Daughter, niece, problem

di Nadia_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cinque anni dopo ***
Capitolo 2: *** Facce di pietra ***
Capitolo 3: *** Ricordati di me ***
Capitolo 4: *** Il primo di molti giorni bianchi e grigi ***
Capitolo 5: *** Primo giorno di lavoro ***
Capitolo 6: *** Kami ***
Capitolo 7: *** Una persona! ***
Capitolo 8: *** Una settimana ***
Capitolo 9: *** Un'atmosfera diversa ***
Capitolo 10: *** Ti presto la mia forza ***
Capitolo 11: *** Volevo solo vederlo felice ***
Capitolo 12: *** Non ci sai fare con le ragazze ***



Capitolo 1
*** Cinque anni dopo ***


Cinque anni dopo

“Ti senti pronto? Domani potremmo non tornare, lo sai?”
“…”
“Mi senti? Sto parlando con te!”
“Scusami.”
“Sei distratto, con la testa altrove! Non possiamo permettercelo adesso!”
“…”
“Cosa c’è?”
“Eh?”
“Ti ho chiesto cos’hai, cazzo! Non mi servi a niente se non sei al massimo! Vuoi forse tirarti indietro?”
“No, non è questo. Sai che non ti lascerei mai solo!”
“E vorrei anche vedere! Anche perché senza di me, chi ti rimane, giusto?”
“…”
“Matt! Cazzo! Cosa ti succede? Dimmelo!”
“Mello… devo confessarti una cosa.”



Tokio. In una stanza piena di monitor, il grigiore delle macchine avvolgeva una macchia bianca. Un ragazzo di ventitre anni fissava due figure negli schermi che controllavano l’ingresso. Una donna, molto giovane, avrà avuto la sua età, forse di più, e una bambina.
In quei giorni aveva per le mani un caso molto importante, dei trafficanti di droga, alleati con la mafia locale, stavano smerciando indisturbati da mesi. Quando era intervenuto lui la cellula si era spenta per un po’, ma solo per riorganizzarsi e commerciare con l’estero. Già una ventina di persone erano morte per quella roba tagliata male. Non poteva perdere altro tempo con una donna e una mocciosa.
Lui così giovane, che si occupava di un affare del genere. Com’era successo?
Erano passati cinque anni dalla risoluzione del caso Kira. Quest’ultimo era morto. E lui era diventato il detective migliore del mondo, sotto lo pseudonimo di L. Tutti lo conoscevano, tutti lo ammiravano. Tutti avevano bisogno di lui. Ma a quale prezzo. Il primo L era morto. Mello era morto. Anche Matt, per cui aveva una minima considerazione, era morto. Era rimasto solo lui. L’unica pedina in piedi.
Come aveva fatto? Lo aveva lasciato andare. Sapeva cosa sarebbe successo. Sapeva che sarebbero morti. Ma un assassino come Kira non poteva essere lasciato in giro oltre.
Non era mai stato una persona espansiva, anzi, era spesso definito apatico e asociale. Eppure qualcosa in lui si era mosso, due anni prima, quando una coppia di detective aveva fatto la sua entrata in scena. KJ, si chiamavano. Avevano risolto un caso prima di lui, sotto il suo naso. Da allora fu competizione. Near era sempre in vantaggio, ma più passava il tempo, più i KJ miglioravano. Col tempo, quella lotta per la supremazia gli fece tornare alla mente Mello. Il suo rivale, per modo di dire, perché per Near batterlo era sempre stato semplice. Nemmeno sentiva la competizione, faceva solo il suo lavoro. Eppure l’avere un avversario lo faceva sentire strano. Lo faceva sentire più importante di quanto già non fosse. Perché Near era così. Freddo, calcolatore. Ma mai avrebbe potuto prevedere un risvolto del genere.
“Signore. Qua fuori ci sono una donna con una bambina che chiedono di lei.”
Jevanni. Uno dei suoi uomini migliori. Eppure lo disturbava per delle cose insignificanti.
“Le ho viste.”
Rispose Near atono. Le solite persone disperate che per chissà quale caso erano entrate in possesso del suo indirizzo e chiedevano di lui. oppure era solo una ragazza madre che sperava che qualcuno le facesse l’elemosina.
“Vengono d parte di Matt. Chiedono urgentemente di te Near.”
Matt. Ecco perché il suo sottoposto le aveva ascoltate. Matt. Era storia vecchia. Era un ragazzino intelligente, portato per l’informatica, ma si faceva distrarre spesso dal gentil sesso.
“Di loro che non mi interessa.”
Dalle telecamere potè vedere Jevanni riferire le sue parole alla donna. Una ragazza dai capelli neri e i tratti ispanici, era il massimo che poteva vedere dalla telecamera in bianco e nero. Si incuriosì appena, quando vide lei arrabbiarsi, reagire con violenza al rifiuto e il suo uomo tornare indietro. Sembrava spaventato.
“Signore.”
“Perché sono ancora qui?”
“Da parte di Mail Jeevas, chiedono di Nate River.”
Il suo cuore si fermò per un istante. Quello stupido aveva riferito a quella giovane le loro identità. E’ vero che Matt aveva le sue debolezze, ma non sarebbe arrivato a tanto per una ragazza qualunque.
“Chi sono?”
Chiese senza lasciar trasparire emozione. Guardò meglio la bambina. In effetti assomigliava molto a… No! Matt era stupido, ma non fino a quel punto.
“La ragazza, Lucrecia Navarro, 23 anni. La bambina, Margaret Navarro, 7 anni.”



Il primo capitolo è corto, ma nel prossimo vi giuro che sarà più lungo, anche perchè verranno spiegate un po' di cose. Per chi vuole ho un piccolo spoiler...... Near si ritroverà con una gatta da pelare di ben sette anni. Recensite vi prego. e se i personaggi vi sembrano troppo OOC (col tempo cambieranno, ma all'inizio no) o notate incongruenze temporali ecc fatemelo sapere.
Grazie a tutti!

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Capitolo 2
*** Facce di pietra ***


La pace non dura per sempre

“Matt sei un coglione!”
“Lo so Mello. Mi dispiace!”
“Mi dispiace un cazzo, Matt! Quanti anni avevi tu? Sedici?”
“Lei sedici, io diciassette.”
“Stimati deficiente!”
“Scusa, davvero.”
“Torna a casa!”
“Cosa?!”
“Ho detto torna a casa!”
“Non se ne parla! Io resto con te!”
“Allora dovremmo organizzarci diversamente.”

Jevanni accompagnò le ragazze nella sala monitor. Near le attendeva, ma conservando il solito autocontrollo. Quando la porta si aprì, l’albino si ritrovò davanti due occhi azzurrissimi, sembravano zeffiri liquidi, cristalli che riflettevano luce, facendoli sembrare di varie sfumature di azzurro. Near stava giocando con una ciocca di capelli, che cominciò a far ruotare velocemente tra le dita, quando quegl’occhi lo squadrarono da capo a piedi. Ora capiva perché Jevanni sembrasse intimorito. Lucrecia era una ragazza giovane e bella, dal fisico esile, ma sembrava forte, come un fuscello che però nasconde un albero secolare. Il suo sguardo sembrava trapassare ogni cosa incontrasse e i capelli neri, lunghi e leggermente ondulati sembravano fatti apposta per gli sprovveduti, quelli che non avrebbero mai scorto la furia sotto quegl’occhi, ma si sarebbero limitati all’aspetto seducente. Near pensò che Matt doveva essersi perso in quei grovigli corvini.
“Ciao Nate. Io sono Lucrecia e questa è mia figlia, Margaret.”
Near non si era affatto dimenticato della piccola. Come uno scanner, analizzò la bambina, senza tralasciare la minima piega del viso, per confermare le sue teorie. E aveva ragione. Margaret era nella norma fisicamente, né troppo bassa, né troppo alta per avere sette anni. I capelli erano rossi, come il fuoco.
Come quelli di Matt.
Gl’occhi smeraldo, che brillavano, come quelli della madre.
Come quelli di Matt.
L’amico di Mello era stato un imbecille.
La bimba arrossì sentendosi scrutata e represse il desiderio di nascondersi dietro alla figura materna, cosa che Near notò. Stava cercando di essere forte, forse perché aveva un carattere debole e non voleva darlo a vedere.
Proprio come Matt.
Poi successe. La piccola alzò lo sguardo. Occhi verdi in occhi grigi. Fu come scoccare una freccia. Near ne rimase temporaneamente intrappolato, tempo pochi millisecondi. Poi riprese il controllo della situazione.
“A cosa devo la visita.”
Disse atono. Lucrecia sorrise.
Sembra davvero che lo faccia apposta per provocare. Razza di bastardo. Mail aveva ragione, devo stare attenta.
“Io e mia figlia abbiamo conosciuto Mail in passato.”
“L’ho notato.”
Il riferimento era chiaro, Margaret. Lucrecia perse la pazienza di botto, non che ne possedesse tanta normalmente.
“Non sono qui per giocare Nate. Arriverò subito al sodo, non ho tempo da perdere.”
No. Io non ho più tempo. A chi ti sto affidando piccola mia. Accidenti a te, Mail!
“Chiamami Near.”
“Come vuoi. Near.”
Il ragazzo le fece cenno di proseguire. Jevanni era lì con loro. Normalmente lo avrebbe mandato via, per affari personali, ma non si sentiva particolarmente protetto con accanto una donna come quella. Con Mello sapeva al cento per cento che era al sicuro, che lui non lo avrebbe colpito. Lucrecia invece…
“Intanto non è come pensi. Anche se ammetto che gli somiglia, lei non è figlia di Matt.”
Near la stava osservando attentamente. Le opzioni erano due. O mentiva davvero bene o diceva la verità. Era più propenso per la seconda, ma buttando un occhio alla bambina ebbe la conferma. Diceva la verità. Allora non era figlia di Matt. Oppure anche la piccola lo stava nascondendo, ma sembrava così fragile, praticamente impossibile che stesse mentendo.
“Comunque. Ci siamo conosciuti nove anni fa, quando tu e Mello siete stati chiamati come sostituti di L, lui decise di viaggiare, fino a che il suo amico non avesse avuto bisogno di lui. Venne in Spagna. Alloggiò in un ostello vicino a casa mia. Ci siamo conosciuti e subito mi stette simpatico. Quando rimasi incinta fu l’unico a sostenermi, oltre a mio padre, che però aveva già troppe cose per la testa. i primi due anni mi stette accanto, ma poi dovette partire.”
Lucrecia si fermò. Matt da quel viaggio non sarebbe tornato e lei lo sapeva.
Lo sapevo, ma ti ho lasciato andare. Che stupida!
“Comunque mi aveva detto che se avessi avuto problemi seri sarei dovuta venire da te.”
“Ti servono soldi?”
Chiese Near pacatamente, come se quella storia non l’avesse minimamente toccato. Jevanni si era già fatto avanti con una mano in tasca, che stringeva il blocchetto degli assegni.
“Peggio. Dovrai prenderti cura di Margaret.”
Jevanni si bloccò. Near sgranò impercettibilmente gl’occhi. Lucrecia sorrise a quell’immagine quasi bloccata della realtà. Si affrettò a spiegare.
“Io devo operarmi tra pochi giorni. Ho qualcosa nel cervello, non chiedermi cosa, non ci ho capito molto. Comunque ho bisogno di qualcuno di fidato che badi a lei. In più non è detto che riesca, io potrei non farcela. In tal caso ti ho segnalato come primo tutore, meglio tu che un orfanotrofio.”
Near era sorpreso. Non lo dimostrava, ma era rimasto leggermente scosso dal fatto che quella donna poteva morire e ne parlava con la calma più assoluta. Poi guardò la bambina. Non un qualsiasi segno di cedimento. Persino i muscoli delle sue manine sembravano rilassati. Near ne restò colpito. lui stesso era accusato spesso di essere insensibile, ma quella bimba era di ghiaccio se sosteneva a testa alta una situazione del genere. Nonostante la reputasse un soggetto interessante da studiare, Near non poteva perdere tempo a fare il babysitter o peggio, trovarsi una bimba di sette anni da allevare. Prima di tutto perché non gli importava e poi perché aveva troppo lavoro da fare.
“Non posso fare ciò che mi chiedi.”
Poi decise di azzardare. Quella donna lo guardava con aria di superiorità e il suo orgoglio voleva la rivincita.
“Fosse stata figlia di Matt, forse. Dopotutto lui era un genio dell’informatica, mi sarebbe stata utile.”
Fu un attimo. Lucrecia scattò in avanti. Jevanni le si parò davanti, ma lei lo colpì forte sotto il collo. L’uomo cadde a terra quasi soffocato. Lei si avvicinò a Near che aveva già premuto il bottone della sicurezza prima di parlare. Ma quando i suoi uomini arrivarono alla maniglia questa non si aprì e l’albino si rese conto di aver fatto male i calcoli.
“L’ho chiusa a chiave!”
Disse Lucrecia prendendolo per il collo del pigiama. Lui la fissava con occhi vacui, non era preoccupato, le leggeva nello sguardo che non l’avrebbe ferito, voleva solo spaventarlo. Trattenne un sorriso. Lui riusciva a capire cosa gli altri pensavano ed era sempre un vantaggio non indifferente.
“Non contavo su di te, forse un po’, in un disperato angolo della mia mente, ma non è il tuo rifiuto che mi manda in bestia. Matt è morto. Abbi rispetto di lui almeno adesso. Magari non incontri spesso persone al tuo livello e non ti biasimo per considerare tutti gli altri nulla confronto a te. Ma schernire chi non può difendersi è da vigliacchi!”
Non era la prima volta. Molti lo definivano codardo, perché non usciva mai dal suo ufficio senza scorta o perché faceva fare agl’altri il lavoro sporco. Ma lui sapeva bene che era il suo cervello la sua arma, quindi non poteva permettersi di danneggiarla. Davanti a quelle parole, la sua scusa non teneva. Non poteva difendersi. Pochi secondi e già sapeva come replicare, ma appena accennò un suonò lei lo fermò. Gli volse le spalle, prese per mano la sua bambina, che per tutto il tempo aveva osservato la scena senza battere ciglio. Eppure, anche se si controllava, i suoi occhi non erano vuoti come quelli grigi di Near, ma contenevano una miriade di emozioni in contrasto e altro ancora. Near ci vide altro. Stava pensando. Aveva battuto la madre, ma il confronto con la piccola era ancora aperto. Poi ciò che non si aspettava. Lei gli sorrise. Un istante, poi si voltò e con la madre varcò la porta a testa alta, davanti allo sguardo attonito di guardie senza parole.



Bene bene altro cappy finito. Oggi sto male e ho deciso di far comunque fruttare la giornata. Sto cercando di scrivere questi capitoli più vecolemente possibile, perchè sono per lo più un introduzione al vero nucleo della vicenda.
Grazie a tutti quelli che hanno recensito. Erano i primi commenti, ma qualcuno secondo me ha già capito chi è la piccola Maggie! Ahah!
Ciao e grazie ancora, soprattutto a chi mi ha corretto. Ho cambiato quel passaggio dove Near usava N come pseudonimo.

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Capitolo 3
*** Ricordati di me ***


La pace non dura per sempre Premetto dicendo che troverete l'errore "La mia mamma" o "Il mio papà". In italiano non è corretto scrivere così, ma sarà una bambina a parlare, perciò non me ne vogliate.

“Non c’è altra via, vero?”
“Certo che c’è! Ma rischiamo di farci ammazzare!”
“Per curiosità, cosa prevedeva il piano originale?”
“Rapire la giornalista, per far uscire Kira allo scoperto. Tu li avresti distratti e a me sarebbe toccato il resto.”
“E ne saremmo usciti vivi?”
“Se tutto fosse andato come previsto, sì.”
“Allora perché questo sconvolgimento di piani! Perché dovremmo nasconderci?”
“Per evitare vendette. Vorresti tornare dalla tua famiglia così come nulla fosse, dopo aver fatto incazzare gente come quella?”
“Hai ragione.”
“Certo che ho ragione!”
“…”
“Cosa c’è adesso, Matt? Ti ricordo che questo casino è tutta colpa tua, quindi non hai il diritto di fare quella faccia!”
“E' passato molto tempo. Quando la rivedrò…”
“…”
“… si ricorderà di me?”


La linea che aveva nel suo ufficio era sempre stata a senso unico. Nessuno lo chiamava mai dato che nessuno aveva il suo numero. Usava una linea fittizia per chiamare. Il telefono è la prima cosa con cui ti rintracciano. Dire che Near era sorpreso quando squillò il telefono è poco. Rimase paralizzato per pochi secondi, pensando ed elencando tutte le possibilità collegate a quell’evento. Alzò la cornetta e la portò all’orecchio, ma non prima di aver attivato un nastro per registrare la conversazione e un dispositivo per rintracciare il segnale di chi chiamava.
“Pronto. Con chi parlo?”
All’inizio solo il rumore dell’acqua che scendeva dall’altra parte del ricevitore, poi una voce.
“Sono Margaret. Sei tu, Near?”
L’albino rimase interdetto un momento. Si aspettava una mossa da parte della piccola, ma non di certo una cosa del genere. Come aveva fatto una bimba di sette anni ad avere quel numero. Forse era qualcun altro, ma quella vocina, anche se un po’ distorta dalla linea, si addiceva a quella bambina silenziosa. Aveva un tono gentile, per nulla compatibile con quello della madre.
“Sono io. Parlo con Margaret Navarro?”
“No, parli con Margaret Jeevas.”
Near sorrise. Sapeva al cento per cento di averci preso fin dall’inizio e questo confermò l’ipotesi che le ragazze sapessero mentire bene. Però un altro pensiero gli attraversò il cervello. Quella bambina aveva rinnegato suo padre, senza battere ciglio. Cosa l’aveva spinta a tanto?
“Come hai fatto a chiamarmi?”
Era la domanda che aveva la priorità.
“Il tuo sistema di sicurezza non è il massimo. Se vorrai ti spiegherò come l’ho oltrepassato con calma in un altro momento.”
“Perché hai mentito prima?”
Near era diretto. Per più motivi. Primo stava lavorando a quel caso che ormai da tempo lo stava sfinendo e voleva chiuderlo al più presto, secondo Margaret lo stava intrigando, era tanto che non avvertiva l’ombra di un suo pari, a parte quella squadra di detective, i KJ.
“Il mio papà era un genio dell’informatica.”
“Lo so.”
“Ed ora è morto.”
Seguì una pausa. Margaret prese aria, Near aveva capito tutto. Non avrebbe avuto bisogno della successiva spiegazione che arrivò comunque.
“Quando era piccolo lo hanno cresciuto tracciandogli già una strada, che lo ha condotto alla morte. La mia mamma voleva evitare che accadesse anche a me. Pensava che finendo in un orfanotrofio mi avrebbero sfruttato e che se tu lo avessi saputo, avresti fatto lo stesso.”
In effetti una bambina capace di tanto era fuori dal comune. Suo padre non era in grado di aggirare un sistema di sicurezza come quello alla sua età. In più parlava molto bene e correttamente la lingua, nonostante fosse giovane. Una bimba prodigio.
“Perché hai chiamato?”
L’ultima domanda, poi avrebbe riattaccato. La faccenda non lo riguardava e la sua curiosità era in buona parte soddisfatta.
“Non voglio che mia madre finisca sotto i ferri con l’angoscia del mio futuro. Ti ha già detto che non è sicuro che riesca, ma in realtà le probabilità di successo di un intervento di quella portata sono vicine al due per cento. Se proprio la mia mamma deve morire, vorrei che fosse serena, sapendomi al sicuro. Quello che ti chiedo è semplice. Prendimi con te, fino a quando non si saprà l’esito dell’operazione. In quei giorni lavorerò per te, aggiornerò tutti i tuoi sistemi d’allarme, farò qualsiasi cosa. Poi se lei non dovesse farcela, andrò in un orfanotrofio, non ti darò fastidio e non ti pregherò di restare. Accetterò ogni conseguenza.”
Degl’occhi grigi e profondi stavano fissando il vuoto davanti a loro. Non era facile leggere lo sguardo di Near, tutt’altro. Ma se ci fosse stato qualcuno lì con lui, in quel momento, ci avrebbe letto senza fatica stupore e tristezza. La sua mente si era nuovamente annullata di fronte a parole coraggiose che una bimba di sette anni non avrebbe mai dovuto pronunciare. Nei giorni seguenti Near non seppe spiegarsi perché rispose in quel modo. Applicò calcoli, teorie e percentuali, ma non trovò risposta alle sue parole nella logica.
“Domani vieni qui con le tue cose alle sette. Di a tua madre di portare le carte necessarie.”
E riattaccò.

“Con chi stavi parlando tesoro?”
Chiese Lucrecia quando vide sua figlia posare il ricevitore.
“Con lo zio Nate, mamma.”
La ragazza rimase qualche momento interdetta.
“Non ho sentito il telefono squillare.”
Il terrore che sua figlia avesse fatto qualche stupidaggine le trafisse il cuore.
“Stavi lavando i piatti. Il getto d’acqua era forte, lo sentivo da qua. probabilmente non avrai sentito.”
Spiegazione che ci stava. Solo in un secondo momento Lucrecia si ricordò che sua figlia era geniale e furba, quando voleva, ma fu diversi giorni dopo.
“Cosa ti ha detto?”
“Che domani alle sette devo essere da lui con le mie cose e tu con le carte legali.”
La ragazza ispanica cadde sul divano del loro piccolo appartamento in affitto. Tirò un sospiro di sollievo.
“Ok, allora vai a preparare le tue cose.”
“Sì mamma.”
“Non chiamarlo zio Nate, anche se il tuo papà…”
“Lo so mamma. Ma quando posso voglio chiamarlo come mi ha insegnato lui.”
Dopo qualche minuto la sua piccola aveva già radunato le sue cose ed era pronta per partire. Lucrecia si affacciò sulla sua camera. Stava già dormendo. Si avviò in cucina, dove teneva quei documenti in cui non aveva mai sperato. Li preparò con cura, poi si coricò sul divano. Pregò molto quella notte, con una foto tra le mani, che ritraeva due giovani felici, lei con i capelli neri, lui con una zazzera rossa sulla testa. In mezzo c’era una piccola nata da appena quattro giorni. Una lacrima segnò il viso della donna più forte che la Spagna avesse mai visto, ripensando alle parole del suo ragazzo quel giorno.

“Questa sarà solo la prima di un milione di foto e video che voglio realizzare con te e Margaret. Quando sarò lontano, per lavoro, voglio che si ricordi sempre di me!”



Ok, questo sarà l'ultimo dei capitoli introduttivi, indi per cui i prossimi saranno più lunghi, le descrizioni più accurate e ci sarà maggior cura per i particolari. Continuo a scrivere durante la mia convalescenza, ma domani tornerò a scuola e non potrò pubblicare presto.
Grazie a chi mi fa notare gli errori (risponderò a tutti con un messaggio personale). Il mio pc non mi segna le maiuscole, quindi devo sempre usare maisc quando scrivo e a volte non premo bene. Grazie ancora e recensite!

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Capitolo 4
*** Il primo di molti giorni bianchi e grigi ***


La pace non dura per sempre

“Cazzo Mello! Potevamo morire!”
“Era tutto calcolato Matt, calmati!”
“Tutto calcolato! Quando ho visto i mitra… Mio Dio… Credevo di essere fottuto!”
“E invece era tutta una farsa! Ti avevo detto che avrei pensato a tutto!”
“Sì, ma se non fosse stato per la mia intuizione, quella ti avrebbe fatto secco con Death Note!”
“Ehm… sì, d’accordo! Ma è andato tutto bene, quindi piantala di rompere!”
“Avevo capito che saremmo spariti per un po’, non che ci saremmo…”
“Sì Matt, dobbiamo! Sparire dalla circolazione non era sufficiente!”
“Ma la mia bambina…”
“Starà bene!”
“Come fai a dirlo tu!? Tu non sai niente di lei, non sai niente di sua madre! Non hai la minima idea di cosa voglia dire essere padre!”
“Bhe, nemmeno tu se è per questo! Mica bastano due anni!”
“Già! E per colpa tua non imparerò mai!”


Bianco. In quell’edificio tutto era bianco o grigio. Anche la sua stanza era bianca e grigia. Era triste e i colori non l’aiutavano. Quella mattina era arrivata puntuale. In una valigetta con le ruote aveva messo il suo portatile, i suoi vestiti, i suoi libri e altre cose. La prese e l’appoggiò sul letto. Lenzuola grigi. Sua madre aveva firmato le carte con Near. Lui sarebbe diventato suo tutore legale in caso l’intervento avesse avuto complicazioni. Ovviamente Near aveva disseminato piccole incongruenze, perché come pattuito tra loro, se qualcosa fosse andato male lui avrebbe potuto spedire Margaret in un orfanotrofio quando avesse voluto. Sedendosi su quel piccolo letto, Margaret ripensò alla sua mamma, all’ultimo sguardo che le aveva rivolto. Si erano abbracciate, ma nessuna parola di troppo, non era necessario. La piccola non riuscì a trattenere una lacrima. Quella stanza che le era stata assegnata, quel letto grigio, erano l’inizio di un’avventura che lei non era pronta per affrontare. Si asciugò quella gocciolina salata con decisione.
Devo essere forte! Per la mia mamma!
Una donna dai capelli lunghi, biondi e con un’aria minacciosa entrò. La guardava con indifferenza, ma la piccola la prese subito in simpatia quando notò una linea di compassione sul suo viso.
“Io sono Halle Lidner. Se avessi bisogno di Near, ci parlerai tramite me.”
“Ok.”
Halle guardò quella bambina come avrebbe guardato una chiazza sporca sulla sua camicia. Near aveva avuto una pessima idea. Anche lui aveva iniziato da ragazzino, ma quella mocciosa le dava un’idea di fragilità che la faceva sentire meschina ogni volta che la guardava.
“Non si preoccupi signorina, me ne andrò presto. Non le creerò disturbo.”
Halle si trattenne dal sussultare visibilmente. Quella bambina era per caso una piccola Near? Era per questo che l’aveva voluta con sé? Probabilmente quelle parole racchiudevano la speranza che la madre guarisse, ma la sua ipotesi crollò subito e con essa anche ogni malignità contro la piccola.
“Fra tre giorni la mia mamma si opererà, ma probabilmente morirà. A quel punto lo zio Nate mi manderà in un orfanotrofio, forse uno per geni, non so. Sono qui solo perché lei non deve preoccuparsi prima di essere operata. Quindi tra pochi giorni sarò fuori di qui e lei potrà lavorare in pace.”
Ed ecco, di nuovo quell’evento che nella sua banalità riusciva a scuotere l’animo di tutti. Margaret rivolse un sorriso sincero, velato della tristezza che affligge chi ha perso ogni speranza, ma che cerca di uscire sconfitto con dignità. Lidner chiuse la porta di quella stanza, lasciando la bambina da sola. Poi corse. Corse da Near.

Near era seduto nel suo studio e osservò tutta la scena dai suoi monitor. Ovviamente la camera che era stata preparata per Margaret era tappezzata di telecamere. Rimase impassibile davanti alle parole della piccola, infondo lui le aveva già sentite la sera prima al telefono. Ma vedere quegl’occhi grandi e verdi, assottigliarsi leggermente, la fronte aggrottarsi e le mani stringere il lenzuolo… Quella bambina non era come lui. Non era di pietra.
Halle entrò trafelata e prima che potesse cominciare con una delle sue ramanzine, Near la bloccò spiegandosi.
“Prima di tutto devo scoprire come ha bypassato le mie difese informatiche. Poi voglio osservarla al lavoro. L alla mia età aveva già designato dei successori, ma i bambini che attualmente risiedono alla Wammy’s Huose non mi convincono. Forse troverò in lei ciò che cerco.”
Halle rimase sconvolta da quella rivelazione, ma fu questione di secondi, perché poi si ricordò chi era il suo capo. Un essere frigido, che seguiva la logica prima di ogni altra via.
“Quindi è questo il tuo piano. Approfittare della sfortuna di una madre e sua figlia per avere un collaboratore degno di starti a fianco?”
“Sì.”

Roger stava preparando del latte caldo. A Near piaceva. A tutti avrebbe fatto venire sonno, ma sembrava che su quel ragazzo avesse l’effetto contrario. Aveva ascoltato ogni dettaglio della vicenda che ormai era sulla bocca di ogni dipendente di Near. Anche le guardie del corpo non potevano far a meno di spettegolare. Tutti, Roger compreso, si chiedevano come fosse questa bambina e cosa volesse Near da lei. Comunque l’immaginario comune la vedeva come una bambina strana, una specie di Near al femminile. Invece Roger fu felicemente sorpreso della persona con cui discusse nell’attesa che si scaldasse il latte.
“Buonasera signore. Scusi se la disturbo, ma sto cercando la signorina Halle.”
L’uomo si voltò lentamente e trovò due iridi verde smeraldo che lo fissavano da dietro una frangetta rossa un po’ troppo lunga. La bambina aveva i capelli raccolti in due codini alla base della testa. Indossava una maglia verde a maniche lunghe un po’ larga e una gonnellina gialla con una trama scozzese. Sembrava una perfetta scolaretta, pronta per andare a scuola. L’idea lo fece sorridere, perché gli ricordò i tempi all’orfanotrofio. Lui non adorava particolarmente i bambini, quelli geniali soprattutto, perché tendevano ad essere superbi, distaccati. Invece quelle guance morbide, ma non paffute, che facevano sembrare quella bambina più grande e matura, gli ispiravano dolcezza e comprensione.
“In questo momento è da Near. Posso esserti utile io? Mi chiamo Roger.”
“Sono Margaret Jeevas, piacere di conoscerla.”
La piccola gli tese la mano con sguardo serio e braccio fermo, non nel modo scherzoso che usano i bambini. Roger ne fu positivamente colpito e strinse quella manina con vigore, costatando che la piccola aveva una stretta niente male.
“Io volevo parlare con lo zio Nate. Ma Halle mi ha detto di dirlo a lei prima.”
“Zio Nate?”
Roger non riuscì a nascondere il suo stupore.
“Mio padre lo chiamava così quando ci faceva vedere le foto. Però so che in sua presenza devo chiamarlo Near. Non sbaglierò.”
Improvvisamente Roger ricordò ogni dettaglio della storia che Near gli aveva raccontato la sera prima. Dallo stomaco gli salì un qualcosa che gli tose il fiato e riprese a respirare solo quando rivolse alla piccola uno sguardo colmo di pena. “Appena il latte si scalda ti porterò io da Near. Perché intanto non mi racconti qualcosa di te.”

Lidner stava per uscire dall’ufficio del suo capo, d’altronde erano giorni che lavorava ad un caso che lo stava consumando e non voleva essere di peso. Ma la porta si aprì.
“Sono io, Roger. C’è anche la piccola Margaret.”
Near fece un mezzo giro con la sedia girevole e dagli schermi pieni di numeri e foto, il suo sguardo venne catturato da due smeraldi, rigati di sottili capelli rossi.
“Puoi lasciare il latte sul comodino.”
Quando l’uomo ebbe eseguito l’ordine rimase in attesa, ma si sorprese di quello che Near gli ordinò. “Roger puoi andare. Anche tu Lidner.”
La donna e l’uomo si scambiarono uno sguardo stupito. Margaret non smise mai di osservarlo, anche il ragazzo albino non staccò mai i suoi occhi grigi da quelli della bambina. I suoi sottoposti uscirono senza obiettare, seppure il viso tradisse le loro perplessità.
Finalmente soli.

“Come hai fatto ad eludere il mio sistema?”
Chiese Near nel suo solito modo, atono. Appena erano rimasti soli era arrivato subito al sodo. Non aveva tempo di giocare.
“Te lo mostro.”
Near osservò ogni movimento della bambina mentre si avvicinava ai monitor. Guardò un momento la tastiera e cominciò a muovere il mouse. Aprì il menù principale del computer di Near. Il detective e i suoi uomini usavano un sito comunissimo, una community studentesca, dove i diligentissimi alunni non erano altri che CIA, FBI e polizia di ogni parte del mondo. Near non sapeva come quella bambina fosse a conoscenza di ciò, ma non dovette fare la fatica di chiedere.
“Il mio papà era un hacker e in un video gli ho visto fare una cosa simile. Usava anche lui questo stratagemma per nascondere il suo lavoro. Ho svolto delle ricerche, basandomi su che linguaggio in codice potesse dare meno nell’occhio, sul numero di utenti e sul modo selettivo del sito di rimanere disponibile solo per una cerchia ristretta. Ovviamente non ci sarei mai riuscita senza gli appunti del mio papà.”
Ora aveva aperto il codice html della pagina.
“Tuo padre ha lasciato degli scritti?”
Chiese Near incuriosito da tanta intraprendenza, ma alla fine non poi così sorpreso.
“No, solo dei video con tutta la famiglia. In alcuni sta lavorando.”
L’albino continuava a chiedersi come quella creatura all’apparenza così fragile e sensibile, perché era sicurissimo che quella fosse l’indole della bambina, potesse parlare del padre morto, così, senza battere ciglio. Aveva sette anni, dunque forse non capiva il significato di morto? Oppure non ricordava nulla di Matt perché era troppo piccola? Erano spiegazioni plausibili, ma quella bimba sembrava troppo consapevole della situazione. In quel momento un altro dettaglio attirò la sua attenzione. Margaret stava fissando lo schermo, c’era ancora il codice html, e guardava la tastiera e il monitor come se fosse spaesata e non sapesse cosa fare. La piccola si portò un dito alle labbra, un modo infantile di mostrare la propria perplessità. Poi il suo sguardo si fece attento e sembrava seguisse dei movimenti che solo lei poteva vedere. Infine assottigliò gl’occhi, come per concentrare la sua attenzione su qualche particolare preciso, mise le mani sulla tastiera e cominciò a digitare senza sosta una serie di istruzioni. Near seguì ogni suo movimento in silenzio. Dopo una decina di minuti, Margaret inserì l’ultimo codice e premendo invio mise in moto un algoritmo che sbaragliò ogni sistema di sicurezza. Sullo schermo apparvero numeri, luoghi, ogni genere di informazione.
“Hai capito?”
Le chiese lei, continuando a fissare lo schermo.
“No.”
Rispose Near con semplicità. Lui non era un tecnico informatico o un programmatore. Non era il suo campo.
“Ti ho preso con me per questo.”
Margaret si voltò verso Near, che fissava ancora lo schermo.
“Anche se l’intervento a tua madre andasse male non ti manderò in un orfanotrofio, ma in cambio tu lavorerai qui come programmatore. Ti occuperai della sicurezza, di violare i sistemi dei miei avversari e di creare programmi in grado di agevolarmi il lavoro. In sintesi lavorerai per me.”
Quello che stava facendo non era molto umano. L non lo avrebbe mai fatto. Gli inviava giocattoli e lo spronava a migliorare. Il suo predecessore non lo aveva mai sfruttato in quella maniera. Ma Near non era L. Portava il suo nome, ma non si era immedesimato nel personaggio. L aveva fallito, lui invece aveva trionfato. Quell’idea lo spinse a guardare la bambina e a farsi una domanda. Lei sapeva? Sapeva che Matt e Mello erano morti per salvare lui? Probabilmente no. In un certo senso era lui il responsabile, se quella bimba era orfana di padre. Poteva salvarli, impedire loro di fare quella sciocchezza, ma preferì farsi da parte e agire in seguito. Sentì come un groviglio, in corrispondenza dello stomaco, che divenne una specie di blocco, quando si voltò e vide Margaret fissare il nulla. La luce dei monitor le conferiva un’aria spettrale e Near si rese conto che quella bambina era pallida per avere sangue ispanico. Ora che ci pensava, anche la madre non presentava un’abbronzatura eccessiva. I tratti del viso erano più britannici che iberici. In quel momento il detective notò un sacco di dettagli. Per esempio, madre e figlia parlavano correttamente il giapponese, anche se la loro lingua d’origine doveva essere lo spagnolo. Near non trovava spiegazione alla sua distrazione. Da quando quella bambina era entrata nella sua vita, da quando aveva incrociato il suo sguardo la prima volta, il suo cervello sembrava aver dato le dimissioni.
“Ho capito. Adesso ti serve altro?”
La vocina di Margaret lo riportò alla realtà.
“No, puoi andare a dormire. Domani svegliati per le sette e alle otto ti voglio qui. Per la colazione fatti spiegare dov’è la cucina da Lidner o Roger. Puoi prendere quello che vuoi dal frigorifero o dalle credenze.”
“Va bene.”
Di nuovo quella sensazione di chiusura di stomaco. Near prese il bicchiere di latte, ma ormai era freddo. Lo riappoggiò, Margaret era già alla porta.
“Buonanotte.”
La sua voce non era come quella mattina. Sembrava più ferma e triste. La cosa non sorprese Near, ma quella parola ebbe l’effetto di fargli stringere ancora di più lo stomaco. Si voltò per guardarla, ma lei era già uscita. L’albino aprì la comunicazione con la sua sottoposta.
“Halle la bambina sta andando in camera sua. Va e spiegale dove sono bagno e cucina. Non rispondere ad altre domande.”

Halle aveva aspettato quella bimba per più di quindici minuti. Dove poteva essere? Stava per avvertire Near quando la vide girare l’angolo.
“Dove sei stata?”
Chiese grave.
“In cucina. L’ho trovata e avevo fame. Ho preso un biscotto.”
“Va in camera tua, se ti serve il bagno è in fondo a sinistra.”
Le indicò il corridoio. La piccola fece un cenno di assenso, poi entrò nella sua camera.
“Buonanotte Halle.”
Le disse prima di chiudere la porta.
La donna rimase interdetta. Era proprio una bambina strana. Sembrava reagire alle cose in maniera contraria a tutti gl’altri. Dopo qualche minuto uscì dalla stanza con uno spazzolino e il pigiama. Lidner la seguì con lo sguardo fino al bagno e aspettò che tornasse in camera. Stava per andarsene quando udì delle voci all’interno. Aprì la porta con foga, ma davanti a lei c’era solamente Margaret con un portatile in mano. Era già sul letto.
“Con chi parli?”
Chiese la donna con tono arrabbiato e sospettoso.
“Con nessuno. E’ un video.”
Halle si avvicinò alla bambina e guardò nello schermo. Un ragazzo dai capelli rossi stava mettendo a dormire una bimba di non più di un anno. Riconobbe Lucrecia nella ragazza che sedeva affianco la culla.
“Buonanotte Margaret.”
Disse il ragazzo.
“Buonanotte papà.”
Rispose Margaret. Gl’occhi della donna tradivano un profondo senso di disagio.
“In un altro filmato dice che vorrebbe sempre darmi la buonanotte. Ogni giorno della mia vita. Così io guardo questo video ogni sera, prima di andare a dormire.”
La bambina spiegava la cosa come se fosse normale, come se tutti lo facessero.
“Dormi adesso.”
Disse la donna facendo per uscire. Ma prima che potesse chiudersi la porta alle spalle udì una frase che le sciolse il cuore.
“Per me lui e la mamma saranno sempre vivi, ogni sera e ogni volta che accenderò il mio pc.”

Non poteva lavorare senza il suo latte caldo. Andò scocciato in cucina. Roger riposava a quell’ora, non a caso gli aveva portato il latte prima. Eppure, quando Near arrivò in cucina, vide un bussolotto sul fornello acceso. Avvicinandosi notò che nel contenitore c’erano acqua e un bicchiere di latte, che in quel modo rimaneva caldo. Spense il fornello e con una presina tirò fuori il bicchiere. Dopo qualche minuto poté prenderlo in mano. Mentre beveva elogiava Roger per la sua diligenza.



Ecco un nuovo capitoloooo! Finalmente più lungo e con descrizioni degne di quel nome. Appena postato risponderò alle recensioni precedentii via casella di posta, dato che le ho lette, ma per scrivere non ho risposto. Come lunghezza si può ancora migliorare. Comunque il nostro Near ha appena firmato la sua condanna XD
Grazie a chi recensisce e spero vi piaccia!

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Capitolo 5
*** Primo giorno di lavoro ***


La pace non dura per sempre

“Matt… Matt… MATT!!!”
“Che cosa vuoi?”
“…”
“Allora?”
“Scusami.”
“…”
“Matt mi dispiace! Non ce la faccio più a vederti così! Io vorrei rimediare però…”
“Però un cavolo! Ormai è fatta. Sono passati ben due mesi e tutti ci credono morti! Ma noi possiamo uscire allo scoperto? No! E sai perché? Te lo dico io Mello! Perché qualcuno si è lasciato dietro una scia e adesso non stanno cercando noi, no, peggio! Cercano chiunque abbia avuto contatti con noi!”
“Matt…”
“Quindi non solo devo cancellare ogni traccia del mio viaggio in Spagna, ma non potrò tornarci per chissà quanto ancora! Tanto per cambiare…”
“Matt smettila! Ti ho detto che mi spiace!”
“Ficcatelo dove sai il tuo dispiace! Potevi pensarci prima di intrecciare affari con la mafia locale!”
“Mi conoscevano già!”
“E allora? Te dimmi come, una volta fuori dai piedi gli uomini di Takada, io potrò tornare dalla mia famiglia se ho la mafia che potrebbe cercarmi in ogni momento. Non voglio che le usino!”
“Matt…”
“Che cos…”
“…”
“Mello…?! Mello?!”


Near stava fissando l’orologio da ben cinquantasette secondi. Tre, due, uno…
“Buongiorno!”
Puntualissima. Non aveva di certo ereditato da Matt la puntualità. Buon a sapersi.
“Bene. Iniziamo subito.”
Non si era nemmeno girato per guardarla. Il momento di osservarla sarebbe arrivato, dopo.
“Cosa devo fare?”
A Near non era sembrata una persona diretta. Perciò annotò nella sua mente un altro dettaglio. Si sapeva adattare alla situazione. Una qualità di cui aveva già dato prova.
“Voglio che tu lavori ad un sistema di sicurezza migliore per la mia base. Quanto pensi ti ci vorrà?”
La voce del detective era piatta, tanto che fu difficile per Margaret cogliere il tono interrogativo. Quel ragazzo le metteva una certa soggezione e le aveva subito dato l’idea di una persona fredda. Nonostante ciò, quel volto di pietra, le dava un senso di fermezza e sicurezza.
“Due settimane come minimo.”
Near non riuscì a rispondere subito, nonostante avesse già elaborato una replica, perché la sua mente si soffermò sulla voce della piccola, improvvisamente più fioca. Abbastanza da fargli supporre di averla colta sul fatto. Ma quale?
“I miei tecnici ci avevano messo meno. Molto meno.”
“Il fatto è che io non possiedo conoscenze informatiche avanzate. Conosco solo le basi e i programmi più semplici. Quindi dovrò lavorare seguendo continuamente tanti manuali e questo mi rallenterà.”
Quelle parole sembrarono degne dello sguardo dell’albino su di lei. Lei lo aveva sempre guardato, ma passare dai suoi capelli candidi ai suoi occhi grigi e profondi la fece sobbalzare impercettibilmente. Si affrettò a rispondere alla muta domanda di Near.
“E’ come se… Non so come spiegarlo, ma quando mi trovo di fronte ad una macchina io vedo distintamente ogni suo ingranaggio e ne capisco il funzionamento. Con i codici scritti è uguale. Improvvisamente le parole diventano rotelle e bulloni ed io so come montarli. Però non è una cosa immediata, ho bisogno di una base di conoscenze da cui partire.”
Solo sua madre sapeva. Il cervello di Margaret funzionava in maniera strana. Alcuni memorizzano e ragionano con le immagini, altri con i suoni. Ci sono persone che nascondo i codici nei colori. Margaret invece vedeva tramutare i codici in ingranaggi che si incastravano perfettamente. Sua madre le aveva vietato di parlarne perché l’avrebbero rinchiusa in quelli istituti per geni. Ma con Near era diverso. Lui era come lei. Anche se freddo e spaventoso nel suo modo di essere, lui era l’unico che l’avrebbe capita. Margaret non doveva nascondere la sua genialità e questo la confortava. Near invece stava pensando. Non era affatto sorpreso del modo bizzarro che aveva la bimba di ragionare, ma rimase colpito ugualmente da quella rarità.
“Allora mettiti al lavoro. C’è una sala dall’altra parte del piano con le porte bianche e le maniglie lunghe. C’è scritto sala progettazione. Lì ti attendono i miei migliori tecnici, lavorerai con loro.”
“Va bene.”
Margaret era già alla porta quando Near le rivolse l’ultima richiesta.
“Prima di pranzo vorrei avere il tuo computer.”
“No!”
Fu la secca replica della piccola. Quando Near si girò per guardarla lei aveva già richiuso la porta alle sue spalle.

Margaret fece come le era stato detto. Non ebbe difficoltà a trovare la stanza, in più aveva un buon senso dell’orientamento. Aveva già studiato la mappa dell’edificio. Al piano terra normali negozi. Al primo piano uffici di copertura. Al secondo piano la base operativa di Near. Al terzo le camere, la cucina, in pratica “l’appartamento” di Near e del personale più fidato. Al quarto piano una specie di livello di sicurezza, lei era convinta che l’archivio cartaceo che supponeva Near avesse fosse lì. Infine un piano sottoterra, probabilmente un livello di protezione, ma sapeva che c’erano anche delle celle provvisorie. Comunque quando aprì la porta quattro uomini e due donne la squadrarono e non senza scetticismo.
“Io sono Margaret Jeevas. Dobbiamo lavorare insieme ad un nuovo sistema di sicurezza per la base, ma comunque possiamo migliorare anche il sito che usate come copertura se avremo tempo. Vorrei sapere come vi chiamate e in cosa siete specializzati, così potremo dividere i compiti e iniziare a lavorare.”
Tutti cercavano di nascondere lo stupore e quel leggero disprezzo che provavano anche per il loro capo, il giovane genio. Ma ecco, la bimba sorrise. A tutti sembrò subito di trovarsi davanti ad un esserino indifeso, non ad un saccente Near. Fu così che Margaret guadagnò subito la simpatia della sua squadra e quando se ne accorse il suo sorriso si allargò.

Near avrebbe voluto osservarla. Fremeva di curiosità. Ogni persona che aveva incrociato Margaret l’aveva subito presa a cuore. Come se quella bambina ispirasse talmente tanta tenerezza da annullare la professionalità dei suoi collaboratori. Però non poteva. Doveva lavorare a quel caso dannato. Proprio quando accese il computer un bip annunciò un nuovo messaggio. Anzi due nuove messaggi. Il primo era di un suo dipendente che lo informava dei progressi dei KJ. Aveva risolto il caso “Tokimura”. Si trattava di un serial killer che agiva in tutto il mondo. Un uomo subdolo e completamente folle. Soffriva di disturbi della personalità. Quando era lucido, uccideva su commissione, ma quando diveniva folle si macchiava dei crimini più atroci, per lo più bambini. Near aveva solo dato uno sguardo a quel caso e una volta aveva preceduto l’assassino. Non riuscì a catturarlo, ma salvò una vita ad un bimbo di otto anni. Poi quel caso che lo prendeva da mesi. Il caso “WhiteBang”. Non aveva accettato “Tokimura” per seguire la pista della mafia e i KJ l’avevano superato. A parte il nome ridicolo del caso erano molte altre le ragioni che irritavano l’albino. Ogni volta che arrivava ai capi questi si dileguavano senza lasciare tracce. Come se con loro ci fosse qualcuno che prevedeva le sue mosse. E ogni volta ritornava quel volto. I suoi occhi azzurri lo fissavano con aria di superiorità e ogni volta che azzannava la sua cioccolata sembrava rinfacciargli la causa della sua morte. La mafia e l’idea di un rivale gli ricordavano Mello. Dannazione! Così non poteva lavorare. Poi un altro viso cominciò a sbeffeggiarsi di lui. Aveva i capelli rossi e gl’occhi sorridenti.
Sto dando i numeri?! Devo concentrarmi!
Near tornò al lavoro ma alla croce che da sempre si portava dietro e che lo appesantiva, se e aggiunse un’altra e presto ne avrebbe avuta un’altra ancora.

Era ora di pranzo. Margaret aveva lasciato il “suo team”, come le piaceva chiamarlo, ed era andata al terzo piano. In cucina non c’era nessuno. Tutti erano in sala da pranzo a gustarsi qualcosa riscaldato al microonde e a fare quattro chiacchiere. Lei prese una pentola piccola, la riempì d’acqua e la mise a bollire. Stava pesando della pasta quando sentì una voce dietro di lei rimproverarla.
“La pausa pranzo è breve! Prendi qualcosa di veloce da cuocere, la pasta potrai farla sta sera.”
Margaret si girò ed incontrò dei piccoli occhi chiari, di un azzurro sfocato, che la fissavano severi.
“Mi scusi comandante Rester. Ma mia madre mi ha sempre detto di mangiare pasta a pranzo e cerne o verdure a cena. In più mentre aspetto leggerò un libro per il mio lavoro. E’ come suddividere la pausa pranzo. Non va bene lo stesso?”
Anthony Rester, comandante e fidato agente di Near non aveva ancora incontrato la bimba che aveva fatto intenerire persino Halle e che a quanto pareva era figlia di Matt. Cercò di mantenersi fermo davanti a quegl’occhi verdi e rispose di conseguenza.
“No! Farai come tutti gli altri.”
Doveva essere fermo e deciso.
“Lei fa come tutti gli altri?”
Domandò la piccola. C’era qualcosa sotto, Rester lo leggeva nel suo sguardo smeraldo.
“Certo che domande!”
“Allora è da ‘tutti gli altri’ entrare nella mia camera, prendere il mio computer e i miei CD e portarli a Near senza il mio permesso?”
La domanda era chiaramente retorica e l’uomo rimase paralizzato. Come faceva a saperlo? La risposta arrivò a puntino.
“C’era un capello biondo e corto sul letto. Di chi altri poteva essere. Ed ora devo buttare giù la pasta.”
Rester si era ripreso da quel suo momento catartico e stava per replicare quando Roger apparve alle sue spalle. “La bambina può fare come crede, ordini di Near.”
Poi l’anziano si apprestò ad aiutare la piccola coi fornelli.
“I bambini non dovrebbero giocare col fuoco.”
“Mai io sono grande, ho già sette anni!”
Rester intanto aveva fatto dietro front, era già in sala pranzo quando si accorse che la bambina lo aveva seguito.
“Non ce l’ho con lei signore, so che erano ordini.”
E così dicendo Margaret tornò in cucina.

Il pomeriggio trascorse come al solito per Near, troppo immerso nel suo lavoro per accorgersi del resto del mondo. A cena non era sceso. Aveva approfittato di quel momento di pausa comune per visione il computer di Margaret. Non c’era niente di interessante. Solo librerie informatiche sugli argomenti più disparati e dei video di Matt. Nei CD c’erano solo video della sua famiglia. Quella bambina non aveva niente di strano nel computer alla fine. Lui che temeva virus o cose simili. Però gli fece uno strano effetto vedere Matt alle prese con pannolini e simili. Alla fine Near non poté che sentirsi triste. Triste di non riuscire a provare rimorso o nostalgia. Era davvero diventata una macchina senza sentimenti. Come L aveva sopportato la schiena curva e le notti insonni, lui avrebbe affrontato il fatto di sentirsi vuoto, pur di rappresentare la giustizia.
“Non essere triste, non sono arrabbiata per il computer.”
La voce di Margaret lo fece ridestare e si sentì vulnerabile nel sobbalzare dalla sedia sotto lo sguardo innocente della rossa.
“Da quanto sei qui?”
“Ho bussato. Posso riprendere il computer?”
“Sì, esci.”
La piccola prese tutte le sue cose, poi si avvicinò a Near e gli accarezzò una spalla.
“Buona notte. Non essere triste e buon lavoro.”
La piccola uscì e Near non riuscì a trattenere un verso di dissenso, ma non verso il gesto di Margaret, ma verso se stesso. Allora andò in cucina, deciso a farsi del latte caldo per ritrovare la concentrazione. Latte che trovò già pronto.

“Buona notte Margaret.”
“Buona notte papà.”



Ritardo senza giustifiche, ma sono sotto esame, la maturità mi ha svutato di ogni sentimento e di ogni nota creativa. Spero di aggiornare prima ora che è quasi finita. Ma non lascerò incompleta la mia storia. Grazie a chi mi segue e a chi ha recensito i capitoli precedenti.

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Capitolo 6
*** Kami ***


La pace non dura per sempre

“Buon compleanno!”
“O___O”
“Cos’è quella faccia!”
“Ahhhh! Chi sei? Che ne hai fatto di Mello?”
“Sta zitto, idiota! Volevo solo essere gentile!”
“Appunto!”
“Zitto e apri!”
“Ok. …”
“Matt…”
“Sono loro… ma come?”
“Dovevo fare un viaggetto d’affari e ho deciso di fare un salto…e una foto.”
“Grazie…”
“Auguri.”
“Hai visto come cresce bene la mia piccola…”
“Sì, è vero.”

Quella mattina Margaret si svegliò tutta sudata. Non era riuscita a dormire e gl’incubi l’avevano soffocata. Era il giorno. A fine giornata sarebbe stato deciso il suo destino. Sua madre non era credente e suo padre non le aveva mai lasciato detto niente a proposito di esseri divini, ma prima di recarsi a colazione non poté fare a meno di pregare Kami di proteggere la sua mamma.
Quella mattina Rester, Jevanni e Lidner si erano riuniti a colazione per osservare “il nemico”, così Jevanni chiamava Margaret. Tutti erano rimasti colpiti dalla piccola.
“Quella è solo una piccola sfortunata, non è il caso di darle fastidio.”
“Lidner, non farti ingannare. Sotto quelle treccine rosse si nasconde un’altra Near. Sarà tremendo.”
“Jevanni piantala. Come se non avesse abbastanza problemi. Per lei Near è il capo, come per noi.”
“L’hai presa a cuore vero Lid…”
Una tazza colpì la testa di Jevanni e lui non ebbe da ridire quando Rester lo guardò scocciato.
“A proposito di lavoro, fate il vostro!”
“Buongiorno!”
Tutti e tre si zittirono come la piccola entrò in cucina.
“Vuoi del latte?”
Chiese Roger sbucato da chissà dove.
“No, grazie. Sono in ritardo.”
A tutti Margaret sembrava un fiore, dolce e delicato ma che perdeva petali e vigore. Quando la piccola fu uscita dopo aver preso solo un biscotto il silenzio continuò a regnare sovrano fino al commento di Jevanni.
“Non è in ritardo.”

“Near!”
“Se si tratta di Margaret esci e fai il tuo lavoro altrimenti dimmi.”
Ma la donna non si fece bloccare da quella freddezza.
“Oggi è il giorno dell’intervento della madre! Cerca di essere ragionevole, non puoi costringerla a lavorare anche oggi!”
Ma l’albino ignorò la donna e si concentrò sui monitor, unica fonte di luce di quella stanza tetra.
Una porta che sbatte.
Cinque minuti e Near non riuscì a trattenersi oltre. Aprì lo schermo che dava sulla stanza da lavoro di Margaret. Vide il suo team al lavoro, ma della piccola nessuna traccia. Non dovette fare molti tentativi, la trovò al primo colpo. Era in camera, ma non stava facendo ciò che Near si aspettava. Niente lacrime o ansia. Stava leggendo dei libri enormi e prendendo appunti, ascoltando la voce del suo computer.
-Costruire un buon sistema di sicurezza è difficile, ma con questi trucchetti…ehi! Mi hai fatto male!-
-Scemo! Ha sei mesi, cosa capirà mai di informatica!-
-Ma Lu…-
-Niente Lu, dovrebbe dormire a quest’ora. Vieni con me tesoro. Il brutto babbo cattivo ti fa stare sempre davanti a quelli schermi, vero?-
-Brutto babbo cattivo? Mamma sadica!-
-Cosa hai detto?!-
-Niente amore. Notte Margaret.-
“Fortuna che non hai dato retta alla mamma, altrimenti ora sarei nei guai.”
Margaret aprì un altro video, dove Matt le dava altre istruzioni per programmare delle coperture semplici ma efficaci. La bambina sembrava molto presa dal suo lavoro, un’attenzione difficile da mantenere per una bimba di sette anni.
L non lo avrebbe mai costretto a tanto. L. Il suo idolo, si era fatto sopraffare da Kira. Per quanto tentasse di nasconderlo l’ammirazione per lui non era mai morta. Ma non era solo ammirazione. Era affetto, verso l’unica persona che poteva comunicare al suo livello. La sua morte aveva cambiato molte cose. Aveva perso il suo punto di riferimento, ma non si era fatto prendere dallo sconforto. Aveva trovato un’altra persona nel suo universo bianco, fatto di criminali e lavoro. Una macchia nera, una testa bionda, degl’occhi come il ghiaccio. Poi anche lui era morto. A quel punto Near capì di non poter più contare su nessuno. C’era solo lui. Voleva diventare come L, seguire le sue orme, ma aveva fallito. D’altronde era plausibile. Per diventare come L avrebbe dovuto rivivere la vita del suo mentore, avrebbe avuto bisogno di Watari e di fare ognuna delle sue esperienze. Statisticamente impossibile. Si sentiva irrealizzato. Così aveva deciso di cambiare scopo, di dedicarsi solo alla giustizia, senza permettersi ulteriori contatti con l’esterno, con un mondo pieno di persone indegne della sua intelligenza, che prima o poi l’avrebbero abbandonato.
Non accadrà anche con Margaret. No! Non mi legherò.

Ora di pranzo. Near avvolto dal suo alone di solitudine sembrava etereo e passava in mezzo agl’altri come un fantasma. Tutti ormai si erano abituati a quelle stranezze. Tutti tranne…
“Ahi!”
Qualcuno gli aveva pestato un piede. Qualcuno lo aveva toccato.
“Scusa Near.”
Una vocina che si allontanava, come un soffio di vento da quanto era flebile. L’albino si girò appena in tempo per vedere Margaret fiondarsi in cucina. Anche lui era diretto lì. Si era dato appuntamento con Rester, doveva affidargli una missione.
“Stai attenta! Insomma!”
“Scusi, scusi. Ho trovato il giusto ingranaggio, non ho tempo!”
Ed ecco che prima che potesse mettere il suo piede indolenzito in cucina, un mini razzo dalle trecce rosse gli schizza a fianco, mancandolo per poco, con solo un pezzo di pane in bocca e un succo in cartone nella mano. Near si voltò e vide Rester fissare la bambina che si allontanava.
“Ma che le prende? Prima mi ha quasi fatto cadere. Near non…”
“Risparmiami le critiche, abbiamo del lavoro da fare.”

“Kami, se esisti, proteggi la mia mamma. Lei è una persona un po’ cattivella, si arrabbia spesso e minaccia la gente quando è furiosa. Ma è la mia mamma. mi vuole bene, mi ha sempre protetto. Si è sempre presa cura di me da sola da quando papà se ne è andato. Voglio tornare con lei in Spagna! Voglio riabbracciarla e giocare ancora con lei! Voglio la mia mamma!”

“Quella bambina ne ha già passate tante. Kami le devi un genitore ricordati. Qui non potrebbe crescere. Cesserebbe di vivere, appassendo come Near.”

“Il nemico è un osso duro! Sono convinto che dietro quella frangetta dispettosa si nasconde una furia come la madre. Ma Kami si gentile, riunisci quelle belve.”

“Kami… non è da me, ma proteggi quella bambina. Domani dovrò andare di persona all’ospedale, come minimo penseranno che sono il padre. Che mi diano buone notizie.”

“L aveva Watari, Near ha me e il suo predecessore si era preso cura di lui. Lei non arà più nessuno. Non amo i bambini alla follia. Kami. Aiuta quei deliziosi occhi verdi.”

“Anche sta sera il mio latte era già pronto. Da quando Roger è così attento. Domani ci sarà molto da fare. I miei agenti infiltrati mi consegneranno i rapporti e dovrò partecipare a quel colloquio con dei nuovi agenti. Per non parlare dei capi dello stato maggiore francese… Kami. Esistono shinigami, esisterai anche tu? Sciocchezze, domani devo lavorare.”

La luce era troppo forte. Forse quelle lampade sarebbero state le ultime cose che avrebbe visto in vita sua. Tutto era incerto. Solo di una cosa era sicura. La sua piccola era protetta, in buone e bianche mani. Kami! No! L’acqua! Il telefono! Non ho sentito squillare! L’anestesia fece effetto. Lucrecia Navarro si addormentò con l’unica sua sicurezza infranta.



AAAAAAAAAAA Near descriverti è così difficile!!!! Grazie a chi mi recensisce sempre e a chi da solo un'occhiata. Mi aiutate a continuare ed ora sono in fase creativa, ma ho l'esame alle porte quindi pausa. Il prossimo cappi a chissa quando. NOoooo!!! Comunque grazie a tutti, commentate numerosi.

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Capitolo 7
*** Una persona! ***


La pace non dura per sempre

“Mellooo!”
“Cosa vuoi svitato?”
“Ci siamo riusciti!”
“Che?”
“Abbiamo chiuso il caso!”
“…”
“Prima di Near!”
“…”
“Mello?”
“Batterò Near…”
“Oh no! Adesso ricomincia.”
“Presto ci rivedremo…”
“E benvenuti nel mondo fatato di Mello!”
“Presto…”
“Sei tornato? Ohi Mello?!”
“… mi spiegherai perché ci hai lasciato morire così…”
“… Mel…”

Quella mattina Near decise di fare colazione presto. Voleva evitare i suoi dipendenti. In pochissimo tempo tutti erano venuti a conoscenza della storia di Margaret e in altrettanto tempo tutti lo guardavano come prima guardavano i criminali che catturavano. Come la peggior feccia della terra. Lui che aveva messo in prigione persone indegne di essere considerate tali. Lui che aveva ceduto il suo dono al mondo, privandosi di un’infanzia e di una vita. Più cercava di ignorare quelli sguardi più gli pesavano. Voleva solo una mattinata tranquilla, invece davanti a lui, con una tazza di the davanti, c’era la causa scatenante degli ultimi pettegolezzi della base.
“Buongiorno Margaret.”
Si impose di salutare, atono. La bimba sembrò riscuotersi da una specie di trans. Guardò prima la tazza di the che le scaldava le mani, come se non si ricordasse di averla. Poi alzò lo sguardo verso Near. Le iridi grigie si scontrarono con due occhi rossi, segno di un pianto recente, gonfi e se possibili ancora più grandi del solito. Infine, due iridi verde spento, si posarono nuovamente sulla tazza.
“Oh.. Near… Giorno.”
Ignorarla. Doveva semplicemente ignorarla. Lei non era che un essere umano capitato sulla strada che lo divideva dal suo obiettivo. Si mosse verso il frigo, ma fu bloccato da un sussurro.
“Il latte è già nel pentolino. Basta accendere il fornello.”
Near si voltò verso i fornelli, chiedendosi da quando Roger tenesse tanto a fargli avere il latte e soprattutto si domandava come facesse sempre a sapere quando ne aveva voglia.
“Grazie.”
Near era freddo, distaccato, tante cose che di certo non sono apprezzabili nella gente comune. Però era educato. Accese il fornello. Poi… doveva guardarla. Era costretto, doveva voltarsi per prendere i biscotti nella credenza. Quello che vide non gli piacque. Margaret tremava leggermente. Aveva sicuramente passato una nottata terribile. Lui aveva chiesto a Rester di andare all’ospedale a controllare. Non che la sorte di una perfetta sconosciuta lo toccasse. Giusto? Forse la risposta sarebbe stata sì senza quella bambina sconsolata davanti agl’occhi.
“Margaret…”
“Ora vado al lavoro.”
Le parole non furono seguite da fatti. Margaret era così fuori dal mondo che dovette concentrarsi perché le gambe le dessero retta.
“Oggi non lavori. Da istruzioni al tuo team, poi vieni nel mio studio.”
Margaret ci mise un po’ a rispondere. Prima doveva capire se nella voce di Near c’era davvero premura o se lo aveva immaginato. Poi si chiese il perché di questo cambio di programma.
“Dovrò fare qualcosa di particolare?”
“Starai con me e magari faremo due chiacchiere.”
Margaret sgranò gl’occhi. Voleva guardare Near e accertarsi di aver sentito bene. Margaret vide grigio, un grigio che tentava di essere… amichevole?
“Near oggi voglio lavorare.”
E detto questo se ne andò, Near era esterrefatto. Ci stava mettendo tutte le sue forze per essere meno frigido e comportarsi come… L. Sì, L avrebbe fatto così. La piccola non gli aveva dato retta, non era la prima volta che faceva di testa sua. Nonostante ciò si sentiva più leggero, come se la consapevolezza di avere ancora qualcosa in comune col suo idolo lo rendesse… felice?

Era arrivato in ospedale appena aperto ai visitatori. Si diresse veloce verso lo studio dei dottori. Le facce che accolsero il comandante Rester non erano felici, anzi erano buie, pronte a dare notizie tragiche.
“Lei è qui per Lucrecia Navarro?”
“Sì.”
I medici lo fecero accomodare. Altro brutto presentimento.
“E’ morta?”
La domanda, fredda e diretta, stupì gli specialisti.
“No…”
Gl’occhi azzurri di Rester si accesero di nuova speranza. Speranza. E per chi? Mica per quella bimbetta dai capelli rossi che solo con la sua presenza causava problemi. No, impossibile!
“E’ in coma.”
No! Come è stato possibile?
“Come è stato possibile?”
“Una complicazione durante l’intervento. Il tumore è stato asportato con successo, ma verso la fine la paziente ha avuto una brusca emorragia.”
“Pensate possa risvegliarsi?”
“Siamo poco fiduciosi. Ci dispiace per…”
Una dottoressa era già in piedi e si stava sporgendo verso di lui.
“Non sono un parente. Sono un amico del tutore. Ora se volete scusarmi desidero il rapporto medico ed essere aggiornato ad ogni cambiamento.”
Il primo rifiuto dei medici fu scontato. Ma Rester aveva delle argomentazioni convincenti.

Margaret aveva aperto il suo grande computer. Quel giorno avrebbe lavorato come non mai. Poi inaspettatamente delle voci le giunsero dal corridoio.
“Sapevo che Near era senza sentimenti, ma fino a questo punto?”
“Povera piccola, forse dovremmo cercare di alleggerirle il morale. Potremmo essere più amichevoli?”
“Non abbiamo tempo di preoccuparci di lei. Dobbiamo concentrarci sul lavoro, a Near non servono dei subalterni distratti.”
“Ma non possiamo fare finta di niente. Io mi sento disumano ogni volta che la incrocio e non ho fatto niente. Near dovrebbe…”
“Near è troppo preso dal suo lavoro per essere anche una persona.”
Non era la prima volta che ascoltava un discorso del genere. Da quello che aveva capito, nessuno fino al suo arrivo aveva mai criticato Near. Era freddo, non ostentava a mostrarsi per ciò che è, ossia superiore mentalmente a chiunque, ma finché si comportava così con adulti e criminali nessuno aveva da ridire. Tutti ora parlavano male di lui. Il suo atteggiamento con una bambina era intollerabile secondo la morale di molti. Margaret non prendeva facilmente la gente in antipatia, anzi se poteva cercava di vedere il lato positivo di ogni persona, al contrario di sua madre. Però il suo sguardo si assottigliò e le labbra si incurvarono in una smorfia irritata quando sentì un’ulteriore critica a quello che lei considerava lo zio Nate.
“Forse non dovremmo esagerare. E’ pur sempre il nostro capo.”
“E’ troppo altezzoso e insensibile per preoccuparsi dell’opinione altrui. Scommetto che se ci licenzia è perché non siamo attenti, non perché lo insultiamo. Non gli importa niente!”
Velocemente chiuse il programma che stava scrivendo. Attivò un virus che avrebbe disattivato momentaneamente le telecamere nella sua stanza, mandando dei video del giorno prima. Prese uno dei CD che Rester non le aveva confiscato, sempre al sicuro nel suo posto segreto, e lo inserì.
-Ciao tesoro. Questo video devi tenerlo per te, solo per te. Tra tre settimane partirò per il Giappone. Potrei stare via per molto oppure potrei non tornare mai. Lo so, è crudele, ma devo aiutare lo zio Mihael. Mi capisci, vero? In questi miei lasciti vorrei parlarti dei tuoi zii, di come sono realmente e non di come loro stessi si mostrano. Ti chiederai l’utilità, vero? Bhe… vedi… la mamma…-
Aveva visto quel video centinaia di volte, ma non poteva smettere. Bastava accennare alla malattia della sua mamma che Matt diventava buio e a volte sembrava sul punto di cedere allo sconforto. In una registrazione, la più preziosa che aveva in assoluto, lui piangeva. Margaret si sentiva fortunata ogni volta che suo padre dimostrava quanto le amasse entrambe.
-La mamma potrebbe stare male in futuro. E tu forse dovrai passare del tempo con tuo zio Nate. Perché lui? Perché lo zio Mihael potrebbe essere via con me, anzi è quasi sicuro. Ti avrò annoiato, ma ora passiamo alla descrizione dello zio Nate, motivo di questo video.-
A quel punto Margaret mandò avanti alla parte che le interessava.
-… e lo zio Mihael si arrabbiò. Secondo lui Nate non aveva considerazione dell’opinione altrui. Però la storia non è finita qui. Quella sera ero rimasto in giro fino a tardi, sai giochi sciocchi con altri bambini e nel tornare indietro vidi tuo zio Nate con il suo coniglio bianco che fissava la porta della stanza mia e di zio Mihael. Mi nascosi dietro un muro e lo osservai. Dopo qualche secondo strinse a sé il suo pupazzo e in un sussurro disse: “Tu non pensi che io sia disumano, vero Roger?”. Era così flebile, eppure riuscii ad avvertire malinconia nella sua voce. Ripensai a quel pomeriggio. Mihael sosteneva che Nate non lo stesse ascoltando quando disse che era disumano. Non fu l’ultima volta che mi accorsi che a tuo zio l’opinione altrui creava disturbo. Ne soffriva, ma non lo dava a vedere. Mihael usava ogni mezzo per distruggere i suoi avversari, e lui così piccolo e fragile non poteva mostrarsi debole. E’ un ragazzo forte, ma mostragli sempre affetto e cerca di guardare oltre. Io non ho mai cercato di essergli amico ed ora me ne rammarico. Ma tu dei tirarlo fuori dalla sua bolla, prima che l’aria stantia della solitudine lo soffochi. Troppi sentimenti repressi lo porteranno presto a decisioni avventate, come Mihael. Devi prenderti cura di lui. Conto su di te amore mio.-
Margaret chiuse velocemente il video. Mise il suoi dischi segreti al loro posto e riattivò le telecamere. Ogni volta che visionava quei lasciti imparava a conoscere non solo Nate e Mihael, ma anche il suo papà. Dietro quell’aria scherzosa e incurante, dietro quel menefreghismo tipicamente infantile, c’era una ragazzo maturo, che da dietro i suoi occhiali arancioni vedeva ciò che a tutti sfuggiva. Era premuroso, si preoccupava per gli altri. Amava vivere. Amava vivere. A giudizio di Margaret era l’unico che sapesse apprezzare il dono della vita e uno scherzo del fato lo aveva ucciso. Si prese un momento per riordinare i pensieri, poi la piccola decise di andare dall’albino, magari quel pomeriggio di chiacchiere era ancora valido.

“In coma?”
Lidner dovette combattere contro il desiderio profondo di sedersi. Era l’unica donna, doveva avere una tempra d’acciaio. Si stupì quando Jevanni si voltò verso il muro, quasi facesse fatica ad assimilare ciò che Rester aveva comunicato.
“Questo è un risvolto inaspettato. Anche se era possibile visto la portata dell’operazione.”
Scese il gelo nella stanza al commento di Near, che notò subito lo sguardo sbigottito dei suoi collaboratori.
“Near se non puoi dire nulla di delicato, allora taci.”
Quella donna! Non si faceva mai problemi a rimproverarlo.
“Che cosa farai adesso? E cosa dirai alla bambina?”
La domanda di Roger ottenne una risposta scontata.
“Lei resterà qui in ogni caso, escluso quello che la madre si riprenda. In più verrà a conoscenza della verità da sola, infatti sospetto che si sia intrufolata nuovamente nel sistema di sicurezza.”
A quel punto Jevanni stupì nuovamente tutti i presenti con la sua reazione.
“Il sistema di sicurezza? Ti importa solo di quello? Accidenti Near ha solo sette anni! Qualcuno deve informarla!”
“La tua ultima affermazione mi fa dedurre che non vuoi assumerti la responsabilità di questo ingrato compito, vero Jevanni?”
Normalmente tutti avrebbero interpretato l’intervento di Near come una normale affermazione, l’esposizione di una dato di fatto. Ma Roger avvertì un pizzico di scontrosità nella voce di Near. Osservandolo poté inoltre notare che stava assumendo una postura neutra, riflesso incondizionato di quando voleva mettersi sulla difensiva. L’anziano signore non fece in tempo a chiedersi il perché che la voce di Rester attirò l’attenzione dei presenti.
“Comunicherò io alla bambina che la madre è in coma. Mi accorerò che non sappia la gravità della cosa e non farò menzione del fatto che potrebbe non farcela. In quanto al problema delle visite, informerò la piccola che come accordato lei non ha il permesso di uscire dalla base.”
Near guardò Rester e la sua espressione si rilassò. Il comandante era l’unico che non si era lasciato coinvolgere dalla situazione. Poi un rumore forte distrasse tutti.
“Sembra che qualcuno sia caduto dalle scale.”
Capitan ovvio! Fu il pensiero comune che seguì il commento di Jevanni.

Near era in cucina. La giornata era stata pesante sia per il lavoro sia per il risvolto che stava prendendo la faccenda di Margaret. Comunque non si faceva problemi, fino a quando Lucrecia non fosse morta o meno, lui non poteva fare niente, solo aspettare il corso degli eventi. Stava sorseggiando il suo latte caldo. Sempre pronto come al solito. Quel liquido immacolato, denso, che gli scaldava la gola lo fece rilassare, troppo, così da ripensare agli eventi del giorno. Tutta la base parlava male di lui. Era da molto che non riceveva tanti insulti in massa. Più cercava di non curarsene più anche le più piccole osservazioni gli sembravano cattive. Strinse le braccia istintivamente. Non c’era Roger, il coniglio, a consolarlo.
Near hai ventitre anni!
Col tempo giocava sempre meno con Roger e con il suo puzzle bianco. Costruiva tanti trenini, ma non ci giocava mai. Edificava monumenti famosi con le carte, per poi distruggere tutto senza godersi il risultato. Da quando Mello era morto non aveva più toccato una marionetta. Si impegnava a risolvere giochi complessi, ma non si divertiva. Rifare mille volte quel puzzle invece lo appagava, anche se nessuno sapeva il perché o riusciva ad immaginarlo. In più si aggiungeva un leggere orgoglio nel pensare che mai nessuno avrebbe risolto quel mistero. Era un suo segreto. E come tutti i bambini da piccolo era fiero di averne uno solo suo. I suoi giochi erano l’unico modo che conoscesse per provare orgoglio, allegria, senso di intraprendenza. Ora che era cresciuto sentiva ancora il bisogno di provare quelle sensazioni, ma il lavoro lo logorava e non poteva permettersi di perdere tempo con i giocattoli.
E’ così che ti sentivi L? Rinunciare a tutto ciò che ti rendeva felice, che ti piaceva, per seguire i tuoi ideali. Doveva pesarti molto. Eppure gli altri non ti consideravano… disumano. Mello…
Near non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui per la prima volta Mello gli disse che era disumano. Anche se strano, si era sempre considerato come gli altri bambini. Con loro aveva in comune il fatto di essere una persona. Mello lo aveva privato anche di quell’ultimo filo che lo legava agl’altri. Strinse ancora le braccia. Roger non c’era.
Dei passi. Una persona che zoppicava. Forse la stessa caduta dalle scale quel pomeriggio. Quando si ritrovò davanti Margaret in lacrime qualcosa in lui si ruppe. Quella scena l’aveva già vista. Lei con viso arrossato, le righe ormai asciutte, ma ancora visibili delle lacrime versate. Le mani stratte alle braccia, come per cercare riparo dal mondo esterno. Poi lo sguardo cadde sui piedi di lei. Aveva una pantofola nel piede sinistro. Ottima per non far rumore. Il piede destro invece era un po’ gonfio, non eccessivamente, ma abbastanza da farle sicuramente male. Lì Near capì. Aveva sentito tutto. Rester lo aveva precedentemente informato di aver trovato la bambina già addormentata. Che trucco scialbo. La bambina dal canto suo rimase immobile, come se fosse stata scoperta a rubare qualcosa. Infine cercò di raddrizzarsi e di assumere un aspetto più dignitoso. Si voltò verso la credenza. I biscotti erano in alto. Di solito sulle punte ci arrivava, ma con il piede dolorante le risultava difficile. Tremò quando sentì afferrarsi un polso. Near la condusse a sedere e lei non oppose resistenza.
“Hai cenato?”
Alla domanda un lieve cenno di no con la testa.
“Ti preparo una zuppa. Ti aiuterà a dormire ed è sicuramente più nutriente dei biscotti.”
L avrebbe fatto eccezione. Ma davanti a lui non c’era L. C’era una bimba senza difese che tentava di rimanere aggrappata ad un mondo che le era crollato addosso. Near mise a scaldare una zuppa preconfezionata e poi si avvicinò al frizer. Prese del ghiaccio e lo porse alla piccola che lo mise sul piede.
“Grazie Near.”
Disse Margaret in un singhiozzo.
“Di niente.”
Rispose lui versando la zuppa in una ciotola e porgendola a lei con un cucchiaio.
“Sei gentile.”
Near si bloccò. Osservò la bambina mangiare la sua zuppa. Prima soffiava sul grande cucchiaio bollente, poi succhiava come facevano i bimbi, emettendo quel leggero stridio. Si sedette. Finì il suo latte ormai tiepido senza mai levarle gl’occhi di dosso. Aveva detto che era gentile. Lui che in quel teatrino recitava il mostro cattivo, il Mangiafuoco pronto ad approfittarsi della sfortunata ed ingenua protagonista, per manovrarla come una marionetta. Improvvisamente ogni suo sentimento si annullò per dar spazio al senso di colpa. Sensazione subito spazzata via dall’autoimposta convinzione che quell’affermazione era stata dettata da un’immensa tristezza. O forse era un piano per convincerlo a darle più libertà? Il cervello di Near cercò ogni scusa convincente, non accettava il fatto che quella bambina lo considerasse…
“Sei una brava persona.”
Una persona.

Margaret si era alzata velocemente e messo la ciotola nel lavello si diresse in camera senza degnare più Near di alcuna attenzione. Era come oppressa da un grosso macigno alleggerito dalla inconsapevolezza età e appesantito dal suo essere geniale. Aveva tentato di essere cortese con suo zio, aveva usato ogni suo rimasuglio di raziocinio per non scaricare su di lui il suo dolore. Però non poteva sopportare oltre. Andò a dormire incurante del dolore al piede. Si lasciò andare ad un pianto liberatore, un altro di quel giorno. Si addormentò tardi con i visi dei suoi genitori che sfumavano, lasciandola avvolta nel buio.

Era andata via così lesta, che Near immerso nel suo pensiero non si era nemmeno accorto della sua assenza. Il cucchiaio era ancora in tavola. Il ghiaccio abbandonato a terra. Lentamente mise tutto in ordine. Andò subito a dormire. Voleva cullarsi in quel senso di leggera beatitudine in cui si era perso. Quella notte, dopo anni, Near non si sentì un computer che viene spento a fine lavoro, avvolto nell’assenza di codici binari, ma una persona che chiude gl’occhi e cade nel mondo dei sogni. Una persona.



Scritto di getto e catolo minato da insidie. Il mio pc si era impallato e avevo perso le ultime modifiche. Che colpo che avevo preso. Ringrazio chi commenta e vi assicuro che mi fa troppo piacere sentirvi vicino, a tal punto che mi commuovo. Domani scritto di italiano. Addio per un po' e grazie.
Ary_492

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Capitolo 8
*** Una settimana ***


La pace non dura per sempre

“Sempre più casi!” clap clap “Risolviamo sempre più casi!” clap clap “Sempre più casiii!!!”
“Matt piantala! Sei irritante!”
“E tu sei irritabile!”
“Non possiamo distrarci se volgiamo battere Near!”
“Ti correggo. Tu vuoi battere Near! Io desidero solo…”
“Tornare a casa tua. Si lo so.”
“Mello…”
“Tre… quattro anni.”
“Lo hai detto anche tre anni fa.”
“Matt è sempre la stessa storia. Possiamo avere conversazioni più allegre?”
“Hai detto che sono irritante…”
“Uff… ok.”
“Ok?”
“Ok!”
“Siamo dei miti! Chi sono i più forti? Chi sono i più intelligenti? Noi!!!”
Tre… quattro… sette… nove… onestamente non so quanto tempo Matt.

Una settimana da incubo! Come Lucrecia era in bilico tra la vita e la morte, tutti all’SPK erano indecisi nel loro modo di fare.

Lidner non sapeva se continuare a fare la donna irremovibile o cercare di alleviare un po’ l’atmosfera per la piccola Margaret. Volente o nolente si era affezionata con una velocità fuori da ogni limite a quella bambina. Quando la incrociava per i corridoi, la piccola le rivolgeva sempre un sorriso tirato, come per dimostrarle che apprezzava le piccole attenzioni che la donna, inconsapevolmente, le rivolgeva. Nella credenza non mancavano mai i suoi biscotti preferiti. L’aiutava a riordinare quando Near la sommergeva di scartoffie. Le sistemava i capelli quando, dopo una notte insonne, la bimba non aveva la forza di guardarsi allo specchio. In più Lidner sceglieva sempre i momenti più propizi, accompagnati da qualche scusa. I codini li pettinava quando Margaret doveva andare ad una riunione, rimproverandola di non curarsi abbastanza. Le preparava il pranzo, dicendo che lei era troppo lenta e che se voleva la pasta doveva fare più veloce. Insomma ogni scusa era buona per aiutarla. E Margaret lo aveva capito subito. Così ogni tanto ricambiava il favore. Quando Near aveva qualcosa da dire sul lavoro di Lidner, lei provvedeva a ricordargli le mancanze del suo precedente sistema informatico. Una volta entrambe poterono giurare di aver sentito Near sbuffare, come i bambini quando non sanno più come difendersi.
Insieme a Lidner, anche Jevanni aveva cominciato a cambiare atteggiamento. Prima studiava la bambina, come un soldato studierebbe il suo nemico. Ora invece cercava di evitarla più possibile. Lui non sapeva come esserle d’aiuto per il suo lutto. Allora preferiva di gran lunga starle lontano e non darle fastidio. Eppure nonostante i suoi sforzi il fato gli era avverso. Incrociava quella bimba ovunque. A volte si chiudeva nel bagno degl’uomini pur di essere certo di non vederla. Lui era uno dei tre migliori agenti di Near, non poteva perdersi in inutili preoccupazioni. Rester aveva guadagnato punti ignorando la piccola, lui non poteva essere da meno. Un giorno si lodò per esserle stato lontano a lungo, ma ben presto si accorse che non era lui ad evitare lei, ma il contrario. La bambina infatti sembrava desiderare meno contatti possibili con tutti, a parte Lidner. Parlava lo stretto indispensabile per dare istruzioni o per rispondere alle domande. Fine.

Per Rester era come se nulla fosse accaduto. Ogni giorno era come un altro. Near aveva chiesto a lui di occuparsi della situazione di Lucrecia proprio perché era il meno coinvolto. Lui era un poliziotto, col suo lavoro di feccia ne aveva vista tanta e quella di Margaret non era la prima situazione difficile in cui si imbatteva. Era molto triste da dire, ma di bambini sfortunati se ne trovavano dietro ogni angolo e lui non poteva impietosirsi per ognuno di loro o sarebbe impazzito in breve tempo.

Near viveva la cosa in modo strano. La sua coscienza era divisa in quattro. Due parti razionali e due molto emotive per i suoi soliti standard. Da una parte quella bambina gli serviva, era un ottimo collaboratore e davvero forse, un giorno, sarebbe stata la sua erede. L’idea gli era più volte saltata in mente, ma poi era subito smentita. La seconda vocina dentro di lui infatti diceva che Margaret era troppo emotiva per prendere il suo posto e che la sua intelligenza sembrava limitata al solo ambito informatico. Ora i sentimentalismi. Near non sapeva come definire quel blocco allo stomaco che aveva ogni volta che Margaret arrivava con gl’occhi gonfi oppure quel senso di inadeguatezza che si impadroniva di lui quando Lidner la consolava, a suo modo ovviamente, e lui stava fermo, impassibile e se poteva peggiorava le cose con commenti inappropriati. Scientificamente poteva dire di essere triste e in preda ai sensi di colpa, ma non essendo in confidenza con quelle emozioni, era restio ad accettarle. Infine, una piccola parte di lui, quasi desiderava che Lucrecia… No! Troppo orribile persino per lui. Ogni volta che ci pensava si sentiva… inferiore. Inferiore a quella bimba così buona. Allora la sua mente cercava di distrarsi. Mandava Rester ad aggiornarsi sulle condizioni di Lucrecia, a volte cercava di fingere interesse e speranza, ma senza riuscirci, anzi appariva disinvolto, praticamente il contrario di ciò che voleva dimostrare. Near aveva sempre pensato di essere lui a non voler dimostrare sentimenti, ma si stava rendendo conto di essere incapace ad esprimerli e la cosa lo preoccupava. Si era sempre detto che se non faceva una cosa era perché non gli andava o perché non voleva, ma in quegl’attimi di riflessione si sentiva incompleto e le sue mancanze, fin’ora ignorate, cominciavano a pesare.

Margaret era senza speranza. Attendeva solo il rapporto di Rester che avrebbe segnato la sua vita. Si sentiva meschina però. Suo padre le aveva chiesto di essere forte, di cercare di andare d’accordo con i suoi zii e di… Ma cosa penso! Near non è mio zio, nemmeno Mello! Non ho più una famiglia. Far finta è inutile. Illudersi serve solo a ritardare il dolore. Aveva solo sette anni. Tutti si aspettavano che lei si comportasse da adulta, come ogni bimba prodigio. In realtà lei avrebbe solo voluto chiudersi in se stessa e piangersi addosso, fino ad esaurire le lacrime. Voleva fare come tutti i bambini. Non capire. Voleva sentirsi dire che i suoi genitori erano via e non sarebbero tornati. Voleva vivere con la speranza, seppur vana, che sarebbero tornati da lei. Che un giorno avrebbero cenato ancora tutti insieme. Invece lei aveva solo quei video. Li guardava sapendo di essere quasi patetica, ma ogni volta che andava a dormire aveva il terrore che il giorno dopo il viso dei suoi genitori si appannasse, la loro voce suonasse sempre più strana e flebile. Temeva di dimenticarli e come ogni bambino non era pronta a chiudere un capitolo della sua vita con determinazione. Si aggrappava ad ogni singola sillaba, ad ogni espressione che era immortalata su quei dischetti. Non poteva accettare che morissero veramente, che morissero anche nei suoi ricordi.

Una settimana. Margaret venne chiamata da Near nel suo ufficio con urgenza. Era ovvio che si trattasse di sua madre. Lei voleva uscire da quella situazione di stallo, ma anche non sapere permetteva alla speranza di rimanere accesa.
“Abbiamo notizie.”
Nessun preambolo inutile. Tipico di Near.
“Tua madre si è svegliata.”
Non l’aveva detto sul serio. Non era vero. Invece sì.
“Mia… mia…”
“E’ sopravvissuta, l’intervanto ha avuto successo. E’ in buona salute e sembra non avere danni permanenti o gravi.”
Near le dava le spalle. Immaginava la sua espressione. Sorpresa. Incredulità. Infine gioia. Ecco cosa temeva. Veder quella gioia scemare alle sue prossime parole.
“C’è un ma, vero?”
Se Near non la guardava c’era un motivo. Non era finita.
“Ha perso la memoria. Non ricorda niente dopo i suoi quindici anni. I medici hanno detto che sarebbe traumatico per lei, visto il suo temperamento, scoprire di avere una figlia, aggiungendo il fatto che tuo padre è morto…”
A quel punto doveva voltarsi. Qualcosa dentro di lui lo costrinse. Aprì le braccia d’istinto quando Margaret lo abbracciò forte.
“Grazie! Grazie infinite!”
Stava piangendo e allo stesso tempo rideva. Near non capiva.
“La mia mamma sta bene, questo conta. Starò da te finché non ricorderà immagino?”
Chiese con gioia.
“S-sì…”
Near stava balbettando. Non riusciva a formulare un pensiero coerente.
“Che bello! Sono felice! Grazie per quello che fai zio Nate!”
Come lo aveva chiamato?
“Adesso vado a dormire! Domani ci sono tante cose da fare!”
Quando Near sentì l’abbraccio sciogliersi ebbe la sensazione di sentire freddo.
“Buona notte!”
Quando Margaret si chiuse la porta alle spalle, ecco che il mondo riprese a muoversi. Near era invaso da emozioni, troppe perché il suo corpo esile e debole potesse contenerle tutte. Il gesto di Margaret lo aveva colpito. Era davvero così buona quella bambina. Sapeva godere delle piccole cose e si accontentava di piccoli passi avanti. Near non si era mai sentito più importante e gratificato in vita sua quando la bimba lo aveva abbracciato. Poi i sensi di colpa. Tutto quell’affetto gli era stato dato senza che lui facesse niente. Si era sempre comportato come un bastardo. Proprio come gli diceva Mello a volte. Usava poco quella parola, ma nei casi peggiori non si era fatto scrupoli ad usarla. Troppe emozioni. Egoista. Era stato un egoista ogni volta che pensava all’opzione che vedeva Lucrecia morta. Voleva la piccola per sé. Lo faceva sentire bene averla intorno. All’inizio era riluttante all’idea di averla con sé, ma in poco tempo aveva sentito il suo calore e non voleva perderlo. Quella bimba cercava di farlo stare meglio e lui invece alimentava le sue disgrazie. Si sentiva meschino. Prima di coricarsi pensò che forse era meglio prima. Quando teneva le sue emozioni lontane, quando il dolore non c’era, perché non c’era nemmeno la felicità. Però più si spronava a tornare indietro, più il nomignolo che gli aveva dato Margaret ‘zio Nate’, gli rimbombava in testa. Era parte di qualcosa di simile ad una famiglia ed era inspiegabilmente una bellissima sensazione.



Lo so! Quella della perdita di memoria è una trovata veramente poco originale. Ma io non voglio uccidere la mia Lu e allo stesso tempo desidero lasciare Margaret e Near ancora un po' soli. D'ora in poi l'atmosfera si allegerirà e forse sarà persino divertente. Scopritelo! Grazie mille a chi recescisce e anche a chi mi segue in silenzio. Siete fantastici!

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Capitolo 9
*** Un'atmosfera diversa ***


PREMESSA IMPORTANTISSIMA! Prima di tutto ringrazio tutti quelli che continuano a seguire questa storia e vi ringrazio per la pazienza perchè questa volta ho partorito un capitolo lunghino. EVVAI! In più per i prossimi sette capitoli ci saranno dei contenuti extra. Delle storie nella storia. Saranno raccontate da Near, ma in realtà io le scrivo come un narratore esterno, per poter esaminare ogni personaggio. Chi pensa che sia troppo concentrata sui sentimenti non si preoccupi, perchè il prossimo capitolo sarà lavoro e tanto lavoro per Near, perciò sarò meno smielata. Apro parentesi LA QUESTIONE NEAR In quasi tutte le recensioni viene fuori l'idea che vi fate del personaggio che io descrivo a confronto dell'idea che vi siete fatti leggendo il manga o guardando l'anime. I vostri commenti mi aiutano a mantenere il personaggio IC, quindi li apprezzo molto e se qualcuno ha dei dubbi seri, sarò contenta di rispondergli cosicchè mi aiuti in futuro.
Grazie La pace non dura per sempre

“Matt! Matt!”
“Dica padrone!”
“Piantala! E’ successa una cosa bellissima!”
“Tanto entusiasmo da parte tua mi spaventa.”
“Zitto idiota! E’ una cosa che davvero ti sorprenderà!”
“Ti sposi? Era ora Mello, quei capelli d’oro non ci saranno per sempre. Sarò io il tuo testimone vero? Hai intenzione di invitare anche Near? La mia piccina potrebbe farti da damigella e Lucrecia sarebbe felicissima di…”
“Cretino! Lavoro con un completo imbecille!”
“Se non si parla di matrimonio, qual è la notizia spettacolare? Ti fai moro?”
“Quanto piombo vuoi nel cervello?”
“Dimmi Mel.”
“Near ha provato a contattarci!”
“Sposerai Near?”
“Click!”
“Metti via quella pistola!”
“E tu impedisci a quella fogna di dire cazzate! E’ un evento! Finalmente fiocco di neve ha capito che ha una sana concorrenza! Ma per ora facciamoci desiderare.”
“Vedi che ragioni come una sposina. Anche se a Near il bianco donerebbe di più…”
“Click!”

La notizia della situazione di Lucrecia aveva sollevato il morale di tutti. Near fu il primo ad accorgersi della differenza. Tutti lavoravano meglio e con più energia. E poi ovviamente Margaret era tutto un sorriso. La piccola si impegnava al massimo nel suo lavoro ed il nuovo sistema di sicurezza era eccellente! Near avrebbe voluto farla lavorare ad alcuni dei suoi casi, ma Lidner gli aveva intimato con uno sguardo che avrebbe trapassato i muri di non farlo. “E’ troppo piccola e ha già vissuto abbastanza disgrazie per conto suo, non ha bisogno di vedere altro orrore!” gli aveva detto. Da quando quella donna avesse tanta voglia di dargli contro e di contestare i suoi ordini? Per non parlare di Jevanni che sembrava regredito all’adolescenza! Si comportava normalmente con tutti, ma con la piccola… Sembrava che il cervello del suo dipendente si resettasse ogni volta che incrociava quegl’occhi smeraldo. Improvvisamente cominciava a dire frasi sconnesse, sudava come un ragazzino davanti alla sua prima cotta e i polsini della camicia venivano puntualmente torturati fino al limite di sopportazione del tessuto. Near non capiva il perché di tanto disagio. Aveva anche cercato nel passato di Jevanni sperando di trovare qualche risposta, ma niente. Rester… Rester… L’unico APPARENTEMENTE rimasto normale. Apparentemente. Perché per un buon osservatore, quale Near era, si potevano notare i muscoli sotto la camicia talmente contratti ogni volta che quella frugoletta gli passava davanti, che a momenti i bottoni saltavano dalle asole. Rester era sempre stato severo, anche nel portamento, ma mai un pezzo di legno. A conti fatti Lidner bolliva, Jevanni sublimava e Rester brinava, una reazione chimica che Near non poteva permettersi. Aveva un caso da risolvere, lui, non poteva preoccuparsi di una squadra in crisi ormonale.
Poi, un giorno, come niente fosse, proprio quando era pronto ad affrontare l’argomento a modo suo, cioè con un secco e atono ‘vi licenzio’, tutto era tornato alla normalità. Quando quella mattina Lidner non aveva obiettato nessun ordine, Jevanni aveva consegnato un rapporto a Margaret senza farsi una sauna nella giacca e Rester pareva avere una camicia di due taglie più grande, Near aveva seriamente preso in considerazione l’idea di doversi riposare un po’. Non dormiva come si deve da giorni e forse la stanchezza gli stava giocando brutti scherzi. Era arrivato persino, nei momenti di noia, ad osservare la strada aspettandosi di vedere un topo rincorrere una banda di gatti, di cui uno con la tromba e la bombetta. Quando arrivò a chiedersi come facesse il gatto con il contrabbasso ad avere l’accento russo, capì che doveva reagire. Si stava facendo trasportare dagli eventi. Per non farsi travolgere da quella marea di stranezze c’era un’unica forma d’indagine possibile: il dialogo. E dialogo era ben diverso da interrogatorio o conversazione, dato che quest’ultima era solo la versione gentile e informale del terzo grado.
Una settimana tutti strani. Una settimana di nuovo normali. Era domenica e Near non voleva nemmeno immaginare come sarebbe stata la settimana successiva. Tornando in camera sua, la sera, incrociò Lidner, ma lei pareva con la mente altrove e lui non ebbe il coraggio nemmeno di chiamarla. No, non riusciva a concepire lui e i suoi dipendenti a chiacchierare intorno ad un tavolo, magari con the e biscotti. In realtà il problema non erano i suoi uomini, era lui. Lui che già non capiva perché si facesse problemi del genere quando aveva un sacco di lavoro da fare, figuriamoci mettere a nudo i suoi dubbi e il suo interesse. Magari avrebbero pensato che a lui importava di loro. Errore. A Near interessava solo che la sua squadre funzionasse, come una macchina bel oliata. Se ogni componente agiva per conto suo diventava un problema generale.
Si sedette al tavolo. Il latte caldo già pronto come al solito. Quella bevanda gli fece pensare a Roger. Anche lui era diverso. Sembrava più propenso verso i bisogni della bambina, come non lo era mai stato con qualsiasi orfano. Prima di farsi un ulteriore viaggio mentale su Roger una figura minuta ed esile fece capolino oltre la porta. Era la prima volta che Near vedeva Margaret con i capelli sciolti. Le guance pallide dovute ad una giornata stancante risaltavano molto incorniciate dai suoi capelli rosso-arancio, e gl’occhi sembravano brillare, come quelli dei gatti.
“Near dovrei parlarti.”
“Dimmi.”
Margaret si sedette davanti a lui, il tavolo a distanziarli. Da quella volta in cui si era lasciata scappare ‘zio Nate’, aveva mantenuto una certa distanza da lui. Near aveva poi scoperto dai video che suo padre lo chiamava così, lo stesso valeva per Mello. Matt voleva davvero assicurarsi che sua figlia non rimanesse priva di una famiglia, come loro. Nella vita avrebbe sicuramente incontrato persone in grado di capirla e di volerle bene, perché anche se geniale, lei riusciva a rapportarsi con la gente. Ma nulla le avrebbe restituito un passato a cui aggrapparsi. Edificare una nuova famiglia, non è sufficiente a colmare il vuoto lasciato da quella vecchia. Matt aveva cercato in tutti i modi di non lasciare che quel vuoto fosse totale, ma Near sentiva di non essere in grado di riempirlo.
“La settimana scorsa tutti si comportavano in modo strano.”
L’aveva notato anche lei, non c’era da sorprendersi.
“Così ci ho parlato.”
Era una fortuna che Margaret stesse guardando altrove, perché Near era paragonabile ad un gufo, con gl’occhi spalancati che la fissavano impressionati e sorpresi. Si ricompose e se prima pensava di sorseggiare un po’ di latte, ora cercava di non pensare alla sete, o si sarebbe strozzato alla prossima notizia.
“Dunque.”
Near era fiero di sé per essere riuscito a restare atono.
“Lidner si preoccupa molto per me. E’ molto gentile. Dice che avere a che fare con i bambini tira fuori questo lato del suo carattere. E’ pur sempre una donna. Ma le ho detto che posso cavarmela e che tu hai bisogno della sua concentrazione e del suo acume. Dopo qualche raccomandazione si è convinta.”
“Bene.”
“Jevanni non l’ho capito. Quando gli ho detto che non gli avrei dato fastidio e che poteva lavorare tranquillamente è scoppiato in una risata profonda, sembrava maturato nel giro di pochi secondi. Dopo mi ha dato una pacca sulla testa e se ne andato facendo finta di essere serio. Da quel giorno mi ha sempre rivolto uno sguardo serio, ma il suo modo di fare è sempre molto gentile e rispettoso. E’ proprio una brava persona.”
“Immagino manchi solo Rester.”
Margaret doveva guardarlo. Possibile che per lui fosse importante solo ciò che era utile al lavoro. Per lei era inconcepibile, ma non riusciva a perforare quella barriera che era il suo sguardo. Non era spento, era intenso, ma allo stesso tempo vuoto. Vuoto perché conteneva talmente tante cose che si mischiavano e diventavano indistinguibili.
“Bhe a lui non sapevo cosa dire così l’ho fissato e dopo un minuto buono si è rilassato ed è andato via.”
I dipendenti di Near rimanevano un mistero per lei. Sembravano scelti apposta dal detective perché il loro metodo di organizzazione del pensiero era come quello di Near. Il lavoro al primo posto, tutto bello ordinato e curato, mentre i sentimenti erano gettati a caso in un angolo remoto del loro io, tanto che serviva preoccuparsene se tanto li lasciavano lì a fare la muffa.
“Se è tutto allora puoi andare.”
“Near…”
“C’è altro?”
All’inizio la bambina stava per abbassare la testa e dire di no, ma poi prese coraggio. Quello era un argomento importante che non poteva trascurare e che prima o poi bisognava affrontare. Alzò lo sguardo e fissò Near dritto negl’occhi. L’albino rimase colpito dalla determinazione da cui la piccola sembrava pervasa e questo lo preoccupò. Sapeva come reagire davanti ad un capriccio, ma se stavano per affrontare una questione importante, allora doveva stare molto attento.
“Siamo in luglio… e presto… in settembre… io dovrei andare a scuola.”
Piano, prendendo respiri profondi, Margaret lo aveva detto. Aveva posto all’attenzione di Near una questione delicata, ma Near si rilassò e questo alla bimba non piacque. Cattivo segno se il detective aveva la soluzione a portata di mano.
“Non potrai andare a scuola. Non posso mettere a rischio questa base. Ovviamente avrai una istruzione privata.” In un certo senso se lo aspettava, ma per lei era già stato difficile lasciare i suoi vecchi compagni, non riusciva ad accettare il fatto di non poter avere altri amici della sua età.
“Io vorrei conoscere altri bambini.”
“Quando mi hai chiesto di prendermi cura di te, mi hai detto che non mi avresti creato problemi o sbaglio?”
Molto scorretto. Lo sapevano entrambi. Gl’occhi di Margaret si assottigliarono, pronti a dichiarare battaglia. Quelli di Near altrettanto.
“Voglio andare a scuola!”
Voglio. Non vorrei. Voglio. La voce di Margaret per la prima volta era aumentata di qualche ottava.
“Non se ne parla.”
Aveva replicato Near, non più atono, ma con una voce adulta, che esigeva rispetto e obbedienza, senza tuttavia alzare il volume.
“Ho bisogno di fare amicizia con gli altri bambini. E’ importante avere rapporti con gli altri e lo sai anche tu.”
Ora la piccola aveva riacquistato dolcezza.
“Magari sei già andata a scuola in questi anni, avrai fatto amicizia con altri bambini, ma senza mai rivelare loro quanto sei intelligente. Che rapporti pensi mai di poter avere con gli altri se gli nascondi una parte così importante di te.”
Aveva abbassato lo sguardo. La piccola aveva perso. Near poteva leggerle nel pensiero e nel cuore. Sapeva cosa voleva dire essere costretti alla solitudine dalle proprie abilità. Però lui…
“Però tu avevi gli altri orfani della Wammy’s House…”
“Io avevo solo Mello e Matt.”
“Cosa?”
Quando Margaret alzò lo sguardo si ritrovò due grandi occhi grigi che la guardavano da molto vicino. Non si era accorta che lui si era alzato e strabuzzò gl’occhi quando la prese, si sedette e se la mise in braccio.
“Diciamo che il rapporto con gli altri bambini non era il massimo.”

Le sette buone azioni di Mello: guai a chi tocca i suoi giocattoli!

La Wammy’s House non era un comune orfanotrofio. Non tutti i bambini potevano accedervi, ma solo quelli particolarmente dotati. Gl’orfani venivano istruiti nel migliore dei modi, nella speranza che un giorno uno di loro avrebbe preso il posto di L, il più grande detective del mondo. Anche se la Wammy’s House non era un semplice orfanotrofio, poche erano in realtà le differenze tra essa e un altro orfanotrofio. Anche se geniali, i bambini al suo interno erano spesso tristi, se avevano perso i genitori in un età che permetteva loro di ricordarli, oppure giocavano spensierati di giorno, ponendosi mille domande di notte, se il loro lutto era avvenuto in tenerissima età. La loro vita scorreva monotona e sempre uguale, tra colazione, lezioni, pranzo, test pomeridiani, graduatorie, cortile, cena e letto. Ogni bambino poteva esprimere se stesso fino ad un certo punto. Le stanze condivise non permettevano a nessuno di arredarle secondo i propri gusti, le lenzuola erano tutte uguali per evitare bucati molteplici. Ogni bambino aveva diritto ad un numero limitato di doni e nessuna cuoca della mensa si chiedeva mai quale fosse il piatto preferito di quei giovani. Le potenzialità di ogni bambino erano portate oltre i loro limiti, ma la loro individualità veniva spesso forzata dal clima dell’orfanotrofio. A tutto facevano eccezione i vestiti. Infatti ognuno poteva indossare ciò che desiderava, entro i limiti del buon costume ovviamente, e i vestiti nuovi erano come i giocattoli o le piccole decorazioni per le camere, venivano consegnati regolarmente, dopo ogni visita medica mensile. I bambini infatti crescono in fretta.
Tutti erano costretti a quella routine, tutti tranne tre bambini. Due perché se ne sbattevano altamente ed uno perché privilegiato. Mello e Matt erano i bambini più tosti dell’istituto o meglio, Mello era tosto, Matt era il suo migliore amico.
L’orgoglio di Mello era come uno tsunami, spazzava via ogni cosa per lasciare la strada spianata al suo padrone. Ciò che Mello voleva, Mello otteneva. Ogni bambino aveva una tavoletta di cioccolato a settimana e poteva sceglierla alla mensa. Cioccolato al latte, cioccolato fondente, cioccolato alle nocciole. Fondente. Mello adorava il cioccolato fondente e non poteva esserne privato per una settimana. Così un giorno intercettò gli ordini della mensa e da allora ordinava confezioni supplementari del suo cioccolato preferito e le prendeva prima che le cuoche controllassero il carico. Calcolando bene ogni mossa, Mello aveva cioccolata ogni volta che la desiderava.
Matt era un ragazzo tranquillo e fissato con i videogiochi, tanto che ci giocava ogni momento della giornata, tranne in classe e quando Mello gli chiedeva/ordinava di far squadra con lui a calcio. Nonostante tutti, Mello compreso, lo considerassero un bambino dal cervello fritto, Matt era il terzo più intelligente dell’orfanotrofio. Roger gli diceva sempre che con quello che costavano i suoi videogames, lui doveva accontentarsi e saltare un turno di regali, ogni volta che chiedeva uno di quegli aggeggi infernali. Ma Matt non era particolarmente entusiasta della cosa, dato che la abilità al gioco lo portava a terminare ogni videogioco in tempo record. Così un giorno si mise d’accordo con uno dei ragazzi più grandi e in cambio delle risposte di alcune verifiche, al bimbo dai capelli rossi venivano montagne di videogiochi, anche vietati alla sua età.
L’unico bambino della scuola a non dover rispettare turni era Near. Lui era il primo della graduatoria, sempre. Oltre a questo era anche un bambino particolare. Vestiva sempre un pigiama bianco, giocava sempre da solo con balocchi esclusivamente bianchi, a parte le carte e qualche robot. Ma in mezzo a quel candore tutti vedevano un bambino chiuso, apatico e freddo. Indisposto verso gli altri, seppur mantenesse sempre un tono educato. Aveva dei privilegi che gli altri nemmeno si sognavano e nessuno sapeva il perché.
Una mattina Mello si sentiva particolarmente arrabbiato. Di nuovo secondo in graduatoria, battuto a calcetto e preso in giro da Matt perché era negato con le ragazze, a detta sua. Come se ad un bambino di undici anni importassero le ragazze. Ragazze… bambine pestifere e rompiscatole. Matt diceva che un giorno avrebbe cambiato idea, ma in quel momento Mello aveva altri piani per la mente. Tormentare un certo albino di sua conoscenza, una pulce di appena nove anni causa di ogni suo tormento. Stava per svoltare l’ultimo angolo poi si sarebbe ritrovato nella sala comune. Sala che in giornate soleggiate come quella era praticamente deserta, eccezion fatta per un bambino che di uscire non ne voleva proprio sapere.
“E’ divertente stare ad ammuffire al chiuso con un sole del genere fuori?”
Chiese sprezzante il biondino alla vista della, a sua detta, piccola piattola bianca.
“Sono albino, mi ustiono facilmente.”
Fu la risposta atona come sempre di Near.
“Mai sentito parlare di rachitismo?”
Mello sembrava aver già perso la pazienza e la faccia di bronzo che si era preparato tanto accuratamente.
“Mai sentito parlare di febbre da ustioni? Io sì e non era nei miei programmi passare una settimana intera a letto.”
Una risposta così lunga e tagliente. Non era da Near. Il piccoletto era sottile, non così diretto. E poi sembrava volersi liberare di Mello il prima possibile. Prima di rispondergli a tono, Mello notò che il bambino non stava giocando con niente, teneva solo un foglio stropicciato in una mano, mentre l’altra era a pugno. Quegli attimi di silenzio fecero intuire all’albino le intenzioni del biondo, ma fu troppo lento e il foglio che teneva in mano era già davanti agl’occhi del più grande. Near abbassò il capo, aspettandosi una presa in giro bella e buona e pronto ad incassare, per poi ignorare e ingoiare il rospo come sempre. Fu sorpreso invece della domanda che gli fu rivolta.
“Cos’è questa storia? Che razza di gioco è?”
Near aprì lentamente la mano a pugno e mostrò a Mello un braccio di quello che probabilmente era un robot giocattolo. Uno anche grosso.
“Qualcuno me lo ha preso e come hai letto, ogni giorno me ne faranno ritrovare un pezzo. Non tutti, un braccio…” disse alzando la mano “un piede, lo scudo e forse la testa.”
Che scherzetto geniale. Il bamboccio viziato meritava proprio che qualcuno gli insegnasse che nella vita tutto non girava intorno a lui. Il biondo si mise a sghignazzare, proprio non ce la faceva a contenersi. Near si rabbuiò ancora di più e fece per andarsene.
“Che c’è? Era il tuo robottino preferito? Ne hai tanti, non mi sembra questa gran tragedia…”
Ma mentre parlava il minore lo stava bellamente ignorando, perciò mosso dalla sua ormai nota ira lo afferrò per un braccio e lo strattonò fino a fargli perdere la presa sul pezzo di plastica che una volta era un braccio. Mello raccolse il resto del giocattolo e lo sventolò davanti al naso di Near.
“Allora dimmi, femminuccia, era così imp…”
“Sì era importante. Tutti sono importanti, quando fuori c’è il sole, loro sono gli unici che restano dentro con me.” La voce di Near non era ferma come al solito. A Mello sembrava arrabbiato e ferito. Decise di cogliere la palla al balzo.
“Sono solo bambocci. Non sono veri, come le persone, come gli altri bambini.”
“Infatti loro non rubano le miei cose, non mi fanno scherzi stupidi e non mi danno le …”
A quel punto Near si bloccò. Aveva già detto troppo, era tempo di ritirarsi nella sua tana, vuota di persone vere, ma almeno lì dentro nessuno poteva fargli del male. Si era già voltato, pronto ad andarsene. Ma una mano lo fermò di nuovo. Questa volta era un tocco più gentile, quasi stentava a credere che fosse Mello. Ma quando si sentì voltare, le sue iridi grigie incontrarono per un istante che sembrò interminabile quelle cerulee di Mello, che sembravano volerlo perforare. Il maggiore notò qualcosa che prima gli era sfuggito, un graffio su un lato della bocca, un unghiata, forse un tentativo di schivare uno schiaffo. In quel momento, nell’istante in cui Mello realizzò cos’era successo, Near poté leggere in quegl’occhi di ghiaccio una rabbia profonda, per nulla comparabile a quella che lo assaliva dopo l’ennesima sconfitta. Eppure, nonostante lo sguardo furioso, Mello continuò con una delicatezza che non era sua a tastare qua e là il torso e le braccia di Near. Una smorfia di dolore sfuggì al più piccolo, quando Mello sfiorò la spalla sinistra. Near non si oppose quando Mello gli allentò leggermente la camicia troppo grande, per scorgere un livido violaceo all’altezza della spalla.
“Chi è stato?”
La domanda di Mello riportò Near alla realtà.
“Chi.è.stato!?”
Quella di Mello non sembrava una domanda, ma una minaccia di morte. Near non si era mai sentito pietrificato, era una sensazione sgradevole l’impotenza, quella che lo affliggeva ogni volta che qualche bambino si riprendeva rivincite fisiche su di lui. Non aveva ancora risposto a Mello, ma questo sembrò non prendersela. Anzi sembrava più calmo. Near approfittò di un attimo di distrazione del maggiore per riprendersi quello che restava del suo robot e fuggì via, in camera sua.
Il giorno dopo Near era stanco. Erano stati dei giorni terribili. Tre giorni prima aveva per sbaglio pestato un piede a Freddy, un tipetto piuttosto irruento, a cui le scuse senza vita di Near non erano bastate. Infatti il giorno dopo gli aveva tirato un schiaffo, schivato per poco, all’ennesima risposta atona dell’albino. Ma non gli era andata gran chè bene, infatti il giorno seguente due suoi amichetti lo avevano trattenuto, mentre Freddy gli assestava un pugno come si deve ad una spalla. Aveva intenzione di avvertire Roger, ma poi gli era arrivato quel biglietto, con allegato il braccio del giocattolo. Se avesse fatto la spia tutti i suoi giochi avrebbero fatto quella fine. Come se non bastasse quella mattina il braccio del suo robot era sparito. Era così facile entrare in camera sua?! Mentre stava andando a colazione la strada gli fu bloccata nuovamente da Freddy e i suoi due amichetti, ma c’era qualcosa di diverso. Uno dei due sembrava terrorizzato, mentre l’altro tirò fuori da dietro la schiena il suo robot integro, braccio compreso. Glielo porse e poi si allontanò da Near velocemente, come se temesse delle ripercussioni. Freddy non si mosse. Quando Near lo osservò meglio, notò con sorpresa il labbro spaccato e un livido sul braccio sinistro molto esteso, compatibile con una scarica di pugni.
“Non ti daremo più fastidio, scusaci.”
Disse Freddy in un misto di rabbia e umiliazione. Quando se ne andarono Near cominciò a pensare. Per prima cosa avrebbe portato il suo robot al sicuro.
Quella sera Near si era messo sotto le coperte con il suo robot. Era un giocattolo a cui non aveva ancora dato un nome, ma ora ne aveva uno perfetto.
“Ti chiamerai Mello. Perché anche se sembri minaccioso, sei il più forte di tutti.”
Spense la luce e si addormentò, mentre un bambino biondo si coricava sorridendo, soddisfatto di aver fatto una buona azione.

Fine

“Quindi è stato Mello a dare una lezione a quei bambini?”
All’inizio trovarsi in braccio a Near l’aveva imbarazzata oltre ogni dire, ma poi si era abituata a quella inusuale vicinanza e si era persino appoggiata ad un suo braccio per tenersi in equilibrio.
“Non avevo le prove, ma ne sono tutt’ora convinto quando ci ripenso.”
Nemmeno Near sapeva perché teneva quella bimba in braccio, perché le aveva raccontato quella storia e soprattutto perché si sentiva sereno.
“Near… non potrò lasciare questa base mai?”
“Qualche volta, forse. Magari se devo andare in giro potrei portarti con me e potresti approfittarne per uscire un po’. Ma non posso mandarti a scuola.”
Il silenzio che si venne a creare non piacque per niente a Near. Quel piccolo momento di intimità gli aveva portato via la sua maschera di freddezza, ma sentiva inutile difendersi con Margaret. Near era dispiaciuto di non poter dare a quella bambina la vita normale che desiderava.
“Però rimarrò con te. Non andare a scuola non sarà così terribile.”
Near non poteva credere alle sue orecchie. Quella bambina… riusciva sempre a spiazzarlo. Margaret dal canto suo non era disposta a perdere subito quella specie di nuova famiglia che l’aveva accolta con un po’ di difficoltà, ma che ora la faceva sentire protetta e a suo modo felice. Nessuno avrebbe mai sostituito i suoi genitori, ma quello era meglio che rimanere soli.
“E’ ora di andare a letto.”
Disse Near con un po’ di imbarazzo, spingendo gentilmente la bambina giù dalle sue ginocchia. Nel giro di qualche secondo era ritornato la macchina lavoratrice e impenetrabile di sempre.
“Mi racconterai altre storie di te, Mello e papà?”
Near si voltò a guardare due smeraldi che praticamente lo stavano implorando di raccontarle altro, di darle altri particolari a cui aggrapparsi. Era inutile e doloroso, ma decise che avrebbe condiviso con lei i suoi ricordi.
“Sì, ma adesso va a dormire.”
“Ok, buonanotte.”
La bambina sparì e a Near sembrò essere calata nuovamente quell’atmosfera grigia che aveva sempre caratterizzato la base prima dell’arrivo di Margaret. Quante cose erano cambiate in così poco tempo, a causa di un cataclisma altro poco più di un metro.
Tornato in camera Near frugò fra i suoi vecchi giocattoli. Non li aveva portati via tutti dall’orfanotrofio, solo i suoi preferiti. C’era Roger il coniglio, Leila una fata bianca intrappolata in una palla di vetro con la neve, Peter il commissario di polizia, Matt l’astronave super accessoriata… C’erano tanti giocattoli a cui aveva dato il nome delle persone che più l’avevano colpito. Eccolo. Mello. Quando Near lo guardò sentì qualcosa rompersi ulteriormente dentro di lui. Quel robot l’aveva chiamato così per illudersi che lo spirito forte di Mello sarebbe stato sempre con lui. Ma dopo quello che era successo, dopo che li aveva lasciati morire… Ora che Mello era morto nessuno l’avrebbe più protetto. Nessuno.



Altro capitolo andato. Da adesso in poi entrerò nel mondo universitario, perciò chiedo scusa se gli aggiornamenti non saranno veloci. Ma non ho intenzione di sparire ancora per sei mesi. Blocchi a parte. XD
Ringraziamenti:
1 - ciaociao16
2 - GhostOwl
3 - Lulosky
4 - Madness4
5 - Marmalade Girl
6 - MeroSP
Per averla messa tra le preferite
1 - Yumeji
Per averla messa tra le ricordate
1 - 8kami
2 - Angel of hope
3 - Beyondy
4 - DANYDHALIA
5 - GioPattz
6 - hina_smack
7 - kiriku
8 - Poison_Heart
9 - Rebl_fleur
10 - sadie_
11 - Shaila Light
12 - Yumeji
13 - _A_
14 - _Misa_
Per averla messa tra le seguite
In più un grazie speciale a Any_ per essersi letta tutti i capitoli con calma e per averli pazientemente recensiti tutti.
Alla prossima e ancora un grande grazie!

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Capitolo 10
*** Ti presto la mia forza ***


Ti presto la mia forza

 

“Senti Mello…”
“Non sono stato io a nasconderti il videogioco. Se tenessi in ordine le tue cose non faresti tanta fatica a trovarle.”
“In realtà volevo chiederti una cosa. Così per curiosità.”
“Se ti annoi tanto, guarda là, ci sono kilometri di scartoffie da controllare.”
“Davvero Mel è una cosa che mi chiedo da un sacco di tempo…”
“Spara e poi lavora.”
“Perché ti vesti come una puttana che sta per andare al lavoro?”
“Cought cought, ma sei scemo?”
“No Mel, davvero. Vesti sempre di pelle! Oltre al caldo che non so come lo sopporti, ma poi quando cammini ti metti anche a sculettare! Sai, in un covo di mafiosi con dei gusti sessuali discutibili io non avrei il coraggio di vestirmi così!”
“Matt…”
“In realtà non mi vestirei mai così! Sul serio, ieri sera ho visto delle prostitute vestite più decentemente…”
“Matt…”
“M-Mel… sei t-trop-po vicino…”
“MATT IO TI AMMAZZO! COME TI PERMETTI! IO NON SEMBRO UNA PUTTANA E POI NON E’ VERO CHE SCULETTO!”
“Sì che è veroooooo….”
“IO TI STROZZO!”
“Me-Mel ah non ah ah resp-cought non resp…”
“HAI ALTRI COMMENTI DA FARE SUI MIEI VESTITI?!?!”
“No cought ah mi rimarrà il segno!”
“Ti sta bene! Ed ora torna al lavoro!”
“Almeno non camminare come una femmina in caloreeee…” CRASH “Mi hai tirato un scodella?!?! Ehi, metti giù quella tazzina…” CRASH “Ok, Mel, no, che vuoi fare con…” CRASH “Hai rotto lo specchio?!?! Mel… la mazza… mettila giù… AAAH”
“Ora la puttana ti sbatte per bene!”

“Caso Larsen. Una donna di sessantaquattro anni era stata trovata morta nel salotto di casa sua. Era vedova, viveva da sola a Hammerfest, in Norvegia. Era sulla sua poltrona con uno squarcio dalla gola allo stomaco, praticamente l’avevano aperta in due. L’assassino non aveva lasciato tracce. La serratura non era forzata, quindi la vittima conosceva il suo assalitore. La moquette non era sufficientemente soffice e non c’erano impronte di scarpe valide per un confronto. L’arma non era stata trovata e la polizia non poteva fare il test del sangue su ogni coltello da cucina del vicinato. Nessuno aveva visto o sentito niente. Non si sa come, ma l’assassino non aveva lasciato tracce di sangue. Parte di quello della vittima era sicuramente schizzata su di lui, ma doveva essere stato attento. I criminologi non potevano chiedere un mandato per i cappotti di mezza città. La vittima sembrava non avere nemici o questioni in sospeso. Perciò dopo un mese il caso venne chiuso, quando ogni alibi fu confermato.
Caso Pettersen. Una donna di sessantasette anni era stata trovata morta in casa sua, sul suo letto, con una profonda ferita da taglio obliqua sull’addome. Il marito era fuori città per andare a trovare la figlia e i nipoti. Nessuna prova. Niente impronte, niente schizzi di sangue anomali. La vittima stava probabilmente dormendo, perché non c’erano segni di lotta. La porta non era forzata, ma la vittima soleva dimenticarsi di chiuderla a chiave. Quaranta giorni e il caso fu schedato come irrisolto.
Casi Jacobsen, Dalh, Hansen e Olsen. Stesso modo di uccidere le vittime, una coltellata profonda. Nessuna traccia di sangue fuori posto, nessuna impronta. Le vittime conoscevano il loro aggressore, perché a parte la signora Pettersen tutte le altre avevano aperto la porta. Le donne erano tutte sulla sessantina. Ecco la cronologia degli omicidi:
Larsen, Hammerfest, 22 dicembre 2014;
Pettersen, Honningsvåg, 8 gennaio 2015;
Jacobsen, Alta, 3 marzo 2015;
Dalh, Gamvik, 17 aprile 2015;
Hansen, Kvalsund, 14 giugno 2015;
Olsen, Loppa, tre giorni fa, 31 luglio 2015.”

Tutti erano stati ad ascoltare attentamente mentre Rester esponeva i dati dell’ultimo caso che era stato proposto a Near. Quando la polizia norvegese si era accorta di avere tra le mani un serial killer, non aveva esitato a chiamare L. La prima volta Near non aveva accettato, quando lo avevano contattato dopo il terzo decesso. Ma le vittime erano aumentate e l’assassino uccideva più rapidamente. Era stato costretto a mettere da parte quel caso di mafiosi a cui lavorava instancabilmente per mettersi contro ad un norvegese. Il malumore di Near per quel cambio di programma era tastabile.
“Non è possibile che la polizia non abbia nemmeno una pista?”
Jevanni era sconcertato. Possibile che nessuno fosse stato in grado almeno di teorizzare qualcosa.
“La polizia ha scoperto che le vittime si conoscevano. Anche se di età diverse avevano frequentato lo stesso liceo e con il tempo dato che una conosceva l’altra, si sono ritrovate a fare gruppo per anni, prima che le loro strade si dividessero. Prima vivevano tutte a Hammerfest, dove è avvenuto il primo omicidio.”
“Rester ci sono altre donne che facevano parte di quel gruppo?”
Chiese Near, intervenendo per la prima volta. Pur di chiudere quel caso era disposto a tutto. Doveva rimettersi al lavoro su quello che ormai era diventato la sua ossessione.
“Sì, altre quattro donne.”
“Basterà metterle sotto sorveglianza, attendere e incastrare l’assassino.”
Disse Jevanni sicuro di sé.
“L’ultima vittima era già sotto sorveglianza eppure…”
Rester fu interrotto da Lidner.
“Una sorveglianza veramente scarsa da quanto vedo nei rapporti. Jevanni ha ragione. Se si mettessero le potenziali vittime sotto assoluto controllo non sarà difficile prendere il nostro uomo.” “Ti sbagli Lidner.”
Tutti si voltarono verso Near per ascoltare cosa aveva da dire.
“Quell’uomo si deve essere accorto che le donne erano sorvegliate. Guardate bene e scoprirete che durante l’ultimo omicidio ci sono delle piccole incongruenze.”
Passò un minuto buono, ma nessuno notava nulla di strano.
“Innanzi tutto l’orario. Tutte le vittime sono state presumibilmente uccise in pieno giorno, tranne l’ultima.”
“Non si può parlare di giorno a quelle latitudini.”
Obiettò Rester.
“Anche se in questo periodo dell’anno c’è sempre il sole, al contrario rispetto ai primi delitti, l’assassino ha sempre ucciso tra le nove e le quattro del pomeriggio. Anche se il sole non sorge o non tramonta la gente vive come se avesse il nostro orologio.”
L’osservazione di Near era corretta. L’ultima vittima era stata uccisa verso le nove di sera.
“Ma non è sufficiente.”
L’albino rispose subito alle parole di Jevanni.
“Guardate bene le immagini della ferita. Le altre sono state inflitte con una lentezza impressionante, tanto da essere nitide e perfette per identificare l’arma se la trovassero. Ma l’ultima vittima presenta sempre un’unica ferita, ma slabbrata, come se fosse stata inflitta velocemente e con molta più forza. Sembrerebbe compatibile con un’altra arma, ma non credo in questa ipotesi. I più l’assassino non aveva mai lasciato nessuna impronta, ma questa volta doveva essere talmente nervoso, che nell’attesa di un momento propizio per colpire ha praticamente inciso la moquette. L’impronta è talmente distorta che non si possono ricavare confronti, ma non è compatibile con l’atteggiamento calmo e meditabondo dei primi omicidi.”
“Anche nella scelta del momento c’è qualcosa che non va.”
“Te ne sei accorta Lidner. Le prime vittime erano sedute, tranne una che era sdraiata. Ma questa era in piedi contro un muro. L’unico motivo per cui non è riuscita ad opporsi probabilmente è la grande forza del suo aggressore, oltre che un artrosi molto avanzata.”
“Se fosse stato un emulatore?”
Chiese Jevanni.
“Ne dubito, altrimenti è proprio un caso che l’ultima vittima rientrasse nella probabile lista del serial killer.”
Restarono a discutere di quel caso per ore. Dalla mattina presto fino all’ora di cena. Presero misure di sicurezza per le altre quattro possibili vittime e cominciarono a varare le opzioni per dei sospettati.
“Direi che possiamo farlo domani. Visti i tempi dell’assassino probabilmente ora sarà in viaggio, verso la prossima meta nella desolata Norvegia.”
Con quella frase Jevanni chiuse la riunione estenuante di quella giornata. Arrivati alla cucina tutti si chiesero cosa avrebbero mangiato. Dopo un lavoro del genere nessuno era disposto a mettersi ai fornelli. Per loro immensa fortuna Roger e Margaret avevano pensato a loro, lasciando sui fornelli della carne da riscaldare.
“Quella bambina pensa sempre al prossimo.”
Aveva detto Jevanni quando Roger servì loro la cena.
“Adesso dov’è?”
Chiese Near, solo ed esclusivamente perché la piccola doveva fargli rapporto.
“E’ andata a dormire. Ha detto che era molto stanca, ma ti ha lasciato i rapporti sulla tua scrivania.”
Rispose Roger con il solito tono leggermente indisposto.
“Il mio ufficio è chiuso a chiave ed ha anche una protezione oculare.”
Osservò l’albino masticando lentamente.
“Forse si riferiva a quella della sala dove lavora?”
Suppose Jevanni.
“Lì io non ho una scrivania.”
Era strano come anche a cena dovessero indagare sulle cose più inutili. Questo almeno si ritrovò a pensare Roger.
“C’è un posto dove ti siedi sempre quando vai da lei. Avrà usato a sproposito la parola scrivania, il suo inglese non è impeccabile.”
Aveva chiuso Lidner per poter mangiare in pace.
“Ma il suo spagnolo è utilissimo e molto ricco. La settimana scorsa stavo parlando al telefono con un commissario argentino, che non sapeva l’inglese. Il mio spagnolo è buono, ma alcune cose non le capivo. Lei passava da quelle parti e quando mi ha sentito mi ha fatto mettere il vivavoce. Così mi traduceva ciò che non capivo e mi ha suggerito risposte e domande molto pertinenti.”
“Insomma Jevanni hai messo Margaret al corrente di informazioni che non dovrebbe avere.”
Il rimprovero di Near era giunto chiaro a tutti. Da quando c’era quella bambina l’ordine che aveva sempre dominato stava venendo meno.
“Però grazie a lei ho ricevuto informazioni che altrimenti non avrei saputo chiedere. Il suo linguaggio specifico mi è stato molto utile e…”
“Allora la prossima volta farò fare a qualcun altro le chiamate internazionali. Qualcuno che non abbia bisogno di coinvolgere non autorizzati in casi della massima sicurezza.”
Near aveva detto tutto ciò con una severità che nessuno si aspettava. Finirono di mangiare in silenzio. Quando fu ora di ritirarsi Roger volle parlare con Near.
“Cosa c’è che non va Near. Se quella bambina vuole aiutarti ben venga.”
“L non si è mai servito di noi tanto come io faccio con Margaret. Praticamente lei non mi sta più aiutando, ma lavora con me a tutti gli effetti.”
Near sembrava arrabbiato e Roger non sapeva come trattare con un Near che non fosse il solito ragazzo apatico e freddo.
“Allora non farla partecipare ai tuoi casi se la cosa ti disturba.”
“Non ho altra scelta. Lei vive qui. Se la escludessi dalla vita lavorativa della base lei non avrebbe niente da fare tutto il giorno. In settembre ho intenzione di organizzarmi per darle un’istruzione, privata ovviamente. Ma per adesso non posso mettermi ad organizzare attività ricreative per lei.”
“Hai mai pensato di mandarla alla Wammy’s House. Lì troverebbe altri bambini e…”
“No!”
Quella risposta secca gli era uscita di bocca così, senza che lui potesse opporsi. Roger lo osservava leggermente stupito.
“Va bene Near.”
Detto quello Roger se ne andò, lasciando Near solo con i suoi pensieri confusi. Da piccolo i dottori avevano detto che probabilmente aveva la sindrome di Asperger. Simile all’autismo, ma con la differenza che le facoltà intellettive erano come quelle di un bambino normale. Col tempo, grazie alle persone che riteneva importanti, si sentì felice nel dedurre che lui non era affetto da quella malattia. Però negl’ultimi anni si era talmente chiuso, che un giorno leggendo un articolo di giornale si ritrovò a ricredersi. Ma in quel momento, quando Roger gli aveva proposto di allontanare Margaret, aveva sentito qualcosa di strano chiudergli la bocca dello stomaco. Era la stessa paura che lo opprimeva al pensiero che Lucrecia si riprendesse e gli portasse via la bambina. Ormai si era reso conto di aver sviluppato una sorte di legame con lei. Debole, quei legami che viene naturale intrecciare con dei bambini. Era diviso tra l’ammettere che quella bambina era importante e la convinzione che ogni legame affettivo era solo una distrazione per il suo lavoro. L l’aveva scelto anche per questo. Ricordava bene quel dialogo.

 “Sindrome di Asperger. Praticamente è come se fosse autistico.”
“Capisco.”
“L, sei sicuro che un bambino con questa malattia sia adatto ad essere candidato alla successione?”
“Sarà legato al suo lavoro. Se gli metti le cose davanti come dei giochi, delle sfide, sarà interessato e si impegnerà. Non sarà possibile distrarlo, la malattia non lo permetterebbe.”
“Quindi credi che vada bene?”
“Sì.”

 Era stato scelto perché era uno stupido menomato e non era mai riuscito ad accettarlo.
“Near sei ancora sveglio?”
Quella voce.
“Va a dormire Margaret.”
Sconvolta da tanta freddezza la bambina stava per rientrare nella sua camera.
“D’ora in poi smettila di interessarti a casi che non ti riguardano. Se hai del tempo libero usalo in altro modo.”
Detto ciò Near se ne andò. Non si accorse dello sguardo ferito della bimba.

Altri tre giorni e Near non era ancora riuscito a chiudere il caso del killer norvegese. La sorveglianza era a posto. La lista dei sospettati compilata, ma tutti avevano un alibi. Mariti, vecchie amicizie. Nessuno aveva un movente plausibile. Come se non bastasse Margaret non gli parlava. Di solito gli rivolgeva sempre un saluto o trovava una scusa qualsiasi per parlargli un po’. Ma stranamente in quei giorni se ne stava sulle sue. Non se l’era mai presa così tanto, nemmeno per la scuola. Ovviamente non fu Near a fare caso a quella stranezza, ma tutti gli altri. Lui era così concentrato sul caso che nulla sembrava importargli se non chiuderlo al più presto.
“Near abbiamo cercato nel loro passato. Non risulta che abbiano fatto parte di qualche setta o altro. Sembra che non ci sia un motivo, che questo assassino le uccida per divertimento.”
Near era stufo di sentirsi dire sempre le stesse cose. Non ne poteva più. Si alzò e se ne andò nel bel mezzo della riunione, senza salutare. Salì al piano superiore. Voleva andare a prendere i suoi mazzi di carte. Costruire castelli lo avrebbe rilassato e si sarebbe concentrato meglio. Camminava lentamente, trascinandosi, come non faceva da tempo. Era cresciuto e inaspettatamente il suo corpo era diventato forte. Near era alto, con le spalle larghe e la vita leggermente più sottile, conferendogli quel busto a V che molti ragazzi gli avrebbero invidiato, ma che a causa del pigiama nessuno avrebbe mai ammirato. Da quando era cresciuto aveva cominciato a camminare decentemente e ha stare dritto più spesso. Ma quando doveva riflettere profondamente assumeva quelle abitudini tipiche della sua infanzia e adolescenza. Avere un passo lento e morto era una di quelle abitudini. Quando notò la porta di Margaret aperta non resistette alla tentazione di sbirciare. La bambina era seduta sul letto, il portatile in un angolo. Il video andava, la voce di Matt si distingueva facilmente. Near non la ricordava con nitidezza come quella di Mello, ma poteva presupporre che fosse il rosso che sul video raccontava dei tempi della Wammy’ House. Margaret non guardava il video, ma fisso davanti a sé. Dal suo sguardo Near capì che stava pensando, poi fece delle smorfie, come a cancellare un pensiero dalla testa.
“Ciao.”
Non sapeva nemmeno lui perché l’aveva salutata.
“N-Near.”
La bambina sembrava titubante, smarrita. Near rifletté un momento sul suo strano comportamento ed improvvisamente si accorse che erano almeno tre giorni che non si parlavano.
“In questi giorni sono stato occupato.”
Si scusò. Aspetta. Perché si stava scusando? Lui non doveva rendere conto di niente a nessuno. Eppure si sentiva male per aver ignorato la bambina per tanto tempo.
“E’ un caso difficile?”
Chiese lei per smorzare la tensione.
“Strano, insolito. Ma lo risolverò.”
Disse l’albino risoluto.
“Non mi sorprende.”
Cosa si era lasciata sfuggire? Ora Near l’avrebbe linciata come l’ultima volta. Infatti uno sguardo per niente promettente arrivò come un fulmine a ciel sereno.
“Non so nulla davvero. Ho solo sentito degli uomini che parlavano della Norvegia.”
Near continuò a guardarla poco convinto e Margaret capì che era meglio per lei dire tutta la verità.
“Li ho sentiti parlare anche del fatto che non ci sono prove, movente e sospettati. Allora ho pensato che visto che in Norvegia sono tutti depressi a causa dell’assenza di sole o roba del genere, il motivo poteva anche essere una banalità, frutto della follia di un uomo malato e…”
Ma Near era già sparito.

“Controllate i compagni di scuola.”
La voce di Near era ferma, decisa, viva come non mai.
“Che cosa?”
Chiese Jevanni convinto di essersi perso qualche passaggio.
“I componenti delle loro classi. Controllate dov’erano durante gli omicidi.”
“Va bene.”
“E se risultassero tutti puliti, allora controllate i vecchi insegnati, poi i figli.”
Lidner espresse i suoi dubbi.
“Ma che motivo avrebbe un figlio per uccidere le vecchie amiche si sua madre?”
Near si sedette e cominciò a torturarsi una ciocca di capelli, altra cosa che faceva sempre meno spesso.
“In Norvegia e in altri luoghi dove il ciclo salare è alterato, molte persone soffrono di gravi forme di depressione. La Finlandia è lo stato con il più alto tasso di suicidi al mondo. A causa della prolungata assenza di sole, il cervello produce il cosiddetto ormone della malinconia, la melatonina. E’ possibile che la motivazione sia molto banale, ma se il killer è un pazzo allora tutto è plausibile.”
Tutti si erano messi al lavoro, ma controllare l’alibi di un centinaio di persone non era cosa facile. Arrivati a sera nessuno smise di lavorare, il tempo era prezioso. Ma dopo un po’ a turni tutti andavano a riposarsi per un’oretta. Erano le tre di notte, a malincuore Near si alzò per andare a dormire un po’. Da quando era diventato L aveva cominciato ad assomigliargli. Sotto i suoi occhi c’erano delle occhiaie non proprio profonde, ma che di quel passo sarebbero state perenni. In più anche lui stava prendendo l’usanza di parlare ai suoi sottoposti tramite computer, mentre prima ancora lavorava faccia a faccia con la gente. Gli unici che erano sempre a contatto con lui erano Roger, Rester, Jevanni e Lidner. Bhe e Margaret. Ma a nessun altro era permesso vederlo, tranne in alcune occasioni particolari. L’albino stava per raggiungere la sua stanza quando un urlo agghiacciante lo bloccò.
“Aah!”
Di nuovo gl’incubi. Erano giorni che non riusciva a dormire. Però quella era la prima volta che si svegliava urlando. All’inizio piangeva e basta. Ma quelle immagini sembravano diventare sempre più vivide, sempre più reali.
“Hai guardato i fascicoli del caso, vero? Immagini comprese.”
Margaret sussultò quando vide Near sulla porta. L’aria seria e severa.
“Sì sight sight ma io non sight volevo solo aiutarti.”
Disse la piccola prima di mettersi a piangere. Singhiozzava piano, non era uno di quei pianti disperati. Near pensò che le si addicesse. E anche se lo cancellò subito dalla sua mente pensò che era tenera. Margaret sentì un peso schiacciare il materasso. Near era seduto accanto a lei.
“Ora hai gl’incubi.”
Margaret annuì.
“Ma non è sight per questo che non mi volevi.”
“No, il motivo è un altro.”
“Non riesco più a dormire.”
Near cinse Margaret con un braccio. Dopo quella che sembrava ad entrambi un’eternità lui la fece stendere e le rimboccò le coperte. Era un gesto molto meccanico e rigido, ma Margaret avvertì anche un pizzico di affetto.

Le sette buone azioni di Mello: come scacciare gl’incubi!

Quel giorno la Wammy’s House era in festa. I bambini sapevano il motivo per cui erano lì, diventare i successori di L. Nonostante ciò a nessuno era permesso fare ricerche su di lui o tentare di entrarci in contatto. Non potevano nemmeno seguire le sue indagini tramite televisione, però potevano guardare i notiziari e i più intelligenti capivano quando L sarebbe intervenuto. Spesso per gioco i bambini scommettevano. Di quale caso si sarebbe occupato L? Molti bambini puntavano sui casi più sanguinolenti, altri sui killer più famosi. Solo tre sapevano esattamente quali erano i criteri di L, ed ognuno di loro aveva reagito in modo differente. Near, Mello e Matt. I tre ragazzi più intelligenti dell’orfanotrofio. Loro sapevano che L lavorava per la giustizia, ma sentivano che non era il prodigarsi per gli altri l’unica cosa che muoveva quella grande mente. Loro sostenevano che L scegliesse i casi anche in base a quanto fossero stimolanti, a quali gli offrissero una sfida più complessa. Questo non gli faceva onore, ma non si poteva negare che non fosse vero.
Matt era un ragazzo a prima vista simpatico e giocoso, ma Mello sapeva che in realtà lui stava con gli altri solo perché c’era il suo migliore amico, altrimenti il rosso si sarebbe volentieri chiuso in se stesso. Quando ci rifletteva a mente lucida Mello si rendeva conto che Matt era più apatico e meno socievole di Near. Per questo a Matt le motivazioni di L non facevano né caldo né freddo, in più non gli importava niente della successione.
Per Mello e Near era differente. Mello vedeva in L un grande eroe e per questo a volte faticava ad accettare le conclusioni a cui era arrivato. Lui aveva catturato ‘L’automobilista pazzo’, la causa della morte dei suoi genitori. Quel tizio si divertiva ad andare per delle strade deserte e insidiose e se qualcuno passava di là lo faceva andare fuori strada. In quell’incidente i genitori di Mello persero la vita e lui si salvò per miracolo perché durante l’impatto era stato scaraventato fuori dalla macchina. Magari non era spinto dai migliori propositi, ma L sarebbe rimasto sempre il suo idolo.
Per Near la situazione era simile a quella di Mello. L aveva preso l’assassino dei suoi genitori. ‘Dug’ era la sua firma. Quando entrava in una casa, per prima cosa infliggeva alle vittime una ferita mortale, ma che lasciva loro pochi minuti di vita, poi incideva il suo nome o su una di loro o sulla porta. Aveva ucciso venti persone prima che L lo catturasse, anche dei bambini. Near ammirava L per il suo operato, ma credere che lo facesse per divertimento lo abbatteva. Lui sarebbe quasi sicuramente diventato il nuovo L. Non perché lo volesse, ma perché non aveva nient’altro a cui aggrapparsi per dare un senso alla sua vita. Probabilmente era destinato a vivere come uno stupido autistico, quindi diventare L gli avrebbe dato uno scopo e sarebbe stato utile al mondo.
Quel giorno un serial killer era stato finalmente catturato e tutti i bambini sapevano che c’era lo zampino di L. Tutti festeggiavano in cortile, giocando tutti insieme senza formare i soliti gruppetti.
“Ehi Near, vieni a giocare? Dai oggi è un giorno speciale!”
Chiese una bambina in tono gentile.
“Ma figurati se il cottonfioc viene! Troppo debole, nessuno lo vorrebbe in squadra.”
E mentre dei bambini se ne andavano deridendolo, Near se ne tornò in camera sua. Stretto nelle sue coperte ripensava al momento in cui aveva incrociato lo sguardo di Mello in giardino. Non lo aveva preso in giro come al solito. Era strano, ma pensare a Mello lo rasserenava. Mello aveva dieci anni ed era il bimbo più intelligente dopo di lui. Quando Near era arrivato all’orfanotrofio all’età di sei anni e mezzo, Mello c’era già. Lo aveva accolto con riluttanza e con il tempo aveva cominciato ad odiarlo, perché era più intelligente. Però era una figura così forte… in qualche modo riusciva a scacciare i suoi incubi. Ma in quelle notti nemmeno l’immagine del biondo era riuscita ad impedirgli di svegliarsi in lacrime. Quella sera, molto tardi, decise di uscire e di andare a prendere un po’ d’aria in giardino, ma quando notò le porte sbarrate dovette fare dietro front. Deluso Near era troppo assorto per accorgersi che qualcuno lo seguiva e quando sentì dei passi corse verso la sua camera ormai vicina, ma quando fece per chiudere la porta, un piede la bloccò.
“Che ci facevi in giro a quest’ora?”
Chiese Mello aprendo la porta e richiudendola alle sue spalle.
“Niente.”
La riposta di Near arrivò secca e veloce, ma leggermente indecisa.
“Sei strano in questi giorni.”
Si limitò a notare il maggiore. A Near sembrò che i loro soliti ruoli si fossero invertiti. Mello era calmo e esponeva i suoi dubbi con tranquillità e sagacia, mentre Near stava per staccarsi una ciocca di capelli e tentava di non lasciare trapelare emozioni.
“Come mai hai pianto? Qualcuno ti ha dato fastidio?”
Near guardò Mello sorpreso da tanto spirito protettivo. Di solito Mello lo indispettiva per farlo reagire, ma probabilmente nemmeno il bambino più tosto della Wammy’s House avrebbe fatto piangere i suoi compagni.
“Niente.”
A quella risposta deludente Mello prese Near e lo fece sedere sul letto, il biondo gli si sedette a fianco.
“E’ per il caso che L ha risolto, vero?”
Near spalancò gl’occhi e una lacrima, la prima di molte, gli sfuggì da un occhio. Il più piccolo l’asciugò in fretta, ma Mello se ne era accorto. Visto che Near non sembrava propenso al dialogo, Mello decise di continuare.
“Ho notato che le modalità di uccidere di quel mostro erano simili a quelle di un altro assassino, che L catturò tempo fa.”
Le lacrime ora scendevano copiose dagl’occhi grigi di Near.
“Un certo ‘Dug’. Quello che se non sbaglio ha ucciso i tuoi genitori.”
A quel punto Near cominciò a tremare. Come faceva Mello a saperlo? Quando il più piccolo alzò lo sguardo ormai gonfio, il biondo poté capire i suoi dubbi e si affrettò a rispondergli.
“Sei arrivato qua poco dopo la risoluzione del caso, nel tempo limite per chiudere un eventuale programma di protezione testimoni. Ho fatto due più due, in più oggi ho sentito Roger che ne parlava al telefono.”
Ammise il più grande arrossendo per aver confessato il suo piccolo misfatto.
“Io…sight ero… sight”
Near era troppo scosso, ma sembrava voler parlare assolutamente, perciò Mello gli afferrò una mano e la strinse forte.
“Ero sotto il letto… sight.. non… non mi ha vi sight”
“Li hai sentiti, vero? Hai sentito i tuoi genitori morire?”
A quella domanda Near si paralizzò e il respiro rimase intrappolato nella sua gola.
“Anch’io.”
Mello prese un respiro profondo, mentre Near cercava di riprendere il controllo di sé.
“Non avevo la cintura, la slacciavo sempre di nascosto per dispetto. Quando quel tizio ci ha mandato fuori strada, sono saltato fuori dall’auto. Mio padre è morto sul colpo, ma mia madre rimase incastrata nell’auto. Presi il suo cellulare dalla tasca, nei telefilm avevo visto chiamare il numero del pronto soccorso e lo composi. Piangevo, ma riuscì a spiegarmi. Mia madre rimase lì per diversi minuti ed io con lei. Respirava a fatica. Poi sentì un botto, lei mi urlò di allontanarmi e l’auto prese fuoco.”
Mello chiuse gl’occhi, come per separare le sue parole dalle immagini che prepotentemente gli affioravano dalla sua memoria.
“La sentì urlare, poi un’esplosione forte, che mi scaraventò ancora più lontano.”
Finalmente il biondo guardò Near e strinse ancora la sua mano. L’albino era rimasto ad ascoltarlo senza parole.
“E’ rimasto in me, quel momento, per mesi. Mesi di incubi da cui non riuscivo a liberarmi. Ma poi col tempo il ricordo si è fatto sempre più confuso e annebbiato. E adesso se ci ripenso, vedo solo le fiamme, ma non ricordo la voce dei miei genitori.”
Near riprese a piangere.
“Vedrai molte altre cose terribili Nate, ma prima o poi le dimenticherai e tornerai a fare sogni tranquilli.”
Il più piccolo annuì, tirando su col naso.
“Ascoltami bene adesso.”
Mello si assicurò di avere tutta la sua attenzione.
“Io non avevo nessuno che mi dava forza, solo dopo l’arrivò di Matt ammetto di aver iniziato a dormire completamente tranquillo. Ma tu hai me, capito!”
Near sgranò gl’occhi, lo fissò come per capacitarsi del fatto che quelle parole erano vere e non frutto della sua fantasia.
“Io non ti farò da balia. E saremo sempre rivali. Ma se proprio non riesci a scacciare gl’incubi, allora puoi venire da me. Ti stringerò la mano, così. In questo modo ti trasferirò tutta la mia forza e tu non dovrai più temere nulla, perché nessuno è più forte di me. Intesi?”
Near fece di nuovo sì col la testa, beandosi della forza e della sicurezza che la stretta di Mello gli infondeva. Pochi attimi poi il bambino biondo lasciò la sua mano, che divenne improvvisamente fredda, si alzò e si diresse verso la porta.
“Grazie.”
Un sussurro che Mello captò e con un sorriso uscì dalla camera di Near.
Da quella notte Near non sognò più la morte dei suoi genitori, perché ogni volta che si rivedeva sotto quel letto, un angelo biondo, dagl’occhi di ghiaccio, chiudeva le sue orecchie e con le sue ali lo portava lontano, dove gl’incubi lasciano posto ai sogni.

Fine

“Perché mi hai raccontato questa storia?”
Chiese Margaret con nuove lacrime, sta volta dovute alla pena nei confronti di Near.
“Perché vivendo qui vedrai cose orribili, ma questo non deve impedirti di dormire la notte.”
Detto questo le prese una mano e la strinse.
“Dormi e non pensare a quelle donne. Vedrai che catturerò il loro assassino.”
Non aggiunse ‘grazie anche alla tua intuizione’. La piccola sembrò più serena e dopo pochi secondi chiuse gl’occhi e il sonno la colse velocemente. Near lasciò la sua mano e tornò al lavoro. Le sue occhiaie avrebbero preso un altro po’ di grigiore, ma per una giusta causa. Grazie pensò Margaret.
“Grazie.”
Disse Near. Ma questa volta, contrariamente alla prima, Mello non poté sentirlo.

La mattina seguente tutti erano ancora in quella dannata sala riunioni a lavorare, ma dopo qualche minuto Lidner richiamò l’attenzione preoccupata.
“Near c’è stato un altro omicidio.”
“Dove e quando?”
Chiese il detective con una luce negl’occhi che voleva dire fine dei giochi.
“Nordkapp, qualche minuto fa. L’assassino era un ragazzo, ha sparato alla vittima da lontano. E’ fuggito su una citroen blu, non sono riusciti a prendere la targa.”
Near arricciò le labbra. Quel maledetto era riuscito a colpire ancora.
“Se era una ragazzo, probabilmente sarà un figlio, cercate prima quelli delle donne ancora in vita.”
Pochi minuti.
“Vegard Berg, nato a Båtsfjord, figlio di Celine Olsen, sorella gemella di una delle vittime. Il ragazzo ha chiesto dei permessi per malattia proprio nei giorni degli omicidi.”
Detto ciò Rester aveva già chiamato per un mandato di cattura nei confronti del ragazzo.
“Ma non sappiamo dove andrà adesso!”
I dubbi di Jevanni trovarono subito risposta.
“Dalla madre. Probabilmente voleva lasciarla per ultima, ma ora sa di essere braccato e forse sa anche che sappiamo chi è. La pistola è una prova sufficiente a sostenere questa teoria.”
“Sì  Near ma quale sarebbe il movente?”
Insistette Jevanni.
“Non lo so. Ce lo dirà lui una volta catturato.”
Detto questo il detective lasciò lo studio.
“Vai a dormire un po’?”
Chiese Margaret preoccupata. Quella bambina sbucava dal nulla, a volte a Near sembrava un fantasma.
“No, devo lavorare.”
Risposta fredda, ma Near si aspettava quello che la piccola disse poi.
“Posso aiutarti?”
“No.”
“Ma sembri così stanco e ieri non hai riposato per colpa mia.”
Disse la bambina timidamente. La parola colpa rimbalzò nella mente del giovane detective e diede a quel vocabolo molta importanza. Senza guardare la piccola Near le parlò avviandosi nel suo ufficio.
“Vieni, ma limitati a guardare a i dati che ti do io.”
La bambina lo seguì, reprimendo l’istinto di saltellare felice, ma non si trattenne dal sorridere allegramente.

“Quindi credi che vada bene?”
“Sì.”
“Ma la sua ma…”
“Credo che quel bambino non abbia nessuna malattia. Credo solo che sia molto chiuso.”
“Allora quel discorso sul lavoro…”
“In un primo momento penserà solo a quello e se nessuno entrerà nella sua vita il suo destino seguirà il mio. Ma se un giorno qualcuno riuscisse ad entrare oltre quel muro che il bambino ha costruito  intorno a sé, allora sarà benissimo in grado di legarsi a quella persona e chissà, magari così diventerà anche un detective migliore di me.”

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Capitolo 11
*** Volevo solo vederlo felice ***


Capitolo 11 Salve! E' la seconda volta che provo ad usare un programma per scrivere in HTML. Nel capitolo precedente non ero riuscita a scrivere niente, ma adesso che ci ho capito qualcosa va meglio. Inanzi tutto ringrazio chi ha recensito i capitoli precedenti. Recensite, che mi date forza! Inoltre ringrazio chi mi ha risposto ad una mail dove chiedevo informazioni per postare immagini.
Ultimamente mi perdevo spesso quando avevo a che fare con delle date, ragion per cui ho stillato una crnologia, dopo le dovute ricerche, perchè nemmeno voi abbiate incongruenze temporali.
Cronologia:
Anno corrente: 2015
Mello: nato il 13 dicembre 1989 manga, origini Germania
Near: nato il 24 agosto 1991 manga, origini Gran Bretagna
Matt: nato il 1 febbraio 1990, origini Irlanda
Margaret: nata l'8 ottobre 2007
Lucrecia: nata il 24 luglio 1991, origini Spagna
L: nato il 31 ottobre 1979 manga, morto il 5 novembre 2004, Londra (nel caso ci fossero riferimenti)
KJ: prima apparizione ufficiale 2012, sono entrati in contatto con Near la prima volta nel 2013

Così non rischierete di perdervi come è successo a me. Infatti a causa di un equivoco, all'inizio l'anno corrente sarebbe dovuto essere il 2014 e Margaret doveva nascere il 12 di maggio. Ma dato che avevo commesso degli errori di calcolo questo è il risultato.
Altra cosa, questione lingua. Da qualsiasi parte del mondo vengano, in tv o nei manga tutti parlano la stessa lingua. Quindi specifichiamo. Near nella sua base parla inglese, nonostante si trovino in Giappone. Margaret parla spagnolo e inglese molto bene. Se la cava con il giapponese e il francese. Anche Lucrecia parla un po' di giapponesee francese, oltre all'inglese e ovviamente lo spagnolo.
Ulteriore precisazione, come avete visto nella storia nel capitolo precedente, i bambini della Wammy's House conoscono il vero nome dei loro compagni. Almeno di alcuni. E le storie non vanno in un preciso ordine temporale.


Volevo solo vederlo felice

“Mello… bene, bene, bene…”
“Se è una delle tue solite cretinate passo.”
“Sono il tuo migliore amico, giusto?”
“Non te la tirare.”
“Allora perché non mi hai detto niente della ragazza che è già tre volte che porti da noi?”
“Ma porc… E tu come fai a saperlo?”
“Abbiamo telecamere di sorveglianza ricordi?”
“Mi hai spiato?!”
“Negl’ultimi tempi sembravi più sereno, quasi felice. Volevo capire perché.”
“Potevi chiedermelo idiota!”
“Hai ragione, scusa. Ma temevo che mi avresti mandato a quel paese senza dirmi niente.”
“…”
“Appunto.”
“Si chiama Deborah.”
“Un bel nome da pantera.”
“Già. E’ americana.”
“Che figata.”
“Ed è una prostituta.”
“Oh. Mello non sapevo che…”
“Non fraintendere. Non abbiamo fatto niente, è solo un’informatrice.”
“E da quando tu, ti porti informatrici a casa?”
“Da quando… potrebbe…”
“Piacerti! Mello è innamorato. Mello è innamorato.”
“NO! Brutto imbecille! Figurati, io innamorato. Diciamo che… è una tosta e non si comporta da puttanella smielata. Prende sul serio la cosa... ha un atteggiamento giusto.”
“Margaret avrà presto una cuginetta? E una nuova zia. Voiiiiiiii… aah!”
“Cretino! Non ci sarà mai un NOI. MAI!”

"Cosa ne pensi Near?"
Chiese una vocina timida, ma al col tempo ferma.
"Credo che lo abbiamo preso."
Il tono di Near era sempre piatto e vuoto, ma Margaret gioiva comunque. Le bastava sapere di essere stata utile e di avergli fatto piacere. Nelle ultime due settimane dal caso del killer norvegese, Margaret aveva collaborato con Near per risolvere diversi casi. Quattro per la precisione. Con Margaret ad aiutarlo, Near poteva permettersi di accettare anche dei casi minori, senza togliere tempo prezioso al suo chiodo fisso, quei dannati trafficanti di droga di Tokio. Near era stato categorico. Margaret non avrebbe mai messo mano a quel caso. Era gente pericolosa e già due suoi uomini erano morti per quei dannati spacciatori. Inoltre Margaret non poteva nemmeno pensare di toccare fascicoli di casi particolarmente violenti o sconvolgenti per la sua giovane psiche. La piccola ci aveva messo un po', prima di avere sogni del tutto tranquilli, perciò il divieto di Near era inutile, lei non si sarebbe mai sognata di infrangerlo.
"Near, l'ennesima chiamata dai servizi segreti francesi."
Disse Lidner sbuffando. Quei mangia baguette avevano rotto le scatole per quattro giorni, a causa di un cavillo internazionale. Degli agenti avevano chiesto l'aiuto di L, ma non tutti ai piani alti avevano condiviso quella scelta. Così a caso risolto, i francesi volevano che Near incontrasse degli agenti per farsi consegnare delle informazioni che aveva ottenuto durante lo svolgimento del caso. Near ne aveva spedite alcune, perchè riteneva che altre gli sarebbero state utili in futuro, ma i francesi avevano insistito, giustamente non fidandosi.
"Ci ho pensato Lidner ed accetto di incontrare un loro membro, ma uno solo."
Near non aveva la minima intenzione di portarsi avanti quella facenda ancora a lungo, perciò aveva concordato con Rester che se un agente straniero lo avesse visto non sarebbe stato un gran danno.
"Accidenti, sto cercando di spiegarmi, ma questi sembrano indemoniati!"
Halle stava decisamente perdendo la pazienza. Rester e Jevanni, che nel frattempo avevano raggiunto il loro capo la guardarono rammaricati, incapaci di darle una mano. Anche Near sembrava scocciato, ma quando passò Margaret le porse una domanda, la cui risposta lo spiazzò.
"Margaret tu parli francese?"
"Sì, anche bene. Mi madre ha una sorella gemella che vive in Francia."
All'occhiata indagatrice di tutti, la piccola rispose velocemente.
"Lei non poteva tenermi, è una storia complicata."
Disse abbassando il capo. Near lesse sconforto sul quel viso quasi rotondo e decise di conseguenza.
"Allora spiega tu alle persone al telefono che io accetterò di parlare solo con uno di loro."
"Ok."
Disse la piccola afferrando il ricevitore. All'inizio tentava timidamente di inserirsi in quella che era una accesa discussione che però scorreva in un'unica direzione. Poi a Near sembrò spazientirsi, perchè strinse il ricevitore in mano e cominciò a rispondere a tono a quelli dall'altra parte. Tutti rimasero allibiti, Near compreso. Non avevano mai visto Margaret così arrabbiata e non l'avevano mai sentita urlare. Sembrava una madre che stava sgridando dei figli irrispettosi. Parlava velocemente ed usava parole complesse, lo faceva apposta per far capire a chi stava dall'altra parte che la lingua differente era un'arma che non avevano più. Alla fine riattaccò pesantemente e nel giro di pochi secondi si ricompose, mantenendo un colorito vistoso a causa della disputa.
"Hanno detto che ti manderanno qualcuno in settimana. L'agente sarà solo e se cercherai nei loro archivi troverai ogni informazione utile, a detta loro. Ma se vuoi posso introdurmi nel loro sistema e farti sapere tutto con più cura appena saprò il suo nome."
Near sorrise appena, compiaciuto per la mente svelta della bambina.
"Ottimo lavoro Margaret."

Era arrivato il giorno. Near aveva dato le seguenti disposizioni: fermare l'agente all'entrata, controllare i suoi dati, percuisirlo e farlo accomodare in una sala super sorvegliata. Ovviamente non erano alla base, ma si erano spostati. Jevanni era all'ingresso e si sorprese quando davanti a lui comparve una ragazza. Sembrava molto giovane, forse non aveva nemmeno vent'anni. I capelli erano lunghi e biondi. Quel biondo molto chiaro, al punto che un raggio di sole gli conferiva riflessi madreperlacei. Gl'occhi blu. All'esterno tendevano all'azzurro scuro, come l'acqua del mare, poi verso la pupilla diventavano blu notte. Sembrava di sprofondare nell'oceano, fino al buio totale. Il viso era leggermente ovale, così da conferirle degli zigomi alti, ma le guance non erano piene. Alta circa un metro e sessantacinque, fisico asciutto, non muscoloso. Sembrava una di quelle persone esili per natura, con una muscolatura appena accennata. Era vestita con un completo blu cobalto, molto semplice, con sotto una camicia bianca. Le scarpe era dei decolletes bianchi. Quando Halle la vide le sembrò il prototipo della francesina standard, con tanto di foulard al collo, di un rosa quasi bianco.
"Nome prego."
Chiese cercando di mantenersi distaccata, anche se parlava con un'altra donna.
"Anne Bonnet."
Mentre aspettava il responso di Margaret, Halle notò una cosa strana. Di solito, le poche volte che aveva avuto contatti con dei francesi, si era sempre imbattuta in figure forti, che volevano intimidire e mostrarsi superiosi. Quella ragazza invece sembrava il ritratto dell'innocenza, tipo Near prima di aprire bocca. Se l'avesse dovuta descrivere su due piedi avrebbe usato gli aggettivi fragile, esile, pericolosa. L'ultimo le venne in mente quando si soffermò sul suo sguardo. Era troppo simile a Near. Fisso, fermo, ma non minaccioso.
"Ok, può entrare."
Disse una voce metallica dell'autoparlante. Margaret dall'altra parte si era divertita a sentire il suo timbro vocale storpiato. La piccola sapeva che era lavoro, ma fingerlo un gioco di tanto in tanto le metteva allegria.
La ragazza venne fatta accomodare in una stanza grigia, con un vetro che prendeva un intero muro. Simile ad una sala interrogatori di un film poliziesco.
"Isabelle Dupont, nata il 7 aprile 1993 a Parigi. Consulente comportamentale della polizia segreta francese. Devo continuare."
Disse Near entrando e sedendosi di fronte a lei.
"Non credo sia necessario, L."
La voce della ragazza era limpida. Non particolarmente acuta, ma soave. Perfetta per completare quell'aura quasi fatata che l'avvolgeva.
"Immagino che l'opzione di mandarmi un suo sottoposto sia stata scartata immediatamente, una volta venuto in possesso di queste informazioni."
La ragazza era passata subito all'attacco. Tipico per chi come lei era stato mandato per interpretare la persona davanti a lei.
"Esatto. Non sembra sorpresa del fatto che il suo piano si sia rivelato fallimentare."
Replicò l'albino atono.
"Non era il mio piano, ma il loro. Ho seguito la sua carriera, non mi sono illusa nemmeno per un istante."
"Mi conosce bene?"
Era una domanda trabocchetto, oltre che una sfida.
"Abbastanza da capire che lei non è il primo L. Che prima di lei, prima del caso Kira, ha agito qualcunaltro sotto quello pseudonimo."
Near tremò impercettibilmente per non giocherellare con una ciocca di capelli.
"Abbastanza da accorgermi che ha un aiuto in più ultimamente."
Near sgranò gl'occhi, per quanto cercò di trattenere le sue reazioni fisiche.
"Più cerca di nascondersi, più per me è facile capire cosa pensa. Non sono qui per lei. Se la può rassicurare non ho detto a nessuno dei miei sospetti. Ho seguito il suo lavoro molto attentamente. Come credo che nessuno abbia mai fatto. Perciò credo che veramente poche persone sul pianeta, così poche che puoi contarle sulle dita di una mano, abbiano dei sospetti su questa successione."
"Sospetti? Ma lei sembra averne la certezza."
"Sono una brava consulente comportamentale."
"Lo vedo."
Tutti ascoltavano dietro il vetro e nessuno poteva credere al fatto che Near fosse partito in svantaggio.
"Perchè hanno mandato lei?"
Caroline abbassò lo sguardo, per mostrare a Near degl'occhi completamente diversi.
"Ha letto proprio tutto il fascicolo, vero?"
Sbuffò, come rassegnata.
"Allora sa tutto."
"Anche lei è informata bene."
Isabelle si mostrò stupita da quella tacita conferma alle sue teorie. Possibile che quel ragazzo volesse collaborare.
"Risponderebbe alla mia domanda."
Ordinò Near, improvvisamente meno permissivo.
"Loro vogliono sapere se ha nascosto delle informazioni."
"Lei cosa pensa?"
"Puoi darmi del tu o chiamarmi Lilli? I discorsi formali mi intristiscono."
"Hanno madato l'unica loro consulente che non ha passato il test psicologico. Una persona emotiva e particolarmente sensibile. Perchè?"
"Non è la freddezza che ti permette di capire le persone. Come si possono riconoscere dei sentimenti e delle reazioni, se non si provano sulla propria pelle?"
Nonostante le sue parole fossero dense di emozioni, la voce rimaneva sempre melodica. Near ne fu per un momento incantato.
"Senza una buona faccia di bronzo non si può condurre il gioco."
Sentenziò l'albino.
"Magari non sarò un'agente provetta, ma sono la migliore. Riesco a cogliere cose che gli altri giudicano inutili. Immedesimarsi non basta, bisogna andare oltre."
"Così oltre da intaccare diverse prove e lasciare a piede libero dei criminali?"
Chiese lui tradendo una nota accusatoria che a Lilli non sfuggì.
"Nessuna delle persone che ho aiutato ha più commesso nessun crimine."
"Per ora."
La ragazza arricciò le labbra, segno che stava perdendo le redini della discussione. Near si trovò a soffermarsi su di esse. Erano color pesca, si sposavano perfettamente con il colore della pelle, che pareva porcellana. Una volta focalizzati quei pensieri, il detective chiuse forte gl'occhi, per riprendere la concentrazione. Non era da lui farsi distrarre da dettagli del genere.
"Io ho fiducia nelle pers..."
"Torniamo al discorso precedente, non ho tempo da perdere."
La ragazza percepì subito che qualcosa non andava. Dalle sue analisi, quella era una reazione che non si sarebbe aspettata dal ragazzo. E' vero che lo aveva schedato come una persona che non è capace di interagire col prossimo, ma quel tono sgarbato era voluto e non occasionale, come chi ha dei problemi a rapportarsi.
"Credo che lei abbia nascosto delle informazioni alla polizia francese. Anzi credo di sapere di cosa si tratta. Riguardano un caso su cui lavoravo. Nonostante io li avessi avvertiti, lo stato maggiore francese ha voluto mandarmi ugualemente."
"Bene, il nostro dialogo è concluso."
Si alzarono entrambi. Near pronto ad andarsene, Isabelle indignata.
"Non lo accetto. So cosa sta nascondendo, lavoro a quel soggetto da mesi. Desidero collaborare."
"Lei non mi serve."
Near stava per uscire quando si sentì afferrare per una manica del pigiama. Non l'aveva sentita muoversi, ma Rester e Jevanni erano già entrati con le pistole puntate sulla ragazza.
"Anche senza il mio aiuto lo prenderai. Di questo sono sicura. Ma senza di me ci metterai il doppio del tempo, se non di più. Quell'uomo è un mostro e per colpa sua molta gente ci ha già rimesso la vita. Non sto mentendo. Permettimi di aiutarti, non indagherò sul tuo conto, lo prometto."
Ora a rapire la mente di Near erano gl'occhi di lei. Sembrava davvero di sprofondare nell'oceano, accompagnati dal canto di una sirena. Anche se sciocca, sarebbe stata una fine bellissima. Near scrollò appena la testa, per rompere l'incantesimo di quegl'occhi. La presa sul suo pigiama si stava allentando.
"Mi hai dato del tu."
Fu la frase più intelligente che riuscì a formulare.
Resosi conto di aver detto una cosa fuori luogo, Near approfittò dello sguardo interrogativo dei presenti per ricomporsi del tutto e rispondere.
"Puoi restare, ma a delle condizioni."

Isabelle non fece storie quando le misero una benda sugl'occhi e la scannerizzarono da cima a fondo. Lei aveva consegnato di spontanea volontà ogni cimice, ma come si aspettava, il detective volle controllare lo stesso. Fu portata nel quartier generale. Le era stato detto che doveva rimanere al secondo piano, nella sua stanza, nella sala comune o in cucina. Poteva scendere solo quando Lidner o qualcun altro venivano a prelevarla per portarla nell'ufficio di Near. Quel nome era sfuggito ad un agente, mentre la portavano in giro bendata. Lo trovava strano come pseudonimo, ma anche carino, quasi dolce per una persona tanto fredda all'apparenza.
"Infine, le uniche persone con cui potrà parlare saranno L, io, Jevanni, Rester e Maddie."
"Chi è Maddie?"
Chiese Lilli spaesata. Aveva inquadrato tutta la squadra, ma non si era accorta di un'altra donna.
"E' una bambina. Gira per la base, quindi potrebbe incontrarla. Lavora al caso in qualità di hacker."
"L permette ad una bimba di lavorare con lui? Ad un caso del genere?"
La ragazza francese era sconvolta. C'erano dei risvolti piuttosto crudi in quella vicenda, non era tollerabile che una bambina ne fosse al corrente.
"Non preoccuparti. L non mi fa sapere niente di più, mi dice solo in che server devo infiltrarmi."
Disse una vocina bianca alle sue spalle.
"Posso darti del tu, vero? A L hai detto che lo preferivi."
Chiese timidamente Margaret, credendo di essere stata indiscreta.
"Certo piccola. Chiamami Lilli se vuoi."
Margaret sorrise e la bionda di rimando. Per la prima volta Margaret vedeva una persona radiosa, non sembrava affatto una poliziotta. Forse sarebbero andate daccordo.
"Oggi resterai sempre qui, al secondo piano. Domani verrò a prenderti."
Disse Lidner prima di andarsene, senza prima aver lanciato un'occhiata a Margaret.
"Posso chiederti delle cose Lilli?"
La ragazza sorrise, pensando che non era considerato indagare, fare due chiacchere con la piccola.
"Ma certo."

Cosa gli era preso? Tutto d'un tratto il cervello si era spento per lasciare libera la mente di vagare in quegl'occhi come  l'oceano. Non era mai stato attratto dal gentil sesso e non era nemmeno dell'altra sponda. Semplicemente Near non aveva mai preso in considerazione l'idea di avere una ragazza. Pensava che diventando L, poi, non ne avrebbe nemmeno avuto la possibilità. La vita che aveva scelto, perchè l'aveva scelta lui, non prevedeva simili distrazioni. Si era trovato più di una volta davanti ad una bella ragazza, soggetti molto più belli e formosi di Isabelle, ma non aveva mai provato simili emozioni. Probabilmente era la presenza di Margaret. Sicuro! Quella bambina tirava fuori il suo lato più umano, quella parte di sè che doveva rimanere sepolta, per garantirgli la sanità mentale e per permettergli di fare il suo lavoro. Aveva quasi accettato l'idea di provare una sorta di egoistico affetto nei confronti della bambina, ma non poteva assolutamente permettersi di invaghirsi di una comune consulente della polizia. Chissà quante altre ne avrebbe incontrate. Non era abituato ad avere incontri ravvicinati con la gente, tutto qui. Era stata un'attrazione dovuta al semplice istinto di maschio. La risposta non soddisfava l'inconscio di Near, ma per il suo io cosciente andava più che bene. Lavorando con quella donna, probabilmente si sarebbe abituato alla sua presenza, come con Lidner.

"Quindi è per questo che lo fai. E' una grande responsabilità. Hai mai fallito un'analisi comportamentale?"
Chiese Margaret curiosa, felice di aver trovato una persona disposta a stare un po' con lei.
"Ho commesso degli errori, ma non hanno portato mai conseguenze gravi, altrimenti non sarei qui."
Rispose Lilli. Stando in compagnia di quella bambina aveva capito subito che doveva essere lei l'aiuto misterioso che Near aveva negl'ultimi due mesi. L'aveva capito dal comportamento che il detective aveva mostrato durante la loro prima conversazione. Quando qualcosa di troppo umano lo avvicinava, lui alzava le difese.
"Vuoi solo aiutare L o vuoi anche ingagare su di lui?"
Che bambina intelligente.
"Ho promesso che non lo avrei fatto e non lo farò. Ovviamente lavorando insieme imparerò qualcosa su di lui, ma la sua identità o il suo passato non mi interessano."
"Perchè ti interessa tanto lavorare con lui?"
Incalzò la piccola sempre più curiosa.
"Lo ammiro. Almeno, ammiro il suo lavoro. Vorrei sapere che tipo di mente si cela dietro quello pseudonimo, per capire di cosa deve disporre un uomo per diventare come lui."
"Sembri delusa da quello che hai scoperto."
Osservò Margaret tristemente. Se a Lilli, Near non fosse piaciuto, allora se ne sarebbe andata presto e l'opzione la intristiva.
"Me lo aspettavo, ma dentro di me speravo che non tutti i poliziotti fossero così... come descriverli... etichettabili."
"Che sta succedendo?"
Chiese Near, arrivato di soppiatto.
"Le stavo facendo delle domande."
Rispose Margaret, a difesa della francesina.
"Isabelle vorrei fare il punto della situazione del caso con te. Così domani lavoreremo più agilmente."
Disse Near freddo.
"Arrivo. Ciao Maddie."
Margaret non rispose subito, confusa da quel nome in codice.
"Ci-ciao Lilli."
Disse infine arrossendo ed evitando lo sguardo di Near. Avrebbe preferito un rimprovero, piuttosto che quegl'occhi spenti e impenetrabili.
Quando la piccola si fu allontanata Lilli prese parola.
"Avevo capito che non era il suo vero nome, Near."
Azzardò, sperando che il detective non se la prendesse.
"Qualcuno se lo è lasciato sfuggire, immagino. Non metto in dubbio la tua professionalità."
Contenta di quella risposta, Lilli cercò di intavolare un discorso.
"Alla fine hai ceduto e mi dai del tu."
Constatò con voce gentile. Near avrebbe preferito un tono rigido da poliziotta, non note dense di buoni propositi.
"Meglio lavori, prima chiuderò questo caso."
Fu la gelida risposta.
"Allora mettiamoci al lavoro. Ti dirò ciò che so."
Erano in una sala riunioni, il grigio dominava nelle sue varie sfumature. C'era una grande scrivania. Lilli e Near si sedettero uno di fronte all'altra e cominciarono a sfogliare rapporti e a prendere appunti.
"Leon Leclerc. E' lo pseudonimo di un truffatore. All'inizio falsificava assegni, cambiali, fino a passare a complessi documenti legali. E' diventato pericoloso quando ha cominciato a falsificare dei permessi che consentissero ai mercanti di droga di smerciare liberamente in diversi paesi. E' molto difficile riconoscere un suo lavoro. Deve disporre di ingenti somme di denaro, perchè può permettersi di utilizzare le tecniche più sofisticate per falsificare un documento. Usare carte speciali o segnalate non lo ha mai fermato. A differenza di molti falsari, lui non lascia segni del suo operato, come firme o disegni particolari. Questo ci fa capire che non è vanitoso oppure che si ritiene già abbasta importante."
"Oppure è più intelligente di quegli stupidi che si fanno beccare per simili sciocchezze dettate dall'ego."
Near era molto concentrato su quello che diceva Lilli, ma quel commento gli era nato spontaneo. Era troppo classico il cattivo che si faceva beccare per delle minuzie che poteva risparmiarsi, come la sua firma.
"Intelligente, prudente, una persona che ama il rischio fino ad un certo punto."
"Quali sono i tuoi sospetti Isabelle?"
"La polizia francese pensa che..."
"So cosa pensano i francesi. Vorrei sapere cosa pensi tu."
Lilli si sentì vagamente lusingata, ma poi ricordò che per il detective l'importante era solo il lavoro.
"Prima di tutto, nonostante il nome, non credo sia francese."
"Sospetti che sia americano?"
Chiese Near cercando di nascondere il suo divertimento.
"L'unico agente francese che l'ha visto, ci ha comunicato che era bianco, europeo, ma poi è stato ucciso senza formirci altri indizi. Però ho il sospetto che abbia vissuto in India."
Near fu sorpreso della deduzione di Isabelle. Anche lui ci era arrivato, ma non credeva che altri potessero fare collegamenti così complessi, come la sua mente.
"Credo che sia un hacker. Non ci sono tracce di un'attività che possa dargli reddito. Sembra che prenda i soldi dal nulla. In più riesce ad appropriarsi di tecnologie all'avanguerdia per i suoi lavori. Ma non risultano mai acquisti sospetti o furti dalle case produttrici. Escludo che si serva del mercato nero. Vuole rimanere più nascosto possibile, seminando indizi fasulli, a partire dallo pseudonimo."
Che ragazza brillante! Pensò Near mentre la ascoltava. Come poteva una come lei, schiava dell'emotività, arrivare a conclusioni così difficili. Probabilmente doveva aver passato molte notti insonni su quel caso, eppure gl'occhi non tradivano segni d'occhiaie.
"In base a queste ipotesi e alle mie indagini, ho tre sospettati."
"Solo tre?"
Near non potè trattenersi dal domandarlo. Lui ne aveva almeno una ventina.
"Richard Hunt, è nato in India nel 1983 da genitori inglesi. Ha studiato là, si è diplomato al liceo, ma la sua famiglia era sul lastrico e non ha potuto continuare gli studi. Visse due anni lavorando per un'impresa delle pulizie, che si occupava anche dell'università di informatica, perciò è possibile che li abbia continuato a studiare in segreto, magari fregando qualche libro dimenticato dagli studenti. I suoi professori delle superiori hanno sempre dichiarato di vedere in lui un genio, nato per comprendere le potenzialità di un computer. Dopo essere scomparso misteriosamente per sei anni, i genitori ricevono un'eredità da un parente misterioso e tutt'ora vivono agiatamente."
"Immagino che il tuo interesse per questo tizio sia iniziato con quell'eredità."
"C'era persino il cadavere, co una vita redatta per filo e per segno. Ottima mossa, perchè dei vicini avevano denunciato quella famiglia per furto, dato che ogni parente, anche all'estero, era in rovina. Ovviamente era molto anziano, senza amici vivi che potessero smentire la sua finta identità. L'unica foto del corpo fu fatta sparire velocemente, ma sono riuscita ad averne una copia. Era un ottantenne scappato da una casa di cura a Liverpool. Era uno spizio, da quattro soldi, nessuno aveva denunciato la scomparsa, credendo che fosse morto e che qualcuno lo avesse seppellito. Ha fatto un lavoro a dir poco eccellente, ha modificato archivi complessi, decisamente più dell'anagrafe, per mettere su il suo teatrino. Mi sono fatta passare dall'anagrafe un prototipo di un potenziale virus ed era molto simile ad un compito in classe svolto dal nostro giovane al liceo. così geniale che nemmeno l'insegnante allora lo capì."
"Tutt'ora cosa sai di Hunt?"
Chiese Near sempre più rapito dalle risorse che aveva impiegato quella ragazza per risalire alla verità.
"E' latitante. Ma abbiamo delle sue vecchie foto. Ma dobbiamo indagare sul periodo precedente a Leon, perchè su quest'ultimo la polizia ha ben poco."
"Il tuo secondo sospettato?"
"Philip Duquesne, quarant'anni, imprenditore americano. Ha fatto una fortuna giocando in borsa come se stesso facendo una partita a monopoli. Se fosse lui Leon, allora farebbe tutto questo per noia, probabilmente. Ha i soldi, ma non si notano spese sospette."
"Allora perchè è rientrato nella tua lista?"
"Lui non è un genio informatico, ma ha un amico d'infanzia molto pratico. Era già stato dentro per aver disabilitato per gioco i sistemi di sicurezza di alcune banche, ma il suo vecchio compagno Duquesne lo ha tirato fuori su cauzione."
L'hacker per gioco era la descrizione di Matt. Prima di conoscere Margaret, per Near Matt era l'amico di Mello, considerazione zero. Ora tutto era cambiato, si sentiva in debito con quel ragazzo, che gli aveva lasciato l'eredità più preziosa.
"Matthew Evans. E' il nome del complice. Anche lui ha quarant'anni. Credo che abbiano un database protetto, ma farsi mandare un mandato per quello sarà difficile, ho solo prove indiziarie contro di loro."
"Scusa l'interruzione Isabelle, ma si sta facendo tardi ed io ho altri casi da visionare. Potresti illustrarmi l'ultimo sospettato."
Così la smetto di fissarti...
"Certo Near. L'ultima della lista è Ariel Brown. Nata nel 1979. Sua madre era israeliana, suo padre inglese. Risiedevano in Israele. Si è diplomata con due anni d'anticipo e studiava per diventare un ingeniere informatico, quando la sua casa fu distrutta da dei terroristi e i suoi genitori uccisi. Tutt'ora non si sa niente di lei, ma nei primi periodo successivi alla scomparsa le sono state attribuite piccole truffe. Probabilmente era l'unico modo per farsi dei soldi senza uscire allo scoperto. Non hanno mai scoperto se l'attentato fu casuale o se i suoi genitori fossero bersagli. Il padre era un ragioniere e la madre non lavorava."
"Questo soggetti non erano sulla mia lista, anche se avevo già sentito quei nomi. Sembrano scelti nel mazzo, tra tanti altri possibili colpevoli."
Eppure Near sentiva che quella ragazza non sbagliava.
"Ci sono altre prove che confermano i miei sospetti. Te le mostrerò domani."
Near si alzò dalla sedia ed uscì senza salutare. Non era da lui essere maleducato, ma non immaginava di fare tanta fatica per concentrarsi sul caso, invece che cedere ogni volta che Isabelle sbatteva le lunghe ciglia. Aveva bisogno di latte! Lo trovò subito pronto in cucina, come sempre. Andò poi a controllare che Margaret stesse dormendo, un gesto ormai abituale, per fiondarsi subito su altri casi che lo distressero dalla sua nuova collaboratrice.
Lilli si diresse verso la sua stanza, senza scambiare parola con nessuno e cercando di guardarsi intorno il meno possibile. Continuava a pensare che Near fosse strano, aveva inquadrato il personaggio, ma evidentemente c'era qualcosa che lo turbava. Aveva cercato di guardarlo con gl'occhi di una persona normale, calando per un istante il suo sguardo indagatore. Si vedeva benissimo che aveva più di vent'anni, ma tutto quel bianco creava intorno a lui un'aura infantile. Per un momento aveva avuto paura di quegl'occhi grigi e grandi, perchè non riusciva a leggere nulla al loro interno. Invece alla fine aveva persino trovato grazioso quel modo di assottigliare lo sguardo che segnalava che il detective stava pensndo. Ogni gesto inconscio di Near ispirava tenerezza e Lilli si rese conto che non riusciva ad essere arrabbiata per la sua scortesia. Di solito non si permetteva di fare certe considerazioni sulla gente con cui lavorava, ma Near era particolare. Scoprì con una certa sorpresa, che forse le sarebbe piaciuto di più conoscere Near come persona, piuttosto che come L.

Il giorno dopo Lilli era stata condotta al piano di sotto da Lidner, come programmato. Salutò velocemente, prima di mettersi subito al lavoro, cosa che Near apprezzò. Quella notte nei suoi sogni non era apparsa lei, come in una di quelle zuccherose commedie romantiche, cosa che l'aveva decisamente consolato, facendogli credere, ingenuamente, che il peggio fosse passato. Ingenuamente. Perchè dovette ricredersi quando sentì nuovamente quella voce melodiosa, che gli rendeva difficile rimanere attaccato alla realtà.
Cronologia Leon Leclerc:
"Nel 2005, in un'intercettazione telefonica, viene per la prima volta nominato Leon Leclerc. Viene chiaramente detto che è lui l'artefice della truffa ai danni di una compagnia d'assicurazioni. Aveva falsificato degl'atti notarili. Altri sei casi, nei successivi quattro anni, gli sono stati attribuiti, sempre tramite intercettazioni o durante un patteggiamento. Nessuno lo ha mai visto, nessuno sa come i grandi capi ci siano entrati in contatto.
Nel 2009 muore il primo agente sotto copertura. Nome in codice sciacallo, è stato ucciso dopo aver confermato l'ennesima partecipazione di Leclerc ad una truffa, questa volta ad una casa d'aste. Ogni reperto è stato sostituito con un falso, l'unica opzione sensata dopo le indagini è che Leclerc abbia manomesso i risultati dei test d'autenticità. Erano falsi molto realistici, ad occhio nudo indistinguibili dall'originale, ma il nostro uomo ha saputo sfruttare i punti ciechi della scienza. Fino al 2011 nessuno sa più niente, sembra scomparso, ma nel 2012, dopo tre lunghi anni, Leon torna sul mercato, con permessi per l'esproprio di un carico ingente di droga. Fino ad adesso sono state contate cinque grandi spedizioni in aggiunta alla prima. Però sono morti altri otto agenti che indagavano sul caso. Tutti appena dopo averlo nominato. E' un uomo che si fa sempre più pericoloso.
Analizzando i primi lavori di Leon, possiamo notare che preferiva l'Europa come mercato per i suoi servigi. Il problema è che nessuno sembra averlo mai visto, perciò visto la sua destrezza in campo informatico, potrebbe benissimo aver operato da ogni parte del mondo."
"Qui c'è scritto che nel 2008 hanno trovato una telefonata sospetta ad una ditta che stava lavorando ad un antivirus per i database."
Jevanni tentò di introdursi in quello che sembrava il lungo monologo di Isabelle.
"La Hopkins Informatic Sistem o HIS come la chiamano molti. L'ultimo lavoro che le è stato commissionato era un sistema di sicurezza per la NATO."
Near guardò Margaret con una punta d'orgoglio. Quella bambina prodigiosa si impegnava tanto e lui non poteva fare a meno di esserne un po' fiero.
"Di che telefonata si trattava?"
Chiese Rester. Margaret proseguì.
"Era per un colloquio di lavoro. La persona in questione oltre alle normali domande del tipo 'cerco lavoro, sono specializzato in questo, vi serve qualcuno, ecc' ha chiesto anche indicazioni piuttosto precise sugli ingressi. La linea era disturbata e con questa scusa si è fatto dire alla bene e meglio come entrare. Il giorno dopo un ragazzo sulla ventina si è presentato dicendo che era lì per un colloquio. Ne ha aprofittato per controllare la posizione delle telecamere e tre giorni dopo è avvenuto il furto. L'antivirus rubato è stato usato successivamente per creare un software che demolisse ogni difesa di un sistema informatico sopra la media."
"Qui c'è scritto che il ragazzo fu poi trovato, ma si rivelò una pedina. Era stato informato per telefono e aveva ricevuto i soldi sul suo conto corrente. Così di Leon non abbiamo nuovamente traccia."
Rimasero tutta la giornata chiusi nello studio di Near, cercando qualcosa che potesse associare i sospettati di Lilli alla misteriosa figura di Leon, ma senza successo. Uno sbadiglio sommesso di Rester, con sommo imbarazzo di quest'ultimo, segnalò a tutti il fatto che si era fatto tardi, ma nessuno si tirò indietro quando Near continuò le sue ricerche, facendo presupporre l'ennesima nottata in bianco.
"Se vuoi Lidner ti accompagnerà alla tua stanza, Isabelle."
La voce di Near tradiva speranza e aspettativa, tanto che la ragazza si sentì offesa. Non poteva sapere che per Near era stato un duro colpo vederla lavorare. Essere attratti dall'aspetto fisico non era una peculiarità di Near, ma vedere quella ragazza tanto fragile all'apparenza, lavorare duramente, con una serietà ed una determinazione fuori dal comune, lo aveva impressionato notevolmente. Era lì da nemmeno un giorno e già Near temeva di conoscerla più a fondo. Ma lui era L, non poteva. Non doveva.
"No, preferisco stare qui. Voglio chiudere questo caso una volta per tutte. Il prima possibile."
Che l'avesse fatto apposta? Voleva cercare di ferirlo con la sua stessa arma? Near trattenne un sorriso nel scoprire che quelle parole non lo avevano toccato. Finalmente stava riacquistando freddezza.
"Io vado."
Disse Margaret prima di uscire. Near non la salutò, Lidner e gl'altri le fecero un cenno.
"Buonanotte."
La bimba sorrise. Lilli era il tocco d'umanità a cui non era più abituata.

Era il venti agosto. Dopo giorni, ancora Near e Lilli non erano riusciti a risolvere il caso. Erano comunque incoraggiati dal fatto che erano emersi particolari curiosi. Casualmente l'anno in cui Leon si era ritirato dal mercato, dopo l'uccisione del primo agente, era lo stesso in cui i genitori di Hunt avevano ricevuto l'eredità sospetta. Che il motivo della scomparsa di Leon fosse legato alla sua vera identità e non all'omicidio, come tutti pensavano? Il 2004, l'anno prima della comparsa di Leon, era stato l'anno dell'attentato ai genitori della Brown. Nel 2012 invece, che corrisponde al ritorno di Leclerc, Duquesne aveva perso molti soldi in borsa, evento raro, ma che rischiò di rovinarlo. Poco dopo la partenza del primo carico di droga, un investimento su azioni fittizie lo aveva riportato alla ribalta.
Erano tutte informazioni che il team di Near avrebbe dovuto ottenere come niente molto tempo prima, ma ogni file era criptato. Alcuni sembravano scomparsi, altri erano stati modificati. Senza Margaret e i suoi 'ingranaggi mentali', come li chiamò Isabelle, Near e gli altri non avrebbero avuto tra le mani quelle semplici, ma determinanti informazioni. Ora avevano delle linee temporali più definite, che potevano aiutarli per decidere in che lasso di tempo della vita dei sospettati indagare.
"Sono stanca, non ce la faccio più!"
Si lamentò Margaret stiracchiandosi su una sedia girevole davanti al computer. Non osava farlo davanti agl'altri, ma con lei c'era Lilli e si sentì libera di sfogarsi.
"Una bambina di sette anni non dovrebbe lavorare così tanto. Sei proprio brava."
Disse con tono gentile la ragazza. Lilli trovava Margaret assolutamente adorabile. I capelli erano rossi come il fuoco, come se bruciassero. Lunghi fino alla vita, raccolti in due codini bassi quasi sotto le orecchie. Gl'occhi erano grandi, ma avevano un taglio particolare, che rendeva quello sguardo duro quando la piccola pensava. A Lilli era sembrato che i suoi occhi diventassero più luminosi ogni giorno di più. Non la sorprese, non doveva essere facile convivere con Near. Avrebbe tanto voluto chiederle chi era davvero, ma non poteva. Aveva capito che la madre si trovava in una qualche clinica, perchè una volta l'aveva sentita parlare di lei con Rester. La piccola si era rabbuiata, ma poi aveva sfoderato un sorriso di sincero ringraziamento nei conrfonto dell'agente biondo, che lo ricambiò appena. Quella bambina era l'unica scintilla di vita, in una tana spenta e desolata.
"Grazie, sei gentile. Anche tu sei molto brava."
La piccola era arrossita al complimento, ma sembrava combattuta. Voleva dire qualcosa.
"Brava come Near."
Lilli rise appena a quel come, che forse voleva essere un più.
"Io sono solo una consulente comportamentale."
Disse in risposta, tentando di difendere il grande detective. Difendere perchè poi? Lui si rivelava ogni giorno più freddo e più chiuso e sembrava soddisfatto di rendersi insostenibile, con i suoi modi di fare così sterili.
"Se sei una consulente, come aiuti Near?"
Chiese Margaret titubante.
"Traccio un profilo psicologico dei sospettati. Ad esempio: sappiamo che Ariel potrebbe essere diventata Leon dopo la morte dei genitori, esatto?"
Margaret annuì.
"Però la modalità con cui ha compiuto quei piccoli furti iniziali, sembra così imprecisa e improvvisata, un metodo molto diverso da Leon. Questo me la farebbe escludere dai sospetti. Però la capacità di analisi che dimostra nelle sue decisioni prese di fretta, mi ricorda i metodi che usa Leclerc per liberarsi degli intoppi. Quindi rimane tra i sospetti. Hai capito?"
"S-sì?!"
La faccia poco convinta di Margaret fece ridere Lilli. Quella risata cristallina arrivò nel corridoio, dove un paio di orecchie avide non si erano perse una sola di quelle note meravigliose. Quelle orecchie poi si allontanarono velocemente, tese e rosse per l'imbarazzo.
"Se sei stanca riposati Madd..."
"Io mi chiamo Margaret Jeevas."
Lilli rimase impietrita.
"Senti, so che ti fidi. Ma non devi dirmi queste cose. io sono un'estranea."
Chissà con quanti individui sarebbe entrata in contatto, non poteva essere così imprudente.
"Sei la prima persona che Near mi permette di vedere. Credo che inconsciamente anche lui si fidi di te. E poi mi piaci. Io ti voglio bene."
Lilli si commosse davanti ad una bambina così dolce e così spontanea. Le venne istintivo abbracciarla.
"Sei una brava bambina, ma smetti dirmi queste cose. L'ho promesso a Near."
"Posso l'ultima cosa? Ci terrei tanto..."
A quello sguardo triste che si trovò ad affrontare, Lilli cedette subito.
"Va bene, però prima devo dirti una cosa."
Margaret tese le orecchie, in attesa.
"Ti voglio bene anch'io."
Lilli pensò che mai avrebbe rivisto un sorriso così bello, come quello che Margaret le donò in quel momento.

"La storia di Hunt regge. Diventa Leon, mette da parte un po' di soldi, poi una parte la dona ai genitori e l'altra la tiene per sè. Dopo tre anni ha sperperato la sua 'piccola' fortuna ed anche i genitori hanno scialacquato diverso denaro, tanto che sarebbero poveri, se il loro conto non si riempisse magicamente tramite azioni in borsa piuttosto sospette. Perciò Hunt defve tornare al lavoro, ma questa volta è costretto a scegliere un altro mercato, perchè le truffe alle banche non fruttano più e si dedica alla droga."
Jevanni si stava dedicando ad Hunt. Avevano deciso che dividersi i sospetti era la cosa migliore per velocizzare il lavoro. La prossima fu Halle.
"Per la Brown sarebbero solo congetture, se non fosse per il fatto che una donna che corrisponde alla sua descrizione è stata vista più di una volta vicino ai clienti di Leon. Essendo una donna sarà facile per lei nascondersi sotto uno pseudonimo maschile. Così tiene d'occhio i clienti anche sotto altri punti di vista. Ma non abbiamo una foto abbastanza nitida per un confronto con una vecchia di vent'anni. Altrimenti avremmo usato uno di quegli algoritmi per l'invecchiamento."
Infine fu il turno di Jevanni.
"Duquesne sembra inattacabile, ma il suo amico commette spesso errori. Evans si è fatto beccare da un autovelox proprio vicino al luogo delle trattative dell'ultimo carico spedito, che precisamente risale a tre mesi fa."
"Hai informazioni sull'ultima trattativa? E quando pensavi di mettermi al corrente Near?"
Isabelle sembrava davvero arrabbiata. Near alzò lo sguardo dal suo rapporto ed incontrò due occhi che lo risucchiarono. Doveva mantenere il controllo di sè, doveva essere più forte di quella esile figura. Lilli sembrva una canna di bambù, fragile all'apparenza, ma Near leggeva in quegl'occhi una forza immensa.
"E' solo un rapporto sullo svolgimento della trattativa. Non ritenevo potesse interessarti e secondo me le tue competenze sarebbero inutili su quel materiale."
Near si sentì ferito dall'occhiataccia che Lilli gli lanciò.
"Bene, se la pensi così immagino tu abbia ragione."
Isabelle si era seduta, il suo portamento non tradiva la minima emozione. Sembrava lo specchio femminile di Near. La riunione andò avanti così: Near che cercava di ignorare Lilli, Lilli che sembrava non considerare il torto di Near, concentrata sul risolvere il caso.
"Mi aiuterai lo stesso?"
Chiese Margaret a riunione finita. Lilli aveva reagito molto maturamente, mettendo il lavoro davanti ai dispiaceri personali, ma la bambina dubitava che avrebbe fatto favori all'albino.
"L'ho promesso. Non mi rimangio la parola."
Altro bellissimo sorriso.

Erano passati quattro giorni da quando Lilli aveva praticamente trattato Near con una freddezza che faceva concorrenza al detective. Near stava per andare a dormire. Il caso era quasi risolto, sarebbe bastata una sola prova incriminante e uno dei tre sospettati sarebbe finito dentro. Near era stanco. Stanco per il lavoro che lo stava sfiancando. Lui e la squadra non dormivano decentemente da giorni. Stanco perchè ora che era Isabelle ad ignorarlo, lui si sentiva come perso. Cercava di cogliere ogni particolare della sua personalità, ma lei sfuggiva, come il velo della danzatrice di Ugo Foscolo, come il leggero foulard rosa chiaro che portava sempre. Near ricordò di averci passato una notte insonne pensando all'ipotesi che quell'accessorio fosse un regalo di un possibile fidanzato. Si definì stupido più e più volte, ma non riuscì a cavarsi quella sensazione di gelosia dal cervello. Stanco perchè quel giorno Margaret non gli aveva mai rivolto la parola. Ci mancava solo la piccoletta. Near aprì lentamente la porta di camera sua e ciò che vide lo fece rabbrividire. Qualche palloncino colorato era sparso qua e là, rendendo la sua immacolata prigione tinta di gioia variopinta. Al centro della stanza c'era un piccolo tavolino, con una tovaglietta ricamata. Sopra c'era una torta piccolina, alla vista sembrava crema di latte, con sopra una candelina. Dietro c'era Margaret con un sorriso a trentadue denti ed al suo fianco una Lilli leggermente imbarazzata. La piccola aveva deciso di fare a Near una sorpresa per il suo compleanno, ma la ragazza si sentiva fuori luogo.
"Tanti auguri Near!"
Esclamò la piccola con una gioia incontenibile. Near rimase paralizzato. Tante emozioni si scontrarono in lui, poi una prevalse: la rabbia.
"Margaret..."
Sibilò tra i denti. Poi quando il sorriso si spense sulle labbra della bambina cercò di darsi un contegno.
"Vai in camera tua, subito! Isabelle vieni in cucina con me."
Era in quei momenti in cui Near si mostrava adulto che metteva veramente paura. La bimba corse in camera sua, sforzandosi di non piangere, mentre Lilli rivolse a Near uno sguardo di rimprovero, per poi andare in cucina a passo pesante.
"Ti sembra il modo di rivolgerti ad una bambina? Cosa ti è passato per la testa?"
"A me! Tu, tu sei entrata nella mia stanza!"
"Margaret mi ha pregato, voleva farti una sorpresa!"
"L'hai solo sfruttata per indagare su di me! Ora sai quando sono nato, magari hai preso qualcosa da camera mia. Sai anche quanti anni ho? Magari sai anche dove sono nato?"
"Come ti permetti!"
"Cosa le hai detto per convincerla a questo. Non mi aspettavo che la usassi, è una bambina! Invece era il bersaglio più vulnerabile e l'hai inquadrato subito, vero?"
Tanto veleno, tante accuse infondate, Lilli non riusciva a sopprtare oltre.
"Non ti permettere di dire altro! Io non ho sfruttato quella bambina! Tu piuttosto la fai lavorare come un'adulta in questo luogo asfittico! Geniale com'è mi sorprende il fatto che sia ancora qui! Fossi in lei sarei già fuggita da un pezzo!"
Gl'occhi blu erano iniettati di rabbia, persino Near fu impressionato dall'energia che sapeva sprigionare quella ragazza. Lilli raccolse un respiro profondo nei polmoni prima di dare le spalle al detective.
"Domani mattina presto partirò, prenoto il volo adesso."
Detto questo se ne andò. Near rimase un attimo immobile, ripensando alle sue parole. Sapeva benissimo che era sincera, sapeva benissimo che era tutto vero. Improvvisamente sentì qualcosa stringergli il petto, proprio in prossimità del cuore. Andò da Margaret, corse. Non potevano essere vere quelle parole. La piccola non l'avrebbe mai lasciato, l'aveva detto lei stessa. Ma quando la vide in lacrime, seduta sul letto con il pc stretto al petto, non si sentì più molto convinto.
"Vai via..."
Un sussurro.
"Margaret..."
"Vai via..."
Il tono era più forte.
"Lascia che ti spieghi..."
"Non voglio che mi spieghi niente. Non voglio che mi racconti le tue storie. Se entra qualcosa di bello nella tua vita tu lo mandi via. Perchè devo essere triste anch'io?"
Detto questo la piccola pianse ancora, probabilmente li aveva anche sentiti litigare. Near rimase pietrificato. Provò ad avvicinarsi, ma la piccola si nascose sotto le coperte, come se lui fosse l'uomo nero. Lui che era così candido fuori, ma così tetro e buio dentro. Near lasciò la bambina al suo pianto e tornò in camera sua. Quando vide la torta si avvicinò lentamente. Spense la candelina. Guardandola ripensò a Mello.

Margaret continuava a piangere e stringere al petto il pc.
"Papà avevi torto. Lo zio Nate non può essere lo stesso che hai descritto tu. Pensavo che si sarebbe ricordato la torta che gli regalò lo zio Mihael. Pensavo che... che... io...sigh... io volevo solo vederlo felice."

Le sette buone azioni di Mello: buon compleanno Nate!

Alla Wammy's House i bambini erano tanti. Da una parte ognuno di loro veniva considerato come singolo, quando si trattava di graduatorie e test, ma se invece si parlava di cose altrettanto personali e semplici, come ad esempio un compleanno, allora erano un altro paio di maniche. i compleanni venivano festeggiati ogni due settimane, facendo incetta di ogni bambino che avesse compiuto gl'anni in quel lasso di tempo.
Era il 24 agosto e dieci enormi torte troneggiavano su dei tavoli uniti tra loro in mensa. Per decidere il giorno, i nomi dei bambini interessati venivano messi in una busta e si tirava a sorte. Quell'anno, il 2001, era uscito Near. Così i festeggiamenti caddero il 24 agosto. Sei bambini sarebbero cresciuti insieme a Near in quelle due settimane. In tutto c'erano sette bimbi, che nemmeno per il giorno del loro compleanno si sarebbero sentiti veramente speciali, veramente unici.
Era per questo motivo che a Near non importava. Che senso aveva festeggiare, tanto a nessuno importa quanti anni hai se deve solo sfruttare la tua intelligenza.
Per questo, mentre tutti cantavano tanti auguri, lui se ne stava zitto e in disparte.
Per questo, mentre gli altri bambini scartavano i regali circondati da amici curiosi, lui apriva il suo di nascosto, così da evitarsi la calca dovuta alla finta curiosità di bambini cresciuti troppo velocemente.
Per questo, mentre ogni bambino reclamava la sua fetta di torta, sapendo che non ce ne sarebbero state abbastanza per tutti, lui si sedeva in un angolino, aspettando sospirando che quella giornata di gioia fittizia finisse al più presto.
"Tu non mangi la torta Near?"
Chiese una voce che l'albino aveva imparato a conoscere, perchè indirettamente lo difendeva dagli scatti d'ira del suo migliore amico.
"No. Tu Matt?"
Chiese giusto per cortesia verso quell'inaspettato interessamento.
"Ho preso una fetta di quella alla vaniglia. Ma oggi è proprio il tuo compleanno. Sei il festeggiato numero uno. Dieci anni non si fanno tutti i giorni!"
Near rimase colpito, adirittura Matt conosceva la sua età? Si riscoprì felice di quel particolare che per molti poteva essere insignificante.
"Ehi Matt! Che? Perchè stai parlando con quella brutta imitazione di un pupazzo di neve?"
Mello arrivò accompagnato dalla sua tremenda energia, che mai mancava nel suo animo forte e ribelle. Il bambino da capelli biondi e fini guardò secceto l'amico, prima di rivolgere al giovanissimo rivale la solita stoccata crudele. In mano aveva una fetta gigantesca i torta al cioccolato. Chissà perchè Matt non era sorpreso.
"Mello potresti essere gentile con lui almeno il giorno del suo compleanno."
Il rimprovero di Matt fece lievemente arrossire il biondo, che non si sarebbe aspettato mai una reazione simile dal suo braccio destro.
"Chissene frega! Guardalo, fa pena! Se ne sta rintanato nel suo mondo schifoso e credo che nemmeno a lui importi. Probabilmente che si festeggiasse o no per te era uguale, giusto Near? Daltronde che palle stare insieme ai comuni mortali, vero?"
Matt pensò che Mello stesse esagerando e se ne convinse quando Near abbassò legermente il capo con aria sconsolata.
"Vergognati imbecille!"
Disse il rosso prendendo l'abino per mano.
"Vieni Near, sono curioso di vedere il tuo regalo!"
Detto questo, Matt cominciò a scavarsi un tunnel tra i bambini, trascindando letteralmente un Near esterrefatto con sè.
"Tanto sarà uno stupido robot..."
Sussurrò Mello, sentendo crescere dentro di sè un sentimento strano. Quando non riuscì a mangiare la sua fetta di torta, capì cosa provava. Si sentì un imbecille nel provare rimorso.

"E' proprio bella! Guarda quanti accessori! Non immaginavo esistessero giocattoli così fighi!"
Matt ammirava l'astronave che Near aveva ricevuto per il suo compleanno. All'irlandese piacevano i videogiochi, ma quell'arnese luccicante, con tanto di scomparti segreti pieni di armi, gli ricordava il boss dell'ultimo livello di War in the Space.
"Grazie, ma non pensavo ti piacessero questo genere di giochi Matt."
Rispose timidamente Near, entusiasta nel vedere gl'occhi di Matt brillare.
"Con questa potrai inventari tantissimi giochi diversi."
Escalmò Matt, ma prima che Near potesse aprir bocca, il rosso fece una faccia leggermente triste.
"Va da lui."
Disse flebilmente l'ablino.
"No, oggi è il tuo compleanno, resterò con te!"
La protesta del rosso fu subito respinta da un cenno del capo di Near.
"Ti ringrazio, ma poi se la prenderà anche con me, oltre che con te."
Matt non ci aveva pensato, ma effettivamente Mello era piuttosto vendicativo.
"Ok, allora a domani. Ancora auguri."
Near ringraziò e Matt uscì dalla sua stanza. Dopo nemmeno un minuto sentì bussare alla porta. Forse Matt aveva dimenticato qualcosa.
"Dicevo che non andava più via..."
Sbuffò Mello quando Near aprì. Il biondo entrò velocemente chiudendosi la porta alle spalle. Near cercò di raccogliere tutta la sua forza per non tremare. Mello aveva due anni in più di lui ed una cosa era certa, lo odiava. C'erano stati pochi momenti in cui si era dimostrato gentile nei suoi confronti, come l'anno precedente, quando lo aveva aiutato a scacciare i brutti ricordi dell'infanzia, ma dopo ogni graduatoria il disprezzo di Mello cresceva e Near lo vedeva sempre più lontano. A volte temeva delle reazioni violente da parte sua, ma non arrivavano mai. Per questo Near si era convinto, che infondo di Mello poteva fidarsi. Ma quando il maggiore si avvicinò a lui, Near provò il forte desiderio di fuggire.
"Ti ho portato questa."
Disse il biondo porgendogli la fetta di torta al cioccolato, che prima aveva in mensa. Near non poteva crederci. Mello stava rinunciando al cioccolato? Impossibile!
"Cos'è quello sguardo ebete?"
Mello era rimasto colpito dallo sguardo triste che Near aveva costantemente stampato sul volto durante i fetseggiamenti. Non lo aveva perso di vista un secondo e si era chiesto come mai nemmeno per il suo compleanno, quel bamboccio che lo superava sempre senza fatica vanificando i suoi sforzi, si degnasse di sorridere. In un certo senso il biondo sperava che per una volta, avrebbe visto Near abbassare le sue difese e rivedere il bambino bianco che aveva varcato la porta della Wammy's House anni addietro. Mello ricordava quanto fosse spaventato, ma meglio ancora riordava quanto gratificante fosse stato vederlo sorridere nel sonno, dopo avergli stretto la mano per scacciare i suoi incubi. Non si era mai sentito così sereno e orgoglioso di se stesso, nemmeno quando ancora era lui il primo. Pensava che donandogli la sua torta, quel bimbo candido gli avrebbe donato un altro sorriso, ma così non fu. Tuttavia due manine del colore della neve sbucarono fuori dalle larghe maniche del pigiama e Near afferrò il piatto contenente il dolciume.
"Grazie."
Si limitò a dire prima di assaggiarla. Dopo l'ennesimo cucchiaio ingerito senza mostrare il minimo gusto, Mello uscì sbattendo la porta della stanza rabbiosamente. Near non capì dove aveva sbagliato. Il gesto di Mello era stato gentile, inaspettato, ma non abbastanza forte da scacciare la malinconia di quel giorno, alla fine poco importante.

"Ehi Mello! Aspetta... cos'hai?"
Chiese matt preoccupato, nel vedere l'amico rientrare nella loro stanza con aria abbattuta.
Mello non rispose. Entrò in bagno e dopo essersi cambiato si buttò a peso morto sul suo letto, sempre seguito dallo sguardo vigile dell'amico.
"Volevo solo vederlo felice."
Sussurrò prima di addormentarsi.

A distanza di quattordici anni, Matt non aveva ancora capito il significato di quelle parole.
Solo dopo quattordici anni, Near comprese l'affetto racchiuso in quel gesto.

Fine

La mattina seguente Near si era svegliato molto presto. Si era deciso che avrebbe chiesto scusa a Isabelle, così insieme avrebbero risolto il caso e Margaret sarebbe stata felice. Lilli era già alla macchina che salutava Margaret. Contro ogni sua abitudine corse giù per le scale per uscire e raggiungerle.
"Ciao Lilli. Mandami una e-mail, promesso?"
Chiese la bambina cercando di contenersi.
"Certo piccola. Abbi cura di te."
Lilli si sentiva in colpa nel lasciare quella bambina nelle mani di Near, ma probabilmente non avrebbe concluso niente contro L.
"Non aiuti Near a risolvere il caso?"
Chiese la piccola facendo leva sullo spirito del dovere della giovane.
"Nelle prove che non mi ha mostrato e che tu non mi hai fatto leggere di nascosto, c'è la prova che cerca. Sono sicura che la troverà presto."
Detto ciò diede un bacio affettuoso tra i capelli della bambina, che le sorrise dolcemente. Near impallidì a quella visione celestiale, solo così poteva definirla. Ma si fece forza e parlò.
"Lilli."
Non l'aveva mai chiamata Lilli.
"Volevo chiederti..."
Scusa Near non è difficile... scusa...scusa...scusa!
"...se saresti disposta a collaborare ancora con noi."
Jevanni, Lidner, Rester, Near stesso pensarono la stessa cosa.
IMBECILLE!
"Adieu L."
Detto questo Isabelle salì in macchina e chiuse forte la portiera. Margaret guardò l'auto allontanarsi fino alla linea dell'orizzonte, Near entrò subito dentro. Ora come avrebbe fatto a tenerla lontana dai suoi sogni?


Chi è il colpevole? E' più un tirare ad indovinare, visto che i sospetti sono tutti validi, ma provate lo stesso. A chi vince... vabbè ci accorderemo (cerca mentalmente una scusa ahah) Nel prossimo capitolo sarà svelato il particolare misterioso e vedremo, vedremo...



Vi presento la dolcissima Isabelle, Lilli per gli amici. Questa immagine l'ho trovata su internet e mi sembrava simile al personaggio che volevo descrivere, perciò non me ne prendo i meriti, anzi ringrazio l'autore e il manga o l'anime a cui appartiene, perchè mi ha dato ispirazione. Ora che ho capito come mettere le immagini nulla mi fermerà! Muaaa! Tornerà nella vita del nostro Near? (piccola nota: si sarebbe dovuta chiamare Caroline, perciò se trovate il nome scritto male, fatemelo sapere! Grazie)

Note dell'autrice:
Finalmente posso scrivere un commento come Dio comanda! Grazie NVU!
Come avete notato (spero) questo capitolo è lunghino (evvai) e ha richiesto uno sforzo notevole. Comincia l'università e per partorirne un altro ci vorrà del tempo, sicuramente più di un mese. Quindi recensite numerosi, mentre io mi sforzo di dare alla luce il seguito di questa storia. Vorrei darvi delle anticipazioni, ma dato che non sono convintissima di cosa mettere nel prossimo capitolo, posso solo dirvi solo che Near non sarà felice e che Margaret lotterà per capire cosa non va. in più vi dico che lo scadere delle fiabe sarà accompagnato da un evento shok! Parte il conto alla rovescia... -5



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Capitolo 12
*** Non ci sai fare con le ragazze ***


Capitolo 12
Non ci sai fare con le ragazze!

"Mello sono a casa!"
"Nnn..."
"Il tuo grugnito di bentornato mi rallegra sempre. Che ci fai lì steso sul divano?"
"Penso."
"Non ti sforzare troppo. ... ... Mello che non mi uccide. Ti senti bene figliolo?"
"Matt che cazzo credi di fare seduto su quella sedia con carta e penna in mano?"
"Ti psicanalizzo. Tu resta steso. Confessati ora ragazzo!"
"Ho un amico coglione..."
"Bravo... comincia ad aprirti."
"Se avessi la forza ti aprirei io... Matt come hai potuto?"
"Cosa?"
"Con quella ragazza! Cosa pensavi quando... uff!"
"Mi piaceva molto. Lucrecia ha un carattere forte, ma nasconde un lato emotivo che la rende davvero tenera. Quando mi ha detto di essere incinta sono rimasto shoccato! Ma poi ho capito che l'amavo davvero e dato che la mia vita si prospettava breve, pensavo che potevo permettermi il lusso di godermi qualche gioia."
"Io ti conosco meglio di chiunque altro. Per te le donne erano solo un passatempo. Nulla contava più di me e di quei stupidi videogiochi! Perchè lei? Come hai capito che... arg!"
"L'ho capito quando il mio cervello smetteva di funzionare in sua presenza. Quando non riuscivo a pensare, perchè ero totalmente preso da lei. Lì ho capito. Ma non capisco perchè dopo tre anni mi fai queste domande. Sarà mica per..."
"Non dirlo neanche per scherzo! Lei non c'entra!"
"Chi vuoi prendere in giro Mello? Pensi più a lei che a Near."
"Questo mai! Near sarà sempre la mia meta, non lo perderò mai di vista!"
"Hai mai pensato di trovare un'altra meta? Magari una che ti renda felice?"
"Battere Near mi renderà felice!"
"No, Mello. Dove vai? Uff, sbatti anche le porte adesso?"

Isabelle. Near stava lavorando al caso di un importante ladro di dipinti preziosi. Sapeva tutto di lui. Hidetoshi Kichida, ventiquattro anni, originario di Osaka, aveva rubato quadri importantissimi dalle più prestigiose collezioni private del Giappone. Isabelle. Quando aveva tentato di derubare il museo di Tokio, la polizia aveva chiesto l'aiuto del grande L. Near non aveva nemmeno potuto rifiutarlo, perchè anche i KJ stavano lavorando su quel caso e l'ennesima sconfitta non era concepibile. Isabelle. Quindi Near concentrava tutte le sue forze su quel caso. Erano quattro giorni che praticamente non dormiva, aveva scoperto ogni cosa sul colpevole, conosceva tutto, tranne dove si trovava. Isabelle. Quattro giorni a scervellarsi, i capelli ancora miracolosamente attaccati alla testa, dopo aver arrotolato ogni ciocca possibile. Quattro giorni che non erano serviti ad un ben niente! Da quando se ne era andata, Isabelle era sempre nella sua testa. Nonostante fosse stata adirittura crudele durante il loro ultimo dialogo, Near continuava a pensare a lei. L'albino non ce la faceva più. Era una situazione snervante. Margaret gli parlava a mala pena e lui non sapeva proprio come gestirla. Gli mancava terribilmente la sua vocina soave che lo chiamava e la sua espressione sorridente ogni volta che risolveva un caso. Era più di un mese che le cose andavano avanti così e lui per la prima volta non sapeva cosa fare. Non aveva mai avuto problemi del genere, riguardanti il rapporto con altre persone. Si era ritrovato spesso a maledire Matt per aver lasciato proprio a lui quella patata bollente, ma si pentiva subito per essere stato tanto scortese con un morto.
"Near ho controllato quelle informazioni che ci ha passato la polizia Giapponese, ma non credo siano sufficienti."
Halle che gli dava l'ennesima brutta notizia, fantastico.
"I loro agenti sotto copertura si sono infiltrati nei mercati neri più conosciuti e importanti, ma..."
"Ma non è lì che il nostro uomo vende, giusto?"
Il solito saccente, ma Lidner si era ormai abituata.
"Crediamo che un semplice infiltrato non arriverà mai a loro. Ci vorrebbe qualcuno che ci è dentro fino al collo."
Fu la costatazione della donna.
"Sono dell'idea che i KJ abbiano un elemento che soddisfa questi requisiti, altrimenti non ci starebbero costantemente un passo avanti."
Ok, quella ciocca di capelli se la sarebbe staccata. Near era stato costretto ad ammettere, ad alta voce, che probabilmente questo caso non lo avrebbe risolto. L non avrebbe mai fallito. Near si sentiva così dannatamente inferiore ed Halle riusciva a leggere benissimo il suo stato d'animo in quegl'occhi freddi e vuoti. Ormai aveva imparato a comprenderlo, ma ancora non sapeva come aiutarlo da quel punto di vista. Come un miracolo provvidenziale una manina prese quella più grande e adulta di Near per impedirgli di strapparsi i capelli.
"Near non vinceranno. Ce la possiamo fare."
Era la prima volta, dopo settimane, che Margaret tentava un approccio dolce con lui. Near ne fu meravigliato e molto felice. Ma comunque sconfortato.
"Davvero e come?"
Chiese stizzito. Si maledisse subito per il suo comportamento scorbutico, ma era troppo nervoso. Si scusò con Margaret nell'unico mdo che conosceva, con i gesti. Strinse un poco la sua manina, per chiederle perdono di tante cose e per confessarle che aveva bisogno d'aiuto. Che situazione stupida e inconcepibile. Aveva ventiquattro anni e cercava conforto e sicurezza in una bambina di sette. Che idiota! Era patetico e poi non era proprio da lui. Quando ancora non si vedeva come un essere umano era tutto più facile. Vivere veramente era così dannatamente complicato. Margaret lo guardò con i suoi occhioni smeraldini e potè capire quasi tutto. Ovviamente non potè comprendere i ragionamenti di Near legati all'orgoglio, perchè era una sentimento che non conosceva, quindi cercò di esprimere i suoi dubbi e i suoi pensieri come meglio potè.
"Io non capisco bene perchè sei così distante, ma vorrei tanto, davvero."
Certo che se anche lei era così dannatamente adorabile, lui come poteva resisterle.
"Sei ancora arrabbiata con me?"
Le chiese in un sussurro. Solo dopo si accorse che Lidner li aveva lasciati soli, allora si concesse il privilegio di accarezzarle lievemente la testa rossa. Lei arrossì e si rilassò, grata di quelle piccole attenzioni che al detective costavano molto.
"Sì, però ti sto perdonando."
Disse lei con voce flebile, quasi inudibile. Una cosa che non si sarebbe mai aspettata le fece perdere un battitto cardiaco. Near aveva appena posato le sue labbra sulla sua fronte, in un bacio dolcissimo e carico di affetto. Stranamente non tremava come tutte le volte che era dolce con lei e si affrettò a rispondere allo sguardo incredulo della piccola.
"Ho riflettuto molto. L per noi rappresentava una figura paterna, quella che nessuno di noi avrebbe mai più avuto, ma che desiderava sopra ogni altra cosa. Io non potrò mai sostituire Mail o Lucrecia, ma ti ho adottata. Prima solo legalmente, ora anche..."
Fin lì era andato bene. Perchè non riusciva più a continuare. Ci aveva pensato molto e se proprio avesse dovuto avere una famiglia, la prima persona che vi avrebbe fatto entrare era di sicuro Margaret. Provare tanti sentimenti era strano e nuovo per lui, ma aveva capito che combatterli serviva a poco, meglio accettarli e imparare a conviverci.
"Vorrei darti una famiglia, ma non so ancora bene come fare. Ma mi impegnerò."
Disse infine. Non aveva mai staccato lo sguardo dalla bambina e si spaventò quando la vide piangere. Prima erano solo poche lacrime, poi iniziò a singhiozzare. Near sperava fossero lacrime di gioia e la conferma gli arrivò quando la piccola lo abbracciò.
"Ti... sigh.... ti voglio.... tanto bene."
Near ricambiò l'abbraccio, in tutta risposta.
"Senti Margaret, io un piano per battere i KJ ce l'avrei anche, ma ho bisogno del tuo aiuto. Non te l'ho chiesto prima perchè non me ne sentivo in diritto."
La piccola sciolse l'abbraccio e lo guardò negl'occhi. Poi sorridendo gli carezzò la testa, come lui aveva fatto poco prima.
"Va bene, ma tu dormi un po', quelle occhiaie sono brutte."
Near sorrise, ma durò poco. Perchè quando la piccola gli schioccò un bacino sulla guancia si irrigidì.
"Sei proprio buffo zio quando fai così."
Quel piccolo demonietto voleva priprio fargli esplodere il cuore. Altro che Kira!

Ovviamente quella dolce scenetta privata venne seguita in diretta da tre paia di occhi indiscreti, al di là di telecamere nascoste.
"Ancora non capisco... dov'è finita la vostra professionalità?"
Chiese Rester, seriamente imbarazzato. Lui, sempre così ligio al dovere, serio e composto, si riscopriva felice per il suo capo. Accettando di lavorare con Near aveva accettato di estraniarsi da qualsiasi rapporto personale che potesse nascere tra colleghi. Ma da quando c'era quella bambina era diventata un'impresa impossibile.
"Eddai Rester. Davvero vuoi dirmi che in questi anni non ti sei affezionato almeno un po' a Near?"
Chiese Jevanni con aria bonaria.
"Da quando hai perso la tua solita freddezza Jevanni? Sai che cominci ad assomigliare a quel tizio... come si chiamava quell'ingenuo della polizia giapponese... ah sì, Matsuda."
Jevanni ringhiò.
"Dammi pure del sentimentale, ma evita di offendermi così pesantemente!"
Lidner rise e fu seguita a ruota dai colleghi.
"Ammettiamolo, anche L e Watari erano una squadra, ma anche una specie di famiglia. E' vero che con un lavoro come il nostro i sentimenti vanno spesso messi da parte. Ma io mi sto riscoprendo felice e lavoro meglio da quando la situazione con la piccola è migliorata."
Ammise Lidner, la saggia in quella organizzazione di cuori di pietra, più friabile di quello che sembrava.
"Ok, avete vinto."
Ammise Rester alzando le mani al cielo.
Altra risata generale.
"Se Near ci becca..."
"Per l'appunto Jevanni. Ora mettiamoci al lavoro. Risolviamo questo caso prima dei KJ."
Lidner e Jevanni annuirono e Rester sorrise.

Il piano era il seguente. Non potendo inserire una spia nei mercati neri meno conosciuti e più intimi, Near decise che potevano anche farsi scoprire. Se uno dei loro si fosse fatto catturare, magari sarebbe stato portato in qualche base che loro non conoscevano. Una volta lì, gli agenti avrebbero dovuto recuperare l'uomo e reperire più informazioni possibile.
"E' molto rischioso e non so quanti agenti accetteranno, dato che c'è anche l'eventualità che vengano uccisi subito. Ma per ridurre il più possibile questa spiacevole eventualità, avremo bisogno di un team efficace, che tenga d'occhio la situazione senza farsi sfuggire il benchè minimo dettaglio. Margaret, ho bisogno che tu coordini questa squadra. Sei l'unica qui che riesce ad avere un'occhio globale quando si tratta di monitor. Dovrai controllare contemporaneamente onde radio, infrarossi, video e quant'altro riuscirai a captare, per evitare perdite."
Near era serio, monotono come al solito, ma chi lo conosceva bene poteva notare una vena di entusiasmo per quel caso che sembrava insormontabile.
"Conta su di me."
Disse la piccola, cominciando a sfogliare i dossier dei dipendenti di Near, in modo da selezionare i più adatti.
"La seconda parte del piano sarà incentrata sul lavoro di ricerca. Una volta fatto questo giochetto più volte, dovremmo aver raccolto abbastanza indizi da poter almeno sapere chi c'è dietro gli eventi a cui miriamo. Rester, Lidner e Jevanni, questo sarà compito vostro e mio. Infine deciderò, se mandare altri agenti sotto copertura o se seguire Hidetoshi e irrompere all'asta. La seconda opzione è più rischiosa perchè rischiamo che l'uomo ci sfugga fisicamente, ma la preferisco alla prima, dove rischiamo che capiscano che gli siamo alle costole e prendano provvedimenti. A quel punto saremmo fuori dal gioco."
Nessuno voleva vedere il verificarsi di quell'opzione, anche perchè avrebbe significato la vittoria dei KJ.
"Ti metterai in contatto con i KJ? Loro non dovrebbero sapere che hai individuato dei loro possibili uomini?"
Chiese Jevanni.
"Il vero problema è che credo che uno dei due sia un infiltrato. Se così fosse si aprirebbero due strade. O per mantenere la sua identità, non si presenterà agli eventi e ci lascerà campo libero o più probabilmente manderà tutto all'aria, pur di non darmela vinta."
Near ricominciò a tormentarsi una ciocca e Margaret gli tirò lievemente la manica del pigiama, per farlo desistere dal staccarsi i capelli.
"Ma perchè dovrebbero reagire in maniera così infantile? E' un criminale, la rivalità tra noi non dovrebbe interferire col caso."
"Oddio Jevanni! Parli davvero come quello sciocco di Matsuda!"
"Bhe potrei spararti al fianco, come fece lui con Yagami!"
Lidner li fucilò entrambi con lo sguardo e fece cenno verso la bambina, che però serenamente continuava il suo lavoro. Evidentemente non aveva mai criptato i file su Kira.
"Mi ricorda molto il modo di agire di qualcunaltro. Qualcuno che avrebbe fatto di tutto per vincere."
Disse Lidner rimanendo vaga. Questa volta la piccola alzò gl'occhi, sicura di essersi persa qualcosa. Near fissò il vuoto per qualche secondo, prima di riprendersi e ricominciare a tormentarsi i capelli.
"Bhe, lui non può."
Sussurrò il detective.
"Ma credo che la mentalità sia simile. Li chiamerò, magari vorrando darmi qualche indizio utite o smentire qualche pista falsa."
Lidner colse l'ultimo riferimento ed anche lei fu pervasa dalla malinconia e dai ricordi.
"Bene è tutto. Al lavoro."

Near aveva chiesto a tutti di non ascoltare la sua conversazione. Si era chiuso nel suo studio, eventuali apparecchi di registrazione spenti. Sapeva quali erano le condizioni e infrangere le regole andava a suo sfavore.
"Ti deve servire qualcosa di importante, non usi mai tanta premura con noi, L."
La voce elettronica che lo raggiunse era sprezzante e fiera. Traboccava di superbia e faceva intendere a Near, come sempre del resto, che non era una conversazione gradita quella con lui.
"Gradirei di più parlare con il tuo collega."
Disse fraddamente l'albino e la risposta che si aspettava gli giunse veloce e rabbiosa.
"Troppe pretese. Se non vuoi parlare con me, arrangiati."
Ma come previsto, prima di chiudere il collegamento, l'altro mebro della squadra di detective fece la sua comparsa.
"Scusalo L, è suscettibile in questi giorni del mese."
La battuta non doveva essere troppo piaciuta al suo collega, tanto che sentì uno sparo dall'altra parte della linea.
"A cuccia! Comunque che possiamo fare per te?"
"Mi servirebbe il satellite 46ks9LO2."
"La Luna no eh?"
Chiese il mebro più agguerrito del due.
"Ed io dovrei violare i server della Nasa, la quale tra l'altro non ha molta simpatia per me, per quale buon motivo?"
"Dovrò mettere su una missione delicata e c'è il rischio che perda diversi uomini. Quel satellite mi aiuterebbe a mantenere viva la mia squadra."
"Allora alza la cornetta e chiama i tuoi amichetti incravattati, sono sicuro che per te questo ed altro."
Near cominciava a seccarsi, ma doveva stare al gioco.
"Non mi lascerebbero mai il completo controllo del satellite per una missione che non riguarda la salveza dell'umanità, ma io ho bisogno di averlo a completa disposizione dei miei uomini, non volgio che muoiano inutilmente, se si può evitare."
Near sentì l'aria come tremare. Come se dall'altra parte dello schermo con KJ in "Old English" fosse avvenuta un'esplosione nucleare.
"Per quando ti serve?"
Chiese il mebro più tranquillo, con una nota di nervosismo nella voce meccanica.
"Tra tre giorni, per almeno quattro o cinque giorni."
"Chiedi troppo."
"Siete gli unici a cui posso rivolgermi."
Non era una sviolinata, ma la pura verità e a Near costò molto ammetterla.
"Ok, tra tre giorni. Ci devi un favore."
Near tirò un sospiro di sollievo e andò ad ultimare i preparativi per la missione.

"Ma sei cretino! Come ti sei permesso di deridermi davanti a lui! EH?"
Un tavolo volò dall'altra parte della grande stanza buia, illuminata solo dagli schermi dei computer.
"Considerala una vendetta per non avermi fatto parlare e per avere deciso per me che la conversazione era finita!"
Il ragazzo si accese una sigaretta e guardò in tralice il compagno, che non accennava a calmarsi.
"Non mi risulta che nel team di Near ci sia qualcuno in grado di manovrare quel coso. Ci siamo persi qualcosa."
Le parole del fumatore riscossero l'altro, che si fece pensieroso.
"Nuovi reclutamenti di cui non si hanno nemmeno documenti cancellati?"
"Nulla dal cestino e dall'inceneritore di Near. Dev'essere qualcuno di molto bravo e particolare. Scommetto che è il motivo del suo recente incremento lavorativo. Segue più casi, usa metodi più tecnologici e ricercati..."
"Che sia un bambino dalla Wammy'House?"
"So che non se ne cura molto. E' Roger e il suo successore, Armand, che mandano avanti la baracca. Non ha mai degnato di uno sguardo i suoi possibili eredi."
"Si sentirà al sicuro nel suo candore, quel bastardo!"
Altro mobile per aria.
"Un bambino prodigio al suo fianco, ma non della House... è davvero assur..."
Si guardarono allibiti e la sigaretta cadde dalle labbra del giovane.
"E' una conclusione affrettata. Una possibilità remotissima. Non farti prendere dal panico..."
"Non controllo la sua cartella clinica da mesi, troppo preso dal lavoro. No... no... NO! NON LO ACCETTO!"
Alzandosi il giovane ribaltò la sedia e la prese a calci.
"Calmati!"
Disse il collega prendendolo per le spalle.
"Non è certo. Vedrai che c'è un'altra spiegazione."
"Se la sta sfruttando... SE LA STA FACENDO DIVENTARE COME LUI...."
"Pensavo che fosse sempre stato il piano B, mandarla da lui!"
"Sì, ma credevo l'avrebbe spedita alla House! Oddio..."
"Adesso concentriamoci sul satellite."
"CHE COSA?!"
"Una settimana. Ti chiedo di resistere una settiamana. Poi ti prometto che me ne occuperò personalmente!"

"Abbiamo il satellite."
Disse Near senza un briciolo di entusiasmo.
"Dovresti essere contento, no?"
Chiese, con quell'ingenuità che la rendeva adorabile, la piccola Margaret.
"Mmm."
Fu la risposta di Near, mentre si sedeva e visionava la lista dei possibili boss da trarre in inganno.
Margaret stava leggendo la lista dei suoi collaboratori ed ogni tanto guardava l'albino di sottecchi. Lei non riusciva ancora a leggere e scrivere bene in giapponese, quindi quando lavorava teneva sempre il dizionario con sè. Ma con lui vicino si vergognava da morire. Non voleva fare altre brutte figure, come nel caso del killer norvegese.
"Riesci a leggere bene?"
Ma che cavolo! Possibile che lui leggesse nel pensiero?!
"Tu leggi nel pensiero."
Un'affermazione detta con i brividi lungo la schiena, che fece sorridere Near.
"Margaret..."
Era ora per il giovane detective di attuare il suo piano speciale.
"...come ti era parsa camera mia, quella volta che ci entrasti senza permesso?"
La frecciatina era d'obbligo, sia perchè non doveva provarci mai più, sia perchè così avrebbe risposto sinceramente alla sua domanda. Difatti la piccola arrossì, colta con le mani nella marmellata e si mise a pensare per dare al ragazzo una risposta soddisfacente.
"Tieni molto ordinato."
Pausa. Near non dovette nemmeno guardarla per intimerle di proseguire.
"E' tutto bianco. E' triste e vuoto. Dovresti dipingerla con motivi più... allegri."
"Anche la tua stanza non ti piace allora."
Quando Near se ne usciva con quelle deduzioni che sembrava conoscere da una vita, la piccola ci rimaneva sempre spiazzata. Dopotutto le aveva appena detto che si sarebbe impegnato a fare il 'genitore', perciò forse cercava solo un punto da cui cominciare.
"Già. E poi mi piacevano i giocattoli. Però il più carino era il coniglietto sul letto."
Roger. No, Roger no. Accidenti!
Near è ora di crescere un po'! E' per Margaret!
"Mmm."
Che gran conversazione. Meglio del solito.

Tutto era pronto. Erano state scelte tre aste e i mal capitati erano tre boss della mafia Giapponese. Tutti e tre trafficavano anche oltre mare, ovviamente.
Yusuke Okamoto, tra casa sua e il museo del Louvre non c'era molta differenza. Secondo Near c'era una probabilità dell'87% che buona parte dei suoi quadri fossero gli originali, mentre i musei giapponesi esponevano fieramente dei falsi ben confezionati. Era un collezionista appassionato e quale posto migliore di aste nere per procurarsi i suoi tesori.
Kazue Tanigichi, detta 'La Gemma', poichè è l'unica donna ad essere a capo dei una banda mafiosa, sanguinaria e sadica, ma evidentemente con una vena artistica piuttosto estroversa. In realtà probabilmente il suo era solo mercato. A certe aste il prezzo dei dipinti cala, dato che i costi per nascondere certi traffici sono maggiori. Quindi La Gemma si dava alla compra/vendita, semplici investimenti.
Infine Shuzo Ueda, presidente di due delle collezioni private derubate da Hidetoshi. La sua era al 98% frode assicurativa e Near sospettava che non fosse la prima volta. Le aste per lui erano solo un modo di pagare i ladri che assoldava. Poi forse scambiava i dipinti 'rubati', con altri di suo gusto o futuri oggetti di furti.
Margaret teneva la situazione sotto stretto controllo e mandava direttive alla sua squadra come una vera leader. Near credeva che ricevere ordini da una bimba avrebbe atterrito gl'uomini, invece tutti erano motivatissimi. L'albino si chiedeva come ciò fosse possibile, ma la piccola sembrava in grado di compiere miracoli.
"Secondo me gli agenti possono entrare in azione. Il satellite ha registrato tutti gli uomini presenti. Per persona ci sono almeno tre dispositivi elettronici che potranno rivelarci l'eventuale loro posizione."
Nonostante anche Near fosse stato un bambino prodigio, si rese conto di non essere mai stato altrettanto brillante alla sua età. Allora si faceva ancora spaventare da molte cose, lei invece sembrava a suo agio e riusciva a comprendere situazioni complesse, che nemmeno un dodicenne avrebbe afferrato appieno. Sicuramente oltre ad un talento innato le capacità della bambina erano state adeguatamente coltivate, probabilmente opera della madre. Ma il talento deve sempre misurarsi con l'esperienza e qui Near era in vantaggio.
"Dobbiamo aspettare ancora un po'. L'asta deve almeno iniziare. Bisogna cogliere l'occasione giusta, se dovessero anche solo sospettare che i nostri uomini si sono fatti scoprire apposta la missione salterebbe e gli agenti morirebbero."
Margaret lo guardò con ammirazione e Near provò qualcosa di nuovo. Era come se con quello sguardo la piccola lo avesse accettato come mentore, una figura che certi bambini scelgono con molta attenzione. Si sentiva orgoglioso di se stesso e sentirsi importante a livello affettivo per qualcuno lo fece sorridere appena.
Dopo quasi due ore ecco il momento cruciale. Uno degli agenti prese con sè il quadro che Shuzo aveva appena comprato e copiò un codice scritto dietro la cornice, visibile solo con un particolare reagente. Accidentalmente un mafioso lo scoprì e scoppiò il finimondo. Come mai cercava quel codice? Cosa significava quest'ultimo? Ce ne sono altri come lui?
Ogni uomo venne controllato e gli altri due agenti sottocopertura vennero smascherati. Kazue aveva in mano una pistola. Gli avrebbe sparato senza nemmeno verificare il motivo. Ma ecco che entrò in scena il Jolly, come lo schiamava Margaret, un loro uomo che spiegò ai presenti che quei codici servivano alla polizia per rintracciare i quadri di alcune collezioni private. Disse che i reagenti chimici per rilevare questi codici erano due, quindi c'era sicuramente un altro infiltrato per fazione, dato che addosso ai traditori ve ne era solo uno. Così i tre pesci abboccarono all'amo e portarono via le spie per interrogarle successivamente. Ci volle del tempo, ma alla fine Near ottenne ciò che voleva.
Dagli uomini di Yusuke ottenne il luogo dell'asta a cui Hidetoshi voleva vendere i suoi quadri e da Shuzo il giorno e l'ora. Ma ci voleva una parola d'ordine. L'unica possibilità di ottenerla risiedeva nell'infiltrato mandato da Kazue, ma insorse un problema. A causa di un malfunzionamento del satellite, Margaret perse il segnale video e le coordinate del loro uomo. La base era troppo grande e un'irruzione di massa avrebbe rovinato tutto. Per un ladro non valeva la pena sacrificare una vita, questo lo sapevano tutti, ma Near cercò fino all'ultimo momento di elaborare un rimedio.
"Key, mi ricevi?"
"Sì Maddie, cosa succede?"
La bambina spiegò a malincuore l'accaduto.
"Se l'audio funziona posso tentare di strappare la password a Kaz..."
"NO! Ti ucciderebbe! L?"
Near era combattuto e allo stesso tempo furioso. Non era possibile che quel maledetto satellite avesse smesso di funzionare così, era sicuramente opera di quei maledetti ed ora lui stava per perdere un agente e il caso per quel tiro mancino.
"Key."
"Sì L?"
"Procedi, noi intanto mandiamo una squadra all'interno. Mettila alle strette e cerca di trovare una scusa per rimanere vivo."
"Sì signore."
Margaret sgranò gl'occhi, chiuse il suo microfono e sfogò tutte le sue ansie.
"Lo uccideranno!"
Strillò. Lo sguardo glaciale di Near la paralizzò. Come poteva essere così dolce con lei e poi giocare come se niente fosse con la vita della gente?! Sconvolta la piccola lasciò la sua postazione, non voleva sentire quell'uomo morire.
"Allora... allora... allora... qual'è il tuo nome?"
"Victor."
"Il tuo nome in codice mi sarà più utile di quello vero."
"Ne sono consapevole Gemma, per questo non te lo dirò."
Un ulro disumano squarciò la sala di controllo. Near rimase impassibile mentre gli altri rabbrividirono. Qualcuno si tappò le orecchie.
"Tu sei vivo per rispondere alle mie domande, non alle mie provocazioni. Fallo ancora e non mi limiterò a tagliare, ma comincerò ad affettare!"
"Non ti conviene...anf uccidermi. Oppure anf... non potrai partecipare.... all'asta di Hidetoshi e questo ti farà... ah.... perdere punti alla vista della mafia."
"Ahahah, chi credi di fregare! Dunque era questo che volevi sapere. Dove, quando si terrà l'asta. Allora lavori per L. So che è lui che segue il caso, oltre ai KJ si dice."
"In realtà quelle informazioni le abbiamo già, anche la password."
"la password? Impossibile!"
Altro ulro.
"In... ah... invece sì. L... non... ah... verrà a prendermi. Ha già ciò che vuole.... ah ma ti arresterà ugualmete."
"Allora adesso ti sparo, ma prima dimmi, tu conosci la password?"
"Sì... altri ag... agenti me l'hanno comunicata..."
"Allora muori da perdente. Gray!"
Uno sparo. Poi più nulla.

Margaret stava piangendo nella stanza di Halle. Near le aveva detto che la sua aveva un tubo che perdeva e che non poteva entrarci per quel giorno. Un uomo era morto ed era colpa sua. Improvvisamente aveva perso il controllo del satellite e le cose erano precipitate. Non si era ancora capacitata dell'accaduto. Non era possibile, si ripeteva. Non è colpa mia, cercava di imprimere nella sua mente, che però rifiutava quelle parole.
"E' tutta colpa mia! Tutta colpa di Near!"
Urlò durante uno spasmo dovuto al pianto disperato.
Quando Near entrò usò tutto il suo auto controllo per non fiondarsi ad abbracciare la piccola. ma doveva trattenersi e spiegarle l'accaduto.
"Abbiamo la password. I nostri hanno fatto irruzione, abbiamo trovato l'agente vivo."
margaret alzò gl'occhi gonfi e fissò Near per cercare di capire se le stava mentendo. Near lo comprese e le permise di leggergli dentro affinchè si calmasse. la piccola corse ad abbracciarlo e l'albino ricambiò accarezzandole i capelli per farla calmare.
"Scusa... sigh.. è stata tutta colpa mia!"
"No, non è così. So io chi è stato ed ora andrò a parlarci."
Margaret si allontanò e Near sapeva perfettamente il perchè.
"Poteva morire e tu non avresti fatto niente! Perchè devi essere così cattivo con gli altri?! Tutti pensano che L rappresenti la giustizia, ma si sbagliano! Perchè non è giusto sacrificare qualcuno per degli stupidi quadri! Io non so più cosa pensare di te! A volte ti voglio bene, altre mi spaventi! Io non so chi sei! E non sono sicura di volerlo scoprire!"
Dopo quello sfogo Margaret riprese a singhiozzare. Voleva andare via, voleva stare lontano dal quel ragazzo candido che le faceva più paura dell'uomo nero. Ma Near se ne andò immediatamente, lasciandola sola.

Avrebbe chiamato i KJ immediatamente, ma si trovò costretto ad aspettare. Dopo le parole di Margaret, Near pianse. Due lacrime scesero dai suoi occhi, solo due. Ma per gente come lui equivalevano ad uno sfogo tremendo. La bambina si era evidentemente sforzata di non chiamarlo mostro o peggio. Anche se dalle sue parole era quello che trapelava. Si sentiva meschino, ferito e gli sembrava di essere uno di quei killer psicopatici con cui aveva sempre a che fare. Era ad un passo così dal riguadagnarsi la fiducia della sua bambina. Sua.
Mia.
Ma chi voleva prendere in giro! Quella era la figlia di Matt e Lucrecia. Tra l'altro quest'ultima era ancora viva e ci avrebbe messo poco a ricordarsi della figlia. Ogni giorno faceva sempre più miglioramente, ma sembrava aver rimosso la piccola e Matt, forse a causa del dolore che, non volendo, le causavano. C'era da aggiungere che l'unico responsabile della morte del padre era lui. Sapeva che Mello aveva in mente qualcosa e quando ha visto l'inseguimento, quando halle gli aveva chiesto il perrmesso di andare ad aiutarli, lui lo aveva negato. Se avesse mandato loro aiuto, Matt e Mello sarebbero ancora vivi. Ma lui non voleva battere Kira facendolo saltare in aria, voleva rispettare L. Mello avrebbe teso la trappola e sapeva bene a quale prezzo. Se Near avesse permesso ai suoi uomini di sparare a yagami molto prima, nulla sarebbe mai accaduto. Si era convinto che piangersi addosso non servisse a niente, ma come poteva reagire adesso che tutto il dolore e la sofferenza che aveva causato con il suo egoismo, piangevano poche stanze distanti da lui. Era così frustrato! Margaret gli aveva dato un sacco di possibilità, lo aveva trattato come una persona, gli aveva voluto bene! E lui come un idiota si era lasciato trasportare! Se non avesse mai aperto il suo cuore, se non avesse permesso a quei sentimenti di varcare le sue difese, ora non si sentirebbe così male. In realtà non proverebbe niente.
Improvvisamente Near ridacchiò, pensando a quella volta che era successa una cosa simile. Evidentemente lui proprio non ci sapeva fare con le ragazze.

Le sette buone azioni di Mello: invitala in giardino e offrile una caramella

Alla Wammy's House erano coltivate le menti più intelligenti di tutto il pianeta. Bambini che da grandi sarebbero stati grandi uomini e grandi donne, che sarebbero diventati importanti. Uno di loro sarebbe stato scelto per diventare il nuovo L, cosa che molti bimbi desideravano, almeno fino al suicidio di A. Da quel giorno diventare L sambrava più una condanna e c'erano anche alcuni bambini che erano felici di non essere tra i più intelligenti. Matt faceva parte di questa categoria. Prima di tutto c'è da specificare che a Matt di diventare L non importava assolutamente niente. Da quando i suoi genitori erano morti il mondo aveva perso ogni attrattiva per il piccolo irlandese. Meglio una realtà virtuale, dove se i tuoi eroi muoiono, poi tornano in vita. Nonostante questo Matt non perdeva mai. Non aveva mai visto un game over, perchè si era ripromesso che i suoi eroi non sarebbero morti mai più. Poi un giorno conobbe un nuovo eroe, uno in carne ed ossa, capelli biondi ed occhi azzurrissimi. Quando lo avevano portato in quell'orfanotrofio per geni, lo avevano bollato subito come cervello liquefatto, per via dei videogiochi, ma Mello aveva capito che quel bambino dai capelli rossi aveva molto di più da offrire. Per la precisione Mello aveva 'scoperto' Matt la prima volta che aveva parlato. Dopo tre settimane passate nel più assoluto silenzio, il bimbo dai capelli rossi lo aveva insultato, dicendogli che con le sue grida gli faceva perdere la concentrazione. In quel momento tutti gli altri bambini erano fuggiti, l'ira di Mello era funesta nonostante avesse solo sette anni. Matt aveva alzato lo sguardo e incrociando quello di Mello aveva capito di aver fatto una cavolata enorme. Chiuse gl'occhi quando vide il biondo avvicinarsi. Avrebbe preso il suo pugno e sarebbe andato via. Si sarebbe chiuso in camera, forse avrebbe pianto un po', infine avrebbe ripreso il suo gioco. Ma accadde qualcosa di differente.
"Dopo faremo le squadre per giocare a calcio. Tu stai con me, senza storie!"
Mello giurava continuamente che mai gl'occhi di Matt erano brillati come in quel momento. Il rosso stupito annuì debolmente e da allora nacque una delle più belle amicizie dell'orfanotrofio.
Mello e Matt divennero inseparabili e presto Mello scoprì che anche se a Matt non piaceva molto stare in compagnia di altri esseri umani, in compenso ci sapeva proprio fare con le persone, specialmente con le bambine. Col suo sorrisetto dolce e affidabile, Matt riusciva ad abbindolare tutti e soprattutto tutte. Prima di conoscere Matt, Mello era sempre sommerso da mocciosette che gli davano il tormento e nonostante le scacciasse in malo modo, loro tornavano alla carica più forti di prima. Il rosso fu una benedizione. Con qualche parola gentile e con un sorriso da far invidia ai bambini del mulino bianco, Matt conquistava ogni cuore e poi lo manovrava a suo piacimento.
Mentre da una parte c'erano cip e ciop che facevano i loro comodi, un altro bambino meno carismatico si trovava sempre in serie difficoltà nel rapportarsi col prossimo. Near, il numero uno dell'orfanotrofio, era un bimbo fuori dal mondo, come Matt. Lui viveva dentro delle mura costruite con le carte da gioco, fisicamente erano una difesa scarsa, ma per il piccolo Near erano le più solide che la sua mente potesse edificare. Robot e trenini erano i suoi amici e la sua mente geniale l'unica compagna fedele che avesse. L'albino non sentiva il bisogno di legarsi a qualcuno, soprattutto subito dopo la perdita dei genitori, per questo col tempo dimenticò le basi per avere un rapporto col prossimo. Crescendo Near aveva completamente perso il tatto e la gentilezza necessaria per instaurare un legame con qualcuno e un giorno, a dodici anni, si rese conto di avere dei problemi. Era arrivata da poco una nuova ragazzina, si chiamava Grill. In realtà il suo vero nome era Grace Sunderson, ma lì c'erano delle regole sul salvaguardare la propria identità. Lei aveva vissuto per quattro anni in un orfanotrofio in California, la sua città natale, poi da un test attitudinale era risultata che il suo Q.I. superava 200 e quindi Roger l'aveva fatta trasferire immeditamente. Lei aveva il dono di saper creare codici con i colori. Con i colori poteva scrivere messaggi anche lunghi pagine e racchiuderli in un A4. Tutti erano impressionati da questa ragazzina di undici anni, soprattutto per i suoi modi di fare. Era molto gentile e aperta, solare ed energica, ma spesso lasciava trasparire un lato timido ed insicuro che incantava ogni ragazzo. Praticamente in poche settimane ogni ragazzo della House era ai suoi piedi, non che lei lo volesse. Presto se ne accorse, così Grill cercava di essere meno sgarbata possibile nel laciar intendere che non voleva ricevere troppe attenzioni. Così per librarsi di tutti quei ragazzini, Grill decise che avrebbe stretto amicizia con uno degli unici tre che non sbavavano per lei. Mello, Matt o Near? Bella domanda. Ma Grill conservava quell'umanità che le fece prendere la decisione migliore per entrambi. Near. Matt e Mello avevano già molti amici, ma quel bambino bianco sembrava così solo. Così una mattina di primavera, Near capì che gli mancava qualcosa.
"Ciao Near."
Chi lo stava salutando? L'albino alzò lo sguardo e si ritrovò a fissare due occhi scuri, color cioccolata. I capelli del medesimo colore, incorniciavano il viso roseo di Grill, ricadendo sulle spalle in dei boccoli leggeri.
"Ciao Grill."
L'ennesima ragazzina che provava a parlargli. Dopo qualche risposta monosillabica se ne sarebbe andata anche lei, come tutti gli altri.
"Ascolta Near avrei bisogno di un favore."
Quella richiesta così diretta e allo stesso tempo dolce fece sobbalzare il cuore di Near, che si limitò a fissare Grill interessato.
"I ragazzi di quest'istituto sono un po' assillanti e mi dispiacerebbe ferirli, perciò ho pensato che magari stando in tua compagnia..."
"Sarebbero stati alla larga da te. Bhe se è solo questo puoi sederti dove vuoi, io devo finire questo puzzle."
Grill rimase triste per quella risposta. L'atteggiamento sgarbato di Near aveva suscitato in lei una gran tenerezza per quel ragazzino solo.
"Io non sfrutto la gente Near. Vorrei aprofittare di questa vicinanza per diventare amici, ma anche solo conoscerci un po' andrebbe bene. Mi piacerebbe parlare con te."
Prima di continuare Grill arrossì e Near sentì qualcosa vorticare nel suo stomaco.
"Sai ti trovo interessante, sarei davvero felice di porti conoscere meglio."
L'albino non sapeva come replicare. Da una parte non voleva seccature che potessero disturbare la sua routine, dall'altra si sentiva leggermente onorato. Near scosse impercettibilmente la testa, come a voler scacciare dei pensieri. Il ragazzo stava per proferire parola, ma Grill lo precedette.
"Non fa niente, se non te la senti, per me va bene."
Grill stava per uscire dalla sala, quando singhiozzò.
"A presto Near."
Tentò di dire col tono più naturale possibile. Il dodicenne rimase interdetto, ma sentiva qualcosa stringergli il petto e presto si rese conto di sentirsi in colpa. Aveva fatto piangere diverse bambine con il suo atteggiamento menefreghista e spesso i ragazzi dell'istituto organizzavano degli scherzi per vendetta. Conoscendo la popolarità di Grill poi ci sarebbero andati giù pesante sicuramente. Ma Near non era preoccupato per quello. Le altre lo avevano avvicinato per curiosità e per poter far mostra di lui, mentre Grill voleva essere gentile e farlo sentire meno solo, senza però invadere la sua intimità.
Arrivata sera Near era ancora tormentato dal suono di quel singolo singhiozzo, così decise che avrebbe provato a rimediare. Ben presto si scontrò con il primo di una lunga serie di problemi. Non sapeva da dove cominciare. Quella considerazione lo fece sentire inetto, inadatto. E quella prima difficoltà portava dritta dritta ad un altro scoglio. Avrebbe dovuto chiedere aiuto a qualcuno. Cominciò allora a varare le possibilità.
Le bambine erano da escludere. Erano veramente poche quelle che almeno lo salutavano e di certo non si sarebbero avvicinate di più.
I ragazzi, non se ne parlava. Lo avrebbero picchiato immediatamente e come minimo gli avrebbero di nuovo rubato il suo puzzle.
Rimanevano due sole vie: Matt o Mello.
Matt era sicuramente il più adatto, con lui fare pace con Grill era assicurato. Ma se Mello lo avesse scoperto sarebbero stati guai per entrambi. Se invece avesse chiesto prima a Mello, questo avrebbe sicuramente rifiutato, lo avrebbe preso in giro, poi sarebbe stato libero di parlare con Matt.
Caso volle che Mello fosse nei pressi della sua stanza in quel momento, così l'albino non perse tempo.
"Ciao Mello."
Il biondo si girò con gl'occhi fuori dalle orbite, incredulo di ricevere la preziosa attenzione del rivale.
"Ciao Near."
Si limitò a dire il quattordicenne, aspettando che il ragazzo davanti a lui si esprimesse. Near sembrava in difficoltà e dopo un momento di smarrimento, Mello ghignò.
"Allora pecorella, non ho tutto il giorno!"
"Scusa, ma dovrei chiederti un favore."
A Mello andò di traverso un po' di saliva, a momenti si strozzava.
"Cosa?!"
Chiese tossendo.
"Questo pomeriggio ho fatto piangere Grill. Non era mia intenzione, non mi ha fatto finire di parlare e deve avermi frainteso. Non le do torto dato che in precedenza non mi ero mostrato molto incline ad averla intorno. Sono stato maleducato, ma desidero rimediare. Però non so da dove cominciare e mi chiedevo se tu volessi aiutarmi."
Mello aveva ascoltato ogni parola con avidità. Già era raro che Near gli rispondesse. Che gli parlasse rasentava l'impossibile. Ma mai, mai, avrebbe anche solo sperato di ricevere dal rivale una richiesta di aiuto. Mello si trattenne per non scoppiare a ridere in faccia all'albino.
"Ed esattamente come speri che possa aiutarti?"
Lo stava prendendo in giro. Come da programma.
"Non so, magari potevi darmi qualche consiglio. Su queste cose ne sai più di me."
"Queste cose, Near, si chimano contatto con gli altri esseri umani e sentimenti. Entrambi ti sono fortemente estranei. E poi cosa ti importa se l'ennesima ragazza della House ti odia?! Tanto anche una volta che le avrai chiesto scusa ti apparterai nel tuo mondo bianco, fatto di stupidi giocattoli e non ti importerà più nulla di lei."
Mello aveva sparato quelle parole come i serprenti sputano il loro veleno. Near chinò leggermente il capo, in modo da poter osservare l'altro attraverso la frangia.
"Ok."
Si limitò a dire l'abino. Aggiungere un 'grazie' o che avrebbe chiesto a qualcun'altro sarebbe stata una bella e buona provocazione, cosa da evitare con Mello.
"Ehi pecora, non ho ancora finito con te! Non puoi trattare la gente in questo modo! Prima vieni a chiedermi aiuto e poi mi liquidi così?! Chi ti credi di essere? Quando capirai che le persone non sono burattini o bambole? Sei solo uno stupido, peggio di un autistico!"
A quelle parole il cuore di Near perse una battito per poi cominciare a battere più forte. Abbassò il capo, si voltò e fece per andarsene. Mello aveva esagerato e in quei momenti era meglio battersela. Se l'avesse visto piangere lui avrebbe solo infierito, capendo di aver colpito, proprio come tutti gli altri.
"Ehi, non ho finito con te!"
Urlò il biondo, che stava stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche. Nonostante Near non gli avesse fatto nulla, solo l'avercelo di fronte lo faceva ribollire di rabbia.
"Io invece ho finito. Se hai finito di insultarmi e ti senti meglio, io ho da fare."
La sua voce non tradiva il rpofondo dispiacere che provava, ma i suoi occhi erano già appannati. Mello non doveva assolutamente scoprirlo.
Nel giro di pochi attimi, Near si sentì strattonare e sbattere contro un muro.Iil colpo gli fece male e trattenne un gemito.
"Come ti permetti?"
Mello lo stava strattonando per il colletto della lunga camicia e Near teneva gl'occhi chiusi, anche se avrebbe voluto spalancarli perchè l'aria gli mancava.
Dammi un pugno, un calcio, uno schiaffo, ma fai in fretta!
Poi un rumore di passi. Near aprì gl'occhi, piegò un po' la testa e scorse Grill accerchiata da dei ragazzi. Lei incrociò il suo sguardo, ma tirò dritto, come lo avesse trapassato. Sentendosi ignorato, come spesso faceva lui con gli altri, Near assunse un'espressione così sconfortata che Mello si paralizzò. A differenza di Grill, per lui Near non era invisibile, anzi matt lo prendeva in giro, dicendo che lo scannerizzava. Il maggiore rimase impietrito davanti a quei pozzi grigi, che normalmente risucchiavano tutto, creando il vuoto intorno al ragazzo, ma che in quel momento esprimevano tutto il suo dolore. Si accorse anche che erano leggermente velati e a quella scoperta Mello lacsiò la presa, come se si fosse scottato.
"Lei ti piace?"
Chiese titubante il biondo, che ora parlava a Near come si parla ad un bambino che si è appena sbucciato il ginocchio. Dal quel tono di voce Near si rese conto di essersi scoperto troppo, ma ormai il danno era fatto. No invece. Mello non lo stava prendendo in giro, anzi a guardarlo meglio sembrava persino dispiaciuto per lui.
"Non lo so. Forse. E' particolare."
Rispose Near ricordandosi che poco tempo prima, a cena, lo stomaco gli si era chiuso quando la ragazza gli era passata accanto ed uno strano calore lo aveva avvolto.
"Allora... ehm... mi farò venire in mente qualcosa."
Near non credeva alle sue orecchie. Alzò lo sguardo su Mello e inebetito chiese conferma.
"D... davvero?!"
"Non fare quella faccia da pesce lesso. E' che mi fai pena, quindi ti aiuterò. SOLO per quello!"
Mello era diventato blu, neanche rosso e Near accennò un sorriso che per poco non stese il biondo.
"Grazie, am..."
Forse era meglio fermarsi a grazie.
"Prego, per..."
Forse era meglio fermarsi a prego.
La loro era un'intesa particolare, un'amicizia non dichiarata, ma che esisteva, c'era sempre stata e sarebbe durata. Il loro legame era indissolubile, ci sarebbe stato per sempre ed entrambi sapevano che su qualcuno potevano sempre contare.
Il piano di Mello era il seguente. Near avrebbe dovuto prima di tutto lasciare un bigliettino a Grill con scritto che l'aspettava nel giardino. Se poi avesse aggiunto che voleva chiederle scusa, lei sarebbe andata sicuramente. Poi le avrebbe offerto una caramella alla menta, le sue preferite e le avrebbe chiesto scusa di persona. Pochi semplici gesti e tutto si sarebbe risolto. Arrivò il momento cruciale. Mello era nascosto dietro un albero. Grill arrivò.
"Ciao Near."
"Ciao Grill."
Near era teso, ma solo Mello se ne accorse.
"Tieni."
Si avvicinò alla ragazza e le diede la caramella.
"Scusami per l'altro giorno, sono stato scortese. Mi piacerebbe passare del tempo insieme a te. Se ancora vuoi."
L'albino la guardava a tratti e la ragazza sbigottita strinse tra le man il dolciume.
"Credi che sia davvero possibile?"
A quella domanda Near tremò. Una strana consapevolezza lo colpì, peggio di un gancio ben assestato. Fissò quegl'occhi color cioccolato e sconsolato capì.
"No."
Lui sarebbe diventato L. Lui non poteva. Lei lo sapeva e con un sorriso amaro lo lasciò.
Mello non si era perso un respiro. era senza parole. Quei due avevano praticamente comunicato telepaticamente e lui non aveva afferrato una mazza.
"ma si può sapere che ti è preso?!"
Urlò furioso, si sentiva preso in giro.
"E' meglio così."
E l'unico motivo per cui il biondo non disse nulla furono gl'occhi tristi dell'albino.
"Secondo me è solo perchè voi due non ci sapete fare con le ragazze. Siete proprio negati."
Matt, sbucato fuori dal nulla, aveva espresso il suo parere. Tutto seguito dal sonoro vaffanculo di Mello e dal dolce risolino di Near.

Fine

"Si, chi è?"
troppo palese che aspettassero la sua chiamata.
"Non prendetemi in giro."
In quel momento Near non aveva proprio voglia di essere pacato.
"Oh dai. L non ti sarai davvero offeso?"
"Un mio agente ha rischiato la vita per un vostro scherzo, ho tutto il diritto di essere alterato. Se volevate sapere il motivo delle mie ricerche bastava chiedere. Comunque grazie per aver freddato Kazue prima che lei uccidesse Key."
Avevano trovato la donna con un buco nel craneo e il loro agente ferito, ma vivo.
"Se tu fossi stato sincero fin dall'inizio... praticamente ci hai usato per superarci! Ci credevi così idioti? E poi tu hai messo in repentaglio la vita del tuo uomo. Dovevi annullare la missione se ci tenevi tanto."
Quella voce metallica dava i nervi e Near si ritrovò nei panni dei suoi sottoposti quando parlava attraverso i monitor.
"Vi diverte giocare con le vite altrui?"
Chiese senza riflettere l'albino.
"E tu, L, non hai mai scommesso con la vita di nessuno?"
La chiamata venne bruscamente interrotta.

Nonostante la pessima giornata Near aveva trovato un regalo per Margaret e c'era il 48% di possibiltà di essere perdonato. Finalmente avrebbe rivisto il suo dolce sorriso non solo quando lei voleva consolarlo, ma sempre. Poi il telefono del suo studio squillò. Near scattò sul chi va là. La prima e ultima volta che aveva risposto a quel telefono, la sua vita era stata sconvolta dalla figlia di Matt. Titubante, l'albino alzò la cornetta e rispose con la solita voce atona.
"Pronto?"
"Pronto, Near?"
Nonostante la voce fosse metallizzata dall'apparecchio, Near riconobbe subito Isabelle. Il suo cuore perse un battito.
"Isabelle... sono io."
Possibile che ogni volta che parlava con lei non riuscisse a mettere insieme una frase?!
"Prima di tutto volevo dirti di non preoccuparti, è stata Margaret a darmi questo numero."
"Sì, lo immaginavo."
Stupido! Near devi cercare di essere meno freddo, non devi rovinare le cose di nuovo!
"Oh... ok."
"Comunque posso fare qualcosa per te?"
Near si complimentò con se stesso per essere riuscito a dire la cosa giusta. Il tono freddo di sempre c'era per abitudine, ma l'albino cercava di dargli un' inclinazione gentile.
"Ehm... sì. Vedi Near... ci sarebbe una cosa che dovrei dirti... ma vorrei farlo di persona."
Il cuore dell'abino accellerò nuovamente.
"Capisco. Quando hai intenzione di venire?"
Presto, presto, presto...
"Tra un paio di mesi, nel periodo natalizio. Ho molto lavoro, perciò devo attendere le ferie. Immagino che tu lavorerai lo stesso, quindi se non distur..."
"Andrà benissimo. Sono certo che troverò un po' di tempo."
La conversazione stava prendendo una piega decisamente migliore e Near sorrise quando sentì sospirare di solievo dall'altra parte del ricevitore.
"Ok.. prima di attaccare dovrei chiederti una cosa?"
Near non le avrebbe mai detto di no, se usava quel tono di voce timido e dolce.
"Dimmi."
Essere neutri era sempre più difficile.
"Tu avevi già risolto il caso Leclerc. Pensavo di aver notato quel dettaglio prima di te, visto che non chiudevi il caso, ma ho peccato di vanità. Perchè non l'hai chiuso subito?"
In effetti subito dopo la partenza di Isabelle, Near aveva chiuso il caso. Quella famosa multa poteva sviare i sospetti, ma era la chiave per incastrare Hunt, che quel giorno, vestendo i panni di Leon, aveva concluso un affare con l'amico di Duquesne. In quei documenti che non aveva consegnato ai Francesi c'era la risposta, ma qualcosa l'aveva trattentuto.
"E' meglio se te lo dico di persona."
Near era certo che Isabelle stesse sorridendo, l'aveva intuito dal leggero sbuffo al telefono.
"Ok... allora a presto."
Prima che Isabelle potesse riattaccare Near disse qualcosa di getto, senza pesarci.
"Non vedo l'ora."
Un sussurro. Near aveva sussurrato i suoi pensieri e la lunga pausa che ne seguì gli diede la speranza di non essere stato udito.
"Anch'io."
Tu... tu... tu...
Anch'io.
Near non uscì dal suo studio per tre ore buone e non permise a nessuno di entrare, perchè sorrideva e non riusciva a smettere. Ora la possibilità che Maragret lo perdonasse era del 100%.

"Che cosa vuoi?"
Ogni volta che Margaret usava quel tono arrabbiato con lui si sentiva il babau.
"Camera tua è pronta."
Si limitò a dire Near con il solito tono piatto. La bambina si alzò e senza guardarlo si diresse nella sua stanza. Quando entrò rimase di stucco. Le pareti erano di un giallo tenue, verdi pisello e azzurre. I mobili erano cambiati. la scrivania era di un caldissimo color scuro, così come l'armadio a due ante. Il lampadario sembrava un sole in mezzo alla stanza. La libreria conteneva tutte le sue cose e i suoi lavori ben ordinati e sul comodino c'era la foto dei suoi genitori. Il letto era il pezzo forte. Grande, immenso, ad una piazza e mezzo. C'erano tantissimi cuscini, verdi e rossi, come le lenzuola e la coperta. Ed in bella vista... il coniglio di Near.
Alla bambina vennero le lacrime agl'occhi e dovette sforzarsi per non strillare dalla gioia.
"Buon compleanno!"
Esclamarono Halle, Rester e Jevanni, il più euforico di tutti.
La piccola si girò, ma non riusciva a dire grazie tra i singhiozzi. C'erano anche Roger e Near.
"In cucina c'è una torta che ti aspetta e il resto dei tuoi regali piccola."
Disse Roger sorridendo, ma mantenendo un atteggiamento composto.
"Davvero... sigh... non so cosa dire... sigh."
Era l'8 ottobre, il suo compleanno, ma non pensava che gli avrebbero mai fatto una festa. Massimo gli auguri. Poi una sorpresa del genere era del tutto fuori dai calcoli. Improvvisamente la bambina ripensò alle domande di Near e cercò il suo sguardo. Non riuscì ad incrociarlo, perchè il detective se ne stava fuori dalla porta e guardava altrove. Così gli andò in contro e strattonò il suo pigiama.
"Io non capisco zio Nate."
Gli confessò asciugandosi le lacrime. Prima di rispondere il detective attese di essere lasciato solo con la piccola.
"Anch'io, ma non mi dispiace. Vorrei davvero che tu non mi vedessi come..."
Sospirò.
"Sul lavoro, perchè per quanto tu sia intelligenete ancora non puoi capire. Ma io..."
Non sapeva più cosa dire. Nulla avrebbe avuto senso o sarebbe servito.
"Voglio davvero..."
Cosa dire?
"Ok zio. E' colpa mia. Ti avevo promesso niente problemi e che sarei stata all'altezza, ma non ci sono riuscita. mi perdoni?"
E di cosa? Lei non aveva fatto nulla di male se non riflette col candore tipico dei fanciulli.
"Non hai nulla da farti perdonare. Sono io che ti chiedo scusa. Dovevo capire quali erano i limiti."
Dopo un momento di imbarazzante silenzio la piccola chiese.
"Come si chiama?"
"Roger."
Era ovvio che si riferisse al coniglio.
"E un'ultima cosa. A Natale Isabelle verrà a trovarci. So che siete rimaste in contatto via mail, ma immagino vorrai vederla di persona."
Margaret gli saltò al collo ed emise un urletto di gioia.
"Grazie, grazie zio Nate. Sei perdonato!"
Lo sapevo!

"Ci ha riattaccato in faccia."
"Forse..."
"Già... forse... ma non cancella il passato."
"Piuttosto pensiamo al presente. Voglio, devo sapere cosa ne è stato della mia bambina!"

Note dell'autrice:
E dopo un ritardo di quattro mesi, che mi fa vergognare da morire, ecco il capitolo 12. Non so cosa scrivervi se non scusa... scusa... e ancora scusa! Un vuoto di ispirazione, ma vi assicuro che se lo avessi scritto mesi fa, questo capitolo sarebbe stato un aborto e non mi avrebbe soddisfatto tanto. Spero sia di vostro gradimento e che soddisfi le aspettative. -4 all'evento che sconvolgerà la storia. Prossimo capitolo non ne parliamo, causa esami che incombono come una spada di Damocle. Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo e le piccole storie che ho pubbòlicato nel mentre. Per chi non le avesse viste, sappia che ho aggiunto delle piccole storie a se stanti, molto smielate, infatti la prossima (te voia a quando) sarà più allegra. Così da tappare dei buchi nella storia principale e per analizzare meglio alcuni personaggi che fino ad adesso non hanno avuto molto spazio.
Alla prossima e grazie!
Nadia_92

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