Un groviglio di memorie

di ReiraIchinose99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Un groviglio di memorie ***
Capitolo 2: *** La bambina dagli occhi color zaffiro ***



Capitolo 1
*** Prologo-Un groviglio di memorie ***


Prefazione

Questa storia narra le vicende passate di un personaggio che ho tirato fuori attraverso un gioco di ruolo. Non so bene dove mi condurrà il filo di questa narrazione. L'ho iniziata perchè ne avevo voglia,così di getto,esibendo uno stile volutamente velleitario,un po' barocco (spero di non essere linciata per l'egocentrismo incorreggibile..),che spero possiate almeno minimamente apprezzare. Che dire? Lo stile lezioso,ampolloso,mi intriga. E' un po' il mio,e la scrittura,l'ennesima modalità per rendere l'idea di una dinamica,di un'immagine come se il lettore stesse assistendo alla scena in prima persona.
Akane (la protagonista) è nata,stavo dicendo,come mia pg all'interno di un gdr,ma non ho voluto scegliere quella sezione perchè nella mia storia (almeno inizialmente) non si metteranno in prosa vicende coincidenti con le role,ma riguardanti la sua infanzia per riuscire a comprendere al meglio l'introspezione psicologica su cui è incentrato il racconto che sto per propinarvi.
E' la mia prima long-fic, ma non la mia prima fic a carattere introspettivo,per cui spero possiate (cari lettori,sempre se ci sarete e se apprezzerete..gradisco anche le critiche più pesanti,premetto) dare una lettura a questo mio piccolo delirio.
Ora mi fermo perchè ho già svelato troppi dettagli. Non mi resta che augurarvi buona lettura,
Baci
ReiraIchinose99
 

Un groviglio di memorie


Prologo

 
Una figura camminava eretta, con grazia inaudita e incedere altezzoso. Se la si guardava con attenzione si potevano scorgere i lineamenti fini,le labbra piene e carnose,il naso dritto,e gli zaffiri splendenti incastonati nelle orbite. Lo sguardo penetrante, lungo, quasi vuoto. Si era svuotato di quel groviglio di sentimenti che un tempo si erano accavallati tumultuosamente su quel viso. Era lei. Un groviglio di disarmanti forme appena accennate, ricoperte da pelle nivea. Con gli occhi in cui si riflettevano pagliuzze colorate, osservava guardinga le luci artificiose e accecanti di quella Tokyo al tramonto. Una Tokyo che nascondeva insidie per quella giovane donna, appoggiata sull’uscio del proprio condominio. Non era neppure una donna, ma una ragazza che nascondeva una malcelata e dirompente debolezza. Una debolezza corrosiva, che non le permetteva di coronare i propri sogni. Era vero, non era né ambiziosa, né interessante,come le aveva fatto notare l’ultimo uomo che l’aveva definitivamente messa da parte,facendole accapponare la pelle alla cruenta consapevolezza di restare nuovamente sola. In quel momento però, alla ragazza non importava più. Sentiva lentamente il manto notturno portare via quel giorno grigio, senza amore, che sarebbe diventato l’emblema della consuetudine.
E lei rimaneva lì: altezzosa, statuaria: ridotta ad un bellissimo ghirigoro d’umanità,dalla personalità controversa e ingestibile. Mai più gocce di cristallo avrebbero solcato quei lineamenti fini, infantili, come di consuetudine qualche tempo prima.
Su quel corpo non c’erano più colori sgargianti, emblemi di un’adolescenza attempata che non aveva avuto modo di manifestarsi prima di vent’anni appena compiuti. Un lugubre tailleur nero di stoffa pregiata fasciava quel corpo dimagrito, più marmoreo, ridotto ad un groviglio di rimpianti ed ossa. Coloro che l’avrebbero incontrata, si sarebbero trovati di fronte a quel che rimaneva di una giovinezza spezzata da tanta vulnerabilità, da fulgide illusioni che la realtà aveva incrinato.
Il volto era dipinto di un trucco pesante, eccessivo per una giovane giunta nei più floridi anni della giovinezza, e la ragazza pareva una bambola di porcellana dallo sguardo vitreo, intristita da qualcosa di impercettibile e distante.
Quel qualcosa era l’amore. L’amore di cui lei aveva fatto la sua ragione di vita, ma che l’aveva tradita,ripudiata,facendole maturare in quell’animo inquieto la convinzione di non essere in grado di collegarlo ad una solida e duratura felicità.
Quell’essere fulgido emise un sospiro che si andò a disperdere nel vento, come una piccola rimembranza di un grande dolore sepolto dal tempo, ma non dal cuore.
La bocca della donna, una volta solita a dissimulare sorrisi mozzafiato, era invece impegnata in un cipiglio deciso, e gli occhi ridotti a due fessure, a causa di un perenne malessere. Una malinconia persistente accompagnava la ragazza attraverso una scia immancabile, una reminescenza lontana e insostituibile di un passato ricco di movimento e di un presente colmo di rassegnazione.
A causa di ciò che non c’è stato ma che ci sarebbe potuto essere. Come se giunti a un certo momento della vita, anche piuttosto presto, ci si sente come se tutto il meglio sia già passato, e si vive sopravvivendo a se stessi dalla mattina fino alla sera,avvolti in un plumbeo riflesso di infelicità.
Akane Tsubaki era uno di quegli individui rassegnati, e tenendo in piedi una finta altezzosità da donna in carriera reprimeva ogni suo istinto infantile, docile,se non gran parte del suo reale profilo caratteriale. Si era adattata a una società superficiale all’interno del quale si era convinta di non poter sopravvivere con la vecchia se stessa. Quella se stessa che aveva ricevuto ferite, alcune se le era volute,mentre le altre erano venute da sole a ricordarle l’inutilità e la sfortuna da sempre appartenute alla sua persona.
C’erano stati momenti felici, certo,come il risuonare della sua limpida voce sui muri biancastri e scrostati della sala di registrazione di quella grossa casa discografica che aveva tentato di darle un futuro da artista.
Non poteva dire di essere completamente sola in quel momento,ma lo era dentro di se,come sempre. Non c’era il suo adorato principe azzurro. Non l’aveva mai trovato. Era solo una fulgida idealizzazione che aveva appioppato ad ogni uomo con cui era stata, e che aveva suggellato nella sua anima,impossibile da estirpare. Quell’idealizzazione che l’aveva fatta inciampare,e rialzare più volte.
In quell’esatto istante non aveva la voglia di rialzarsi,e non le rimaneva scelta se non quella di affermare nuovamente l’identità fragile che la componeva.
Si poteva paragonare la sua esistenza a quella di un fragile fiore propenso a emanare brillantezza, ma dotato di una tale fragilità che anche una breve brezza avrebbe potuto reciderlo irrimediabilmente.
Akane era nata sotto una cattiva stella, di questo ne era convinta. Era una persona negativa, certo, e agli uomini non piaceva ritrovarsi di fronte ad una bambolina di porcellana fragile e insicura. Certo, dalle doti estetiche e dolcezza disarmanti,ma pur sempre un fantoccio,destinato ad invecchiare,scolorirsi,sporcarsi,e infine soccombere,come tutti i fantocci.
Ed era una principessina sola e infantile, perché aveva passato anni chiusa in un bozzolo di vetro, fatale, con gli occhi color zaffiro incastonati nei meandri di pagine ingiallite di libri ogni volta diversi.  Libri che, oltre che parvenze di vita teoriche, non le avevano dato modo di sperimentare la vera vita al di fuori di un castello enorme,bellissimo,ma opprimente.
Ne era uscita fuori, una donna fisicamente oramai fatta, ma anche un’anima ingenua, ignara delle tenaglie che l’avrebbero soffocata in seguito, facendole toccare con mano gli ostacoli della vita, i quali non era abituata a superare.
Le pareva tutto liscio, in pianura, e la vita ridotta ad una stanza piena di storie,libri,un universo idilliaco che si infrangeva quando si oltrepassava quella soglia e gli orrori dell’imperfezione umana si manifestavano puntualmente nella sua peggiore forma.
Akane aveva conosciuto quegli orrori.
La ragazza dai capelli neri, lisci, lucenti,che le arrivavano appena all’incavo tra il collo e la spalla, si aggiustò il capello nero e ornato di rose bianche,leggermente spiegazzato e i capelli scarmigliati dalla brezza primaverile..
Chiuse gli occhi e le palpebre incedettero dolcemente verso il basso accompagnando il lieve movimento sancito dall’avanzare del venticello.
Un fruscio accompagnava persistentemente la scena dalla dinamicità quasi impercettibile.
Dopo un lasso di tempo indeterminabile il groviglio delle memorie passate assalì il fragile corpo di donna trasportandolo con sé nel suo vortice senza fine.

 

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Capitolo 2
*** La bambina dagli occhi color zaffiro ***


Capitolo 1- La bambina dagli occhi color zaffiro
 
“Lei era una bambina dagli occhi color zaffiro.” aveva detto la zia con la voce rotta dal pianto un giorno in cui un grigiore sembrava permeare l’atmosfera circostante. Un uomo dall’espressione austera la ascoltava in un pauroso silenzio mentre si rigirava tra le mani nodose un block notes di appunti. Nel frattempo imprimeva il suo sguardo pesante e incisivo sulla donna martoriata dai sensi di colpa che se ne stava seduta sul divanetto in pelle di fronte a lui. Un divanetto verde bottiglia, che Akane appena quindicenne aveva chiazzato più volte di gocce di cristallo…
L’uomo annuiva e ogni tanto scriveva qualcosa distrattamente. Gli occhi grigi, i lineamenti marcati, l’espressione apatica, tutto faceva trapelare un intenso e malcelato malessere generale. Un malessere palpabile e impossibile da estirpare.
La donna accavallò leggermente le gambe. Il ticchettio della pioggia battente impregnava la scena di un angoscioso sottofondo. L’uomo intanto le rivolgeva domande, e scriveva, simulando una concentrazione che non aveva. La zia di Akane aveva gli occhi lucidi sovrastati da un fazzoletto bianco retto a stento dalle mani ossute, ridotte a una matassa di ossicini coperti da un sottile strato di carne nivea. Il collo da cigno e il profilo aristocratico ridotto ad una smorfia dolorosa. Una smorfia che nessuno si sarebbe mai aspettato. Una smorfia che si dispiegava sul suo viso un tempo rosseggiante, ricoperto da una sottile patina di severità ingiustificata nei confronti di quella ragazza (Akane) che aveva praticamente cacciato da casa sua. In quel momento se ne pentì.
La sua figura, sbattuta su quel divanetto verde bottiglia, prese la forma di un aggrovigliarsi confuso di lati macabri e vanaglorie nascoste, coltivate col passare degli anni. Infantilismi repressi e pregiudizi si erano riversati su quella ragazza eterea e innocente che dopo aver perso il nucleo familiare più stretto si era rivolta a lei.
In quell’istante la zia di Akane si mise una mano sul viso e si sentii marcire, appassire per sempre, come persona e come donna. La muraglia di ideali che aveva cercato di impartire ai suoi figli si era sgretolata e ridotta ad una poltiglia che si era portata dietro Akane. Se l’era portata via per sempre, e non sarebbe più tornata.
La coscienza iniziò ad attanagliarla tempestandola di uncini perforanti, letali, che l’avrebbero consumata lentamente, linciandola attraverso un susseguirsi di sensi di colpa sempre più potenti e incisivi.
La donna oramai sulla cinquantina, si sentì un individuo fatiscente, squallido, come  gli sprechi voluttuosi della classe sociale più danarosa, come la morte precoce dei bambini poveri del terzo mondo, come le organizzazioni mafiose che affliggevano alcune popolazioni, come le epidemie incurabili..
Sentii come se una piaga primordiale avesse afflitto il suo animo, come se una figlia le fosse irrimediabilmente sfuggita di mano, senza più possibilità di recupero.
L’uomo nel frattempo continuò a fissarla con ostentata insistenza. I suoi occhi invadenti le si erano posati sulla nuca sottile e ben delineata. Un altro uomo sbucò da dietro il divanetto e le sussurrò parole di conforto. La donna fece una smorfia rassegnata mentre cercava di non sprofondare nell’ennesimo pianto inutile e disperato. Spezzò definitivamente la catena di lacrime che le avevano solcato i lineamenti oramai quasi estinti dalle rughe incombenti. Con un gesto deciso della mano allontanò il disturbatore che stava cercando malamente di consolarla e si alzò dal divanetto infrangendo la tragicità patetica di quella scena. Da donna risoluta fece accomodare i due fuori dalla porta, e tornò a sedersi sul divanetto stavolta senza altre superflue presenze.
Un istante dopo si avvicinò ad un portafotografie riposto su un tavolino impolverato di legno laccato avorio. Lo afferrò con entrambe le mani curate e vi fece scorrere lo sguardo assorto qualche tempo. Un tempo che fu molto lungo, o comunque abbastanza per fissare la malinconica immobilità di quella scena in chiunque avesse avuto modo di contemplarla. Era lei. Sempre lei. Un fantasma. Una persecuzione. L’icona di un passato imputridito dagli sbagli commessi e ripercuotibili su un macabro presente e un tenebroso futuro in allerta. La zia riuscì a comprendere l’importanza della scena immortalata da quella foto sbiadita. Era Akane, con i suoi capelli lucenti che ricadevano pesanti e al contempo leggeri sulla schiena minuta. La sua figura eterea e falsamente sorridente accanto a quella funesta dei suoi figli, che sfortunatamente non riuscivano ad eguagliare la bellezza e il fulgore emanati dalla ragazza alta accanto a loro. Sembrava una dea proveniente da una galassia distinta e irraggiungibile.
La maledizione era costituita dal fatto che forse in quella galassia Akane, ci era tornata.

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