Il velo di Alia

di Cathy Earnshaw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Re Uther ***
Capitolo 2: *** Dieci anni dopo ***
Capitolo 3: *** Un lungo viaggio ***
Capitolo 4: *** L'Everdark ***
Capitolo 5: *** Keras ***
Capitolo 6: *** Un nuovo compagno di viaggio ***
Capitolo 7: *** Veleni ***
Capitolo 8: *** Guai al monastero ***
Capitolo 9: *** Le ombre di Kellenwood ***
Capitolo 10: *** Alia ***
Capitolo 11: *** Il ballo ***
Capitolo 12: *** Schegge di passato ***
Capitolo 13: *** Lezioni di magia ***
Capitolo 14: *** Nel cimitero ***
Capitolo 15: *** Il Principe di ghiaccio ***
Capitolo 16: *** Il duello ***
Capitolo 17: *** Di nuovo in viaggio ***
Capitolo 18: *** Alla ricerca della Libellula ***
Capitolo 19: *** La debolezza di Kysen ***
Capitolo 20: *** La pista ***
Capitolo 21: *** Imprevisti ***
Capitolo 22: *** Uno strano dono... ***
Capitolo 23: *** Il salvataggio ***
Capitolo 24: *** La strada di casa ***
Capitolo 25: *** Vela verso Kriam ***
Capitolo 26: *** La Fenice ***
Capitolo 27: *** Magia medica ***
Capitolo 28: *** L'assedio di Ares ***
Capitolo 29: *** Conflitti ***
Capitolo 30: *** L'ultima notte ***
Capitolo 31: *** Addio Vanessa ***
Capitolo 32: *** Colpo mortale ***
Capitolo 33: *** Un nuovo Capitano ***
Capitolo 34: *** Joseph ***
Capitolo 35: *** I meandri oscuri di Kellenwood ***
Capitolo 36: *** Il Capobranco ***
Capitolo 37: *** Il crollo di Darkfield ***
Capitolo 38: *** Un sospiro di sollievo ***
Capitolo 39: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 40: *** La proposta di Kysen ***
Capitolo 41: *** Un nuovo Re ***
Capitolo 42: *** Conto alla rovescia ***
Capitolo 43: *** Nell'incubo ***
Capitolo 44: *** All'ultimo sangue ***
Capitolo 45: *** Il prezzo da pagare ***
Capitolo 46: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Re Uther ***


Eppure doveva essere là! La bambola di pezza di Hermione doveva essere rimasta in cucina. Alcesti sapeva che se mamma e papà la avessero scoperta fuori del letto a quell’ora l’avrebbero picchiata, ma la sua sorellina non riusciva proprio ad addormentarsi senza la sua bambola. Purtroppo però al buio non la trovava, le ombre si prendevano gioco di lei. Immersa nella ricerca, ma le orecchie tese a carpire il minimo rumore, fu velocissima a nascondersi nel mobile intarsiato accanto al bancone non appena si rese conto dei passi che si avvicinavano. Si aspettava di veder comparire la madre incinta, solita muoversi di notte per la casa cercando di ingannare il senso di nausea, perciò si lasciò quasi tradire da un sussulto vedendo varcare la soglia Re Uther accompagnato da suo padre. Si sedettero al bancone proprio accanto a lei. Temeva potessero udire il battito frenetico del suo cuore. Il Re parlò:
- Qual è il motivo di tanta urgenza, Sir Merthin?-
- Le mie ricerche, Sire, mi hanno spinto a chiedervi udienza questa notte. Ho trovato degli antichi documenti che testimoniano l’esistenza di una città, chiamata Alia, dedita all’uso della magia! Non ho scoperto le esatte coordinate, che sono state criptate, ma ho capito in che direzione dirigermi-.
- Che cosa volete dunque da me?- domandò il Re, a metà tra il sarcastico e lo sdegnato.
- L’autorizzazione a lasciare la città, e 10 dei vostri migliori cavalieri-.
- Voi siete pazzo! La leggenda di questa città ricompare periodicamente da generazioni, e moltissimi uomini sono partiti alla ricerca delle sue arcane arti, ma non uno, NON UNO è tornato indietro!-
- Ma Sire, se io la trovassi potremmo contrastare gli assalti dei druidi con la magia! I nostri problemi sarebbero definitivamente risolti!-
- Quella città non esiste! Non manderò i miei cavalieri incontro a morte certa! Voi siete folle!-
Il Re se ne andò sbattendo la porta. Sir Merthin, per nulla scoraggiato, rifletté per qualche minuto, e infine, con sguardo determinato, uscì dalla stanza.
Alcesti, affascinata da ciò che aveva appena udito, tornò silenziosamente a letto, senza la bambola ma con molto materiale su cui sognare.
La mattina dopo, Sir Merthin era scomparso senza lasciare traccia. Non una parola alla moglie, non un bacio alle sue bambine, non un congedo dagli altri cavalieri. Alcesti sola sapeva dove era diretto il padre, ma se avesse parlato, la punizione del re sarebbe stata esemplare. Uther aveva ragione: non tornò mai. 

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Capitolo 2
*** Dieci anni dopo ***


- Madre, sono a casa!-
Alcesti ora aveva tutte le informazioni di cui aveva bisogno. Era giunto il momento di partire. Sua madre le si fece incontro.
- Dove sei stata?-
- In biblioteca, madre-.
- Possibile che alla tua età tu passi tutti i santi giorni tra i libri? Non sarebbe ora che tu ti sposassi, invece di rifiutare tutti i giovani che ti si propongono?-
- Non posso sposarmi, madre, non ora: sto per partire!-
- Partire?!-
Aveva cercato a lungo un modo indolore per comunicare la sua decisione alla famiglia, ma non era stata capace di trovarne uno.
- Venite-.
Sua madre la seguì nel cortile retrostante la villetta, dove le gemelle, Hermione e Antigone, e la sorellina Elettra stavano stendendo i panni lavati. Vedendo il viso preoccupato della madre, le giovani si avvicinarono silenziose, ma i loro sguardi erano più eloquenti che mille parole. Con voce tremante, Lady Ingrid disse:
- Vostra sorella vuole andarsene…-.
Le tre trattennero il fiato. Prima che potessero rendersi conto del significato di quelle parole, Alcesti decise che era giunto il momento della verità.
- Mi rendo conto che, essendo la sorella maggiore, è mio dovere aiutare nostra madre a prendermi cura di voi e della casa, ma prima che possiate giudicarmi, c’è una cosa che dovete sapere, una cosa che è stata taciuta troppo a lungo. La notte in cui nostro padre scomparve, udii una conversazione di cui nessun altro fu mai a conoscenza-.
L’uditorio ascoltava come impietrito. Alcesti continuò:
- Quella notte, Hermione non riusciva ad addormentarsi perché aveva dimenticato la sua bambola in cucina, così la andai a cercare. Mentre mi trovavo là, udii dei passi e, temendo si trattasse della mamma, mi nascosi nel mobile per evitare la punizione. Non era lei. Entrò nostro padre, con Re Uther!-
Elettra gemette.
- Nostro padre disse di conoscere l’ubicazione di una città in cui si praticavano arti magiche, e di poterla trovare per sconfiggere con nuovi mezzi i nemici di Darkfield. Chiedeva al Re il permesso di partire con 10 cavalieri-.
- E il Re cosa fece?- chiese Antigone.
Alcesti sospirò.
- Negò il permesso, sostenendo che si trattava di una leggenda e che partire significava andare incontro alla morte. Se ne andò sbattendo la porta. La mattina dopo, nostro padre era scomparso-.
Lady Ingrid era mortalmente pallida.
- Stai dicendo che partì da solo alla ricerca di una città inesistente? Che la antepose alla sua famiglia? Perché non ne hai parlato allora? Avremmo potuto fermarlo!-
- Re Uther era contrario! Se avessi parlato, nel migliore dei casi mi avrebbe condannata per alto tradimento! Ora che è morto, però, è troppo tardi. Papà voleva salvare la nostra patria dai druidi, e con lei la sua famiglia. Infondo partì per noi, per garantirci un futuro di pace…-.
Hermione, che sembrava essersi spenta nel corso del racconto, con un sussulto, disse:
- Tu vorresti partire alla ricerca di questa città? Sei impazzita? Non tornerai nemmeno tu!-
- È qui che vi sbagliate. Da quel giorno ad oggi ho cercato ininterrottamente notizie su questa fantomatica città, facendomi raccontare dagli anziani vecchi miti, interrogando viaggiatori, traducendo rune. Ho passato la maggior parte di questi anni in biblioteca, ma alla fine, la mia ricerca ha portato dei risultati! Ho le coordinate approssimative della città di Alia, e domani partirò alla ricerca di nostro padre-.
La madre la guardò negli occhi:
- Tuo padre è morto, bambina, e tu hai 21 anni, una vita davanti a te. Non gettarla alla ricerca di qualcosa che non esiste. Inoltre là fuori è pericoloso per una ragazza sola e inesperta del mondo-.
- Ho imparato a combattere bene con la spada, madre, e so badare a me stessa. Se non parto adesso, lo rimpiangerò per sempre…-.
Elettra piangeva. Era perspicace, e aveva già capito che la madre non avrebbe fermato sua sorella.
 
L’indomani, alle prime luci dell’alba, Alcesti si assicurò al fianco Maya, la sua fedele spada, indossò un mantello da viaggio, si nascose addosso un po’ di denaro, sapendo che non avrebbe potuto vivere solo di ciò che avrebbe trovato e rubando a bande di briganti ubriachi, e si preparò a lasciare la sua casa, forse per sempre. Baciò la madre, abbracciò le sue sorelle e fece promettere loro che non avrebbero fatto parola con nessuno della sua meta. Salendo in groppa a Chronos, il suo bellissimo cavallo bianco, trattenne le lacrime che le facevano bruciare gli occhi e pregò di poter rivedere la sua famiglia al ritorno dalla sua avventura. 

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Capitolo 3
*** Un lungo viaggio ***


La luce lattiginosa dell’alba sommata alla nebbiolina che avvolgeva i campi dava alla Contea un’aria spettrale. Presto si sarebbero cominciati ad intravedere contadini assonnati che, silenziosi come ombre, davano inizio alla loro lunga giornata lavorativa. Alcesti si era sempre chiesta come potessero delle creature così fragili sopravvivere a ritmi tanto serrati: lei, figlia di un cavaliere di nobili natali, non aveva mai sperimentato il lavoro, e lo temeva. Dopo la scomparsa di suo padre, la situazione della sua famiglia non era stata delle più rosee. La madre si era sforzata di limitare le spese, soprattutto per quanto concerneva i domestici, e si era persino prodigata in alcuni lavoretti di cucito per garantire alle tre figlie una buona istruzione. Alcesti, in particolare, aveva avuto l’insolita possibilità di studiare l’arte della spada, seguendo un’inclinazione che, da bambina, l’aveva portata a nascondersi nelle siepi dei campi di addestramento per poter osservare i cavalieri all’opera. Questa piccola follia ora poteva riportarla a casa sana e salva.
Spesso la giovane si era interrogata sulla sorte del padre: aveva trovato Alia? Se si, perché non era tornato? Gli era successo qualcosa lungo il tragitto? Era un cavaliere esperto, perciò forse la attendevano pericoli incredibili… oppure suo padre si era perso, e per questo non era mai arrivato alla meta. Forse, Uther aveva ragione e quella città non era mai esistita. Eppure, la sua esistenza era storicamente provata! Forse, era sì esistita, ma era stata abbandonata, magari da generazioni e generazioni, e la magia era sparita con lei, e con Sir Merthin.
Il viaggio di Alcesti voleva trovare una risposta a tutti questi interrogativi.
 
La ragazza sapeva di non correre particolari pericoli nel territorio della Contea, essendo per la maggior parte coltivata a campi e a pascolo. I problemi sarebbero cominciati una volta entrata in quella che la gente del posto chiamava, quasi con reverenza, l’Everdark: la grande foresta che occupava tutto quanto il territorio attorno a Darkfield.
 
La mattinata trascorreva lenta sul suono monotono degli zoccoli di Chronos che battevano il terreno al passo. Le possibilità di tornare indietro diminuivano sempre di più, per contro aumentava la voglia di muovere i primi passi da sola, senza il condizionamento di una madre autorevole e di 3 sorelle minori. Man mano che il paesaggio variava, Alcesti si sentiva sempre più libera, e insieme sempre più legata all’impresa che si era posta come obbiettivo. Era sicura che la sua non fosse una follia. La sua Maya ne era la testimonianza. Era stato suo padre a donargliela: il giorno prima di lasciarle, Sir Merthin aveva fatto dono alle sue bambine di un oggetto a testa, uno specchio d’argento lavorato per la non ancora nata Elettra, un bellissimo abito da dama per la slanciata Hermione, un mantello di ermellino per la superba Antigone, e quella spada per la orgogliosa e ostinata figlia maggiore.
- Questa è Maya, la famosa Starblade. Fu forgiata più di 600 anni fa per il capostipite della nostra casata. Ora appartiene a te: falle onore-.
Le parole di suo padre avevano risvegliato un orgoglio nel cuore di Alcesti che non credeva di possedere. Da quel momento si era impegnata per mantenere vivo il ricordo dei suoi antenati che avevano a loro volta brandito la Starblade.
Suo padre doveva sapere che la sua figlia prediletta sarebbe partita a sua volta, per questo aveva voluto prepararla.
Sullo sfondo cominciava a profilarsi la foresta. La sua estensione era notevole, tanto che non sarebbe stato possibile attraversarla in un solo giorno. Questo significava dover passare, nel migliore dei casi, una notte all’addiaccio, cosa che a sua volta comportava correre grossi rischi. La foresta era, infatti, popolata da briganti, fuorilegge, bande di condannati a morte fuggiti dalle carceri o dalle mani del boia che vivevano di ciò che riuscivano a rubare ai passanti, i quali spesso ci rimettevano la vita. Accamparsi nella foresta voleva perciò dire ideare un ottimo sistema di autodifesa.
 
Il sole era ormai allo zenit, e Alcesti cominciò a cercare una locanda o una qualche osteria per mettere qualcosa nello stomaco. Era il terzo paese che attraversava fuori dei confini della città, ed era tremendamente uguale agli altri due. Le dava l’impressione di continuare a girare attorno. Finalmente trovò il posto che faceva per lei: una piccola locanda accogliente gestita da una signora grassottella con un bambino di circa tre anni. Alcesti sperava di non incontrare nessuno di sua conoscenza, sarebbe stato difficile spiegare cosa ci faceva in un posto sperduto tutta sola. Ancora più importante era non dare nell’occhio. Seduta sola su una lunga panca, la giovane si guardava attorno ed ascoltava attentamente le conversazioni degli altri commensali: con un po’ di fortuna avrebbe captato qualche informazione utile. La locandiera, vedendo una ragazza sola, ne fu incuriosita e le si sedette accanto. Sorridendole disse:
- Il pranzo è di vostro gradimento, signorina?-
- Si, signora! E il servizio è veramente ottimo!-
Incoraggiata dai modi gentili della cliente, la donna continuò:
- Non vi ho mai vista da queste parti. Siete di passaggio?-
- Si, signora, provengo da Darkfield- ripose Alcesti, rammaricandosi di dover iniziare subito a mentire per evitare l’interessamento della locandiera.
- E, permettete, viaggiate sola? Siete diretta lontano?-
- Si, il mio unico compagno è il mio cavallo. Sono diretta a Foxwood, dove vive uno zio malato-.
- Ma Foxwood è molto lontano, signorina! Non sarà pericoloso viaggiare sola fino a Foxwood?-
Le domande della proprietaria cominciarono ad essere sempre più pressanti. La situazione di Alcesti le stava tanto a cuore che le propose di fermarsi per la notte da lei, di modo che il mattino seguente il marito potesse accompagnarla per parte del tragitto. Fu per lei un grosso dispiacere dover salutare quella giovane tanto devota al povero zio in fin di vita…
 
Alcesti si rimproverò per non aver pensato prima ad una storia credibile che avrebbe dovuto eventualmente raccontare a ficcanaso come la povera donna. Oltre ad aver inventato una disgrazia, cosa assolutamente vergognosa, aveva corso il rischio che qualche furfante, avendo sentito che viaggiava sola, decidesse di seguirla per derubarla, o peggio. Decise che da quel momento avrebbe viaggiato con un fratello e sua moglie, i quali, al bisogno, non sarebbero stati al suo fianco a causa della gravidanza di lei, che ormai volgeva al termine. La destinazione sarebbe rimasta Foxwood: conosciuta, e quindi verosimile, ma abbastanza lontana da non incontrare nessuno direttovi.
Il pomeriggio trascorse tra la monotonia di villaggi e agglomerati urbani identici tra loro. Alcesti si ritirò presto a dormire nell’ospitale di un convento, dove avrebbe incontrato meno persone socievoli, e la mattina presto ripartì, per trovarsi, dopo un’ora esatta di cammino, davanti alla possente Everdark! 

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Capitolo 4
*** L'Everdark ***


Il sole splendeva nel cielo sereno, ma nell’Everdark sembrava notte fonda. Addentratasi pochi metri nella grande foresta, Alcesti cominciava a disperare di poterne mai uscire. La vegetazione legava le sue gambe, e il muschio rendeva difficile il passo a Chronos. Nonostante ciò, non poteva tornare indietro: il suo orgoglio non poteva permetterglielo. Continuò a camminare, conscia che quella notte l’avrebbe passata in quel luogo. La foresta aveva la capacità di materializzare tutte le paure infantili che si nascondevano in lei: il buio, la solitudine, gli animali feroci. Alcesti sapeva bene, però, che era ben altro ciò che doveva temere. Era una ragazza, viaggiava sola, e per dirla tutta con un discreto gruzzolo, e si trovava in una foresta… i fuorilegge l’avrebbero subito adocchiata come una buona preda, ma non sapevano quanto questa se la cavasse bene con le armi da taglio. Tra tutti questi pericoli, la cosa che veramente preoccupava Alcesti era la probabilità di dover uccidere un uomo, un suo simile, terribile reato.
Ogni rumore, ogni scricchiolio la metteva all’erta contro qualunque genere di pericolo, ma la mattina le offrì la sola comparsa di uno scoiattolo e di un cinghiale. Non che questo le dispiacesse.
La maggiore difficoltà del muoversi in quel luogo stava nel non avere punti di riferimento per orientarsi: doveva dirigersi a est, ma non aveva idea di come fare….
 
Il freddo umido dell’Everdark ti penetra le ossa, il sangue, e non c’è mantello che possa scaldarti. Alcesti stringeva forte Maya e tirava per le briglie il suo compagno, che proprio non voleva saperne. Eppure quel luogo aveva un ché di affascinante: le piante rampicanti e le felci erano riuscite e prendere il sopravvento sulla civiltà e ora regnavano da vere padrone in un mondo popolato da ombre. Tutto questo doveva sembrare molto romantico ad un occhio esterno, pensava. Il paesaggio offriva scorci spettacolari: radure di massi imbottiti di morbido muschio, torrenti scintillanti, ma anche pozze paludose e alberi pluricentenari. Raramente filtrava un raggio di sole. Dopo l’ora di pranzo, Alcesti non aveva ancora incontrato una forma di vita umana, e questo era servito a tranquillizzarla, ma sapeva di non dover fare l’errore di abbassare la guardia: il pericolo poteva essere sempre in agguato.
Nel pomeriggio la foresta cambiava completamente colore, come fosse stato un cosmo a sé, con un suo personale astro invisibile e una sua vita nascosta.
L’imbrunire offriva un’atmosfera ancora una volta nuova, ma la visibilità era sempre più ridotta. Urgeva la ricerca di un giaciglio. La sensazione di panico cresceva: dove fermarsi? Come organizzarsi? Sarebbe stata al sicuro? Tutte queste domande, come per magia, si dissolsero alla comparsa di una meravigliosa radura circolare. L’erba era verde e fresca, un colonnato di alberi sembrava reggere il cielo e al centro sgorgava una limpidissima fonte. Alcesti non aveva mai visto un luogo più bello. Allora, forse, l’Everdark non era sempre così tetra….
Non appena mosse i primi passi in quel luogo fuori del tempo, notò come Chronos si fosse calmato. Ormai era troppo buio per poter pensare di arrampicarsi su un albero, così si accoccolò nel suo mantello contro un masso coperto di muschio, sperando di non essere sbranata da qualche bestia.
 
Nonostante la scomodità ed il pericolo, Alcesti passò la notte nel sonno più profondo. Ed il giorno venne presto. Al suo risveglio Chronos mangiucchiava l’erbetta al suo fianco e lo spiazzo sembrava ridere nella luce azzurra del fogliame. Raccolte le sue cose, mangiò un boccone di pane della mattina prima e si preparò a lasciare quel posto incantevole. In quel momento si rese conto che qualcosa era cambiato: una presenza aleggiava sulla radura. Eppure il silenzio era quasi surreale. Tirando il cavallo, affrettò il passo. Nulla la fermò mentre si allontanava, ma quella strana sensazione di essere osservata persisteva. Riflettendoci, in effetti, era stata troppo improvvisa e completa la tranquillità che aveva provato la sera prima in quel luogo. C’era qualche cosa di strano…
Dopo aver ripreso la sua marcia nel verde, la ragazza aveva tentato in mille modi differenti di sorprendere il suo compagno di viaggio fantasma, tutti immancabilmente falliti. Così, esausta, si sedette su una pietra e sussurrò, più a sé stessa che all’Everdark, “si può sapere chi sei?”.
In quel momento udì lo scricchiolio di un rametto spezzato dietro di lei, balzò in piedi e trovò ad osservarla… una donna! Lo stupore le congelò la lingua: davanti al lei stava una giovane con dei lunghi capelli biondi e un bel paio d’ali sulla schiena. Riprendendosi lentamente dallo shock, sbatté le palpebre e, non del tutto convinta che non si trattasse di un’allucinazione, domandò:
- Chi… cosa sei tu?-
Lei si aggiustò i capelli e la gonna, poi si schiarì la voce e disse, con un timbro cristallino come l’acqua di fonte:
- Scusami. Hai ragione, non sono stata educata, ma… sono qui da sola da così tanto tempo… non ho resistito. Sono Clodia, e sono una ninfa. Una volta eravamo molte qui, ma alcune se ne sono andate, altre sono finite vittime dei fuorilegge, e sono rimasta solo io-.
Alcesti non sapeva cosa dire, così rifletté qualche secondo e si diede un pizzicotto. No, non sognava.
- Così tu saresti… una ninfa?!-
- Esatto! Siamo creature silvestri, viviamo in simbiosi con la natura-.
- Incredibile… sei proprio vera?-
- Che significa?-
- Niente, niente. Perché mi stai seguendo?-
- Perché sei passata per la mia radura e… te ne stai andando da questo posto, giusto? Ti prego, portami con te!-
- Cosa?!- esclamò.
- Ti prego!-
- Non sai nemmeno dove sto andando- disse Alcesti incredula.
- Non importa. Ovunque sarà meglio che qui! Ho bisogno di trovare un’altra foresta, una nella quale le ninfe non siano ancora estinte. Ti prego… posso aiutarti ad uscire di qui, conosco questo posto come le mie ali!-
Senza troppa convinzione, Alcesti portò la ninfa Clodia con sé. 

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Capitolo 5
*** Keras ***


Alcesti non dovette pentirsi di aver accettato quella creatura come compagna di viaggio. Clodia conosceva l’Everdark alla perfezione, senza contare che quattro occhi erano sicuramente meglio di due. La ninfa era una tipa strana: all’inizio era piuttosto diffidente, d’altra parte erano stati proprio gli esseri umani a decimare la sua popolazione. Col passare delle ore, però, Alcesti cominciava a guadagnarsi la sua fiducia, anche perché le aveva raccontato senza riserve la storia del suo viaggio.
Clodia parlava con la foresta, con gli animali, con le piante. Era una presenza allegra. Conosceva tantissimi cantici antichi, dimenticati da centinaia d’anni. Alcesti ne aveva trovato traccia durante le sue ricerche, e credeva che le note fossero andate perdute per sempre…
Grazie alle sue indicazioni, la giornata trascorse tranquilla: guidava Alcesti per vie sicure e il suo udito infallibile era una prevenzione contro i guai.
Al crepuscolo stavano lasciando l’Everdark in direzione Meritown.
Si trattava di una cittadina piccola, ai margini est della foresta.
- Io… credo che passerò la notte nella foresta. Ti dispiace? Sai, non è che mi piaccia molto stare in mezzo alla gente…-
Alcesti guardò le sue ali, tutt’altro che discrete, e rispose:
- Non preoccuparti. Ci troviamo qui domattina alle otto, ok?-
Si salutarono. Alcesti si ritirò nell’ospitale modesto del borgo domandandosi se Clodia sarebbe riuscita a dire addio alla sua casa per presentarsi all’appuntamento.
 
La mattina dopo splendeva un sole caldo e pulito nel cielo di fine aprile. Dirigendosi al luogo prefissato, Alcesti non riusciva a credere che fosse passato davvero così poco tempo dalla sua partenza. La sua famiglia le mancava, le sembrava di essere in viaggio da una vita. Meritown era bellissima: tutt’altra cosa rispetto alla grande e scura Darkfield. I palazzi e le abitazioni erano in pietra a vista, perfettamente curati. In un quadro sarebbe stata perfetta.
Alle otto e quindici, Clodia ancora non si vedeva. Che avesse cambiato idea? Alcesti non voleva andarsene, non voleva rinunciare a quell’unico elemento che la teneva legata alla convinzione di non aver intrapreso un viaggio inutile: la leggenda non sempre era tale, e le ninfe ne erano la prova! Seduta su Chronos, osservava le persone di passaggio. Notando il terzo contadino con al seguito moglie, prole e carro di prodotti agricoli, la curiosità ebbe la meglio sulla discrezione. Scese da cavallo e, tenendolo per le briglie, si avvicinò all’uomo.
- Perdonate, posso chiedervi dove siete diretti tutti quanti?-
Il contadino sembrò sorpreso della domanda. I bambini scoppiarono a ridere e la madre li zittì con uno sguardo. Poi l’uomo si riscosse e rispose:
- Dovete venire proprio da lontano per non sapere che a Keras è tempo di fiera!-
La fiera annuale! Che sciocca, come aveva fatto a dimenticarlo? Ecco perché nell’Everdark non aveva incontrato i fuorilegge. L’uomo la guardò, preoccupato per la sua espressione persa.
- Signorina?-
- Come? Ah, si… perdonatemi, avete ragione, ora ricordo. Vi ringrazio-.
Si allontanò sotto lo sguardo stupito della famiglia.
A Keras si teneva la meravigliosa fiera annuale, e contadini, mercanti e piccoli imprenditori accorrevano da tutta la contea per vendere i propri prodotti e per comprare il necessario a prezzi vantaggiosi. Era perfetto: chi avrebbe notato due ragazze sole nel trambusto della fiera? Ma sarebbero poi state due?
Erano passate le otto e trenta quando ai margini della foresta comparve la figura della ninfa. Aveva un mantello sulle spalle: molto astuto.
Alcesti scese da cavallo per andarle incontro.
- Credevo che non saresti venuta…- disse con un sorriso.
- Allora perché hai aspettato?-
Alcesti rifletté qualche secondo, per rendersi conto di non poter trovare una risposta.
- Non lo so, Clodia. Forse ci speravo, o forse non volevo credere di aver già perso la mia nuova compagna!- sorrise, e Clodia rispose al suo sorriso.
- Andiamo?- domandò.
 
Il viaggio proseguì più lento. Ora che erano in due, e la ninfa non voleva saperne di Chronos, bisognava procedere a piedi. Ma Alcesti non aveva fretta: aveva aspettato dieci anni, non sarebbe stata una settimana a guastarle la festa.
Il paesaggio scorreva silenzioso accanto a loro. Clodia era di poche parole, e alla sua compagna il silenzio non dispiaceva. Si capivano. Entrambe avevano lasciato la loro dimora alla ricerca di qualcosa che non sapevano se avrebbero trovato.
- Sei stata fortunata a passare dalla foresta in periodo di fiera, avresti potuto incontrare brutte sorprese…- disse.
- Non mi avrebbero trovata impreparata- rispose Alcesti, accarezzando, senza rendersene conto, la sua Maya. La ninfa la guardò sospettosa.
- Quanti anni hai, Alcesti?-
- Ventuno, perché?-
- Mi chiedevo per quale motivo tu sia qui…-
- Ti ho raccontato la storia-.
Clodia sospirò.
- Non intendevo questo. Correggimi se sbaglio, ma le ragazze umane, alla tua età, di solito sono sposate, e i loro mariti non le lasciano viaggiare da sole-.
Alcesti arrossì. Detestava arrossire: faceva sempre la figura della ragazzina. E le succedeva spessissimo.
- Vedi, Clodia, è un po’ complicato da spiegare. Temo che le ninfe abbiano un modo di sentire un po’ diverso dal nostro…-
- Puoi tentare comunque di spiegarmelo, se ti va-.
- D’accordo. Ecco, i genitori sono sempre impazienti di accasare le figlie perché non danno altro profitto se non degli eredi. Lavorano meno, sono deboli, non combattono… molti padri le considerano un peso, e sperano sempre che le loro mogli concepiscano dei maschi. Per questo motivo, appena possono procurano alle figlie un matrimonio, meglio se vantaggioso, e si liberano del problema. Difficilmente una ragazza riesce a sposare l’uomo di cui è innamorata. Una mia amica d’infanzia, ad esempio, quando ha compiuto sedici anni ha dovuto sposare un nobile cavaliere che aveva già trentacinque anni e alcuni figli avuti da un’altra moglie, e il più grande di loro aveva appena compiuto dodici anni… quella ragazza sapeva che un matrimonio simile non l’avrebbe mai resa felice, ma era quello che la sua famiglia si aspettava da lei, così ha obbedito-.
Clodia l’ascoltava con gli occhi sbarrati. Sembrava che nemmeno respirasse. Alcesti continuò:
- Con questo non voglio dire che non ci siano famiglie felici. Mio padre e mia madre si sono conosciuti il giorno del loro matrimonio, e incredibilmente si sono innamorati e sono stati felici. Lui ci voleva bene, non eravamo un peso per lui. Quando sen’è andato io avevo undici anni, Hermione e Antigone non ancora sette, ed Elettra ancora non era nata. Io ero ancora troppo piccola per essere data in sposa, oltre al fatto che mia madre aveva bisogno di aiuto per mandare avanti la casa e per crescere le mie sorelline. Io ero la più grande, era mio dovere aiutarla. Ogni momento libero l’ho passato in biblioteca a fare ricerche su Alia e a studiare… ho studiato tutto quello che credevo avrebbe potuto servirmi: medicina, alchimia, erboristica, storia, geografia… Mia madre era preoccupata. Cominciavano ad arrivare proposte da giovani dell’alta nobiltà, ma anche da cavalieri vedovi e divorziati, ma lei non ha mai voluto obbligarmi a scegliere, - strizzò l’occhio a Clodia – ho un caratteraccio… Così il tempo è passato, le mie amiche ormai hanno le case piene di bambini, e le mie sorelle sono nella mia stessa situazione… ma per fortuna non mi sono ancora innamorata!-
- Per fortuna?- chiese, riscuotendosi, Clodia.
- Direi di sì! Sarebbe stato un problema: non sarei riuscita a partire, mi si sarebbe spezzato il cuore vedendolo sposare un’altra e allora me ne sarei scelto uno a caso nel mucchio, e sarei stata infelice per tutta la vita-.
Clodia si asciugò una lacrima e sussurrò:
- Che cosa triste-.
- Mi sono spiegata bene allora?-
- Molto… ad ogni modo, avevi ragione: non è facile per me capire i vostri sentimenti. Noi siamo abituate all’equilibrio, e raramente ci lasciamo sconvolgere dalle passioni, ma quando questo accade, niente può contenerci…-
 
La giornata passava veloce. Clodia non aveva bisogno di mangiare, era la natura a nutrirla, così Alcesti consumò per strada un pezzo di pane e una mela che aveva avanzato a colazione. Nel pomeriggio, Clodia raccontò ad Alcesti delle storie e delle leggende sulle ninfe e sull’Everdark. Quasi si sorpresero di vedersi comparire davanti le mura della popolosa Keras.  

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Capitolo 6
*** Un nuovo compagno di viaggio ***


Al loro arrivo a Keras, Clodia si congedò per passare la notte fuori dalle mura della città. Alcesti entrò sola nella grande cittadina, piena di turisti e mercanti giunti da tutta la zona in occasione della fiera. Il sole stava tramontando, così, trovata una locanda convincente, si ritirò presto.
La mattina seguente, dopo un’abbondante colazione, si presentò al luogo indicato per l’appuntamento con Clodia, che, ancora una volta, era in ritardo. Ferma sul crocicchio, la giovane vide avvicinarsi un uomo a cavallo, con tanto di armatura, elmo e spada, che congetturò essere diretto a Foxwood. Notandola, la osservò incuriosito. Quando le fu accanto, si fermò.
- Perdonate, signorina, aspettate qualcuno?-
Aveva una voce amichevole e non poteva essere molto più vecchio di Alcesti.
- Si, signore. Cos’altro potrei fare ferma su un crocicchio?- rispose lei con un sorriso.
- Avete ragione, scusate! Posso farvi compagnia mentre aspettate? Potrebbe essere pericoloso per una signorina stare sola su un incrocio…-
- Probabilmente avete ragione, ma è pieno giorno, e come potete vedere ho una spada-.
- Proprio per questo motivo vi ho notata: è insolito per una ragazza viaggiare armata-.
- Così come per un cavaliere dare confidenza ad una perfetta sconosciuta…- ribatté Alcesti con un sorriso ironico.
Sapeva che era rischioso intrattenersi con i viandanti, ma quel cavaliere aveva qualcosa di diverso: il suo istinto le diceva che poteva fidarsi. Il suo cervello elaborò questi pensieri nella frazione di secondo che servì al cavaliere per esclamare:
- Che sbadato! Perdonatemi…- balzò giù dal cavallo e le tese una mano. – Il mio nome è Christopher!-
Conscia che quel gesto avrebbe potuto costarle caro, gli strinse la mano e rispose:
- Alcesti-.
In quel momento comparve Clodia. Vedendo il cavaliere sbarrò gli occhi e guardò Alcesti in cerca di spiegazioni.
- Questa è la mia compagna di viaggio, Christopher. Si chiama Clodia-.
Il cavaliere fece per stringerle la mano, ma la ninfa fece un passo indietro. Nonostante ciò, cercò di sorridergli.
 
Il viaggio riprese. Christopher disse di essere diretto a est, verso la sua città, e di conoscere abbastanza bene il percorso. Era da due anni che era lontano da casa, e quella zona l’aveva girata parecchio. Clodia era tornata taciturna, ma d’altra parte Christopher era un tale chiacchierone da non lasciare spazio a sospetti.
- Cosa ci fate in viaggio da sole? Non è pericoloso?- chiese loro tra i suoi racconti.
- Veramente è una storia lunga…- rispose Alcesti.
- Abbiamo tempo- suggerì lui.
La ragazza intercettò un’occhiata di ammonimento della sua compagna.
- D’accordo… sto cercando mio padre che si è dovuto allontanare da casa diversi anni fa, senza fare ritorno. Solo che ho soltanto una vaga idea di dove si sia diretto. Clodia è scappata di casa. Ci siamo conosciute due giorni fa-.
Christopher corrugò la fronte.
- E questa sarebbe una storia lunga?!-
- Ho omesso qualche particolare-.
- Ok, ho capito, quando ci conosceremo un po’ meglio mi racconterai come stanno veramente le cose-.
Quindi, non era svampito come sembrava… Ora come ora era troppo rischioso raccontargli di Alia. Certo, l’impressione che Alcesti aveva di lui era molto positiva, ma nonostante questo non era il caso di rischiare.
Viaggiare con un uomo aveva i suoi pro e i suoi contro: una presenza maschile era una garanzia, dava credibilità al loro viaggio ed evitava molte domande imbarazzanti, ma comportava maggior circospezione e contegno. Inoltre dovevano inventare un grado di parentela.
- E se fossimo fratello e sorella?- domandò Christopher addentando il suo panino del pranzo.
- No, poco credibile. Cugini, piuttosto!- ribatté Alcesti.
- Io preferirei figurare come esterna, se non vi dispiace. È troppo evidente che siamo di mondi diversi- suggerì Clodia.
- Bene, allora io e Chris potremmo essere cugini, e tu una nostra amica d’infanzia- concluse Alcesti.
- Questo va bene!- sentenziò la ninfa.
- In che senso di mondi diversi?- si intromise il cavaliere, rivolto a Clodia.
- Sai cosa intendo, ho visto che te ne sei accorto-.
Alcesti era sconcertata. Continuava a spostare lo sguardo dall’uno all’altra a bocca aperta, domandandosi se si fosse persa qualcosa.
- D’accordo.- disse Chris – Senza dubbio non sei umana, ma non saprei dire cosa sei di preciso-.
- Una ninfa silvestre. Abitavo nell’Everdark-.
- Era una delle possibilità che avevo valutato…-
Riavendosi dallo shock, Alcesti si rivolse al cavaliere:
- Coma hai fatto? Come fai a sapere delle ninfe?-
Christopher sembrò imbarazzato.
- Beh, dalle mie parti circolano diverse storie…-
- Comunque, Al, questa è la prova che il mantello non mi copre abbastanza bene le ali-. 

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Capitolo 7
*** Veleni ***


Quando Alcesti aprì gli occhi nel morbido letto della locanda sulla strada maestra di Foxwood, notò con un filo di delusione che pioveva. Certo, avrebbero potuto viaggiare lo stesso, ma considerato che non c’era nessuna fretta e che, tutto sommato, la cittadina offriva ampie aspettative culturali, forse era meglio risparmiarsi la lunga cavalcata sotto l’acqua. Christopher disse che aveva avuto la stessa idea, quindi per lui non c’era nessun problema a posticipare di un giorno il proseguo. Clodia, invece, non si mostrò affatto contenta. Le mura delle città erano una prigione per lei.
- Non ti preoccupare, possiamo partire anche se piove-.
Alcesti era pronta ad assecondare l’amica, che immaginava trovarsi di fronte a una scelta difficile.
- No, Al, fermiamoci! Infondo, non posso scappare dagli uomini per sempre…- rispose Clodia.
- Sicura?-
- Sicurissima. Grazie-.
- Bene! Allora abbiamo un’intera giornata per i racconti!- intervenne Chris.
- D’accordo, Cavaliere. Ma questo non è il posto adatto…-
Alcesti indossò il mantello e uscì sotto la pioggerella primaverile, senza curarsi che i due la seguissero. L’avrebbero fatto di sicuro. Poco lontano dalla locanda, una viuzza laterale si apriva su una piccola piazza quadrata, al centro della quale stava una Chiesa. La porta era sprangata. Una Chiesa sconsacrata. La ragazza girò attorno all’edificio. Sul retro c’era una piccola porta non bloccata. Recava solo un cartello con scritto “pericolo”. La aprì.
Muovendo i primi passi in quella che avrebbe dovuto essere la sagrestia, sentì la porta richiudersi alle sue spalle e la voce di Chris che sussurrava:
- Al, non hai letto? È pericoloso!-
- Staremo attenti-.
- E se qualcuno ci avesse visti? Hai controllato che non ci fosse nessuno quando sei entrata?-
- Nessuno si avvicina alle Chiese sconsacrate. Alcuni più superstiziosi di altri temono perfino di guardarle. Non sarai tra questi, vero?- aggiunse con un sorriso sarcastico.
- Beh, no… io…-
- Perché ci hai portati qui?- intervenne Clodia.
- Per l’atmosfera! E poi mi affascinano le Chiese…-
La sagrestia dava direttamente sulla navata della Chiesetta. Molto piccola, ma anche molto curata. Doveva essere chiusa da molto: la polvere ricopriva tutto quanto e cominciavano a cadere i calcinacci. La ragazza la percorse tutta lentamente. Gli affreschi erano appena visibili sotto l’incuria e il tempo.
- È bellissima… o almeno lo era…- commentò tra sé e sé.
- Se ti piacciono le Chiese dovresti vedere quella della mia città… è piena di vetrate colorate, che proiettano fasci di luce meravigliosi sulla pietra scura-.
Alcesti spolverò un banco e si sedette, poi fissò gli occhi su Christopher. Lasciò studiatamente trascorrere qualche secondo e disse:
- A proposito della tua città… si può sapere di preciso da dove vieni?-
- Se non mi racconti niente, non ti racconto niente-.
Alcesti sospirò.
- Bene, allora-.
La ragazza, non ancora del tutto convinta di potersi fidare del Cavaliere, prese a raccontare la sua storia: raccontò della sua famiglia, di suo padre, delle ricerche e dei suoi studi. Poi parlò del viaggio, all’inizio del quale aveva incontrato Clodia, e di come erano arrivate al famoso crocicchio. Gli parlò di Alia, di quello che aveva scoperto e delle sue congetture spaziali. Christopher sembrava sinceramente stupito, e colpito delle sue deduzioni.
- E quando l’avrai trovata cosa farai?-
- Niente. Voglio solamente sapere se mio padre è vivo, e se aveva ragione. Nel bene e nel male, avute queste notizie me ne tornerò a Darkfield. La mia famiglia mi manca già moltissimo-.
- Non mi hai chiesto perché non ho considerato l’ipotesi che Alia non esista, o che tu non riesca a trovarla…-
- Perché Alia esiste, e io la troverò, su questo non ho dubbi-.
Chris si fece pensieroso. Clodia sospirò.
- Vorrei avere la tua determinazione. Io ho aspettato per quasi un secolo che qualcuno con un aspetto affidabile varcasse la mia radura, per paura di partire da sola. E non sono altrettanto sicura di trovare delle altre ninfe al mondo-.
- Dalle mie parti si raccontano molte leggende su di voi, perciò, forse, nella mia zona…- disse Christopher.
- Già, Chris, nella tua zona…- lo stuzzicò Alcesti.
- Recepito, è il mio turno- si schiarì la voce.
- Sono nato in un piccolissimo paese molto, molto lontano da qui, e sono il terzo di cinque fratelli. La mia famiglia era povera, così, quando avevo quattro anni, mi vendettero ad un Conte venuto da lontano, che mi prese con sé e mi allevò come un figlio. È verso la sua città, la MIA città che sono diretto. Là ho studiato, sono diventato Cavaliere. Mio padre è morto poco più di due anni fa, così sono partito in congedo temporaneo sperando di poter fuggire dai brutti ricordi. Ora è giunto il momento di tornare a casa, a Est, dopo la grande foresta di Kellenwood.- Sorrise – E questo è tutto-.
- Che storia triste- commentò Clodia.
- Il dolore non sen’è andato nemmeno lontano da casa, vero?- disse Alcesti, comprensiva.
- Infatti-.
- E della tua vecchia famiglia, non hai più saputo nulla?- domandò Clodia.
- Non devo niente a loro, mi hanno venduto come schiavo-.
- Mi piacerebbe vedere la tua città, Chris…- disse Alcesti.
- Le vie del Signore sono infinite!- ridacchiò il Cavaliere.
 
Tornavano verso la locanda dopo la lunga visita turistica di Foxwood, quando Alcesti, che da qualche tempo dava segni di insofferenza ingiustificata, guardò supplicante Christopher, il quale, ignaro della ragione, rispose con un’occhiata interrogativa. La ragazza scosse il capo e si voltò, le mani sui fianchi, corrugando la fronte.
- È inutile che tu ora ti nasconda. È tutta mattina che ci segui-.
Una testa affiorò esitante da dietro un angolo. Apparteneva ad una ragazza.
- Al, ma chi…- cominciò Chris, ma lei lo zittì. Poi si rivolse alla sconosciuta. Era molto giovane, poteva avere quindici anni.
- È questo cavaliere che stai seguendo, vero?-
La ragazza annuì. Si schiarì la voce e disse:
- Mi chiamo Rebecca. Sono la figlia dello sceriffo. A volte gli do una mano e pattuglio le vie della città-.
- D’accordo, Rebecca, ma non ti sembra di mostrare un po’ troppo interesse per noi?!-
La ragazza arrossì e farfugliò:
- Quel cavaliere è così bello…-
Chris spalancò la bocca, troppo sorpreso per poter parlare.
- Non farti strane illusioni: appena il tempo migliorerà riprenderemo il nostro viaggio- disse Alcesti.
Rebecca abbassò lo sguardo, si voltò e corse via. Chris stava ancora fissando il punto in cui era sparita, così Alcesti gli chiese:
- Non avevi intenzione di fermarti con lei, vero?-
- Vorrai scherzare! È una bambina! Ma da quanto ci stava seguendo?-
- Da quando siamo usciti dalla Chiesa- rispose Clodia, che aveva assistito in silenzio alla scena.
- State dicendo che l’unico a non essersene accorto sono io?!-
- Esatto, Chris, ma non preoccuparti: capita a tutti di perdere un colpo!- aggiunse Alcesti dandogli una pacca amichevole su una spalla.
 
Il giorno successivo, pioveva ancora. Clodia si era presa la giornata per stare un po’ sola fuori città, e Chris aveva deciso di restare alla locanda a causa di un lieve raffreddore, che sosteneva essere dovuto alla pioggia del giorno prima. Alcesti ne aveva approfittato per salutare Chronos.
Appena entrata nella stalla si rese conto che qualcosa non andava. Il suo cavallo non era nello stesso box del giorno precedente. Nemmeno Iron, il purosangue del cavaliere, era al suo posto. La ragazza cercò di rilassarsi: forse c’era stato bisogno di liberare qualche box, niente di cui preoccuparsi. Girovagando per la stalla, Alcesti li scoprì nell’angolo opposto a dove li avevano lasciati. E Chronos era nervoso.
- Ehi, piccolo… cos’è successo?-
Accarezzò la criniera candida del cavallo, cercando di calmarlo. Con la coda dell’occhio notò qualcosa di strano: un foglio appeso alla parete del box. “Vattene subito”. Alcesti lo fissò scioccata per qualche secondo, poi lo staccò e si precipitò dal cavaliere.
Christopher si mostrò stupito quanto lei, ma non altrettanto preoccupato.
- Non conosciamo nessuno, Alcesti. Chi potrebbe avercela con te? Sarà uno scherzo di qualche ragazzino…-
Del tutto insoddisfatta, la ragazza si diresse verso la propria stanza. Non poteva sopportare l’idea che uno sconosciuto avesse toccato il suo cavallo. Chiuse la porta della stanza a chiave e mosse un passo verso il letto, poi si bloccò. Vi era posato qualcosa. Un brivido le scese lungo la schiena. Si avvicinò lentamente. Era una freccia. La situazione peggiorava: qualcuno si era introdotto nella sua stanza e vi aveva lasciato un secondo avvertimento, fin troppo eloquente. Chris si sbagliava: cel’aveva proprio con lei.
Alcesti passò la giornata a gironzolare per la città in attesa di qualche segnale, ma non accadde nulla.
Per ora di cena si sedette con il cavaliere ad un tavolo dell’osteria, in disparte, e gli raccontò del secondo strano avvenimento della giornata. Non aveva ancora concluso il racconto, quando una cameriera si avvicinò con una brocca di succo d’arancia.
- Questo vi è stato offerto- disse.
I due si scambiarono un’occhiata preoccupata. Alcesti prese la brocca, la osservò e la annusò.
- Belladonna- sentenziò. – Qualcuno sta tentando di drogarmi-.
- Tentativo puerile-.
- Fin troppo-.
La ragazza si guardò attorno molto attentamente. In un angolo scuro stava seduta una figura esile incappucciata. Dal mantello spuntavano riccioli scuri.
- Indovina chi c’è seduta laggiù con un cappuccio sulla faccia…-
Dicendo questo, si alzò e si diresse con passo sicuro verso la figura. Le si sedette di fronte. Alcesti inclinò appena la testa.
- Cos’hai intenzione di fare, Rebecca?-
La ragazzina non rispose.
- Che ti ho fatto?-
- Devi lasciarlo stare- rispose secca Rebecca.
Alcesti sgranò gli occhi.
- Chi?-
- Il cavaliere! Devi lasciarlo in pace, lui non sta bene con te!-
Alcesti era sempre più confusa. Fissò per qualche secondo la ragazzina a bocca aperta, poi disse:
- Ma tu… cioè… fammi capire… tu credi che io e Chris…-
- Non fare la finta tonta!-
- Ti sbagli Rebecca. Noi siamo cugini! Stiamo tornando a casa dopo un lungo viaggio. Non c’è nulla di più-.
- Non prendermi per stupida-.
- Senti, puoi credermi oppure no, ma questa è la verità-.
Alcesti si alzò e fece per allontanarsi, ma la ragazza la fermò:
- Perché non hai bevuto?- domandò.
- Ho studiato medicina. Riconoscerei l’odore della belladonna tra quelli di mille altre erbe. Sei stata sfortunata-.
Si voltò e tornò al tavolo con Chris.
- Non so se sia stata una buona idea viaggiare con te…-
- Ma che problema ha?!-
- Crede che io e te stiamo insieme, e sta cercando di eliminare la concorrenza-.
Christopher sgranò gli occhi.
- Accidenti! Domattina, qualunque sia il meteo, ce ne andiamo!-
 
Il sole, fortunatamente, non si fece attendere a lungo. La mattina seguente non pioveva più, e a metà mattina le nuvole iniziavano a filtrare i raggi.
Clodia era morta dal ridere quando Alcesti le aveva raccontato l’attentato della sera prima, e aveva chiesto:
- Che cosa farà quella povera ragazza quando scoprirà che ce ne siamo andate con il suo eroe?-
- Non lo so e non mi interessa! Non voglio mai più trovarmela davanti!-
Il piccolo bosco di Limel correva silenzioso attorno a loro. Una costellazione di piante e fiori meravigliosi li accompagnava. Alcesti si guardava attorno a bocca aperta: non aveva mai visto così tante erbe medicinali in una volta.
- Mi aspettereste qualche minuto? Vorrei raccogliere qualche erba…- disse, e senza aspettare la risposta scomparve nella vegetazione. Camminava con gli occhi incollati al suolo, la testa completamente tra le nuvole, tanto che si sorprese di trovarsi il sentiero sbarrato da un torrente.
- Ehi, e questo da dove spunta?!-
In pochi secondi Christopher le fu accanto.
- Lo chiamano Fiume Morto. Vedi le sue acque? Sono nere. Nasce e scompare tra la vegetazione di Limel. Sembra che qualche roccia abbia contaminato le sue acque, che sono velenose-.
- Velenose quanto?-
- Mortali-.
- Wow…- commentò Alcesti. – Attenzione a non toccare nulla allora: se la falda acquifera è inquinata, non sappiamo cosa può aver contaminato-.
Con un sospiro, lasciò cadere le erbe fino ad allora raccolte.
- Andiamocene alla svelta Chris-.
 
Appena lasciata la fresca vegetazione, fu evidente che il sole stava per tramontare. 

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Capitolo 8
*** Guai al monastero ***


- Che cos’è quello?- chiese Alcesti notando dei bagliori a pochi chilometri da loro.
- Quello è il sole che si specchia sulle acque di Preemlake! Siamo quasi arrivati!- rispose Chris con un gran sorriso.
La sponda di Preemlake era la cosa più bella che Alcesti avesse mai visto. Spiagge dorate si alternavano a strapiombi sulle acque verde smeraldo. La strada che costeggiava il lago non era delle più agevoli: il percorso era frastagliato e i cavalli avevano difficoltà ad inerpicarsi tra le rocce.
Si susseguivano paesini turistici, costellati di locande, osterie e ostelli. Peccato che non ci fosse ancora abbastanza caldo per un bagno…
- A cosa pensi?-
Clodia irruppe nei pensieri di Alcesti, riportandola alla realtà: una volta raggiunta Preemtown, Alia sarebbe stata tremendamente vicina.
- A quanto sarebbe bello tuffarsi- rispose con un sospiro.
Christopher ridacchiò.
- Ti aspettavi qualcosa di più filosofico, Chris?- domandò la ragazza.
- No, pensavo solo che dico la stessa cosa tutte le volte che passo di qua, in qualunque stagione!-
 
Quando misero piede in città, il sole stava stendendo i suoi ultimi raggi dorati sulla distesa d’acqua. Alcesti non poteva fare a meno di pensare a suo padre. Sperava che anche lui fosse passato di là e avesse potuto godere di quello spettacolo meraviglioso… era sempre stato un’anima romantica, come lei d’altra parte…
Alcesti e Clodia decisero di passare la notte in una locanda. Le ali della ninfa non sarebbero di certo passate inosservate nella ressa di un ospitale. Il cavaliere disse che avrebbe chiesto ospitalità in un monastero, dove abitava un vecchio amico che voleva salutare. Si diedero appuntamento la mattina seguente, alle otto, nella piazza principale.
Ma Christopher non si presentò all’appuntamento. Al suo posto comparve un bambino.
- Un cavaliere ha detto di darvi questa- disse, allungando loro un foglio, ripiegato varie volte.
Prima che potessero fare qualunque domanda, il piccolo messaggero scomparve.
Si sedettero sul parapetto della fontana al centro della piazza e spiegarono il foglio. Si trattava di poche righe, scritte in una calligrafia sottile e ingarbugliata:
“La scorsa notte c’è stato un furto al Monastero. Sono scomparsi diversi oggetti liturgici preziosi e l’Abate ha chiesto la mia collaborazione per le indagini. Spero al massimo in un paio di giorni di risolvere il problema. Vi prego di aspettarmi, almeno per oggi. Stasera passerò alla locanda e vi racconterò tutto.
Scusate, Chris.”
- Io l’ho detto che quel cavaliere porta guai…- commentò Alcesti ripiegando il foglio.
- Comincio a crederti- rispose Clodia.
 
Trascorsero la mattinata girovagando tra chiese e mercati, tentando invano di ingannare il tempo. Alcesti sapeva che Clodia si sarebbe annoiata, ma non vedeva molte altre occupazioni. Preemtown era una città caotica e piena di gente, e l’unica soluzione sarebbe stata uscire dalle mura, ma con il cavaliere bloccato al monastero non era una buona idea.
Nel pomeriggio, Clodia accompagnò l’amica alla grande biblioteca della città. Si trattava di un imponente edificio in stile romanico. Era quasi completamente deserta. Alcesti ci sperava.
- Cerchi qualcosa in particolare?- domandò la ninfa.
- Veramente no. Volevo solo dare un’occhiata. È la biblioteca più grande della zona… ma dov’è il reparto di scienze?!-
Guardando in alto per cercare di leggere le impolverate intestazioni degli scaffali, la ragazza voltò l’angolo e andò a sbattere contro qualcosa di duro, che cadde a terra con un tonfo sordo. Era una montagna di libri, sotto la quale probabilmente stava una persona.
- Oh… perdonatemi! Io… non volevo… tutto bene?- farfugliò Alcesti lanciandosi a terra accanto alla vittima.
Tra i volumi affiorò una massa di corti capelli biondi, seguita da due occhi verdi e da un naso a punta. Era una donna. Scosse il capo, come per riprendersi, si guardò attorno e, focalizzandosi su Alcesti, disse:
- Tutto bene, non preoccupatevi. È colpa mia, da qua dietro non vedevo niente-.
Alcesti rimase impressionata dalla voce di quella sconosciuta: sembrava il suono di un campanello. Le allungò una mano per aiutarla ad alzarsi. Ora che poteva vederla meglio, si rendeva conto che era più giovane di quanto le fosse sembrato in un primo momento, poteva avere la sua età. Era tanto minuta, che la ragazza si chiese come potesse portare il peso di tanti libri senza rompersi. La aiutò a raccogliere i volumi che le erano caduti per colpa sua. Si trattava per la maggior parte di carte geografiche, ma un paio erano saggi di medicina.
- Posso chiedervi dove si trova la sezione di medicina?-
- Laggiù- disse indicando uno scaffale – ma gli unici manuali disponibili sono questi. Pare che quasi l’intera sezione sia stata data in prestito all’ospedale per un convegno…-
- Che peccato…- sussurrò Alcesti.
- Se vi servono prendeteli pure! Come vedete, ho ha studiare comunque!- rispose la ragazza con un sorriso.
Si sedettero allo stesso tavolo. Clodia prese posto accanto a loro sfogliando un libro di leggende.
Alcesti aprì un libro. Da allora a quando lo richiuse passò un tempo indefinito. Era sempre così quando leggeva. Purtroppo però era un manuale elementare che trattava come curare una ferita infetta, niente di nuovo. Alzò gli occhi solo quando due uomini si avvicinarono silenziosamente alla ragazza. Uno era basso e magro, con folti capelli neri, l’altro grande e grosso, con una bella testa pelata. Sembravano l’uno l’antitesi dell’altro.
- Andiamo, Yurika- disse il primo.
La ragazza si alzò e chiuse il libro con espressione scocciata. Sorrise ad Alcesti e disse:
- Grazie per la compagnia-.
- Altrettanto…- rispose lei, guardandola allontanarsi con i due uomini.
 
Quella sera, come promesso Christopher cenò con loro alla locanda. Il caso era già stato risolto: il frate che aveva osato derubare il monastero non aveva ancora avuto modo di rivendere gli oggetti sacri, così erano stati rinvenuti nella sua cella sotto ad una lastra di pietra appositamente preparata. Il frate era stato severamente punito. E la mattina seguente avrebbero potuto riprendere il viaggio.
- Valeva almeno la pena di salutare il tuo amico?- domandò ironica Alcesti.
- … è stato trasferito…- rispose mesto il cavaliere.
Clodia ridacchiò e disse:
- Avevi ragione, Al! Quest’uomo porta guai!- 

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Capitolo 9
*** Le ombre di Kellenwood ***


- Cosa farai Chris, verrai ad Alia?- domandò Alcesti.
Kellenwood si stagliava già all’orizzonte mentre i bagliori di Preemlake ancora correvano accanto a loro. La meta non era mai stata così vicina.
- Certo! Ormai sono in ballo…- rispose il cavaliere con un sorriso strano.
- Cosa farai se non troverai tuo padre?- chiese Clodia.
- Non lo so, Clo… ormai sono convinta che il mio destino sarebbe stato comunque questo, indipendentemente da lui. Sapete, sono sempre stata fatalista. Aver trovato voi sulla mia strada è stato un dono. Sono sicura che tutto questo fosse già scritto!-
- Credo che tu abbia ragione, Al…- disse Christopher.
 
Il sole quel giorno era particolarmente caldo. Fu un sollievo giungere alle prime ombre di Kellenwood. Chris imboccò deciso un sentiero, e le compagne di viaggio lo seguirono, senza fare troppe domande.
Kellenwood era molto diversa dall’Everdark: le piante, più alte e più rade, lasciavano filtrare i raggi del sole, e il sottobosco era per la maggior parte costituito di piccoli arbusti e muschio. Procedere non era difficoltoso. Era una camminata piacevole.
- Che creature vivono qui?- domandò Alcesti.
- Io ho visto solo scoiattoli e uccelli, ma ci saranno di sicuro anche lupi…- rispose Chris.
Clodia improvvisamente si arrestò e, senza dire una parola, si addentrò nella vegetazione, lasciando il sentiero. Alcesti e il cavaliere si scambiarono un’occhiata e si lanciarono dietro alla ninfa. Clodia si muoveva come se avesse conosciuto Kellenwood da sempre. Passava svelta tra i rami, svoltava sicura a incroci di fogliame identici l’uno all’altro. Attraversò un piccolo ponte sotto il quale scorreva un ruscello impetuoso, svoltò ancora un paio di vote. Dopo diversi minuti di cammino, varcarono le soglie di una radura. Alcesti si sentì proiettata indietro nel tempo, al giorno in cui aveva conosciuto la ninfa. La radura, l’erba morbida, la sorgente, il colonnato d’alberi…
Cadde in ginocchio e il cavaliere la imitò senza capire. Le ninfe emersero dalla natura e circondarono Clodia. La abbracciarono e la accolsero come una sorella. Si aprirono poi per lasciarla passare.
- Le ninfe di Kellenwood vi offrono ospitalità fino a domattina. Dicono che non farete in tempo a raggiungere le Porte Bianche di Alia entro notte- disse Clodia.
 
La mattina seguente, i tre ripresero il cammino. Clodia li riportò senza problemi sul sentiero che avevano abbandonato. Sentiero che diventava sempre più una strada. Cominciavano a comparire sempre più evidenti i bivi, ma Chris non mostrava esitazione nella scelta della direzione da seguire.
- Come lo sai?- domandò Alcesti.
- Cosa?-
- Che questa è la strada giusta-.
- Ancora non ti fidi di me?- chiese in risposta il cavaliere, a metà tra l’annoiato e l’offeso. Alcesti non rispose.
Attraversato un altro ponte, la vegetazione cominciava a diradarsi.
Presero un grande respiro prima di uscire dall’ombra e ritrovarsi ad osservare la loro tanto agognata meta a bocca aperta. Il viaggio era terminato. 

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Capitolo 10
*** Alia ***


- Quella è… Alia?-
Alcesti non riusciva a crederci. L’aveva trovata, alla fine. Suo padre aveva ragione, non si trattava di una leggenda.
Chris era visibilmente felice, ma nonostante ciò c’era qualcosa di strano in lui, qualcosa che Alcesti non poté chiarire perché la voce di Clodia la richiamò alla realtà.
- Io vi saluto qui…-
I due si voltarono di scatto verso la ninfa.
- Ma come, dopo tanta strada e tanta fatica non vuoi nemmeno sapere com’è Alia?-
Alcesti non riusciva a capire il comportamento dell’amica. Clodia sorrise e, con aria colpevole, disse:
- Io cercavo una nuova casa, e questa foresta andrà benissimo. Io la mia meta l’ho già raggiunta…-
Alcesti la abbracciò.
- Mi mancherai, Clo…-
- Vienimi a trovare ogni tanto-.
- Lo farò-.
Clodia sorrise agli amici e con un “in bocca al lupo” scomparve tra le foglie. Alcesti e il cavaliere si guardarono.
- Così, infine, siamo rimasti solo noi due…-
- … ed Alia, Chris!-
Alcesti rimontò a cavallo e lanciò Chronos al massimo per poter percorrere il più velocemente possibile la distanza che la separava dalla città.
 
Attraversarono il ponte levatoio senza essere fermati dalle guardie, che accennarono un saluto. Alcesti rimase impressionata dal candore di quel marmo che costituiva buona parte di tutti gli edifici che poteva vedere, anche le abitazioni più umili. La città sembrava splendere di luce propria. In lontananza, era visibile il bastione del palazzo reale. Era proprio là che la ragazza voleva dirigersi per avere notizie di suo padre.
Entrata nella grande sala d’ingresso del castello, rimase per un attimo interdetta ad osservare la magnificenza. La svegliò Christopher, che stringendole un gomito le disse:
- Vado a chiedere udienza. Tu aspetta qui-.
Alcesti fu sorpresa nel notare con quale sicurezza il suo amico si muovesse nel palazzo, ed attribuì tale agilità alla sua sicuramente lunga esperienza al servizio di re.
Attese quasi mezz’ora, durante la quale ebbe il tempo di esaminare ogni angolo della sala meravigliosa, prima che un inserviente le si avvicinasse.
- Miss Alcesti, giusto? Seguitemi-.
Christopher era dunque riuscito ad entrare. Seguì quel ragazzino che si muoveva velocemente per il palazzo, fino a giungere davanti ad una monumentale porta di ebano: la sala del trono. Il ragazzino aprì il portone, fece entrare Alcesti e lo richiuse dietro di lei.
La giovane si trovò davanti un salone lunghissimo, con un soffitto a volta retto da diverse file di colonne. Tutto il marmo risplendeva della luce che filtrava dalle altissime finestre in stile gotico. In fondo alla sala stava una predella, e sopra di essa un trono. Una donna vi sedeva. Avvicinandosi, Alcesti notò che poteva avere una cinquantina d’anni, ma nonostante questo i suoi capelli erano neri come la notte. I suoi occhi color del ghiaccio ispiravano un grande rispetto. Giunta davanti al trono, la ragazza si inginocchiò accanto a Christopher, che doveva esser lì da un po’. La Regina parlò:
- Benvenuta, Alcesti di Darkfield. E bentornato, Sir Christopher-.
Alcesti ebbe un sussulto: bentornato? Che significava?
- Finalmente posso conoscere la figlia del valoroso Sir Merthin, che tanto ha fatto per questa città. Alzati-.
Alcesti si alzò e guardò la Regina. I suoi occhi erano lucidi per l’emozione. Suo padre era stato lì. Sua Maestà continuò:
- So per quale motivo sei giunta fin qui, ma purtroppo tuo padre è morto sette anni fa. È caduto in battaglia, combattendo valorosamente per Alia, che è salva grazie a lui. Spero possa confortarti sapere che ha meritato un monumento in una delle più belle piazze della città-.
Era morto, dunque. Alcesti non accusò il colpo: infondo l’aveva sempre saputo.
- Il mio nome è Lady Philippa, sono la Regina di questa città. Sei stata coraggiosa ad arrivare qui. Spero ti fermerai con noi un po’ di tempo-.
Alcesti non sapeva cosa dire.
- Vi ringrazio, Maestà. Purtroppo ciò che cercavo ormai non si trova più qui, perciò credo che partirò il prima possibile. È tempo che Lady Ingrid e le sue figlie ripongano la speranza…-
- Non hai dunque intenzione di perseguire l’obiettivo di tuo padre? Non ti interessa l’apprendimento della magia?- domandò la Regina.
- Non vorrei che mi fraintendeste, Maestà, non ho detto questo. Considerato, però, che il mio viaggio è stato inutile, non credo sia il caso di approfittare della vostra ospit…-
La Regina la interruppe:
- Non dirlo nemmeno per scherzo! Tuo padre è nostro cittadino onorario, ed è un immenso piacere per noi cercare di risarcire l’incolmabile debito che abbiamo nei suoi confronti. Mi dispiace per il tuo lutto e per il modo in cui ne sei venuta a conoscenza. Naturalmente potrai partire quando lo riterrai più opportuno, ma ti invito a prenderti un po’ di tempo per riposare-.
- Grazie infinite, maestà-.
- Sentiti a casa. Una delle ancelle ti accompagnerà alla tua stanza. Ma prima di questo: stasera si terrà un ballo a palazzo. La mia sarta è a tua disposizione per preparati un abito adeguato-.
Alcesti si inchinò e si allontanò con la ragazza verso le sale più interne del palazzo.
 
La sua stanza si trovava nell’ala est dell’immenso palazzo. Era bellissima: ampia, con un camino di marmo verde, un letto a baldacchino, una scrivania d’ebano, diversi armadi e specchi. Il pavimento era di marmo bianchissimo, coperto quasi interamente di spessi tappeti. Dal mobilio spuntavano parti di pareti in pietra. La cosa migliore era la finestra: un’enorme trifora lavorata, luminosa e slanciata occupava buona parte della parete orientale, esattamente di fronte al letto. Al sorgere del sole, lo spettacolo sarebbe stato incredibile.
La Regina le aveva davvero messo a disposizione tutto ciò di cui poteva avere bisogno. Dopo un bel bagno ristoratore, la sarta reale comparve come per magia. Era una donnetta molto anziana, con spessissimi occhiali e un modo di fare amichevole. In poco più di mezz’ora il suo abito era pronto. Ed era perfetto. Ora le era rimasta una cosa sola da fare…
 
- Chris!-
Dopo una lunga ricerca, finalmente Alcesti era riuscita ad avvistare il cavaliere tra la folla che entrava ed usciva dalla sala principale del palazzo in orario di udienza. Il primo istinto di Christopher fu di cercare di dileguarsi, ma sapeva di essere stato disonesto con lei, così si fermò e la aspettò. 
- Ciao Al! Come te la passi?- chiese imbarazzato.
- Benissimo, grazie. E tu? Contento di essere tornato a casa?- rispose trafiggendolo col suo sorriso ironico.
- Già… si, beh… mi dispiace Al… non potevo dirtelo. Se tu avessi cambiato idea, la notizia dell’esistenza di questa città si sarebbe potuta diffondere. Mi dispiace da morire. Quando ho capito di chi eri figlia mi sarei ucciso: non puoi immaginare come mi sia sentito non potendoti dire cosa gli era successo e quanto ha significato per Alia. Sono un mostro, Alcesti. Ti prego, perdonami…-
Alcesti sospirò.
- Cavoli, Chris… ti avevo cercato per insultarti, ma a questo punto non credo di essere più capace di farlo… solo… accidenti, se avessi saputo che papà era morto da così tanti anni non sarei certo venuta fin qui. Ho lasciato la mia famiglia per inseguire un fantasma-.
- Non… sei arrabbiata con me allora?- domandò Christopher titubante.
- Si certo che lo sono, come potrei non esserlo?- rispose Alcesti, ma notando la delusione negli occhi dell’amico aggiunse:
- … ma ti voglio bene, Chris, perciò non credo sarà un problema dimenticare questo piccolo incidente…-
Sul viso di Christopher si allargò il suo ampio sorriso amichevole.
- Grazie, Al! Mi farò perdonare!-
Si salutarono e si diedero appuntamento a quella sera per il ballo. 

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Capitolo 11
*** Il ballo ***


Quella sera, le grandi sale del primo piano erano state preparate per il ballo. Ovunque splendevano arazzi, specchi, quadri, tappeti. L’ebano bordato d’oro scintillava alla luce dei globi luminosi creati dalla magia della Regina in persona. Gli invitati riempivano già la sala principale quando Alcesti fece la propria comparsa. Indossava un abito color smeraldo e oro disegnato per lei quel giorno stesso della sarta di Sua Maestà. Dopo tutto quel tempo sulla strada, un ballo regale le sembrava un miraggio.
All’ingresso della sala, Christopher la stava aspettando:
- Perdonate signorina, dove avete nascosto la mia amica?-
- Lo prenderò come un complimento…-
- Mi fa piacere che tu sia di buonumore…-
- Che vuoi dire?-
- Avrai tutti gli occhi su di te, considerata la fiducia che ti ha accordato la Regina-.
Così dicendo, le diede il braccio e la guidò all’interno della sala. Con sgomento, Alcesti si rese conto immediatamente di cosa intendeva l’amico: al loro ingresso calò il silenzio. Per alcuni secondi tutti la fissarono, poi, lentamente, il tempo riprese a scorrere.
- Grazie Chris-.
- Figurati!-
Chris la prese per una mano e la trascinò al centro della sala gremita, dove, disse, una persona la aspettava.
Si trattava di una donna sui 30 anni, alta e slanciata, con un viso autoritario. Sorrise vedendoli arrivare. Chris la presentò come Vanessa. Stringendole la mano, la donna ci tenne a far presente di essere il capitano della guardia della città. Alcesti si sentiva a disagio: l’atteggiamento di quella donna era inequivocabilmente di superiorità, e il suo orgoglio chiedeva vendetta.
In quel momento squillarono le trombe: i reali facevano il loro ingresso. Il corridoio si aprì proprio davanti a loro: Lady Philippa, in testa al gruppo, sembrava un’altra persona rispetto a quella mattina, con la splendida corona e il mantello orlato di ermellino; la seguivano due uomini veramente singolari, che Vanessa spiegò essere i due figli della Regina. Uno dei due, visibilmente più giovane, aveva un fisico da auriga. Di una bellezza quasi divina, aveva capelli biondi che gli cadevano sulle spalle allenate. Gli occhi di ogni donna in quella sala erano per lui, ma non quelli di Alcesti. Il fratello di Ares (questo era il nome del Principe) era esattamente il suo opposto: la sua figura lunga e sottile era di un pallore quasi spettrale, accresciuto dal colore scuro dei capelli, che accennavano ad attorcigliarsi. I suoi lineamenti erano perfetti, fini, quasi femminili. Il suo fisico non era certamente quello di un guerriero. L’unico elemento che accomunava i due fratelli erano gli occhi: sconcertanti occhi di ghiaccio, che impressionarono tanto Alcesti quando incrociarono i suoi, da lasciarla a bocca aperta. Mentre seguiva con lo sguardo quell’affascinante figura, si concesse un mezzo sorriso, che non sfuggì a Vanessa:
- Ares fa quest’effetto a molte-.
- Non credo che le sue attenzioni siano per lui…- rispose Christopher, cogliendo Vanessa alla sprovvista.
- Cosa? Credimi ragazzina, Kysen non fa per te! Lo conosco da sempre, e in 27 anni non l’ho mai visto con una donna. È orgoglioso ed arrogante. Il suo cuore è di ghiaccio, Alcesti…-
- Sarà…- sussurrò lei.
Una volta sulla predella del trono, Sua Maestà parlò:
- Gentili amici, grazie per essere qui stasera. Spero che questo ballo possa essere di vostro gradimento. È con noi un’ospite, Miss Alcesti, figlia del valoroso Sir Merthin di Darkfield. Spero saprete accoglierla come merita-.
Sedette sul trono e l’orchestra diede il via alle danze. Alcesti si concentrò per qualche momento su Vanessa, che stava cercando di convincere Chris a ballare. Sapendo che l’amico avrebbe preferito la morte alla danza, Alcesti ritenne il tentativo piuttosto puerile. Voltandosi in un’altra direzione, si trovò faccia a faccia con il Principe Ares, che con un sorriso le disse:
- Mi concedete questo ballo, Signorina?-
Sfiorando la mano che il giovane le offriva, Alcesti accettò l’invito. Vanessa aveva ragione: la sua bellezza era mozzafiato.
- È un piacere avervi qui, Miss. Spero che l’alloggio sia di vostro gradimento-.
- Lo è, credete! Se devo essere sincera, mi rincresce arrecarvi disturbo, ma Sua Maestà ha insistito tanto…-
- Ha fatto bene… ad ogni modo, io sono Ares- disse con un sorrisetto malizioso.
- Lo so- rispose Alcesti, arrossendo lievemente.
Era scandaloso il modo in cui il Principe la stava guardando.
- Vi fermerete molto?-
- Non lo so, non penso. Mia madre è anziana e ho tre sorelle giovani a casa-.
- E, perdonate, avete anche un fidanzato?-
- Non vi sembra di eccedere in curiosità, Principe?-
- Perdonatemi, Miss. Sapete, vostro padre diceva sempre che un giorno voi ed io ci saremmo incontrati…-
Alcesti rispose con un vago sorriso. Si trattava dell’ennesima conferma dei suoi sospetti: il suo viaggio era stato previsto.
- Posso essere tanto indiscreta da chiedervi di parlarmi di vostro fratello?-
- Che cosa volete sapere?-
- Che tipo è… prima mi hanno riferito cose spiacevoli sul suo conto, ma a pelle mi ha dato una sensazione diversa-.
- Questa situazione mi è nuova: invito una ragazza a ballare, e questa, invece che cadere ai miei piedi, mi chiede di mio fratello!-
- Non vi sembra un po’ presto per cadere ai vostri piedi?-
- No, non direi… ma posso aspettare!-
Sorrise e riprese:
- Dunque, mio fratello non è ben visto in città. Nonostante sia intelligente e coraggioso, ha un’indole schiva e calcolatrice, perciò non riesce ad accattivarsi i sudditi. Per la verità non ci prova nemmeno… Dicono che il suo cuore sia di ghiaccio: io non ci credo. La solitudine lo ha reso diffidente, ma non è sempre stato così. Non ha una donna, non ha amici, ha fatto terra bruciata intorno a sé. Ho soddisfatto la vostra curiosità?-
- Si, vi ringrazio-.
Il ballo terminò e il Principe, portandosi una mano della giovane alle labbra, le promise che sarebbe tornato a cercarla.
La danza successiva, Vanessa riuscì finalmente a convincere Chris a ballare. Alcesti rimase così sola ed ebbe modo di osservare con attenzione l’oggetto del suo interesse: il Principe Kysen se ne stava seduto alla destra della madre sulla predella, e discutevano. Nonostante sussurrassero e la loro regalità non ne subisse effetti negativi, Alcesti notò che la discussione si faceva sempre più concitata, fino al momento in cui il Principe gettò un’occhiata nella sua direzione, si alzò e si allontanò tra la folla. La ragazza riuscì a scorgerlo, ogni tanto, scambiare qualche frase di circostanza con uno o con l’altro invitato, per scomparire poi definitivamente dalla sua vista. Il resto del ballo trascorse osservando Christopher, visibilmente insofferente, che tentava di portare a termine il più dignitosamente possibile il suo dovere. La musica lentamente cessò. Persa nei suoi pensieri, Alcesti non si rese conto della presenza che le si faceva incontro.
- Ballate, Miss Alcesti?-
Voltandosi, trovò due occhi di ghiaccio fissi nei suoi. Pur essendo identici a quelli del fratello minore, gli occhi dell’erede al trono brillavano di una luce diversa: più fredda. Dire che mettevano in soggezione non avrebbe reso loro merito. Erano due laghi ghiacciati. Dopo qualche secondo di stordimento, la ragazza scelse una linea difensiva.
- Sicuro di volerlo, Signore?-
Una vaga sorpresa si dipinse sul volto pallido, rendendolo ancora più attraente.
- Per quale ragione dite questo?-
- Perché mi era sembrato che, nonostante l’insistenza di Sua Maestà, voi non foste particolarmente propenso ad invitarmi a ballare. Mi dispiacerebbe farvi cosa sgradita…-
- Se sapete per quale motivo sono qui, vi prego, non rifiutatemi: mia madre non mi darebbe più tregua!-
Così dicendo, le offrì una mano bianchissima, che lei accettò senza più alcuna esitazione. La musica si impose nuovamente, lenta e ritmata.
- Così mi stavate osservando…-
- Si, Signore, non lo nego. Voi mi incuriosite-.
- Per quale motivo, di grazia?-
- A causa dei vostri occhi: ho avuto la fortuna di incrociarli al vostro ingresso e mi hanno inevitabilmente attratta-.
- In tal caso avrete notato quanto somiglino a quelli di Ares, col quale vi ho vista tanto affiatata-.
Alcesti arrossì.
- Spero, Principe, che voi non stiate insinuando niente di spiacevole sul mio conto…-
- Oh, no Signorina… non ancora…-
Aggiunse con un sorriso sarcastico, e continuò:
- Immagino che Vanessa vi abbia già fatta partecipe di tutti i miei imperdonabili difetti-.
- In effetti, si, l’ha fatto. Parlando con vostro fratello di voi, però, mi sono fatta un’idea differente…-
- Sarebbe a dire?-
- È ancora presto, Principe, non vorrei sbagliarmi e fare una figuraccia!-
- Devo perciò dedurre che continuerete ad osservarmi per tutto il resto della serata-.
- Probabilmente si, sempre che questo non vi metta in imbarazzo…-
Il resto della danza proseguì in silenzio. Alcesti era contesa da due sentimenti contrastanti: era affascinata e, suo malgrado, attratta dalla figura misteriosa e dal passo elegante del suo compagno, ma sentiva crescere in lei una profonda antipatia verso quell’uomo così altezzoso e caustico.
Finita la danza, Kysen si congedò con un inchino, lasciandola sola al centro della sala, tutti gli occhi puntati su di lei.
- Questo è un evento più unico che raro!-
Vanessa e Chris erano comparsi accanto a lei, che chiese:
- Che cosa?-
- Che Kysen danzi, mi sembra ovvio!-
Rispose Chris.
- L’ha obbligato sua madre-.
- Te l’ha detto lui?!-
- No, Christopher. – Sbottò Vanessa – Due successi del genere sarebbero troppo anche per la nostra bella ospite!-
Irritata dalla superiorità con la quale veniva trattata, Alcesti lanciò un’occhiataccia all’amico e si allontanò tra la folla. Quale non fu il suo stupore sentendosi trattenuta per un gomito! Sbalordita, si voltò di scatto per scoprire che il suo inseguitore altro non era che Ares.
- Scappate da me?-
Le chiese fingendosi imbronciato.
- Lungi da me, Principe!-
- Vi prego, chiamatemi solo Ares. – Sorrise – Avevate promesso che avreste ballato di nuovo con me-.
Sorridendo, Alcesti si allontanò con lui. Si seguirono tre valzer, durante i quali parlarono del viaggio di lei, di Darkfield e di Alia. Con rammarico, Ares notò che la ragazza non andava oltre la mera cortesia: non uno slancio, non una mossa falsa. Sarebbe stata una battaglia più ardua del previsto.
La serata volgeva al termine, ed Alcesti si era ormai rassegnata alla sgradevole compagnia di Vanessa, quando i musici annunciarono l’ultima danza. Alcesti rimase a bocca aperta vedendo la figura scura di Kysen avanzare verso di lei. Senza dire una parola, le si avvicinò, le posò delicatamente la mano destra sul fianco e con l’altra mano sollevò la sua, prendendosi il consenso al ballo. Troppo stupita per obiettare, la giovane si lasciò trascinare nella musica sotto gli occhi increduli di tutti i presenti.
Col cuore a mille, lei sussurrò:
- Perché lo fate?-
- Vi dispiace?-
- No…-
La danza proseguì in silenzio per qualche minuto, poi Alcesti disse:
- Danzate davvero bene… ed è strano…-
- Non è necessario essere prestanti come Ares per ballare-.
Alcesti arrossì nuovamente.
- Non intendevo questo… non mi permetterei mai… volevo dire che se la danza è passione, e nessuno negherebbe mai che lo sia, per danzare bene bisogna saperla vivere, questa passione. Perdonatemi, ma il vostro aspetto è glaciale… perciò ne deduco che voi mi state mentendo-.
Kysen inarcò un sopraciglio con aria interrogativa. Lei riprese:
- O voi non sapete affatto ballare, - Sorrise – oppure non siete freddo e distaccato come volete sembrare-.
Il Principe le lanciò un’occhiata penetrante, ma non rispose. Cominciava a pentirsi di aver ceduto a quella debolezza: l’intuito della sua ospite lo spaventava.
La musica si spense e il Principe, dopo un breve inchino, osò portarsi alle labbra la mano della sua compagna per sfiorarla con un bacio privo di calore e di vita, che inspiegabilmente ammaliò Alcesti. Infine, si allontanò tra la folla che iniziava già a disperdersi, col profumo dolce di lei che gli pulsava ancora nelle tempie…  

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Capitolo 12
*** Schegge di passato ***


La mattina dopo il ballo, Christopher si era offerto di accompagnare Alcesti a visitare la città di Alia, ma per fare ciò aveva bisogno della autorizzazione del comandante della Guardia. Ora che era rientrato in città, era ufficialmente e completamente a disposizione dell’esercito.
- Vuoi accompagnarmi? Così, già che ci siamo, ti faccio vedere il campo!- chiese allegro Chris.
Si diressero così insieme verso il grande cortile retrostante il palazzo reale. Vicino alle stalle, si intravedeva una figura, che lentamente assunse i lineamenti del glaciale principe Kysen. Alcesti sentì una fitta allo stomaco: quel personaggio così altezzoso non avrebbe mai autorizzato Chris. Vedendoli arrivare, sul volto del principe si dipinse un’espressione interrogativa, che si trasformò presto nell’usuale alterigia.
- Miss Alcesti,- chinò il capo il segno di saluto, e aggiunse: - Sir Christopher…-
La ragazza si inchinò. Christopher abbassò a sua volta il capo e disse:
- Buongiorno, Comandante. Sono qui per chiedere il permesso di assentarmi nella mattinata-.
Kysen sembrò sorpreso.
- Dopo una così lunga lontananza, cavaliere? Per quale motivo, di grazia?-
Chris guardò Alcesti, che stava osservando con attenzione una spada posata su una panchetta. Kysen sembrò capire.
- È proprio necessario, in orario di addestramento?-
Chris chinò il capo. Kysen si avvicinò ad Alcesti, abbastanza da poter sentire quello strano profumo che l’aveva stordito la sera prima.
- Siete interessata alle armi?- chiese.
Alcesti alzò gli occhi su di lui.
- Si, signore. Mio padre mi insegnò a combattere con la spada e a tirare d’arco. Ma le lame mi affascinano decisamente di più delle frecce-.
- Singolare- commentò incuriosito il Principe. E continuò:
- In tal caso seguitemi: vi mostrerò personalmente il campo d’addestramento, prima che Sir Christopher vi accompagni a visitare i luoghi di perdizione della città-.
Sorrise, un sorriso freddo, privo di gioia. Al contrario, Chris sollevò il capo ed esclamò un sentito “grazie comandante!”.
La ragazza seguì l’affascinante Principe. Chris si teneva a distanza. L’uomo faceva strada verso una struttura di cemento con poche finestre. Raggiuntala, aprì la porta con una chiave che teneva legata in cintura, fece entrare Alcesti e la richiuse alle loro spalle. Lei lo guardò con aria interrogativa, ma lui non si scompose. Il suo modo di fare era alquanto singolare. La luce era scarsa, ma nella semioscurità si intravedevano dei bagliori sinistri. Erano armi. Armi lucenti erano appese lungo le pareti dell’edificio scuro. Alcesti si fermò ad osservarne una in particolare.
- Io questa la conosco…-
- Quella è Nemesis. Solamente il Re può impugnarla. Come la conoscete?-
Alcesti rifletté qualche secondo.
- Nello studio di mio padre… aveva una stampa che la raffigurava-.
- Ne siete sicura? È impossibile-.
- Sicurissima. Da piccola mio padre la nascondeva perché temeva che la rovinassi. Non ha mai mostrato un interesse particolare per questa lama?-
- Veramente, io e vostro padre non eravamo molto legati. Forse, Ares potrebbe esservi più utile di me-.
Alcesti lasciò cadere il discorso, sicura che Ares avrebbe assecondato la sua curiosità.
- Le altre di chi sono?- chiese.
- Questo è l’arsenale dei cavalieri, la guardia scelta della città. Si esercitano qui-.
Notando piccole figure incise accanto ad ogni gruppo di armi, Alcesti si avvicinò al Principe, che si stava avviando verso la porta e disse:
- Cosa sono quelle incisioni? Identificano la proprietà dell’arma?-
Kysen la fissò per qualche secondo sorpreso, poi si ricompose:
- Siete perspicace. Ogni cavaliere ha una sorta di animale guida, un potere che lo identifica. Ogni potere ha una natura diversa, nel momento dell’investitura si libera dal possessore in forma di animale. L’animale che compare ha caratteristiche in comune col cavaliere e col suo potere-.
- E l’incisione rappresenta l’animale, e quindi il cavaliere che lo incarna…-
- Esatto-.
Il Principe riaprì la porta e la luce abbagliò Alcesti, che ne rimase un po’ frastornata. Il tour proseguì tra arene e campi da tiro con l’arco. Le continue domande della ragazza sembravano scocciare Kysen, ma non quanto la sua vicinanza, tanto che Alcesti si chiese come riuscisse a rispondere tanto educatamente, nonostante l’evidenza. Un po’ a disagio per la freddezza che il Principe le riservava, la giovane assisteva impotente alla sottomissione del suo ego al fascino irresistibile di lui, e lo fissava di sottecchi. Cominciava a pensare che quella strana fitta allo stomaco, che si era trasformata in una sorta di nausea, non fosse dovuta al disappunto di averlo incontrato anche quella mattina, ma a qualcosa di ben più pericoloso…
Terminato il giro delle strutture di addestramento, Kysen le si parò davanti e disse:
- Qui avete già visto ben più di quanto avrebbe avuto il permesso di vedere un qualunque visitatore. Il vostro amico vi sta aspettando  vicino all’arsenale-.
Strano modo per liquidarla, pensò Alcesti.
- Volete dire che mi considerate alle stregua di un qualunque visitatore?- chiese con un sorriso malizioso.
Il Principe sembrò spiazzato, ma si riebbe velocemente e rispose:
- No, Miss, altrimenti non avreste visto tutto questo-.
Approfittando della sua esitazione, la giovane continuò:
- E come mi avete classificata, dunque?-
Kysen la osservò, gelandola col suo sguardo di ghiaccio.
- Siete un’ospite di Lady Philippa, e sembra che lei si fidi di voi; siete perspicace, anche troppo, e a volte la vostra curiosità è quasi imbarazzante…-
Alcesti arrossì. Era un chiaro messaggio tra le righe: basta domande. Confusa, la ragazza si inchinò, e altrettanto fece lui. Alcesti si voltò e si allontanò in fretta.
 
- Che ti ha fatto? Non mi dirai che è riuscito ad avere l’ultima parola!-
- Taci, Chris!-
Christopher sembrava divertito dell’irritazione di lei.
- Dai, racconta-.
- Non c’è niente da raccontare. Kysen è presuntuoso e indisponente-.
- Ma…?-
Alcesti si voltò stupita a guardare in faccia il suo amico, e sbarrò gli occhi nel trovarvi un’espressione sospettosa.
- Allora? C’è dell’altro, no?- continuò Chris non ottenendo risposta.
Alcesti rifletté qualche secondo, poi fece un gran respiro e disse:
- D’accordo, lo ammetto, c’è dell’altro. Quell’uomo mi affascina. Quel suo modo di fare ha un ché di intrigante. Dà un’immagine falsa di sé, ne sono sicura, e sono disposta a fare qualunque cosa per scoprire cosa c’è sotto…-
Christopher scosse lentamente la testa e, contrariato, disse:
- Cerca di restarne più fuori possibile… non sono sicuro che troveresti quello che cerchi-.
Alcesti cercò di pensare ad altro, distraendosi con la città che le scorreva attorno.
Christopher le illustrava la storia e l’architettura di Chiese, piazze, archi, monumenti, palazzi. Ovunque la città risplendeva di luminoso marmo bianco, che creava strani giochi di luce con l’acqua che zampillava dalle fontane, disseminate ovunque. Da questo punto di vista le ricordava Darkfield, anche se nella sua patria il colore dominante era certamente il nero.
Alcesti notò che la città era costruita in modo perfettamente geometrico, come fosse stata progettata a tavolino. Non aveva mai visto niente di simile. La proporzione degli edifici sembrava perfetta. Una città immaginaria.
L’ edificio più incredibile era la cattedrale: era assurdamente grande, ed era l’unica struttura in pietra scura dell’intera Alia. L’interno era freddo e immenso. Le alte finestre colorate gettavano fasci di luce sugli affreschi. Era meravigliosa. L’altare imponente, le panche lavorate, il pulpito scolpito, le statue, i rosoni…
Dopo un tempo indefinito, Christopher sfiorò un gomito della ragazza e sussurrò:
- Dobbiamo andare Al, c’è un’ultima cosa che devi vedere…-
Alcesti si lasciò trascinare fuori da una porta laterale per ritrovarsi in una piazza ottagonale sovrastata da una statua. Conosceva quel viso, quelle mani… gli occhi le si riempirono di lacrime.
- L’ho tenuta per ultima…-
Le parole di Chris erano lontane.
Alcesti si avvicinò alla statua. Appoggiò una mano sul marmo freddo per cercare di fermare il tremore delle gambe.
Era esattamente come lo ricordava, esattamente come la notte dell’incontro con Re Uther.
- Chris è… bellissima…- farfugliò.
- Lo so…- anche Chris sembrava commosso. Si rendeva conto di quanto quel momento significasse per la sua amica.
- Al, mi dispiace di non avertelo detto-.
Lei si voltò e gli sorrise: era strano come, dopo tanti anni, quel piccolo tassello del suo cuore fosse improvvisamente tornato al suo posto.
- No, Chris, sono contenta di essere qui-.
Quando le campane della cattedrale suonarono mezzogiorno, si incamminarono verso il palazzo.
 
Entrata nella sua stanza, Alcesti si rese conto che le sorprese per quel giorno non erano ancora finite: ogni centimetro quadrato di mobilio era ricoperto di vestiti di ogni sorta. Sulla scrivania, accanto a Maya, stava un biglietto:
“Ho pensato che avessi bisogno di abiti, se hai intenzione di fermarti, perciò mi sono presa a libertà di fartene fare qualcuno dalla sarta. I modelli li ha scelti lei, di solito ha intuito. Ti aspetto alle dodici e quarantacinque nei miei appartamenti per il pranzo: ci sono tantissime domande che voglio farti.
Lady Philippa.”
Alcesti si guardò attorno. Come avrebbe potuto ringraziarla per tutta quella roba? C’era veramente di tutto, da pantaloncini e magliette a maniche corte, a mantelli, scarpe da sera e abiti eleganti. Tutto di suo gusto. Incredibile.
Scelse un vestito leggero azzurro e un paio di ballerine appena più scure. Si stava giusto chiedendo come avrebbe fatto a stringersi il bustino da sola quando, con due colpi alla porta, una ragazza chiese:
- Miss, posso aiutarvi a prepararvi?-
 
Quando Alcesti varcò, non senza un filo di inquietudine, la soglia degli appartamenti privati della Regina, trovò un tavolo apparecchiato per due in un salottino, Sua Maestà intenta in una conversazione con una damigella. Ospite e padrona di casa si salutarono con un inchino, e Lady Philippa la invitò a sedersi. La Regina sorrise:
- Vedo che la sarta ricordava bene le misure-.
- Perfettamente, Maestà. Non avreste dovuto disturbarvi-.
- Non dire sciocchezze. Finché sarai mia ospite non ti mancherà nulla-.
Il pranzo cominciò. Sua Maestà volle sapere della famiglia di Alcesti, di cui tanto aveva sentito parlare, del viaggio, di come aveva conosciuto Sir Christopher. Si fece raccontare di come aveva trascorso la mattinata e le chiese cosa ne pensasse della città. Il discorso cadde poi sul ballo della sera prima.
- Ho visto che hai conosciuto i miei figli… Senza dubbio, Ares non ti avrà fatto mancare le attenzioni…-
- È piuttosto socievole…- commentò la ragazza imbarazzata.
- Portate pazienza con lui. Presto compirà vent’anni, e nonostante ciò è così immaturo…-
Sembrava che la Regina parlasse tra sé e sé; tornò poi alla realtà e mise a fuoco Alcesti.
- Spero che Kysen non sia stato maleducato-.
- No, tutt’altro Maestà!- Ma parlavano dello stesso Kysen?!
- Strano… è sempre così sarcastico…-
Alcesti pensò che forse, questa volta, il Principe aveva trovato pane per i propri denti.
- L’ho incontrato anche stamattina, e mi ha mostrato le strutture del campo di addestramento-.
La Regina era sinceramente sorpresa.
- Si è offerto spontaneamente?!-
- Si, Maestà-.
La regina restò pensierosa per il poco che restava del pranzo. Una volta salutata Alcesti, si ritirò nelle sue stanze. 

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Capitolo 13
*** Lezioni di magia ***


Stava lasciando le stanze della Regina, quando, svoltato un angolo, si trovò faccia a faccia con i Principi, impegnati in una fitta conversazione. Kysen sembrava scocciato, ma quando notò Alcesti interruppe bruscamente la conversazione e la fissò con i suoi occhi inquietanti, come a volerla trapassare. La ragazza rimase pietrificata, schiacciata dal potere di quello sguardo. Ecco di nuovo quello strano vuoto nello stomaco… Non poteva muoversi. Ares, che le dava le spalle, si voltò verso di lei e sul suo volto si allargò un sorriso perfetto.
- Che piacere vedervi, Alcesti! Cosa ci fate qui?-
A fatica, riuscì a staccare gli occhi dal più vecchio dei due fratelli, e rispose, imbarazzata:
- Io… ero a pranzo con Sua Maestà. Perdonatemi, non volevo interrompervi-.
Fece per andarsene, ma la voce profonda di Kysen la trattenne.
- Avete fretta di andarvene? Stavo giusto accennando a mio fratello dell’esistenza di una stampa raffigurante Nemesis fuori dai confini di Alia-.
- Come è possibile?- domandò Ares.
Alcesti si sentiva schiacciata dal peso invisibile degli occhi di Kysen, ma nonostante ciò tentò di rispondere coerentemente:
- Non ne ho idea, ma sono assolutamente certa che fosse lei. Speravo che mio padre avesse mostrato un certo interesse per quella spada, ma dalla vostra incredulità deduco che non l’ha fatto…-
Ares rifletté qualche secondo.
- Sono passati molti anni… non ne sono sicuro ma… forse si, forse ne era particolarmente attratto-.
- E non vi ha spiegato perché?- chiese Alcesti.
- No, ma ricordo che ogni volta che capitava l’occasione si fermava ad osservarla. Allora non ci diedi peso: ero un bambino, e quella lama è di una bellezza impressionante…-
Kysen era pensieroso, sembrava preoccupato. Alcesti sospirò (per quanto le fosse difficile a causa del bustino).
- Aiutatemi a capire, Principe Kysen. Cos’è che vi angoscia tanto di questa storia?-
Ares spostava lo sguardo dall’uno all’altra, incredulo, sospettando di essersi perso una parte importante del discorso. Kysen sospirò a sua volta.
- Il problema, Miss, è che, ammettendo pure che un cittadino di Alia si sia trasferito altrove, a Darkfield, per esempio, e abbia portato con sé quella stampa, avrebbe violato la legge di segretezza-.
- Sarebbe a dire il divieto assoluto di diffondere notizie di qualsivoglia genere sull’esistenza di Alia?-
- Ve ne hanno già parlato?- Kysen era stupito.
- Intuito…- rispose in un sussurro Alcesti. Ed era vero. Il passo tra l’esistenza di una legge di segretezza e la mancanza di notizie unita al comportamento di Christopher era breve.
Ares intanto era sempre più escluso dal ragionamento, ma iniziava a ritrovare i capi del discorso. Così disse al fratello:
- Negli ultimi anni non sono in molti ad aver lasciato la città…-
- Vero Ares, ma da quanto tempo quella stampa si trova là?-
Entrambi guardarono Alcesti.
- Non posso aiutarvi. Da che io sappia c’è sempre stata, fin nei miei ricordi più remoti. Sono sicuramente almeno di vent’anni…-
- Non lo scopriremo mai- commentò Ares.
Alcesti rifletté qualche secondo.
- Sentite: alla prima occasione cercherò di scoprire da mia madre se quella stampa fu comprata da mio padre e da chi, oppure da dove provenga. Di più non posso fare-.
- Bene- disse Kysen. Poi si voltò e si allontanò veloce lungo il corridoio.
 
- Perché vi interessa tanto questa storia?- le chiese Ares uscendo dal palazzo. Alcesti sorrise.
- Ci sono almeno tre motivi. Il primo è mera curiosità. Il secondo è l’inquietudine di vostro fratello. Il terzo, beh, non riesco a credere che l’esistenza di qualcosa proveniente da qui in casa mia e le ricerche di mio padre su Alia non siano collegate. Io sono tendenzialmente fatalista, ma questa sarebbe una coincidenza eccessiva…-
Ares si fece pensieroso, poi sembrò rasserenarsi, e disse:
- Avete programmi per oggi pomeriggio? Vorrei mostrarvi una cosa…-
 
Il sole splendeva limpido nel cielo di Alia, e Alcesti ne sentiva il calore sul viso, sulle braccia e attraverso il tessuto dei vestiti. Ares aveva ragione: valeva la pena di vedere quel posto. La collinetta erbosa era posizionata a nord delle mura cittadine, in mezzo alla distesa di campi coltivati. Offriva una vista spettacolare a sud sulla città, a ovest sulla campagna, a nord su Kellenwood e a est sull’oceano. Che cosa incredibile. Alcesti non aveva mai visto così tanta acqua. Sedendosi sul prato morbido, la ragazza chiese, indicando dei ruderi sulla sommità della collina:
- Cos’erano quelle rovine, Ares?-
- In antichità vi sorgeva un ninfeo. Secoli fa, le ninfe erano adorate come dee, ma col diffondersi della nuova religione, il loro santuario è caduto in rovina. Si dice si siano ritirate a Kellenwood, ma nessuno ne ha la prova…-
-Io le ho viste!- esclamò Alcesti.
Ares la guardò scettico.
- Davvero! Anche Christopher!-
- Ma dai! Le ninfe non si avvicinano agli umani…-
- Questo non è vero, sono solo un po’ timide. Ho incontrato Clodia vicino a Darkfield e mi ha seguita fin qui. Dice che nell’Everdark non vivono più sue simili,e per questo cercava una nuova casa-.
- E vi ha seguita fin qui?!- Ares era scioccato.
- Non fate quella faccia! Io e Clodia siamo diventate buone amiche!-
- Pazzesco…-
Alcesti rimase in silenzio per qualche minuto, osservando l’oceano. Improvvisamente si affacciò alla sua mente una domanda: eppure era così evidente, perché non ci aveva pensato subito?
- Perché sulle carte geografiche non compare questo oceano? Un città si può nascondere, ma questo…?-
Ares sorrise.
- Stavo aspettando questa domanda. Dovete sapere che Alia è posta su una sorta di faglia, che divide due dimensioni: quella magica e quella umana. Questo oceano appartiene al mondo della magia, e non esiste nella vostra dimensione. Per questo motivo Alia necessita di un sistema di difesa-.
Alcesti lo guardava a bocca aperta, così continuò:
- Per non rischiare che chiunque si perda nella foresta ci trovi, i padri fondatori posero un incantesimo sulla città e fecero in modo che solo chi la cerchi la possa trovare-.
- State dicendo che se io fossi capitata qui per caso non vi avrei visti?-
- Solo foresta- Ares sorrise.
- Solo foresta…- sussurrò lei.
Quando il sole era ormai inclinato sull’orizzonte, i due, che ormai si davano del tu, si risolsero a tornare a palazzo.
 
Quella sera doveva scegliere un abito adeguato: avrebbe cenato con la famiglia reale e con gli amici più intimi della Regina e dei figli, o meglio, del figlio, dato che Kysen sembrava non avere legami affettivi.
Il salone principale del castello era addobbato in modo sobrio, ma elegante, e la lunga tavola era apparecchiata per più di venti persone. Molti degli invitati erano già arrivati e conversavano tra loro a gruppetti. Bastò una rapida occhiata perché Alcesti si rendesse conto di non conoscere proprio nessuno. Fortunatamente poco dopo il suo arrivo fecero il loro ingresso i reali. La Regina sorrise agli invitati e fece cenno ad Alcesti di accomodarsi accanto a suo figlio Kysen, alla destra di Sua maestà, con evidente disappunto del fratello. Alla sinistra di Ares, di fronte ad Alcesti, prese posto un uomo molto anziano. Aveva barba e capelli lunghi e bianchi, curati, e ispirava un certo rispetto. Nonostante l’età non sembrava fragile, anzi. I suoi occhi erano neri e profondi, di ossidiana, e osservavano Alcesti con un interesse inquietante. Non lo distrasse nemmeno il discorso di benvenuto della Regina e l’arrivo della prima portata.
Alcesti non si spiegava la presenza di quell’uomo. Nessuno parlava con lui, nessuno lo guardava, come non fosse esistito. Ares continuava a ciarlare del più e del meno, mentre Kysen, silenzioso come sempre, sembrava nervoso. La Regina ascoltava i discorsi sciocchi del figlio minore e gli rispondeva con gentilezza. Ogni tanto rivolgeva ad Alcesti un sorriso cortese, o le faceva una domanda di circostanza. Alcesti si sentiva a disagio. Notando che Ares era impegnato in un’animata conversazione con un amico, la ragazza si rivolse a Kysen:
- State bene, Principe?-
Questo alzò lo sguardo su di lei, sorpreso, e rispose:
- Si, sto bene, vi ringrazio.- abbassò la voce – Mi rincresce che vi stiate annoiando…-
Alcesti arrossì.
- Non mi sto annoiando, solo…-
- … solo?- domandò Kysen incuriosito.
- … è difficile da spiegare, e probabilmente vi sembrerà sciocco, ma… mi sento sotto esame-.
Il Principe sembrò sorpreso dell’affermazione di Alcesti e, dopo qualche secondo di silenzio, sussurrò:
- In tal caso, comportatevi di conseguenza…-
Gli occhi di ossidiana erano ancora là.
La serata trascorreva lenta tra le domande di Ares e le occhiate circospette di Kysen. Alcesti aveva colto al volo il consiglio del Principe e aveva tenuto gli occhi aperti, senza cavare però un ragno dal buco. L’uomo seduto di fronte a lei la inquietava profondamente, ma non le aveva mai neppure rivolto la parola. La Regina sembrava un po’nervosa: lanciava continue occhiate furtive a Kysen, come per accertarsi che tenesse il giusto comportamento. La ragazza non vedeva l’ora che finisse. Poco prima dell’arrivo del dolce, Sua Maestà incrociò lo sguardo dell’uomo, che rispose con un cenno affermativo del capo. Kysen sospirò. Alcesti guardò Lady Philippa con aria interrogativa. Questa sorrise e disse:
- Questo, Alcesti, è Miyrdin. È il Magister di Alia, cioè il mago più anziano. Scusaci per la nostra apatia, ma è stato invitato a questa cena per capire se sarà possibile insegnarti la scienza magica-.
Alcesti sbarrò gli occhi sulla Regina.
- Prego?!- domandò.
Il vecchio Miyrdin prese la parola:
- Molto acuta, Miss. Avevi intuito buona parte del piano. Ottima mente, perspicace, e grande perseveranza e autocontrollo-.
- Come potete saperlo? È la prima volta che mi vedete…-
- Lo vedo nei tuoi occhi-.
La ragazza non sapeva cosa dire. Era tutto così assurdo…
- Quando comincerà?- domandò la Regina.
- Domani- rispose il Magister. E ad Alcesti:
- Ti aspetto domani nel mio studio-.
Si alzò e se ne andò.
 
Uscendo dalla sala, Alcesti sentì dei passi dietro di lei e si fermò.
- Posso accompagnarvi alla vostra stanza?- domandò la voce morbida di Kysen.
- Certo…- rispose titubante.
- Non eravate d’accordo, vero?- chiese Alcesti dopo qualche minuto di silenzio.
- Infatti- rispose secco.
- So che non amate rispondere alle mie domande, Signore, ma aiutatemi a capire: non vi sembra opportuno che mi venga insegnato a usare la magia, oppure non avreste gestito la faccenda in questo modo?-
- Io non posso sapere se serate o no un bravo mago, ma i rapporti tra persone civili dovrebbero basarsi sulla fiducia, e mia madre stasera ha tentato di ingannarvi-.
Alcesti rifletté un po’ e disse:
- Sapeva che non eravate d’accordo… per questo vi controllava… temeva avreste mandato a monte il piano…-
Kysen sorrise soddisfatto. Erano ormai davanti alla porta di Alcesti.
- Serbate allenata la vostra perspicacia, Miss. Se volete bazzicare la Corte vi servirà- e si congedò chinando leggermente il capo.
 
Titubante, Alcesti seguì le indicazioni di Lady Philippa fino alla piccola porta quadrata sul lato occidentale del cortiletto più interno, nel cuore della fortezza. Quel piccolo angolo di paradiso era coltivato a erbe mediche: le riconosceva tutte, le aveva studiate nella polverosa biblioteca di Darkfield. La sua prima lezione di magia! Le tremavano le gambe. Fece un gran respiro e bussò. La porta si aprì da sé, per mostrare una stanzetta piccola ma luminosa, piena di alambicchi e di scaffali ricoperti di libri. Al centro stava un grande tavolo quadrato, sul quale era piegato il vecchio Miyrdin.
- Ti stavo aspettando, bambina-.
- Sono in ritardo?- chiese preoccupata.
Il vecchio sorrise.
- Non intendevo in questo preciso momento. Aspettavo il tuo arrivo ad Alia-.
Vedendo comparire un’espressione sorpresa sul giovane volto aggiunse:
- Merthin mi aveva garantito che saresti venuta-.
- Pare l’avesse detto a tutti fuorché a me…- commentò Alcesti a mezza voce.
Miyrdin le fece cenno di avvicinarsi.
- Hai studiato medicina, vero?-
- Anche un po’ di alchimia-.
- Bene. Ora ascoltami attentamente: se sarai all’altezza delle mie lezioni, imparerai a volgere la forza degli elementi a tuo favore, a dominare la natura con la sola forza del pensiero; con un semplice gesto spazzerai via le rocce e, perché no, i tuoi nemici. Ma per fare tutto ciò dovrai studiare molto. Credi di esserne capace?-
- Si, Signore-.
- Magister-.
- Si, Magister-.
- Molto bene. Ora accendi quella candela- disse, additandone una a mezzo metro da loro.
Alcesti lo guardò sospettosa.
- Con la mente. Concentrati: devi volerlo-.
Alcesti fissò lo sguardo sul pezzo di cera. Non sapeva bene come fare, Miyrdin non gliel’aveva detto. Doveva volerlo? Beh, lei lo voleva, eccome se lo voleva! Decise di muoversi per tentativi. Per prima cosa cercò di immaginare la candela accesa, ma non funzionò. Provò allora immaginando sé stessa che accendeva la candela. Vano. Ripensò a quello che aveva detto il vecchio: gli elementi. Avrebbe forse dovuto implorare il fuoco di accenderla per lei? In quel momento comprese. L’unico modo di comandare gli elementi era esserne padrona, sentirli propri. Solo percependo il fuoco dentro di sé un essere umano può far scattare una scintilla.
Alcesti si concentrò e cominciò a sentirsi scaldata da fiamme invisibili. L’energia che affiorava in lei si stava concentrando interamente nelle sue mani. Non aspettava altro che di essere liberata…
La ragazza alzò lentamente un braccio in direzione della candela e schioccò le dita. Una fiamma illuminò lo stoppino.
Alcesti si voltò soddisfatta verso il Magister, che la osservava con espressione preoccupata.
- Non… va bene?- domandò, perplessa.
- Va benissimo, e questo non è normale- rispose tetro.
Alcesti attese che il vecchio continuasse, invano.
Diversi minuti dopo le disse:
- Proviamo con qualcosa di più difficile: riempi d’acqua quel bicchiere-.
La ragazza si concentrò. L’acqua lentamente entrava in lei. Era ovvio il perché sarebbe stato più difficile: non bastava una scintilla, doveva tenere la concentrazione più a lungo. I minuti passavano lenti e piccolissime gocce cominciavano a trasudare dal bicchiere. La testa le facevano sempre più male. Socchiuse gli occhi e li riaprì solo quando sentì una mano del Magister sulla spalla destra. Scoprì così che il bicchiere era pieno. Stremata, si appoggiò al tavolo.
Fissando il bicchiere, Miyrdin disse:
- Ora usa quell’acqua per spegnere la candela-.
Alcesti soffocò un singhiozzo. Dove avrebbe trovato la forza? Come poteva pretendere tanto? Incapace ormai di concentrarsi, si sentì invadere da una rabbia feroce nei confronti del vecchio, della Regina che l’aveva ingannata, di Vanessa che la trattava come una ragazzina, di Clodia che l’aveva abbandonata, di suo padre che l’aveva messa in quella situazione assurda…
Faticando a trattenere le lacrime, abbassò il capo e, con un gesto secco della mano, scaraventò il bicchiere, che si trovava a mezzo metro di distanza, sulla candela, che si spense. Fatto ciò, si accasciò a terra svenuta.
Fu un odore acre a riportarla alla realtà. Miyrdin stava bruciando qualche erba sotto il suo naso.
- Non era esattamente quello che intendevo, ma va bene comunque- Sorrise. – Non credevo ci saresti riuscita bambina. Hai un bel caratterino…-
Irritata dal commento, la ragazza si riebbe del tutto e chiese:
- Cercavate di uccidermi?!-
- Se avessi voluto ucciderti mi sarebbe bastato pensarlo-.
Mentre Alcesti si alzava, il vecchio continuò:
- Oggi hai discretamente domato acqua e fuoco. La prossima lezione sarà dedicata a terra e aria-.
Prima di congedarla, il Magister le mise tra le braccia tre grossi volumi di storia da studiare nel più breve tempo possibile. Ancora barcollante, Alcesti uscì e si diresse verso la sua stanza. 

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Capitolo 14
*** Nel cimitero ***


Quella notte non era una notte comune. La luna piena dava un’aria spettrale alla terra dei vivi… per non parlare di quella dei morti. Alcesti si era svegliata nel cuore della notte: aveva la strana sensazione di sentirsi chiamata da qualcosa o da qualcuno, e non aveva alcuna intenzione di ignorare quel segnale. Infondo, Alia era magica, no? Alzatasi, si era spinta nella direzione che il suo istinto le indicava, portandola verso il tetro cimitero della cattedrale, proprio al centro della città. La notte non era serena: a intervalli regolari, nubi sottili oscuravano la luna, dando ad Alcesti un forte senso di soffocamento. Era sola in una città sconosciuta in piena notte: perché non aveva paura? Il cancello solitamente chiuso del camposanto era spalancato, chiaro invito ad entrare. Ed eccola lì, a camminare tra lapidi di maghi e maghe deceduti da anni, secoli… nomi che neppure i loro discendenti ricordavano più. Quanti altri abitanti di Darkfield giacevano in quel luogo? Forse qualche suo antenato riposava lì… I nomi si susseguivano sulle lastre di marmo: Hornett, Crome, Blessed, Smith… Improvvisamente apparve un’ombra. Un’ombra scura si aggirava in quel luogo di morte, un fantasma forse?
Alcesti sapeva che avrebbe dovuto andarsene, ma la forza magnetica dell’ignoto glielo impediva. Il fantasma si muoveva velocemente. Lei lo seguiva silenziosa da lontano. Il lungo mantello nero frusciava tetro contro ai marmi. Faceva venire i brividi. Sembrava però non si accorgesse della folle ragazzina dietro di lui. Dopo aver percorso tre quarti del cimitero, il fantasma si arrestò senza preavviso davanti ad una lapide. Alcesti si fermò poco lontano, senza nascondersi. L’attrazione per quella misteriosa figura era inevitabile. Si avvicinò lentamente alla lapide, fermandosi a pochi metri da lui, che percependo la presenza si irrigidì, per poi voltarsi lentamente… e rivelare che non si trattava di un fantasma, ma del Principe Kysen!
Alcesti rimase impietrita: aveva già avuto modo di mettere alla prova la pazienza del Principe, per constatare che era molto, molto limitata, ed era palese che lei non avrebbe dovuto trovarsi lì, e stava invadendo la sua privacy. Contro ogni aspettativa, Kysen sembrò sollevato. I suoi muscoli contratti per la tensione si rilassarono vistosamente. Le fece cenno di avvicinarsi. Lei esitò, poi obbedì. Quando fu a meno di un metro da lui, tra i bagliori altalenanti della luna poté notare quanto il suo pallore spettrale fosse attraente. La lasciò a bocca aperta. La voce profonda la riportò alla realtà:
- Perché sei qui?-
Non le aveva mai dato del tu.
- Mi… mi chiamavano…-
Gli occhi di ghiaccio del Principe fissi nei suoi, così vicini, le davano i brividi. Doveva distrarsi. Si voltò verso la lapide, oggetto dell’attenzione del fantasma, e leggendo il nome inciso sul marmo i vari tasselli del puzzle cominciarono ad andare al loro posto: Hannah Taylor, la ragazza presa a ostaggio e uccisa da uno straniero proveniente da Darkfield sei anni prima. Ares gliene aveva parlato. Ora capiva l’ostinata diffidenza di Kysen nei suoi confronti.
- Era la tua ragazza?-
- Siamo stati insieme una sola volta. Mia madre e Ares non l’hanno mai saputo-.
- Continueranno ad ignorarlo, Principe-.
Kysen sembrava assorto. Improvvisamente le strinse un polso e, con trasporto, le disse:
- Prega con me, questa notte!-
Il suo sguardo era così penetrante che Alcesti ebbe paura. Era pazzesco pensare di trovarsi in piena notte, sola, in un cimitero, e di incontrarvi l’affascinante erede al trono… Non avrebbe mai potuto rifiutare. Annuì, così il Principe estrasse da una bisaccia che portava sotto il mantello un calice d’oro costellato di rubini nel quale versò vino e latte. Alcesti conosceva quel rito: si praticava anche a Darkfield. Kysen bevve un sorso dal calice, poi lo porse alla ragazza, che ne bevve a sua volta. Il restante contenuto venne poi versato sul terreno davanti alla lapide della giovane, recitando preghiere e invocando le anime dei defunti. Il rito era molto suggestivo compiuto in piena notte. Richiese circa mezz’ora, e Alcesti cominciava ad avere freddo. Nella fretta di uscire aveva indossato solo il suo mantello bianco sopra alla camicia da notte. Notando che tremava, Kysen le disse:
- Hai freddo? Vieni, ti accompagno al castello. È pericoloso uscire di notte di questi tempi-.
Camminarono in silenzio fino al cortile scuro del grande palazzo. Qui, Kysen la salutò con un inchino e scomparve nella notte. 

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Capitolo 15
*** Il Principe di ghiaccio ***


Quella mattina pioveva. Il primo giorno di pioggia dall’arrivo di Alcesti ad Alia. La notte precedente sembrava un sogno lontano, non riusciva a credere che fosse successo davvero. A mente lucida si rendeva conto della assurdità della situazione. Aveva sentito delle voci nella sua testa, le aveva seguite, si era trovata, sola, in piena notte, nel cimitero di una città sconosciuta. Lì aveva seguito un’ombra, che per fortuna si era rivelata Kysen. Doveva essere completamente pazza.
Dopo essersi vestita e aver fatto colazione, uscì per andare a salutare Chronos, il suo fedele amico. Appena messo piede nella stalla, però, si rese conto che qualcuno stava parlando. Sentiva bisbigliare. Uno era senza dubbio Kysen, l’altra era una donna, ma non capiva di chi si trattasse e se ci fosse qualcun altro. Alcesti non sapeva se entrare o se tornare più tardi. Fece un passo indietro e pestò qualcosa che scricchiolò.
Dal box accanto a quello di Polemos, il purosangue di Ares, la voce sconosciuta sussurrò un “chi è?” rivolto non certo alla ragazza. La voce profonda del Principe rispose, senza preoccuparsi di non farsi sentire:
- È Miss Alcesti di Darkfield-.
La donna emise un gemito di disappunto.
“ Come fa a saperlo?!” si chiese Alcesti, scioccata.
Dalle profondità del box emerse la voce familiare di Vanessa:
- Resta pure Alcesti, Sinéad se ne stava giusto andando-.
A quelle parole, una donna minuta, sui trentacinque anni, i capelli corti spettinati, uscì e se ne andò senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
Alcesti entrò nel box del suo cavallo, che nitrì, e lo accarezzò dolcemente. Chi era quella donna? Sembrava davvero arrabbiata. Vanessa uscì a sua volta dal box per fermarsi davanti a quello di Chronos. Alcesti la guardò con aria interrogativa. Vanessa sembrò voler dire qualcosa, poi ci ripensò, lanciò un’occhiata in direzione di Kysen e se ne andò. Che strano comportamento, pensò la ragazza mentre strigliava il cavallo. Era tanto presa dai suoi pensieri da non accorgersi dei passi del Principe, che la osservava attentamente dall’ingresso del box.
Voltandosi, Alcesti si sorprese nel trovarselo davanti. Ricomparvero le farfalle nello stomaco.
- Mi rincresce che abbiate dovuto assistere ad una scena tanto spiacevole- commentò lui con voce calma.
Così, dopo la notte prima, era tornato alle formalità.
- Perdonatemi, non avevo idea che avrei interrotto qualcosa di importante…-
- Mi avete fatto un favore: avete posto fine a un’inutile sequela di lamentele-.
Non aggiunse altro, ma i secondi passavano e se ne stava lì in piedi a studiarla con i suoi occhi di ghiaccio. Imbarazzata, inarcò un sopraciglio e riprese a strigliare Chronos.
- Non vorrei sembrarvi scortese, ma… c’è qualcosa che volete dirmi?- domandò. Il cuore le batteva velocissimo. Tutto quello che desiderava era scappare fuori da quella stalla a gambe levate. Si, il suo cervello stava decisamente andando in poltiglia.
Kysen sembrò indeciso, poi rispose:
- Niente di particolare-.
Alcesti smise per un attimo di strigliare, poi riprese, leggermente più rossa in volto. Particolare che a Kysen non sfuggì.
- Non mi direte che vi metto in soggezione, Alcesti…-
Sembrava compiaciuto. Alcesti si voltò e, raccogliendo tutto il suo coraggio, lo guardò dall’alto al basso e rispose:
- No, Signore. Dovreste?-
La sua espressione si indurì, per poi rilassarsi e lasciar posto a un sorrisetto malizioso.
- Direi di si, dato che siamo soli, in una stalla buia. Con questo tempaccio nessuno verrebbe a cercarvi qui…-
Alcesti sentì il cuore rimbombare, se possibile, ancora più frenetico. Deglutì e rispose:
- Come sapete che non fareste il mio interesse?-
Kysen la guardò divertito.
- Dovete avere sempre l’ultima parola, eh?-
- Esatto-.
- Bene- sorrise, il solito sorriso privo di gioia, - ma state pur certa che questa Ares la saprà!- e se ne andò.
- Ma quanto è antipatico…- sussurrò lei, e Chronos nitrì in segno di assenso.
Dopo qualche minuto, Alcesti salutò il cavallo e uscì dalle stalle. Mentre si dirigeva, correndo sotto la pioggia, verso il porticato, si sentì chiamare. Una volta al riparo, si voltò e vide che Vanessa la stava raggiungendo.
- Dov’è andato?- domandò col fiato corto.
- Chi?- chiese Alcesti.
- Ma Kysen, che domande!-
- Io… non lo so… come faccio a saperlo?!-
Vanessa si guardò attorno circospetta.
- Ti ha detto qualcosa?-
- No, niente, perché?-
- Devo parlarti-.
Si guardò attorno un’altra volta.
- La donna che hai visto prima, Sinéad, è un cavaliere della guardia. Ha chiesto di incontrare me e il Comandante in segreto per consigliarci- e accompagnò la parola disegnando nell’aria due virgolette con le dita – di allontanarti dalla città. Sostiene che sei pericolosa, che hai dei secondi fini-.
Alcesti sentì istantaneamente montare la rabbia: come osava? Nemmeno la conosceva!
- Ma questo non è vero! Che secondo fine potrei mai avere?!- esclamò.
- Lo so Alcesti, per questo ti ho difesa-.
- Ti ringrazio, Vanessa. Ma perché? Che ho fatto? Ho dato questa idea?-
- No, infatti non ci ha convinti. Credo che in primo luogo la preoccupi come Lady Philippa si sia fidata subito di te, senza riserve. Non ti nascondo che all’inizio questo aveva preoccupato anche me, ma Chris mi aveva assicurato che se ti avessi conosciuta ne avrei capito subito la ragione…-
Sospirò.
- Era già da un po’ che andava avanti quando sei arrivata. Kysen non ne poteva più-.
- Immagino che avrà fatto leva anche sul fatto che vengo da Darkfield, la città degli assassini…-
Vanessa sembrò sorpresa.
- In effetti si, l’ha fatto. Chi ti ha raccontato la storia?-
- Ares- rispose Alcesti, ripensando però alla notte precedente. Poi aggiunse:
- Che cosa ha detto il Principe?-
Sentiva l’angoscia che l’attanagliava. Vanessa non sapeva di Hannah Taylor, e sperava di non compromettere Kysen, ma doveva assolutamente scoprirlo.
- In effetti, all’inizio era un po’ riluttante a prendere le parti di qualcuno, ma quando Sinéad ha portato questa argomentazione si è schierato senza esitazioni…-
Ecco: il momento della verità. Alcesti aveva paura di ascoltare la fine della frase.
- … ti ha difesa a spada tratta!-
Alcesti sbarrò gli occhi.
- DAVVERO?!-
- Si! Era tanto che non lo vedevo così arrabbiato. Le ha detto che anche tuo padre era di Darkfield e che se non fosse stato per lui quella conversazione non avrebbe avuto luogo, e che non meriti di essere paragonata ad un assassino solamente perché vieni dallo stesso luogo. Ha anche aggiunto che nessuno deve permettersi di insinuare dei dubbi sulla buona fede della famiglia reale- concluse sorridente.
Alcesti era senza parole. Non credeva che Kysen l’avesse accettata così di buon grado. Non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che quanto successo la notte precedente fosse stato decisivo.
- Perché mi hai detto tutto?-
- Perché devi sapere di chi ti puoi fidare. Tieni gli occhi aperti, ragazzina: ci sono parecchie persone che cercheranno di farti fuori-.
- Grazie, lo farò-.
Alcesti si allontanò, prendendo nota di ringraziare Kysen.
 
Il giorno dopo non pioveva, ma il sole restava ben nascosto dietro una spessa coltre di nuvole. Era domenica. Alcesti era stata a Messa con Christopher e all’uscita aveva incontrato Vanessa, che le aveva presentato Alicia, sua sorella. Aveva diciotto anni, e si sarebbe sposata di lì a due mesi. Simpatica, meno altezzosa di sua sorella, era molto timida. Al gruppetto fermo sul Sagrato della cattedrale, si aggiunse Ares, che aveva assistito alla cerimonia dalla prima fila con la sua famiglia. Dalle sue usuali attenzioni, la ragazza intuì che Kysen non aveva fatto parola del loro botta e risposta della mattina precedente. Bravo. I fedeli stavano ormai scemando quando Alcesti notò il Principe che si allontanava a piedi, solo. Dovette cedere alla parte di lei che chiedeva insistentemente la compagnia di Kysen, ben sapendo che se ne sarebbe presto pentita.
- Scusatemi, devo parlare con Kysen… ci vediamo-.
Allontanandosi non poté fare a meno di notare il disappunto sul volto di Ares. La faceva sentire un po’ in colpa.
Kysen si fermò ad aspettarla con la sua solita espressione sorpresa. Quando lei gli fu accanto riprese a camminare.
- Ho due cose di cui ringraziarvi, Signore-.
- Due?- chiese lui sospettoso.
- Beh, prima di tutto non avete detto nulla ad Ares…-
- Mi verrà buono- commentò lui sorridendo.
- … e poi devo ringraziarvi se sono ancora qui…-
Kysen si fece serio.
- Speravo che Vanessa avrebbe resistito almeno ventiquattro ore-.
- Perché l’avete fatto?-
- Sono affari miei- rispose secco.
Alcesti sospirò.
- Ora siete arrabbiato… come devo fare con voi, Principe? Non riesco a mettere in fila più di due frasi senza rovinarvi la giornata-.
- Allora rinunciate e non complicatemi ulteriormente la vita- ringhiò tra i denti.
Ormai erano giunti nel cortile del castello. Alcesti sussurrò:
- Credo che voi abbiate una doppia personalità: di certo ora non siete la stessa persona che ho incontrato due notti fa!-
Sapeva che era un terreno pericoloso e che il Principe si sarebbe infuriato ancora di più, ma voleva a tutti i costi giocarsi anche questa carta. Lui le lanciò uno sguardo omicida e rispose, gelido:
- Fareste meglio a imparare a distinguere i sogni dalla realtà, Alcesti di Darkfield. Ora sparite dalla mia vista e fate in modo di non ricomparirvi per il resto della giornata-.
Detto questo si allontanò a grandi passi lungo il porticato, lasciando Alcesti a bocca aperta.
 
Chiudendo la porta della sua stanza, Alcesti non riusciva ad interpretare il proprio umore. Era delusa per la piega che aveva preso la conversazione con Kysen e si rimproverava per averlo fatto arrabbiare; era irritata per il carattere pessimo del Principe e per la frequenza con cui variava il suo umore; ma c’era anche dell’altro, uno strano velo di buonumore dovuto al fatto che quell’uomo così altezzoso si fosse abbassato a prendere le sue difese… chissà perché poi. Forse l’aveva scocciato l’argomentazione di Sinéad a causa delle sue vicende personali e l’aveva difesa per partito preso. Oppure no. Oppure l’aveva fatto perché era convinto che fosse giusto e credeva davvero in quello che aveva detto. Riconoscerlo davanti a lei sarebbe stato un segno di debolezza, una faglia nella coltre di ghiaccio… e da qui lo scatto d’ira. Alcesti aveva molto materiale su cui riflettere, ma quello non era il momento giusto. Quel giorno era in programma la sua seconda lezione di magia!
 
- Concentrati Alcesti, concentrati!-
Miyrdin aveva portato Alcesti in un cortile che non aveva mai visto. Ampio abbastanza per esercitarsi negli incantesimi. Il potere dell’aria proprio non lo digeriva. Era mezz’ora che tentava di volare, ma non era riuscita a staccarsi da terra più di dieci centimetri. E il continuo blaterare del Magister certo non le era d’aiuto.
Lo scopo di quella lezione era arrivare ad afferrare una mela, che pendeva cinque metri sopra al suo capo. Infondo, non avrebbe dovuto essere complicato…
- Basta, fermati- ordinò il vecchio.
Alcesti tornò a terra e lo guardò con aria interrogativa mentre si asciugava la fronte.
- Cambio di programma- annunciò il Magister. E continuò, mettendole davanti un grande vaso:
- Questo fiore è appassito. Voglio vederlo fiorire in meno di cinque minuti-.
Cinque minuti si dimostrò un lasso di tempo fin troppo ampio. Alcesti si avvicinò al vaso, sfiorò la piantina secca e questa riprese immediatamente vita. Miyrdin sbarrò gli occhi e farfugliò qualcosa di incomprensibile. Poi si schiarì la voce e disse:
- Non è possibile che tu non riesca a prendere quella maledetta mela! Soffri di vertigini per caso?-
- No-.
- Allora impegnati, dannazione!-
Le ci volle poco per infiammarsi. Aveva già avuto una giornata abbastanza pesante senza le bizze del vecchio mago. Non poteva sopportare di sentirsi dire che quell’incantesimo non le riusciva perché non si stava impegnando. Lanciò un’occhiataccia al Magister e, mossa dalla rabbia, si sollevò fino a prendere quella stupida mela. Nemmeno le piacevano, le mele! Tornata a terra la mise nelle mani di Miyrdin e disse:
- Meglio così?!-
Il mago la guardò sorpreso per quasi un minuto e, infine, disse:
- Devo per forza farti arrabbiare per ottenere qualcosa da te? Devi imparare a utilizzare tutta la tua energia anche in condizioni di quiete, bambina. Non sempre potrai contare sulla scarica di adrenalina…-
Così era tutto calcolato. Bene, ne avrebbe tenuto conto d’ora in poi. La prossima volta non l’avrebbe trovata impreparata.
 
Quella sera tornò nella sua stanza veramente stanca. Aveva passato diverse ore ad esercitarsi nel volo, poi aveva iniziato a combinare i vari poteri e Miyrdin aveva introdotto i primi incantesimi complessi come quello della luce. L’aveva congedata con il compito di esercitarsi in quanto fino ad allora appreso. La lezione successiva avrebbe introdotto gli incantesimi difensivi. E Alcesti non aspettava altro! 

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Capitolo 16
*** Il duello ***


Dalla finestra della sua stanza nel palazzo di Lady Philippa, Alcesti poteva vedere il campo di allenamento. Quella mattina aveva accompagnato Alicia al mercato sul presto, così, una volta rientrata per cambiarsi, notò i principi impegnati nell’addestramento con la spada. Erano un vero spettacolo: abili, veloci, ed entrambi incredibilmente belli! Nel combattimento, Ares stava avendo la meglio: era più veloce e più forte, ma ahimè, troppo imprudente. Una finta ben fatta e si fece ingannare dal fratello maggiore, perdendo il duello. Indignato, gettò la spada a terra e si allontanò. Kysen si asciugò il sudore dalla fronte con una manica (gesto sublime), raccolse l’arma del fratello e la passò al paggio. Si allontanò poi dal campo. Alcesti indossò i soliti pantaloncini e una maglietta, infilò gli stivali, e si precipitò nel cortile. Ares era seduto su una panchetta e lucidava uno scudo. Vedendola arrivare si alzò e sorrise tristemente. Alcesti lo guardò sorpresa e, con un mezzo sorriso, disse:
- Coraggio Ares, non abbatterti così, ti sei difeso bene!-
- Hai visto anche tu allora- sospirò, rattristandosi ulteriormente.
- Dalla mia stanza avevo una visuale perfetta!- sorrise.
- Senti, Alcesti, tu te la cavi bene con la spada, no? Perché non provi tu a sfidare Ky?-
- Cosa?! No, Ares, non così bene!-
- Non rifiuterete una sfida, Miss…-
Kysen era comparso dietro di lei. Il suo sguardo era gelido. Alcesti deglutì a fatica.
- Datemi il tempo di prendere Maya-.
Pochi minuti dopo, la giovane era al centro dell’arena di combattimento, la Starblade stretta il pugno, di fronte a lei il futuro Re di Alia.
Il Principe si mosse impercettibilmente: stava per scattare. Alcesti si mosse prima di lui, affondò. Kysen schivò e, con un balzo, rispose. Il duello era iniziato. Salto, affondo, paro; Ares osservava a bocca aperta la velocità e la leggerezza di Alcesti, che se la stava cavando decisamente bene. Dal canto suo, Alcesti si stava divertendo moltissimo: Kysen era un avversario straordinario! Per lui non esistevano colpi inutili, non perdeva in tempo a prendere fiato. Ogni suo attacco offensivo era studiato unicamente per uccidere.
Il Principe non aveva preso l’incontro sottogamba, nonostante non si aspettasse di trovare in una ragazzina una sfidante tanto ostica. Ad ogni suo movimento, inoltre, Kysen percepiva chiaramente quel profumo velenoso, che gli faceva desiderare di affondare la lama della sua spada in quel bel collo bianco…
Il combattimento era interminabile: Ares non riusciva a staccare gli occhi da quella sorta di danza, che avvolgeva i due protagonisti, perfettamente sincronizzati e tanto leggeri da sembrare eterei. Si era intanto radunata una piccola folla di servitori e paggi intorno all’arena: tutti col fiato sospeso in attesa del vincitore. Improvvisamente, Alcesti intravide uno spiraglio al fianco del Principe e, schivato un attacco, si lanciò. Kysen intuì la mossa, ma non fu in grado di ripararsi: doveva a sua volta attaccare. Proprio per evitare il contrattacco, la ragazza fece mezzo giro e…
Tutti i presenti trattennero il fiato. Alcesti era riuscita a trovare la feritoia che cercava e la sua lama era bloccata a un centimetro dal fianco del Principe. Per contro, lui aveva mandato in porto il contrattacco e la sua spada vibrava a pochi millimetri dalla gola della ragazza. Rimasero così alcuni secondi. Lei poteva sentire sulla pelle il respiro affannoso di lui, che aveva ceduto ancora una volta all’ipnosi del suo profumo. Infine, deposero le armi e la piccola folla si disperse. Kysen era davvero impressionato. Vedendo suo fratello che si avvicinava, si accostò alla ragazza e le disse all’orecchio:
- Complimenti, ragazzina… mi hai fatto sudare! La prossima volta non ti sottovaluterò-.
Alcesti sbarrò gli occhi sull’affascinante Principe che si allontanava con il suo passo elegante: quella vittoria a metà l’aveva elevata abbastanza da poter dare del tu all’erede al trono?
 
- Non ti credevo così brava!-
Ares era sopraggiunto a smuoverla dai suoi pensieri tormentati.
- Dove hai trovato quella spada? Sembra molto antica-.
- Lo è. Fu forgiata più di seicento anni fa per il capostipite della mia famiglia-.
- Come mai ce l’hai tu? Voglio dire… è strano, no?-
- Mio padre me la lasciò prima di partire. Avevi ragione Ares: lui sapeva perfettamente che ci saremmo conosciuti-.
Si voltò e si diresse lentamente verso le stalle, dove montò Chronos, per allontanarsi sola dal palazzo. Aveva bisogno di meditare. Lanciò il suo cavallo fuori dalle mura della città, attraverso i colori dei campi coltivati, verso la collina verde dalla quale si osservava la città, il bosco e, soprattutto, il mare. Alcesti adorava quel luogo. Mancavano ancora un paio d’ore al pranzo, e il sole splendeva alto nella mattina tardo primaverile. Coricata sull’erba fresca, stava per addormentarsi quando una voce alle sue spalle la destò.
- Che ci fai TU qui?!-
La ragazza non aprì gli occhi, ma il suo cuore mancò un colpo. Era la voce di Kysen. Rispose:
- Potrei farti la stessa domanda, Principe-.
Aprì gli occhi. L’uomo era in piedi dietro la sua testa e la osservava con aria interrogativa.
- Rilassati, Kysen, e siediti qui al sole…-
Kysen esitò, poi si sedette accanto a lei. Che disdetta averla incontrata lì: che fosse un segno?
- Perché sei qui, Alcesti?-
- Avevo bisogno di pensare… come te presumo…-
Kysen sembrò riflettere qualche secondo, poi sospirò e rispose:
- Vengo sempre qui quando devo riorganizzare le idee-.
- Vuoi che me ne vada?- chiese Alcesti mettendosi a sedere.
- No, non preoccuparti. Oggi ti sei guadagnata l’onore della mia presenza!- Sorrise.
- Grazie Sire!- rispose sorridendo a sua volta Alcesti.
- Hai iniziato a studiare? Come te la cavi?-
- È presto per dirlo, ho cominciato da poco. Per il momento sembra bene…-
- Sarò sincero ragazzina: con la spada te la cavi molto bene, e se tu riuscissi ad imparare altrettanto bene magia, saresti un elemento importante per la mia squadra-.
- Fammi capire… mi stai proponendo di allenarmi per diventare cavaliere dell’esercito di Alia?-
- Esattamente. Ma prima di tutto questo viene lo studio-.
Alcesti rifletté alcuni secondi, poi disse:
- Questo vorrebbe dire dover lasciare definitivamente Darkfield…-
- Vola basso Signorina: sarà il combattimento contro di me a decidere tutto-.
La ragazza non rispose. Quel discorso l’aveva turbata.
Rimasero in silenzio a lungo, fino a quando, come seguendo un tacito accordo, si alzarono e si diressero con i loro cavalli verso il palazzo.  

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Capitolo 17
*** Di nuovo in viaggio ***


- Chris!-
Vanessa si stava avvicinando velocemente alla piccola arena nella quale il cavaliere stava aiutando Alcesti con gli incantesimi difensivi. La ragazza stava imparando a conoscere meglio i cavalieri della guardia e i loro alter ego animali. Infondo, se voleva diventare una di loro, doveva farci l’abitudine. Aveva così scoperto che al suo amico corrispondeva l’Albatros, a Vanessa la Farfalla, ad Ares il Leone, a Kysen l’Aquila, a Sinéad il Colibrì. Erano molti i membri della squadra che non aveva ancora conosciuto. Se il loro potere si manifestava nel combattimento, chissà come doveva essere vederli all’opera…
Chris interruppe l’esercizio per andare incontro al suo Capitano. Alcesti lo seguì.
- È successo qualcosa?- domandò preoccupato.
Vanessa lanciò un occhiata ad Alcesti, che disse:
- Capito, scusate…- e fece per allontanarsi, ma Christopher la fermò.
- Non credo ci sia nulla che lei non possa sapere- disse, rivolto a Vanessa.
- No, non è questo, è che… abbiamo ricevuto una lettera dalla sorella della Libellula. Yurika non è mai arrivata da lei- concluse in un soffio.
Chris rimase impietrito.
- Le sarà successo qualcosa? È parecchio tempo che è partita-.
- Crediamo sia stata rapita. L’ultima volta che ha dato notizie è stato appena lasciata Kellenwood-.
Alcesti improvvisamente si illuminò. Possibile che…
- Yurika avete detto?! Bionda?-
- Si…- risposero in coro.
- Occhi veri, esile- continuò Alcesti.
- Si!- ripeterono.
- Voce stranissima…-
- È lei! Come la conosci?!- domandò con trasporto Christopher.
- A Preemtown! In biblioteca! Noi ci siamo scontrate e… e… oh, Chris, se ci fossi stato tu…-
- Era sola?- domandò Vanessa.
- No. Viaggiava con due uomini. Accidenti, a pensarci adesso sono sicura che fossero un mago e un cavaliere-.
- E sapresti riconoscerli?-
- Si, sicuramente!-
- Preemtown… non è passato molto. Coraggio, non è ancora troppo lontana!- sussurrò Christopher.
 
Si presentarono davanti a Lady Philippa pochi minuti dopo, insieme al resto della guardia. I figli l’avevano già informata dell’accaduto. Ma non sapevano ancora degli ultimi risvolti…
- Questo è un vero colpo di fortuna!- commentò la Regina, messa a conoscenza da Vanessa della scoperta.
- Madre, dobbiamo organizzare subito una squadra di ricerca!- esclamò Ares.
- Due persone saranno più che sufficienti. Non dobbiamo dare nell’occhio, non sappiamo chi siano i rapitori- disse Kysen.
- Sono d’accordo, Ky- disse la Regina. – Alcesti, so che ti sto chiedendo molto, ma tu sei l’unica ad aver visto in viso i rapitori. Te la sentiresti di essere una delle due persone?-
- Si, Maestà- rispose Alcesti, chinando il capo.
- Chi andrà con lei?- chiese Ares, speranzoso.
La Regina rifletté qualche secondo, poi dichiarò:
- Kysen-.
- COSA?!- domandarono in coro Ares, Kysen ed Alcesti, tutti e tre, per diversi motivi, scioccati.
- Questo ho deciso. Vi fingerete marito e moglie, per non attirare l’attenzione. Usate la massima discrezione. Partirete domani mattina. Non c’è tempo da perdere-.
 
Kysen attese che tutti uscissero dalla sala delle udienze per poter parlare da solo con sua madre.
- Non credo sia una buona idea- disse, avvicinandosi al trono.
- Io credo di si. Il tuo buonsenso e la sua perspicacia riporteranno a casa Yurika sana e salva-.
- Lascia andare Ares con lei…-
- È meglio che tuo fratello non si muova da Alia. Vedrai, Ky, che è la scelta migliore-.
 
Alcesti era seduta nel cortile delle stalle con Vanessa.
- Non so se ce la farai- disse la Farfalla.
- Di cosa stai parlando?-
- Di Kysen- Vedendo che la ragazza non rispondeva, continuò – Non avresti preferito Ares? Insomma, lui è così tetro…-
- No, non credo che Ares sarebbe stato un migliore compagno di viaggio, Ness… ad ogni modo la priorità ora è Yurika-.
- Riguardo a questo, Al, volevo dirti una cosa. Prima non volevo escluderti dalla faccenda. Avrei preferito dare la notizia a Chris da solo. Lui e Yuri sono molto legati…-
- L’ho notato-.
- Appena siete tornati, l’ha cercata, ed è rimasto molto deluso quando gli è stato comunicato che era in viaggio diretta verso casa di sua sorella… sai, loro hanno seguito l’addestramento e sono diventati cavalieri insieme…-
- Spero solo di poter essere d’aiuto- concluse Alcesti. 

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Capitolo 18
*** Alla ricerca della Libellula ***


  - Perché sono qui?-
  Kysen era imbronciato. Avevano lasciato Alia da poco più di un’ora e già sarebbe voluto tornare indietro.
- Per aiutarmi a trovare Yurika- rispose sorridente Alcesti.
Era contenta di poter essere utile, ed ancora più di poter passare qualche tempo con l’affascinante Principe, per quanto sapesse che sarebbero stati continuamente in contrasto. Entrambi troppo ostinati per poter andare d’accordo. Kysen riprese:
- Io non dovrei essere qui. Ares dovrebbe esserci. Saremmo tutti più contenti!-
Alcesti sorrise di nuovo: Kysen le stava inconsciamente mostrando un insospettabile lato infantile. Disse:
- Cosa ti fa pensare che avrei preferito Ares a te?-
Lui la guardò con aria sorpresa.
- In caso contrario saresti completamente pazza!-
- Beh, sono partita da sola alla ricerca di una città leggendaria… credi che una persona sana di mente l’avrebbe fatto?!-
Gli fece una linguaccia e accarezzò Chronos.
- Sbaglio oppure oggi sei particolarmente allegra?-
- Non sbagli!-
Alcesti non aveva intenzione di aggiungere altro: si rimproverava per la sua ingiustificata euforia, temendo che potesse tradirla. Fortunatamente, il suo compagno era troppo contrariato per riflettere sul suo comportamento. Più tempo passava con lui, più le risultava facile controllare, o almeno ignorare, l’ormai familiare senso di nausea, anche se la vertigine continuava ad assalirla a tradimento.
- Da quanto tempo non lasci Alia, Kysen?-
- Troppo perché lo possa ricordare-.
- Ed è di questo che hai paura… oppure di me?-
- Per quale motivo dovrei avere paura di te?!-
- Non saprei Principe, dimmelo tu…-
Kysen distolse lo sguardo. Con quel suo modo di fare, Alcesti lo irritava: riusciva sempre a farlo sentire stupido e infantile, cosa che prima di allora nessuno era riuscito a fare. Questo lo spaventava. Dopo aver ceduto ad una debolezza la sera del ballo, ci era ricaduto mille altre volte. Sembrava che il suo autocontrollo fosse stato annientato dal dolce veleno che attraverso il suo profumo si era impossessato di lui quella sera, per non lasciarlo più andare. E per ogni minima concessione al suo subconscio veniva punito: lei era troppo acuta, troppo intelligente e troppo orgogliosa per la sua età, e non era nelle condizioni di permetterselo! Avrebbe voluto punirla personalmente per la sua insolenza! Eppure eccolo di nuovo lì, avvinto da catene invisibili, il glaciale erede al trono era bruciato vivo da una ragazzina presuntuosa.
- Tutto bene?-
Alcesti lo guardava. Si era perso nei suoi pensieri.
- Per quale motivo una ragazzina come te dovrebbe preferire la mia compagnia a quella di un bel principe suo coetaneo?- le chiese con un sorriso ironico.
- Beh, possono esserci diversi motivi. Prima di tutto per autolesionismo, - Sorrise – poi perché da un mago adulto avrebbe più possibilità di imparare, e ancora, perché il giovane principe le renderebbe il viaggio un inferno, e infine… forse la suddetta ragazzina si diverte di più in tua compagnia piuttosto che con il tuo avvenente fratello. Scegli la risposta che preferisci!-
- Certo che sei strana… non c’è donna ad Alia che non desidererebbe le attenzioni di Ares, e tu che le hai non ti fai nemmeno tentare!-
- Questo non è vero, Ares mi tenta moltissimo! È bello, prestante, abbastanza intelligente e senza dubbio sa come trattare una donna, ma non fa per me…-
Kysen alzò un sopracciglio con fare scettico.
- Non fare quella faccia! Sai com’è fatto Ares, lui è abituato a comandare e ad ottenere sempre ciò che vuole e…-
- … e tu pure- concluse lui.
- Appunto. Io non potrei mai stare con lui, mi ucciderebbe-.
- Oh, lui non la pensa affatto così… è sicuro che cadrai ai suoi piedi, alla fine lo fanno tutte-.
- Questa volta non ce la farà-.
- Come mai ne sei così sicura?-
- Ma come sei curioso!-
Per un momento, Alcesti aveva rischiato di tradirsi. Stava per rivelare a Kysen che era un altro l’uomo che occupava interamente i suoi pensieri. Lanciò il cavallo al galoppo e si addentrò nel bosco che si apriva davanti a loro.
Kysen si sorprese a sorridere, di quei tempi gli succedeva sempre più spesso. Forse, infondo, non sarebbe stato così deprimente allontanarsi per un po’ dalla città. Aveva scoperto che l’allegria della sua compagna era contagiosa, inoltre sapere che Alcesti non nutriva alcun genere di riserve su una possibile relazione con il suo presuntuoso fratellino l’aveva messo notevolmente di buon umore.
Alcesti si era fermata 100 metri più avanti lungo il sentiero: era attraversato da un impetuoso corso d’acqua, sovrastato da un ponte interrotto.
- Se non avessimo avuto i cavalli, avremmo potuto volare- disse Kysen.
- Cerchiamo un altro ponte-.
Alcesti smontò dal cavallo, lo prese per le briglie e si addentrò nella boscaglia, il cavaliere al seguito. La vegetazione rendeva difficoltosa la marcia. La ragazza sembrava avere un’idea precisa di dove andare, e il suo compagno aveva un vago ricordo di quel luogo. Quand’è che era già stato lì?
- Al…-
Lei si voltò e lo guardò con un sorrisetto divertito. Non l’aveva mai chiamata così.
- Al, dove mi stai portando?-
- Da una persona che può aiutarci. Fidati di me-.
Camminarono altri dieci minuti prima di giungere in una meravigliosa radura circolare, in mezzo alla quale sgorgava uno scintillante ruscello e l’erba era soffice. Ora Kysen sapeva quando aveva già visto quel posto…
Gli sembrava di vivere in un sogno. Si era perso in un bosco scuro, ed ecco comparire l’Eden. Al centro di esso, la sua Dea, la bella ragazza bionda che aveva seguito giorno e notte nelle ultime settimane. Faceva il bagno nelle acque limpide. Notandolo, sul suo viso si dipingeva un sorriso malizioso. L’abisso della perdizione era ad un passo…
- Stai bene?-
La voce dolce di Alcesti lo svegliò dalla sua visione e il suo cuore (perché, in effetti, anche lui ne possedeva uno) saltò un battito. Guardò la sua compagna di viaggio: aveva un’espressione preoccupata. Non rispose.
- Kysen, siediti, sei pallido, e stai sudando…-
- Perché siamo qui?-
- Per le Ninfe-.
Si spostò al centro della radura e s’inginocchiò. Improvvisamente tutto prese vita: si scorgevano presenze tra le foglie, nei rami, nell’acqua. Una di esse uscì dall’ombra e si avvicinò ad Alcesti. Le offrì una mano per aiutarla ad alzarsi e si abbracciarono. Il Principe era stupefatto. Non aveva mai visto una creatura silvestre, e non avrebbe mai immaginato che potesse avvicinarsi tanto ad un umano. La Ninfa parlò:
- Cosa ti porta qui, amica mia?-
Alcesti le sorrise e indietreggiò per mostrare il suo compagno.
- Lui è Kysen, Clodia, l’erede al trono di Alia-.
La Ninfa rise, una risata cristallina.
- Molto piacere, Principe.- Si rivolse di nuovo ad Alcesti – Christopher è caduto in disgrazia?-
- Clodia, ti prego!- arrossì. - Abbiamo bisogno d’aiuto. Il ponte a nord è crollato, e dobbiamo attraversare il fiume-.
- Va bene, amici. Seguitemi-.
Li condusse attraverso l’erba alta e le fronde fino ad un piccolo ponte, abbastanza robusto da reggere i loro cavalli. Una volta oltrepassato, Clodia si congedò. Sorrise maliziosamente a Kysen, abbracciò l’amica e le sussurrò:
- Non lasciartelo scappare…-
 
- Come fai a conoscere una Ninfa?-
- L’ho incontrata nell’Everdark e mi ha seguita fin qui. E ora dimmi: quando eri già stato laggiù?-
- Sei anni fa. L’avevo cercato a lungo da allora, ma non l’avevo più trovato-.
Era ancora turbato, era evidente. La mano che teneva la briglia tremava. Alcesti decise di abbandonare i suoi propositi di farlo confessare. Almeno per il momento.
- Abbiamo un problema, Principe…-
- Sarebbe a dire?-
Alcesti si fermò e si voltò a guardarlo.
- Siamo usciti dal sentiero. Come facciamo a sapere in che direzione stiamo andando?-
- Hai ragione. Bisognerebbe volare oltre le cime e dare un’occhiata…-
Alcesti sbiancò. Aveva ancora parecchie difficoltà con quell’incantesimo. Esitò.
- Non mi dirai che hai paura…-
- …io…-
Kysen sbuffò.
- Dovevo immaginarlo. Lascia stare, vado io-.
L’orgoglio ferito di Alcesti a quel punto prese il sopravvento sulla paura. Si concentrò e, lentamente, si sollevò dal suolo. Con l’altezza cresceva anche la sicurezza. Kysen si sarebbe pentito della sua insolenza.
Le cime erano ormai vicine, l’aria si era fatta più fresca e iniziava a filtrare qualche raggio di sole. Finalmente il cielo, la calda luce sul viso.
Improvvisamente un falco che si levava in volo vicino a lei attirò la sua attenzione,e fu una vera sorpresa sentirsi trafitta da qualcosa di affilato ad una coscia. Perse la concentrazione e cominciò a precipitare.
Kysen vide la freccia saettare e colpirla. Lasciò andare le briglie dei cavalli e scattò in alto per afferrarla prima che si facesse male seriamente. Portatala al suolo, la posò su di un morbido tappeto di muschio. Era colpa sua se Alcesti aveva rischiato la vita.
- Grazie…- sussurrò lei.
I suoi occhi erano lucidi di lacrime trattenute che non erano dovute alla paura, ma alla vergogna.
- Da dove veniva quel dardo?-
- Un cacciatore, credo. C’era un falco accanto a me-.
- Sei stata fortunata, ti ha colpita di striscio-.
- Già, che fortuna…- commentò la ragazza sarcastica.
- Non dire sciocchezze. Anche i maghi adulti perdono la concentrazione quando sono feriti. Solo i più esperti sarebbero riusciti a tenere vivo l’incantesimo-.
Alcesti esaminò la ferita.
- In qualche giorno sarà completamente rimarginata-.
- Come lo sai?-
- Ho studiato un po’ di medicina…-
Kysen scosse la testa con aria perplessa e le posò una mano sulla ferita, che smise di sanguinare e cominciò lentamente a guarire. La sorpresa le fece dimenticare l’orgoglio.
- Come hai fatto?- chiese una volta rimarginata.
- È un incantesimo medico, è magia avanzata-.
- Insegnamelo, ti prego!-
- Sei ancora troppo inesperta, è complicato. Ma quando te la caverai meglio, potremo riparlarne…-
 
Volando oltre le cime ad intervalli regolari, riuscirono a ritrovare il sentiero principale che avevano lasciato a causa del ponte. Da quel momento tutto fu più semplice: non incontrarono intoppi, e nel tardo pomeriggio lasciarono la foresta alle loro spalle.
  

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Capitolo 19
*** La debolezza di Kysen ***


Il giorno volgeva al termine, il loro primo giorno di viaggio. Urgeva la ricerca di una locanda in cui passare la notte. Kysen optò per la “Sullivan”, appena fuori del bosco che circondava per tre quarti il territorio di Alia. Si trovava su un crocevia poco trafficato: i rapitori di Yurika avevano commesso l’errore di pensare che la strada meno frequentata li avrebbe protetti, mentre probabilmente sarebbe stato il contrario. Non appena scesero da cavallo, un ragazzino si avvicinò, chiese loro se cercavano alloggio, e, a risposta affermativa, prese le redini di Chronos e Fog e li condusse nella stalla. Prima di entrare nel piccolo atrio illuminato da un fuoco scoppiettante, Alcesti prese Kysen per un braccio e gli disse:
- Ricorda che ufficialmente siamo sposati…-
- Ti riferisci alla stanza?-
- Esatto. Sarebbe losco chiedere due stanze separate-.
- Temevo che l’avresti detto-.
- Guarda che non ti mangio! E poi è con tua madre che ti devi lamentare, perciò non fare il difficile!-
- Sai, hai ragione. Infondo, se non hai paura tu…- e le dedicò un sorrisetto malizioso che la fece arrossire.
Entrarono, e la locandiera li salutò cordialmente. Kysen chiese una stanza, e la signora non pose nessuna obiezione: la loro copertura reggeva. Si sistemarono nella loro stanza, che per la verità era piuttosto squallida, e scesero per mangiare un boccone, anch’esso gramo. La gentile locandiera si interessò del loro viaggio e della loro condizione. Osservò che erano una coppia molto giovane e volle sapere da quanto erano sposati. Finito di cenare si ritirarono. Kysen era imbronciato.
- Sei di cattivo umore…- commentò lei.
- Quella donna fa troppe domande. Per fortuna sei brava a mentire-.
- Dì la verità, ti irrita che lei ci possa pensare sposati-.
- E perché mai? Non è così inverosimile-.
- Perché la tua autostima ti impedisce di vederti innamorato, e quindi succube, di un altro essere umano-.
- Ti dispiace smettere di psicanalizzarmi?-
- Perché dovrei? Sei un soggetto molto interessante-.
Kysen sbuffò e poiché non aggiungeva altro, Alcesti disse:
- Hai bisogno del bagno o posso…?-
- Va pure, così non ti vedo per un po’…-
 
Alcesti uscì dal bagno con i lunghi capelli bagnati che le cadevano sulle spalle e un asciugamano in mano. Kysen la guardò perplesso, poi sentenziò:
- Ares non deve saperlo…-
- Perché?-
- Perché ci ucciderebbe entrambi, e io non ho intenzione di morire per colpa tua- sorrise – hai finito in bagno?-
Uscendo, la ragazza gli fece segno di andare pure.
Ora che era fuori da Alia, era meno problematico scrivere alle sue sorelle. Sedette alla scrivania, sfoderò carta, penna e calamaio e cominciò:
“Cara Hermione,
perdonami se non do notizie da diverso tempo. Il mio viaggio mi ha portata alla meta sperata, e proprio per questo motivo non ho potuto scrivervi. Purtroppo papà è morto sette anni fa. È caduto in battaglia, da valoroso guerriero quale è sempre stato. Era giunto fin qui. Sapevo che aveva ragione. Io sto bene. Ora sono in viaggio, e vi sto scrivendo da una locanda ai margini occidentali della foresta di Kellenwood. Sono accompagnata da uomo, una persona incredibile! Vorrei che poteste conoscerlo… Tra qualche giorno, spero potremo rientrare in città… Dovreste vederla, è di una bellezza inimmaginabile! Ora devo salutarti. Mi rendo conto di essere stata vaga, imprecisa e un po’ misteriosa nella mia brevissima lettera, ma non posso dirvi nulla di più, per il momento. Volevo solo che sapeste che sto bene. Spero di riuscire a scrivere di nuovo quanto prima. Un abbraccio forte forte a tutte, vi voglio bene”.
Kysen era uscito dal bagno.
- Che fai?- chiese.
- Scrivo una lettera-.
- Spero tu non abbia parlato della nostra missione-.
- No, tranquillo. Era diverso tempo che non davo notizie. Scrivere da Alia non mi sembrava una buona idea!-
- Ottimo accorgimento-.
- Qual è il programma per domani?-
- Direzione Preemtown. Da là cercheremo tracce del loro passaggio-.
Alcesti rimase pensierosa per un attimo.
- È stata una fortuna riuscire a contattare Clodia stamattina. Avremmo dovuto munirci di una mappa prima di partire…-
- Non ne abbiamo avuto il tempo-.
- Secondo me speravi di riuscire ad abbandonarmi nel bosco!-
- Forse avrei dovuto, ma purtroppo mi servi: conosci questo percorso meglio di me, e sei l’unica ad aver visto i rapitori di Yurika. Non posso scaricarti-.
- Grazie, Principe! Un vero gentiluomo…-
- Ora dormi chiacchierona, o domani non riuscirò a svegliarti-.
Alcesti spense la candela e chiuse gli occhi.
 
- Sai Ky, non sono convinta che Miyrdin sia la persona più adatta ad insegnarmi magia…-
Alcesti e il Principe erano fermi sulle sponde di Preemlake per far riposare i loro cavalli. L’acqua verde smeraldo era ancora più invitante nella calura tardo primaverile. Kysen sembrò sorpreso.
- È il mago più vecchio, ed è il nostro miglior maestro…-
- Si, lo so, non sto assolutamente mettendo in dubbio le sue capacità, ma ho delle difficoltà a seguirlo. Dà molto per scontato e tende sempre ad astrarre i problemi, mentre io sono una persona più… come dire… pratica!-
Kysen rifletté.
- Non posso darti del tutto torto. Ricordo le sue lezioni, ed erano estremamente noiose!- sorrise – Che ne diresti se, ora che hai appreso le basi, mi occupassi io del perfezionamento della tua istruzione magica?-
Alcesti sbarrò gli occhi.
- Vuoi insegnarmi TU magia?!-
- Perché no? Ti insegnerò a combattere e a difenderti. Finché siamo fuori città abbiamo sia il tempo che lo spazio.- sorrise e aggiunse:
- Forse, studiare con una persona più concreta ti aiuterà-.
Alcesti era fuori di sé dalla gioia. Gli gettò le braccia al collo e gli sussurrò all’orecchio:
- Grazie, Ky! Non ti deluderò!-
Kysen rispose all’abbraccio inaspettato. Si stava già pentendo della proposta che le aveva fatto. La verità era che non riusciva a starle lontano e la cercava ossessivamente, ma quando si trovava in sua compagnia si sentiva frenato, non riusciva a non controllarsi e diventava freddo e ironico. Ma quell’abbraccio era stato un grave errore, e lei non se rendeva conto: gli aveva deliberatamente messo sotto al naso il collo profumato, e gli aveva per un attimo concesso di percepire il calore del suo corpo. Il Principe sapeva che non l’avrebbe dimenticato tanto facilmente…
 
Quella sera finalmente comparvero le prime notizie di Yurika. I due pernottarono in una locanda la cui ostessa disse di ricordare quella ragazza accompagnata da due brutti ceffi. Erano passati di lì da meno di un mese. Notizie positive, dunque.
Come Kysen aveva temuto, quella notte fu terribile. Non chiuse occhio tanto l’idea della ragazza accanto a lui lo turbava. La osservò a lungo quella notte. Notò come prima di addormentarsi cambiasse posizione molte volte, quasi facesse troppa fatica a lasciarsi andare. Notò che quando i suoi sogni erano tranquilli, il suo respiro era calmo e regolare, mentre quando sopraggiungevano pensieri animati, diventava affannoso, e piccole gocce di sudore le imperlavano la fronte. Inoltre, non poteva sfuggirgli come ad ogni respiro il suo petto si alzasse ed abbassasse, e come quelle piccole vene che ogni tanto si intravedevano sul suo collo fossero piene della calda vita che la teneva lì, accanto a lui. Non poteva dormire. Non poteva perdersi nulla di quell’affascinante spettacolo.
Dopo le prime ore di insonnia, le idee più assurde avevano iniziato ad affacciarsi alla sua mente: se l’avesse baciata? Se l’avesse svegliata e le avesse chiesto di fuggire? E se fosse fuggito lui? Come poteva essersi ridotto in un modo simile? Possibile che lo turbasse tanto?
Lentamente, l’aurora compariva oltre la foresta, e le tenebre della notte erano sul punto di dissiparsi. Finalmente, Kysen ricominciava a trovare il suo autocontrollo. La luce del giorno aveva allontanato tutti i pensieri ossessivi che lo avevano tormentato quella notte. Col sorgere del sole, tornava l’usuale gelo. Alcesti al suo fianco si stiracchiò e aprì gli occhi. Lo guardò, aggrottò la fronte e disse:
- Non hai dormito? Hai gli occhi stanchi…-
Il Principe temette di arrossire: nessuno prima di allora aveva notato i postumi delle sue lunghe notti in bianco.
Lusingato dell’attenzione, rispose:
- In verità, no… nemmeno un minuto…-
Alcesti si sedette, con un’espressione pensierosa e dopo qualche secondo chiese:
- Ho russato? O parlato? O mi sono alzata? So di essere sonnambula…- nel dire questo un lieve rossore si diffuse sulle sue guance, strappando a Kysen un sorriso tanto dolce da lasciarla a bocca aperta. Il primo vero sorriso da quando l’aveva conosciuto.
- No, Al, non preoccuparti… non è stata colpa tua, sono io che sono una persona complicata-.
Dopo qualche minuto di silenzio,durante il quale Alcesti non poté non notare quanto il respiro del Principe si fosse fatto irregolare, lei disse:
- Che ore saranno? Le cinque?-
- Più o meno. Prima delle sette non è il caso di partire-.
- Bene. Parliamo allora-.
- Parliamo? E di cosa?- Kysen era sorpreso.
- Di qualunque cosa- Alcesti sorrise e abbassò lo sguardo – la tua voce ha un bel suono…-
Kysen arrossì (gli stava succedendo troppo spesso) e disse:
- Va bene, allora. Vediamo, potrei raccontarti un po’ di storia della magia!-
- No…- mugugnò la ragazza – questa me la sono proprio cercata…-
 
Due ore, e una abbondante colazione, dopo, i giovani si rimisero in marcia. Senza dubbio viaggiavano più veloci, ma non dovevano prendere la direzione sbagliata per poter guadagnare terreno. Ogni giorno, Yurika era un po’ più vicina.  

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Capitolo 20
*** La pista ***


Se in quella locanda si ricordavano di Yurika, forse avevano più di qualche possibilità di rintracciarla. Fortunatamente, quella sua voce così particolare restava sufficientemente impressa.
- Hai detto di averla incontrata in biblioteca…- disse Kysen, riflettendo sulla direzione da prendere.
- Già. Ora che mi ci fai pensare, ha consultato diverse carte geografiche-.
- Ti ricordi di che zona?-
- Ovest. Ricordo di essermi chiesta per quale motivo potessero interessarle carte così dettagliate- rispose Alcesti.
- Allora abbiamo una pista!- esclamò il Principe. – È una fortuna che tu sia una ficcanaso…- aggiunse, sarcastico.
Montando Chronos, la ragazza gli lanciò un’occhiataccia e, approfittando dell’occasione, disse:
- Dato che sono una ficcanaso, non ti scandalizzerai se ti chiedo in quale occasione eri già stato nella radura delle ninfe…-
Kysen sospirò.
- D’accordo. Hai resistito già più del previsto. Ricordi quando ti ho parlato di Hannah Taylor? La vidi per la prima volta in Chiesa una domenica mattina. Ne restai folgorato. Ero giovane e impulsivo allora. La seguii senza sosta per settimane, senza conoscere nemmeno il suo nome. Una mattina mi smarrii nel bosco e capitai in quel luogo… e lei era là…-
- Va bene, va bene, non c’è bisogno che tu mi racconta il seguito- lo interruppe Alcesti. Le si era improvvisamente chiuso lo stomaco. Non aveva nessun diritto di essere gelosa, lo sapeva, eppure…
- Ad ogni modo, il giorno successivo quello squilibrato di Darkfield arrivò ad Alia e, senza apparente motivo, la rapì e la uccise. Solo allora scoprii il suo nome. Stai bene?- aggiunse, vedendo Alcesti cupa.
- Come? Si, circa. Pensavo. Scusa se te l’ho chiesto…-
- Prima o poi te l’avrei raccontato io-.
 
Si fermarono a pranzare in un’osteria affollata, l’unica nel raggio di chilometri. Dovevano per forza essere passati di là. Quando il proprietario si avvicinò per prendere l’ordinazione, il Principe domandò:
- Perdonate, buon uomo, stiamo cercando una donna. Si chiamo Yurika, è bionda, occhi verdi, e una voce molto acuta. Sa se per caso è passata di qui?-
- Ah, si! Ha detto che sarebbe venuto qualcuno a cercarla! Ha alloggiato qui qualche giorno, non più di una settimana fa. Ha lasciato una lettera-.
I due si scambiarono un’occhiata sorpresa mentre l’oste si allontanava svelto.
- Ecco a voi!- disse, sorridente, consegnando loro un foglietto.
Kysen lo spiegò velocemente e lesse:
“Non so chi di voi stia leggendo, ma vi ringrazio di essere qui. Se potete leggere, significa che sono riuscita ad ingannare il cavaliere che mi sorveglia. Il mago, che è il capo, è malato. È debole. Credo ci fermeremo qui anche domani. Io sto bene, anche se non mi è ancora chiaro cosa vogliano da me. Se non subentreranno imprevisti, ci dirigeremo verso sud-ovest. Sanno che mi state cercando. Yuri.”
 - Brava!- esclamò Kysen.
 
Le lezioni di magia di Alcesti proseguivano. Nelle zone meno trafficate, il Principe le insegnava nuovi incantesimi di combattimento. Non sapevano chi avrebbero trovato con la Libellula, ed era meglio essere preparati al peggio. Il tempo a disposizione era poco, ma la ragazza era un’ottima allieva. Imparava in fretta.
Nel tardo pomeriggio, giunsero in un borgo ai margini di un bosco. Da lì la strada si diramava: un braccio portava nella vegetazione, l’altro la costeggiava. La cameriera dell’unica locanda ricordava quella strana ragazza passata di lì pochi giorni prima, ma non aveva idea di dove potesse essersi diretta.
Mentre Kysen scriveva un breve resoconto per Ares, che avrebbe poi inviato ad Alia legato alla zampa di un corvo, Alcesti gli domandò:
- Cos’è, Ky, il “Lumen Sideralis”?-
- Dove l’hai sentito?- chiese in risposta il Principe senza staccare gli occhi dalla carta.
- L’ho letto in un libro di storia di Miyrdin-.
Kysen si fece pensieroso, e smise di scrivere. Dopo diversi secondi alzò gli occhi sulla ragazza.
- È il più potente e più antico incantesimo della Luce. Pochi riescono ad evocarlo. Si tratta di un fascio di luce tanto potente che, se eseguito ed indirizzato bene, può accecare completamente il nemico, anche per diversi minuti-.
Alcesti lo squadrò con aria sospettosa.
- E cosa c’è di male?- domandò.
- Dovrebbe esserci qualcosa di male?-
- Se non c’è, perché hai considerato di non rispondere alla mia domanda?-
Kysen aggrottò la fronte.
- Perché ora tenterai di impararlo, non ti riuscirà, ti arrabbierai e diventerai insopportabile, rendendomi la vita un inferno!-
Alcesti rimase per un attimo interdetta, poi disse semplicemente:
- Ok-.
- Ok?- rispose il Principe perplesso.
- Ok, lo proverò ad Alia, dove non sarai obbligato a subire il mio malumore-.
 
La giornata era stata lunga e difficile. Avevano seguito le tracce di Yurika fino a lì, ma ora si trattava di scegliere che direzione prendere. Una strada li avrebbe avvicinati, l’altra portati completamente fuori direzione. Bisognava ponderare bene la decisione. E, ironia della sorte, ora che aveva bisogno di riposarsi, e di essere lucida, Alcesti non riusciva a prendere sonno. Non aveva mai dormito bene da quando era partita…
Era una notte luminosa, nonostante qualche nuvola attraversasse il cielo scuro.
- Tutto bene?-
Alcesti fece un salto.
- Scusa, non volevo spaventarti- sussurrò Kysen.
- Non preoccuparti, tutto ok, torna a dormire-.
- Solo se lo fai anche tu…- rispose lui.
- Mi piacerebbe- sussurrò la ragazza, quasi sopra pensiero.
- Cosa c’è che non va?- chiese dolcemente il Principe.
Alcesti lo guardò.
- Non c’è nulla che non va, davvero… solo che… non pensavo sarebbe stato così strano dormire con un uomo-.
- Strano?- domandò lui divertito.
- Ti sento muovere, sento il tuo respiro… il calore del tuo corpo sotto le coperte…- la sua voce si perse.
- Sei diventata rossa-.
Lei si coprì il viso con le mani, mentre lui ridacchiava.
- Odio arrossire, mi fa sentire sempre piccola!- si lamentò.
- Ma tu SEI piccola! E poi io mi diverto così tanto a farti arrossire…-
Alcesti sorrise.
- Mi era sembrato che tu ci trovassi un certo gusto-.
Sospirò e guardò il suo compagno, che la osservava sorridente.
- Hai notato, Ky, come di notte il nostro rapporto sia molto più semplice?-
Vedendo che non rispondeva, continuò:
- È come se tu avessi una doppia personalità. Ora sei il Principe buono, quello che mi considera un’amica, e non un pericolo, quello che sa essere sarcastico al punto giusto, quello che capisce al volo quando ho bisogno d’aiuto… quello i cui occhi non sono di impenetrabile ghiaccio, ma lasciano trasparire le emozioni… come adesso…- concluse in un sussurro. Poi aggiunse, ancora più piano – scusa se ti ho ferito-.
Kysen sospirò.
- Hai ragione, ragazzina. Grazie per quello che hai detto. Io vorrei davvero non essere così…-
- È per questo tuo lato nascosto che sono stata contenta di partire con te. Questi momenti per me sono davvero importanti, perché non so mai quanto dureranno…-
Kysen sembrò confuso, poi scosse lentamente la testa e disse, sorridendo:
- Quindi cosa proponi di fare?-
- Viaggiare di notte?- rispose lei, ridendo.
Kysen sorrise.
- Mi dispiace di metterti in difficoltà, Al…-
- Lo so. Non posso credere di avertelo detto davvero…-
Appoggiò la testa alle ginocchia. Cosa le prendeva? Doveva essere impazzita.
- Vuoi che dorma per terra?- chiese Kysen sedendosi.
- Cosa? No! Perché?-
- Perché hai bisogno di dormire-.
- Sarà un buon allenamento- rispose Alcesti, rattristandosi improvvisamente.
- Che vuoi dire?-
- Che quando tornerò a Darkfield non avrò più scuse per non sposarmi-.
Kysen sembrò sorpreso.
- Stai dicendo che sei partita per non sposarti?!-
- No, questa è solo una conseguenza collaterale… io tenevo moltissimo a questo viaggio, e ovviamente, sapendo che sarei partita, sono sempre riuscita a schivare il problema…-
- Scusa, ma qual è la donna che a ventun anni non vuole sposarsi?!-
- Quella che non vuole passare il resto della sua vita al fianco di un uomo che non ama-.
Kysen rimase in silenzio qualche minuto, pensieroso. Poi disse:
- Ora dormi, ragazzina, o domani sarà una tragedia-.
Con grande sorpresa della ragazza le sfiorò una guancia con due dita gelide.
Alcesti si coricò e fu il chiasso degli uccelli all’alba a riportarla nel mondo reale. 

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Capitolo 21
*** Imprevisti ***


- Alcesti va tutto bene?-
La ragazza si era alzata dal letto e dopo aver barcollato pericolosamente, era stata obbligata ad appoggiarsi al bancale della finestra. Era molto pallida. Il Principe era preoccupato. Lei lo guardò, sorpresa a sua volta, e disse, con un filo di voce:
- Mi gira la testa-.
- Siediti, prima che ti debba raccogliere da terra-.
- Va tutto bene. Ora passa. Sarà il caldo- lo rassicurò Alcesti, ben sapendo che il suo malessere nulla aveva a che vedere con le alte temperature. Si sentiva la febbre.
Kysen la guardava sospettoso.
- È meglio non muoverci per oggi-.
- Vorrai scherzare! Ora che Yurika è a un passo, non ho intenzione di perdere del tempo prezioso!-
Dicendo questo, fece un passo verso il Principe, vacillò, e si aggrappò di nuovo. Socchiuse gli occhi e aggiunse:
- Sarebbe meglio se tu proseguissi. Io ti raggiungerò entro sera-.
- No- si limitò a rispondere Kysen.
- Allora andiamo-.
Tutt’altro che convinto, il Principe acconsentì. Decisero di seguire la strada che conduceva nel bosco. Infondo, quale rapitore consapevole di essere pedinato sceglierebbe la strada più esposta?
 
Con qualche difficoltà, Alcesti riuscì a montare Chronos. La infastidiva il modo in cui Kysen la controllava. La sua sorveglianza le aveva impedito di prendere i farmaci che le sarebbero serviti. Se l’avesse vista, avrebbe capito che era malata, e avrebbe voluto sospendere il viaggio. Si addentrarono nella boscaglia. Il sentiero era ampio, ma non abbastanza da permettere il passaggio di due cavalli affiancati. Lasciò andare davanti il Principe. La testa le girava sempre di più. Il tempo passava, e non si intravedeva la fine di quella che avrebbe dovuto essere una piccola chiazza di verde. Alcesti pensava a sua madre: chissà cosa stava facendo in quel momento… lentamente tutto diventava scuro…
 
Kysen si voltò, attirato da uno strano nitrito di Chronos: il cavallo era fermo accanto alla sua padrona che era scivolata al suolo, priva di sensi.
- Accidenti!- esclamò il Principe, saltando giù da Fog velocemente e fiondandosi accanto alla ragazza.
- Bravo cavallo- sussurrò rivolto a Chronos, poi ad Alcesti – Al! Al, svegliati!-
Alcesti mugugnò. Il Principe le sfiorò la fronte e si rese immediatamente conto che aveva la febbre alta.
- … non credevo sarebbe salita tanto…- sussurrò Alcesti, che si stava riprendendo.
- Sei una sciocca- la rimproverò Kysen.
- Lo so-.
Cercò di guardarsi attorno.
- Nella bisaccia legata a Chronos c’è una scatola di legno…- disse.
Kysen la prese. Aprendola scoprì che conteneva tanti sacchetti colorati. Erano erbe medicinali.
- Quello rosso contiene una polvere. Sciogline un pizzico in acqua. Serve a far scendere la febbre-.
Il Principe obbedì. Preparando il medicinale, domandò:
- Quanto impiega a fare effetto?-
- Mezz’ora. Ed entro domani mattina la febbre dovrebbe essere scomparsa completamente-.
- È così potente?!- chiese quando la ragazza ebbe finito di trangugiare il preparato.
- In dosi sbagliate può addirittura essere letale- rispose.
Kysen sbiancò.
- Perché non l’hai detto prima?-
- Perché non l’avresti preparata. Tranquillo, ti stavo controllando. Ci tengo alla pelle…- aggiunse.
 
Attesero in quel luogo che il farmaco facesse effetto. Dopo mezz’ora, Alcesti stava decisamente meglio.
- Posso farti una domanda indiscreta, Ky?-
- Solo perché sei malata-.
- Perché non sei ancora diventato Re?-
Kysen si fece scuro in volto.
- Non lo so. Il Re è morto poco dopo la nascita di Ares, e da allora è Lady Philippa a governare. Spetta a lei incoronarmi ma… non vuole saperne. Ho smesso di insistere da anni, ormai…-
- Per quale motivo non ti lascia la Corona?-
- Non ha mai voluto darmi una spiegazione-.
Alcesti si alzò e si stiracchiò, soddisfatta per i miglioramenti del suo equilibrio.
- Se quando diventerai Re me ne sarò già andata, mi scriverai vero?- disse con un sorriso.
- Sei decisa a tornare a Darkfield, allora?-
- Per il momento si, ma… chi può dirlo!-
 
Appena lasciato il bosco, Kysen volle fermarsi, nonostante il sole fosse ancora alto. La direzione si rivelò giusta: Yurika era passata di là due giorni prima. 

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Capitolo 22
*** Uno strano dono... ***


Kysen non riusciva ad addormentarsi: la luna proiettava un fastidioso fascio di luce proprio sul suo cuscino, e lui detestava la luce. Inoltre non era sicuro di aver fatto bene a raccontare alla sua compagna la storia di Hannah. Nessuno prima di allora l’aveva mai saputo, e questo lo turbava. Eppure ora stava meglio, si sentiva più leggero, nonostante quel velo di malinconia, impossibile da ignorare, che si era impossessato di lui quella notte. Forse il vero problema era quella figura che giaceva su un fianco accanto a lui, illuminata dallo stesso raggio di luna. Fastidioso, certo, ma molto romantico… Lei riposava tranquilla. Dopo avergli confessato la sua piccola debolezza, sembrava avesse risolto il suo problema di insonnia. Kysen si mosse verso di lei. Non voleva svegliarla, era così bella quando dormiva. Si avvicinò al collo bianco per poter sentire il profumo dolce, la sua ossessione segreta dalla sera del ballo. Respirò fino in fondo quell’essenza afrodisiaca che, ignara, Alcesti portava con sé, e non poté evitare di sussurrare “perché mi fai questo?”. Lei mugugnò qualcosa, per poi tornare nella tranquillità del sonno, come i bimbi piccoli che non hanno pensieri. L’impulso di avvicinarsi ancora di più era tanto forte che il Principe dovette ritrarsi velocemente, tornando a distendersi, il viso ferito dalla lama lunare.
Rimase così, assorto nei suoi pensieri, troppo complessi per una notte di luna piena.
Rimase così, a lungo, a tentare di convincersi di essere solo, nella sua fredda stanza al palazzo. Era solo questione di autoconvinzione, continuava a ripetersi. Difficile però quando il tuo cuore batte al ritmo del suo respiro…
- Che ci fai sveglio? Non stai bene?-
Gli occhi scuri di Alcesti erano fissi su di lui.
- Ho troppi pensieri- Rispose vago.
- Credi… credi che possa fare qualcosa per aiutarti?- Domandò lei, con uno sguardo dolce.
Kysen le sorrise, chiedendosi cosa avesse in testa. Alcesti si avvicinò e gli disse:
- Su, chiudi gli occhi…-
Obbedì. Lei si era seduta accanto a lui, gli aveva posato i polpastrelli sulle tempie e li muoveva lentamente. Era davvero molto rilassante. Sembrava così innocua durante quei piccoli momenti di Paradiso, lontana dal suo orgoglio, lontana dallo stupido sarcasmo di Kysen. E lui se ne stava lì, a occhi chiusi, a farsi coccolare da una ragazza così buona da sopportare tutte le sue carenze, tutti i suoi malumori… perché lo faceva? Per gentilezza, per dovere di riconoscenza, per autolesionismo… oppure c’era dell’altro? Questa era una domanda alla quale il Principe non era sicuro di voler dare risposta. Riaprì gli occhi. Lei lo guardava.
- Ti va di stare qui… vicino a me?- le chiese facendole spazio al suo fianco. Lei gli si accostò, poi esitò e, con uno sguardo triste, gli disse:
- Immagino che domani tutto questo non sarà mai successo…-
Kysen si soffermò su quello sguardo, così carico di significati, così unico. Per un attimo pensò a come avrebbe potuto essere una vita al suo fianco, ma scacciò subito l’idea e, dopo un lungo sospiro, rispose:
- Si…-
Lei abbassò lo sguardo.
- Già- sussurrò. Si coricò al suo fianco, appoggiando la testa al suo petto. Era strano, pensava Alcesti, sentire il calore del suo corpo e il battito frenetico del suo cuore. Era la prova che ne possedeva davvero uno. Sentì il braccio del Principe cingerle le spalle e stringerla a sé. Sapendo di non poter ottenere nulla di più, si godette quel momento di debolezza del suo glaciale compagno.
Kysen temeva che non sarebbe più riuscito a tornare indietro. Si era spinto troppo oltre nella soddisfazione dei suoi piccoli desideri. Quella che era cominciata come un’innocua concessione, stava diventando una vera e propria sfida contro sé stesso. Quella faccenda cominciava a prenderlo troppo, e temeva quello a cui avrebbe potuto portare. Il suo cuore batteva troppo forte… come quello di lei, d’altra parte, che gli rimbombava addosso, come fosse parte di lui. Forse davvero provava qualcosa per lui…
Tra questi pensieri, le sue palpebre si chiusero, e il dolce sonno scese.
 
Il sole si era già levato quando Alcesti aprì gli occhi. Il suo enigmatico compagno di viaggio era completamente vestito, e stava entrando in bagno.
- Che ore sono?- mugugnò.
- Tardi- si limitò a rispondere lui.
Alcesti si alzò, si stiracchiò e solo allora notò il ciondolo che le pendeva dal collo: un rubino a croce, con una stella a sei punte al centro. L’impronta della magia. Il simbolo di Alia.
- Kysen, ma…-
Lui la guardò, prima interrogativamente, poi sorrise.
- È tuo, adesso-.
- … è… un pagamento?!- chiese lei a metà tra il perplessa e l’offesa.
- Ma no, sciocchina!- rispose lui, e si sedette accanto a lei.
- Voleva essere un modo per ringraziarti…-
- Di cosa?-
- Tu mi capisci, Alcesti, ed è una sensazione a cui non sono abituato…- la sua voce era diversa, vibrante.
Alcesti lo guardò con gli occhi assonnati e arrossì. Poi abbassò lo sguardo e disse:
- Credevo che tu volessi dimenticare la notte scorsa…-
- Ho dimenticato troppe cose nella mia vita…- sussurrò. Poi accennò un sorriso, si alzò e disse:
- Coraggio, preparati: Yurika non aspetta!-
Lei guardò ancora una volta il rubino, sorrise, poi si alzò. 
 
La febbre era completamente scomparsa, e il viaggio riprese veloce. Coprirono la distanza che li separava dall’antico bosco di Fim e seguirono il loro sentiero all’interno del sottobosco. Dopo pochi minuti di cammino, comparve davanti a loro l’ingresso di una galleria: un tunnel scuro si apriva nel verde della vegetazione. I due si guardarono e, senza esitazione, lo imboccarono.
  

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Capitolo 23
*** Il salvataggio ***


Finalmente il momento della verità: Yurika era in fondo a quella grotta. Troppo a lungo la Libellula era stata lontano da casa…
Si erano addentrati solo di pochi passi nell’umido androne quando l’oscurità già li avvolgeva. Alcesti, davanti, reggeva un flebile globo luminoso che proiettava un raggio azzurrino sui loro passi. I nemici sapevano che erano lì. Avrebbero sicuramente preparato una degna accoglienza. Dopo pochi minuti, la ragazza percepì la presenza di Kysen più vicina alle sue spalle, fino a quando si sentì posare le mani sui fianchi e si fermò.
- Vuoi che vada avanti io?- sussurrò il Principe.
Alcesti era come paralizzata. Erano soli, in una grotta, e lui era così vicino… poteva sentire il calore del suo respiro sul collo.
Kysen non era più del tutto padrone di sé: ancora una volta non aveva resistito alla fatale attrazione della ragazza, e si stava spingendo oltre, troppo oltre… oltre l’interminabile distanza tra le sua labbra e il collo di lei, tra i cocci del suo autocontrollo e quel maledetto profumo.
Alcesti non poteva e non voleva reagire. Infondo, non era ciò che desiderava dalla prima volta che i loro occhi si erano incontrati? Che male poteva mai farle? Nella nebbia che l’avvolgeva emerse il volto di Yurika. Era per lei che erano lì, come avrebbe potuto perdonarsi se le fosse successo qualcosa mentre loro tardavano? Raccolse tutto il coraggio che aveva. Mentre le labbra del Principe ormai la sfioravano, disse:
- Coprimi le spalle, Ky-.
Si liberò e riprese la marcia senza voltarsi. Non riusciva a soffocare la paura di aver appena fatto il più grande errore della sua vita.
Kysen era scioccato: cosa gli era preso? Era completamente impazzito? L’aveva quasi baciata! Ma dove aveva il cervello?! Bell’idea aveva avuto… Ora lei era scappata, logico, chi non l’avrebbe fatto? Che idiota! Se l’avesse saputo Ares… Eppure c’era una piccola parte di lui che si rimproverava per aver esitato, per non essere stato abbastanza deciso. Ci era mancato così poco… Infondo, però, era stata una fortuna la reazione di Alcesti: Kysen non sapeva se sarebbe stato in grado di ritrovare l’autocontrollo, e c’era Yurika da salvare…
Il Principe guardava la sua compagna camminare davanti a lui, sicura nonostante l’oscurità e il pericolo. Il lungo corridoio improvvisamente si divise.
- Un bivio. Che si fa?- chiese Alcesti.
- Mi fido di te- rispose lui.
Senza pensarci troppo, Alcesti disse:
- Secondo me sono collegati. Andiamo a sinistra-.
Kysen non le chiese perché, ma la seguì senza esitazione. Il corridoio proseguiva buio, e sembrava di vivere in un luogo senza tempo. Il primo elemento spaziale fu un’incisione. Alcesti lesse:
- Qui c’è scritto…dardo?!-
In quel momento si udì uno schiocco. Kysen si lanciò su di lei, gettandola a terra, proprio mentre un giavellotto vibrava su di loro. La tenne a terra fino a quando non fu completamente certo che il pericolo fosse passato. Rialzandosi, Alcesti sussurrò “elettrizzante”, poi, incrociando lo sguardo di Kysen, lo ringraziò.
- Stai attenta, per favore- la ammonì il Principe.
Proseguirono lungo il tunnel, con più attenzione. Dopo qualche minuto di nulla assoluto, la grotta era attraversata da un corso d’acqua.
- Immagino non si possa volare…- suggerì la ragazza.
- Probabilmente no-.
Alcesti prese una pietra da terra e la lanciò sull’acqua: una nuvola di frecce si incrociò a mezz’aria prima che la pietra fosse avvolta dalle onde.
- Bella pensata- disse Kysen.
- Shhh!-
- Cosa?- sussurrò il Principe.
- Non hai sentito?- domandò Alcesti.
- No…-
Alcesti prese un’altra pietra e la lanciò. Atterrò tra i flutti con un sonoro STOCK. Kysen sbarrò gli occhi ed esclamò:
- È un’illusione! Hanno creato l’acqua perché volassimo! Brava Al!-
Che strano effetto faceva passare tra le onde senza bagnarsi… Strisciando sui gomiti raggiunsero incolumi l’altra sponda.
Il tempo trascorreva lento. Ma quanto era profonda quella galleria? Finalmente comparve la convergenza dell’altro ramo, quello che Alcesti aveva predetto portare nello stesso posto.
- Complimenti- le disse Kysen.
- Grazie-.
- Siamo quasi arrivati… vedi quella luce in fondo? Le senti le voci?-
Alcesti annuì. Si fecero più cauti e prepararono le armi. La galleria finiva in uno spiazzo erboso nel mezzo del bosco. Al centro c’era lei, Yurika, legata con particolare cura. Portava al collo un nastro metallico: doveva essere quello che le impediva di fare incantesimi. Per il resto era esattamente come Alcesti la ricordava. I corti capelli biondi e gli occhi verdi non erano cambiati. Ai suoi lati stavano il cavaliere, un omone calvo con la spada in pugno, e il mago, l’esile figura che Alcesti aveva notato a Preemtown.
- E così ci conosciamo.- esordì il mago. - Sapevamo che alla fine ci avreste raggiunti-.
- Chi siete?- domandò Kysen.
- Vi basti sapere che siamo del sud. Vi starete chiedendo perché abbiamo rapito questa donna: la nostra magia è molto più debole della vostra, e ci serve un mago di Alia su cui compiere i nostri esperimenti. Ai nostri capi non piacciono gli insuccessi, perciò non torneremo a mani vuote-.
- Infatti non andrete da nessuna parte…- sussurrò Kysen.
Bastò un’occhiata ad Alcesti per sapere che era pronta. Scattarono in contemporanea, come seguendo un medesimo copione, preciso al dettaglio, Alcesti verso il cavaliere , Maya in pugno, Kysen verso il mago, mormorando una formula magica.
L’incontro della ragazza durò poco: troppo lento per lei, il cavaliere schivò i suoi primi due colpi, ma mentre tentava il primo attacco fu trafitto dalla affilatissima Starblade, che per la prima volta nelle mani di Alcesti infliggeva una ferita mortale.
Il Principe intanto appariva e scompariva tra lampi di luce. Alcesti si precipitò a liberare Yurika. Le sciolse la corda e le strappò la fascia dal collo. Yurika la guardò sbalordita.
- TU qui?!- domandò.
Alcesti le sorrise.
- Per tua fortuna, quando ci siamo incontrate ero diretta ad Alia!-
In quel momento un’esplosione più forte delle altre creò una nuvola di polvere, dalla quale emerse Kysen con un sorrisetto trionfale stampato in faccia.
- Pivello…- sussurrò tra sé e sé. – Che piacere vederti, Libellula!-
- Mi dispiace, Comandante. Non so come sia potuto succedere-.
Sembrava mortificata, in attesa della severa punizione.
- L’importante è averti recuperata- sorrise, poi si voltò verso Alcesti. – Al, hai ucciso un uomo?!-
Alcesti guardò il corpo esanime del cavaliere.
- Così pare…- mormorò.
- Non pensavo l’avresti fatto.- le sorrise – Andiamocene di qui-.
Si voltò e spiccò il volo. 

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Capitolo 24
*** La strada di casa ***


- Che gli è successo?- domandò Yurika seduta sul letto della stanza che divideva con Alcesti, in una squallida locanda su una via secondaria.
Alcesti la guardò senza capire, così Yurika continuò:
- Kysen, intendo. È così… strano… sembra felice!-
Alcesti rifletté qualche secondo, poi, arrossendo lievemente, rispose con un mezzo sorriso:
- È normale che sia felice, ti abbiamo trovata!-
- Ma lui non è mai felice, e quando dovrebbe esserlo è sarcastico. Non credo che il suo cervello lavori sulla frequenza degli altri esseri umani…- sospirò – Voi siete le ultime persone che mi sarei aspettata di veder arrivare. Come avete fatto a convincerlo ad allontanarsi dalla città per tutti questi giorni?-
- Lady Philippa è stata molto persuasiva…- rispose Alcesti.
- E tu come mai sei qui? Come hai fatto a sapere che cercavano proprio me?-
- Veramente è stato un caso. Tutto è stato un caso. Quando ci siamo incontrate a Preemtown viaggiavo con Christopher, ma in quel momento non eravamo insieme. Era successo un po’ di caos al monastero per alcuni furti e lui si trovava là-.
- Christopher?! QUEL Christopher?!- esclamò Yurika.
- Già… se lui ti avesse vista allora… beh, ad ogni modo, quando ad Alia hanno saputo che non eri mai arrivata a destinazione, non sapevano come fare a rintracciarti. Sempre il caso ha voluto che intercettassi una conversazione tra Chris e Vanessa, e sai, il tuo non è un nome comune…-
- Che fortuna!- commentò Yurika.
 
La mattina dopo riprese il viaggio verso casa. Yurika raccontò di come quella fascia metallica assorbisse i suoi poteri, le sue energie magiche. Quella tecnologia era sconosciuta ad Alia. Volle poi sapere di Alcesti, e rimase sorpresa e commossa di sapere che era la figlia maggiore di Sir Merthin. Fece molte domande su Christopher, che non vedeva da più di due anni, e infine raccontò del suo rapimento, avvenuto nel sonno, dei suoi rapitori e del cammino percorso con loro. Raccontò della lettera che era riuscita a lasciare in quella osteria, approfittando delle cattive condizioni di salute del mago.
Kysen ascoltava in silenzio. Era sulle sue, parlava poco. Alcesti si sentiva depressa per il suo atteggiamento: giocherellando con il rubino che portava al collo gli lanciava occhiate furtive, per non trovare altro che ghiaccio. Che cosa poteva aver cambiato l’arrivo di Yurika? C’era un’immagine che il Principe voleva conservare, e questo lo metteva a disagio? Oppure si trattava solo dell’ennesimo cambiamento di umore?
Yurika, seduta dietro di lei, cantava. Si unì al suo canto, sperando che avrebbe allontanato i cattivi pensieri…
Mangiarono, come sempre lungo la strada, per poi fermarsi a far riposare i cavalli sulla riva di un corso d’acqua. Yurika si addormentò all’ombra di una quercia, così Alcesti si sedette accanto a Kysen, che aveva la schiena appoggiata al tronco dello stesso albero. La campagna si estendeva intorno a loro. Vedendola seduta così vicino, il Principe la guardò con sospetto. Alcesti ricambiò lo sguardo e domandò:
- Cosa c’è che non va?-
Kysen abbassò lo sguardo sul ciondolo che aveva regalato alla ragazza e lo sfiorò con due dita. Poi le sorrise.
- Ti sta bene…-
Alcesti arrossì.
- Grazie, ma non cambiare discorso-.
- Non c’è niente che non va, Al. Forse c’era qualcosa che non andava prima… tu mi cambi…- chiuse gli occhi – lo vedi? Con te sono un altro. Non dipende da me, mi dispiace. Quando Yuri si sveglierà tornerò il Kysen di sempre-.
Alcesti abbassò il capo per nascondere le lacrime che tratteneva, poi domandò:
- Qual è il vero Kysen?-
- Non lo so, ragazzina, forse entrambi…-
La ragazza si alzò e andò a sedersi al sole accanto all’acqua. Sapeva di avere gli occhi di Kysen addosso.
Al risveglio di Yurika il viaggio riprese.
- Ehi, Comandante, quand’è che Alcesti entrerà nella squadra?- chiese la Libellula, sorridente.
Kysen la guardò sorpreso.
- Quando mi batterà con la magia-.
- Questo significa che con la spada l’hai già battuto?-
- Quasi… diciamo che è finita in pareggio…- rispose Alcesti. Poi aggiunse, pianissimo:
- Guarda com’è irritato adesso… ha messo il muso…-
Entrambe scoppiarono a ridere. Kysen le guardò di sottecchi e disse:
- Perché non riesco a scacciare la sensazione che stiate ridendo di me?-
 
Non trovarono intoppi e in tre giorni varcavano le bianche porte di Alia.
 
  

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Capitolo 25
*** Vela verso Kriam ***


Il loro rientro fu accompagnato da un corteo di bentornato per Yurika. I Cavalieri erano tutti presenti per accogliere la loro amica. Erano tutti al settimo cielo. Nonostante ciò, Alia era in festa per metà: i Cavalieri informarono subito Kysen che una città nel nord, Kriam, si stava ribellando. Era necessario riportare l’ordine prima dello scoppio di una guerra. Cominciarono subito ad organizzare la trasferta. La partenza era fissata di lì a due giorni.
Quella sera, la Regina aveva indetto un ballo in onore di Yurika, che aveva anche lo scopo di stemperare la tensione per l’imminente battaglia. Ovviamente, Kysen non era d’accordo, Ares entusiasta. Ad Alcesti non era concesso di partecipare alle riunioni del Gran Consiglio dei Cavalieri, perciò contava di ottenere le informazioni che desiderava al ballo. Doveva assolutamente convincere Kysen a portarla con loro.
 
Aiutata dalle ancelle di Sua Maestà, Alcesti indossò un abito da sera blu notte e argento che le aveva regalato recentemente la Regina. Le piaceva molto: era molto elegante e, per dirla tutta, la faceva sembrare più magra. Una volta raccolti i capelli nel suo solito chignon, si rese conto di indossare ancora il ciondolo di Kysen. L’idea di toglierlo le procurava un’insana sofferenza. Dopo lunga riflessione, si risolse a tenerlo.
Al suo ingresso nella grande sala ripensò al suo primo giorno ad Alia, all’imbarazzo causatogli da tutti quegli sguardi. Ora non era più al centro dell’attenzione, per fortuna. Ora la consideravano una di loro. Quella sera aveva conosciuto i Principi… sembravano passati secoli.
Al centro della sala si era formato un capannello di persone: doveva esserci Yurika lì in mezzo. Si stava allontanando in direzione opposta quando si trovò davanti quella donna che aveva parlato contro di lei, diverso tempo prima, a Vanessa e Kysen. Alcesti rimase pietrificata. La donna lo notò e tentò di sfoggiare il suo sorriso più amichevole. Poi le allungò una mano.
- Buonasera, Alcesti di Darkfield. Sono Sinéad-.
Alcesti le strinse la mano senza troppa convinzione.
- So di essere stata prevenuta nei tuoi confronti, e spero tu mi possa perdonare per averti giudicata male…-
- Non capisco…-
- Hai salvato Yurika. Senza di te non l’avremmo mai trovata. Per noi Cavalieri è una sorella, non so come ringraziarti!-
Sinéad le strinse ancora una volta la mano e si allontanò tra la folla, lasciandola stupefatta.
Poco dopo entrò la Regina, accompagnata dai figli. Ringraziò tutti i presenti e diede il bentornato ufficiale alla Libellula. Poi dichiarò aperte le danze.
Prima che potesse realizzare che il primo ballo era un valzer, Alcesti sentì un braccio cingerle la vita e una mano sottile sollevare la sua.
- Che eleganza…- commentò Kysen con un sorriso ammaliatore.
Alcesti arrossì e abbassò lo sguardo.
- Non mi aspettavo di vederti così presto…- disse imbarazzata.
- Credevo volessi sapere della riunione…-
Alcesti sbarrò gli occhi.
- Sei impazzito, Ky? Vuoi davvero raccontarmi della riunione?!- esclamò.
- Tanto te lo direbbe Christopher…- sorrise. – La partenza è prevista per dopodomani mattina. In nave impiegheremo quattro giorni ad arrivare a Kriam. La battaglia sarà breve perché la popolazione è contraria all’insurrezione e ci aiuterà sicuramente contro il loro esercito. Voglio che tu venga con noi- concluse Kysen.
Alcesti restò a bocca aperta.
- Dici davvero?- balbettò.
- Sarà il tuo esame: in base a come te la caverai deciderò se prenderti in squadra o meno-.
- Grazie Principe!- esclamò la ragazza stupefatta. Chi avrebbe detto che sarebbe stato così facile…
Il ballo terminò e iniziò il successivo senza che se ne rendessero conto. Progettarono il viaggio e le ultime lezioni prima dello scontro.
- Al, toglimi una curiosità: da quando canti?- disse Kysen, cambiando discorso.
- Non lo faccio mai in pubblico, sono troppo stonata…- rispose Alcesti.
- Allora perché l’altro giorno con Yuri hai ceduto?-
- Per allontanare pensieri spiacevoli…- disse, evasiva.
Il Principe si fece pensieroso, così Alcesti gli domandò:
- Ricordi, Ky, l’altro ballo?-
- Si, certo-.
- Ne sono cambiate di cose, eh?-
Kysen sorrise.
- Non così tante…-
Il secondo ballo terminò e i due si inchinarono prima di allontanarsi. Ritirandosi ai lati della sala, Alcesti notò Yurika al centro della pista. Stava ballando con Siegfried, un cavaliere col quale sembrava particolarmente affiatata. Faceva una strana impressione guardarli: lei così sottile e minuta, lui alto e possente. Chissà come doveva essere vedere lei e Kysen…
- Allora, Al, pronta per partire?- Vanessa si era avvicinata senza farsi notare per strapparla dai suoi pensieri.
- In cinque giorni sarai il mio Capitano!- rispose sforzandosi di sorridere.
- E il vecchio Miyrdin cosa ne pensa?- domandò ironica la Farfalla.
- Miyrdin? Mah… non l’ho visto oggi. Domani passerò a dargli la notizia e a fargli vedere quello che ho imparato da Kysen-.
- Si, mi ha detto di averti dato lezioni… lui parla di te come se fossi già un membro della squadra. Parti pure tranquilla- concluse con un sorriso rassicurante prima di allontanarsi con Robert, il miglior arciere della squadra.
Alcesti non fece in tempo a muovere un passo che si trovò davanti Ares.
- Al, come stai? Non ero ancora riuscito a trovarti. Tutto bene?-
Mentre entravano in pista, Alcesti rispose alle domande del Principe sul suo stato di salute, sul viaggio e sulla convivenza col suo lunatico fratello.
- A cosa pensi?- le domandò improvvisamente. – Mi sembri assente-.
- All’esame-.
- Kysen dice che sei pronta. Lo passerai-.
- Lo spero, Ares. Non voglio deluderlo-.
Ares sembrò irritato dalla risposta ma non disse nulla.
Ballare quella sera non era semplicissimo: c’era più gente della volta precedente, e bisognava fare molta attenzione a non inciampare nelle altre coppie. Quando Alcesti fu investita da una signora bassa e grassa, che non si voltò nemmeno a chiedere scusa, cadde letteralmente addosso ad Ares, che seppur preso alla sprovvista, la sostenne. Mentre il cavaliere si accertava delle sue condizioni di salute, notò il ciondolo, che gli era così familiare…
- Ma quello non è… perché porti la collana di mio fratello?!-
- Me l’ha regalata. Qual è il problema?- rispose guardinga Alcesti all’immenso stupore di Ares.
- Non prendermi in giro!- esclamò lui.
- È inutile che tu mi faccia delle domande se poi non hai intenzione di credere alle mie risposte-.
- Ma, Al, è una cosa pazzesca! Cosa hai fatto per fartelo regalare? Anzi, no, cancella la domanda…- il Principe abbassò lo sguardo.
Alcesti arrossì e rispose:
- Non partire per la tangente, Ares di Alia! Non ho fatto assolutamente nulla di ciò a cui stai pensando! Anzi, per la verità non so di preciso cosa ho fatto… credo di averlo aiutato in un momento di particolare crisi… tutto qui-.
- Tutto qui?!- chiese Ares sgranando gli occhi. – Al, non credo che tu sappia che valore ha per lui quel ciondolo…-
Alcesti scosse il capo.
- Gli fu regalato per il suo primo compleanno da nostro padre. Aveva scelto personalmente la pietra e l’aveva fatta lavorare a forma di croce perché Kysen ricordasse sempre a quali valori votare il proprio governo, e impresse il simbolo della magia perché Alia fosse sempre al centro della sua esistenza. Non l’ha mai tolto da allora: l’ho visto cacciare, combattere con quel ciondolo…-
Alcesti era senza parole. Non immaginava di aver ricevuto un regalo così importante. Che cosa poteva significare? Si sentì improvvisamente le gambe molli.
Terminato il ballo, Alcesti si allontanò in silenzio. Le girava la testa. Non aveva più voglia di ballare, aveva bisogno di pensare.
- Te ne vai di già?-
Kysen l’aveva raggiunta mentre usciva dalla sala.
- Io… sono un po’ stanca…- farfugliò Alcesti.
- Bugia. Ma non preoccuparti, non ho intenzione di chiederti cos’hai-. E continuò:
- Senti, nemmeno io ho voglia di restare qui, ma devo fare uno sforzo perché se Yurika si accorgesse che uno di noi due sen’è andato ci rimarrebbe male-.
- Come potrebbe accorgersene? È la sua serata, Ky, tutti gli sguardi sono per lei, dovrebbe essere onnisciente per sapere se ci siamo o no-.
Kysen guardò altrove e disse:
- Ok, allora mettiamola così: per doveri di ospitalità non posso andarmene, perciò… almeno resta con me…-
Accorgendosi che Alcesti lo fissava a bocca aperta, arrossì lievemente e cercò di correggersi.
- Intendo dire… tutta questa gente è così noiosa…-
Alcesti tentò di riscuotersi e sorrise.
- Se la metti su questo piano…-
Rientrarono insieme nella sala e vi restarono fino alla fine della serata.
 
Il vecchio Miyrdin non fu certo lieto di sapere che la sua allieva aveva completato l’addestramento con un altro mago, ma dovette comunque riconoscere che lui stesso non avrebbe potuto fare di meglio. Dal canto suo, Alcesti si sentiva pronta: non poteva fallire.
La mattina della partenza, la Regina si presentò al molo, diede un bacio ai suoi figli e augurò buon viaggio ai cavalieri.
Insieme ai soldati e ai marinai, si erano imbarcati alcuni frati, alcune suore e Frate Rudolph, il responsabile dell’ospedale. Il viaggio non fu lungo, anzi, il mare era calmo e il vento favorevole, ma Ares non diede tregua ad Alcesti: la seguiva, le faceva domande, stava diventando veramente un incubo. Per questo motivo fu un sollievo per la ragazza attraccare e montare il campo. Era tardo pomeriggio. La mattina avrebbero attaccato.
 
Quella sera era calda e limpida. Alcesti era seduta in riva al mare: da lì poteva vedere l’accampamento, le navi e la città di Kriam, distante circa un chilometro in linea d’aria. Al loro arrivo avevano convocato una riunione per decidere che linea d’attacco tenere. Si era stabilito un assetto a falange, semplice ma efficace. L’esercito della città era piuttosto magro, d’altra parte Kriam non contava più di seimila abitanti. Sentendo dei passi alle sue spalle, Alcesti si irrigidì, ma si rilassò non appena udì la voce di Christopher:
- Non dovresti essere qui-.
- Oh, Chris, per fortuna sei tu!- esclamò.
- Ares ti sta proprio facendo impazzire, eh?- chiese sedendosi accanto a lei.
- Non credo tu possa immaginare. È il mio peggior incubo-.
- Addirittura!- Christopher ridacchiò. – Sei nervosa per domani?-
- Un po’, ma non per l’esame. È vero che sarà una battaglia veloce? Che i cittadini, in caso di necessità, si schiereranno con noi?-
- Si, è così. Non preoccuparti per questo-.
Seguì un lungo silenzio, che fu Chris a spezzare.
- Hai più sentito Clodia?-
- L’ho incontrata quando siamo partiti… ci ha aiutati parecchio, il ponte principale era crollato-.
- Non ho ancora avuto modo di chiederti, Al: com’è andato il viaggio? È stata dura con Kysen?-
- Il viaggio è andato bene, tutto sommato… se non contiamo la giornata che ho passato con la febbre alta…-
- Davvero?!-
- Già. Per fortuna c’era Kysen… è stato meglio delle mie più rosee aspettative. Ci siamo trovati bene, è stata una convivenza pacifica- concluse con un sorriso.
Christopher era davvero stupito.
- Se non fossi tu, direi che parli così per ingraziarti il futuro Re…-
- Sono troppo orgogliosa per abbassarmi a tanto- rispose Alcesti con una finta espressione di sdegno; poi aggiunse:
- … ovviamente, questo è il mio punto di vista. Magari per lui è stato un inferno!-
Christopher lanciò un’occhiata al ciondolo che ancora pendeva dal collo della ragazza e commentò sarcastico:
- Beh, non direi…-

La mattina dopo il cielo era nuvoloso. Gli eserciti erano schierati l’uno di fronte all’altro: circa duecento unità quello di Alia, meno di un centinaio quello di Kriam. Alcesti stava con i cavalieri in prima linea. La sua armatura emanava bagliori lattei. Che senso aveva condannarsi a morte?, si domandava. Credevano davvero di avere qualche speranza? Era tanto forte il richiamo della libertà?
La linea scattò: la battaglia era iniziata.
Alcesti si diresse direttamente verso l’uomo che le si faceva incontro. Lo lasciò attaccare per primo. Schivò l’incantesimo di fuoco all’ultimo istante, per poi comparire dalla nuvola di polvere causata dal colpo e lanciarne uno a sua volta. L’uomo scomparve tra le fiamme, per non riapparire più. Alcesti si guardò intorno: i cavalieri erano tutti occupati, e così buona parte dei soldati. I due capi dell’esercito di Kriam dovevano essere quelli che combattevano con Kysen e con Vanessa. Il combattimento era accanito. In quel momento un incantesimo vibrò a pochi centimetri da Alcesti. Si voltò per ingaggiare un altro scontro. Non durò più del primo. A quel punto il Magister dell’esercito di Kriam, uno dei cavalieri più quotati tra la schiera nemica, la notò: troppo pericolosa per essere lasciata alle basse sfere. Si avvicinò guardingo, ma lei l’aveva già inquadrato. L’uomo scagliò un incantesimo. Alcesti lo vide saettare nella sua direzione e si riparò con uno schermo, per poi scattare subito. Il cavaliere nemico aveva adottato la sua stessa tecnica, e rimase sorpreso non trovandola dove credeva le avrebbe inferto il colpo mortale. Il panico si impadronì per un momento della sua mente, ma si riparò appena in tempo per frantumare l’incantesimo che si stava schiantando su di lui. Alcesti era elettrizzata: aveva trovato pane per i suoi denti. Il duello proseguì per oltre mezz’ora e nessuno dei due dava segni di cedimento. Il mago, anzi, sembrava sempre più accanito. Sicura che non avrebbe mai vinto per sfinimento del nemico, Alcesti decise di rischiare una nuova mossa… unì le dita a formare un quadrato davanti a lei; era un incantesimo tutt’altro che semplice, ma doveva provarci. “Lumen Sideralis Capio”, sussurrò. Un fascio di luce potentissimo si generò dalle sue dita per colpire in pieno volto il suo avversario, che rimase frastornato. Era il momento. Mentre l’uomo ancora non vedeva, Alcesti lo trapassò con Maya. Con un rantolo, l’uomo si accasciò. Il duello era finito.
La battaglia stava terminando. Gli unici ancora impegnati erano i cavalieri. I soldati semplici, in netta maggioranza, avevano svolto nel migliore dei modi il loro compito.
Alcesti si fermò ad osservare il combattimento dei Principi e di Chris, le persone a cui era più legata ad Alia. Christopher stava dando il colpo di grazia ad una donna con la faccia da pittbull e una chioma foltissima di capelli rossi. Kysen combatteva ancora contro il comandante dell’esercito, che stava per soccombere: era questione di istanti e il combattimento sarebbe terminato. Rasserenata, Alcesti si voltò in direzione di Ares. Questo, sfoderata la spada, si dirigeva a passo sicuro verso il suo avversario che, inginocchiato, sembrava davvero sfinito. Non provava neppure a difendersi? Che strano, pensava la ragazza. In quel momento, però, qualcosa la turbò: un guizzo dello sguardo di quell’uomo, verso Kysen, una parola rimasta tra i denti. Alcesti sentì crescere il panico. Quell’uomo si stava sacrificando per l’esercito.
La ragazza cominciò a correre poco prima che il condannato a morte lanciasse un potentissimo incantesimo in direzione del Principe Kysen, che, di spalle, stava per trafiggere il comandante. Tutto accadde velocemente: Alcesti riuscì ad intercettare l’incantesimo a pochi metri dal Principe e, sfoderata la Starblade, vi condensò il suo potere e la usò come scudo. Il fascio di energia vi si schiantò ed esplose, scaraventandola, illesa, diversi metri più in là.
Alzandosi, la ragazza vide il Principe Ares correrle incontro con la lama insanguinata, e Vanessa, con un’espressione molto seria. Dietro di loro avanzava Kysen, pallido come mai. Sul suo viso d’angelo era dipinta una furia spaventosa.
Paralizzata, Alcesti lo fissava avvicinarsi col suo passo veloce ed elegante, senza essere in grado di rispondere alle domande degli altri due. Kysen li allontanò con uno spintone e la sovrastò con aria minacciosa. Dopo una lunghissima occhiata penetrante, Kysen alzò una mano e le diede uno schiaffo. Alcesti abbassò il capo, reprimendo l’orgoglio, per la prima volta nella sua vita.
- Sei una sciocca! Ti rendi conto che avrebbe potuto ucciderti?- sibilò il Principe.
La ragazza alzò lentamente lo sguardo e sussurrò:
- Perché la mia vita dovrebbe valere più della tua?!-
Gli abissi di ghiaccio la fissarono sorpresi per qualche secondo. Poi, con immenso stupore di Alcesti e dei presenti, il Principe la strinse forte al petto, e le soffiò tra i capelli:
- Che spavento mi hai fatto prendere, ragazzina…-
 
Il viaggio di ritorno fu più lungo. Il mare era un po’ mosso, e il vento mutava in continuazione. Ma ai presenti non pesava: avevano vinto, ed erano tutti su di giri. Inoltre, presto avrebbero avuto un nuovo cavaliere: il comandante aveva giudicato la prova della candidata più che positiva.
- … e non ti ha fatto i complimenti?- chiese indignato Ares ad Alcesti.
- No, e non mi aspettavo me li facesse…- rispose lei.
Continuava a ripetersi che era nell’indole di Kysen non mostrarsi indulgente, ma in realtà era molto delusa. Sperava davvero in una parola: si sarebbe accontentata. E invece no, nemmeno un accenno.
- Se ti dico una cosa, mi prometti che non saprà mai che te l’ho detta?- domandò Ares titubante.
Alcesti annuì, curiosa.
- La sera della battaglia, mi ha detto che ha avuto la fortuna di osservare il tuo attacco finale al Magister. Ha detto che l’hai davvero impressionato, che non ti credeva in grado di evocare il Lumen Sideralis… ha detto testualmente “quella ragazza sarà un ottimo acquisto”. Ero sicuro che te l’avrebbe detto…- Ares sembrava deluso.
La sua mente non era sottile come quella di suo fratello, però: Alcesti sapeva che Kysen aveva fatto quel discorso ad Ares sicuro che avrebbe cantato. Era il suo modo per complimentarsi senza scendere dal suo bel piedistallo di cristallo. Ares non conosceva suo fratello quanto Kysen conosceva lui…
Riscuotendola dai suoi pensieri, il Principe le disse:
- Siamo tutti impazienti di sapere che potere libererai…-
Le sorrise e la lasciò sola sul ponte scuro della nave.  

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Capitolo 26
*** La Fenice ***


- Ma devo per forza metterla?- domandò Alcesti scoraggiata mentre Elaisa, la sua ancella, la aiutava a fissare la lucida armatura parziale, quella creata per i maghi.
- Il rituale la richiede. E poi state così bene… il fabbro è stato davvero bravo!-
Nonostante fosse di una lega resistente ma leggerissima, elegante e raffinatamente lavorata, Alcesti si sentiva impacciata quando la indossava. Non era abituata a quella scorza lucida. Si guardò nello specchio: in effetti non le stava male, e le dava un’insana sensazione di onnipotenza.
- Andiamo?- chiese Elaisa.
 
Mentre varcava il portone della grande sala ovale, ad Alcesti tremavano le gambe. La Sala Mistica, così la chiamavano. Veniva aperta solo in occasione dell’investitura dei nuovi cavalieri, e quel giorno era per lei.
Lungo i lati curvi della sala erano disposti degli scranni, ognuno occupato da un cavaliere; vi era solamente un posto vuoto. Esattamente di fronte a lei stava il trono, su cui sedeva Sua Maestà, e ai due lati i suoi figli.
All’ingresso di Alcesti la sala fremette. Kysen si alzò e le si fece incontro. Dopo averle dedicato un sorriso abbagliante le sussurrò:
- Allora, ragazzina, sei pronta?-
Le fece cenno di seguirlo e la accompagnò al centro della sala. Sul pavimento di marmo era incisa la stella a sei punte. Kysen la fece entrare. Non appena Alcesti varcò le linee magiche, queste si illuminarono. Alcesti sentiva un calore dolce invaderla: la luce della magia si diffondeva in lei.
Il rito doveva procedere. La regina parlò:
- Chi è costei che mi avete portato, Comandante?-
- Costei è Alcesti di Darkfield, Vostra Maestà-.
Kysen era emozionato, la sua voce morbida si incrinò appena.
- Per quale motivo la ritenete degna di far parte dei Cavalieri di Alia?- continuò la Regina.
Kysen gonfiò il petto, tacitamente orgoglioso della sua allieva, e rispose:
- Perché ha studiato e ha appreso l’arte della spada e della magia. Personalmente l’ho esaminata e la ritengo idonea-.
La Regina chiuse gli occhi qualche secondo, poi li riaprì, sorrise ad Alcesti, guardò suo figlio e disse, concludendo lo scambio rituale:
- E sia. Alcesti di Darkfield, giurate di difendere, onorare e servire la città di Alia col vostro braccio e con la vostra vita?-
- Lo giuro- rispose Alcesti senza esitazione.
La Regina annuì soddisfatta. Kysen sussurrò:
- Libera la tua energia, ragazzina…-
Alcesti si rese conto solo allora che la forza dirompente della magia stava spingendo per liberarsi. E la lasciò andare. La sala trattenne il fiato mentre una luce fortissima la abbagliava. I cavalieri erano stupefatti: la brillante luce dorata sprigionata dalla ragazza si stava trasformando in un animale. Comparvero due ali, una lunga coda infuocata, e infine un elegante becco affilato. Una Fenice. Alcesti si sentiva forte come mai era stata prima. Quando la luce esplose e si dissolse, si trovò circondata dai cavalieri, che le facevano mille domande. Alcesti non sapeva come rispondere: girava la testa da un lato all’altro, incapace di chiudere la bocca. Vide volti felici intorno a lei, ma anche stupefatti e increduli. Con la coda dell’occhio, intercettò uno scambio di sguardi tra Kysen e Lady Philippa, e subito dopo, la Regina si alzò, facendo piombare il silenzio sulla sala.
- Non siate avidi, cavalieri. Capisco la vostra curiosità, e la condivido, ma lasciatele il tempo di metabolizzare la sua nuova natura. Sono sicura che la Fenice sarà lieta di rispondere alle vostre domande quanto prima, ma mi preme che ora il Comandante la faccia partecipe di alcune piccole regole-.
Il Principe comparve nella mischia e, prendendo Alcesti per un polso, la trascinò verso la porta d’ingresso. La ragazza si voltò per dare un’ultima occhiata a quella sala meravigliosa che non sapeva se avrebbe più rivisto.
 
- Dove mi stai portando?-
- Mia madre ha cercato di concederti un po’ di intimità… è un momento importante, sai? Perciò, zitta e cammina!-
Attraversarono l’intero palazzo, diretti verso i piani più alti, quelli che Alcesti non aveva mai visto. Camminarono per quasi dieci minuti prima di fermarsi davanti ad una porta di modeste dimensioni ma molto ben intagliata.
- Siamo arrivati- disse Kysen prima di aprire la porta.
Alcesti rimase senza parole. La porta si apriva su di un dedalo di stanzette e corridoi rivestiti di scaffali pieni zeppi di libri. La biblioteca privata dei Reali.
- …Kysen è… è… bellissima!- balbettò la ragazza.
- Lo penso anch’io-.
Il Principe si voltò verso di lei, esitò, poi sorrise e la abbracciò timidamente. La lasciò subito andare, imbarazzato, e disse:
- Sono orgoglioso di te. È stato molto emozionante…-
Alcesti diventò rossa e farfugliò:
- Merito tuo…-
Per qualche secondo Kysen non riuscì a muovere un muscolo. I suoi occhi, così vicini, sembravano implorarlo… ma di cosa? Quale strano sortilegio a lui sconosciuto gli stava facendo?
Alcesti aveva il cuore a mille. Era il momento perfetto: perché esitava?
Con grande delusione della ragazza, il Principe si allontanò. Schiarendosi la voce per mascherare l’imbarazzo, le chiese:
- Sinceramente, Al, sai cosa sia una Fenice?-
- Più o meno. Nella mia zona si raccontano molte leggende, ma non so cosa ci sia di vero e cosa sia l’elaborazione dell’immaginario collettivo…-
Kysen annuì distrattamente, e si diresse spedito verso uno scaffale. Salì sulla scala e, dall’ultimo ripiano, estrasse un grosso volume polveroso. Scese dalla scala, e si sedette al tavolo posto sotto l’alta bifora. Alcesti si sedette accanto a lui. Il Principe sfogliò le pagine con decisione e, trovato ciò che cercava, face scorrere il libro davanti alla ragazza. Era un libro di animali. Sotto il naso di Alcesti stava l’elegante figura di una Fenice.
“Animale assai raro, è un uccello dal piumaggio rosso e dorato. Ha una lunga coda, che gli dona una notevole eleganza. È un grande combattente: il becco affilatissimo è in grado di spezzare la roccia. Ha due caratteristiche uniche: è capace di curare ferite ed avvelenamenti, e una volta concluso il suo ciclo vitale, brucia fino a diventare cenere, da cui poi rinasce. Per questo motivo è anche conosciuto come Uccello Immortale. Di difficile carattere, rifugge la razza umana e la compagnia in genere…”
 Alcesti staccò gli occhi.
- Non capisco-.
- Che cosa? Non ti riconosci?-
- Non molto… come posso essere un animale simile?- domandò sconcertata.
Kysen la osservò in silenzio per un minuto, poi disse:
- Non riesco a capire se tu sia contenta o no…-
- Si, lo sono molto! Solo non riesco a capire come posso essere paragonata ad un animale bellissimo, potente e così raro…-
Kysen sorrise.
- Non essere così auto critica. Io credo che ti calzi a pennello!- si fece serio – Avrai notato il fermento dei cavalieri quando hanno capito di quale animale ha preso le sembianze la tua magia…-
- L’ho notato, si. C’è qualcosa che devo sapere a riguardo?-
Ora capiva cos’era quella strana sensazione: la consapevolezza di essere allo scuro di qualcosa di importante. Kysen sospirò, irrequieto.
- È una leggenda, veramente. Si tramanda da generazioni e generazioni fin dalla Fondazione. Si dice che quando Alcibiàdes, il fondatore, depose la prima pietra, vide una Fenice planare sulla piana che sarebbe diventata poi Alia. È un animale raro, perciò si dice che, come le ha dato il potere, verrà a riprenderselo il giorno in cui Alia cadrà-.
Alcesti sbiancò. Iniziò a girarle la testa. Possibile che fosse messaggera di morte?
Vedendola scossa, Kysen le sollevò il viso con una mano gelida e la guardò negli occhi.
- È solo una leggenda, ok? Nient’altro che una leggenda. Io non ci ho mai creduto. Gli esseri umani hanno costantemente bisogno di ricordare la loro precarietà per godere al massimo di quello che hanno-.
La ragazza non reagiva, così Kysen la prese per le spalle e la scosse con delicatezza.
- La Fenice è un bellissimo animale, ragazzina! Non credere a queste storielle. È un potere che ha molte buone qualità, per esempio rinasce quando la sua vita dovrebbe terminare. Credi che questo possa essere un presagio nefasto?!- e continuò:
- Al, sei un’ottima combattente, e una persona incredibile. Mi hai anche salvato la vita e… e…- sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma arrossì, esitò e poi disse - Devi credere in te stessa. Se non vuoi farlo per te, almeno impegnati per me che ti ho allenata e che ho fiducia in te!-
- Hai ragione, Ky. È una leggenda. Non dovevo lasciarmi impressionare, scusa. L’intera città conosce questa storia?-
Kysen si rilassò.
- Ormai gli unici a conoscerla sono rimasti i Cavalieri. Il popolo l’ha dimenticata-.
- Bene. Ora che si fa? Devo tornare subito da loro?-
Il Principe ridacchiò.
- Cosa dice quel libro… rifugge la compagnia?!-
Alcesti sorrise.
- Questo posto è bellissimo, Ky-.
- Lo so… quando tu volessi venire qui, ora sai come arrivarci- rispose lui.
 
La mattina dopo, Alcesti doveva affrontare per la prima volta la curiosità dei cavalieri. In realtà, nessuno di loro fece riferimenti al mito, ma le loro domande si concentrarono sulla Sala Ovale. Terminato l’allenamento, Chris le si avvicinò e le chiese:
- Allora, sorella, come ti senti?-
- Strana, Chris…- rispose lei con un sospiro.
- Kysen ti ha raccontato tutto vero? Nessuno di noi ci crede. E nemmeno tu dovresti-.
- Grazie, fratello. Farò il possibile… scusami, ma c’è una cosa che devo chiedere urgentemente a Kysen…-
Perplesso, Christopher la guardò correre incontro al loro Comandante, che la spettava con una certa impazienza.
- Allora?- domandò il Principe.
- Andata…- rispose lei. – Ti ricordi, Ky, quando mi hai promesso che se fossi diventata più brava mi avresti insegnato la magia medica?-
- Io non ti ho mai promesso niente del genere!- rispose lui, preoccupato.
- Oh, si che l’hai fatto! Beh, ora sono diventata più brava…-
Alcesti sorrise del broncio di Kysen.
- Al, è difficile…-
- Ti prego…-
Kysen la trapassò col suo sguardo gelido, rifletté qualche secondo, poi disse:
- D’accordo, ma che non diventi un’abitudine fare i capricci!- 

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Capitolo 27
*** Magia medica ***


- Questo incantesimo si chiama “Incanto Guaritore”, Alcesti. È piuttosto complesso, non so se ce la farai-.
La ragazza era riuscita a convincere il Principe Kysen a insegnarle la magia medica. Infondo, come allieva negli incantesimi di combattimento non se l’era cavata niente male! Cominciava a sospettare che a Kysen piacesse dar prova della propria preparazione. Sotto quel suo modo di fare altezzoso e schivo, si nascondeva lo spirito di un vero re: fiero e ostinato, aveva la giusta carica autoritativa, era nato per comandare. Peccato che questo lato lo mostrasse solamente a pochi eletti… i suoi sudditi certo non potevano vedere altro che l’apparenza.
- Mi stai ascoltando?!- Kysen era imbronciato.
- Si, Sire- rispose lei, con fare ironico.
- Bene, perché devi tenere a mente diverse cose: prima di tutto, con questo incantesimo puoi guarire sia ferite da taglio che inferte da armi magiche, ma solo quando il danno non ha provocato la perdita di un arto…-
- Per forza-
- … o una perdita eccessiva di sangue-.
- Perché?-
- Perché rimpiazzare i liquidi comporta uno sforzo eccessivo. E questa è la seconda cosa che dovrai ricordare: c’è un limite fisico nell’applicazione i questo incantesimo che non dovrai mai, e dico mai, superare. Se tu dovessi farlo, esauriresti le tue stesse energie, mettendo a repentaglio la tua vita-.
Alcesti rifletté qualche momento.
- Ma l’incantesimo sarebbe più potente… voglio dire, i suoi benefici sarebbero maggiori…-
- Si, ma non dovrai nemmeno provarci, ok? Non è detto che possa essere risolutivo e rischieresti la vita inutilmente-.
Dopo queste premesse, iniziarono le lezioni pratiche. Il Principe aveva ragione: era un incantesimo complesso. Richiedeva una concentrazione ed uno sforzo molto alti, a differenza di altri incantesimi combattivi che, seppur difficili, si esaurivano velocemente. Persino la formula magica era tanto lunga da crearle confusione!
Due ore più tardi iniziarono, lentamente, a notarsi i primi progressi. Le piccole ferite del topo su cui Alcesti si esercitava si rimpicciolivano, per poi cominciare a rimarginarsi.
- Va bene- commentò Kysen. – Per oggi direi che può bastare, te la sei cavata meglio di quanto pensassi-.
Alcesti continuava ad osservare il topino. Le si era insinuato un dubbio.
- E se l’incantesimo non dovesse riuscire?-
Kysen rifletté.
- Beh, oltre a rischiare di farti tu stessa del male, le conseguenze sul paziente potrebbero essere molto gravi…-
- Dimmi tutto-.
Alcesti si era resa conto che Kysen aveva cercato di aggirare quel particolare argomento, e l’aveva insospettita.
- Nel caso del guaritore, l’incantesimo potrebbe ritorcerglisi contro e ridurlo nelle medesime condizioni del paziente. Nel caso del paziente, invece, si possono creare due differenti situazioni: può aggravarsi il danno, oppure la ferita potrebbe rimarginarsi in modo scomposto-.
- Vuoi dire che se il mio paziente avesse una gamba rotta e io sbagliassi l’incantesimo, l’osso potrebbe saldarsi sfalsato?-
- Esatto, ma sarebbe peggio se fossero i lembi di una ferita grave a non combaciare-.
Vedendo che Alcesti sbiancava, Kysen le chiese:
- Vuoi continuare comunque? Per il momento, nel peggiore dei casi, uccideresti un roditore…-
- Non ho alcuna intenzione di rinunciare!-
La ragazza era determinata: ora che faceva parte della squadra di Kysen, voleva esserne degna. Avrebbe dimostrato che i cavalieri non potevano più fare a meno del suo braccio.
 
Una mattina, al suo risveglio, Alcesti trovò una sorpresa ad attenderla. Una cornacchia era posata sul bancale della sua finestra e la osservava con i suoi occhietti neri, la testa inclinata. La ragazza rispose allo sguardo curioso di quel volatile, che non sembrava avere nessuna intenzione di andarsene. Alcesti si alzò e si avvicinò lentamente. Non voleva spaventarla. Solo quando fu a pochi passi, notò che alla sua zampetta era legato un foglio. Dunque era un messaggero. Slegò delicatamente il messaggio, lo spiegò e lesse:
“Kysen dice che non hai modo di comunicare con la tua famiglia, così abbiamo pensato che un postino possa esserti di aiuto. Ares.”
Alcesti fissò prima la calligrafia sottile e precisa del principe Ares, poi l’uccello, poi di nuovo la lettera. Non capiva. Per quale motivo Kysen aveva suggerito ad Ares di facilitarle le comunicazioni? “Abbiamo pensato”… è plurale, pensò. Interessante. Guardò nuovamente la cornacchia.
- Ce l’hai un nome?-
L’animale inclinò il capo.
- Lo interpreterò come un no. Bene, allora ti chiamerò Corax!-
L’uccello fece schioccare il becco e volò via.
Alcesti si sedette. Sapeva di avere ancora una questione in sospeso: non aveva ancora chiesto niente a sua madre riguardo alla stampa di Nemesis, e ora aveva una via sicura per farlo!
 
I giorni passavano e iniziavano a notarsi importanti miglioramenti. Le formule magiche erano molte, ma fortunatamente tutte simili. Si differenziavano a seconda del tipo di ferita, della gravità, della posizione e dell’arma che l’aveva inferta. Alcesti era affascinata da quell’arte medica così diversa da quella che aveva studiato a Darkfield.
- Credi che, se dovesse capitarti in battaglia di dover curare un ferito, riusciresti a ricordarti l’incantesimo giusto?- domandò Kysen al termine di quella che avrebbe dovuto essere la loro ultima lezione, quella riassuntiva.
- Lo spero, Principe- rispose Alcesti, senza troppo entusiasmo.
Kysen la squadrò a lungo, poi disse:
- Non ti senti abbastanza preparata?-
Alcesti scosse lentamente il capo.
- Non lo so… non sono sicura che con una persona davanti saprei ottenere gli stessi risultati…-
- Non posso usare un essere umano come cavia… fin ora te la sei cavata molto meglio del previsto, ma oltre non possiamo andare-.
- Dovrò attendere una guerra?!-
- Se questa è la condizione, spero che tu non ti possa muovere più da lì!- rispose con un sorriso il Principe.
 
Gli allenamenti con la squadra erano impegnativi. Yuri si era affezionata molto a lei, e la aiutava volentieri. Finalmente, Alcesti era riuscita a conoscere tutti i membri della guardia: oltre alle sue vecchie conoscenze (Ares, Kysen, Chris, Vanessa, Sinéad, Yurika, Siegfried e Robert) aveva conosciuto altri dieci cavalieri che, con lei, formavano una squadra di diciannove abilissimi combattenti. Ce n’erano di ogni età. Ares, con i suoi vent’anni, era il più giovane, e Claude, che ne aveva trentotto, il più vecchio, passando per i ventidue di Yuri, i ventiquattro di Chris, i ventisette di Ky e di Ness, i trenta di Siegfried, e così via. Non era possibile immaginare un gruppo più eterogeneo. Eppure erano famosi tra i nemici per la loro coordinazione e sincronia. Frutto di ore e ore di allenamenti. Ora la Fenice lo capiva. Nonostante l’accoglienza riservatale dai suoi compagni, però, la leggenda sull’uccello immortale non aveva smesso di ossessionarla. Percepiva quel particolare presentimento, quella sorta di dolore al centro del torace che le preannunciava qualche pericolo. E la conferma non si fece attendere…
- Presto si darà battaglia, Cavalieri- annunciò Kysen dopo la seduta di allenamento mattutina, pochi giorni dopo. E continuò:
- Le sentinelle ci informano che tre città del sud, Sorni, Cerum e Ima, si sono coalizzate contro di noi, e stanno raccogliendo un esercito. Per il momento non sappiamo nulla di più preciso, ma avremo presto notizie-.
Difficile descrivere il subbuglio provocato da questa comunicazione. Alcesti si avvicinò a Chris e gli domandò, piano, se ci fosse da preoccuparsi. Questo, scuro in volto, rispose:
- Questa volta si, Al. Sono tre città popolose, e da tempo immemorabile si dimostrano insofferenti verso il nostro dominio. Temo che faranno le cose in grande…-
 
Rientrando nella sua stanza dopo una doccia e con il morale oltremodo basso, Alcesti trovò Corax ad attenderla, con la risposta di Lady Ingrid.
- Grazie- sussurrò all’animale, slegando la lettera.
Leggendo il messaggio, l’incredulità prese velocemente il posto di qualunque altro sentimento. No, doveva esserci un’altra spiegazione… va bene fatalisti, ma questo era veramente eccessivo!
Nel primo pomeriggio si incontrò con i Principi per riferire la sua scoperta.
- Che vuoi dire con “la disegnò lui”?!- domandò scioccato Ares.
- Voglio dire che una notte, invece che dormire, mio padre si mise a disegnare, e disegnò Nemesis! Mia madre dice anche che Merthin  l’aveva sognata…-
- Ma come è possibile?-
- Le possibilità sono due:- intervenne Kysen – o quella che raccontò a sua moglie non era la verità…-
- … oppure vide la spada da qualche parte e, chissà quanto tempo dopo, il suo inconscio gliel’ha restituita- concluse Alcesti.
- Precisamente- concordò Kysen.
 
Kysen non era soddisfatto. Sapeva che probabilmente non sarebbe mai venuto a capo del problema. Nonostante la convinzione dell’esistenza di una spiegazione razionale, non poteva certo negare che si trattasse di una strana coincidenza: Sir Merthin sogna una spada e, chissà per quale motivo, la disegna; anni dopo arriva a scoprire che esiste veramente, in una città leggendaria, occultata da secoli e secoli di storia e di ostruzionismo; e un bel giorno lo scopre anche sua figlia… anzi, è proprio lui, Kysen, a mettergliela sotto al naso! Scuotendo la testa, come per diradare la nebbia che l’avvolgeva, il Principe si chiuse alle spalle la porta della sua stanza. 

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Capitolo 28
*** L'assedio di Ares ***


Quella notte Alcesti non dormì bene. Sognò suo padre, e Nemesis, e Kysen che la brandiva contro l’esercito nemico, e la fenice di Alcibiàdes che sorvolava la piana della battaglia, intrisa del sangue dei caduti. Si svegliò, madida di sudore. Era una notte di luna nuova: il buio era assoluto. Fuori dalla finestra si intravedevano appena le ombre del cortile del palazzo e della città, congelata nel sonno. Lontano, a est, l’orizzonte si perdeva nella linea retta dell’oceano. Ancora più lontano, a ovest, la sua bella e cupa Darkfield, la città degli assassini… chissà se la leggenda della Fenice era davvero tale, oppure se la storia si sarebbe ripetuta, con un bilancio eccezionale di vittime.
 
L’allenamento della mattina fu più duro del solito. Alcesti era distrutta dalla lunga veglia di quella notte e né gambe né cervello volevano saperne di tenere i gusti ritmi. Kysen la stava osservando, ed altrettanto suo fratello. Aveva sentito Yurika chiederle se non si sentiva bene, ma come unica risposta aveva ottenuto un vago “non ho dormito”. E quello sciocco di Ares continuava a ronzarle attorno e a tempestarla di domande. Possibile che non fosse capace di capire quando una persona voleva essere lasciata in pace?! Persino Christopher lo guardava storto! Troppo, troppo sciocco, sussurrò il Principe scuotendo il capo, per poi tornare al proprio arco…
- Non è proprio la tua giornata fortunata, che ne dici?-
Chris si era avvicinato silenziosamente alla ragazza mentre lasciavano il campo sotto il sole caldo di mezzogiorno.
- Non me ne parlare- rispose mesta lei, e aggiunse:
- Ares ha compiuto il miracolo: è riuscito a peggiorare il mio umore già pessimo in partenza…- sospirò.
Il cavaliere sorrise.
- Oggi pomeriggio, se ti va, possiamo fare una passeggiata in città, come ai vecchi tempi. Se non sei a Palazzo, hai meno possibilità di incappare in Ares!- esclamò.
Allettata dall’idea di sfuggire per qualche ora a quell’incubo, approvò al volo il programma.
 
La compagnia di Christopher le piaceva: non era assillante, non era invadente, non tentava di farla cadere in fallo. Era quello che si può senza dubbio definire un buon amico. Alcesti sapeva che adorava gironzolare per Alia senza meta, parlare con i passanti, entrare nelle botteghe per osservare il lavoro degli artigiani. Nutriva particolare simpatia per i macellai, perché, diceva, facevano il suo stesso lavoro. Strano tipo, insomma.
La giornata, purtroppo, trascorse troppo velocemente e, seppure il sole ancora non accennasse a tramontare, per ora di cena dovettero rientrare.
Anche se Alcesti quella sera non cenò affatto. Anzi, prese con sé uno dei famigerati libri di storia di Miyrdin e si diresse verso l’ala ovest del Castello, dove sapeva trovarsi un giardino pensile molto bello, con tanto di laghetto artificiale. Lo trovò senza troppa difficoltà e si sedette, nei raggi obliqui del sole, sotto un alto castagno. I testi di storia non erano certo la sua lettura preferita, ma si era resa conto che rappresentavano un ottimo palliativo alle divagazioni mentali… aveva sempre avuto una discreta fantasia, le ci voleva poco ad immergersi nelle epiche battaglie e dimenticare temporaneamente così i suoi cupi pensieri.
In mezzo allo sterminato campo di battaglia, costellato di cadaveri, Re Ùragon attendeva. Davanti a lui stava il suo avversario più temibile, Ashar, combattente formidabile, punta di diamante dell’esercito nemico. Uragon respirò a fondo l’aria calda e umida. L’odore metallico del sangue gli gonfiò il petto, riempiendo i polmoni. Sollevò Nemesis, la cui lama splendeva in modo macabro, lucida del sangue delle sue vittime. Sul suo volto si dipinse un ghigno mostruoso, prima di…
- Wow, Ashar!-
Alcesti fece un salto. Era tanto concentrata da non aver notato i passi alle sue spalle.
- Accidenti, Ares! Mi hai spaventata a morte!-
- Addirittura!- esclamò il giovane Principe con una risata.
Alcesti lo guardò, seccata per l’interruzione, augurandosi che almeno ci fosse un valido motivo a giustificare quella intrusione, ma Ares sembrava non avere nessuna fretta. Si sedette accanto a lei.
- Non hai cenato?- domandò il ragazzo.
Alcesti si fece guardinga.
- Come lo sai?-
Ares sorrise soddisfatto.
- Ti ho cercata a cena, ma non ti ho trovata. Non dovresti saltare i pasti…-
- So badare a me stessa, Ares- rispose la ragazza, irritata per l’invadenza del Principe.
Attese pazientemente che lo scocciatore spiegasse la ragione della sua presenza lì, ma questo sembrava troppo preso dall’osservare la vita del laghetto. Così Alcesti sbottò:
- Come sapevi che ero qui?-
Sempre senza staccare gli occhi dallo stagno, Ares rispose:
- Le finestre delle stanze della famiglia reale danno su questo cortile. Non hai scelto un gran nascondiglio!-
Prima che Alcesti potesse ribattere che non si stava nascondendo proprio da nulla, Ares balzò in piedi e, mossi alcuni passi, disse:
- Dato che sei così malinconica, domani possiamo fare una gita al mare! Vedrai, è bellissimo! Ti porterò a vedere…- si interruppe quando la ragazza alzò una mano.
Alcesti si alzò in piedi e gli si avvicinò. Sapeva che non c’era modo di non offenderlo.
- Ares, io… tu sei bello, intelligente, simpatico… ci sai fare, ma…- non sapeva come continuare la frase. Fu il Principe a farlo per lei.
- … ma sei innamorata, e non di me-.
Alcesti arrossì nel sentirglielo dire.
- Già. Nella nebbia che ho in testa in questi giorni è l’unica cosa nitida…-
Ares sorrise mestamente, le si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia. Prima di allontanarsi, le sussurrò:
- Lui non è cattivo, è solo un po’ confuso… non arrenderti!-
Detto questo, il Principe si voltò e se ne andò, camminando lentamente. Alcesti lo fissò per qualche momento a bocca aperta, poi, riavendosi, disse:
- ‘Notte Ares-
Il ragazzo si limitò a salutare con la mano, senza voltarsi.
 
Alcesti si risedette sotto al castagno. Stava iniziando a fare buio. Ripensando alle parole di Ares, la nebbia che avvolgeva la sua mente, anziché diradarsi, si infittiva. Era così palese il fatto che fosse innamorata di Kysen? E Ares sapeva qualcosa di suo fratello, oppure le sue parole volevano essere mera cortesia? Avrebbe dovuto fermarlo. C’erano mille domande che avrebbe voluto fargli. Stupido orgoglio. Riaprì il libro sulle ginocchia, ma ora alle immagini di Uragon e di Ashar si sovrapponevano quelle dei due Principi. Le parole erano prive di significato, ormai.
Irritata, Alcesti chiuse violentemente il libro, balzò in piedi e corse via, senza sapere dove era diretta. 

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Capitolo 29
*** Conflitti ***


Kysen era fuori di sé. Aveva visto dalla finestra della sua stanza la scena che aveva coinvolto suo fratello ed Alcesti. Come aveva potuto quella che lui considerava alla stregua della sua ragazza lasciarsi baciare da Ares? E come aveva osato lui sfiorarla? Il principe camminava nervosamente avanti e indietro da quando aveva visto sparire la ragazza dalla visuale. Possibile che suo fratello avesse vinto, e che alla fine lei avesse ceduto? Kysen non si era mai sentito più frustrato. Quando il senso di impotenza aveva raggiunto il culmine, qualcuno bussò alla porta.
- Chi è?- chiese piano.
La porta si aprì lentamente: entrò Ares.
- Ah, sei tu…-
Era davvero stato così stupido da illudersi che fosse lei? Ares storse il naso.
- Accidenti, Ky… cos’è quella faccia?-
- Ringraziami per il mio autocontrollo impeccabile-.
Suo fratello era decisamente l’ultima persona sulla faccia della terra che avrebbe voluto vedere.
- Si può sapere che ti prende?-
- Me lo chiedi Ares? Non più di dieci minuti fa eri qui sotto a fare il cretino con lei!-
Ares rimase stordito qualche secondo, poi sembrò capire, ridacchiò e disse:
- Puoi stare tranquillo, fratello. Abbiamo solo parlato-.
Vedendo lo sguardo scettico di Kysen, continuò:
- E pensare che ero venuto qui a piangere la mia sconfitta…-
Kysen sembrò calmarsi.
- Sconfitta?!-
- Già! Ero andato da lei per ritentare l’impresa, ma mi ha confessato di essere perdutamente e completamente innamorata di un altro uomo… Così riconosco il mio fallimento e mi faccio da parte-.
Kysen era più pallido che mai. La testa gli girava vorticosamente e sentiva le gambe molli.
- Un… un altro uomo hai detto? E non ti ha detto di chi?-
Ares sorrise.
- Se te lo dicessi che confidente sarei? Ma parliamo di te… se ti preoccupava così tanto l’idea che potessi aver toccato la tua amica, forse dovresti farti delle domande-.
- Che vuoi dire?- La domanda era retorica, perché in realtà il Principe sapeva esattamente dove Ares voleva arrivare, e forse era giunto il momento di fare i conti con sé stesso. Ares lo guardava come si guarda un bambino bugiardo.
- Insomma, fratello, se vuoi davvero conquistarla devi essere più convincente. Non puoi evitarla quando ti cerca e cercarla per poi essere insofferente. La confondi!-
Kysen abbassò lo sguardo. Suo fratello aveva centrato nel segno. Ares continuò:
- Se vuoi chiarirti le idee, Ky, questo è il momento-.
Kysen sospirò, e decise di vuotare il sacco.
- D’accordo, è vero. Alcesti mi sta facendo diventare matto. È cominciato tutto la sera del ballo, il giorno del suo arrivo, quando il suo profumo ha intaccato il mio sistema nervoso: da allora non sono più riuscito a liberarmene. Più cercavo di starle lontano, più il desiderio di sentire quel profumo sulla sua pelle si faceva irresistibile… ero riuscito a controllarmi discretamente, fino a quando non sono stato costretto a partire con lei, e a vivere con lei, dormire con lei… ho passato notti completamente insonni a causa sua, cercando di controllare la mia mente. Eppure una parte di me la odia: quel suo modo di fare ironico, quel suo orgoglio mi manda su tutte le furie! Dovrebbe piegarsi davanti al futuro Re di questa città, e invece mi tratta come se fossi un semplice paggio! Nonostante ciò, sono arrivato ad un punto da cui ormai non posso tornare indietro. Non mi rendevo conto che ogni piccola concessione al mio inconscio si radicava in profondità, e ora riscuote il suo tributo…-
Kysen tirò un sospiro. Aver raccontato ad Ares i suoi tormenti lo faceva sentire più leggero. Suo fratello lo sapeva bene. Sorrise.
- Temo che tu ti sia preso una bella cotta, Kysen… o peggio… Quello che non capisco, è perché tu te ne stia qui a spiarla e piangere miseria…-
- Non riesco a parlarle. Ci ho provato, ma ogni volta che mi avvicino a lei quel maledetto profumo mi blocca…-
- Ky, Alcesti non porta il profumo…-
- Che vuoi dire?-
- Voglio dire che non le ho mai sentito alcun profumo particolare. Anche la sera del ballo… ho passato quasi tutto il tempo con lei, ma non l’ho notato-.
- Com’è possibile?-
Ares fece spallucce.
Kysen era sconvolto. Possibile che quel profumo afrodisiaco non esistesse? Che fosse una creazione del suo inconscio?
Improvvisamente, due colpi alla porta. I fratelli si guardarono.
- Comandante, sono Christopher! Le sentinelle comunicano che l’esercito nemico si sta muovendo. Se siamo fortunati abbiamo una settimana per prepararci!-
Kysen aprì la porta.
- Convoca subito il Consiglio-.
 
In un’ora, tutti i cavalieri erano riuniti nel sotterraneo che fungeva da quartier generale. Christopher prese la parola:
- Signori, l’esercito nemico ha iniziato a muoversi. Abbiamo meno di una settimana per organizzarci. Le sentinelle dicono che hanno cavalieri, arcieri, catapulte, arieti e speroni-.
Un mormorio si diffuse nella sala. Tutti sapevano che le catapulte potevano fare la differenza.
- Grazie, Sir Christopher- disse Kysen. E continuò:
- Il piano è questo: prepariamo una linea difensiva forte sulle mura per contrastare gli attacchi, e una di emergenza intorno alla cittadella. Siamo in inferiorità numerica, non possiamo attaccare-.
Notando gli sguardi sgomenti dei cavalieri, chiese:
- Qualcosa non va?-
Passò lo sguardo acuto su ognuno dei presenti, per constatare che l’unico a rispondere al suo era quello di Alcesti, profondo come mai lo era stato prima. Gli diede i brividi. Deglutì e continuò:
- In tal caso, domattina vi aspetto tutti puntuali al campo. Buona notte-.
Si alzò e lasciò la stanza. Dietro di sé udì dei passi veloci.
- Ky, aspettami!-
Si fermò e si voltò a guardarla.
- Non sei d’accordo- disse.
- No, assolutamente no! Così ci condanni a morte!- i suoi occhi erano furenti.
- Ascolta Ky, non possiamo non attaccare, ci giochiamo un’opportunità!-
- E tu che ne sai?-
Kysen si era innervosito: quella ragazzina non poteva pensare di arrivare e impartire ordini al suo posto. Non era certo più esperta di lui in strategie militari!
- Principe, fidati di me. Ho già vissuto una situazione simile e…-
- Adesso basta! Non ho chiesto il tuo parere! Quello che ho deciso, ho deciso-.
Si voltò e si allontanò velocemente. Alcesti si sentiva impotente. Kysen non si rendeva conto che stava condannando Alia a morte.
 
Alcesti era preoccupata: la città sarebbe stata presto attaccata, e Kysen aveva adottato una strategia di difesa suicida. Aveva cercato di farglielo capire, ma la sua testardaggine era più forte dell’evidenza. Per questo motivo, la sua unica speranza era rimasta Vanessa. Da lei si diresse l’ultima arrivata nella squadra di cavalieri guidata da quella donna così severa e spigolosa. La trovò, come sempre, al campo di allenamento, dove era impegnata nell’ordinare le armi in vista dell’imminente battaglia. Notando Alcesti che si avvicinava, interruppe il suo lavoro e la guardò con aria interrogativa.
- Devo parlarti- esordì la ragazza.
- So perché sei qui. Credi che il Principe abbia sbagliato strategia. Condivido la tua preoccupazione-.
Vanessa si sedette. Sembrava stanca. Alcesti si sedette accanto a lei.
- Ness, pochi anni dopo la partenza di mio padre, Darkfield si trovò nella stessa situazione: il Re impostò la resistenza nello stesso modo e ci salvammo per miracolo. È vero che le premesse sono diverse, che voi avete la magia, ma anche i vostri nemici l’hanno. Darkfield è sopravvissuta per pura fortuna. Siete sicuri di voler rischiare tanto?- Vanessa non rispondeva. – Lo so che Kysen è cocciuto, ma forse una richiesta da parte di tutti i cavalieri può cambiare le cose…-
Vanessa rifletté qualche istante, poi sembrò convincersi.
- Cercherò di convocare il Consiglio per oggi pomeriggio. Vado subito a chiedere l’autorizzazione alla Regina-.
Si alzò e si allontanò velocemente.
Alle cinque, la squadra era riunita nel buio sotterraneo del castello. Kysen, seduto a capotavola, era visibilmente furioso. Alcesti aveva un brutto presentimento. Il silenzio tombale faceva vibrare le spesse pareti di pietra. Vanessa si alzò.
- Chiedo la parola in qualità di Capitano della squadra di cavalieri-.
Con un lieve movimento della testa, il Principe acconsentì. Vanessa si schiarì la voce.
- Ritengo che il sistema di difesa della città sia stato impostato in modo sbagliato, e come me gli altri cavalieri- un brusio di assenso accolse questa affermazione.
Kysen era più pallido del solito, e Ares sembrava scioccato. Kysen rispose gelido:
- Su quali basi si fondano le vostre osservazioni?-
Vanessa deglutì, tradendo la sua tensione.
- Sull’esperienza, Comandante-.
- Quale esperienza?-
Vanessa era in difficoltà. Alcesti le toccò un braccio e si alzò:
- Chiedo di poter parlare, Comandante-.
Il Principe accordò.
- Cinque anni fa, la mia città si trovò nella stessa condizione di Alia: eravamo accerchiati, e la potenza di fuoco del nemico era maggiore. Il Re scelse di arroccarsi nella cittadella. La città si salvò per un soffio. La storia insegna che la fortuna aiuta gli audaci-.
Kysen era sempre più pallido, sintomo della sua ira.
- Per quale motivo ritenete che questa situazione dovrebbe ripetersi?-
- Perché le componenti sono le stesse. In questo caso, non vedo perché NON dovrebbe ripetersi!-
Si morsicò un labbro. L’indifferenza cieca del Principe al problema la sconvolgeva. Kysen passò lo sguardo sugli altri cavalieri.
- La pensate come loro?-
Annuirono.
- Bene allora. Aggiorno la seduta a domattina: in quella sede proporrete le vostre idee e valuteremo che soluzione adottare-. Si alzò e uscì dalla stanza con aria furibonda.
Il silenzio piombò sulla sala. Tutti sapevano a cosa andavano incontro: il Principe non era certo famoso per la sua umiltà.
- Voi… voi credete che non avremmo dovuto?- sussurrò Alcesti.
- Io credo che se non l’avessimo fatto, massimo quattro giorni e Alia non esisterebbe più- rispose Vanessa.
Ares era molto preoccupato, e fiutava guai. Non aveva mai visto sua fratello così arrabbiato: Alcesti avrebbe sicuramente pagato.
Silenziosamente, uno a uno i guerrieri lasciarono il sotterraneo. Alcesti aveva tutta intenzione di chiudersi in camera e di non mettere piede fuori fino alla mattina dopo. Disgraziatamente, salita la scalinata secondaria a est, si trovò davanti proprio Kysen, che non la degnò nemmeno di uno sguardo e passò oltre, lasciando una scia di ghiaccio dietro di sé.
- Kysen!- Non si fermò. – Kysen, aspetta!-
Il Principe si voltò di scatto, gli occhi pieni d’ira, quell’ira che non può essere repressa per sempre.
- Cosa vuoi ancora da me? Non ti sei divertita abbastanza?-
Alcesti sbarrò gli occhi.
- Chi credi di essere per arrivare qui, umiliarmi e rivoltarmi contro il mio esercito? Sei solo una ragazzina viziata e insolente!-
A quel punto, l’orgoglio di Alcesti si era destato. Se era la guerra che voleva…
- Come ti permetti?! Io sono semplicemente preoccupata per questa città, che ho giurato di difendere a costo della mia vita! E scusa se mi scoccia gettare all’aria l’unica vita che ho. Se tu non sei capace di difendere i tuoi sudditi non è certo colpa mia!-
- Modera i termini, ragazzina, stai parlando con il futuro Re!-
- Non sarai mai Re se non cambierai strategia! Se solo tu fossi meno presuntuoso…-
- Ora basta! Sono io il Comandante, e non devo certo rendere conto a te delle mie azioni!- Qualche secondo di silenzio, prima che il corridoio tornasse a rimbombare della voce profonda di Kysen.
– Maledetto il giorno in cui sei arrivata ad Alia! Non hai portato altro che guai. Avresti fatto meglio a restartene nella tua città di assassini… Odio Darkfield, e tutti i suoi maledetti abitanti!-
Alcesti non riuscì più ad aprire bocca. Era questo dunque che provava per lei? Odio? Dopo tutti i momenti trascorsi insieme, dopo tutto il sostegno datisi l’un l’altra? Alcesti non credeva che avrebbe potuto arrivare a tanto. Si sentiva svuotata. Abbassò la testa per nascondere la lacrima bollente che le rigava una guancia e, con una voce tanto calma da sorprendere anche lei stessa, disse:
- Avete ragione, Signore. Io non dovrei essere qui. Vi prego di perdonarmi per la seccatura, ma non temete, quando domattina la dolce luce dell’alba accarezzerà il vostro bel viso sarò già lontana…-
Si voltò e si allontanò lentamente, reprimendo la voglia di correre a perdifiato. Si asciugò gli occhi e si diresse verso gli appartamenti della Regina.
 
Kysen non riusciva più a muovere un muscolo. Fermo a bocca aperta in mezzo al corridoio, si era immediatamente reso conto dell’imperdonabile errore che aveva commesso. Questa volta l’orgoglio aveva vinto sul cuore. L’aveva fatta piangere, ne era sicuro, quel luccichio sulla sua guancia pallida per la paura doveva essere per forza una lacrima. Come aveva potuto? Una giovane donna tanto forte da non lasciarsi piegare dall’umiliazione, dal sarcasmo, dalla crudeltà e dagli intrighi dell’alta nobiltà, perfino dalla morte, era caduta per la risposta avventata di uno sciocco. Come aveva potuto Kysen farle questo?
 
Con un po’ di difficoltà, Alcesti riuscì ad essere ammessa al cospetto della Regina fuori dall’orario di udienza.
- È successo qualcosa?-
Lady Philippa sembrava preoccupata: una visita a quell’ora era piuttosto insolita, ed era evidente che la ragazza aveva pianto.
- Perdonate il disturbo, Maestà, ma ho urgenza di chiedervi il permesso di partire-. Alcesti rispose tutto d’un fiato, temendo di cambiare idea.
- Qual è il motivo di tanta urgenza?-
- Voglio partire prima dell’alba-.
- La tua famiglia sta bene? Non è successo nulla, vero?-
- Loro stanno bene, non preoccupatevi… solo… ho bisogno di allontanarmi… vi chiedo perdono, ma il mio cuore non reggerebbe un giorno di più qui-.
Lady Philippa sospirò.
- D’accordo. Non posso obbligarti a restare. Promettimi, però, che ci penserai bene questa notte. Lo farai?-
- Si, Maestà-.
- È doloroso separarsi da una figlia…- sorrise. Alcesti si commosse pensando a quanto la Regina si fosse affezionata a lei.
Lady Philippa la guardò uscire dalla stanza. Se la sua famiglia stava bene, la ragione della sua decisione doveva essere una lite con suo figlio. Appena arrivata, la Regina credeva che Ares sarebbe riuscito nel suo intento di conquistarla, ma si sbagliava. Aveva lentamente visto crescere l’affiatamento tra quella bambina determinata e suo figlio maggiore, che da diversi anni si era chiuso in sé stesso, e sembrava aveva tratto notevole giovamento dalla compagnia della ragazza. Inizialmente lei ne era affascinata, e lo temeva. E forse a suo modo anche lui. Quando aveva deciso di mandarli insieme in missione non credeva certo che le conseguenze sarebbero state tali! Suo figlio non poteva essere tanto stupido da lasciarla andare via. Ma forse, pensò, lui non era al corrente della sua decisione…
 
- Mi avete fatto chiamare, madre?-
- Miss Alcesti mi ha chiesto di abbandonare la città-.
Kysen abbassò gli occhi e sussurrò:
- L’ha fatto davvero…-
- Lo sai dunque-.
- Si-.
- E si può sapere cosa aspetti?! Vai a fermarla! Non sai che certe persone si incontrano una volta sola nella vita?!-
Kysen la fissò a bocca aperta per qualche secondo, poi si voltò e corse fuori.
Non poteva crederci. Se ne sarebbe andata davvero. Sua madre aveva ragione: doveva fermarla! Era inutile cercarla nel castello, sapeva già dove trovarla. Montato Fog, si diresse a tutta velocità verso la collina. Come sperato, trovò Chronos impastoiato al solito albero e, lontano, verso il pendio, una figura seduta, sola. Si avvicinò lentamente. Cosa avrebbe potuto dirle dopo la scenata che le aveva fatto, dopo tutte le cattiverie che le aveva scaricato addosso? Riconoscendo il passo del Principe alle sue spalle, Alcesti si irrigidì. Lui lo notò, e fremette.
- Posso sedermi?- le chiese, una volta accanto a lei, col tono più dolce che gli fosse mai uscito. Lei annuì. Kysen le si sedette accanto e la guardò: fissava il mare con gli occhi gonfi e la testa appoggiata alle braccia incrociate. Non era che l’ombra della Fenice. Kysen si schiarì la voce.
- Non andartene…- disse in tono di supplica.
- L’uomo che amo mi odia: come potrei restare? Voglio solo andarmene, e dimenticare tutto…- Lacrime silenziose ripresero a scorrere sul suo viso.
Kysen fu attraversato da una scarica elettrica. Le parole di Alcesti non ammettevano fraintendimenti.
- Tu… non puoi andartene… non dopo avermi fatto innamorare…-
Lei singhiozzò, ma continuò a piangere. Il Principe riprese:
- Io non pensavo davvero quelle cose, lo sai… potrai mai perdonarmi?-
Le sfilò dai capelli l’ago di legno che li raccoglieva, spargendoglieli sulle spalle. Lei lo guardò con aria interrogativa. Kysen sorrise e sussurrò:
- Mi piaci ancora di più così… ti prego, Al, ora che il mio cuore ha ripreso a battere non voglio ripiombare nel ghiaccio…-
Le asciugò gli occhi con una mano, le sollevò il viso e la baciò.
 
La mattina seguente, i due tornavano insieme al palazzo, quando videro Ares a cavallo di Polemos, che correva loro incontro.
- Ehi! Dove vi eravate cacciati? Il Consiglio è già riunito!- urlò.
- Con due ore di anticipo?- urlò in risposta Kysen.
- Le sentinelle dicono che domani mattina saranno qui!-
Si voltò e corse verso la fortezza. I due si guardarono con gli occhi sbarrati.
- Domattina?! Ma è troppo presto!- esclamò lei.
- È tutto il tempo che abbiamo!- Kysen spronò Fog e in pochi minuti erano nel cortile delle stalle.
Trafelati, entrarono nel sotterraneo insieme ad Ares. Si sedettero nei rispettivi posti, sotto gli occhi curiosi di tutti i presenti. Kysen disse:
- Cavalieri, abbiamo poco tempo. Qual è la vostra proposta?-
Vanessa si alzò.
- Disporre un’ampia linea difensiva fuori dalle mura e, oltre ad essa, una offensiva, più esterna, capitanata da noi. Quella difensiva sarà solo secondaria: il nostro obiettivo sarà impedire all’esercito nemico l’avvicinamento alle mura-.
Il Principe rifletté qualche secondo lasciando i presenti col fiato sospeso; poi lanciò un’occhiata ad Alcesti, che rispose con un’impercettibile segno affermativo del capo, e, infine, si decise:
- Approvo-.
La sala riprese a respirare. Alcesti sorrise. Kysen riprese:
- Ora tutti al campo, veloci! Il tempo stringe! Oggi pomeriggio convocherò i soldati per le prove-.
Mentre usciva dal sotterraneo, il Principe fu fermato da suo fratello.
- La notizia è partita dal castello. Come è possibile che voi non l’abbiate saputo?- domandò Ares.
Kysen lo guardò con quella sua peculiare espressione interrogativa, ma non rispose. Ares riprese:
- Non eravate a palazzo, vero? Dove eravate?-
- Ci hai incontrati ai margini della città, è evidente che non eravamo a palazzo- rispose altezzoso Kysen. Quello era esattamente il genere di domanda che lo mandava su tutte le furie. Possibile che, dopo vent’anni, suo fratello non avesse ancora capito che non doveva farsi gli affari suoi?
Ma Ares non si fece scoraggiare dal tono della risposta.
- Non prendermi in giro, Ky. Non sono un idiota. Avete passato la notte insieme vero?-
- Si, Ares, come spesso abbiamo fatto da quando siamo stati in missione, e non capisco dove tu voglia arrivare…-
- Ma questa volta non eravate obbligati…-
Lo sguardo di Ares era inequivocabilmente accusatore. Kysen sospirò.
- Si può sapere cosa vuoi?!-
Il ragazzo sembrò divertito della domanda spazientita del fratello.
- Ma è ovvio: voglio che mi racconti tutto!-
Kysen improvvisamente capì il motivo di quell’assedio: quel pettegolo del suo fratellino era tremendamente curioso. Cominciava ad innervosirsi.
- Non vedo per quale motivo io debba renderti conto di quello che faccio e non faccio con lei, ma per evitare che inizino a girare voci false e tendenziose, ti informo che abbiamo semplicemente dormito all’aperto-.
Ares era scettico.
- Scherzi?-
- Dovrei?!- Kysen non riusciva a interpretare quell’insistenza. Stava cadendo nella maleducazione.
- Ma dai, fratello! Stai dicendo che hai passato la notte con Alcesti, e avete dormito? Non puoi pensare davvero che sia così ingenuo!-
Finalmente gli era tutto chiaro: Ares stava indirettamente ammettendo che, se si fosse trovato al posto suo, avrebbe sfruttato la situazione in modo ben diverso… improvvisamente gli venne una voglia feroce di picchiarlo, ma si contenne e, dopo un lungo sospiro, disse:
- Vedi, fratellino? Questo è precisamente il motivo per il quale la Regina non ti ha lasciato partire con lei, e non solo: è anche per questo tuo modo di fare che non sei riuscito a conquistare Alcesti. Cresci Ares!-
Si voltò, e se ne andò lasciando il fratello solo, con la vergogna dipinta sul volto.
Finalmente all’aria aperta, il Principe tirò un sospiro di sollievo. Sua madre aveva visto giusto: suo fratello poteva essere molto pericoloso. E anche lei, la diretta interessata, l’aveva capito, più o meno inconsciamente. Ora gli tornavano in mente le sue parole: “lui è abituato ad ottenere sempre ciò che vuole, mi ucciderebbe!”. È pazzesco come le donne siano dotate di un sesto senso…
Si guardò attorno. Ness era impegnata con l’arco, e con lei anche Yurika, Siegfried, Sinéad, Claude e Robert. Alcesti invece duellava con Christopher. Si fermò a guardarli qualche minuto. Quant’era veloce… non aveva apprezzato così tanto le sue doti combattendo contro di lei. Chris era migliorato moltissimo da quando avevano iniziato ad allenarsi insieme. L’arrivo della Fenice aveva ridato vita alla squadra.
Assorto in questi pensieri, il Comandante, l’Aquila, prese il suo arco e si unì ai suoi cavalieri. 

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Capitolo 30
*** L'ultima notte ***


Il sole era ormai completamente tramontato. Alcesti, coricata sul suo letto, pensava. La tempesta che si stava abbattendo sulla costa aveva ritardato il viaggio dei loro nemici, e molte delle loro navi avevano fatto naufragio. Per fortuna. Il giorno successivo, ad ogni modo, entro sera sarebbero stati nella piana. La battaglia era imminente, e nell’aria vibrava la tensione. Se fosse andata male, non avrebbe mai più rivisto la sua casa, la sua famiglia… e Kysen? Che ne sarebbe stato di lui? Era difficile dire se le provocasse più sofferenza pensare di morire e lasciare tutto, oppure di sopravvivergli. La giovane si alzò e cercò un pezzo di pergamena…
 
Kysen sentì bussare alla sua finestra. Non era riuscito ad addormentarsi, era troppo teso per lo scontro. Avvicinandosi al vetro, notò la cornacchia di Alcesti che gli recava un messaggio. Aprì la finestra e prese il foglietto. Diceva solamente “questa potrebbe essere la nostra ultima notte”. Prese penna e calamaio e rispose “non sarebbe sprecata se potessi passarla con te”. Il volatile sparì nelle tenebre, per ricomparire pochi minuti dopo con la risposta: “o adesso o mai più…”. Kysen  rimandò la cornacchia alla sua padrona prima di infilarsi gli stivali e uscire silenziosamente, come solo lui era capace di fare, dalla sua stanza, diretto verso l’ala est del castello. Non incontrò nessuno lungo i corridoi. Ognuno era andato a letto presto, sicuro che comunque non avrebbe dormito…
 
Alcesti camminava nervosamente su e giù per la stanza. La cornacchia era tornata senza risposta. Significava che il Principe stava andando da lei. Diversi minuti dopo, un colpo leggero alla porta. Alcesti si precipitò ad aprire. Scostò appena la pesante porta, e il Principe si infilò veloce nella sua stanza, richiudendosela alle spalle. I due si trovarono così faccia a faccia, soli, finalmente sicuri dei loro sentimenti, finalmente sicuri di ciò che desideravano. Kysen prese il viso di Alcesti tra le mani e le disse:
- Sei sicura che sia il momento giusto?-
Lei sorrise.
- Non voglio morire prima di aver fatto l’amore con te-.
- Non è detto che uno di noi due debba morire…-
- Preferisco non rischiare!-
Kysen la baciò e la sentì rabbrividire.
- Hai paura?-
- Un po’…- arrossì.
Lui respirò a fondo quel profumo di cui ormai era dipendente, sempre più certo che non fosse un’illusione, e le baciò il collo. Poi indietreggiò di un passo e, dopo aver percorso il suo corpo con uno sguardo, sussurrò:
- Se vuoi ripensarci, fallo ora prima che non sia più padrone delle mie azioni……-
Lei, avvicinandosi, rispose:
- Sarei pazza a non desiderarti, Principe…-
 
Un tuono. Alcesti si svegliò nel cuore della notte. La sua testa era ancora postata sul petto di Kysen, come quando si era addormentata. Lui era sveglio e giocherellava con i capelli castani della ragazza.
- Ancora tempesta?- domandò piano lei.
- Fortunatamente si. Finché il mare è grosso, non attraccheranno-.
Alcesti si godette il profumo della pelle del Principe. Che idea folle era stata la sua… ma non se ne pentiva: nonostante il terribile pericolo imminente, si sentiva profondamente felice.
- Grazie- disse.
- Di cosa?-
- Di avermi accontentata-.
Il Principe rise silenziosamente. Vedendo l’espressione perplessa della ragazza, disse:
- Ragazzina, tu non hai idea di quante notti in bianco io abbia passato a causa tua… e quante volte ti abbia odiata per le tue provocazioni, in particolare quando eravamo lontani… soli…-
- Perché non volevi partire?-
Kysen rifletté qualche secondo, per poi rispondere:
- Perché avevo paura di quello che poi è effettivamente successo-.
- Cioè?-
- … mi sono innamorato! Dormi ora. Domani si combatte-. 




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Thewindy questo è per te =* Ma non dire più che Kysen è un maniaco!! =)

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Capitolo 31
*** Addio Vanessa ***


Un sole opaco splendeva sulla grande piana che si stendeva tra le mura più esterne di Alia e l’oceano. La grande piana nella quale gli eserciti nemici avevano montato il campo, proprio sulle spiagge bianche. La tempesta aveva inflitto loro seri danni, ma questo non li aveva resi meno agguerriti. Ed erano ancora molti, troppi, e il giorno della battaglia era giunto.
 
I Cavalieri erano schierati: le armature scintillavano fioche in attesa del discorso del loro Comandante.
 
Kysen camminava lentamente avanti e indietro lungo la linea, lo sguardo truce, la fronte corrugata. Infine si fermò.
- Cavalieri, Soldati- tuonò la sua voce profonda – oggi, qui, si decideranno le sorti della nostra città. Mi aspetto da voi la massima audacia e la massima ferocia. Non siate troppo leali, perché loro non lo saranno. Abbiate sete di sangue, perché potrebbe salvarvi la vita. Nell’indecisione, seguite il vostro istinto: difficilmente sbaglierete. Le vite delle vostre famiglie, dei vostri concittadini, sono nelle vostre mani… spero di poter festeggiare con voi tutti quando questo incubo sarà finito-.
Lanciò un’occhiata penetrante ad Alcesti, un’occhiata che sapeva di preghiera.
 
Tra le linee dei combattenti, pronti a rischiare la vita, Alcesti era in prima fila. Non vedeva l’ora di cominciare, l’inerzia che anticipava l’inizio dello scontro la sfibrava. La sua mente era completamente assorta nel nemico. Aveva notato che, per il momento, le catapulte erano lontane dal campo di battaglia: probabilmente avevano subito dei danni durante la dura tempesta della notte. Bene. Era nervosa, ma, come sempre le accadeva, il nervosismo si stava trasformando in furia omicida. Per un momento ripensò ad Uragon, allo strano sorriso macabro che aveva immaginato sul suo volto poche ore prima… si sentiva proprio come lui, in quel momento. E voleva vincere, con tutta sé stessa.
- In bocca al lupo, ragazzi- sussurrò a Vanessa e a Christopher, ai suoi lati.
Nel silenzio ultraterreno un corvo gracchiò. Un urlò si alzò dall’esercito nemico, seguito a ruota dal segnale d’attacco del Comandante. Le due schiere scattarono, Alia da una parte, la coalizione dall’altra.
Coprendo velocemente il centinaio di metri che la sparavano dal suo avversario, Alcesti rifletteva: la loro linea esterna doveva tenere i nemici il più lontano possibile dalle mura cittadine, ad ogni costo e con ogni mezzo. Alia non sarebbe caduta, non quel giorno!
Fragore. Mille e mille incantesimi si scontrarono. Mille e mille combattenti portarono la loro vita sulla terra nera e fertile. Mille e mille occhi osservarono, trattenendo il fiato, dalle bianche mura. Il boato e le schegge di luce investirono Alcesti, che aveva già ingaggiato uno scontro serrato con una donna dai lunghi capelli rossi. I colpi si susseguivano ininterrottamente, tanto che non era quasi possibile capire quali provenissero dal proprio avversario e quali invece no. Ma Alcesti era completamente assorta nel suo scontro, ogni fibra nervosa tesa ad ottenere il risultato. Se una delle due doveva uscirne viva, quella sarebbe stata lei. Questo era fuori d’ogni dubbio.
La donna rispondeva a tono ai suoi attacchi. Era veloce e potente, ma fortunatamente peccava nella precisione. Agli incantesimi di fuoco, i prediletti della Fenice, rispondeva con quelli d’acqua, che evidentemente le riuscivano meglio di altri. Gli incantesimi si annullavano tra loro. Di quel passo, lo scontro sarebbe stato infinito. Per questo, Alcesti sfoderò Maya e si lanciò sulla sua avversaria. Quando si trovarono faccia a faccia, la ragazza poté osservarla meglio: le piccole rughe attorno agli occhi verdi rivelavano che era più vecchia di quanto le fosse sembrato in un primo momento. Sul suo corpo spiccavano numerose cicatrici. Le loro lame si incrociarono, producendo un suono macabro. Affondo, scarto, finto, paro. La donna sorrise.
- Non ci è giunta notizia dell’investitura di un nuovo cavaliere- disse, tra un colpo e l’altro.
Evitandone uno diretto al fianco destro, Alcesti rispose:
- Vi consiglio di sostituire i vostri informatori- rispose, con un affondo diretto allo stomaco, ma la donna scansò.
- Non conosco il tuo accento-.
Alcesti balzò indietro.
- Vengo da ovest-.
Fece un passo avanti e attaccò nuovamente, ma la sua avversaria scartò.
- Per quale motivo, allora, rischi la vita per questa città? Come puoi essere certa di combattere per una causa giusta?-
Tentò una finta, ma Alcesti non si fece ingannare.
- Ho giurato. È per quelle persone che pregano per i loro cari, protette dalle mura, che rischio la vita. Poco importa chi ha ragione-.
Maya vibrò a pochi centimetri dal collo della donna, che saltò di lato e tentò un affondo. Non andò in porto.
- Che differenza può fare, allora, l’etnia dei cittadini che difendi?- domandò.
Alcesti sgranò gli occhi e, fintando, sussurrò:
- Non capisco…-
La donna sorrise, soddisfatta della reazione provocata nella nemica.
- Possiamo pagarti più di quanto non faccia Alia- disse.
La ragazza impiegò qualche secondo per capire il significato della parole di quella strana donna. Poco più impiegò il suo orgoglio ad avvampare. Lanciò uno sguardo sprezzante a quella che ormai le appariva solo un’ombra vaga, dietro al velo d’ira che le offuscava la vista. L’ombra aveva abbassato la spada, convinta di aver allettato l’avversaria con la sua proposta. Illusa, sciocca e presuntuosa. Alcesti non si lasciò sfuggire l’attimo. In una frazione di secondo, Maya era conficcata nel petto della donna, la punta lucida di sangue brillava tra le scapole.
- La Fenice non è una mercenaria- soffiò Alcesti, sfilando la Starblade e lasciando accasciare al suolo la sua vittima.
Non aveva ancora fatto un passo indietro quando una lama gelida apparve dal nulla a schiacciarle la gola.
- Quella era mia sorella- sussurrò una voce maschile al suo orecchio.
Alcesti rimase per un momento pietrificata. Se si fosse cercata di liberare, si sarebbe sicuramente ferita. Troppo rischioso un taglio alla gola. In una frazione di secondo valutò tutte le possibilità, per scartarle tutte eccetto una: emise una potente scarica elettrica, che stordì abbastanza l’uomo da permetterle di liberarsi dalla presa, con un lievissimo taglio. Fece appena in tempo ad allontanarsi prima che un incantesimo lo investisse in pieno, scaraventandolo via. Probabilmente era morto.
- Scusa, Al, colpa mia!- gridò Claude, che aveva mancato il suo avversario.
Alcesti fissò scioccata il punto in cui l’uomo era scomparso: questione di pochi secondi e avrebbe condiviso il suo destino.
Sospirò, prima di darsi un’occhiata attorno. I nemici erano ancora in superiorità numerica, ma le sorti si stavano riequilibrando. Alla sua destra, Siegfried stava combattendo contro due diversi cavalieri, e sembrava in difficoltà.
- Serve una mano?- domandò la Fenice.
Si era appena buttata nel nuovo scontro, quando comparve nel cielo la prima stella rossa: era la richiesta di intervento degli infermieri.
Approfittando di quel secondo di distrazione, il nemico scoccò una freccia di fuoco. Fortunatamente, la fretta incise sulla precisione: colpì Alcesti solo di striscio, ferendola ad un fianco. Per reprimere l’ondata di panico che la stava per investire, si concentrò al massimo. Le stava venendo in mente un trucchetto che le aveva insegnato Miyrdin…
Con un incantesimo d’aria, alzò una coltre di polvere per impedire al nemico di intuire le sue mosse, e con uno di terra aprì un crepaccio sotto ai piedi del malcapitato, che, prima di poter capire cosa accadeva, se l’era visto richiudere sulla testa.
La Fenice si asciugò la fronte soddisfatta.
In quel momento proruppe il grido disperato di Ares, che congelò il sangue nelle vene all’intero esercito.
- Ness! No!-
Alcesti si precipitò nella direzione da cui era giunta la voce del Principe. Il corpo di Vanessa stava là, inanimato. La stella rossa già brillava nel cielo sopra di lei.
Gli infermieri giunsero velocemente. Diedero una rapida occhiata al Capitano e, scuotendo il capo, la portarono verso l’ospedale da campo. Dopo essersi scambiati uno sguardo grave, i Cavalieri tornarono alla battaglia. La reazione degli infermieri aveva lasciato loro ben poche speranze.
Con l’angoscia nella mente, ma l’ira nel cuore, la Fenice si fiondò sul primo soldato che incontrò. I cavalieri nemici erano rimasti in pochi, perciò non avrebbe fatto male una bella sfoltita alla schiera dei soldati semplici…
Cadevano come mosche sotto ai suoi colpi. Aveva ancora negli occhi il corpo di Vanessa, e ognuno di quegli uomini era un potenziale responsabile. Le stelle nel cielo si erano moltiplicate: si combatteva ormai da ore. Alcesti era ferita lievemente, ma alcuni dei suoi compagni avevano subito ferite molto più serie, e nondimeno combattevano con il medesimo ardore iniziale. Il sangue sul campo era ovunque, e l’afa rendeva irrespirabile l’aria. La ragazza cominciava a chiedersi se quella maledetta battaglia sarebbe mai finita, quando l’anziano cavaliere contro il quale combatteva scagliò un potente incantesimo, cogliendola di sorpresa. La Fenice lo scansò per un soffio, ma si sentì mancare quando, voltandosi, scoprì che quel colpo, diretto a lei, aveva colpito in pieno petto il Principe Kysen, che combatteva a pochi metri da lei, scaraventandolo con violenza a diversi metri di distanza. 

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Capitolo 32
*** Colpo mortale ***


Senza un secondo di esitazione, Alcesti corse verso il Principe, lasciando il suo avversario a bocca aperta. Altri cavalieri erano accorsi e, terrorizzati, si guardavano l’un l’altro in cerca di sostegno. Ares, in lacrime, stava per lanciare la stella rossa. In quel momento, qualcosa scattò nel cervello di Alcesti. Posò una mano sul braccio del Leone e, con una voce tanto calma da sembrare surreale inserita in quel contesto, sussurrò:
- È troppo rischioso spostarlo. Faccio io-.
Così dicendo si avvicinò al corpo del Principe e si inginocchiò. Il cuore non batteva. Lasciando che le lacrime affiorassero dai suoi occhi e corressero sulle sue guance, sporche di polvere e di sangue, la Fenice alzò le braccia e pose le mani sul corpo di Kysen. Il destino si stava prendendo gioco di lei: solo pochi giorni prima aveva desiderato sperimentare la sua magia medica su un essere umano, e ora ne aveva la possibilità. Non poteva fallire, non quella volta. Richiamò a sé tutte le sue energie e liberò una potentissima luce gialla, l’unica speranza per l’erede al trono di Alia.
 
- Non avevo mai visto un Incanto Guaritore tanto potente- sussurrò Yurika a Christopher.
- La magia da sola non può produrre nulla di simile, Yuri…- rispose quello, con un sorriso triste.
Yurika sbarrò gli occhi.
- Ci siamo persi qualcosa?!-
- … a quanto pare…-
Un boato particolarmente vicino riportò i Cavalieri alla realtà della battaglia. Bisognava proteggere Alcesti mentre curava il Comandante.
- Uno scudo! Presto!- chiamò l’Albatros, sopra il frastuono.
Quattro Cavalieri si posizionarono attorno alla Fenice e crearono uno schermo protettivo per riparare lei e Kysen da eventuali attacchi. Di più non potevano fare.
 
Alcesti piangeva mentre le sue mani affrontavano il disperato tentativo di riportare in vita il Principe. Non era giusto che lui si trovasse lì: il colpo era per lei, se non si fosse spostata lui sarebbe stato ancora vivo.
- Non lasciarmi, Ky… non puoi abbandonare Alia, coraggio!- sussurrò, disperata.
Il tempo trascorreva con una lentezza sfiancante, e le energie della ragazza calavano. Kysen non aveva ancora dato segni di vita. I combattenti che si affrontavano attorno a loro sembravano avvolti nell’ovatta: immagini sfocate e prive di suono scorrevano ai margini dello sguardo della ragazza.
Passò altro tempo, altri interminabili minuti, prima che l’occhio attento di Alcesti cogliesse un leggero cambiamento. Un lieve, quasi impercettibile movimento della gabbia toracica. Un respiro. Trattenendo il fiato, cercò nuovamente il battito cardiaco: debole, ma inequivocabilmente presente. Era vivo! Era sulla buona strada, allora!
Ignorando la stanchezza e il dolore alle tempie, Alcesti non permise al suo incantesimo di perdere intensità, nel tentativo, non più così folle, di trasmettere parte delle sue energie a Kysen.
Passò altro tempo, altri interminabili minuti, altri esasperanti secondi, e la pelle del Principe, dal bianco spettrale, era tornata del suo pallore naturale. Ma la ragazza non ce la faceva più. Piccole gocce di sudore avevano preso il posto delle lacrime, e la forza del suo incantesimo stava calando rapidamente.
- Non è abbastanza…- pensò, in preda al panico.
Prima che il suo fisico cedesse definitivamente, raccolse tutte le energie rimastele e le trasformò in una potentissima luce calda, che li avvolse entrambi, per poi concentrarsi in un punto e sparire, assorbita dal corpo del Principe.
Alcesti ebbe appena il tempo di cogliere un movimento nella mano del Principe prima di crollare, priva di sensi.
 
- Ma che diavolo…-
Aprendo gli occhi, Kysen si trovò nel mezzo del campo di battaglia, senza avere la minima idea di cosa fosse successo: stava combattendo contro il comandante nemico, e un attimo dopo il buio totale. E quella cosa sopra di lui, cos’era? Uno scudo? Tentò di alzarsi sui gomiti. Dio, quant’era debole… una fitta allo stomaco gli fece capire di essere stato ferito. Solo dopo essersi alzato a sedere notò Alcesti. Era accasciata al suolo accanto a lui, apparentemente priva di sensi. In preda al panico la esaminò attentamente: era molto pallida, aveva una ferita al fianco, e una molto lieve al collo. Il polso era debole. Uno dei cavalieri dello schermo gli corse incontro. Chris.
- Come ti senti, Kysen?-
- Debole… cos’è successo?-
- Sei stato ferito gravemente. Al ti ha curato, e credo abbia fatto miracoli- abbassò lo sguardo su di lei, preoccupato.
- Si è esaurita, sciocca ragazzina…- sussurrò il Principe. – Prendi il comando dell’esercito, Chris. La porto da Rud-
- Ce la fai?-
- Devo!-
Kysen si alzò e barcollò. L’amico lo sostenne fino a quando ritrovò l’equilibrio e gli pose la ragazza tra le braccia. Il Principe ringraziò l’Albatros con un cenno del capo e, con un po’ di difficoltà, si allontanò in volo.
L’ospedale da campo era stato allestito sotto alle mura della città, a nord. Era piuttosto distante. Kysen pregò di avere le energie necessarie per raggiungerlo.
La piana vista dall’alto era uno spettacolo desolante: c’erano cadaveri e sangue dappertutto, e i soldati che resistevano erano conciati male. Era consolante pensare che le schiere della coalizione erano ormai più magre delle loro.
Le forze cominciavano a mancargli, quando, finalmente, comparve l’accampamento…
 
Frate Rudolph uscì correndo dalla tenda e rimase pietrificato. Il Principe Kysen era inginocchiato a terra, pallido come la morte, e posata al suolo davanti a lui stava una ragazza. L’anziano responsabile dell’ospedale si accovacciò accanto a Kysen.
- Cos’è successo?- domandò.
- Si è esaurita con un Incanto Guaritore- rispose il Principe, senza fiato.
Rudolph chiamò due infermieri e la fece portare via, poi aiutò Kysen a sdraiarsi su una branda.
- Si salverà, Rud?-
- Se non è ancora morta, significa che il suo cuore non smetterà di battere oggi. Ha solo bisogno di tanto riposo-.
Kysen fece appena in tempo a sentire quelle parole prima di sprofondare in un sonno senza sogni.
 
Quando riaprì gli occhi, l’anziano Frate stava ancora armeggiando attorno a lui.
- Quanto ho dormito?-
- Meno di un’ora-.
- La battaglia?-
- Sono arrivati altri feriti, ma sta andando bene-.
Rilassandosi, il Principe domandò:
- Che mi è successo?-
Rudolph sorrise.
- Che domanda curiosa. Vediamo, siete stato colpito da un incantesimo vagante, e quella signorina vi ha praticamente riportato in vita. Non so come abbia fatto, non ho mai visto nulla di simile. Avrebbe dovuto morire ben prima di ottenere questo risultato, e invece non solo ha compiuto un miracolo medico, ma è sopravvissuta per raccontarlo! Quella ragazza ha un dono. È un medico per caso?-
- Ha studiato medicina a Darkfield, ma la magia medica ha iniziato a praticarla non più di dieci giorni fa-.
Rudolph aggrottò la fronte e rifletté per qualche tempo, poi disse:
- La voglio in ospedale-.
- Cosa?!- esclamò Kysen, sbarrando gli occhi. – Ma è un membro della mia squadra, non posso farne a meno!-
- Coraggio, Principe, non ditemi che non vi sentireste più tranquillo sapendola in una corsia d’ospedale piuttosto che su un campo di battaglia… suvvia, guardatevi! Ha ricomposto la vostra ferita in modo assolutamente perfetto! Potete privare la medicina di un simile talento?-
Kysen si fece scuro in volto. Il Frate aveva colpito nel segno.
- Non posso prendere io una simile decisione per lei. Quando si sveglierà, le esporrò la situazione, e farà la sua scelta- concluse.
Il Frate non sembrò soddisfatto della decisione di Kysen, ma non ribatté. Era pur sempre l’erede al trono, per quanto un po’ malconcio… 

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Capitolo 33
*** Un nuovo Capitano ***


Alcesti aprì gli occhi, e lui era lì, al suo fianco. Che fosse stato tutto un terribile incubo? Il pallore ancora più marcato di Kysen e le ombre scure sotto i suoi occhi erano inequivocabili.
- Sei sveglia, finalmente…- sospirò il Principe.
Sbatté gli occhi e si alzò a sedere. Le girava la testa. Quando per la prima volta si guardò attorno con attenzione, riconobbe l’ospedale di Frate Rudolph. Era la stanza riservata ai Cavalieri. Vi erano ricoverate altre tre persone, ma non riusciva a vedere chi a causa delle tende tirate attorno ai giacigli.
- Siamo ancora qui, dunque…- disse.
Kysen sorrise.
- Abbiamo vinto, Al… per il momento si, siamo ancora qui-.
Alcesti fu improvvisamente trafitta dalla consapevolezza che un dramma si era consumato, e sussurrò:
- … Vanessa…-
Il Principe abbassò lo sguardo. La Fenice si sentì soffocare: possibile che il loro fiero Capitano fosse caduto? Una lacrima le scivolo lungo il viso.
- Quanto ho dormito?-
- Due giorni-.
- Quindi le altre persone in questa stanza sono gravi?-
- Sinéad ha qualche frattura, Claude ha preso una brutta botta in testa ma si sta rimettendo, a Siegfried è stata recisa l’arteria femorale. Rud l’ha preso appena in tempo-.
Alcesti tirò un sospiro di sollievo.
- Come stai, Principe?-
- Bene, grazie a te… ma tu sei qui per miracolo. Ricordi cosa ti dissi riguardo al limite da non superare? Tu l’hai fatto ampiamente-.
- Era ben altro il limite che avevi superato tu. Eri praticamente morto, Ky, se non avessi usato tutta la mia energia ti avrei perso per sempre…-
- Sei stata coraggiosa, ragazzina, ma potevi morire anche tu!-
Alcesti lo guardò con un’aria remissiva, che non le si addiceva per niente.
- Che senso avrebbe mai potuto avere la mia vita senza di te? Valeva la pena di rischiare, no?-
Kysen avrebbe voluto mantenere il proposito di rimproverarla, ma dovette cedere e la strinse forte a sé. Era così felice che fosse viva, e di essere vivo a sua volta… dopo tanti anni, calde lacrime tornavano a cadere dai begli occhi di ghiaccio.
- Ky, stai… piangendo?- domandò Alcesti sbalordita.
- Ho avuto così tanta paura… quando ho aperto gli occhi eri lì, priva di conoscenza, e il battito del tuo cuore era così debole… ero sicuro che ti avrei persa, e che avrei convissuto per il resto della mia vita con un corpo che era stato la causa della tua morte…-
- Ti avrebbe ricordato anche che qualcuno teneva tanto a te da dare la sua vita in cambio della tua-.
Alcesti si liberò dalle sue braccia e gli asciugò gli occhi.
- C’è qualcosa che devi dirmi, vero?-
Kysen si domandò come facesse a leggergli sempre nel pensiero.
- Rudolph dice che il tuo incantesimo è stato perfetto, e che non ha mai visto niente di simile per potenza e precisione-.
- Disperazione?- suggerì la ragazza.
- No, Al. Ha ragione: il tuo è un talento naturale. Mi ha pregato di parlarti. Vorrebbe che tu completassi gli studi di medicina e ti occupassi dell’ospedale con lui-.
Alcesti rimase per un attimo a bocca aperta, poi si ricompose e si fece pensierosa, ma a Kysen non era sfuggito il lampo che aveva attraversato i suoi occhi. Dopo un lungo silenzio, durante il quale evidentemente aveva soppesato i pro e i contro di una scelta simile, disse:
- Questo comporterebbe lasciare la squadra…-
- Ne ho già parlato con Rud. Sei un elemento troppo importante, perciò se si dovesse presentare la necessità, saresti reintegrata a pieno titolo. Tutto ciò, naturalmente, comporterebbe riuscire a studiare, lavorare ed allenarti allo stesso tempo-.
- Questo non mi preoccupa-.
- … e troveresti anche il tempo per il tuo Principe?- sussurrò Kysen con lo sguardo basso.
Alcesti sorrise.
- Da quando sono arrivata in questa città sei stato la mia priorità, per un motivo o per un altro. Senza di te tutto questo non sarebbe possibile. Probabilmente sarei ripartita subito per Darkfield, e avrei avuto tutt’altro destino-.
Kysen la guardò di sottecchi.
- Dunque? Accetti?-
- Non lo so, Ky- Alcesti sospirò. – Lasciare l’esercito, perché di questo si tratta, vorrebbe dire non poter più combattere, e sai quanto mi piaccia combattere… d’altra parte, la medicina mi ha sempre affascinata, e l’idea di completare gli studi mi alletta. Mi avete messa in crisi-.
- Al, sai che non sono capace di mentirti, per quanto io ci abbia provato. Desidero ardentemente che tu abbraccia la proposta di Rud. Combatterei molto più sereno sapendoti al sicuro. E poi è una bella possibilità per te, pensaci bene, perché potrebbe non ripresentarsi-.
Alcesti appoggiò la fronte al suo petto. Non era ancora persuasa.
- Sai una cosa, ragazzina? Pensavo a quando hai manifestato il potere della Fenice. Forse l’abbiamo interpretato nel modo sbagliato. Ci siamo focalizzati sulle caratteristiche che potevano essere associate al combattimento, ma forse dovevamo concentrarci su un altro aspetto… le lacrime della Fenice sono miracolose: sono antidoto contro tutti i veleni, e rimarginano le ferite-.
Alcesti lo guardò sorpresa.
- Ricordo…-
- Forse era un’altra la strada che ti indicava…-
La ragazza sorrise.
- Dove posso trovare questo Rudolph?-
 
I funerali di Vanessa coinvolsero tutta la città. Fu allestito un grande corteo, al quale tutti i Cavalieri parteciparono, anche Sinéad, Claude e Siegfried, accompagnati da Frate Rudolph e dalle Suore infermiere. Era il terzo giorno dopo la battaglia, e la vita della città ricominciava lentamente a scorrere, in quella atmosfera insonorizzata, in quella calma surreale che segue sempre uno spargimento di sangue.
La bara fu simbolicamente trasportata dal campo di combattimento, luogo in cui il valoroso Capitano era caduto, alla Cattedrale, dove si celebrò il rito. La luce del sole che filtrava dalle vetrate colorate creava un contrasto macabro con il nero delle vesti dei cittadini riuniti nel luogo sacro. Vanessa fu poi sepolta nel cimitero adiacente.
Per Alcesti, quello, era il primo giorno di libertà. Frate Rudolph non aveva voluto dimetterla prima di quella mattina, nonostante ormai non avesse più bisogno di cure. Nella folla in processione, si sentì prendere la mano. La riconobbe all’istante: era la mano fredda e sottile di Kysen.
- Dovresti essere là davanti con sua Maestà, non qui in mezzo a noi poveri Cavalieri- sussurrò.
- Preferisco stare insieme al mio popolo e a te-.
Alcesti abbassò lo sguardo e arrossì.
- Stai dicendo che vuoi ufficializzare?- domandò.
- Non ce n’è bisogno, temo. Probabilmente lo sa tutta la città-.
Alcesti gli strinse di più la mano. Cosa avrebbe detto suo padre? Se era vero che aveva immaginato una possibile relazione tra sua figlia ed Ares, cosa avrebbe pensato di Kysen, il più schivo dei due Principi, il meno socievole?
 
Finita la cerimonia, era necessaria riunire il Gran Consiglio: il problema riguardava l’elezione del nuovo Capitano, che doveva tenersi il prima possibile, oltre che il parziale ritiro della Fenice. Il sotterraneo, quel giorno, era più freddo del solito. Il posto vuoto al fianco del Comandante pesava come un macigno. I Cavalieri entrarono silenziosamente e si sedettero ai loro posti. Kysen parlo:
- Fratelli e sorelle, mi rendo conto che chiedervi di riunirci oggi è stato crudele, ma ancora più crudele è ciò che sto per chiedervi di fare: bisogna eleggere subito un nuovo capitano-.
I Cavalieri annuirono gravemente, il dolore dipinto sui loro volti. Kysen riprese:
- Prego ognuno di voi di scrivere su un pezzo di pergamena la vostra preferenza. Come sapete, io non voterò, a meno che si presenti un caso di parità: se ciò dovesse avvenire, la decisione spetterà a me-.
I Cavalieri presero le pergamene, ma Alcesti si alzò, sotto gli occhi stupiti di tutti.
- Io… devo comunicarvi il mio parziale ritiro dalla squadra-.
Tutti trattennero il respiro.
- Stai scherzando? Perché?- domandò Christopher.
- Frate Rudolph vorrebbe che mi occupassi dell’ospedale e…-
- … e io l’ho caldamente invitata ad accettare- concluse Kysen.
Gli sguardi si spostarono su di lui, che li sostenne senza un briciolo di vergogna. Era ben consapevole che ognuno in quella sala conosceva la ragione delle sue parole. Riprese:
- Alcesti continuerà ad allenarsi con noi per poter, in caso di necessità, rientrare a pieno regime. Ovviamente, per questo motivo, la Fenice è esclusa dalla rosa del candidati-.
I Cavalieri votarono. L’esclusione della Fenice aveva complicato leggermente le cose, perché alcuni di loro pensavano proprio a lei come Capitano. Infine, senza bisogno di un intervento del Comandante, il Gran Consiglio elesse Yurika, la Libellula. Sapendo che, comunque, nessuno di loro era in grado di sostituire la determinata, instancabile, esperta Farfalla. 

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Capitolo 34
*** Joseph ***


L’ospedale era una grande struttura situata nelle vicinanze della Cattedrale. Era bassa, o forse lo sembrava soltanto perché sovrastata dall’immensa chiesa. Dall’esterno sembrava un semplice cubo bianco, ma all’interno era un vero dedalo di stanze, stanzette, magazzini e laboratori. Gli accordi tra Kysen e Rudolph erano molto semplici: al mattino Alcesti si sarebbe allenata con i cavalieri, al pomeriggio sarebbe stata a disposizione dell’ospedale. Così, quel giorno, la ragazza si presentò nell’ufficio dell’anziano Frate.
- Benvenuta, Alcesti- esordì il vecchio. – Posso farti qualche domanda prima di cominciare? Ho bisogno di capire fino a che punto arriva la tua preparazione-.
Alle prime quattro domande, Alcesti rispose senza problemi. Alle successive due ugualmente rispose, ma le conoscenze che il Frate le chiedeva erano sempre più specifiche, e la ragazza dovette scavare a fondo nella memoria per reperirle. Si bloccò, però, alla settima domanda. Il Frate sorrise comunque soddisfatto.
- Non preoccuparti, ragazza mia, l’ultima era medicina avanzata. Hai superato comunque le più rosee aspettative!-
Non del tutto persuasa che quello fosse un complimento, Alcesti seguì Frate Rudolph fuori dal suo ufficio.
Rimase impressionata dall’architettura dell’ospedale. I soffitti erano sostenuti da archi e volte a botte, i lunghi corridoi si aprivano su stanze ariose e luminose. Alte finestre si stagliavano contro il cielo azzurro. Una ventina di pazienti erano abilmente assistiti dalle suore infermiere e da alcuni frati. Il lungo tour dell’edificio terminò in un ampio magazzino adiacente ad un orto botanico.
- E con questo è tutto!- disse Rudolph con un sospiro.
- È molto grande, Padre- osservò ammirata Alcesti.
- Ogni tanto qualche sorella si smarrisce…- commentò l’uomo sopra pensiero. Poi riprese:
- Io, credo, Alcesti, che le tue attuali conoscenze di medicina ed erboristica possano essere più che sufficienti per questo luogo. Ti renderai presto conto che il miglior modo di imparare è lavorare sul campo. Ogni caso è unico. Ogni paziente ti offre una nuova conoscenza…-
Alcesti lo ascoltava affascinata. Cominciava a convincersi che non si sarebbe pentita della propria scelta.
 
La ragazza passò l’intero pomeriggio col Frate: assisteva alle visite, lo aiutava nella preparazione di medicine e decotti, scriveva resoconti per le cartelle dei pazienti.
Prima di salutarla, Frate Rudolph le chiese:
- Per quale motivo non hai studiato per diventare medico?-
La ragazza ebbe bisogno di riflettere prima di rispondere, ma, alla fine, disse:
- Per prima cosa, perché ho convogliato quasi tutte le mie energie nella ricerca di informazioni su Alia, e poi anche perché, nella mia città, è insolito per una donna occuparsi di medicina… ci sono lavori tradizionalmente considerati maschili…-
- Strano posto, la tua città…- commentò il Frate.
Con un mezzo sorriso, Alcesti lasciò l’ospedale diretta verso il Castello.
 
Le giornate trascorrevano veloci: le mattine, con Maya sul campo, i pomeriggi con Rudolph all’ospedale, e ogni restante secondo con Kysen. Il pessimo carattere del Principe aveva fatto progressi strabilianti in quelle ultime settimane. Si impegnava a comparire un po’ più spesso per le vie della città, e di intrattenersi con i cittadini. Quanto al sorriso… beh, per sfoggiare quello non aveva bisogno di sforzarsi! Alcesti si prodigava in consigli su come risultare un po’ meno antipatico ai suoi futuri sudditi, consigli che iniziavano a fruttare qualche saluto e qualche benedizione.
Corax portava regolarmente notizie dalla mano di Hermione. A Darkfield stavano tutti bene.
Ogni tanto, Alcesti andava a trovare Clodia. A Kellenwood si era ambientata alla perfezione. Tutto sembrava andare bene, e questo cominciava a rendere la Fenice tremendamente inquieta…
 
- Alcesti!-
Frate Rudolph quel giorno era in ritardo. Tipico: caso urgente e capo assente.
- Che gli è successo?!-
Alcesti corse accanto all’uomo che Sam Smith, il falegname, aveva deposto sul lettino di paglia più vicino alla porta. Sembrava moribondo. Quattro tagli profondi gli attraversavano il petto, che sanguinava copiosamente, e un braccio era maciullato. Alcesti pregò di non doverglielo amputare.
- Un animale. Ma non chiedetemi di cosa si tratti, non ho mai visto nulla di simile…-
Mentre Alcesti lo esaminava cautamente, Sam riprese:
- L’ha trovato il taglialegna ai margini di Kellenwood, a nord-.
La ragazza osservò attentamente il paziente e fu percorsa da un brivido. In quel momento entrò correndo Rudolph. Si avvicinò senza dire una sola parola al capezzale e sbiancò.
- Lo… lo conosciamo?- farfugliò.
Sam rispose scuotendo il capo. Alcesti lo congedò ringraziandolo e disse:
- Sapete di cosa si tratta, Padre?-
L’uomo si allontanò dal letto e rispose:
- Tu che ne pensi?-
Alcesti era preoccupata all’idea di esporre la sua assurda teoria, ma il comportamento del Frate non faceva che confermare i suoi sospetti. Così si fece coraggio:
- È stato un licantropo-.
In realtà non sapeva se una simile creatura esistesse davvero, e, ammettendolo, non era scontato che se ne potessero trovare nel territorio di Alia. Frate Rudolph la guardò sorpreso, e annuì.
- Come hai riconosciuto i sintomi?-
La ragazza rimase per un momento frastornata, poi rispose:
- Se devo essere sincera, Padre, a Darkfield circolano molte leggende… le ferite sembra si stiano lentamente rimarginando da sole, ed emanano un odore particolare, diverso da tutti i casi che finora ho esaminato; nonostante il colorito verde e il sangue perso, la pelle di quest’uomo è tutt’altro che fredda; le sue iridi tendono al rosso…-
- In che fase lunare ci troviamo?-
- È terminata luna piena questa notte-.
- Bene. Abbiamo tre settimane per curarlo-.
Si avvicinò al malcapitato.
- Alcesti, cerca di scoprire chi è e dove è stato aggredito. Dobbiamo sapere subito se i lupi stanno allargando i loro confini-.
Si allontanò correndo, lasciandola sola con la convinzione che presto Kysen sarebbe stato lì a intimarle di allontanarsi. Ma il tempo passava senza che nessuno si facesse vivo, e intanto le ferite avevano smesso di sanguinare. Il paziente cominciò a dare i primi segni di vita. Al suo risveglio trovò al suo fianco Alcesti, che cercava di pulirlo dal sangue con un panno umido. Non appena si rese conto che l’uomo era cosciente, la ragazza lo aiutò a bere un bicchiere d’acqua. Aveva perso molto sangue. Intanto, attendeva in silenzio che l’uomo si riavesse completamente.
- Chi… chi siete voi? Sono morto?- farfugliò.
- No, non siete morto. Siete all’ospedale di Alia, ed io sono Alcesti-.
- Come sono arrivato qui?-
- Vi ha trovato un taglialegna-.
Lasciò che il suo cervello elaborasse ed archiviasse le nuove informazioni. Poi continuò:
- So che avete bisogno di riposare, ma devo farvi alcune domande-.
- Ditemi pure-.
- Innanzitutto, qual è il vostro nome? E cosa vi è successo?-
- Mi chiamo Joseph Jackson. Sono stato assalito da… da…-
- … un lupo?-
- Un lupo enorme! All’inizio pensavo fosse un orso!-
- Come avete fatto a sopravvivere?-
- Sen’è andato… dopo avermi azzannato il braccio sen’è andato…-
Strano, pensò Alcesti. Per quel poco che ne sapeva, i lupi mannari non lasciavano testimoni.
- Perché vi trovavate di notte così a nord? Non sapete quanto è pericoloso?-
- Vivo in quella zona, appena fuori dalla foresta. Raccoglievo legna da ardere-.
- Come possiamo contattare la vostra famiglia?-
- Non ho famiglia… sono solo io…-
Dopo aver pronunciato queste parole, i suoi occhi lentamente si chiusero, e Joseph Jackson cadde in un sonno profondo.
 
Alcesti trovò Frate Rudolph sul sagrato della cattedrale con Kysen e Yurika. Si avvicinò. I tre la guardarono. Kysen le strinse una mano: doveva essere davvero preoccupato. La piccola platea accolse le poche informazioni scoperte con inquietudine.
- Che si fa ora?- domandò Yurika.
- Dobbiamo allontanarlo dalla città- sentenziò Kysen.
- Vorrai scherzare! Ha bisogno di cure!- esclamò Alcesti, sconvolta.
Frate Rudolph rimase in silenzio per qualche secondo, poi intervenne:
- Alcesti ha ragione, quell’uomo ha bisogno di noi. Ma prima della prossima luna piena dovrà andarsene-.
Kysen sbuffò. Non era d’accordo, ma sapeva che le decisioni dell’anziano frate non erano contestabili.
 
L’arrivo del misterioso Joseph aveva creato un certo scompiglio in città. Alcuni insistevano perché fosse allontanato subito, altri perché restasse in città al sicuro. L’ospedale aveva il suo bel da fare per evitare la fuga di notizie. Il paziente si era completamente rimesso in meno di due giorni, ma Frate Rudolph insisteva per tenerlo ricoverato ancora qualche giorno. Lo temeva, ma era evidente che ne era incuriosito: non aveva mai avuto la possibilità di studiare un licantropo così da vicino. E Alcesti condivideva questo insano interesse. Ciò che più aveva colpito la ragazza erano gli sbalzi d’umore del paziente. Già tre volte Joseph aveva improvvisamente tentato di azzannare le infermiere, e solo la comparsa di Alcesti era stata capace di calmarlo e riportarlo alla ragione. Era come se, quando la natura ferina aveva il sopravvento, tutti gli esseri umani fossero percepiti come una minaccia. Tutti tranne lei. Chissà perché… forse la chiave stava semplicemente nel fatto che era stata la prima a fornirgli cure mediche, ma qualcosa le sfuggiva.
- Perché non mi attacca, Ky?-
Kysen sollevò per un attimo la testa dal grembo di Alcesti, per poi riposarvela. Il sole splendeva alto e faceva scintillare il mare. La vista dalla collina era fantastica.
- Vuoi proprio che ti uccida, ragazzina?- domandò.
- Certo che no- sussurrò Alcesti, giocherellando coi capelli scuri del Principe – solo che… c’è qualcosa che non quadra…-
- Non deve necessariamente esserci qualcosa in te. Forse non ti ha aggredita per puro caso…- suggerì Kysen.
La ragazza si puntellò sui gomiti, costringendolo ad alzarsi a sedere.
- Io invece credo di si, che ci sia qualcosa in me. Rifletti Ky: da quando sono diventata la Fenice non mi sono più ammalata… non un raffreddore, un’influenza, neppure un mal di testa! Mi hai detto che le lacrime della Fenice possono rimarginare le ferite e sono antidoto a qualunque veleno…-
Kysen la trapassò col suo sguardo di ghiaccio.
- Credi di essere immune a tutto?-
- È possibile?-
Il Principe si fece pensieroso.
- Non lo so, Al. Ogni potere si manifesta in modo differente. Tecnicamente sarebbe possibile, ma non ho nessuna intenzione di avvelenarti per accertarmene…-
- Perché no? Rudolph terrà pronto l’antidoto!-
- Stai scherzando, vero?!-
- No! Come posso sapere fino a dove si spingono i miei poteri?-
Kysen si fece scuro in volto.
- Immagino non ci sia modo di impedirtelo- sussurrò.
Alcesti sorrise.
- Ok,- concluse il Principe – ma solo se Rud è d’accordo-.
 
- Mi sembra un’ottima idea, Alcesti!-
Frate Rudolph era entusiasta: un caso unico tutto per lui.
- Qualcosa di leggero, Rud, vi prego- implorò Kysen.
- Qualcosa di mortale, Rud. Voglio una certezza assoluta- decretò Alcesti.
- Si, bambina, credo che tu abbia ragione- rispose l’anziano Frate.
Kysen gemette.
- Non preoccupatevi, Principe, terrò pronto l’antidoto-.
Il Frate iniettò direttamente in vena il veleno e girò una clessidra. Kysen non staccava gli occhi dalla sabbia che cadeva, mentre Rud continuava a chiedere alla Fenice come si sentisse.
- Bene, sto bene, come prima- rispondeva lei ad ogni domanda.
Una volta caduto l’ultimo granello di sabbia della clessidra, il Frate guardò Kysen soddisfatto e disse:
- Il tempo è scaduto-.
- Che significa?!- domandarono in coro.
- Significa che dovresti essere morta stecchita, Alcesti! Hai ragione: sei immune anche dai veleni più letali-.
 
- Perché hai voluto saperlo?-
Kysen la guardava con espressione seria mentre uscivano dall’ospedale per addentarsi nelle caotiche vie della città in giorno di mercato.
- Tra qualche giorno Joseph lascerà la città, ma non abbiamo risolto il problema: perché i lupi erano così a sud?- rispose Alcesti.
Kysen sospirò.
- Che cosa hai in testa?-
- Voglio andare là-.
Il Principe sbiancò.
- Là dove?! Non a nord spero!- sibilò.
- Esattamente! Pensaci, Ky: devono sapere che Alia li controlla, che non ci è sfuggito il loro tentativo di ampliare il branco (perché non vedo altri motivi per aggredire un essere umano e lasciarlo in vita), e quale migliore ambasciatore di uno immune al loro veleno?-
- Ma non ai loro artigli, alle zanne! Sei impazzita?!-
- Principe ascoltami. Sono un cavaliere, e so difendermi. Inoltre considera le reazioni di Joseph. Certo, è stato infettato da poco, ma se lui non mi attacca, conto che i lupi veri e propri per lo meno esitino!-
- E se non lo facessero?-
- Saprò difendermi- rispose decisa Alcesti.
- Immagino che anche questa volta tu abbia già deciso-.
Kysen si era fermato e guardava verso la foresta. Alcesti gli prese la mano per richiamare la sua attenzione.
- Ti fidi di me, Principe? Starò via poco-.
- Perché mi stai facendo questo?- domandò.
- Per Alia, Ky-.
Il Principe abbassò lo sguardo.
- Va bene. Giurami che tornerai-.
- Tornerò. Ma avrai tempo per ripetermelo. Partirò tra non meno di una settimana-. 

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Capitolo 35
*** I meandri oscuri di Kellenwood ***


Erano le prime luci dell’alba quando Alcesti varcava la radura delle ninfe. Clodia la stava aspettando.
- È successo qualcosa, amica mia?-
- Ho bisogno di te, Clo. Domani parto per Licantropia-.
- E vuoi che venga con te-.
- Conosci Kellenwood e comunichi con la natura-.
- Avverto le altre e arrivo-.
 
Lungo la strada per Alia, Alcesti raccontò a Clodia di Joseph e degli esperimenti col veleno. La ninfa disse di sapere tutto. Il vento le portava molte notizie.
Davanti alle stalle le aspettava il Principe. Salutò Clodia con un cenno del capo e puntò lo sguardo severo su Alcesti.
- Potevi dirmelo- disse dandole una mano per aiutarla a scendere da cavallo.
- Mi avresti lasciata andare?- domandò lei.
- No- rispose secco Kysen.
Quella mattina, le due giovani, Kysen, Yurika e Frate Rudolph si presentarono da Lady Philippa.
- Benvenuta ad Alia, Ninfa. Mi è stato riferito che sei disposta a partire con la Fenice. Spero che tu ti renda conto del pericolo a cui ti esporrai-.
- Si, Maestà. Ma Alcesti ha bisogno di una compagna, e chi meglio di un abitante della foresta?-
- In tal caso, ti ringrazio a nome di tutta la città. Prima della vostra partenza, in qualsiasi momento, ti sarà fornito tutto ciò di cui avrai bisogno-.
Poi si rivolse a Rudolph.
- Dicci tutto, Rud-.
Il vecchio si schiarì la voce:
- È necessario che la Ninfa non venga morsa. Se ciò dovesse succedere, non possiamo prevedere le conseguenze. Attente agli artigli. Sono molto affilati. Tenete gli occhi e le orecchie aperte, perché sono silenziosi, e si muovono nell’ombra. Se doveste rimanere ferite… beh, Alcesti, sai curare quelle ferite. Non ho altro da dire-.
- Grazie, Frate Rudolph. Domattina partirete di buon ora. Farete avere vostre notizie ogni giorno. Se dovessero esserci problemi, rientrerete immediatamente. Buona fortuna-.
 
Il passo morbido dei cavalli segnava il ritmo del cammino. Clodia e Alcesti avevano lasciato Alia da un paio d’ore, e non avevano ancora aperto bocca. Alcesti aveva ancora davanti agli occhi il suo Principe, che la salutava con una carezza piena di apprensione e le sussurrava “giurami che tornerai”. Sapeva che la decisione di partire l’avrebbe fatto soffrire, ma era inevitabile: se qualcuno doveva rischiare, lei era quella che aveva più possibilità di cavarsela. Clodia non avrebbe avuto problemi. Poteva sparire in qualsiasi momento, e comunque Alcesti dubitava che i lupi l’avrebbero attaccata. Infondo era una creatura silvestre, era neutrale…
- Mi dispiace-.
Clodia interruppe le sue riflessioni.
- Per cosa?- domandò la ragazza.
- Per Kysen. Sembrava distrutto-.
- Grazie, Clo…- rispose acida Alcesti.
Ripiombò il silenzio. Erano ormai giunte ai margini di Kellenwood. Doveva essere lì che Joseph era stato aggredito. Fermò Chronos e si guardò attorno, per individuare una sorta di baracca. Si diresse senza riflettere verso il povero rifugio.
- Dove vai?-
Clodia la stava seguendo, preoccupata per la sua strana reazione. Alcesti smontò da cavallo e bussò. Nessuno rispose, così entrò. La baracca era vuota, eccetto per un tavolo, una sedia e un giaciglio di paglia.
- Sen’è andato- commentò tra sé e sé Alcesti.
- Chi?-
- Joseph. È qui che l’anno attaccato.- Scosse la testa, scoraggiata. – È uno di loro ormai…- concluse, con un filo di malinconia nella voce.
Uscita dalla povera abitazione, risalì sul suo cavallo e, senza aspettare la ninfa, si inoltrò nella vegetazione.
- Si può sapere che ti prende?!- Clodia non si era mossa, arrabbiata per il comportamento della compagna di viaggio.
Alcesti si fermò, si voltò e tornò verso di lei.
- Non lo so, Clo. Sono inquieta. Mi viene da piangere pensando a Kysen, e speravo di poter parlare con Joseph prima di raggiungere Licantropia, se non altro per occupare la mente, ma questo non è stato possibile. Pensare che si sia unito a loro mi fa arrabbiare. È una sconfitta personale. Perciò, se sono una pessima compagna di viaggio, perdonami, ma non posso evitarlo-.
Clodia chinò il capo, poi disse semplicemente:
- Ok. Ti lascerò in pace-.
 
Lasciarono i cavalli ai margini della foresta per procedere a piedi. La Fenice sapeva di non avere bisogno di legare Chronos: non si sarebbe allontanato, e in caso di pericolo avrebbe avuto la possibilità di scappare. L’altro cavallo l’avrebbe sicuramente seguito.
La vegetazione del nord non era molto diversa da quella della zona occidentale, eppure aveva un ché di macabro. Forse era la sua immaginazione, pensava Alcesti, ma la luce che filtrava dalle piante era più fredda, più morta.
La Fenice teneva gli occhi aperti, ma non notava alcun movimento sospetto. Gli unici rumori provenivano dalle lontane cime, dove gli uccelli si godevano il sole caldo di luglio. Ma ogni suo passo poteva essere il primo che muoveva nel territorio dei lupi. Frate Rudolph le aveva raccontato che molti anni prima, quando lui era ancora bambino, era giunta derelitta dal mare la prima di quelle creature allora sconosciute. La città la aveva accolta con magnanimità, ma si era resa presto conto dell’errore irrimediabile commesso: l’uomo-lupo era scappato portando con sé dodici vittime. Negli anni, il numero dei licantropi era aumentato, e questo aveva convinto il Re a cercare una negoziazione. Gli accordi erano chiari: Alia avrebbe concesso loro una parte di territorio, ma se avessero sconfinato non avrebbe avuto pietà. Da allora, la parte di Kellenwood sotto la giurisdizione dei lupi era chiamata Licantropia.
Le due ragazze avanzavano silenziose, i nervi tesi allo spasmo, il battito cardiaco ai limiti della fibrillazione. Ogni scricchiolio poteva essere il preludio di un attacco.
- Puoi scomparire, Clo?- domandò improvvisamente Alcesti.
Clodia la guardò con apprensione.
- Perché?-
- Perché non sappiamo come reagiranno alla tua presenza. Ti ho già messa abbastanza in pericolo…-
La ninfa si rilassò e sorrise.
- Posso seguirti sotto forma di brezza, se credi che possa essere meglio. Anche perché, non offenderti, ma temo che da sola non saresti in grado di captare la loro presenza…-
Alcesti sorrise a sua volta, e la ninfa si dissolse. La ragazza la percepiva ugualmente al suo fianco, e questo la rassicurava.
 
Il tempo trascorreva lento e piatto, ogni secondo identico al precedete. Non accadeva nulla. Maya sembrava incandescente contro il fianco della Fenice. Potevano essere passate ore oppure soltanto pochi minuti quando qualcosa mutò: un alito di vento soffiò, al suo orecchio, l’avvertimento della Ninfa. Alcesti ebbe appena il tempo di evocare un incantesimo scudo prima che quattro uomini armati le piombassero addosso. Assistette, protetta dalla cupola lucida, all’abbattersi delle loro lame e dei loro sortilegi contro lo schermo. Rendendosi conto di essere stati anticipati, rimasero per un attimo interdetti, ma pochi secondi dopo stavano già martellando con ogni genere di colpo contro lo scudo. Il numero delle persone attorno ad Alcesti continuava ad aumentare, e la ragazza si stava facendo prendere dal panico. Il suo cervello lavorava a pieno regime per trovare il modo di uscire da quella situazione difficile, sapendo che per contrattaccare avrebbe dovuto sciogliere l’incantesimo che la proteggeva. Non poteva essere abbastanza veloce. Loro erano troppi. Sotto ai colpi pressanti, la cupola si indeboliva sempre di più. Che stupida pensare di poter andare da sola… sarebbe morta lì, nel mezzo della foresta, unicamente per colpa della sua presunzione… cosa avrebbe fatto Kysen quando l’avesse saputo? Non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe retto il suo incantesimo. Proprio quando stava per cedere, una voce si levò più forte delle urla e delle esplosioni. Prima un grido indistinto, poi più chiaro. Qualcuno si stava avvicinando velocemente.
- Fermi!-
Gli attacchi cessarono immediatamente. Alcesti non credette ai propri occhi vedendo arrivare Joseph!
- Fermi!- continuava a ripetere, facendosi largo tra la folla. – È un’amica, non è qui per combattere!-
Quando Joseph fu davanti a lei, Alcesti dissolse la cupola. L’uomo sospirò di sollievo.
- Sei impazzita? Cosa ci fai qui?-
- Non sono impazzita. Sono qui come messaggera. Grazie per il tuo aiuto-.
- Messaggera?!- domandò perplesso.
- Ho bisogno di parlare con il vostro capo-.
Joseph annuì.
- Seguici. Ti portiamo dal Capobranco-.
La ragazza si incamminò con Joseph in testa alla colonna di licantropi riflettendo sull’idea di capobranco. Si sentivano anni luce lontani dagli esseri umani, e quella ne era la prova.
Camminarono in silenzio per diversi minuti, fino a giungere in una sorta di cittadina nel folto del bosco. Piccole abitazioni di legno sorgevano qua e là tra il verde, attorno a una tetra radura. Arrivata al centro dello spiazzo, Alcesti si vide circondare dalla schiera di lupi. Joseph si unì a loro. Sembravano tutti in fremente attesa.
Dopo qualche minuto, la cerchia si aprì per lasciar passare un uomo.  

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Capitolo 36
*** Il Capobranco ***


Dall’aspetto non gli si sarebbero dati più di trentacinque anni, ma Alcesti sospettava ne avesse molti di più. I lunghi capelli castani erano raccolti il una coda, gli occhi scuri scrutavano la ragazza che stava loro di fronte con un velo di malizia.
- Sembra che, questa volta, Cappuccetto Rosso non sia arrivata a casa della nonna…- canticchiò.
- Forse, Cappuccetto Rosso cercava la casa del lupo…- rispose Alcesti, ironica.
Il Capobranco sorrise, mostrando i denti affilati.
- In questo caso, l’ha trovata-.
Si avvicinò, per fermarsi a pochi passi dalla ragazza.
- Quello che mi domando è perché la cercasse…- sussurrò.
- Per consegnare un messaggio. Di Alia- concluse la Fenice.
Gli occhi del Capobranco si ridussero a due fessure.
- Chi sei? Perché la valorosa città che rappresenti ti ha mandata qui sola?- domandò.
- Sono Alcesti, e non c’era bisogno di nessun altro per compiere questa missione-.
I lupi scoppiarono a ridere, ma il loro capo li zittì.
- Credi di essere abbastanza forte da contrastarci, forse?-
Alcesti sbottò in una risata.
- Ti sembro pazza? No, so benissimo di non poter avere la meglio su di voi. Ma so anche che se dovesse accadermi qualcosa qui, in città non ne sarebbero per nulla contenti, perciò… non vuoi conoscere il messaggio che ti porto?-
- Lo so cosa vuole Alia- rispose secco.
Alcesti riprese:
- In tal caso, avete tre possibilità: uccidermi e prepararvi ad accogliere entro una settimana l’esercito; rifiutarvi di tornare nelle vostre terre e prepararvi ad accogliere entro una settimana l’esercito; oppure, scelta più saggia, ritirarvi nei confini stabiliti dal patto e interrompere le scorribande verso sud. Alia non tollererà una nuova aggressione-.
Sulla radura calò il silenzio, interrotto solo da qualche brontolio sinistro. Tutti attendevano la decisione del loro capo, che camminava nervosamente avanti e indietro. Quando si fermò bruscamente, la platea trattenne il respiro.
- Sembra che Alia non abbia considerato una quarta possibilità-.
- Non esiste una quarta possibilità- ribatté Alcesti.
L’uomo sorrise e si avvicinò alla ragazza.
- Esiste, invece. Se, per esempio, tu diventassi una bella lupacchiotta…?-
Alcesti sorrise mostrando una sicurezza che era ben lungi dal provare.
- Questo non è possibile- rispose semplicemente.
I lupi scoppiarono in una risata fragorosa, che il loro capo ignorò. Aveva fiutato guai. L’innaturale sicurezza della ragazza aveva colpito nel segno.
- Che vuoi dire?-
- Sono immune al vostro veleno. Per questo sono venuta solo io. Non potreste trasformarmi nemmeno se fossi io stessa a supplicarvi-.
L’uomo si rabbuiò per un secondo, poi i suoi lineamenti si distesero. Sorrise maliziosamente.
- È un vero peccato-.
Fece un giro attorno alla ragazza camminando lentamente. Quando le fu nuovamente davanti, le scostò i capelli e accostò il naso al suo collo.
- Che buon profumo…-
Alcesti si irrigidì. L’uomo fece un passo indietro.
- Sai, noi siamo in parte lupi, ma in parte anche uomini…-
In quel momento, un ululato si alzò dalla schiera. Joseph. Il Capobranco sembrò ascoltare con preoccupazione il suono sinistro, poi disse tra sé e sé:
- Questo complica notevolmente le cose-.
Poi, rivolto ad Alcesti:
- Sei pessimista se pensi che Alia impiegherebbe addirittura una settimana ad arrivare qui. Se dovesse succederti qualcosa, domattina di buon ora il Principe sarebbe qui con l’intero esercito! Cosa aspettavi a dirmi che stai col grande capo?! Dai, seguimi!-
Si voltò e, aprendosi un varco tra la folla, si diresse verso una capanna più grande delle altre. Aprì la porta, fece entrare l’ospite e la richiuse. Si sedette su una sedia e le fece cenno di fare altrettanto.
- Sono Vincent. Sono il Capobranco- si presentò.
- Sei tu il primo licantropo ad essere giunto qui per mare moltissimi anni fa, vero?-
- Si- si limitò a rispondere Vincent.
Dopo un lungo silenzio, domandò:
- Non abbiamo possibilità, vero? Alia ci attaccherebbe davvero?-
- Senza dubbio. Lady Philippa non è una donna indulgente-.
L’uomo sospirò.
- Questi confini, ormai, ci stanno stretti. I miei compagni vogliono vedere il sole-.
- La zona a est è disabitata… il patto vi limata anche in orizzontale?-
- Si, il patto prevede una limitazione su tutti e quattro i fronti. Trasgrediremmo ugualmente e, scusa la brutalità, ma a sud c’è più cibo-.
Alcesti rifletté qualche minuto, poi disse:
- Se ottenessi un’espansione verso est, mettereste fine alle scorribande a sud?-
- Può darsi- sussurrò Vincent.
- Può darsi non mi basta! Io posso tentare di ottenere qualcosa per voi, ma pretendo lealtà. Se non rispetterai l’accordo tornerò personalmente alla guida dell’esercito!- esclamò.
- D’accordo, d’accordo, non scaldarti. Si, ti garantisco che rispetterò l’accordo, se riuscirai a guadagnare un corridoio per l’oceano-.
Alcesti annuì, chiedendosi come fare a spiegare il problema a Kysen.
- Fermati con noi qualche giorno! Ho fatto preparare una capanna per te!-
- Di già?- domandò stupita la ragazza.
- Mi piacciono le prede che hanno carattere!-
 
Quando fu sola nella sua casetta di legno costruita in tempo record, Alcesti sfoderò carta e penna. Doveva spiegare a Kysen la situazione. Sapeva già che il Principe non avrebbe condiviso le sue impressioni. Ma qualcosa si doveva pur fare. Dopo quasi un secolo di oscurità, desiderare la luce del sole le sembrava un desiderio per lo meno legittimo. Affidò a Corax il resoconto del suo viaggio e del suo colloquio con Vincent, sperando in una risposta celere. E così fu. Prima di notte ricevette il secco no del Principe alla richiesta e l’ordine di rientrare immediatamente. Pur sapendo che Kysen si sarebbe infuriato, ignorò l’ordine.
 
Il giorno seguente, Vincent mostrò ad Alcesti Licantropia. La comunità era formata da una settantina di uomini-lupo, che necessitavano di una quantità considerevole di cibo. Cibo che iniziava a scarseggiare. All’interno della comunità non vi era gerarchia: l’unico elemento ad essere considerato superiore per rango era Vincent, che era stato il fondatore. La loro piccola cittadina verde era molto diversa da una città umana. Prima di tutto non esistevano ospedali perché i licantropi erano molto resistenti, quindi non contraevano malattie, e le loro ferite si rimarginavano da sé. Poi non vi erano scuole perché non potevano avere figli (o cuccioli, a seconda del punto di vista). Non c’erano luoghi di culto, perché non avevano Dei. L’umidità era una vera condanna: nel folto della foresta accendere un fuoco era pericoloso, perciò non vi era rimedio.
Vincent sembrava molto ben informato sugli avvenimenti degli ultimi anni in città. Probabilmente ogni recluta metteva a disposizione del branco le sue conoscenze. Sapeva dell’ordinazione di un nuovo cavaliere e della morte del Capitano della Guardia.
- Sei davvero immune?- domando improvvisamente alla ragazza.
- Certo! Credevi l’avessi detto solamente per prendere tempo?-
- Beh, sinceramente si…-
Alcesti sbuffò. Odiava non essere persa sul serio.
- … comunque questo spiegherebbe tutto- aggiunse Vincent sopra pensiero.
La ragazza lo guardò in attesa che proseguisse, ma quando fu chiaro che non avrebbe terminato spontaneamente la frase, chiese:
- Tutto cosa?-
Il Capobranco la guardò di sottecchi.
- Non abbiamo l’impulso di attaccarti. Sei stata assalita quando hai varcato i nostri confini perché questi erano gli ordini, ma non per istinto. Sembra che a contatto con te la natura umana abbia il sopravvento su quella ferina. È possibile che la spiegazione stia nella tua immunità. Forse se non ti possiamo infettare non ti percepiamo come preda…-
- Forse- sussurrò Alcesti, che iniziava a capire. – Ma ho un’altra teoria. Quando sono diventata cavaliere, ho manifestato i poteri della Fenice. È un animale magico, si racconta che le sue lacrime curino ogni male. Per questo sono immune ai veleni. Credo che, in qualche modo, la mia vicinanza inibisca il veleno che scorre nelle vostre vene… per questo vi sentite più umani. È successo anche con Joseph quando l’avete attaccato. A quanto pare, però, è un effetto temporaneo…-
Vincent annuì.
- Si, credo che tu possa avere ragione. Dovremmo tenerti qui!- concluse con un sorriso.
 
Appena rientrata nella sua capanna, Alcesti scrisse nuovamente a Kysen. Gli spiegò la sua teoria e come l’aveva elaborata, descrisse il territorio di Licantropia e raccontò com’era la vita dei suoi abitanti. Tentò di fargli capire che il Capobranco era disposto a sacrificare l’intero suo popolo per raggiungere il suo obiettivo. E questo avrebbe assottigliato le schiere dell’esercito di Alia. Purtroppo, su questo non c’erano dubbi.
            “Non c’è proprio altra soluzione?”
In poche parole il Principe aveva saputo esprimere chiaramente tutti i suoi dubbi e le sue preoccupazioni. Alcesti capiva: era oltremodo rischioso aprire un era di concessioni. Ma sapeva che un’altra soluzione questa volta non c’era.
            “La guerra” rispose semplicemente.
Poche ore dopo, Corax le recapitò due copie di un contratto di cessione avente a oggetto una fascia di due chilometri di larghezza che portava direttamente all’oceano. In cambio, si pretendeva rispetto assoluto dei confini. Pena la guerra.
Alcesti portò il contratto, firmato dalla Regina, a Vincent, che lo controfirmò senza esitazione.
- Attenti a come vi comportate, adesso. È stata dura ottenere questo accordo. Se non lo rispetterete, la mia vendetta sarà tremenda…- ammonì la ragazza.
- Puoi stare tranquilla. Conviene più a noi che a voi rispettarlo- la rassicurò il Capobranco.
 
La mattina seguente, i lupi accompagnarono Alcesti fino al confine di Licantropia. Salutò Joseph con un po’ di malinconia. Chissà se l’avrebbe più rivisto…
- Grazie, amico mio. Mi hai salvato la vita un paio di volte negli ultimi giorni…-
- Diciamo che siamo pari- rispose con un sorriso il lupo.
Avvicinandosi per salutare la sua ospite, Vincent domandò:
- Sicura di non volerti fermare qui?-
- Sicura-
- Mi rimpiangerai…-
- Speriamo di no, Vincent! Grazie per l’ospitalità…-
- Grazie a te per l’accordo!-
Con un sorriso, Alcesti si congedò per varcare il confine diretta verso casa.
 
- È andata meglio delle più rosee aspettative, mi sembra!-
Clodia era ricomparsa al suo fianco pochi minuti dopo, quando era sicura di non essere più visibile. Il viaggio sembrava più piacevole al ritorno. Ritrovarono i loro cavalli esattamente dove li avevano lasciati e lanciarono un’ultima occhiata alla capanna solitaria ai margini di Kellenwood. In poche ore, varcavano le mura di Alia.
I Cavalieri le attendevano nel cortile delle stalle. Dopo quel soggiorno in un mondo surreale, dopo il freddo e l’umido della foresta, dopo la paura di morire, ritrovare l’abbraccio di Kysen sembrava un sogno. Uno dei più belli. 

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Capitolo 37
*** Il crollo di Darkfield ***


Una mattina grigia di novembre, la cornacchia di Alcesti le recapitò una lettera proveniente da Darkfield.
            “Cara Al,
siamo nei guai. Entro pochi giorni, i druidi saranno alle porte della città, e quando questo succederà non ci sarà più nulla da fare. Il Re non è stato in grado di organizzare la resistenza. Gli uomini in arme sono troppo vecchi e i giovani hanno smesso di combattere. Dobbiamo lasciare immediatamente Darkfield. Nostra madre non riesce a viaggiare velocemente, perciò sarà molto difficile muoversi senza dare nell’occhio. Abbiamo bisogno di incontrarti, sorellina, sei l’unica che può indicarci un posto sicuro dove portare mamma ed Elettra. In una settimana, se tutto va bene, dovremmo essere a Meritown. Ti aspetteremo là. Spero tu possa raggiungerci. So che ti stiamo mettendo in difficoltà, ma solo tu puoi aiutarci. Prega per noi. Un abbraccio,
Antigone”.
Sconvolta, Alcesti lasciò cadere la lettera e uscì correndo dalla sua stanza diretta al campo di allenamento, dove sapeva avrebbe trovato Kysen. Non sapeva cosa gli avrebbe detto, ma sperava che vederlo l’avrebbe in qualche modo calmata.
Il Principe, vedendola correre a perdifiato, pallida come la morte, verso di lui, gettò a terra arco e frecce e le corse incontro.
- Cos’è successo?- chiese.
La ragazza scoppiò a piangere. Per cercare di tranquillizzarla, Kysen la abbracciò. In cortile tutti li fissavano, così, Alcesti lo prese per un braccio e lo trascinò al riparo da occhi indiscreti. Poi si asciugò gli occhi con una manica, sospirò e disse:
- Devo partire subito…-
Kysen sbiancò. Riprese:
- Darkfield sarà presto sotto assedio, e non vi rimarrà a lungo. La città cadrà sicuramente. Le mie sorelle sono in viaggio con mia madre e tra una settimana mi aspettano a Meritown. Sempre che riescano a oltrepassare la foresta…-
Kysen pensava: doveva partire immediatamente, aveva ragione. E doveva spingere il cavallo al massimo. Sarebbe stato difficile, specie in quella stagione. Ma lo sarebbe stato anche di più per la sua famiglia. Quattro donne, sole, una delle quali anziana, sarebbero state un bersaglio troppo allettante, e la foresta non era certo un ambiente ospitale…
- Vieni, parliamo con la Regina-.
La prese per una mano e la trascinò nell’ala del palazzo riservata a Sua Maestà. In qualità di Principe, Kysen riuscì ad ottenere subito udienza.
Alcesti era troppo sconvolta per poter riferire l’accaduto, così fu lui a esporre la situazione a Lady Philippa. Questa rifletté un poco, poi disse:
- Naturalmente, acconsento alla tua partenza, Alcesti, ma sarà un viaggio molto impegnativo. Non puoi andare da sola, dovrai trovare qualcuno che ti aiuti…-
Kysen si schiarì la voce.
- Permettete, Madre, credevo fosse implicito che avrei accompagnato io Alcesti-.
La ragazza non sapeva cosa dire. Il Principe le stava facendo il regalo più bello che potesse immaginare. Tentò di sorridergli e sillabò un “grazie”. La Regina però sembrava preoccupata.
- Sarà pericoloso, figlio, e tu sei l’erede al trono. Se dovesse accaderti qualcosa…-
- … Ares sarà pronto a succedermi-.
Lo sguardo determinato del Principe non ammetteva repliche: Lady Philippa dovette cedere. Le risultava difficile pensare a suo figlio come ad un uomo perfettamente in grado di badare a sé stesso. Sospirò.
- E sia: che Dio sia con voi, figli miei. Porta pure qui la tua famiglia, Alcesti. Sarà per Alia un dovere e un piacere ospitarla-.
- Grazie Maestà-.
Alcesti si inchinò e uscì barcollando dalla stanza. Kysen fu trattenuto da un cenno della Regina.
- Perché vuoi mettere a repentaglio la tua vita? Hai sempre odiato lasciare la città. Che tipo di sortilegio ha utilizzato quella ragazza per annientare a tal punto il tuo ego?-
Kysen era consapevole delle preoccupazioni che arrecava a sua madre. Negli ultimi mesi aveva cancellato i precedenti sei anni della sua vita, nei quali era stato poco più che uno spettro. Era logico che la Regina fosse perplessa.
- Avete ragione, Madre. Ma siete stata voi che, indirettamente, mi avete fatto questo…- le sorrise e si avvicinò – io avevo cercato di evitarla, ma voi mi avete obbligato a partire con lei… e ora che la amo non la lascerò sola in un momento così difficile-.
Lei non sembrò sorpresa dalle parole del figlio. D’altra parte era stata proprio lei a spronarlo a fermarla quando Alcesti aveva deciso di lasciare Alia. Era ovvio: lei lo sapeva, era di suo figlio che si stava parlando, e una madre queste cose le capisce.
- Vedete, Madre, se dovesse succederle qualcosa… Madre, non voglio il Trono se lei non può essere la mia Regina…-
Lady Philippa sorrise.
- Sei diventato un uomo, ormai, e hai detto parole molto belle… ti auguro buona fortuna bambino mio- gli diede un bacio sulla fronte.
- Vai ora. Il tempo stringe-.
Kysen si voltò e corse via.
 
In capo a poche ore lasciarono la città. Alcesti era nervosa e, come spesso faceva, aveva trasmesso il suo stato d’animo al Principe, che si sentiva incapace di alleviare la sofferenza della ragazza. Chronos e Fog erano lanciati a tutta velocità nella foschia tardo autunnale, i loro padroni avvolti in mantelli pesanti per cercare di proteggersi dal gelo, quel gelo che afferrava le ossa di Alcesti, e che veniva da dentro, dalla consapevolezza che avrebbe potuto non rivedere la sua famiglia e che la sua amata città stava cadendo. Quella città per la quale i suoi antenati avevano versato il loro sangue, per la quale suo padre le aveva lasciate ed era partito… Che ne sarebbe stato delle meravigliose biblioteche che per secoli avevano criptato tutte le informazioni su Alia? Che ne sarebbe stato dei suoi amici d’infanzia, delle donne che per ventun’anni aveva incontrato in Chiesa tutte le domeniche? Dei monaci? Che ne sarebbe stato della tomba di Re Uther? E la bella torre nera del palazzo reale, quella in cui ogni bambina sognava un giorno di poter abitare?
Tutto questo sarebbe scomparso… i suoi luoghi, i suoi ricordi… quando era partita, aveva gettato un’ultima occhiata alla sua Darkfield, terrorizzata dall’idea di non vederla mai più, ma non immaginava certo questo tipo di finale. Da quel momento, Alia era la sua unica casa. Alia, così diversa, così luminosa, il suo marmo bianco, la sua vena pulsante di magia… Kysen… Possibile che il suo destino fosse un vicolo cieco?
Per i cavalli, il viaggio era estremamente difficile. Il terreno era congelato e gli zoccoli non facevano presa. A intervalli regolari dovevano riposare: non si poteva correre il rischio che si affaticassero troppo o, peggio, si ferissero. Alcesti si sentiva tremendamente in colpa. Aveva lasciato la sua famiglia, che ora era in difficoltà, aveva sconvolto gli equilibri di Alia con i suoi problemi, stava rischiando la vita dell’erede al trono, e da ultimo stava facendo soffrire Chronos, il suo più fedele amico. L’angoscia cresceva inesorabile nel suo cuore. Angoscia che il Principe percepiva.
Mentre la ragazza sussurrava scuse all’orecchio del cavallo, Kysen le si avvicinò e le posò le mani sui fianchi. Lei si voltò. Era pallida e ghiacciata. Gli posò la fronte sul petto. Lui la abbracciò e, per quanto poco sapeva sarebbe contato, le sussurrò:
- Andrà tutto bene…-
Lei inspirò forte col naso e, dopo qualche secondo, rispose:
- Dobbiamo ripartire-.
Si liberò dall’abbraccio e rimontò a cavallo. Era infinitamente grata a Kysen per la sua pazienza e il suo amore, ma non voleva cedere di nuovo alle lacrime, non voleva più mostrarsi debole.
Il Principe la capiva perfettamente, e le lasciava i suoi spazi. Cavalcare lo faceva sentire meglio, l’aria fredda e la velocità erano la miglior cura al suo nervosismo, e sperava che aiutassero anche Alcesti. Era impressionante il contrasto che Kysen avvertiva attraversando le stesse cittadine e gli stessi campi che quell’estate l’avevano visto alla ricerca di Yurika con una compagna tanto sgradita quanto agognata… gli sembrava di cavalcare nei suoi ricordi improvvisamente congelati e privati del loro colore e calore dal ghiaccio. Le stesse piazze che allora avevano attirato le loro occhiate incuriosite ora sfilavano veloci intorno a loro senza essere degnate di uno sguardo, il profilo delle stesse colline che tanto li aveva incantati allora era come invisibile, nascosto dalla nebbia del panico. Sembrava di vivere in un incubo…
 
Al termine della prima giornata di viaggio, l’umore di Alcesti era decisamente basso. Per di più, sotto sera aveva iniziato a nevicare e, una volta trovata una locanda, risultava difficile persino bere una tazza di brodo caldo, tanto erano congelati. I loro cavalli erano provati: per quanto ben coperti, rischiavano di restare uccisi dal sudore che si gelava loro addosso, per non parlare della difficoltà del galoppare nel nevischio.
Finalmente nella loro stanza, Alcesti si tolse il mantello di lana fradicio e si gettò sul letto. Kysen le si sedette accanto e le accarezzo i capelli. Lei sospirò e disse:
- Saranno nella foresta ormai…- e si girò su un fianco dando le spalle al principe. Questo si coricò accanto alla ragazza, che incautamente gli offriva il collo bianco, dandogli un brivido. Avevano sofferto troppo freddo per quel giorno. La abbracciò.
- È inutile arrovellarsi. Tutto quello che possiamo fare è pregare- la strinse e le baciò il collo.
Lei rabbrividì e, accoccolandosi tra le braccia del Principe, si lasciò prendere dal sonno, ignara che la notte che l’aspettava sarebbe stata terribile e piena di incubi…
 
Al suo risveglio, la mattina seguente, aveva per lo meno smesso di nevicare. Kysen dormiva ancora. Sembrava un angelo: il suo pallore era quasi ultraterreno. Alcesti gli diede un bacio sulla fronte e lui si svegliò. Fissò i suoi occhi glaciali su di lei. Dopo tutto quel tempo non avevano ancora smesso di darle i brividi… ma nonostante ciò, la ragazza aveva imparato a distinguere quando esprimevano ira e quando affetto.
- Piangevi stanotte- sussurrò il Principe.
- Mi dispiace di averti tenuto sveglio-.
Kysen si stiracchiò.
- Nevica ancora?- domandò.
Alcesti scosse la testa.
- Bene! La fortuna inizia a girare!-
Si alzarono e dopo un’abbondante colazione ripresero la loro marcia nel gelo.
 
Il gelo continuava ad attanagliarli mentre i chilometri scorrevano veloci sotto agli zoccoli dei loro cavalli affaticati. Alcesti sentiva il tempo scorrere troppo velocemente. Si domandava chi fosse quel pazzo che aveva organizzato un assedio in pieno inverno. Kysen era silenzioso, ma non sembrava fosse scocciato per il malumore della ragazza, semplicemente era completamente perso nei suoi pensieri. Il Principe insistette perché a pranzo si fermassero in un’osteria. Si sarebbero scaldati un po’ e i cavalli avrebbero riposato. Alcesti non era d’accordo. Il senso di nausea che l’aveva presa leggendo la lettera di Antigone non l’aveva ancora lasciata, e l’ultima cosa che desiderava era perdere del tempo prezioso obbligandosi a mangiare, per poi stare anche peggio. Ma dovette cedere.
Rinfrancati dal calore della minestra di verdure davanti a loro, tentarono di riordinare le idee: con lo stomaco pieno risultava più facile essere razionali. Kysen riuscì a persuadere la sua compagna del fatto che fosse inutile correre tanto, se l’appuntamento restava comunque a Meritown. Se anche fossero arrivati prima, non avrebbero potuto andare incontro a Lady Ingrid e figlie, e se poi fossero arrivati in ritardo, le donne sarebbero state già al sicuro in qualche locanda del paese. Il destino della famiglia di Alcesti, non era nelle loro mani. Convinta la ragazza di questo, il tremendo senso di colpa per averle abbandonate si affievolì un poco. Tutto ciò che ora si poteva fare era pregare per loro.
Kysen era contento di essere riuscito a risvegliare l’indole fatalista di Alcesti, generalmente così forte. Infondo, le possibilità che la sua famiglia si salvasse non erano così basse…
 
I quattro giorni trascorsero in fretta, e la mattina in cui varcarono le mura di Meritown splendeva un sole freddo e pallido nel cielo di novembre. Alcesti non aveva pensato al fatto che sua sorella non le avesse dato appuntamento in un luogo preciso, ma la cittadina era piccola e non sarebbe stato difficile chiedere informazioni nelle uniche due locande. Ovviamente, non erano ancora arrivate. I due si portarono sul crocicchio che diversi mesi prima aveva visto Alcesti e Chronos attendere con impazienza la ninfa Clodia. E l’impazienza dominava ogni altra sensazione anche in quel momento, accompagnata dal montare del panico. Aggrappandosi ferocemente alla speranza che il ritardo delle donne non dipendesse dalla loro salute, attesero. Attesero tutta la giornata, e tutto il giorno seguente. Alcesti era impressionata dalla pazienza che Kysen dimostrava di possedere: in mezzo al gelo, ore e ore, a combattere una battaglia che lo riguardava solo indirettamente, a pregare per una famiglia che non conosceva e che non aveva nulla a che vedere con lui. Lady Philippa aveva ragione, l’erede al trono non avrebbe dovuto rischiare tanto.
- Non mi pento di averti accompagnata- disse, anticipandola.
Alcesti lo guardò con sorpresa. Il principe adorava quell’espressione: sbarrava i grandi occhi scuri come una bambina. Ormai era diventato piuttosto bravo a decifrare le sue espressioni, tanto che più di una volta lei si era arrabbiata, convinta che sapesse leggerle nel pensiero! Come se fosse stato possibile.
- Cosa racconterei alla Regina se dovesse succederti qualcosa?-
- Cosa potrebbe succedermi?-
Kysen la guardò, attendendo una risposta che non venne mai.
 
Quella sera, Alcesti non toccò cibo. Salita nella loro stanza, si coricò e si addormentò, ancora avvolta nel suo mantello.
Kysen sapeva che avevano poche ore a disposizione per dormire, ma avrebbe fatto qualunque cosa pur di non cedere alla stanchezza. Quella poteva essere l’ultima notte che passava con Alcesti. Non avrebbe mai potuto sprecarla dormendo… doveva fare indigestione della vista di quell’angelo addormentato per poter sopravvivere nel suo letto freddo e solitario una volta tornati ad Alia. Chissà come doveva sentirsi. Aveva già perso suo padre, il resto della sua famiglia sarebbe stato davvero troppo. 

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Capitolo 38
*** Un sospiro di sollievo ***


Era mattina presto quando quattro figure a cavallo comparvero dalla nebbia. Alcesti era sulla strada già da diverso tempo e cominciava nuovamente a farsi prendere dal panico, perciò, non appena intravide la sagoma del gruppo affiorare dalle nebulosità lattee, fece un salto. Il battito del suo cuore accelerò spaventosamente riconoscendo Lady Ingrid, in testa. La sua mente si svuotò completamente e il macigno che le chiudeva la bocca dello stomaco si dissolse tanto velocemente da lasciarle sentire il vuoto e darle le vertigini. Spronò Chronos e corse loro incontro, seguita a poca distanza dal compagno.
- Figlia mia, sei tu?-
Alcesti smontò da cavallo e corse ad aiutare sua madre a fare altrettanto.
- Non mi riconoscete, madre?- domandò la ragazza, soffocando le lacrime, con un finto broncio.
Abbracciò forte sua madre, come a convincersi di non sognare. La dama le diede un bacio sulla fronte e lasciò la figlia maggiore in balia delle sorelle, che le saltarono letteralmente addosso. Percorreva con ansia i loro volti alla ricerca di qualche segno della loro permanenza nella foresta, ma non ve n’erano. Le gemelle non erano cambiate di una virgola in quei mesi, Elettra era cresciuta in altezza. Lady Ingrid, invece, era invecchiata molto. Liberandosi dalla morsa del loro abbraccio, Alcesti indietreggiò di un passo, permettendo a Kysen di avvicinarsi. Sorrise incoraggiante al Principe, orgogliosa di poterlo presentare alla sua famiglia. Con un teatrale gesto del braccio, disse:
- Il Principe Kysen, erede al trono-.
Kysen fece un passo avanti e si inchinò, in risposta agli inchini delle donne, che lo guardavano di sottecchi con ammirazione. Alcesti proseguì, accompagnando con lo sguardo le sue parole:
- Lady Ingrid, Antigone, Hermione ed Elettra… che non sta bene…- aggiunse rabbuiandosi.
Si inginocchiò, con un’improvvisa morsa di paura, davanti alla sorellina, la guardò negli occhi, le toccò la fronte e sentenziò:
- Hai la febbre, Elli…-
Hermione sussurrò:
- Deve essere la ferita-
- Quale ferita?!- esclamò Alcesti.
- È scivolata su una roccia e si è ferita un ginocchio. Non avevamo nulla per pulire il taglio e ha fatto infezione- spiegò Lady Ingrid.
- Venite. Alla locanda le darò un’occhiata-.
 
Le quattro donne varcarono la porta della stanza che Kysen ed Alcesti avevano già pagato per loro. Il Principe se ne stava fermo sulla porta. Sembrava indeciso.
- Entrate pure, giovanotto. Se mia figlia vi ha portato con sé, significa che siete degno di fiducia- disse la Dama.
Kysen chinò il capo in segno di ringraziamento, anche se Alcesti sospettava stesse celando un sorrisetto divertito, e chiuse la porta alle sue spalle.
Alcesti fece sedere Elettra sul letto e si sedette davanti a lei sul pavimento. Kysen era curioso di vedere il medico all’opera.
Alzò il vestito della sorellina fino al ginocchio. Una ferita non molto profonda ma infetta spiccava sulla pelle bianca.
- Ahi ahi- sussurrò Alcesti.
Allungò una mano in direzione di Kysen, che portava la sua borsa medica. Senza dire una parola lui le mise il flacone del disinfettante in mano.
- Brucerà un po’- disse versando il contenuto sulla ferita.
Elettra si morsicò il labbro inferiore per non gemere. Kysen sorrise. Era esattamente ciò che avrebbe fatto sua sorella maggiore. Finito di disinfettare, Alcesti sospirò, si voltò e guardò il Principe negli occhi.
- Mi autorizzi?-
Kysen sbarrò gli occhi di ghiaccio.
- Qui?! Ora?!- sibilò.
- È una brutta ferita, Ky, ci impiegherà giorni a rimarginarsi con la normale medicina… e dobbiamo allontanarci il prima possibile-.
Kysen rifletté a lungo, tenendo la ragazza col fiato sospeso, infine disse:
- Va bene, ma prima sigilliamo bene gli scuri. Voglio l’assoluta certezza che nessuno noti nulla-.
Alcesti lo seguì con lo guardo mentre, creato il buio più totale, illuminava la stanza con un globo magico, strappando un gridolino alla Dama e facendo spalancare la bocca alle sue figlie. A quel punto, Alcesti posò delicatamente il palmo della mano sul ginocchio della sorellina, dal quale si sprigionò una luce gialla e calda. Quando, solamente pochi minuti dopo, la ragazza levò la mano, la ferita infetta era scomparsa. Le donne trattennero il fiato.
- Come è possibile?- sussurrò la madre.
Alcesti sorrise.
- Verrà il momento delle spiegazioni, Madre. Ora vi consiglio di riposare. La febbre impiegherà qualche ora ad andarsene del tutto, e sarebbe opportuno ripartire dopo pranzo-.
Uscendo dalla stanza. Alcesti e Kysen furono seguiti dalle gemelle, che chiusero la porta alle loro spalle.
- Voi dove pensate di andare?!- domandò sospettosa la sorella maggiore.
- Di sicuro non a dormire! Dopo tutti questi mesi avrai un’infinità di cose da raccontarci!- esclamò Hermione lanciando un’occhiata a Kysen.
Alcesti arrossì e farfugliò:
- Allora vi offro la colazione-.
La sala da pranzo della locanda stava iniziando a popolarsi. Presero posto ad un tavolino un po’ in disparte, Alcesti e il Principe da un lato, le ragazze dall’altro.
- Finalmente ci conosciamo, Signore- esordì Hermione.
Alcesti lanciò un’occhiataccia alla sorellina che, divertita dal suo imbarazzo e dallo sguardo sospettoso del Principe, continuò:
- Se nostra sorella si è allontanata per così tanti mesi a causa vostra credo che potremo perdonarla…-
Kysen ringraziò con un cenno del capo e guardò la sua compagna, con la sua peculiare espressione di sorpresa sul viso.
- Grazie sorellina…- disse mesta Alcesti – ho fatto bene a contare sulla tua discrezione…-
Le ragazze ridacchiarono.
- Da quando sei diventata timida?- domandò, fingendosi stupita, Antigone.
- Non sono timida, ma riservata. Ma cambiamo discorso… chi è il pazzo che ha organizzato una campagna militare in pieno inverno?-
Le gemelle si guardarono mentre l’oste prendeva le ordinazioni. Quando questo si fu allontanato, fu Antigone a prendere la parola. Era la più riflessiva e concreta delle due ragazze, e queste caratteristiche si specchiavano nella sua voce bassa e melodiosa.
- Lo stesso pazzo che ci tormenta da generazioni… il capo dei Druidi ha raccolto un esercito considerevole, e l’ha addestrato a muoversi nel gelo. Da anni organizzava questa guerra, ma ci ha colti totalmente alla sprovvista. Considerando che il Re ha abolito la leva obbligatoria cinque anni fa, potete immaginare quanto si sia alzata l’età media delle file del nostro esercito…-
- Quanti soldati sono rimasti?- domandò Alcesti.
- Cinquecento-
- Solo cinquecento?!-
- Già, e sotto i trent’anni sono meno di un centinaio…-
Alcesti sospirò.
- Quell’uomo è un idiota, l’ho sempre detto-.
Kysen la guardò sorpreso.
- I sudditi parlano così dei loro sovrani?!-
- Solo se ne danno loro motivo…- rispose sovrappensiero Alcesti mentre l’oste depositava sul tavolo la loro ordinazione.
- Siete le uniche ad aver lasciato la città?- domandò, riavendosi.
- Temo di si. La notizia dell’attacco è stata taciuta il più a lungo possibile. È stato Sir Thomas ad avvertirci-.
- Povero cugino- sussurrò Alcesti, e si prese la testa tra le mani.
- Moriranno tutti- concluse mesta.
Le gemelle annuirono.
- Aspettate, aiutatemi a capire. Perché siete certe che moriranno tutti? Chi sono questi uomini?- intervenne Kysen.
- Non sono uomini, sono bestie- rispose Alcesti. – Sono una popolazione di selvaggi. Siamo in guerra da tempi immemorabili. Scendono dall’estremo nord della regione attraverso i boschi e bruciano tutto ciò che trovano sul loro cammino. Non hanno pietà, non fanno prigionieri…-
- Perché dovrebbero dare fuoco alla città che tentano di conquistare da così tanto tempo?- domandò ancora.
- A loro non interessa Darkfield. Vogliono solo cacciarci da una terra che considerano di loro proprietà. Poco importa se per farlo la raderanno al suolo… È strano vedere come qui, a pochi chilometri di distanza, la vita scorra lenta e monotona. Crea uno strano contrasto…- la voce cristallina di Hermione fece risuonare le ultime parole come se le avesse pronunciate in una galleria vuota, e sul tavolo calò il silenzio, un silenzio carico di angoscia.
 
Nel primo pomeriggio si rimisero in viaggio. Elettra si sentiva molto meglio e la febbre era quasi completamente scomparsa. Lady Ingrid raccontò alla figlia di come avevano seguito il sentiero dal folto della vegetazione per oltrepassare l’Everdark. Sir Thomas aveva dato loro alcune dritte fondamentali per evitare brutti incontri. Alcesti provò una fitta al cuore pensando a suo cugino, che in quel momento poteva essere già morto. Si domandò se sarebbe più riuscita ad avere notizie di quella maledetta battaglia. Il viaggio si era fatto di una lentezza estenuante e il vento gelido non lasciava tregua. Quella notte fecero tappa in un piccolo paese poco lontano da Keras. La Dama ed Elettra avevano bisogno di riposare. Le gemelle, al contrario, sembravano instancabili. Kysen ascoltava in silenzio Hermione raccontare di balli grandiosi, di feste a Palazzo e di matrimoni da sogno. Raccontò anche del trambusto seguito alla scomparsa di Alcesti, della preoccupazione di amici e parenti e di quanto era stato difficile mandare avanti la casa. Thomas aveva proposto di organizzare una squadra di ricerca, ma Lady Ingrid l’aveva dissuaso.
Ogni cinta muraria che varcava, ogni borgo che attraversava, Alcesti veniva investita da un’ondata di ricordi. Si sorprese a sorridere percorrendo il crocicchio che l’aveva portata a conoscere Christopher, il primo contatto con quella che allora non sapeva sarebbe diventata la sua nuova vita. Ma fu solo quando mise piede a Foxwood che si rese conto di aver lasciato qualcosa in sospeso… non aveva molto tempo, se voleva raggiungere la locanda prima che fosse buio, ma non poteva rinunciare. Foxwood era una città piuttosto grande e cercare una persona poteva essere come cercare un ago in un pagliaio. Così ringraziò caldamente la Dea Fortuna quando, giunta alla piazza principale, scorse la persona che cercava. Lasciò Chronos nelle mani fidate di Kysen, e si diresse lentamente verso la ragazza che la guardava con gli occhi sbarrati. Avvicinandosi, notò che in quei mesi Rebecca era cresciuta molto, aveva ben poco in comune con la ragazzina di quella primavera.
- Sei proprio tu?!- esclamò la ragazza quando Alcesti le fu abbastanza vicina da renderla assolutamente certa che non si trattasse di un’allucinazione.
- Passavo di qua e…- rispose.
Rebecca sospirò.
- Ve ne siete andati senza salutare…-
- Hai ragione, siamo stati maleducati-.
- Il Cavaliere sta bene? C’è anche lui?-
- No, lui è a casa, ma sta bene, ti ringrazio-.
La ragazza lanciò un’occhiata al gruppetto che attendeva Alcesti.
- Anche quello è tuo cugino?- domandò, ironica.
Alcesti arrossì.
- No, lui no…-
Rebecca sorrise.
- Ti fermerai qualche giorno?-
- Riparto domattina-.
- Peccato- sussurrò. – Sai, credo che con un po’ di tempo in più avremmo potuto diventare amiche!-
Alcesti sorrise a sua volta.
- Magari la prossima volta che passerò di qua avrò più tempo…-
Si salutarono con un abbraccio e Alcesti tornò sorridente dalla sua famiglia.
 
- Chi era quella?- domandò il Principe andando verso la locanda.
- È una lunga storia Ky… teniamola per il viaggio…- rispose stancamente la ragazza. Si sentiva meglio: un altro piccolo tassello era andato al suo posto.  

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Capitolo 39
*** Casa dolce casa ***


Ancora dopo tutti quei mesi, Alcesti si meravigliava dello splendore del marmo di Alia. Anche nella luce fredda di metà novembre, la città sembrava brillare di luce propria. Lady Ingrid e le sue figlie attraversarono le mura di cinta mute per lo stupore, guidate da Kysen, al cospetto del quale tutti quanti chinavano il capo con reverenza. Il Principe condusse le nuove arrivate attraverso le vie della città al Palazzo Reale. Si era permesso di scegliere il percorso leggermente più lungo perché meglio evidenziava le meraviglie architettoniche di Alia. Detestava ammetterlo, ma ci teneva molto a fare bella figura con la dama. Ad Alcesti questi particolari non sfuggivano mai, e questo era tremendamente imbarazzante…
Sorridendo tra sé, la ragazza chiudeva la fila. Cercava di interpretare i pensieri delle sorelle e della madre dall’espressione sul loro viso, ma tutto ciò che trapelava era un immenso stupore. Assolutamente lecito.
Entrando nel grande salone del castello, Alcesti si rese conto di sentirsi a casa. Informati del loro arrivo, i cavalieri li attendevano con impazienza. Corsero loro incontro, offrendo i loro omaggi alle donne. Liberarsi dalla folla di amici fu difficile, ma alla fine riuscirono a raggiungere la sala delle udienze. Lady Philippa li aspettava con impazienza.
- Benvenute, mie carissime ospiti- disse, alzandosi dal Trono e andando loro incontro.
Le donne si inchinarono alla Regina.
- Sono contenta che siate tornati sani e salvi, figli miei- aggiunse, rivolgendosi ad Alcesti e a Kysen.
La ragazza arrossì. Anche se non aveva ancora parlato a sua madre della relazione con Kysen, la cosa era abbastanza evidente, ma la imbarazzava mostrare di essere così introdotta nell’ambiente Reale.
- Sarete stanche. Permettete che vi accompagni alle vostre stanze, dove troverete delle ancelle pronte a soddisfare qualunque vostro desiderio-.
Detto questo si incamminò attraverso la sala diretta al cuore del Palazzo. Sbalordite, le nuove arrivate seguirono senza fiatare la Regina. Con una scrollata di spalle e un mezzo sorriso, il Principe fece cenno ad Alcesti di precederlo.
 
Quella sera erano tutte invitate a cena dalla Regina. Per questo motivo, Alcesti aveva anticipato alle sorelle che avrebbero conosciuto il fratello minore di Kysen. Le aveva anche messe in guardia dal suo affascinante modo di fare, ma nonostante tutto, al suo ingresso, le gemelle rimasero ipnotizzate.
La serata trascorse tranquilla e piacevole. Sua Maestà si stava prodigando per mettere a proprio agio Lady Ingrid. Le sue premure erano addirittura eccessive.
A fine serata, Kysen accompagnò le ospiti alle loro stanze.
- Non ti è sembrata strana, Lady Philippa?- gli domandò Alcesti una volta soli.
- Si. Credo si senta in colpa nei confronti di tua madre. Se tuo padre non avesse combattuto per noi sarebbe ancora vivo… credo voglia rimediare…-
La ragazza sospirò.
- Lui ha sempre fatto di testa sua. Se aveva deciso di combattere…-
- Conosco un’altra persona così…- disse Kysen con un sorriso.
La ragazza chiuse la porta della stanza alle proprie spalle. Erano stati giorni molto impegnativi, ma sentiva che da quel momento tutto sarebbe stato più semplice. 

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Capitolo 40
*** La proposta di Kysen ***


Lady Philippa aveva una classe particolare nel decorare la sua splendida dimora in occasioni di festa. Pareti e pavimenti erano stati ricoperti con arazzi e tappeti divinamente intessuti. La fonte di illuminazione consisteva in astri luminosi che brillavano poco al di sotto dei soffitti, una sorta di via lattea artificiale. Alzando gli occhi sembrava proprio di tuffarsi nell’oscuro abisso dell’universo. Faceva venire le vertigini. Ogni parete disponibile era affiancata a tutta lunghezza da un tavolo colmo di ogni prelibatezza. L’intera Alia era stata invitata. Sarebbe stato un ballo grandioso, su questo non potevano esserci dubbi!
 
- Quell’abito è a dir poco meraviglioso!-
Hermione guardava a bocca aperta, non senza una punta di invidia, il vestito cremisi e oro della sorella maggiore.
- È un regalo di Kysen- rispose distrattamente Alcesti, mentre un’ancella le appuntava una molletta di perle tra i capelli.
- Bello, ricco e anche raffinato… questo non mi fa sentire meglio- commentò Hermione con finto sdegno.
Alcesti ridacchiò.
- Il Principe ha preso particolarmente a cuore l’organizzazione di questa serata, anche se temo mi sfugga il motivo…-
Hermione borbottò qualcosa in risposta allacciandosi un nastro turchese al collo.
Antigone le guardava divertita dalla sedia della scrivania. Sapeva che sarebbe finita in quel modo dal momento in cui la gemella aveva implorato Alcesti di ospitarle nella sua stanza per i preparativi per beneficiare dello specchio più grande. Come sempre, quelle due si perdevano in chiacchiere, e lei finiva secoli prima di prepararsi. Ma valeva la pena di fare questo sacrificio: non aveva mai visto Alcesti tanto elettrizzata per qualcosa.
Quando furono finalmente pronte, le tre si ricongiunsero ad Elettra e a Lady Ingrid. La sala era già piena di gente, ma non fu difficile trovare Christopher: era talmente alto da svettare sulla folla. Intrufolandosi tra i gruppetti di persone, Alcesti riuscì a raggiungere i Cavalieri, per scoprire che sua madre si era allontanata per unirsi ad alcune dame. Stava ancora sorridendo tra sé, quando nella sala calò il silenzio. Non appena la Famiglia Reale fece il suo ingresso, tutti quanti trattennero il fiato. La Regina, in testa, completamente vestita di avorio ed oro, brillava della luce della splendida Corona che portava fieramente sul capo, strappando sguardi ammirati ad ogni dama. La seguivano i due Principi, belli come Dei. Erano vestiti in modo sublime: entrambi indossavano una camicia sui pantaloni eleganti, che Kysen aveva accompagnato ad un mantello nero ricamato in argento. Toglievano il fiato, pensava Alcesti col cuore in gola.
Quando la Regina si accomodò sul trono d’ebano, i musici aprirono le danze. Pochi minuti dopo, Kysen ed Ares erano già accanto al gruppetto di Alcesti.
- Mi concedete questo ballo?- domandò retoricamente Kysen ad Alcesti, offrendole la mano.
La ragazza accettò senza la minima esitazione l’invito. Quella sera si sentiva meno in colpa di altre volte a lasciare le sue sorelle ai margini della pista. Nei due giorni precedenti avevano fatto la conoscenza di buona parte dei Cavalieri, in particolare di Christopher, che disse di aver sentito parlare di loro tanto a lungo e tanto dettagliatamente da poter affermare di conoscerle da una vita. Oltretutto, con Hermione accanto non era un problema socializzare.
- Ti sta bene questo vestito- commentò il Principe squadrandola.
- Ho un bravo stilista- sorrise Alcesti.
Kysen sorrise a sua volta e fece un cenno col capo in direzione del gruppetto che avevano lasciato. Chris aveva invitato la piccola Elettra a ballare. Ben sapendo fino a che punto si spingesse l’odio dell’amico per la danza, Alcesti apprezzò molto l’impegno. Sorrise a Kysen.
- Ho la sensazione che questa sarà una serata indimenticabile…-
Il Principe rispose con un mezzo sorriso enigmatico. Terminato il ballo, i due si ricongiunsero al gruppo. Ares stava parlando di cavalli con le gemelle. Aveva un aria strana: non si esprimeva con la sua solita eloquenza, ma sembrava impacciato, come se stesse scegliendo con cura ogni singola parola.
- Che ha Ares?- domando Alcesti con voce appena udibile.
- È strano vero?- rispose Kysen, perplesso quanto lei.
Alcesti attese pazientemente che Ares terminasse il suo discorso per vedere come avrebbero reagito le sorelle. Entrambe erano ipnotizzate da lui. Anche se la sua favella aveva qualche problema, restava comunque bello da svenire… In quel momento sopraggiunse Elettra a strapparla dalle proprie riflessioni.
- Laggiù ci sono delle ragazze più o meno della mia età…-
- Vai pure, Elli. Ma non uscire dal palazzo, per favore-.
Elettra sorrise e corse via. Alcesti la guardò allontanarsi. La sua sorellina stava diventando grande, e pericolosamente bella. L’unica cosa che le accomunava erano gli occhi scuri di Merthin. Alcesti era orgogliosa di lei.
- Alcesti, che ne diresti di presentare queste signorine a Frate Rudolph?- domandò Kysen, indicando un punto poco lontano.
La ragazza annuì con un sorriso.
- In tal caso, seguitemi- disse il Principe, sfoggiando un sorriso da togliere il respiro.
Stava cercando di essere carino con la sua famiglia, ed Alcesti ne era lusingata, ma era un po’ preoccupata per l’incoscienza con cui Kysen utilizzava la sua bellezza… Lasciò che le gemelle seguissero il Principe e si incamminò dietro di loro accanto ad Ares.
- Stai bene?- gli domandò.
- Si, perché?- rispose frettolosamente.
- Finalmente vi conosco!- esclamò Rud, vedendo il gruppetto che si avvicinava.
Terminate le presentazioni, il Frate esortò le ragazze a tornare alle danze per non perdersi nulla della splendida serata.
Alcesti tornò a ballare con Kysen, ma con un occhio teneva Ares sotto controllo. Solo un attimo si distrasse, e in quell’attimo il suo cavaliere sussurrò:
- Sta succedendo qualcosa…-
Anche lui lo stava osservando. Alcesti tornò subito a guardare. Hermione si stava allontanando da sola, con un mezzo sorriso sulle labbra, in direzione di Chris, Yurika e Siegfried.
- Lascia campo libero- sussurrò Alcesti, sorpresa. E aggiunse, in risposta allo sguardo confuso del Principe:
- Cede il passo ad Antigone-.
- Che significa?- Kysen continuava a non capire.
- Significa che Hermione ha capito che Ares è interessato a sua sorella, e si è fatta da parte- sorrise.
Kysen osservava a bocca aperta suo fratello che, impacciato come un tredicenne, invitava a ballare la sorella di Alcesti.
- Ecco perché è così rimbambito, questa sera…- commentò.
- Dici che questa volta faccia sul serio?- domandò lei.
- Sembrerebbe di si-.
Alcesti pregò in cuor suo che fosse così, per il bene di Antigone, e anche di Ares, cui, in caso contrario, avrebbe fatto passare le pene dell’inferno.
- Al…- sussurrò improvvisamente Kysen.
La ragazza lo guardò.
- … seguimi,- disse – voglio farti vedere una cosa-.
La prese per mano e la condusse attraverso la folla, fuori dalla grande sala, su per le scale, a destra lungo un corridoio, poi infondo a sinistra, ancora a destra, ancora scale, un altro corridoio, infine una porta, in un’ala del Palazzo riservata ai Reali.
 
La piccola porta si apriva su una stanza quadrata con una sola finestra. Una parete era completamente coperta di libri, due erano intonacate di bianco, mentre la quarta era affrescata. Non era un disegno, sembrava un incrocio di rami. Per il resto, la stanza era praticamente vuota: al centro stava un tavolo con due sedie, e un candelabro al centro del tavolo.
- Questa è una stanza privata della Famiglia Reale. Nessun altro può entrare, nemmeno il personale di servizio… perciò scusa la polvere- disse Kysen.
Alcesti si fermò.
- Allora non avrei dovuto entrare…-
- Zitta e vieni qui-.
Kysen si era avvicinato alla parete affrescata. Una volta vicina, la ragazza si rese conto che si trattava di un albero genealogico. La discendenza Reale. L’intrico di righe aveva origine da Alcibìades, il mitico fondatore, e terminava nei nomi di Kysen ed Ares. Notando che Alcesti fissava la parete a bocca aperta, Kysen segnò con due lunghe dita il suo nome.
- Vedi? Accanto al mio nome c’è ancora uno spazio tristemente vuoto…-
- Non… non capisco…- farfugliò la ragazza.
Il Principe sorrise.
- Ho fatto tutto il possibile perché questa serata fosse perfetta-.
Così dicendo, prese la mano di Alcesti e si inginocchiò davanti a lei. Sorrise, un sorriso troppo bello per essere umano.
- Alcesti di Darkfield… di Alia, vuoi sposarmi?- 

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Capitolo 41
*** Un nuovo Re ***


La Cattedrale era gremita, quel giorno. Antigone guardava con affetto sua sorella e Kysen, l’uno accanto all’altra, davanti all’altare. Finalmente il grande giorno. Alcesti era l’immagine della felicità: l’abito avorio rifinito in rosso, i lunghi capelli pettinati alla perfezione, gli occhi scuri truccati. Non era mai stata tanto bella. Hermione continuava a sospirare con aria sognante, e sorrideva beatamente. Antigone chinò il capo per nascondere il sorrisetto divertito che non le riusciva proprio di reprimere. Guardandosi attorno, intercettò lo sguardo di Ares, che le sorrise. Ricambiò il sorriso e tornò a concentrarsi sulla cerimonia, che ormai volgeva al termine. Al momento del fatidico “si”, Lady Ingrid, al suo fianco, scoppiò a piangere. Doveva aver perso definitivamente le speranze, ormai.
 
Alcesti era agitatissima. Il suo cuore batteva a ritmo frenetico dall’inizio della cerimonia e si sentiva le gambe sempre più molli. Si vergognava di sé stessa: non la terrorizzava così tanto nemmeno un esercito nemico. Detestava essere al centro dell’attenzione ma, accidenti, il Principe Kysen la stava sposando!
- Potete baciare la sposa- proclamò il celebrante.
Il Principe le sorrise, togliendo il respiro, oltre che a lei, a tutte le donne abbastanza vicine da poterlo ammirare, e la baciò.
Dalla folla si alzò un caloroso applauso, l’espressione dell’affetto della città.
- Sto sognando, Ky?- sussurrò Alcesti.
- Spero di no!- rispose sorridente il suo sposo.
Quando il boato si attenuò, Lady Philippa si alzò in piedi, contribuendo a smorzare il brusio.
La ragazza guardò Kysen con aria interrogativa, e questo alzò le spalle di rimando. Non era certo la persona più esperta di matrimoni, ma era sicura che il rito fosse terminato. Dal suo posto riservato in prima fila, Sua Maestà si era alzata e stava salendo i gradini dell’abside. Alcesti e Kysen si inginocchiarono istintivamente, e come loro tutti i fedeli.
- Questo giorno, è un giorno di gioia per la nostra città…- esordì la Regina. E proseguì:
- … e presto lo sarà ancora di più. Figlio…-
Kysen alzò il capo, trepidante. Intuiva quello che stava per accadere, eppure non voleva illudersi. Lady Philippa chiamò con un cenno del capo due paggi, che si avvicinarono reggendo uno scrigno d’oro cesellato di pietre preziose.
- Per troppi anni il trono di Alia è stato vacante…-
Dicendo questo, aprì lo scrigno e comparvero due luccicanti corone. Un “oh” di meraviglia si levò dalla Cattedrale.
Lady Philippa prese dolcemente la corona che era appartenuta a suo marito, luccicante d’oro puro, e la posò sul capo del figlio, dicendo:
- Alia è nelle tue sapienti mani, Re Kysen!-
Il nuovo Re si alzò tra le acclamazioni della folla. Sorrise a sua madre e, con passo sicuro, si avvicinò allo scrigno. Per un attimo osservò l’altra corona: era usanza che il simbolo del potere del Sovrano si tramandasse di generazione in generazione, mentre il diadema della sua consorte restava in possesso della Regina Madre anche dopo l’incoronazione di un nuovo Re. Provò un brivido pensando che lo splendido diadema d’oro e rubini, la pietra simbolo di Alia, che teneva tra le mani era stato creato appositamente per Alcesti. Sospirò. Poi tornò dalla sua sposa e le posò il gioiello sul capo. Le offrì la mano e le disse:
- Alzati, mia Regina, e non inginocchiarti mai più davanti a nessuno!-
Il boato della folla si levò ancora più forte mentre Alcesti si alzava. Kysen le sorrideva raggiante e lei gli sorrise di rimando, a metà tra l’entusiasta e il terrorizzata.
- E adesso?- sussurrò.
- Adesso festa!- rispose il Re scendendo gli scalini per abbracciare Ares che gli si faceva incontro.
In un attimo si trovarono avvolti in un vortice di persone che urlavano, si complimentavano, abbracciavano e portavano ossequi. E così fu per tutta la giornata, tra un pranzo, un ballo e tornei nel cortile del palazzo.
 
Fu quasi un sollievo, a festa conclusa, potersi ritirare nella propria camera. Le ancelle avevano già trasferito buona parte degli effetti di Alcesti nella stanza di Kysen, nell’ala del castello riservata alla famiglia reale. Lei vi metteva piede per la prima volta quella sera.
Il sole era tramontato, e l’immenso ambiente era illuminato dalla luce soffusa del camino. La ragazza si fermò sull’uscio a bocca aperta. Sentì Kysen spostarla dolcemente per chiudere la porta e le sue braccia cingerle la vita.
- Allora? Come ti sembra?- le sussurrò.
Alcesti lasciò scivolare lo sguardo sul marmo bianco, sui soffici tappeti, sul mobilio raffinato, sul letto intarsiato, sulla gigantesca libreria. Era tutto abbinato con un gusto squisito. Non aveva mai visto una stanza tanto bella.
- È… bellissima…-
- Lieto che sia di vostro gradimento, Maestà- sorrise Kysen.
- Per il momento vorrei essere solo tua moglie- disse Alcesti togliendosi il diadema e riponendolo nello scrigno, posato su di un piedistallo.
Suo marito si tolse a sua volta la corona ed abbracciò la ragazza.
- Questo è il giorno più felice della mia vita- disse.
- Finora…- aggiunse Alcesti con un sorriso.
- … finora- concesse il nuovo Re. 

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Capitolo 42
*** Conto alla rovescia ***


L’inverno passò, e una primavera, un’estate, un autunno e un altro inverno. Era il 25 di aprile, due anni esatti dall’arrivo di Alcesti ad Alia. Le sembrava impossibile che fossero successe così tante cose in così poco tempo. Camminava avanti e indietro nella sua stanza cullando il suo bambino. Compiva un mese proprio quel giorno. Si era addormentato. Lo posò dolcemente nella culla e gli accarezzò una guancia. Sarebbe rimasta lì a guardarlo dormire per ore e ore, ma quando sentì la porta aprirsi fu costretta a voltarsi. Aspettava brutte notizie.
- Come sta Connor?- sussurrò Kysen, avvicinandosi.
- Dorme come un angioletto- rispose Alcesti.
Il Re le cinse la vita e le diede un bacio.
- Che novità ci sono?- domandò la Regina.
- Pessime novità…-
Kysen prese a raccontare quanto aveva appena appreso dal Gran Consiglio.
Negli ultimi mesi, i rapporti delle sentinelle avevano messo in evidenza strani spostamenti di truppe nel nord. Ad un’analisi più approfondita, si era scoperta un’alleanza che coinvolgeva otto città facenti capo a Roth, antagonista di Alia per potere e dimensioni, ma mai direttamente entrata nel conflitto per la supremazia. La città si era subito preparata al peggio ed era andata a caccia di alleati a sud. I primi ambasciatori erano tornati proprio quel giorno, e il responso era negativo.
- Per il momento siamo soli- concluse Kysen.
- Da soli non avremo scampo…- sussurrò Alcesti con un singhiozzo.
- Lo so. Se le cose restano così, possiamo solo cercare di resistere il più a lungo possibile-.
La Regina sospirò tristemente, mentre il suo cervello lavorava febbrilmente per escogitare un piano che le permettesse di salvare il suo piccolo Connor. Era l’erede al trono: se Alia fosse caduta in mani nemiche, Dio solo sa cosa avrebbero potuto farne di lui…
 
I rapporti giornalieri annunciavano i preparativi per la partenza di un grande esercito dal porto di Roth, fugando ogni possibile dubbio sulle intenzioni dell’Alleanza. Gli artigiani di Alia già lavoravano alacremente per rinforzare le mura, le palizzate, le porte, i ponti, i fossati. I fabbri forgiavano spade, scudi, armature, elmi, e tutto quanto potesse essere necessario per il combattimento. L’esercito si allenava a ritmi serrati sotto la guida dei Cavalieri e di Miyrdin. La città intera raccoglieva viveri per non farsi trovare impreparata in caso di assedio.
 
I giorni passavano veloci, troppo veloci, e tutti gli ambasciatori erano tornati portando con loro notizie negative. La via delle alleanze era stata esplorata con accuratezza, e non vi erano più dubbi: Alia era sola. Era rientrato anche il messo inviato a Roth per contrattare l’armistizio. Kysen sapeva che Spartacus, sul trono da diciotto anni, non era incline alle pratiche belliche e sperava di poter risolvere il tutto con qualche concessione commerciale e territoriale, ma ogni offerta era stata respinta. Il conto alla rovescia era iniziato: nove giorni alla guerra.
 
Primo.
- È tutto pronto, Ky-.
Alcesti camminava nervosamente intorno alla predella del Trono.
- Mi sono già messa d’accordo con le mie sorelle: se dovesse succedere qualcosa a noi due, porteranno Connor lontano, a ovest, verso Keras…-
Kysen sospirò.
- E come sapranno che ci è successo qualcosa?- domandò.
- Sarà Corax ad avvisarle- rispose decisa la ragazza.
- Affidi tuo figlio ad un uccello?!- esclamò il Re.
Alcesti abbassò lo sguardo.
- Hai un’alternativa?-
Kysen abbassò lo sguardo a sua volta.
 
Secondo.
- Sveglia, sveglia! Dobbiamo essere più veloci! Così non saremo di nessun aiuto!-.
Frate Rudolph stava addestrando frati e suore a lavorare a ritmi serrati. Un ospedale da campo efficiente era più che fondamentale in una situazione come quella. Le piante medicinali erano già state preparate, così come tutte le bende a disposizione. Non era il momento di farsi trovare impreparati.
 
Terzo.
- Non è sufficiente, Yuri-.
Kysen guardava sconsolato le fila dei suoi soldati pronti per l’addestramento.
- Abbiamo arruolato chiunque fosse in grado di combattere, Comandante- rispose Yurika desolata.
- Lo so, ma non basta!-
Il Re chiuse gli occhi, come in preghiera. Quando li riaprì c’era una luce sinistra nel suo sguardo.
- Ascoltami bene, Yurika: se io dovessi morire, o se non dovessi essere più nella possibilità di combattere, sarai TU a dover guidare l’esercito… so che può fare paura- aggiunse, davanti allo sguardo terrorizzato della ragazza – ma sei un bravissimo Capitano, ed io ho piena fiducia nelle tue capacità-.
Yurika sorrise in segno di ringraziamento, ma dovette abbassare subito il capo per nascondere le lacrime che a stento tratteneva.
 
Quarto.
Antigone non riusciva a capire, e questa sensazione del tutto nuova le dava un certo disappunto. Ares, seduto accanto a lei, la guardava con curiosità, ma aveva imparato a rispettare il suo silenzio. Improvvisamente, la ragazza sbottò:
- Alcesti non vuole dirmi per quale motivo ci attaccano-.
- Beh, in realtà non ci è molto chiaro… non abbiamo mai avuto rapporti diretti con Roth, forse è denaro che cercano…- disse Ares.
- Oppure?- incalzò Antigone.
- Oppure vogliono solo l’egemonia sui nostri territori. Una sorta di gesto dimostrativo, insomma…-.
- E se dovessero vincere?-
- Se dovessero vincere dovremmo sperare nella clemenza di Spartacus-.
 
Quinto.
- Sire, c’è una persona che chiede di voi. È urgente-.
Kysen guardò interrogativamente i Cavalieri con lui sul campo di addestramento, i quali ricambiarono lo sguardo con la stessa perplessità. Si incamminò poi, inquieto, dietro al paggio.
Nella sala delle udienze lo attendeva una sorpresa.
- Clodia?!- esclamò sbalordito alla vista della ninfa, che si intratteneva con sua moglie e col suo piccolo.
- Buongiorno, Re Kysen! La foresta vi manda le sue più sentite congratulazioni per il vostro cucciolo!- esordì la ninfa con un sorriso abbagliante.
- Cosa ti porta qui?- domandò Kysen, a metà tra il preoccupato e lo speranzoso.
- Le ninfe combatteranno con noi, Ky!- esclamò Alcesti con gioia.
- Davvero?!- domandò il Re incredulo.
La risata cristallina di Clodia echeggiò nel palazzo.
- Si, Sire- rispose – ovviamente non scenderemo in campo come voi, ma possiamo fare in modo che gli elementi rendano la vita più difficile ai vostri nemici. Kellenwood ci è troppo cara per rischiare di perderla senza muovere un dito-.
 
Sesto.
Il vento soffiava forte, sul grande cimitero di Alia. L’erba soffice si piegava sotto al suo impeto. Si piegava, ma non si spezzava. Christopher fissava in silenzio la lapide di Vanessa. Ma era un silenzio che conteneva più di mille parole, il suo. Parlava delle avventure che avevano vissuto insieme, delle battaglie che avevano combattuto fianco a fianco, di ogni singolo giorno che avevano trascorso da fratello e sorella nella cerchia dei Cavalieri. Bastava così poco perché tutto andasse perduto?
- No, la morte non ha tanto potere…-
Il sussurro del cavaliere fu accolto dalle fredde braccia del vento, che lo prese con sé per portare un po’ di speranza a chi fosse stato disposto ad ascoltarlo.
 
Settimo.
Alcesti stava affilando Maya dopo l’allenamento quando, senza alcun preavviso, sentì posarsi una mano sulla sua spalla e fece un salto.
- La maternità ti ha fatto male, amica mia!-
Vincent fece un passo indietro, alzando le mani, e sorrise divertito dello spavento della ragazza.
- Solo un licantropo avrebbe potuto essere così silenzioso- rispose Alcesti, sedendosi su una panchetta per riprendersi.
Vincent ridacchiò.
- Allora, che si dice da queste parti?- domandò, sedendosi accanto a lei.
- Niente di bello, temo- rispose la ragazza in un sussurro.
- Già… ho sentito dire… sai, a Licantropia siamo un po’ scontenti della guerra imminente. Se doveste uscirne sconfitti, per noi e per i nostri territori sarebbe un bel rischio…-
- Dunque?- incalzò Alcesti.
- … dunque abbiamo deciso che ci converrebbe darvi una mano, per non rischiare di complicarci ulteriormente la vita, che dici?-
- Dico che sareste più che graditi!- esclamò la Fenice con un sorriso di gioia pura.
 
Ottavo.
- Hai capito bene, amica mia?-
Corax era stata istruita a dovere dalla Regina. Non avrebbe dovuto perdere di vista né lei né suo marito, nemmeno un secondo. E non appena si fosse resa conto che era successo qualcosa a Kysen o a entrambi, sarebbe dovuta volare di filato da Hermione, Antigone ed Elettra, che si sarebbero subito allontanate vero ovest con il piccolo Connor. Non sapevano cosa volesse Roth, ma se la sua intenzione era occupare Alia, l’erede al trono era decisamente in pericolo.
 
Nono.
- È tutto pronto?-
- Si, Comandante-.
Yurika aveva appena concluso l’esame dell’attrezzatura pronta per il combattimento.
Le armi erano affilate, le armature saldate, le frecce già nelle faretre, il materiale medico pronto, le mura cittadine rinforzate, i soldati addestrati.
Kysen annuì.
- I lupi?- domandò.
- Faticano a rispettare i comandi, Kysen, ma il loro aiuto è prezioso-.
- Speriamo che non ci mollino sul più bello…-
- Oh, non lo faranno! Sono motivati quasi quanto noi!-
Kysen sorrise.
- Non so come finirà questa storia, ma quello che è certo è che venderemo cara la pelle!- 

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Capitolo 43
*** Nell'incubo ***


Il sole si levava appena sopra l’orizzonte, oscurato da sottili strati di nubi che rendevano l’atmosfera stranamente ovattata. Il terribile giorno era, infine, arrivato. I due eserciti stavano nella piana, l’uno di fronte all’altro, aspettando il segnale che scatenasse l’incubo. Nonostante l’innesto dei lupi e l’aiuto promesso dalle Ninfe, le schiere di Alia contavano meno della metà delle unità dell’esercito nemico. Sarebbe stata dura, durissima, impossibile, pensò Alcesti, e un brivido le corse lungo la schiena. Strinse spasmodicamente la mano del Re. Kysen ricambiò la stretta, senza guardarla. Non avrebbe retto l’emozione. Il Re fece un passo avanti e si rivolse al suo esercito.
- Cittadini di Alia… amici, fratelli… alleati- aggiunse rivolgendosi ai lupi – oggi si decidono le sorti della nostra città. Oggi si verserà sangue, si piangeranno calde lacrime, si reciteranno preghiere. Oggi si combatterà. E si guarderà la Morte negli occhi. Ebbene, sapete cosa vi dico? Non la lasceremo avvicinare prima di sapere i nostri concittadini completamente al sicuro! Miei fedeli, fosse l’ultima cosa che facciamo, dimostriamo a questi invasori la nostra forza, dimostriamo la forza di Alia!-.
Il boato di risposta dell’esercito risuonò nel silenzio, facendo accapponare la pelle ad Alcesti.
L’Inferno stava per aprire i suoi neri cancelli.
 
Nel caos della battaglia, Alcesti avrebbe voluto tenersi vicina a suo marito, ma non ci riuscì. L’ultima immagine che aveva di lui era un lampo di luce che aveva illuminato Nemesis prima che fosse inghiottita nel turbinio di corpi. Non le restava che combattere, Maya saldamente in pugno e tutta la concentrazione di cui era capace. Sapeva di essere leggermente fuori forma, e per questo si meravigliava della potenza e della precisione dei suoi incantesimi. Sembrava che il suo potere avesse raggiunto l’apice, il completamento, e non aspettasse altro che di essere messo alla prova. Kysen aveva ragione: non potevano permettere che Nostra Signore Morte si avvicinasse alla città. Con un unico, fluido gesto, incanalò il suo incantesimo nella spada, come fosse stata una bacchetta magica, e si lanciò sul suo avversario. Lo stupore che si impresse sul volto segnato dalle cicatrici di mille battaglie la galvanizzò. L’uomo si accasciò al suolo, morto, e Alcesti si cimentò subito in un nuovo scontro. Non c’era tempo da perdere: ogni secondo che passava aumentava il numero potenziale dei caduti.
 
Nemesis stillava sangue. Kysen combatteva con una furia che non aveva mai provato prima. Se era destino che morisse, sarebbe morto, ma avrebbe portato con se più vite possibile. Non combatteva più solo per la sua città, combatteva per Connor, per le sue manine paffute e i suoi boccoli scuri; combatteva per la sua Regina; combatteva per il futuro.
 
Ares guardava ammirato l’ardore di suo fratello. Se tutti quanti avessero portato la stessa ferocia sul campo l’impresa non sarebbe stata così impossibile!
“Per Antigone!” pensò, trafiggendo al fianco il suo avversario.
 
L’incantesimo di Yurika colpì in piena schiena una donna della schiera di Roth.
- Tutto ok, Chris?- domandò.
- Sei stata provvidenziale!- rispose l’Albatros, che stava faticando a parare i colpi della donna.
La forza della Guardia stava nella collaborazione, pensò Sir Christopher con un sorriso.
 
Inebriato dal profumo del sangue, Vincent attaccava con tutti i mezzi che possedeva. Naturalmente, non disdegnava nemmeno i morsi… Dubitava delle possibilità di Alia di uscire vincitrice da quello scontro, ma non si sarebbe mai perdonato se non avesse partecipato. Gli era troppo cara la foresta, ed era certo che i suoi compagni la pensassero esattamente come lui.
 
Il mare mosso non era bastato a scoraggiare l’Alleanza, ma qualche nave era affondata. Ora si trattava di lavorare d’astuzia: polvere negli occhi, lampi di luce, vento sfavorevole erano le armi delle ninfe. La natura aveva ben chiaro da che parte stare!
 
Dalle bianche mura, i cittadini osservavano. La battaglia infuriava nella piana, impossibile capire chi avesse la meglio. Non restava che attendere e pregare.
 
“A che scopo tutto questo sangue?” si domandava Re Spartacus. Nella sue tenda, assisteva da lontano alla battaglia. Era ancora presto, per lui, per scendere in campo. Odiava combattere. Ma a volte non si può farne a meno. Sospirò. La Follia era la peggior nemica dell’umanità.
 
Il sole stava per tramontare. Sporca di sudore, di sangue e polvere, Alcesti aiutava Frate Rudolph con i feriti. Un emissario di Spartacus aveva proposto una tregua dal tramonto all’alba, e Kysen aveva immediatamente accettato. Avevano dodici ore per contare i danni, recuperare i caduti, curare i feriti e riorganizzarsi. Kysen era ferito, ma non era grave. Ares se l‘era cavata senza un graffio. Per contro, Chris aveva una gamba fratturata, e l’indomani non avrebbe potuto combattere.
In quel primo giorno di battaglia, Alia si era difesa bene. Ma erano ancora molte, troppe le unità dall’Alleanza per potersi concedere un po’ di speranza.
 
- Sorellina!-.
Hermione stava cercando Alcesti nel trambusto dell’ospedale, il piccolo Connor in braccio. Aveva lasciato Elettra a badare a sua madre e Antigone si era precipitata da Ares appena scattata la tregua. Aveva incontrato Kysen a palazzo, che le aveva detto di cercare sua sorella all’ospedale. Ma c’era talmente tanta confusione da non capire nulla. Per fortuna non era debole di stomaco: tra sangue, ferite, corpi straziati e cadaveri sembrava di essere finiti in una storia dell’orrore.
- Hermione!-.
Alcesti le stava correndo incontro.
- Ciao amore mio…- disse prendendo suo figlio dalle braccia della sorella.
Mentre lo cullava, Hermione ebbe il tempo di guardarla bene: non sembrava ferita, a parte un graffio su una guancia e un taglio che sanguinava ancora sull’avambraccio. Ma era ugualmente coperta di sangue. I capelli le cadevano a ciocche dalla coda che li legava ed erano incrostati di chissà cosa, il viso sporco di polvere. Aveva l’aria distrutta, eppure era ancora in piedi, e aiutava come poteva i feriti e le loro famiglie. Kysen non avrebbe potuto trovare una regina migliore, pensò con ammirazione.
- Come sta mamma?-.
Alcesti la strappò dai suoi pensieri.
- È molto preoccupata, ma sta bene. Elettra è con lei-.
- Bene-.
- Tu credi che a Darkfield sia successo questo?- domandò dopo qualche secondo.
Alcesti sospirò. Avevano discusso spesso delle circostanze che avevano portato al crollo della loro adorata città, e ogni volta che ne parlavano la ferita si riapriva.
- Non lo so, ma ogni volta che vedo un uomo ferito a morte penso a nostro cugino Thomas…- rispose Alcesti.
Hermione abbassò lo sguardo.
- Ti fermerai qui molto?- domandò.
- Stavo per venire via. Stavo giusto cercando Rud per dirglielo. Ho bisogno di un bagno e poi si riunirà il Gran Consiglio-.
- Ti aspetto allora…-.
 
Il tempo trascorse lento, quella notte. Nessuno chiuse occhio all’interno della cittadella fortificata. Era vero che la tregua avrebbe dovuto durare tutta la notte, ma quali garanzie avevano che Spartacus avrebbe onorato l’accordo? Era impossibile riposare, impossibile convincersi di non essere preda della strategia nemica. Ogni minuto poteva essere più vicina la fine… Nemmeno il sotterraneo in cui era riunito il Consiglio sembrava più un luogo sicuro.
- Abbiamo reagito egregiamente, ma non so quanto potremo ancora resistere- stava dicendo Yurika.
- Sono d’accordo. L’Alleanza ha riportato parecchie perdite oggi, ma nulla in confronto alle nostre. Sono troppi- rispose Kysen, e proseguì – Mi irrita doverlo riconoscere, ma senza i lupi non ci sarebbe stata storia…-
- Dobbiamo resistere, almeno fino a che Spartacus non dovesse proporci un accordo- intervenne Robert.
- Ma lo farà?- domandò Sinéad.
- Certo che lo farà… il problema è quando- disse il Re, mesto.
- Avete visto? Non ha nemmeno combattuto, oggi- fece notare Ares.
Alcesti sospirò. Guardò il suo bambino che dormiva beatamente tra le sue braccia. Non aveva avuto la forza di separarsi da lui quella notte, e Kysen sembrava essere dello stesso parere.
- Come abbiamo fatto a cacciarci in un guaio simile?- domandò la Fenice.
- Siamo diventati troppo ricchi e troppo potenti. Tutto qui. Io spero che Spartacus voglia solo umiliarci un po’ per consolidare la sua egemonia, ma se così non fosse…- sussurrò il Re. E aggiunse:
- So che vi sto chiedendo molto, amici miei, che vi sto chiedendo la vita, ma vi prego, combattete con me! Teniamo lontani questi invasori dalla nostra città, dalle nostre case, dalle nostre famiglie!-.
Le sue erano le parole di un padre disperato, non quelle di un Re. I Cavalieri lo sapevano bene.
- Saremo con te fino alla fine, Sire- disse Yurika allungando una mano al centro del tavolo.
- Esatto- esclamò Claude.
- Ben detto!- Siegfried.
- Ovvio- Ares.
- Per forza- Sinéad.
Uno per uno, tutti i Cavalieri rinnovarono il loro giuramento, posando la loro mano sopra alle altre. L’ultima fu Alcesti, che guardò Kysen negli occhi e disse:
- Ti amo, Ky, e ti seguirò anche all’Inferno se me lo chiederai-.
I Cavalieri abbassarono lo sguardo, a nascondere le lacrime di commozione che, più o meno copiose, correvano sui loro volti, mentre Kysen posava la sua mano su quella dei suoi fedelissimi compagni, in preda a un’emozione troppo grande per poter aggiungere qualunque cosa.  

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Capitolo 44
*** All'ultimo sangue ***


Il sorgere del sole vide gli eserciti nuovamente schierati nella piana. L’odore della morte era ancora forte dalla battaglia del giorno precedente. Il ricordo dei caduti era ancora vivido nelle menti dei superstiti.
Accanto ad Alcesti, nel silenzio surreale, Vincent ringhiò. Il branco rispose al suono gutturale e anche gli umani, a loro modo, si unirono a quell’insolito Peana. Kysen ringraziò il lupo con un cenno del capo: il suo gesto spontaneo gli aveva risparmiato l’angoscia del discorso di incoraggiamento.
- All’inferno, mia Regina?- sussurrò all’orecchio di Alcesti.
- All’inferno, mio Signore!- rispose questa, sfoderando la spada e dando il segnale d’attacco.
 
La battaglia qual giorno fu ancora più cruenta. I soldati cadevano come mosche, in uno schieramento e nell’altro. La stanchezza del giorno prima si faceva sentire. Alcesti e Kysen combattevano fianco a fianco, coprendosi le spalle l’un l’altra. Nemesis e Maya non avevano pietà. Calavano senza esitare sui nemici, facendo strage di chiunque incrociasse il loro cammino. I Cavalieri combattevano con valore, non si fermarono nemmeno quando videro cadere Robert, morto, e quando Ares fu portato via dagli infermieri con una ferita alla testa. Alcesti vide il cadavere di Joseph e pianse, e le sue lacrime si mischiarono alla polvere, al sudore e al sangue della sue vittime. I suoi incantesimi si facevano più potenti ad ogni volto che riconosceva al suolo, e Maya schizzava sangue ignoto addosso a lei ogni volta che la levava per infliggere un nuovo colpo. Non si fermò quando fu ferità alla spalla sinistra, né quando si storse la caviglia scivolando su un corpo. Se era scritto che morisse quel giorno, l’avrebbe fatto con l’orgoglio che aveva sempre caratterizzato la Fenice.
Con il passare delle ore, il calore del sole e l’afa provocata dalla calca avevano reso l’aria irrespirabile. L’odore metallico del sangue era opprimente e nemmeno la pioggerella che le ninfe avevano creato per portare un po’ di refrigerio poté migliorare la situazione. Ed era sempre più evidente che Alia stava cadendo. L’esercito era allo stremo delle forze perché ogni soldato doveva valerne cinque dei nemici. Alcesti finì per essere separata da Kysen. nella mischia si erano persi di vista e l’angoscia la uccideva. Era stanca, ferita, arrabbiata e disperata. E proprio quando si stava domandando quanto ancora avrebbe potuto resistere, davanti a lei si aprì un corridoio, dal quale emerse un uomo. Era basso ma possente, i suoi capelli, tagliati corti, erano brizzolati, ma i suoi occhi, neri come la pece, brillavano di una luce tale da farlo sembrare molto più giovane di quello che era. Lo riconobbe immediatamente: Spartacus.
- Sire- disse Alcesti accennando un inchino.
- Finalmente posso conoscervi, mia Signora. Ho sentito molto parlare di voi-
- Che cosa si dice di me?- domandò lei.
Doveva prendere tempo per recuperare un po’ di fiato.
- Si dice che siate un’ottima combattente, per prima cosa… e si dice anche che siate una donna molto intelligente. È vero?-
- Non posso garantire per il mio cervello, ma il mio braccio potrete valutarlo voi stesso!-.
Dicendo questo, si lanciò su di lui. Il Re schivò il colpo e si preparò a contrattaccare. Lanciò un incantesimo di fuoco, che Alcesti parò. Lei rispose con uno di terra, ma Spartacus lo evitò. La ragazza tentò con il Lumen Sideralis, ma il Re intuì la sua mossa e riuscì a ripararsi. La colpì di striscio con un incantesimo di acqua, e Alcesti perse l’equilibrio. Si riprese appena in tempo per schivare un fendente, fintò e attaccò a sua volta, ferendo lievemente il Re al fianco. Spartacus si riebbe immediatamente dalla sorpresa e le scagliò contro un colpo di fuoco, che si scontrò a mezz’aria con quello identico lanciato da Alcesti.
Il combattimento si protrasse per un tempo indefinito. Ad Alcesti ogni minuto sembrava un’eternità. E Spartacus iniziava ad avere la meglio. Era più anziano e più lento di lei, ma quello era il suo primo incontro, mentre Alcesti combatteva ormai da ore, e le forze iniziavano a venirle meno. I suoi attacchi perdevano potenza, il suo braccio rapidità. Lanciò un incantesimo di acqua, che il Re evitò, ma non fu abbastanza veloce da schivare quello di aria con cui le rispose. Le ginocchia si piegarono e cadde a terra. Tentò di rialzarsi, ma le gambe non la sostenevano più.
- Scacco alla Regina- ghignò Spartacus, puntandole la lama alla gola. 

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Capitolo 45
*** Il prezzo da pagare ***


- Uccidetemi e fatela finita! Coraggio!-.
La lama di Spartacus stava là, a pochi centimetri dalla gola di Alcesti, come sospesa nel vuoto. Perché non la colpiva?
Dopo un istante lungo un’eternità, il Re abbassò l’arma. Davanti agli occhi pieni di stupore della nemica vinta, sorrise.
- Non ho nessuna intenzione di uccidervi. Siete una donna troppo intelligente, sarebbe uno scempio-.
Spartacus rinfoderò la spada e allungò una mano ad Alcesti per aiutarla ad alzarsi.
- Cosa significa tutto questo?- domandò la Fenice scuotendosi la polvere di dosso.
- Cosa siete disposti a fare per fermare questa strage?-.
La Regina volse lo sguardo al campo di battaglia. Migliaia di corpi senza nome giacevano coperti di sangue e di polvere. E ogni volto che riconosceva era una fitta al cuore.
- Qualunque cosa- sussurrò.
- E sia- Spartacus puntò un braccio verso il cielo e una stella luminosissima comparve ed esplose.
Ogni anima presente nella piana fissò gli occhi su di loro. Alcesti incrociò lo sguardo terrorizzato di Kysen. Sembrava ancora tutto intero.
- Dite a vostro marito di ordinare la ritirata e seguitemi con lui-.
Alcesti fece ciò che Re Spartacus le aveva detto: dopo che i soldati di Alia si furono ritirati, Kysen guardò sua moglie con stupore.
- Pronto ad accettare qualunque accordo?- disse lei con un sorriso mesto.
- Finalmente…- sospirò lui.
 
La tenda di Spartacus sembrava un luogo fuori dal tempo e dallo spazio. Era arredata in modo semplice ma raffinato. Era evidente che il proprietario non sapeva rinunciare alle comodità.
- Accomodatevi- disse, indicando un tavolo e alcune sedie.
Kysen ed Alcesti si sedettero silenziosamente. Alcesti si sentiva il cuore esplodere. Non riusciva a credere di essere stata risparmiata. Spartacus le sorrise.
- Devo riconoscere che le voci sul vostro conto sono veritiere-.
- Grazie, Signore- ripose con un filo di voce.
- Dunque… per prima cosa desidero complimentarmi con voi per la fiera resistenza che avete saputo oppormi- offrì agli ospiti due calici di acqua fresca – e in secondo luogo voglio farvi una proposta-.
- Siamo tutt’orecchi- disse Kysen, accettando il calice.
- Cercate di capirmi, la mia situazione è difficile. I miei alleati scalpitano, mi chiedono una dimostrazione di forza, mi chiedono conquiste… Voi, Kysen, mi conoscete, sapete bene quanto poco incline io sia alla guerra… ma le richieste si sono fatte troppo pressanti per poter continuare a ignorarle. Questi due giorni di massacri hanno leggermente migliorato la mia posizione. Sarò sincero con voi: potrei conquistare la città, ridurla mia serva e tornare a Roth trionfante, ma non ho intenzione di farlo, se si può evitarlo. Alia è lontana, è fiera, sarebbe difficile da controllare… inoltre non voglio dovermi fare carico del problema della difesa della faglia. Insomma, credo che Alia mi porterebbe più grattacapi che vantaggi. Senza contare che ho anch’io una coscienza! Non abbiamo mai avuto alcun tipo di contrasto, mi pesa già abbastanza la strage che ho dovuto compiere in questi due giorni. In breve, vorrei negoziare. Vi offro due alternative: salvate Alia cedendola a me, voi venite deposti e ridotti in sudditanza come tutti gli altri cittadini, e la popolazione sarà sottoposta ai miei tributi; oppure conservate la vostra indipendenza e libertà, cedendomi però i territori assoggettati al vostro dominio, e lasciandomi appiccare il fuoco alla città. Nel secondo caso, naturalmente, garantirei l’incolumità dei cittadini, dell’esercito, dei Cavalieri, vostra e di vostro figlio, di ogni anima, insomma!-.
Kysen era pallido come la morte.
- Che cosa ci guadagnereste voi nel secondo caso?- domandò in un sussurro Alcesti.
- Materialmente i vostri territori coloniali, astrattamente avrò compiuto un gesto dimostrativo, e i miei alleati mi rispetteranno, e mi considereranno l’uomo che ha avuto pietà dei cittadini della grande potenza caduta-.
Kysen strinse convulsamente la mano di Alcesti.
- Possiamo avere qualche minuto per discuterne?- domandò la ragazza.
- Naturalmente! Avete dieci minuti-.
 
Una volta soli, Alcesti abbracciò Kysen e lo strinse forte.
- Come posso scegliere tra la città e i cittadini?- domandò lui con un filo di voce. – Come posso condannarli ad un’esistenza di schiavitù, di tributi gravosi, di mediocrità? E come posso condannarli a veder bruciare la loro vita?-.
Alcesti sospirò.
- Un altro non ci avrebbe concesso di scegliere- rispose.
- Che cosa devo fare, amore mio? Aiutami a capire qual è la scelta migliore per il popolo, tu che sei sempre stata la mia consigliera più fidata, la mia coscienza…-
- Se tu fossi un cittadino, Ky, che cosa sceglieresti, la schiavitù perenne o un dolore e una povertà momentanei?-
- Lo so, la scelta più saggia sarebbe evacuare la città e lasciare che Spartacus la bruci, ma…-
- … ma ti si spezza il cuore. Lo so-.
Gli diede un bacio sulla fronte.
- Amore mio… mio Re… solo tu puoi prendere questa decisione. Nelle tue vene scorre il sangue di Alcibiàdes. Ogni cosa tu dovessi decidere, sono sicura che sarà la cosa migliore-.
Il Re abbracciò forte la sua Regina e lasciò che le lacrime corressero libere sulle sue guance, per perdersi nei capelli di lei.
 
- Allora, amici… avete preso la vostra decisione?- disse Spartacus, rientrando nella tenda qualche minuto dopo.
Alcesti strinse forte la mano di Kysen.
- Si, Signore- sussurrò.
- Ebbene?- incalzò Spartacus.
- Bruciate la città. Scegliamo di salvare il popolo- rispose Kysen.
Il Re annuì.
- Saggia scelta, miei giovani amici. Non credete che non mi costi distruggere una simile meraviglia architettonica, non fatemi il torto di credermi insensibile all’arte… ma sapete com’è, l’egemonia richiede sacrifici-.
Kysen gemette.
- Quanto tempo abbiamo per evacuare?- domandò Alcesti.
Spartacus guardò fuori dalla tenda.
- Il sole sta tramontando. Direi che entro l’alba potrebbe essere ragionevole- rispose. – Venite! Vi riaccompagno in città-.
Così dicendo fece loro segno di precederlo fuori dalla tenda.
 
I sovrani varcarono le porta bianche tra gli applausi. Ogni che accordo avessero accettato, era già una vittoria aver fermato il massacro. Il popolo si riunì davanti al sagrato della Cattedrale in attesa del responso. I Cavalieri erano in prima fila ammaccati e malconci, Ares sostenuto da Antigone, Chris per mano ad Hermione. Connor mugolava in braccio a Lady Philippa, che insieme a Lady Ingrid e ad Elettra era accorsa. Vincent, impose il silenzio ai pochi lupi restanti, e Clodia si unì a Chris e alla ragazza con due sorelle Ninfe. Frate Rudolph fasciava un polso di Yurika, mentre Siegfried e Sinéad si sostenevano a vicenda. Miyrdin, più vecchio che mai, aveva gli occhi pieni di lacrime.
- Amici miei- esordì il Re, con voce roca – una decisione difficile grava sul cuore mio e della mia consorte. Ci è stato chiesto di scegliere: la città integra assoggettata al potere e alle tasse di Roth… o la libertà alla condizione di dare Alia alle fiamme…-.
La piazza trattenne il respiro.
- … abbiamo scelto la libertà- concluse Kysen.
Il popolo esplose in un boato di gioia. Avrebbero perso ogni cosa, ogni ricordo, ma sarebbero stati liberi! E la libertà valeva questo sacrificio.
 
I Cavalieri disposero un piano di evacuazione che consentì a tutti i cittadini, entro l’alba, di essere al sicuro nella piana. Come da accordo, alle prime luci dell’alba, Spartacus appiccò le fiamme. Il rombo che si levò era spaventoso. Connor strillava, terrorizzato dal ruggito del fuoco.
Il popolo piangeva: piangeva per i loro cari che erano morti nel combattimento, per le loro case; piangevano per quella paura che attanaglia le ossa, e per la fine di quell’incubo; piangevano per il meraviglioso marmo bianco, nero di fumo, segnato dalle fiamme; per la grande opera di ricostruzione che li attendeva. Piangevano per la libertà, e per il coraggio del loro Re, che aveva rischiato tutto per il suo popolo. 

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Capitolo 46
*** Epilogo ***


Re Kysen provò una sensazione di infinita tristezza mettendo piede tra le macerie della sua amata città. Il fuoco aveva distrutto ogni cosa. Non un edificio era stato risparmiato dalla furia delle fiamme. Si sentiva svuotato. Una lacrima spuntò dai suoi meravigliosi occhi di ghiaccio, ma ebbe appena il tempo di brillare prima di essere spazzata via. Non poteva farsi vedere dai suoi concittadini in quello stato. Doveva essere forte, doveva dare loro l’esempio. Quella era la scelta migliore, l’unica scelta possibile, e se sacrificare Alia era il prezzo da pagare per salvare gli abitanti da un’esistenza di schiavitù, allora che fosse! Infondo, con l’aiuto della magia non sarebbe stato poi così difficile riportare la città all’antico splendore…
- Serve solo un po’ di pazienza-.
La Regina si era avvicinata silenziosamente, e aveva posato la testa sulla sua spalla. Come sempre aveva letto i suoi pensieri come un libro aperto. La sua voce echeggiò nel vuoto della devastazione.
- Ce la faremo, Alcesti?- domandò Kysen con un sospiro.
Sua moglie gli mise tra le braccia il piccolo Connor e sorrise.
- Che cosa diceva la leggenda? Che serviva una Fenice per abbattere questa città? Ebbene, che cosa fa la Fenice dopo essere stata consumata dalle fiamme?- domandò con dolcezza.
- Risorge dalla cenere…- sussurrò Kysen, sollevando in aria suo figlio, il futuro della città di Alia.
  


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Amiciiiiiiii la storia è finita! Spero tanto che non sia stata deludente, sapete com'è, non sono abbastanza imparziale da potermene capacitare da me ^^ Un grazie stragigante a tutti/e quelli/e che mi hanno seguita fino alla fine, e un grazie speciale a Socorro98 e a Thewindy che non mi hanno mai risparmiato una recensione costruttiva! Siete dei tesori! Un bacione,
Cat.

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