Una Voce dal Passato

di Ila96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Visita Inaspettata ***
Capitolo 2: *** Sguardi, Sussurri e Carezze ***
Capitolo 3: *** La Lunga Attesa ***
Capitolo 4: *** Monsieur Jolivet e Mr. Legham ***
Capitolo 5: *** Persi in Bilico ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Una Visita Inaspettata ***


Fin da quando ero piccola ho sempre riletto, ogni anno, almeno un'avventura di Sherlock Holmes. Ho visto tutti i film, tutte le serie tv possibili e immaginabili dedicate a questo fantastico personaggio. Fino ad ora, però, non avevo mai osato scrivere niente su di lui, sopratutto su un tema delicato come l'amore, perché non credevo di essere all'altezza di trattare dei personaggi come Sherlock o Watson. Devo dire però che la serie tv della BBC mi ha ispirato parecchio. Mi piace l'idea di riadattare alcuni racconti nel mondo attuale e così finalmente mi decido a pubblicare il primo capitolo.
Mi scuso per eventuali errori di grammatica o altro. Cercherò di pubblicare un capitolo ogni due settimane.
Vi prego, siate clementi! XD

 

Una Voce dal Passato
 

 Capitolo 1
~ Una visita inaspettata ~

 

“Perché soffri, o cavaliere in armi,
E pallido indugi e solo?
Sono avvizziti, qui i giunchi in riva al lago,
E nessun uccello cantando prende il volo.”
La Belle Dame Sans Merci - J. Keats

 

 
 

Rumori di spari, gli uomini urlavano e immense nuvole di polvere e terra si sollevavano arrossando gli occhi e confondendo la vista. Davanti a lui un ragazzo perdeva molto sangue. Doveva fare qualcosa. Doveva salvarlo. Era sua la responsabilità, era lui il medico. Il ragazzo boccheggiava, i polmoni ormai intasati dall'emorragia interna. Stava morendo. Doveva salvarlo. Moriva.

John si svegliò di soprassalto, sudato e angosciato e smarrito.
Si passo una mano sul volto, sospirando, e ricadde tra le coperte. Un altro incubo. Un altro maledettissimo incubo. Non poteva andare avanti così.
Fuori era già giorno, la luce debole del sole filtrava stancamente dalle persiane della finestra.
Novembre.
Si trascinò stancamente in bagno, cercando con lo sguardo la figura famigliare del suo coinquilino. Non c'era, probabilmente stava ancora dormendo. Quando non aveva nessun caso tra le mani diventava davvero stressante. Poteva stare a letto fino a dopo mezzogiorno e quando si alzava trovava i passatempi più bizzarri.
Come sparare al muro, per esempio.
Non fece in tempo a chiudere la porta dietro di sé che qualcuno bussò all'ingresso.
La voce della signora Hudson risuonò dall'altra parte del corridoio chiara e concisa:
- Sherlock, si svegli! C'è una persona che desidera vedervi. Dice che è una questione della massima urgenza! 
John andò velocemente ad aprire.
- Arrivo, arrivo, un attimo soltanto!
Davanti a lui la signora Hudson lo guardava con occhi allarmati.
- Sherlock non c'è?
- Ho paura che stia ancora dormendo...
- Oh, beh, qui c'è una ragazza che dice di conoscerlo.
Lo sguardo di John si spostò sulla sottile figura che indugiava timidamente dietro la signora Hudson.
La ragazza era davvero molto bella. Delicati riccioli castani gli incorniciavano il volto dalla pelle candida e due luminosi occhi verde smeraldo luccicavano dall'ombra. 
La signora Hudson continuò, abbassando notevolmente il tono della voce.
- Dice di essere una sua vecchia amica!
A quella frase John per poco non lanciò un'esclamazione, ma riuscì a trattenersi.
La ragazza sorrise, abbassando lo sguardo e arrossendo appena.
- Oh, prego, la faccia entrare, adesso andrò a svegliarlo immediatamente.
La ragazza si accomodò su una poltrona e iniziò a guardarsi in torno con un sorriso nostalgico sulle labbra.
John le chiese di aspettare solo un secondo. Sarebbe tornato subito.
Andò in fretta verso la stanza di Sherlock, curioso più che mai di sapere chi fosse la misteriosa ragazza che aspettava nell'altra stanza. Bussò più volte, ma non successe nulla. Provò a chiamare ottenendo solo un muto silenzio per risposta. Prudentemente aprì leggermente la porta.
- Sherlock? Sei sveglio?
Alla fine si decise a spalancarla del tutto. Il letto giaceva intatto, la stanza vuota stracolma di cianfrusaglie stava immobile davanti a lui.
Quando ritornò nel salotto vide che la ragazza si era alzata e passeggiava per la stanza, curiosando tra i libri e le foto.
- Sherlock non c'è. Mi dispiace. - annunciò con voce mesta.
La ragazza sorrise.
- Posso aspettarlo?
Aveva la voce molto chiara, cristallina e delicata.
- Certo, si.
- Lei deve essere un militare... No, scusi, un medico... un medico militare. Tornato da poco?
John la guardò sbalordito.
- Come...?
La ragazza sorrise maliziosamente e si risedette sulla poltrona.
- Mi scusi, mi scusi davvero. Le informazioni le ho avute da Mycroft, ma non ho resistito a mettere in pratica quello che Sherlock fa tutti i giorni. E' molto divertente.
- Così lei conosce i suoi metodi? - soggiunse accomodandosi a sua volta sulla poltrona di rimpetto.
- Fin troppo bene. Lo conosco da quando ho memoria. I nostri genitori erano ottimi amici e così io ho passato praticamente tutta la mia infanzia con i fratelli Holmes. Può immaginare...
- Oh Dio...no, non ci voglio pensare...
La ragazza sorrise ricordando un Sherlock bambino ormai scomparso.
- Mi chiamo Lisa Southland, piacere...
- Piacere, John Watson.
- Si, l'avevo intuito.
Osservandola meglio John vide che portava un semplice paio di jeans un po' sgualciti e una camicetta azzurra. Dopo un secondo di imbarazzante silenzio decise di porre una delle tante domande che gli vagavano per la testa.
- Allora... Lei è venuta qui solo per motivi personali o c'è dell'altro?
Lisa sorrise e rispose abbassando leggermente il capo.
- Immagino che Sherlock non le abbia mai parlato di me...
- No, a dir la verità no, mai.
- Lo sapevo. Beh, diciamo che i nostri rapporti negli ultimi tre anni non sono stati dei migliori. Anzi, se devo essere sincera non ci sono proprio stati.
- Non avete mai parlato?
- Oh, io gli avrò spedito un sacco di e-mail, ma non ho ricevuto nessuna risposta.
- Avevate litigato?
La ragazza abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente, e John si sentì davvero imbarazzato dal suo comportamento.
- Mi scusi. In genere io non faccio tutte queste domande. Capisco perfettamente che non sono affari che mi riguardano.
Lisa gli sorrise e scosse la testa.
- No, no. Non si preoccupi. Comprendo la sua curiosità. Infondo per voi Sherlock è un amico, ma anche una persona molto eccentrica. Non avete mai sentito nominargli una donna se non come parte di un indagine.
John annuì e aspettò che continuasse. La ragazza aveva tradotto in parole i suoi pensieri.
- Vede, è complicato. Il litigio è iniziato tutto per una semplice battuta. Io stavo con il figlio di un mecenate dell'industria petrolifera. Volevamo sposarci e così, quando ha ottenuto l'incarico da suo zio di trasferirsi in America, andai con lui. Non dissi nulla a Sherlock. Me ne andai e basta e lui lo venne a sapere da Mycroft e questa...questa era la cosa peggiore che potessi fargli.
- Già... Non si sopportano neanche ora.
La ragazza sorrise gentilmente, ma i suoi occhi esprimevano molta tristezza, che fece volare via con un'aggiustata della folta chioma castana.
- Ma perché non glielo disse? Non capisco.
- A quel tempo non capivo nemmeno io il motivo, credevo che fosse perché a Sherlock non piaceva. Oggi so che era tutto per ferirlo. Forse non... non sopportavo che lui fosse così freddo, così... indelicato.
Non voglio che lei si faccia un'idea sbagliata dei miei rapporti con Sherlock. In quasi ventisette anni il massimo che sono riuscita a raggiungere è stato una pacca sulla spalla o una stretta di mano e sempre e solo in occasioni particolari e straordinarie.
John annuì comprensivo. La capiva, la capiva benissimo.
- Perché è tornata allora?
- Sono qui per... per nascondermi.
John aggrottò la fronte incredulo.
- Nascondervi?! Da chi?
- Da mio marito. E' cambiato da quando ci siamo sposati. E' diventato un uomo violento e scortese. Io...
Lisa nascose il volto tra le mani e iniziò a singhiozzare.
Watson le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
- Non si è rivolta alla polizia?
- No, sarebbe stato inutile, e poi non volevo che venisse arrestato. Suo zio ha molto potere. Se il caso fosse passato alla polizia la faccenda sarebbe diventata di dominio pubblico in più di due paesi.
John si alzò e iniziò a camminare per la stanza pensando a dove potesse essere andato a quell'ora di mattina Sherlock Holmes. In quel periodo stava seguendo un caso particolarmente facile per lui. Ieri aveva visto di sfuggita Lestrade scendere le scale in tutta fretta, ma ora non aveva la più pallida idea di dove potesse essere.
- Mi dispiace davvero... Solo, dovrà aspettare fin quando Sherlock non sarà tornato.
La ragazza sorrise e annuì.
- Non c'è problema. Mi piace la sua compagnia.
John le sorrise leggermente e si risedette al suo posto.
- Allora, cambiamo argomento. Mi racconti com'era Sherlock da bambino.
- Non aveva molti amici, anzi, a dir la verità io e Mycroft eravamo gli unici con cui passava il suo tempo libero. Andava male in tutte le materie che non gli interessavano. Gli piaceva musica, scienze e in particolare chimica e anche storia. Gli altri bambini lo schernivano sempre perché faceva cose strane come contare il numero degli scalini di un edificio o intrufolarsi dove non doveva e prendere cose di altri.
- Rubava?
- No, no. Le prendeva solo per dimostrare quanto era facile. Quanto era intelligente lui e quanto stupidi gli altri.
John sorrise leggermente. Non si era mai immaginato un Sherlock bambino, ma ora iniziava a raffigurarselo.
Proprio in quel momento un forte rumore di passi li distrasse dalla conversazione e un secondo dopo la porta si spalancò lasciando spazio a un Sherlock euforico.
- John, non puoi immaginare in quanti minuti ho risolto questo caso! Un nuovo record! Bisognerà annotarlo da qualche parte...
- Sherlock...
- Indovina!
- Sherlock...
- Che...c'è.
Appena i suoi occhi si posarono sulla figura seduta davanti a John ammutolì.
Lisa si alzò in piedi, ma non proferì parola. I suoi occhi dicevano molto di più.
Sherlock posò lentamente la sciarpa sull'appendiabiti nell'angolo, non smettendo di fissare la ragazza.
John era semplicemente sbalordito. Per la prima volta da quando lo conosceva, Sherlock Holmes non sapeva cosa dire.
Fu sorprendente breve il tempo che impiegò per riprendersi dalla forte emozione, per lui inusuale. Una qualsiasi persona normale quanto meno avrebbe salutato o stretto la mano o qualsiasi gesto amichevole attribuito all'uomo, invece Sherlock disse semplicemente
- Hai cambiato profumo?
- Si, sarà un anno ormai...
- Preferivo il precedente, questo è troppo... non so... forte. Non trovi che sia troppo forte, John?
- Sherlock, lei è qui per... - non fece in  tempo a terminare la frase perché l'altro lo interruppe con voce fredda e tagliente.
- So perché è qui, lo so bene. Non pensavo che venisse... Credo anche che Lisa conosca già la risposta.
La ragazza gli si avvicinò implorante.
- Ti prego, Sherlock, ti prego. Perché non mi vuoi aiutare?
A John non gli era nemmeno passato per la mente che Sherlock potesse rifiutarsi. Questo superava di gran lunga ogni cosa abominevole fatta da lui fino a quel momento.
- Perché non vai da Mycroft, come al solito?
Gli occhi di Lisa si riempirono di nuove lacrime, ma poi un lampo di malizia le accese il volto.
- Si, forse ci andrò. In fondo lui è di gran lunga più intelligente di te ed anche molto più gentile.
- Sarà anche molto più gentile, ma non si muove da quel suo trono su cui è seduto. E' inattivo come il lavoro che fa'.
- Ed è proprio per questo sono venuta da te.
La ragazza sorrise e dentro di sé Watson non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Per Sherlock le donne erano infinitamente insignificanti e ottuse, ma forse solo perché non riusciva a comprenderle appieno. Non poteva controllarle e allora le definiva stupide o senza importanza. Beh, ora quella ragazza era riuscita a ingannarlo semplicemente usando un banale trucco femminile, che su Sherlock Holmes funzionava anche troppo facilmente. L'adulazione. 
Lisa si riaccomodò davanti a John, mentre Sherlock, toltosi il cappotto, rimase in piedi accanto al camino, non smettendo di osservare la ragazza un solo istante.
- Quello che hai raccontato a Mycroft è tutto o c'è dell'altro?
La ragazza sorrise vittoriosa, ma ad uno sguardo di Sherlock tornò subito seria.
- No, c'è dell'altro.
- Bene, allora sarà meglio che ci racconti tutta la storia in modo che John possa farsi un'idea chiara della situazione.
Lisa sorrise.
- Non puoi fare a meno di avere un tuo pubblico personale, vero?
Sherlock non rispose, ma distolse lo sguardo da lei e lo posò sulla collezione di farfalle accanto.
- Molto bene. Allora inizio. John, posso darti del tu?
- Si, certamente
- Bene. Tu sai già che mio marito mi trattava male. Mi picchiava e mi tradiva con altre donne, in casa nostra.
- Disgustoso...
Il commento proveniva da Sherlock.
John guardò il suo coinquilino sorpreso. Non lo aveva mai visto così teso. Incominciava a chiedersi quante cose ancora non sapesse di lui. Lisa continuò.
- Un giorno, un mese fa' circa, l'ho minacciato di dire tutto ai giornali se non mi avrebbe permesso di ritornare in Inghilterra. Sapeva che non ne avrei mai avuto il coraggio, così continuò. Arrivò al punto di non farmi uscire di casa nemmeno di giorno. Scappai e con l'aiuto di amici riuscii a ritornare qui, ma sapevo che non avrebbe smesso di cercarmi. Aveva giurato che mi avrebbe cercato anche in capo al mondo, se necessario.
- Ma allora perché sei qui?
Entrambi guardarono Sherlock increduli.
John tentò di rispondere.
- Beh, mi sembra logico che voglia protezione.
Sherlock lo guardò sarcastico.
- No, ha tutta la protezione che vuole da mio fratello. Se è venuta qui è per altro.
- E' vero.
Sherlock ritornò ad osservare distrattamente le farfalle aspettando che Lisa continuasse il racconto.
- Una settimana fa' mio marito mi chiamò. Disse che mi amava e che sentiva la mia mancanza e che desiderava che io tornassi da lui. Io non gli credetti. Mi aveva ingannata già troppe volte. Anzi, li comunicai che avrei chiesto il divorzio. A quelle parole lui iniziò a sbraitare dicendo che se non ritornavo da lui di mia spontanea volontà lo avrei fatto di forza...
A quel punto la voce le si incrinò e John le si avvicinò di nuovo, per rassicurarla.
Sherlock li guardò irritato.
- Non mi hai ancora detto cosa vuoi esattamente da me.
Lisa lo guardò gelida.
- Voglio che tu lo costringa a firmare le carte per il divorzio.  

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Capitolo 2
*** Sguardi, Sussurri e Carezze ***



Ecco a voi un nuovo capitolo, come promesso dopo due settimane. Spero che vi piacerà e che non ci siano troppi errori grammaticali. Ho cercato di fare del mio meglio. XD Forse ho osato un po' troppo, scrivete cosa ne pensate nelle recensioni. Buona lettura!

Capitolo 2
~ Sguardi, sussurri e carezze ~

 

“Perché soffri, o cavaliere in armi,
E disfatto sembri e desolato?
Colmo è il granaio dello scoiattolo,
E il raccolto è già ammucchiato
.”
La Belle Dame Sans Merci - J. Keats

 

Dopo il colloquio Lisa non si trattenne oltre. Sapeva che Sherlock odiava essere disturbato mentre lavorava. John era indignato con lui per come l'aveva trattata.

Anche se ormai avrebbe dovuto conoscerlo non capiva il suo comportamento. Era inumano.
Cercò di ottenere maggiori informazioni.
- Non mi hai mai parlato di lei.

Sherlock era rannicchiato sulla poltrona dove poco prima era seduta Lisa. Teneva gli occhi chiusi e le mani giunte davanti al viso.
- Non c'è niente da dire.
John sapeva che stava ragionando su come risolvere il problema.
- Posso aiutarti in qualche modo?

- Si.
Aspettò che continuasse, ma vedendo che stava zitto chiese paziente.
- In che modo?
- Stando zitto.

John strinse i pugni, irritato e frustrato. Decise di uscire a fare una passeggiata. In fondo era una bella giornata e magari sarebbe riuscito a passare da Sarah.
Appena chiuse la porta dietro di sé Sherlock aprì gli occhi. Non lo dava a vedere, ma non amava quel caso. Per quanto fosse semplice non amava che fossero coinvolte persone che conosceva. Lo irritava perché lo rallentava. Era più cauto nell'attuare i piani, dava meno possibilità alla fortuna e lasciava più spazio alla sicurezza, alla certezza.
Cercava di non pensare a lei, ma era impossibile. Infondo anche lui era umano, anche se non riusciva ad ammetterlo nemmeno con se stesso.
Si alzò di scatto e accese il computer. Doveva ottenere maggiori informazioni sull'uomo di Lisa. Si rifiutava di chiamarlo in altro modo, perché i mostri non hanno nome.
Ancora prima che lei partisse sapeva quasi tutto della sua vita. Per questo non voleva che lei andasse via con lui. C'erano stati dei precedenti episodi di violenza nelle altre relazioni, ma per qualche oscuro motivo non glielo aveva detto. Forse per non ferirla. Non era da lui e lo sapeva ed ora si sentiva in colpa, perché tutto quello che era successo avrebbe potuto essere evitato se lui l'avesse avvertita prima. Comunque ora non aveva più importanza. Sapeva che Lui non si sarebbe scomodato di persona per venirla a cercare. Forse sarebbe venuto in Inghilterra, per manovrare i suoi scagnozzi, ma non si sarebbe sporcato le mani in modo diretto.

Le pagine scorrevano davanti a lui in modo sistematico. Dati, dati e ancora dati.
Trovato!
Chiuse il computer e agguantò il cappotto e la sciarpa.
Il gioco era iniziato.

 

Quando John tornò la casa era immersa in un silenzio inusuale. Sherlock non c'era, ma la signora Hudson gli annunciò che di sopra lo aspettava la stessa signorina che era venuta la mattina.
Appena entrò nel salotto la vide accoccolata nella poltrona mentre leggeva un libro piuttosto vecchio e logoro.
Sorrise. Era molto dolce alla luce soffusa del fuoco.
- Buona sera.
Lisa si voltò con un sussulto, ma quando lo vide il sollievo le illuminò il volto.
- Buona sera. Scusa se ti disturbo ancora...

- Non ti preoccupare.
- Ho delle nuove informazioni che forse a Sherlock potrebbero essere utili.
John si accomodò sulla poltrona e annuì.
- Bene, però lui non c'è. Se vuoi posso prenderle io e poi li riferisco...
- Si, è proprio quello che avevo pensato.
- Vuoi una tazza di tè? Caffè?

Lisa scosse la testa.
- No, niente, grazie.
- Bene, allora quali... quali sono queste informazioni?
- Ecco, mi sono ricordata che Frederick...
- Frederick?
Lisa sorrise abbassando lo sguardo, imbarazzata.
- Mio marito si chiama Frederick, Frederick Mitchell.

John ne rimase molto sorpreso. In passato aveva letto di lui a proposito di un caso internazionale finito bene grazie alla sua collaborazione. Ora capiva perché Lisa non aveva avuto il coraggio di dire tutto alla polizia o ai giornali.
- Continua.
- Stavo dicendo... mio marito aveva molti contatti con persone qui a Londra, in particolare con un certo Johnny Santano. Lo conosce?
John stava cercando di ricordare dove aveva già udito quel nome, quando da dietro la porta si sentirono le grida della signora Hudson e rumori frettolosi di passi.
- Sherlock, mio Dio! Cosa ha fatto?! Oh Dio! Dottore! Dottor Watson!
Lui e Lisa scattarono verso la porta contemporaneamente. Appena la aprirono davanti a loro si presentò una scena agghiacciante.
Sherlock era in ginocchio sul pianerottolo di casa, la camicia strappata e macchiata di sangue, il viso pieno di lividi e un profondo taglio sul labbro inferiore.

Lisa soffocò un urlo, mentre John accorse subito a sollevarlo e a trascinarlo dentro.
- Signora Hudson, dell'acqua calda e delle bende, presto! Mio Dio, che ti è successo?
Sherlock sorrise debolmente, ma una fitta di dolore gli strappò un gemito.
- Una visitina ad un vecchio amico...
Lisa lo fece stendere sul letto, scostandogli delicatamente i capelli dalla fronte e piangendo.
- Mi dispiace... - mormorò con voce soffocata.
Intanto John gli aveva strappato del tutto la camicia scoprendo il petto coperto di lividi e un taglio sul braccio sinistro. Per fortuna non era molto profondo.
- Ok... ora... ora cerca di stare fermo. Brucerà.

Prese del disinfettante e dell'acqua calda e ci bagnò un panno asciutto. Una volta ripulito il torace e la ferita, la bendò accuratamente e si alzò per prendere il cellulare.
- Servono dei punti. Devo chiamare un ambulan...
Non fece in tempo a finire la frase che Sherlock si alzò di scatto in piedi, urlando.
- No! Non farai niente del genere! Niente ospedale...
Tossì e le ginocchia gli cedettero, facendolo ricadere per terra.
Lisa lo fece ristendere sul letto, calmandolo con sussurri e carezze.
- Shh, calmo... La ferita ha già ricominciato a sanguinare. Servono dei punti.
- Si, ma niente ospedali...- replicò il ferito boccheggiando per prendere aria.

John non lo aveva mai visto così fuori di sé e questo lo preoccupava non poco. Significava che stava peggio di quanto non dasse a vedere.
- Se te li do io i punti ti calmi?
Sherlock annuì.
- Però devo andare a comprare il filo e tutto il necessario. Riesci a non muoverti per circa dieci minuti?
- Si, vai.
Lisa annuì gli accarezzò una guancia.
- Resterò io con lui John. Non ti preoccupare.
John annuì e si lanciò fuori dalla porta ancora spalancata, non andando a sbattere contro la signora Hudson solo per un soffio.

 

Appena John uscì di casa Sherlock tentò di alzarsi a sedere, ma una fitta di dolore lo fece ricadere disteso.
Lisa prese un panno pulito e iniziò a ripulirgli il viso.
- Devi stare fermo e riposare.
- Non c'è tempo... Bisogna avvertire Mycroft, devo parlargli immediatamente...
Lisa li accarezzò una guancia, sussurrando come a un bambino.
- Per questa sera hai già dato abbastanza.
Al contatto con la mano fresca della ragazza Sherlock parve calmarsi un poco.
- Il tuo Frederick Mitchell ha conoscenze davvero interessanti...
- Non è più il mio Frederick Mitchell e forse non lo è mai stato.

Mi dispiace, tutto questo è colpa mia... Non pensavo potesse accaderti qualcosa di male, io...
La voce le si incrinò e una lacrima le scivolò lungo la guancia e cadde sul cuscino accanto al viso di Sherlock.
- Non è colpa tua, è mia...
Ogni parola gli costava una fatica immensa, sia per il dolore fisico sia per quello morale, al quale non era affatto abituato. Odiava sentirsi così vulnerabile.
Lisa smise di piangere e lo guardò con occhi più sorpresi che commossi. Sapeva che l'intenzione di Sherlock non era certo quella di consolarla, quindi se aveva pronunciato quelle parole significava che c'era qualcosa che lei non sapeva.
- Cosa intendi dire?
- Io sapevo che... che Mitchell era un poco di buono, mi ero informato, ma non ti ho detto niente.
Lisa scosse la testa.
- No, non è vero. Hai cercato di avvertirmi... a modo tuo. Sono io che non ti ho comunicato che sarei partita con lui per sposarlo. E' colpa mia.
Sherlock chiuse gli occhi e sospirò. Non aveva la forza per replicare, ma le sfiorò lo stesso la mano.

Alla gente comune sarebbe parso un gesto del tutto casuale, ma per Lisa, che lo conosceva bene, era qualcosa di un'intimità allarmante.
Lisa strizzò il panno nella bacinella e si preparò a tamponare il labbro spaccato.
- Cerca di non muoverti troppo...

 


 

John aprì la porta dell'appartamento del 221b di Baker Street più in fretta che poteva. Aveva lasciato Sherlock in buone mani, ma conoscendo il suo carattere impossibile non sapeva cosa poteva essere successo nel frattempo. In salotto, su una delle due poltrone, sedeva la signora Hudson con una tazza di tè. Appena lo vide balzò in piedi e gli fece segno di non parlare.
John aggrottò la fronte, ma si lasciò guidare fino alla camera da letto di Sherlock, cercando di non fare rumore.
Sherlock stava forse dormendo?
La scena che li si presentò davanti dissolse tutte le domande.
Lisa aveva finito di pulire e disinfettare il volto del suo coinquilino e adesso stava accarezzandogli dolcemente i capelli spettinati con gesti delicati e ripetitivi. Forse era per quel moto continuo che si era assopito.
Visti da quel punto di vista potevano sembrare addirittura una coppia.

Appena entrò nella stanza Lisa lo informò delle condizioni del ferito, senza smettere di accarezzarlo.
- Ho finito di pulirgli il viso e gli ho medicato il labbro. Ora dorme.
- Sono perfettamente sveglio.
La voce di Sherlock era visibilmente migliorata da quando l'aveva lasciato.
A quella frase Lisa sgranò gli occhi e arrossì violentemente. Non gli avrebbe mai accarezzato i capelli se avesse saputo che lui era del tutto in grado di sentire il suo tocco.
Ma se era sveglio, perché non aveva detto nulla?
John prese il filo e tutto l'occorrente per i punti e iniziò il lavoro, ma mentre aspettava che l'anestetico facesse effetto provò ad ottenere qualche informazione.
- Sherlock...
L'altro schiuse leggermente gli occhi.
- Posso... posso sapere cosa è successo? Insomma, dove sei stato, chi ti ha conciato in questo modo...
Lisa cercò di fermarlo.

- John, forse ora non è il caso... E' troppo stanco. Aspettiamo che si riprenda un attimo.
John annuì, ma proprio quando iniziò a ricucire la ferita Sherlock iniziò il racconto.
- Ancora prima che Lisa partisse avevo fatto delle ricerche su Mitchell. Non sapevo tutta la sua vita nel dettaglio, certo, ma in generale conoscevo i nomi di alcuni suoi vecchi amici qui a Londra. Il più influente, economicamente parlando, era un certo Johnny Santano.
A quel nome John e Lisa si scambiarono uno sguardo, sorpresi.
- Vedo che non sapete di chi sto parlando, lo immaginavo. Santano proviene da una ricca famiglia italiana trasferitasi a Londra verso alla fine degli anni quaranta, poco dopo la fine della guerra. Non credo che serva che io vi informi sul tipo di lavoro che svolgeva... Mi passate un bicchiere d'acqua?
Lisa glielo portò subito. Dopo che ebbe bevuto nella sua voce si poteva finalmente distinguere il famigliare tono sarcastico e arrogante.
- Mi bastò entrare nel registro privato di Scotland Yard per trovare l'indirizzo di casa di Santano. Volevo solo parlargli, magari ottenere la data in cui Mitchell sarebbe venuto a Londra, minacciarlo se necessario...
Lisa lo interruppe spaventata.
- Verrà a Londra?!
Sherlock sospirò spazientito.
- Si, logico che verrà a Londra. Come fate a non capire! E' un sadico! Si diverte a torturare le persone, sia fisicamente che moralmente!

Man mano che si riprendeva tornava sempre più in sé. Intanto John finì di cucire l'ultimo punto e finalmente poté rifasciare la ferita e rilassarsi.
- Ma perché ce l'ha tanto con me? Cosa gli ho fatto per meritarmi tutto questo?
Lisa era disperata.
Sherlock riaprì gli occhi e si mise seduto, lanciando un gemito di dolore.
John intervenne spostandogli il cuscino.
- Non dovresti muoverti. Ti ho appena ricucito un taglio di dieci centimetri sul braccio sinistro e il tuo corpo sembra un dipinto di arte astratta, devi stare fermo.
Comunque non aveva ancora risposto alla domanda e Lisa lo guardava scoraggiata.
- Vediamo, ti elenco alcuni dei "moventi" per cui ti perseguita: ti trova molto attraente e si eccita ancora di più perché non ti sai difendere da sola. Sei molto intelligente e questo stimola la sua mente, ecco perché non riesce a lasciarti andare. Tratta molto bene i suoi subordinati quindi deve aver passato molto tempo con la servitù da bambino, più che con i genitori. Adora le donne che lavorano a maglia, gli piace la torta alle ciliegie e usa un dentifricio alla menta. Ah, e i tratti da bambina che possiedi gli ricordano la sorella maggiore morta violentata a quattordici anni. Sapevi che aveva una sorella?
John non poté che lasciarsi sfuggire un'esclamazione di incredulità.
- Straordinario...
Sherlock gli lanciò solo un'occhiata, tremendamente seria, ma si vedeva lontano un miglio che ne era estremamente compiaciuto.
- John, mi presti il cellulare? Il mio si è rotto "accidentalmente" sotto un pesante anfibio di uno degli uomini che mi hanno aggredito.

- Si, vado a prenderlo in salotto.
Mentre John usciva dalla stanza Lisa scoppiò in lacrime.
- Come fai a sapere quello che pensa? Non lo hai mai incontrato, su quali dati basi le tue deduzioni?
Sherlock spostò lo sguardo verso la parete davanti a sé. Non riusciva a guardarla in faccia.
- Le so perché le penso anch'io. Le sole differenze tra me e lui sono che io non ho mai avuto sorelle e che lui è un pazzo criminale. Ah! E non adoro la torta alle ciliege.
Lisa non fece in tempo a dire nessuna parola per rispondergli perché in quel momento tornò John con il cellulare.
- Grazie. In breve: io sono andato a parlare con Santano. Mi ha accolto nel suo studio, mi ha minacciato, l'ho minacciato a mia volta. Mossa poco furba, non deve aver gradito molto vista la reazione...
In quel momento fu' colto da un attacco di tosse e Lisa gli versò un altro bicchiere d'acqua.
Quando ebbe bevuto un sorso inviò velocemente un sms a Mycroft e rilanciò il cellulare a John, che lo prese al volo.
- Quindi non sei riuscito a scoprire esattamente in quali giorni Mitchell soggiornerà a Londra...
Sherlock sorrise leggermente.
- Arriverà il 19 con l'aereo delle nove meno un quarto.

John aggrottò la fronte, incapace di immaginare in che modo il suo amico aveva ottenuto quell'informazione.
Sherlock si affrettò a spiegare.
- Ho corrotto uno dei tirapiedi affinché mi desse l'informazione e mi picchiasse abbastanza forte da far credere a Santano di avermi aggirato spaventandomi tanto da indurmi a non rimettere piede in casa sua.
- Hai pagato qualcuno per picchiarti?!
John era sbigottito. Non poteva crederci. Questo superava tutti i limiti, perfino quelli di Sherlock Holmes. Lisa non disse niente, ma si vedeva dal suo sguardo che era più costernata di lui.
Sherlock lo fissò gelido.
- Era necessario e poi... ci sono state delle complicazioni.
- Quali complicazioni?!
John cominciava ad essere un tantino alterato. Troppe emozioni tutte insieme.
- Non avevo previsto che sarebbero stati in tre e che uno di loro avrebbe avuto un coltello. Sono stato troppo lento. Questo caso mi rallenta!
- Quindi adesso che facciamo?
- Io faccio. Voi non vi muovete da qui e per ora, a quanto pare, nemmeno io.
- Hai un piano, almeno?

Sherlock lo guardò irritato.
- Certo che ho un piano!
John si alzò e sollevò le mani in segno di scusa. Ora che sapeva il resoconto della storia voleva andarsene a letto. Era troppo stanco anche solo per pensare. Anche Lisa si alzò e si diresse con lui in salotto.
John la guardò. Era scossa e spaventata. Le tremavano le mani, anche se faceva di tutto per nasconderlo. Non era in condizioni di andare a casa da sola. Avrebbe dovuto accompagnarla oppure... oppure poteva restare a dormire.
Lo fissò con i suoi occhi verdi, arrossati dalle lacrime.
- Immagino che io... io debba andare...
- Se vuoi puoi restare.
- Non disturbo? Anche tu sei stanco, dove dormiresti?
- Posso dormire sul divano, non c'è problema. *
- Grazie, ma credo che farò compagnia a Sherlock finché non si addormenta. Bisogna che qualcuno resti a sorvegliarlo, è come un bambino quando si tratta della sua salute.
John sorrise e annuì. Aveva ragione.
- Allora buona notte... Cerca di dormire un po'.
Lisa annuì debolmente e si diresse verso la camera di Sherlock. Lo trovò seduto sul bordo del letto nel futile tentativo di alzarsi. Portava ancora addosso i pantaloni strappati e la fascia sul braccio sinistro era leggermente macchiata di sangue.  

- Cosa fai?! Vuoi peggiorare le cose? Rimettiti a letto.
Lui gli lanciò uno sguardo rabbioso, ma obbedì senza dire nulla.
- Odio non potermi muovere! E' così noioso! Ho bisogno di lavorare a qualcosa di nuovo... Qualcosa si stimolante! Non resisto così...
Lisa si stese accanto a lui, sulla parte destra del letto matrimoniale, vicino alla porta.  
- L'unica cosa di cui hai davvero bisogno è di dormire.
- Non dovevi andartene?
- Già, dovevo... - rispose sistemandosi meglio il cuscino sotto la testa e girandosi sul fianco in modo da poter guardare Sherlock, che invece fissava il soffitto con le mani dietro la testa.
- E perché sei ancora qui, allora?
- John mi ha detto che potevo restare qui per la notte, ma non me la sentivo di farlo dormire sul divano. E poi così posso controllare che tu non ti muova troppo.
Sherlock strinse leggermente gli occhi, facendo finta di essere stupito.
- Perché dovrei farlo? Non sono così stupido.
Lisa chiuse gli occhi, sospirando una breve replica.
- Io avrei qualche dubbio...
Sherlock si lasciò sfuggire un breve sorriso e spense la luce.

Rimase a guardarla per alcuni minuti nel buio, poi la imitò chiudendo gli occhi.
Nell'oscurità della notte la sua mente lavorava.

Note:  *(qui avrei potuto fare facilmente un'allusione omosessuale, però ho voluto attenermi alla mia idea originaria)

 

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Capitolo 3
*** La Lunga Attesa ***


Eccovi il terzo capitolo della mia storia. E' un corto rispetto ai precedenti, ma per buoni motivi. Ho già scritto il quarto ed è molto più lungo. Spero vi piaccia. Ringrazio le persone che recensiscono sempre e spero sempre che se ne aggiungano altre. Buona lettura.

Capitolo 3
~ La Lunga Attesa ~

 

“Scorgo un giglio sulla tua fronte,
Imperlata d'angoscia e dalla febbre inumidita;
E sulla tua guancia c'è come una rosa morente,
Anch'essa troppo in fretta sfiorita.”

La Belle Dame Sans Merci - J. Keats
 

 

John si svegliò alle prime luci dell'alba. Improvvisamente tutto quello avvenuto il giorno prima lo travolse come un torrente in piena e saltò giù dal letto. Doveva scendere a vedere come stava Sherlock. Sicuramente il dolore lo rendeva intrattabile.
Povera Lisa.
Appena raggiunse la fine delle scale sentì delle voci provenienti dalla cucina.
Erano risate quelle?
La scena che li si presentò davanti era a dir poco surreale. Sherlock, in piedi e con in mano una siringa piena di liquido trasparente, cercava di far uscire l'aria dandogli dei piccoli colpetti. Era fin troppo concentrato. Accanto a lui Lisa rideva con le lacrime agli occhi e con in mano un cucchiaio da caffè.
- Il cucchiaino mi sta parlando... mi sta dicendo...- si interruppe per accostare l'orecchio all'oggetto - Ah! Mi ha detto che Sherlock è davvero un grande birbone!
Il tono della voce era troppo acuto e pastoso per essere frutto di una lucidità mentale.
Lisa lanciò il cucchiaio verso il lavandino, ridendo esageratamente.
- L'ho mancato!
Appena Sherlock si accorse di John posò la siringa sul tavolo e sbuffò.
- Immagino che non riuscirò ad iniettarti questo narcotico, vero?
- Hai drogato Lisa?! – non ci poteva credere.
- Si, devo evitare che cada in pericolo mentre io non ci sono. Tra poco sprofonderà in un sonno profondo, almeno fino a stasera.
- Oh Dio! Ma come... come hai potuto... io... Perché?! Questo supera davvero tutti i limiti, Sherlock, perfino per te. Dio... Se non mi fossi svegliato in tempo avresti narcotizzato anche me?!
Sherlock lo guardò sprezzante.
- Ovviamente.
- Bene! Questo dimostra l'alta considerazione che hai di me! Grazie mille! Perché? Perché anch'io? Cosa avrei potuto farti? In che modo avrei potuto ostacolarti?
Sherlock gli si avvicinò, visibilmente alterato e con espressione severa.
- Non voglio rischiare che finisca come l'altra volta. Sei quasi morto.
John sgranò gli occhi. Improvvisamente gli era tutto così chiaro, tutto così semplice.
Rise. Era per quello? Era solo quello il motivo che spingeva Sherlock Holmes a respingere tutte le persone che vivevano intorno a lui?
Non ci poteva credere, ma doveva essere per forza così. Non c'erano altre spiegazioni.
Lui respingeva le persone perché aveva paura di perderle.
Quando se ne va una persona a cui teniamo e vogliamo bene proviamo un dolore indicibile, come se fosse morta anche una parte di noi. Per Sherlock la sofferenza doveva essere tre volte triplicata e lui non riusciva a sopportarlo. Per questo odiava i sentimentalismi, odiava ogni manifestazione di affetto, perché sapeva che se si affezionava stava male.
Per lui le emozioni erano negative perché alteravano il suo equilibrio.
Quindi preferiva non provare niente.
Sherlock sospirò e si sedette su una sedia, cercando di non far vedere quanto fosse dolorante. Ogni volta che muoveva anche solo un braccio, innumerevoli fitte lo tempestavano come tanti piccoli aghi e la ferita pizzicava, rendendolo nervoso e facilmente irritabile.
Lisa nel frattempo si era addormentata con il mento appoggiato al petto.
- John, puoi portarla a letto?
- Si, certo.
Si affrettò a trasportarla nell'altra stanza e a tornare in cucina il più in fretta possibile. Aveva bisogno di caffè, di caffè forte.
Sherlock era seduto nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato. Non si era mosso di un millimetro e non sollevò lo sguardo quando entrò in cucina.
John aspettò che parlasse, ma come al solito dovette iniziare lui la conversazione.
- Allora, adesso cosa intendi fare? Qual è il piano?
- Il piano, che tu ci creda o no, è aspettare e tentare di rimettermi il prima possibile.
John lo guardò riluttante.
- Logicamente continuando ad alzarti dal letto e a muoverti i lividi e la ferita che hai sul braccio scompariranno.
- Aspettare non significa non fare nulla. Se fosse così non sarebbe proficuo. - fece una breve pausa nella quale congiunse le pallide dita delle mani e sorrise malignamente - Se io non posso "affaticarmi" non significa necessariamente che io non possa agire comunque.
John iniziava ad intuire vacuamente il piano del suo coinquilino, ma non era sicuro che gli sarebbe piaciuto.
Sherlock sorrideva e quando sorrideva non era mai un bel segno.

 

 

Camminavano a piccoli passi lungo uno dei quartieri più malfamati di Londra. Intorno a loro uomini, donne e bambini tossivano e gemevano dal dolore e dal freddo. Erano coperti di stracci la maggior parte strappati. Sherlock zoppicava leggermente aiutandosi con un bastone.
Svoltarono in un piccolo vicolo laterale e si diressero verso l'uomo che li attendeva.
John si guardava in torno cercando di immaginare come Sherlock sapesse di quei posti e per la centesima volta da quando lo conosceva si rincuorò del fatto che non stesse dall'altra parte della legge.
L'uomo aveva un aspetto davvero logoro e malmesso, ma non così drammatico come gli altri. Gli occhi, neri come la pece, scattavano furtivi da una parte all'altra e sembrava che da un momento all'altro potesse darsela a gambe.
- Gli hai portati?
La voce di Sherlock sembrava anche più sicura del solito. Un bravo attore, senza dubbio.
L'uomo prese delle carte da una tasca interna e Sherlock fece lo stesso per prendere i soldi.
Lo scambio fu molto veloce e poi subito si allontanarono in direzioni opposte.
Sherlock passò istantaneamente le carte a John, che le guardò fugacemente e le nascose in tasca.
- Così se ci ferma la polizia arrestano me?
- Bravo John! Migliori di giorno in giorno.
- Non è divertente.
Sherlock cercò di nascondere un sorriso.
- Domani andrai a comprare un vestito adatto all'evento. Non troppo vistoso. Lisa verrà con te per consigliarti, di sicuro conosce il tipo di feste che organizza in genere Mitchell.
John lo guardò perplesso.
- Ma allora Lisa prenderà parte al piano?
- Non ne sono sicuro...
Sherlock abbassò lo sguardo e si racchiuse nel suo solito mutismo. Non parlarono nemmeno raggiunta Baker Street.
A casa la signora Hudson aveva preparato il pranzo, mentre Lisa stava ancora dormendo.
Restarono fino a sera a discutere fin nei minimi dettagli il piano e John costrinse Sherlock a sdraiarsi e a dormire, persuadendolo prima con moine e poi con minacce ed ottenendo solo il trasferimento dalla poltrona alla camera da letto...e poi di nuovo alla poltrona.
Quando dal Big Bang risuonarono i dodici rintocchi della mezzanotte decise di andare a dormire, lasciando il suo coinquilino a rimuginare in compagnia del fuoco e del violino.

Lisa si svegliò completamente confusa e frastornata. Non capiva nemmeno se fosse notte o giorno e se la scorsa notte o mattina, avesse bevuto.
Alzandosi ricordò tutto quello che era successo e immediatamente un senso di ira la invase come un torrente in piena.
Si era svegliata nel letto di Sherlock, lui non c'era, era andata in cucina e lo aveva sorpreso a preparare una qualche sostanza chimica. Non aveva fatto in tempo a chiedergli cosa fosse e che già l'ago era infilato nel suo braccio.
Dove diavolo era?!
Guardò l'orologio. Quasi le tre di notte. Corse a grandi passi nel salotto, ovviamente deserto, poi passò in cucina e successivamente in tutte le stanze della casa. Vuote! Tutte tranne la camera da letto di John, in cui ovviamente il proprietario dormiva profondamente.
Con un enorme sospiro di frustrazione si diresse di nuovo in cucina per mangiare qualcosa.
Lo odiava quando faceva così. Era così tremendamente arrogante e presuntuoso e snob e fuori di testa... No, non era vero. Non riusciva ad odiarlo perché in fondo sapeva che era una persona buona. Se fosse stato anche umano, invece che una macchina priva di sentimenti …
Svogliatamente si versò una tazza di latte caldo e prese un pezzo di pane raffermo.
- Non preferiresti una cena vera?
Per poco non si strozzò con il latte che stava bevendo. Alzò la testa di scatto e si ritrovò davanti due paia di occhi verde ghiaccio.
Il labbro non era più gonfio e il taglio si era cicatrizzato.
- Mi hai drogata. - non era una domanda.
- Dal tuo tono ne deduco che sei arrabbiata.
Lisa lo guardò furente.
- Certo che sono arrabbiata e non serve Sherlock Holmes per capirlo! Perché l'hai fatto?! Divertimento? O forse credi di proteggermi.
Sherlock mantenne lo sguardo immobile.
- Ci sono cose che non puoi sapere o vedere.
Lisa restò ancora qualche secondo in un profondo silenzio poi si alzò.
- Quale posto avevi in mente?
Sherlock sorrise e si avviò verso la porta.
- Sveglia John, è necessario che venga anche lui.

Il ristorante cinese si trovava proprio davanti alla casa di Johnny Santano. Era un locale sudicio e unto, aperto tutta la notte e pullulante delle gente più strana. Il cuoco, un certo "Fitz due-dita", era una vecchia conoscenza di Sherlock. Da quando aveva cercato di avvelenarlo, su commissione, Sherlock l'aveva minacciato di farlo arrestare alla prima buona occasione.  
Da quel momento era diventato estremamente gentile nei suoi confronti.
Avevano preso il tavolo più vicino alla vetrina e ordinato degli spaghetti di soia con verdure e carne.
- John, io non lo mangerei quello.
Sherlock stava indicando il piatto di John pieno di spaghetti. Entrambi lo fissarono aspettando la spiegazione.
- La carne non è buona. Si sente dall'odore e dalla faccia del ragazzo che te lo ha servito.
John sorrise.
- In che senso non è buona? - replicò mangiandone una forchettata.
Al primo morso la gettò nel tovagliolo ripulendosi la bocca.
- Nel senso che non è carne di maiale o di vitello. Ogni tanto capita che finiscano le scorte. Di certo non si Fitz non perde un cliente perché manca la carne del tipo giusto.
Sherlock sorrise divertito mentre osservava con la coda dell'occhio l'espressione disgustata di John.
Lisa posò i bastoncini.
- Il riso è buono, ne vuoi un po'?
John sorrise e scosse la testa grato.
- No, no, tanto non avevo molta fame...
- Sicuro? Guarda che per me non c'è problema.
Sherlock li interruppe sbrigativo.
- Vi ho portato qui per esporvi il piano.
John lo guardò interrogativo, ma ad un'occhiata gelida di Sherlock non aprì bocca.
Lisa annuì.
- Domani mattina alle dieci Mitchell arriverà alla villa di Santano in taxi direttamente dall'aeroporto. Verso sera ci sarà una festa di beneficienza dove saranno invitati tutti i più grandi magnati d'Inghilterra. E' qui che colpiremo. Io e John ci infiltreremo tra gli invitati mentre tu, Lisa, dovrai restartene a casa, al sicuro.
Lisa cercò di replicare, ma Sherlock la fermò prima che potesse pronunciare una parola.
- Mi servi a casa. Quando ti invierò un messaggio tu dovrai chiamare Scotland Yard. Devi mandarli alla villa di Santano. Se fai il mio nome arriveranno subito.
Lisa annuì e Sherlock continuò.
- Quando io e John saremo dentro io cercherò Mitchell e lo costringerò a firmare il divorzio, mentre John dovrà tenere occupato Santano. A questo punto io ti invierò il messaggio e tu chiamerai Scotland Yard. E' da un po' che volevo incastrare Santano e ho saputo da fonti certe che domani sera, insieme agli invitati, arriverà anche un finanziere russo per consegnare un carico di armi di contrabbando.
- Ma come farà a non essere visto da tutta quella gente? Non avranno dei sospetti?
La domanda di John era più che normale, ma Sherlock si irritò comunque.
- La festa serve apposta per coprire il traffico di armi. Ci sono altre domande?
Lisa sorrise maliziosa e tirò fuori dalla tasca del suo cappotto quelle carte che Sherlock e John avevano ritirato il giorno prima nel quartiere squallido.
- Entrerete con queste carte, non è vero?
John la guardò sbalordito e involontariamente si portò una mano alla tasca. Vuota.
- Come... come diavolo hai fatto a prenderle?
Sherlock mantenne la stessa espressione imperturbabile, ma uno sguardo esperto avrebbe notato l'invisibile spostamento delle sopracciglia che indicava stupore.
Lisa gli porse le carte e Sherlock le nascose nella tasca interna, al sicuro.
- Ti avevo detto che Sherlock prendeva le cose degli altri quando andava a scuola, non che lo faceva solo lui.
Quando ebbero finito tornarono a Baker Street. John non aveva sonno, così iniziò a rispondere alle e-mail,  Sherlock si mise a suonare il violino e Lisa continuò a leggere il vecchio romanzo sciupato.
Ogni tanto lanciava qualche occhiata alla figura sottile che si stagliava davanti alla finestra e ascoltava la musica straziante che si levava da quelle corde.
John cercava di concentrarsi, ma la melodia era talmente angosciante che era impossibile. Sbuffò e Lisa sorrise, chiudendo il libro.
Si avvicinò a Sherlock e gli si appoggiò lievemente contro. Lui rimase freddo ed immobile, ma smise di suonare.
- Che c'è?
- Appena prima di andarmene ti dissi qual'era la mia preferita. Probabilmente non te la ricordi, ma... me la suoni?
Per tutta risposta dal violino iniziò a diffondersi un'armonia dolce e malinconica, così delicata da commuovere.
John si voltò a guardarli. Lisa si era accucciata sulla poltrona che di solito spettava a Sherlock e lo osservava affascinata, mentre lui suonava, perso nella musica.
Provò una grande tristezza per lei, perché era innamorata dell'unico uomo che non sapeva ricambiarla.
Si girò e controllò l'orario. Quasi le sei.
Tra quattro ore Frederick Mitchell sarebbe giunto a Londra.

La teoria che esprime John ovviamente è tutta mia e Sherlock non ne è assolutamente consapevole. Ogni volta ho il dubbio di esagerare.

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Capitolo 4
*** Monsieur Jolivet e Mr. Legham ***


Ecco a voi il quarto capitolo, finalmente. Lo pubblico una settimana prima, visto che l'avevo già scritto. Spero vi piaccia, scrivetemi cosa ne pensate. Buona lettura!

Capitolo 4 - Parte Prima

~ Monsieur Jolivet e Mr. Legham  ~
 

 

Per i prati vagando una donna
Ho incontrato, bella oltre ogni linguaggio,
Figlia d'una fata: i capelli aveva lunghi,
Il passo leggero, l'occhio selvaggio.”

La Belle Dame Sans Merci - J. Keats
 

Il pavimento in marmo della sala da ballo era illuminato da un prezioso lampadario di cristallo che attirava l'attenzione di ogni nuovo invitato che entrava.
Le uniche persone che sembravano non farci caso erano due perfetti gentiluomini: il primo un francese alto, distinto, dai modi raffinati. Se ne andava a passeggio per la sala chiacchierando amabilmente con l'altro signore, leggermente più basso, dall'aria seria e rigida tipicamente inglese.

Erano monsieur Jolivet e Mr. Legham, due ricchi proprietari di aziende farmaceutiche che di recente avevano realizzato una fusione.
Il primo, appena vide iniziare le danze, invitò l'altro a ballare.
- Non ti aspetterai che balli con te, Sherlock.
L'altro gli lanciò un'occhiata di ghiaccio, ma subito si accostò a una delle dame e la invitò a ballare, suggerendo al suo compagno di fare lo stesso.
Mentre danzavano Monsieur Jolivet, che per l'occasione si era perfino tinto i capelli di chiaro per non rischiare di essere riconosciuto, indicò a Mr. Legham l'ospite della festa, Johnny Santano, che conversava con Mitchell e un'altro uomo in un angolo della sala, e gli fece segno di andarci a parlare appena la musica sarebbe terminata. Lui avrebbe pensato a Mitchell.
Quando i musicisti cessarono di suonare Sherlock si avvicinò delicatamente al soggetto e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. John scorse immediatamente le orecchie dell'uomo diventare di un rosso acceso e la mascella serrarsi in una morsa pericolosa. Li vide andarsene dalla sala verso una stanza più isolata e al sicuro da sguardi indiscreti.

Ora doveva agire.
Si accostò a Santano con indifferenza e, senza farsi notare troppo dall'altro uomo con cui stava parlando, disse:"Ho saputo che questa sera tra gli invitati è presente un certo finanziere russo, sbaglio?"
Santano si voltò all'istante verso di lui e lo guardò con aria falsamente cordiale.
- Non ho avuto ancora il piacere di fare la vostra conoscenza... voi siete?
- Mr. John Legham, proprietario della famosa industria farmaceutica mia omonima.
- Ah, capisco. Chi vi ha detto del finanziere russo?
- Quindi è qui davvero!

Santano socchiuse gli occhi e lo scrutò attentamente. John cercò di mantenere uno sguardo più fermo possibile e di non tradirsi.
- Perché vi interessa tanto?
John si schiarì leggermente la voce e gli si accostò ancora di più.
- Ecco, ho saputo di un certo affare che riguarda importazioni di armi di contrabbando... mi piacerebbe saperne un po' di più. Sa, di questi tempi, la sicurezza personale è tutto e la polizia, quando serve, non c'è mai...
Santano lo interruppe visibilmente insospettito. Gli puntò un dito al petto e abbassò la voce, cercando di non destare l'attenzione dei convitati.
- Chi sei tu, una spia? Un poliziotto?!
Mr. Legham gli fece segno di abbassare la voce.

- Gliel'ho detto, sono John Legham, il mecenate dell'industria farmaceutica. Sarei interessato a partecipare alla cosa...
I muscoli facciali di Santano, che fino a quel momento erano rimasti tesi in un grugno inesprimibile si distesero amabilmente e lasciarono spazio a un sorriso maligno.
- Ora ci intendiamo... Perché non andiamo nel mio studio a parlarne con più calma?
John impallidì, pensando subito a Sherlock.
- No, no, io credo sia meglio parlarne qui. La gente potrebbe insospettirsi non vedendovi alla vostra festa.
Santano lo guardò furbamente e gli cinse le spalle scrollandolo un poco.
- Dimmi un po', dottorino, questa non è la prima volta che fai affari di questo genere, o sbaglio?

John sorrise debolmente e dentro di sé pregò Sherlock di sbrigarsi.
 

Mentre nella sala grande accadeva questo, al piano di sopra Sherlock era alle prese con Mitchell.
Quest'ultimo l'aveva condotto nello studio di Santano senza smettere di studiarlo astiosamente. Era un uomo alto, dai lineamenti duri ed eccessivamente definiti, la mascella squadrata e due occhi di un azzurro intenso. Affascinante, a suo modo. Il corpo atletico e possente lo rendeva enormemente minaccioso, ma ancor più letale era la mente usurpata dalla pazzia.
Chiuse la porta a chiave dietro di sé e si voltò per squadrare Sherlock.
- Hai paura che scappi? - il tono di Sherlock era graffiante come al solito, tuttavia una luce inquieta gli animava lo sguardo. Sorrise maliziosamente. Se ne stava tranquillamente al centro della stanza e a sua volta scrutava l'avversario.
- E' qui per Lisa? - possedeva una voce suadente e sibilante.
- Oh, bravo, ci sei arrivato in fretta. – si rifiutava di dargli del lei, non meritava rispetto.

Mitchell gli si avvicinò minaccioso.
- Se ne vada. Io non ho niente a che fare con lei.
Sherlock non indietreggiò di un passo, anzi, se possibile, alzò lo sguardo ancora di più.
- Oh, io credo di si, invece.
Mitchell sospirò e si allontanò dirigendosi verso un tavolo ricolmo di liquori.
- Allora, cosa vuole? Arrivi al punto.
- Sono qui per farti firmare le carte del divorzio.
A questa affermazione Mitchell scoppiò in una risata aspra. Sherlock restò a guardarlo, impassibile.
- Lo trovi divertente?

- Mia moglie ha paura di me perciò manda il vecchio amico d'infanzia al suo posto? Si, in effetti lo trovo molto divertente.
Sherlock tirò fuori dalla tasca interna del suo smoking le carte per la separazione e gliele mostrò chiaramente. 
- Ora tu firmerai queste carte.
- Altrimenti?
- Altrimenti ti farò arrestare per coinvolgimento in traffico d'armi, percosse contro la propria coniuge e coinvolgimento in associazione mafiosa.
- E come farà a provare tutte queste cose? Mi illumini.
- Innanzi tutto ho la testimonianza di Lisa.
Mitchell sorrise malignamente.

- Io non credo.
Sherlock lo guardò inquieto, nella sua testa stava già prendendo forma il filo di ragionamenti che portava alla spiegazione, ma voleva sentirselo dire in faccia.
- Cosa intendi?
- Che io sapevo che questa sera il famoso Sherlock Holmes sarebbe venuto a farmi visita! E anche che avresti lasciato Lisa a Baker Street,tutta sola.
Sherlock nascose a fatica la collera a questa affermazione e si limitò ragionare. Inutile restare fermo a rimuginare sugli errori commessi. Bisognava agire ed in fretta. 
C'era una cosa che il suo nemico non aveva nominato.
John.
Non sapeva che nell'altra sala John era impegnato a discute con Santano e non sapeva che da un momento all'altro sarebbe arrivata la polizia.
Senza farsi vedere premette il tasto "invia" del cellulare. Il messaggio l'aveva già scritto prima di giungere alla festa, per precauzione nel caso Lisa non fosse riuscita ad avvisare Scotland Yard in tempo.

Ora doveva uscire da lì e trovarla. Subito.
Questa volta fu lui ad avvicinarsi minaccioso a Mitchell ed emanava una tale forza che quest'ultimo fu costretto ad indietreggiare.
- Mi fai ribrezzo. Sei un vile che si nasconde dietro una maschera di rispettabilità costruita col fango.
Ora, dmmi dov'è Lisa, subito.
Il tono non ammetteva repliche, ma Mitchell non era una persona comune e non si lasciò sopraffare.
-  E perché dovrei farlo? - dal tono e dall'espressione sembrava quasi divertito.
Sherlock lo squadrò bene. Abito nuovo, appena acquistato, tessuto italiano, probabilmente Armani, scarpe ben lucidate, ma leggermente consumate sui talloni, profumo costoso, Farenight probabilmente, barba rasata quella mattina stessa, rasoio elettrico, capelli puliti e tagliati sobriamente, unghie curate, polsi inamidati, la tasca dei pantaloni presentava un leggero spessore... Armi? No. Cellulare? Un uomo come Mitchell non avrebbe mai tenuto il cellulare in tasca, troppo evidente, lo avrebbe tenuto nella giacca. In tasca è raggiungibile più velocemente. Quale differenza possono fare alcuni secondi? No, doveva essere qualcosa d'altro... Infilare le mani in tasca passa inosservato, un gesto casuale, rispetto a quello di prenderlo dalla tasca interna della giacca. Ma certo.
Erano sotto tiro. Ecco perché l'aveva condotto nello studio di Santano. I quadri.
Sherlock sorrise e si avvicinò a una delle cornici per esaminarla.
Troppo spessa.

- Tu non puoi uccidermi, quindi ti conviene collaborare. Dov'è Lisa?
Mitchell stava per replicare con un altro commento sarcastico, ma fu preceduto dal suono acuto delle sirene in lontananza.
- Sta arrivando la polizia. - non era una domanda.
Sherlock sorrise scaltro e gli si avvicinò.
- Toglieti le mani dalle tasche e, per cortesia, non fare gesti strani. So dei cecchini dietro i quadri, ma spararmi peggiorerà la situazione.
Mitchell fece come gli era stato ordinato, ma non perse l'espressione di pura vittoria, e follia, dipinta in volto.
Appena arrivò la polizia si scoprì che dal retro stavano davvero scaricando dei carichi di armi di contrabbando dalla Russia e quindi Santano fu arrestato, così come molte persone presenti alla festa, tra cui il famoso mecenate russo, su cui Scotland Yard stava già indagando da un pezzo.
Di tutte le altre persone furono presi i dati essenziali e gli venne raccomandato di tenersi a disposizione della polizia e di non lasciare la città. Sarebbero stati troppi per essere interrogati tutti.
Infine Mitchell fu condotto alla centrale per essere interrogato, ma non c'erano dubbi che sarebbe finito dentro.
Prima di essere portato via riuscì a scambiare delle ultime battute con Sherlock.
- Tic toc fa' l'orologio, undici colpi batte qua, dodici colpi presto batterà.

E poi fu trascinato via, ridendo amaramente e con gli occhi al cielo.
Prima che Lestrade potesse intercettarlo, Sherlock trascinò John fuori dalla villa pullulante di uomini in uniforme e velocemente presero un taxi.
- Allora ce l'hai fatta! E' finita!
Sherlock non rispose. Si guardava in torno inquieto e temporeggiava con le dita sulla gamba destra. Doveva assolutamente giungere a Baker Street al più presto.
John non capiva cosa fosse andato storto, ma di sicuro qualcosa di grave doveva essere successo, altrimenti come spiegare il comportamento di Sherlock? Aveva perfino fatto più di quello che gli era stato chiesto. Ora Santano era dietro le sbarre e con lui molti suoi soci e collaboratori, tra cui Mitchell. Non capiva.
Gli lanciò un'altra occhiata e sorrise nel notare i capelli castani pettinati all'indietro e il farfallino al collo. Era molto buffo.
- Mi vuoi dire cosa sta succedendo? Perché sei così agitato?
Sherlock sbuffò impaziente.
- Lisa non c'è più.
John lo guardò smarrito.
- Come non c'è più? E' partita?

- Si, John, probabilmente per l'altro mondo! Mitchell ha espresso delle frasi che lasciavano intendere che non avrebbe più potuto testimoniare, quindi o è morta o l'hanno rapita, o l'hanno rapita e poi uccisa. La seconda ipotesi è più probabile, perché c'è differenza tra i crimini commessi da Mitchell e l'omicidio. Però è anche vero che Mitchell è un pazzo, uno psicopatico, quindi potrebbe averla fatta uccidere comunque. No, è impossibile.
- Perché impossibile?
- Non sarebbe divertente. Tic toc fa' l'orologio, undici colpi batte qua, dodici colpi presto batterà.
- Cos'è? Una filastrocca?
In quel momento dalle campane del Big Bang risuonarono undici colpi.
- E' il tempo che abbiamo prima che Lisa muoia.
John lo interruppe.
- Sherlock... Siamo quasi arrivati.

  

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Capitolo 5
*** Persi in Bilico ***


Ed alla fine è giunto il momento di pubblicare l’ultimo capitolo. Ci sarà un epilogo, ma in questo verranno risolti tutti i punti. Ringrazio MoriartyWasReal
 

Capitolo 4 - Parte Seconda
~ Persi in Bilico  ~

 

“Sul mio destriero al passo la posi,
E altro non vidi per quella giornata,
Ché lei dondolandosi cantava
Una dolce canzone incantata..”

La Belle Dame Sans Merci - J. Keats

 
Appena entrarono il cuore di John prese a battere freneticamente e una morsa gli strinse la gola. La porta d'ingresso era spalancata e le pareti e il pavimento erano solcate da strisce di sangue ancora fresco. Sul muro, in alcuni punti, colava giù a gocce per poi arrestarsi al pavimento, coagulato velocemente.  
Corsero su per le scale fino ad arrivare al salotto. Anche qui la porta spalancata, i mobili sottosopra e ancora altre impronte: mani, piedi, dita insanguinate. Ci doveva essere stata una violenta colluttazione.
A terra la signora Hudson giaceva inginocchio, china su se stessa, piangeva singhiozzando.
- L'hanno presa, Sherlock! L'hanno presa!
Sherlock la tirò su di peso e, senza un minimo di delicatezza, la sistemò su una poltrona.
- Era viva? Me lo dica, era viva?!
La signora Hudson piangeva disperata e più lui le urlava contro più peggiorava. Sherlock sentì la rabbia montargli dentro come un fiume in piena.
John si frappose tra lui e la povera donna in lacrime e con voce dura lo riprese.
- Sherlock, non vedi che è sotto shock? Non otterrai niente urlandole contro.
A queste parole si calmò un poco e si allontanò per esaminare la stanza. Avrebbe ottenuto più risultati dalla scienza e dal ragionamento, ovviamente.
Raccolse dei campioni in giro e poi scese al piano di sotto, lasciando la signora Hudson alle cure di John.
Quest'ultimo, dopo essersi accertato che la donna stesse bene cercò di interrogarla lui stesso. Vedeva benissimo che Sherlock non era in sé. Cercava inutilmente di trattare questo caso come se fosse uno dei tanti, ma non ci riusciva perché era coinvolta una persona a cui teneva.
La signora Hudson sedeva ancora tremante davanti a lui e continuamente si portava le mani al viso.
- Sono entrati all'improvviso, mentre stavamo tranquillamente bevendo una tazza di the...- mentre parlava le rughe intorno agli occhi si facevano ancora più profonde.
- Quanti erano? - usò un tono delicato e protettivo, cercando di infondergli sicurezza.
- Due, due uomini vestiti di scuro e armati. Uno ha tirato fuori la pistola e me la puntata contro, mentre l'altro cercava di prendere Lisa. Quella povera ragazza era riuscita ad afferrare un coltello dalla cucina ed ad infilzarglielo nel braccio. Pensava di essere riuscita a fermarlo, invece... invece quello...
Le mani le tremavano e John la vide fermarsi un attimo per prendere un lungo respiro.
- Vada avanti...
- Invece quello ha tirato fuori una... una frusta e ha iniziato a colpirla alle braccia e alla schiena. Poi... l'ha portata qui, al centro del salotto, trascinandola per i capelli e strappandole i vestiti...
- E poi?
- E poi ha cercato di violentarla, ma l'altro uomo gli ha detto che non c'era tempo e allora l'hanno trascinata giù per le scale. Lisa ha cercato di aggrapparsi alle scale e al muro, ma ogni volta che faceva resistenza la frustavano... così...
John deglutì piano, immaginandosi la scena. Un brivido gli corse su per la schiena.
- Avrei potuto fare qualcosa... io...
La signora Hudson scoppiò nuovamente in lacrime e John l'abbracciò protettivo.
Appena Sherlock entrò nella stanza iniziò ad esporgli il racconto della signora Hudson, ma lui lo interruppe prima.
- Devo andare ad analizzare questi campioni, forse so dove l'hanno portata.
- Devo?
- Si, tu pensa alla signora Hudson.
- Io vengo con te! Non puoi affrontare da solo due uomini armati, è una pazzia!
Sherlock sospirò e lo guardò gelido.
- Non ho bisogno di te ora. Mi saresti solo d'intralcio.
In quel momento il cellulare di Sherlock iniziò a squillare. Smisero di respirare all'istante.
Sherlock premette il tasto del viva voce e rispose.
- Pronto?
Dall'altra parte si udì un suono gracchiante e poi finalmente la voce di Mitchell si levò stridente.
- Questa sera, per cena, ho mangiato dell'ottimo pesce. L'ho tirato io stesso fuori dall'acqua e poi... sono rimasto ad osservarlo mentre si dibatteva e... soffocava. - la frase fu interrotta da una breve risata amara - E' stato interessante. - le s sibilavano.
Sherlock fece segno agli altri di tacere.
- Dimmi dove l'hai portata e forse potrei mettere una buona parola per te con Lestrade.
Si sentì lo schiocco della lingua sui denti e poi un'altra risata.
- Non raggiungerei il mio scopo se te lo dicessi... Io e Lisa saremo insieme per l'eternità e tu ci raggiungerai.
- Lei morirà.
- Si, anche io... così ci incontreremo nel regno dei cieli...
- Io non credo in Dio.
Mitchell rise divertito.
- Lo sai, noi due siamo uguali, in fondo vogliamo le stesse cose...
John scrutava Sherlock, attento ad ogni sua risposta.
- No, ti sbagli.
- Perché?
Sherlock rispose con semplicità.
- Perché tu sei pazzo.
E poi chiuse la chiamata.
La signora Hudson e John lo fissavano in attesa di una sua reazione.
- So dove si trova Lisa, non c'è tempo per l'analisi chimica.

Detto questo si precipitò giù per le scale, urlando dietro di sé - John, porta la signora Hudson in ospedale e se non mi vedi entro un'ora dirigiti alla vecchia cisterna abbandonata!

Di notte alla vecchia cisterna non c’era mai nessuno. Completamente deserta alla periferia di Londra. Le pareti sporche e ricoperte di graffiti, la scala che portava alla passerella di ferro arrugginita e mormorio dell’acqua quando pioveva.

Quella notte una vecchia gru da carico montata su un autocarro sollevava sopra la cisterna una piccola gabbia in ferro, la teneva a circa sei - sette metri dall’acqua e ogni tanto la faceva oscillare per provocare paura alla preda al suo interno.
La ragazza lanciava continuamente grida d’aiuto, si dibatteva e picchiava i pugni contro le sbarre di ferro, ma nessuno poteva sentirla. Sulla passerella uno dei due rapitori, nel buio era impossibile distinguerne il volto, rideva mentre lei urlava. Si teneva pronto a dare il segnale per farla andare giù.
- Ehi, tesoro, sono le undici! Sai cosa significa? Che adesso andrai giù in quell’acqua fredda fredda...
Lisa iniziò a gridare ancora più forte quando si rese conto che la cabina iniziava lentamente a scendere.

 


 

Ancora prima di giungere a destinazione Sherlock sentì le urla, urla di terrore, di paura, di chi ha la consapevolezza di andare in contro alla morte. Spense i fari del taxi che aveva rubato e arrestò l’auto alcuni metri prima della curva che portava alla cisterna. Aveva intenzione di scivolare alle spalle degli uomini e, uno alla volta, addormentarli con del cloroformio che aveva “preso in prestito” dall’ospedale qualche mese prima. Sapeva che prima o poi gli sarebbe tornato utile.
Si avvicinò di soppiatto all’uomo alla guida dell’autocarro, aspettò il momento opportuno e poi lanciò un sasso dall’altra parte della strada. Come previsto il rumore attirò l’attenzione di entrambi, velocemente aprì la portiera e prima ancora che l'altro potesse dare l’allarme gli tappò la bocca con il fazzoletto imbevuto nel liquido.
Si addormentò in pochi secondi. Bene. Ora restava il "collega". Uscì dall’autocarro e si appiattì al muro della cisterna.
In alto Lisa aveva smesso di urlare, ma si poteva ancora udirne il pianto sommesso e disperato. Osservò i movimenti dell’uomo sulla passerella, stava scendendo la scaletta per andare a controllare il rumore provocato dal sasso. Perfetto, era proprio quello che voleva.
Stava per scattare verso il rapitore, quando qualcuno da dietro lo afferrò per la giacca. Si voltò, sorpreso, e fece appena in tempo a vedere due occhi neri come la pece prima di cadere subito nell'oblio.
 
Delle grida ovattate. Qualcuno gli tira la giacca, cos'è il liquido caldo che sta colando sulla palpebra destra? Dentro la testa c'è qualcosa che picchia contro il cranio. Il dolore! Allucinante, terribile, soffocante, gli percuote il cervello come un martello.
Chi era? Cos'era successo?
Provò a socchiudere le palpebre.
Due occhi, del più bel verde che avesse mai visto, lo fissavano terrorizzati. Erano famigliari, ma non ricordava dove li avesse già incontrati.
Spalancò del tutto le palpebre e quello che vide lo riempì di meraviglia. I due smeraldi erano incorniciati da un'altrettanto viso perfetto e delicato. Inspiegabilmente la ragazza gli si buttò addosso e iniziò a baciarlo sul collo e sul volto. Sembrava incredibilmente sollevata, ma non riusciva a capire per cosa. Chi era quella ragazza? E sopratutto chi era lui?!
Il dolore alla testa lo distrasse da questi pensieri e gli sfuggì un gemito. La ragazza si staccò subito e lo guardò nuovamente in apprensione.
- Sherlock, stai bene? Ho cercato di lavarti via il sangue, ma è stato inutile.
Sherlock... Sherlock... Era il suo nome? Sangue? Era quello il liquido caldo?
- Cosa mi è successo? - la sua voce era pastosa. No, non stava affatto bene.
-  Come, non ricordi? Il terzo uomo ti ha colpito in testa e sei svenuto.
- Di che stai parlando? Chi sei e perché sei mezza nuda e coperta di sangue?
La ragazza spalancò gli occhi, atterrita.
Con voce tremante chiese:“Cosa?”

 


 

Dopo aver accompagnato la signora Hudson in ospedale ed essersi accertato che stesse bene e al sicuro John, naturalmente, decise di raggiungere immediatamente Sherlock alla vecchia cisterna, l'unico problema era che non aveva la minima idea di dove potesse essere e sopratutto quale delle tante alla periferia di Londra fosse quella giusta.
Di chiedere a Lestrade non ne valeva la pena perché sapeva benissimo che il suo livello di conoscenza dei dintorni di Londra eguagliavano quelli di tutte i londinesi medi, quindi l'unico che restava e che certamente avrebbe fornito un'indicazione esatta era Mycroft Holmes.
L'idea di andargli a fare visita non lo entusiasmava al massimo, ma non aveva scelta. Se voleva aiutare Sherlock in qualche modo quello era l'unico possibile.
Quando lo fecero entrare in una piccola saletta privata dall'arredamento lussuoso, ma comunque sobrio, Mycroft Holmes sedeva di spalle, con un giornale aperto sulle ginocchia. La sua aria tranquilla e sempre moderata in qualsiasi situazione accrebbe la sua irritazione a dismisura, ma cercò di contenersi.
- Ebbene, John, a cosa devo il piacere di questa visita? Si accomodi, la prego.
- Non c'è tempo per le chiacchiere. Suo fratello è in grave pericolo, mi deve aiutare.
Mycroft fece un sorriso sghembo e replicò.
- E quando non lo è?
In quel momento John avrebbe voluto scuoterlo fino a fargli perdere quell'aria di superiorità di cui tanto faceva mostra.
- Mi ascolti, è una faccenda seria e non solo Sherlock rischia la vita, ma anche Lisa.
A quel nome il volto dell'altro si fece immediatamente serio e attento. Non che prima non fosse interessato all'incolumità di Sherlock, anzi, lui ne teneva sempre d'occhio i movimenti ed interveniva in quelli più pericolosi, ma l'abitudine l'aveva portato a nascondere l'apprensione quando si trattava del caso "Sherlock Holmes". Invece il nome di Lisa lo colpì molto, perché quando era venuta a fargli visita avevano chiacchierato molto, ma poi il discorso si era concluso felicemente e lei gli aveva assicurato che adesso non c'erano più problemi. A quanto pare gli aveva mentito e lui non era stato in grado di accorgersene.
Beh, Lisa era sempre riuscita ad ingannare entrambi i fratelli Holmes, quando voleva.
In genere con Sherlock faceva molta più fatica, perché davanti a lui era molto vulnerabile.
John continuò.
- Mi deve dire dove si trova una vecchia cisterna alla periferia di Londra. Una non molto grande e difficile da trovare, abbandonata e dalla quale anche se provengono delle urla la gente non può sentirle.
- Deduco che i due si trovino lì.
- Esattamente. La prego, è abbastanza urgente e abbiamo tempo fino a mezzanotte.
Mycroft guardò l'orologio: 11.40.
- Va bene. Chiami Scotland Yard e mi segua. So dove si trova.
John tirò un sospiro di sollievo e si affrettò a fare come gli era stato indicato. Non aveva mai visto così attivo Mycroft Holmes, ma perfino nel movimento manteneva una compostezza ammirevole. Mentre raggiungevano la macchina, che John conosceva bene, i suoi pensieri corsero a Sherlock e a Lisa. Lo stomaco si bloccò da un cattivo presentimento.

 


 

Dopo avergli fatto tutte le domande necessarie Lisa si abbandonò alla disperazione. Ora non avevano davvero più speranza. Di tutte le rovine, quella di una nobile mente è la più sconvolgente *. Pianse, urlò, provò a tirare calci e pugni alle sbarre, ferendosi le mani ed infine si lasciò scivolare a terra, nascondendo il volto fra le ginocchia insanguinate.
Sherlock la guardava confuso e disorientato. Erano su un ascensore senza muri? Probabilmente stava sognando e quello era tutto un incubo. Vero era che per essere un incubo era estremamente realistico. Cercò di alzarsi, ma la testa prese a girare vorticosamente e così si risedette a terra, trascinandosi faticosamente accanto a Lisa.
- Perché piangi?
Lei non alzò nemmeno lo sguardo.
- Ora l'unica speranza che ci resta è John. - gorgogliò con voce impastata.
Quel nome suscitò una specie di risveglio dentro la mente di Sherlock. Non sapeva perché, ma era importante. Una sensazione sgradevole si fece strada in lui, come quando hai una parola sulla lingua, ma non riesci a tirarla fuori. Esattamente quella sensazione. Iniziò a mormorare velocemente tra sé.
- John, John, John... è una persona che conosco, ma chi? Non ricordo. Sento che è fondamentale.
Lisa lo guardò speranzosa e cercò di aiutarlo il più possibile.
- John, ricordi, John Watson. Il tuo coinquilino... Ricordi? John Watson.
- John Watson, John Watson, John Watson...
All'improvviso scattò in piedi e urlò dal dolore. La testa gli pulsava e una miriade di informazione, luoghi, date, persone, passato e presente iniziarono a rovesciarsi nella sua testa, come un'enorme cascata, ed era terribile. Quando si fermò Lisa, che nel frattempo si era alzata in piedi a sua volta, lo chiamò con voce esitante. 
- Sherlock?
Lui si voltò e appena i loro sguardi si incrociarono Lisa ebbe la certezza che era di nuovo lui. Non riuscì a trattenersi un attimo di più e gli saltò al collo, scoppiando in un pianto sommesso e liberatorio. Sherlock non si oppose, anzi, forse per qualche strano moto involontario causato dal recente smarrimento, chiuse gli occhi e la strinse a sé, sussurrandole all'orecchio mormorii di conforto.
Mentre succedeva tutto questo, la cabina di ferro continuava la sua inarrestabile ascesa verso lo specchio gelato della cisterna. Se non si fossero fermati sarebbero morti affogati, schiacciati sott'acqua dal peso incontrastabile del metallo.
- La signora Hudson si è sbagliata, c'era un terzo uomo. Che stupido...
Sherlock si staccò da Lisa solo quando i loro piedi furono raggiunti dall'acqua stagnante e ghiacciata.
- Ok, ora dobbiamo bloccare questa cabina e l'unico modo è convincere gli uomini di Santano e di Mitchell. - il tono era tornato pratico e sicuro.
Lisa sorrise amareggiata.
- E' inutile, ci ho già provato, credimi, in qualsiasi modo.
- Tutti hanno un punto debole. - detto questo iniziò a chiamarli - Ehi, voi! - ma fu subito fermato da Lisa.
- Il problema non è fargli cambiare idea, il problema è farci sentire da loro. Santano gli ha ordinato di tapparsi le orecchie in modo tale da svolgere il loro compito senza problemi. Qualsiasi cosa facciamo o diciamo non cambierà nulla.
Nel frattempo l'acqua aveva già raggiunto le ginocchia e per la prima volta, forse l'ultima, Sherlock Holmes non poteva fare assolutamente niente per risolvere il problema.
Il livello continuava a salire e salire e salire e Sherlock era ben cosciente che tra pochi attimini sarebbe morto.
Si avvicinò a Lisa e le sfiorò le ferite sulle braccia e sulla schiena. Era colpa sua.
- Mi dispiace tanto. Mi dispiace, avrei dovuto prevedere che Mitchell sarebbe arrivato a sapere che eri sola a Baker Street, non avrei dovuto lasciarti. Ho sbagliato... tutto questo caso è stato un errore e ora morirai per colpa mia. Moriremo per colpa mia. - si appoggiò con la schiena alle sbarre e chiuse gli occhi, inspirando a fondo l'umidità della notte.
Lisa gli sfiorò il volto. Questo davanti a lei era un Sherlock che non aveva mai visto, un Sherlock diverso, quasi disperato. Sorrise. Ci era voluta la morte per ricevere una carezza da lui.
- E' stata colpa di entrambi. Posso esprimere un ultimo desiderio prima di morire?
Sherlock la guardò in attesa.
Lisa chiuse gli occhi e avvicinò ancora di più il proprio viso al suo finché i loro nasi non si sfiorarono e a quel punto Sherlock intuì quello che Lisa voleva. Meccanicamente si irrigidì, ma non si mosse.
L'acqua gelida ora era salita fino al torace e entrambi tremavano come foglie.
Le labbra morbide e bagnate di Lisa aderirono perfettamente alle sue, che rimasero fredde come il marmo, ma lei non se ne curò. L'aveva immaginato. Con decisione, quasi con rabbia, la sua lingua si fece strada in quella bocca di pietra, in una ricerca disperata di un qualcosa a lungo inconsciamente agognato. Lui la lasciò fare, immobile, sapeva che ne aveva bisogno in quel momento, ma quando finalmente la lingua di lei sfiorò la sua qualcosa dentro di lui si mosse e provò l'istinto di rispondere a un richiamo antico e mai destato. Lentamente fece scorrere la sua mano destra lungo la sua gamba e successivamente sui fianchi, mentre con l'altra le accarezzava i capelli bagnati. Perfino in quella situazione cercava di calcolare dove esattamente posizionare le dita, per non arrecarle dolore urtandole le ferite. Appena Lisa sentì Sherlock che la toccava si fermò un momento e senza allontanare il proprio viso dal suo lo guardò grata. Questa volta, quando si insinuò nuovamente dentro la sua bocca, ad accoglierla c'era un sapore caldo e sicuro. Mentre lo baciava gli accarezzava il viso e piangeva, perché sapeva che quello sarebbe stato l'ultimo contatto che avrebbe avuto con lui.
L'acqua raggiunse il suo collo a quel punto, scossa dai brividi e dalla paura, si staccò e semplicemente abbandonò il proprio capo a lui. Piangeva, ma era un pianto silenzioso, di chi non ha più speranza.
L'acqua saliva, lentamente, troppo lentamente, mangiando un millimetro di pelle alla volta, facendo attendere con angoscia il momento cruciale.
Sherlock Holmes si limitava a tenere stretta al suo petto la testa di Lisa. Non riusciva a pensare a nulla di importante o sensazionale. Non vide scorrere la propria vita immagine dopo immagine. Rimpianse di aver lasciato il violino fuori dalla custodia e di essere in ritardo con il pagamento dell'affitto alla signora Hudson. Aveva paura non perché andava incontro a qualcosa di sconosciuto, semplicemente non era ancora pronto ad abbandonare l'universo dietro di sé, completo di persone che conosceva e con cui interagiva, ma che da quel momento non avrebbero più avuto a che fare con lui.
Gli dispiaceva per John, perché ci sarebbe rimasto male.
L'acqua raggiunse le loro bocche, prima quella di lei, e poi, lentamente anche il naso, gli occhi e i capelli, fino a quando le loro teste sprofondarono nell'acqua dolce e gelida della morte.
*(da L'Avventura del Detective Morente)

 


 

Finalmente l'auto raggiunse la cisterna. Dietro di loro due macchine della polizia e due ambulanze li seguivano a ruota con le sirene accese. Appena si fermarono John scorse un uomo correre fuori dall'autocarro e filare via verso il bosco come un fulmine.
Sherlock e Lisa non c'erano, né in alto né in torno. L'unica cosa che emergeva dall'acqua era un filo metallico abbastanza robusto e questo, questo significava che erano giunti troppo tardi.
Immediatamente John si fiondò fuori dall'auto e corse all'autocarro. Sul sedile un uomo dormiva profondamente.
Ci doveva essere una leva che serviva per tirare su Sherlock e Lisa, ma... non sapeva quale. Se avesse tirato la leva sbagliata sarebbero andati ancora più a fondo. Pensieri gli affollavano la testa, le mani gli sudavano, ma non c'era tempo per pensare, doveva andare a istinto.
Tirò la leva a sinistra e chiuse gli occhi.
Gli giunsero solamente le urla degli uomini, di Lestrade e degli altri poliziotti, ma non voleva guardare. Poi la mano di Mycroft lo scosse.
- John, ce l'ha fatta, guardi.
E gli indicò una cabina di ferro che lentamente stava emergendo dall'acqua.
Senza aspettare oltre corse dietro ai due infermieri che in quel momento stavano salendo la scaletta di ferro che portava alla passerella.
La cabina si muoveva verso di loro con una lentezza angosciante. Sul fondo si potevano scorgere due figure umane distese supine una sull'altra.
Aveva il cuore in gola. Ecco, lo sapeva, non aveva fatto in tempo, erano morti. Non aveva fatto in tempo. Dio!
Appena arrivò all'altezza della passerella uno dei due uomini accanto a John tirò fuori una chiave dalla tasca e aprì la porta in ferro. Li tirarono fuori subito.
Non respiravano. Mentre gli altri pensavano a Lisa, John si occupava di Sherlock. Non lo aveva mai visto così pallido e freddo. Troppo freddo. Gli controllò il polso. Nessun battito.
Dannazione!
In quel momento prevalse la parte di lui più razionale che lo sospinse a entrare nella parte del medico. Con sollievo riuscì a coordinare i movimenti e dargli un senso senza perdere altro tempo.
Calcolò che in tutto erano passati circa un minuto e qualche secondo, quindi era ancora in tempo.
Si assicurò che le vie aeree non fossero ostruite piegandoli il capo all'indietro e sollevandogli il collo, in modo tale che il paziente non ingoiasse la lingua.
Iniziò a praticargli la respirazione bocca a bocca, tappandogli le vie nasali con la guancia e alternandola equamente con massaggio cardiaco. Ci metteva tutta la concentrazione che poteva, ma il volto di Sherlock restava bianco e freddo e immobile e lui era sempre più disperato.
- Dannazione, Sherlock! Respira! Non puoi morire, non puoi!
E con rabbia sbatté il pugno chiuso contro lo sterno della cassa toracica.
Come per miracolo il petto iniziò a muoversi e dalla bocca fuoriuscì una quantità enorme d'acqua. Sherlock tossì e sputò, mentre John si prodigava in mille cure e non nascondeva il sollievo di rivedere il suo amico ancora vivo.
Il viso di John fu la prima cosa famigliare e cara che Sherlock riconobbe, poi ci fu quello di Mycroft, che nel frattempo era salito.
- John...- la voce era rauca e flebile, usciva a stento. Aveva freddo, terribilmente freddo.
John gli sorrise ed insieme ad un altro uomo lo trasportarono giù dalla cisterna e lo caricarono su un'ambulanza.
Sherlock si guardava intorno. C'era solo suo fratello a tenergli compagnia.
Dov'era Lisa? Stava bene? Non aveva notato un'altra barella... Sicuramente era al sicuro con John.
John, assicuratosi che Sherlock fosse sistemato, corse immediatamente da Lisa. Prima, mentre portavano giù Sherlock, aveva notato due uomini intenti ancora a rianimarla, ma non sapeva se alla fine ci fossero riusciti. Dopo la liberazione iniziale, mentre risaliva il più velocemente possibile la scaletta in ferro, aveva nuovamente il cuore in gola.
Appena arrivò in cima si sentì male.
Il corpo della ragazza giaceva bianco ed immobile come il marmo. I due medici avevano smesso di tentare di rianimarla e questo significava solo una cosa: era finita. Non c'era più niente da fare, era passato troppo tempo e ormai era morta.
Chiuse gli occhi e naturalmente il suo pensiero corse a Sherlock. Sarebbe stato un colpo terribile per lui e non si sarebbe dato pace finché Santano e Mitchell non sarebbero stati condannati.
Le si avvicinò lentamente. I due medici non dissero nulla, ma si limitarono ad allontanarsi con rispetto.
I suoi bellissimi occhi verdi erano ora sbarrati e privi di quel caldo luccichio che era la vita. Non avrebbero più osservato curiosi da sotto l'ombra dei capelli arruffati.
Con delicatezza le chiuse le palpebre e le spostò alcune ciocche dal viso.  Perché morivano sempre le persone migliori?
Si rialzò ed aiutò i due medici a portarla nell'ambulanza. Della polizia restavano solo alcuni agenti, insieme a Lestrade e proprio con quest'ultimo scambiò uno sguardo triste.
Si accinse a raggiungere l'ospedale.
 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Non so cosa dire. E' l'epilogo punto. Credo che appena cliccherò il tasto invia mi metterò a piangere. Spero che vi piacerà, ma voglio assolutamente sapere che cosa ne pensate, quindi vi prego, recensite. Grazie a tutte le persone che hanno letto, seguito e recensito questa ff. Grazie e buona lettura.
 

Capitolo 5
~ Epilogo  ~

 

“E mi portò alla sua grotta fatata,
Ove pianse tristemente sospirando;
Poi i selvaggi suoi occhi selvaggi le chiusi,
Entrambi doppiamente baciando.”

La Belle Dame Sans Merci - J. Keats

 
Appena Sherlock riaprì gli occhi comprese. Erano tutti lì intorno a lui, John, Mycroft, Lestrade e la signora Hudson, in attesa del suo risveglio in quel letto dalle coperte perfettamente bianche senza una grinza. Il loro sguardo era triste, preoccupato, quello di John addirittura tormentato. Sapeva, sapeva cosa dovevano dirgli, l'aveva intuito dai loro non-sorrisi. Cercò di controllarsi, ma percepiva l'angoscia invadergli lentamente il corpo, conquistando prima lo stomaco, poi i polmoni ed infine la gola.
John sorrise.
- Come ti senti? - la voce era sincera come sempre.
Sherlock arrivò subito al punto.
- Lisa?
All'istante i tratti dei presenti si rabbuiarono e la signora Hudson si portò una mano davanti agli occhi.
Fu John a trovare il coraggio di rispondere, suo fratello era troppo addolorato.
- Ecco... Non... Non ce l'ha fatta.
Sherlock non mosse un muscolo. Non contrasse la mano, non chiuse gli occhi, non parlò ed il respiro si mantenne regolare, ma John intuì che non era più presente. Non era più con loro, il suo sguardo si era fatto vacuo ed ombroso ed era lontano miglia e miglia.
Lo lasciarono solo.
John e Mycroft furono gli ultimi ad uscire dalla stanza non senza avergli lanciato un ultimo sguardo mesto.
- Sa John, prima che arrivasse lei... l'unica amica vera era Lisa. Per me è un dolore immane la sua perdita, ma non so cosa possa essere per mio fratello. Loro si divertivano insieme, non senza litigi ovviamente, ma erano due personalità troppo opposte per non andare d'accordo.
Mentre Mycroft raccontava John si era seduto su una delle panche dell'ospedale e l'altro, finita la frase, lo imitò. Se ne restarono nel cupo silenzio di chi vuole rimanere solo con i propri pensieri.
Gli occhi di Mycroft fissavano smarriti la porta senza vederla, persi in una scena identica del passato.
La porta era diversa, vecchio stile, la maniglia cigolava, il pavimento era stato appena lavato e i raggi del sole lo riscaldavano facendolo risplendere di luce dorata.
Due adolescenti, un ragazzo e una ragazza, camminavano lentamente per il corridoio. Lei indossava una minigonna di jeans e una camicetta bianca e si lasciava tranquillamente cingere i fianchi morbidi dalle braccia del ragazzo.
I suoi occhi verdi smeraldo luccicavano mentre osservavano i particolari del viso e i capelli neri di lui.
Sherlock e Lisa avevano rispettivamente sedici e quindici anni, ma in fondo non erano molto differenti dal presente. Era da due giorni che facevano credere a tutti i dipendenti dell'ospedale di essere fidanzati, avendo scoperto che questo addolciva di gran lunga le infermiere, che gli concedevano quasi tutto. In teoria si trovavano lì in visita a Mycroft, in pratica giorno per giorno rubavano qualcosa dal laboratorio dell'ospedale.
- Sherlock, credi che questa volta ci scopriranno?
Lui la guardò con sufficienza.
- No, sono troppo stupidi. E poi le infermiere non penseranno mai a noi.
- Perché, noi c'entriamo qualcosa? Siamo così due dolci fidanzati.
Entrambi risero sommessamente.
La scena cambiò. Questa volta ambientata nella camera da letto di Sherlock.
Lisa era praticamente mezza nuda, indossava solo una maglietta strappata e dei pantaloncini corti, mentre Sherlock era steso a letto, senza scarpe, con la camicia sbottonata e completamente sudato. Lisa piangeva e rideva allo stesso tempo, continuando a mordersi le labbra e a girare per la stanza come un'ossessa, gli occhi spiritati ed eccitatissimi, mentre Sherlock, irriconoscibile, se ne stava disteso e afflitto, quasi paranoico, ogni tanto la sua mano veniva scossa da spasmi. Lisa gli si avvicinò ridendo.
- Su, adesso vedrai, ti tiro su io...- e così biascicando si portò a cavalcioni sopra di lui e con la lingua gli leccò il profilo del collo. Sherlock la guardò furente.
- Togliti, mi infastidisci!- urlò cercando di spingerla via.
Lisa rise.
- Certo certo... Tu non mi puoi vedere, non puoi...perché io sono invisibile!
Erano strafatti da buttare via. A quei tempi tra loro la coca scorreva a fiumi. Tutta colpa di Sherlock, che a diciannove anni si era lasciato prendere la mano e ci aveva trascinato dentro anche Lisa.
Solo grazie al suo personale intervento, per fortuna, lei ne era uscita quasi subito, mentre per Sherlock... beh, per Sherlock ci era voluto un bel po' di tempo e tutta la pazienza della cara, dolce Lisa.
Mycroft scosse la testa e si alzò. Era ora di tornarsene al lavoro. Di sicuro suo fratello non si sarebbe ripreso molto presto.

   

Nei giorni seguenti la salute fisica di Sherlock migliorò notevolmente, tanto da consentirgli di alzarsi dal letto e camminare senza sforzi eccessivi, ma la sua mente non esisteva più. Sembrava rinchiusa il qualche recesso sconosciuto del suo personale palazzo della memoria e non accennava ad uscire. Non parlava se non a monosillabi, mangiava senza gusto ne voglia, beveva il necessario, per il resto restava immobile con lo sguardo lontano.
John arrivò a pensare che non si sarebbe più rimesso e che la morte di Lisa aveva distrutto il Sherlock Holmes esistente fino a quel momento.
Mycroft disse solamente che si sarebbe ripreso, prima o poi.
Ed era quel poi che aveva assillato John fino a quando, lunedì mattina, Sherlock gli si era avvicinato e gli aveva parlato per la prima volta dopo giorni.
- Voglio vederla.
La voce era stanca e spossata, ma di sicuro lo sguardo era di nuovo vigile ed attento.
John annuì e gli promise che nel pomeriggio lo avrebbe accompagnato all'obitorio.  
“Poi fu lei che cul1andomi
M'addormentò - e, me sciagurato,
Sognai l'ultimo sogno
Sul fianco del colle ghiacciato.”

La sala era fredda e asciutta, perfettamente pulita. Sherlock aveva congedato John fuori dalla porta ed era entrato da solo. Aveva bisogno della solitudine perché solo con lei il suo animo si acquietava un poco.
Sul tavolo di metallo il suo corpo giaceva coperto da un lenzuolo bianco, spuntavano solo le dita dei piedi, anch'esse bianche e fredde.
Le si avvicinò lentamente, calcando bene i passi sul pavimento e misurando attentamente ogni movimento, finché non le giunse accanto.
Con delicatezza le scoprì il volto e finalmente riprese a respirare. Non si era accorto di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo. Non era da lui, ma d'altronde Lisa era sempre riuscita a scombussolarlo. Perfino da morta riusciva a cambiarlo.
Analizzò il viso cereo, la grana della pelle, l'ombra del naso, le sopraciglia, perfino alcuni piccoli punti neri sulla tempia sinistra.
Le accarezzo il collo e con il pollice le disegnò il contorno del mento, passò il dorso della mano sulla sua guancia gelata ed incolore. Chiuse gli occhi. Non ce la faceva, era troppo anche per lui e si odiava per questo. Si odiava per non essere riuscito a salvarla e ancora di più perché era stata la sua presunzione a portarla via.
I suoi occhi erano umidi e una lacrima iniziò la sua lunga discesa, ma fu bloccata prontamente dalla mano di Sherlock, che si affrettò ad asciugarsi il volto e a ricomporsi.
Analizzò alcuni ricordi che aveva di lei da bambina mentre insieme vagavano per il cortile della scuola cercando di acchiappare una lucertola, poi alle medie, mentre le faceva copiare i compiti di chimica, alle superiori, mentre gli altri ragazzi andavano in discoteca, loro cenavano al ristorante cercando di indovinare quale professione svolgessero le persone intorno a loro. Ne avevano passate tante e non sempre piacevoli. Si metteva solo gioielli d'argento perché l'oro non le piaceva. Basta, non era il momento e comunque di notte avrebbe avuto tutto il tempo che voleva, tutto il tempo del mondo per annegare nei ricordi.

Non aveva intenzione di pregare dato che non era religioso, quindi si limitò a guardarla un'ultima volta. Non si sarebbe mai dimenticato quei lineamenti, mai, fino alla morte sarebbero rimasti incisi nella sua memoria.

John riusciva a scorgere l'alta figura di Sherlock da una delle finestrelle della porta, lo vide sollevare il lenzuolo, ma quando iniziò ad accarezzarle il volto distolse lo sguardo, leggermente imbarazzato. Non voleva invadere nemmeno con lo sguardo quel suo momento di intimità. Prima di risollevare il velo lo vide chinarsi verso di lei e baciarla delicatamente sulla fronte.
In quel momento ebbe la certezza che Sherlock l'aveva amata. L'aveva amata, ma ci aveva rinunciato, perché lui era il grande Sherlock Holmes e se voleva continuare ad esserlo non si poteva permettere di provare sentimenti.
Quando uscì dalla stanza il suo sguardo era impenetrabile, ma John, che lo conosceva bene, sapeva che era tornato in sé. Forse, solo ogni tanto, come era capitato in passato, sarebbe ripiombato in un assoluto mutismo, ma per il resto quella faccenda sarebbe rimasta chiusa in un cassetto del suo palazzo, possibilmente ermeticamente.
 

“Ed ecco dunque perché qui dimoro,
E pallido indugio e solo,
Anche se sono avvizziti i giunchi in riva al lago,
E nessun uccello canta, prendendo il volo.”

La Belle Dame Sans Merci - J. Keats 

 
 
 
 
 
 
RINGRAZIAMENTI
La mia gratitudine va:
alla mia amica Sarah per la pazienza e le correzioni; ad A. C. Doyle per aver inventato due personaggi straordinari come Sherlock Holmes ed il Dr. Watson; a Steven Moffat per aver avuto l'idea di trasportarli nel mondo contemporaneo; a John Keats per le sue bellissime poesie ed infine a Sherlock Holmes, perché per me non è mai stato solo un personaggio letterario, anzi, credo che resterà per sempre immortale in quel limbo fatato dove dimorano le creature più belle.

 

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