Wandmakers

di Rowena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il funerale di Gregorovitch ***
Capitolo 2: *** La corporazione ***
Capitolo 3: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 4: *** In quattro sotto un tetto... O forse no? ***
Capitolo 5: *** Consigli e confronti ***
Capitolo 6: *** Il cuore degli alberi ***
Capitolo 7: *** Inseguendo gli Unicorni (prima parte) ***



Capitolo 1
*** Il funerale di Gregorovitch ***


Note: Avevo in mente da un po' questa storia, rileggevo una parte del settimo HP per scrivere un'altra fic e ho pensato a cosa potesse davvero significare la morte di Gregorovitch... Sì, un'altra storia su personaggi totalmente secondari! ^^ Questa storia partecipa all'iniziativa "Mestieri e faccende" su Acciofanfiction. Buona lettura!


La guerra era terminata, finalmente. Questo pensava la comunità magica, mentre cercava di rimettersi in sesto dopo l’ultimo sanguinoso scossone.
Sebbene qualcuno tentasse di limitarla a una crisi nazionale, un problema che doveva riguardare solo la Gran Bretagna e non il resto del mondo, il secondo conflitto aveva colpito ben più lontano, seguendo la sete di potere dell’Oscuro Signore appena sconfitto e segnando dunque gravi perdite ben al di fuori dei confini britannici.
Nessuno si stupì, dunque, se i più rinomati e famosi fabbricanti di bacchette, artigiani eredi di una tradizione antica, si radunarono in un paesino della Bulgaria per rendere l’ultimo omaggio a un loro compagno. E cominciarono a chiedersi se non fosse il caso di considerarsi una specie in via d’estinzione.
Non si trattava di un funerale, in realtà: il corpo era stato trovato mesi prima – Voldemort non aveva rinunciato al Marchio Nero nei suoi omicidi in Bulgaria, certo che nessuno avrebbe capito cosa stesse davvero cercando – e la salma riposava ormai da un pezzo nel piccolo cimitero del paese in cui il fabbricante di bacchette si era ritirato per godersi la pensione.
Il mondo magico tuttavia si premurò di rendere omaggio a lui e alla sua famiglia, martiri della guerra.
Giunsero da tutta l’Europa: dignitari, ministri, eroi di guerra, molti personaggi per cui ogni giornalista avrebbe scritto pagine e pagine, ma la delegazione dei fabbricanti di bacchette spiccava tra i partecipanti, non erano molti, una decina circa, ma rappresentavano da soli l’intero mondo magico del continente. Giunsero tutti assieme, come una vera rappresentanza diplomatica, e andarono a occupare i posti più avanti.
Difficilmente quegli artigiani si facevano vedere fuori dalle loro botteghe o trattavano i loro affari in pubblico: erano gli ultimi eredi di una tradizione antica e stava a loro creare lo strumento fondamentale per ogni mago rispettabile. Non erano tutti, ovviamente, ma solo quella ristretta cerchia che si poteva fregiare del titolo di Maestro. In ogni paese poi c’era tutta una lunga fila di ex-apprendisti, imitatori e bottegai da due Zellini, ma i veri fabbricanti non si sarebbero mai mischiati con gente simile.
C’era Madame de Guise, l’avvenente strega francese, avvolta in una lunga pelliccia tinta di rosa, e l’anziano Jusupov, che aveva il suo negozio in uno sperduto villaggio della Siberia, tanto che per i maghi russi era una vera e propria impresa ottenere la prima bacchetta.
Il più giovane era un bel ragazzo dai capelli scuri, che si presentò anche ai colleghi – forse era la prima volta che partecipava a una simile riunione. C’era anche un uomo di mezza età con i capelli del tutto bianchi, probabilmente giunto dai Paesi Scandinavi, e una strega che sembrava una gitana uscita dai libri per bambini, vista l’eccentrica gonna che indossava, il suo scialle con i campanelli e i suoi grandi orecchini dorati. Parlava con un forte accento spagnolo, quindi non era difficile capire da dove provenisse.
E, ovviamente, c’era Olivander, l’inglese che portava avanti una tradizione antica di quasi dodici secoli. Il mago portava ancora i segni della lunga prigionia e delle torture che aveva subito e si stava lentamente riprendendo, ma aveva un aspetto deperito e malsano. Si teneva un poco in disparte dai suoi colleghi, come se fosse in imbarazzo a stare con loro, e teneva gli occhi fissi sul pavimento.
Per la celebrazione era stato organizzato un elogio solenne tenuto da alcuni maghi influenti in Bulgaria e nei paesi limitrofi, tutti pronti a dichiararsi amici intimi di Gregorovitch quando, probabilmente, l’avevano incontrato solo al momento di acquistare una bacchetta.
I fabbricanti di bacchette si erano rifiutati di parlare in pubblico: tutti detestavano Gregorovitch, era un vecchio mezzo matto che farneticava della Stecca della Morte da cinquant’anni e che si vantava di aver realizzato le bacchette migliori della storia. Se erano lì presenti, era perché era un loro collega e come tale meritava il loro rispetto, ma non solo; la sua morte prima della presentazione del suo successore segnava la fine di una tradizione importante per ciascuno di loro. Avrebbero dovuto discutere di chi mandare in quella zona per evitare che gli sciacalli approfittassero dell’assenza di un Maestro e riempissero i non esperti del settore di bacchette scadenti. C’era anche da decidere se, visto che avevano corso il rischio di perdere anche Olivander, non fosse il caso di diventare meno severi e permettere che ci fossero più Maestri per evitare che la loro arte morisse.
Questi e molti altri erano i pensieri del mago inglese, mentre osservava le candele accese; davanti al piccolo podio da cui si sarebbero espressi gli oratori, infatti, era stata creata una splendida composizione di candele bianche, tutte accese, tra cui spiccavano quattro ceri più grandi di colore rosso sangue, ancora spenti. Uno per Gregorovitch, uno per sua moglie, uno per ciascuno dei suoi bambini.
Tutti assassinati. Olivander deglutì e distolse lo sguardo, infastidito. Non riusciva a togliersi un pensiero dalla mente: era colpa sua, se erano tutti morti? Lui aveva confessato all’Oscuro Signore dove cercare la Bacchetta di Sambuco, mandandolo direttamente dalla famiglia del mago. Se avesse taciuto, se fosse riuscito a resistere…
Fortunatamente, i suoi sensi di colpa furono zittiti dall’officiante che annunciava l’inizio della celebrazione.
La cerimonia fu breve, si elencarono i pregi e le onorificenze ottenute da Gregorovitch e si ribadì l’importanza di impedire che altri Maghi Oscuri salissero al potere, per evitare che altri innocenti morissero in simili conflitti. Ci fu un minuto di silenzio per le vittime, in cui una ragazza bionda si avvicinò al podio e con un tocco di bacchetta accese i quattro ceri rossi. Un altro movimento del polso, e le altre candele si spensero. Qualche parola dell’officiante ancora, e si decretò la fine della funzione; l’assemblea si alzò in piedi e chi lo desiderava portò dei fiori davanti, in segno di rispetto. Quelli dei fabbricanti di bacchette erano cinti da uno spesso nastro dorato con decori che rappresentavano la loro professione.
Ci sarebbe stato un piccolo banchetto, per omaggiare gli ospiti giunti da tanto lontano, perciò la maggior parte dei presenti si allontanò subito.
Olivander stava ancora fissando i ceri rossi, quando una voce a lui nota lo salutò.
«Signor Olivander, salve. Come si sente? La trovo molto meglio da quando ci siamo visti l’ultima volta».
Harry Potter. Ma certo, anche l’Eroe del mondo magico partecipava alla funzione. Il mago aveva letto sul giornale che il ragazzo aveva dichiarato di aver visto l’Oscuro Signore che torturava e uccideva prima la famiglia e poi lo stesso Gregorovitch, in sogno. Immaginò che per lui si trattava di un dovere essere lì quel giorno.
«Mi sto riprendendo, per fortuna sono tenace» rispose tranquillamente cercando di non mostrare il suo disagio. «È venuto da solo?»
Ora era il ragazzo a sentirsi in imbarazzo: «Sì, i miei amici… A dire la verità non capiscono perché sia qui oggi».
Olivander comprese e sorrise appena. «Non si deve sentire in colpa, signor Potter, lei non ha alcuna responsabilità. Non poteva salvarli, ma aver visto la loro morta l’ha aiutata a comprendere come sconfiggere l’Oscuro Signore».
Avrebbe voluto riuscire a dire anche a se stesso una frase del genere…
La sua assoluzione, tuttavia, non sembrava abbastanza, perché il ragazzo cercò di spiegarsi meglio, quando la voce burbera di Jusupov li interruppe. «Scusatemi, ma Olivander è richiesto altrove», borbottò in un inglese un po’ stentato il mago da sotto i suoi folti baffi.
«La mia corporazione si è riunita qui anche per discutere di affari, signor Potter, voglia scusarmi» completò l’interessato con un lieve cenno del capo per congedarsi.
«Certamente, scusate voi se ho disturbato», si schermì il ragazzo arrossendo. Che buffo, aveva salvato il mondo ma era in crisi per un breve scambio formale. Harry Potter fece per andarsene, quando si fermò, sorpreso. «Signor Olivander, lei sa chi è la ragazza che ci sta fissando?»
Il fabbricante di bacchette si voltò e osservò per un attimo la giovane strega dai capelli biondi.
Era la ragazza che aveva acceso i ceri e davvero li stava fissando con una strana espressione, come se la loro vista la disturbasse.
«No, non l’ho mai vista in vita mia», rispose poi cautamente, cacciando indietro un pensiero che gli era balenato indietro. Aveva lo stesso taglio degli occhi di Gregorovitch, e la gobba del naso, un poco aquilino… Non era possibile.
La donna se ne andò senza dire una parola, abbandonando la celebrazione con una certa fretta.

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Capitolo 2
*** La corporazione ***


Mentre il rinfresco procedeva, i fabbricanti di bacchette si ritirarono nella casa di Gregorovitch, che era giusto lì vicino, e si chiusero nel suo vecchio studio a discutere.
Olivander si avvicinò al giovane italiano, Marco della Masca. Conosceva suo padre dai tempi dell’apprendistato ed era uno dei pochi Maestri che osava chiamare amico, perciò vedere il figlio lo aveva un po’ intristito, non potendo scambiare quattro chiacchiere col vecchio Sallustio. «Sono felice di vederti», lo salutò in ogni caso, sforzandosi di considerarlo suo pari e di non pensare a quand’era bambino, «come sta tuo padre?»
Il ragazzo sorrise e si scosse i capelli con una mano. «Oh benone, signor Olivander, ma ha preferito mandare me perché facessi esperienza. È la mia prima riunione tra i Maestri…»
«E non dovresti essere qui», lo interruppe Jorgensson, l’alto svedese dai capelli chiarissimi. «Non sei stato ancora presentato ufficialmente alla corporazione, e il titolo di Maestro spetta ancora a tuo padre».
«Fatti gli affari tuoi, Jorgensson», rispose Marco piccato, «sei l’unico che ha da dire».
«Un bambino intestardito a creare bacchette brutte e poco funzionali non dovrebbe neanche sognarsi di presenziare a una discussione ufficiale dei fabbricanti della corporazione, è questo quello che penso».
«Abbiamo capito come la pensi, Jorgen Jorgensson», disse severo Olivander mettendosi in mezzo e calcando sulla pessima scelta di nomi del padre del collega scandinavo, «però il ragazzo è qui e nessun altro si sta lamentando, perciò taci. Che intende dire con brutte bacchette?», domandò poi a Marco.
Il ragazzo aprì la borsa che aveva portato con sé ed estrasse il suo ultimo lavoro con aria orgogliosa: era una bacchetta piuttosto strana, per il gusto estetico di Olivander, che non riuscì a non dare ragione a Jorgensson. Il legno usato non era stato trattato per eliminare le imperfezioni, era pura corteggia nodosa e contorta, tanto che l’oggetto sembrava coperto da grosse verruche.
«Legno di ulivo, è una mia idea: papà non approva, ma i miei esperimenti finora hanno dato risultati interessanti», esclamò Marco. «Non l’abbiamo mai usato perché deve essere stagionato nella giusta maniera, altrimenti è intrattabile, ma…»
«Perdonami, Marco, ma credevo che avessi letto i testi fondamentali della nostra professione. Il De figuris et lines circa, tuo padre possiede anche l’originale!», esclamò Olivander quasi sorpreso dall’orrore che il giovane della Masca gli aveva mostrato. «L’importanza di conferire alla bacchetta una forma lineare e congruente perché l’energia magica del proprietario sia catalizzata correttamente, senza contare i risultati di un’anima non distribuita correttamente per tutta la lunghezza dello strumento. Sono le basi, ragazzo mio».
«Ovviamente, ma non sarebbe l’ora di provare qualcosa di nuovo?», domandò il ragazzo come se fosse ormai stanco di sentirsi rivolgere quella domanda. «Ho apposto dei piccoli incantesimi per controbilanciare la forma meno semplice e i nodi svolgono una funzione di serbatoio, così da poter aiutare il mago che impugna la bacchetta quando esso comincia a non avere più energia. Non ho preso il primo ciocco di legno che mi è apparso intrigante, signore».
Olivander era sorpreso da tanta passione, e le idee di Marco non sembravano sbagliate. «Ne parleremo dopo», ammise con più indulgenza, «ora entriamo».
La casa di Gregorovitch era piccola e in linea con l’architettura dell’Europa dell’Est, perfettamente inserita nel quartiere in cui si trovava. Il negozio in realtà si trovava a Sofia, nella obština magica, ed era già stato controllato da Jusupov prima di recarsi alla cerimonia.
Entrando, i fabbricanti di bacchette non badarono al salotto in disordine né ai segni di lotta che apparivano chiari ai loro occhi e proseguirono fino al retro della casa, dove si trovava il piccolo studio del defunto: un ampio tavolo scuro molto usato e molti armadi, ma nessun segno di attività recente.
«È piuttosto macabro, qui, se pensiamo a quello che è successo…», osò dire il giovane italiano dando un’occhiata intorno.
Jusupov gli scoccò un’occhiata severa: «Sciocchezze, se siamo venuti a questa ridicola funzione era solo per poterci riunire qui senza dare nell’occhio. Serena, guarda quante bacchette sono ancora qui e quante vale la pena recuperare».
La ragazza con l’ampia gonna da zingara annuì e si mise ad aprire cassetti e armadi alla ricerca di tutte le bacchette salvatesi. Olivander assistette con un certo disagio, sentendosi suo malgrado un ladro. Non c’era rimasto molto, poterono constatare: la maggior parte dei prodotti di Gregorovitch era sparita, probabilmente portata via da delinquenti qualunque per rivenderle.
«Anche se forse l’Oscuro Signore ha mandato i suoi sgherri qui a rifornirsi, dopo che sono fuggito», mormorò appena il mago inglese.
Olivander non riteneva una perdita che i frutti di tanti anni di duro lavoro del suo collega fossero andati perduti: Gregorovitch aveva una tecnica particolare che gli diceva nulla, creava bacchette troppo spesse e dalle proporzioni sbagliate. Nemmeno lui sembrava aver troppa confidenza con gli autori classici, pensò guardando di sottecchi il giovane della Masca.
Tuttavia, la sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco che provava da tempo non voleva lasciarlo in pace.
«Alors, miei cari, possiamo sapere quale bisogno c’era di riunirci qui con tale fretta?»
Madame de Guise, un altro personaggio che Olivander non sopportava. Trovava disdicevole che un Maestro avesse scelto come successore una donna così frivola e civettuola, non era adatta al compito. Evidentemente la sua faccia era più espressiva di quanto non credesse, perché la strega lo fissò per un attimo e scoppiò a ridere.
«Insomma, monsieur Olivander, non sarete ancora sconvolto per quel capello di Veela!»
Anche qualcun altro scoppiò a ridere, Jorgensson lo svedese e il suo amico di Berlino, Güstav, segno che la vicenda non era stata dimenticata. Olivander si gonfiò di rabbia, offeso: qualche anno prima, aveva scritto a diversi colleghi con un tono un po’ troppo infervorato chiedendo se era accettabile che una Maestra si abbassasse a usare anime così poco nobili e potenti per le sue creazioni. Il suo richiamo a non sperimentare in maniera pericolosa e poco etica era diventato presto una barzelletta, tra i suoi colleghi.
Un capello di Veela, ricordava benissimo la pesa delle bacchette per il Torneo Tremaghi.
«Affatto, sebbene sia ancora convinto che un simile ingrediente magico sia assolutamente inadatto per creare bacchette forti e affidabili», rispose mantenendosi calmo.
In effetti, la proprietaria di quella bacchetta era poi stata la peggiore al Torneo, ma di certo tra le due cose non poteva esserci un nesso.
Madame de Guise sogghignò prima di sistemarsi la frangetta con le dita. «È venuta da me la nonna, quella completamente Veela, e si è strappata davanti a me i capelli per creare le bacchette per le sue nipoti. Pensava che con una simile anima, sarebbero state più efficaci nel catalizzare l’energia magica delle due ragazze, temeva che il loro sangue misto…»
«Adesso basta! Non siamo qui per discutere di capelli di Veela», tuonò Jusupov che, com’era sua abitudine, sfruttava l’età avanzata per fare la voce grossa tra i colleghi. «Abbiamo questioni ben più serie da affrontare, se non ricordo male. Mi meraviglia, Madame de Guise, che chiediate il motivo per esserci trovati qui».
La donna sembrava confusa. «Ma certo, la commemorazione di Gregorovitch», provò a rispondere, ma evidentemente non era quanto il vecchio fabbricante si aspettava di sentire, visto che sbuffò sonoramente.
«Non la commemorazione, la morte di Gregorovitch, signora. Sono davvero il solo a essere preoccupato per questa perdita? Un’ampia regione d’Europa al momento non ha un Maestro, e una tradizione secolare è morta con il nostro collega. Davvero questi fatti non turbano nessuno di voi?»
Olivander si sentì quasi un veggente per aver indovinato alla perfezione cosa agitava davvero Jusupov. «Che cosa suggerisci, uno di noi dovrebbe spostarsi qui per un po’, tanto per coprire l’emergenza?», domandò cercando di mantenersi calmo.
«Ci ho pensato, ma così sposteremmo soltanto il problema», gli rispose Jusupov. «A meno che il figlio di della Masca non si offri, è l’unico allievo già formato e pronto per un impegno del genere in tutte le nostre botteghe».
Marco sembrò un poco sorpreso. «Io? Ma come, non sono ancora stato presentato, non sono…»
«È una situazione di emergenza: ho parlato con tuo padre e si è detto disponibile a prestarti alla corporazione per qualche tempo. Se accetti, nel momento in cui ci sarà un nuovo apprendista da destinare a questa regione sarai immediatamente riconosciuto come Maestro, anche se non è ancora arrivata l’ora di Sallustio».
Il colore sparì dal volto del ragazzo, che sembrava non voler pensare a cosa davvero significava diventare un membro della corporazione. Il titolo di Maestro era unico e, in genere, legato alla zona geografica. Così come l’Europa era divisa per aree d’influenza – oltre che per stati sovrani – ognuna intorno a una scuola, che rimaneva il centro del sapere magico, nello stesso modo i fabbricanti di bacchette evitavano di darsi fastidio a vicenda occupandosi soltanto della propria regione.
Non era solo una questione di rispetto della concorrenza: la regola della corporazione prevedeva che in ciascuno di questi territori vi fosse sempre un solo Maestro vivente, perciò fino a che il vecchio della Masca non fosse morto, per Marco non vi era possibilità di essere riconosciuto dagli altri come un pari.
Sallustio stava preparando suo figlio perché fosse un buon successore, non un collega, ma l’idea di poterlo vedere in azione sul serio doveva essergli piaciuta subito, pensò Olivander, era così fiero di suo figlio. Chissà se tale opinione era rimasta tale dopo quelle orrende bacchette nodose, doveva scrivergli per avere sue notizie.
«La questione è se non sia il caso di riscrivere le regole», disse con un accento molto marcato il greco, Mercouris. «Conviene davvero rimanere in così pochi? Nessuno di noi ha apprendisti, in questo momento, e l’età media… È molto alta. Senza offesa, colleghi».
Olivander si sentì chiamato in causa ma cercò di non prenderla a male. Era vero, la maggior parte di loro era anziana e l’unico abbastanza sveglio da prepararsi per il futuro era stato Sallustio. E se lui stesso avesse perso la vita durante la prigionia a Malfoy Manor? Avrebbe lasciato la sua bottega e dodici secoli di tradizione a discrezione di quegli strani soggetti che doveva chiamare colleghi.
Non avrebbe più potuto permettersi un rischio simile: appena tornato a casa, avrebbe fatto una visita a Hogwarts per cercare nuovi allievi.
«Riscrivere le regole, Mercouris? Vallo a dire alla Confederazione Internazionale dei Maghi e penseranno che vogliamo di nuovo conquistare il mondo come i nostri antenati nel 1345», sbuffò Jorgensson. Era vero, molti secoli prima i depositari della conoscenza necessaria a creare l’arma fondamentale per un mago avevano tentato di ottenere il controllo di mezza Europa. Da allora la corporazione era sempre sotto controllo: nessuno s’impicciava nei loro affari, eppure c’era tutto un lungo codice a cui dovevano attenersi.
Olivander, tuttavia, non aveva voglia di sentire discorsi che rischiavano di sfociare nella pura burocrazia. Aveva una sorta di conto in sospeso che voleva sistemare prima di ripartire.
«Credo che sia meglio parlare delle priorità: anche inviando Marco qui per un po’, chi lo sostituirebbe? Gregorovitch è morto e non c’è neanche mezzo allievo che possa prendere il suo posto», rimarcò per l’ennesima volta con l’amaro in bocca. E la colpa di tale situazione era sua.
Jusupov scosse il capo: «Per questo abbiamo già una soluzione, amico mio. Entra pure», aggiunse rivolto a una porta secondaria a cui nessuno, fino a quel momento, aveva fatto caso. Inaspettatamente, comparve la ragazza bionda di poco prima; a quella distanza era impossibile non notare la somiglianza con Gregorovitch.
«Signori, questa deliziosa signorina è la figlia maggiore di Gregorovitch. Si chiama Jurga e ha chiesto di essere addestrata per prendere il posto di suo padre».
Dal capannello di maghi si udirono molte voci, diverse protestavano e le altre sembravano sorprese. «Nessuno l’ha mai sentita nominare, da dove salta fuori questa ragazza?», domandò qualcuno alle spalle di Olivander.
«Mio padre parlava poco della sua famiglia, e ancor meno di me, specie da quando mi ero rifiutata di seguire le sue orme», spiegò la giovane strega, «ma la sua morte e quella di mia madre e dei miei fratellini mi ha fatto cambiare idea. Vorrei portare avanti la tradizione della mia famiglia, così non ci sarà neanche bisogno di cambiare l’insegna a Sofia».
Olivander chinò il capo per evitare lo sguardo severo della ragazza, certo che fosse rivolto espressamente a lui. Che sapesse cos’era successo nei dettagli, a chi attribuire le responsabilità della sua perdita?
Jusupov, invece, sembrava divertito dalla reazione che aveva scatenato nella stanza. Spiegò che Jurga gli aveva scritto perché era l’unico di cui aveva trovato l’indirizzo nelle carte del padre, e che trovava ragionevole che fosse lei a sostituire Gregorovich.
«Le serve solo un Maestro che le insegni la nostra onorata professione», concluse con un mezzo sorriso, «ci sono volontari, signori?»
Sembrava quasi una sorta di riscatto, quello che gli stava venendo offerto. Prima di poterci pensare con maggiore tranquillità, Olivander fece un passo avanti.
«Io».

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Capitolo 3
*** Ritorno a casa ***


Era stato detto ben poco d’interessante a quel consesso voluto a tutti i costi da Jusupov, oltre all’assegnazione di Jurga Gregorovitch a Olivander come apprendista. Si finì a discutere di questioni inutili – com’era anche solo pensabile volere dieci Maestri in ogni paese, pensò Olivander, di cosa avrebbero vissuto facendosi una concorrenza tanto spietata? – e a litigare, ragion per cui il mago inglese levò le tende anche prima del previsto.
Con la ragazza alle spalle, tornò nell’edificio in cui si era tenuta la commemorazione alla ricerca di qualcuno che avesse una Passaporta pronta a tornare dalle parti di Londra e che potesse dare un passaggio a lui e alla sua nuova protetta.
«Mi dispiace molto, per la tua famiglia», disse a un certo punto, poiché ancora non avevano spiccicato parola. «Deve essere orribile ritrovarsi soli».
«Mio padre mi ha cacciato quando ho rivelato di non essere interessata a imparare la sua professione. È successo sei anni fa, il minore dei miei fratelli non era nemmeno nato», sibilò la ragazza. «Sono sola da tanto tempo, signor Olivander».
«Devo chiarire una cosa: trovo ammirevole che tu voglia rendere omaggio a tuo padre e imparare il nostro mestiere, ma l’arte delle bacchette non è semplice, né alla portata di tutti. Deve esserci interesse, devi avere passione per quello che fai. Difficilmente potrò insegnarti qualcosa, altrimenti».
Era duro, eccessivamente forse visto il grave lutto che la giovane Jurga stava affrontando, eppure doveva comportarsi in quel modo: era già stata scelta come futura Maestra, non poteva creare una fabbricante negletta.
«Signor Olivander», ripeté con la stessa cadenza di prima, un misto di disprezzo e compassione, «io voglio imparare e capire perché tutta la mia famiglia è stata uccisa per una bacchetta. Non ho chiesto niente per me, né vendetta né giustizia, visto che a quanto pare il signor Harry Potter ha già praticato entrambe sull’assassino, ma le domando questo ora. Se il lavoro di mio padre era così importante da causare la morte di mia madre, che pur essendo una strega capiva ben poco di magia, e dei miei fratellini… Se era così importante allora non voglio che muoia con loro».
Senso di colpa, capì il mago. Tutti ne erano affetti in quel luogo, a quanto pareva. La ragazza era incredula al pensiero di essersi salvata, lei, la pecora nera della famiglia. Non sapeva spiegarsi perché.
«Va bene, ma una volta arrivati a casa mia dovrò verificare le tue abilità. Purtroppo il sangue non garantisce niente».
Olivander era sorpreso nel pronunciare una frase del genere. Era un Purosangue e, pur non facendo discriminazioni nel lavoro, si era sempre sentito superiore a molti dei suoi clienti che varcavano la soglia della sua bottega con un’aria sbigottita, appena piombati in un mondo che credevano non esistesse. Da quando era stato imprigionato, tuttavia, le cose erano cambiate così come il suo modo di vedere il mondo: lui era un Purosangue, dunque perché era stato rapito e torturato in quel modo?
Il sangue non garantisce più niente, non vale più niente.
«Signor Potter», esclamò come risvegliandosi da uno stato di trance e notando il ragazzo più famoso del mondo magico che si guardava intorno abbastanza confuso. «finalmente una faccia amica».
«Questo lo dico io, sono stato assediato da due giornaliste bulgare che credo potrebbero fare concorrenza a Rita Skeeter e… Oh, salve», disse notando solo in quel momento la presenza di Jurga.
«Salve, signor Potter, sono lieta di fare la sua conoscenza. So che forse nel mare delle congratulazioni che ha ricevuto in questi ultimi giorni, i miei ringraziamenti conteranno ben poco, ma vorrei porgerli lo stesso. Le sono grata di aver ucciso quel miserabile assassino».
Harry Potter era ancora più confuso, glielo si leggeva in fronte. Olivander comprese: sembrava quasi che per la ragazza non contassero tutte le vittime dell’Oscuro Signore, i morti caduti per mano sua o dei suoi seguaci, le vite spezzate. Lord Voldemort per Jurga era semplicemente l’uomo che aveva ucciso la sua famiglia, tutto qui.
«Le presento Jurga Gregorovitch, signor Potter, l’unica sopravvissuta della famiglia. Era lontana da casa e si è salvata», spiegò per far comprendere la situazione anche al malcapitato eroe. «Posso essere maleducato e chiedere quando si attiverà la sua Passaporta per il ritorno? È imbarazzante, ma ho dimenticato di richiederne una: credevo che la discussione con i miei colleghi sarebbe stata molto più lunga».
«Tra pochi minuti, ho un incontro con il nuovo Ministro a Londra tra un’ora», rispose Harry con un certo imbarazzo. Olivander inarcò le sopracciglia: aveva letto sui giornali che il giovane eroe era piuttosto restio ad adempiere i nuovi impegni che il mondo magico gli aveva scaricato sulle spalle. Probabilmente aveva immaginato che una volta sconfitto il nemico avrebbe potuto ritirarsi a vita privata, finire la scuola ed essere una persona comune, ma il resto della Gran Bretagna magica aveva idee diverse a riguardo. Come eroe, doveva fare apparizioni pubbliche e occuparsi in prima persona della ricostruzione.
Era solo un ragazzo di diciassette anni, sembrava dire, non era pronto né qualificato per certe cose. In un’intervista recentemente aveva dichiarato di voler tornare a Hogwarts per frequentare il settimo anno, perché in confronto la scuola sembrava il paradiso.
«Speravo che il Ministro Kingsley intervenisse alla funzione», confessò Olivander, «in fondo la famiglia Gregorovitch è morta…»
«È stata l’ossessione di mio padre a portare la morte in casa mia», lo interruppe Jurga fissando un punto vuoto di fronte a sé. «Se non fosse stato così fissato con quella dannata bacchetta e non l’avesse detto mezzo mondo, nessuno sarebbe arrivato fin qui a uccidere».
Il fabbricante di bacchette si morse la lingua, cercando di dissimulare il suo malessere. Gregorovitch non aveva raccontato a tutti la sua scoperta, in realtà: quando aveva comprato per pochi soldi da un povero idiota quella bacchetta, aveva tenuto il segreto per sé, come se godesse sapendo di possedere un tesoro inestimabile per le mani. Era stato solo quando Albus Silente gli aveva mostrato la Bacchetta di Sambuco che aveva vinto al suo antico compagno di studi e nemico per avere una conferma di cosa potesse essere davvero, aveva compreso. Grindelwald aveva confessato a Silente di aver rubato la bacchetta a Gregorovitch, che a sua volta si era confidato con lui, lui che aveva fatto il nome del suo collega sotto tortura.
Gli era arrivato alle labbra prima che potesse ragionare sulla condanna che stava scandendo e, da fabbricante di bacchette, aveva pensato di proteggere la Stecca della Morte e impedire che l’Oscuro profanasse la tomba di Silente. Aveva sperato che la voce della sua scomparsa fosse arrivata alla corporazione e che gli altri fabbricanti si mettessero al sicuro, ma non era stato così. Se avesse saputo dei bambini…
«Qualcosa non va, signor Olivander? La Passaporta sta per attivarsi, la tocchi».
Fortunatamente, i due ragazzi non si erano accorti di nulla. Olivander annuì e toccò la struttura di un vecchio ombrello ormai privo di tela giusto un secondo prima che quella cominciasse a bruciare. Un attimo della solita presa allo stomaco e il terzetto si ritrovò nel pieno centro di Diagon Alley.
«Un servizio a domicilio, fantastico», commentò l’uomo notando che la sua bottega era solo a pochi passi. «Ancora grazie per la cortesia, signor Potter, mi ha tolto davvero da un bell’impiccio».
«Si figuri, signor Olivander, è stato un piacere», si schermì il ragazzo, «ora devo proprio scappare, mi scusi. Arrivederci, signorina Jurga, è stato…»
Un’occhiata della ragazza bastò a impedire che facesse una pessima gaffe, vista la circostanza in cui erano stati presentati.
Il fabbricante di bacchette e la giovane strega lo guardarono allontanarsi. «È sempre così impacciato?»
«Salvo quando deve combattere i maghi oscuri, fortunatamente, ora andiamo», replicò Olivander con un mezzo sorriso, che tuttavia perse non appena tornò a concentrarsi sul suo negozio. L’insegna pendeva ancora e gli interni non erano messi meglio: i segni dell’incursione dei Mangiamorte erano ancora ben visibili, e aveva parecchio da fare per poter riprendere l’attività a tutti gli effetti.
A pensarci bene, prendere degli allievi poteva tornargli comodo in quel momento di caos. Sarebbe stato difficile lavorare a pieno regime per rimpinguare gli scaffali ormai vuoti, ma di certo gli avrebbero dato una mano. Una difficoltà alla volta, decise: entrò nel negozio e si diresse sul retro, dove si trovavano le scale che salivano al piano di sopra.
«Qui c’è la stanza degli ospiti, sistemati pure», indicò alla sua apprendista, «Jurga, non ti ho chiesto se hai bagagli… Non hai niente con te».
La ragazza scosse il capo. «Ho tutto il denaro che mi occorre, comprerò vestiti e tutto il resto nei prossimi giorni, senza fretta», rispose lei tranquillamente prima di spiegare che preferiva viaggiare leggera.
Non aveva nemmeno chiesto una mano per orientarsi. Era una persona molto indipendente e riservata, notò Olivander, che tuttavia non insistette.
«D’accordo, allora fai con comodo. Io devo fare una commissione… Tornerò prima di cena», aggiunse pur intuendo che quella notizia non avrebbe sfiorato Jurga.
Tornò di sotto e s’infilò nel camino, ricomparendo direttamente in uno dei tanti camini di servizio di Hogwarts. In passato accedere sarebbe stato più complesso, avrebbe dovuto richiedere un’autorizzazione, accordarsi il precedenza col Preside, ma con il caos dell’ultimo anno e la distruzione causata dalla battaglia finale solo poche settimane prima il mago riuscì a entrare nella più celebre scuola di magia del mondo senza problemi.
Dopo essersi scrollato dalle spalle la cenere del camino, Olivander si diresse dritto verso la presidenza e rimase stupefatto nel vedere il gargoyle che in genere proteggeva l’accesso completamente divelto dal suo solito posto. Qualcuno aveva forzato la serratura magica per entrare nello studio di Silente…
Sconvolto da quello spettacolo, il mago cominciò a salire le scale chiedendosi quanto davvero fosse ferita Hogwarts. Aveva visto le foto sul giornale, credeva di conoscere i danni subiti dalla scuola, eppure vederli coi propri occhi era un’altra questione, così come lo spettrale silenzio che si sentiva nei corridoi, in genere popolati dai ragazzi in quel periodo dell’anno.
Terminata la battaglia, infatti, vi era stata la conta delle vittime e i superstiti erano stati rimandati a casa col primo treno, poiché il castello era in molte parti inagibile, non vi era un Preside e il corpo insegnanti contava varie defezioni. La professoressa McGranitt, che aveva assunto il comando nell’emergenza, aveva spiegato che era sua intenzione riaprire a settembre e cominciare un nuovo anno scolastico senza intoppi, ma i lavori da fare erano ancora innumerevoli.
Olivander cercò di non badarvi più di tanto e raggiunse la porta dello studio, a cui bussò con scarso entusiasmo. Dall’interno, la voce severa della facente funzioni di Preside lo invitò ad entrare.
«Signor Olivander, che onore», lo salutò sorpresa. «A che devo questa visita?»
Sebbene fosse gentile, si poteva immaginare quale fosse il sottinteso: che diavolo ci faceva lì? Il mago raggiunse la scrivania e si sedette di fronte alla donna, rispondendo al saluto con deferenza.
«Sono venuto a cercare un apprendista, professoressa, vorrei che mi indicasse uno o due studenti adatti a seguire le mie orme sulla via dei fabbricanti di bacchette».
Minerva sembrò poco convinta, quasi scettica. Di certo le sue priorità erano altre in quel momento, ma Olivander non aveva intenzione di farsi dire di no.
«È un momento inadatto per una simile richiesta: avrà saputo che abbiamo interrotto i corsi e che gli studenti non torneranno a scuola prima del prossimo settembre», disse la donna con un’aria sarcastica, «le consiglio di tornare in un momento migliore».
«Non c’è momento migliore di questo, professoressa. Non avevo mai riflettuto sul tempo che mi resta e sull’importanza di preparare un giovane che mi succeda nella professione. Il mio ultimo tentativo, molti anni fa, ha creato un perdigiorno che si è rifugiato a fare bacchette scadenti in Irlanda», rispose secco il mago. «Non ho figli a cui passare la mia attività e la scarsa ospitalità di Malfoy Manor ha accorciato il tempo che mi resta da vivere, e con la morte di Gregorovitch… Devo assicurarmi che anche la tradizione degli Olivander sopravviva».
La professoressa sospirò: sapeva che la questione degli apprendisti poteva far trasformare Olivander in un insopportabile piantagrane. Non era la prima volta che si recava a Hogwarts per quel motivo, eppure tutti i precedenti aspiranti si erano bene o male rivelati inadatti. Il che aveva reso il fabbricante di bacchette lamentoso e insopportabile. «Può lasciare la sua documentazione, come tutti. Quando sarà il momento, l’anno prossimo…»
«Io non sono tutti, Minerva», sibilò il mago con la stessa espressione di quando aveva gelato una McGranitt undicenne al momento dell’acquisto della prima bacchetta. «La mia situazione è particolare, non mi posso permettere di perdere tempo a provinare chissà quanti studenti mediocri prima di trovare quello più giusto».
«Con quello che è successo, dovremmo ritenerci fortunati ad avere ancora degli studenti», sbottò lei alzandosi dalla sua poltrona e raggiungendo la finestra. In lontananza s’intravedeva la tomba bianca e la donna sospirò più forte.
Olivander cercò di moderarsi, consapevole di dover usare le parole giuste. «Cerco un ragazzo brillante ma non troppo popolare, magari orfano», aggiunse pensando che in questo modo l’adozione sarebbe stata più semplice.
Era abitudine dei fabbricanti della corporazione adottare gli eredi designati, se questi non erano dello stesso sangue, per mantenere la tradizione del nome. Era quella che contava, non il singolo fabbricante, che era solo lo strumento per mantenere viva un’arte antichissima.
Tuttavia, la McGranitt non sembrava volergli dare retta. «Magari anche Purosangue, sì? O devo selezionare solo maschi? So che è tra i più accaniti critici delle donne nel suo settore».
Era vero, non solo per la dubbia qualità delle bacchette di Madame De Guise, fatte con anime mediocri. Olivander era all’antica, era stato educato così e non aveva la minima intenzione di cambiare all’età che aveva raggiunto. Jurga era una questione a parte, se era la discepola voluta da Gregorovitch l’avrebbe formata a prenderne il posto, così da pagare i debiti, ma niente di più e non sarebbe stata la donna che aveva di fronte a fargli cambiare idea.
Espresse quest’ultimo pensiero a voce alta, ribadendo che quello era il suo metodo, e la strega alzò le spalle replicando che non per quello doveva essere giusto.
«Minerva… Ho già una ragazza difficile a cui insegnare, un’eredità di Gregorovitch. La sola dei suoi figli che è scampata alla strage, a dire il vero. Vorrei un ragazzo perché ho già lavorato con loro, sarei più a mio agio».
Le ostilità erano inutili, comprese Minerva. Erano due vecchi stanchi e soli, non c’era ragione per darsi fastidio a quel modo. «Posso solo consigliarti qualche studente che si è già diplomato da almeno un anno e che per quel che ne so io non ha ancora scelto una carriera particolare», ammise alla fine, cercando di ricordare qualche nome. «Sempre sperando che siano ancora vivi… Questa dannata guerra! I ragazzi che avrebbero dovuto diplomarsi questo giugno ripeteranno l’anno, sa? Se riusciremo a sistemare il castello durante l’estate».
«Con lei alla guida di Hogwarts, tutto è possibile», rispose Olivander credendo davvero in quelle parole. Dall’occhiata che gli lanciò, tuttavia, la donna non sembrò particolarmente convinta della sua sincerità.
«Non sono un Preside, non mi ritengo all’altezza… Gestirò il periodo di emergenza, ma poi mi ritirerò. Forse abbandonerò del tutto l’insegnamento, non ho ancora deciso».
Il mago comprese: ricordava che la McGranitt era stata colpita da diversi Schiantesimi qualche anno prima da cui forse non si era mai completamente ripresa, e anche la battaglia non doveva aver contribuito a migliorare la sua salute. Ma non era tutto lì, lo sentiva.
«Ho protetto la scuola di Albus», spiegò infatti lei, quasi gli avesse letto nel pensiero, «ho fatto quello che ho potuto per tenere al sicuro i nostri studenti. Forse è il momento che lasci spazio a nuovi insegnanti».
Era amaro sentire una donna che aveva diversi anni in meno di lui essere così pronta a farsi da parte: era davvero finita per loro, dovevano dare fiducia a una nuova generazione e ritirarsi? Gregorovitch era andato in pensione, limitandosi a vendere le tante bacchette prodotte in anni e anni di lavoro senza produrne di nuovo, eppure aveva fatto una fine davvero pessima.
Non voleva pensarci. «Allora, questi nomi?»
«Se vuole segnarli su pergamena…», gli rispose Minerva passandogli una penna e un foglietto, «Le consiglio Stebbins, è figlio di un Babbano che fa la guardia forestale, conosce molto bene gli alberi e le piante».
Era una buona idea, pensò Olivander, e quando sentì che il ragazzo era stato a Tassorosso se ne convinse ancora di più. Tuttavia, non bastava.
«Interessante… Ma è più importante che chi sceglierò sappia mantenere i segreti del mestiere anche a costo della vita o sotto la tortura più crudele».
Non come me, ammise solo con se stesso.
La professoressa sembrò avere la risposta, da come le brillarono gli occhi. «Ho la persona che fa per lei».

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Capitolo 4
*** In quattro sotto un tetto... O forse no? ***


Ci volle una decina di giorni per recuperare i recapiti dei due ragazzi che Olivander aveva deciso, su consiglio di Minerva McGranitt, di visionare per un eventuale periodo di apprendistato nella sua bottega.
In realtà, a pensarci meglio, il mago si sorprese di averci messo così poco: il Ministero era ancora nel caos, malgrado l’azione tempestiva e pratica degli Auror che, guidati dal nuovo Ministro, avevano fatto pulizia degli ultimi Mangiamorte e dei simpatizzanti estremisti, salvando quante più carte e documenti avevano trovato. Se qualcuno aveva consigliato di dimenticare al più presto gli orrori che si era perpetuati in quel palazzo che avrebbe dovuto essere il simbolo dell’ordine e della giustizia, Kingsley e i membri sopravvissuti dell’Ordine della Fenice con lui si erano rifiutati. La gente doveva sapere e ricordare, per cui le prove andavano preservate, così che quei fatti non fossero mai dimenticati o ripetuti.
Quel giovane di colore prometteva bene, pensò Olivander, sembrava avere la testa sulle spalle. Di certo avrebbe fatto molte cose positive per il loro paese martoriato da mesi di anarchia violenta e senza regole.
Per quanto lo riguardava, tuttavia, sulle prime riuscire a trovare una sorta di archivio anagrafico era stato quasi impossibile, ma muovendo tutte le conoscenze che aveva in giro e mandando gufi a tutti i contatti che era riuscito ad avere dalla professoressa McGranitt, alla fine era riuscito a contattare i due ragazzi che erano stati selezionati per lui.
Con Richard Stebbins non aveva avuto problemi: il ragazzo sembrava davvero un esperto sugli alberi e sui vari tipi di legno, sapeva riconoscerli a colpo d’occhio, perciò sarebbe stato avvantaggiato negli studi della sua arte.
In più, era un giovane molto solare e sicuro di sé, doti non trascurabili in un periodo come quello in cui stavano vivendo: aveva fatto esperienza della crudeltà dei Mangiamorte in prima persona, essendo stato convocato al Ministero per giustificare il proprio impuro albero genealogico e salvarsi dall’atroce condanna del Bacio dei Dissennatori. Richard gli aveva raccontato tutto con tranquillità e controllo di sé, anche riferendosi al padre che, su suo consiglio, era scappato nei boschi di cui era stato il guardiano per tanti anni a nascondersi, per la sicurezza della sua famiglia. Era una storia comune, ormai, ma il signor Stebbins fortunatamente conosceva la foresta come le sue tasche ed era riuscito a salvarsi e a tornare a casa incolume.
A Olivander era bastato un quarto d’ora circa per capire che il carattere del ragazzo era esattamente quello che cercava in un apprendista, perciò lo aveva invitato a trasferirsi nella sua bottega il prima possibile per cominciare il periodo di studi alle sue dipendenze.
Diversa era la questione della seconda candidata… Olivander non era ancora convinto su di lei: era bastata un’occhiata per capire come mai, secondo la McGranitt, la ragazza aveva imparato sulla propria pelle l’importanza di mantenere i segreti altrui, ma del resto la scritta SPIA composta da pustole violacee che sfregiava il suo giovane viso non passava inosservata.
Marietta Edgecombe… Il mago si passò una mano sulla fronte al pensiero: nonostante il suo passato di Corvonero e gli eccellenti voti in Incantesimi la rendessero un’eccellente candidata, quella maledizione di cui era vittima e la reazione emotiva che ne era conseguita non lo convincevano molto. Sarebbe stata in grado di avere a che fare col pubblico, o con quegli avvoltoi degli altri fabbricanti di bacchette?
Erano anche quelli lati importanti del mestiere, perché chi non sapeva vendere non mangiava, e Olivander voleva tirare su degli apprendisti che sapessero affrontare quel vecchio squalo di Jusupov, che da troppo tempo si credeva il padrone della corporazione come se gli altri non fossero suoi compagni, ma sottoposti.
Come avrebbe potuto quella ragazzina contrastare l’odioso russo dalla lingua lunga, quando sussultava solo rendendosi conto che qualcuno la stava osservando in volto?
Il mago sospirò: a parlare di Incantesimi e di tecniche, Marietta era capace e preparata, una brava Corvonero, e soprattutto era interessata al lavoro degli artigiani come lui, eppure era così timida e sensibile…
Non poteva fare altro che metterla alla prova, anche perché all’annuncio che aveva messo sulla Gazzetta del Profeta una decina di giorni prima non aveva ancora risposto nessuno.
Perciò ecco Olivander tornare a casa seguito dai suoi nuovi apprendisti, che era andato a prendere al Paiolo Magico personalmente prima di presentarli alla sua altra ospite.
«È sicuro che non preferisca lasciarci prendere una camera al pub, signor Olivander? Per me non è un problema, e poi ci vogliono solo un paio di minuti per arrivare in negozio», domandò Richard con un sorriso.
Era un bel ragazzotto, dalla corporatura robusta e un viso affascinante, ma il mago scosse il capo. «No, anche se per qualche tempo dovremo stringerci un poco, preferisco che viviate davvero a bottega. Il mio legale passerà domani per ufficializzare la vostra associazione al mio lavoro, così che risultiate davvero come i miei apprendisti. Sarà tutto più semplice, anche organizzare le ovvie lezioni all’aperto, che richiederanno delle levatacce».
Marietta non diceva nulla: aveva accettato la sua offerta senza praticamente fare domande su quali sarebbero stati i suoi compiti, cosa avrebbe dovuto studiare, quali fossero le sue possibilità concrete di diventare la prossima Olivander. Nessuna reazione, quasi non le importasse: sarebbe stato necessario molto lavoro con lei, pensò il mago, ma preferì scansare l’eventualità, almeno per il momento. La presenza di Richard sembrava infastidirla solo perché era un bel ragazzo che la degnava di attenzioni da lei non richieste, non come un rivale. Gli aveva a malapena stretto una mano, mormorando dietro al suo spesso foulard disegnato a fatine colorate un misero mi ricordo di te, distogliendo poi lo sguardo, imbarazzata.
Sì, decisamente sarebbe stato necessario parecchio lavoro…
«Jurga, sei in casa?» domandò il signor Olivander col viso rivolto verso il piano di sopra, non sorprendendosi per la mancanza di una risposta. Le aveva lasciato diversi compiti da svolgere in casa, a cui lei aveva sbuffato, visto che si trattava di faccende di casa, e non c’entravano affatto con il loro mestiere, non per ultimo quello di cucinare.
Lo scopo in realtà era di tenerla dentro casa almeno un paio d’ore di seguito, ma il mago si chiese perché ci aveva provato, visto che la ragazza sembrava più interessata a fare la turista a spasso per la Londra babbana, piuttosto che a mettersi seriamente al lavoro per imparare l’arte dei fabbricanti di bacchette.
Scosse la testa, ancora una volta, cominciando a chiedersi se il bel faccino della giovane Gregorovitch e lo spropositato senso di colpa che aveva nei suoi confronti non l’avessero fregato per bene, quando la chioma chiara della giovane fece capolino in cima alle scale.
«Ah siete qui», esclamò Jurga prima di afferrare l’asciugamano che aveva sulle spalle e usarlo per strofinarsi i capelli bagnati. «Io ho cucinato come mi ha chiesto, signor Olivander, ma non si lamenti del risultato. Non sono mica uno chef solo perché sono una donna! Allora, chi sono i misteriosi ospiti?»
Il signor Olivander scosse la testa – potevano sempre uscire e cenare al Paiolo Magico, in caso di necessità – e prima di appendere il cappotto al gancio vicino all’ingresso fece segno di entrare ai due ragazzi che lo seguivano.
Non aveva parlato con la ragazza della sua intenzione di portare a casa altri apprendisti, quasi non le dovesse interessare. In fondo, perché avrebbe dovuto essere diverso? Jurga era solo di passaggio, non aveva interesse né possibilità di ereditare la sua bottega, perciò Olivander non si era posto problemi.
«Jurga, questi sono Richard Stebbins e Marietta Edgecombe», le disse per presentare i giovani sconosciuti. «Ti accompagneranno nel periodo di apprendistato che svolgerai con me».
«Mi accompagneranno?», ripeté la ragazza storcendo il naso, forse convinta di non aver capito bene il senso di quella parola. «Ho bisogno della bambinaia, secondo lei?»
Ecco, improvvisamente il mago ebbe la sensazione che avrebbe fatto meglio ad annunciarle questa novità.
«Ho semplicemente pensato a tutta la discussione che abbiamo avuto con gli altri Maestri e ho capito che è il momento giusto per pensare al futuro del mio negozio, oltre che al tuo, tutto qui».
Jurga non sembrava molto convinta, almeno dall’espressione che stava mostrando. «Non ha mai avuto apprendisti in tutti questi anni e improvvisamente vuole riempirne la casa?»
Era maleducata apposta, Olivander lo comprese subito, ma decise lo stesso di tenerle testa.
«Ho avuto degli apprendisti, in passato, anche se si sono rivelati delle totali delusioni. Questa volta andrà meglio di certo», aggiunse scoccando un’occhiata ai due ragazzi che sembravano visibilmente a disagio. «Non vederli come dei rivali, siete qui per motivi diversi. L’unico fastidio, per un po’… Dovrai stringerti e dividere la stanza con Marietta, almeno fino a quando non mi torneranno in mente gli incantesimi per allargare il piano di sopra senza far cadere il tetto».
Non era certo il modo per migliorare la notizia dal punto di vista di Jurga, ma ormai Olivander sapeva che aveva fatto un bel pasticcio.
Tuttavia, la giovane Gregorovitch non gli avrebbe reso facili le cose: fissò la ragazza con cui avrebbe diviso la stanza e ridacchiò malignamente. «Mi auguro che tu non sia contagiosa, almeno!», sibilò prima di sparire al piano di sopra.
Non fu necessario voltarsi a guardare Marietta per sapere quanto quel commento tagliente avesse colpito nel segno. Attaccarla sulla maledizione che le deturpava il volto era crudele: era stata Hermione Granger, così gli aveva spiegato la professoressa McGranitt, a formulare quell’incantesimo ed evidentemente nel caos della guerra e della ricostruzione nessuno aveva pensato di intercedere per lei così che la giovane amica di Harry Potter sciogliesse la magia che aveva rovinato la vita di una coetanea dalla lingua un po’ troppo lunga.
Il panico che coglieva la ragazza a ogni sguardo o a ogni parola messa lì in maniera poco rispettosa era un handicap non da poco, si ripeté una volta di più Olivander, che tuttavia non era disposto a tollerare un simile atteggiamento dalla sua ospite.
Se non ci aveva pensato Gregorovitch, allora sarebbe stato lui a insegnare a Jurga un po’ di rispetto per i suoi pari.
Si voltò verso Marietta e tentò di rassicurarla. «Farò in modo che non succeda mai più, te lo assicuro», le disse. «Aspettatemi qui, sistemerò tutto in un attimo».
Era una speranza più che una promessa, visto il caratteraccio di Jurga, eppure Olivander salì di corsa i gradini che portavano al piano superiore e si decise a non cedere.
«Non ti permetto di fare così», tuonò entrando nella stanza in cui la ragazza si stava asciugando i capelli con la magia, «sei mia ospite e hai acconsentito a essere una mia apprendista, esattamente quanto loro, perciò pretendo che tu li rispetti».
La strega, che fino a quel momento aveva fatto finta di non averlo visto, lo fissò dallo specchio con uno sguardo raggelante. «Così, nel caso io non sia all’altezza, avrà qualcuno con cui rimpiazzarmi, non è vero? Si è già stancato di me anche prima di iniziare le sue lezioni, lo ammetta!»
E ora che le passava per la testa? Olivander non capiva: ai suoi occhi, non vi erano motivi per prendersela con i due ragazzi che aspettavano al piano di sotto.
«Hai un negozio che ti aspetta a Sofia, non rimarrai qui dopo aver completato la tua formazione, ma io devo tutelare anche la mia bottega. Non sono tuoi rivali: uno di loro potrebbe diventare un tuo compagno tra i fabbricanti, tra qualche anno, e Merlino solo sa quanto è utile avere degli alleati nella corporazione!», sbottò senza riuscire a controllarsi. «Vuoi imparare qualcosa? Questa è politica: dovrai avere degli amici nel consiglio, ti servirà a portare avanti le tue idee e a curare i tuoi interessi quando si dovrà votare».
«Ho già degli amici lì dentro, Jusupov mi ha accolto in casa sua quando la mia famiglia è stata uccisa e non avevo un posto dove andare», replicò lei calcando sulla tragedia che aveva affrontato, come per far sentire colpevole il mago, che tuttavia non accettò quel comportamento.
Allo stesso modo, quelle parole fecero scattare un altro campanello d’allarme nella testa di Olivander: Jusupov aveva visto subito come trarre vantaggio dalla drammatica fine di Gregorovitch, oltre a saccheggiare il negozio e la sua casa delle bacchette rimaste, e ospitando per qualche giorno la ragazza in maniera strategica, quel vecchio furbone si era assicurato la sua lealtà. Però si era evitato la grana del suo addestramento, pensò con malignità, furioso per essersi fatto giocare in maniera così stupida.
Doveva far capire subito alla giovane che il russo si era approfittato di lei e che rischiava di concedere la sua fiducia a un individuo che non la meritava. «Se è così, perché non si è offerto di farti da Maestro? Pensaci bene, al nostro consesso ha preteso che qualcuno di noi si occupasse di te senza pensarci due volte.»
Era una verità che Jurga non voleva sentire, era chiaro dal modo in cui era sbiancata. «Lei mente, è un bugiardo!», gridò.
Olivander non vi badò, ne aveva sentite di peggiori nei mesi di prigionia.
«Inoltre, siamo molti anziani nella corporazione, lo stesso Jusupov si avvicina alla fine. Quando noi non ci saremo più, scoppierà il caos, ci sarà da riorganizzare tutto il nostro ordine: io conto su di te e su Marco della Masca, al momento, siete giovani con la testa sulle spalle e potrete portare i fabbricanti di bacchette a nuovi picchi di eccellenza».
Era la verità e il terzo anello sarebbe stato il suo successore, Richard o Marietta, se questa fosse riuscita a uscire dal guscio. Quell’alleanza, che Olivander stava progettando da quando era tornato da Hogwarts, avrebbe permesso di dare il via a un nuovo ciclo per la loro arte, così da portare una ventata di novità, idee diverse e una visione innovativa. Per troppi anni erano rimasti fermi, senza osare su nulla, e il mago temeva che la corporazione diventasse un dinosauro senza nemmeno rendersene conto.
Jurga tuttavia era troppo giovane e ostinata per comprendere che erano in ballo molte cose più grandi di lei in gioco. «E lei in cosa sarebbe diverso da Jusupov, signor Olivander? Lei che ha già deciso il mio futuro, che prevede grandi piani per me. Lei che si è salvato la vita condannando a morte la mia famiglia! Come osa anche solo pensare di essere migliore di qualcun altro?»
A quel punto, Olivander cedette. Non era questo a cui aveva pensato decidendo di prendere con sé la ragazza, né quando si era deciso a scegliere dei nuovi apprendisti. Dopo tutto quello che aveva passato negli ultimi mesi, voleva solo un po’ di tranquillità, il tempo di riaprire la propria bottega in pace e di godersi gli anni che gli rimanevano senza troppi disastri.
Non sapendo cosa fare, il mago desiderò solo di sparire. E lo fece.





Scusate il ritardo mostruoso, prometto che non mi faccio prendere dai contest per un po'!

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Capitolo 5
*** Consigli e confronti ***


 
Ferrara. Una città che gli rinfrancava il cuore da sempre.
Olivander non sapeva perché quel luogo facesse così bene al suo spirito, con le strade larghe e piane, i palazzi antichi e i portici, eppure a ogni visita si sentiva subito meglio.
Inizialmente si era spaventato, poiché per la rabbia e il panico che la discussione con Jurga aveva scatenato si era Smaterializzato per comparire a una simile distanza, quando in circostanze normali difficilmente avrebbe osato tentare tracciati ben più brevi.
Era evidente che aveva bisogno di parlare con un amico, e Sallustio era la cosa più vicina che gli veniva in mente. Si vedevano molto di rado, per i rispettivi impegni in negozio e per onorare le regole della corporazione, che prevedevano che ogni membro badasse ai propri affari senza curarsi troppo degli altri, ma ogni volta era sempre una gioia ritrovarsi.
Quando era nato Marco, Olivander aveva tenuto buono il quasi neopadre nella lunga attesa che era stata il travaglio della moglie, durante il quale Sallustio aveva rischiato di impazzire per l’ansia.
Ed ecco che il mago italiano l’aveva visto comparire davanti al suo negozio attraverso la vetrina, in pieno giorno, così era corso a prenderlo e l’aveva portato dentro, chiamando subito la moglie perché gli desse una mano.
Fortunatamente, Olivander aveva impiegato così tanta energia nella Smaterializzazione da arrivare esausto ma tutto intero. Quando si fu rimesso in piedi, dopo una bella tazza di brodo e due fette di pane croccante, il mago si scusò del disturbo e chiese di poter usare il camino per tornare a casa, ma Sallustio lo bloccò e gli propose di andare a fare una passeggiata in città, così da potersi sfogare liberamente.
Aveva saputo da suo figlio – per lettera, poiché Marco dopo la riunione dei fabbricanti non era nemmeno tornato a casa dirigendosi direttamente a Sofia – quello che era successo durante il conclave, con l’assegnazione di Jurga e il resto. Olivander era apparso un po’ reticente a parlarne, eppure aveva davvero bisogno di schiarirsi le idee.
«Non so davvero come prenderla, mi mette in difficoltà, mi attacca in ogni momento», si lamentò mentre prendevano una strada secondaria che passava tra i campi.
«Beh, Marco mi ha detto che è molto carina… Sicuro che non ti venga in mente niente? Anche se sei fuori esercizio da parecchio tempo, non dovresti aver dimenticato come si fa. È un po’ come andare in bicicletta, e qui a Ferrara ce ne intendiamo», disse Sallustio con un sorriso sornione.
All’amico inglese ci volle un attimo per capire cosa stesse insinuando tra le righe, ma quando ci arrivò si sentì perso. Fantastico, gli mancavano giusto i giochi di parole per sottintendere che si portasse a letto la ragazza, che avrebbe potuto essere tranquillamente sua nipote.
«Grazie, è proprio quello che volevo sentire», sbottò Olivander cominciando a pensare che la sua fuga non fosse stata proprio ben indirizzata!
Del resto, se la discussione con Jurga lo aveva esasperato al punto da materializzarsi alla cieca a Ferrara, esponendosi a un rischio così grande solo per parlare con Sallustio, era evidente che aveva bisogno di aiuto.
«Stai annegando nel senso di colpa, Eugene», disse a un tratto il suo amico italiano, cogliendolo di sorpresa, «anche se capisco i tuoi motivi, temo per la tua salute se continuerai così. Non puoi tornare indietro nel tempo né riportare in vita Gregorovitch».
Come se quello fosse stato il problema… Olivander scosse il capo, infastidito dal sentire il suo nome di battesimo: nessuno osava chiamarlo così, se non Sallustio, e lui ormai non vi era più abituato. «Non è per lui, lo sai benissimo. Le altre vittime, sono loro che mi perseguitano, la famiglia di Jurga. Di suo padre non le importa molto e questa è forse l’unica cosa su cui andiamo d’accordo».
I due maghi continuarono a camminare, entrambi pensierosi, e svoltarono davanti al Castello Estense, rituffandosi nel centro storico della città. Era stupefacente come i negozi magici fossero inseriti in quelle vie come se non dovessero temere lo sguardo dei Babbani, agli occhi dell’inglese: qualche semplice occultamento era imbastito intorno alle botteghe, ma per il resto erano perfettamente visibili, anzi, i non maghi entravano a comprare ricordini e prodotti non pericolosi che i proprietari vendevano insieme agli oggetti stregati.
«Hai mai pensato che senza quelle morti, forse, il vostro giovane eroe non avrebbe mai messo insieme i pezzi per risolvere il mistero? Da quello che ho letto, so che la sua mente era collegata a quella del vostro Signore Oscuro…»
«No, avrei detto io stesso a Harry Potter tutta la storia della Bacchetta di Sambuco, per metterlo in guardia dal potere che doveva affrontare».
Sallustio sembrò accorgersene: alzò un sopracciglio, come se non avesse creduto a una sola parola. «Sul serio?»
Olivander ci pensò su un attimo e fu preso dal dubbio: non aveva rivelato una parola sul segreto del Primo Dono fino a che il giovane Potter non gli aveva posto la domanda giusta, obbligandolo a parlare. E se il ragazzo non avesse avuto quelle visioni su Gregorovitch? Lo avrebbe mandato allo sbaraglio a combattere contro uno strumento potentissimo nelle mani più sbagliate?
«Mi basta la tua faccia. Ecco, è questo di cui dovresti vergognarti: aver pensato a difendere un segreto ormai caduto nelle mani sbagliate piuttosto che fornire all’unico che poteva salvare la situazione le informazioni di cui aveva bisogno».
«È quello che sono!», sbottò il mago inglese. «Un fabbricante di bacchette. Ho giurato di proteggere quei segreti. Ho ceduto sotto tortura e me ne vergogno molto, non volevo ripetere un errore senza sapere se Harry Potter fosse in grado di gestire una simile conoscenza».
Aveva riconosciuto il suo errore solo quando il ragazzo gli aveva rivelato che aveva intenzione di riporre la Stecca della Morte tra le gelide mani avvizzite di Albus Silente. Avere diritto a usare un simile strumento, il più potente di tutti, e rinunciarvi per amore di un mentore ormai perduto… Lui non ne sarebbe stato in grado, riconobbe.
«Non devi sentirti colpevole perché hai parlato: sei umano e il dolore della Cruciatus è insostenibile. La tortura… Ti porta a dire e a fare le cose più spregevoli, purché quel tormento finisca».
Erano più che parole dette così per farlo stare meglio, Olivander se ne rese subito conto: erano quelle di un uomo che aveva provato quell’esperienza terribile sulla propria pelle. Fissò il suo amico finché Sallustio non si decise a spiegare, il che avvenne solo dopo qualche minuto e con una certa reticenza.
«Ero un ragazzino, allora, e il dittatore babbano di qui voleva saperne di più sul nostro mondo, per capire se poteva trasformarci in tante piccole armi da usare in quello schifoso conflitto che poi c’è stato. Era disposto a tutto e i suoi sottoposti fecero quanto in loro potere per renderlo soddisfatto del loro lavoro».
Non aveva detto poi molto, in fondo era solo un bambino e del mondo magico non ne sapeva granché ai tempi, eppure nessuno si era fatto scrupoli sui metodi di tortura da usare su di lui, una volta riconosciuto come diverso, come stregone. Era stato fortunato perché, almeno, gli avevano lasciato stare le mani, evitando così di distruggere il suo immenso talento.
«Non me lo avevi mai detto» mormorò Olivander, quasi come a scusarsi per aver voluto sapere simili dettagli.
Sallustio imprecò: «L’unico che sa è Jusupov, e lui mi ha ordinato di non rivelare mai nulla ai colleghi per nascondere la mia vergogna. Come se lui solo fosse sopravvissuto a un regime senza scrupoli, intendimi».
Il potere di Jusupov era così grande? Olivander sospirò: quand’era un apprendista, il suo maestro gli aveva sempre ricordato di non fare mai affidamento sui fabbricanti russi, poiché erano spietati e così legati alla corporazione da essere pronti a qualunque colpo basso. Allora il suo collega era appena succeduto al precedente magister di quel paese e sembrava solo un ragazzo molto giovane e molto determinato, ma nel tempo aveva preso in mano la loro società guidandola in maniera molto discutibile. Voleva sempre avere l’ultima parola sugli apprendisti pronti a essere ordinati come membri della corporazione, sebbene non ne avesse il diritto, e trattava tutti dall’alto in basso.
La voce di Sallustio si ammorbidì, tuttavia. «Mi disprezza perché secondo lui ho messo in pericolo tutto il nostro mondo, ma io non mi sento in colpa, non avrei potuto fare altro. Sono entrato comunque nella corporazione perché Dalla Masca voleva me come suo successore e ora porterò avanti la tradizione della mia bottega, a qualunque costo. Tu farai lo stesso: con la linea di Gregorovitch che rischia di spezzarsi, dovresti ritenerti contento di non aver estinto la saggezza degli Olivander».
Come se non ci avesse pensato da solo! Ricordava benissimo quanti secoli di tradizione aveva sulle spalle e l’idea di non saper continuare la linea non lo faceva dormire la notte. «Non sono sicuro che riuscirò a trasmettere quella saggezza: i miei nuovi apprendisti sono alquanto… azzardati e Jurga si è chiusa come un Grinzafico secco».
«Metti in chiaro le cose: tu sei il suo maestro, non una figura paterna di ripiego. Trattala al pari degli altri ragazzi e non farti mettere i piedi in testa. Deve rispettarti».
«Per te è così semplice scindere le due cose? Marco è tuo figlio…»
«Non l’avrei mai preparato a rimpiazzarmi se non fossi certo delle sue capacità» specificò con una certa stizza l’italiano, infastidito dalla domanda. «Mio padre non era un Della Masca, ha sposato la figlia del suo maestro e ne ha preso il nome. Ti assicuro che non mi sarei fatto problemi ad adottare un apprendista, se nessuno dei miei figli avesse mostrato talento per la nostra disciplina».
«E le tue figlie?» domandò un po’ piccato l’altro, ricordando che Marco non era figlio unico. Lui aveva sempre creduto che le donne non fossero adatte a fabbricare bacchette, ma non era detto che si sbagliasse.
«Sono come mia madre, non sono portate: la maggiore non riesce a distinguere un albero dall’altro, si ricorda a malapena quali sono i pini perché hanno gli aghi e non le foglie, ma anche lì poi incespica sulle varie conifere. La piccola, invece, si concentra solo sull’estetica: è molto brava a trattare il legno e a modificarne le forme, ma non potrebbe mai diventare un maestro completo. Le ho insegnato l’arte del cesello e dell’intaglio e di certo in questo campo sarà un aiuto molto importante per Marco, ma non di più».
Serena e Francesca, Olivander le ricordava da bambine, quando sognavano di andare a scuola e diventare grandi streghe come il loro papà. Che la minore delle due fosse portata per un simile lavoro manuale lo sorprendeva, perché fin da piccola era sempre stata attenta a curarsi nell’aspetto: i compiti dei fabbricanti di bacchette distruggevano le mani, anche se si usava moltissimo la magia.
Aveva sempre invidiato Sallustio per la sua capacità di coniugarsi in tanti ruoli: mago, artigiano, marito, padre… Lui si era sempre concentrato sul lavoro, solo sul lavoro, e anche se non desiderava cambiare la sua vita in età avanzata, iniziava a chiedersi se non avesse rinunciato a troppe cose.
«A proposito, il tuo ragazzo è determinato a rivoluzionare il nostro mestiere» commentò ridendo al pensiero del bizzarro esperimento di Marco. In quel senso, capiva perché il gusto dell’estetica di Francesca sarebbe davvero stato utile al fratello.
«Deve affinare la tecnica e comprendere che non può dettare da solo i nuovi standard, ma le sue idee sono valide», gli rispose sorprendentemente Sallustio, con una nota d’orgoglio nella voce. Ne era fiero, per l’amico era evidente, eppure dalle parole di Marco questo non traspariva in famiglia. Forse perché il ragazzo aveva solo cominciato una ricerca che poteva diventare importante, ma che doveva essere condotta con attenzione per non fallire.
Non mostrare la propria approvazione era solo un modo per incentivare maggiormente il figlio a lavorare al meglio, anche per dare prova alla vecchia generazione di essere il migliore, spiegò con un sorriso sagace che fece sospirare Olivander.
I suoi allievi gli avrebbero mai dato motivo per essere altrettanto orgoglioso di loro? In cuor suo lo sperava, ma per com’era messa la situazione non era molto ottimista.
«Sai, Marco mi ha scritto di Jurga: ha detto che qualche giorno fa è comparsa in bottega a Sofia e si è messa a ispezionare tutto, come per assicurarsi che il facente funzioni non stesse combinando danni. Gli è parsa una vera e propria furia e sembrava seccato per la sua intromissione, ma secondo me si è preso una bella cotta».
Questa notizia lasciò perplesso l’inglese: la ragazza faceva avanti e indietro con la Bulgaria quasi per proteggere il santuario del padre… Si sentiva in colpa per averla giudicata male, credendo che gironzolasse tutto il giorno per le vie di Londra, come se l’apprendistato fosse in realtà un sistema per rimandare ancora di qualche tempo la doverosa presa di responsabilità che doveva compiere. Avrebbe dovuto chiarirsi definitivamente con Jurga, così da iniziare un rapporto diverso e lavorare al meglio per la sua istruzione, e avrebbe dovuto farlo subito.
«Ti ringrazio, Sallustio» disse per accomiatarsi dall’amico, sentendosi più leggero. «Venire qui mi ha schiarito le idee più di quanto avesse sperato».
«È la tua solitudine che ti manda il cervello in sterco di drago, dammi retta. Approfitta di questa situazione per crearti dei legami».
Olivander scosse la testa, mentre si faceva riaccompagnare in bottega per usare il camino. Non aveva neanche idea di come si creassero legami con altre persone, con Sallustio erano diventati amici quasi per caso… Quello che poteva fare era sforzarsi di cambiare quel tanto da sopportare quei tre ragazzi in maniera dignitosa e insegnare loro tutto ciò che sapeva. Era quello che gli restava da fare.
«Penso che sia ora di tornare a casa, devo mettere in ordine tante cose», disse per accomiatarsi dal collega, che lo strinse in un abbraccio saldo e tenace. «La prossima volta avviserò, promesso. Arrivederci».
Uno sbuffo di polvere verde e fu di nuovo nel suo negozio, animato da un’energia nuova, ma quando comparve trovò la bottega vuota. Comprensibile, rifletté: era sparito nel nulla senza dare spiegazioni e lasciando due ragazzi che si conoscevano a stento con una giovane donna dal temperamento troppo bizzarro e dal pessimo accento. Anche lui sarebbe scappato a gambe levate, a pensarci bene.
Decise di cominciare con quelli che aveva contattato personalmente: li cercò al Paiolo Magico, visto che Stebbins aveva consigliato di permettere che prendessero una stanza lì visto che Jurga non aveva gradito la novità, ed ebbe fortuna. Gli aspiranti erano seduti a un tavolo in un angolo, stavano sorseggiando un drink e parlavano sommessamente.
A guardarli, Olivander notò che la ragazza sembrava avere gli occhi rossi: forse la cattiveria di Jurga aveva colpito nel segno più del previsto, e il suo compagno le aveva offerto da bere per aiutarla a calmarsi. In quel momento Marietta sorrideva perfino, evento inedito fino a quel punto.
Quando vide il maestro avvicinarsi, Richard smise di chiacchierare e si alzò per salutarlo: «Signor Olivander!»
«Eccomi, non sono sparito nel nulla. Posso sedermi?»
A un cenno affermativo di entrambi, il mago acchiappò una sedia da un altro tavolo e si accomodò: «Prima di dirvi qualunque cosa, vorrei scusarmi per l’incresciosa scena di poco fa. È passato molto tempo da quando ho preso l’ultimo apprendista e non è stata un’esperienza molto positiva, per cui devo adattarmi anch’io ad avervi per casa… Intendiamoci, voglio avervi con me, non vi avrei proposto un percorso formativo del genere» spiegò cercando di non offenderli. «Jurga, poi, è una bella gatta da pelare. Ma voglio che tutti e tre studiate con me e sarà mio compito fare in modo che discussioni come quella di oggi non si ripetano mai più».
Era rivolto a Marietta soprattutto, adesso, perché la cattiveria con cui Jurga si era accanita contro di lei era stata davvero terribile. Forse aveva individuato in lei una diretta avversaria…
«È stato strano, lo ammetto», disse Richard, richiamando l’attenzione del mago. «Nel suo negozio è sempre regnata una calma sovrannaturale… Non ero preparato a tutto questo».
«Neanche io. Ho sempre evitato di lavorare con le ragazze, forse per una mania esagerata, e l’attacco personale che ho subito poco fa era qualcosa che non sapevo gestire. Imparerò, con voi, se me ne darete la possibilità».
Marietta annuì, silenziosa come sempre con Olivander ma già più distesa nei gesti e in volto. Nel vedere ciò, anche il ragazzo si disse deciso a provarci. «Ma se la sua Valchiria se la prenderà di nuovo con noi, le risponderò per le rime».
«Hai la mia assoluta approvazione, ma mi auguro che anche Jurga decida di collaborare con voi e non di farmi la guerra. Sarò io a intervenire, nel caso, non sparirò più».
Contento del risultato, Olivander pagò il conto dei due apprendisti come ulteriore segno di scuse e li riportò a casa, lasciandoli a sistemare le loro cose nelle camere. «Se volete cenare, vi lascio il denaro per andare a mangiare fuori. Vado a riprendere la Valchiria».
Via camino fino alla bottega di Gregorovitch, non lo faceva da secoli. Avevano litigato così tante volte… Sembrava passata una vita intera.
«Oh, signor Olivander!»
Marco sobbalzò da dietro il bancone, sorpreso da quell’entrata in scena così improvvisa.
«Perdonami per lo spavento, Marco. Credo che una dei miei apprendisti sia qui e sono venuto a prenderla».
«Ma certo, è comparsa circa un’ora fa e si è rintanata di sopra. Ho provato a capire cosa fosse successo ma mi ha cacciato via» gli rispose con gentilezza e un cenno di delusione.
Che Sallustio avesse visto giusto nel dire che il ragazzo si fosse preso una cotta per Jurga? Del resto erano padre e figlio, se non si conoscevano tra loro…
«Me ne occupo io» disse Olivander con sicurezza, mentre cominciava a salire le scale. Non era difficile capire dove fosse la giovane strega, c’era una sola porta chiusa di tutte le stanze. «Jurga, posso entrare?»
Nessuna risposta, ma la serratura non era chiusa a chiave…
«Non mi pare di averla invitata a unirsi a me, signor Olivander» fu la replica secca che lo accolse non appena aprì la porta.
«Peccato, perché io entro comunque» disse lui con una voce decisa e seria che ancora non aveva usato con l’apprendista.
«Come mi ha trovato, quel cretino italiano di sotto ha fatto la spia?»
Non direttamente, pensò il mago. «No, anche se ho saputo che sei un po’ preoccupata per questo negozio. Ho immaginato che ti saresti rifugiata in un luogo familiare, perciò eccomi qua».
«Allora è stato lui», borbottò Jurga, «giuro che lo uccido».
La ragazza era rintanata in un cantuccio tra il letto e l’armadio, un angolino sicuro che probabilmente le ricordava la sua infanzia. Era tesa e arrabbiata, ma non con il mago, anche se recitava la solita scena da dura intoccabile: Olivander sapeva che doveva superare quell’atteggiamento per instaurare un rapporto diverso con la sua apprendista.
«Non ne vale la pena, su. Allora, io ci tengo a dirti che mi dispiace molto di aver gridato, ma non posso accettare che tu mi risponda in quel modo. Non siamo amici, se tu decidi di essere la mia apprendista, siamo legati da un rapporto diverso».
«Ho reagito male alla novità, non so perché» ammise Jurga, non senza sforzo. «Ha ragione, io mi riprenderò il mio negozio, non ho la minima mira sul suo. Non sarò la prossima Olivander».
E meno male… Era colpito dal cambiamento nei suoi modi, così radicale e netto: forse aveva esagerato al punto da non poter fare altro che accettare di moderare i toni.
«No, tu sei una Gregorovitch, e devi accettarlo, in un modo o nell’altro».
Il conflitto col padre era ancora evidente, probabilmente aver perso ogni occasione di parlare ancora con lui l’aveva segnata, ma c’era anche molta rabbia.
«Non sono tuo padre, Jurga, e non intendo esserlo, così come tu non vuoi essere mia figlia, ma ho accettato di essere il tuo maestro».
Jurga non rispose subito, ma infilò una mano sotto il letto e ne tirò fuori uno scatolone: «Questi sono i libri di mio padre, i diari dei primi Gregorovitch, i testi su cui ha studiato… Jusupov mi ha chiesto molte volte se sapevo dove potessero essere nascosti, in maniera un po’ ossessiva».
I libri? Olivander cercò di contenere l’entusiasmo: aveva temuto che quei volumi fossero andati perduti, invece erano lì, accatastati in uno scatolone ma intatti. «Questi sono un tesoro, devi tenerli con cura e leggerli fino a saperli a memoria».
«Lei non li vuole?» domandò con una certa ansia la ragazza, e il mago capì che si trattava di un test.
Scosse il capo, sorridendo. «Questi libri sono la tua eredità, il lascito di tuo padre. Sono tuoi e devi decidere tu cosa farne. Io ti consiglio di lasciarli qui, fino a che non avrai sciolto i nodi che ti fanno soffrire. E allora, se vorrai, farai un piacere a un povero vecchio e me li presterai».
Colpita dalla sua risposta, Jurga scosse il capo: «Pensavo che li avesse nascosti chissà dove, in qualche nicchia segreta in negozio, o in soffitta… Invece erano qui sotto, dietro l’asse mobile che usavo per tenere i miei tesori al sicuro, da bambina».
«Questo, secondo me, vuol dire che tuo padre sapeva che saresti tornata e che contava su di te. È una bella cosa, no?»
La strega annuì, ormai in lacrime, e si avvicinò a Olivander e cercò il suo abbraccio. «Mi dispiace…»
Intenerito, l’uomo ricambiò la stretta e le lisciò i capelli biondi, sapendo che il suo senso di colpa nei confronti di Jurga era svanito, come per magia. «Ricominciamo, tutto qua».





Note: So che qualcuno si aspettava che finalmente mi concentrassi sulle lezioni di Olivander... Chiedo venia, abbiate pazienza ancora un pochino! ^^" Questo è un capitolo a cui tenevo un sacco, era da un po' che volevo introdurre Sallustio, che è uno dei primi personaggi che ho inventato per questa storia. Ci voleva un punto di svolta per Olivander, da cui ripartire. Spero che, anche se siamo ancora in una situazione un po' statica, anche questo capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima! ^^
Rowi

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Capitolo 6
*** Il cuore degli alberi ***


Lezioni. Bella roba ricominciare da capo dopo quasi vent’anni, una serie d’insuccessi e una gran sfiducia nei propri metodi. Ma come diavolo facevano gli insegnanti a Hogwarts, ogni anno con una serie di ragazzini nuovi e probabilmente sempre meno interessati?
Tuttavia, Olivander si mise d’impegno questa volta: decise di concentrarsi sul proprio periodo da apprendista per ricordare le sue aspettative, cosa aveva trovato interessante e cosa noioso delle spiegazioni del suo maestro, le imposizioni che aveva sopportato con difficoltà… Mise tutto questo, quando si trattò di cominciare sul serio e molto altro ancora: a ognuno dei suoi allievi consegnò una lista di titoli da leggere in un mese, alla cui scadenza avrebbero scambiato i loro libri con quelli di un compagno, partendo per ciascuno dagli argomenti che potevano sembrare più interessanti.
Così, per Richard era partito dal trattamento del legno, per Jurga aveva scelto dei testi complessi per stuzzicare la sua curiosità, poiché conosceva già le basi con la formazione che le aveva trasmesso suo padre, e per Marietta… Olivander selezionò una serie di argomenti teorici adatti a una Corvonero intelligente e dallo sguardo acuto.
Insieme alle lezioni teoriche che teneva in bottega, però, il maestro volle fin da subito portare i ragazzi sul campo, per far capire loro a cosa stavano andando incontro. Era particolarmente curioso di testare le ragazze, la loro capacità di adattamento al freddo, al fango e alle mani rovinate. Forse il mago era ancora all’antica e aveva dei pregiudizi sull’altro sesso, ma ne aveva viste tante che alla prima macchia sulla veste scappavano a gambe levate…
«Allora, Richard, quante specie diverse di alberi sai riconoscere?»
Quella mattina li aveva portati in una radura nello Yorkshire, non troppo distante da dov’era cresciuto da bambino, in un luogo che amava moltissimo. C’era molto da imparare, a osservare quegli alberi.
Il ragazzo, in piedi a fissare il limitare del bosco, si guardò intorno lentamente, senza mai perdere il sorriso. «Ci sono la maggior parte delle specie tipiche dell’Inghilterra, direi: faggi, betulle, là c’è un acero» disse indicando un albero preciso «mentre laggiù ci sono alcuni pruni, si possono vedere i frutti ancora acerbi sui rami».
La sicurezza con cui individuava ogni singola specie era invidiabile, si capiva subito che suo padre gli aveva trasmesso il suo amore per la natura.
«Bene, e se avessi voluto recidere qualche bel ramo da un nocciolo?» domandò Olivander con un sorriso sornione.
Era come chiedere dove si poteva trovare un Babbano, Richard lo sapeva. Cosa stava cercando di studiare in lui il suo maestro? Richiamò i luoghi della sua infanzia, quando suo padre lo portava a camminare tra gli alberi del suo parco, e rispose sicuro. «I noccioli in Gran Bretagna crescono praticamente ovunque, ma suggerisco la Foresta Caledoniana, nelle Highlands. Basta che non si faccia beccare da papà» ridacchiò spensierato, forse divertito al pensiero del vecchio mago inseguito da un Babbano come suo padre con un randello, colpevole di aver profanato i suoi ragazzi.
«Perfetto» commentò Olivander prima di rivolgersi alle sue allieve. «Conoscere gli alberi, le caratteristiche del loro legno e le zone in cui è possibile trovare esemplari sani e robusti sono capacità fondamentali in questo lavoro. Richard in questo è avvantaggiato, perché è figlio di un guardaboschi che gli ha insegnato tutto sugli alberi del nostro Paese, ma recupererete quando ci sarà da avvicinarsi a un Unicorno».
«Tremo al solo pensiero» scherzò il giovane mago tornando a sedersi tra Jurga e Marietta.
Olivander abbracciò con lo sguardo tutta la foresta e inspirò profondamente: conosceva quegli odori, quei profumi un po’ selvatici che sapevano di libertà… Aria di casa.
«Potrei dirvi che vanno usati solo i legni che il vostro maestro predilige, come farebbero in molti, ma vi spiegherò quello che preferisco io come uno spunto per il vostro futuro. Come avrete capito, io sono un tipo abbastanza sedentario e difficilmente uscirei dai confini della mia madrepatria per trovare l’albero migliore» disse notando che Jurga scuoteva il capo con un’aria rassegnata. Incredibile a dirsi, ma si stava divertendo più del previsto a tenere lezione ai tre ragazzi. «In particolare, utilizzo il legno di quelle specie che compaiono nel calendario celtico, che consulto e seguo anche per fare le mie scorte».
Era sempre stato convinto che avere la benevolenza degli astri fosse importante o, almeno, così gli era stato insegnato. Selezionare un corniolo ai primi di aprile, ad esempio, secondo lui infondeva al legno tagliato una forza maggiore e una qualità più elevata, anche se forse erano soltanto vecchie superstizioni.
«Sui Carpazi più che altro ci preoccupiamo di evitare il periodo invernale, per via del buio e della neve, ma è un sistema come un altro» commentò in maniera neutra la ragazza bulgara, ricordando i tempi in cui da bambina aiutava suo padre a sistemare la legna nel magazzino.
«Beh, il fabbricante di bacchette deve tornare in bottega, per vendere» rispose Olivander con l’aria di chi sapeva accettare le opinioni diverse. «Ora, voi taglierete dei rami per farne la vostra materia prima, ma vorrei che vi soffermaste a pensare all’albero come essere vivente». Li invitò ad alzarsi e a seguirli, avvicinandosi ai primi tronchi.
Richard annuì, pensando a un discorso che aveva sentito fare spesso anche da suo padre: «Qui c’è vita e c’è un ciclo da rispettare per non uccidere questa creatura. Da germoglio diventa albero, fa fiori e frutti e in molti casi perde le foglie per l’inverno».
Olivander si chinò e raccolse alcuni ramoscelli caduti, poi smosse le foglie e gli arbusti e mise in mostra una piantina che doveva essere spuntata da poco, non poteva avere più di qualche mese. Le sarebbero serviti ancora molti anni per diventare un albero forte e maestoso, e bisognava darle il tempo di crescere.
«Andiamo oltre questo dato di fatto: se doveste assumere una persona la vorreste giovane ma con esperienza, tenace, con forza di volontà. L’albero va valutato allo stesso modo: dovrà essere forte e sano, evitate sempre il legno secco» spiegò facendo vedere come quello fosse friabile e difficilmente manipolabile, «ma non lanciatevi sulle piante troppo piccole e ancora molli».
Erano molte le considerazioni da fare prima di scegliere un albero per fare bacchette, era chiaro ormai a tutti e tre.
«Si dice che lei tenti di usare ogni singolo componente una sola volta» commentò quietamente Marietta, senza porre una domanda né fare un’affermazione completa.
Olivander fissò un attimo la ragazza, che continuava a rimanere in silenzio salvo poi farsi sentire in quel modo. «È vero, ma è un discorso che vale principalmente per le anime, anche se affronteremo il problema più avanti. Il legno è meno catalizzatore dell’elemento centrale, anche se le sue caratteristiche dovranno essere altrettanto ben studiate, ma non esistono abbastanza alberi per rispettare in questo caso la singolarità».
Riportò i due inglesi al momento in cui avevano varcato la soglia del suo negozio la prima volta e avevano provato tanti dei suoi esemplari. «Marietta, tu ne hai saggiate sei prima di trovare la tua, Richard ha avuto fortuna solo con la ventesima. È stato difficile trovare la sua, non riuscivo a capire cosa fosse adatto per lui… Allora, elencami le caratteristiche fondamentali di una bacchetta».
«Lunghezza, albero di provenienza, tipo di anima» rispose lei guardandolo in viso. «Poi c’è il grado di flessibilità e il campo magico in cui lo strumento si rivela più efficace. A proposito, come faceva a sapere che la mia bacchetta sarebbe stata fantastica con gli Incantesimi?»
Era una domanda che avrebbe voluto porre al fabbricante fin da quando aveva fatto l’acquisto: l’arte delle bacchette l’aveva sempre affascinata, anche se non aveva mai studiato nulla in materia, e quando il mago l’aveva cercata per quell’esperienza da apprendista… Era stata la prima buona notizia da tanto tempo.
«Questione di linee» spiegò Olivander «vai avanti con il manuale che ti ho dato e vedrai che ti sarà più chiaro. Prendiamo il tuo caso, però: nonostante sia necessaria una certa energia magica per ogni tipo di incantesimo, la Trasfigurazione è un tipo di magia che ne richiede una quantità più elevata. Le bacchette adatte a questo tipo di arte magica, infatti, sono più corte e spesse, anche se rimarranno sempre sotto i due pollici di diametro, per assorbire dal mago che le impugna una maggiore energia e catalizzarla per tutta la durata della trasmutazione».
Jurga scosse il capo, sapendo a chi fosse rivolto quel particolare commento sul diametro delle bacchette: suo padre era stato famoso in tutta Europa per le strane proporzioni delle sue creazioni, che erano diventate sempre più spesse quasi seguendo l’ingrassare del loro fabbricante…
«Le bacchette adatte ai duelli sono invece più lunghe e flessibili» replicò invece senza attaccare polemica, interessata anche lei dall’argomento. Lei e il maestro avevano cominciato a punzecchiarsi in quella maniera per vedere quanto sapevano sopportarsi nel rispetto dei loro ruoli.
«In quel caso, l’energia deve essere convogliata rapidamente, a prescindere che si attacchi o si crei uno scudo di difesa». Inoltre, una bacchetta flessibile ed elegante era l’ideale per adattarsi in ogni situazione d’emergenza, tipiche di un duello.
«Quindi è lei che decide a cosa saranno adatte le bacchette».
Olivander si prese un minuto per rispondere all’ultima domanda di Richard, per non sembrare stupido con la risposta che aveva in mente.
«In realtà, mi piace pensare che siano le bacchette a decidere e a suggerire cosa fare alla mia mente. Non parto mai con un’idea precisa: osservo il legno, le sue venature, ascolto cosa ha da dire…» Era un concetto fondamentale per il suo modo di concepire il lavoro del fabbricante di bacchette: «È un modo che altri potrebbero definire stupido e sentimentale ma, almeno per me, esso è l’unico modo per creare un buon articolo. Come è possibile, altrimenti, che dare vita a una bacchetta che starà magari vent’anni, se non di più, in negozio ad attendere la persona giusta?»
«La persona giusta» borbottava Jurga, come se tentasse di convincersene. «È un concetto che mi è sempre sfuggito, anche se mio padre ha tentato molte volte di spiegarmelo. Com’è possibile che sia la bacchetta a scegliere la persona giusta per sé?»
Pur essendo figlia di un rinomato artigiano, a volte la ragazza aveva una mentalità troppo materiale, che le impediva di vedere oltre ciò che aveva davanti al naso.
«Io ti parlo di anime delle bacchette non a caso» si rimise a spiegare con calma Olivander. «Non è semplice il nucleo, il ripieno: quando tenterete di creare i vostri primi esemplari, prenderete un campione di materiale magico organico, che lavorerete prima di inserirlo nel frammento di legno che avrete scelto. In questo processo, il crine di Unicorno, la piuma di Fenice o qualunque ingrediente decidete di usare entrerà in contatto con voi e prenderà qualcosa di voi: un ricordo, le vostre sensazioni, a volte perfino il sangue se non sarete attenti a maneggiare il legno… in qualche modo sarete voi a renderla viva».
E avrebbero imparato da soli quale parto poteva essere estrarre la forma perfetta dal ciocco di legno in lavorazione, per dire. Il processo di armonizzazione dei due componenti era una magia lunga ed estenuante, che richiedeva molta energia: stava alla forza di volontà del fabbricante creare degli strumenti potenti e di valore. «Non state farcendo una torta, tenetelo sempre presente: state creando un oggetto semisenziente che instaurerà un legame di reciproca dipendenza con la persona che l’acquisterà».
Era una responsabilità creare bacchette che funzionassero bene e servissero in maniera corretta i loro proprietari, così come selezionare per ogni cliente gli articoli che più gli si addicevano.
«La bacchetta perfetta riconoscerà le mani del suo padrone da quelle degli estranei, si rifiuterà di servire al meglio altri maghi, che si tratti di ladri o anche solo di fratelli che se la passano per risparmiare, salvo la logica dei duelli».
Una pratica barbara, ai suoi occhi, ma se perfino le bacchette l’accettavano… Per Olivander, non si sarebbe mai dovuto duellare se non per questioni di vita o di morte.
«Bene, direi che per questa mattina abbiamo messo abbastanza carne al fuoco. Oggi pomeriggio torneremo in bottega per cominciare le lezioni pratiche sulla lavorazione del legno. Nel frattempo, chi di voi ha fame?»
Era ormai ora di pranzo, e il mago tornò sulla strada indicando agli allievi un pub in cui avrebbero potuto rifocillarsi. Approfittando della pausa – anche perché Olivander aveva snocciolato una certa quantità di nozioni e concetti che tutti e tre avevano bisogno di fare propri con calma – la conversazione passò ad argomenti più colloquiali e di carattere personale.
Richard era molto affascinato da Jurga, in particolare, e dalla sua storia, anche se la ragazza non sembrava molto disponibile a parlare del suo passato. La circostanza che le aveva permesso di salvarsi dal massacro della sua famiglia non la rendeva certo di buon umore, specie sapere di essersi separata da suo padre con rabbia e odio.
Olivander notò il suo disagio e tentò di cambiare argomento, poi richiamò la cameriera per ordinare.
«Vi porto tutto subito, fareste meglio a prendere le birre e le altre bevande, però, direttamente al bancone, oggi siamo un po’ oberati» suggerì la ragazza prima di sparire in cucina.
A dire la verità, il locale non sembrava così affollato – solo alcuni tavoli in fondo alla sala erano occupati, ma Olivander colse l’occasione per prendere da parte Richard e spiegargli che non tutti avevano il suo stesso ottimismo per affrontare i problemi e che, soprattutto, non gradivano le domande incalzanti sul passato.
«Mi dispiace, non mi sembrava di essere stato così molesto» si scusò il ragazzo. Effettivamente a volte era un po’ troppo curioso e non sapeva contenersi. «Cercherò di essere più discreto».
Il maestro si pose una mano sulla spalla e sorrise con complicità. «Lo dico per te, ragazzo: Jurga può essere velenosa, lo sai, e ora che finalmente sembra essere a lavorare con voi… Non guastiamo tutto».
Quando fecero per tornare al tavolo, però, si accorsero che la discussione era continuata anche senza di loro.
«Come sarebbe a dire che una tua compagna di scuola ti ha scagliato una maledizione perché non hai saputo tenere la bocca chiusa? Cosa vuol dire quella parola, spia
Inaspettatamente, Olivander trasalì: sapeva che Jurga era rimasta interdetta per le pustole che deturpavano il viso della sua compagna di stanza e che non si era rassegnata all’idea che fosse meglio non toccare quell’argomento, ma un attacco così diretto…
Decise di intervenire prima che la conversazione degenerasse, ma per una volta Marietta sembrava decisa a rispondere. «Più di due anni fa ho preso parte a una specie di società segreta che voleva resistere al potere del Ministero. Vi entrai più per fare un piacere a una mia amica che perché mi sembrava una giusta causa» spiegò ricorrendo brevemente la storia dell’Esercito di Silente. «Non credevo che Harry Potter potesse aver ragione, né che l’istituzione di cui faceva parte anche mia madre potesse essere così corrotta e cieca».
«Ma cosa significa spia?» ribatté Jurga, che evidentemente non conosceva a fondo la lingua inglese.
«Spia è una persona che finge di essere alleato di qualcuno per carpirne i segreti e poi rivelarli a chi interessano» le rispose gentilmente Olivander.
«Entrando in quel gruppo, firmai una carta in cui giuravo di mantenere il silenzio sull’associazione e su ciò che facevamo quando ci riunivamo. Chi incantò quella carta disse che era incantato e che per chi avesse tradito ci sarebbero state terribili conseguenze, ma pensai che esagerasse per spaventarci».
«Allora nella scuola c’era una professoressa mandata dal Ministero che aveva l’unico scopo di distruggere Silente. Una vera stronza» si lasciò sfuggire Richard ricordando i giorni del suo ultimo anno a Hogwarts. «Voleva sapere a tutti i costi quello che faceva il Preside, cosa architettava, come se fosse lui il nemico e non l’Oscuro Signore».
Jurga seguiva la storia con molta attenzione: conosceva il nome di Albus Silente, ovvio, e per quello che sapeva di lui trovava impossibile che qualcuno lo credesse cattivo. «E tu hai fatto la spia con lei?» domandò a Marietta.
La ragazza tremò appena, ma decise di rispondere lo stesso. Ammettere per la prima volta con un’altra persona di aver sbagliato era importante, lo sapeva: non era mai riuscita a raccontare la verità nemmeno ai suoi genitori, che erano rimasti sconvolti nel vederla tornare da Hogwarts in quello stato al punto da non parlarle per mesi. Riprendere la scuola a settembre era stata una salvezza, sebbene avesse dovuto cominciare a nascondersi da tutti cercando di non essere al centro dei pettegolezzi.
«Vorrei potermi giustificare con la storia del Veritaserum, con cui la Umbridge interrogò metà della scuola, ma sarebbe una menzogna: sono andata da lei volontariamente a raccontarle tutto, per mettere fine a una storia che a me sembrava pericolosa e sovversiva, e come premio ho avuto questa fantastica decorazione facciale» concluse con un sorrisetto amaro indicandosi il viso.
Olivander si sentì stupito, mentre la giovane strega tornava a nascondersi dietro i suoi lunghi capelli: aveva pensato che ci sarebbe voluto un sacco di tempo per far aprire Marietta, visto lo shock che aveva subito… Bastava guardarla in quei suoi grandi occhi scuri per leggere quanta solitudine e quanto disprezzo avesse affrontato a causa di quell’incantesimo. Solo il fatto di essere di nuovo in piccolo gruppo, per il quale era stata scelta, invitata e voluta dal maestro, sembrava averle fatto bene. Il mago si voltò a osservare l’espressione di Jurga, che non aveva mezze misure e non le accettava dagli altri: una risposta sbagliata e avrebbe rovinato tutto.
La ragazza bulgara però scosse il capo e fece una smorfia esterrefatta: «Ma scusa, e quella? Perché non ti ha tolto la maledizione? Potrei capire il voler punire la spia subito per il tradimento, ma sono passati più di due anni! Vuole rovinarti tutta la vita?»
Ed eccola, la giovane donna imprevedibile e incredibilmente sensibile quando voleva. Marietta sembrò colta di sorpresa, come se si aspettasse qualunque commento tranne quello.
«C’è stata una guerra in mezzo e lei doveva salvare il mondo» spiegò con amarezza. «Magari non se ne ricorda nemmeno più».
«E queste sono le persone che salvano il mondo? Dovrebbe vergognarsi quella… Come hai detto, Richard? Stronza?» rispose Jurga cominciando poi a parlottare nella sua lingua madre così da rendersi incomprensibile al resto della tavola. Le era inconcepibile, lei era testarda e vendicativa ma aveva comunque dei limiti…
Olivander ridacchiò dietro il suo boccale di birra, felice di vedere che quella situazione si era risolta in modo interessante: la nuova generazione di fabbricanti uniti e cooperativi tra loro che aveva sognato stava nascendo.



Angoletto dell'autrice: Eccomi di nuovo qua! Ed ecco finalmente le famose lezioni di Olivander, almeno, la prima: iniziare dagli alberi per me era necessario, visto quanto mi piacciono... E ho voluto concentrarmi su Marietta, perché a pensarci bene l'idea che sia stata maledetta a vita mi angoscia un po'... Per quanto abbia sbagliato, penso che dal suo punto di vista la vita faccia terribilmente schifo. Fatemi sapere che ne pensate! ^^
Alla prossima,

Rowi

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Capitolo 7
*** Inseguendo gli Unicorni (prima parte) ***


Non riusciva a chiudere occhio: eppure era stupido, tra neanche due ore Olivander sarebbe arrivato a chiamarle per recarsi all’allevamento di Unicorni come prospettava da settimane… Perché quella stupida non era nel suo letto? E dove diavolo poteva essere andata, nel cuore della notte?
La strega sospirò, rigirandosi per l’ennesima volta sotto le lenzuola, nel tentativo di riprendere sonno. La sua compagna di stanza stava per finire in un brutto guaio e per cosa poi? Davvero non riusciva a crederci. E dicevano che lei aveva un brutto carattere!
Era ridicolo, avere l’occasione di imparare da un vero maestro fabbricante di bacchette e buttarla al vento in quel modo… La ragazza era davvero infastidita da tutti quei pensieri, soprattutto perché sapeva che a sua volta sarebbe stata assonnata, non nelle condizioni ideali per una lezione sul campo, quando la porta della camera si aprì lentamente. Nel buio, appena percettibile, una sagoma ben nota avanzò prestando attenzione a non fare rumore.
Adesso ti faccio prendere un colpo…
Attese con la pazienza di un felino che l’altra strega raggiungesse il proprio letto, si togliesse le scarpe e s’infilasse sotto le coperte ancora vestita, poi, non appena udì il classico sospiro di sollievo di chi crede di averla fatta franca, accese ogni candela della stanza con un colpo di bacchetta e scattò seduta.
«Te l’ho fatta, signorinella!»
Colta sul fatto, la nottambula fece un salto per lo spavento e si voltò verso la sua accusatrice: «Jurga, vuoi farmi morire, per caso?»
«A me lo dici?», replicò la ragazza più grande, fingendosi offesa. «Non sai come mi sono sentita io svegliandomi e trovando il tuo letto vuoto».
Il melodramma, aveva scoperto Marietta, era uno dei tanti talenti di Jurga. Accidenti, aveva sperato che la sua piccola uscita notturna passasse inosservata, ma così non era stato.
«Senti, è tardi… Cerchiamo di dormire, almeno un po’», tentò di svicolare senza troppe speranze di successo.
«Ah no, adesso mi dici dove sei andata», rispose Jurga senza pensarci due volte. «Se devo preoccuparmi per te, voglio sapere che hai combinato!»
Ma che pettegola, pensò la ragazza che non aveva la minima intenzione di rivelarle il suo segreto. «No, non devo dirti nulla. Non sei mia madre, né il mio maestro».
«C’entra un ragazzo, per caso?» incalzò l’altra, che ora iniziava a prenderci gusto.
Nel riverbero delle candele, Marietta preferì non rispondere. Non era pronta a fare partecipe la compagna di quello che le stava capitando, anche perché non voleva che la voce arrivasse a Olivander. La ragazza bulgara, nonostante avesse un pessimo carattere, si era dimostrata più attenta alle regole date dal maestro di quanto chiunque avesse immaginato. Non era certo che Jurga avrebbe approvato quello che le stava tenendo nascosto e non voleva correre rischi che andasse a riferirlo al maestro. Non c’erano state indicazioni o divieti sulle relazioni personali degli apprendisti, ma era meglio non affrettare i tempi, anche perché non voleva sentirsi dire nulla che potesse guastarle la situazione, non ora che le era capitato qualcosa di bello dopo tanto tempo. Oltre al suo ingresso nella bottega di Olivander, ovviamente.
Obbligandosi in ogni caso a non effettuare un Incantesimo Silenziatore sulla compagna di stanza, comunque, Marietta si sistemò sotto le coperte e cercò di prendere sonno per dormire almeno un poco prima che il maestro passasse a chiamarle. Offesa per la scarsa considerazione a lei indirizzata, Jurga continuò a fare domande con un tono di voce sempre più infantile e irritante, per poi rinunciare: per fortuna che l’altra ragazza non poteva vederla, seduta a gambe incrociate con le guance rosse e i pugni stretti, come una bambina capricciosa!
Forse era meglio riposare, almeno ora non aveva più l’ansia per l’avventatezza della sua compagna… Inutilmente, però: la curiosità aveva subito preso il sopravvento.
Rimasero dunque lì, ciascuna insonne nel proprio letto, Marietta a mordersi le labbra per evitare di lasciarsi sfuggire anche una sola parola e Jurga a chiedersi cosa avesse mai combinato l’altra ragazza per stare in giro tutta la notte, finché all’alba Olivander non passò a chiamarle.
«Ragazze, siete sveglie? Cerchiamo di partire tra una mezz’ora al massimo, forza», e le parole del maestro smorzarono qualunque discussione tra le due.
Alzarsi e vestirsi fu un’operazione molto rapida – specie per Marietta, che si cambiò giusto la maglia per indossare un capo più adatto a sporcarsi – e scesero al piano di sotto. Sorprendentemente, furono loro a dover aspettare Richard, che si fece attendere quasi venti minuti. Quando il giovane comparse in cima alle scale, anche a quell’ora del mattino apparve subito chiaro che nemmeno lui aveva dormito granché, anzi, era molto più assonnato della sua compagna. Jurga si voltò subito a guardare l’altra ragazza, sbalordita, per scoprire che si era rintanata come suo solito dietro i capelli, questa volta probabilmente più per nascondere le guance arrossate che le pustole.
Qualunque commento della strega bulgara, tuttavia, fu anticipato dal maestro: «Bene, possiamo andare. Questa volta ho pensato che potremmo muoverci col Nottetempo, così da poter anticipare l’argomento di oggi durante il viaggio».
Il quartetto, dunque, uscì dalla bottega e lasciò Diagon Alley nella quiete del mattino. Il sole ancora non era sorto e l’aria frizzava sui volti dei viaggiatori. Abbandonarono il quartiere magico e raggiunsero la strada più vicina, quindi Olivander illuminò la sua bacchetta e fece il cenno convenzionale per chiamare l’autobus magico.
Nessuno salutò con particolare entusiasmo il bigliettaio: Stan Picchetto era rimasto profondamente segnato dalla guerra. Era stato scagionato dalle accuse, poiché il tribunale aveva riconosciuto che aveva agito sotto Imperius, eppure il ricordo di quanto era accaduto non lo aveva lasciato in un bello stato. Gli sarebbe servito del tempo per riprendersi, valutò Olivander, che si limitò a pagare i biglietti per sé e per gli apprendisti e andò a sedersi vicino ai ragazzi. La lezione stava per cominciare, e il mago prese un bel respiro, dopo essersi assicurato che non ci fossero orecchie indiscrete.
«Prima di tutto, devo dire che sono stupito e un poco deluso che nessuno di voi, sentendo parlare di allevamento di Unicorni, non mi abbia fatto domande».
«Avremmo dovuto mettere in dubbio le sue parole, signore?», domandò Richard tra gli sbadigli. Aveva buttato l’occhio su un letto vuoto che scivolava accanto alle loro sedie e si sarebbe volentieri lasciato andare su quel giaciglio, per riposare ancora un poco. Era così assonnato da non accorgersi che Jurga continuava a fissarlo con un’espressione meditabonda.
«No», rispose con pazienza Olivander, «ma mi sarebbe piaciuto se foste stati un po’ più curiosi. Ad ogni modo, in realtà gli Unicorni non possono essere allevati. C’è chi ci ha provato, ma non sono animali da mettere in un recinto o in una scuderia. Tutto ciò che l’uomo può fare, è delimitare l’area in cui un branco noto vive e tenerla sotto controllo, proteggendolo e tenendo alla larga i bracconieri».
«Allora come si fa a ottenere i crini che ci servono?», domandò Marietta, che grazie allo scherzetto della sua compagna di stanza era più sveglia che mai. «Dobbiamo andare a cercarli noi nella foresta?»
Olivander cominciò a spiegare la struttura amministrativa della riserva e come avrebbero operato quel giorno: «Non da soli, ma insieme allo staff che protegge il branco, specie per me e Richard, che non andremo proprio a genio degli Unicorni. Le streghe che incontreremo sono state ben addestrate a seguire le tracce e a trovare l’esemplare più adatto. Questi animali sono risorse preziose: forniscono il crine, il sangue e la polvere di corno, ingredienti molto importanti per molti composti magici e non solo».
Tutti gli elementi magici derivati da un Unicorno erano beni non commerciabili di classe A, secondo il Ministero, ricordò inoltre il mago: ciò non significava che l’attività che stavano per compiere fosse illegale, tutt’altro. Poiché gli animali non erano di proprietà delle persone che si occupavano di monitorarli e proteggerli, non avrebbero pagato alcuna cifra per il crine che avrebbero raccolto, limitandosi a fare una donazione generosa per il mantenimento di quella struttura che si preoccupava che quelle creature così rare e affascinanti non si estinguessero. In fondo, Cyril e le sue streghe non facevano altro che guidare le persone autorizzate nel bosco e assicurarsi che non capitassero incidenti… Era una soluzione approvata dal Ministero, che si preoccupava sempre di regolare i traffici di questo genere e allo stesso tempo preservare quelle creature.
«È una delle regolamentazioni per evitare l’estinzione delle specie più rare, non è vero?», domandò Marietta prima di essere spinta dall’altra parte dell’autobus.
Era la lezione più mobile a cui gli apprendisti avevano partecipato fino ad allora: il Nottetempo sobbalzava e curvava bruscamente, facendo avvicinare e allontanare i quattro maghi con i suoi movimenti, così che anche terminare una frase diventava un’impresa. Le sedie non erano ancorate al pavimento come i sedili dei pullman babbani, si ripeté Richard cercando un appiglio per rimanere vicino al maestro, e bisognava davvero stare attenti per non finire addosso agli altri pochi viaggiatori, che per lo più dormivano e russavano in fondo.
«Esattamente: anche per i Draghi esistono programmi di protezione analoghi. Per le Fenici è diverso: oltre a essere rimaste in numero esiguo, questi animali nidificano sulle cime delle montagne più alte del mondo, luoghi difficilmente accessibili anche per un mago, per cui bisogna gestire i rapporti con i pochi che ne possiedono una, altrimenti… Beh, voi siete giovani e forti, fare una gita in Egitto o in Cina per cercarne una non sarà poi così male», ridacchiò Olivander osservando le facce un po’ offese dei suoi apprendisti. «L’Unicorno ha rischiato più volte l’estinzione per la caccia indiscriminata. Nel XVII secolo si mise in giro la voce che non solo bere il loro sangue, ma anche uccidere un Unicorno o tentare di farlo portasse alla dannazione della propria anima».
«E funzionò?», chiese incuriosito Richard, che con le sue radici babbane era da sempre appassionato alla storia della magia.
«Certamente», disse Olivander in un sorriso furbetto. «Ah, la paura… Sfruttare la superstizione è sempre un ottimo stratagemma».
Il Nottetempo fece una brusca frenata e tutti e quattro furono sbalzati in avanti con le loro sedie, evitando per un pelo di finire contro il vano dell’autista. Jurga, che non aveva mai provato un mezzo del genere e non era preparata a quel viaggio, cominciò a imprecare in bulgaro, sconvolta. Anche per questo motivo Olivander riprese subito a spiegare dopo essersi rimesso il cappello: a volte trovava che la differenza linguistica tra i suoi apprendisti fosse un vantaggio, perché la figlia di Gregorovitch dava l’idea di essere sboccata quanto il suo defunto padre.
«Queste aree protette riforniscono esclusivamente i negozi più rinomati e i grandi artigiani, è un onore per cui essere nei loro elenchi. Si tratta di un privilegio da conservare con attenzione, e anche per questo non mi abbasserei mai a incorporare una vibrissa di Kneazle in una delle mie bacchette, anche se non è l’unica ragione».
Ecco un punto che avrebbe sempre visto avversari lui e la collega francese, Madame de Guise, che invece non si faceva il minimo problema ad accontentare richieste così ridicole pur di soddisfare i suoi clienti. Capelli di Veela, puah!
«Un’anima debole renderà a un livello medio, se non peggiore», disse Marietta ricordando un passaggio di un libro che stava studiando un capitolo in cui si discuteva la potenza di vari elementi magici. Aveva passato ore sulla tabella che catalogava moltissimi ingredienti per potere e disponibilità: per ora le anime erano l’argomento che più l’affascinava.
Olivander annuì, con un’aria un po’ seccata. «A dire la verità, se una persona arriva in negozio con una richiesta del genere è già un mago mediocre, e non sarà colpa della bacchetta, ma hai ragione. Inoltre, sono dell’idea che le persone, me per primo, non si conoscano affatto».
«Che cosa intende, signor Olivander?»
Sorridendo, il maestro si voltò verso l’apprendista, quasi come se volesse parlare solo con lei. La sua intelligenza e le domande che poneva erano un vero stimolo, era davvero portata per l’arte che stava imparando. «Finiamo sempre a fare esempi sulla tua bacchetta, ragazza mia: quando comprasti la tua bacchetta, mi dicesti che eri sorpresa che fosse un modello più portato per gli incantesimi, perché il tuo più grande sogno era studiare Trasfigurazione».
Marietta sgranò gli occhi: «Come fa a ricordarselo? Sono passati anni!»
Il mago sorrise con divertimento, prima di aggrapparsi a una delle poche aste dell’autobus per non vagare per tutto il mezzo. «Io mi ricordo di tutti i miei clienti. Scommetto che nel corso dei tuoi studi hai scoperto che sì, la Trasfigurazione è un’arte magica di tutto rispetto, ma in realtà preferisci Incantesimi».
Era assolutamente vero. La bacchetta aveva intuito prima di lei cosa sarebbe successo o, meglio, aveva scoperto un lato del suo carattere che non le era stato chiaro fino al suo terzo anno a Hogwarts. «Torniamo al discorso della bacchetta viva, allora».
«Hai capito. Io non lo sapevo, ma la bacchetta sì. Quando lei ti ha scelto e mi hai rivelato la tua delusione, ho supposto quello che sarebbe successo, tutto qui».
«C’è mai stato qualcuno che abbia rifiutato la bacchetta giusta?» s’intromise curiosa Jurga.
Olivander scusse la testa con l’aria di chi stava riassaporando un ricordo prezioso. «Avete provato tutti il senso di perfezione nello scovare la giusta bacchetta, no? Secondo voi qualcuno rinuncerebbe a una sensazione come questa?»
Prima che uno degli apprendisti potesse rispondere, l’autobus si fermò bruscamente e Stan chiamò con voce spenta la loro destinazione. Il maestro si alzò e fece cenno ai ragazzi di seguirlo, scendendo al limitare di una fitta boscaglia. «Bene, raggiungiamo il punto di controllo».
A una cinquantina di metri dalla strada, si trovava un capanno malridotto, che aveva tutto l’aspetto di essere abbandonato da decenni. Sebbene i ragazzi fossero ormai abituati agli incantesimi di Disillusione e alle pratiche di camuffamento anti Babbani – bastava pensare che, ai loro occhi, Hogwarts appariva come un cumulo di rovine – nessuno dei tre sembrava molto convinto. Camminarono nell’erba bagnata della brughiera in silenzio, chiedendosi cosa mai dovessero aspettarsi. Qua e là si notavano vecchi recinti dalle tavole gonfie d’umidità e costellate dalle macchie colorate dei licheni, tutto sembrava in un profondo stato di abbandono. Se il loro maestro non li avesse portati lì di persona, difficilmente avrebbero creduto che in quel luogo vi fosse qualsiasi sorta di attività umana, magica o no.
«Come vi avevo promesso, eccoci all’area gestita dal mio amico Cyril», annunciò Olivander prima di bussare alla porta del casolare. Quando l’uscio si aprì, comparve un uomo molto magro, di statura normale e al sorriso molto gioviale. Non appena vide il maestro, lo salutò una calorosa stretta di mano.
«Cyril, grazie per averci ricevuto», continuò il fabbricante di bacchette, felice di incontrare di nuovo il mago. Era passato parecchio dalla sua ultima visita per rifornirsi di crine.
«E di che, Olivander? Sei il mio cliente preferito! Inoltre, è anche un mio interesse che i tuoi allievi siano ben preparati in materia», disse prima di osservare con attenzione i tre apprendisti. «Benvenuti, ragazzi: state per diventare partecipi di uno dei tanti segreti ben custoditi nel mondo magico. Ma prima entrate, avanti».
Com’era da prevedere, l’interno del capanno differiva molto dal suo esterno: le pareti erano tinteggiate di fresco, l’ambiente enorme e luminoso. Diverse scrivanie erano disposte nella sala e sul muro brillava una grande mappa magica che doveva raffigurare la zona e la boscaglia poco distante. Diversi punti luminosi si muovevano e i ragazzi immaginarono che fossero gli esemplari del branco di cui quel mago era responsabile.
Guardando bene lo staff, Richard notò che Cyril era l’unico uomo della squadra.
«Dunque, la mia riserva è una delle tre autorizzate in Gran Bretagna e la principale rifornitrice di elementi magici derivati dagli Unicorni», cominciò a spiegare il responsabile, continuando la spiegazione di poco prima di Olivander. «Gli altri due centri sono il Santuario Scamandro, che il celebre biologo Newt ha ricavato dall’allevamento di Ippogrifi della sua defunta madre, e la colonia che si nasconde nella Foresta Proibita a Hogwarts, naturalmente».
Richard e Marietta si guardarono un po’ sorpresi, riconoscendo nel volto dell’altro la stessa meraviglia: e chi lo sapeva? A scuola avevano sempre ricordato quanto fosse proibito avventurarsi nella foresta, tutt’al più erano a conoscenza dei Centauri, ma solo perché Silente ne aveva invitato uno a insegnare Divinazione per far infuriare la Umbridge!
Cyril continuò: «Chiunque di voi continuerà l’opera del suo maestro, mi auguro che si assicuri di mantenere sempre dei rapporti onesti e legali con me e con gli altri fornitori di componenti magici così rari e pregiati. Abbiamo infatti la regola di interrompere qualunque accordo con chiunque favorisca il contrabbando di questi elementi, sappiatelo, e sarebbe davvero un’infamia macchiare in questo modo il nome di una tradizione secolare come quella della famiglia Olivander».
Sentendosi chiamato in causa, il fabbricante di bacchette intervenne: «Via, Cyril, non spaventarli: sono tutti ragazzi onesti. Piuttosto, spiega loro come funzionano le cose qui».
«Certamente», annuì il mago prima di spostarsi verso un’altra scrivania. «Bene, sappiate che ottenere qualcosa dalle nostre creature non è affatto semplice: molti che si mettono in contatto con noi credono che basti indicare le quantità delle sostanze di cui necessitano e mettersi alla finestra ad attendere che uno o più gufi effettuino la consegna, ma si sbagliano. Se qualcuno vuole qualcosa da noi, deve venire a prenderselo».
Cyril indicò la grande mappa che riluceva sulla parete: «Come avrete immaginato, qui teniamo d’occhio tutti i nostri esemplari: ogni Unicorno è indicato da un punto luminoso diverso e i colori cambiano a seconda che si tratti di maschi, femmine o cuccioli» e così dicendo, indicò due punti particolari, uno rosso e uno dorato, prima di continuare a spiegare. «Vedete? Questi sono una femmina col suo piccolo. Ha partorito da poco, per questo girano insieme, e in questo caso è meglio tenersi alla larga: quando i giovani Unicorni sono ancora dipendenti dalla madre, questa può diventare aggressiva e pericolosa per gli estranei».
In un angolo della mappa, invece, due punti brillanti d’oro scorrazzavano in cerchio: quelli dovevano essere due esemplari non ancora allo stadio adulto, ma già abbastanza grandi per avventurarsi da soli nella foresta. Guardando Richard, il responsabile della ricerca fece presente che, come probabilmente sapeva già, per lui quella notizia era particolarmente interessante, perché avvicinarsi a un Unicorno giovane e dal manto ancora dorato sarebbe stato meno pericoloso.
L’apprendista sorrise e assicurò che non si sarebbe tirato indietro neanche di fronte a un maschio adulto, se fosse stato necessario, e Cyril ridacchiò soddisfatto.
«Ora, molti s’immaginano di dover cacciare un Unicorno per ottenere da lui ciò di cui ha bisogno. Niente di più falso e ridicolo: se non vi vogliono incontrare, state pur certi che neanche con un Incantesimo di Appello vi sarà possibile rintracciarli. Sono animali molto intelligenti, però, e sanno che ormai vivono in simbiosi con noi: noi impediamo che vengano cacciati brutalmente per le proprietà magiche che possiedono e loro in cambio si lasciano tagliare qualche crine, smerigliare il corno per la polvere, e con gli esemplari più mansueti riusciamo perfino a fare dei prelievi di sangue senza che questo comporti delle maledizioni per chi opera».
Cyril spiegò ancora alcune piccole faccende minori, poi chiamò una strega tra le sue varie collaboratrici, che raggiunse il gruppetto sorridendo. I suoi denti bianchi sembravano addirittura splendere, incorniciati dalla sua pelle scura e dai capelli corvini. Sulla fronte portava un piccolo segno scuro.
«Calinda», disse il mago, «ti spiacerebbe fare tu da guida ai nostri ospiti?»
La donna annuì, mostrando poi la strada al gruppetto per cominciare la loro escursione. «Ci sono poche regole», esordì quando furono soli, «quando siamo in movimento, state sempre dietro di me: non ci sono soltanto Unicorni in quest’area e bisogna fare attenzione. Quando incontreremo il giusto esemplare, pregherei il signor Olivander e il suo apprendista maschio di rimanere un attimo in disparte, perché questo prima si metta a suo agio con le due ragazze e non reagisca in maniera sbagliata. Sono animali molto mansueti, ma è meglio non innervosirli. Infine, se vi dico di allontanarvi, fatelo, non importa quanto l’Unicorno sia carino e adorabile Tutto chiaro, fin qui?»
«Certo, signorina, ma oltre a essere l’apprendista maschio di Olivander io mi chiamo Richard», commentò il ragazzo prima di sbadigliare per l’ennesima volta. Decisamente avrebbe dovuto chiedere se ci fosse qualcosa simile a una macchinetta del caffè prima di uscire dalla casetta… Peggio per lui.
Calinda annuì in maniera gentile e mostrò loro il sentiero prima di incamminarsi davanti a tutti. Seguivano Marietta e Jurga, che non smetteva di fissare la sua compagna, quindi Richard e per ultimo il signor Olivander, che conosceva bene quella zona boscosa per le sue numerose visite. La giornata si faceva interessante.



Angoletto dell'autrice: Salve a tutti, eccomi di nuovo qui. Gosh, mi spiace aver messo da parte questa storia così a lungo, ma prima ci sono stati gli esami, poi il lavoro in casa editrice E gli esami, poi la tesi... E poi mi sono trovata con millemila storie da aggiornare. Sì, picchiate me e la mia incapacità di organizzarmi, ne avete il diritto! ._______.
Anyway, alla fine questo capitolo si è scritto abbastanza da solo, una volta che ho fatto mente locale, temo si sdoppierà (che novità), ma spero di aggiornare quanto prima per continuare la lezione sugli Unicorni. Fatemi sapere che ne pensate! :)

Rowi

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