Hope.

di Aelin_
(/viewuser.php?uid=160691)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 ***
Capitolo 17: *** Cap. 17 ***
Capitolo 18: *** Cap. 18 ***
Capitolo 19: *** Cap. 19 ***
Capitolo 20: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


-       Ti avevo detto di fare la spesa, dannazione!!! –
-       Non è assolutamente vero! Io ti ho chiesto se dovevo andarci e tu mi hai detto che ci saresti andata dopo!-
-       Oh si certo come no! Cresci! Oramai non ti posso chiedere più niente, sei una costante delusione, sempre persa nei tuoi pensieri e nelle tue fantasie! –
 
Ed ecco il dolore, arriva di colpo, e mi pugnala al petto. Sentire queste cose da mia madre mi fa ogni volta male, ma dovrò abituarmi, non ha l’aria di una che ha appena deciso di smettere di insultare sua figlia.
Prendo il mio iPhone, abbandonato sul divano, afferro la mia giacca e mi butto per strada, sbattendo la porta. Sento che lei mi chiama, ma non mi importa.
 
Eccomi qui, non mi sono ancora presentata.
Mi chiamo Jennifer, ho 22 anni e sono una ragazza normale.
No, non lo sono, per niente. Non ho un padre e non ne sento la mancanza, il cognome l’ho preso da mia madre, e, se devo essere sincera, non mi piace per niente.
Sono piuttosto asociale, ho solo un’amica che mi sopporta, Iana, e la conosco da quando avevamo 3 anni. E’ l’unica che mi capisce.
E poi, ci sono le Voci. Sono cominciate quando avevo 7 anni, e non se ne sono mai andate. Ma ho imparato a gestirLe.  Mi dicono cosa fare, mi consigliano, e… mi hanno addestrato.
Ora so tutto. Sui vampiri, sui licantropi, sui demoni, e sui due tramiti. Dean e Sam Winchester.
Ne parlano sempre, Loro. Non li ho mai visti, ma Loro dicono che hanno bisogno di me per distruggere mio zio e sventare l’Apocalisse, e che mi troveranno, e quindi io sto qui, a Chicago, ad aspettarli.
 
Mentre penso a queste cose, arrivo davanti al portone della casa di Iana, e le dico di scendere.
Non risponde.
La chiamo al cellulare.
Non risponde ancora.
Non salire, Jennifer, non salirenonsalirenonsalire! , dicono le voci nella mia testa, e il terrore si impadronisce di me. Le ignoro, spalanco la porta (avevo una copia delle chiavi) e salgo a due a due gli scalini, fino alla camera della mia migliore amica.
 Socchiusa.
La porta è socchiusa. Lei non la lascia mai socchiusa.
Spingo lentamente la porta, cauta, mentre prendo dalla tasca il mio coltello d’argento.
La prima cosa che mi colpisce è l’odore. Forte, nauseante, sa di ruggine, e mi fa venire un conato.
Tranquilla, Jen, tranquilla, mi dico, entrando.
E mi blocco. Le pareti non sono più azzurre, ma rosse, rosso dappertutto, rosso sul soffitto, sul pavimento, sui quadri e l’impianto stereo che io e Iana abbiamo montato da sole a 8 anni, sentendoci delle esperte per esserci riuscite.
C’è un foglio, a terra. Stona con tutto il resto perché è bianco, con una scritta sopra, nera.
Jennifer.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


Apro quella lettera, e mi si gela il sangue nelle vene.
Jennifer,
so che non ci siamo mai incontrate,
ma non vedo l’ora di vederti.
Quello che ho fatto alla tua amica
è solo un assaggio di quello che farò a te.
Sei uno dei sigilli, cara.
Non vedo l’ora di ucciderti.
                                                               Lilith.
 
Come ha fatto a trovarmi?
Sapevo chi era grazie alle Voci, mi avevano detto che era il demone più potente, perché è stato il primo che Lucifero ha creato dopo la sua caduta. E ora, lei era impegnata a rompere 66 sigilli, a scelta tra i 666 disponibili. E io ero una di essi.
Non mi accorgo di essermi diretta a casa di Phil, il mio fidanzato, fino a quando non mi ci trovo davanti. Sono scossa, in lacrime e fradicia, perché nel frattempo ha iniziato a piovere. La pioggia sostituisce le lacrime che vorrei versare, ma che non ne vogliono sapere di scendere. Non piango mai, non ho mai pianto, anche se questa è l’occasione giusta per cominciare.
Ma le lacrime non vogliono comparire.
-       Jennifer??! – una voce mi chiama, mi giro e trovo Phil che mi guarda, scioccato.
In effetti, non sono un bello spettacolo. La pelle pallida, i capelli neri arruffati, gli occhi verdi spenti e velati.
Mi abbraccia, e io mi lascio andare, in balia di mille emozioni, tutte negative. E svengo.
 
-       Non possiamo permetterlo –
-       Lei è troppo importante per la riuscita della missione –
-       Dobbiamo mandare Castiel –
-       E farle scoprire tutto prima del tempo? No! –
-       Mandiamo i Winchester da lei, allora! –
-       Sai che non puoi manovrarli come burattini, sono gli eletti. –
-       Lei è più importante degli eletti, è un arma –
-       Non parlare così di mia figlia! –
-       Ok, capo, allora che facciamo? –
-       Mandiamo noi lei dai Winchester. –
-       Come? –
-       Con un numero di telefono. –
 
Le voci nella mia testa discutevano, senza badare a me, così aprii gli occhi per cercare di capire cosa era successo. Ero distesa su un divano, in un salotto che conoscevo bene. Provo a muovermi, ma non riesco a separare i polsi e le caviglie. Ancora stordita, mi accorgo che qualcuno me li ha legati con una corda.
In quel momento entra Phil, guardandomi sorridendo. Solo che non è lui.
I suoi occhi sono neri, tutti neri, compresa la pupilla, l’iride e la sclera.
Demone, mi dice una voce, nonostante lo sapessi già.
-       La principessa si è svegliata! Lilith sarà molto felice di saperlo! –
-       Cosa volete da me? –
-       Come, non lo sai?
Si avvicinò lentamente e si abbassò alla mia altezza, guardandomi negli occhi.
-       Oh, povera piccola, a quanto pare non lo sai! Beh, a causa di tuo padre, bellezza! Ora stai zitta che devo telefonare al capo! –
Detto questo si allontanò, dandomi le spalle.
Focalizzai la mia attenzione sulla corda che mi lega i polsi, cercando di sciogliere il nodo.
Comincio a forzare, prima da una parte e poi dall’altra, per interi minuti, mentre pian piano il laccio comincia ad incidere la pelle dei polsi.
Diavolo se fa male, penso, stringendo i denti.
Dopo qualche minuto, riesco a sciogliere quel dannato nodo, che mi ha martoriato i polsi.
Velocemente, sciolgo anche quello alle caviglia e controllo la tasca.
Si! , penso, sorridendo, prendendo in mano il mio coltello.
È d’argento, per i lupi mannari, è abbastanza tagliente da mozzare la testa ad un vampiro e può uccidere i demoni. Mi hanno aiutato le Voci a forgiarlo, consigliandomi gli ingredienti da aggiungere al metallo.
Lui sta ancora parlando, non si è accorto di niente.
-       Si, avverti Lilith che ho l’ibrida… -
Ibrida? Non capisco. Cerco di sentire meglio.
-       Non lo so perché la vuole, non è mica un sigillo. Quella è una bugia… -
Quindi non sono un sigillo? Bene.
Non mi serve niente. Gli pianto il coltello nella schiena, sotto le scapole, tagliando di netto un paio di vertebre, e resto a guardare il demone morire, sorpreso.
Mi dispiace per Phil. Ma non posso dire di essere dispiaciuta, o triste, per la sua morte.
Era si, il mio fidanzato, ma era uno stronzo!
Un fottutissimo stronzo. Sapevo da tempo che mi tradiva e ormai non lo amavo più.
Sembrerò cinica, o fredda, e insensibile. Beh, lo sono
Nella mia vita non c’è mai stato niente di bello, piacevole o dolce.
Solo Iana, ma ora lei è… morta.
Trattengo a stento le lacrime, che ora, chissà come mai, vogliono uscire. Ma non è il momento.
Pulisco il coltello, e scappo da quella casa.
Corro per la strada, senza badare alle persone che mi guardano male, perché probabilmente, correndo, le ho urtate. Non importa. Sanno dove sono, e non devono avermi.
Arrivo di corsa a casa, mia madre non c’è, per fortuna, mi fiondo in camera e prendo uno zaino, riempendolo delle cose necessarie. Un paio di magliette, dei jeans, alcuni cambi di intimo e tutti i miei coltelli, le boccette di sale, l’acqua santa, il rosario, il libro con gli esorcismi e, per ultimo, il mazzetto di banconote dei miei risparmi, ammontanti a 10.000 dollari.
La mia domanda era: dove andrò?
Fu una Voce a rispondermi : Trova i Winchester, con loro sarai al sicuro.
Come li trovo? , chiesi.
La Voce mi diede il numero, io lo segnai sull’iPhone ed uscii di casa. Presi un paio di pullman, cambiai città.
Trovai un albergo a poco prezzo, presi una stanza per una notte e mi andai a fare una doccia.
Aprii l’acqua calda, e, aspettando, mi guardai allo specchio.
Ero un disastro. Gli occhi verdi erano stanchi, avevo un accenno di occhiaie e il mascara e la matita erano colati, i capelli neri erano una massa inestricabile di nodi, la camicetta bianca era strappata sulle spalle, e i jeans erano sporchi e anch’essi strappati.
Decisi di buttarli, ormai erano per la pressa. Rimasta in intimo, mi guardai sempre allo specchio.
La pancia era piatta, il seno sodo, non troppo abbondante, entrava bene nella mia 3° coppa B, le gambe lisce e tornite, frutto dei miei allenamenti. Non sembava, ma ero abbastanza forte da stendere un maschio adulto.
Quando l’acqua fu calda al punto giusto, mi infilai nella doccia e lasciai che il calore sciogliesse i miei muscoli, rilassandomi. Mi lavai i capelli, poi il corpo, e rimasi altri 10 minuti nella doccia.
Adoravo l’acqua calda sulla pelle, da bambina stavo ore sotto la doccia a pensare, fino a quando mia madre non mi sgridava e picchiava… Cercai di non pensarci.
Alla fine, dovetti uscire, e mi avvolsi in un asciugamano, che strinsi appena sopra il seno. Con un pettine, mi pettinai lentamente i capelli, fino a renderli lisci e fluidi.
Dopo essermi asciugata, e cambiata, mi sedetti sul letto, incrociando le gambe nude.
Decisi di chiamare quel numero.
-       Si? – rispose la voce. Era un uomo.
-       Dean Winchester? –

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


Dean e Sam erano a Cicero, in un albergo vicino all’autostrada. Avevano appena concluso una caccia lì, un caso di skinwalkers, e Dean ne aveva approfittato per far visita a Lisa e Ben, che lo avevano accolto con gioia. E, come da copione, lui se l’era portata a letto.
Ora, mentre era disteso nel letto, Dean pensava che avrebbe dovuto lasciarli andare, staccarsi da loro. Era l’unico modo per difenderli.
Stava pensando a questo, quando arrivò la telefonata.
-       Si? – disse, senza guardare il numero, credendo che fosse Bobby. Nessuno aveva questo numero, se non lui o Sam.
-       Dean Winchester? – disse una voce femminile, di una ragazza.
-       Chi parla? – chiese lui, mettendosi in allerta.
-       Parlo con Dean Winchester o no?! – impose la voce, cominciando ad irritarsi.
-       Si! Ma chi è? –
-       Mi chiamo Jennifer, so tutto di te e tuo fratello, e, ragazzi, dovete aiutarmi. –
-       Ma chi diavolo sei? E come fai a sapere tutto di noi?! –
-       Sono in un albergo appena fuori Chicago, il Beau Soleil, stanza 13. Vi spiego appena arrivate. Fate presto. –
E chiuse.
Ma chi diavolo era quella ragazza? E come faceva a sapere di lui e Sam? Come aveva il suo numero?
Appena arrivò Sam, gli disse tutto quello che era successo, e in quel momento apparve Castiel, preceduto da un lieve fruscìo d’ali.
-       Castiel – Dean si risollevò un poco, la presenza dell’angelo lo confortava, era come un fratello per lui.
-       Dean, Jennifer ti ha dato un indirizzo? –
Rimase spiazzato. Come faceva a sapere di lei?
Ma Castiel era fatto così, quindi non vi diede peso.
-       Si, ha detto di essere a Chicago, al Beau Soleil, stanza 13. –
Aveva appena finito di dirlo che lui era sparito. Lui e Sam si guardarono perplessi.
 
 
Mi ero appena messa una lunga maglietta bianca sopra l’intimo, pronta per dormire, quando avevo sentito un lieve fruscìo d’ali.
Angelo, pensai di colpo, e presi la spada d’argento, mi girai di scatto e la lanciai. Ero brava a lanciare i coltelli, ma a quanto pare lui era preparato, perché lo mancai.
La prima cosa che mi colpì furono gli occhi, azzurri, di quell’azzurro meraviglioso nel quale vorresti sprofondare dentro ed annegare, fino a vedere solo esso attorno a te.
Poi notai il vestito blu e il trench, un po’ stropicciato.
Lui mi fissava, stupito e ammirato, e cominciai a sentirmi a disagio.
-       Chi sei? – gli chiesi, andando a recuperare la spada.
-       Mi chiamo Castiel. –
-       Quel Castiel? – chiesi, spalancando gli occhi.
-       E tu sei Jennifer… Quella Jennifer – disse, imitandomi.
Gli sorrisi spontaneamente, era buffo e simpatico. Mi sedetti sul letto, piegando una gamba sotto di me.
-       Come fai a conoscermi? –
-       Ti aspettiamo da tanto –
-       Chi? –
-       Gli angeli –
-       Perché? Perché io? –
-       Perché tu sei come noi –
-       Come scusa? –
Lo guardai scioccata. Nah, mi stava pigliando in giro.
-       Jennifer, non posso spiegarti tutto. –
-       Spiegami solamente qualcosina – feci gli occhioni da cucciola.
-       Okeeeey. Allora… -
Si mise comodo e cominciò a raccontare.
-       Quando mio padre non aveva ancora creato gli uomini, io e i miei fratelli vivevamo in pace, convivendo pacificamente. Non vi erano “caste”, fra noi angeli. Poi, Lui creò l’essere umano, e Lucifero si ribellò. Il Paradiso si schierò in due parti e alla fine mio fratello Michele buttò il disertore sotto terra, seguito da tutti quelli che credevano che la sua campagna fosse giusta.
E così Lucifero era sistemato. Ma mio padre sapeva che, col tempo, la gabbia nella quale era rinchiuso si sarebbe aperta, e lui e Michele avrebbero di nuovo dovuto combattere. Decise che non poteva permettere che Lucifero vincesse, e allora creò una nuova discendenza. E tu ne fai parte. –
-       Aspetta un secondo. Una discendenza? Allora ci sono altri come me? –
-       No –
-       Come no? – lo guardai stranita, cominciavo a perdere il filo.
-       Perché il portatore del gene si sarebbe dovuto unire ad una donna solo in caso di massima emergenza, che in questo momento vuol dire l’Apocalisse. –
-       Quindi, chi è mio padre? –
Castiel sembrò tentennare, poi mi guardò. – Non posso dirtelo. –
-       Perché no? –
-       Perché ho promesso. Ma non preoccuparti, con il tempo scoprirai tutto da sola, le cose ti torneranno in mente perché tu, in fondo, sai già tutto. –
-       Ma cos…? –
Non mi diede neanche il tempo di completare la domanda che era di nuovo sparito.
Stupido pennuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


Dean e Sam erano appostati fuori dalla stanza 13 del Beau Soleil, con l’orecchio appoggiato al muro, cercando di capire cosa ci fosse dentro. Dean era sempre convinto che fosse una trappola, Sam era un poco meno scettico, ma si guardava comunque le spalle. Erano le tre di notte, probabilmente lei dormiva.
Dean fece un cenno al fratello, che controllò il corridoio, mentre lui si chinava sulla serratura della porta, sovrastata da un enorme (e orribile) pomello di metallo ricoperto da una vernice color oro.
Pochi secondi, e la porta era aperta.
Questi alberghi sono facili da scassinare… , pensò Dean, leggermente divertito.
Entrarono lentamente dentro quella stanza, era molto semplice, un letto, un comodino, una poltroncina e il bagno (minuscolo). I toni della tappezzeria e delle lenzuola erano chiari, predominavano l’azzurro e il grigio.
Lei dormiva, una piccola palla raggomitolata sotto le lenzuola, ma Dean non si lasciò distrarre, anche le persone più indifese e minute potevano essere pericolose.
- Dean? Sei sicuro che… - cominciò Sam, guardando perplesso quella sagoma dormiente.
- Non sono sicuro di niente in questo momento. Portiamola da Bobby. – 
Detto questo, si avvicinò al letto, ma urtò per sbagliò il comodino, producendo un colpo forte e secco.
 
 
Ero in un posto strano, un giardino, anche se i contorni erano sfocati, non riuscivo a focalizzarli bene.
L’erba alta mi solletica le caviglie, e mi accorgo di avere un vestito, bianco e lungo fino al ginocchio. Mi trovo in una specie di radura, circondata da cespugli, di un verde leggermente più scuro di quello dell’erba, con dei fiori, rossi, blu, arancioni, lilla.
- Jen! – 
Qualcuno mi chiama, riconosco la voce come una di quelle nella mia testa, e mi giro di scatto, vedendo un uomo che cammina verso di me. Non lo conosco, ma mi è vagamente familiare.
- Chi sei? –
- Non è ancora giunto il momento di conoscerci, Jenny –
Vengo distratta dall’aura di quel tizio. Non me ne ero accorta prima, ma splendeva piano di una strana luce, che ora aveva cominciato a pulsare, lenta, poi sempre più veloce.
Ed eccole lì, di colpo si stagliano nell’aria due grandi ali, che partono dalle scapole di quell’uomo.
- Sei un angelo, vero? Dove mi trovo? –
- Siamo in Paradiso, nessuno può sentirci per adesso.- 
- In Paradiso? Sono morta? – mi si spezza la voce.
Lui sorride, intenerito. – No, per adesso tu stai sognando. Ma questo non vuol dire che quello che succede qui non sia reale. –
Un’altra pulsazione, dalla mia parte stavolta, e sento uno strano calore propagarsi per la mia schiena, prima di avvertire contro le braccia e il collo delle… piume?
Cerco di girarmi, ma lui mi blocca. – Non ora. –
- Perché?!? Perché nessuno mi dice niente?!? –
- Perché non è ancora giunto il momento per la tua missione. –
- Cosa dovrei fare?!? –
Lui apre la bocca, ma non fa in tempo a parlare che sento un botto, forte e secco, che mi riporta bruscamente alla realtà.
 
Mi alzo a sedere di scatto, afferrando il mio coltello, che tengo sotto il cuscino, e cercando di abituare velocemente i miei occhi all’oscurità, ma non faccio in tempo.
Qualcuno mi disarma, mi stringe i polsi e mi blocca, mentre qualcun altro accende la luce. Resto abbagliata, quindi chiudo gli occhi, aspettando qualche secondo.
Dannazione, penso, mi sono lasciata fregare come una novellina. 
Quando li riapro, ho i polsi legati (non di nuovoo, penso)e un ragazzo mi fissa. La prima cosa che mi colpisce di lui sono gli occhi, due pozzi verdi, che in quel momento sono colmi di sospetto. E’ vestito con dei jeans, una maglietta nera e una camicia aperta sopra, azzurra. 
- Dean? Allora? – chiede l’altro, e mi accorgo della sua presenza.
Lui è diverso. Ha gli occhi castani, scuri e liquidi, con qualche riflesso verde, i capelli più lunghi dell’altro ed è vestito allo stesso modo, tranne per la camicia che era bianca a quadri azzurri.
Rivolgo la mia attenzione a Dean. 
- Dean, potresti slegarmi per favore? Non capisco perché tu l’abbia fatto. –
- Sam, porta il suo zaino in macchina. –
- Dean, sei sicuro…? –
- Vai! –
Guardai Sam uscire, poi di colpo mi ritrovai contro il muro, con il viso di Dean a pochi centimetri dal mio.
- Allora, puttana, vuoi dirmi cosa sai di noi? –
- Tutto… -
- Ma davvero? Lo vedremo. –
Mi diede una botta in testa, e sprofondai nel buio….

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


 
-       Cosa pensi che sia? –
-       Non saprei, non ho mai visto una cosa simile. Non è un demone, l’acqua santa e il sale non funzionano, e neanche l’esorcismo. Non è un licantropo né un mutaforma, l’argento non le fa niente. –
-       E se fosse un vampiro? –
-       Come hai intenzione di scoprirlo? –
-       Beh, di solito se bevono una goccia di sangue impazziscono. –
 
Aprii lentamente gli occhi, guardandomi attorno stordita. Sono legata ad una sedia, in mezzo ad (oh, per favore!)una trappola del diavolo. Un liquido scuro mi bagna la spalla, e mi rendo conto, con sgomento, che è il mio sangue.
Ma che diavolo..?
Osservo l’ambiente che mi circonda. Non l’ho mai visto, ma a guardarlo a primo impatto sembrerebbe una specie di cantina, infatti lì in un angolo ci sono delle scorte di cibo, poi di là dei bidoni, degli attrezzi da meccanico e altre cianfrusaglie sparse. Noto una strana porta, sembra l’ingresso di una camera a gas, che sarà mai?
-       Ben svegliata, principessa! – un tono beffardo mi porta a voltarmi.
Dean è davanti a me, mi osserva con sdegno, mentre accanto a lui ci sono Sam e un altro uomo, più vecchio, vestito in modo strano. Beh, per me è strano mettersi un cappello da baseball dentro casa.
-       Dean, Sam – li saluto, fissandoli con astio, poi guardo l’altro tizio. – Bobby, giusto? –
Bobby (evidentemente è lui, non sapevo chi altro potesse essere) mi guarda stupito.
-       Che diavoleria è questa? –
-       Non dirlo a me –
Sam è l’unico che non ha proferito parola. Sembra contrario a tutto il resto.
All’inizio, potrebbe sembrare che lui sia il più ragionevole, dei due, il più giusto, ma io so che non è così.
Dean è l’Uomo Retto, colui che, inconsapevolmente, ha dato inizio all’Apocalisse. Cerco nei suoi occhi il tormento di cui mi avevano parlato le Voci. Ed eccola lì, quella piccola ombra, nascosta in quegli occhi verdi e liquidi. So che si disprezza. So che vorrebbe essere migliore più di quanto già non è.
-       Dai, ragazzi, toglietemi queste dannate corde! –
-       Perché dovremmo? –
-       Dannazione! – cerco di slegarmi. – Dove diavolo è Castiel quando serve? Dovrebbe già avervi detto chi sono! –
Si guardano leggermente stupiti. – Perché, chi sei? –
-       Non lo so….. – e questa è la verità, non lo so neanche io chi sono, ma soprattutto cosa sono.
Come se lo avessi evocato, in quel momento apparve Castiel.
-       Dean, Sam, siete già andati da… ? – si blocca quando mi vede, spalancando stupito gli occhi. Poi si gira verso i fratelli, furioso. – Ma che avete in quel dannato cervello? Che le avete fatto?!? –

 
-       Grazie… - mormoro piano a Bobby, dopo che mi ha dato una tazza di caffè fumante.
-       Jennifer… -
-       Stai zitto, Dean, in questo momento ti fracasserei la faccia –
E che cavolo. Avevo ancora i polsi doloranti nonostante Castiel me li avesse curati, ed ero ancora fottutamente, totalmente incazzata.
-       Senti, io e mio fratello volevamo solamente dirti che ci dispiace – disse velocemente Sam, beccandosi un’occhiataccia da Dean.
-       Sam, non ce l’ho con te. – lo guardo, poi sposto l’attenzione sul fratello. – Mentre tu, pezzo di cretino, non potevi fidarti per una volta nella tua vita?!? So come ci si sente ad essere dannatamente soli e tenere alle persone più di quanto loro non sappiano! Quindi smettila di fare come se tu non provassi niente, perché, lo sappiamo tutti e due, sei la persona che in questo momento sta soffrendo di più. Mi sta sul cazzo questo tuo comportamento da macho! –
Uscii da quella casa sbattendo forte la porta, lasciandomi dietro un Castiel consapevole, Dean scioccato e Sam e Bobby sorpresi. Sai quanto me ne frega, penso.
Cammino lentamente tra le file di macchine accatastate attorno alla casa di Bobby. Cerco di non pensare a niente, ma inevitabilmente i miei pensieri corrono a Dean. Non lo sopporto quando fa così. Si comporta come se tutto andasse bene, come se fosse forte e indistruttibile, quando sa benissimo che non è così.
Ma perché sto pensando a lui?
-       Perché probabilmente è simile a te –
-       E tu come fai a saperlo? –
-       Sei come un libro aperto in questo momento, Jen –
Castiel mi raggiunge, guardandomi. Gli sorrido, senza sapere neanche perché.
-       Mi porti da qualche parte? Lontano da Dean –
-       Non so se posso… -
-       E dai, Cass! –
-       Ok…. –
E’ un attimo, e siamo in Italia, a Roma.
-       Perché qua? –
-       Che c’è, non è abbastanza lontano – sorride.
-       No, è perfetto –
Nonostante sia già dicembre inoltrato e si avvicini il natale, in piazza San Pietro c’è il sole. Chiudo gli occhi, godendo di quel tepore, poi guardo Castiel.
-       Non senti caldo? – gli chiedo, notando che ha ancora gli stessi vestiti dell’altra volta, mentre io sono in jeans e canottiera.
-       Noi angeli possiamo scegliere se sentire caldo o freddo –
-       Okay… -
Era da tanto che non andavo a Roma, ci ero andata una volta con la scuola, per quattro giorni, e mi ricordo che mi era piaciuta un casino. Allora mi ero messa a studiare italiano e ora lo so parlare piuttosto bene, nonostante continui a prediligere l’inglese.
-       Ho un’idea – mi inoltro nella folla, costringendolo a correre per seguirmi.
-       Dove andiamo? –
-       A divertirci! –

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


Il giorno era passato velocemente, tra folla e risate, facendomi rincorrere da Castiel. Ora era sera, il cielo era nero e le stelle più luminose che mai.
Mi dirigo verso un pub, ma l’angelo mi blocca, afferrandomi un braccio.
-       Che c’è?? –
-       Dove credi di andare? –
-       Là dentro.  – indico l’entrata del locale.
-       Non ci pensare neanche.  –
-       Perché? – lo fisso scocciata.
-       Non è il posto per te. –
-       Invece si. – mi libero e mi fiondo là dentro, costringendo l’angelo, ancora una volta, a corrermi dietro.
Il posto era affollato, pieno di ragazzi dai 17 ai 30 anni, di cui alcuni piuttosto inaffidabili (a giudicare dalla faccia). C’era un lungo bancone di vetro lucido, degli sgabelli metallici e una pista da ballo, con una palla colorata sopra e un Dj che in quel momento sparava a tutto volume canzoni di Marylin Manson, assordando la maggior parte delle persone. Meglio.
-       Una vodka liscia, per favore – mi rivolgo al barista, un ragazzo vent’enne abbastanza carino che non mi toglie gli occhi di dosso da quando sono entrata. Dannazione.
Ero abituata a passare inosservata, cercavo di non dare nell’occhio per non restare impressa nella memoria di qualcuno che potesse poi riferire ad altri il mio aspetto. E dipendeva da chi erano gli altri. Probabilmente avrei chiesto a Castiel di cancellargli la memoria.
Sovrappensiero, prendo il mio bicchiere e lo butto giù, non accorgendomi che, nella mia tasca, il mio iPhone squillava quasi ininterrottamente da due ore.
 
 
 
 
-       Dove diavolo è??!?? – Dean si siede sul divano, frustrato. Aveva provato a chiamare la ragazza per tre ore, riprovando ogni 15 minuti. Niente.
-       Non puoi chiamare Castiel? – propone Bobby, cercando di sembrare rilassato. Ma si vedeva che era preoccupato.
Era incredibile come il vecchio si fosse affezionato a Jennifer, anche se cercava di non darlo a vedere. Era strano, la conoscevano da una settimana e già era entrata a far parte della famiglia.
A Dean non andava a genio. Lei sapeva troppe cose, conosceva la sua anima come neanche lui o Castiel potevano capire ed era sempre lì a rinfacciargli le cose che lui non voleva affrontare.
Eppure, si era ritrovato a pensare a lei un sacco di volte, immaginando la morbidezza dei suoi capelli neri contro la pelle, gli occhi verdi dedicati interamente a lui e la sua bocca a pronunciare il suo nome…
Basta. Doveva smettere di pensarci. Era imbarazzante.
-       Dean? – Sam lo chiama, e lui si accorge di non avere risposto a Bobby, rimanendo con lo sguardo fisso a pensare. – Non puoi chiamare Castiel? – richiede.
-       No, ci ho provato, non risponde oppure non mi sente. – il disagio nella sua voce è palpabile.
Sam lo guarda stranito, indagando con lo sguardo nei suoi occhi per cercare di capire che diavolo avesse.
In quel momento, Castiel riappare al centro del salone, tenendo Jennifer, che a quanto pare non riesce a reggersi in piedi. Le sue risate rimbombano per tutta la casa.
-       Ma che diavolo… ? – Sam si avvicina, prendendo in consegna la ragazza, che si aggrappa a lui.
-       E’ ubriaca. – spiega Castiel.
-       Come mai? – Dean interviene, aiutando il fratello a stenderla sul divano, sopra il quale lei si addormenta.
-       E’ entrata in un pub a Roma e si è scolata una bottiglia di vodka –
-       A Roma? – Sam lo guarda stupito.
-       Si, voleva stare lontana da Dean. –
Momento di silenzio.
-       Dean? – lo chiamano Sam e Castiel.
Dean non risponde. Si è incantato a fissare la ragazza dormire, osservando come l’aria esca da quelle labbra ad ogni respiro…
-       Dean! – la voce di Bobby lo riporta alla realtà.
-       Eh? – si guarda intorno e vede tre paia di occhi puntati su di lui. – Che c’è? –
-       Non ci credo. Ho bisogno d’alcool. – Bobby scompare in cucina.
-       Castiel, porteresti Jennifer in camera? Sono sicuro che il letto è più comodo – Sam guarda Cass, intimandogli, tra le righe, di andarsene.
Rimasti soli, i fratelli si guardano.
-       Parla. –
-       Cosa dovrei dire, Sammy? –
-       Che diavolo ti succede? –
-       A me? Assolutamente niente! –
-       Ah, si? Allora perché poco fa eri preoccupato per Jennifer? –
-       Lo sei stato anche tu, è la nostra unica speranza di uccidere Lucifero! –
-       Si, ma eri decisamente troppo ansioso, sapevi che era con Castiel! –
-       Non lo sapevo! –
-       Ti piace? –
Dean trattiene bruscamente il respiro e resta in silenzio, fissando incavolato gli occhi del fratello. Non sa che rispondere. Non lo sa neanche lui. Sa solamente che ogni volta che si tratta di lei, vorrebbe proteggerla, non farle fare niente per paura che si faccia del male. E stava male quando lei lo guardava con sdegno o scherno, come per dire che non era niente, che non lo avrebbe mai minimamente considerato.
-       Lo prendo come un si. –
-       Taci, Sammy. –
-       Dovresti parlarne con qualcuno. –
-       Ti ho già detto di stare zitto. –
-       Ma… -
-       Ma niente! Tu non capisci!!! Non sarà mai mia, non ce ne sarà il tempo, con questa cazzo di Apocalisse sempre sulla nostra testa!!!!! Non dovrei neanche pensarci, ma invece lo faccio, ci penso sempre, e più ci penso più fa male, perché per lei sono solo un fottuto idiota con dei problemi a livello psicologico perché non riesce ad accettare il fatto che, cominciando a torturare delle fottutissime anime innocenti, ha condannato tutto il mondo al dolore!!! –
Dean esce di casa, sale in macchina e parte, ignorando il fratello che chiama il suo nome, lasciando Sam solo, nella notte.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


La puzza di sangue ammanta l’aria, in quel locale. Oramai il colore predominante è il rosso, lì. Dean osserva le vittime, sul viso un’espressione concentrata, non si lascerà distrarre. Scosta piano di lato la testa del cadavere che ha di fronte e vede i buchi, rotondi e profondi, ai lati della gola. Non gli serviva più niente, lì.
Nota una scia di sangue che conduce alla porta di servizio del posto, il Cactus Blue. Probabilmente si è trascinato dietro un cadavere, pensa, seguendo la pista.
Dopo una camminata di circa 10 minuti, Dean arriva ad una specie di magazzino, all’apparenza abbandonato. Apre piano la porta, mentre estrae il coltello, lungo quanto il suo avambraccio. Avanza piano nel buio, attento, ma gli compare davanti un’ombra. Il vampiro gli salta addosso, sbattendolo contro il muro e mostrando i denti. Dopo qualche tentativo, Dean riesce a scrollarselo di dosso e gli mozza la testa, mettendo fine alla sua esistenza. Controlla se ce ne sono altri, ma è sicuro che questo era un tipo solitario.
Cammina lungo la strada, zoppicando leggermente, verso il motel dove alloggia.
 
Mi sveglio di colpo, spaventata, alzandomi a sedere di scatto sul letto. La nausea mi sommerge, facendomi correre in bagno a vomitare. Mi guardo allo specchio. Ho le occhiaie, i capelli arruffati e sono sudata, come se avessi corso per chilometri.
E poi quel sogno… Possibile che fosse successo tutto realmente?
Eppure era così vivido. Mi era sembrato di essere lì, vicino a Dean, come se facessi parte della caccia, eppure lui non dava segno di sapere la mia presenza, quindi probabilmente ero invisibile. Boh.
Mi faccio una doccia, e l’acqua fresca riesce a rilassarmi, facendo tacere i miei pensieri. E a quel punto sopraggiungono le Voci.
-       Come fai ad essere così legata a Dean?-
-       In che senso? –
-       Non dovresti fare questi sogni. Non sei legata alla sua anima. –
-       Non ne ho idea. –
-       Dovresti chiedere a Castiel, forse ne sa qualcosa. –
-       No, Castiel ha troppe cose a cui pensare. –
Dopo essermi asciugata e vestita, scendo le scale e vado in cucina, salutando Sam e Bobby. Eppure manca una persona.
Ancora non mi ci sono abituata, ogni giorno mi sveglio e spero che, scendendo, io riesca ad incontrare un paio di profondi e tormentati occhi verdi. Occhi che mancano da una settimana.
-       Ehy, Jen, un caso di vampiri, ti va? –
-       Fammi indovinare… Sei persone morte dissanguate in un locale chiamato Cactus Blue, vero? –
Momento di silenzio. Sam e Bobby si guardano negli occhi, sorpresi.
-       Come fai a saperlo? –
Sospiro, appoggiandomi per un attimo al ripiano della cucina, guardando fuori. È una bella giornata, con il sole e un venticello fresco. Mi chiedo dove sia in questo momento.
-       Il vampiro che ha ucciso quelle persone è morto, ci ha pensato Dean stanotte. – dico, girandomi.
-       Ti ha chiamato?!? –
-       No. –
-       Allora come fai a saperlo? –
-       … L’ho sognato. –
Vedo lo scetticismo passare come un fulmine sui loro visi, e mi arrabbio, dando di escandescenze.
-       Sentite, non so cosa mi sta succedendo, ok?!? Faccio sogni su cose che succedono realmente, ed è terribilmente snervante! In più ci sono queste Voci che non fanno altro che parlare, senza farmi capire niente. So solo che devo trovare Dean, ok? –
Vedo un’ombra passare sugli occhi di Sam, ma non ci bado. Esco da quella casa e mi allontano in macchina.
 
 
Dean è sul letto, e dorme. Non sa esattamente cosa sta sognando, ma sa che gli trasmette una strana angoscia. Nel sonno, stringe a pugno la mano sul copriletto marrone sopra il quale si è buttato qualche ora prima, senza preoccuparsi di spogliarsi.
La stanza è anonima, senza niente di particolare, solo un letto, un comodino, un tavolo con una sedia e il bagno. Le armi sono dappertutto, pure a terra.
Il cellulare, buttato sul comodino, comincia a squillare, destandolo.
E che diavolo, pensa, anche se nel profondo è felice di essersi svegliato. Quel sogno sarebbe finito male, lo sentiva.
-       Pronto? –
-       Dean, finalmente! Dove sei? –
-       Jennifer, buongiorno anche a te. –
-       Ma che buongiorno, sono le dodici! –
-       Beh, io non mi sveglio mai presto. –
-       Non si notava, guarda. Avanti, dove sei? –
-       Perché lo vuoi sapere? –
-       Dimmelo e basta. –
-       No.-
Momento di silenzio dall’altro capo del telefono, poi…
-       Diplomat Motel, stanza 66, sto arrivando. – e chiude.
Ma che cazz…? Come diavolo faceva a saperlo?
Dean si ributta con un lamento sul letto.
 
Non so come avevo fatto a sapere dove fosse Dean. So solo che stavo parlando con lui e l’indirizzo mi era comparso in mente. Così, all’improvviso. E no, non me lo aveva suggerito una delle Voci.
Guido verso quel motel. La macchina non è mia, è una di quelle di Bobby, ma perlomeno non è sgangherata e per la pressa.
Arrivo in quel posto, trovo la porta e busso, ma nessuno apre. Busso più forte.
Qualche secondo, e la porta si apre, facendomi entrare.
-       Dean… - comincio, poi lo guardo e resto zitta.
È combinato male. Ha tre graffi lungo tutta la guancia sinistra, e un altro graffio, più profondo, nel braccio.
-       Che diavolo hai combinato? –
-       Niente… -
-       Dean… -
-       Jennifer… -
Mamma mia quanto è testardo.
-       Dai, fammi dare un’occhiata. –
-       Non è necessario. –
-       Invece si! –
Ci fissiamo negli occhi per qualche minuto, sfidandoci. Ma alla fine cede.
Sembrano tutti graffi causati da artigli, ma, a quanto vedo, sembrerebbero quelli di un lupo, o un gatto molto incazzato. E con artigli affilati.
Dean ha chiuso gli occhi, si vede che è stanco, ha le occhiaie. Infatti, dopo qualche minuto, sta già dormendo. Lo osservo. Sembra quasi un bambino. Ma so benissimo che è più adulto di quanto dimostra. E’ questo che mi piace di lui.
D’istinto, poggio le labbra sulla sua guancia, al di sopra dei tagli, baciandolo. Sento come una piccola scossa, poi Dean apre gli occhi e mi guarda stupito.
-       Cos’era? – chiede.
-       Cosa? –
-       Quella scossa. –
-       Non lo so. –
Lo guardo, e spalanco gli occhi, atterrita.
I tagli non ci sono più.
-       Jenn? –
-       Io… Dean, guardati allo specchio. –
Lui si alza, va a vedere, poi ritorna e mi guarda, stupito.
-       Ma che diavolo… ? –
-       Scusa, devo andare. –
Mi chiama, cercando di trattenermi, ma io scappo, correndo nel corridoio, fino a scomparire.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


-       Castiel! –
Sono in uno spiazzo, nel bosco, che urlo quel nome da dieci minuti.
-       Castiel!!!!!! –
-       Che c’è? –
Compare dietro di me, spaventandomi.
-       Cosa mi succede? –
Sembra sapere a cosa mi riferisco.
-       È la tua natura che si risveglia. –
-       Quale natura?? Ti prego, dimmelo. –
-       Non posso. –
Do un calcio ad una pietra, arrabbiata.
-       Non ne posso più di queste tue risposte secche, devi spiegarmi! –
Lui si avvicina, mettendomi la mano sulla fronte, e io sprofondo nel buio.
 
Sono di nuovo nel giardino dell’altra volta, solo che questa volta ho un vestito nero.
E, come l’altra volta, c’è quell’uomo.
-       Jennifer – sorride.
-       Voglio spiegato cosa sta succedendo, ho paura. –
-       Facciamo una passeggiata. –
 Camminiamo un altro po’ in mezzo al prato, fino ad una specie di tempietto.
-       Cos’è? –
-       La meta finale. Quando sarai veramente quello che sei destinata ad essere, potrai entrarci, e scoprire perché sei così legata a Dean. –
-       Quanto ci vorrà? –
-       Dipende da te. –
-       Cos.. ? –
Mi girai, ma era scomparso. Cercai di salire le scale di quel tempio, ma una forza mi bloccava al secondo gradino.
Allora ricominciai a camminare. Quel giardino sembrava non finire mai, ma poi scorsi una… cornice? dietro un albero. Mi avvicinai, lentamente, cercando di capire cosa era. Uno specchio.
Rifletteva una ragazza, vestita di un semplice vestito nero, la pelle pallida messa in risalto dai capelli neri e dagli occhi verdi. Dietro di lei, un chiarore, proveniente dalla sua schiena, che pian piano va definendosi nei contorni di qualcosa.
Due ali.
Due grandi, enormi, ali. Nere.
Nere come il catrame, dure e forti, eppure così fragili.
Da una di esse, in cima, sgorga un fiume rosso, bagnando di sangue le piume sottostanti.
 
Apro gli occhi, inquadrando un soffitto color ocra chiaro, con una trappola del diavolo disegnata sopra.
Casa di Bobby, penso.
-       Jen? – la voce di Sam mi giunge da sinistra.
Mi alzo lentamente, sentendo la testa girare, e lo guardo.
-       Cosa è successo? –
-       Non lo so. Castiel ti ha portata da Dean, e lui ti ha portata qui. Sei rimasta svenuta due giorni. Ci stavamo preoccupando. –
-       Dov’è Dean? –
-       Di sotto. –
-       Lo fai salire, per favore? –
Lo vedo annuire e uscire. Sospiro, risiedendomi nel letto. Incrocio le gambe, appoggio la schiena al muro e cerco di riflettere.
Dean entra, guardandomi.
-       Che c’è? –
-       Vieni. –
Si siede accanto a me, e noto che il taglio è stato ricucito. Gli prendo il braccio, stringendolo e osservando la cucitura.
-       Tra qualche settimana non ci sarà più. –
Lo ignoro, e poso le labbra sulla sua spalla.
Di nuovo la scossa.
Lo sento sobbalzare, e ritrarsi, e, controvoglia, lo lascio andare. In fondo ha ragione.
Non so perché l’ho fatto. Speravo solo che fosse la cosa giusta da fare.
-       Ma che… ? Di nuovo? –
Non ho bisogno di guardare per sapere che il taglio è guarito. Questa cosa mi spaventa.
Mi chiedo dove andrà a finire.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


Passarono i mesi.
La situazione peggiorava, Lilith spezzava sempre più sigilli e i demoni combinavano danni, inebriati dal futuro ritorno del loro “padrone”.
Io e i Winchester stavamo a casa di Bobby, e ci allontanavamo solo per le caccie. Vampiri, spiriti, lupi mannari, demoni, leggende e cose così.
Ma c’era qualcosa di diverso.
Ed ero io.
 
-       Jen? – mi chiese Dean, bussando alla porta.
Da due mesi la cantina era diventato il mio quartiere generale, passavo più tempo lì che con i ragazzi.
-       Jennifer!! Castiel!! Volete uscire di lì oppure devo sfondare la porta? –
-       Stiamo arrivando, Dean! –
Lasciai cascare le dozzine di lattine che tenevo sospese a mezz’aria, e mi alzai salendo piano gli scalini.
Ma una forza me lo impedì.
-       Prova a battermi –
-       Castiel… -
-       Dai, Jenny, dobbiamo vedere come te la cavi con gli angeli –
Sospirai. Visualizzai nella mia mente il muro di forza che avevo davanti, poi cominciai a forzarlo. Estesi un mio campo di forza e circondai quello di Castiel, continuando a mettere pressione.
Dopo qualche secondo, il muro esplose, e io ne approfittai per girarmi e spedire Castiel contro il muro, lasciandolo bloccato lì. Poi salii di sopra.
L’odore di pancakes appena cucinati mi attirò fino in cucina, dove trovai i ragazzi e Bobby impegnati a parlare della prossima caccia. Li salutai, cercando di evitare gli occhi di Dean, e mi fiondai sul cibo.
-       Allora, in una citta vicino New York quattro persone sono “impazzite” e hanno cominciato a uccidere persone… Ci stai? –
-       Mmh… -
-       OK, dov’è Castiel? – mi chiede Dean.
-       Cazz… -
Mi alzo di scatto e riscendo in cantina, trovando Castiel come l’avevo lasciato. Le mie risate attirano gli altri che mi guardano interrogativi mentre io, con le lacrime agli occhi, schiocco le dita e Cas casca a terra.
-       Come hai fatto?!?! – mi chiedono tutti.
Loro non sanno quello che ora so fare. Solo Dean lo sa. Sono due mesi che mi alleno per sviluppare i miei poteri, e ora so far lievitare gli oggetti, costruire campi di forza, far comparire cose e bloccare un angelo, come avevo fatto poco fa. So uccidere un demone solamente toccandolo, uccidere un vampiro guardandolo negli occhi e curare la licantropia. E guarire le ferite.
Sotto alcuni aspetti, ora le caccie sono più noiose, in quanto so quasi sempre di cosa si tratta, dove è il colpevole e lo uccido in 10 minuti.
-       Lasciate perdere… -
Castiel mi sorride, un sorriso che ricambio subito. Ultimamente mi ha molto aiutata, mi sono allenata con lui, ho imparato a combattere (meglio di prima) e a sviluppare i miei poteri mentali.
Solo che non ho ancora capito perché ho questi poteri. Ma credo che la domanda più giusta da fare sia:
COSA SONO?
Non lo so ancora. Ho fatto un sacco di domande a Castiel e lui non mi ha mai risposto. Non capisco cosa sia tutta questa segretezza.
 
 
Due giorni dopo, il caso era concluso, io e i ragazzi avevamo scovati i demoni e li avevamo uccisi. 17 demoni. Un numero enorme, e in questo momento mi sento svuotata di ogni forza.
Siamo sull’Impala e io sono distesa nel sedile posteriore, mentre i ragazzi sono davanti. Bobby è restato a casa e Castiel è andato ‘affanculo nel Regno dei Cieli. Sorrido al pensiero.
Arriviamo al nostro squallido motel, è un anonimo blocco di cemento grigiastro con una piccola scritta luminosa che recita “King”. Che nome stupido per un albergo da quattro soldi.
Sono talmente stanca che non mi accorgo che, mentre infilo la chiave nella toppa della porta della mia camera, c’è qualcuno dietro di me. Sento solo la botta in testa, e poi il buio.
 
Non so per quanto tempo sono stata svenuta. So che in mezzo a quel buio dietro i miei occhi c’erano degli sprazzi di coscienza, come se in alcuni punti avessi aperto gli occhi. Ricordo una specie di magazzino, visto dal basso, quindi prima ero accasciata a terra. In un altro sprazzo sembravo in piedi, ma come era possibile?
-       Jennifer!!! – la voce di Dean, allarmata, mi riscuote un poco dalle tenebre.
Ma non riesco ad aprire gli occhi. Qualcosa di malvagio e terribilmente doloroso è a contatto con i miei polsi, le mie caviglie, e … qualcosa dietro la mia schiena. Ma il dolore proseguiva.
Sbatto piano le palpebre, ma la mia vista è annebbiata da… sangue? È sangue quello che mi è colato sulle palpebre? Evidentemente è il mio, perché ho un gran mal di testa, e il corpo che mi pulsa.
-       Ben svegliata, principessa – un uomo mi si para davanti, con gli occhi neri. Non ci vuole un genio per  capire che è un demone.
-       Cosa vuoi da lei? Perché è legata così? –
Dean. È legato davanti a me, oltre quell’uomo, e prima non l’avevo notato. Sembra illeso, ed è legato come Cristo in croce. Mi guardo. Sono legata anch’io così, solo che le catene sono diverse, nere con bagliori rossastri, e altre mi stringono la schiena fino in su, come se stringessero qualcos’altro. Ma che cavolo…?
-       Dean, quante domande… - ne arriva un altro, sorridendo, e Dean lo guarda spaventato.
-       Alistair… -
-       Eccomi qua, tesoro. – mi si mette davanti. – iniziamo? –
Afferra un estremità della catena e tira.
Le mie urla si disperdono nell’aria, mentre sangue scuro mi esce dai polsi e dalla schiena.
Dio, penso, annaspando. Cos’hanno quelle catene di speciale?
Provo a sondarle, ma i miei poteri sono spariti. Ma che… ?
-       Non hai più niente, tesoro… - come se mi avesse letto nella mente, Alistair sorride.
-       Ora… Mostrale. –
-       Cosa? – fatico a chiedere.
-       Oh, lo sai benissimo. –
-       Non so di cosa stai parlando. –
Con un enorme sforzo, alzo la testa, fissandolo negli occhi.
-       Oh oh, una battagliera. Ma non per molto. –
Prende un coltello e lo immerge in una boccetta, piena di uno strano liquido rosso. Sento dei sussurri
provenire da quella cosa, che diavolo è?
Con uno scatto fulmineo, mi pianta la lama sotto lo sterno, guardandomi negli occhi.
Pochi secondi, e quel sangue entra in circolo, bruciandomi.
Altre urla.
Perdo coscienza.
 
 
-       Lasciala stare, ti prego… -
-       Oh no, Dean, lei è molto importante per me… -
-       Cazzo, Alastair, ti prego! Giuro che… ti servirò, farò qualunque cosa mi chiederai, ma ti prego, lasciala andare! –
-       No, Dean, tappati quella boccaccia. –
Apro gli occhi e vedo Alistair che punta un coltello sulla gola di Dean. Ed esplodo.
-       STAI LONTANO DA LUI. –
Mentre lo dico, qualcosa compare alle mie spalle, dapprima lentamente, poi più velocemente. Non ho
bisogno di voltarmi per sapere cosa sono. Ne ho preso coscienza mentre ero svenuta.
 
Le mie ali nere prendono spazio tra le catene, trovandosi quindi costrette a stare immobili. Ma non mi importa.
-       Allontanati, ora. – sento qualcosa mutare nei miei occhi, e non ho bisogno del respiro trattenuto di Dean per capire che sono neri. Me ne occuperò dopo.
-       Non dovresti parlarmi così . –
-       Oh, ma davvero? – rido, senza allegria, continuando a fissarlo. Se gli sguardi potessero uccidere…
-       Non si parla così al proprio padre. -

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Cap. 10 ***


DEAN.
 
Dean guardava Jennifer cercando di capire cosa diavolo stava succedendo.
Sapeva che la ragazza aveva qualcosa di speciale, ma fin ad ora non era riuscito a determinare cosa fosse quel qualcosa.
E ora quelle ali, nere per giunta, e quegli occhi…
Dean si sentiva come un bambino, che guarda ma non capisce, o, per meglio dire, non vuole capire.
-       Cosa ti aspetti, padre? Che ti tratti come una persona di famiglia? –
-       Oh, no, piccola mia, ma… vedi, sei quello che sei grazie a me, se no la tua grazia sarebbe stata sopraffatta dal legame che hai con questo misero umano… -
Grazia? Legame?
Ma che diavolo…?!?!?
Allora, pensò Dean, quadro della situazione:
1.       Evidentemente, Jennifer, non si sa come, è un angelo.
2.       Ha le ali nere, e gli angeli ce le hanno bianche.
3.       Gli occhi possono essere neri, come quelli dei demoni.
4.       Alistair è il padre.
Morale…?
Boh.
Dean non sapeva come uscirne, ma colse, con la coda dell’occhio, un movimento delle ali di Jen. Quelle ali, così nere, forti e imponenti, eppure così delicate e, all’apparenza, soffici, lo attiravano in un modo che non  riusciva a spiegarsi. Sarebbe stato ore e ore, anche giorni, ad accarezzarle, a passare le dita tra ciascuna piuma e scoprire se sono così lisce e morbide come appaiono, a provare a bagnarle per vedere se sono impermeabili o se assorbono l’acqua.
Si riscosse, in tempo per vedere quelle ali, così belle, muoversi, vibrando sempre più forte.
Alistair sembrava spaventato, incredulo.
-       Vedi, padre – Jen pronunciò quella parola con sdegno – queste catene, capaci di intrappolare gli angeli, sono fatte con sangue di demone. Tu, essendo uno di loro ed essendo mio padre, mi hai dato il tuo sangue, e quindi… -
Le ali, con un colpo deciso, spezzarono le catene, e Jen scese dal piedistallo sul quale era legata. Alistair non fece in tempo a scappare che lei lo aveva bloccato al muro con una mano, mentre nell’altra si andava pian piano materializzando un lungo coltello, con la lama cesellata e dall’aria letale.
-       Tu non puoi uccidermi, sono tuo padre!!!! –
-       Oh, ma davvero? – e, con un colpo, gli tagliò la gola.
Non stette neanche a guardare il corpo cadere a terra e le membra percorse da lampi, che si girò verso Dean e si avvicinò, le ali ripiegate ai lati del corpo.
-       Dean..? – chiese, vedendo che il ragazzo si ritraeva.
-       Che cosa sei? – Dean non si era sentito così turbato in tutta la sua vita.
La ragazza che aveva imparato a conoscere, che aveva sopportato, che amava, dannazione, non era quella che pensava. Era qualcosa di terribile e lui non riusciva a determinare in quale categoria rientrasse.
-       Sono sempre io… - sfiorò le catene che lo tenevano legato ed esse scomparvero, facendolo accasciare lungo il muro.
-       No non è vero. –
-       Mi permetterai di spiegarti? –
Dean guardò i suoi occhi, ora verdi, preoccupati per lui e… cos’era quella cosa nel fondo? Affetto? Comprensione? Non riuscì a capirlo.
-       Ok. – si sedette per terra e la guardò, sfidandola con lo sguardo.
 
 
Jennifer si sedette sul pavimento, avvolgendosi nelle proprie ali, così da apparire come una buffa palla di piume nere dalle quali spuntavano due occhi verdi. Dean trattenne a stento un sorriso.
-       Scommetto che già sai la storia di Michele e Lucifero, giusto? –
-       Si, certo, come conosco quella storia del cazzo sui tramiti. –
-       Quello che non sai è che Michele era destinato a fondare una discendenza, che avrebbe dovuto uccidere Lucifero quando esso si sarebbe liberato dalla gabbia. Lui non doveva dominare, o per gli uomini sarebbe stata la fine. –
Dean si mise più comodo, capendo che la spiegazione sarebbe stata lunga.
-       Allora Dio disse a Michele che, quando l’Apocalisse avrebbe cominciato a manifestarsi, si sarebbe dovuto unire con una donna. –
-       Unire?!’ Nel senso di… fare sesso? – chiese Dean, sorridendo.
-       Esatto. E così fece. Ma non tutto andò liscio. La creatura che risultò fuori era umana. Qualcosa era andato storto, uno sbaglio, forse. Non so esattamente. Poi un arcangelo, Gabriele, fornì la spiegazione. La grazia era assuefatta dalla mortalità, non era abbastanza forte da alzare la testa e combattere. Era troppo pura e debole. Andava contaminata.
E qui entra in scena Alistair. –
Jennifer si alzò, camminando fino alla fine della sala, e prese del gesso, una ciotola e delle rose rosse da sopra una credenza che Dean non aveva notato, perché era dietro le catene dove prima lei era appesa. Lei tornò al suo posto, si sedette e fece un cerchio attorno a loro due, con il gesso, poi mise la ciotola esattamente al centro e prese a togliere i petali dalle rose, mettendoli sul fondo della scodella.
-       Serviva un demone. E non uno qualsiasi, ma uno che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nell’Apocalisse, perché avrebbe spinto l’Uomo Retto a torturare le anime. – sorrise a Dean.
Jennifer finì di “spennare” le rose e guardò Dean negli occhi, schioccando le dita. Un fuocherello si accese dentro la ciotola, bruciando i petali e spandendo per il magazzino un dolce e piacevole profumo.
-       Non credo che Alistair abbia mai saputo che l’ingravidamento di mia madre era voluto dagli angeli. Sta di fatto che lo fece, e mia madre rimase incinta di me. E così la cosa era fatta.
L’essere risultante non avrebbe avuto coscienza del suo destino, fino a quando non avrebbe incontrato un angelo e… beh, l’amore. – Jen sorrise a Dean.
-       Come, scusa? – Dean la guardò scioccato, perdendo il filo.
-       Tu, Dean. Sai, mi sono innamorata di te dal primo istante che ti ho visto, anche se ero troppo orgogliosa per cedere ai tuoi scherzi o alle tue battute maliziose – sorrise, guardando in basso – ma non era solo questo il motivo. Ed è questo che voglio scoprire. –
Chiuse gli occhi, mentre mormorava a bassa voce delle parole strane, con una cadenza diversa dall’inglese e da qualsiasi lingua che Dean avesse mai sentito. Dalle sue mani, poggiate sulle ginocchia incrociate con i palmi verso il su, cominciò a spargersi una strana luminescenza, che divenne sempre più forte, così tanto che Dean fu costretto a chiudere gli occhi.
Si accorse dell’improvviso silenzio solamente quando un bruciore lancinante gli percorse l’avambraccio destro. Con un lamento, si alzò la manica, vedendo che, lentamente, sulla sua pelle si andava incidendo una parola, scritta con motivi gotici e a spirale: JHope .
Alzò gli occhi per chiedere a Jen il perché di quella scritta, ma vide che anche lei si fissava stupefatta l’avambraccio destro, dove si era formata la parola: DHope .
-Che cos’è? – le chiese Dean, mentre il dolore scemava.
- Una cosa che non credevo potesse essere vera. – lei sorrise, guardandolo, gli occhi verdi lucidi e felici. – E’ un codice, e vuol dire che… beh, sono il tuo angelo custode. –
- Come? – Dean la guardò, mentre veniva preso da un capogiro.
Si accorse di essersi accasciato a terra solamente quando vide Jennifer sopra di lui, che lo guardava preoccupata. – Dean, stai bene? –
Lui non rispose, rapito dal fruscio lento e morbido dell’ala accanto a lui, e protese una mano per accarezzarla, affondando le dita nelle piume.
L’ultima cosa che vide, prima di svenire, furono gli occhi terrorizzati di Jennifer.
Poi il buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


Dean non sapeva quanto era stato svenuto, ma sapeva che era molto, più di quanto riuscisse a ricordare.
Faceva sogni strani, confusi, ma c’era sempre Jennifer in essi. Non riusciva a togliersela dalla testa, ma aveva paura di lei. Era un demone, dannazione!
Ma è anche un angelo…. Disse una parte della sua coscienza.
Non sapeva che fare. 
 
Passò una settimana, e ancora non si era svegliato. Bobby, Sam e Castiel non potevano far altro che aspettare, preoccupati. Jennifer stava sempre con lui, accanto al letto, seduta su una sedia, non lo lasciava mai, non mangiava, non dormiva, come testimoniavano le occhiaie attorno agli occhi verdi.
Gli altri le avevano chiesto cosa era successo, e lei non aveva saputo rispondere. Ma Castiel sembrava sapere, e non aveva insistito. 
Dean andava dal sonno più profondo agli incubi. Non accennava a svegliarsi. 
 
Era sera, quel giorno, ed erano tutti attorno al letto nel quale giaceva Dean. Erano passati esattamente nove giorni. E Jennifer era stanca. 
- Ora basta. –
Senza badare agli sguardi degli altri, si sedette accanto a Dean e gli alzò la manica, scoprendo l’avambraccio destro. La scritta JHope riluceva traslucida sulla pelle, come un tatuaggio, ma lei sapeva che se avessero provato a sfregiarla o a toglierla non ci sarebbero riusciti. 
Indecisa, come se non sapesse cosa fare, poggiò piano le labbra sulla scritta, chiudendo gli occhi.
Cazzo Dean svegliati dannazione, non lasciarti andare… Ho bisogno di te…
Alzò il capo e vide due profondi occhi verdi che la guardavano.
 
 
Era con Sam e John, in un prato in mezzo al bosco. Si ricordava quella giornata, era il 20 aprile, e la mamma era morta da 6 anni. John li aveva portati lì perché c’era un caso da seguire, dei vampiri impazziti avevano ucciso delle persone. 
Non sapeva di stare sognando. Si mise a pulire i coltelli, passandoci sopra una pezza e poi cominciando ad affilarli. 
Fu allora che sentì una voce che lo chiamava, dal bosco: - Dean… -
- Chi è? – Dean si avvicinò agli alberi, inoltrandosi lentamente tra i rami.
Vedeva una figura camminare davanti a lui, era vestita di bianco, con una lunga chioma di capelli lisci e neri. Gli ricordava qualcuno, ma non sapeva chi. Nel frattempo l’avambraccio destro cominciò ad arrossarsi e lui, sovrappensiero, si mise a grattarlo.
Smise solo quando avvertì sotto le dita una scritta in rilievo: JHope. Un altro fruscio, e la ragazza fu davanti a lui, stregandolo con i suoi occhi verdi e le labbra rosse e carnose.
Non seppe neanche perché, probabilmente fu un mero istinto, ma la baciò, mettendole una mano fra i capelli e l’altra dietro la schiena, attirandola verso di lui. E non vide neanche le sue ali, le ali nere di quella ragazza, che lo avvolsero in un abbraccio, facendo scomparire il paesaggio intorno a loro.
Sentì una voce nella sua mente : Ho bisogno di te…
E decise di tornare.
 
- Cosa è successo? – chiese Dean a Jennifer quando furono soli.
E questo fu circa tre ore dopo il suo risveglio, dopo saluti vari, cibo e una doccia. Gli serviva proprio.
- Cosa ricordi? –
Erano distesi nel letto, entrambi nella stessa posa: su un lato, con la testa sostenuta dalla mano, appoggiata tramite il gomito al materasso. Si guardavano negli occhi.
- Ricordo Alistair, il rituale, le tue spiegazioni… - Dean si soffermò a guardare alle spalle della ragazza per vedere se c’erano le ali – poi più niente. –
Jennifer sospirò. – Sei svenuto, dopo aver toccato le mie ali. Non avresti dovuto farlo. –
- Perché? –
- Perché ora sei nei guai. –
- Che vuoi dire? –
- Quando mi hai toccato…. Beh, ecco, ho trasferito un paio di cose su di te. Ora sei in grado di vedere le ali di tutti gli angeli, non solo le mie, puoi uccidere i demoni e … - si fermò, abbassando il viso.
- E? – Dean le alzò il mento, per poterla guardare negli occhi.
- Beh, ora abbiamo un legame. –
- Che intendi dire? –
- Hai sentito al mia voce, vero? Nella tua mente – 
- Si, ma… -
- Ecco il legame. –
Jennifer si alzò, accorgendosi della vicinanza dei loro visi, e uscì di corsa da quella stanza, turbata.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


Era sparita. Dean non sapeva dove era andata, era passata una settimana e gli mancava, ora più che mai.
Ma non poteva stare a cercarla, anche perché non sapeva da dove cominciare. E quindi cacciava. Non si prendeva un attimo di pausa tra un caso e l’altro, e alcune volte Sam l’aveva dovuto pregare per addormentarsi.
E, mentre dormiva, un paio di occhi verdi lo sorvegliavano dall’alto.
 
 
-       Cosa stai facendo? –
Castiel era riuscito a trovarla, finalmente. Lei era invisibile, in quella stanza d’albergo, seduta sopra il tavolo. E da lì poteva controllare Dean.
-       Cosa credi che stia facendo? – ribatté lei, sbuffando.
A Castiel faceva tenerezza. Era ancora una bambina, quella davanti a lui, stretta in dei jeans strappati e in una canottiera azzurra, in netto contrasto con il nero delle ali alle sue spalle, abbandonate lungo i fianchi.
-       Io dico che ti stai nascondendo. – si sedette accanto a lei.
-       Da cosa? –
-       Da Dean. –
-       Come potrei nascondermi da lui? Avverte la mia presenza, solo che non riesce a comprendere. –
-       Ma comunque ci provi. –
-       No, sono il suo angelo custode, lui mi ha vista e mi ha toccata. Il danno è fatto. –
-       Era inevitabile. –
-       Invece no, ho solo sbagliato. –
-       Smettila di incolparti, Jennifer. Quel ragazzo ti ama, e anche tu, nel profondo, lo ami. Come fai a non accorgertene? Ho notato che ogni volta che si parla di lui ti si illuminano gli occhi, che appena lo guardi rabbrividisci istintivamente e il tuo cuore parte. Perché non ascoltarlo? –
-       Perché è sbagliato. –
-       No invece. Niente è sbagliato se lo decidiamo. Bisogna solo rischiare. –
E la lasciò sola.
Jennifer non sapeva cosa pensare. Ultimamente la situazione era precipitata, in una settimana aveva scoperto di essere un angelo, un demone e di essere la custode di Dean. Era a pezzi.
Era dannatamente stanca. Ogni cosa sembrava sfuggirle di mano.
La sua unica certezza era Dean…
Si rese visibile, avvicinandosi al letto dove il ragazzo dormiva. Era ancora vestito, si era buttato a pancia in su sbottonandosi solo la camicia, così era restato in maglietta.
Jen si sedette accanto a lui, gli prese la testa in grembo e, stando attenta a non svegliarlo, cominciò ad accarezzargli piano i capelli, pensando.
 
 
Sapeva che era un sogno, solo che era molto reale. Era tutto buio, non distingueva il pavimento sotto i suoi piedi, tutto era nero.
Ad un certo punto nella parete davanti a lui (presumendo che fosse una parete) cominciarono a delinearsi delle piccole linee irregolari…
Capii che quello che aveva davanti non era un muro ma un’ala, e quelle linee erano i contorni di ogni piuma, nera come la notte.
Dean percepì subito la differenza del tessuto contro la sua nuca, dapprima ruvida, e ora liscia e … viva.
Sbatté piano gli occhi, e nello stesso momento sentì che la mano che gli stava sfiorando la pelle tra i capelli (non l’aveva percepita prima perché gli era parsa un’abitudine, nonostante non fosse mai successo) si fermava.
-       Jen? – chiese, con la voce impastata dal sonno.
Sapeva che era lei perché stava bene, si sentiva libero da ansie e preoccupazioni.
-       Ti ho svegliato? Scusa… - la sua voce gli giunse da sopra l’orecchio sinistro.
-       No no tranquilla… -
Dean si tirò su, per poterla guardare negli occhi. Dio, è ancora più bella dell’ultima volta, pensò.
-       Che ci fai qui? –
-       Niente, infatti… dovrei andare… -
Fece per alzarsi, ma lui, istintivamente, la trattenne per il polso e, appena lei si girò, la baciò, senza darle il tempo di reagire.

 
Dopo due ore e mezza, Dean aprì piano gli occhi, scuotendosi dal torpore che avvolgeva le sue membra. Si stiracchiò piano, cercando di non svegliare Jennifer, che dormiva nuda accanto a lui. Erano avvolti nelle sue ali, in una specie di tenda nera.
Non ricordava esattamente quale era stato il motivo scatenante, ma di punto in bianco avevano cominciato a baciarsi, poi a spogliarsi e… ed erano andati a letto insieme. Ora lei sembrava così serena…
Osservò come ad ogni respiro il suo petto e le ali si sollevavano piano, con un debole fruscio. Le sfiorò piano una spalla, restando a guardarla incantato.
Dei passi nel corridoio dell’albergo lo distrassero, seguiti da Sam che aprì la porta.
-       Dean, ho delle… - rimase fermo immobile guardando il letto.
-       Ehm, Sam, avresti la delicatezza di tornare tra un paio d’ore? –
-       Uh, certo. – e richiuse la porta, scomparendo.
Dean riportò lo sguardo su Jen, in tempo per vederla aprire piano gli occhi.
-       Dean? Tutto a posto? –
-       Si, tranquilla, torna a dormire… -
Le diede un bacio e la abbracciò, sentendo il suo respiro rallentare. Si addormentò poco dopo.
 
Quello che Dean non sapeva era che Sam non aveva visto niente, perché c’era qualcosa di opaco e scuro che li copriva, come se fossero delle ali…

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Cap. 13 ***


-       Quindi dobbiamo sbrigarci, a quanto pare non abbiamo molto tempo… -
 
La prima cosa che sentì Dean appena aprì gli occhi fu la voce di Jen che parlava con qualcuno.
La persona davanti a Jennifer era un ragazzo sui trent’anni, biondo, ben piazzato, con dei penetranti occhi azzurri.
-       Ben svegliato, Dean.. –
-       Chi è lui? –
-       Ti presento Balthazar, uno dei luogotenenti delle schiere angeliche.-
Dean fu distratto del bagliore dietro quell’uomo, mentre pian piano la sua vista di abituava, permettendogli di vedere due grandi e candide ali, così bianche da fare quasi male. Tremavano, come se dovessero scattare da un momento all’altro. Erano in netto contrasto con quelle nere di Jen, che erano rilassate lungo i fianchi, mentre le punte delle ali si protendevano istintivamente verso di lui.
-       Quindi quello è il vero aspetto delle vostre ali, giusto? – chiese.
-       Come diavolo… ? – Balthazar lo guardò, stupito dal fatto che riuscisse a vedere le sue ali.
-       Non è il momento delle spiegazioni.
Dean, Lilith ha spezzato il terz’ultimo sigillo. È sempre più vicina a Lucifero e noi dobbiamo… agevolarla. –
-       Come, scusa? –
-       Deve spezzare la gabbia per permettere a Lucifero di uscire. –
-       Ma… -
-       Dean, devo ucciderlo. Come posso farlo se è all’inferno? –
Dean dovette ammettere che aveva ragione. L’unica cosa da fare era lasciar svolgere il proprio compito a Lilith.
-       E quindi, che facciamo? –
-       Dobbiamo preparare tuo fratello – intervenne Balthazar, risparmiando a Jen il compito di spiegare.
-       Sam? Perché? –
-       Deve uccidere Lilith.-
-       Non ci sto capendo niente. – Dean si prese la testa tra le mani. – Lilith non vi serve per spezzare i sigilli? –
-       Si, ma lei è l’ultimo. –
-       E perché Sam? –
-       … Perché così è scritto. – e scomparve.
Dean guardò Jennifer, ma lei lo evitava, guardando fuori dalla finestra.
Non sapeva che dire, lei gli appariva così fredda, e distaccata, come se la notte prima non ci fosse mai stata. Ma fu lei a parlare per prima.
-       Devi starmi lontano. –
-       Come scusa? –
-       Hai sentito. Più ci avviciniamo alla fine, più i demoni cercheranno di rallentarmi, o farmi del male, e tu potresti essere un’arma per riuscirci. –
-       Ma… -
-       Niente ma, Dean. È importante. –
Dean ebbe l’impressione di aver visto passare un sorriso, nelle sue labbra, un sorriso di trionfo, amaro, ma non era sicuro, era successo in un attimo. E le ali…
Avevano qualcosa di sbagliato. Erano immobili, granitiche, come se la sua proprietaria non conoscesse affatto i muscoli per muoverle, ed erano fredde, si vedeva perché alla luce del sole non riflettevano la luce ma … Sciocchezze, pensò Dean.
-       Devi fare una cosa. Lilith spezzerà l’ultimo sigillo tra due giorni, in una chiesa sconsacrata a Chicago, quella nella piazza principale. Porta Sam, ci servirà, quindi digli di bere molto sangue.
Ora devo andare. –
Fece per avviarsi, ma Dean la bloccò.
-       No, aspetta. Perché ti comporti così? –
-       Così come? – la voce di Jen tradiva una leggera tensione, come se cercasse di trattenersi.
-       Così! Come se non fosse mai successo niente, come se non ci amassimo. –
-       Perché è così, infatti. Dean, credi davvero che io ti ami? Oh suvvia, non sarai tanto stupido. Sono il tuo angelo custode, non è necessario amarti. Sei solo uno stupido umano del quale occuparsi. Non sei niente. –
Dean giurò, questa volta era sicuro, di aver visto i suoi occhi diventare bianchi, totalmente bianchi, prima che lei sparisse.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Cap. 14 ***


Due giorni dopo, i fratelli Winchester erano in quella chiesa.
Dean non aveva raccontato a nessuno quello che aveva visto, sicuro che fosse stato solo uno scherzo della luce, o una sua impressione, ma più passavano le ore, più si rendeva conto che c’era qualcosa di sbagliato. Terribilmente sbagliato.
-       Dove dobbiamo andare? – chiese Sam, fermandosi davanti ad un bivio.
La chiesa era enorme, scura e polverosa, come se nessuno ci mettesse più piede da anni. Strano.
-       Mmh tu che dici? –
-       Destra. – e detto questo, si inoltrò nel passaggio.
A  Dean non restò altra scelta che seguirlo.
Si chiese dove fosse Castiel. Era stato due giorni a chiamarlo, per accompagnarli, la situazione non gli piaceva proprio, ma l’angelo non si era fatto sentire. E questo era più che sospetto. Dean non sapeva cosa pensare.
Il passaggio era stretto e basso, dovettero camminare con il busto chinato, ma verso la fine si allargava e si vedeva una luce.
Si ritrovarono in una grande sala, sembrava una navata qualunque, le panche erano accatastate ai lati, l’altare era ingombro di coppe e in fondo erano piantate non una, ma due croci, vuote.
-       Benvenuti, vi aspettavo. – una ragazza sui vent’anni entrò da una porta a lato dell’altare, lentamente.
Era vestita di bianco, semplice, i capelli biondi le ricadevano sulle spalle e le labbra erano distese in un sorriso. Gli occhi erano bianchi.
-       Lilith. –
-       Si, Sam, sono io. Sei forse sorpreso? –
Fece un movimento con la mano e i fratelli vennero scagliati nelle croci.
Dean si lasciò sfuggire un gemito quando la sua schiena colpì il duro legno, mentre all’istante delle corde gli legavano le mani alle braccia della croce.
-       Ora aspettiamo che la vostra amica si faccia viva. –
-       Non c’è bisogno di aspettare. – disse una voce dal fondo della navata.
Dean vide Jennifer avanzare, con un sorriso. Ma non era lei.
Era sbagliata, non capiva come, ma non era lei. Ed era diversa.
Le ali erano afflosciate, e piene di sangue, tanto da temere che fossero rotte. Altro sangue usciva da sotto il top, quindi presumibilmente usciva da un taglio al petto. Sul braccio destro, scoperto, risaltava una massa nera, attorno alla scritta DHope che era diventata rossa, e brillava, mentre varie gocce di sangue stillavano anche da li. Le usciva sangue dagli occhi.
-       Sai, Lilith, Satanel ha detto che mi darà la grazia se gli consegno i Winchester vivi, quindi vedi di non toccarli. –
-       Grazia? Pensavo che gli angeli ce l’avessero già. –
-       Infatti. Gli angeli. – gli occhi le diventarono bianchi.
Lilith indietreggiò, spaventata, fermandosi contro l’altare.
-       Rekla. –
-       Presente, viva e vegeta. –
-       Che è successo alla ragazza? –
-       Beh, lotta. Soprattutto per quello lì – indicò Dean – ma non può fare niente. Così le ho spezzato le ali per farla calmare, e credo di esserci riuscita. –
-       Lasciala andare!!!!!! –
L’urlo di Dean ruppe la conversazione, e la ragazza, o per meglio dire Rekla, si avvicinò, fino a trovarsi esattamente di fronte a lui.
-       Oh, piccolo, non credo proprio. Vedi, lei mi serve. –
-       Da quanto sei lì dentro? –
-       Da abbastanza per avere visto la tua minuscola voglia nera a forma di falce sulla tua natica sinistra, tesoro. – sorrise, mentre Dean chiudeva gli occhi. – Ma scommetto che vuoi sapere se ero dentro di lei quando avete scopato, e io te lo dirò. In parte. –
-       Che vuoi dire? – la voce di Dean era minacciosa.
-       Sai, l’orgasmo abbassa le difese, e quello è stato un ottimo momento per entrare. Tu non ti sei accorto di niente. Ora zitto. –
Con uno schiocco delle dita, legò e imbavagliò Lilith al pavimento, bloccandola, mentre, preso del gesso dall’altare, cominciava a tracciare un cerchio con una stella dentro. Poi tracciò altri segni dentro e fuori il cerchio.
-       Ora, uccidila. – intimò a Sam.
-       No. –
-       Sammy, fallo. Dovevi farlo comunque. – intervenne Dean, mentre si accasciava sfinito contro la croce.
Dopo qualche secondo, Lilith prese a gemere, mentre una grossa chiazza di sangue le si allargava nella pancia. Un altro scossone, e le si ruppe l’osso del collo. Rekla si sedette sull’altare, le ali afflosciate ai suoi lati, osservando.
Il sangue prese a scivolare sul pavimento, passando sui disegni tracciati precedentemente, rilasciando una debole luce.
Dean chiuse gli occhi, preparandosi al peggio.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Cap. 15 ***


-Lasciala andare, Rekla. –
Una voce costrinse Dean ad aprire gli occhi, per guardare confuso quell’uomo che avanzava lungo la navata della chiesa. Dimostrava all’incirca trent’anni, alto, capelli neri e occhi azzurri, lo sguardo fiero. Era vestito in modo semplice, jeans e maglietta nera, poteva essere chiunque. Ma le ali dietro la sua schiena, immense e bianche, dimostravano che era un angelo.
Rekla sorrise, un sorriso che stonava sul viso di Jennifer, per quanto era maligno.
-       Michele, ma che piacere!!! Ti aspettavo, sai? Volevo vedere quando avresti portato qui le tue chiappe piumate per salvare tua figlia. –
-       Taci, puttana. Quello che stai facendo è l’atto più impuro, stai possedendo un angelo. –
-       Lo so, caro… Ma sai, questa ragazza è così… carina, e pura, nonostante il sangue di demone… e così fragile… -
-       Esci da lei. Ora. –
-       Altrimenti? Sai, penso di non averle fatto abbastanza male. –
 
 
Jennifer non sapeva da quanto era intrappolata lì, in quella prigione buia e tetra che era la sua testa. Sapeva solo che assisteva, impotente, ai disastri che combinava Rekla.
Ogni taglio, ogni goccia di sangue versata dal suo corpo e dalle sue ali le mozzavano il respiro, tutti i sensi erano amplificati la dentro. Era per questo che quando le aveva spezzato le ali, era svenuta dal dolore. Ma niente era comparabile a quello che avrebbe provato di li a poco.
Sapeva cosa Rekla stava per fare, sapeva anche che non poteva opporsi. Aveva visto suo padre, ma sapeva che anche lui non poteva fare niente.
Ed arrivò. Il dolore attaccò direttamente la sua testa, il cervello, la coscienza, tagliando e dilaniando ogni pensiero, ogni ricordo, trasformando tutto il una massa vorticante e sanguinolenta di membra psichiche.
Jennifer sentiva come mille aghi conficcati nelle tempie, ogni parte del suo corpo era come straziata, come se la stessero spellando viva.
Non aveva mai urlato, durante la sua prigionia. Sapeva che se si fosse messa ad urlare il dolore sarebbe diventato reale, e si sarebbe spezzata. E sarebbe stata la fine.
Ma quello era troppo.
Cedette.
Urlò.
 
 
Dean non sapeva cosa Rekla stava facendo, ma vide gli occhi di Jen tornare del consueto verde, mentre il suo corpo si afflosciava sull’altare, immobile.
Ma dopo qualche secondo cominciarono le urla.
Vide la schiena inarcarsi, sollevando quasi tutto il busto dall’altare, e poi ricadere con uno schianto secco sulla pietra, le membra in preda alle convulsioni, e centinaia di tagli comparire lungo la pelle, imbrattare i vestiti, le stoffe, rendendo tutto rosso, rosso e nero come il sangue che usciva dalle ferite.
E lei continuava ad urlare. Urla disumane riempivano l’aria, peggio di qualsiasi tortura.
E Michele non fece niente. Non poteva fare niente. Stette immobile, davanti all’altare, mentre ciò che restava del corpo di Jennifer ripiombava per l’ennesima volta nella pietra, con numerosi schianti.
E poi il silenzio.
Michele fece un gesto con la mano, e le corde che legavano Dean e Sam alle croci scomparvero, facendoli cadere a terra.
La luce del cerchio sul pavimento era ancora debole, ma andava pian piano rafforzandosi, in modo preoccupante. Ma a Dean non importava.
Si avvicinò all’altare, guardando quel corpo straziato e, all’apparenza, senza vita.
-       Dean, vi porterò da Bobby, poi vi manderò Castiel, lui saprà cosa fare. Io devo sparire. – la voce di Michele non lasciava trasparire nulla, ma in fondo ai suoi occhi c’era il dolore.
Un tocco delle dita sulla fronte del fratelli, e tutti e quattro sparirono.
 
Ricomparvero nel salone di Bobby, e si misero subito all’opera.
Dean si occupò di spogliare Jennifer, di lavarla e di metterla in un letto, stando attento alle ferite e alle ossa rotte. Sam e Bobby cercarono nei libri e su internet informazioni e Michele scomparve per cercare Castiel.
Nessuno sapeva realmente cosa fare.
-       Quando si sveglierà? – chiese Dean a Michele, quando l’angelo tornò accompagnato dal fratello.
- … Potrebbe anche non svegliarsi. Dipende da lei. – e scomparve.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Cap. 16 ***


Jennifer sapeva che quel giardino era il paradiso.
Non sapeva dove era il suo corpo, credeva di essere morta. Ma un piccolo filo di coscienza, forse il suo legame con Dean, non lo sa, la lega alla terra.
-       Jen… - Michele va verso di lei, preoccupato in viso. Le ali oscurano il sole.
-       Cosa è successo? Fa male… - la sua voce è sull’orlo delle lacrime.
-       Non importa cosa è successo, importa cosa vuoi fare tu… -
-       Che vuoi dire? –
-       Che il tuo destino è nelle tue mani, nelle tue soltanto. –
-       Ma… se muoio… -
-       Non morirai. – il leggero tremito nella voce di lui le disse che aveva paura.
-       Che succederà al mondo se io muoio? –
-       Il caos. La distruzione. Migliaia di persone moriranno, l’inferno sorgerà di nuovo, in superficie. –
-       Non posso permetterlo. –
Mentre parlavano, si erano diretti verso quel tempietto che Jennifer aveva visto nell’altro sogno.
Era oscurato, ora, come se la luce se ne fosse andata.
-       Ora puoi entrare… -
Jennifer cominciò a salire le scale, e notò che non c’era niente a trattenerla, ma si fermò ugualmente sentendo che Michele non stava salendo su con lei.
-       Non sali? – gli chiese, voltandosi verso di lui.
-       Non posso. – disse, e scomparve, lasciandola sola.
Lei riprese a salire, e gli scalini sembravano non finire mai, così lei ebbe modo di ripensare a tutto quello che era successo.
Si accorse a malapena che, attorno al suo corpo, prima nudo, si stava formando un vestito.
Non si poteva descrivere il colore, sembrava fatto di pura luce, che si protendeva in basso dopo di lei come uno strascico.
Alla fine, dopo quelli che a lei sembrarono secoli, gli scalini finirono, facendola approdare in un… lago?
I suoi piedi, nudi, erano immersi nell’acqua, che andando più avanti, si faceva più profonda. Si chiese cosa doveva fare, ma vide una specie di isoletta, al centro di quell’enorme lago, e dalla luce che emanava, pulsante e ritmica, capì che doveva raggiungerla.
Si, ma come?
Sarebbe annegata.
Ma doveva raggiungere quel posto.
Inconsapevolmente, cominciò ad avanzare, e l’acqua, pian piano, cominciò a salire, alle sue caviglie, le ginocchia, le cosce, la pancia, il seno, la gola…
Scomparve sott’acqua. E non annegava.
Semplicemente, continuò ad avanzare, ma non era il suo corpo. Dentro l’acqua, non aveva un corpo.
Era come essere una corrente, un vento, uno spirito, Jennifer non sapeva esattamente.
Ma sapeva che, guardandosi, aveva come l’aspetto di un lungo nastro pulsante di luce argentata.
Continuò ad avanzare, la mente che pian piano si svuotava.
Si accorse che pian piano cominciava la salita, segno che stava arrivando alla meta.
E di nuovo la sua mente si riempì, colmando delle lacune essenziali.
E Jennifer seppe cosa doveva fare con Lucifero.
Quando riemerse dall’acqua, aveva di nuovo il suo aspetto umano.
Al centro di quel lembo di terra, non c’era assolutamente niente. Solo una buca, nel terreno, con dentro qualcosa che brillava. Jen protese la mano verso quella cosa e la prese, ma capì che non aveva una vera e propria consistenza, era una palla di luce.
La avvicinò al viso, e fu allora che accadde: le entrò negli occhi.
 
Di colpo si ritrovò a casa di Bobby, ma c’era qualcosa di sbagliato, era sospesa in aria davanti a Dean, Sam e Castiel, ma nessuno diede segno di averla vista.
-       Da quanto è incosciente? –
-       Un mese… - il dolore nella voce di Dean era evidente.
-       Parliamoci chiaro, Castiel, quante possibilità ha di risvegliarsi? – era stato Sam a parlare.
-       Non lo so, non ho mai visto quello che è successo, non posso dirlo. –
Jennifer sentì come un richiamo verso una delle stanze, allora si diresse lì, scivolando nell’aria.
E vide il suo corpo disteso sul letto, ancora pieno di ferite. Il volto incavato, senza colore, le trasmise una strana tristezza.
Ci si mise esattamente sopra, fissando quelle palpebre chiuse, i capelli neri in disordine e le ciglia morbidamente adagiate sulle guance.
E disse solo una parola, una sola, prima di fondersi con se stessa.
-       Salbrox malpirgi.*-
 
 
 
 
*salbrox malpirgi (enochiano) =  vivi la vita.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Cap. 17 ***


Jennifer si era risvegliata da una settimana, ormai. E durante tutto quel tempo era stata ad allenarsi, per riprendere le forze in fretta. E nel frattempo Lucifero, risorto, disseminava morte per il paese.
Dean ancora non si era abituato al cambiamento nelle ali di lei.
Non erano più nere, ma bianche, così bianche da fare quasi male agli occhi solo guardandole.
Vorrebbe parlarle, ma lei lo evita. E non sa perché-
 
Dopo un’altra settimana, erano pronti. Si materializzarono in una specie di campo, all’apparenza deserto.
Ma Jennifer sapeva che Lucifero stava per arrivare. Non si poteva rimandare il loro incontro tanto a lungo.
Ma le ore passavano, e di lui nessuna traccia.
Non restava altro che aspettare.
 
Era notte. Tutti dormivano. Anche Jennifer.
Una figura scura si avvicinò al gruppo addormentato, cercando di non far rumore. Quando fu abbastanza vicino, estrasse dal giubbotto una spada angelica, che scintillò nel buio della notte.
Si diresse verso la ragazza, che era rannicchiata in mezzo all’erba, avvolta nelle proprie ali come in una tenda.
 
Jennifer stava dormendo, quando all’improvviso venne destata da dei passi, che frusciavano sull’erba. Sbirciando da dietro le ali, vide un uomo venirle sempre più vicino. Credeva che lei fosse addormentava.
Quando fu abbastanza vicino, lo vide alzare la spada e…
ORA.
Come se fosse stato stabilito, tutti, compresi Sam, Dean e Castiel, scattarono in piedi, mentre Jennifer si alzava, stendendo le ali.
L’uomo non diede segno di essere sorpreso, o agitato. Al contrario sorrise, in modo molto inquietante.
-       Jennifer, finalmente! –
-       Non te l’hanno mai detto che è maleducato avvicinarsi di soppiatto, Lucifero? – chiese lei.
-       Si, ma volevo farti una sorpresa. –
-       Perché volevi uccidermi nel sonno? –
Lucifero irrigidì la mascella.
-       E’ un atto codardo. Se tu non fossi tu, direi che avevi paura. –
-       Io, paura? Ti sbagli. –
-       Oh, ma davvero? –
-       Si, anche perché non sono venuto da solo. –
 
Di colpo, dal buio uscirono dei demoni, dieci, venti, cento, tanti. Troppi.
Jennifer vide i suoi amici combattere, Dean e Sam che si passavano il coltello di Ruby e Castiel che inceneriva i demoni che i fratelli non riuscivano ad uccidere.
Ma non potevano farcela.
 
 
Dean sapeva che non sarebbero riusciti a resistere a lungo. Per ogni demone che cadeva, altri due prendevano il suo posto. Era una lotta disperata.
Sperava solamente che Jen riuscisse ad uccidere Lucifero.
Approfittando del fatto che i demoni se la stavano vedendo con Sam e Castiel, si girò, guardando la ragazza.
Vide Lucifero girarsi verso di lui, con un sorriso, mentre alzava una mano.
Poi il dolore.
Colpì i polmoni, il fegato, tutto.
Un rantolo, uno solo, sbarrò gli occhi, fissando il sangue, il suo sangue, sull’erba, e poi cadde a terra, con gli occhi ancora sbarrati.
Morto.
 
 
Jennifer non riuscì neanche ad intervenire. Vide il sangue che usciva dal petto di Dean, i suoi occhi verdi sbarrati e terrorizzati, e alla fine lo vide cadere a terra.
Aspettò qualche secondo, sperando che un movimento, anche minimo, la avvisasse che dopotutto non era morto, che era vivo, anche se stava male.
Ma niente.
Lei non sentì neanche l’urlo che usciva dalla sua bocca, non sentì più niente, e semplicemente, non fu più lei.
 
 
Era come vedere un film, dall’esterno. Si sentiva come avvolta in una specie di bambagia, sospesa in aria, mentre vedeva il proprio corpo agire da solo.
Si vide mentre alzava le mani, urlava due parole, due misere parole in Enochiano, e tutti i demoni della radura presero fuoco, tra le urla disumane che uscivano da quelle bocche.
Si vide mentre non degnava gli altri di un’occhiata, e si voltava verso Lucifero.
Un lampo di terrore passò negli occhi dell’angelo, e lo vide indietreggiare.
 
La coscienza di Jennifer, sospesa in aria, non capiva.
Perché sono esplosa così?
Cos’è successo di così tanto grave e doloroso da farmi perdere il possesso del mio corpo?
Distolse lo sguardo da sé, e rivolse la sua attenzione a tre persone, accucciate nell’erba.
Una, un ragazzo grande e grosso, piangeva. Sam.
Un altro, un angelo, a giudicare dalle ali imbrattate di sangue dietro di lui, fissava con occhi sbarrati e colmi di dolore il ragazzo disteso a terra. Si ricordò che l’angelo si chiamava Castiel.
Poi guardò meglio quello disteso a terra. Tre profondi squarci tagliavano il suo petto in quattro parti, snudando le costole, un paio delle quali erano state divelte. Gli organi, all’interno, erano esplosi, causando un rimescolamento interno di sangue, polvere d’ossa e brandelli di carne.
Guardò il viso di quell’uomo.
I capelli biondo scuro spettinati, gli occhi verdi sbarrati…
Avevano qualcosa di sbagliato, quegli occhi.
Lei li ricordava più luminosi, più vivaci, più vivi…
Dean.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Cap. 18 ***


Ed ecco la consapevolezza che si faceva strada nella sua testa, e Jennifer venne risucchiata di colpo dentro il suo corpo. Attraverso i propri occhi, vide Lucifero fare un sorriso, e poi si accasciò a terra.
Il dolore la colse ad ondate, mentre si sentiva soffocare.
Eppure percepì che Lucifero non stava facendo niente.
Che diavolo…?!
-       Sai… - la voce dell’angelo caduto era lontana, come se fossero distanti due chilometri, eppure era vicino a lei – si dice che se succede qualcosa ad un umano, l’angelo custode corrispondente sente un lieve fastidio. E più l’angelo è potente, più questo fastidio è forte… E doloroso… -
 
E Jennifer capì. Quel dolore veniva da Dean, veniva dal fatto che Dean era morto e lei non era riuscita ad evitarlo, nonostante tutto.
Si sentì investire dal senso di colpa, mentre stringeva i pugni attorno ai fili d’erba, davanti a lei, e chinava la testa, appoggiando la fronte alla nuda terra.
-       Credevi di potermi battere… - senti le dita di Lucifero sulla nuca, mentre le accarezzava incerto la pelle del collo – Scommetto che è stato Michele a dirti che potevi farlo, vero? –
Jennifer annuì debolmente. Sentì lui sospirare, mentre si inginocchiava davanti a lei, prendendole dolcemente il viso tra le mani e costringendola a guardarlo attraverso il velo di lacrime che era comparso negli occhi di lei.
-       Perché ce l’avete con me? –
-       Perché sei malvagio, hai fatto del male a tante persone, Lù, devi essere fermato… - ma la voce di Jen era debole ed incerta, come se non ci credesse pure lei.
E lei non sapeva realmente cosa credere. Gli occhi di lui erano azzurri, un azzurro chiaro e malinconico, e totalmente sinceri. Non sembravano appartenere al Diavolo in persona.
-       Io… non volevo arrivare a questo punto. Amavo mio padre, lo amo ancora, come amo i miei fratelli, ma ho smesso di contare quanti di questi ho ucciso… - la sua voce era triste.
-       Forse è meglio non parlarne qua… -
-       Mi ascolterai? – Jen percepì una flebile speranza nella sua voce. – Nessuno mi ha mai ascoltato. –
-       Si… - gli sorrise, accarezzandogli una guancia.
 
Dopo qualche secondo, Lucifero sparì. Ma Jen sapeva dove era andato.
 
Dopo essersi alzata, si diresse verso Sam e Castiel, che ancora vegliavano sul corpo di Dean.
Castiel la guardò, e lei seppe che aveva sentito tutto quello che lei e Lucifero si erano detti, e che non capiva. Ma non era il momento.
Si inginocchiò accanto alla testa di Dean, guardando dolcemente quegli occhi, così spenti.
Non doveva finire così.
Sfiorò piano la fronte di lui con le proprie labbra, soffiando piano una parola, e un sussulto percorse quelle membra martoriate.
Le ferite si cucirono, gli organi si rimodellarono e le costole tornarono al loro posto, mentre tutto si risanava.
Le palpebre gli si chiusero e poi si riaprirono di scatto, fissando gli altri terrorizzati.
E mentre Sam riabbracciava felice il fratello, e da lui veniva riabbracciato, lei si rivolse a Castiel.
-       Portali da Bobby, staranno bene. –
-       E tu? – percepì l’ansia nella voce dell’angelo. – Non vorrai veramente ascoltarlo… -
-       Ne ha bisogno, Castiel, e poi… non credo meriti la morte… - disse piano.
Percepì che lui tratteneva brusco il respiro, poi la afferrò e la scosse forte.
-       E’ Lucifero, Jennifer!!!!! Il diavolo!!! Quello che ti ha procurato tutto il dolore che hai dovuto subire, quello che ha ucciso Dean, dannazione!! Perché lo difendi? –
-       Perché… non lo so – disse incerta.
-       Invece sono sicuro che lo sai. –
 
Jennifer sapeva perché non doveva uccidere Lucifero. Era semplice.
Non VOLEVA ucciderlo.
Quando aveva guardato nei suoi occhi, aveva visto la sua Grazia martoriata, colma di sensi di colpa, desiderosa di redenzione e perdono. Che nessuno gli aveva dato.
E Jen si sentiva… strana. Voleva salvarlo, voleva… tenerlo con lei.
No. Non posso essermi innamorata di lui.
Oddio, no ti prego.
Ma sapeva benissimo che era successo. E non poteva farci nulla.
Con un sospiro, guardò Castiel. – Portali da Bobby. –
E scomparve.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Cap. 19 ***


Jen ricomparve in Paradiso, nello stesso giardino di sempre.
Ma notò che c’era qualcosa di diverso.
C’erano meno alberi ed era comparso un lago, nero e placido, dove, su una roccia vicino alla riva, era seduto Lucifero, meditabondo.
Le sue ali, nere con riflessi rossastri, sfioravano l’erba, e attorno ad esse gli steli erano secchi e raggrinziti, formando un cerchio di terra morta.
Jennifer si avvicinò all’angelo, e, d’istinto, gli accarezzò il muscolo delle ali, piano, sfiorando le penne e sentendo la forza mal celata dalla pelle.
Tutto ciò provocò un tremito nelle ali, che si protesero verso di lei come per volere altre carezze, e Lucifero alzò la testa, guardandola. Fece un mezzo sorriso.
-       Sei venuta… - Jen percepì il lieve sollievo nella voce di lui.
Si perse nei suoi occhi. Erano così tristi…
-       Sono venuta per ascoltarti. – si sedette sull’erba accanto a lui, guardandolo.
Percepì le proprie ali sfiorare le sue, e trattenne un gemito di sollievo. Stranamente, si sentiva più tranquilla in sua presenza.
-       Andava tutto bene, qui, all’inizio. Sulla terra c’era il giardino, e noi fratelli camminavamo tra l’erba, facendoci degli scherzi. Non ci annoiavamo mai, e amavamo nostro padre. Poi, un giorno, percepimmo una lieve increspatura nell’aria. Lui aveva creato qualcosa… -
Mentre Lucifero parlava, Jen si accorse a malapena che aveva cominciato ad accarezzare le ali di lui, che ora tremavano. Anche la sua voce era spezzata in alcuni punti. Come se si trattenesse.
Lui, senza rendersene conto, scese dalla pietra, e si distese nell’erba, verso di lei, con le ali protese in cerca di carezze. E nel frattempo parlava, con gli occhi persi nei ricordi e le ali frementi per le coccole.
-       Aveva creato l’uomo, e noi sentimmo distintamente il suo affetto per noi calare, sostituito dall’amore che provava per i suoi nuovi figli. Eravamo curiosi, evidentemente le nuove creature erano migliori di noi, non eravamo gelosi, anzi eravamo orgogliosi. Li avremmo serviti con amore, seguendo la volontà di nostro padre.
Ma quando li vedemmo, a stento trattenemmo l’indignazione. Erano degli esseri pelle e ossa, senza Grazia, senza poteri, senza niente di bello e ammirevole. Ed erano barbari. Si ammazzavano tra loro, erano orgogliosi, disprezzavano nostro padre e credevano che tutto gli fosse dovuto, che tutto fosse loro… - la voce gli si incrinò di nuovo, mentre una lacrima gli scendeva lungo la guancia.
Jennifer la asciugò d’istinto, protendendosi verso di lui, più vicina, facendogli sentire che lei c’era, che lo sosteneva.
-       Li odiavamo, non li reputammo degni di tutto quell’amore, e volevamo chiedere spiegazioni.
Io ero il preferito, e il più piccolo degli arcangeli, ma anche il più forte, al pari di Michele, il maggiore. Fui io ad andare, incitato dai miei fratelli. E quando fui al suo cospetto, glielo chiesi. Gli chiesi “Perché? Perché dobbiamo onorare questi esseri? Sono imperfetti, dovrebbero essere loro ad onorare noi.” Capisci? Non ero invidioso, cercavo solo spiegazioni. – altre lacrime si aggiunsero alle prime.
 
Jennifer lo abbracciò stretto, colpita, e si distese, facendogli poggiare la testa sulla propria pancia. Gli accarezzò i capelli, mentre lui la stringeva, affondando il viso nella sua maglietta, bagnandola di lacrime.
Lei si accorse che le ali di lui avevano cominciato a pulsare piano.
-       E mio padre si arrabbiò. “Tu, come puoi contestarmi? Io ti ho dato la vita e io posso togliertela, e tu devi sottostarti al mio volere!!!” , mi disse. Mi colpì, colpì la mia Grazia, facendomi retrocedere, e poi chiamò Michele. Io guardai mio fratello, in cerca di sostegno, credevo che gli altri mi avrebbero difeso, ero stato mandato da loro, ma… Negli occhi di mio fratello c’era solo obbedienza, disse che non aveva avuto niente a che fare con questa mia idea, che avevo fatto tutto da solo… E mi imprigionarono.
Non era una gabbia normale, quella. Era troppo stretta, per le mie ali, e ogni volta che provavo a muoverle degli uncini le tagliavano, facendomi male, e il mio sangue nutriva l’Inferno. Il sangue sul tetto, quel lago, è il mio. Passarono anni, e alla fine le mie ali divennero come le vedi. Nere, dense di peccato, e alla base delle piume sono rosse, per il sangue. E cercai di vendicarmi. –
Le sue ali avevano cominciato a pulsare più velocemente, e Jen si chiese cosa sarebbe successo. Poi notò che dalla punta delle penne il nero e il rosso cominciavano a svanire piano, scoperchiando un grigio chiaro. La sua Grazia si stava pentendo, e si stava pulendo da sola.
Ma lui non se ne accorse.
-       Ogni demone deriva da ogni goccia del mio sangue, e dalle prime nacquero i più potenti. Pensavo che fosse giusto combattere, che dovessi vendicarmi… Ma ora non credo più che sia la cosa giusta. –
-       Cosa ti ha fatto cambiare idea? – chiese Jennifer.
-       Capì cosa rendeva gli uomini perfetti agli occhi di mio padre. Siete così… puri. Riconoscete i vostri errori e cercate di rimediare, e cercate di fare la cosa migliore, sempre.
Vidi Dean e Sam e capì che non ero stato un buon fratello.-
-       No, furono i tuoi fratelli a sbagliare. – Jen gli sollevò il viso e lo guardò negli occhi. – Ti lasciarono solo dopo averti incitato a chiedere… - gli accarezzò una guancia.
-       Capì che gli uomini provavano dei sentimenti così forti da battere la nostra Grazia, da battere la luce. Capì che combattevano con il male ogni giorno, cercando di non farsi sommergere.
E io vi avevo ceduto. Ero caduto nei meandri del dolore e il male mi aveva sommerso.
Poi vidi te e capì che l’amore li strappava dalle grinfie dell’incoscienza e li costringeva a riflettere. –
 
Jennifer era totalmente impreparata a quell’ultima frase. Lo guardò negli occhi, e li vide puliti, sinceri, liquidi. Vide con la coda dell’occhio del bianco e guardò dietro di lui, riempendosi la vista delle sue ali, finalmente pure. La sua Grazia si era perdonata. Ma gli serviva il perdono del Paradiso, per tornare.
Sorrise, un sorriso dolce, e appoggiò la sua fronte contro quella di lui, accarezzandogli il collo, appena sotto l’attaccatura dei capelli.
-       E io ti perdono, nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo… Amen. – e lo baciò.
 
Lo trasse su di se, continuando a baciarlo, mentre il biancore che emanavano le sue ali pian piano circondava tutta la sua figura. E quando si staccò dalle sue labbra, vide la luce e la forza, la Grazia di un arcangelo, trasparire dalla sua pelle.
E quando lui le sorrise, sincero e felice, lei seppe di aver vinto.
E di aver riportato la pace in Paradiso. E nell’animo di Lucifero.
 
 
Fine.
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Epilogo. ***


Era la vigilia di Natale.
Sotto la pioggia comparve la coppia, che, nonostante il temporale, non si bagnò.
Chiunque li avesse visti, pensò ad un gioco di luci, guardando l’ombra di due paia d’ali protese sulle teste dei due giovani, riparandoli dall’acqua.
Jennifer e Lucifero si diressero verso casa di Bobby. Lei era inquieta.
L’invito era esteso solo a lei, nessuno sapeva che Lucifero, l’ex Dio dell’Inferno, ora era tornato in Paradiso e l’amava. E lei era decisa a far capire agli altri che non era più un pericolo.
Mentre bussava alla porta di Bobby, non si stupì sentendo delle braccia avvolgerla e un respiro contro l’orecchio.
-       Sei sicura? – chiese esitante l’arcangelo.
-       Si, devono accettarti, io sto con te… - si girò per poterlo baciare.
 
Dopo qualche secondo, sentirono un’imprecazione e la voce burbera di Bobby urlò che la porta era aperta.
Quando entrarono in salone, videro una scena molto buffa: Dean che cercava di convincere Castiel a bere della vodka, l’angelo che adocchiava sospettoso il contenuto del bicchiere, Sam che cercava di aggiungere delle decorazioni all’albero di Natale e Bobby che cercava qualcosa in cucina.
Dopo qualche secondo si accorsero di loro, fissarono Lucifero e si bloccarono, spalancando gli occhi. Un secondo dopo un traballante Castiel cercò di mettersi in piedi, ma cascò a terra.
E Jennifer non riuscì a trattenere le risate. Finse di non vedere l’esitazione sulla faccia dell’arcangelo, e il sospetto su quelle dei Winchester e, sempre continuando a ridere, andò ad abbracciare Bobby.
 

 
Dopo un’ora, erano tutti seduti a tavola. I Winchester e Bobby erano ancora leggermente sospettosi, ma Castiel aveva accolto il fratello con calore e ora sembrava a proprio agio, quindi era ok.
Passarono il Natale ridendo, e cercando di far mangiare i due angeli, sospettosi perché non avevano mai toccato cibo.
Lo stupore generale avvolse la stanza quando, di sua iniziativa e sotto il vischio, Lucifero baciò Jennifer, lasciando intendere che lei era SUA. E di nessun’altro.
E Dean, in quel momento, ruppe il bicchiere che aveva tra le mani.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=894082