Hard World

di fatina83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: NEW ADVENTURE ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: SCONTRO FORTUITO ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: SOLITA INSENSIBILE ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: UNA RAGAZZA DIVERSA ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: INCAUTO DESTINO ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: SERATA DI SVAGO...FORSE ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: UN GIORNO DIVERSO ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: SARA' VERO??? ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: NEVE+FREDDO=CIOCCOLATA ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: MI STAVO INNAMORANDO ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: STRANO APPUNTAMENTO ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: LA COLAZIONE ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: TUTTO A MONTE ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: SERATA INTERMINABILE ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: SORPRESE ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: COMPLEANNO ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: IL PASSATO TORNA PREPOTENTE ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: DAL PARADISO ALL'INFERNO ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19: DOPO LA PIOGGIA...IL SERENO ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20: STRANE SENSAZIONE ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21: COME IL PRIMO APPUNTAMENTO ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22: A CUORE APERTO ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23: REGALI DI NATALE ***



Capitolo 1
*** Prologo: ***




HARD WORLD


Mi chiamo Sophie Maresca e sono una studentessa.
Ho vinto una borsa di studio per frequentare uno dei prestigiosi college americani, la UCLA a Los Angeles.
La mia vita è sempre stata in salita, solitaria e a causa di un piccolo aneddoto giovanile, ho imparato che nella vita non ci si può fidare di nessuno.
Questo mi ha forgiato il carattere, sono dolce, ma il più delle volte sono una tremenda ragazzina di 23 anni, permalosa e con le unghie affilate e non mi importa chi c'è davanti a me, se ho da graffiare lo faccio fino a che le ferite non sanguinano.
La mia storia inizia per puro caso e continua con la speranza che qualcosa possa cambiare la mia vita ma ... il mondo è duro.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: NEW ADVENTURE ***


 

Capitolo 1: New Adventure

 

Ero pronta, la mia avventura sul suolo americano stava per iniziare ed io, non vedevo l’ora di immergermi nelle acque californiane, ed andare per le strade famose di Los Angeles e magari conoscere qualcuno di carino che potesse cambiare la vita, chi lo sa forse l’uomo che occupava i miei sogni da 2 anni a questa parte.
Appena scesa dall’aereo sentivo già tutto un altro profumo, tutto un altro sapore. Finalmente ero libera, o perlomeno lo sarei stata per un anno, libera di fare quello che più mi saltasse in testa, tutto quello che avevo sognato di fare in terra straniera.

Raggiunsi la postazione dei bagagli e mi affrettai a prendere il mio.
Tra poco più di 2 ore avrei avuto appuntamento con le mie compagne di camera, giù al campus e poi avrei fatto una lunga dormita per smaltire, almeno un po', il fuso orario che mi portavo dietro dopo molte ore di volo.
Ero una gran pigrona, quindi di fare le scale non ne avevo proprio voglia. Raggiunsi velocemente l’ascensore che stava per chiudersi e con il palmo della mano bloccai il sensore che fece riaprire le porte.
 
Non c’era nessuno, solo io ed un ragazzo che se ne stava a leggere il giornale, cosa alquanto strana, chi mai leggeva il giornale dentro un ascensore? .
Premetti il tasto per salire ai piani superiori che mi avrebbe successivamente portato sino all’uscita e aspettai battendo il piede nervosamente. Un colpo bloccò l’ascensore e la luce come in un film horror si spense all’improvviso.
“Appena arrivata e già mi trovo nei guai” pensai chiusa in quell’ascensore al buio con qualcuno che non conoscevo. Ero da poco atterrata nel suolo Americano e come al solito la mia fortuna riusciva sempre a perdermi di vista. Ero stanca e accidenti a me che avevo evitato volentieri le scale. Una mano mi sfiorò ed io mi ritrassi di colpo.
«Tranquilla signorina, ha paura?» una voce mi raggiunse nell’oscurità dell’ascensore.
«Be diciamo che non capita tutti i giorni di rimanere chiusi in un ascensore, al buio e con qualcuno che non conosci» dissi di risposta a quel giovane che aveva deliberatamente allungato le mani.
«Sono innocuo te lo potrei giurare» non conoscevo gli americani, ne tanto meno gli uomini americani, quindi fidarmi era l’ultima delle mie intenzioni.
“Bene direi che di meglio non mi poteva accadere” pensai, mentre l’ansia sembrava all’improvviso salirmi dallo stomaco sino al petto bloccandomi il respiro.
«Voglio uscire e subito» un senso di claustrofobia mi prese e mi mozzò il fiato. Respiravo a fatica e l’ansia prese il sopravvento.
«Vieni qui, ti aiuto io» quella voce mi strinse forte, la mia schiena si poggiò delicatamente al suo petto e le sue mani stringevano le mie in un abbraccio.
«ma..io» risposi balbettando alla sua gentile offerta «Ti aiuto a respirare...sai a mia sorella capita molto spesso, sono bravo... su respira con me» la sua voce mi dava un senso di calore, come se mi fosse entrata dentro e avesse sfiorato donandomi un senso di pace, ci sapeva davvero fare.
Ritmicamente il suo cuore dava il tempo al mio respiro e presto il panico sembrò cessare all’improvviso.
«Va meglio?» disse come preoccupato
«Si grazie» rimase lì stringendomi a se.
Sentivo il profumo del suo dopobarba solleticarmi il naso. Non riuscivo a vederlo ma la mia fantasia stava già viaggiando. Non era altissimo, gli arrivavo appena sotto il mento, la sua testa appoggiata alla mia faceva attaccare i miei capelli alla sua barba, dalle sue mani sentivo la morbidezza della sua pelle.
«Parliamo un po', distraendoti il disturbo dovrebbe passare...come ti chiami?»chiese incuriosito.
«Mi chiamo Sophie»
«Piacere Sophie...ti va di raccontarmi un po' la tua vita...sino a che si apriranno le porte, se pensi ad altro l'ansia dovrebbe passare» a me sembrava una tattica più che un metodo per alleviare il panico.
«Be veramente, non mi va di raccontare i fatti miei al primo sconosciuto che incontro» dissi un po' acida, non mi andava che uno sconosciuto approfittasse della situazione per venire a conoscenza dei fatti miei.
«Guarda che lo faccio per te, per aiutarti, ma...se vuoi un altro attacco di panico fai pure» era molto convincente, quelle parole bastarono a farmi vuotare il sacco.
«Ok, ok, ...Mi chiamo Sophie ho 23 anni e sono Italiana, ho vinto una borsa di studio per la UCLA, sono appena arrivata e già mi trovo nei guai» esclamai preoccupata e il mio respiro riprese ad accelerare, sembrava non volesse cessare la sua corsa.
«Non sei nei guai, rilassati altrimenti tutto questo non servirà a nulla, continua... in quale università hai vinto la borsa di studio?»
«School of the arts and architecture» la mia voce sembrava mozzare le parole ma comunque comprese lo stesso quello che gli avevo appena detto.
«Wow, è bellissimo, quindi rimarrai qui per quanto?»
sembrava davvero interessato, ma non volevo che si sapesse davvero tutto di me, magari all’apertura delle porte mi sarei ritrovata davanti uno con l’intenzione di provarci e dirgli tutto sulla mia permanenza sarebbe stato poco opportuno.
«Sai che inizi ad essere troppo curioso per i miei gusti...dimmi un po' di te invece...»
«sei tu che hai bisogno di parlare?» la sua voce si arricchì con una piccola risata, come se si stesse divertendo a prendermi in giro o cosa.
«Sto bene adesso su ...raccontami un po' di te, non mi piace il fatto che tu ora sai tutto di me ed io invece... non conosco nulla, nemmeno il tuo nome»
«Be io sono... » le luci si riaccesero all’improvviso e per un attimo rimasi stranita, i miei occhi dovevano riabituarsi alla luce del neon.

Dopo averli strofinati per due, tre volte risollevai lo sguardo ed incrociai il suo. La luce rendeva il suo viso incredibilmente perfetto, e i suoi occhi mi attraversarono come pugnali lasciandomi un dolore che mi bloccò di nuovo il respiro. Un sorriso e poi le porte si aprirono.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: SCONTRO FORTUITO ***



Capitolo 2: SCONTRO FORTUITO


«Credo che non occorra più dire il mio nome» mi disse accennando un mezzo sorriso «scusami ma adesso devo andare» mi diede le spalle e come niente andò via. Sì, era senz’altro vero, sapevo benissimo chi lui fosse, ma questo non gli dava il diritto di andare via così, come se nulla fosse accaduto, non che fosse accaduto qualcosa, ma volevo avere almeno l’opportunità di sdebitarmi. Con tenacia e sguardo cattivo puntai il mio obiettivo, strinsi la maniglia del trolley e velocemente lo raggiunsi.
«è vero so chi sei, ma non per questo puoi lasciarmi in quel modo. Permetti che io mi sdebiti, per favore?»
«Non importa credimi, l’ho fatto volentieri, non mi è costato nulla farlo» disse ammiccando un sorriso…”caspita che strana sensazione” pensai.
«Sì, ma io mi sento in debito» incalzai, non mi sarei data pace finché non mi fossi sdebitata, anche perché… quando mi sarebbe ricapitata un’altra occasione così?!
«Spero di avere un’altra opportunità di rincontrarti, così non ti verranno i sensi di colpa, ma adesso ho fretta, mi dispiace… Ciao Sophie».
Rimasi lì immobile come una statua di cera a fissare la sua figura allontanasi verso l’uscita. I miei piedi sembravano essersi incollati al suolo e i miei occhi videro quel bel fondoschiena scomparire dietro ad una porta.
“Pazienza, - pensai - in fin dei conti cosa potevo mai aspettarmi da qualcuno di famoso, sono sempre così prevenuti, così no, no no“. Mi disincantai all’istante, dopo aver considerato il lato buffo della cosa: il mio sguardo fisso sulle tasche posteriori dei suoi jeans neri. Scossi leggermente la testa, come per scollare via il pensiero impuro che stava balenandomi in mente e mi incamminai anche io verso l’uscita, due ragazze aspettavano solo me. Presi il taxi che mi avrebbe portata al campus e come nulla fosse mai successo considerai che, come prima avventura appena atterrata a Los Angeles, quella era stata un bel punto di partenza.
Tutto sembrava magico visto da dietro il finestrino del taxi: l’Italia era piena di palazzi storici, chiese e monumenti, invece da quando l’auto aveva lasciato l’aeroporto non avevo fatto altro che vedere palazzoni di vetro o vetrate mastodontiche. Presto arrivai a Campus e lì, nel piazzale principale mi aspettavano le mie nuove coinquiline. Si avvicinarono incuriosite verso di me e poco dopo si presentarono.
«Ciao io sono Kate lei è Mary, tu invece devi essere Sophie vero?»
«Sì, piacere di conoscervi» risposi stringendo loro le mani.
«Bene, allora ti facciamo vedere la tua camera e poi un rapido giro per il college, che ne dici?»
«Va benissimo» esclamai.
Rimasi impressionata dalla grandezza del college, la mia Facoltà in Italia era divisa in dipartimenti, tutti disseminati in varie parti della città… molto pratico. Lì invece era come avere tutto quello che ti serve a pochi metri di distanza: biblioteca, alloggio, caffetteria, wow non riuscivo ancora a rendermi conto di quanto fossi stata davvero fortunata ad aver vinto la borsa di studio per un posto così incredibile. Lasciai tutta la mia roba in camera, annotai per bene l’indirizzo del campus, sbadata com’ero sarei stata capace benissimo di perdermi, e salutando le mie nuove amiche mi diressi verso le vie principali di Los Angeles, era bello pensare che a portata di autobus avevo le località più citate dei telefilm americani.

Era un incanto quella città e per me, che studiavo arte e architettura, voleva dire fermarmi ad ogni palazzo e valutarne la forma, il materiale e il bellissimo gioco di luci che i vetri lasciavano a vedere. Un palazzo colpì la mia attenzione, stonava proprio con tutti quelli lì attorno, per forme, colore ed ornamenti. Uno strano luccichio mi fece perdere per un attimo l’equilibrio, indietreggiai per evitare di cadere, ma accidentalmente pestai il piede di qualcuno che stava uscendo dal cancello alle mie spalle.

«Scusami, sono davvero sbadata, spero di non averti fatto male?»
«No, non mi hai fatto male tranquilla» quella voce, quella bellissima e inconfondibile voce, la stessa che quella mattina mi aveva aiutato ad affrontare la mia crisi di panico.
«Ma…sei tu…»alzai lo sguardo ed incontrai di nuovo quegli occhi, quei maledettissimi occhi assassini che facevano latitare la mia voce.
«Ciao Sophie… come stai?» disse come se davvero gli importasse qualcosa… ma poi ci eravamo lasciati in aeroporto giusto 4 ore fa?
«Bene..cioè stavo meglio prima» “prima di farmi del male da sola rivedendoti” era più forte di me, la mia bocca iniziava un discorso e la mia mente lo finiva, senza comunque avere il coraggio di esporlo.
«Beh adesso se vuoi ho un po’ di tempo per te!»
«…di tempo per me?…per cosa scusa?» rimasi sbalordita, davvero voleva dedicarmi un po’ di tempo? E pensare che lo avevo già giudicato come un “no, no, no, non ho tempo per voi comuni mortali!”
«Beh in aeroporto mi hai detto che ti sentivi in debito con me o sbaglio?
«No non sbagli ma come… e poi scusami ma potresti anche presentarti»
«Scusami, so che non c’è né ho bisogno, ma ..io sono Jackson Rathbone» “ok, questa se la poteva anche risparmiare, so che non né ho bisogno? Ma…”
«Piacere…e come pensi che mi debba sdebitare?»
«Non saprei …un caffè per esempio?» almeno era modesto.
Accennai un sorriso ed acconsentii, anche se non sapevo proprio dove andare, mi guardai bene intorno. Diamine! Mi ero pure persa…
«Va bene ma…io qui…non so dove andare, ci sono finita per sbaglio in questa zona, e credo…» mi interruppe ed avanzò una sua teoria.
«Per sbaglio? Non mi stavi seguendo?» subito mi ritrassi e scossi ripetutamente testa anche un po’ offesa dalla sua strana insinuazione.
«Oh mio dio… no!!! Stavo visitando la città e mi sono ….» ero davvero confusa, Los Angeles non era una città piccola e il fatto che nel giro di poche ore lo avessi di nuovo incontrato era incomprensibile anche per me.
«Sì certo…stavi visitando la città… ma dai mi fai così stupido?» mi disse con un filo d’insolenza.
«Senti ma chi ti credi di essere, solo perché hai detto due parole in un film ti credi chi sa chi, scendi dall’albero pallone gonfiato» ero permalosa, dannatamente permalosa…e che uno così mi desse anche della bugiarda era proprio la fiamma che avrebbe fatto scoppiare la bomba.
«Senti, ne vedo tutti i giorni di ragazzine che per sbaglio mi incontrano e si scontrano con me e tu non sei di sicuro una con molta più fantasia delle altre»
«Senti, sai che ti dico?» infilai di prepotenza la mano nella tasca destra dei miei jeans e estrassi cinque dollari «Prendi questi, il caffè vattelo a prendere da solo, non mi va di dover rivedere la tua faccia ancora un’altra volta».
La miccia era stata accesa, dovevo evitare di farla scoppiare, così mi allontanai subito da quel ragazzo tanto carino quanto troppo sicuro di se.
«Ma Sophie…»


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Capitolo 4
*** Capitolo 3: SOLITA INSENSIBILE ***


Capitolo 3: SOLITA INSENSIBILE



Mi girai di scatto senza dargli possibilità di replica ed accelerai il passo. Era stato un gran presuntuoso, un pallone gonfiato. Davvero credeva che il mondo gli girasse intorno, che io gli fossi andata dietro?
«Aspetta Sophie» urlava da lontano, ma non avevo intenzione di voltarmi né tantomeno di incontrare il suo sguardo tanto bello quanto crudele e farmi ridire che ero stata una bugiarda e che lo avevo seguito di proposito.
«Dai per favore aspetta» una mano afferrò il mio polso e fermò di scatto la mia corsa. Dovetti girarmi per parlare di nuovo con lui, con quell'uomo spocchioso ed egocentrico ma, di sicuro, non gli avrei usato la stessa cortesia di prima.
«Cosa vuoi ancora?» gli urlai spazientita ed offesa.
«Scusami, ma non mi fido delle persone, nel mio mondo non ti puoi fidare di nessuno» disse così, come se nulla fosse, addolcendo i suoi tratti ostili e abbassando teneramente lo sguardo verso un punto fisso nell’asfalto.
«Non per questo puoi trattare le persona da bugiarde» il mio di tono era rimasto lo stesso irato e senza possibilità di perdono. Come osava lui, che mi conosceva da poco più di quattro ore, giudicarmi?
«Ok, ok, hai ragione...me lo sono proprio meritato» alzò le mani in segna di resa mentre una piccola ruga espressiva cambiava piano piano forma diventando uno splendido sorriso.
Rimasi a fissarlo per un minuto ed anche il mio di labbro si piegò leggermente all’insù. Aveva un sorriso contagioso e quell’incredibile fossetta mi fece dimenticare il vero motivo che aveva portato a quella terribile scenata.
«Non puoi pensare che tutto si risolva magicamente»
«No infatti... cosa fai adesso?» la sua spontaneità mi spiazzò
«Cosa hai detto?»
«Cosa fai, così per farmi perdonare ti porto io in giro per Los Angeles» era davvero intenzionato a farsi perdonare, ma guardando l’orologio mi accorsi che era davvero tardi e che dovevo rientrare al campus. La cosa che più mi divertiva era stuzzicare le persone e il fatto che davanti a me ci fosse Jackson Rathbone o un ragazzo qualunque non faceva alcuna differenza, non volevo rinunciare al mio piccolo divertimento.
«Non ci penso nemmeno ad andare in giro con te...e poi ho finito il mio tour nel momento in cui un CAFONE mi ha preso per bugiarda» dissi uscendo fuori la lingua e arricciando il muso.
«Me lo devi ancora rinfacciare...be' se il tuo tour è finito ti accompagno sino al campus?» sembrava starmi dietro in questo gioco di frecciatine.
«E salire in macchina con te...non grazie?»
«Se avessi avuto cattive intenzioni ne avrei approfittato in ascensore, non credi?» una fragorosa risata ruppe del tutto la tensione e finì per farmi convincere ed accettare il suo invito.

Lo seguì sino al parcheggio sotterraneo del palazzo, non vi erano molte macchine ma le guardai una per una per individuare la sua. La nostra passeggiata cessò in prossimità di una piccola Toyota azzurra.
«Tirchietto per essere un attore» il mio cervello si era distrattamente collegato alla mia bocca, non volevo minimamente sfoggiare quel brutto lato di me… l’insolenza…ed invece era venuta fuori di proposito per farmi fare la solita figuraccia con le persone, sperai ardentemente che non si fosse offeso.
«Cosa vuoi dire?»
«Nulla di che…gli attori americani hanno tutti delle gran macchine e tu una piccola yaris, senza contare che ha solo 3 porte» proprio non riuscivo a stare zitta, dovevo per forza fare la figura della ragazza acida e maleducata?
«Mi piacciono le macchine piccole… - sorrise - ma dici sempre tutto quello che ti passa per la testa?
«Si, sono una persona SINCERA io» per fortuna il mio discorso non sembrò toccarlo, era abbastanza tranquillo ed aveva afferrato la cosa come un discorso provocatorio con il solo intento di farlo ridere.
«Dove ti porto???»
«UCLA, 405 Hilgard Avenue»
Sfrecciava per le vie di Los Angeles in tutta fretta, con un braccio fuori dal finestrino e con il soffio del vento che gli scompigliava i capelli. Sembravo come ipnotizzata, non potevo fare a meno di fissarlo. Nascondeva quegli occhi verdi dietro il vetro scuro degli occhiali e i suoi capelli castani erano pettinati dal vento che entrava. Cercavo ogni tanto di cambiare la mia visuale, anche perché il più delle volte si accorgeva che io lo fissavo, perché faceva un sorrisino ogni 5 secondi.
«Allora...che ci facevi a Beverly Hills, davanti al palazzo del mio agente?»
«Mi sembra di avertelo detto… ci sono finita per sbaglio e mi ci ero anche persa per quelle strade, o non ci credi sul serio?»
«No no… ti credo, e che sembrava che aspettassi qualcuno!»
«Non aspettavo nessuno uffa, sono una studentessa di architettura, è normale per me guardare i palazzi»
«Stavi guardando il palazzo...hahahaha...questa è bella, su questo devo ammetterlo sei stata originale»
«Vuoi smetterla dico sul serio… smettila o scendo»
«Ok, la smetto, abbiamo già chiarito la cosa»
«...ma siete tutti così voi attori?»
«Così come?»
«Così, maleducati, egoisti e finti moralisti, pensate che il mondo giri intorno a voi»
«Si vede che proprio non mi conosci»
Il suo sorriso si spense e per tutto il tragitto dalla sua bocca non uscì più neppure una parola. Rimase a fissare la strada e le sue labbra non mi fecero più ammirare il suo sorriso. Avevo proprio esagerato…io e la mia boccaccia, perché mai parlo a vanvera, dovevo contare, contare fino a 10 prima di parlare…avevo appena finito di dire che lui mi aveva giudicato ancora prima di conoscermi ed io avevo fatto la stessa cosa…che stupida ero stata.

Ero talmente assorta nei miei pensieri che non avevo notato che Jackson si era fermato e che il Campus era lì, alla mia destra.
«Siamo arrivati Sophie»
«Grazie per il passaggio»
«Di nulla, e...spero di rivederti… per caso»
«Sai che sei davvero antipatico…smettila…mi ero persa»
«Allora spero che ti perda un'altra volta, magari dalle parti di casa mia» disse urlando l’ultima parola, mentre l’auto si allontanava da me.
«Non ci sperare» urlai ridendo, sperando in fondo che non mi avesse sentito.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: UNA RAGAZZA DIVERSA ***


Capitolo 4: Una Ragazza Diversa

 

L’avevo vista all’aeroporto di Philadelphia, salire sul mio stesso aereo e sedersi qualche poltrona davanti a me. Capelli castano dorato e gli occhi nascosti dietro ad un paio di occhiali da sole troppo grandi che celavano sicuramente qualche lacrima di addio. L’avevo seguita per capire quale fosse la sua meta… per fortuna era scesa a Los Angeles e li si sarebbe fermata “almeno spero - pensai - adesso devo solo conoscerla. Perché il mio lato timido esce fuori in queste occasioni“. La fissai un istante e mi avvicinai cauto al suo bagaglio, volevo leggere almeno il suo nome, volevo rincontrarla, volevo sapere dove potevo trovarla. Il telefono vibrò dalla tasca della mia giacca, era tardi dannatamente tardi e dovevo affrettarmi, guardai il display, un piccolo messaggio mi ricordava l’appuntamento con il mio manager tra poco meno di 1 ora. Alzai il mio sguardo verso la ragazza a cui davo la caccia, ma non la vidi più, avevo perso l’occasione e adesso dove l’avrei rivista? Era troppo grande quella città per ritrovarla. “Maledetto aggeggio, mai che mi lasci respirare” pensai, non avevo più un minimo di tempo. Deluso per l’occasione andata in fumo mi detti una mossa, dovevo affrettarmi se non volevo subire una delle mie solite ramanzine, raggiunsi l’ascensore in tutta fretta e premetti velocemente il tasto, non volevo che qualcuna mi riconoscesse e che facesse con me i 3 piani d’ascensore. Mi sistemai appoggiandomi comodamente alla parete dell’ascensore ed alzai lo sguardo… vidi di nuovo il mio angelo avvicinarsi. D’istinto alzai il giornale per coprirmi il viso “che stupido che sono, la mia timidezza pensavo fosse scomparsa per sempre, insieme alla mia vita privata” pensai. Bloccò il sensore delle porte ed entrò. Sentì un buon profumo, era lei…mmm “ ok, jay adesso calmati, non fare lo stupido, appena ti vedrà ti riconoscerà e poi si comporterà esattamente come tutte le altre e questa specie di batticuore ti passerà all’istante, si nell’istante in cui sorriderà dicendo con la voce gracchiante ..oh dio sei Jackson Rathbone, tutte le emozioni spariranno come una bolla di sapone, adesso calmati e respira”


Un tremendo contraccolpo aveva bloccato l’ascensore ed io come un cretino avevo pensato che fosse stato un segno del destino a fare il modo che tutto capitasse ma…mi resi conto che il destino era solo la mia stupida goffaggine, …mi accorsi che sbadatamente avevo premuto i tasti dell’ascensore… che idiota, le paranoie si impadronirono di me “che faccio… come mi comporto… penserà che l’abbia fatto apposta… meglio fare finta di nulla… ad un certo punto sbloccherò tutto ma adesso no, potrò parlare con lei a luci spente, senza che sappia chi io sia… solo pochi minuti, giusto il tempo di capire che persona lei sia o semplicemente per sapere il suo nome… mi basta quello” pensai.
Dentro quell’ascensore ero un’altra persona, ero semplicemente Jay, un ragazzo americano che aiutava una ragazza in pericolo, mi sentivo molto cavaliere bianco, ma…il tremolio del cellulare mi riportò ben presso alla cruda realtà, riprese a vibrare, segno che dovevo tornare alla mia solita vita. Premetti il tasto
«Be io sono... » le luci si riaccesero all’improvviso la vidi lì, in piedi davanti a me con i capelli castano dorato e quegli occhi nascosti dalle mani che stropicciavano gli occhi che ancora si dovevano riabituare alla luce della cabina. Sollevò il viso e finalmente ne vidi il colore, un colore bellissimo, su un viso meraviglioso, non avevo mai creduto al colpo di fulmine, ma adesso avevo cambiato idea, le sorrisi e rimasi a fissarla per 10 secondi sino a che il telefono non riprese a vibrare e le porte si aprirono.


Si dimostrò non essere la solita ragazzina, ma una donna cui non importava chi avesse davanti, voleva solo essere gentile ma come al solito ero io quello che non poteva risultare normale a causa di cosa sono e cosa faccio, vorrei tanto essere semplicemente Jay e approfondire la sua conoscenza e …comportarmi come un normale ragazzo che porta una ragazza a cena e rimane solo con lei, ed invece per me fare questo avrebbe comportato una cena movimentata e tante corse per scappare dai fotografi, ecco chi ero, ed ecco come avrei rovinato la vita a chiunque mi fosse stato vicino.


«Hey jack ma mi stai a sentire?»

«Sì Pach ci sono» la mia agente mi svegliò bruscamente dal mio sogno ad occhi aperti.

«allora ci sono 7 giorni delle prossime 3 settimane di lavoro…grazie al cielo sono tutte vicino, quindi puoi tornare a casa se ne hai voglia, altrimenti prenotiamo l’Hotel

«no…dimmi pure le Tappe, così mi organizzo anche con le serate del gruppo
«Allora inizi martedì a San Francisco, giovedì Sacramento, poi abbiamo il 10 ottobre a Las Vegas, il 12 al Phoenix, e il 15 a San Luis, 18 a San Diego e poi di nuovo a Los Angeles con tutto il cast … poi ci saranno le solite apparizioni nei programmi televisivi, le interviste per i gionali e i sevizi fotografici, ma per questi ci aggiorneremo sai che ne spuntano all’improvviso, e poi… la prima del film con il red carpet il 16 di novembre» Sospirai sconsolato, sì, erano vicino a casa, ma per arrivarci mi occorrevano comunque 5 ore di viaggio in macchina e 2 in aereo.
«allora Pach, io parlo con i ragazzi, ma ti chiedo l’Hotel per Las Vegas e San Luis, è troppo Lontano per tornare indietro»

«Va bene Jack, come vuoi»

«e…chi c’è a queste convention con me?»

«due le farai da solo, quella di San Francisco e Sacramento, poi Las Vegas, Phoenix e San Luis con Ashley e a San Diego si aggiungerà anche Nikki»

ecco quello che proprio non volevo, avere 3 giorni Ashley vicino
«Va bene Pach, vado a casa adesso, ci sentiamo venerdì... e Martedì ci vedremo direttamente in Aeroporto

«Ok Jack…riposati, e non fare il solito, che fa tardi a suonare nei locali»
«sai che non te lo posso promettere»



Uscì dal suo ufficio ancora pensieroso, non volevo passare quei giorni con Ashley, era ancora una ferita aperta, mi faceva male, pensarla tra le braccia di un altro e il fatto di rivedere ancora il suo dolce sorriso mi dava alla testa. Ero sovra pensiero quando qualcuno salì praticamente sui miei stivali. Una ragazza era lì che non guardava neppure dove stava andando e che mi fece dimenticare per un attimo Ashley…era lei, incredibile…era Sophie, “ cosa ci faceva lì, forse l’avevo giudicata troppo presto”


«Scusami, sono davvero sbadata, spero di non averti fatto male?»

«No, non mi hai fatto male tranquilla»

«Ma…sei tu…» incontrai di nuovo i suoi occhi e mi persi letteralmente nel suo sguardo non ricordavo più a cosa stavo pensando e neppure se fossi stato io ad andarle contro.


«Ciao Sophie… come stai?» sorrise e questo sembrò cambiare del tutto il mio umore.
Ma la mia solita boccaccia e il mio fidarmi poco delle persone mi portò ben presto a cambiare la sorte di quella bellissima fatalità, in fin dei conti a chi non fosse venuto il dubbio che lei mi avesse davvero seguito


«Beh in aeroporto mi hai detto che ti sentivi in debito con me o sbaglio?
«No non sbagli ma come… e poi scusami ma potresti anche presentarti» che caratterino…aveva perfettamente ragione.

«Scusami, so che non c’è né ho bisogno, ma ..io sono Jackson Rathbone» “so che non né ho bisogno? Ma che diavolo mi passa per la testa“

«Piacere…e come pensi che mi debba sdebitare?»

«Non saprei …un caffè per esempio?» “iniziare così è sempre il passo giusto” pensai.
«Va bene ma…io qui…non so dove andare, ci sono finita per sbaglio in questa zona, e credo…» questa era proprio bella e io dovrei credere ad una storia del genere, allora è vero, ho solo creduto che lei fosse diversa, che non gli importasse chi fosse davanti a lei, era come tutte le altre.

«Per sbaglio? Non mi stavi seguendo?» con tono interrogativo cercai di cavarle la verità, ma l’unica cosa che riuscì ad ottenere fu, che si offese
«Oh mio dio… no!!! Stavo visitando la città e mi sono ….»

«Sì certo…stavi visitando la città… ma dai mi fai così stupido?» era quello che detestavo di più essere preso in giro, nella mia se pur breve carriera, ne avevo prese tante di batoste e di prese in giro.

«Senti ma chi ti credi di essere, solo perché hai detto due parole in un film ti credi chi sa chi, scendi dall’albero pallone gonfiato» iniziò ad urlarmi contro, wow era davvero difficile parlarle...era incredibile, ma non riuscivo proprio a fidarmi.
«Senti, ne vedo tutti i giorni di ragazzine che per sbaglio mi incontrano e si scontrano con me e tu non sei di sicuro una con molta più fantasia delle altre» troppe ragazzine avvolte avevano assecondato i miei capricci, o i miei momenti di sfogo senza batter ciglia, ma lei…che caratterino…

«Senti, sai che ti dico?» era visibilmente agitata cercò qualcosa come una pazza nelle tasche dei suoi jeans e estrasse dei soldi «Prendi questi, il caffè vattelo a prendere da solo, non mi va di dover rivedere la tua faccia ancora un’altra volta».

Prese di prepotenza la mia mano e con un forte clap, li lasciò sul palmo della mia mano voltandosi e andando via arrabbiata, ma cosa dico arrabbiata furiosa.
«Ma Sophie…» si…era una ragazza diversa, e adesso ne avevo la conferma.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: INCAUTO DESTINO ***


Capitolo 5: INCAUTO DESTINO


Era andato via così, con quella frase detta in tutta fretta. Non so quanto realmente volesse che io non la sentissi, ma l'avevo sentita benissimo.


La settimana continuò regolarmente senza nessun colpo di scena. Ovviamente la mia mente aveva fatto uno dei suoi soliti viaggi, avevo immaginato di vederlo spuntare al campus, così appoggiato alla sua Yaris ad aspettarmi. Non riuscivo nemmeno a comprendere perché mai mi dovessi fare quei viaggi, a me lui non piaceva nemmeno, non era il mio tipo di uomo, capelli lunghi e tatuaggi, no grazie, ma il fatto che fosse stato così gentile, senza escludere l'essere maleducato ed insolente, con me, mi aveva fatto uno strano effetto.

Dopo una settimana immersa nei libri, finalmente il weekend, non ero propriamente una secchiona, ma solo una che voleva sfruttare al meglio l'occasione che le era stata concessa, ma due giorni di relax non avrebbero fatto male a nessuno, avevo deciso quindi che mi sarei rilassata e così feci sino a sera quando...
«Allora che fai, vieni con noi» Katy spuntò dalla mia porta con un cappello strano in testa ed un sorriso smagliante

«Dove scusa?» chiesi curiosa
«Non vorrai rimanere ancora chiusa qui dentro, c'è vita per le strade di Los Angeles il sabato» il gesto plateale sottolineò meglio la cosa
«Non sono una che esce il sabato sera, comunque grazie »
«Dai andiamo solo a bere qualcosa ed ascoltare un po’ di musica, che male c'è...poi domani è domenica e potrai riposarti quanto vuoi»
«Ma io - la sua faccia delusa mi fece cambiare idea - ok, ok, …ma… »
«Dai allora vestiti bene, ci vediamo tra poco giù» non mi fece neppure finire la frase.
Afferrai uno dei miei bagagli, non avevo ancora avuto il tempo di disfarli. rovescia l'intero contenuto sul letto ed iniziai a cercare qualcosa di appropriato per la serata anche se il termine "vestiti bene" non si addiceva proprio alla mia persona. Tra il mucchio tirai fuori un paio di jeans neri, la maglietta anni '80 con l'immagine sbiadita di David Bowie e un paio di stivali. mi guardai ripetutamente allo specchio, c'èra qualcosa che ancora non andava. Mi truccai leggermente e feci un piccolo nodo alla maglia, "Si ecco, adesso va benissimo" pensai e raggiunsi le mie amiche giù nel piazzale.
«Bè come ti sei vestita»
«mi avete detto una semplice bevuta, mica una sfilata di moda»
«guarda che dove andiamo, sono tutte vestite bene»
«Perché?»
«Perché tentano di fare colpo sulla band»
«No problem… non mi piacciono i metallari»
«Non sono metallari»
«Non mi piacciono i musicisti»

Non riuscivo a capire perché tutte dovevano stravedere per dei ragazzi sudati, tatuati, magari vestiti in un modo orrendo o addirittura truccati.
Il locale era dall’altra parte della città, era bella Los Angeles illuminata dalle luci artificiali. Appena in prossimità della zona, era difficile riuscire a trovare un buco per parcheggiare, ed inoltre davanti al locale c’era una fila kilometrica.
Aspettammo pazientemente di voltare l’angolo quando ad un tratto sul muro del locale
«O.M.G. vi prego ditemi che è uno scherzo»lì in bella mostra un cartellone con un poster diceva ”this saturday “100 MONKEYS” THE VIPER ROOM 9. Pm” sembrava un incubo senza fine.
«Cosa?» Mary mi guardò stranita come se dalla mia bocca uscissero frasi sconnesse e senza senso
«Chi suona qui sta sera?» dissi quasi isterica
«Suonano i 100 MONKEYS, conosci?» non era uno scherzo, stavo andando nella tana del nemico.
«Conosco il cantante…credo»
«Qui cantano tutti specifica, poi conosci…, lo avrai sentito nominare in Italia forse»
«No, mi sono scontrata 2 volte con lui…è mi è bastato»
«Cosa...cioè con chi???»
«Con Jackson Rathbone»
«E’ tu lo dici così come niente fosse»
«E’ antipatico e presuntuoso»
«Stai scherzando?»
«Ti dico di no»

Entrammo e già l’atmosfera era bella calda. Tutte si sistemarono letteralmente sotto il palco, come se dovessero aspettarsi qualcosa da li sotto, che ne so, baci e abbracci, secondo me il rischio di mettersi sotto il palco era solo di ricevere dei gran spintoni e nulla più, senza considerare il fatto che quelle ragazzine urlanti avrebbero messo a dura prova i miei timpani, sarei potuta diventare sorda. Lui entro con antri 4 ed iniziò a cantare e a suonare, non avevo mai sentito la loro musica, e per molti versi restai quasi estasiata dalla capacità che la loro musica aveva nel coinvolgere le persone: faceva venire voglia di cantare, ballare, di urlare al momento giusto e di piangere all’occasione. Dovevo ammetterlo vederlo su quel parco a divertirsi con i suoi amici mi dava l’impressione di un’altra persona, come se quello scorbutico e arrogante uomo che io avevo scontrato più volte non fosse lui. Riuscì a farmi perdere il fiato alcune volte, per come si comportava, per come si muoveva e quel suo sorriso, sembrava carico di magnetismo, era difficile staccargli gli occhi di dosso. Una cosa mi era dispiaciuta, non si era accorto di me. Chiesero cinque minuti di pausa e tutte le ragazze si avventarono verso il bancone lasciando uno spazio immenso sotto il palco. Mi senti triste, non si era accorto di me, ma allo stesso tempo ne ero un po’ sollevata, almeno non avrei dovuto dare spiegazioni a nessuno. Bevevo con calma la mia birra quando mi andò letteralmente di traverso.
«Hey Sophie, come stai?»
«Ciao…Jackson» guardai le mie amiche negli occhi, ma loro erano letteralmente rapite dallo sguardo di quel ragazzo dannato.
«Se non mi segui...mi cerchi» disse sorridendo, con quell’aria da presuntuoso.
«Ti sbagli, mi hanno trascinato loro, non sapevo nemmeno che tu suonassi qui sta sera» dissi con tono scontroso, uffa…non volevo assolutamente dare ragione alla sua teoria, ma sembrava davvero che io gli stessi andando dietro, invece era tutto frutto di un destino che si divertiva a giocare con me.
«Ricordati che sei ancora in debito» disse destando la mia curiosità
«Credevo che dopo la tua offesa gratuita fossi stata graziata??»
«Be’… io ti ho accompagnato al campus, o sbaglio?»
«Tu ti sei offerto!» gli ricordai snobbandolo.
«Per rimediare all'offesa, ma tu sei ancora in debito per l'aiuto in ascensore!»
mi accorsi che molte ragazze erano lì, intorno a noi e oltre ad ascoltare incuriosite la nostra conversazione, mi guardavano male, come se dai loro occhi potessero uscire da un momento all’altro saette o raggi pronti a polverizzarmi.
«Si ma non ora, ci stanno guardando tutti, ti prego vai»
«Ti danno fastidio gli occhi addosso»
«Molto, e credo che tu ti stia rendendo ridico, perché non raggiungi i tuoi amici dietro le quinte ti staranno cercando» andò via e le mie amiche erano lì pronte a consolarlo, mi girai verso il bancone e sorseggiai ancora un altro po’ di birra, sino a che Katy e Mary mi fecero la ramanzina.
«Ma che ti è preso?…come puoi trattarlo cosi…ma sei impazzita?»
«Sentite non si è comportato benissimo con me, quindi non voglio assolutamente comportarmi bene solo perché è famoso o che altro»
«Si ma non ti ha detto nulla di che»
«Si hai ragione Katy ma…non mi fido delle persone, degli uomini in modo particolare» non riuscivo proprio a comportarmi in modo diverso, mi avevano fatto troppo male le persone e gli uomini in particolare, e la mia era una forma di difesa, la mia arroganza, la mia rabbia e cocciutaggine era frutto di un passato non molto felice e comportarmi così era del tutto naturale.
«Dai, almeno dopo fatti perdonare, per favore fallo per noi che stravediamo per questi ragazzi»
«Va bene…e cosa dovrei fare?»
«Fermarti con noi dopo il concerto»
«Scordatevelo…ho intenzione di andare a casa»
«Si ma ti ricordo che guido io - disse Katy - quindi se non vuoi tornare a piedi, cerca di comportarti bene con loro dopo… per favore» mi lasciai convincere anche perché mi sentivo in colpa per come lo avevo trattato, ero la classica ragazza che lancia il sasso ma che non sa nascondere la mano e che dopo magari chiede scusa.

La serata si era conclusa e aspettavo pazientemente che la star venisse fuori da quella porta arrugginita. Non mi piaceva molto stare fuori la sera, e quel vicolo, a quell’ora mi faceva tremare.
«Hey Sophie… mi hai aspettato allora» “ecco il solito presuntuoso…ma che diavolo pensa che il mondo gli giri intorno.
«Se davvero ci tenevi al fatto che io ti aspettassi, avresti dovuto essere più puntuale» spazientita gli girai le spalle e cercai di andarmene da quel vicolo e da quel ragazzo.
«Dai..aspetta, aspetta» urlò e velocemente mi raggiunse. Ero prevenuta nei suoi confronti, forse lo ero con chiunque si fosse presentato davanti a me in quell’istante, se ne dicevano tante dei vicoli pericolosi in America ma sapevo benissimo che di lui potevo fidarmi, nonostante io lo trattassi male, lui mi si ripresentava sempre con il sorriso sulle labbra.
«Cosa vuoi, ma perché continua a renderti ridicolo, sai cosa significa la parola NO, voglio essere lasciata in pace»
«Aspetta ti prego, parliamo voglio solo conoscerti meglio» quella frase sembrò iniziare a sciogliere l’iceberg che avevo nel petto e cercando di sorridere mi girai
«scusami, lo so sono una stupida arrogante testona»
«Non voglio dire questo, dico che sei una che sta sulle difensive come se avesse paura che l’altra persona gli faccia del male» aveva centrato in pieno il mio problema
«Me ne hanno fatto tanto del male»
«Ma questo non vuol dire che chiunque ti chiede un sorriso non ti voglia aiutare…ti prego voglio conoscerti Sophie, voglio solo capire come sei»
«Ehmmm..arrogante presuntuosa e testona, non basta» cercai di sdrammatizza re l’ormai compromessa situazione, se ne era accorto benissimo di come fosse la situazione e credo che mi aveva inquadrato benissimo»
«No, sono convinto che tu abbia molte qualità è voglio scoprirle, ti prego»
«Va bene, spero solo che tu non te ne penta»
«Adesso sarò impegnato per 3 settimana, ma ho qualche giorno, ti va se ci vediamo?»
«Sei sicuro che vuoi conoscere questa indomabile ragazza»
«Sì, voglio ricominciare tutto daccapo come se ci fossimo appena conosciuti»
«Ok…piacere Sophie Maresca..e tu sei?»
«Ahahhaha….Jackson, Jackson Rathbone…Jay per gli amici»

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: SERATA DI SVAGO...FORSE ***





Capitolo 6: SERATA DI SVAGO...FORSE
 
 
 

Avevo urlato fuori dal finestrino quella frase mentre con la mia auto mi allontanavo, direzione casa, sperai che l‘avesse sentita e che qualcosa di buono le avevo lasciato, non il mio stupido caratteraccio.
Pensai a lei per tutto il tragitto, a come si era comportata con me, al sua caratterino, tanto ostile quanto provocante, finalmente qualcuna che riusciva a tenermi testa, senza per questo assecondate tutto quello che dicevo o facevo, era la prima ragazza che mi diceva di no, che diceva no a tutto quello che dicevo. Quel giorno tornato a casa, riuscì ad attirare su di me solo le battutine e le frecciatine dei miei inquilini, dopo che come un amico mi ero aperto a loro.
«Ho conosciuto una ragazza giù all’aeroporto»
«E’ com’è? La solita pazza fan»
«No, era davvero carina…e aveva un caratterino, mi ha urlato contro due o tre volte…pazzesco!!»
«Cosa? Abbiamo perso colpi Jay…non ci posso credere…tu che vieni scaricato»
«Dai Ben, non mi ha scaricato? È solo che, abbiamo cominciato con il piede sbagliato, tutto qui» “ecco ero diventato lo zimbello della casa, adesso andrà di sicuro a riferirlo a tutti“ pensai.
«Ed è solo questo che ti lasci perplesso o è il fatto che finalmente c’è una che no ti calcola?»
«Ahahaha…spirtoso, mi ero reso disponibile per un caffè e lei dopo un paio di incomprensioni mi ha dato 5 dollari e mi ha detto di prendermi il caffè da solo»

Risero per un quarto d’ora e nonostante io gli avesti spiegato e rispiegato lo scontro con Sophie, sembravano divertirsi punzecchiandomi, come se lo sport del giorno fosse prendermi in giro. Ma quando l’argomento diventò più serio, avevo la loro completa attenzione e il loro appoggio, cosa che non mi avrebbe mai abbandonato, ma non rinunciavano mai alla battuta facile e io sembravo servirgliele su di un vassoio d‘argento.
«Vedete lei è carina, sorridente, ha gli occhi…che parlano da soli»
«Ah si …e che dicono…attento o mordo?» lo osservai in cagnesco, poi ripresi a spiegare.
«Ah un espressione così dolce, ma allo stesso tempo è sempre in guardia, come se non si fidasse di me»
«Jay, ti ha inquadrato alla perfezione, io stesso conoscendoti non mi fido di te…ma hai messo in conto che forse non le piaci?»
«Certo che l’ho considerato, ma non mi voglio arrendere così, finalmente incontro qualcuna che non è attratta dal mio mondo, da quello che faccio, da…
«Da chi sei…ahahahaha»
«Dai ragazzi dico sul serio»
«Allora non te la fare sfuggire»
«Fosse facile… martedì devo partire è sicuramente quando tornerò ci sarà dell’altro lavoro per me, non ho molto tempo da dedicarle»
«Be prendi il numero e invitala al concerto di sabato!!!»
«Il numero? non ci ho pensato»
«Non ci posso credere Jay, ti piace una ragazza e non le chiedi neppure il numero di telefono? Sono le basi queste…se non ti scrivono le battute non sai proprio come comportarti vero Jay?»
«Basta con voi non si può parlare».

Quella settimana riuscì a rilassarmi prima del grande tour che mi avrebbe tenuto 3 settimane in giro per la promozione del film, e poi potevo sfogare ed urlare tutta la mia rabbia come sempre sul palco del THE VIPER ROOM, quel sabato avevo deciso di dedicarlo a me, ai miei amici e alle solite birre. Non mi importava nulla di Ashley, di Sophie, del mio lavoro…ero tutto suo, della mia musica e di nessun altro.

Salì sul palco e le urla delle fan portarono la mia adrenalina a mille, mi sentivo carico mentre accordavo la chitarra, sistemavo con cura i cavi nell’amplificatore e mi sollevai per vedere quanta gente ci fosse nella sala. Le urla coprivano i miei accordi ed i flash limitavano la mia visuale alle sole ragazze posizionate sotto il palco. Ben iniziò ad incitare il pubblico e Jerad saltellava come un matto per tutto il palco mentre Ben J e Uncle Larry davano vita ad una guerra dettata dal rumore delle percussione e poi via la serata iniziò come per magia. Era quello che volevo, serata di puro svago, senza distrazioni, con la musica a palla che non ti da modo di pensare e che ti entra dentro sconvolgendoti i pensieri, mentre tra le mani stringevo la mia adorata compagna di tutta una vita, il mio unico e solo amore la mia chitarra. Forse l’alcool iniziava a darmi alla testa, avevo bevuto già due bottiglie di birra ma non mi sentivo poi così ubriaco, iniziai a pensare che forse i miei occhi stava facendo brutti scherzi e che l’alcool non centrava nulla, era il destino che si divertiva a giocare con me. La sala era praticamente buia, solo al bancone del locale arrivava una fioca luce, è lì, per la terza volta nel giro di una settimana c’èra lei, se non era un caso, lei mi stava davvero seguendo.
Iniziai a suonare con il sorriso sulle labbra e nonostante mi fossi ripromesso di non pensare a nessuna donna quella sera, non vidi l’ora di fare una pausa.
Gli altri velocemente si andarono a nascondere dietro le quindi, mentre io scusandomi con loro, andai verso il bancone a salutare un’inaspettata fans

«Ehy Sophie, come stai?»
«Ciao»
«Se non mi segui...mi cerchi»“stupido allora te le vai a cercare?” non potevo rivolgermi a lei senza provocare una sua brutta reazione? proprio non ci riuscivo?
«Ti sbagli, mi hanno trascinato loro, non sapevo nemmeno che tu suonassi qui
sta sera»
«Ricordati che sei ancora in debito!!»
«Credevo che dopo la tua offesa gratuita fossi stata graziata?»
«Io ti ho accompagnato al campus, quindi ho rimediato al torto»
«Tu ti sei offerto!!!»
«Per rimediare all'offesa, ma tu sei ancora in debito per l'aiuto in ascensore»
«Si ma non ora, ci stanno guardando tutti, ti prego vai»la vidi vistosamente arrossita e quasi si nascondeva dietro le spalle delle amiche
«Ti danno fastidio gli occhi addosso?»
«Molto e credo che tu ti stia rendendo ridico, perché non raggiungi i tuoi amici dietro»rimasi perplesso dopo quelle parole, sapevo che stava sulle difensive, anche se iniziavo a credere di starle antipatico.
«Mmm…perché mi tratti sempre così, non credo di aver fatto nulla di male stavolta»
«Non hai fatto nulla di male, ma di sicuro le tue fans mi vorranno morta dopo questa sera» cercai il modo di vederla anche dopo, non ci sarebbero stati tutti quegli occhi su di lei, e forse si sarebbe un po’, come dire …aperta e non mi avrebbe trattato male.
«Ti fermi dopo, beviamo qualcosa dopo il concerto»
«sono stanca…credo di andare a letto presto»
Mi allontanai come un cane bastonato, con la coda tra le gambe, perché mai era così sulla difensiva con me.
«Jackson… -mi chiamarono e come sempre mi girai versò chi aveva pronunciato il mio nome - scusa la nostra amica..è un po’ acida»
«Non c’è problema…potete farmi un favore?» sfoderai il migliore dei miei sorrisi per convincere quelle due ragazze ad aiutarmi.
«o.m.g. certo Jackson »
«Potreste rimanere qui con lei fino alla fine del concerto, ci vediamo dietro nel cortile se non è un disturbo?»
«No…nessun disturbo»
«E… mi potreste dare il numero di telefono di Sophie?» ero stato davvero sfacciato, ma la mia tattica in quelle occasione era infallibile, sorriso, ammiccamento e occhilino…e…puf mi davano retta, almeno le sue amiche!!.
«certo…»
Presi il tovagliolino dal bar e scissi il suo numero
«Grazie ragazze a dopo»

Dopo il concerto la ritrovai fuori ad aspettarmi con le sue amiche, ma il suo era il solito portone sbarrato, dove a nessuno era permesso di entrare, era sempre sulla difensiva e pronta all’attacco, il problema e che io non avevo intenzione di attaccarla e di farle del male. Due parole ed era già scappata via, quasi impaurita, ok, avevo bevuto come al solito, ma non avevo raggiunto la soglia, il mio limite era ben lontano e quindi cosciente di quello che dicevo.

«Cosa vuoi, ma perché continua a renderti ridicolo, sai cosa significa la parola NO, voglio essere lasciata in pace»
«Aspetta ti prego, parliamo voglio solo conoscerti meglio» decisi di fare come mi aveva consigliato Ben, di insistere se lei mi interessava, se ritenevo che ne valesse la pena.
«Scusami, lo so sono una stupida arrogante testona»
«Non voglio dire questo, dico che sei una che sta sulle difensive come se avesse paura che l’altra persona gli faccia del male» abbasso lo sguardo, come se si vergognava di quello che aveva fatto e di come si era comportata con me, avevo centrato in pieno l’obbiettivo, avevo capito quale fosse il suo problema
«Me ne hanno fatto tanto del male»
«Ma questo non vuol dire che chiunque ti chiede un sorriso non ti voglia aiutare…ti prego voglio conoscerti Sophie, voglio solo capire come sei»
«Emmm..arrogante presuntuosa e testona, non basta» cercò di sorridere ma la sua espressione restò comunque tesa.
«No, sono convinto che tu abbia molte qualità è voglio scoprirle, ti prego
«Va bene, spero solo che tu non te ne penta»
«Adesso sarò impegnato per 3 settimana, ma ho qualche giorno, ti va se ci vediamo?»
«Sei sicuro che vuoi conoscere questa indomabile ragazza»
«Sì, voglio ricominciare tutto daccapo come se ci fossimo appena conosciuti»
«Ok…piacere Sophie Maresca..e tu sei?» sorrisi davanti alla sua spontaneità alla sua voglia di ricominciare. Forse ero riuscito a creare una fessura in quella corazza spessa.
«Ahahhaha….Jackson, Jackson Rathbone…Jay per gli amici.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: UN GIORNO DIVERSO ***


 

 

Capitolo 7: Un Giorno Diverso

 

 

 


I giorni passarono tranquilli tra una lezione e l’altra senza più pensare a lui, o almeno ci provavo. Poter conoscere una celebrità era cosa assai rara e che la celebrità fosse davvero affascinante e lo avessi incontrato e scontrato varie volte, era davvero qualcosa di inspiegabile. Non avevo lezione quella mattina, ma decisi ugualmente di andare a fare colazione in qualche bar, mia madre mi faceva ogni giorno le stesse raccomandazioni: ”Mangi? Non esagerare che lì si ingrassa con lo sguardo”, ma io alla colazione americana, mi ci stavo davvero abituando. Afferrai qualcosa dai cassetti e mi preparai per uscire, nulla di particolare visto che eravamo nel mese di novembre ed a Los Angeles non faceva poi così freddo, indossai la mia solita tuta da ginnastica, una canottiera mezza bucherellata ed una gigantesca felpa, non mi piaceva molto mostrare le mie forme, per questo tendevo a mettere sempre magliette più grandi. Ok, a Los Angeles, città di celebrità e di belle ragazze, vestita così avrei sicuramente dato nell’occhio, ma io alla comodità non volevo proprio rinunciarci, e poi dopo la colazione sarei tornata in camera a studiare, quindi agghindarsi per qualche metro non valeva proprio la pena. Afferrai una matita dalla scrivania e con un veloce gesto acconciai i capelli, una veloce occhiata allo specchio “sembro davvero una stracciona” e via, fuori dalla camera, non volevo essere la solita pigrona.
Appena uscita dalla porta sembrò che il mio sogno ricorrente si fosse realizzato. Me lo ritrovai lì appoggiato alla sua piccola macchina davanti al dormitorio del campus, o.m.g. io ero davvero vestita malissimo e lui era lìe sperai ardentemente che non fosse lì per me.  “E' proprio vero il detto, quando non ti fai bella per niente incontri sempre il mondo” e il mondo quel giorno si chiamava Jackson Rathbone.

Non sapevo quale fosse il motivo che lo aveva spinto fin lì, ma cercai di far finta di non vederlo e continuai la mia camminata solitaria sino a che non sentii chiamare il mio nome.

«Sophie» mi voltai istintivamente verso di lui, non sapevo se la voce che aveva pronunciato il mio nome fosse uscita dalla sua bocca, ma in cuor mio ci sperai. Mi avvicinai verso la macchina e gli sorrisi

«Ciao, che ci fai qui?»

«Ti aspettavo!»

«Aspettavi me?»

«Sì, ti va di fare colazione con me? Ho la mattina libera, e beh ecco, volevo passarla con te, sempre se non hai altro da fare»

«No, non nulla da fare»

«Bene allora prego» mi aprì lo sportello della macchina e mi fece accomodare, sembrava più pulita rispetto all’ultima volta e decisamente più profumata, ben presto mi raggiunse e accese il motore.

«Allora dove ti porto? Hai qualche posto in particolare?» chiese.

«No»
«Allora faccio io»

Partì e presto ci trovammo nel cuore della California e ci fermammo in prossimità di un piccolo bar, in una via quasi dimenticata

«Siamo arrivati»

Scesi dall’auto e lo seguii fino al locale. Sembrava che conoscesse bene il posto. L'interno sembrava quello di un tipico bar americano con le poltrone vicino ai tavolini e gli sgabelli al bancone.

«Ciao Jackson, cosa posso portarti?»

«Ciao Anne, beh per me il solito, per lei»

«Io prendo un cappuccino e …»

«Ti consiglio i muffin…Anne ha i più buoni della California»

«Va bene, un muffin ai mirtilli allora» conclusi assecondando il suo consiglio.
«Grazie Jackson, arrivo subito» disse la donna e si allontanò verso il bancone.

Ci guardammo un secondo negli occhi, poi il silenzio e l’imbarazzo regnò sovrano a quel tavolo.

«Allora…cose fai nella vita?»

«Mi sembra di avertelo già detto la prima volta…studio arte ed architettura» dissi aggiungendo una piccola punta di acidità "Ma mi aveva ascoltato l'altra volta?!?"
«Ah…già…è vero….me l’avevi già detto.. però non mi hai detto sino a quanto ti fermi»
«Un anno, ho una borsa di studio per un anno» risposi esitando.
«Mi ha fatto molto piacere che sia venuta a fare colazione con me»

«E se non mi avessi incontrato, cosa avresti fatto?» chiesi.

«Semplice ti avrei chiamato»

«E come scusa, tu non hai il mio numero» ribattei.

«Invece sì, l’ho chiesto alle tue amiche e me l’hanno dato»

«Non ci credo, me lo avrebbero detto»

«Ah no?!? Stai a guardare» disse prendendo il cellulare dalla tasca della giacca, dopo aver pigiato un po’ di tasti il mio telefono iniziò a squillare
«Non ci posso credere» dissi scuotendo la testa.

«Salva il numero» aggiunse con un sorriso.

«Non hai paura che lo dia in giro, o ancora peggio che ti chiami senza sosta?»
«Mi farebbe piacere se mi chiamassi»

Arrossì, non ero proprio una cima, ed avevo seriamente paura ad interpretare la sue parole.

«Dove sei stato in queste settimane, è strano per me pensare che mi sei venuto a cercare, dopo così tanto poi»

«Sono stato un po’ in giro per l’America per promuovere il film, e adesso sono pieno di lavoro fino al collo tra interviste e programmi tv»

«Poverino, ti vedo un po’ stressato»

«Eh lo sono»

«E pensi che io ti possa aiutare a rilassarti?»

«Lo stai già facendo»

Ci sta provando spudoratamente, ma io non ci sto… non mi piace per niente, capelli lunghi, barba incolta e poi, sempre ai piedi quegli orribili stivali, ma cosa crede di essere nel far west”

«Non esagerare, penso che se tu schioccassi le dita, ne arriverebbero a milioni di ragazze pronte a tirarti su il morale»

«Ma a me non interessano milioni di ragazze…me ne basta una sola»
Arrossì, "ma davvero mi fa così scema o crede di abbindolarmi con parole dolci…mà"
Consumammo la colazione in silenzio, con lui che ogni boccone mi guardava mangiare
«Io odio la gente che mi fissa mentre mangio» dissi fredda.

«E chi ti fissa?»si guardò in torno cercando chi mi stesse dando fastidio.

«Tu…mi stai fissando da un quarto d’ora, non puoi guardare da un’altra parte, mi metti a disagio»

«Scusami, non pensavo ti desse fastidio»

«Mi da fastidio la gente che guarda come mangio» aggiunsi.

«Pensavo che il fatto che io ti avessi invitato volesse dire stare allo stesso tavolo, l’uno di fronte all’altro»

«Sì, ma non c’è una prerogativa che dice, tu mi inviti quindi mi puoi fissare…è davvero indisponente da parte tua»

«Ok - si girò la testa ammirando la gente che passava fuori dalla finestra - così va meglio?»
«Benissimo grazie» risposi piccata.

«Dopo questa colazione cosa fai?»

«Ti sei voltato… - gli feci notare, mi divertiva punzecchiarlo - nulla di che tornerò a studiare»

«Sai, è maleducazione parlare alla gente senza guardarla negli occhi…e se io ti portassi un po’ in giro?» propose.

«No grazie, preferisco studiare» “Sai che inizi a essere davvero fastidioso?!?”

«Ma scusami posso farti una domanda?»

«Dimmi pure»

«Tu conosci la saga più famosa nel mondo?»

«Quella dove tu dici 4 parole in croce…sì la conosco…ma, il problema non è che non mi importa nulla della saga, e che …non mi …che mi piace un altro personaggio, anche se ..sì sei…passabile» dissi imbarazzata.

«Passabile?…sul serio mi giudichi solo passabile?!?» mi guardò stupito, evidentemente si giudicava meglio di "Passabile".

«Cosa pensi di essere il numero uno della serie?»

«No… ma non passabile… e chi ti piacerebbe avere qui seduto al mio posto?»
«Della saga dici? Beh uno molto più muscoloso di te, molto più alto di te, molto più… di te» ero stata davvero cattiva lo ammetto ma mi divertiva il suo viso quando quello che gli dicevo non era di suo gradimento.

«Kellan?»
«oh santo cielo, no…parlavo di Robert Pattinson… se mai lo incontrassi sarebbe un sogno»

«Facciamo un patto»

«Non faccio patti con te…»

«Se io ti portassi alla colazione con tutto il cast, il giorno dopo il red carpet, quindi se ti facessi conoscere Robert, tu ci verresti a cena con me??»

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: SARA' VERO??? ***


 

 

CAPITOLO 8: SARA’ VERO???



Dopo quella famosa colazione ci eravamo salutati e io mi ero rinchiusa in camera a studiare, era impossibile riuscire a concentrarmi. La sua proposta mi aveva spiazzato, “Ma come facevo a dirgli di no? Avrei conosciuto Robert Pattinson!” Quando le mie amiche tornarono a casa raccontai loro tutto. Raccontai di lui che mi aveva aspettato sotto il portone, della colazione e della promessa che mi aveva fatto e loro rimasero alquanto perplesse

«Oh mio dio Sophie non dirmi che non hai capito»

«Capito cosa…cosa c’èra da capire?»

«E’ innamorato…hai fatto innamorare Jackson»


Rimasi intontita lì, immobile come una statua di gesso. Avevo capito che ci provava ma che si fosse addirittura innamorato era assolutamente da escludere.
«No ragazze vi state sbagliando»

«Sophie, ti dico che è così, non si comporta mai in maniera così esplicita con le altre ai locali. Invece giù al The Viper è venuto direttamente a salutarti, e la colazione, il patto pur di portarti fuori a cena…su dai…riesci a fare due più due?» insistette Mary

Insonorizzai tutte le loro parole e mi concentrai solo su quello che Jay mi aveva detto. Il mio cuore iniziò a battere senza sosta, come se volesse uscire di prepotenza dal mio petto per non farci più ritorno. Arrossii raggiungendo il colore orribile della tappezzeria della camera.

La mia mente sembrò vagare leggera, pensavo al nostro primo incontro, al suo aiuto dentro all’ascensore, allo scontro fortuito in quella via di Beverly Hills e alla sua gentilezza, al suo volermi conoscere in tutti i modi.
La vita mi aveva messo a dura prova e per me ormai era difficile riuscire a capire quali potessero essere le attenzioni di un uomo: se ci stava solo provando, se aveva buone intenzioni, se mi volesse conoscere per pura curiosità o se voleva approfondire la conoscenza perché da me si aspettava di essere ricambiato in qualche modo. Non ero mai stata una cima, non riuscivo mai a cogliere i segnali, ero intimorita dagli uomini ed ero diventata diffidente. Ecco perché ero sempre ostile con chiunque provasse a comportarsi diversamente con me, con chiunque mi mostrasse un comportamento diverso dalla semplice amicizia. Ad essere sinceri era vero: Jay si era comportato subito diversamente con me, il passaggio, la colazione e quella sottile linea di timidezza nei suoi discorsi, tutto frutto di un sentimento che io non ero riuscita a percepire, e pensare che io da stupida avevo cercato di capire qualcosa in più di lui mettendo in mezzo colei che l’aveva fatto soffrire per amore.

“E se lui…Sophie basta pensare che gli uomini sono tutti uguali, non ti sta usando per dimenticare lei, in quel caso avrebbe usato un approccio più diretto…e poi chi me lo dice che è davvero innamorato, le supposizioni delle mie amiche non sono mica una certezza, …e poi se lui…”


«Sophie, Sophie….stiamo parlando con te»Katy continuava a chiamare il mio nome e a sventolarmi una mano davanti agli occhi, come per accertarsi che io fossi sveglia e nel pieno delle mie facoltà mentali.

«Scusatemi ragazze, stavate dicendo?»chiesi smarrita.

«Stavamo dicendo che potremmo andare a fare la spesa vicino a casa sua e sperare che lui … - Mary iniziò la frase e Katy la concluse - che lui si trovi nei paraggi o addirittura dentro il supermercato»

«No ragazze è da escludere, partiva per lavoro, mi ha detto che aveva tre settimane intense e che nonostante alcuni giorni tornasse a casa, aveva l’agenda piena di appuntamenti interviste e conferenze. È impossibile che giri liberamente come dite voi» si arresero, ma comunque io rimasi il centro dei loro pettegolezzi e delle loro continue battute. A volte fuggivo addirittura di casa, preferivo andare a studiare al parco piuttosto che sentire i loro continui ed incessanti riferimenti a Jackson.

Quel venerdì mattina andai in biblioteca ed incuriosita cercai con insistenza il sito internet delle convention di Twilight, per sapere dove lui si trovasse. Dopo un attenta ricerca vidi il programma; quel giorno sarebbe stato a Phoenix con Ashley Greene, “Sicuramente non mi starà pensando, sarà lì con lei, a farle i complimenti e magari si renderà conto che è ancora innamorato di lei e che io non sono nulla.”
La musichina del cellulare mi mise sugli attenti, fece un salto e lo presi fuori immediatamente dalla borsa ”Accidenti avevo lasciato il volume alto” imprecai mentalmente, molti mi fulminarono con gli occhi e quindi raccattai la mia roba ed andai a leggere il mio messaggio seduta fuori su di una panchina, vergognandomi come non mai per la figura.


Buongiorno, scusami se non mi sono fatto sentire ma sono stato impegnato”

Era lui, i battiti accelerarono e nonostante i freddo di novembre, la temperatura del mio corpo era salita, se fosse caduta la neve si sarebbe sciolta attorno a me. Risposi al messaggio con tutta naturalezza, senza pensare alle supposizioni delle mie amiche.


Buongiorno anche a te, non ti preoccupare capisco che sei impegnato e poi non mi devi nessuna spiegazione”


I suoi messaggi continuarono ed io rispondevo volentieri.


Invece sì, dopo quella colazione non mi sono fatto sentire, avrai pensato che fossi un maleducato”


“No, ho solo pensato che eri impegnato tutto qui, ma non hai una conferenza oggi?”

“Sì sto aspettando che arrivi Ashley, è in ritardo quindi hanno un po’ spostato gli orari”


“Dove sei?”


“In che senso, vuoi sapere la città o per caso sei qui in giro e ben presto ti vedrò spuntare?”

“Forse è pura curiosità”


Non rispose più, forse era impegnato, forse Ashley Greene aveva deciso finalmente di farsi vedere e lui aveva iniziato a lavorare. Iniziai ad immaginarlo e a fantasticare sulla sua giornata. Questo avrei dovuto decisamente evitarlo, da perfetta italiana mi sentivo un po’ gelosa e non era il caso, lui non era mio, era solo buono e carino con me, cosa non da tutti. Ma i discorsi delle mie amiche alla fine erano riusciti ad influenzarmi e io non riuscivo più a vedere le sue mosse normalmente, senza scervellarmi sul loro significato. Stavo decisamente impazzendo.

La concentrazione di quel giorno andò a farsi benedire e mi ritrovai a leggere una frase cento volte prima di comprenderla veramente, alla fine mi resi conto che era inutile rimanere lì a cercare l’attenzione e la voglia di andare avanti, quindi mi andai a rinchiudere in camera e mi misi a sistemarla da cima a fondo. Finii che ormai era ora di cena e mentre le ragazze ordinarono una pizza per evitare di sporcare dove io avevo pulito, il mio telefono riprese a squillare dopo più di otto ore di assoluto silenzio. Non avevo detto nulla alle ragazze dei messaggi scambiati con Jay, altrimenti avrebbero attaccato con le loro paranoie, ma il cuore mi sobbalzò lo stesso in petto e dopo un grosso respiro aprii lo sportellino e risposi.

«Hi»
«Pronto Sophie, sono la mamma» erano i miei genitori, respiro di sollievo, distesi i nervi e il cuore rallentò la sua corsa

«Ciao mamma che succede?»

«Succede che non chiami mai, tesoro come stai, come ti trovi lì, stai studiando?» chiese a raffica “Solita mamma apprensiva” pensai scuotendo la testa.
«Sì mamma tutto bene. Sto bene. Mangio ma non esagero. E sì, sto studiando»
«Tesoro sai che mi preoccupa pensarti in una città come quella tutta da sola» insistette.
«Non ti devi preoccupare mamma sto bene, sono quasi sempre in dormitorio e se esco, lo faccio con le ragazze con cui divido la casa»

«Va bene tesoro, ma mi raccomando…ti passo papà»


Parlai con tutta la famiglia, con mia madre, mio padre, mia sorella e con mio fratello, mancava solo che mi passassero il cane e il canarino ed avrei fatto bingo, erano tanto apprensivi, soprattutto mio padre, prima di salutarmi mi disse
«Mi raccomando niente ragazzi, altrimenti finisce che rimani per sempre lì, invece io ti voglio presto a casa» ero sempre stata la cocca di mio padre anche dopo la mia piccola disavventura, quella che mi aveva forgiato il carattere, lui mi era rimasto vicino, anche se io non riuscivo a stare vicino a lui come meritasse.

Quella sera non ebbi notizie di Jay e per quasi una settimana non lo risentii neppure per messaggio. Mi era rimasta l’immagine di lui seduto in quel caffè e a volte mi era capitato di addormentarmi con quel ricordo impresso nella mente sperando di sognarlo, ma invece nulla. Ormai si avvicinava il giorno del Red Carpet di New Moon e questo significava probabilmente rivederlo. Non mi interessava più che mantenesse la sua promessa. Mi sarebbe bastato lui e Robert Pattison poteva liberamente rimanere tra le braccia di qualcun’altra.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: NEVE+FREDDO=CIOCCOLATA ***


Capitolo 9: NEVE+FREDDO=CIOCCOLATA
 


Il fatidico giorno stava per arrivare, ma non mi importava più della colazione che avrei fatto con tutto il cast, mi iniziava ad interessare lui. Che buffo che era stato, chissà perché faceva così, mi iniziava a piacere il modo in cui si comportava, sembrava volermi conquistare in tutti i modi e ci riusciva benissimo. Rimasi ancora nel letto quella domenica, non avevo intenzione di muovermi, avrei aspettato pazientemente mezzogiorno per mangiare, d’altronde erano stanca per la serata passata con le ragazze, niente concerto quel fine settimana, ma non avevamo rinunciato alla birra e Katy era sparita con uno sconosciuto mentre io e Mary eravamo tornate sole solette al dormitorio.

La neve era caduta quel giorno a Los Angeles, ed io ero coperta sino al collo con mio caldo piumone e mi crogiolavo nei miei pensieri quando il cellulare iniziò a squillare, non potevano essere i miei, non a quell’ora perlomeno , presi il telefono e guardai il Display, “numero privato”, non avevo nessuna intenzione di rispondere ad uno sconosciuto ma, dopo la quinta telefonata risposi spazientita.
«Pronto» quasi ringhiai

«Buon giorno…ma dormivi?»

«Scusa ma chi sei?» chiesi smarrita.

«E’ una settimana che non mi vedi e già ti sei scordata di me?» non poteva essere lui, feci un respiro profondo poi ripresi.

«Jay?»
«Esatto, sono in hotel ad aspettare gli altri per le interviste, tu cosa fai?» chiese curioso.
«Nulla sono nel letto, non ho intenzione di alzarmi, fa troppo freddo»
«Ma…non dovresti studiare?» disse con tono inquisitorio.

«Mmm. E tu non dovresti lavorare?» ribattei io sulla stessa riga
«Lo sto facendo, sto aspettando gli altri e poi i giornalisti, ma fino a che non arrivano …be’ ho pensato che era meglio sentire la tua voce piuttosto che i miei pensieri» diventai rossa dall’imbarazzo e ringraziai il cielo che lui non potesse vedermi.
«Dove sei?».

«Sono a Los Angele, sta sera dovrei finire relativamente presto e mi chiedevo se ti andava di venire a cena con me» propose con il suo solito charme.
«Mmm, ricordi il patto, prima Robert Pattinson poi la cena» mi piaceva stuzzicarlo.

«Ok..come vuoi» rispose con un tono di voce deluso.

«Be’ ..è ti arrendi così..non è da te jay?!?» continuai cercando di ottenere comunque un appuntamento da lui.

«Se la metti così…ti passo a prendere alle venti» aveva sicuramente acquisito coraggio.
«Nessuna cena!!!» lo bacchettai.

«Allora appena finisco …dovrei finire alle diciotto, andiamo a prendere una cioccolata calda ti và?»

«Molto volentieri» ecco, ero riuscita nel mio intento, sarei uscita di nuovo con lui, sola con lui.

«Adesso vado, sono arrivati gli altri a più tardi»


Saltellai sul letto, come una ragazzina alla sua prima cotta, stavo perdendo seriamente interesse verso Robert Pattinson è quelle attenzioni, quegli accorgimenti di Jackson mi facevano vistosamente arrossire. Erano solo le dieci, ma nella mia testa scattò il classico meccanismo delle donne, quello che per prepararsi e per essere belle ci vuole il suo tempo. Iniziai a frugare nell’armadio, anzi lo svuotai letteralmente, provavo tutte le possibili combinazioni, ma nulla, nulla sembrava adatto per l’occasione. Accostai una camicia ed un maglione, era fuori discussione, non era affatto da me vestirmi in quel modo. Presi i miei jeans preferiti, una magliettina e un gigantesco cardigan, ecco avevo trovato l’abbigliamento giusto, e poi, non volevo mica che lui si accorgesse che mi ero fatta bella per lui. Afferrai l’occorrente per la doccia e mi incamminai verso il bagno quando la musichina del cellulare mi avvertì che era arrivato un messaggio. Lo afferrai e aprì il menù:


Non vedo l’ora di finire e passare il pomeriggio con te”


OMG…feci un urlo che sentirono fino all’altro dormitorio “ ok Sophie calmati, ha solo detto che gli piace l’idea di passare il pomeriggio con te …è allora?…è allora!!!! come faccio a stare calma” il mio cervello era fuori controllo e si stava già facendo i suoi viaggi mentali. Feci un grosso respiro, buttai tutto fuori ma, il sorrisino da povera ebete rimase come stampato sulle mie labbra ”adesso ti farai una doccia, mangerai con calma, leggerai un libro e aspetterai pazientemente le diciotto...no forse è meglio iniziare a preparasi alle diciassette...sì, sì è meglio…quindi alle diciassette inizierai a prepararti e poi… e se si libera prima?…se viene prima?…forse….forse è meglio che dopo aver mangiato mi vesta e leggo il libro già pronta…sì farò così”.

Mi buttai sotto il getto caldo della doccia, cercando di pensare ad altro, iniziai a cantare per concentrarmi su qualcosa che non fosse Jay.

 

Wake me up before you gogo Don't leave me hanging on like a yoyo

Wake me up before you gogo I don't want to miss it when you hit that high

Wake me up before you gogo 'Cause I'm not plannin' on going solo

Wake me up before you gogo Take me dancing tonight

I wanna hit that high (yeah, yeah)


«Sophie stai bene?» le ragazze erano rientrate e Mary si era avvicinata alla porta del bagno per avere mie notizie.

«Sì, Mary, sto bene!!! Non ti preoccupare» urlai abbassando il getto della doccia perché mi sentisse.

«Ok, se lo dici tu? Sai è strano sentirti cantare» farfugliò
«Cosa?» urlai

«Dicevo è strano sentirti cantare» ripeté scandendo ogni parola.

«Sono felice!!!» risposi.

«E’ strano anche quello» disse e si allontanò, era rimasta molto perplessa dal mio comportamento.


Era vero, in due mesi circa in cui ero in America, non ero mai stata così felice, ero sempre stata triste e malinconica. Mi sentivo sempre spaesata efuori posto, ma la conoscenza di quel ragazzo aveva un po’ cambiato il mio modo di essere, cosa che non sapeva nessuno. Beh effettivamente non sapeva nessuno come era Sophie in Italia e forse era meglio che quel mio lato rimanesse celato e non venisse mai fuori.


Come avevo pensato alle quindici ero già pronta, con i capelli perfettamente pettinati ed un filo i trucco, adesso mi sarei messa sul divano a leggere il libro, presi il primo che mi capitò sotto le mani ed iniziai a leggere. Non so come, ma mi addormentai e mi svegliai quando la musichina del cellulare suonò in modo in cessante.
Lo afferrai e lessi il messaggio:


“Sono qui sotto da quasi un ora, inizio a stancarmi, se non vuoi uscire basta che tu me lo dica”


Saltai giù dalla poltrona, come se una scarica elettrica mi avesse colpito in pieno, riguardai il telefono…dieci chiamate senza risposta. Mi affacciai alla finestra sperando che lui mi vedesse, ma nulla. Non era lì. Afferrai la borsa e il cappello di lana e scesi giù velocemente dimenticandomi le chiavi di casa. Lasciai perdere, non volevo tornare indietro, volevo correre e sperare che lui fosse ancora lì ad aspettarmi. Scesi giù, quasi inciampando nel fare le scale quattro alla volta, aprii il portone e …nulla lui non c’era.

 

«Accidenti…ma perché mi sono addormentata?!?» andai verso la panchina innevata nel cortile del campus, a freddare quel mio cervello che non era riuscito a stare sveglio in un giorno che poteva essere speciale, quando qualcuno batté nervosamente la mano sulla mia spalla… abbassai lo sguardo e mi girai senza alzare gli occhi.

«Sì, sì Katy scusami, ho di nuovo sbatt-u-t-o l-a- p-o-r-t-a…ciao» farfuglai. Davanti a me comparvero due occhi verdi che fecero del tutto sconnettere il mio cervello da tutte le funzionalità più elementari. ”Ben ti sta, così impari ad addormentarti” pensai

«Pensavo mi avessi dato buca» disse Jay raggiungendomi sulla panchina.
«No, scusami …mi sono addormentata» tentai di scusarmi.

«Pagherai pegno perché è quasi un’ora che ti aspetto al freddo dentro la mia macchina»
«Ok, posso fare qualcosa per farmi perdonare?» chiesi con aria colpevole
«Mmm ci penserò…» disse ammiccando.

Fece un sorriso micidiale, mi condusse sino alla sua macchina e aprendo lo sportello mi fece accomodare. Fece un grosso respiro e poi chiese
«Bene sei pronta?- e dopo un mio piccolo cenno di assenso - bene allora si parte»

Mi portò in un localino appartato, alla moda, dove nessuno faceva caso a lui. Probabilmente lo conoscevano, andò direttamente verso un tavolino libero e dopo avermi fatto accomodare si sedette anche lui. La cameriera venne subito, probabilmente era la proprietaria vista l’età.


«Salve ragazzi cosa posso darvi da bere in questa giornata tanto fredda?» chiese con un sorriso.

«Due cioccolate calde, grazie…e zuccherini rossi per la signorina!!»aggiunse.
«Arrivo fra poco con la vostra ordinazione» disse la signora dopo aver annotato l’ordine se ne andò.


«Cosa sono gli zuccherini rossi?»chiesi a Jay curiosa

«Lo vedrai» mi disse e fece una strana espressione, più curiosa che strana, tese il labbro verso sinistra mentre le sopracciglia andavano all’insù e gli occhi diventavano quasi una fessura.


La cameriera non tardò ad arrivare, la sua cioccolata era piena di zuccherini colorati mentre sulla mia vi erano degli zuccherini rossi a forma di cuore.
«E questi… perché?» chiesi indicando la mia tazza.

«Perché sento che hai bisogno d’affetto» rispose con naturalezza.

«E tu, non ne hai bisogno?» chiesi.

«Io ho bisogno di ridere»

«Allora dovrò sforzarmi tanto, hai una faccia così seria - riuscii a farlo sorridere per un istante - allora non è così difficile farti ridere» aggiunsi.

«Forse ci riesci solo tu?» chiese con una punta di malizia.

«Non credo… - risposi sorridendo e continuai - Dai raccontami, come mai hai bisogno di ridere, ti è andata storta la giornata?»

«Non in modo particolare, è stata solo piena di gente che non avevo voglia di vedere. Ma ti prego cambiamo argomento?»

«Ok, parliamo un po’ di te, ogni volta parlo sempre io, la mia storia la conosci già» conclusi.

«Ok, cosa vuoi sapere?» chiese risistemandosi sulla sedia.

«Mmm dimmi com’è essere famoso? Essere un attore e vestire i panni, ogni volta, di una persona diversa?» chiesi.

«E’ bello pensare che davanti allo specchio piano piano cambi sino a non riconoscerti più. I tuoi problemi, le tue paure, le tue tristezze, rimangono coperte dal trucco scenico, e non sei più tu» rispose con una punta di amarezza nella voce roca.

«Wow…è bellissimo quello che hai detto»

«Ti basta così poco per stupirti?»

«No, credimi, si sentiva che quello che stavi dicendo usciva dal profondo e lo hai detto con una convinzione che, mi ha incantata…e cos’è per te essere famoso?» continuai il mio interrogatorio.

«Il realizzarsi di un sogno, non avrei mai pensato di arrivare sino ad avere così tanta notorietà. Mi stupisce ancora, ma ringrazio Dio ogni giorno per quello che sono diventato» rispose fermamente.

«Scommetto che puoi avere chiunque tu voglia, basta…schioccare le dita»
«No, non è come pensi tu…comunque non voglio parlare di questo» disse, tentando di glissare l’argomento.

«Allora di cosa parliamo?» insistetti.

«Beh di te, sono sicuro che di me sai già abbastanza dai giornali»
«No invece, so come ti chiami e che hai una band, non so altro…con chi andrai alla premier di mercoledì» incalzai anche se temevo di sembrare una rompi scatole volevo davvero sapere qualcosa di più su di lui, soprattutto sulla sua vita sentimentale..
«Con i miei genitori, porto sempre loro con me. Ogni volta che presento un film sono con me, sono i miei primi fan» rispose orgoglioso.

«Sei molto carino, di solito tutti esibiscono ragazze copertina, solo per farsi ammirare e tu invece…i tuoi genitori» risposi sarcastica.

Perfetto, non avevo cavato un ragno dal buco, ma non mi sarei data per vinta così presto.

La tazza di cioccolata sembrò finire presto, ma la conversazione con lui sembrava non voler finire. Finalmente sembrava essersi un po’ liberato, iniziò a raccontarmi la sua vita sino a che il discorso tornò sul privato.

«E…allora lei cosa è per te?» dissi sfrontata, anche se non credo che mi interessasse più di tanto

«Chi scusa?» chiese con aria stupita.

«Ashley Greene» risposi come fosse la cosa più naturale.

«Non avevi detto che sapevi poco di me?!? - sorrise quasi sforzandosi - Un’amica, è rimasta solo questo» concluse con evidente amarezza.

«Mi sembri un po’ giù, scusami non dovevo farti questa domanda» mi scusai.
«No, tranquilla, io e lei abbiamo avuto solo una breve storia. Il problema è che solo io ci sono rimasto male» finì abbassando lo sguardo.

«Scusami, scusami. Cambiamo discorso dai…non voglio farti stare male»
«Grazie. Ma sai anche io come te ho smesso di illudermi o perlomeno di fidarmi delle persone… Quelle che dicono “Mi sono presa una cotta per te “ purtroppo di solito intendono, “Mi fai comodo sino a che non trovo uno che sia migliore di te”»
«Anche a me è successa una cosa simile, il problema che io mi sono fidata troppo e alla fine quella che si è fatta del male sono stata io» conclusi triste
«Bene…allora diciamo che la smettiamo di parlare d’amore e di delusioni» concluse con un sorriso.


La conversazione sembrò protrarsi a lungo, sino a che vide l’orologio ed esclamò che era tardi. Ci alzammo dal tavolo e ci avvicinammo alla cassa. Due o forse tre persone si avvicinarono chiedendogli autografi. Cambiò subito espressione, la sua aria triste e malinconica sparì e in un attimo sembrò ritrovare il sorriso. Si mise in posa e dopo aver accontentato le fans pagò il conto ed insieme uscimmo dal locale. Fuori era già buio, ci incamminammo verso l’auto. Mentre passeggiavamo per la strada innevata i miei piedi sembravano aver messo i pattini, scivolai giù e sbattei violentemente il sedere a terra, mentre lui cercò in tutti i modi di trattenermi.

«Ti sei fatta male?» chiese apprensivo.

«No…ahi ahi ahi» negai.

«Dai vieni qui» Mi aiutò a rialzarmi prese la mia mano e la strinse forte aiutandomi a camminare. Arrossii e cercai di nascondere il mio imbarazzo. Era strano per me camminare per quelle strade con lui che mi teneva la mano, sembravamo una coppietta.

All’improvviso mi irrigidii.


«Che succede Sophie» chiese.

«E se vengono i fotografi? Forse è meglio allontanarci, magari io cammino un po’ più avanti»proposi esitante

«Non mi importa di quello che scrivono i giornali, ho perso interesse per quello che dicono a sproposito, quindi non me ne preoccupo».


Arrivammo alla macchina e da gentiluomo mi riaprì lo sportello e lo richiuse dopo che io fui entrata. Mi raggiunse e provò di nuovo ad invitarmi
«Allora dove andiamo a mangiare?» chiese.

«Da nessuna parte, te l’ho già detto. La cena dopo che mi farai conoscere Robert Pattinson» in realtà non mi importava più nulla, non mi interessava andare a quella stupida colazione. Sentivo che volevo stare con lui, con lui soltanto, non avevo mai incontrato un uomo così, uno che cerca in tutti i modi di farti uscire dal tuo disagio e che ti fa sentire bene. Speravo solo che la sua non fosse una tattica, non lo avrei sopportato ed il fatto che mi avesse detto che ormai non si fidava di chi gli diceva che aveva una cotta per lui mi faceva ancora di più mantenere le distanze.

«Non riesco proprio a convincerti?» sembrò implorare.

«No» risposi

«Allora ti porto al campus?» chiese.

«Sì grazie» risposi sorridendo.


La via per il ritorno sembrò essere relativamente breve, e continuammo la conversazione di prima.


«Mercoledì ci sarà la premiere e…sino ad allora sarò impegnato»
«Interviste e propaganda vero?» chiesi curiosa su tutto quello che riguardava il suo lavoro.

«E non solo… come ti avevo detto verranno i miei genitori e passerò con loro il poco tempo libero che avrò» disse. Poi voltandosi di nuovo verso la strada aggiunse «Siamo arrivati»


«Grazie, mi ha fatto molto piacere che tu mi abbia cercato e che mi abbia invitato» il mio sguardo sembrò perdersi nel buio della macchina, come se cercassi un punto di luce in quella oscurità.

«Anche a me ha fatto molto piacere, sono stato bene con te, davvero bene e spero di rivederti presto» il tono di voce sembrò affievolirsi piano piano mentre lentamente sembrava avvicinarsi a me.

«Secondo la tua promessa giovedì» anche il mio tono sembrava strozzato in gola, con la mano prese il mio mento e lo alzò cercando la mia attenzione.
«Bene allora a giovedì» avvicinò le sue labbra alle mie e i nostri occhi sembrarono chiudersi insieme. Lentamente ci avvicinammo quasi sfiorandoci, quando il suo cellulare iniziò a squillare. Indietreggiammo e io mi rimisi rigida al mio posto poggiando la schiena contro lo schienale del seggiolino. Afferrò il telefono spazientito e rispose nervosamente


«Dimmi Ben… sì stavo per arrivare… ok a dopo - chiuse il telefono e si girò di nuovo verso di me - cosa stavamo dicendo?»

«Che ci vediamo giovedì, grazie» risposi imbarazzata.

Aprii lo sportello della macchina e scesi giù. Mi chinai verso il finestrino rimasto aperto e lo ringraziai ancora una volta.

«Grazie per la serata ci vediamo»

«Aspetta Sophie - scese velocemente dall’auto e mi raggiunse - mi dispiace, sarebbe stato meglio se io non avessi risposto» disse amareggiato.
«Non ti preoccupare, forse è meglio così» lo rassicurai.

«Perché? Non sei stata bene con me?» “Che uomo dalla coda di paglia… Ma secondo te? Posso essere stata male?!?” pensai acida.

«Non corro, ho smesso di correre tre anni fa, adesso preferisco fare le cose con calma» sentenziai.

«Ma…»
«Forse non era il momento giusto - dissi interrompendolo. Mi alzai sulle punte e gli baciai la guancia - buona serata e grazie ancora» gli sorrisi e corsi via.

Rimase lì per cinque secondi a toccarsi la guancia e probabilmente ad insultare ripetutamente quel Ben che lo aveva interrotto, ma non importava. Ero al settimo cielo, e nonostante sapessi benissimo che me ne sarei pentita, il candido e puro bacio sulla guancia bastava a farmi sentire almeno sino a giovedì felicissima e iniziavo ad av
 ere la certezza che mi stavo innamorando di lui.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: MI STAVO INNAMORANDO ***



Capitolo 10: MI STAVO INNAMORANDO


In quei mesi ero andato in giro per l’America, grazie a dio vicino casa, ma non avevo avuto molto tempo per me.
Due giorni da solo a sentire i complimenti delle fan, fare autografi e fare due chiacchiere, quante risate. Le domande erano tra le più varie, avvolte veramente irrilevanti, ma si divertivano e rispondere divertiva anche me. Alcune domande andavano sul personale, ma sdrammatizzavo sempre cercando di non scendere nei particolari. A Phoenix la mattina mi ero ritrovato Ashley in Hotel e feci colazione con lei. Mi ero dimenticato quanto fosse bella, ma per me era e doveva rimanere un capitolo chiuso. Cercavo in tutti i modi di evitare il suo sguardo ma i miei occhi come una molla si giravano sempre verso di lei, snobbando avvolte l’intervistatore. Lì in mezzo alle fan ridevo e scherzavo, mi comportavo da ragazzo scapestrato qual’ero. Ma quando tutti erano lontani e nella stessa stanza rimanevamo soli io e lei, tutto sembrava non esistere, lei era al centro di quel mio universo e nulla poteva distorcere il mio sguardo da quell’affascinante creatura nonostante tutto il male che mi aveva fatto. Quella sera mi lasciai persino convincere a rimanere a dormire lì, in hotel con lei, ma in cuor mio cercavo di incontrarla il meno possibile. Quella notte venne a bussare alla mia porta e io come uno stupido l’apri, voleva solo parlare, mi chiese di capire, di capire le sue scelte, la sua situazione, di comprendere quanto si sentisse a disagio quando io le facevo tutti quei complimenti e che in cuor suo non poteva ricambiare l’affetto che io provavo per lei. Andò a dormire a notte fonda salutandomi come se fossimo vecchi amici, come se io fossi Kellan…che rabbia. Il giorno partimmo per San Luis e cercai di comportarmi da amico, ma mi risultava difficile. Alla convention del giorno dopo provai la tattica del ”tengo le distanze” ma non sembrava tanto funzionare sino a che, dal fondo della sala vidi un viso familiare, almeno credevo di conoscerla. Cercai più e più volte di individuarla tra la folla ma fu impossibile. Mi fermai un attimo a riflettere “non può essere Sophie, lei non sarebbe venuta sino a qui, a da studiare, lei…”
 
«hey Jay cosa succede, ti sei incantato?»
«scusami Ash, pensavo di aver visto una persona»
«che ne dici andiamo a mangiare »
«no, scusami devo vedere se è lei»
 
Uscì dalla sala e cercai come un matto il gruppetto di ragazze che era stato presente nella sala, ma nulla sembrava una missione impossibile. Un gruppo di ragazzine mi raggiunse e persi del tutto la speranza, mi tennero fermo lì per mezz’ora.
“ ma…che diavolo mi era preso, solo perché pensavo di aver visto Sophie, ho dato buca ad Ash, non posso crederci” quella ragazza mi aveva stregato e il fatto che avessi piantato Ashley da sola ne era la prova. Il giorno prima a parlare con lei era solo servito a darmi una conferma, si probabilmente mi faceva ancora male, ma stavo guarendo e la mia medicina si chiamava Sophie.
 
Stavo tornando verso la sala della conferenza quando capelli castano dorato mi passarono d’avanti. Corsi veloce per raggiungerla dando avvolte delle spallate per passare, ma fortunatamente a me tutto era perdonato lì dentro.
 
«Sophie…Sophie» urlai per il corridoio dell’hotel, ma non si girò, continuai imperterrito a cercare di raggiungerla e ad urlare ancora il suo nome, due o forse tre ragazze si girarono rispondendo con un sorriso alla chiamata ma non erano chi volevo io. Finalmente la raggiunsi e la chiamai tamburellando ansimante sulla sua spalla.
«hey Sophie, ma non mi hai sentito»
Si girò ed incontrai due occhi sconosciuti, non era lei, mi ero illuso che fosse venuta sino a qui a farmi una sorpresa, ma in fin dei conti era impossibile, non le avevo detto neppure dove sarei andato, come potevo sperare che lei fosse a San Luis, mi scusai e dopo aver fatto dietrofront andai via raggiungendo il punto di partenza.
 
Quella sera salutai Ashley e dopo aver cenato con lei andai diritto in camera. Quella cena era diversa, non sembrava poi tanto importarmi chi sedeva di fronte a me, la testa vagava e molto probabilmente si trovava davanti al campus a spettando di incontrare Sophie, avrei voluto telefonarle, mandarle un messaggio, ma era troppo tardi. Il giorno dopo e l’altro ancora risultò essere senza sosta, non ebbi un minuto di fiato, io e le ragazze, Ashley e Nikki, fummo sopraffatti dal lavoro, non riuscì neppure e fare due chiacchiere con la mia dolce Niki, era come una sorella per me, ma non ero riuscito a stare da solo con lei neppure un secondo: interviste, convention, foto e persino un servizio per un giornale locale, crollai in aereo, non riuscì a tenere gli occhi aperti e si chiusero da soli senza un minimo di preavviso. Fui svegliato dall’hostess appena atterrato a Los Angeles e così anche quel giorno era passato senza sentire o provare a parlare con Sophie. Arrivai a casa a notte fonda e crollai inesorabilmente senza nemmeno togliermi gli stivali dai piedi.
 
La sveglia quella mattina suonò alle 5 e dopo una doccia veloce alle 5.30 ero già fuori di casa, la macchina mi aspettava fuori dal vialetto. Presi la giacca dal divano, il borsone che avevo preparato ed uscì. Appena dentro la macchina pensai che potevo sfruttare quel breve viaggio per telefonarle ma, primo: era troppo presto e nonostante mi fossi convinto a farlo; secondo: dopo aver afferrato il cellulare si spense appena aprì il menù. Cercai come un matto il caricabatteria sperando in cuor mio di averlo messo nella borsa, la svuotai ma dentro non c’era nulla. “ Accidenti e adesso come faccio” sconsolato dovetti arrendermi all’evidenza… continuare a far finta di niente ancora per un po’ e poi quando avrei avuto un po’ di tempo libero dedicarlo a lei… “tempo libero?!? Quando io ho un po’ di tempo libero”, arrivai in hotel ed aspettarmi c’era solo Nikki. Feci colazione con lei e ben presto finì col raccontagli di Sophie di come l’avevo conosciuta e di quanto mi intrigava il suo caratterino e il suo modo di fare. Nikki inquadrò bene la situazione mi consigliò di insistere e di buttarmi a capofitto su quella ragazza e che molto presto l’avrebbe voluta conoscere. Ringraziai Nikki offrendole la colazione. Presi il portafoglio e afferrai i contanti, tra la carta di credito e i documenti trovai i tovagliolo di carta del THE VIPER ROOM con scritto il numero di Sophie.
 
«scusami Nikki ci vediamo su in camera»
«ok Jay e successo qualcosa?»
«non nulla devo solo fare una cosa prima che arrivino tutti»
«va bene Jay ci vediamo dopo e grazie per la colazione»
«di nulla, a dopo» le baciai la guanci e corsi verso l’ascensore.
 
Arrivato al piano la security era d’avanti alla porta e dopo avergli fatto vedere il pass entrai. Sistemai la mia roba dentro l’armadio e afferrai l’I-phone, era il telefono del lavoro, ma non mi importava, volevo sentirla, erano giorni che non riuscivo a togliermela dalla testa e adesso l’avrei chiamata. Impostai il telefono nascondendo il numero e copiai la sequenza del foglietto sul display. Il telefono squillò varie volte ma non rispose, non volli arrendermi e finalmente dopo vari tentativi sentì la sua voce
 
«pronto» bastò quello a farmi esplodere il cuore dal petto, ma non dovevo fare lo stupido dovevo comportarmi come sempre, il solito Jay sarcastico e anche un po’ antipatico all‘occorrenza.
«buon giorno…ma dormivi? » “ si così va bene”
«scusa ma chi sei» “ mmm spero che sia ancora nella fase mi sto svegliando, non conosco nessuno al mattino”
«è una settimana che non mi vedi e già ti sei scordata di me»
«Jay? » sospirai,
«esatto, sono in hotel ad aspettare gli altri per le interviste, tu cosa fai? » “idiota non te l’ha chiesto”
«nulla sono nel letto, non ho intenzione di alzarmi, fa troppo freddo»
«ma…non dovresti studiare? »
«mmm. E tu non dovresti lavorare? » “come al solito …diretta e senza peli sulla lingua”
«lo sto facendo, sto aspettando gli altri e poi i giornalisti, ma fino a che non arrivano beh’ ho pensato che era meglio sentire la tua voce piuttosto che i miei pensieri» “ho esagerato, sono stato troppo diretto non dovevo dire così”
«dove sei? »
«sono a Los Angeles, sta sera dovrei finire relativamente presto e mi chiedevo se ti andava di venire a cena con me»
«mmm, ricordi il patto, prima Robert Pattinson poi la cena» “ Sophie mi fai male così, ti prego…come al solito sorpassato dal bello della situazione”
«ok..come vuoi» risposi deluso, in fin dei conti non potevo farci nulla, mi aveva classificato come passabile,
«beh’ ...è ti arrendi così…non è da te Jay» “oh mio Dio, e adesso che faccio, cosa le dico, beh è ovvio stupido insisti”
«se la metti così…ti passo a prendere alle 20»
«nessuna cena» “pensa, pensa…dove la potrei portare, cosa potrei fare con lei?”
«allora appena finisco …dovrei finire alle diciotto, andiamo a prendere una cioccolata calda ti và? »
«molto volentieri» “idea geniale”. la porta della camera si aprì e Nikki, Kellan ed Ashley entrarono dentro.
«adesso vado, sono arrivati gli altri a più tardi» chiusi il telefono ed uno strano sorriso sembrò stamparsi. Se ne accorsero un po’ tutti ma solo Nikki sapeva il motivo. Presi il pacchetto di sigarette ed andai in balcone, l’appuntamento con il primo dei 10 giornalisti era fissato per le 10 ma di loro nemmeno l’ombra quindi avevo tutto il tempo per una sigaretta. Niki mi raggiunse in balcone e mi sorrise, aveva capito tutto come era ovvio che facesse.
 
«allora cosa ti ha detto? le hai detto che ti piace o no? »
«no, l’ho solo invitata a prendere una cioccolata calda dopo il lavoro, spero di sbrigarmi presto»
«Jay, Jay…se proprio un dolcissimo ragazzo, spero che lei non faccia come qualcuna di nostra conoscenza, proprio non lo meriti»
«grazie mille»
«di che parlate voi due? » Kellan cercò di intrufolarsi nella conversazione
«di una ragazza» guardai in sordina Nikki, ma il guaio ormai era stato fatto
«che ragazza? » anche Ash, uscì fuori dopo essersi resa conto di essere la sola in camera
«nulla …scusate parlo a sproposito»
«no…adesso uno dei due parla…siamo una grande famiglia, quindi noi vogliamo sapere come sta il nostro Jay…se è passata la fase depressiva? »
«io me ne tiro fuori» Nikki cercò di rientrare ma fu fermata prontamente da Kellan
«su Nikky…adesso ti siedi e racconti»
«a me non importa poi così tanto» Ashley  incrociò le braccia e si affacciò al balcone dandoci le spalle
«ok, ok…Jay si è innamorato di una ragazza che ha conosciuto all’aeroporto» dopo che Kellan la torturò per bene, non riuscì a resistere, ma il mio sguardo la rincuorò, mi ero arreso prima di lei. Afferrai il telefono e le scrissi un messaggio
 
“non vedo l’ora di finire e di passare il pomeriggio con te”
 
Appena in tempo, il primo giornalista entrò ed iniziammo a lavorare. Alle 18 avevamo quasi finito, guadai ripetutamente l’orologio, non vedevo l’ora di andarmene e di raggiungere Sophie ma c’era ancora un altro che doveva porre le sue domande su Jasper e sulla saga. Nikki mi strizzò l’occhio e si rivolse verso la bionda donna
 
«Jackson deve andare via quindi la prego di cominciare l’intervista»
«il mio giornale voleva fare un intervista alle donne della saga, quindi se vuole può andare»
«grazie mille»
 
Presi in mio borsone ed andai via. L’auto mi accompagnò a casa, sistemai il telefono sotto carica, andai sotto la doccia e mi rilassai per pochi minuti. Alle 18.30 ero d’avanti al campus, grazie al cielo non distava molto da casa mia, parcheggia la macchina lontano dal dormitorio e mi sistemai vicino ad una panchina innevata. Presi il telefono e la chiamai, ma nulla lei non rispondeva, passava il tempo ma di lei nessuna traccia.  Fuori faceva freddo raggiunsi la mia macchina e continuai ripetutamente a chiamarla iniziai a pensare che il ritardo l’avesse irritata e che aveva cambiato idea stufa di aspettare. Rimasi quasi un ora ad aspettarla, ormai avevo perso le speranze, lo so avevo fatto tardi, ma se non voleva più uscire con me almeno avrebbe dovuto dirmelo. Scrissi il messaggio e lo inviai
 
“sono qui sotto da quasi un ora, inizio a stancarmi, se non vuoi uscire basta che tu me lo dica”
 
Aspettai altri 5 minuti ma nulla, iniziavo a perdere le speranze stavo seriamente pensando che si fosse offesa per il ritardo e mi sentivo in colpa, tremendamente incolpa, non avrei dovuto darle un orario ben preciso non ho mai un tempo ben preciso. Accesi il motore della macchina ed azionai la marcia ma…eccola era scesa era li che mi cercava e che si guardava in giro come se si fosse persa qualcosa. Scesi e mi avvicinai piano piano verso di lei, tesi la mano e la chiamai sbattendo il dito contro la sua spalla, si girò verso di me, tenendo lo sguardo basso
«sì, sì Katy scusami…ho di nuovo sbatt-u-t-o l-a- p-o-r-t-a…ciao»
«pensavo mi avessi dato buca»
«no, scusami …mi sono addormentata»
«pagherai pegno perché è quasi un’ora che ti aspetto al freddo dentro la mia macchina»
«ok, posso fare qualcosa per farmi perdonare? »
«mmm ci penserò…»
«bene sei pronta… bene allora si parte»
 
Era bello non pensare a niente e a nessuno, potermi divertire come facevo con i miei amici, solo che in questo caso avevo una bellissima ragazza al mio fianco. Per tutto il pomeriggio volle sapere tutto di me; del mio lavoro, di quello che facevo quando non lavoravo ma soprattutto cercò in tutti i modi di entrare nella mia vita privata, con discrezione e senza forzature. Il caratterino iniziale sembrava si stesse smorzando e dalle feroce e aggressiva Sophie era rimasto solo il lato piccante delle battute dirette e punzecchiati che venivano fuori solo quando cercavo di addentrarmi in strade a cui non mi era concesso percorrere

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: STRANO APPUNTAMENTO ***


Capitolo11 : STRANO APPUNTAMENTO
 
Il giorno della premier si avvicinava e presto avrei rivisto di nuovo Jay, dopo quel bacio quasi sfiorato non facevo che pensare a lui. Cercavo in tutti i modi di  concentrarmi su altro, ma la sua completa assenza occupava i miei pensieri per tutto il giorno. Le sue telefonate arrivavano in tarda serata, e completamente stanco ed assonnato mi dava solo la buona notte. Quel giorno o meglio la sera prima mi aveva chiesto un favore, voleva che lo accompagnassi a comprare il completo per la Premier, voleva un consiglio e io accettai volentieri, per me era l’occasione per rivederlo anche se avrei passato con lui pochissimo tempo, mi aveva avvisato su questo, ma mi bastava. Mi preparai e presto fui pronta, il suo messaggio arrivò poco dopo e mi fiondai giù rischiando anche di cadere per le scale, era troppa la voglia di rivedere quegli occhi. Cercai la sua auto e dopo una breve ricerca la trovai, lui era li dentro nascosto dietro ad un paio di occhiali da sole, come al solito tra l’altro, era difficile per lui fare un passo senza essere riconosciuto. 
Entrai dentro e subito gli sorrisi, avevo una gran voglia di abbracciarlo e di dirgli che mi era mancato, ma era meglio che il mio entusiasmo rimanesse nascosto.
«ciao, come stai? » chiesi forse con un po’ di enfasi
«Bene adesso che ti vedo sorridente, allora sei pronta per passare una mattina un po’ …diversa» che carino che era quel suo sorriso
Accennai un sì e presto sfrecciammo tra le strade di Los Angeles. L’auto si fermò a Beverly Hills e lì scendemmo.
 
«vieni, devo andare a prendere delle cose, portarle al mio agente e poi ho un appuntamento qui vicino ad un’un atelier con il mio personal stylist».
«hai un personal stylist» chiesi curiosa
«si, ho qualcuno che mi dice come vestirmi, come pettinarmi e anche qualcuno che mi dice cosa dire» era molto deluso, si sentiva che questo modo di fare non gli piacesse molto, beh neppure a me sarebbe piaciuto una cosa del genere, era come essere un eterno bambino, con la mamma che ti prepara i vestiti sul letto prima di andare a scuola.
«non sembri molto contento di questo»
«ogni tanto vorrei fare a modo mio, come quando mi preparo per i miei concerti, lì s’ che mi diverto, ma per le occasioni ufficiali sono legato».
Arrivammo in prossimità di un grande palazzo fatto tutto di specchi, entrammo e rimasi incantata, la struttura era particolare, ma non fu quello che mi lasciò sbalordita, era un ambiente elegante, mi sentivo fuori luogo, alle pareti milioni e milioni di foto di personaggi importanti e tutte una più bella dell’altra. Ci avvicinammo alla reception e la ragazza fece un mega sorriso al mio accompagnatore
 
«Salve Jackson, come va?…le tue foto sono pronte, sono contenta che sei venuto personalmente a ritirale» una ragazza molto aggraziata lo salutò con molta appagamento, era molto carina, ma allo stesso tempo era vuota dentro, non so come spiegarlo ma i suoi modi erano veramente fuori dal comune, cercava il contatto con la sua mano, uscì da dietro al bancone e lo andò ad abbracciare
«ciao Sara, grazie mille, ma sai, a Pach servono subito, sarà lei poi a parlare con Taylor per confermare il tutto»
«ok, allora vado a prenderti le foto»
La ragazza si allontanò e lui si avvicinò a me, mi osservò e notò lo sguardo meravigliato che avevo in quel momento.
«allora che te ne pare»
«è bellissimo qui ma…cos’è»
«è lo studio fotografico di un famoso fotografo di Los Angeles, ho dovuto fare delle foto per un giornale e il mio agente vuole dare un’occhiata a tutte le foto prima di far procedere con la stampa, oltre al servizio ho fatto anche un’intervista, ma quella non è modificabile»
«ma se ti dicono cosa dire, diciamo che non hai di che preoccuparti». Tornò subito serio e per l’ennesima volta mi resi conto che avvolte dovevo contare fino a dieci prima di aprire la bocca, non lo conoscevo bene ma avevo capito che quel suo mondo lo portava a fare cose che a lui non andavano molto giù.
 
L’arte era la mia passione e con la parola arte includevo anche le foto artistiche e non solo, per me tutto era arte, anche la forma strane di una foglia o il colore limpido di una pozzanghera, era quello per me il bello della fotografia, fotografare il mondo nelle sue sfaccettature, non persone e celebrità come forse lo era per il novantanove percento delle persone di quella città che andavano in giro per le vie con una macchinetta sempre pronta dentro la borsa per non perdere nessuna occasione.
 
La ragazza tornò con in mano una busta, la poggiò al bancone e dopo aver dato un modulo da firmare, riprese a fare gli occhi dolci.
«allora quando ti rivedrò, mi devi un caffè…ricordi?!? »
«non lo so, magari al prossimo servizio fotografico, credimi sono davvero impegnato e tra poco partirò per il tour, sai dove suoniamo, perché non vieni a fare un salto tra qualche mese suoneremo qui vicino, sulla 24th»
«e non c’è modo di vederci prima, magari soli, senza la sorellina»
«sorellina….ahahahah…non è mia sorella» sorrise lui mentre a me stavano già fumando le narici.
«ah…scusami, non volevo allora è…»
Il comportamento di quella ragazza mi fece diventare di mille colori, verde di invidia, per la spontaneità che aveva avuto, rossa di rabbia, per averci provato, nera furiosa per aver pensato che fossi sua sorella. Decisi di interrompere quel suo volersi vendere e portare via Jay dalle grinfie di quella donna senza ritegno
«allora Jay, hai fatto, abbiamo altre cose da fare ricordi» cercai di allontanare la preda dagli artigli del predatore e grazie al cielo lui mi ascolto.
«certo Sophie, andiamo… ciao Sara, è stato un piacere averti rivisto alla prossima»
 
Sorrise appena fuori dal palazzo mentre io tenni il broncio per tutto il tragitto, se ne accorse, ma non sembrava darci peso, anzi sembrava divertito da quel mio comportamento.
«allora, vuoi tenere il broncio per tutto il tempo che starai con me oppure vuoi di nuovo parlarmi? »
«non faccio il broncio»
«si invece, appena sei salita in macchina avevi un sorriso che illuminava la giornata e adesso, tra poco spunteranno le nuvole, cosa è successo?» come se non lo sapesse…mi ero ingelosita e non dovevo…accidenti a me e quella Sara.
«nulla di che»
«vediamo se riesco a farti sorridere, vuoi vedere le foto? »
«dici che posso?»
«certo sono le mie foto» 
Ci sedemmo su una panchina lungo la strada e mi passò la busta. L’aprì delicatamente e cercai di tirale fuori, senza per questo toccarle, non avrei mai voluto rovinarle, ungerle o ancora peggio lasciare le mio impronte sulla patina di lucido.  Scivolarono fuori e le guardai una per una. Erano bellissime, lui era bellissimo, gli occhi erano nascosti dietro un paio di Ray-Ban bianchi e il suo solito sorriso illuminava la foto come se fosse lui il sole. Erano davvero tante, una più bella dell’altra e il soggetto era capace di tenere lì chiunque le ammirasse, aveva un magnetismo unico e non sapevo ancora come io facessi a resistergli.
 
«sono bellissime»
«bene…vedo che ti è tornato il sorriso»
«scusami per prima»
«ti ha dato fastidio che ti abbia scambiato per mia sorella? »
«no, figurati e che…bè lei ci provava spudoratamente e tu sembravi assecondarla» “ ma che diavolo mi passa per la testa… gli ho appena confessato che mi piace… ecco sono regredita… ecco la dodicenne che c’è in me salire di prepotenza… pista fammi largo… ocche adesso un colpo di tosse e CRESCI STUPIDA”
«allora sei gelosa? »
«per nulla, è solo che non ti ci vedo con una come lei» dissi in tono serio e mi alzai di scatto accelerando il passo per non fargli vedere il mio viso, che sicuramente era diventato di mille colori dall’imbarazzo.
Percorremmo ancora un po’ di strada ed all’improvviso mi ritrovai davanti al palazzo dove lo avevo scontrato quel giorno, il mio primo giorno a L.A.
«è qui …che ci facciamo qui? »
«ti ricordi del posto vedo… qui c’è il mio agente, ci metterò solo pochi minuti»
Questa volta non lo seguì del tutto, rimasi fuori nella sala d’attesa mentre lui entrò direttamente nell’ufficio. Da dentro sentivo i toni di voce incendiarsi, stavano urlando, garbatamente uno contro l’altro, ma non si riusciva a capire l’argomento. Dopo pochi minuti Jay venne fuori, vistosamente arrabbiato, con i tratti del viso tesi e la mascella serrata.
«non mi importa…questa volta faremo come dici tu, ma non ci rinuncio non posso sempre fare tutto quello che mi dici» e sbatté la porta, mentre con lo sguardo mi chiese di seguirlo.
 
Non gli dissi nulla per tutto il tragitto, evitai di toccare l’argomento, di farlo agitare di nuovo, visto che sembrava essersi calmato. Sfiorai per un secondo la sua mano e tutto sembrò cambiare, i denti mollarono la presa e dalla sua espressione imbronciata nacque un sorriso. Prese la mia mano e la strinse, lui era diventato rosso, mentre il mio colore era sicuramente più acceso del suo, la tenne stretta, fiero ed orgoglioso camminava per quella strada, come se volesse farsi vedere da tutti, come se gli facesse davvero piacere quella inconsueta situazione. Entrammo in atelier e dentro c’erano 2 persone ad aspettarlo. Avevano già deciso ed accostato un paio di abiti ed indumenti, dopo aver parlato con lui lo aiutarono a portarli nel camerino.
 
«arrivo, mi provo questi abiti e mi raccomando, voglio che tu mi dica cosa ne pensi»
«va bene» risposi accennando un sorriso
Sparì dietro ad una porta per venire fuori poco dopo, aveva messo un bellissimo vestito scuro, stava davvero bene, anche se quel filo di barba non sembrava convincere i suoi collaboratori ma a me piaceva. Cercò il consenso nei miei occhi e con un sorriso gli comunicai che stava benissimo. Il cambio abiti fu veloce e procedette così per altre 3 volte. Ogni volta sembrava meglio della precedente.
 
La mattinata passò in un baleno e lui a causa dei suoi impegni dovette portarmi presto al campus. Il cellulare gli suonò in continuazione per tutto il tragitto che dal negozio portava all’UCLA, ma dopo la prima occhiata fece finta di nulla, continuò a guidare e a parlare come niente fosse. Appena arrivati si fermò.
 
«spero che ti sia divertita»
«molto, mi è piaciuta la sfilata di moda sai»
«a me non tanto, non mi piace ogni volta attendere che mi diano l’ok, non lo sopporto, a me quando piace una cosa la compro, ma quando ci sono loro, è impossibile»
«immagino, ma ti stavano davvero bene quegli abiti, soprattutto la camicia grigia e il gilet sopra i jeans»
«bene abbiamo gli stessi gusti» il telefono ruppe la nostra conversazione e con lei limitò pure il tempo. Lui si irrigidì e abbassò lo sguardo.
«devo andare, ci vediamo mercoledì mattina, ricordati» scesi dalla macchina e lui sfrecciò via.
Per tutto il giorno tornò in mente quella ragazza tanto bella quanto sfacciata che gli aveva fatto un’assidua corte. Iniziai a pensare che forse stava andando da lei e per questo il mio cervello iniziò il suoi solito monologo pessimistico e occupò i miei pensieri per 2 giorni.
 
 

Mancavano solo 2 giorni al Red Carpet di New Moon e mia sorella non la smetteva di stressarmi, voleva a tutti i costi che le regalassi un bell’abito per l’occasione per farsi notare sta volta perchè, come diceva lei, era cresciuta. I miei sarebbero atterrati nel pomeriggio mentre quella mattina avevo pensato di invitare Sophie a passare con me la mattinata, soliti giri da fare, ma almeno sarei stato un po’ con lei. Quel bacio sfiorato mi era costato molto, avevo letteralmente sbranato Ben a casa, ma ormai la frittata era stata fatta e quindi dovevo aspettare un altro momento speciale come quello. Chissà quando.
Avevo appuntamento con lei alle 10, niente colazione questa volta…erano troppe le cose da fare e quando fui vicino al campus le inviai un messaggio e lei poco dopo era già da me. Dopo i soliti convenevoli partimmo verso Beverly Hills, era quella la meta mattutina e nonostante non avevo manifestato nei suoi confronti tanta gioia, era comunque con il solito sorriso stampato sulle labbra. Mi piaceva guardarla con il vento che entrava dal finestrino e che le scompigliava i lunghi capelli castani, il sole l’abbaglio varie volte e quando riapriva gli occhi la luce le illuminava lo sguardo facendomi tremare dall’emozione.  
 
Prima tappa, Taylor Phoenix. Entrammo nello studio deserto e lei come una turista sembrò scrutare ogni piccolo dettaglio di quella stanza. Mi avvicinai alla reception e parlai con la ragazza, Sara credevo che si chiamasse e per fortuna non sbagliai.
 
«Salve Jackson, come va?…le tue foto sono pronte, sono contenta che sei venuto personalmente a ritirale»
«ciao Sara, grazie mille, ma sai, a Pach servono subito, sarà lei poi a parlare con Taylor per confermare il tutto»
«ok, allora vado a prenderti le foto»
Sara si allontanò, ne approfittai per avvicinarmi alla mia accompagnatrice, era molto timida in quella specifica situazione era come se si trovasse in un luogo magico, aveva gli occhi sgranati, si vedeva ogni piccola sfumatura di quella meraviglia.
«allora che te ne pare»
«è bellissimo qui ma…cos’è»
«è lo studio fotografico di un famoso fotografo di Los Angeles, ho dovuto fare delle foto per un giornale e il mio agente vuole dare un’occhiata a tutte le foto prima di far procedere con la stampa, oltre al servizio ho fatto anche un’intervista ma quella non è modificabile»
«ma se ti dicono cosa dire, diciamo che non hai di che preoccuparti» dopo quella piccola confessione iniziai a sentirmi un perfetto stupido.
 
Sara tornò poco dopo con le foto e nonostante lei si comportava come sempre, il suo atteggiamento sembrava dare fastidio a Sophie e decisi un po’ di giocarci, sapevo che Sara ci provava sempre con me e non volevo darle false speranze, ma le occhiatine fulminee di Sophie che sembravano volerla fulminarla con lo sguardo tirava fuori il bastardo che c’era in me. Dopo vari incomprensioni uscimmo dallo studio fotografico e la piccola Sophie faceva il musino imbronciato offesa per la situazione, anche se negava il reale motivo, sapevo che in fin dei conti gli interessavo e non poco.
 
«vediamo se riesco a farti sorridere, vuoi vedere le foto? »
«dici che posso? »
«certo sono le mie foto»
Lungo la strada trovammo una panchina e li decidemmo di sederci. Le diedi le foto e iniziò a sorridere, era bella quando rideva, le si illuminava il viso, spostò una ciocca di capelli dietro le orecchie e sbuffò via il ciuffo da davanti gli occhi, con cura ripose le foto nella busta e le richiuse
« sono bellissime»
«bene…vedo che ti è tornato il sorriso»
«scusami per prima»
«ti ha dato fastidio che ti abbia scambiato per mia sorella?»
«no, figurati e che…bè lei ci provava spudoratamente e tu sembravi assecondarla»
«allora sei gelosa?»
«per nulla, è solo che non ti ci vedo con una come lei»
Si, era gelosa e tutto ciò le dava un’aria più interessante, come avrei voluto baciarla, in quel momento, in quella panchina. Le gote si colorarono di rosso e chinò la testa dall’imbarazzo, ad un tratto si girò dall’altra parte non appena vide che la stavo fissando. Si alzò di scatto e dopo avermi sorriso mi chiese quale sarebbe stata la prossima tappa. Era finito così il momento magico, senza che io ne potessi approfittare, in fin dei conti, non ero mai stato uno intraprendente.
Dopo un’altra piccola marcia giungemmo nello studio di Pach, riconobbe subito la zona e il palazzo e dopo averle detto cosa eravamo venuti a fare entrammo. Si accomodò mentre io entrai direttamente nello studio. Pach era al telefono, ma ero atteso quindi appena mi vide salutò chi c’era dall’altra parte della cornetta,
 
«ehy ciao Jack, allora come è andata la prima parte del tour»
«ciao, bene…qui ci sono le foto che ha fatto Taylor»
Le prese in mano e iniziò a dargli un’occhiata
«che te ne pare? Pensi che possiamo dare l’ok per il servizio»
« si, penso che non ci siano problemi, ho avuto un ottima critica» dissi soddisfatto del lavoro e del gudizzo che era stato da poco espresso.
«chi ha visto queste foto? »
«le ho fatte vedere ad una mia…ad una ragazza»
«Jay sai come la vedo io questa cosa»
«non mi importa Pach»
«e chi è questa ragazza, cosa fa? »
«è una studentessa si chiama Sophie»
«non voglio che ti faccia vedere in giro con lei»
«cosa? »
«dico che lei è una cattiva pubblicità…sai cosa vuol dire per te avere una ragazza tra i piedi, che molte fans ti metteranno da parte…tu hai bisogno di popolarità, devi andare in giro con qualcuno di importante non con delle ragazzine “DISPONIBILI” »
«basta non ho intenzione di ascoltarti…farò quello che pare a me»
«non la porterai alla premier vero?!? »
«non l’avrei portata con me, è troppo presto per farle conoscere questo mondo
«vuoi un consiglio, non farglielo mai conoscere, liberatene, ti presento una ragazza»
«non voglio conoscere nessuno»
«allora andrai da solo»
Mi alzai dalla sedia, infuriato e senza controllo, aprì di scatto quella porta e ebbi io l’ultima parola
«non mi importa…questa volta faremo come dici tu, ma non ci rinuncio non posso fare sempre tutto quello che mi dici» sbatté la porta e incrociai il suo sguardo interrogativo in quella sala d’aspetto, le accennai un sorriso ed uscimmo da lì.
 
 Avevo passato una bellissima domenica mattina in compagnia di Sophie e devo proprio ammetterlo, mi ero innamorato, non mi importava quanto duro potesse essere il mio lavoro, sentirla a fine serata riusciva ad appagarmi dalla fatica appena conclusasi. Avvolte mi chiedevo cosa dovessi fare per rendere felice il mio Manager, per farle accettare ogni mia decisione, ogni mio colpo di testa, ma per lei Sophie era solo un capriccio che presto sarebbe sparito. La mia caparbietà e la mia faccia tosta aveva prevalso a quel tavolo, ero riuscito ad invitarla a cena, ma inutile, la contropartita era stato Robert, e sì, le avevo detto che lo avrebbe conosciuto e in cambio io avrei avuto come premio una cena con lei. Non mi preoccupava tanto Robert, perché lui aveva la testa e gli occhi su un’altra ragazza, ma non riuscivo a non pensare al fatto che lui fosse più apprezzato di me agli occhi di Sophie, ero geloso, ma la mia preoccupazione più grande iniziava ad essere il mio mondo e le persone che mi circondavano.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: LA COLAZIONE ***



Capitolo 12 : LA COLAZIONE
 
 
Mi ero sistemata davanti al divano con un sacchetto pieno di pop-corn e una gigantesca bibita a portata di mano, le mie amiche a fine lezioni mi raggiunsero e si accomodarono accanto a me pronte ad assistere all’evento più importante in quel periodo per le ragazze americane: La Premier di New Moon. Erano le 17 quando le prime auto con dentro il cast della saga, arrivarono davanti al teatro. Tutti i protagonisti erano lì, proprio davanti all’entrata del campus; sentivo le ragazzine che urlavano, sembrava proprio di averle in casa. Molte persone famose erano a pochi passi da noi tutti vestiti per l’occasione; le mie amiche continuavano ad entrare ed uscire dal balcone del campus sperando di vedere qualcosa: impossibile, eravamo sul lato sbagliato della struttura. Cercavano in tutti i modi di convincere me a fare la cosa giusta.
«Dai Sophie andiamo»
«No» risposi secca
«Ma sono qui sotto casa, e…c’è Jackson» dissero in coro soffermandosi sul nome
«Ho detto di no, se volete andate voi»
«Uffa…ma se ti vede magari ti farà entrare»
«Ragazze…avete la minima idea di cosa ci voglia per entrare lì»
«I pass»
«Brave, cosa che noi non abbiamo, non possiamo andare lì, farci vedere per fare cosa poi? Jackson non lì può creare dal nulla. E poi…no, non ho la minima intenzione di chiedergli un favore»
 
Si azzittirono, almeno per poco, fino a che non spuntò un altro divo hollywoodiano davanti al microfono dell’intervistatrice. All’improvviso ciò che aspettavo con ansia si presentò, da dentro una limousine nera, un’orribile scarpa anzi stivale nero, calcò il tappeto rosso di Broxton Ave. Uscì dalla macchina mostrando i suoi bianchissimi denti e quello sguardo penetrante, indossava lo smoking che aveva comprato qualche giorno prima ed era incantevole. Le ragazzine sembravano infervorarsi in sua presenza e lui come sempre era semplice e disinvolto, con quel sorriso smagliante e la disponibilità che lo contraddistingueva dagli altri. Iniziò la serie di interviste, era strano vederlo dentro lo schermo della tv, sembrava un’altra persona, non era il timido ed impacciato uomo che aveva passato con me quei pochi momenti di svago. Era la metà di se stesso, la metà che non faceva che completare quella che io conoscevo e che me lo facevano apprezzare ancora di più.
 
Dopo poche ore era già tutto finito e decisi di andare direttamente a letto in modo tale che la mattina sarei stata fresca e riposata per il mio appuntamento. Mi sdraiai comodamente sul letto e mi coprii con il piumone cercando di nascondere il sorriso che in quel momento mi si era disegnato sul viso con un pennarello indelebile. Pensavo e ripensavo a lui su quel red carpet con quei buffissimi basettoni e quel sorriso smagliante. Mi giravo e rigiravo nel letto, senza prendere sonno.
“Uffa…proprio sta sera, dai Sophie prova a dormire, pensa ad altro… alla colazione di domani, al fatto che avrai davanti hai tuoi occhi Robert Pattinson, Kellan luz, Kristen Stewart…e se dovessi sentirmi fuori luogo, basta respirare e sorridere….ma perché ho accettato?!?…ah già per Robert Pattinson…” continuai imperterrita con quel soliloquio quella notte sino a che decisi di prendere il mio piccolo pc e di vedere le foto di quella sera, almeno avrei avuto qualche argomento utile per rompere il ghiaccio la mattina dopo .
Mi gelò il sangue, lui abbracciato ad Ashley Greene mi provocò una strana reazione. Era come se miriadi di formiche mi avessero assalita e si stessero facendo una passeggiata su di me, il formicolio incessante, la temperatura elevata, il fumo dalle orecchie: tutti sintomi inequivocabili… ero cotta e tremendamente gelosa. Le cattiverie più estreme mi balenarono in testa, ma dovevo calmarmi, sperai in quel momento che lei non fosse stata invitata a quella colazione, ma era da escludere, lei ci sarebbe stata ed io avrei dovuto tenere la lingua a freno.
 
Dopo una doccia rilassante mi preparai ed mi caricai di caffè, per evitare di addormentarmi in macchina, o ancora peggio, durante una delle loro conversazioni, che figuraccia che avrei fatto fare a Jay. Intorno alle 10 si presentò sotto casa mia, avvertendomi con il solito messaggino sul cellulare, misi gli stivali e scesi. Appoggiato sulla sua piccola Yaris azzurra c’era lui, mi guardava da sopra le lenti scure degli occhiali ed accennò un sorriso, risposi e mi avvicinai a lui, mi sentivo come volare.
«Buongiorno signorina le sono mancato?»
«Mmm…può darsi »
«E’ pronta a mantenere la promessa?»
«Sì ma…devi essere sincero»
«Dimmi…»
«Sono ridicola vestita così…cioè sono inappropriata?»
«Sei bellissima, come al solito…e poi non c’è mica un abbigliamento adatto per la colazione, io la faccio in pigiama a casa»
«Dai Jay, sii serio»
«Sono serio, stai benissimo, dai sali adesso che ci aspettano»
 
Arrivammo davanti alla camera e una strana sensazione mi invase, ero tremendamente agitata, sudavo freddo, eppure non avevo avuto lo stesso effetto quando avevo visto Jay la prima volta, forse perché avevamo rotto il ghiaccio in ascensore, ma mi sentivo come se in quella camera non dovessi entrare.
 
«Su tranquilla, siamo persone normali, non ti mangia nessuno»
Feci un cenno con la testa, mi strinse la mano e una nuova ondata di emozioni mi annullò, alzai lo sguardo per vedere quale fosse la sua espressioni in quel momento, nel momento in cui io ero stupita per il gesto. Sorrise ed aprì la porta.
 
«Buon giorno…- Urlò per la camera - ragazzi lei è Sophie, Sophie loro sono i miei amici - mi fece avvicinare ad ognuno di loro e risposi a tutti con un sorriso e una stretta di mano - lei è Kris, Kel, Nik, Ash, Peter, lei è Jennie la moglie di Peter, lei è Elisabeth e - il tono di voce cambiò, non era più allegro e pimpante, ma quasi roco e cupo - lui è Rob»
 
«Piacere» risposi imbambolata, rimasi fulminata da quegli occhi, dal sorriso quel  tic frenetico e compulsivo che aveva di toccarsi i capelli.
 
Incrociai per un secondo lo sguardo di Jay, era visibilmente in imbarazzo, non sapeva cosa fare, come comportarsi e soprattutto era geloso. Mi girai verso di lui e lo guardai negli occhi.
«Allora ..la colazione?»
Cambiò magicamente espressione e prendendomi per mano mi trascinò fino al mio posto, lui si sedette vicino a me e come al nostro pseudo primo appuntamento si dimostrò disponibile. Sembrava che non ci fosse nessuno attorno a noi, solo io e lui, mi sorrideva, mi puliva la bocca dalla crema e il naso dallo zucchero a velo.
 
«Allora sei tu quella che ha rapito il nostro Jackson» Nikki sembrò entrare di prepotenza in quell’idillio.
«Rapito?»
«Sì…non fa altro che parlare di te… giuro non riesco a fargli cambiare argomento»
«Dai Nikky, per favore» era rosso e visibilmente imbarazzato
«Ti confido un segreto…non lo vedevo così da molto tempo»
Ben presto iniziarono a intromettersi sempre più persone, ed io non sapevo più cosa dire
«Beh è vero…lavoravamo insieme ad uno zombie…se non lo diceva il copione di ridere lui non sorrideva affatto - continuò Kellan - no… per le gaffes rideva!!!»
«Ahahaha…vi siete divertiti abbastanza… mi state rovinando la reputazione»
«A me Jay sorrideva!» anche Ashley prese parte alla conversazione, ma forse per le foto viste la sera, forse per il suo modo di fare, iniziava a salire una strana sensazione, non era gelosia, ma rabbia.
«Non credo che sorridesse neppure a te così» bacchettò Nikki
«Ma…basta ragazzi, non datele tutta questa importanza, non vorrei che si sentisse a disagio»
«Grazie per la premura, ma credo di riuscire a cavarmela» non so perché ma sembrava provocarmi.
«A cavartela!?! tesoro, tu non sai neppure cosa ti aspetta»
«Basta Ash»
«Cosa ho detto…solo la verità»
Dovetti ingurgitare un cornetto per evitare di risponderle, in fin dei conti io ero ospite e non volevo assolutamente far fare una brutta figura a Jay
«Allora cosa fai nella vita…anche se…sai Jay mi ha detto un po’ tutto di te» Nikky cercò di cambiare discorso, appezzai quel suo vano tentativo.
«Studio Arte ed architettura e sono qui da quasi 3 mesi…»
«Da dove vieni»
«Da Verona, Italia»
«Oh…è bravo Jay, colpito dal fascino Italiano» Peter spolverò un po’ il suo dialetto, veramente incomprensibile, sarà che lui l’aveva solo sentito parlare, ma era veramente pessimo in quella situazione.
«Fascino??? Se questo è il fascino italiano è meglio il made in America» “Respira Sophie, fallo per Jay…conta fino a 10...1..”
«Perché dici questo Ashley , io la trovo molto carina» Nikki sembrò difendermi. 
«Dovrebbe vestirsi un po’ meglio, visto che si farà vedere in giro con Jay, come ti giustificherai davanti ai fotografi, non sarà una cosa facile»“…2, 3, 4...”
«Non devo giustificare nulla, non ho mai dato peso a quello che dicevano i giornali»
«Sai il mio nome e stato accostato così tante volte al tuo che non vorrei proprio finire in mezzo ad uno scoop per sbaglio, poi se dovessero tirare fuori un paragone con lei … per fortuna è la solita cotta stagionale di Jay… niente paura altre 3 settimane poi il tuo numero sarà nel cestino come quello delle altre» “ …5,6,7…”
«Adesso basta Ashley…si può sapere cosa ti è preso»Jay si alzò di scatto infuriato spostando la sedia all’indietro rischiando che cadesse.
«Cosa è preso a me? Perché… non credo proprio di essermi allontanata tanto dalla verità …» “…8, 9, 10 adesso-vado-in-iperventilazione, se-non-le-rispondo-vado-in-iperventilazione”
«Ash stai esagerando,  è possibile che tu…» trattenni le lacrime per l’umiliazione subita, non volevo darle questa soddisfazione, poi dopo un grosso respiro colpì.
«Senti, io non ti conosco e tu non conosci me e visto la situazione penso che è meglio che le cose rimangano così…è stato un piacere conoscerti e …arrivederci - presi la borsa e sotto lo sguardo di tutti girai le spalle e raggiunsi la porta - ehm… a proposito non esagerare con i cornetti…credo che ti si piazzino proprio sui fianchi …non vorrei proprio che ti rovinassero il fisico e dovessi ricorrere ad un’altra liposuzione …grazie ancora e scusatemi» chiusi la porta e poco dopo feci un sospiro di sollievo.
 
Affrettai il passo e raggiunsi velocemente l’ascensore dell’hotel, una mano mi si posò sulla spalla e istintivamente mi girai, sapevo benissimo chi era; evitai volontariamente il suo sguardo tenendo gli occhi bassi e ancora prima che lui potesse parlare avanzai le mie scuse
«Senti ci ho provato, mi sono trattenuta, ho contato fino a 10...ma cavolo se lo è voluto lei»
«Sophie, non mi sono mai divertito così tanto - alzai lo sguardo e stava sorridendo vistosamente - sei stata stupenda, piccante e diretta, la solita Sophie»
«Cosa, non sei arrabbiato?»>
«Solo lei è arrabbiata, dai torniamo dentro, prendo le mie cose e andiamo»
«Preferisco di no, mi sento molto in imbarazzo, ti prego portami via subito»
«Ok, vado a prendere le chiavi»
«Grazie e scusati ancora con loro da parte mia»
Mi raggiunse pochi minuti dopo ed insieme andammo verso la macchina. Rimasi in silenzio per tutto il tragitto nonostante lui incalzasse con le domande. Arrivati al campus ci fermammo e alla fine decisi di rispondergli.
«Ma cosa c’è, ti ho detto che non ci sono problemi, che nessuno c’è rimasto male»
«Scusami, io..io…sono troppo impulsiva…conto fino a 10 ma a volte non basta…sono scoppiata scusami»
«Sophie, è tutto ok, credimi, anche se non capisco perché Ash si sia comportata in quel modo, di solito è dolcissima»
«Vedi, io non centro nulla con te, con loro, non sono del tuo mondo. Ti mettere solo nei guai, ha ragione Ashley»
«Io non ti sto chiedendo nulla, non pensare che tu possa compromettere qualcosa. Non stiamo facendo nulla di male, credo di essere un ragazzo come tutti gli altri; perché devo rinunciare al divertimento o ad una ragazza solo perché ho un briciolo di notorietà?»
«Jay, non vorrei mai che tu possa pentirtene, anche solo di portarmi in qualche posto» mi sentivo tremendamente adisagio per lui, anche se la cosa non sembrava pesargli.
«Siamo andati a fare colazione insieme l’altro giorno e non credo che sia successo qualcosa»
«Ma ti ricordi come ero vestita?»
«Non è dall’aspetto fisico che si giudica una persona…io non sono quello che credi» 
«Io credo di aver capito come sei»
«Non penso proprio, non sono il bravo ragazzo che tu credi che io sia» la sua espressione si fece subito seria e la sua voce bassa 
«Ah no?!?»
«No, sono…» lo interruppi subito, afferrandogli la mano che nervosamente si strofinava sui jeans.
«Shhhh, non voglio saperlo, se non ti dispiace voglio scoprirlo, voglio capire giorno per giorno come sei» la macchina si fermò al semaforo e i suoi occhi si posarono su di me.
«Avrei voglia di…»
«Non so ancora se posso fidarmi» in quel momento non sapevo se era lui a intimorirmi o le parole di Ashley che continuavano a ripetersi nella mia testa senza sosta, “davvero lui si innamorava facilmente?”
«Non fidarti mai di me»
«Non è di te che non mi fido, ma di quello che ti circonda»
«Che vuoi dire?»
«Abbiamo tempo per parlarne, adesso vado, ho lezione tra poco. Buona giornata»
Scesi dalla macchina e dopo aver preso la borsa mi recai a lezione con in testa tutto, la premiere, le foto, la colazione e le parole di Jay... Chissà dove voleva arrivare, non volevo essere uno dei suoi trofei e nemmeno una sua fonte di distrazione, volevo sapere se gli interessavo e se da qualche parte aveva un posticino per me.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: TUTTO A MONTE ***



Capitolo: TUTTO A MONTE


Che figuraccia che avevo fatto con tutto il cast, solo perché a qualcuno era venuta la brillante idea di provocarmi, che rabbia, ma cosa le avevo fatto io, lei era bella, dieci mila volte più bella di me, eppure aveva cercato di mettermi in difficoltà e non riuscivo a capirne il motivo. Il telefono vibrò dentro la borsa, ma non potevo rispondere, la lezione non era ancora finita e la mia vicina di posto mi guardava con gli occhi rossi, come iniettati di sangue, solo perché percepiva il rumore del cellulare. Vibrò una seconda volta e il professor Connor mi guardò con aria adirata e perplessa.
«Miss Maresca, la invito a spegnere il telefono quando viene alle mie lezioni».
«Sorry MR. Connor»
«La lezione è finita….signorina Maresca rimanga un attimo le devo parlare».
Ecco ero nei guai, che cosa avevo fatto di sbagliato, "giuro che mi sbrano chi mi chiamava con insistenza". L’aula presto si svuotò ed io sistemai la borsa senza dare un minimo sguardo al telefono. Mi avvicinai al tavolo e chinando lo sguardo ascoltai quello che il professore aveva da dirmi.
«L’ho vista un po’ assente oggi in aula, l’annoiavo per caso».
«No MR. Connor»
«Allora cosa Signorina, pensavo che la mia lezione fosse interessante evidentemente quello che aveva per la testa lo era molto di più».
«No MR. Connor»
«Ho visto il progetto che mi ha presentato è lo trovo ben fatto, stupendo, al dir poco perfetto».
«Cosa? »
«Ha capito bene, lei sarà una delle poche, se non l’unica, ha prendere una A al mio corso, e non voglio che si faccia distrarre per nulla al mondo, adesso recuperi gli appunti e ci vediamo domani».
«Sì MR. Connor»
«Questo vuole dire che domani dovrà essere preparata».
«Certo MR. Connor»
Presi la borsa che avevo lasciato al posto e mi recai verso la porta quando di nuovo la voce del professore mi fermò.
«Signorina Maresca, conto su di lei, un’altra distrazione come quella di oggi e la caccio fuori dal corso, non mi piace puntare su una persona per poi accorgermi che si perde in altro».
«Sì MR. Connor»
 
Uscì dall’aula con le palpitazioni, un’altra bravata del genere e mi sarei giocata il posto al corso più importante della mia carriera. Ero furiosa arrabbiata e in quel momento il telefono vibrò di nuovo, lo cercai dentro tutta quella roba, tra l’altro avevo messo pure i libri sopra. Mi sedetti sul pavimento e svuotai letteralmente la borsa togliendo ad uno ad uno tutte le cose che l’avevano riempita.
«Eccolo - aprì lo sportellino senza leggere il display - si può sapere chi diavolo è che rompe le scatole mentre sono a lezione?»
«Scusami Sophie sono Ben, l’amico di Jay, ci siamo visti al concerto anche se non ci siamo presentati»
«Ciao, cosa c’è»
«Ops mi sento tanto in colpa ho combinato qualcosa di irrimediabile? »
«Sì…cosa c’è »
«Scusami, Jay mi aveva detto di chiamarti per pranzo ma non sapevo a che ora pranzassi»
«All’una e mezzo»
«Scusami sul serio»
«Scuse accettate, ma posso sapere perché mi hai chiamato»
«Sì, ecco, Jay mi ha detto che oggi sarà tutto il giorno con i suoi e che quindi sarà un po’ difficile per lui chiamarti, ma mi ha detto di dirti di andare al negozio dove siete andati insieme se ti ricordi, lì c’è una cosa per te»
«Cosa? »
«Mi ha detto così non so altro»
«Ma non è sta sera la cena, no perché io ho da studiare»
«Non lo so, spero di farmi perdonare scusami ancora e ciao»
«Ciao»
 
Feci tre respiri profondi prima di riprendermi del tutto, chiusi gli occhi e li riaprì. Ero circondata di persone che mi squadravano come se avessi fatto qualcosa fuori dal normale, me ne stavo lì, al centro del corridoi con la borsa rivoltata atterra e avevo appena sbranato al telefono il mio interlocutore, “se non chiamano la polizia poco ci manca” pensai. Infilai la roba senza un senso logico dentro la borsa e rossa di vergogna andai verso il dormitorio.
 
Mi rinchiusi in camera per tutto il pomeriggio, senza mangiare, per recuperare la lezione che il signor Connor aveva esposto quella mattina e per evitare di rovinarmi con le mie mani per aver pensato ad altro durante la sua lezione. Come avrei potuto concentrarmi, avevo fatto la figura della perfetta idiota in quella camera d’albergo, me ne ero andata a testa alta sì, ma vergognandomi da morire senza per questo avere il coraggio di tornare dentro quando mi era stato chiesto di farlo. “BASTA SOPHIE, CONCENTRATI“. Lessi fino alla nausea le definizioni, odiavo studiare a memoria.
 
«Allora Sophie tu che fai? » Mary entrò in camera mia senza bussare, non avevo neppure finito la frase
«No Mary ho da fare, devo studiare questo per domani» le dissi indicando il plico del professor Connor
 
«Ok, allora non ti disturbiamo» accennai un sorriso mentre Mary uscì. Mi risistemai sulla sedia della scrivania e ripresi a studiare
 
«Allora…I profilati metallici con forma di C e di Z costituiscono gli elementi portanti della struttura e sono collocati ogni 60, 61 o 62.5 cm. I profilati …»
 
La mia concentrazione fu interrotta dal un bussare incessante della porta principale del dormitorio. Sbuffando andai ad aprire e mi ritrovai Katy che mi fissava con aria colpevole
«Scusami Sophie, ho dimenticato le chiavi» sorrisi e le concessi di entrare, anche se la mia faccia sembrava dire “no problem” dentro di me avrei voluto strangolarla.
 
«Le hai trovate Katy? »
«Sì, sì Sophie…sono qui» le prese e dopo essersi scusata di nuovo uscì. Triste e demoralizzata andai verso la scrivania, avrei voluto andare con loro, divertirmi, sentire un’ottima musica, ed invece…
 
Ripresi la matita in mano e tornai a sottolineare i miei appunti
«Dove ero rimasta….ah, qui, allora … I profilati a U si usano per realizzare unioni rigide e per chiusure di strutture portanti oppure come rinforzi. Per l'unione di travi, coperture ed elementi costruttivi si usano….»
Toc toc lanciai la matita contro il muro ed andai arrabbiata verso la porta e con forza l’aprii.
 
“cosa c’è adesso”  Mary era bagnata fradicia, probabilmente fuori stava piovendo e lei, come al solito aveva dimenticato l’ombrello
«Scusami, ma un imbecille mi ha schizzato l’acqua di una pozzanghera addosso, vado a cambiarmi»
«E non potevi usare le chiavi»
«Ho lasciato la borsa in mano a Katy»
Sbattendo i piedi come una bambina capricciosa tornai in camera mia e per far capire quanto io fossi arrabbiata sbattei violentemente la porta.
 
«… Per l'unione di travi, coperture ed elementi costruttivi si usano angoli e pezzi fatti a misura che si uniscono alla struttura per mezzo di bulloni ad alta resistenza. Il concetto…»
 
Katy aprì piano la porta di camera mia e con una finta lacrima fatta con il solo gesto della mano mi chiese scusa.
 
«Scusami Sophie, non volevo disturbarti, mi farò perdonare, domani pulirò io la cucina a posto tuo…anzi, la pulisco per una settimana» riuscì a strapparmi un sorriso
 
«Grazie Katy ma non occorre, dai adesso vai, altrimenti ti perdi l’inizio del concerto»
 
Uscì in tutta fretta. Anche a me sarebbe piaciuto andare ad ascoltare i The Kissing Club al THE VIPER ROOM, mi piaceva quel locale e da quando sapevo che Jay era un habitué di quel posto, ci andavo con la convinzione che prima o poi lo avrei rincontrato, senza per questo sperare in un appuntamento, ma solo così per puro caso, forzando avvolte la sorte.  
 
Mi concentrai sugli appunti per l’ennesima volta e per l’ennesima volta bussarono alla porta. Mi alzai di scatto facendo cadere la sedia, aprì la porta quasi a staccarla dal muro ed iniziai ad urlare per tutto l’appartamento
 
«Adesso basta, mi sono scocciata, avete finito di rompere, che diavolo volete ancora…» ecco la peggior figura della mia vita. Davanti a me non c’èra né Mary, né Katy. La persona che in quel momento mi trovai davanti abbassò gli occhiali neri e mi scrutò come se si fosse trovato di fronte una pazza. Era elegantemente vestito, jeans neri, camicia bianca e cravatta, capelli portati indietro e raccolti in una coda. Sul suo viso, solo un piccolo accenno di barba, forse, non fatta da non più di due giorni e un sorriso ammiccante sembrava dirmi “sei da ricovero“.
 
«Hey hey hey…calmati….non ti ho ancora fatto nulla, pensavo che prima di prendere degli insulti da te, avrei dovuto provocarti»
«No…e chè mi hanno interrotta varie volte? »
«Ma è possibile che non ti conosce nessuno qui…ho bussato a 5 porte prima di trovare quella giusta» lo feci accomodare mentre chiudevo la porta alle nostre spalle
«Sono molto solitaria…ma che ci fai qui? »
«Hai una promessa da mantenere…su dai vai a prepararti, ho prenotato il tavolo per le nove»
«Jay…io non posso…ho da studiare sta sera, il tuo amico ha interrotto la lezione con la sua telefonata e il professore si è vendicato…quindi se non studio vengo cacciata fuori dal corso…e proprio non mi serve»
«Mi dispiace…quindi il mio amico ti ha messo nei guai? »
«Emmm…sì»
«Va bene… si alzò dal divano dove prima si era accomodato e dopo essersi liberato degli occhiali e della giacca riprese - cosa posso fare? »
«Cosa? »
Si strofinò le mani, come se in mente gli stesse frullando qualche idea strana
«Sì cosa posso fare per aiutarti, ho intenzione di fare qualcosa per farmi perdonare, e …tranquilla farò in modo che si sdebiti anche Ben»
«Nulla sul serio»
 
Il mio sguardo iniziò a perdersi nel vuoto e lui vistosamente in imbarazzo, mi guardava pronto ad ogni mio ordine, il silenzio di quella insolita scena fu rotto dal gorgogliare del mio stomaco
 
«Non hai mangiato quindi… vai a studiare, adesso ci penso io alla cena»
«Ma…»
«Niente ma…vai»
 
Mi spinse verso l’unica stanza aperta con la luce accesa e richiuse la porta. Mi sedetti e nonostante fossi preoccupata ripresi a studiare
 
«Il concetto generale della struttura é inspirato nelle case americane con struttura in legno, sostituendo la struttura portante in legno per profili in acciaio zincato, con modulazioni di 60, 61 o 62.5cm. »
 
«Chissà cosa starà combinando» cercai lo stesso di concentrarmi. Era difficile tenere gli occhi fissi sul foglio, lui era a pochi metri di distanza e forse si stava divertendo a fare il cuoco pasticcione nella mia cucina, ma dovevo stare tranquilla e fidarmi di lui, almeno sino a quando non avrebbero bussato alla porta i pompieri. Un’ora dopo mise la testa furtivamente in camera mia due occhi verdi sbucarono dalla fessura da lui creata
«Si può? »
«Sì vieni avanti»
Entrò in camera mia e subito feci uno strano sguardo, arricciò le sopracciglia e mi guardò curioso
«Non sapevo che portassi gli occhiali…stai benissimo con quelli sul naso»
Imbarazzata li tolsi subito e mi rivolsi a lui
«Cosa hai fatto in cucina? »
«Nulla, anche perchè onestamente hai il frigo vuoto…ho chiamato il ristorante per disdire il tavolo e ho detto loro che sarei tornato venerdì…quindi ritieniti occupata venerdì»
«Ok»
«Quindi non sei andata a ritirare il mio regalo»
«Regalo? Ah già quello che mi ha detto il tuo amico…no»
«Finalmente scopro qualcosa su di te…Sophie»
Iniziò a curiosare in camera mia, come una perfetta spia
«Come vedo ti piacciono i romanzi storici, le fotografie, e…questo cos’è» prese il mio portafortuna da dietro ai libri
«Non conosci stitch…è un peluche della disney..è il mio portafortuna…me lo ha regalato mio fratello prima di partire»
«Scusami…ti sto distraendo troppo ritorno in sala, quando è pronta la cena ti chiamo»
«No dai…fa bene ogni tanto distrarsi»
Un bussare interruppe la conversazione
«Giuro che la stacco oggi la porta»
«Non occorre è la nostra cena…» rimasi al quanto perplessa, cosa aveva combinato. Corse subito nell’altra stanza intimandomi di raggiungerlo solo dopo 2 minuti, ma non resistetti tanto…se la cena proveniva da fuori, cosa diavolo aveva combinato nella mia cucina.
Mi alzai incuriosita dalla mia scrivania e cercai di raggiungerlo senza fare il minimo rumore. Una luce fioca proveniva dalla stanza e un profumino di formaggio fuso fece gorgogliare di nuovo il mio stomaco. Mi fermai in prossimità della porta e vidi finalmente quale opera aveva partorito la sua testa in quell’ora di piena libertà.
 
Il tavolo era apparecchiato e 2 candele di quelle profumate erano posizionate al centro del tavolo rotondo. Il profumino era una semplice pizza, ma mi fece sorridere. Lo guardai e lui dopo poco si accorse del mio arrivo
«Non avevo ancora finito»
«E questo cos’è»
«Non siamo andati fuori a cena, quindi ho pensato ad una cena romantica a casa a base di pizza, non ho trovato altre candele…spero che queste vadano bene»
«Sì…perfette»
 
Consumammo la nostra cena, guardandoci negli occhi, ridendo scherzando e come due ragazzini mangiammo la pizza con le mani e bevemmo coca cola dai bicchieri di carta.
 
Tornai a studiare poco dopo, cacciata da lui, mi raggiunse qualche istante dopo giurandomi di aver messo tutto apposto, si sedette vicino a me ed ascoltò la lezione del professor Connor con la mia voce
 
«Per luci importanti nella copertura, le capriate sono la soluzione migliore. Grazie alle caratteristiche menzionate, il sistema permette la costruzione d'edifici con vari piani, ville, appartamenti, hotel, come riabilitazioni di solai e tetti»
Mi ascoltò per tutta la notte e solo alla fine di tutto, solo dopo aver avuto la certezza che io mi sentissi pronta e che non avessi perso tempo decise che era ora di andare a dormire
«Mi dirai domani come è andata la lezione con il terribile professor Connor…dai vai a dormine ne hai bisogno, altrimenti non saprai cosa dirgli»
«Grazie di tutto Jay» Lo accompagnai sino alla porta, era mezzanotte e le mie in-quiline ancora non erano rientrate,
«Sicuro che non vuoi farmi ancora un po’ di compagnia»
«No, vai a dormire, sarai stanca morta, ci sentiamo domani, anzi ci vediamo domani sera, la cena mi raccomando»
«Sì…grazie Jay»
«Di cosa»
«Di tutto»
Accarezzò il mio viso con le sue mani di velluto, il dorso percosse lento i lineamenti del mio viso, in prossimità del mento si fermò e alzò il mio volto. Come la cosa più naturale del mondo si avvicinò a me e i nostri occhi si chiusero all’unisono, aprì le labbra e…
«Buona notte Sophie» prima che le chiudesse si girò di scatto,  le poggiò sulla mia guancia e le chiuse. Aveva le labbra morbide e calde, il suo profumo entrò di prepotenza nelle mie narici, mi sentì persa, totalmente smarrita, per pochi secondi, pochi ed interminabili secondi.
«Siamo pari…buona notte Sophie a domani» e scomparve dietro l’angolo del dormitorio. Andai a buttarmi sul letto, sorridendo chiusi gli occhi e mi addormentai.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: SERATA INTERMINABILE ***



Capitolo 14: SERATA INTERMINABILE


Uscì da quella porta con il nodo in gola, non avevo voglia di far finire la serata, ma dovevo farla riposare, quindi la salutai con la convinzione che almeno il giorno dopo sarebbe stata a cena con me, me lo aveva promesso.
Mi salutò sul ciglio della porta, presi il suo viso tra le mani e le sollevai il mento, avvicinai lento le mie labbra alle sua e, nel momento in cui lei chiuse gli occhi, poggiai le mie labbra sulla sua guancia, la ricambiai con la stessa moneta, mi aveva fatto soffrire quel maledettissimo giorno e Ben non aveva subito tutte le torture del mondo per avermi rovinato quel momento magico, irripetibile.  Scesi le scale del campus, era tardi e nessuno mi avrebbe riconosciuto con barba più lunga del solito e occhiali scuri ma era meglio non rischiare, allungai il passo ma prima di afferrare la maniglia del portone il telefono prese a vibrare. Afferrai l’i-phone dalla tasca e senza vedere il display risposi
 
«Immaginavo che mi avresti richiamato, vuoi che venga su?»
«Su dove??? »
«Pronto chi è??? »
«Jay sono io Ashley»
Ecco avevo fatto la più grande gaffe della mia vita. Con il telefono appoggiato all’orecchio raggiunsi la macchina e inserendo il vivavoce continuai a parlare mentre velocemente andavo verso casa.
«Ciao Ashley… come stai? »
«Bene Jay… ma cosa volevi dire con vengo su…sei sotto casa mia? »
«No Ash, pensavo fossi un’altra pesona… ma dimmi cosa succede»
«nulla volevo scusarmi per l’altro giorno… ti va di bere qualcosa e parlare… e da tanto che non parliamo più»
«E’ tardi Ash, è quasi mezzanotte»
«In hotel abbiamo parlato alle ore più assurde.. dai ti aspetto…»
«Ash, sono quasi a casa»
« Dai… qualche isolato in più»
 
Mi lasciai convincere e presto mi ritrovai sotto al suo appartamento, le luci del salotto erano accese ma, per non disturbare i vicini le inviai un messaggio, non mi fece attendere troppo e dopo tre rampe di scale mi presentai alla sua porta.
Sentivo Marlo ringhiare, come se non mi conoscesse, era da tanto tempo che non attraversavo quella porta, dopo pochi secondi Ash aprì.
Era in pantaloncini e canottiera, con una vestaglietta aperta che le arrivava alle ginocchia, i capelli erano portati all’insù e in mano aveva una scodella piena di pop-corn
«grazie per essere venuto» accennai un sorriso ed entrai
Non riuscivo a capire cosa volesse da me, a quell’ora e quell’abbigliamento non portava a nulla di buono, aveva ottimi argomenti per farsi perdonare ogni volta, per qualsiasi cosa o per qualsiasi cattiveria lei avesse commesso.
Si sedette sul divano e con il suo sguardo accattivante mi sorrise.
«Dai vieni a sederti con me che parliamo…» mi disse sbattendo il palmo della mano sul cuscino del divano
La raggiunsi e mi sedetti davanti al grande schermo che stava trasmettendo un film, molto probabilmente una commedia romantica, ne andava pazza.
«Allora dimmi Ash cosa è successo» feci lo sguardo serio e cercai di guardarla negli occhi, essere diretto era sempre la migliore delle idee
«Sai volevo farmi perdonare per come mi sono comportata l’altra mattina non ho scusanti»
«Guarda Ash, mi hai davvero stupito, non è da te comportarti in quel modo
«Sì lo so… è per questo che ti chiedo scusa» abbassò lo sguardo, in quel momento era la persone più indifesa del pianeta
«Posso sapere il motivo di tutto quell’astio verso Sophie… non la conosci nemmeno
«Davvero non ci arrivi Jay »il tono si fece serio, intrigante
«A cosa? »
«Sono gelosa di lei, delle attenzioni che tu le dai, delle tue telefonate, delle tue fughe e corse verso di lei»
«Ma… cosa stai dicendo Ash… sei stata tu la prima a dirmi che tra di noi  non può esserci niente, che noi siamo amici e basta… e adesso??? » non era vero quello che mi stava dicendo, sembrava prendermi in giro
«Adesso sento che le cose sono cambiate, mi sei mancato e la presenza di un’altra ragazza mi ha aperto gli occhi» si sistemò meglio sul divano incrociando le gambe e affiancandomi mi prese le  mani
«Ash… è successo solo un mese fa, dentro alla mia camera d’albergo, le tue parole sono state chiare, mi hai detto che ti sentivi a disagio per come mi comportavo perché non ricambiavi il mio affetto»
«Hai detto bene … un mese fa… da quando ho saputo che esci con lei, che non hai occhi che per lei… io… io mi sento messa da parte come… esclusa dalla tua vita e … non riesco a sopportarlo… come lo chiami tu questo??? Io gelosia»
«Io… voglia di riavere quello che non hai più»
«Non dire così Jay» abbassò la testa delusa per le mie parole, la girò leggermente, sembrava quasi che una lacrima stesse per abbandonare i suoi occhi.
«Ashley è tardi … meglio che io vada a casa» mi tirai su dal divano con l’intento di andarmene
«Non puoi andare via per evitare questa conversazione» mi afferrò per il braccio e mi obbligò a risedermi, questa volta c’era un ostacolo che non mi permetteva di alzarmi. Si era seduta su di me, sulle mie gambe non facendomi più muovere da quel cuscino. La guardai fissa negli occhi per capire cosa avesse in mente, abbassò di nuovo lo sguardo e con la mano spostò i suoi capelli su una spalla, chinò leggermente la testa e riprese a guardarmi con quegli occhi da colpevole.
«Ash… per favore, fammi andare via»
«No, Jay… io voglio che tu mi stia a sentire» la sua mano accarezzò la mia rude guancia e il suo viso si avvicinò pericolosamente. … «e voglio che tu sta sera capisca chi è la donna che può renderti felice» .
I suoi occhi si chiusero e le sue labbra sembravano bramose di toccare le mie, d’istinto girai la testa, non volevo quella situazione nonostante mi rendessi sempre più conto di essermela cercata era ora di andare via.
«No Ash… non è il caso… finirei per stare male come l’ultima volta, quando ti stancherai mi caccerai da una parte e te ne andrai per la tua strada facendo finta che io non esista»
«non è così Jay… credimi» le sue labbra toccarono le mie, sapevano di fragola, erano morbide e carnose, si plasmarono con forza. Poi la sua lingua lambì il margine della mia bocca accarezzandolo sensualmente per poi farmi sentire il sapore di quei pop-corn sin dentro al mio palato.
 
Le mie mani si staccarono dal divano per accarezzare la sua schiena, le sue andarono diritte sui bottoni della mia camicia. Accarezzò il tessuto e poi iniziò a sbottonarli, il controllo stava abbandonando quella stanza, sentivo che ero nel posto sbagliato con la persona sbagliata, che lei non sembrava essere più la persona che io desideravo avere al mio fianco. Fermai le sue mani in tempo prima che potesse raggiungere il quinto bottone della camici e la strinsi, indietreggiai e allontanai la mia bocca da quella incredibile tentazione che era la sua.
« No Ash… »
«Perché?? »la presi in braccio e l’adagiai vicino permettendomi così di alzarmi
«Non voglio fare nulla di cui potermi pentire» mi allontanai verso la porta
«Ci sei già andato a letto? Dimmelo ti prego»
«Cosa stai dicendo? »
«Ti ho fatto una domanda.. rispondimi per favore»
«No, non ci sono andato a letto e per tua informazione non l’ho nemmeno baciata
«Quindi è il suo modo di fare che ti incuriosisce… bene… vorrà dire che aspetterò sino a che tu avrai ottenuto quello che vuoi da quella ragazza»
«Perché devi essere così superficiale… non voglio quello, mi piace stare con lei, mi fa sentire… normale, mi fa sentire bene.. perché credi che io basi tutte le mie storie sul sesso»
«Perché credo che lei voglia solo farsi vedere con te, farsi un nome e poi scomparirà»
«Mi fa stare male sentirti parlare così.. »
«Io non sarò qui ad aspettarti Jay.. giuro che non mi troverai in lacrime a supplicarti di tornare da me»
 
Aprii la porta senza voltarmi indietro, sapevo che quello che in quel momento era uscito dalla sua bocca era frutto della sola gelosia, ero convinto che il giorno dopo sarebbe apparsa d'avanti a me con il solito sorriso. Andai diritto in macchina ed entrai. Prima di inserire le chiavi per accendere il motore pensai a quello che era appena successo. Stavo così bene in quella piccola stanzina con Sophie, adoravo il modo di fare di quella ragazza, quella dolcezza che piano stava venendo fuori e che mi faceva sempre più perdere la testa... e poi Ashley, non posso crederci, non posso credere a nessuna delle parole che oggi mi aveva detto. Non riuscivo proprio a credere che lei possa essere gelosa di me, molto probabilmente le mancavano le attenzioni che non le facevo mai mancare, l'avevo viziata pur essendo un'amica. Avviai il motore e ingranando la marcia andai verso casa, appena arrivai nel vialetto un'altra telefonata aveva turbato quella turbolenta serata, questa volta guardai il display e per la seconda volta la voce di Ashley si scusava con me.
 
«Pronto Ashley»
«Scusami Jay.. io non volevo... forse ho bevuto un po' troppo»
«Forse?!? »
«Ti prego perdonami, la prossima volta mi farò perdonare lo giuro»
«Ashley la prossima settimana parto per il tour»
«Per il tuo compleanno dove sei??? sei a casa»
«No, sarò a Las Vegas»
«Allora al tuo ritorno...scusami davvero Jay... non riesco proprio a capire cosa mi è successo»
«Dai Ash... è tardi ne parliamo un'altra volta»
 
Chiusi la comunicazione e con quella anche la porta di casa alle mie spalle, Ben mi aspettava in salotto pronto a sapere cosa mi era successo quella sera e gli raccontai per filo e per segno della mia buffa serata, di come avevo aiutato Sophie a studiare, della nostra cenetta a lume di candele con pizza e coca-cola e del bacio quasi sfiorato. Della chiamata di Ash, della sua crisi, sicuramente passeggera, e di come mi sentivo idiota per aver accettato di andare a tarda notte a casa di Ash compromettendo forse per sempre la nostra amicizia
«Tutte a te capitano?!? su Jay dormici sopra e pensa bene a quello che vuoi»
«Io so già quello che voglio, voglio andare domani sera a cena con Sophie»
«Vuoi che ti lasciamo casa libera per...beh sai cosa»
«Ben … sei il solito»
 
Andai in camera e dopo aver indossato il pigiama presi la mia amata Annabella ed iniziai a suonare. Una strana canzone venne fuori quella notte, scrissi ogni nota, ogni parola e non riuscivo bene a capire ma i volti delle due donne mi portarono in confusione e non mi fecero dormire, ma di una cosa ero certo, era solo la preoccupazione che mi spingeva a pensare ad Ash, preoccupazione per quel lavoro che ancora avevamo in sospeso e che ci avrebbe comunque permesso di risanare quel rapporto di amicizia e di complicità che avevamo sempre avuto.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: SORPRESE ***


Capitolo 15: SORPRESE 


Quella mattina nonostante tutto mi svegliai sorridente, mi preparai in un baleno e alla tavola della colazione mi presentai con un sorriso anomalo per le mie inquiline. Le ragazze erano lì che mi fissavano assonnate e perplesse e le loro domande non tardarono ad arrivare.
«Come mai quel sorrisino stamane… che hai fatto?»
«Nulla…ho studiato»
«E ti senti così pronta da sorridere? E.. poi la cucina in ordine.. non hai mangiato ieri sera?»
«Sì ho mangiato una pizza»
«E’ vero c’è la scatola qui.. non una due.. e chi ha cenato con te? »
«Nessuno» provai a mentire senza nessun risultato.
«Sophie…» mi disse Katy sospettosa.
 
Scappai dal un loro possibile interrogatorio e caddi dalla padella alla brace, in aula del professor Connor.
Non mi diede neppure il tempo d’entrare che mi presentò un breve test concedendomi solo mezz’ora.
 
«Questa è la punizione per chi come la signorina si distrae con altro… Bene cominci signorina Maresca, questo test potrà aggiungere cinque punti al suo punteggio finale…buon lavoro» disse allontanandosi per tornare alla cattedra e cominciare la lezione.
Tutti mi guardavano perplessi e spaventati si irrigidirono ai loro posti per paura di fare la mia stessa fine. Qualcuno afferrò subito il telefono e lo spense, altri si svegliarono magicamente come se per due mesi non avessero fatto altro che dormire. Ancora prima che il tempo scadesse consegnai lo scritto e il professore pensò di dare una lezione a me, o semplicemente a tutta l’aula leggendo ad alta voce le domande e le mie relative risposte. Molti rimasero a bocca aperta per la difficoltà del test, in fin dei conti lo sapevo che voleva mettermi in difficoltà, ma non ci era riuscito
 
«Benissimo signorina Maresca. I cinque punti sono i suoi, all’esame di fine trimestre mancano solo due settimane, quindi se il progetto che sta preparando sarà di mio gradimento, la A sarà sua, se vuole può andare».
Uscii dall’aula, sentivo gli occhi di tutti trafiggermi la schiena, ma non m’importava, mi ero messa d’impegno per quel test, ero rimasta a casa, a discapito di una serata divertente con le mie amiche e soprattutto, avevo perso l’occasione di uscire fuori a cena con Jackson, anche se studiare come avevo fatto ieri sera, con lui ad ascoltarmi era stato davvero qualcosa di speciale.
Andai a casa e trovai le mie amiche ancora lì in procinto di mettere a posto casa, non sembrava per nulla che avessero voglia di andare a lezione
«Che cosa fate ancora qui, non avete lezione voi due?»
«Eravamo troppo stanche… tu invece, non avevi lezione con il terribile Connor? »
«Già fatto» cantilenai soddisfatta, mentre loro si guardarono perplesse. Andai verso la mia stanza per buttarmi sul letto e recuperare il sonno che avevo perso a causa del test ma… poco dopo un messaggio di Jay mi ricordava che qualcosa mi stava aspettando in negozio.
 
Non voglio che accada di nuovo qualcosa che possa compromettere la sera, ecco perché il messaggio… ricordati di andare al negozio …ti aspettano…
 
Andai verso Mary, lei era quella che più di tutte amava lo shopping e non si sarebbe mai tirata indietro davanti ad una proposta del genere, soprattutto per andare in un negozio su a Hollywood. Come avevo ben immaginato accettò subito, ma anche Katy volle essere del gruppo. Dopo aver pranzato prendemmo l’auto e ci dirigemmo verso il negozio. Appena dentro le ragazze restarono di sasso per la particolarità dei vestiti e per il loro costo.
«Salve, mi chiamo Sophie Maresca, mi hanno detto che qui ci sarebbe sto qualcosa per me»
«Certo può attendere un attimo? Vado a prendere il suo vestito»
«Il mio cosa? » dissi rivolgendomi incredula alle ragazze
«Su Sophie, siamo in una boutique, cosa pensavi che ti regalasse, dei fiori? »
«No, ma un vestito? Avete visto i prezzi? »
«Eccomi, ecco a lei, se vuole provarlo da quella parte ci sono i camerini»
Seguì il commesso sino all’altra stanza. Anche lo spogliatoio era di classe, con poltrone, drappeggi e persino un tappeto persiano. Mi sfilai le scarpe per paura di rovinarlo. Aprii con cura la scatola, vi trovai un tubino in maglia, con disegni asimmetrici e un coprispalle abbinato, inoltre dentro vi erano delle scarpe con tacchi vertiginosi, non proprio per me.
Indossai il vestito, stando molto attenta all’etichetta, poi il copri spalle ed infine con molta attenzione salì su quei vertiginosi trampoli. Mi guardai allo specchio e non riuscì a riconoscermi, non mi ero mai vestita così, femminile e mi sentivo davvero a disagio.
Uscì traballante da quella porta e appena le mie amiche mi videro rimasero senza fiato
«Sophie è bellissimo, Jay ha buon gusto, sul serio»
«sì ma ragazze io non sono tanto felice, non mi piace il fatto che lui mi regali questo vestito, e poi chissà quanto costa, senza parlare delle scarpe…no no, io non lo prendo»
«Dai Sophiè, dove ti capiterà di indossare un capo di alta moda, e poi avrai tempo per fargli pagare questo tuo stato d’animo»
Appena rindossai i miei vestiti mi specchiai e vidi la solita Sophie, quella dai jeans sbiaditi, dalla maglia larga e dal cappello di lana, feci un sorriso per il cambiamento che quel vestito mi aveva fatto fare per pochi minuti ma, non riuscivo, era più forte di me, e poi perché mai dovevo accettare quel regalo, cosa avevo fatto per meritarlo.
Cercai con forza di trascinare le mie amiche fuori da quel negozio, ma non ci riuscì, almeno non senza la scatola.
 
Arrivata a casa iniziò la tortura, non so per quale motivo ma insieme mi fecero sedere e mentre una mi sistemava i capelli l’altra pensava al trucco. Appena fui pronta mi guardai allo specchio, era difficile per me vedermi con abiti da donna, ero abituata a tenute comode e sportive. Rimasi per qualche secondo a fissare il mio riflesso allo specchio. Ed io che mi ero sempre vista come un ragazza per nulla aggraziata, poco femminile, un tremendo maschiaccio, ma allo specchio era riflesso l’altra me, il mio opposto e chissà se io sarei stata capace di comportami da ragazza con quegli abiti addosso.
 
Le ragazze decisero di andare via quella sera, di andare a bere qualcosa con altri amici, pur di lasciarmi da sola e per evitare che il loro comportamento potesse spaventare il mio cavaliere. Arrivò puntualmente, bussò alla porta, che ormai conosceva bene e con un sorriso smagliante mi salutò
 
«Buona sera signorina»
«Buona sera» risposi imbarazzata
«Vedo che il mio regalo è stato apprezzato e… vedendoti bene, penso che stia meglio a te che al manichino»
«Non dovevi, mi hai messo a disagio e non capisco cosa ho fatto per meritarmi questo bellissimo vestito»
«Dovevo sdebitarmi, mi hai fatto stare bene, quei momenti che ho passato con te sono stati…speciali…e poi il mio amico ti ha messo nei guai a lezione a causa mia, direi che era il minimo che io potessi fare»
«Sei gentile ma sul serio non dovevi»
«Dai su andiamo, altrimenti faremo tardi »
 
Per tutto il tragitto dal campus al locale, rimasi rigida al mio posto, ero in imbarazzo, mi sentivo diversa, non solo per come ero vestita ma per quello che ormai ero stanca di negare. Mi piaceva e tanto pure, ma non ero ancora pronta a dirlo, a dirlo a lui perlomeno. Il suo lavoro, il tour che presto avrebbe iniziato, e tutti gli impegni che spesso lo portavano via da Los Angeles, erano ostacoli e buoni motivi per evitare che io mi aprissi con lui.
Il locale era uno di quelli alla moda, sicuramente costoso, ambiente elegante e raffinato. Con modi gentili ci indicarono il tavolo. Mi sentivo fuori luogo, era troppo tutto quello per me, mi sarebbe bastata una semplice pizzeria, o ancora meglio una trattoria, come quelle italiane ed invece
«Cosa c’è? Ti vedo strana»
«No… sto bene»
«Su dai, dimmi cosa ti prende»
«E’ il posto, mi sento fuori luogo, è troppo elegante ed io sono…»
«E tu sei bellissima»
 
Come sempre riusciva a farmi sentire la persona più importante del pianeta anche se in quel momento mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Ambiente troppo elegante per me, io semplice ragazza che al massimo era andata al ristorante al matrimonio di qualche parente ma mai mi ero vista così, vestita bene o semplicemente accanto ad una persona che mi facesse sentire completa.
 
«Posso chiederti una cosa? » lo disturbai mentre con il dito cercava di leggere attentamente il menù.
«Dimmi» rispose cortesemente
«Andiamo via!?! »
«Cosa? Perché? » rimase perplesso, ma avevo i miei buoni motivi, e non era solo colpa del mio sentirmi inadeguata al posto e alla persona che sedeva di fronte a me.
«So che mi hai portato qui per farmi felice ma, non c’è niente di italiano in quello che cucinano»
«Davvero? »
«Si, portami a casa, ti farò assaggiare la vera cucina italiana»
 
Esaudì la mia richiesta e dopo aver lasciato la mancia al cameriere ci dirigemmo verso la macchina
«Scusami, ho paura che tu abbia fatto la figura della star capricciosa »
«Tranquilla, non è quello che pensano, vengo spesso a mangiare qui, ma non avrei mai pensato che quello che mangiavo non era cibo italiano, adoro la loro cucina»
«Allora torniamo dentro»
«No, voglio assaggiare la tua cucina, adesso mi hai incuriosito»
 
Percorrevamo la via principale, quando alla vista del supermercato ancora aperto mi venne un’idea
«Fermati Jay»
«Cosa c’è, cos’è successo»
«Mi è venuta un idea» ed indicai il negozio ancora aperto
«Vuoi andare a fare la spesa? »
«Si, voglio preparare qualcosa di speciale»
Andammo dentro e velocemente comprammo gli ingredienti che occorrevano per preparare la cena. Era sorridente nonostante gli avessi rovinato la sera
«Adesso è venuta a me un’dea»
«E… qual è? »
«Aspetta e vedrai»
Parcheggiò in un via, non molto lontana da quel supermercato e l’insegna del campus indicava che non era molto lontano da lì
«Cosa facciamo qui? »
«E’ casa mia, mia e dei miei amici»
«Non è una bellissima idea» una strana sensazione mi gelò il sangue. Non volevo stare sola con lui, non ancora almeno, era presto e la paura sembrò salire piano facendomi tremare
«Perché, hai paura di me? »
«No…cosa dici …e che»
«Tranquilla non hai da preoccuparti…è una casa di matti, ma credo che i matti siano andati via, saremo soli»
Ecco, questo proprio non avrebbe dovuto dirlo. Stentai ad entrare, mi tremavano le gambe e la mia paura verso l’altro sesso riaffiorò in un istante senza darmi tregua.
Aprì la porta e sorrise, mentre i miei piedi cercavano di convincere la mia testa a fare quei passi
«Eccoci, questa è la Monkey House»
«Hey Jay, sei a casa…cosa hai fatto…ti ha dato buca di nuovo…ho sta volta hai cucinato 2 uova» qualcuno urlò dall’altra stanza, quindi non sarei rimasta sola con lui, ed un sospiro di sollievo uscì dalle mie labbra
«Pensavo che non ci fosse nessuno ma….pazienza…comunque scusalo, quello che urla come un primate è Ben - alza il culo dal divano e vieni qui idiota abbiamo ospiti»
«Non ti preoccupare Jay» mi fece sorridere e i nervi iniziarono a distendersi
«Oh…salve» un ragazzo alto 2 metri sbuntò all’improvviso facendomi un sorriso
«Ciao io sono Sophie»
«Sophie lui è Ben, quello che ti ha quasi fatta cacciare via dal corso…pensa alla sua punizione» continuò Jay strappandomi una risata
«Piacere, mi dispiace ancora, non sai quanto ancora io faccia penitenza» il ragazzone biondo continuava a stringermi la mano e a scusarsi con me. Jay mi salvò da quella presa ferrea e mi portò in salotto per conoscere il resto della band.
«Vieni ti presento gli altri…ah, Jeard ci sei anche tu - allora lui è Jerad, questa è sua moglie Kristina, lui è Ben Johnson…John per gli amici e lui è Jack»
«Ciao ci sono anche io» una testolina rossa sbucò alle nostre spalle e l’espressione di Jay cambiò in un istante
«E tu che ci fai qui…cioè pensavo fossi andata via con mamma e papà…»
«Invece no…ciao io sono Kelly, la sorella di questo matto…ti nascondi eh fratellino» disse sgomitando un po’
«Non mi nascondo affatto…ehmm noi andiamo a sistemare la spesa in cucina»
«Ma scusa…sei andato a fare la spesa? Ma non dovevi cenare fuori? » iniziarono a punzecchiarlo ma lui, rosso, fece finta di nulla e mi accompagnò nell’altra stanza
«Forse disturbo, io e le mie idee…. Jay era meglio…»
«Sophie, smettila, vuol dire che avremo compagnia a tavola…e addio alla cenetta romantica».
 
Mi sentivo al settimo cielo, era così carino e premuroso con me, anche se avvolte non so perché ma mi preoccupavano tutte quelle attenzioni. Ero immersa nei preparativi della cena quando una voce, anzi due voci, irruppero nel silenzio
«Possiamo darti una mano? » la sorella di Jay e Kristina si presentarono in cucina
«Ho tutto sotto controllo grazie»
«Allora prepariamo la tavola» Kelly iniziò a stendere la tovaglia mentre Kristina prese i piatti
Feci un sorriso come segno di assenso, non volevo che pensassero che io le comandassi.
«Allora da quanto frequenti mio fratello»
«Frequento…ti sbagli, cioè ci siamo conosciuti da poco e…questa è la prima volta che usciamo»
«Tranquilla, tranquilla…non mordo»
«Il nostro Jay è molto riservato, quindi non sappiamo mai cosa faccia nel tempo libero, quel poco di tempo libero che ha intendo»
 
La cena fu piacevole, tra risate e battutine, con Jay e Ben che continuarono a punzecchiarsi da lontano.
Volevo mettere apposto prima di andare via ma mi fù praticamente vietato.
«No hai fatto troppo, goditi la serata adesso»
«Sì, Sophia…adesso ci pensa Ben a pulire tutto, in fin dei conti Ben devi farti perdonare del quasi allontanamento di Sophie dal corso»
«Cosa io, da solo??? »
«Dai Ben, devi solo mettere i piatti in lavastoviglie e finire di pulire».
Mentre Kristina finiva la frase Jay mi trascinò nell’altra stanza con tutti a seguito. Si avvicinò al io orecchio dopo avermi fatta accomodare al divano con le altre ragazze.
«Ti va un concerti privato? »
Prese la chitarra in mano ed iniziò a suonare. Non avevo mai sentito quella canzone era triste e malinconica, sembrava esprimere come lui si sentisse in certi momenti, mi veniva voglia di stringerlo e di dargli il mio completo appoggio.
 
Presto la serata giunse al termine e mi accompagnò sino al campus.
«Grazie per questa serata, mi stai viziando» avevo voglia di parlare, e non volevo che lui andasse via subito.
«Sei tu che vizi me…con il tour che inizia a giorni sarò io a stare male e ad avere nostalgia di questi giorni passati con te»
«E’ tardi … meglio che io vada a dormire» Azardai la frase, sperando che a lui venisse in mente di fermarmi e di passare con me un altro poco di tempo.
«Perché? Domani è sabato, e non hai lezione, possiamo fare ancora una passeggiata
«Dove qui al parco del campus?!?» la sua risposta era proprio quella che speravo
«perché no…non voglio che la serata finisca così»
«e come vuoi che finisca» chiesi incuriosita, consapevoledi cosa lui volesse davvero quella sera. Si chinò pericolosamente verso di me, i suoi occhi si chiusero e la sua bocca iniziò ad aprirsi mentre la lingua inumidiva le labbra. Indietreggiai di scatto, non volevo che la cosa fosse così, rude, decisa, volevo che lui continuasse con la sua solita dolcezza, a comportarsi come aveva fatto fino ad ora con me
«Naaaa…non è così facile »
«Beh pensavo che dopo il tuo bacio sulla guancia e il mio di risposta…fossimo pronti a passare al livello successivo, avvicinare finalmente le nostre labbra»
«Non è facile come pensi e poi non credere che tutte le cose ti debbano riuscire come per magia»
«Ma io odio le cose facili» camminammo per un po’ sino a che decisi di confidargli quello che più mi spaventava, quello che, in quel momento, mi teneva a freno.
«Sai …non so come comportarmi con te»
«Perché»
«Lo sai Jay, non starò qui per sempre, mi rimangono 9 mesi e poi tornerò a casa, non voglio iniziare una cosa che so già che dovrà finire»
«Perché dici che dovrà finire, se io ti facessi cambiare idea, se io fossi uno di motivi che ti farà rimanere qui»
«Mi piacerebbe ma …io non sono quella giusta per te e vorrei che te ne rendessi conto ancora prima di fare questo passo»
«Ma io sono sicuro del passo che voglio fare, e vorrei provare a farti cambiare idea se tu me lo permetti»
«Ma io …» poggiò un dito davanti alla mia bocca con l’intento di azzittirmi, e ci riuscì. Sorrise e mi guardò fisso negli occhi, sembrò fidarmi.
«Vuoi rendermi le cose difficili!?! »
«Non è questo e che vorrei evitare che ci facessimo del male a vicenda»
«Se mi dici di no mi fai del male, perché non vuoi nemmeno provarci, ti stai arrendendo ancora prima di cominciare»
«Non puoi pensare che io…»
«Allora facciamo così, io conto fino 10, se non vuoi che ti bacio devi solo fermarmi …1, 2, 3»
«Non dovresti, non mi conosci nemmeno»
«4, 5, 6, »
«Te ne pentirai, ne sono sicura»
«7, 8, 9, »
«Jay sarò la tua rov…»
«10»
Le sue labbra si riavvicinarono e sta volta entrarono in contatto con le mie, erano morbide, sentivo il cuore battere come un pazzo, come se avessi fatto una corsa senza mai fermarmi, come se mi trovassi a 5 mila metri d’altezza senza ossigeno, mi girava la testa, i battiti erano accelerati e un senso di calore invase le mie gote. Era come se lo stessi aspettando da una vita, come quando mangi il gelato e ti ghiaccia la fronte, era una strana sensazione che faticavo a spiegare anche a me stessa. Tutto finì dopo pochi secondi e riaprii gli occhi… lui era lì  a solo un passo da me. Quel verde mi guardava fisso e sognante, ed un mezzo sorriso di vittoria spuntava dal ghigno dovuto al suo labbro tirato all’insù.
«Non mi hai fermato»
«Non avevo intenzione di farlo»
Mi prese il viso tra le mani e mi ribaciò una, due, molte volte, poi poggiò la fronte sulla mia e respirò, come se gli fosse mancato il fiato, ma invece era un senso di tristezza che gli attanagliava in quel momento la gola.
«Come vorrei non partire»
«Allora avrei dovuto resistere un altro po’»
«No, sarebbe stato peggio…ti prometto che ti chiamerò ogni sera, saranno 4 mesi lunghissimi…sicuro che non puoi raggiungermi? »
«No Jay non posso, ho gli esami del trimestre e devo studiare, preparare progetti e 2 plastici»
«Ti vorrei aiutare…vuoi che chiedo a mia sorella di aiutarti»
«No…forse stando lontano valuterai meglio le mie parole»
«Sei una testona, non ho nulla da valutare…non avrò molto tempo ma spero che quando tornerò in California verrai a trovarmi. »
Accennai un sorriso e continuai a guardarlo. Mi perdevo in quegli occhi, quello sguardo era capace di tutto, di ammaliarmi, di torturarmi e di darmi una pace incondizionata, insieme al suo sorriso era l’arma più potente che io conoscessi.
«Buona notte Jay, ci sentiamo»
«Sicuro, buona notte»
Raggiunsi la mia camera, con passi leggeri, senza toccare il suolo, mi sembrava di volare. Mi buttai sul letto a braccia aperte e continuai a rivivere quell’istante all’infinito, coprì il mio viso con il cuscino dal forte imbarazzo e sorrisi per tutta la notte, niente e nessuno sarebbe stato capace di fami cambiare espressione quella notte, forse anche per una settimana, ma la tristezza venne inesorabile quando pensai che non lo avrei rivisto per i prossimi 4 mesi e mi sentì una morsa al cuore per lo stato d’animo che mi avrebbe accompagnato, non avrei dovuto cedere, non adesso che la sua lontananza sarebbe stata la fonte principale della mia distrazione. 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16: COMPLEANNO ***



Capitolo 16:  COMPLEANNO
 
 

I giorni passarono velocemente e con loro le settimane. Rimanevo sempre chiusa in casa con la testa fissa sui libri ed aspettare le sue chiamate che si facevano sempre più rade a causa delle ore in cui finiva. Era sempre esausto e mi trovavo spesso a parlare da sola con una persona completamente inesistente dall’altro capo del telefono. Passò il giorno dei ringraziamento, lo passai con le mie coinquiline, che mi trascinarono con loro sino a New York a casa di Katy mentre lui era dall’altro capo del continente, in Texas dai suoi. Ormai era dicembre ed erano passati 4 mesi da quando ero scesa dal mio aereo, e a causa degli orari dei corsi non ero riuscita ad organizzarmi in tempo, quindi le mie feste le avrei passate da sola in casa.
 
Gli esami del primo trimestre erano finiti e ben presto avrei passato il mio primo natale fuori casa, chissà cosa avrebbero fatto i miei genitori. Girai un ultima pagina prima di andare a letto, avevo appena finito di leggere il nuovo libro fantasy che avevo comprato, ma ormai ad esami finiti dovevo solo trovare qualcosa da fare. Quella sera non chiamò, ma un suo messaggio mi diede l’opportunità di dormire almeno serena, con la convinzione che mi pensasse come facevo ormai io da quando era partito, un mese, un mese senza vederlo e già mi sembrava un’eternità. Più passavano i giorni e più mi rendevo conto che tutto questo era sbagliato, il vivere nell’attesa di una sua chiamata o di un suo messaggio, tutte cose a cui non dovevo pensare, lui non doveva essere la mia distrazione, lui non doveva essere nulla per me, io presto o tardi sarei tornata  a casa e lui sarebbe diventato solo un doloroso buco nel petto che mi avrebbe ricordato cosa vuol dire amare e poi lasciare, solo una brutta cotta per qualcuno di inarrivabile.
 
“Scusami ma sono stanchissimo, altra tappa domani… mi manchi credo proprio di essermi innamorato…buona notte”
 
Sprofondai la testa nel cuscino e una specie di risatina mi accompagnò in quel momento di follia. Come era strano, chissà cosa gli passava per la testa, chissà se era vero quel messaggio, iniziai a dubitare di lui, se in realtà era un’altra persona il destinatario del messaggio. Mi addormentai con quel dubbio atroce che mi fece sognare lui. Lo sognai mentre andava via con un'altra ragazza, mentre io disperata piangevo guardando le sue spalle “perché non mi sei venuta a trovare nemmeno una volta”.
 
La mattina venne fuori piuttosto tardi, i nuvoloni coprivano il sole ed una fitta pioggerellina sembrava voler entrare di prepotenza sin dentro la mia stanza. I corsi erano finiti e adesso non attendevo che i risultati. L’università di Verona mi aveva chiamato il giorno prima complimentandosi per il rendimento del primo trimestre, ma io non avevo avuto ancora nessuna notizia e solo tra pochi giorni sarebbero apparsi i risultati sulla bacheca del campus. Le ragazze avevano raggiunto le loro famiglie ed io ero rimasta sola. In quel periodo le mie abitudini erano rimaste le stesse, uscivo solo per la colazione poi tornavo a casa e mi addormentavo davanti alla televisione mentre la sera scendeva su Los Angeles. Quello non era un giorno diverso. La colazione al solito bar del campus e poi diritta in camera, era davvero difficile per me far passare quei giorni, altri 10 giorni da sola e poi le ragazze sarebbero tornate. Il mio telefono squillò nell’altra stanza e feci una corsa per raggiungerlo. Arrivai in tempo, un numero privato comparve sul display e senza esitare risposi.
«Pronto»
«Pronto Sophie… ciao sono Kristina, ricordi, la moglie di Jarad»
«Sì, ciao dimmi pure»
«Come va? spero di non disturbarti»
«non mi disturbi, ero in casa ad annoiarmi a morte»
«Hai finito con gli esami vero? »
«Sì, perché? »
«Bene, allora passo a prenderti»
«Dove andiamo»
«E’ una sorpresa tu fai un mini bagaglio, al resto ci penso io, a dopo»
«Ma…»
Non mi fece neppure finire la frase, cos’era questo filo di mistero e …dove voleva portarmi. Rimasi perplessa per qualche minuto poi scrollai la testa e mi misi sugli attenti, almeno non sarei rimasta ad annoiarmi a casa. Andai diritta verso il mio armadio e tirai fuori il piccolo trolley. Presi qualcosa di insignificante da dentro l’armadio e lo cacciai dentro al bagaglio.
Mi sedetti sul divano ad aspettare, chissà cosa aveva in mente, magari si sentiva sola come me o Jay le aveva chiesto semplicemente di farmi distrarre un po' visto che tutti erano partiti.
 
Dopo pochi minuti arrivò e andai semplicemente giù sino al parco con il mio bagaglio ad accoglierla. Mi salutò con un sorriso, ed io feci altrettanto, salì in macchina e chiesi con insistenza la meta di quel piccolo viaggio che sembrava aspettarmi, ma nulla dalle sue labbra uscì solo la parola SORPRESA …. Io odiavo le sorprese. Abbandonammo il campus, la gente era in giro per le vie della città con borse piene di regali per la festività imminente. Provai in tutti i modi di cavarle qualcosa, destinazione, meta, programma, ma nulla, non voleva per niente svuotare il sacco. Finalmente parcheggiò l’auto e scesi giù da quel suv. Mi guardai intorno e sentivo del gran fracasso.
«Cosa ci facciamo qui»
«Questo è l’aeroporto nazionale di Los Angeles»
«Aeroporto nazionale? non dirmi che siamo venuti a prendere Jackson»
«No, andiamo a trovarlo»
«Cosa?!? »
«Sì, oggi è il suo compleanno e io e gli altri abbiamo pensato di fargli una sorpresa, e … ta- tan la sorpresa sei tu. »
Rimasi pietrificata , con gli occhi sgranati e lo sguardo perso nel vuoto
«Non dirmi di no, altrimenti ti tiro dentro l’aereo con la forza»
Mi prese per un braccio e senza dire neanche BA mi ritrovai su un volo diretto a Las Vegas.
 
Dopo poche ore di viaggio giungemmo alla meta prestabilita. Il caldo soffocante mi investì appena fuori dall’aereo e il sole era poco alto, la notte stava per arrivare. Il deserto, non avevo mai immaginato di riuscire a vedere il deserto.
«Bene, adesso verrà mio marito a prenderci, andremo a mangiare qualcosa e poi andremo al locale, dovrai rimanere nascosta per un po’, non voglio che ti veda se non quando sarà sul palco» uscimmo dall’aeroporto e davanti a noi il nulla, allungò una mano afferrandomi al volo trascinandomi sino ad un vecchio furgoncino pieno di adesivi del gruppo.
«Ciao amore» Jerad accolse la moglie con un bacio poi sorridendo si rivolse a me
«Ciao, come va?!? »
«Bene grazie»
«Grazie per essere venuta, pensavamo che avessi da fare e che non saresti venuta»
«Tua moglie mi ha praticamente rapito»
«Sì, so benissimo quanto possa essere convincente…andiamo a mangiare qualcosa»
 
Ci addentrammo nella città e tutto cambiò in un istante, sembrò come se avessimo superato una linea immaginaria, deserto e poi subito cemento
appena giungemmo al ristorante parcheggiò l’auto e scendemmo per mangiare.
«Jer dov’è l’albergo, devo assolutamente prepararla per sta sera, non voglio che Jay la veda in questo stato»
 
Li guardai perplessa, parlavano di me come se io non fossi presente. Il telefono squillò dalla mia tasca e senza esitare risposi
«Pronto»
«Hey ciao, come va?!? »
«Ciao Jay, sto benissimo e tu come stai?!? » sgranarono gli occhi e iniziarono a fare miriadi di cenni, non ero mica stupida, avevo capito benissimo che quella di sta sera doveva essere una sorpresa, erano inutili tutti qui gesti plateali. Sbuffai e mi girai dall’altra parte
«Bene, siamo chiusi in hotel, aspettiamo Jerad, è andato a prendere la moglie in aeroporto, gli lasciamo un po’ di privacy, poverino è un mese che non la vede, posso capirlo…come sono andati gli esami di fine trimestre?!? »
«Non lo so, non sono ancora usciti i risultati ma la mia università mi ha già chiamato per congratularsi…a loro sono arrivati per e-mail ma non mi hanno detto nulla»
«Sono contento…mi dirai qualcosa quando avrai notizie»
«Certo»
Aveva voglia di parlare ed io con lui. Ma Jerad mi fece cenno di smettere perché dovevamo andare, ma non riuscivo a staccarmi, erano giorni che non riuscivamo a parlare così. Non so cosa ad un tratto decise di fare ma, poco dopo Jay mi salutò dicendomi che doveva andare. Mi arresi e lo salutai anche io. Chiusi il telefono ed andai verso Jerad…
«Cosa gli hai detto scusa»
«Scusami lo so che sei arrabbiata ma dobbiamo andare, l’ho semplicemente allontanato dall’hotel così vi potete preparare»
 
Silenziosamente lo seguì sino in macchina e poco dopo raggiungemmo l’hotel. I due mi lasciarono dentro camera per qualche minuti. Sistemai il bagaglio sul pavimento e la finestra sembrò chiamarmi. Il panorama era davvero surreale, tutto intorno era surreale, l’azzurro giallo del cielo, l’ocra della sabbia e i colori dei neon intermittenti che iniziavano ad accendersi, presto la notte sarebbe scesa e nessuno sarebbe andato a dormire, come facevano a dormire lì. Mi andai a cacciare dentro alla doccia e ne uscì poco dopo, mi piegai verso il bagaglio in cerca di qualcosa di carino da mettere per la serata. Kristina entro in camera e mi sorrise
«Vedo che ti stai preparando ecco qui questo è per te>> prese un pacchetto da dentro la sua borsa e me lo porse. »
«Cos’è?!? »
«E’ un vestito per te, per sta sera – rimasi senza parole – non ti preoccupare pensavo che il fatto di averti tenuto nascosta la nostra destinazione avrebbe comportato il problema vestito così ci abbiamo pensato noi»
«Noi?!?...noi chi?!? »
«Noi tutti, compresa Kelly, lei è lì con lui, dai preparati…sappi però che ti dovrò lasciare sola per un po’ sino a che non inizieranno a suonare altrimenti salta tutto»
«Va benissimo, grazie mille»
Iniziai a preparami mentre kristina sparì nell’altra stanza. Indossai il vestito, era un semplice vestito nero un po’ stretto e fin troppo corto per i miei gusti. Indossai i tacchi a spillo neri, anche quelli un loro dono e poi finii con un tocco mio personale. Asciugai i capelli gonfiandoli un po’ con la schiuma, una catenina lunga e il mio adorabile giubbotto di pelle. Kristina venne fuori dal bagno vestita divinamente, rientrò in bagno per un piccolo istante e ne uscì con un beauty-case, mi fece accomodare sul letto ed iniziò a pasticciarmi il viso. Poi mi passò una sua cintura e degli orecchini
«ecco adesso sei perfetta. »
Mi alzai dal letto, con le gambe che tremavano, non ero abituata ai tacchi ma da quando lo conoscevo era già la seconda volta che li indossavo. Mi avvicinai allo specchio all’angolo della camera e mi vidi, completamente diversa, la timida Sophie era nascosta sotto quel trucco e a quegli abiti che se non costretta o se non per lui non avrei mai indossato. Sorrisi divertita a kristina e lei rispose molto compiaciuta. Rimasi ferma lì davanti cercando di trovare dei difetti, o semplicemente per vedere se da qualche parti si intravedevano gli elastici che tenevano la maschera che nascondeva il mio viso. Allungai la mano e sfiorai la guancia, ero io, solo io e lo specchio, sorrisi per tutta quella situazione così strana.
«Dai andiamo?!? » feci un cenno e la seguì.
Camminavo piano su quei trampoli per paura di cadere e a tentoni raggiunsi Kristina che mi attendeva sbattendo il piede
«Scusami, non sono brava a camminare su queste scarpe»
«Lo vedo, dai ci aspettano di sotto» spinse il pulsante dell’ascensore
«Ti prego dimmi che non è lontano
«No, è vicinissimo» appena la porta si aprì due occhi verdi spuntarono davanti a me, li conoscevo già quegli occhi, erano un segno distintivo della famiglia Rathbone
«Ciao Sophie…come stai»
«Ciao Kelly, potrei stare meglio »
 
 Kristina si precipitò dentro mentre Kelly rimase lì con me, almeno per qualche minuto.
«Ti ringrazio, sai mio fratello è un po’ difficile da soddisfare ma, visto come parla di te, più si avvicinava il suo compleanno più eravamo certi della scelta che stavamo per fare, quindi farti arrivare fin qui è il regalo più bello per Jay credimi»
«Mi sopravvalutate»
«Non è vero, sai è da molto tempo che non vedo mio fratello così contento, felice»
«Perché pensi che sia io ad aver fatto questo miracolo»
«Perché si imbarazza come un ragazzino quando parla di te. »
 
Quella rivelazione mi portò sulla luna per un secondo, non riuscivo a crederci, io che non lo avevo mai notato, io che in quel film non sapevo nemmeno chi fosse, avevo occhi solo per Robert Pattinson adesso mi ritrovavo innamorata di lui e…come lui stesso mi aveva confessato, lui di me.
Le ragazze entrarono. Ad un tratto una musica familiare si diffuse in tutto il locale e la sua voce, quella voce inconfondibile, quella calda e solare voce mi entrò dentro sfiorandomi sino nel profondo….. 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: IL PASSATO TORNA PREPOTENTE ***


 
Capitolo 17: IL PASSATO TORNA PREPOTENTE
 

Entrai piano, quasi in punta di piedi e dopo aver trovato le mie compagne le raggiunsi. Le luci erano basse, i tavoli tutti occupati mentre sotto al palco una fitta schiera di ragazzine urlava il suo nome. Se ne stava lì con la chitarra in mano, mostrava il suo splendido sorriso e cantava a squarcia gola “REAPER”. Spalancava gli occhi come posseduto e scuoteva i capelli al vento seguendo il ritmo. Mi sedetti al bancone e le due ragazze al mio fianco. Ordinai una birra e mi sistemai su una comoda sedie girevole dando le spalle al barista. Chissà se sarebbe stato in grado di vedermi, chissà se le poche luci che illuminavano la sala bastavano a farmi notare. La canzone finì e lui passò alla tastiera. Alzò lo sguardo mentre le prime note di “Ugly Girl” sostituirono l’assordante baccano delle ragazzine urlanti. Con lo sguardo cercò gli amici e vide la sorella, ad un tratto i suoi occhi incrociarono i miei e la sua espressione cambiò all’improvvise, il suo sorriso si spalancò e due occhi meravigliati sembravano volermi  dire ”e tu che ci fai qui?”
Non spostò nemmeno di un millimetro il suo sguardo, mi sentivo la ragazza più fortunata della sala, non aveva occhi che per me. Appena anche questa canzone finì lo vidi scalpitare sul palco, si appartò con Jerad e lui sorridente gli fece capire che ero io la sorpresa. I ragazzi iniziarono a cantagli “Happy Birthday” mentre afferrai la torta che Kelly aveva in mano e mi avvicinai a lui, era imbarazzatissimo, il suo sorriso e il suo ghigno era quello che mi era mancato più in questo mese in cui non ero riuscita a vedevo. Era bello nel suo completo nero e quella cravatta rossa. Capelli erano cresciuti ancora di più e uno splendido pizzetto incorniciava il suo viso da perfetto gentleman. Si avvicinò e mi baciò la guancia mentre il suo respiro mi solleticò l’orecchio
«sei il più bel regalo di compleanno, mi sei mancata»
 
Il concerto continuò dopo le foto di rito di miliardi di fotografi accorsi per l’occasione e lui mi fissava come perso per tutto il tempo sino a che finalmente la canzone “THANK YOU” decretò la fine della serata, perlomeno del concerto.
Le luci si riaccesero, kelly e Kristina mi presero per le mani e mi portarono con loro dietro le quinte. La porta si aprì e seduti sul divano c’era l’intero gruppo. Jay mi vide e si alzò di scatto, senza darmi il tempo di parlare mi raggiunse e le sue calde labbra toccarono finalmente le mie, non si curò delle persone che stavano assistendo alla scena, le sue labbra accarezzarono le mie più e più volte senza per questo esagerare. Appoggiò la sua fronte contro la mia e respirò come se avesse trattenuto il fiato per non so quanto.
«Che bellissima sorpresa» e mi baciò il naso. Rimasi pietrificata per quella sua manifestazione d’affetto, diventai di mille colori prima di sentire una fiammata e sicura del mio colorito rosso acceso distorsi lo sguardo e fissai convinta il pavimento del camerino
«Beh, hai visto Jay che sappiamo ancora farti le sorprese»
«Come avete fatto - si girò e mi fissò di nuovo- e poi stai così bene anche se non è il tuo genere»
«Merito mio, lo trascinata qui a forza… » sorrise e sembrava non aver ascoltato quello che i suoi amici gli stavano dicendo, poi come se fosse sceso per un secondo dalle nuvole si girò verso di loro
«Scusate ragazzi ma io vi abbandono e porto il mio regalo con me»
Mi prese per la mano e mi trascinò fuori con se, non voleva allontanarsi molto ma voleva stare solo con me e questo mi bastava, stringeva la mia mano orgoglioso e felice ed io mi sentivo al settimo cielo.
«Giuro che non me lo sarei mai aspettato»
«Fino a poche ore fa ero a casa, mi ha telefonato kristina e non mi ha detto neppure cosa mettere in valigia, solo all’aeroporto ho saputo dove voleva portarmi»
«Sì, lei è così ma, era prevedibile una sorpresa visto che mia sorella era troppo euforica per la serata»
Raggiungemmo una zona abbastanza isolata e ci sedemmo su di una panchina a parlare
«Allora i risultati? »
«Non li so ancora»
«Dio come sei bella, e quanto mi mancavano i tuoi occhi, mi mancava poterli vedere, mi mancava la tua voce e soprattutto mi mancava il tuo profumo» scostò i capelli sistemandoli dietro l’orecchio
Mi imbarazzava e abbassai la testa toccando con il mento la spalla, era il solito  dolce e spontaneo ed io non ero più capace di tirare fuori le unghie con lui.
«Stai benissimo anche tu» rabbrividì dal freddo e lui se ne accorse subito
«Hai freddo? »
«Un po’» la temperatura si era notevolmente abbassata, ti tolse la giacca e la sistemò con cura sulle mie spalle e poi mi strinse tra le sue braccia cercando di scaldarmi.
«Non mi hai risposto al messaggio»
«Quale messaggio»
«Quello in cui ti dicevo che mi sono innamorato di te»
«No…c’era scritto che ti sei innamorato»
«Beh allora completo il messaggio, Sophie mi sono innamorato di te e mi sei mancata tanto e solo adesso che ti sto vicino mi rendo conto che sono completamente cotto. »
Alzai lo sguardo ed incontrai quegli assassini dei suoi occhi, quei languidi e vogliosi occhi che sembravano urlarmi un bacio. Socchiusi le palpebre e cercai per la prima volta le sue labbra. Il freddo le aveva rese secche, le sfiorai con le labbra mentre la mia saliva le rendeva piano piano più morbide sino a che iniziai ad assaporare i suoi baci, il sapore dei suo baci era qualcosa di inspiegabile, l’alcool non centrava nulla, sapeva di buono, di menta e birra, sapeva di caldo, sapeva di buono, i suo abbraccia davano un senso di protezione una sensazione di essere protetta da qualsiasi cosa, sarebbe potuto finire il mondo in quel momento senza che io me ne accorgessi. La sua lingua accarezzava la mia in uno strano gioco seducente e le sue labbra baciavano le mie con delicatezza facendomi battere il cuore a tremila, avevo paura di un infarto, mi sembrava che stesse per scoppiarmi in petto, stavo andando in apnea, si era fermato nel momento in cui il dorso della sua mano aveva sfiorato la mia guancia. Mi staccai a malapena da quell’incontro di sensi ma si stava facendo davvero tardi.
«Andiamo altrimenti ci daranno per dispersi»
 
Giungemmo in hotel e le cose sembrarono complicarsi. Bussai nella camera di Kristina per sapere quale doveva essere la mia sistemazione e lei mi aprì la porta in pigiama.
«Scusami ho disturbato?!?»
«No tranquilla dimmi pure»
«Beh.. io… la mia valigia e … dove dovrei dormire?? »
«Con Jay ovvio, non mi dire che ti infastidisce?!?»
«No e che…»
«Tu e Jay non… o.m.g. scusami, adesso provo a risolvere la cosa, io pensavo che per voi… cioè che per te»
Jerad vedendo la moglie un po’ agitata e in preda ad uno stato di profondo imbarazzo ci raggiunse alla porta e intervenne nella discussione dato che il dialogo non era stata per nulla privata.
«Che problema c’è quello che non è successo fino ad ora prima o poi succederà. »
La moglie lo spinse via bacchettandolo, lo allontanò dalla porta e la socchiuse appena
«Jer sei sempre il solito… adesso risolviamo la cosa»
«Lascia stare, non disturbarti adesso risolverò la cosa con Jay»
Tutti sapevano all’incirca come sistemarsi per la sera ed io rimasi sola e perplessa per quella situazione. Con Jay prendemmo la mia valigia dalla stanza di Jerad e la portammo nell’altra camera. Tremavo all’idea di dover condividere il letto. Non ero pronta per lui, non ero pronta a fare nessun passo importante. Lui sembrava disinvolto e sorridente.
«Spero che non ti dispiaccia dover dividere il letto con me»
«No…è solo che…tu sistemati io vado a prepararmi in bagno. »
Scappai letteralmente, era pronto a baciarmi ed io invece gli chiusi la porta in faccia chiudendola a chiave.
Mi sedetti nel piccolo sgabello a pensare. Ecco, prima o poi sarebbe dovuto accadere. Il mio passato uscì di prepotenza dalla mia testa e con lui le mie paure. Sentivo che lui era l’uomo giusto ma una barriera invisibile ostacolava la mia voglia di sentirmi donna, la voglia di liberarmi per sempre delle mie paure dei miei fantasmi. Le lacrime uscirono da sole senza che io potessi fermarle, senza trovare modo di fermarle.
 
Quel bagno divenne familiare, il fashback della mia vita si ricompose in un istante. Vedevo la mia immagine riflessa allo specchio. Ero poco più che una ragazzina, solo qualche anno fa, i festeggiamenti per la fine della scuola, la fine del liceo. Il mio viso non era sorridente come quando ero uscita, la mia gonna di Jeans era sporca di fango e sangue, le calze strappate, e la camicetta aperta e stracciata. Non riuscivo, non avevo il coraggio di alzare gli occhi. Le lacrime mi mozzavano il fiato, piangevo a dirotto, sputando dentro il lavandino il mio sfogo impastato di sangue. Guardai finalmente quello che rimaneva di me riflessa sullo specchio illuminato da una fioca luce gialla impallidita dal tempo. Avevo il labbro sanguinante, la faccia sporca di terra e il rimmel colato che con le lacrime avevano creato un segno sul mio viso. Crollai atterra, le gambe cedettero all’improvviso. Mi raggomitolai in un angolo sentendomi colpevole per qualcosa che non avevo fatto. Mi sollevai appena quando sentii mia sorella a bussare incessantemente alla porta pregandomi di aprire. Mio fratello agitato con il sentore che qualcosa fosse successo. Cercarono in tutti i modi di farmi parlare, ma mi vergognavo e non riuscivo ad emettere neppure un suono, era come se le parole si fossero paralizzate in gola. 
«Cos’è successo Sophie? » 
Vomitai tutto, tutto quello che avevo dentro con un colpo di tosse e con lui anche il nome di chi aveva segnato la mia vita
«Cristian» la persona di cui ero innamorata e che mi aveva trasformato da dolce e sorridente ragazza in fragile e diffidente
«Cosa ha fatto…ti ha lasciato..cosa???....e perché sangue…Sophie cosa è successo»
Le lacrime venivano fuori come un fiume in piena. Non volevo più parlare, non volevo più essere toccata, odiavo lo sguardo dei miei familiari, erano lì a fissarmi come se si aspettassero davvero che io raccontassi quello che mi era successo, le mani tremavano, ma non dal freddo. Avevo bisogno di coprirmi, di non lasciar intravedere neppure un quadro della mia pelle nuda, d’istinto mi ritrassi dalla mano di mia sorella che voleva solo darmi un sostegno. Il mio sguardo si soffermò su una macchia rossa sul pavimento bianco del bagno, sembrava che niente e nessuno fosse capace a calmarmi
«Era ubriaco, era stanco, era arrabbiato e…mi…ha…»
La rabbia dentro quella stanza, l’ira di mio padre bloccato da mia madre, mi fratello che con un pugno ruppe il compensato della porta, mia sorella che mi teneva stretta come se avesse paura che come una bambola di porcellana potessi rompermi.
«Su tranquilla Sophie, passa, prima o poi passa»
Anni e anni di terapia per trovarmi in questa dannata situazione e a rivivere tutto con un maledettissimo flashback, non ero guarita, non lo sono mai stata.
 
Non so quanto temo rimasi chiusa in quella stanza ma prima o poi dovevo venire fuori. Lavai il mio viso togliendo ogni traccia di trucco e per lavare quegli occhi pieni di lacrime. Indossai il pigiama e fissai la mia figura allo specchio.
"Su Sophie, un po’ di coraggio, non sono tutti uguali lui non è Cristian, lui ti ascolta, lui è dolce, non farà nulla che tu non voglia. Su esci da questo bagno"
Feci un grosso respiro e aprì la porta. Jay dormiva già, era sdraiato su un fianco, con i capelli che gli cadevano sul viso. Scostai le coperte e mi sistemai sulla parte di letto libera e mi coprii. Faceva freddo e iniziai a tremare prima che una mano mi sfiorasse, Jay si avvicinò a me, appoggiò la testa sulla mia nuca mentre le sue mani mi cingevano i fianchi.
«Scusami mi sono addormentato, sono stanchissimo»
«Non c’è problema»
«Scusami sta sera mi sono fatto prendere un po’ la mano, lo so che a te non piacciono queste cose»
«Non è che non mi piacciono …sai benissimo come la vedo»
«Ma io ti ho detto che voglio questa cosa, anche se tu dovrai tornare a casa, voglio riuscire a farti cambiare idea»
«Sai che non c’è modo, ho la mia famiglia la mia vita »
«Riuscirò a farti cambiare idea»
Le sue mani mi strinsero più forte, stavo male dentro ma quel contatto, quella sua voglia di starmi vicino mi faceva stare meglio. Mi girai leggermente verso di lui cercando i suoi occhi. La sua mano mi sfiorò la guancia, scostò via i capelli dal mio volto e li sistemò con cura dietro l’orecchio.
«Come sei bella>> mi allungai e sfiorai le sue labbra con le mie. Mi sentivo completa solo con lui ma non mi sentivo pronta. Una lacrima scese prepotente mente la sua mano sfiorava il mio viso e le nostre bocce respiravano la stessa aria.
«Cosa c’è? perché piangi»
«Non sto piangendo, sono felice di stare qui con te, mi mancavi>> non era una bugia, mi era mancato sul serio anche se quella lacrima era scesa senza permesso e se nella mia testa c’era solo una gran voglia di superare tutto questo.
Non so se fosse davvero stanco o se avesse capito il mio disagio. Mi accolse tra le sue calde braccia, la mia testa contro il suo petto, sentivo il suo cuore battere, il suo respiro andare dal profondo fino ad arrivare nelle sue labbra e sfiorare il mio collo.
«Buona notte piccolina a domani»
«A domani Jay»

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: DAL PARADISO ALL'INFERNO ***


 

Capitolo 18: DAL PARADISO ALL'INFERNO



Aprii piano gli occhi e fuori si vedevano le luci colorate dei neon che ad intermittenza segnalavano la posizione di questa città di non dormienti …e certo chi dormiva a Las Vegas. Mi ritrovavo sveglio solo perché ero crollato dopo il concerto e perché volevo godermi quel particolare momento. Mi alzai piano con le spalle appoggiandole alla spalliera, allungai la mano verso il comodino ed indossai i miei occhiali. Al mio impercettibile movimento lei si mosse di risposta stringendo ancora di più la presa, come se avesse paura che fuggissi.
 
Come era bella, era strano per me tutto quello. Molte fan avrebbero fatto il diavolo in quattro per me facendomi bere o semplicemente cercavano una chance ma, per lei era diverso. Sembrava che io non gli facessi nessuno effetto, almeno non quello che provoco alle altre. Quella notte era venuta al letto facendo il più piano possibile, con gli occhi lucidi e si era sistemata vicino a me senza per questo sfiorarmi. Erano bastati poche parole ed un abbraccio per farla sentire bene.

 
La fissavo dormire, con quell’aria beata e con il sorriso che si faceva strada a forza su quel viso sempre triste. Non sapevo il perché ma, ogni volta che la guardavo sembrava avere una lotta interiore e l’unica che ne usciva ferita era lei. Appoggiò l’orecchio sul mio petto e alzò lo sguardo tenendo ancora gli occhi chiusi, sentivo il profumo dei suoi capelli e la strana sensazione che mi dava, non era uguale alle altre, quello lo avevo capito subito, era riuscita a conquistarmi e speravo ardentemente di non essergli indifferente, che anche lei provasse qualcosa per me anche se la parola Amore era troppo impegnativa da pronunciare, mi piaceva, sentivo un’attrazione per lei, trattenuta dalla sua semplicità e dalla mia voglia di essere per lei qualcosa di speciale.
 
Aprì piano gli occhi e come se avesse visto il sole li strabuzzò, poi li chiuse e li riaprì varie volte sino a che i nostri occhi si incontrarono e sorridendo la salutai.
 
«Buongiorno» si ritrasse di scatto e si tirò subito su
«Ciao…» rispose come smarrita, si portò la coperta su, sino a coprire le spalle e diede un’occhiata sotto le lenzuola, come se avesse paura che nella notte fosse successo qualcosa che lei non voleva.
«Hey che c’è…cosa ti è preso»
«Nulla, mi sono solo spaventata…»
«mmm… faccio così paura al mattino»
«No e che … - sorrise ed sdrammatizzò la brutta impressione che mi aveva dato al risveglio - capelli stravolti e occhiali… sei irriconoscibile»
«Ahahahah… a parte questo? Spero nulla…- le sorrisi sarcastico e poi scoppiai in una fragorosa risata, appena serio le mie parole erano di solo conforto, per me - rimettiti qui vicino»
 
Come se avesse capito quanto mi aveva fatto bene si sistemò di nuovo sul mio petto e abbracciandola le tirai su il viso. Mi sorrise e iniziò a ridacchiare come se in quel momento fossi la persona più buffa del mondo. Era bello vederla ridere, aveva una fossetta sulla guancia destra e un neo sul collo, l’accarezzai e mi avvicinai per baciarla. Il telefono suonò ancora prima di sfiorarle le labbra. Mi allontanai sbuffando, mi alzai dal letto e raggiunsi il tavolo dove lo trovai a vibrare, sul display il nome della mia manager.
«Pronto Patch»
«Jay cosa hai combinato?»
«Perché cosa succede…»
 
Mentre parlavo al telefono si allontanò e si chiuse in bagno. Iniziai a litigare al telefono a causa dei paparazzi che mi avevano immortalato la sera precedente. Chiusi il telefono arrabbiato e chiamai subito Kelly pregandola di raggiungermi. Sophie era sotto al doccia quando mia sorella arrivò e così mi liberai e mi sfogai con lei.
 
«Cosa succede Jay» Kelly mi conosceva fin troppo bene e quando dalle mie labbra usciva la parola urgente, non era mai qualcosa di trascurabile. Il suo volto era già preoccupato e quando iniziai a raccontarle la telefonata, non riuscì a rilassare neppure un muscolo.
«Mi ha chiamato Patch incazzata, i paparazzi ieri mi hanno seguito e mi hanno immortalato quando sono andato al parco da solo con lei…»
«Quindi… cosa ti ha detto»
«Mi ha detto che ha chiamato il fotografo ed ha dovuto pagare per non far uscire le foto… che adesso non devo fare colpi di testa e che devo stare in riga, lei mi aveva avvertito sin dall’inizio che questa cosa non le piaceva ed io ho insistito senza darle ascolto»
«Jay ma che stai dicendo, adesso che stai bene ti fai mettere i piedi in testa» era li …incredula dalle mie parole e probabilmente non riusciva a scorgere il fratello che tanto adorava, dietro a quel viso attonito e quasi privo di sentimenti.
«Certo che no ma… vedi Kelly la Warner mi ha promesso un ruolo importante in cambio devo  farmi vedere in giro con la protagonista, è sconosciuta nel mondo dello spettacolo e queste foto potrebbero rovinare tutto»
«Dov’è mio fratello, Jay non ti riconosco più» guardai ripetutamente la porta del bagno e mi avvicinai per evitare che le mie parole potessero essere ascoltate oltre quella porta.
«Kelly sono stato male e questo lo sai, adesso vivo per il lavoro e la mia musica… lei non mi ha mai dimostrato quanto tiene a me e se per lei fossi solo un palcoscenico su cui farsi vedere come ha detto Ashley, non posso rinunciare ad un’occasione così per un colpo di testa»
«Jay fino a ieri mi hai detto che credevi che lei fosse diversa, speciale e adesso mi dici il contrario… cos’altro ti ha detto Patch su… ti conosco bene fratellino e so che c’è dell’altro»
«Mi ha detto di non portarla con me alle serate mondane altrimenti ho chiuso anche con lei quindi... »
«Quindi…odio quando mi parli a rate… sputa l’osso»
«Addio alla società che avevamo creato e a tutto il resto»
«Jay…tu che hai intenzione di fare»
«Non lo so Kelly, non lo so…io…io provo qualcosa per lei ma…» mi consolò e poi abbandono la stanza dicendo che era la mia la decisione e che avrei dovuto essere io a dirlo a Sophie, ma era sicura che tutto sarebbe scoppiato come bolle di sapone quando la mia piccola teppista fosse uscita da quella porta.
 
Rimasi a riflettere per qualche secondo sino a che Sophie uscì del bagno, aveva i capelli legati, i jeans neri e una canottiera bianca che faceva intravedere un po’ delle sue forme, all’improvviso i miei dubbi e le mie incertezze sparirono, cosa c’era da pensare, era tutto ciò di cui io avessi bisogno e subito le sorrisi invitandola a colazione.
«Jay io devo tornare a Los Angeles» non feci in tempo a chiedere che subito mi spiazzò.
«Cosa?!?…rimani qui ancora per un po’ devo tornare anche io per il weekend torneremo insieme» cercai di convincerla ma fu tutto inutile, era convinta, ed iniziarono ad assalirmi i dubbi
«No..io voglio tornare oggi»
«Perché Sophie» se lei avesse ascoltato anche solo una parola da dietro quella porta me lo avrebbe detto, sarebbe scoppiata come un palloncino ma, quello non era affatto il caso, non aveva sentito nulla, voleva andare via e non capivo il motivo.
«Ho molte cose da fare e non ho intenzione di rimanermene qui a perdere tempo»
«Come vuoi, ti accompagno all’aeroporto…quando sarai pronta andremo»
«Sono pronta, ti prego vestiti e andiamo» mi vestii velocemente e continuavo a fissarla, era li… tremava dalla rabbia e si mordeva la lingua evitando di dire parole che ci avrebbero feriti… non so quale fosse stata la causa scatenante di quel cambiamento ma decisi comunque di azzardare un’ultima carta.
«Si può sapere cosa ti è preso…hai sentito qualcosa?posso spiegarti...»
«Cosa avrei dovuto sentire?!?… senti sono stanca e voglio andarmene a casa…» urlò
Non me lo feci ripetere, non riuscivo a capire quel cambiamento, il perché fosse tornata la scorbutica di sempre, dove era la mia Sophie. In pochi minuti mi preparai e presi il suo piccolo trolley, andai verso la porta ma prima di aprirla mi fermai.
«Sei sicura di voler andare»
«Sì…non c’è nulla che mi trattiene qui…»
«Io, non riesci proprio vero, non riesci a guardarmi diversamente, mi consideri sempre un pallone gonfiato, non mi vedi come un normale ragazzo che si è innamorato»
«No, d’avanti a me vedo sempre la solita star egoista che pensa solo a se stesso»
Quelle parole mi gelarono il sangue, mi ero illuso, era stata tutta un’illusione.
Presi la via per le scale e decisi che era meglio dirle addio lì.
«Bene…visto che la vedi in questo modo direi che è meglio che vai in aeroporto con un taxi, in fin dei conti per quello che ho capito non credo che ti faccia piacere ancora la mia compagnia»
«Come vuoi, addio Jay»
 
Chiusi la portiera dell’auto e vidi la macchina allontanarsi. Stavo male, mi sentivo male. Fino a pochi minuti fa ero io quello che voleva certezze prima di mandare in fumo un film o addirittura la carriera mentre adesso, la vedevo andare via dopo avermi pugnalato. Che strano, credevo davvero che anche lei si fosse innamorata di me ed invece mi aveva ferito come tutte le altre.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19: DOPO LA PIOGGIA...IL SERENO ***


 
CAPITOLO 19: DOPO LA PIOGGIA… IL SERENO

 

Era impossibile non piangere. Lo avevo ferito, l’avevo trattato male e questo mi tagliava l’anima in mille pezzi. Non avrei dovuto ascoltare, non avrei dovuto rimanere dietro la porta e sentire le sue incertezze, la sua debolezza e non volevo in nessun caso essere la causa del suo male. Ma le sue parole mi attraversarono come burro e l’unica cosa a cui avevo pensato era stata allontanarmi da lui per non danneggiarlo. Appena in casa feci del mio meglio per non pensarci ma fu tutto inutile, caddi sul letto e abbracciando il   cuscino piansi a dirotto sino ad addormentarmi e a non avere più lacrime da versare.
Per giorni la casa divenne il mio rifugio, non volevo vedere niente e nessuno, il sole divenne il mio peggior nemico e la notte solo buia e silenziosa. Natale passò senza accorgermene, ero sola, mi mancavano tutti, avrei voluto prendere il volo e tornare a casa, non pensare più a lui che era diventato la causa del mio male, solo le telefonate riuscirono a tenermi su il morale e la telefonata inaspettata giunse poco dopo la mezzanotte.

«Pronto»
«Ciao, spero di non disturbarti a quest’ora ..sono Kelly, volevo augurarti un buon natale»
«Grazie anche a te»
«Come hai passato il natale, spero bene»
«L’ho passato da sola a casa a guardare i soliti film natalizi, seduta sul divano mangiando pop-corn»
«Volevo invitarti per natale, ma sei partita senza salutare nessuno»
«Avevo fretta di tornare a casa»
«Cosa è successo Sophie?!? Jay è distrutto, non è venuto a casa per natale e Ben mi ha raccontato che non vuole fare altro che lavorare… conoscendo mio fratello sta male»
«kelly non voglio parlarne, lui è una persona stupenda, ne può trovare a miglia di ragazze giuste per lui, io non sono adatta, sono una ragazza che lo metterà solo nei guai»
«Non è vero, lui vuole te, e sta male per te…»
«E la ragazza con cui dovrebbe uscire… gli ha dato buca?!?»
«Cosa?»
«Sì, la ragazza della Warner?!? Dai Kelly sul serio ti ringrazio di aver pensato a me ma non credo che ci sia qualcosa altro di cui dovremmo parlare»
«Tu hai sentito tutto!!! Tu hai sentito la discussione!!! Non eri sotto la doccia, eri dietro la porta e te ne sei andata via perché hai sentito lui dire quelle cose»
«No… sono andata via perché mi sono sentita in colpa e non volevo che io potessi essere la causa dei suoi problemi»
«Sophie io non so cosa tu abbia sentito ma, non è come pensi»
«Kelly io non penso niente, credo solo che è molto meglio per lui se io mi metta da parte»
«Sophie tu dovresti parlare con lui, dovresti….»
«Far finta di nulla come dovrai fare anche tu»
«Cosa?»
«Non devi dirgli nulla, promettimi che non gliene farai parola»
«Non posso Sophie, mi dispiace ma non posso… lui è mio fratello e tu sei…»
«E io sono un’estranea ma se non vuoi che tuo fratello stia male devi farlo… sono sicura che se tutta questa cosa andasse avanti solo noi due avremmo la peggio»
«Ok… ok te lo prometto ma se vedo che mio fratello soffre non starò a guardare»

Dopo quella telefonata Kelly non si fece più sentire. L’avevo pregata e le avevo fatto giurare di non dire nulla ma non pensavo proprio che riuscisse a tenere la bocca chiusa, sarebbe bastata una parola di troppo e si sarebbe sbottonata con lui.
Era il ventotto di dicembre quando il mio cellulare squillò ad un ora inconsueta, erano passate da poco le tre del mattino e a tentoni cercai di accendere la luce sul comodino per meglio individuare il telefono, mi dovetti alzare sentii vibrare sulla scrivania, quindi mi tirai giù dal letto a forza e piano piano mi avvicinai. Come normale che succedesse andai a sbattere il piede contro lo spigolo del letto e imprecando afferrai il telefono e risposi.

Era mia madre in lacrime, solo un po’ di nostalgia. Mi tenne al telefono per più di un’ora e mezza sino a che le promisi di richiamarla nel pomeriggio quando avrei visto i risultati del primo trimestre, a malincuore accettò e singhiozzando mi salutò. Così tornai a letto cercando disperatamente di riaddormentarmi ma solamente in tarda mattinata chiusi davvero gli occhi abbandonandomi al sonno. Quando finalmente ero convinta di stare bene, il mio inconscio sembrava mettere del sale sulle mie ferite, lo continuavo a sognare, continuavo a sognare quegli occhi tristi darmi l’ultimo addio, quel viso angelico che avevo deciso di non rivedere più, “ma come diavolo ho fatto ad innamorarmi di una persona talmente irraggiungibile”. Stavo davvero male per quell’uomo ma dovevo togliermelo dalle testa, non volevo cambiare per lui, e non volevo che lui rinunciasse a qualcosa per me.

Quando riaprì gli occhi erano le undici, mi fermai solo un attimo d’avanti alla finestra per vedere se il tempo era clemente con me, ma invece una fitta pioggia bagnava il campus limitando la visuale del parco, pioveva a dirotto, come se qualcuno avesse dimenticato il rubinetto aperto. Non avevo proprio voglia di uscire, e il tempo non era la causa del mio malessere, dal mio ritorno da Las Vegas avevo condotto una vita da reclusa, mangiando solo quello che c’era in casa, non ero andata neppure a fare la spesa a discapito della dispensa che si era svuotata. Presi una tazza si tè e mi sistemai sulla poltrona a leggere un buon libro che non parlasse di amore, di addii e di vampiri. La sveglia che avevo puntato in caso mi addormentassi suonò alle sedici. Mi feci una doccia ed indossai le mia tuta da ginnastica, le scarpe e con i capelli ancora umidi andai verso l’edificio centrale. Il campus era deserto, tanto meglio, tanto non avevo voglia di vedere nessuno. Andai diritta verso la bacheca e con il dito cercai il mio nome su ogni foglio, non ero andata affatto male, tutte A e B con relativi segno positivi e negativi a fianco. Poi l’elenco più importante di quel trimestre, l’atteso corso del professor Connor, il dito scorreva l’ungo il mio nome MARESCA SOPHIE c’era una bellissima, A+, saltai di gioia e sorridendo imbracciai l’ombrello e tornai verso il campus, per un attimo dimenticai tutto, anche Jay forse, ma finalmente dopo una settimana riuscivo a sorridere.

Uscii dall’enorme porta vetri e mi incamminai verso il dormitorio per telefonare a casa, forse sarei stata in tempo e non li avrei dovuti svegliare, erano ansiosi di ricevere mie notizie.

«Sophie» mi sentì chiamare nella piazzetta deserta, guardai il più lontano possibile, sino a dove la pioggia mi consentiva di guardare, ma non vidi nessuno.
«Sophie aspetta» all’improvviso mi sentii afferrare per un braccio e mi girai di risposta, mi ritrovai due occhi verdi puntati addosso, era completamente bagnato e con una aria indifesa che non mi permetteva di sforare tutta la rabbia che avevo in corpo e di dirgli in faccia ciò che pensavo. L’acqua scendeva imperturbabile su di lui che aspettava solo un cenno da me, o forse un semplice saluto che non riusciva ad uscire fuori, le gocce delineavano il suo viso, i lineamenti del suo volto per poi perdere la loro perfezione infrangendosi sulla sua folta barba.
«Che ci fai qui?!?» dissi sorpresa, “ecco, Kelly non aveva resistito, aveva ceduto dopo soli pochi giorni” ma guardandolo potevo facilmente capire la sua scelta, sembrava fragile, disarmato.
«Sono venuto per te, per capire cosa diavolo è successo, perché sei andata via in quel modo, sono giorni che non ci dormo» rimasi perplessa e stupita per quello che mi aveva confessato, ma come al solito non riuscii a tacere e forse misi nei guai che in realtà con centrava nulla
«Kelly non ti ha raccontato niente?»
«Kelly? Cosa centra mia sorella?» ebbi la conferma che la sorella aveva davvero tenuto il segreto, il suo viso era alquanto sorpreso e la sua espressione incredula. La pioggia continuava a cadere a dirotto, e lui era completamente bagnato e non volevo sentirmi in colpa anche per la sua salute.
«Andiamo dentro altrimenti ti ammalerai»
«Non mi importa nulla della pioggia che cade, se i miei vestiti sono completamente bagnati e se domani mi sveglierò con un terribile raffreddore, voglio sapere cosa centra mia sorella in questa storia… ti ha raccontato tutto?!?»
«Non mi ha detto nulla, te lo giuro ma ti prego andiamo dentro»
«Dammi un motivo, dammi solo una piccola motivazione e io ti seguirò fino in capo al mondo, fammi capire che ne vale la pena»
Iniziai a balbettare, cercavo di dire qualcosa, ma quello che mi passava per la testa era quanto ero stata male per lui e senza di lui, poi così senza rendermene conto le parole si sciolsero come neve al sole
«Mi sei mancato» ma la sua reazione non era quello che mi aspettavo
«Allora perché sei andata via, perché mi hai detto quelle parole, che sono arrogante e che penso solo a me stesso, perché» sputava parole e pioggia, gli occhi erano spalancati e mi guardavano fissi in attesa di una mia risposta, come al solito mi arresi
«Ok, ti dirò tutto … seguimi» gli offrii il mio ombrello, e lui mi cinse il fianco e si riparò dalla pioggia. Con la manica del cappotto si asciugò la fronte non migliorando di molto la situazione, raggiungemmo il dormitorio quindi casa mia. 

Appena dentro poggiai l’ombrello fuori dalla porta e la chiusi, lui tolse via il cappotto bagnato e lo lasciò cadere atterra, poi mi aiutò nel togliere la giacca e come una statua mi paralizzai al suo tocco.
«Dimmi che non pensi quello che mi hai detto a Las Vegas, dimmi che non pensi affatto che io sia egoista, ti prego, dimmi che un motivo per rimanere a Las Vegas c’era e che ero io, ho bisogno di sentirtelo dire»
«Perché, cosa cambierebbe… Jay prima che tu partissi credevo di essere stata abbastanza chiara su tutta questa storia»
«Sì, ma mi hai baciato, e anche a Las Vegas l’hai fatto, quindi non dirmi che ti sono venuti i sensi di colpa perché non ci credo, dimmi come stanno le cose e io me ne andrò da quella porta immediatamente e non mi vedrai più» “tranne che sul grande schermo” pensai
«Jay, io tengo a te più di quello che immagini ma non possiamo…» non mi fece neppure finire la frase, la sua mano mi sfiorò delicatamente la guancia ed un sorriso si fece spazio in quel triste viso poi, senza chiedere il permesso, la sua mano raggiunse i miei capelli e mi baciò, quelle labbra, quelle maledettissime labbra, quanto mi erano mancate, non riuscii a resistere e mi abbandonai all’emozioni rispondendo al suo bacio. Sorrideva baciandomi e con il poco respiro che l’enfasi permetteva mi sussurrò quello che più mi toccò facendomi dimenticare tutto il rancore di quell’afosa città
«Non immagini nemmeno quanto io mi senta in colpa per averti lasciato andare via in quel modo»
Tremava come una foglia e nonostante dovessi fare qualcosa per evitare che lui si ammalasse, non riuscivo proprio a staccarmi da lui, ma un piccolo brivido mi riportò con i piedi per terra e mi staccai lasciandolo perplesso vicino al divano. Mi recai subito in bagno a prendere un asciugamano, accesi i riscaldamenti e tornai in salotto; si era accomodato sul divano ed infreddolito cercava di scaldarsi sfregando ripetutamente le mani sui jeans bagnati. Mi avvicinai a lui e gli porsi l’asciugamano, all’istante si alzò e come al solito mi sciolsi sotto il suo sguardo. Mi afferrò la mano e il telo di spugna cadde atterra. Come se non fossi più capace di comandare le mie mani, iniziarono a muoversi da sole ed accarezzarono la stoffa bagnata sul su petto, i miei occhi abbandonarono per un secondo i suoi occhi e posarsi sui bottoni della camicia per poi riperdermi in quel verde ipnotico.
«Sei tutto bagnato, ti ammalerai se non ti asciughi» gocce di acqua cadevano come pioggia dai suoi capelli, vederlo così indifeso, con quel viso smarrito e triste mi stringeva il cuore.

Sbottonai la camicia continuandolo a guardare, mentre lui mi fissava accarezzandomi i capelli. Le sue labbra si posarono dolcemente sulle mie, le mie mani accarezzavano ormai la sua bianca pelle nuda. Non riuscivo a capire cosa mi stava succedendo, la sua ricomparsa, la convinzione di averlo perso avevano forse abbattute tutte le mie barriere, non avevo paura di lui e finalmente cresceva in me un senso di libertà, mi sentivo fiduciosa e quel cercare, quel toccare il suo corpo completavano quella mia nuova viva e lui era l’artefice del mio cambiamento. L’emozioni si accavallarono e all’improvviso lui sembrò la cura di tutti i miei mali, di tutte le mie debolezze e paure, sembrava che tutti i miei lacci finalmente si fossero sciolti, era lui quello giusto, era con lui che volevo fare l’amore. Sembrò per un minuto perdere l’equilibrio e cadde sedendosi sul divano, soffocai il sorriso portandomi le mani alla bocca e ad un tratto mi ritrovai sopra di lui che per vendicarsi del mio ghigno mi aveva trascinato sul divano. All’improvviso mi ritrovai seduta a cavalcioni sopra di lui, che mi ipnotizzava e mi accarezzava con tutti i sensi, ero completamente soggiogata da lui e nonostante ne fossi consapevole non volevo ancora che lui sapesse quanto l’amavo. Una strana sensazione mi colorò le guancie, qualcosa che non avevo mai provato prima, le sue mani accarezzavano il mio collo mentre la sua bocca continuava a stuzzicare la mia, poi come una carezza, le sue mani arrivarono fino alla vita e cercarono di entrare sotto la mia maglietta, il suo tocco era come seta sulla mia pelle, ma da vero gentil’uomo non sembrò andare oltre al confine del mio reggiseno. Accarezzò la mia schiena per poi giungere di nuovo al lembo della maglietta e se ne disfò con facilità. Iniziai a sentirmi nuda, indifesa, con le sue labbra che baciavano dolcemente il mio corpo freddo dall’agitazione e le mani che accarezzavano le mie forme. Ad un tratto tutto torno come sempre, il muro sembrò alzarsi all’improvviso e le paure tornarono ad essere parte di me, gli occhi verdi divennero neri nella mia mente, le sua dolcezza la brutalità di un'altra persona e i suoi baci lame taglienti.

«No basta» mi alzai di scatto e afferrai la maglietta cercando di coprirmi con quella strettissima stoffa
«Che c’è … cosa ho fatto?» esclamò sorpreso, alzandosi e cercando di fermarmi bloccandomi per un braccio
«Niente, non hai fatto niente, tu non c’entri nulla» mi prese tra le sue braccia e mi abbracciò facendomi sentire tutto il calore del suo abbraccio
«Dai piccola, calmati, perché piangi?» mi accarezzava la testa per tranquillizzarmi, ma non avevo bisogno di quello, io avevo bisogno di stare da sola in quel momento, in quella spiacevole situazione io dovevo stare sola.
«Scusami Jay ma io… non posso» mi divincolai di colpo e corsi via chiudendomi in camera.

Mi buttai sul letto e cominciai a piangere a dirotto. "Accidenti a me e a quando pensavo che la mia brutta storia fosse già alle spalle, che fossi guarita. Lui, lui è nell’altra stanza, ed io a piangere come una stupida per qualcosa successa tempo fa che non mi dà la forza di andare avanti". Soffocavo la mia disperazione sul cuscino e stringevo la coperta tra i pugni, con tutta la forza che avevo in corpo.
La porta si aprì piano e passi leggeri mi raggiunsero sul letto, la sua mano mi accarezzò la testa e si sedette al mio fianco, poi sospirando si schiarì la voce.
«Su calmati, cosa è successo, ho fatto qualcosa che non dovevo fare?»
«No Jay, tu non centri nulla credimi, sono io che non posso»
«Forse ho capito il tuo disagio…» rimase per qualche secondo in silenzio poi con un tono di voce più pacata concluse la frase «Hai un ragazzo che ti aspetta in Italia, è per questo che sei voluta andare via da Las Vegas»
«No Jay, non hai capito nulla…» era giunto alla conclusione sbagliata «Ti assicuro, non è come pensi.. io non ho nessun ragazzo, sono andata via perché… avevo sentito tutto, non ero sotto la doccia ero dietro la porta quando hai discusso con il tuo manager e con Kelly»
«Perché non me l’hai detto, avrei chiarito tutto... sai l’avevo immaginato, ma credevo di conoscerti, pensavo che una cosa come questa non l’avresti tenuta dentro, che mi avresti detto tutto e subito…. Invece ho sbagliato… tutto»
«Non volevo nessun chiarimento in quel momento, ho solo deciso di allontanarmi per non peggiorare le cose»
«Peggiorare cosa? Non è successo nulla, io volevo stare con te e se i fotografi hanno scattato qualche foto, cosa vuoi che sia?!?»
«Ma hai dovuto pagare per non farle uscire»
«Non l’ho fatto io ma, il mio manager, come devo farti capire che io voglio stare con te, voglio provare a stare con te… perché non me lo permetti»
«io..» come prima piansi a dirotto, ma stranamente non volevo più stare sola, mi strinse tra le sue braccia e ci sdraiammo sul letto. Mi abbracciava e mi coccolava contemporaneamente.
Poggiai la testa sul suo petto nudo, sentivo il suo calore, nonostante probabilmente stesse morendo dal freddo.
Tesi la mani sino ai piedi del letto e tirai su il piumone, poi mi strinsi nel suo abbraccio e in poco tempo riuscì a calmarmi. Mi accarezzava i capelli mentre con gli occhi cercava di scorgere sul mio viso se ci fossero tracce di lacrime, e solo quando fu certo che non piangessi più mi raccontò la telefonata con il suo manager ma prima che lui finisse il racconto mi addormentai, ricordo solo le parole “ ero insicuro, ma dopo averti vista … non avevo più dubbi”.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20: STRANE SENSAZIONE ***


 
CAPITOLO 20: STRANE SENSAZIONI

 
Mi svegliai con gli occhi ancora bagnati ma stranamente mi sentivo bene, aprii gli occhi a fatica, li sentivo ancora gonfi e mi iniziai a muovere sotto il mio caldo piumone. All’improvviso una presa ferrea mi cinse la vita e mi svegliai del tutto come se solo in quell’istante avessi ricordato cosa era accaduto. Alzai leggermente la testa dalla sua spalla e guardai il suo viso beato. Gli occhi erano ancora chiusi, ma le sue labbra appena aperte lasciavano al suo respiro caldo un’unica via d’uscita. I lunghi capelli castani gli cadevano delicatamente sul viso, il suo respiro era appena accennato, la pioggia di ieri sera gli aveva sicuramente fatto male. Cercai di muovermi il più delicatamente possibile, non volevo svegliarlo, ma dalla sua presa era impossibile divincolarmi. Mi arresi molto presto e così rimasi a letto ancora per un altro po’, non era poi così difficile per me rimanere li, in quel caloroso abbraccio, sentire quel suo profumo fuori dal comune e fissare quel viso quasi perfetto che dormiva accanto a me. Non sapevo ancora cosa lui avesse capito della serata appena trascorsa, ma oltre al fatto che mi era mancato non doveva cambiare nulla del rapporto tra me e lui, non ero pronta e questo, glielo avevo ripetuto più e più volte e anche se a Las Vegas mi ero appena slegata dai mille nastri che legavano la mia vita, la dura realtà era arrivata facendomi ricadere nella vecchia routine quotidiana e come una dura bastonata mi convinse a riportare i piedi per terra e tornare a considerare la vita come avevo sempre fatto anche se il mio sogno ad occhi aperti dormiva ancora al mio fianco. Non saprei nemmeno dirlo ma mi appariva diverso da come lo vedevano tutti gli altri, forse ero io che avevo avuto l’opportunità di conoscerlo, ma era diverso, non era affatto una star arrogante, ma un ragazzo che non poteva vivere la vita come voleva e questo mi fece capire cosa fare. Tesi la mano verso il suo viso e accarezzai la sua barba, il suo labbro si tese appena per poi spalancarsi in uno sbadiglio. Aprì gli occhi e uno splendido verde incontrò i miei, sorridendo
 
«Buongiorno Sophie»
«Buongiorno»
«Scusami mi sono addormentato come un bambino …sono stato benissimo anche se… etchu mi sono un po’ raffreddato»  Ecco, alla fine c’era riuscito, si era ammalato e per questo ero pronta a sentirmi in colpa.
«Scusami» dissi con tono colpevole, e mentre io cercavo un modo per aiutarlo lui se la rideva «mah… mi stai prendendo in giro??»
«Sì… e mi piace»
«Sei pessimo… io ero sul serio preoccupata per la tua salute mentre tu….»
«Mentre io… mi divertivo alle tue spalle… non ci posso fare nulla… mi piace quando ti preoccupi per me» una mano mi accarezzò leggiadra il viso e come una bambina mi cullai in quella mano che mi sfiorava. 
 
Mi persi nel guardare quegli occhi tanto belli tanto assonnati e mentre uno sbadiglio abbandonò la sua bocca, vidi che ormai l’orologio segnava le 11 passate e … il frigo era vuoto. Mi alzai di scatto dal letto, con addosso ancora la tuta da ginnastica del giorno prima e passando d’avanti allo specchio, vidi la mia brutta copia, i capelli si erano asciugati malamente e sembravo una povera pazza.
«Arrivo subito» gli dissi abbandonando la stanza e scalza raggiunsi la cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare. Aprii nevrotica le ante dei mobili, ma nulla neppure una briciola era rimasta nella dispensa. Provai a ingegnarmi, ma non potevo fare nulla se in frigo c’èra solo del latte e qualche avanzo del giorno precedente… dovevo assolutamente andare a fare la spesa oggi.
Tornai in camera e lo trovai ancora sul mio letto, aveva richiuso gli occhi e un fievole respiro usciva dalla sua bocca. La dispensa era vuota e con lui in quello stato decisi che dovevo fare qualcosa. Misi le scarpe da ginnastica ai piedi, presi il giubbotto ed uscì di casa.  Il cielo durante la notte sembrò essersi placato, un pallido sole illuminava le strade della città. Camminai solo per qualche isolato, il bar vicino al campus era aperto, entrai e presi qualcosa per la colazione, giusto per offrirgli qualcosa e con il mio sacchetto tornai a casa. Aprii piano la porta e in punta di piedi andai sino in cucina. Accesi il fornello ed iniziai a scaldare il latte mentre la macchinetta del caffè faceva il suo lavoro. Sistemai i cornetti nel forno e finii di preparare le tazze. All’improvviso un abbraccio mi cinse la vita mentre il suo viso affondò tra i miei capelli, sorrisi per il solletico che il suo respiro mi aveva provocato all’altezza della nuca. La sua mano spostò i miei capelli sulla spalla e le sue labbra sfiorarono il collo.
 
«Che buon profumo»
«Sono cornetti, l’ho appena presi al bar qui sotto»
«Non parlavo della colazione!?!»
 
Mi imbarazzai per le sue parole e cominciai a sentire caldo, il mio viso probabilmente si era colorato di rosso e quell’uomo iniziava a darmi una strana sensazione e con il suo modo di fare sembrava perforare quell’enorme muro che era la mia vita.  Presi la colazione e mi girai, lui non si spostò di un millimetro, tra me e lui solo il vassoio, abbassai lo sguardo, non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi, era una cosa che non riuscivo ancora a fare, tenergli testa. Il suo contatto mi fece sobbalzare, poi la sua mano alzò il mio sguardo che tremante lo fissava, senza un perché si avvicinò calmo e chiuse la fonte del mio tormento entrando in contatto con le mie labbra. Sentì le sue carezze allontanare i capelli dal mio viso, le sue labbra plasmare le mie, la sua lingua giocare suadente nella mia bocca e il suo profumo farmi perdere del tutto il contatto con la realtà. Si stacco da quel idilliaco momento e strinse il vassoio che per poco non mi scivolò atterra dall’emozionante attimo.
 
«Scusami, mi sono fatto prendere dalla situazione e poi … non potevo perdere l’occasione, avevi le mani occupate e non avresti potuto tirarti indietro» mi girai di scatto.. “la timidezza non era più parte di me, era annegata con la mia adolescenza invece lui sapeva farla risalire di nuovo aggalla… la fredda ed aggressiva Sophie crollava all’improvviso con la sua vicinanza” feci un grosso respiro ripresi le redini in mano e portai il vassoio sul tavolo.
«Dai siediti altrimenti si fredda»
«Mmm… che ne dici di fare colazione a letto»
«Cosa???»
«Guardami …» fece una fintissima tosse «ho bisogno di rimanere a letto» e strappo il vassoio dalle mie mani per recarsi in camera. 
 
Lo seguii e mentre lui si sistemava sul letto, cercai un appoggio sul comodino. Allontanai il libro per evitare che, sbadata per com’ero, combinassi qualcosa di sbagliato e sistemai meglio la colazione. Tolsi dai piedi le scarpe e mi sedetti al bordo del letto. Cercai il suo sguardo e rimasi immobile d’avanti a quella scena. Era di fronte a me, sotto le mie coperte e teneva il lembo alzato offrendomi posto accanto a lui.
«Dai… non farmi morire dal freddo… vieni sotto» 
 
Mi sistemai sotto le lenzuola, tra le sue braccia, presi il vassoio e lo poggiai sulle mie gambe, tenni lo sguardo basso sino a che tese la mano e mi girò il viso obbligandomi a guardarlo ancora una volta negli occhi.
«Che fine ha fatto la mia Sophie, quella che mi teneva testa e che mi pizzicava sempre»
«L’hai fatta assopire con la dolcezza che non mi avevi mai dimostrato» 
Avvicinò il viso e di nuovo le nostre labbra entrarono in contatto, le sue erano qualcosa di incredibile, aveva un sapore dolce, strano al mattino, e la sua pelle profumava, un profumo duro, rude, non adatto a lui. Sembrò durare poco, troppo poco ma la fame chiamava, anche perché la sera precedente avevamo solo mangiato, pioggia e lacrime, le mie. 
«Allora… cosa hai preparato di buono???» mi vergognavo ad ammetterlo
«Latte, latte e caffè… non ho altro, ho la dispensa vuota e devo anche fare la spesa più tardi se voglio mangiare sta sera»
«Per me basta il caffè … e una brioche»
La colazione fu veloce, ma non fu la fine della mattinata con lui. Appena il vassoio fu vuoto lo prese dalle mie gambe e lo poggiò atterra per evitare danni, poi si girò e mi sovrastò con il suo corpo.
«Adesso non mi scappi» mi venne un nodo alla gola, mi paralizzai all’istante, non riuscivo a capire se era la situazione ad avermi fatto gelare il sangue nelle vene o era lui e il suo maledettissimo sguardo, quel suo sorriso, quel suo fare minaccioso che a nessuno avrebbe fatto paura, a nessuno ma non a me, la situazione mi terrorizzava ma avevo preso una decisione, per affrontare le mie paure dovevo affrontare la bestia che era dentro di me, dovevo affrontare il mio problema a piccoli passi e lui mi avrebbe aiutato, a sua insaputa.
Le sue mani mi tenevano immobile contro il letto e il suo perfido ghigno mi preoccupava, aveva in mente qualcosa ma non capivo cosa.
 
«Adesso… tutto quello che tu dovrai fare e rispondere alle mie semplici domande altrimenti… beh… sarai torturata» annuì con la testa, iniziai a respirare per rilassare i miei nervi che erano tesi come una corda di violino “non mi farà nulla… devo  solo respirare e fidarmi di lui” continuai a ripetere a me stessa.
 
«Il tuo nome… per esteso»
«Sophie Maresca»
«Anni»
«23… vuoi anche il mio codice fiscale???»
«Ecco che torna fori la mia piccola testa calda…che ne dici di cenare con me sta sera»
«Ho da fare delle cose non posso e poi credo che tornino le ragazze»
«Risposta sbagliata!?!» le sue mani si staccarono dai miei polsi ed iniziarono a solleticare i miei fianchi. Dopo aver chiesto pietà almeno per 5 volte riprese con l’interrogatorio
«Ok, ok cenerò con te sta sera»
«Sono molto persuasivo?!?»
«No, stai solo forzandomi»
«Sei sicura…se vuoi cerco si essere ancora più convincente e non basteranno le scuse» continuava ad ammiccare, con il suo suadente sorriso, ormai non avevo più paura di lui e di quello che la sua mente diabolica stava partorendo.
«Allora riprendiamo… dicevamo cenetta sta sera e domani tutta la giornata con me»
«Non ci penso nemmeno… sai che inizi a pretendere un po’ troppo… non posso mica correre dietro a te e hai tuoi impegni»
«Non ho impegni e ti ripeto che non sono queste le risposte che voglio da te… quindi attieniti alle regole altrimenti ricomincio»
«Quali regole… non ricordo che avessimo stilato delle regole e poi… questa è una tortura bella è buona… allora decidi tutto tu ...perché vuoi le mie risposte se non le accetti» come se le mie parole avessero fatto scattare una molla riprese a farmi il solletico, quasi mi finì l’aria nei polmoni fino a che si fermo e mi guardo riprendere fiato.
 
«Dio quanto sei bella» feci fatica a respirare, quelle parole avevano bloccato quel poco ossigeno che riusciva a circolare dentro i miei polmoni e mi fermai a guardarlo, la sua mano sposto dal mio viso sudato dalla fatica i capelli che erano caduti davanti agli occhi. Sentì la sua calda mano sfiorare la mia guancia, sorridermi e prendere anch’essi fiato
«Ti farò un ultima domanda… e sta volta accetterò qualsiasi tua risposta… provi qualcosa per me»
All’improvviso tutto mi fu chiaro, lui era tutto ciò che volevo, lui mi faceva stare bene, lui era la cura di tutti i miei mali ma… non sapevo se dirglielo avrebbe compromesso ancora di più le cose, tra me e lui, tra lui e la sua manager, tra la sua manager e me che ancora non sapeva chi io fossi, ma qualcosa dovevo dire.
 
«Vengo a cena con te sta sera… domani giuro che ti seguirò ovunque tu mi voglia portare e…» feci un grosso respiro e ripresi a parlare «credo di essermi innamorata di te». 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21: COME IL PRIMO APPUNTAMENTO ***



Capitolo 21: COME IL PRIMO APPUNTAMENTO

 

«Hey dormigliona»  una voce ruppe il mio sonno, era pomeriggio inoltrato e di colui che mi aveva fatto compagnia fino a quel momento, non ne vidi traccia. Quando i miei occhi si aprirono gli occhi neri di Katy mi fissavano arrabbiati, mentre io continuavo a rigirami nel letto.
«Ciao Katy… sei tornata»
«Cosa hai combinato?!?»
«Perché.. cosa ho fatto»
«Hai svuotato tutto, non c’è più niente in cucina»
«Scusami, ero sola, in preda ad un forte stato depressivo e … non sono uscita a fare la spesa…»
«Passi che non sei andata a fare la spesa, ma ti sei mangiata tutto…»
«Dai, mi vesto e andiamo a comprare qualcosa»
«No, ormai farò domani… ho intenzione di dare una festa di fine anno  e tu mi aiuterai… spesa compresa»
 
Il tono di voce si fece minaccioso e quel punto dovevo solo assecondare la sua richiesta, in fin dei conti non aveva tutti i torti. Mi stiracchiai su quel caldo letto, e poggiandomi sul cuscino sentivo ancora il suo profumo, era la sensazione più strana del mondo, quello che mi provocava, come mi sentivo: mi faceva battere in cuore come una ragazzina alla prima cotta, pensarlo mi faceva ridacchiare come una stupida e riflettere sulle sue parole mi faceva male, era come se mi avessero colpito in pieno stomaco e il respiro fosse corto ed affannato, usciva a malapena,il cuore mi batteva senza sosta e il mondo sembrava avesse cambiato colore e l’aria profumo. Avevo accettato di uscire di nuovo con lui e questo voleva dire iniziarsi a preparare.
 
Mi alzai dal letto e come una perfetta statua mi sistemai davanti all’armadio, grattandomi la testa iniziai a pensare… “e adesso cosa metto”. Chiamai Katy a gran voce e lei non si fece aspettare, mi raggiunse e riprese a bacchettarmi per il tono di voce con cui l’avevo chiamata. Le spiegai tutto, almeno quello che conveniva a me raccontare, tralasciai la mega cretinata che avevo fatto andandomene da Las Vegas e la dolcezza di ieri notte, quando bagnato mi seguì sino in casa, ma le raccontai della festa a sorpresa e della cena che mi attendeva quella sera. A cosa volessi realmente da lei, ci arrivò subito ed aprendo il mio armadio mi diede una mano a scegliere
 
«sai è davvero poco opportuna la tua roba, prendi questi e segui me» mi passò i jeans e una camicia bianca, li poggiai sul letto e andai con lei nell’altra stanza. Aprì il suo armadio e mi passò un paio di scarpe e uno straccetto che feci fatica a capire cosa fosse.
 
Mi sistemò come se fossi la sua bambolina: mi vestì, mi pettinò e mi truccò, lei aveva gusto e nessuno osava dubitarne. Decretò la fine del suo operato e dopo essermi specchiata, non riconobbi la mia figura riflessa, non mi avrebbe riconosciuto neppure mia madre. Aveva acconciato i miei ricci capelli, mi aveva truccato con tonalità leggere, non si riusciva neppure a scorgere il trucco, il mio abbigliamento era stato arricchito da un suo gilet e da una collana di perle. Mi girai e rigirai per non so quante volte, per capire se fossi davvero io. Poi il telefono prese a suonare ed il messaggio di Jay arrivò come al solito appena la sua macchina fu ferma davanti al residence.  Agitatissima guardai Katy ed mi prese il panico come mai sino a quel momento.
 
«Cosa ti prende Sophie, non è mica il primo appuntamento»
«Lo so… ma .. è la prima volta che esco con lui dopo che…»
«Dopo che ci sei andata a letto e ti imbarazzi… lo so… lo so»
«No… non ci sono andata a letto, Katy»
«Cosa?!? Come hai fatto a resistergli… comunque tieni …  ti serviranno questi» prese una scatola da dentro l’armadio e me la passò.
«No Katy… non ho nessuna intenzione di… uffa Katy… è che lui si è innamorati di me… è quello che mi ha detto … ed io ho paura di deluderlo»
«Tu non lo deluderai e se non ti senti pronta, non credo proprio che lui non lo rispetti, tranquilla»
«E che …ho paura che lui voglia passare al livello successivo»
«Fai solo quello che ritieni giusto fare»
 
Le sorrisi e dopo aver fatto un grosso respiro aprii la porta, feci gli scalini piano, avevo paura di cadere, non ero brava a camminare sui tacchi e appena fuori lo vidi, come al solito se ne stava appoggiato all’auto .  rimase a guardarmi stranito ed io cominciai a diventare non so di quanti colori.
«Ciao»
«Ciao, sei bellissima»
«Dai, ti prego… »
«Dico sul serio… spero di essere all’altezza…»
 
Mi asprì lo sportello dell’auto e mi fece accomodare prima di richiuderlo, poi si sedette al posto di guida e riparti.
 
Arrivammo  a Santa Monica e ci fermammo a mangiare in un locale che dava sull’oceano, era incredibile quel posto e lui sembrava visibilmente imbarazzato. Non riusciva a scherzare con naturalezza, sembrava bloccato dalla situazione o semplicemente da quello che era successo tra di noi e da quello che ci eravamo detti.
 
Mi invitò a fare un passeggiata e andammo sulla riva e li non riuscii più a trattenermi
«Cosa ti prende Jay»
«Perché?!? »
«Sei strano… ti sei forse pentito delle parole che mi hai detto?!? »
«No Sophie, non è quello »
«Allora dimmi cosa hai»
«E che non so come comportarmi con te, dopo quello che ci siamo detti, e … e come sei scoppiata a piangere l’altro giorno»
«Capisco»
«No credimi… non credo che tu abbia capito… vedi io non sono così… ma forse non sono nemmeno come mi vedi tu… e non vorrei mai mostrarti una persona che sicuramente non ti piacerà»
«Comportati come ti sei comportato fino a oggi, non devi cambiare nulla… mi piaci così come sei»
«E se così non fossi io?!? »
«Jay quello che ho visto fino ad ora di te è quello che mi ha fatto innamorare… se verrà fuori dell’altro, qualcosa che non so… mi possa dare fastidio … sarò la prima a dirtelo… ma ti prego, scherza con me come hai fatto fino ad ora. »
 
Finimmo la nostra passeggiata parlando di noi, delle nostre passioni e di quello che ci piace, delle nostre famiglie e di quello che ci mancava di più
 
«Uscire con i miei amici senza essere riconosciuto, camminare tranquillamente per strada senza incontrare un fotografo… forse è questo quello che mi manca di più…e a te»
«La tranquillità di fare ciò che è giusto, poter fare quello che più mi passa per la testa senza sentire dentro di me una specie di freno »
«Se vuoi posso aiutarti»  prese il mio viso tra le mani e con le labbra sfiorò la mia bocca,  sentivo il sapore di quei baci, ed era di sicuro il sapore più dolce che io avessi mai provato. Quel bacio crebbe d’intensità, e mi ritrovai a giocare con il suo labbro e la sua lingua. Si rilassò, appoggiando la fronte contro la mia e sorrise…
«Era tutta la sera che volevo farlo»
 
Raggiungemmo l’auto e presto la via di casa.  Il venticello entrava dal finestrino lasciato aperto… non faceva così freddo, ed il profumo di brezza marina scomparve piano piano, sino a non lasciare più traccia di se appena entrammo nella statale.  Lo continuavo a guardare con la coda dell’occhio mentre lui, invece, molte volte sembrava soffermarsi a guardarmi quando il traffico bloccava la sua andatura. Si parcheggiò vicino casa sua e spegnendo il motore mi disse che per lui era ancora presto per accompagnarmi a casa.
 
«Beh, mi chiedevo se ti andava di vedere un film»
«Sì perché no»
 
Casa sua era stranamente silenziosa e buia, e sembrava che a lui quella situazione non dispiacesse, quando fummo dentro non accese neppure la luce, ma chiuse semplicemente la porta e afferrandomi per un braccio mi appoggiò contro la fredda parete  e mi baciò.  La sua bocca sembrava assetata di baci, le sue mani vogliose di sentirmi e accarezzavano la pelle come seta. Il braccio, poi la mano, la strinse, come se volesse che in qualche modo fossi io a fermarlo se non avessi voluto fare ciò che lui aveva in mente in quel momento. Le sue labbra si mossero verso il mio collo, lasciando una scia umida che mi solleticava. Si mosse ancora, sta volta le mani andarono sui bottoni della mia camicetta.
 
«Aspetta, aspetta… il tuo amico?!? »
«Non c’è a casa e non so nemmeno a che ora torni» e riprese quel gioco suadente fatto di baci e carezze mentre le sue mani ripresero a giocare con i miei bottoni.
«Ma… non dovevamo vedere un film»  a malapena si staccò da me, appoggiò una mano alla parete e fece un grosso respiro,
«Ok… seguimi da questa parte»
Accese finalmente la luce e gli andai dietro sino ad arrivare in camera sua. La camera era stranamente in ordine, il che mi fece capire che l’intenzione che avevo percepito della serata era quella giusta, aveva organizzato tutto, nei minimi dettagli ed io come al solito avevo rovinato tutto. Mi fece la lista dei film che aveva ed io senza esitare gli indicai il titolo,  poi ci sdraiammo comodamente sul letto e mentre il film iniziava con la sua trama, lui mi prese tra le sue braccia poggiando la testa sulla mia.
 
Come era naturale che succedesse indietreggiai la testa e lo guardai negli occhi, di risposta chiuse i suoi e mi baciò. Appoggiai le spalle al materasso e la testa al cuscino, mentre le sue labbra continuavano a stuzzicare e mie, la sua mano mi accarezzò la guancia, scendendo poi sul collo ed infine il suo dorso percorre leggiera sulla camicetta. In pochi secondi sbottonò tutto e mi ritrovai con le sue mani che lambivano la mia pelle. I suo baci percorsero il mio collo il mio petto, mentre le sue mani andavano ad avventurarsi sotto la mia cintura. Il cuore batteva all’impazzata, la salivazione si azzerò e un brivido freddo mi percorse il corpo, non sapevo cosa in quel momento io volessi, se fermarlo o continuare.  Le sue labbra sfiorarono il mio ventre e le sue mani aprirono l’unico bottone dei miei jeans, poi abbassò la lampo e li afferrò per abbassarli. Sentivo che bastava davvero poco prima che il mio cuore mi esplodesse in petto, l’aria divenne pesante e a fatica usciva dai miei polmoni, la testa iniziò a girami e una sensazione di insicurezza mi bloccò all’improvviso. La mia mano si alzò pesante dal materasso, avrei voluto fermalo o forse no… non sapevo cosa volevo in quel momento ma prima che la mia mano potesse poggiarsi sulla sua spalla, il rumore di chiavi attirò la nostra attenzione. Si alzò dal letto imprecando e andò verso l’altra stanza dove sicuramente avrebbe trovato l’amico appena rincasato.  Dopo una breve conversazione tornò in camera e si accomodò sul letto. 

 
«Ben non sta bene, mi dispiace… se vuoi ti riaccompagno a casa».
«No… finiamo di vedere il film» risposi riabbottonandomi il tutto».
 
Mi accomodai come prima e lui mi riprese tra le sue braccia. Quello che era successo, il semplice fatto che lui si fosse fermato tutte le volte che glielo avevo chiesto e che, nonostante tutto, avesse capito che non doveva insistere, che si doveva fermare, riuscirono a darmi la tranquillità che avevo tanto bramato quella sera, così mi addormentai all’improvviso senza rendermene neppure conto.  

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Capitolo 23
*** Capitolo 22: A CUORE APERTO ***


Capitolo 22:A CUORE APERTO

 
Abbassai per un attimo lo sguardo. La vidi li, piccola e indifesa tremare sopra le coperte. Allungai la mano e presi il piumone ai piedi del letto e la coprì. Si era addormentata e non volevo svegliarla, l’accarezzai appena e si mosse per un attimo rannicchiandosi contro il mio petto. Come un perfetto contorsionista mi tolsi gli stivai dai piedi e mi sistemai meglio sul letto stringendola ancora più a me. Che strana sensazione provavo in quel momento, mi sentivo bene e quel piccolo scricciolo tirava fuori da me lo stato più affettuoso, quello che ormai avevo perso da tempo. Spensi la tv e mi addormentai con lei al mio fianco, sicuramente avrei potuto dormire tranquillamente, non aveva obbligo di tornare a casa e di sicuro non mi sarei ritrovato suo padre sotto casa pronto con un fucile in mano. Ancora un altro po’ ad immaginarmela nel buio di quella camera e poi anche io chiusi gli occhi abbandonandomi al sonno.
 
Anni a alzarmi presto la mattina avevano spostato di molto il mio orologio e ormai il mio mattino iniziava alle cinque ma, quel giorno stringendola tra le braccia rimasi qualche ora in più a bearmi di quella calorosa stretta e di quella testolina contro il mio petto. Aprii gli occhi e le nuvole sembravano coprire quel pallido sole di dicembre, dalla finestra entrava poca luce e la mia dolce accompagnatrice non si svegliò, si spostò leggermente quando mi stiracchiai un attimo e spostò la testa dall’altra parte. La fissai per qualche minuto considerandomi un uomo fortunato in quel momento anche se ancora non riuscivo a capirla.
A volte le parole di Ashley si ripetevano come un eco nella mia testa, come se  non avesse tutti i torti, come se io non gli piacessi sul serio ….e se da me volesse qualcos’altro?!?
Ero abituato a miriadi di ragazze che per me avrebbero fatto la fila… ma lei no…
donne che si presentavano d’avanti alla mia camera d’albergo e che da me volevano solo una notte di passione… ma lei no…
chi continuava imperterrita a lasciarmi numeri di telefono e chi mi sussurrava parole irripetibili pur di stare con me… ma lei no…  e questo mi faceva impazzire…
Lei era quello che io volevo in quel momento e lei questo non sembrava averlo capito, volevo lei, volevo baciarla, accarezzarla, volevo sentire il calore del suo corpo sul mio, volevo fare l’amore con lei e questo sembrava darmi il tormento, invece lei .. non sapevo neppure cosa volesse lei da me, mi aveva detto che io le interessavo e poi… nulla più… si era appena sbilanciata a Las Vegas, per poi scappare via e non farsi neppure sentire… quella ragazza mi stava dando il tormento e questo strano giochetto fatto di visite coccole baci e basta… iniziava a starmi stretto. 
 
Spostai il mio sguardo di qualche millimetro e inevitabilmente l’occhio cadde sulla scollatura.
Alla camicetta era saltato qualche bottone e alla vista delle sue forme era cresciuta in me una voglia matta di farla mia, di amarla fino a che le mie forze non mi avessero fatto cedere. Distolsi lo sguardo qualche secondo.. poco per la mia debole forza, e poi come una calamita mi avvicinai a lei, con una strano calore nello stomaco che sembrava mozzarmi il respiro. Scivolai sotto le lenzuola sino a che i miei occhi fossero proprio d’avanti alle sue palpebre chiuse. Tesi la mano e delicatamente la passai sul suo viso, sulle sue guance arrossate dal caldo, e sui suoi capelli sparsi sul cuscino. I suoi occhi cercarono di aprirsi piano come uno dei miei sogni più belli, le sue labbra si distesero in un sorriso. Avvicinai la mia bocca alla sua, ancora prima che lei aprisse gli occhi e mi avventai su di lei, forte di quella passione che mi aveva invaso solo pochi minuti prima. Rispose passiva al mio bacio, poi anche le sue labbra iniziarono a muoversi plasmandosi con le mie.
 
La spostai facendola sdraiare meglio sul letto, mi alzai quel poco che bastava per continuarla a baciare, mentre la mia mano avida iniziò a muoversi su di lei, facendo saltare quei bottoni che ancora la tenevano celata al mio sguardo. La mia mano lambì quello squarcio di pelle che si intravedeva e l’accarezzai sino ad sfiorare i suoi fianchi, strinsi di poco la presa e la girai verso di me per portarla sul mio petto. I suoi occhi si aprirono all’istante, come se fosse stata svegliata bruscamente, come se le avessi fatto del male, e sgranò per un attimo gli occhi. Mi fermai di risposta e la guardai gelato e colpevole, come se avessi fatto qualcosa che andava contro quello che avevo sempre predicato. La fissai per qualche secondo. Il fiato si era accorciato e i suoi respiri erano di spavento, come se fosse riuscita a fuggire da un serial killer solo pochi minuti prima. Ritrassi via le mani da sotto le coperte e la guardai ancora per qualche secondo, poi la tensione sparì dal suo volto ed un piccolo sorriso si fece spazio a fatica.
 
«Buongiorno Jay» disse sorpresa e meravigliata, mentre piano piano prendeva confidenza con quello che la circondava e soprattutto con me
«Buongiorno a te Sophie» risposi sorridendo, i nervi si sciolsero e in un attimo tutto tornò a bollire e a scaldare le mani che ancora la tenevano stretta al petto.
«Dove siamo?!?» all’improvviso si accorse di essere fuori dal suo letto, gli occhi le si erano schiariti e finalmente fu sveglia.
«Come dove siamo, ieri sera ti sei addormentata e non ti ho svegliata…»
«Come mi sono addormentata… che ore sono….- si tirò su dal letto come una molla e si mise a sedere sulle ginocchia portate indietro in tutta fretta, cercò disperatamente un orologio e dopo aver letto l’ora scattò in piedi in un baleno - O cavolo sono le 7… devo andare a casa» riuscì a trattenere appena la sua mano che tremante si contorceva su se stessa.
«Aspetta un attimo, non c’è nessuno che ti aspetta, ti prego rimani ancora con me…»
«Ma io… » poi con l’altra mano sfregò nervosamente la mia sino a che la lasciai, ma lei non scappò, rimase li, davanti a me, torturandosi le dita sino a farle scrocchiare.
«Ti prego… giuro che farò il bravo» avrei fatto del mio meglio per poter rimanere ancora qualche minuto con lei, solo con lei. Con Ben malato nell’altra stanza, avrei avuto la certezza che nessuno sarebbe venuto a disturbarci.
«Non è quello… e che…» tentennò per qualche minuto, ma per me divenne molto facile scorgere nella sua incertezza dovuta alla mia mancanza di rispetto, si … molto probabilmente aveva paura di me, di quello che era successo tra di noi poche ora prima e di quel colpo di testa mattutino.
«Scusami…»
«Cosa?!?» si fermò all’istante, riaprì gli occhi e mi guardò come non aveva mai fatto fino a quel momento
«Era la cosa più naturale del mondo, innocente e pura credimi …e se ti ha dato fastidio scusami, non avrei mai voluto mancarti di rispetto e mai lo farò»
«Non mi ha dato fastidio … e che…»
«Sento che c’è qualcosa … forse in me che ti da fastidio, forse sono troppo esuberante, troppo spontaneo… forse…» si sedette vicino a me e la sua mano si mosse leggiadra sfiorando con il dito le mie labbra, poi un piccolo respiro uscì dalla sua bocca
«Shhhhhh… non c’è nulla di te che mi infastidisce… non essere stupido - poi quel viso serio si illuminò con un sorriso - ok rimango ancora un altro po’ ma dopo la colazione mi porti a casa…- prese a bacchettarmi come una maestrina, poi alzò gli occhi fissando per un attimo il soffitto - se mio padre sapesse»
«Come tutti gli italiani… me lo ritroverei sotto casa pronto a uccidermi se solo ti avessi toccato»
«No… mi padre non è affatto così… sono io che tendo a non mancargli di rispetto» mi disse risistemandosi accanto a me, le cinsi di nuovo la vita e appoggiai il mento sulla sua spalla.
 
Ripresi ad accarezzarla, e subito i nervi si distesero o con loro anche lei che si sistemò di nuovo sotto le coperte coprendosi sino al collo. Poi alzò lo sguardo e iniziò a diventare rossa e a nascondersi intimidita da qualcosa che in quel momento la fece diventare più carina di quanto non lo fosse già.
«Che c’è» chiesi sorridendo
«Nulla è solo»
«E’ solo?!?»
«Che mi è piaciuto il buongiorno.. non è per niente male essere svegliata così» sprofondò sotto il piumone per la vergogna mentre io ridevo di gusto alla luce del sole.
 
Era presto per alzarsi e per fare colazione, rimasi sotto le coperte a parlare con lei, a ridere scherzare ed a parlare di tutto e di niente. Era bello poter parlare liberamente, quel giorno finalmente avevo tutto il tempo per me, per dedicarlo alle persone che amavo e … a parte andare a trovare i miei genitori per i festeggiamenti del nuovo anno, lei era l’altra persona che amavo e a cui avrei sicuramente dedicato la mattinata.

 
Mi ero addormentata a casa sua e vedere ancora prima della luce, i suoi occhi, fu il risveglio più bello della mia vita. Era la seconda volta che ci addormentavamo nello stesso letto e lui non fece mai nulla che potesse violare ciò che io provassi e sentissi nei suoi confronti. Solo quella mattina aveva accentuato il desiderio che lui aveva di me, ma poco dopo aveva indietreggiato chiedendomi scusa, moto probabilmente a causa dei miei turbamenti e delle mie solite insicurezze. Ero sicura di lui, di quello che provavo e l’unica cosa che ci sarebbe stato da fare era chiarire con lui il mio comportamento senza per questo raccontargli il mio dolore, quello che più di tutti mi trasformava in una bambina indifesa.
 
«Aspetta qui… arrivo subito… vediamo se ho imparato a conoscerti»
Sparì dietro la porta, per una attimo sorrisi pensando che aveva addosso ancora i vestiti del giorno prima, ma poi pensai che nessuno forse avrebbe fatto come lui, nessuno avrebbe aspettato così tanto che una ragazza si decidesse, o semplicemente avrebbe approfittato delle due serate passate insieme. Dovevo ammetterlo era un uomo d’altri tempi. Scesi giù dal letto e scalza calpestai il parquet scuro della sua camera, mi avvicinai verso un tavolino dove aveva tutte le foto e vidi che lui era sorridente e allegro, che con gli altri si comportava in maniera normale, smorfie e sorrisi. Poi una foto attirò la mia attenzione, lui abbracciato ad una bionda ragazza, non conoscevo la sua vita passata, e non sapevo neppure come era composta la sua famiglia, ma non sembrava affatto che lei fosse sua sorella. Distorsi lo sguardo un attimo e mi persi tra i miei pensieri, non avrei fatto domande su nessuna delle persona abbracciate a lui; ben che meno della biondina che sembrava strangolarlo abbracciandolo, poi sentii dei passi e subito mi risistemai sul letto. Un attimo dopo la porta si aprì e lui entrò con un vassoio carico di roba da mangiare. Con il piede chiuse la porta evitando così di appoggiare la colazione, sorrisi per quella goffaggine e lui con me.
 
«Hai accettato di fare colazione con me, e qui c’è tutto, spero di essermi ricordato cosa ti piace»
Si sistemò sul letto e appoggiò il vassoio sulle ginocchia, poi mi passò una tazza e sorridendo indicò ed elencò tutto quello che era riuscito a mettere su quel minuscolo rettangolo, poi mi sorrise e mi passò un Muffin.
«hai mirtilli vero?»
«sì»
«Che fortuna…era l’ultimo… se Ben non fosse stato malato ti avrei fatto assaggiare i suoi pancake»
«Non li ho ancora mangiati»
«Cosa?!?.. sono … quanti 4 mesi che sei qui e non hai ancora mangiato i Pancake… - feci un piccolo cenno di dissenso – allora quando Ben starà bene sei ufficialmente invitata a colazione qui da noi»
 
Consumammo la colazione in religioso silenzio, c’era dell’imbarazzo tra di noi, forse per le domande che uno voleva porgere all’altro e forse nessuno dei due aveva il coraggio di fare. Quel silenzio stava per consumarmi i timpani, così decisi che era ora di fare la prima mossa. Schiarii la voce ed iniziai a dirgli quello che sentivo.
«Jay, io… volevo scusarmi con te»
«per cosa?!?»
«per come mi sono comportata con te, e per come mi comporto ancora oggi»
«di cosa stai parlando?!?»
«mi dispiace averti fermato ieri sera, e sta mattina, ma… io non mi sento ancora pronta..»
«ti capisco… ma io…»
«fammi finire, ti prego… non vorrei tornare di nuovo a parlare delle solite cose, ma tu sei per me qualcosa di inarrivabile»
«io sono qui… con te» prese le mie mani e le appoggiò sul suo petto 
«non era quello che intendevo… vedi, tu sei perfetto, se non fossimo lontani da casa, se io non avessi così paura, tu saresti l’uomo per me, ma ho mille incertezze che mi girano in testa»
«continui con la questione della distanza, con il fatto che devi tornare in Italia… ci sono tante opportunità di lavoro qui, perché non consideri anche questa di opzione»
«perché sarebbe sbagliato, un giorno tu potresti non tornare da me, ed io mi sentire sola in quest’enorme città, e non sarei in grado di affrontare la cosa»
«ma non rimarrai sola, la vita va avanti, tutto cambia, le persone cambiano, crescono e fanno nuove conoscenze, magari sarai tu a non volermi più, magari salterà fuori un lato di me che non ti piacerà o addirittura ti potrai innamorare di qualcun altro ed io sarò quello che si sentirà solo»
«ma io devo tornare in Italia Jay, io non posso rimanere qui per sempre» quelle parole sembrarono aprirmi un mondo
«è solo questo che ti frena… o c’è dell’altro… forse non vuoi dirmi la verità, che io non ti interesso, che io non sono…»
«Ok … forse non mi sono spiegata… forse così …» mi avvicinai e gli sfiori le labbra, sentivo il suo sapore nella mia bocca e il suo caldo respiro solleticarmi la guancia, i nostri occhi rimasero chiusi per non so quanto tempo, poi riprendendo fiato continuai.
«vedi, io … ti tengo a te, provo qualcosa per te, ma ti prego dammi del tempo per decidere cosa fare, per capire come comportarmi»
«cosa vuol dire che io devo farmi da parte?!?»
«no, al contrario, voglio che tu continui a cercarmi, a starmi vicino… a provarci se ne senti il bisogno, ma devi anche essere disposto a tirarti indietro se vedi in me un briciolo di imbarazzo o di tristezza» sorrise e mi baciò
«Contanci… approposito… ho in mente una sorpresa… a te piacciono le sorprese?!?»
«No… io odio le sorprese»
«Bene… allora dovrai solo aspettare... tra una settimana avrai la tua sorpresa»
«Di che si tratta»
«Naaaa… non funziona così… devi resistere»
Incrociai le braccia e feci il broncio, poi si avvicinò a me, ma io prontamente mi girai dall’altra parte, ci provò svariate volte, e ogni volta il suo sorriso si apriva sempre di più sino a diventare una fragorosa risata, divenne contagiosa ed infine fu il mio telefono a riportarmi con i piedi per terra. Dovevo andare, Katy telefonò agitata chiedendomi che fine avessi fatto e che appena a casa avrei trovato una sorpresa…
«Due sorprese non riesco a reggerel»
«Ok.. ma tieniti forte… tua sorella è qui e non solo lei»

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Capitolo 24
*** Capitolo 23: REGALI DI NATALE ***


**scusate ma, una vita frenetica ha ostacolato parecchio la stesura di questo capitolo... giuro che non l'ho farò più :P 


Capitolo 23: SORPRESE DI NATALE

 
Quel 24 Dicembre tornai al mio appartamento sicura di trovare qualcuno della mia famiglia, mia sorella Giulia e poi… qualcun altro.
Era quello che mi aveva messo di più in agitazione. Nella mia vita non mi ero mai addormentata in un letto che non fosse il mio ma quella notte, avevo per la prima volta fatto qualcosa che era sicuramente fuori dai miei canoni e mi preoccupava pensare che ci sarebbe stato qualcuno pronto a riprendermi.

Quando scesi dalla macchina avevo il cuore in gola, mia sorella non mi avrebbe mai detto nulla, anzi avrebbe esultato peggio di un ultrà al gol del suo idolo calcistico, ma l’altra persona cosa avrebbe detto?!?! Jay rimase in auto a fissarmi e non disse nulla, mi guardava sorridendo come se la cosa lo divertisse tanto.

«tra meno di due ore ho un aereo… ma spero di vederti al concerto tra qualche giorno
» dalla mia bocca non uscì nulla, solo un lieve respiro affannato e carico di agitazione. Mi voltai a guardarlo, mi dispiaceva lasciarlo così, non avevamo avuto il tempo di parlare di cosa era successo e di cosa poteva succedere, senza dirgli qualcosa di speciale o semplicemente a domani.

«beh… direi che…»il telefono riprese a suonare. Uscii velocemente dalla macchina senza nemmeno pensarci. Chiusi con forza lo sportello… quasi si staccò dalla potenza con cui lo feci sbattere, mi girai un attimo per assicurarmi che fosse ancora attaccato  e poi corsi via.

Aprì il portone del residence, mi facevo schifo da sola. “che diavolo mi è saltato in mente, perché non sono tornata indietro a salutarlo come meritava” pensai. Salì le scale con un nodo alla gola, per quello che mi aspttava e per quello che avevo lasciato, per come l’avevo lasciato… un bacio ecco cosa era mancato, adesso che tutto sembrava venire più naturale.
La porta si spalancò da sola lasciando le chiavi ancora attaccate alla toppa.

«sorpresa!!! » Giuly mi accolse alla porta abbracciandomi ed io rimasi pietrificata nel vedere chi ci fosse insieme a lei. Andrea se ne strava immobile vicino al divano, intrecciano le mani dietro la schiena. Erano anni che non lo vedevo, lui e il suo lavoro. Corsi come una furia saltandogli in braccio e con gli occhi lucidi dalle lacrime che facevano fatica ad uscire, gli dissi quanto mi era mancato.
….

Mi strinsi ancora un po’ più a lui, sentivo il calore di quel corpo caldo avvolto con me tra le lenzuola e per un attimo un sorriso si dipinse sul mio viso. Mi appoggiai a lui ed aprì lentamente gli occhi, la viste era ancora appannata, strabuzzai gli occhi fino a vedere una sagoma maschile che mi guardava fisso, felicemente curioso di quella mia riscoperta affettuosità. Sbattei le palpebre più volte sino a che la vista si delineò e la persona a me vicino si fece più chiara. All’improvviso mi alzai di scatto e le mie guance si colorarono di rosso e il leggero freddo di dicembre in California era solo un tiepido soffio in confronto al gelo che cadde in quell’istante in camera mia.

«Buongiorno… non pensavo ti fossi mancato così tanto» sorrisi stranita ed imbarazzata… 
«certo che mi sei mancato Andrea che domande» sentii le guance in fiamme
«cosa sognavi Sophie.. o dovrei dire chi… sognavi»
«smettila, cosa vuoi che sognassi, il natale a casa ecco cosa sognavo»
«e dovrei crederti
»  lo faceva di proposito a farmi saltare le staffe

Mi alzai dal letto sbattendo i piedi ed uscì da quella stanza, non avevo voglia di dare spiegazioni, tanto meno a lui… e già, come avrei spiegato a mi fratello che stavo sognando lui, quell’uomo che sembrava aver fatto breccia nel mio cuore, colui che forse era riuscire a sciogliere quell’enorme gelo.

«cosa succede» Giuly uscì dalla cucina insieme a katy e mi guardavano perplesse.
«non dirlo a me chiedilo a lui… è sempre lui che inizia»
«siete i soliti bambini, non solo a casa… ma anche adesso che non vi vedete da 5 mesi riuscite a beccarvi»
«mi abbracciava come se gli fossi mancato… io… che di solito mi insegue con il bastone in mano» chiusi fuori dalla porta mio fratello e mi preparai per affrontare un nuovo giorno ed un altro tour per le vie californiane.

Ma che diavolo mi era preso, non solo mi ero vergognata come una bambina per il semplice fatto che mio fratello mi avesse quasi scoperto, ma quel sogno era così reale, e l’abbraccio con Andrea lo aveva enfatizzato ancora di più….
Il giorno passò velocemente tra negozio strade e piccole soste tra i vari caffè del centro, non mi resi conto del tempo che passava, e mentre rientravamo mia sorella insisteva per una serata mondana, una di quelle serate americane piene di fiumi di alcool e di bei maschioni… così l’aveva definita lei. Appena misi il piede i casa Katy quasi mi saltò in braccio.

 «AAAAAAAAAAAAhhhhhhhhhhhhhh… vieni Sophie, presto» katy mi afferro la mano e mi tirò verso il divano e ancora prima di dirmi cosa fosse successo mi sforzai di capire perché diavolo le fosse venuta una crisi isterica, di solito bastava che io le raccontassi di Jay, o semplicemente sapere che lui fosse sotto casa nostra per far manifestare in lei quella crisi incontrollabile.
«Cosa succede, perché urli così?!?! »
«tieni, questo è tuo» mi passò un pacchettino rosso e su un bellissimo bigliettino natalizio c’erano le sue iniziali “MJRV” , ecco perché le urla di Katy, sulla scartalo aveva fatto uno dei suoi scarabocchi e la sua inconfondibile firma.  La tenni in mano per qualche secondo fissandola pensierosa, poi alzai lo sguardo. Mia sorella sembrava al quanto  perplessa, mio Fratello stranito, mentre Katy era in uno strato d’animo inimmaginabile.
«Dai cosa aspetti» incitò mia sorella «anche se non ho capito di che si tratta sembra essere importante… almeno per lei» disse mentre con il pollice indicava la mia inquilina ormai estremamente agitata.
«ok, ok… la apro» mi sedetti sul divano mentre le tre civette mi osservavano dietro le mie spalle.
Aprii la scatola e la svuotai completamente scaraventando l’intero contenuto sulle mie ginocchia.
Per primo scivolò giù il nuovo Cd del gruppo, con gli autografi di tutti, per la gioia di Katy, che iniziò a saltare come una pazza per il salotto.
Poi guardai bene tra i vari bigliettini, foto e quant’altro, trovai 5 pass per lo spettacolo che ci sarebbe stato in serata.
A quel punto la gioia di Katy raggiunse il limite mentre io continuavo a pensare a come me la sarei cavata con la mia famiglia.

«E… chi sono questi qui… mmmm però…. Niente male il biondino, ed anche il moro…wow»  era difficile dire alla mia famiglia cosa era successo da quando avevo messo piede a Los Angeles, ed ancora peggio era riferire loro che finalmente avevo affrontato la paura verso gli uomini, che riuscivo a guardarlo negli occhi e che... mi ero innamorata e che l'idea d tornare a casa iniziava a farmi stare male. 
«allora?!? » la voce di mia sorella mi riportò con i piedi per terra
«cosa!?! »  caddi dalle nuvole in un solo istante
«chi è questo che ti ha invitato e ... perchè non mi hai detto nulla»
«non ti ho detto nulla perché… non c'era niente da dire» le risposi freddamente mentre cercai letteralmente di sfuggire andandomi a nascondere nell’altra stanza.

Non volevo domande su Jay perchè non volevo dare nessuna risposta. Mia sorella era una persona che pensava al divertimento … era brutto da dire ma lei… era la classica ragazza facile dove bastava che qualche ragazzo carino le dicesse ciao e lei era pronta ad innamorarsi, e forse era questo che mi preoccupata della situazione, il fatto che mia sorella si potesse innamorare di Jay, del mio Jay.

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