maschio adulto a cambiare identità senza essere scoperto? È la cosa più ridicola che abbia mai sentito” Sara, che era rimasta in silenzio, era piuttosto irritata da questa stranezza. Era per gli esami, le impronte digitali e le indagini perfette. E di certo non pronta a una cosa del genere.
Appoggiatosi a un tavolo di vetro, Gil Grissom, rifletteva. Come un caso cretino poteva diventare un caso assurdo in trenta secondi.
Il toc toc di nocche non tanto ignote sulla porta in vetro del laboratorio, sembrarono svegliare Gil. Ma la faccia perennemente sotto stress di Conrad Ecklie fu sufficiente a fargli desiderare di non averlo mai fatto. Lo ignorò. Ecklie bussò ancora e ancora.
“Solo un minuto, ragazzi” disse allora Gil. Cate non sarebbe mai uscita a parlare con Ecklie. E gli altri non ne avevano l’autorità.
Gil, seccato, si tolse gli occhiali e li pulì col suo vecchio camoscio.
“Che vuoi Conrad?” disse
“Chi sarebbe stato questa volta?” Gil lo fissò. Di che diamine stava parlando? “Andiamo Gil, non guardarmi così. È già successo più di una volta. Chi diamine ha parlato coi giornali?”
“Coi giornali? È successo una sola volta, Conrad, e sono cambiate un sacco di cose da allora”
“Una volta è più di nessuna, Gil. Se vengo a sapere che… Gil se io scopro… Vi sospendo tutti, e vi tolgo questo caso. Hai capito, Gil?”
“Chi ti dice che non è stato un poliziotto o una della omicidi? Andiamo Conrad, lasciami lavorare. Perché io lavoro, Conrad”
“Ah si? Tu lavori? Allora accendi la tv e guarda bene dove finisce il tuo lavoro”
“Catherine? Catherine!” chiamò Grissom bussando alla stessa porta. I ragazzi si erano già decisamente accorti della discussione in atto, ma ignoravano i motivi. “Catherine!”
Catherine spuntò dalla porta, dolce come la fatina dei denti.
“Che succede Gil?”
“Accendi la tv, Willows” disse Conrad
L’atmosfera, nella sala relax era solitamente tranquilla. C’era un’agente che guardava una soap opera e un altro che mangiava un panino e la prendeva in giro, di solito. Quel giorno no. Quel giorno, nella sala relax, tutti erano in piedi e guardavano il tg in silenzio.
La prima cosa che Catherine Willows potè pensare entrando in quella stanza fu
Ma perché cazzo non ci hanno avvertito, questi figli di puttana?
Al telegiornale perenne della CNN una giornalista over 50, ma sempre piuttosto appariscente, con la foto di Mattew o Adrien morto, parlava del caso misterioso dell’uomo senza nome e lanciava appelli a chiunque lo avesse visto o sentito di recente.
“Cazzo” mormorò Warrick Brown entrando nella sala.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** CHAPTER VIII_ TV EYE ***


CHAPTER VIII_ TV EYE

CHAPTER VIII_ TV EYE


Voi non avete mai visto Warrick Brown incazzato per bene.
In quel preciso istante Warrick era proprio incazzato per bene e si esprimeva con suoni gutturali. Warrick Brown sembra il re leone nero, da incazzato, per sua stessa ammissione.
Non riuscendo a trovare un motivo valido per fare qualcos’altro Warrick si proiettò verso il televisore e lo spense.
“Volete tornarvene a lavoro, adesso?” gridò. Probabilmente avrebbe continuato ancora se non avesse incrociato gli occhi di Cath che, severi e per niente stupiti, lo ammonivano. Conrad Ecklie appoggiato allo stipite della porta, sembrava ancora più irritato del solito
“Ci credi, ora?” disse a Grissom.
Uno ad uno tutti gli agenti del turno di notte che non erano parte della squadra se n’erano usciti dalla stanza e Warrick si era seduto sul divanetto in cachi.
“Chi è stato l’altra volta, Conrad?” chiese Grissom, irritato
“E’ stato Stokes, mi pare” rispose
“Nick aveva solo parlato con un suo vecchio amico, Conrad. Inoltre il caso era estremamente semplice. E poi oggi Nick sta poco bene e l’ho rimandato io in laboratorio prima che potesse scoprire tutte quelle cose” Catherine si sedette anche lei sul divanetto, dopo aver versato una tazza di caffè a Grissom e a Warrick. Grissom non beveva caffè, e Catherine lo sapeva, per cui bevve il suo.
“E Nick non commetterebbe due volte un errore così stupido, Ecklie” concluse Warrick.
“E allora sarà stato qualcun altro. Sanders, la Sidle, potresti essere stato anche tu Brown, senza accorgertene”
Vaffanculo, Ecklie.
“Conrad, nessuno dei miei è stato. Lo sai. Adesso lasciaci da soli, d’accordo?” Grissom sembrava tranquillo, ma seccato.
“Lasciarvi da soli… posso fidarmi?” poi fece cenno a Grissom di seguirlo fuori dalla stanza.
Catherine l’odiava. Ecklie non era tipo da prendersi un rischio come parlare della squadra di Grissom, di fronte alla squadra di Grissom.
“Mi hai quasi convinto, sai Gil? Io ti crederò sulla parola. Ma ti giuro che se scopro che è stato uno dei tuoi…” Quella di Conrad avrebbe dovuto essere una minaccia. Ma di una minaccia non si trattava. Ecklie non era un uomo minaccioso. Poteva risultare odioso e viscido. Non minaccioso. Nel enumerare le ‘qualità’ del suo collega Grissom, dovette ravvedersi. Conrad non era poi così male, dopotutto. Solo, era privo di qualsiasi spinta e amore per quello che faceva. Conrad salutò con la mano e si voltò, verso il suo ufficio.
“Un momento, Conrad” lo fermò Grissom “Conrad. Dov’è che arriveranno le telefonate della tv?”
Conrad si voltò di nuovo verso Grissom.
“Appena mi sono accorto dell’accaduto, ho telefonato al network. Passeranno le telefonate sulla nostra linea” disse sorridendo in un ghigno di fierezza.
Grissom sorrise, con metà della bocca.
“Conrad. Lo sapevo che c’era qualcosa di buono anche in te”

Sara Sidle sedeva sul tavolo di vetro nella stanza delle impronte. Davanti a lei, Nick, sconvolto dagli umori e dal mal di testa conseguente, aspettava l’aspirina che Greg era andato a prendergli.
“Non posso crederci. Non arriveremo mai a capo di questo caso” disse Sara, a suo modo sconsolata.
Nicky ciondolò la testa. Poi la fissò.
“Sai che ti dico? Sara io conosco ormai Gil da tanto tempo. E ti dico che Gil non lo mollerà mai un caso come questo. C’è la possibilità che se ne esca con una citazione da Wilde da un momento all’altro. No, non lo molla…”
“Stanza 101? Servizio in camera, per il signor Stokes” Greg era entrato col bicchierone d’acqua e l’aspirina. Nick la prese e si soffiò il naso di nuovo.
“Posso farvi una domanda? Secondo voi, perchè il signor Price non si era procurato un documento falso? Voglio dire è una cosa banale. Cel’hanno anche i ragazzini per andare negli strip club…”
“Cosa di cui, Greg, tu sei un esperto. Di strip club” rispose Sara.
“Andiamo, Sara, dicevo sul serio”
“E’ una domanda interessante. Magari non si fidava. Oppure pensava che fosse ‘roba da ragazzini’.” Rispose allora Nick
“Forse quando abbiamo ritrovato il cadavere l’aveva buttato via. Altrimenti non mi capacito di come potesse fare”
Grissom, con Cath e Warrick alle spalle fece il suo ingresso luminoso nella stanzetta.
“Abbiamo perso fin troppo tempo” disse “E’ necessario dividerci i compiti. Ecklie ha detto che le telefonate della tv…”
“Telefonate?”
“C’è stata una fuga di notizie, Sara. Sei quasi finita alla tv” Sara ricompensò Warrick con uno sguardo significativo.
“Dicevo.”Gil odiava essere interrotto. “La fuga di notizie potrebbe alla fine considerarsi utile al caso.”
“Utile?” chiese Greg
“Utile. Sappiamo per certo se Price ha avuto solo un’altra identità? Potrebbe averne avute altre tre, quattro o magari dieci. Abbiamo l’occasione di saperne di più”
“Allora, come ci dividiamo?” chiese Catherine, spazientita.
“Ok… Greg, Nick, voi due , restate qui in laboratorio. Filtrerete le telefonate, e vi occuperete dei campioni che vi inviamo. Sara, Warrick, voi due batterete la strada che Mattew Price ha percorso dal suo viaggio a Las Vegas, fin dove potete arrivare. Tornate sulla scena del crimine, riaprite il caso.”
“E tu ed io?”
“Catherine, a me e te spetta il compito più ingrato” rispose sorridendo “tu ed io andiamo a interrogare la signora Price”

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** CHAPTER IX_ I-95 ***


CHAPTER XI_ I-95

CHAPTER IX_ I-95


A Sara non piacevano i viaggi in macchina. Per quanto non fosse stato lungo, non le era piaciuto neanche questo. La polizia del posto sembrava essere arrivata sul posto già da alcune ore. Cosa che, come aveva detto Warrick, avrebbero fatto pesare.
“Dici che ci porteranno lì tutto quello di cui abbiamo bisogno? Le prove del caso… i documenti…”
“Io spero di si. Ma non mi fido di questa gente.”
“Ecco, lo sapevo. Sei sempre stato così”
“Così come?”
“Ti senti superiore a loro perché sei uno scienziato, no?”
“E tu Sara? Tu no?” Sara, che era di gran lunga la tizia più snob, per quanto riguardava il suo lavoro, che Warrick avesse mai incontrato, gli portava un rimprovero simile. “Stai iniziando a diventare noiosa, sai?”
“Io? Io noiosa? E tu? Tu eri un altro al tempo. Eri uno che usciva con tutte e se la spassava e s’incazzava al lavoro. Adesso solo un poliziottone sposato”
“No no no, tesoro. Sei tu quella noiosa. Ti ricordi quella volta che ti fissasti su quel vecchio caso, quello della donna stuprata, e non ci dormivi la notte, e Gil sen’è accorto e ti ha detto che avresti dovuto essere più distaccata? Te lo ricordi? Quella sera che ti trovai al pub dietro la centrale e poi ti portai con me a giocare al BlackJack e ci giocammo tutta la notte? Quella eri tu.”
“Warrick, andiamo… sono passati cinque anni…”
“Appunto” il moro sorrise e Sara capì che il tono della conversazione non era mai stato serio.

La scena del crimine non era più la scena del crimine da ormai quattordici anni. In realtà non lo era mai stata.
“Lei mi sta dicendo che la moglie non ha mai riconosciuto il corpo?” chiese Warrick, alterato, all’agente Lambert
“Io non le sto dicendo niente! Non ero nemmeno a Carson quando è avvenuto il fatto! Si tratta di più di dieci anni fa, no?”
“Signore, possono essere dici, venti o cinquanta anni fa. Ma se nessuno ha riconosciuto per via ufficiale il cadavere, come avete fatto a schedare il caso?” Sara decise di darsi un tono. Per dimostrare a Warrick che non era il coniglietto isterico che lui credeva.
“Voglio parlare con l’uomo che ha avuto il caso. Voglio parlarci adesso.”
“Eccomi. Sono arrivato!” l’agente Paxton, di anni 57 era ormai sulla via della pensione. Lavorala alla stradale e non era il tipo da fare carriera. Ma non aveva mai avuto richiami ed era sempre stato disponibile per ogni tipo di lavoro. Aveva una mogliettina e due bambine bionde. Insomma, nulla faceva pensare che potesse essere uno che avesse qualche interesse nell’occultare un caso del genere.
“Vi sarò d’aiuto in ogni modo possibile, dico sul serio. Al tempo non sembrava un caso rilevante e così…”
“Scusi. Se la moglie non ha visto il cadavere, allora come l’avete riconosciuto?”
“Dall’anello. Vede il cadavere e la macchina erano in delle condizioni davvero disastrose. In realtà le dirò che del cadavere restava nient’altro che un carboncino e la macchina era solo un ammasso di lamiere” Mentre Sara si occupava dell’agente Paxton, Warrick, che già non lo sopportava, decise di andarsi a fare un giro. La luce intensa del deserto del Nevada illuminava quella curva che i frequentatori più assidui chiamavano ‘la curva del diavolo’ ovvero una perfetta ‘L’.
Warrick aprì con un taglierino lo scotch marrone che teneva insieme la scatola del caso. Le prove prese erano davvero poche. Si sentiva già irritato.
Warrick aprì una bottiglietta d’acqua e si sedette a terra, riflettendo sul contenuto della scatola.
Il primo documento, quello del medico legale.

Causa del decesso: soffocamento da fumo. Ustioni di terzo grado sul 98% del corpo.



Grazie mille, signor medico legale. Non ci sarei mai arrivato da solo. Vaffanculo.

L’uomo,35 anni, riconosciuto tre giorni dopo l’incidente come Mattew Price, al momento del decesso è alto un metro e ottantasette e pesa settantacinque chili.



“Oh Mio Dio” alla sua migliore espressione stupita, Warrick ne sostituì una di sdegno per il pessimo lavoro altrui, poi una per l’ovvietà della sua scoperta, e infine una di orgoglio molesto.
“Sara? Sara, sai quanto era alto il cadavere?” Sara, cento metri a destra di Warrick lo guardò e fece cenno di no col capo, poi si avvicinò. Appena fu vicina a sufficienza perché Warrick potesse parlarle senza rendere noto a tutti l’argomento della loro conversazione.
“Sai quanto era alto?”
“Era più basso? Era più alto del nostro? Andiamo, Warrick”
“Il primo cadavere era un metro e ottantasette”
“E ottantasette? Ma se… mioddio. Mattew Price non arrivava al metro e ottanta.”
“Price era per la precisione uno e settantasei”
Sarà sbattè la mano sulla fronte, sorrise e si sedette accanto a Warrick.
“C’era da aspettarselo” disse “Sai come lo hanno identificato? Dall’anello. Ti rendi conto?”
“Che altro si deve fare se non ridere?”
“Già. Quindi da qui l’ipotesi è fin troppo facile. Mattew Price vince una somma altissima al casinò Mirage, a Las Vegas. Tornando a casa incontra un povero malcapitato e lo uccide. Lo carica sulla sua jeep, e lo fa andare a diritto sulla curva più spettacolare del Nevada”
Sara, con la sua espressione soddisfatta si alzò e si tolse gli occhiali da sole
“Senti, io sto morendo di fame. Chiedo qualcosa all’agente?” disse
“D’accordo.”
Per quanto la teoria di Sara fosse più che efficace, Warrick non ne era convinto.
1- Aveva letto quello che Sara e Catherine avevano trovato nella camera di Price. Price non sembrava uno da ammazzare qualcuno per poter scappare.
2- Price stava tornando a casa. Perché fare una cosa del genere a cinquanta silometri da casa, quando avrebbe potuto farla ovunque?

Sara tornò un’oretta dopo (trovare due panini e due coke era stato molto impegnativo) e trovò il collega, sempre seduto, con un’aria serissima, e un portatile tra le cosce.
“Tieni” Warrick prese il suo panino, ma lo posò a terra. Bevve un sorso della sua coka, però.
“Sai” disse “sai che cos’è che non mi piace di voi donne? Siete estremamente pessimiste. Per qualunque osa, pensate sempre al peggio, per paura di rimanere deluse”
“Ma di che parli?”
“Ho fatto una simulazione. Le nuove diavolerie tecnologiche. E adesso guarda. Se la macchina fosse stata lasciata andare in linea retta da qualsiasi punto della strada, non sarebbe uscita in quel modo. Ergo…”
“Anche il latino adesso, Warrick?”
“Ti secca? Oh piccola Sara…Touchdown!”
Sara scosse il capo. Warrick era dotato di troppa fantasia. Spesso creava prove quando non ce n’erano.
“Solo sulla base di questo tu riusciresti a provare in tribunale che Mattew Price era nella macchina, quando ha deragliato? E che non ha messo intenzionalmente l’anello addosso al povero morto?”
“Quale tribunale?”
“Quello del morto in auto”
“Ma anche l’imputato è morto!”
“E l’accusa cade. Che stupida”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=83555