La radura di Kitsune Blake (/viewuser.php?uid=144318)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo viaggio ***
Capitolo 2: *** Dopo la battaglia ***
Capitolo 3: *** Emozioni ***
Capitolo 4: *** Malesseri ***
Capitolo 5: *** Pensieri proibiti ***
Capitolo 6: *** Incontri e separazioni ***
Capitolo 7: *** Dubbio e speranza ***
Capitolo 8: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 9: *** Sogno e realtà ***
Capitolo 10: *** Attesa. Su due fronti ***
Capitolo 11: *** Scontri ***
Capitolo 12: *** E nella notte, attimi di pace ***
Capitolo 13: *** Rivelazioni ***
Capitolo 14: *** Furia ***
Capitolo 15: *** Amore, dolore ***
Capitolo 16: *** Destino incombente ***
Capitolo 17: *** Un altro viaggio ***
Capitolo 1 *** Il primo viaggio ***
La mano
demoniaca lotta e protegge.
La mano umana
alleva e sostiene.
-Inuyasha,
the movie4: Song of Parting-
Il
primo
viaggio
Quell’inverno
nevicava spesso, quasi ogni giorno.
Una ragazza
stava osservando il mondo esterno, attraverso la
piccola finestra della sua portantina. Non aveva mai messo piede fuori
dal
palazzo prima d’ora, quindi non aveva mai visto alberi e
piante diversi da
quelli del suo cortile. Sarebbe stato meglio se il trasloco fosse
avvenuto in
primavera, almeno in questo modo la natura sarebbe stata più
variopinta e più
divertente. Ma anche così non era male. Nevicava
copiosamente, e la terra verso
l’orizzonte si confondeva col cielo, tanto il colore era
simile. Ci si poteva
accorgere della lontananza degli oggetti solo grazie ai radi alberi, i
cui
tronchi scuri erano in enorme contrasto con la neve che gravava sui
rami. Tutto
questo a lei piaceva, e giurò anche di aver visto una
piccola volpe candida
scivolare veloce da un albero all’altro, forse alla ricerca
di un riparo.
Un sussulto
interruppe il filo di pensieri della giovane, che
sentì una voce maschile provenire dall’esterno.
“Vi prego di perdonarci
principessa, ma questa neve ci impedisce di vedere gli ostacoli sul
sentiero”.
La voce era dolce e riverente.
“Non
preoccupatevi, non è successo niente. Vi ringrazio,
anzi, per l’enorme sforzo che fate per me” disse
dolcemente la ragazza, che non
era per nulla infastidita da quel viaggio scomodo. Oltre ad apprezzare
il
paesaggio, infatti, la principessa era dispiaciuta per quei poveri
inservienti,
costretti a portarla al nuovo palazzo in una giornata così
gelida. Si sentiva
vagamente in colpa.
Tuttavia lei non
sapeva che coloro che si erano offerti di
accompagnarla erano ben consci del viaggio che li aspettava. Guerrieri,
servi e
paggi non avevano vacillato nemmeno per un istante nella loro scelta,
perché
adoravano la loro piccola padrona. Ormai era diventata grande, ed era
in età da
marito, ma tutti l’avevano vista crescere. Il suo animo era
dolce, buono e
delicato come il profumo di una rosa di maggio, e aveva sempre trattato
bene i
suoi servitori.
Per questo
motivo tutti i componenti della scorta erano
decisi a portare la principessa sana e salva alla meta. La giornata era
fredda
e pungente, certo, ma così come lo era per loro lo era anche
per i briganti
della zona, che difficilmente si sarebbero fatti vedere. Era
più probabile
infatti che fossero al riparo in qualche locanda, a sperperare i beni
rubati
per bere sake e intrattenersi con donne “molto ben
disposte”. Tutto sommato,
quindi, la giornata era ideale per trasportare la loro principessa
nella sua
nuova dimora, dove il padre la stava aspettando ansiosamente.
Il signore in
effetti era molto in ansia, pur sapendo che sua
figlia era in buone mani. Da quando sua moglie era morta era diventato
sempre
più protettivo. Ne era certo, con la scorta che aveva
sarebbe stata ben
protetta praticamente da tutto. Ma non dai demoni. Girava voce infatti
che a
nord fossero scoppiate grosse battaglie fra demoni molto potenti. Basta che restino dove sono,
pensò lui, una volta che la mia
bambina sarà qui sarà
del tutto al sicuro…
Infatti nemmeno
il palazzo da cui venivano era più una dimora
intoccabile. Le guerre tra feudatari si stavano espandendo a macchia
d’olio in
tutto il Paese, e la loro terra era ormai stretta da una morsa. Il
signore non
amava combattere e sacrificare i suoi uomini, ma era stato costretto a
farlo
per avere quel podere, che era perfetto per celarsi alle guerre: si
trovava in
mezzo a una fitta foresta, al riparo da spie nemiche e occhi
indiscreti. Lì lui
e Izayoi avrebbero vissuto serenamente, fino a che non avessero trovato
un
marito ricco e adatto alla giovane. Possibilmente un potente feudatario
che li
avrebbe ulteriormente protetti.
Nel frattempo
Izayoi era tornata a contemplare il paesaggio.
Gli alberi si stavano infittendo: larici e pini erano sempre
più numerosi, e la
strada adesso era in salita. Non nevicava quasi più, solo
qualche fiocco
minuscolo cadeva lentamente per andare a perdersi in quel mare candido.
Il
cielo imbruniva.
Mancava poco
all’arrivo. Ma la principessa non riuscì a
resistere e si addormentò.
L’angolo
dell’autrice
Ecco
concluso il primo capitolo! Nonostante sia molto descrittivo, spero che
vi sia
piaciuto. A presto! ^^
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Capitolo 2 *** Dopo la battaglia ***
Dopo
la
battaglia
Il padre della
nostra principessa non aveva torto. A nord si
era appena conclusa una lunga battaglia.
Proprio in
quelle lande gelide, un uomo correva in mezzo a
una foresta. Era talmente veloce che difficilmente lo si sarebbe
distinto in
mezzo alla coltre bianca, poteva essere anche un animale.
Benché avesse il
fiato corto l’uomo corse senza sosta, finché non
arrivò sul ciglio di un ripido
pendio, per guardare il paesaggio sottostante.
Era uno sfacelo.
Molti alberi erano crollati, gli animali e i
demoni minori erano tutti fuggiti verso sud, lasciando la terra vuota e
senza
vita. I villaggi nella valle erano in fiamme.
Ma al nostro
uomo non importava di quegli stupidi umani.
Abitavano nel suo territorio e in un certo modo ne era infastidito, ma
non
aveva mai perso tempo a perseguitarli, e loro avevano timore di lui.
Comunque
erano tutti morti. Erano rimasti coinvolti nella battaglia, insomma si
erano
trovati semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un
peso in meno,
pensò il demone (perché di un
demone si trattava), mentre con un sospiro di dolore si sedeva a terra
a
riprendere fiato.
Era stato uno
scontro molto lungo più che duro, quello. Ma il
demone aveva vinto e aveva conquistato il suo premio. La spada si era
battuta
fino all’ultimo per avere il dominio del suo nuovo padrone,
il quale ad un
certo punto la estrasse dal fodero e si mise a contemplarla.
Sounga. Una
spada dritta, lunga e sottile, dall’impugnatura
lucente, semplice ed elegante. Splendida quanto letale.
Ma ora non
avrebbe più distrutto nulla, perché era sotto il
suo controllo. Mentre il demone la riponeva nel suo fodero
l’arma ebbe un
fremito: era ancora molto ribelle, ma non avrebbe più osato
mettersi contro il
suo padrone.
Inu No Taisho
aveva ripreso abbastanza fiato. Era tempo di
andare ormai. Si alzò da
terra, e ora che l’effetto della stanchezza era svanito si
poteva facilmente
notare perché gli uomini e gli altri demoni lo temessero.
Egli era un daiyokai,
un demone superiore. La sua figura si presentava alta e imponente.
Qualunque
sovrano della specie umana sarebbe stato nulla in confronto a lui.
Portava un
kimono bianco, raccolto alle caviglie da stivali leggeri
e scuri. Tale kimono era quasi totalmente ricoperto da
un’armatura nera, fatta
eccezione per le gambe e parte del petto. Anche le braccia erano
coperte da
protezioni: i sode* erano molto ampi, di un colore grigio lucente; essi
conferivano al demone, già di per sé estremamente
potente, un’ulteriore aura di
regalità. I kote* erano aderenti all’avambraccio,
leggeri e decorati con
semplicità. Una soffice pelliccia candida ricadeva
morbidamente dalle spalle
del daiyokai, coprendolo fino ai piedi. Sulla schiena portava la spada
chiamata
Sounga, mentre sul fianco sinistro portava altre due spade, chiamate
Tessaiga e
Tenseiga.
Ma
ciò che più incuteva timore e riverenza non erano
le armi
che portava con sé, almeno non solo.
Il suo sguardo.
Il viso di Inu No Taisho poteva essere quello
di un ragazzo: essendo un demone infatti non subiva i segni
dell’età come gli
uomini comuni. I suoi lineamenti erano perfetti, ma i suoi occhi erano
ciò che
colpiva di più: si potrebbe dire che fossero del colore del
topazio o
dell’ambra, o ancora del colore del miele. Uno sguardo
profondo e tagliente che
rispecchiava gli anni che il Grande Demone Cane aveva vissuto ma che
nel fisico
non mostrava. Aveva inoltre degli splendidi e lunghi capelli
d’argento,
raccolti in una coda. Tutto l’insieme gli conferiva un
portamento fiero e
regale, degno del rispetto di chiunque, umano o demone che fosse.
Inu no Taisho si
stava appunto alzando per andarsene, quando
qualcosa di minuscolo arrivò saltellando e gli
atterrò sulla spalla, in mezzo
alla folta pelliccia.
“Mio
signore, sono così contento nel vedervi sano e
salvo!”
Il piccolo demone pulce si aggrappò al collo del daiyokai e
prese a succhiare
il suo sangue.
“Myoga…”
disse Inu no Taisho con tono paziente, “non dovresti
preoccuparti tanto…è stata una battaglia lunga,
ma non difficile”. Tolse la
pulce dal collo e la mise sul palmo della mano.
“Ma mi
sembravate in difficoltà…” Myoga aveva
assunto un tono
preoccupato.
Il demone
sospirò. “Non hai visto bene. Vuol dire ti trovavi
ad una buona distanza di sicurezza dal luogo dello scontro.”
Aveva una nota
divertita nella voce.
La pulce parve
in evidente imbarazzo. “Ma guardate chi sta
arrivando padrone!”
Una sagoma
indefinita si avvicinava in volo. Inu No Taisho guardava la figura con
uno
sguardo indecifrabile, gli occhi color topazio scurivano mentre il
giorno
volgeva al termine. Totosai…,
pensò, non so perché,
ma non prevedo nulla di
buono…
Non distolse
lo sguardo finché il vecchio demone fabbro Totosai, sul
dorso del suo bue
volante, non atterrò con un tonfo al limitare della foresta.
Il daiyokai lo
raggiunse, il passo leggero e silenzioso.
“Cosa
ti
porta qui Totosai? Ho come l’impressione che tu sia arrivato
con cattive
notizie.”
Il fabbro si
schiarì la gola. “Eh, purtroppo sì. Ho
saputo che avete sconfitto e conquistato
Sounga infine. Potrei darle un’occhiata?”
Inu No
Taisho non se lo fece ripetere, e consegnò la spada al
vecchio demone. Sapeva
che nessuno meglio di lui avrebbe saputo analizzare
quell’arma. D’altronde
Totosai era il miglior costruttore di spade in circolazione: era
infatti l’autore
delle due katana che il daiyokai aveva con sé, Tessaiga e
Tenseiga.
Mentre il
fabbro analizzava Sounga, il silenzio era assoluto. Nessun rumore
proveniva
dalla valle, se non si teneva conto del crepitare delle fiamme nei
villaggi, e
nemmeno dalla foresta, che sembrava disabitata. Inu No Taisho era
immobile e
teso nell’attendere il verdetto.
“Sì,”
disse
infine Totosai, “Sounga è completamente vostra
ora. Ma resta comunque un grosso
problema.” Il Grande Demone lo guardò senza dire
nulla, in attesa che
continuasse.
Lo spadaio
riprese a parlare. Sapeva che il suo signore aveva il suo palazzo fra
quelle
montagne, perciò cercò di essere il
più delicato possibile. “Il combattimento
che si è svolto in questi giorni ha fatto sì che
l’aria e la terra di questa
zona si impregnassero dell’aura demoniaca di Sounga. Ne ho la
certezza, perché
ho fatto un giro di perlustrazione molto ampio”.
Sospirò. “Ampio abbastanza da
comprendere tutto il vostro territorio.”
Il daiyokai
non si scompose. “Cosa intendi dire con questo?”
“Voglio
dire
che…che sarete costretto ad allontanarvi da qui.
L’aura demoniaca di Sounga è
estremamente potente, e la spada si nutre di essa. Se resterete in
questa zona
abbastanza a lungo Sounga potrebbe riprendere il
controllo…sarebbe più potente
che mai e potrebbe uccidervi!” Totosai fece una pausa.
“Ma potete stare
tranquillo, nel giro di mezzo secolo l’aura maligna si
esaurirà da sola.”
Ecco
spiegato perché Sounga continuava ad agitarsi. Inu No Taisho
rimase un attimo
in silenzio. Infine sorrise. “Se servirà ad
evitare altri scontri inutili,
allora me ne andrò. Tanto non ho mai amato stare fermo in un
unico luogo.”
Myoga
intervenne. “Ma signore…vostro
figlio…”
“Sesshomaru
è un demone forte, ed è più che in
grado di cavarsela da solo ormai. Potrà
sempre trovarmi quando ne avrà voglia. Dovrò
andare a sud.” Sia Totosai che
Myoga non ebbero nulla da ribattere: era chiaro che quella era la sua
ultima
risposta.
Il daiyokai
andava
verso la foresta, ma si fermò poco prima di entrarvi.
“Devo fare in fretta.
Myoga, resta con Totosai. Ci vedremo presto”. La pulce
saltellò verso il grosso
bue volante, mentre Inu no Taisho si trasformava in un enorme cane
bianco,
dagli occhi rossi e scintillanti.
Il cane
demoniaco partì di corsa, mentre Myoga e Totosai rimasero a
guardarlo per un
po’. “Chissà quando lo
rivedremo”, disse la pulce, “il suo sangue
è sempre così
gustoso!”
Inu no
Taisho correva nella foresta, muovendosi leggero e senza
difficoltà, nonostante
la sua grossa stazza. Alla sua destra, fra le nubi scure, si
intravedeva un
pallido sole morente. In quello stesso momento, una principessa si
addormentava
serena dopo un lungo viaggio.
Note:
i *sode sono le protezioni per
le spalle, mentre i
*kote sono le
protezioni per le braccia, tipici elementi delle armature dei samurai.
L’angolo
dell’autrice: ecco il mio
secondo capitolo! Ho ritenuto opportuno introdurre anche il secondo
protagonista, oltre che iniziare la storia. Spero che abbiate gradito!
^^
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Capitolo 3 *** Emozioni ***
Emozioni
Ormai fuori era
totalmente buio.
Izayoi
dormì per l’ora di viaggio che le rimaneva, e
venne
svegliata dalla luce di una lanterna che si avvicinava alla portantina.
“Principessa,
siamo arrivati.”
Quando fu pronta
per uscire, un soldato le prese delicatamente
la mano e l’aiutò a scendere. Il sontuoso kimono
ricamato era molto ingombrante
con tutta quella neve. La ragazza cercò di tenerlo sollevato
in qualche modo:
era un regalo del padre, le dispiaceva che si rovinasse.
“Non
preoccupatevi per il kimono signorina Izayoi, lo
riporteremo come nuovo. Ma dovete sbrigarvi ad entrare, o vi prenderete
un
malanno…” Gli accompagnatori erano tutti molto
stanchi, ma volevano portare
completamente a termine la loro missione. La principessa non sarebbe
stata del
tutto al sicuro finché non fosse entrata in casa.
La giovane
arrivò così alla veranda. Aveva appena messo
piede
sull’ultimo gradino, quando la porta scorrevole si
aprì di scatto. Qualcuno le
corse incontro. “Oh, Izayoi! Figlia mia, che piacere
vederti…!” Il vecchio
volto dell’uomo era segnato dalle preoccupazioni, che per
tutta la giornata lo
avevano afflitto.
“Padre,
sono contenta di vedervi in salute…vi ho fatto
preoccupare tanto…” Pur se stanca e affamata, la
giovane si lasciò cullare per
un po’ dall’abbraccio dell’amatissimo
genitore.
“Tesoro,
ora che sei qui tutto è passato”. L’uomo
sciolse
l’abbraccio e si aprì in un sorriso caldo e
gentile. “Vieni, ti ho già
preparato il futon. Ma prima c’è la cena che ti
aspetta.”
Izayoi si
ritrovò poco più tardi in una stanza molto
piccola
e intima, adibita ai pasti a cui avrebbero partecipato solo lei e suo
padre. Di
quei tempi non si potevano certo tenere molti banchetti. La zuppa era
calda e
ristoratrice, la ragazza la mangiò molto volentieri.
Poco dopo Izayoi
raggiunse la sua stanza. Il futon era
adagiato poco lontano da un vivace fuocherello, che scoppiettava al
centro
della camera. La luna crescente, che entrava da una finestrella,
accarezzava il
futon con la sua tenue luce azzurra, creando uno splendido gioco di
colori coi
bagliori movimentati del fuoco. La principessa però era
troppo stanca per
rimanerne affascinata, e si spogliò subito.
Il kimono era
davvero difficile da togliere. Ogni strato
doveva essere accuratamente ripiegato e posato nell’armadio.
Tuttavia Izayoi
ormai era abituata a questo lavoro. Infatti non aveva mai voluto che
una serva
l’aiutasse. Si tolse l’ultimo strato, rivelando la
pelle liscia e candida, si
lavò e si pettinò i lunghi capelli scuri, e dopo
essersi messa una vestaglia si
mise sotto le coperte.
Si
addormentò subito, cullata dallo scoppiettio delle fiamme
che si stavano esaurendo.
***
Ancora buio.
Buio ovunque. Izayoi era ferma: aveva troppa
paura di muoversi, non sapeva dove avrebbe messo i piedi. Intorno a lei
si
udiva chiaramente un rumore. Non c’erano dubbi, era una voce.
Ma questa voce
non diceva parole, anzi, proprio non parlava. Era un mugolio
irregolare, ma
continuo.
La ragazza non
sapeva che fare. Il lieve gemito sembrava
familiare, e pareva che la chiamasse. Decise di andare a vedere. Fece
appena un
passo quando sentì un secondo rumore. Un fruscio, dietro di
lei. Si voltò di
scatto e si svegliò, la fronte imperlata di sudore.
La principessa
si mise seduta e fece un respiro profondo.
“Era solo un sogno…” Sì
sentì sollevata e fece per rimettersi a dormire, ma qualcosa
la bloccò. Un fruscio, fuori. Un brivido le corse lungo la
schiena, si sentiva
agghiacciata.
Con improvviso
coraggio si alzò. Devo stare
calma…non sono sola a casa…sarà solo
il vento che soffia fra
i rami… Si avvicinò alla porta
scorrevole che dava all’esterno. Una parte
di lei le diceva di aprirla e chiedere se ci fosse qualcuno, mentre
un’altra,
la più coscienziosa, le diceva di tornare a dormire e non
pensarci più.
Dopotutto, che collegamento poteva esserci fra il suo sogno e un rumore
nel
bosco? Mille altri suoni sarebbero stati identici a quello. Ma,
dopotutto, non
sempre le azioni umane sono legate al caso.
Izayoi
aprì la porta con incertezza, e una brezza gelida le
sfiorò il viso. Il rumore non si sentiva più. Il
cielo nero e stellato si
confondeva con la macchia scura di alberi di fronte a lei, ma dal bosco
nessun
fruscio.
Ecco,
come pensavo. Era
solo un colpo di vento…
Ed eccolo di
nuovo. Quel rumore.
Qualcosa si
muoveva nella foresta. La ragazza strizzò gli
occhi per vedere meglio, ma la luna era nascosta dietro una nuvola di
passaggio. Si poteva solo utilizzare l’udito. La cosa che
avanzava nel bosco,
qualunque cosa fosse, doveva avere un passo molto leggero
perché non si
sentivano passi, solo il lieve fruscio dei rami di conifere che
venivano
toccati durante il cammino.
Per diversi
minuti Izayoi cercò di intravedere qualcosa,
sporgendosi dalla finestra. Una volta che gli occhi si furono abituati
all’oscurità, una sagoma era ben distinguibile tra
le fronde. Sembrava che
cercasse qualcosa. Avanzava lentamente e in silenzio.
Poi la creatura
si girò nella direzione della principessa.
Non la guardò, forse non si era accorta che Izayoi la
spiava, ma la ragazza
ebbe comunque un brivido. Due occhi dorati la fissavano.
La principessa
fece un sospiro troppo forte per la sorpresa. Gli
occhi dorati ora guardavano lei. La luna fece capolino da dietro le
nuvole, e
Izayoi fece un sobbalzo. La figura che la fissava non era qualcosa, ma qualcuno.
La ragazza era
impietrita. Non sapeva se urlare, se scappare
o se chiedere aiuto. Ma non riusciva a fare niente di tutto
ciò. Rimase ferma
dov’era, come se le gambe e la voce avessero deciso
improvvisamente di
abbandonarla.
Quegli occhi
continuavano a fissarla, e ora si stavano
avvicinando.
Sempre
più vicini.
In un
attimo, che per Izayoi sembrò una vita, la figura fece un
balzo e atterrò
silenziosa sul ciglio della porta. La principessa cadde
all’indietro con un
gemito soffocato, e si trovò sovrastata dall’uomo
che ora incombeva su di lei.
Con orrore si rese conto di avere di fronte un demone. La paura aveva
preso
possesso di ogni parte del suo essere, le sembrava quasi di non
respirare.
Le deboli braci
del fuoco ormai spento si riflettevano negli
occhi d’ambra del demone, che guardava Izayoi con sguardo
severo.
“Umana.
Che fai sveglia a un’ora così tarda? Tutti quelli
come te dovrebbero dormire adesso”.
La ragazza
cercò di parlare, ma dalle sue labbra non uscì
alcun suono. Il demone continuava a guardarla con severità.
“Sai”,
riprese con un sorriso indecifrabile, “le vostre
leggende dicono che chiunque incroci il mio cammino viene ucciso
brutalmente”.
Si inginocchiò a terra, in modo da essere alla stessa
altezza della giovane,
che non si era alzata.
Izayoi
tremò e guardò il demone, gli occhi scuri colmi
di
terrore. “I-io…non...”
Il demone si
avvicinò al suo viso, tornando serio. “Non
è
stato molto carino da parte tua spiarmi…ora devo
ucciderti…” Si rialzò.
La ragazza ormai
non si sentiva più alcuna forza. A momenti
sarebbe stata uccisa. Perché era stata così
curiosa? Rimpianse di avere aperto
la porta. Pensò a suo padre, a quanto avrebbe sofferto, e
chiuse gli occhi. Una
lacrima calda le rigò il viso.
Ma non successe
nulla.
Riaprì
gli occhi. Il demone era ancora in piedi davanti a
lei, immobile. La sua espressione era ancora seria, ma il suo sguardo
aveva
qualcosa di diverso. Non era spaventoso quanto prima. Poi
parlò, e a Izayoi
parve quasi che urlasse, tant’era il silenzio che regnava
intorno a loro.
“Stanotte
non ho voglia di uccidere. Ritieniti fortunata.”
Le
voltò le spalle e fece per andarsene, ma
all’ultimo si
girò a guardare la ragazza con la coda
dell’occhio. Uno sguardo profondo e tagliente.
“Non raccontare a nessuno di avermi visto stanotte. Non ci
sarebbero buone
conseguenze per te”. Detto questo con un balzo fu al limitare
della foresta, e
ben presto sparì fra gli alberi.
Izayoi non si
mosse per diversi minuti. Aveva davvero
rischiato grosso. Giurò a se stessa che non avrebbe mai
più fatto nulla di
tanto sconsiderato. Ancora tremante, andò a chiudere la
porta e infine
raggiunse il suo letto. Le venne in mente il sogno, e poi il demone, il
suo
sguardo penetrante.
Si mise sotto le
coperte. Che
paura ho avuto…quel demone sembrava proprio
terribile…
E si
addormentò, stremata dalle emozioni che aveva provato
quella notte.
L’angolo
dell’autrice:
Ed eccoci al terzo capitolo. I
due protagonisti si sono
incontrati. Ora le loro vite prenderanno una piega
inaspettata…spero che il
capitolo vi sia piaciuto. La vostra opinione è importante
per me! Alla
prossima! ^^
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Capitolo 4 *** Malesseri ***
Malesseri
L’inverno
arrivò al suo culmine.
Nevicava quasi
ogni giorno, e il freddo era davvero pungente.
La neve candida ricopriva completamente la casa e i dintorni. Non
c’erano
demoni in vista, le uniche creature che si aggiravano nella foresta
erano i
cervi e gli animaletti più piccoli, che ogni tanto si
mostravano nei dintorni
della dimora, infreddoliti e in cerca di cibo. Non si lasciavano
avvicinare da
Izayoi, ma lei non mancava mai di lasciar loro qualcosa da mangiare,
fuori
dalla sua stanza, nella veranda.
Infatti la
principessa aveva ripreso la sua vita tranquilla.
Si prendeva premurosamente cura della casa e di suo padre, che aveva
sempre
sofferto molto il freddo. Pensava spesso a quella notte, ma la paura
era
passata. Come promesso, non aveva parlato a nessuno del demone comparso
sulla
soglia della sua camera. E la sua vita era tornata alla
normalità.
Più o
meno.
Ogni notte
infatti Izayoi faceva sempre quel sogno, lo stesso
che aveva fatto nella notte dell’incontro col demone. Sentiva
sempre quel
lamento, quella richiesta di aiuto. Lei avrebbe voluto soccorrerlo,
chiunque
fosse, ma la voce non aveva una fonte precisa. Arrivava da ogni angolo
e le
risuonava nelle orecchie. Ad un certo punto quel mugolio diventava
davvero
forte e intenso, tanto che la principessa ogni volta si svegliava
all’improvviso e in un bagno di sudore.
Dopo la prima
volta, una sola cosa era diversa nel sogno:
infatti non era più completamente buio. Se Izayoi si
concentrava un attimo,
poteva vedere dove si trovava. Era un bosco. Per essere più
precisi, era uno
spiazzo in mezzo al bosco. Una radura. Ma ogni volta che la ragazza si
sforzava
di vedere meglio, un dolore le trafiggeva il petto, lasciandola senza
fiato. Ed
ecco che la voce, che nel frattempo non aveva mai smesso di gemere, si
faceva
più forte e la costringeva a svegliarsi.
Tuttavia Izayoi
non si fece mai eccessivi problemi per quel
sogno. Pensava che a causarlo fosse semplicemente
l’inquietudine di aver
cambiato casa, il disagio di non conoscere l’ambiente in cui
si trovava. Presto
sarebbe passato, pensava.
***
Accadde che un
giorno, all’improvviso, il vecchio padre si
ammalò. Gliel’aveva detto Izayoi di stare
tranquillo a casa, ma lui non l’aveva
ascoltata, e mentre lei si occupava di rammendare un vecchio abito del
padre,
quest’ultimo aveva deciso di andare a fare un bagno nella
sorgente termale che
si trovava nella foresta a diversi minuti di cammino.
Quando
tornò a casa la ragazza si era accorta da un pezzo
della sua assenza, e lo rimproverò. “Padre, sapete
benissimo che con questo
gelo sarebbe meglio non uscire di casa…”
Lui la
guardò, mentre si asciugava e si metteva degli abiti
caldi. “Suvvia tesoro…sono solo andato a farmi un
bel bagno caldo!”
Lei rispose al
suo sguardo con un’espressione torva. Era come
sua madre. Difficilmente perdeva la pazienza ma se accadeva era meglio
mettersi
in salvo il più presto possibile. Ma questa volta Izayoi
represse la rabbia e
fece un sospiro rassegnato. “Ormai quel che è
fatto è fatto. Ma promettetemi di
non uscire più di casa, finché farà
così freddo.” Lo guardò con gli occhi
lucidi e pieni di preoccupazione.
“E va
bene mia cara…” Finì di vestirsi. Se mi guarda così, come faccio a dire di
no…?
Lei
abbassò lo sguardo. “Grazie. Fra pochi minuti
sarà servito
il pranzo…vi aspetterò”. Detto questo,
uscì dalla stanza del padre.
Tuttavia
l’uomo non aveva fame, si sentiva debole. Vuoi
vedere che Izayoi ci ha azzeccato…? Decise
di mettersi sotto le coperte. Non sapeva quanto tempo fosse passato,
sta di
fatto che ad un certo punto sentì delle voci concitate
intorno a sé e qualcuno
che lo spostava. Gli venne messo qualcosa di freddo sulla fronte, e
provò
sollievo.
“Abbiamo
terminato il ghiaccio…bisognerà procurarsene un
po’.
Non abbiamo tempo per lasciare congelare
dell’acqua”, disse una voce femminile.
Rispose una voce
maschile. “Vado io, il laghetto non è
lontano da qui.”
“No.
Per favore, lasciate che vada io…avrei dovuto
controllarlo meglio, invece mi sono distratta…”
Era Izayoi. Il padre ebbe una
stretta al cuore. Sua figlia si sentiva in colpa per
l’accaduto, lo capiva
dalla sua voce tremante, dal suo respiro affannoso.
L’uomo
sentì altre voci, alcune agitate, altre dolci, altre
preoccupate. Ma non sentiva chiaramente. Infine l’ultima.
“Basta
così, ho detto che andrò io.” Era
ancora sua figlia,
ma questa volta aveva assunto un tono risoluto, che non ammetteva
repliche.
“Vi
prego principessa, fate attenzione…copritevi
bene…”
Il vecchio non
riuscì a sentire altro, e si addormentò.
***
Izayoi
uscì di casa in poco tempo. Si era coperta bene, come
le era stato consigliato. In effetti faceva molto freddo, e lei
tremò quando
una sferzata di vento freddo le colpì il viso.
Però non nevicava, il che era
davvero una fortuna. Un pallido sole faceva capolino fra le nubi
bianche,
rischiarando il cielo pomeridiano. Avrebbe fatto luce per altre tre ore
almeno.
Effettivamente
si sarebbe potuta congelare dell’acqua
lasciandola all’esterno, ma il vecchio signore era parso
subito grave. Si
trattava di una vera e propria emergenza. Il problema era che non si
trovava
ghiaccio nelle immediate vicinanze della casa, perciò
l’unica soluzione rimasta
per fare rifornimento era il laghetto. Quest’ultimo non si
trovava molto
distante dalle terme in cui suo padre era andato a fare il bagno, e la
sua
superficie era completamente ghiacciata. Per questo motivo Izayoi aveva
con sé
una sacca e un piccolo martelletto, che avrebbe usato per rompere la
superficie
solida del lago.
La ragazza ci
mise una mezz’ora per arrivare alla meta: la
neve era alta e i vestiti pesanti le ostacolavano un po’ il
cammino. Ma una
volta preso il ghiaccio sarebbe ripartita subito. Aveva calcolato che
sarebbe
tornata poco prima del tramonto.
In ansia per la
salute del padre, appena arrivata vicino al
laghetto Izayoi si precipitò a prendere il ghiaccio,
noncurante di chi avesse
di fronte, dall’altro lato dello specchio d’acqua.
“Sembri
molto preoccupata”. Una voce fredda e tagliente
sovrastò il rumore del martelletto che rompeva il ghiaccio.
Izayoi ebbe un
brivido. Aveva già sentito quella voce, e se
la ricordava molto bene, ma non voleva assolutamente alzare lo sguardo
per
averne conferma.
Il demone
riprese a parlare. “Temi forse che sia qui per fare
ciò che non ho fatto nel nostro primo incontro?”
Fu
più forte di lei. Alzò lo sguardo, puntandolo
verso i suoi
occhi. Erano più chiari dell’altra volta. Quella
famosa notte le braci morenti
li rendevano dorati, scuri e profondi. Questa volta la neve vi si
rifletteva,
rendendoli brillanti e del colore del topazio. Il demone stava seduto
ai piedi
di un albero, sulla riva opposta del piccolo laghetto.
Questa volta
Izayoi riuscì a parlare. “Vi prego,
lasciatemi…”
“Strano
il modo in cui continuiamo ad incontrarci…non trovi?
Vieni qui.”
Il tono del
demone suonava quasi come un ordine e la ragazza,
che non avrebbe voluto dargli ascolto, tuttavia si alzò e
camminò verso di lui,
come se una forza invisibile la stesse spingendo.
Izayoi
trovò un coraggio mai provato prima. “Non ho tempo
da
perdere. Lasciatemi andare.”
Il demone questa
volta la guardò in modo diverso, quasi
interessato. “Non sono venuto a cercare te. Volevo solo
guardarti più da
vicino…non fraintendere” aggiunse, vedendo che
l’espressione della giovane era
cambiata diventando terrorizzata e al contempo disgustata.
Lui la
osservò qualche secondo, e lei notò una cosa
molto
strana. Era appena percettibile, ma sembrava quasi che il demone stesse
annusando l’aria. Poi lui parlò.
“Percepisco chiaramente la tua ansia. Vai
pure, se hai fretta.”
La
guardò negli occhi e in quell’istante Izayoi
notò qualcosa
che non aveva visto poco prima. Il demone all’improvviso
sembrava estremamente
stanco. Non che esteriormente lo si notasse, il suo fisico non poteva
essere
segnato dalle fatiche dei comuni mortali. Ma guardandolo, studiando a
fondo nei
suoi occhi color topazio, si poteva vedere un inconfondibile segno di
spossatezza, che la notte del loro primo incontro non aveva.
La ragazza lo
guardò un po’ intimorita, ma la sua espressione
divenne più dolce. “Se non chiedo
troppo…mi piacerebbe sapere cosa vi turba
tanto…” Il demone la trafisse ancora col suo
sguardo penetrante, ma non aveva
cattive intenzioni. Izayoi arrossì. Gli occhi castani non
riuscirono a
sostenere quelli dorati.
Il demone fece
un leggero sospiro. “Sono giorni che vago alla
ricerca di un luogo dove insediarmi. Ho viaggiato per tutto il Paese in
cerca
di un posto adatto a me. Non tanto per viverci ogni giorno, non ho
interesse
per una dimora fissa. Ma un giaciglio non dispiace a nessuno, neanche a
un
demone”. Inu no Taisho si stupì di se stesso.
Perché aveva rivelato quel che
provava? E ad una patetica umana poi…
Continuò
a parlare. “Le guerre fra quegli stupidi umani
aumentano giorno dopo giorno, e per me sono una vera seccatura. Non
riesco a
trovare un luogo tranquillo e silenzioso.”
Izayoi lo
scrutò per un attimo. Forse non mi
farà del male…
E
infine…
“Se
permettete, io avrei un riparo da offrirvi. C’è
una
casetta non lontano da dove abito. I proprietari precedenti la
utilizzavano
come pollaio”, arrossì violentemente, temendo di
umiliare il demone. “Però con
una sistemata e una ripulita sarà una piccola dimora in
tutto e per tutto!”
Il demone
sorrise impercettibilmente, ma lei non lo notò.
“Umana,
qual è il tuo nome?”
La ragazza era
piuttosto sorpresa. “I-Izayoi…mi chiamo
Izayoi.”
“Bene,
Izayoi, accetto la tua proposta”, anche lui per un
attimo sembrò in imbarazzo.
“C’è ancora qualche gallina nel
pollaio?” Non
voleva ammetterlo, ma erano giorni che non mangiava.
Per la prima
volta lei dimenticò la paura e rise di cuore. Ma
si zittì subito, perché il demone le aveva
lanciato un’occhiataccia, così si
limitò a rispondere. “Se avete fame posso
procurarvi io del cibo.”
Poi Izayoi
guardò il cielo, e vide che era più scuro di
prima.
“Oh, no! Ho scordato il ghiaccio di mio padre!”
Dimenticandosi del suo interlocutore,
tornò al laghetto. Quando ebbe finito ormai il sole era
quasi sparito fra le
montagne.
Il daiyokai
aveva capito l’entità dell’urgenza, e le
si
avvicinò. “Penseremo dopo al mio riparo. Vieni, ti
accompagno a casa.”
Izayoi lo
guardò con stupore e non seppe cosa rispondere, ma non
servì comunque, perché lui in un attimo si era
alzato in piedi e l’aveva issata
sulle spalle. “Fidati di me. In pochissimo tempo sarai di
nuovo a casa.”
Detto questo,
Inu no Taisho partì, veloce come il vento. Certo
non sapeva di aver dato inizio all’avvenimento più
importante della sua vita.
***
Nota dell’autrice:
ecco finito il quarto capitolo. Pare che
trasportare le persone sulle spalle sia una cosa di famiglia! XD Spero
davvero
che abbiate gradito il capitolo, aspetto una vostra opinione! ^^ A
presto!
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Capitolo 5 *** Pensieri proibiti ***
Pensieri
proibiti
Il demone era
davvero veloce e agile. Quando lasciò scendere
Izayoi dalle sue spalle, il sole era appena sparito dietro le montagne.
L’oscurità
aveva preso possesso di ogni cosa. La principessa stava bene, il
viaggio non
era stato poi così scomodo: la soffice pelliccia del suo
accompagnatore l’aveva
protetta dal freddo.
Si trovavano
sulla soglia della foresta. “Io non vado oltre
umana. Muoviti, vai da tuo padre.”
Che
scorbutico… pensò
Izayoi, che dopo aver percorso
qualche metro si voltò, leggermente rossa in viso.
“Quasi dimenticavo…potrei
sapere il vostro nome?”
Lui la
guardò intensamente, gli occhi dorati scintillanti
nell’oscurità. Gli sembrò che le guance
della giovane non fossero rosse per il
freddo, proprio no. “Sono conosciuto come Inu no
Taisho”. Nella sua voce c’era
un’inconfondibile nota di orgoglio.
Izayoi si fece
un attimo pensierosa. Inu no
Taisho…? Che strano nome… Infine
abbassò lo sguardo
imbarazzata, e fece un piccolo inchino. “Vi ringrazio per il
vostro aiuto…”
Detto questo, rientrò in casa.
Inu no Taisho
non si mosse finché non lei non fu oltre la
soglia, poi rientrò nella foresta. Pazienza,
per stanotte cercherò un riparo per conto mio…
***
Appena Izayoi
rientrò, fu accolta da tutta la servitù. Tutti
si erano preoccupati per lei, perché era stata fuori casa
per parecchio tempo.
“Signorina
Izayoi, vi prego di non farci più uno scherzo
simile”. Una dolce vecchina le venne incontro, con gli occhi
lucidi e le guance
rugose segnate da un pianto silenzioso.
La principessa
la tirò delicatamente a sé e la strinse in un
dolce abbraccio. “Mia cara balia, sono così
dispiaciuta…ve ne prego, smettete
di piangere. Sono stata ostacolata molto dalla neve alta lungo il mio
cammino.
Piuttosto, come sta mio padre?” Il suo ritardo venne presto
dimenticato, perché
tanta era l’urgenza in quel momento.
La vecchia balia
abbassò lo sguardo tristemente. “E’
ancora
nella sua stanza. La febbre è alta e non ha ancora ripreso i
sensi”.
Izayoi corse
subito dal padre, portando con sé un po’ del
ghiaccio che aveva appena procurato. Gli si inginocchiò
accanto e iniziò a
curarlo. Gli asciugò la fronte dal sudore con delicatezza e
vi posò sopra il
freddo pacchettino di stoffa.
Mentre prestava
le sue amorevoli cure al vecchio padre,
Izayoi era bellissima. Lo era sempre stata a dire il vero: una
splendida
ragazza dagli occhi scuri e splendenti, dai lunghi e setosi capelli
castani,
che ora erano raccolti con un laccetto di stoffa bianco e le ricadevano
morbidamente sulle spalle e sulla schiena. Le candide mani prestavano
le cure
al malato con abilità, mentre il viso era contratto nella
concentrazione e
nella preoccupazione. Gli occhi erano fissi sull’amato padre,
quegli occhi che
mostravano quanta forza d’animo ed energia si celasse nel suo
corpo così
minuto, quegli occhi che potevano guardarti con durezza risoluta e
trasformarsi
in pochi secondi nell’immagine della più profonda
e delicata dolcezza.
Questa era
Izayoi. E mentre si prendeva cura del genitore,
con gli inservienti impegnati nelle faccende di casa quel giorno
trascurate,
qualcuno la osservava dalla piccola finestrella della stanza.
Inu no Taisho
non aveva resistito. A dirla tutta, nemmeno
sapeva cosa lo avesse spinto a guardare da quella finestra. In quel
momento, la
sua mente era attraversata da dubbi e pensieri mai avuti prima. Pensava
che
sarebbe dovuto andarsene e non tornare più; pensava che
quella donna non avesse
nulla da invidiare alle demoni femmine; pensava che sparire per sempre
dalla
vista di Izayoi fosse la cosa più giusta; pensava che in
fondo non avevano
fatto nulla, se non parlarsi in un paio di occasioni. Pensò
che fosse la donna
più bella che avesse mai incontrato, e allo stesso tempo
pensò di ucciderla.
Il daiyokai
scosse la testa, come per svegliarsi, e in quel
momento si accorse che Izayoi aveva finito di curare il padre. Ora era
lì,
seduta e immobile, a vegliare su di lui. Inu no Taisho ebbe un ultimo,
fugace
pensiero, il più terribile e il più dolce che
potesse esistere. Fissò Izayoi
ancora per un attimo, poi voltò le spalle alla finestra e se
ne andò.
***
Ancora quel
gemito. Quel mugolio, che causava dolore e
compassione.
Izayoi si
svegliò di colpo, come sempre la fronte imperlata
di sudore. Il vecchio padre, accanto a lei, dormiva serenamente. Per
tutta la
notte la principessa aveva vegliato su di lui, ma ad un certo punto
doveva
essersi addormentata, dopo aver tolto l’ultimo pacchetto di
ghiaccio. Fuori
albeggiava.
Ad un certo
punto padre si mosse debolmente
e aprì gli occhi, forse svegliato
dall’improvviso scatto della ragazza.
“Izayoi…sei
tu…?” Cercò di metterla a fuoco.
“Sì,
padre…come vi sentite?” prese le mani
dell’uomo nelle
sue.
“Meglio,
ti ringrazio tesoro mio”. Sembrava più stanco che
mai, i capelli lunghi e ingrigiti ricadevano disordinati sul cuscino.
Mise a
fuoco la figlia. “Izayoi…sei molto pallida. Sicura
di stare bene?”
Lei sorrise,
cercando di sembrare naturale. “Sì, sì
sto bene…”
Non voleva raccontargli del sogno, lo avrebbe fatto preoccupare
più del dovuto.
“Però penso che andrò a prendere un
po’ d’aria, ora che state meglio. Per
favore, cercate di riposare”. Lo baciò dolcemente
sulla fronte e uscì
silenziosa dalla stanza, mentre suo padre la guardava vagamente stupito.
Izayoi
andò nella sua camera e si vestì per bene. In
poco
tempo fu all’esterno, in mezzo alla neve. Il sole era basso
sull’orizzonte, ma
ormai nella foresta c’era abbastanza luce da vedere
chiaramente dove si
mettessero i piedi. Il bello della nuova casa era che non
c’erano mura: il
bosco di per sé la nascondeva molto bene alla vista dei
possibili nemici.
Perciò
Izayoi era libera di girare nella foresta di conifere,
che era priva di demoni. Beh, forse non del tutto priva. Ed era proprio
lui che
la giovane voleva incontrare.
Camminava,
immersa nei suoi pensieri. Ha detto che si
chiama Inu no Taisho…se è davvero
così, sarà in grado
di fiutarmi. Pensò al giorno prima, quando
l’aveva visto fiutare l’aria, e
improvvisamente le venne una voglia irrefrenabile di sorridere.
In balia di
tutti questi pensieri, Izayoi arrivò alla sua
destinazione: il famoso pollaio. Per arrivarci, bisognava fare lo
stesso
sentiero del laghetto, ma a metà strada si prendeva una
seconda via sulla
sinistra. Da lì vi si sarebbe arrivati in pochissimi minuti.
La ragazza infatti
fu davanti alla lurida casetta in poco tempo: e in effetti era davvero
sporca e
trascurata, ma almeno era intera. Non c’erano tracce di
spifferi, e un futon
dentro ci sarebbe stato senza alcun problema, ovviamente dopo una bella
ripulita.
Izayoi decise di
dare un’occhiata anche all’interno, per
vedere in che condizioni versasse la casetta. Appena entrò
trattenne il fiato.
Sarebbe scoppiata a ridere, se non fosse stato per la scena cruenta che
le si
presentava innanzi.
Piume ovunque. E
qualche schizzo di sangue sulle pareti. Era
chiaro che qualche gallina utilizzava ancora quel pollaio come rifugio.
O per
meglio dire aveva utilizzato.
Izayoi
decise di aspettare e si sedette sull’ingresso. Prima o poi
il demone sarebbe
arrivato.
Ma la
principessa attese invano. Tornò a casa per mangiare e
nel pomeriggio si ripresentò alla casetta, ma non
c’era traccia di Inu no Taisho,
nemmeno di un suo passaggio. I giorni passavano. Izayoi
utilizzò il suo tempo libero
per sistemare il pollaio e farlo diventare un comodo rifugio, e intanto
si chiedeva
se lui sarebbe mai tornato.
***
Era passata una
settimana dalla conversazione al laghetto, e
Inu no Taisho si trovava poco distante da esso. Ancora una volta aveva
girato l’intero
Paese, ma questa volta non aveva una meta o un desiderio precisi,
l’aveva fatto
semplicemente perché gli andava. Viaggiare l’aveva
sempre fatto sentire bene e
aveva sempre chiarito i suoi dubbi.
Ma questa volta
i suoi pensieri erano molto diversi dal
solito. In genere, anzi praticamente sempre, essi riguardavano
strategie di
guerra o comunque decisioni di carattere bellico. Questa volta invece
non
riusciva a rimuovere un chiodo fisso, che negli ultimi tempi si era
fatto
strada nella sua mente e di cui lui non si era accorto,
finché ormai non era
stato troppo tardi.
Sesshomaru, suo
figlio, provava un odio fortissimo per gli
umani. Sicuramente l’aveva ereditato dalla madre. Inu no
Taisho, dal canto suo,
non aveva mai odiato gli esseri umani, ma nemmeno si era mai
interessato a loro.
Le loro esistenze erano nulla in confronto alla sua. Proprio come la
pioggia, di
cui ogni anonima goccia cade, si schianta e scivola sulla roccia,
mentre quest’ultima
rimane immutata per lungo tempo.
Ma una di queste
innumerevoli gocce di pioggia era riuscita a
scalfire il daiyokai. Perché quella donna era
così diversa da tutte quelle che
aveva visto nella sua vita? Cos’aveva di speciale? Non
c’era una risposta, lui
non ne aveva trovata una.
E
perché ora stava tornando? Nemmeno questo sapeva. Sentiva
solo che era la cosa giusta da fare. La cosa giusta? Chissà
poi perché.
Sull’onda
di questi pensieri non si accorse nemmeno di essere
arrivato di fronte alla casetta, e lì ebbe una sorpresa.
Nonostante fosse già
buio, Izayoi era seduta sulla soglia e lo fissava, una nota di sorpresa
nelle
iridi castane. Non seppero quanto tempo fosse passato, rimasero solo in
piedi a
guardarsi negli occhi.
Poi lei si
alzò. “Io…volevo…”
Arrossì e distolse lo sguardo.
Lui le si
avvicinò. “Mi hai aspettato per tutto questo
tempo?”
“Solo
qualche giorno. Vi…vi ho sistemato il rifugio”. Si
spostò mentre lui entrava a dare un’occhiata.
Tutto era perfettamente pulito.
Un futon stava in un angolo della stanzetta mentre un piccolo fuoco
scoppiettava al centro. La ragazza aveva fatto proprio tutto a dovere.
Dopo Inu no
Taisho entrò anche lei. “Spero che sia di vostro
gradimento”.
“Hai
fatto anche troppo”, distolse lo sguardo con vago
imbarazzo. “Ti ringrazio…Izayoi”.
Lei
arrossì violentemente. “Sono felice che vi
piaccia.”
Calò
nuovamente un silenzio imbarazzato, che venne rotto dal
daiyokai. “Ah…mi dispiace per le galline. Ho
ridotto questo posto peggio di
come fosse già prima.”
Izayoi rise
dolcemente. “E’ stato divertente…in un
certo
senso.”
Si guardarono
nuovamente negli occhi. Inu no Taisho aveva
dentro di sé un vortice di dubbi e sentimenti. Mai una
situazione fu così
assurda e così perfetta. Mai una scelta fu così
difficile e semplice al
contempo.
Prese la mano
della principessa e la tirò con delicatezza a
sé. Izayoi lo lasciò fare, continuando a
guardarlo negli occhi, quegli occhi
che ora non vedevano nulla all’infuori di lei. Ormai la
decisione era presa, ma
nessuno dei due aveva la minima intenzione di tornare indietro.
Con innocente
imbarazzo lei percorse il breve spazio che ancora
li separava, e sfiorò la guancia del demone.
Chissà quante ne aveva passate,
quel viso giovane e millenario. Al suo tocco, il daiyokai
sospirò e chiuse gli
occhi.
Fu un attimo, o
forse una vita. Il viso di Izayoi si avvicinò
a lui, le labbra si dischiusero.
In quel momento,
non esisteva nulla all’infuori di loro.
Fuori iniziava a nevicare.
***
L’angolo
dell’autrice: quinto capitolo finito! Che emozione,
sul serio. Mai mi è piaciuto scrivere quanto oggi. Non
smetterò mai di
ripeterlo, adoro scrivere. Spero che il capitolo piaccia a voi come
piace a me!
Vi ringrazio per averlo letto, aspetto una vostra opinione! Alla
prossima! ^^
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Capitolo 6 *** Incontri e separazioni ***
Incontri
e separazioni
Passò
qualche giorno. Da quella sera non aveva ancora smesso
di nevicare.
Inu no Taisho
non aveva più visto Izayoi, forse incapace di
inoltrarsi troppo nella foresta a causa della neve molto alta. Tuttavia
non ne
soffriva troppo, perché doveva ancora capacitarsi di
ciò che era successo. Il
bacio era stato lungo, incerto ma passionale, e quando Izayoi si era
dolcemente
separata da lui il daiyokai sentiva che qualcosa era cambiato. Ma cosa
era
cambiato?
Il demone si
poneva spesso questa domanda, e nel frattempo
non si era più allontanato dalla casetta che Izayoi con
tanta premura gli aveva
sistemato. Certo, usciva la mattina per controllare che nei dintorni
andasse
tutto bene, usciva per procurarsi del cibo, ma la sera era sempre e
comunque di
ritorno. Aspettava. Prima o poi lei sarebbe tornata.
Ma
nell’attesa non tutto era perfetto. Tanti dubbi assalivano
ancora Inu no Taisho. Non poteva abbandonarla, non voleva. Ma allo
stesso tempo
sapeva quanto fosse sbagliato e proibito ciò che faceva,
ciò che aveva fatto.
Forse avrebbe dovuto andarsene prima di spingersi troppo oltre, e lo
pensava
spesso. Ma poi si convinceva del contrario: pensava che nessuno avrebbe
mai
saputo nulla, che sarebbe stato in grado di controllare se stesso. Era
sicuro
di sé. Aveva ancora pieno controllo delle sue azioni, in
fondo si trattava solo
di puro piacere.
La principessa,
dal canto suo, aveva poco tempo per pensare
all’accaduto: suo padre, che inizialmente aveva dato segni di
miglioramento,
negli ultimi due giorni era visibilmente peggiorato. Era talmente
debole da non
reggersi nemmeno in piedi, faticava a dormire e nel poco tempo che la
malattia
gli concedeva per riposare era tormentato da incubi.
Per Izayoi non
era affatto facile. Si svegliava al mattino
presto per lavare il padre e cercare di fargli mangiare qualcosa. Si
occupava
dell’amministrazione della casa e si informava
sull’andamento delle guerre tra
i feudatari (pareva infatti che le battaglie si stessero spostando
piuttosto
vicino a loro). Appena poteva vegliava su suo padre, anche la notte.
Fortunatamente accanto a lei c’era tutta la
servitù, e la dolce balia la
sostituiva quando aveva bisogno di riposo.
***
Era passata una
settimana da quella sera alla casetta, e
Izayoi si trovava nella sua stanza. Era sera tarda e suo padre dormiva
nell’altra camera, stranamente tranquillo. La ragazza, seduta
a terra, si stava
pettinando i lunghi capelli castani. Avevano proprio bisogno di una
sistemata:
erano tutti annodati, a causa delle tante preoccupazioni e delle notti
insonni.
Lo sguardo di
Izayoi era basso; guardava un punto indistinto
del pavimento, mentre la spazzola passava silenziosa fra i morbidi
capelli. La
principessa aveva una gran voglia di piangere, ma non ci riusciva. O
non
voleva.
Doveva essere
forte.
“Izayoi”.
La voce scosse
la giovane, che sembrò svegliarsi da un lungo
sonno. Si guardò intorno, in cerca della fonte. Non fu
difficile individuarla:
Inu no Taisho era in piedi, sulla soglia della stanza, proprio come la
prima
notte in cui si erano visti.
“Ah…
siete voi…” Il suo volto rimase inespressivo.
Il daiyokai
rimase stupito dalla sua freddezza.
“Bell’accoglienza, umana…”
Izayoi scosse la
testa e si stropicciò gli occhi. “Scusatemi,
non volevo. E’ che...no, lasciate perdere”.
Distolse lo sguardo.
“Qualcosa
ti preoccupa?” Inu no Taisho chiuse in silenzio la
porta alle sue spalle, per non far entrare troppo freddo. Non sapeva il
motivo,
ma gli premeva sapere perché la giovane fosse tanto triste.
“Io...veramente…”
Una lacrima le rigò il viso, ma Izayoi si
trattenne dal disperarsi. Continuò a guardare in basso, nel
silenzio più
totale. Ma persino le pareti, se avessero potuto, avrebbero urlato il
dolore
che in quel momento lacerava l’anima della fanciulla.
Lei
restò chiusa nel suo silenzio, ma ad un certo punto
avvertì un fremito, un leggerissimo spostamento
d’aria. Inu no Taisho le aveva
preso la mano e la stava tirando delicatamente a sé,
facendola alzare.
Izayoi era
stupita da quell’improvvisa mossa del demone, ma
si fidava di lui. Sapeva che non le avrebbe fatto nulla di male. E fu
così. Lui
le cinse dolcemente i fianchi e la abbracciò. Il gesto
più semplice, la
migliore cura in momenti come quello. Un abbraccio forte e delicato, a
suo modo
incerto e imbarazzato. La ragazza appoggiò le mani al petto
di Inu no Taisho,
alla sua armatura. Vi posò l’orecchio, e chiuse
gli occhi.
Il cuore batteva
frenetico.
Izayoi lo
ascoltò, non seppe per quanto tempo, poi alzò la
testa. Lui la stava guardando. Negli occhi dorati ballava la luce del
fuoco che
bruciava debolmente nella stanza. Il suo sguardo era tagliente e fiero,
ma in
un certo modo triste e preoccupato. La principessa si perse in quegli
occhi
color topazio. Si sentì felice.
Infine Inu no
Taisho parlò. “E’ meglio che riposi
adesso. E’
notte fonda ormai”.
Izayoi
annuì in silenzio e sospirò. “Potreste
restare
qui…soltanto per stanotte”. Arrossì e
abbassò lo sguardo. Non c’era malizia
nella sua proposta, solo tanto senso di solitudine.
“Lo
sai che non mi è possibile. E se restassi tu saresti in
pericolo”. Chissà perché, il demone
sembrava teso.
“In
pericolo? Perché mai?”
Ma il demone non
aggiunse altro e si separò da lei. “Non
posso spiegarti nulla per ora…devo andare”. In
silenzio, così com’era entrato,
il daiyokai uscì, nel buio della foresta.
Il peso di tutta
la sofferenza in un attimo crollò sulle
spalle di Izayoi, che si lasciò cadere a terra. Travolta dal
dolore pianse.
Nessuno la sentì.
***
Inu no Taisho
camminava deciso fra gli alberi. La foresta in
quel momento era vuota. Gli animali erano scappati: sembrava sentissero
l’aria
pesante e carica di tensione, quasi irrespirabile. Non un alito di
vento, solo
la neve che cadeva, silenziosa come sempre.
Il daiyokai era
andato via appena in tempo. Ancora qualche
minuto e sarebbe finita molto male per Izayoi. Comunque, in ogni caso
lui
l’avrebbe protetta, e nulla si sarebbe messo contro la sua
decisione.
Quasi nulla.
Inu no Taisho
era nel bel mezzo della foresta, quando un
fruscio l’avvertì che chi stava cercando era molto
vicino. La sagoma nera si
avvicinava a passi lenti, davanti a lui.
“Sapevo
che ti avrei trovato qui”. La voce gelida e
tagliente, gli occhi dorati e brillanti fissi su Inu no Taisho.
“Sesshomaru.
Cosa ti ha spinto a cercarmi?” Il tono del padre
non era meno freddo.
L’ombra
di un sorriso passò sul volto del giovane daiyokai.
“Volevo verificare di persona se le voci che ci sono in giro
sono vere”.
Gli occhi di Inu
no Taisho scrutarono duramente il figlio,
con una nota di disprezzo. “E con ciò?”
“Rilassati
padre…volevo solo vedere se fosse vero che avete
finalmente ottenuto Sounga. Pare sia così”. Questa
volta il volto di Sesshomaru
era una maschera di bramosia, mentre osservava la spada sulle spalle
del padre.
Il daiyokai non
si mosse dalla sua posizione. Ormai era abituato
all’arroganza del figlio, e la sua voce tagliente non lo
toccava minimamente.
Ma Sesshomaru
riprese a parlare.
“Poi
ho sentito dell’altro.” Sorrideva ancora del suo
sorriso
poco rassicurante.
Inu no Taisho
questa volta ebbe un brivido impercettibile, le
sue pupille divennero due fessure quasi invisibili nel suo sguardo
assassino.
Sesshomaru
invece pareva estremamente divertito. “L’odore di
umano ti ricopre, il tuo è quasi scomparso. Non sapevo che
mangiassi gli umani
ultimamente.”
“Sai
benissimo che non lo faccio, Sesshomaru.”
L’atmosfera
era più pesante che mai. Tanto era il silenzio
che nemmeno pareva reale, finché Sesshomaru non
parlò: “Quella donna ti sta
annebbiando la mente, padre”. Poteva sembrare preoccupato, ma
in realtà era trionfante.
“Non
dire sciocchezze, so benissimo a cosa miri”. Il daiyokai
non avrebbe mai ucciso suo figlio, ma se fosse stato necessario
l’avrebbe messo
subito in riga. Era chiaro che Sesshomaru desiderava spodestarlo, per
poter
avere Tessaiga. E questa volta anche Sounga.
Il giovane
demone diventò serio. “Dopo la conquista di Sounga
ti sei indebolito. Ti stai affezionando ad un essere
umano…non ti riconosco.
Potrei anche decidere di attaccarti, e vincerei”. Sul suo
volto il disprezzo era
evidente. In fondo ammirava suo padre, ma vederlo cadere
così in basso…no, non
lo poteva accettare.
Inu no Taisho
non si scompose. “Non potresti mai vincermi, lo
sai bene. E ora vattene, non hai motivo di trattenerti
oltre”. Si voltò e si
incamminò, nella direzione della casetta.
“E tu
dovresti cominciare a non voltarmi mai le spalle,
padre”.
Sesshomaru
partì in volo, mentre il daiyokai sbuffò, quasi
divertito. E’ inutile, non ha
ereditato
nulla da me. E’ tutto sua madre…
***
Izayoi intanto
aveva ripreso il totale controllo di sé. Aveva
finito di pettinarsi i capelli e si era coricata sotto le coperte.
Ascoltava tutto
intorno a sé. Era strano, il bosco non era
mai stato silenzioso come quella notte. La giovane ebbe una stretta al
cuore.
Chissà cosa stava facendo Inu no Taisho, chissà
perché se n’era andato così
all’improvviso, senza nemmeno una parola. Suo padre sembrava
tranquillo
nell’altra camera. Forse sarebbe guarito in pochi giorni.
Izayoi ebbe un’altra
fitta al cuore. Un pensiero dopo l’altro, tutti le
vorticavano nella testa, e
chissà come riuscì infine a prendere sonno.
Un lamento.
La ragazza era
seduta su un tappeto d’erba. Il profumo
intenso delle fronde le riempiva le narici. La luna piena questa volta
illuminava il paesaggio, rendendo tutto un po’ più
distinguibile. Ormai era
chiaro, era una radura, uno spiazzo d’erba piccolo e
contornato di cespugli, le
cui sagome nere erano visibili fra gli alberi.
Izayoi si
trovava al centro. Dette uno sguardo fugace agli
alberi e ai cespugli. Le mani erano appoggiate al suolo e stringevano
gli umidi
fili d’erba. Ma lei questa volta era concentrata su
qualcos’altro.
La voce non era
più indecifrabile, non era più nemmeno
fastidiosa. Era un pianto, rauco e acuto, come di un bambino appena
nato che
piange con tutta la voce che ha. Disperato.
Alla principessa
vennero le lacrime agli occhi. Non sembrava
lontano, il pianto proveniva dai cespugli di fronte a lei, e solo una
decina di
passi la separavano dalla scoperta della verità. Si
alzò, incerta, e si
incamminò a lenti passi. Non c’era dubbio, un
bambino piangeva. Lei sentiva
dolore al cuore, ad ogni passo più forte. Ma più
andava avanti, più lentamente
procedeva, come se qualcosa volesse svegliarla.
Ancora un passo.
Era quasi arrivata, ma non poté aiutare il
bambino. All’improvviso si accasciò a terra, in
preda ad una tosse
incontrollabile. Il bambino piangeva e la chiamava.
La tosse era
sempre più forte, la gola le bruciava, il petto
era in fiamme. Con un conato e un ultimo colpo di tosse Izayoi si
portò la mano
alla bocca. La crisi era passata, ma lei rimase impietrita nel guardare
il
palmo che aveva portato alle labbra. Sangue.
***
Sudata e
ansante, Izayoi si svegliò, quasi urlando. Ci mise
qualche secondo a capire che era stato tutto un sogno, e ne ebbe la
conferma
quando capì di stare bene. Il silenzio regnava ancora nella
casa e nel bosco.
Lei
sospirò profondamente per riprendere fiato, ma
all’improvviso un urlo squarciò la notte. La
chiamava. Suo padre invocava il
suo nome.
Izayoi si
alzò, e incespicando nelle coperte raggiunse suo padre.
La balia era già accanto a lui.
“Padre!”
La voce della principessa era rotta dallo spavento.
Suo padre era irriconoscibile, con la maschera di dolore che aveva in
volto.
Gli si sedette accanto, e in quell’istante lui si mise
seduto, mentre tossiva
incessantemente. Lei era terrorizzata. La balia cercava di farlo
sdraiare
nuovamente.
Un colpo di
tosse più forte degli altri. Sangue.
L’anziano
tornò a posare la testa sul cuscino.
“Izayoi…” La
voce uscì in un ansito.
Lei tratteneva a
stento le lacrime. “Padre mio…” Gli
prese la
mano con estrema dolcezza, mentre l’uomo riprese a parlare.
“Mi
dispiace…mi avevi detto…di non
uscire…”
“Non
ditelo nemmeno padre, non potrei mai essere arrabbiata
con voi…!”
Il vecchio
sorrise, facendo una smorfia di dolore fra i sussulti
del corpo malato. “Sei stata bravissima, in questi
giorni…” La voce era sempre
più flebile.
Izayoi non
voleva crederci. Non poteva essere vera una
situazione del genere. “Appena ti rimetterai vedrai quanto
sono brava, a fare
la signora del castello…” Sorrise fra le lacrime,
nemmeno si era accorta di
avere iniziato a piangere.
Lui
alzò la mano libera, e lentamente la portò alla
guancia
della figlia. Lei mise la mano sulla sua. “Izayoi…
ti ringrazio per esserti
presa cura di me… sei diventata bellissima…
proprio come tua madre…” L’uomo
aveva la mente sempre più offuscata. Che cose stupide aveva
appena detto a sua
figlia, così scontate. Avrebbe voluto dirle quanto era
orgoglioso di lei,
quanto l’aveva amata, giorno dopo giorno, sempre di
più. Avrebbe voluto dirle
di mangiare tanto e sano, di coprirsi, se fosse uscita con quel freddo,
di non
abbandonare mai il suo splendido sorriso. Ma non lo fece. Sua moglie
l’avrebbe
sgridato.
Poco dopo, la
mano sulla guancia di Izayoi era ormai
sostenuta solo da lei, che fissava gli occhi aperti e vacui del padre.
Lui sembrava
rilassato, poteva anche stare semplicemente dormendo. Ma non era
così. La
principessa, dentro di sé, sentiva solo il
vuoto, mentre calde lacrime le segnavano il viso.
***
L’angolo
dell’autrice:
Eccomi qua!!! Vi chiedo
perdono per il ritardo, ma ho
lavorato parecchio nell’ultima settimana, così
scrivevo nelle pause. XD Spero
che abbiate gradito il capitolo…mi viene da
piangereT.T…aggiornerò al più
presto. Intanto aspetto le vostre opinioni! Kitsune
|
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Capitolo 7 *** Dubbio e speranza ***
Dubbio
e
speranza
I fiocchi di
neve cadevano sempre più radi, mentre le nuvole
lasciavano spazio al cielo nero e stellato. Inu no Taisho era perso ad
osservare la volta celeste. Sesshomaru se n’era andato da un
po’, e presto la
notte avrebbe ceduto il posto alla luce del sole.
Il daiyokai
stava seduto all’entrata del suo rifugio, dove
aveva acceso un allegro fuocherello, che con la sua luce danzante
proiettava
l’ombra del demone sulla coltre bianca.
Lo sguardo
dorato passò dal cielo ai fitti alberi della
foresta. Inu no Taisho concentrò tutti i suoi sensi. Dopo
che il figlio se
n’era andato, gli animali erano tornati. Un cervo camminava
lentamente ai confini
della foresta verso i piedi della collina: il demone poteva sentirne
gli
zoccoli che affondavano delicatamente nella neve. Seguì con
lo sguardo una
piccola e candida volpe, la quale con un certo timore
attraversò lo spiazzo
davanti a lui, senza perderlo di vista, per poi svanire nel bosco.
Inu no Taisho
era rilassato come non lo era stato per molto
tempo. Si godeva la brezza frizzante, e sentiva che l’inverno
aveva ormai
superato il suo culmine. Da adesso in poi, giorno per giorno la neve
sarebbe
diminuita sempre più, lasciando spazio ai primi germogli
primaverili.
Poco dopo, il
sole spuntò timidamente all’orizzonte e
cominciò la sua lenta arrampicata. L’inizio di un
nuovo giorno.
***
Correva. Correva
più che poteva, incurante di bagnarsi gli
abiti con la neve ad ogni passo, sempre di più. Incespicando
in ogni sasso, in
ogni radice.
Ma non le
importava.
Così
Izayoi continuava a correre. Le lacrime agli occhi, di
gioia e di dolore, il volto sconvolto, le guance arrossate e gelide
bagnate di
molte lacrime ormai ghiacciate. Ogni passo era una fatica immane in
quell’enorme coltre bianca.
Ma non le
importava.
Il respiro era
ormai affaticato e irregolare. Nuvolette
argentee uscivano dalle sue labbra, e ogni volta che inspirava il suo
petto era
trafitto da pugnali. Ma Izayoi seguitava a correre.
Correva verso la
speranza.
La balia la
aveva dato quel barlume di gioia che ora scaldava
il cuore della povera ragazza…
…Già,
proprio l’anziana donna aveva avuto
un’illuminazione.
Poco dopo la morte del vecchio padre, Izayoi stava piangendo, disperata
e
silenziosa, sul corpo inanimato dell’adorato genitore. Il
recente ricordo era
ancora chiaro, lampante nella mente della principessa nella
foresta…
La balia la
stava abbracciando, ed entrambe le donne per
diversi minuti erano rimaste silenziose. Gli altri servi, che poco
prima
avevano cercato di entrare, erano stati lasciati fuori dalla stanza. E
proprio
questo fatto aveva lasciato di stucco la principessa, che finalmente si
era
sciolta dall’abbraccio e aveva fatto una domanda.
“Mia
dolce balia…perché avete allontanato gli
inservienti?
Forse avrebbero voluto dare un…un ultimo saluto”.
Un groppo alla gola le aveva
impedito di parlare oltre.
La donna intanto
si asciugava le lacrime. “Vedete, ho
raccontato loro che vostro padre ha solo fatto un incubo, e che ora sta
bene”. Aveva
dato un’occhiata il corpo del signore, che effettivamente
sembrava dormire.
“Perché
mai? Quello che dite non ha senso.”
“Mia
adorata principessa…ho vissuto molto e ho visto molte
cose, quindi penso di sapere cosa fare”. La voce della balia
era tranquilla e
sicura.
“Voi
state delirando, avete bisogno di riposare.”
La vecchia a
quel punto aveva sorriso. “Perché non mi avete
mai presentato quel bel giovanotto che incontrate ogni tanto?”
Izayoi aveva il
cuore in gola. “Che-che avete detto? Io
non…”
Ma era troppo tardi. La ragazza era arrossita, in evidente imbarazzo.
“Non è il
caso di parlarne. Mio padre è…”
“Ma
è proprio per vostro padre che sto facendo tutto questo.
Quell’uomo. E’ un demone vero? In effetti si vede,
hanno un fascino tutto
loro”. Anche la balia era arrossita mentre ancora sorrideva,
e Izayoi pensava
seriamente che la morte del padre le avesse dato alla testa.
“Mia
cara balia, siete sicura di stare bene?”
“Ma
certo dolce principessa”, aveva detto l’anziana,
prendendo le mani di Izayoi nelle sue, “vogliate perdonare il
mio
comportamento. E’ che sono felice perché forse,
forse possiamo riavere con noi
vostro padre.”
“Che
avete detto?”
“Sì,
proprio così. Quel demone ha con sé tre spade
giusto?”
Izayoi non aveva
potuto trattenere la battuta. “Avete
guardato bene, mia buona signora…”
La vecchia donna
aveva sorriso ancora, ma voleva arrivare al
nocciolo della questione. “Sono certa che una di quelle tre
spade ci potrà aiutare,
anche se una volta erano due. Io ho già visto quel
demone.”
“Che
cosa…? Vi prego balia, raccontatemi, in fretta”.
Izayoi
voleva sapere tutto, anche lei aveva cominciato a pensare che non tutto
fosse
perduto.
L’anziana
donna era rimasta un attimo in silenzio. “Avevo
pressappoco la vostra età, e abitavo in un povero villaggio
molto a nord. Il
demone che avete conosciuto è il signore di quelle lande.
Tutti noi lo temevamo
e lo veneravamo, le occasioni per vederlo erano più uniche
che rare, ma io
riuscii a incontrarlo. Ero andata a fare una passeggiata con la mia
migliore
amica Hikaru, disobbedendo ai miei genitori. Erano preoccupati,
perché
l’inverno lassù può essere davvero
terribile. E infatti…arrivò presto una
bufera di neve. Hikaru ed io fummo costrette a fermarci per aspettare
che calasse.
Ma sembrava non finire mai. La mia amica morì, per il
freddo”. Una lacrima
scese sul volto rugoso della donna.
“Ero
disperata. Scuotevo Hikaru, pensavo che fosse solo
svenuta. Ma in fondo, sapevo la verità. Poi
arrivò lui. Non avevo mai visto
degli occhi così vivi e caldi, mi dettero speranza in un
attimo. Il demone
sfoderò una katana sottile. Pensai che volesse uccidermi,
almeno le mie
sofferenze sarebbero terminate…e invece con la spada
sferzò l’aria intorno al
corpo di Hikaru. Poco dopo lei si mosse. Ero stupefatta, ma la mia
mente
confusa non mi permise di ricordare altro. Mi svegliai a casa mia, con
i miei
genitori che piangevano dalla gioia. Hikaru era a casa sua, ed era
viva.”
Izayoi aveva
seguito tutto il racconto rapita. “Siete sicura
che sia proprio lui?”
“Non
credo di sbagliare mia cara. Un demone così gentile con
occhi splendenti come i suoi…non lo scordi
facilmente”. Gli antichi occhi
lucidi erano carichi di speranza.
Così,
Izayoi poco dopo era partita nella sua folle corsa.
***
Inu no Taisho
stava ammirando l’alba invernale. I raggi
rilucevano sulla neve fresca, creando dei bellissimi giochi di luce
abbagliante. Presto si sarebbe alzato, forse era il caso di mangiare
qualcosa.
Ma si sentiva
troppo rilassato. Si stava godendo ogni istante
di quel nuovo giorno.
Tuttavia,
all’improvviso la brezza cambiò direzione e
distrasse il daiyokai. Trovandosi sottovento, un odore familiare
arrivò al suo
infallibile fiuto. Voltò lentamente il capo nella direzione
da cui proveniva
quel profumo inconfondibile. L’umana.
Infatti, dopo
qualche minuto Izayoi arrivò, esausta dalla
corsa che aveva appena fatto.
“Taisho…”
“Come
mi hai chiamato?” Il daiyokai la guardò seccato. Arrogante…
Ma Izayoi
sorvolò la questione. “Vi-vi devo
parlare”. Stava
cercando di riprendere fiato.
Inu no Taisho la
studiò un attimo. “Entra, prima di crollare
a terra”. La lasciò passare per farla entrare, poi
la seguì.
Si sedettero
davanti al fuoco, uno di fronte all’altra. “Cosa
devi dirmi Izayoi?”
La principessa
non sapeva da dove cominciare, così decise di
spiegargli tutto per ordine. Raccontò della morte del padre,
tralasciando
ovviamente lo strano sogno che l’aveva preceduta. Inu no
Taisho seguì il
resoconto in silenzio, e alla fine parlò.
“Sono
dispiaciuto per tuo padre. Ma non ti vedo troppo
sconvolta”. La voce era pacata, tuttavia non nascondeva un
vago rimprovero.
Izayoi
sospirò. Fu più forte di lei. Il suo sguardo
saettò
sulle spade, una dopo l’altra, e Inu no Taisho
capì. La donna sapeva di
Tenseiga, non capiva in che modo, ma sapeva.
“No”.
Lo sguardo del demone era terribile e Izayoi dovette
ritrarsi e distogliere il suo.
“Perché?”
La principessa guardava in basso, e nell’ansia
stropicciava le maniche della bella veste.
“Non
hai idea di cosa significhi riportare una persona alla
vita”. Inu no Taisho era fermo nella sua decisione.
“Sì
invece! Significa poter avere di nuovo con me mio padre!”
Adesso Izayoi piangeva.
Lui non
l’ascoltò. “Come hai saputo di
Tenseiga?”
La giovane
raccontò della balia e della sua avventura molti
anni prima. Ma il demone ebbe una reazione che lei non si sarebbe mai
aspettata.
“Avrei
dovuto uccidere anche lei, invece di salvare la sua
dannata amica!” La sua voce era un ringhio. Si
alzò di scatto.
“Vi
prego, cercate di capire…Tomoko ha parlato solo per il
mio bene…” Tomoko era il nome della balia, e
raramente Izayoi lo pronunciava.
Ma questa volta l’affetto che provava per la vecchia donna
era cresciuto a
dismisura nel difenderla.
Tuttavia
l’ira del daiyokai, invece di diminuire alla
supplica della ragazza, crebbe ancora di più. Gli occhi non
erano più caldi e
gentili, ma taglienti e freddi come il ghiaccio. Le pupille erano
ridotte a due
fessure nere come l’oblio. Il tono della voce era calmo ma
evidentemente
trattenuto. Inu no Taisho sembrava una belva pronta a scattare.
“Forse
dovrei uccidere te, e poi andare da quella dannata
vecchia.”
Izayoi non seppe
più contenersi e si alzò d’improvviso,
proprio
come Inu no Taisho. “Ti prego, ora basta!” Aveva le
lacrime agli occhi.
Il demone la
guardò a fondo, col suo sguardo penetrante.
Izayoi era davvero disperata. Ma con la morte non si poteva scherzare.
Tuttavia
riuscì a calmarsi, e tornò a sedersi davanti al
fuoco, imitato subito dalla
principessa. “Non è così facile come
sembra. Riportare in vita una persona
significa andare contro il destino che gli era stato
prescritto.”
“Ma
Hikaru…”
“Lo
ammetto, quella volta ho agito d’istinto, e ho
sbagliato.” Inu no Taisho fissava il fuoco danzante, in
pensiero. Ma se non avessi salvato quelle
due, forse
non avrei incontrato lei…
Izayoi
continuava a guardare con decisione il viso del
daiyokai, ora calmo e gentile. “Solo per questa
volta”.
Inu no Taisho fu
colpito da quello sguardo così duro. Non era
una supplica. No, Izayoi era decisa ad arrivare fino in fondo. Forse il
demone
avrebbe fatto un’eccezione.
“Sai
che se riporterò in vita tuo padre il tuo destino,
quello di coloro che ti sono accanto, e anche il mio potrebbero
cambiare? Ti
rendi conto di quanto sia grave la situazione?”
“Sì,
lo so”. Ancora quello sguardo deciso.
“Il
destino che ci attende potrebbe essere di morte.”
“Lo so
benissimo.”
Inu no Taisho
sospirò. “D’accordo. Andiamo
allora”. Si alzò e
uscì dalla casetta. Il sole ormai era sorto del tutto.
Izayoi uscì dietro di
lui.
Il daiyokai si
fermò all’improvviso, poco prima di entrare
nella foresta. Con la mano sinistra sfiorò Tenseiga. Non
poteva sbagliarsi, la
spada aveva appena avuto un fremito, aveva appena espresso la sua
volontà.
Voleva che il padre di Izayoi venisse salvato. Ogni dubbio venne
dissipato
dalla mente di Inu no Taisho, che si voltò verso la
principessa. “Sai già qual
è il mio modo di viaggiare, giusto?”
Izayoi con un
lieve sorriso si fece avanti e salì sulla
schiena del demone. “Grazie Taisho…”
Lui non disse
una parola. La ragazza poteva chiamarlo come le
pareva, tanto sentiva che non sarebbe mai riuscito a farle cambiare
idea.
Così
partirono, l’uno libero da ogni dubbio, l’altra
carica
di speranza. Veloci come il vento, filavano nella foresta innevata. I
raggi del
tiepido sole filtravano tra i rami imbiancati. Il demone e
l’umana. Entrambi
decisi. Entrambi pronti ad accettare qualunque destino li attendesse.
***
L’angolo
dell’autrice:
Rieccomi! Un capitolo un
po’ transitorio, me ne rendo conto,
tuttavia necessario. Spero che vi sia comunque piaciuto! XD Per una
settimana
non potrò aggiornare, perché vado in vacanza! A
voi lascio il piacere di
leggere e, se vi va, di lasciare un parere! A presto! ^^ Kitsune
|
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Capitolo 8 *** Punto di non ritorno ***
Punto
di
non ritorno
Il demone fece
scendere dolcemente la ragazza dalle sue
spalle mentre il sole, ormai sorto completamente, illuminava un cielo
terso e
di un chiaro colore azzurro. Quella sarebbe stata una giornata molto
gelida. Ma
Izayoi aveva ben altro per la testa in quel momento, e non faceva caso
al
freddo pungente che le sferzava le guance.
“Faccio
quello che devo fare umana, poi me ne vado.”
La voce di Inu
no Taisho, alta e chiara nel silenzio della
foresta, scosse Izayoi da suoi pensieri. Ci mise qualche secondo a
realizzare
ciò che il daiyokai le aveva detto. E non era
d’accordo.
“Ve ne
prego, vorrei far conoscere a mio padre il suo
salvatore…!”
Inu no Taisho
sospirò con pazienza. “Izayoi, non credo sia
molto saggio farmi vedere da tuo padre, quando sarà
resuscitato”. Il sarcasmo
era inconfondibile nella voce del demone.
Ma la
principessa incrociò le braccia e si impuntò:
“Insisto.”
Lui distolse lo
sguardo, seccato: “Sei proprio una donna
spudorata e arrogante”. In realtà non lo pensava,
e quello era semplicemente il
suo modo per dire “sì”.
Il viso della
ragazza si illuminò di un sorriso radioso.
“Grazie!”
Il demone
mantenne in volto un’espressione seccata. “Ma mi
farò vedere solo da lui.”
In
realtà Inu no Taisho non era preoccupato per se stesso,
quanto piuttosto per Izayoi. Essere amico di un demone, per un umano,
era
un’onta irreparabile e difficile da dimenticare, anche nelle
generazioni a
venire. Lo stesso valeva per il nostro daiyokai.
Il suo stesso
figlio, nel sapere che suo padre si trovava in
un buon rapporto con un’umana, lo disprezzava. Ma Inu no
Taisho non se ne
curava molto, quasi non gli importava. Cosa pensassero di lui gli altri
demoni,
poi, non lo toccava minimamente. Lui era abbastanza potente per
affrontarli
tutti. Era il Grande Demone Cane, colui che si trovava a capo di tutti
gli
eserciti demoniaci, colui che era temuto e rispettato da tutti, un
imperatore
fra i demoni e spesso un dio fra gli uomini.
Ma
Izayoi…lei no. Il carattere forte e sicuro erano solo una
difesa, un’illusione per un corpo tanto fragile e delicato.
Se la loro
relazione fosse venuta allo scoperto, la principessa non sarebbe stata
al
sicuro da nessuno, umano o demone che fosse.
E Inu no Taisho
non poteva permettere che tutto ciò
accadesse. Scosse la testa. Che diavolo andava a pensare? Lui non aveva
nessuna
relazione con quella donna, in fondo. Lui, piegarsi ad un sentimento
tanto
sciocco come l’amore umano? Mai.
Il daiyokai si
perdeva in tutti questi pensieri, e nemmeno si
accorse che Izayoi nel frattempo l’aveva condotto alla porta
con cui si accedeva
alla stanza di suo padre. Nell’abitazione il silenzio era
totale.
La giovane si
voltò verso Inu no Taisho. “Aspettate qui, per
favore”. Detto questo, oltrepassò la porta,
chiudendosela alle spalle.
Il demone
attese, paziente. Tenseiga fremeva, ormai la sua
volontà era chiara. Infine, dopo qualche minuto, Izayoi
socchiuse la porta in
silenzio. “Potete entrare”.
Chissà
perché, Inu no Taisho si agitò parecchio nel
ricevere
quell’invito. Il cuore batteva freneticamente sotto la dura
armatura, eppure
già due volte il daiyokai aveva varcato la soglia della
stanza della
principessa.
Appena
entrò, i suoi occhi caddero sulla pallida figura che
giaceva a terra, rilassata e senza vita. Il padre di Izayoi era stato
certamente un uomo rispettabile. I capelli ingrigiti, sciolti e
abbandonati sul
cuscino, non nascondevano una certa fierezza, tipica di un guerriero.
Un
guerriero caduto.
Poi lo sguardo
del demone si posò su un’altra figura, un
po’
più in disparte. La vecchia Tomoko, che stava ravvivando il
fuoco, si era
bloccata nel momento in cui i suoi occhi grigi e stanchi avevano i
brillanti
occhi dorati.
Inu no Taisho
non riconobbe la ragazza che aveva salvato
molti anni prima. Quell’avvenimento, per lui, non era stato
altro che un
granello di polvere nella sua intera esistenza. Perciò
guardò la vecchia con
un’espressione piuttosto seccata.
“Perché
continui a fissarmi?”
L’anziana
donna si riscosse come se fosse stata svegliata da
un sogno. “Perdonatemi” disse, distogliendo lo
sguardo, “ero sorpresa nel
vedervi…nel vedere che non siete affatto cambiato.”
Il demone non si
scompose, continuò anzi a guardare la balia
piuttosto freddamente. “Gli anni per me non passano come per
voi umani”.
Calò
un silenzio piuttosto teso. La vecchia tornò a guardare
Inu no Taisho, le lacrime le rendevano gli occhi lucidi e appannati. Il
demone
era ancora piuttosto diffidente, ma riuscì comunque ad
ammorbidirsi un po’.
“Devi essere una brava donna” disse,
“visto l’impegno che metti nel prenderti
cura di loro”.
Per
L’anziana Tomoko quelle parole furono più che
sufficienti. Scoppiò in un pianto silenzioso e si
inginocchiò ai piedi di Inu
no Taisho. “Grazie, grazie di cuore! Siete così
buono e generoso…aiutare la mia
piccola padrona è la cosa più bella che possiate
fare…!”
Il daiyokai
provò una certa compassione per quella povera
donna. La prese per mano e la tirò su con delicatezza.
“Non voglio essere
adorato”. Guardò l’anziana con
serietà, ma il volto era benevolo.
Izayoi, in cuor
suo, fu felice che la vecchia balia fosse
riuscita a rivedere Inu no Taisho, dopo tutto quel tempo. Sorrise.
Stava
immaginando di rivedere, in quella stessa stanza, una Tomoko diversa,
giovane e
innamorata.
***
Qualche minuto
dopo, Inu no Taisho si trovava in piedi,
accanto al corpo del signore del palazzo. Izayoi stava in piedi accanto
al
demone, mentre la vecchia balia, ora tranquilla, era seduta in un
angolo, in
attesa.
Il fuoco
crepitava vivace, mentre il cuore del daiyokai era
sempre più impazzito: che strana sensazione, come se da
lì a qualche istante
ogni vita, in quella stanza, sarebbe cambiata. Se fosse una sensazione
piacevole o meno, a questo Inu no Taisho non sapeva dare risposta.
Tenseiga era
ormai incontrollabile. Il demone la estrasse dal
fodero lentamente, quasi stesse alzando un peso enorme.
Ed eccoli.
Piccoli, orrendi demoni scuri che si aggiravano
intorno al cadavere. Erano parecchi, ancora poco tempo e sarebbe stato
troppo
tardi. Inu no Taisho non attese oltre: con un paio di sferzate
colpì i demoni
ed essi svanirono. Per le due testimoni, la spada aveva colpito
semplicemente
il vuoto.
Izayoi si
avvicinò al corpo del padre, mentre il daiyokai
riponeva Tenseiga nel fodero.
Qualche istante.
La principessa
all’improvviso si portò le mani al volto, in
un’espressione di assoluta sorpresa, le lacrime agli occhi.
Suo padre si era
mosso, e ora la stava guardando.
“Figlia
mia…” Si mise seduto, piuttosto confuso.
Lei era ancora
incredula ma riuscì a sorridere. “Padre mio,
sono così contenta di riavervi accanto a
me…”
L’uomo
la tirò dolcemente a sé e
l’abbracciò. “Izayoi, ho
avuto tanta paura…” Accarezzò i capelli
della figlia, e non si staccò da lei
per diversi minuti. Non aveva ancora notato la presenza di Inu no
Taisho, che
se ne stava in ombra.
Poi il vecchio
si separò dalla ragazza. “Un momento, io non
ero…? Come faccio ad essere qui?”
Izayoi a questo
punto sorrise nuovamente e si scostò per
mostrare il daiyokai. “E’ tutto merito suo.
E’ stato lui a riportarvi indietro
dalla morte”. Guardò il demone timidamente, ma lui
non si mosse. Aveva un
brutto presentimento.
E successe.
Il volto
dell’uomo, prima allietato dal sorriso della figlia,
divenne una maschera di terrore. “Tu…tu sei un
demone!”
Inu no Taisho,
come suo solito, non si scompose. Tuttavia
guardò il padre di Izayoi con occhi gelidi e taglienti,
pieni di una fredda
ira. “E con questo?”
L’anziano
signore si alzò, in preda alla collera. Barcollò,
ancora provato da tutto ciò che era successo.
“Fuori da casa mia!”
Izayoi non
poteva crederci. Il daiyokai aveva avuto ragione
ad avvertirla. Ora non sapeva cosa fare e stava poco lontano dai due
che si
fronteggiavano, mentre la vecchia Tomoko si era appiattita nel suo
angolino,
terrorizzata non tanto dall’uomo, quanto dal demone.
Inu no Taisho
aveva assunto uno sguardo duro, più freddo che
mai. L’ira era tangibile intorno a lui. Ma il vecchio non se
n’era accorto, e
affrontava il daiyokai senza alcuna paura.
“Demone
bastardo! Avrei preferito rimanere morto piuttosto
che farmi salvare da uno come te!”
La voce di Inu
no Taisho uscì in un ringhio: “Ti ho salvato
la vita, inutile umano. Come minimo dovresti starmi sotto i
piedi”. Normalmente
non avrebbe mai detto una cosa del genere. Izayoi lo sapeva, sapeva
anche che
suo padre stava superando un limite molto pericoloso.
Ma
l’uomo non smise di insultare il demone, cercando di
mandarlo via. Ormai era troppo tardi.
“Così
come ti ho riportato indietro, posso rispedirti
dov’eri”. Gli occhi del daiyokai avevano assunto un
tremendo colore rosso
sangue, le iridi dorate si trasformarono in due pozzi blu e profondi.
Vuoti.
Poi il vecchio
si avvicinò troppo a lui, urlandogli addosso.
Sembrava fuori di sé, aveva dimenticato persino di provare
paura. Inu no Taisho
non ci vide più. Una mano artigliata si alzò,
pronta a sferrare un terribile
colpo.
Successe in un
attimo. Izayoi era a terra, la schiena
sanguinante.
Non appena la
vide, il demone tornò in sé.
“Izayoi!” Fece per
avvicinarsi, ma non ci riuscì. Un nuovo sentimento aveva
preso possesso di lui,
mentre i suoi occhi tornavano del consueto colore dorato. Non osava
avvicinarsi
a lei, si sentiva in colpa.
Preso da questo
nuovo, bruciante sentimento, senza aggiungere
altro volse le spalle ai presenti e se ne andò, scomparendo
velocissimo
all’interno della foresta.
“Meno
male che se n’è andato, quel bastardo. Spero che
non si
faccia più vivo. Come stai figlia mia? Izayoi?”
Ma la
principessa non lo ascoltava, ed era corsa alla porta. Taisho…
La vecchia balia
le si avvicinò. “Venite, mia cara, dobbiamo
curare la ferita…”
Anche il padre
le andò incontro, preoccupato. “Izayoi,
coraggio andiamo”.
La principessa
si riscosse dai suoi pensieri e si lasciò
condurre in casa. Dopo essere stata curata, passò tutta la
giornata col padre.
Mangiarono insieme, risero insieme. Ben presto, l’uomo
dimenticò lo shock degli
ultimi giorni. Gli bastava avere Izayoi accanto a sé, e
nemmeno cercò di capire
perché la figlia avesse chiesto aiuto proprio a un demone.
Forse, pensava, era
talmente disperata che non aveva avuto scelta. Comunque, ciò
che importava era
vederla felice.
Sembrava felice.
***
Il daiyokai era
ormai arrivato al suo rifugio. Non si curò
nemmeno di accendere un fuoco. Dopotutto, per un demone, che ci fosse
freddo o
caldo non importava.
E poi
l’unica cosa che Inu no Taisho desiderava, in quel
momento, era la solitudine. Rimase chiuso in quel piccolo spazio per
tutta la giornata.
Non si mosse, non mangiò. Non gli importava.
La sua mente era
occupata unicamente da lei. Dopo
quell’episodio l’avrebbe certamente odiato. Non
sarebbe più andata a cercarlo.
Ma a lui
importava così tanto? Non si dava più nemmeno la
pena di chiederselo. La risposta era chiara, solo che il daiyokai aveva
spesso
cercato di negarlo.
La
verità era che il suo unico pensiero era lei, e lei
soltanto. Izayoi, col suo sorriso, il suo modo di corrugare la fronte
quando
era arrabbiata, le sue piccole mani candide e delicate, come la neve.
Inu no
Taisho ebbe una stretta allo stomaco. Non si stupì. Non era
la prima volta che
provava una cosa simile, mentre pensava alla principessa.
Pensò
anche a quella notte, quella in cui si erano scambiati
un bacio. Di nuovo un dolce e terribile pensiero passò nella
mente del demone.
Si costrinse a non pensarci. Tanto, non l’avrebbe mai
posseduta. Non dopo quel
che era successo quella mattina.
“Taisho…”
Ecco,
sono diventato
pazzo. Adesso sento pure le voci.
“Taisho,
ci sei?”
Possibile che
stesse sognando? Quella voce non era poi così
irreale. Si mise seduto, e si stupì nel notare che fuori era
completamente
buio.
“Ti
prego, aprimi”.
Decisamente no.
Non era un sogno. Il daiyokai corse ad aprire
la porta, forse con troppa impazienza perché lei cadde nella
neve per la
sorpresa. “Ahi!”
“Izayoi…!”
La aiutò ad alzarsi e la fece entrare.
“Perché sei
qui?”
Lei subito non
rispose e si mise ad accendere il fuoco al
centro della stanza. Lui la osservava, paziente. Quanto era bella.
Poi la ragazza
lo guardò con aria di rimprovero. “Vuoi
prenderti un malanno?”
“Sciocca,
noi demoni non ci ammaliamo facilmente come voi
umani”.
Ci fu una pausa
imbarazzata. Poi il daiyokai la guardò
intensamente. “Izayoi, mi dispiace per ciò che
è successo. Non volevo reagire
in quel modo sconsiderato”.
“Ti
prego, non scusarti” ribatté lei, con tono di
scusa.
“Avrei dovuto ascoltarti. Comunque mio padre adesso sta bene
e…”
Non
finì la frase, perché lui l’aveva
tirata a sé e l’aveva
baciata. Un bacio breve e intenso. “Accetta le mie
scuse”.
Lei
arrossì violentemente, mentre gli occhi dorati la
scrutavano, penetranti. “S-sì, le
accetto.”
Passarono
qualche istante in silenzio, osservandosi. Nessuno
dei due osava iniziare un discorso. Il cuore del demone era impazzito e
lei lo
sentiva, perché era ancora fra le sue braccia. Poi lui
parlò.
“Pensavo
che non ti saresti fatta più vedere”.
“Non
essere così duro con te stesso. Non mi hai fatto tanto
male” rise dolcemente. “E poi, avrei sfidato
chiunque a non reagire così. Mio
padre quando si arrabbia è proprio antipatico”.
Anche lui
sorrise, un po’ a malincuore. “Ma ricorda che ho
rischiato di ucciderti”.
“E
allora? Alla fine non è successo nulla”. Izayoi
continuava
a sorridere. Ogni minuto che passava era sempre più bella.
Quanta forza si
nascondeva in quel corpo fragile. Incredibile. Irresistibile.
“Comunque”
aggiunse, “so che non potresti mai farmi del male. Stamattina
è stato solo un
incidente”.
Inu no Taisho la
scrutò ancora. “Non potrei mai farti del
male, questo è vero”.
Ancora una
volta, lei arrossì. Ma notò che anche lui era
piuttosto in imbarazzo. E ne aveva motivo, perché fece una
domanda un po’
particolare.
“Izayoi.
Potrei vedere le tue ferite?”
A quel punto, il
fuoco era certamente più freddo del viso
della principessa. Ma lei non era incerta su cosa rispondere. Avrebbe
scommesso
la sua stessa vita sul demone. Non ne aveva motivo, ma si fidava
ciecamente di
lui. Così si allontanò lentamente dalle braccia
di Inu no Taisho e si voltò,
facendo scivolare il kimono dalle spalle e scoprendo le fasciature
sulla
schiena.
Il daiyokai
tirò un sospiro di sollievo. Le ferite non erano
poi così gravi, non perdevano nemmeno più sangue,
perché le fasce erano quasi
immacolate. Fece per alzarsi, per darle modo di rivestirsi.
“Aspetta”.
Izayoi lo invitava a rimanere dov’era. Lui obbedì,
e arrossì sul serio quando vide che la giovane si stava
togliendo anche le
fasce candide.
“Vedi?”
disse lei, “non c’è quasi
niente”.
Il demone le si
avvicinò e le sfiorò i quattro sottilissimi
tagli che correvano dalla spalla al fianco della ragazza, obliqui.
Non appena
Izayoi sentì il suo tocco rabbrividì. Il daiyokai
sorrise dolcemente. “Ora rivestiti. Prenderai
freddo”.
Lei si
girò e lo guardò, senza rialzare il kimono. I
suoi
occhi erano lucidi, quasi imploranti. “Taisho…tu
mi desideri?”
Il demone non
seppe cosa rispondere. Distolse lo sguardo,
costringendosi a non guardare il corpo nudo della principessa.
“Io…sì”.
“Non
ho mai provato niente del genere, ma…” Izayoi fece
una
pausa imbarazzata, “anche io credo di volerlo”.
Guardò fuori. “Stanotte la luna
non si farà vedere. Nessuno lo saprà”.
Il demone infine
la guardò. “Hai paura?”
Lei sorrise
timidamente. “Sì. Ma è ciò
che voglio”.
Il breve spazio
che ancora li separava si annullò in un
istante, mentre i due si cercavano freneticamente. Ma fu solo
l’inizio.
La passione
sfrenata infatti lasciò presto il posto a una
danza lenta e delicata. Mentre il daiyokai cercava il contatto con la
pelle di
Izayoi, la spogliava in silenzio, senza fretta.
E
arrivò il momento in cui entrambi furono senza vestiti,
nudi, l’una di fronte all’altro.
Lei
guardò lui. Non aveva sciolto i capelli argentati, ma
erano abbastanza lunghi da ricadergli pigramente sulle spalle e sulla
schiena.
Senza l’armatura, il corpo sembrava molto più
smilzo, ma era perfetto, candido,
attraversato dalle stesse striature celesti che aveva sulle guance.
Sulle
gambe, sulle braccia, sull’addome.
Lui
guardò lei. Era proprio fragile come se l’era
immaginata.
Il corpo morbido e sinuoso, perfettamente candido, in contrasto con i
capelli e
gli splendidi occhi scuri. Piccola e delicata.
Questo scambio
di sguardi durò solo qualche istante. Poco
dopo entrambi erano nuovamente abbracciati e si adagiavano sul futon
all’angolo
della stanza. Il daiyokai si scostò un attimo, silenzioso, e
la baciò. Posò le
sue labbra sul collo, sul seno e sul ventre di Izayoi, mentre con le
mani ne
percorreva la pelle morbida, lungo i fianchi.
Ancora una
volta, lei rabbrividì. Le piaceva. Non riuscì a
trattenere una tenera risata.
Il demone
adorava quella risata cristallina. Lo faceva
impazzire. Tornò indietro, baciandola ancora su ogni angolo
di pelle che
incontrava. Infine trovò le sue labbra.
Mentre si
scambiavano un tenero bacio, i due corpi si
unirono. Lei emise un lieve gemito di dolore, ma fu solo un attimo.
Appena
incrociò lo sguardo del suo amore ogni dolore, ogni
tristezza, tutto era solo
un lontano ricordo.
E si univano. Un
ritmo lento e regolare, i respiri affannati.
E si separavano.
Infine lui
raggiunse l’apice del piacere. Non un suono, non
un grido. Semplicemente chiuse gli occhi e strinse i denti, mentre
abbracciava
forte la sua tenera e fragile compagna.
Si guardarono,
gli occhi dorati colmi di piacere, quelli
castani di felicità. L’umana e il demone. La forza
e la fragilità. Ognuno
capiva al volo lo sguardo dell’altro, mentre il fuoco
proiettava le loro ombre,
ora rilassate, sulla parete di legno. Unico testimone del loro amore.
Del loro più
grande segreto.
***
L’angolo
dell’autrice:
Ed eccoci qui,
di nuovo! Ho iniziato a scrivere il capitolo
in vacanza, sotto l’ombrellone. Mi veniva assai difficile
immaginare un
paesaggio innevato sotto il sole della Grecia! XD Comunque sono qui,
quindi
vuol dire che ce l’ho fatta! Ancora una volta, mi auguro con
tutto il cuore che
abbiate gradito il capitolo, aspetto una vostra opinione!
Infine vorrei,
finalmente, procedere con qualche
ringraziamento:
-Penelope Aldaya
e Pluto90, che non mancano mai di recensire
i miei capitoli. Siete troppo gentili. Grazie! ^^
-Ringrazio anche
BlueCross123, Sesshomaru_Sama e harua_96,
per le loro recensioni. Grazie!!!
-Un
ringraziamento speciale va alla mia cuginetta,
collaboratrice esterna nella revisione dei capitoli. Grazie anche a te!
^^
E a tutti coloro che hanno
letto questo capitolo…alla
prossima! ^^ Kitsune
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Capitolo 9 *** Sogno e realtà ***
Sogno
e realtà
La primavera non
tardò ad arrivare.
La neve aveva
ricoperto tutto il
Paese, da nord fino quasi all’estremo sud. Le guerre
continuavano
incessantemente. Eppure, finalmente, i primi germogli apparvero,
all’inizio del
terzo mese dell’anno. In pochi giorni, la dolce stagione
prese il posto di
quella invernale.
Proprio in
questo periodo, una
mattina una farfalla candida volava leggiadra su una prateria
verdeggiante e
rigogliosa, dove una moltitudine di api si dava da fare, di fiore in
fiore, per
raccogliere il polline. Il vento soffiava, fresco e profumato. La
farfalla
intanto entrò in un bosco di conifere, ai piedi della
montagna. Superò una
mandria di cervi che brucava pigramente l’erba fra gli
alberi, oltrepassò una
piccola volpe che trasportava i suoi cuccioli in una nuova tana, al
sicuro.
Sorvolò qualche chiazza di neve che ancora resisteva al
calore del sole, mentre
l’erba verde e il morbido muschio ricoprivano tutto il
sottobosco. Persino
qualche fungo profumato faceva capolino qui e là, ancora
bagnato dalla rugiada
mattutina.
Il sole
penetrava qui e là tra i pini
e i larici, donando al paesaggio un aspetto incantevole.
La farfalla
volava con leggerezza,
sospinta dal vento fresco. Infine si posò su un piccolo
fiore azzurro, nei
pressi di uno specchio d’acqua termale. Tanti fiori come
questo ricoprivano la
zona intorno al laghetto caldo, nel quale una ragazza stava facendo un
bagno
rilassante.
La principessa
Izayoi era
completamente immersa nell’acqua. Finalmente la sua stagione
preferita era
arrivata, l’aveva aspettata tanto. Si mise seduta dove
l’acqua era meno
profonda, vicino al kimono abbandonato sulla riva. Prese la sua
spazzola e
cominciò a passarla fra i lunghi capelli castani. Le
piacevano i suoi capelli,
suo padre le aveva sempre detto che erano identici a quelli
dell’amata moglie.
Per questo Izayoi se ne prendeva molta cura: le ricordavano tanto sua
madre,
anche se in realtà la principessa non ne aveva alcun ricordo
nella memoria.
Mentre
continuava a spazzolarsi, la
ragazza si trovò immersa nei suoi pensieri. Non
ho più fatto quello strano sogno. Dopo quella
volta…
Le venne in
mente l’improvvisa morte
del padre. Per Izayoi era stato uno shock tremendo. Ma per caso, o per
volere
del destino, Inu no Taisho aveva con sé la soluzione. Il
Grande Demone Cane, il
più potente fra tutti i demoni. Colui che la principessa
Izayoi ora amava più
di chiunque altro.
Il daiyokai
aveva riportato in vita
il padre di Izayoi, grazie alla spada chiamata Tenseiga. Mai per la
giovane
donna ci fu un giorno più felice di quello, non solo per il
ritorno
dell’adorato genitore.
La principessa
arrossì
improvvisamente. Quel giorno, o meglio quella notte, nel piccolo
rifugio della
foresta Inu no Taisho e Izayoi avevano fatto l’amore per la
prima volta. La
ragazza smise di pettinarsi e chiuse gli occhi, assaporando ogni
ricordo di
quella sera. Il daiyokai era consapevole che per lei sarebbe stata la
prima
esperienza, perciò era stato più dolce possibile.
Prima di quella
volta infatti, lei
pensava che i demoni fossero solo dei bruti. Ma Taisho era diverso.
Mentre
giacevano insieme lui era in tutto e per tutto un demone: il piacere,
spesso
selvaggio, era impresso sul suo volto, e una sorta di furia
incontrollabile si
celava nei suoi occhi dorati. Ma non aveva fatto del male a Izayoi; le
mani
artigliate l’avevano accarezzata disinvolte, senza mai
graffiarla, la forza era
perfettamente controllata. L’aveva stretta forte eppure era
stato delicato,
come se fra le braccia avesse una fragile bambola. E l’amore
con cui alla fine
l’aveva guardata era vero, era sincero in quello sguardo
ambrato.
La principessa
riaprì gli occhi
tristemente. Il daiyokai se n’era andato diversi giorni
prima, dicendo che
doveva andare in guerra. Erano due settimane che mancava, e anche se la
notte
di luna nuova era vicina non si era ancora ripresentato.
La loro notte.
Ogni mese, nella notte
in cui la luna spariva, l’umana e il demone si trovavano e si
riunivano, nel
loro solito luogo. La luna nuova rendeva tutto perfetto,
perché lasciava posto
al buio più totale, che nascondeva al meglio il loro amore.
L’unica pecca era
che Izayoi aveva dovuto sempre trovare una scusa per andare nel bosco.
Per
fortuna la vecchia balia era bravissima nel rassicurare
l’anziano signore, che
comunque nutriva una sconfinata fiducia nell’adorata figlia.
Ma lei non era
più la stessa con il
povero vecchio padre. Non aveva mai provato un sentimento simile prima.
Persino
le raccomandazioni del genitore, che normalmente avrebbe seguito senza
batter
ciglio, ora le scivolavano addosso come acqua sulla nuda roccia.
Quindi, compresa
la prima, Izayoi e
Inu no Taisho avevano passato la notte insieme tre volte. Fra qualche
giorno
sarebbe stata la quarta. Ma Izayoi era preoccupata. E se gli fosse
successo
qualcosa? Senza volerlo se lo immaginò, ferito a morte sul
campo di battaglia.
Impossibile. Lui non era così debole.
Come se volesse
lasciarsi indietro i
terribili pensieri, la principessa si alzò di scatto, e una
volta asciugata e
vestita rientrò in casa.
Il padre
l’aspettava, evidentemente
si era alzato da poco. Stava bevendo un tè.
“Dov’eri,
tesoro?”
Lei gli si
sedette di fronte e
sorrise dolcemente. “Sono stata alla sorgente termale. Oggi
c’è una splendida
giornata. Sì, lo so che devo stare attenta a non
ammalarmi” aggiunse, perché
suo padre aveva aperto bocca per rimproverarla. La paura non era ancora
passata
del tutto.
Lui
sospirò. “Scusami. Piuttosto, mi
domando ancora che fine abbia fatto quel demone…”
Izayoi ebbe un
tuffo al cuore. “C-cosa?”
“Il
demone che era qui quel dannato
giorno. Ti prego Izayoi” disse, con gli occhi umidi,
“dimmi…si è fatto vivo?
Che cos’ha chiesto in cambio del favore che ti ha
fatto?”
Lei aspettava
quella domanda, era
ovvio che suo padre gliela facesse prima o poi. “No, non si
è più fatto vivo”.
Ebbe una stretta al cuore quando pensò che in parte era vero.
“Meno
male! Ti prego, dimmelo se noti
qualcosa di strano”.
La ragazza si
sentì tremendamente in
colpa. “Vi prego padre mio, non preoccupatevi. Non dovete
stancarvi troppo…”
“Certo
tesoro” lui sorrise, “sai, ogni
giorno che passa somigli sempre più a tua madre”.
Anche lei
sorrise, in qualche modo rincuorata.
Dopotutto, non stava facendo nulla di grave. Era solo innamorata.
***
Passò
il tempo, e il giorno della
luna nuova arrivò. Inu no Taisho non si era ancora fatto
vedere.
Izayoi era
estremamente preoccupata,
il daiyokai le aveva promesso che sarebbe tornato in tempo per il loro
incontro. Ma non era ancora arrivata sera, quindi sarebbe potuto
arrivare anche
da un momento all’altro. Di questo si convinceva la
principessa, mentre per
distrarsi dava una mano nelle faccende domestiche.
Finite le
pulizie, il vecchio padre
le diede un altro motivo per distrarsi.
“Izayoi,
vuoi per favore scendere al
villaggio ai piedi della montagna? Vorrei un nuovo kimono, e tu hai
buon gusto.
Così puoi anche fare una bella passeggiata.
C’è un sole splendido!”
“Ma
certo padre, ci vado volentieri”
rispose la ragazza, e in poco tempo fu nel bosco insieme alla vecchia
Tomoko.
La donna aveva
capito da un pezzo che
qualcosa non andava. “Mia cara, vi vedo molto preoccupata.
E’ successo qualcosa
al vostro amato?”
Izayoi
sospirò tristemente, e
raccontò tutto alla balia. Finito il resoconto, Tomoko rise
dolcemente. “Mia
adorata principessa, questo è l’amore che parla.
Non avete di che preoccuparvi,
lui è un demone forte, credetemi se vi dico che se la cava
benissimo da solo,
anche senza di voi” fece una pausa e guardò la
giovane con aria tranquilla.
“Abbiate fiducia. Vi ha detto che tornerà, e
certamente non mancherà di farlo.”
Il volto di
Izayoi si illuminò per la
felicità. “Oh, grazie mia dolce balia! Come farei
senza di voi?”
La vecchia balia
sorrise, ma ciò che
disse subito dopo fu molto serio. “Promettetemi solo che
starete molto
attenta”.
“Certo,
cara Tomoko”.
Continuarono a
scendere verso valle
mentre chiacchieravano allegramente, e nel giro di un’ora
furono al villaggio.
Izayoi
comprò un nuovo kimono per il
padre, ma non poté resistere e ne comprò uno
anche per sé, ricamato con
splendidi fiori di ciliegio. Il mercante era davvero gentile e le fece
un
buonissimo prezzo, mentre continuava a fare complimenti per la sua
bellezza.
Fra una compera
e l’altra,
comprendendo il viaggio di ritorno le due donne furono a casa in tempo
per il
pranzo. Il vecchio signore fu felice di vedere sua figlia
così serena. Negli
ultimi giorni l’aveva spesso sorpresa a stare seduta nella
veranda con aria
assorta, quasi avesse mille pensieri per la testa. Tanto che lui aveva
pensato
che fosse davvero giunta l’ora di trovarle un buon marito.
Era diventata
abbastanza grande ormai.
E
arrivò sera.
Doveva fare in
tempo.
La aveva
promesso che ci sarebbe
stato, e avrebbe mantenuto la sua parola.
Inu no Taisho
correva attraverso la
prateria, Sounga ancora sguainata.
***
Izayoi non
riusciva ad aspettare
ancora. Tanto erano tutti a letto. Si alzò e si mise un
kimono leggero poi,
presa una torcia, uscì dalla sua stanza in silenzio e si
inoltrò nel bosco. Le
fiamme erano l’unica fonte di luce, non essendoci la luna e
il suo lieve
bagliore.
La ragazza aveva
un po’ di timore. Di
solito, sapere che c’era Taisho ad attenderla
l’aveva resa sempre tranquilla.
Eppure, adesso, forse avrebbe fatto quel viaggio per niente, forse
sarebbe
arrivata al vecchio pollaio e l’avrebbe trovato semplicemente
vuoto. Sforzandosi
di non pensare al peggio, si fece forza e proseguì.
Camminò
per diverso tempo, non seppe
mai per quanto. Capì solo, ad un certo punto, di aver
camminato troppo.
Normalmente sarebbe già arrivata alla piccola casetta.
Si era persa.
L’ansia
prese possesso della povera
Izayoi, che cominciò a camminare più in fretta.
Stranamente, all’improvviso,
ogni rumore nella foresta parve farsi più forte. Il muschio
morbido attutiva i
passi della principessa, e molte cose si muovevano nel buio.
Sono
solo animali, solo animali…
Lei aveva il
fiatone. Sperò con tutto
il cuore di trovarsi a casa, in quel momento. Sperò di
sbucare per caso nel
villaggio di quella mattina, quella mattina che sembrava ormai di molti
anni
prima.
Ne aveva
abbastanza. Tutti quei
rumori, quei fruscii. D’un tratto Izayoi si mise a correre.
Corse e corse, a
perdifiato, finché non inciampò e cadde
rovinosamente a terra.
“Ti
serve forse una mano piccola?”
Lei si
alzò di scatto. Non conosceva
quella voce. “Chi sei?” Arretrò fino a
trovarsi con la schiena contro un
albero.
Due occhi rossi
la fissavano
divertiti. “Non vorrei ucciderti. Ma sei un ostacolo per il
nostro signore”.
“Il
vostro…signore?” Si lasciò
scivolare a terra e notò che la sua torcia, che le era
caduta, non era poi così
lontana.
Il demone ignoto
le si avvicinò
pericolosamente. “Il grande generale Cane è troppo
importante per noi. Non
possiamo permettere che smarrisca la sua strada per una stupida
mocciosa
umana!”
Izayoi era
terrorizzata, ma voleva
sopravvivere. Riuscì ad evitare per un soffio
un’artigliata e prese la torcia.
“Stai lontano da me!” Lanciò
l’oggetto senza una mira precisa. Infatti mancò il
demone, che si mise a ridere. La torcia si spense, poco lontano.
“Mi sa
che ti mangerò. Sembri molto
succulen…”
Non
finì la frase. La principessa non
capì cosa fosse successo, ma udì il rumore di una
sferzata un tonfo sinistro
poco lontano da lei.
“Stai
bene Izayoi?”
“Taisho!”
Lei allungò le mani nel
buio. Un braccio agile e forte la tirò a sé.
“Sì,
sono io. Mi dispiace, non l’ho
raggiunto in tempo”. I suoi occhi rilucevano lievemente,
nonostante fosse
completamente buio.
Lei sorrise.
“Non importa, ora sei
qui. Ti ho aspettato tanto amore mio”.
“Vieni,
seguimi”. Lui la mise giù e
la condusse attraverso la foresta.
Izayoi si
lasciava accompagnare,
finalmente era al sicuro. Poteva esserci quanto buio voleva, alla
principessa
non importava più. Era con lui. “Chi era quel
demone?”
Lui
sospirò. “Era uno dei miei
sottoposti migliori. La notizia della nostra relazione non è
piaciuta a molti”.
“Scusami,
non vorrei essere causa di
troppi dispiaceri per te”.
“Sciocchezze.
Io faccio quello che
voglio, non saranno certo due demoni da quattro soldi a fermarmi.
Eccoci, siamo
arrivati”. Si fermarono, ma Izayoi continuava a non vedere
nulla.
Il daiyokai la
fece sedere. “Direi
che questo luogo è perfetto”.
La ragazza
sentì sotto di sé un
soffice tappeto d’erba. Sì, quel posto era proprio
quello che cercavano.
Inspirò e sentì un dolce profumo nelle sue
narici. Le sembrava familiare.
Intanto Inu no Taisho aveva cominciato a baciarle teneramente il collo.
“Vieni
qui” disse, tirandola delicatamente a sé. Izayoi
si lasciò trasportare e lo
baciò con un po’ di incertezza, quasi con
innocenza, anche se non riusciva a
nascondere il suo desiderio.
E ancora una
volta si unirono, in una
notte di luna nuova. Ancora una volta si appartennero l’un
l’altra.
***
Dormirono
insieme. Nessuno dei due fu
mai tanto felice. Mentre il sonno ancora li avvolgeva, il daiyokai
teneva fra
le sue braccia la principessa. La soffice e candida pelliccia li
scaldava
entrambi. Lui seguitava a dormire pacifico, i capelli argentei
abbandonati tra
i fili d’erba, le narici impregnate del profumo di Izayoi. La
pace nel bosco
era assoluta.
Tuttavia, ad un
certo punto la
ragazza si mise a sedere. Guardò il suo compagno, il cui
sonno non era stato
affatto turbato.
Si
guardò intorno. Aveva gli occhi
offuscati, perciò non distinse bene gli oggetti intorno a
sé. Capì però che il
sole sarebbe sorto fra un po’, perché la luce
proveniente da est era ancora
molto tenue. Ma era comunque luce.
Ho
ancora tempo per rientrare in casa,
pensò. La prima ad alzarsi, infatti, era sempre la
balia, che si svegliava quando il sole era appena sorto.
Finalmente
Izayoi poté mettere a
fuoco il bosco, mentre si stiracchiava pigramente.
Una stretta allo
stomaco, una
sensazione terribilmente sgradevole.
Il profumo del
muschio e dei fiori,
quella cerchia di alberi e cespugli, la morbidezza di quel tappeto
d’erba. Lei
li aveva già visti, nel suo sogno. Le parve
d’improvviso di sentire una voce di
neonato.
Non
è possibile, non è possibile!
Confusa, la
principessa si volse
verso il gruppo di cespugli da cui, nei suoi sogni, proveniva la voce.
Cominciò
ad avvicinarsi, a lenti passi.
Non
può essere, è solo un brutto scherzo…
Ormai era
arrivata. La sua tensione
era alle stelle, ogni secondo le pareva un’ora.
Scostò i cespugli con terrore,
si allungò per guardare meglio.
“Che
succede?”
La principessa
cacciò un urlo. Dietro
al cespuglio non c’era nulla. La voce era scomparsa. Chi
aveva parlato era Inu
no Taisho.
“Che
hai, Izayoi?”
Lei lo
guardò, mentre riprendeva
fiato. “Nulla. Non ho nulla” rispose, mentre si
rivestiva in fretta. “Devo
andare a casa”.
“Sei
strana. Ti porto io a casa, sei
pallida”. Dopo essersi vestito anche lui, le si
avvicinò e le prese la mano.
E a questo punto
Izayoi sentì la
sensazione più strana che avesse mai provato. Una stretta,
non allo stomaco, ma
più giù, nel basso ventre. Non era dolore, quanto
piuttosto un calore
improvviso che la avvolse completamente e la fece sentire bene.
Ma la ragazza
prese paura. Il sogno,
la radura, il pianto di un bambino, quella strana sensazione. Tutto si
collegò
nella mente della principessa, ma lei non lo voleva accettare. Non
poteva
essere così.
“No”
disse infine, “ti prego, lasciami
andare da sola”.
Lui non capiva,
ma non volle
insistere. “Ne sei sicura?”
“Sì,
sto bene. Davvero” aggiunse,
notando lo sguardo scettico del daiyokai. “Non
c’è bisogno che ti preoccupi
troppo”.
Inu no Taisho la
guardò invece con
apprensione. “Fatti viva al più presto. Fammi
sapere come stai”.
“Sì,
te lo prometto”. Detto questo,
la principessa si allontanò, lasciando Inu no Taisho solo,
in quel luogo che
lei aveva tanto sognato e che ora era divenuto realtà.
***
L’angolo
dell’autrice:
ed eccoci alla fine del nono
capitolo! Le cose stanno prendendo una piega nuova per i nostri
protagonisti…spero che abbiate gradito! Come sempre aspetto
le vostre opinioni,
se vorrete darmele. Allora…alla prossima! ^^ Kitsune
|
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Capitolo 10 *** Attesa. Su due fronti ***
Attesa.
Su
due fronti
“Questa
situazione ridicola non può andare avanti ancora per
molto”.
In una grotta
dell’ovest, un concilio di guerra era in corso.
Nove troni scolpiti nella pietra, sistemati in cerchio, ospitavano le
figure
dei potenti demoni nella loro forma umana, ognuno dei quali era
comandante un
esercito personale. Un trono però, il più grande
di tutti, era vuoto.
Noboru, il
demone corvo, parlava dal suo posto con voce calda
e sicura. Tutti assentirono in silenzio.
“Le
pantere sono sempre più numerose, e noi abbiamo subito
parecchie perdite” aggiunse un anziano demone lupo, di nome
Hisashi, “ci serve
la nostra guida, ma lui ha preferito correre dietro ad una stupida
ningen. Come
ci spieghi tutto questo, principe?”
Tutti i volti
dei presenti si voltarono verso Sesshomaru,
seduto alla sinistra del trono vuoto. Il giovane daiyokai socchiuse gli
occhi
ambrati, scocciato, soppesando le parole da dire. “Non ho
frequentato molto mio
padre, di recente. Cosa sia accaduto di preciso non mi è
dato saperlo”.
Il tarchiato
Baku, il demone tapiro, cercò di essere
comprensivo. “In fondo, è andato via solo per
cinque giorni. Sono sicuro che
tornerà presto”. Fra tutti, in quel luogo, era
forse quello che aveva più bontà
nel proprio cuore. Sempre se di cuore si possa parlare, nel caso di un
demone.
Intervenne a
quel punto il demone seduto alla destra dell’assente
Inu no Taisho. Occhi iniettati di sangue incorniciati da un pallido
volto. Le
labbra sottili erano percorse da un gelido ghigno, mentre i lunghi
capelli neri
erano sciolti e ricadevano ordinati sulle sue spalle, senza nascondere
l’aura
terribilmente maligna che emanava da tutti i pori. “Io dico
che questo è un
tradimento bello e buono. Il Generale, per quanto potente, dovrebbe
essere
ucciso e la ningen con lui, prima che accada qualcosa di
irreparabile”.
I presenti
rabbrividirono. Solo Sesshomaru e un altro paio di
demoni non si mossero. Il giovane daiyokai volse lo sguardo verso il
demone,
con fare annoiato. “Ryukotsusei, non sappiamo per certo se
sia accaduto
qualcosa fra quei due. Non è prevista alcuna
punizione”. In realtà non stava
difendendo Inu no Taisho, stava anzi provocando l’acerrimo
nemico del padre.
Sapeva che il demone dagli occhi rossi avrebbe fatto qualunque cosa per
spodestare il Generale, e con un po’ di fortuna forse si
sarebbero annientati a
vicenda.
Ryukotsusei
strinse i braccioli della poltrona, infastidito.
“Se mi viene voglia di punire quel traditore lo faccio anche
senza il tuo
permesso, lattante”.
Sesshomaru si
limitò a sorridere divertito. Quel demone sarà
anche stato il più forte dopo il Generale Cane, ma se
perdeva le staffe in
quanto a intelligenza lasciava spesso a desiderare. Decise che era
stufo di
quella stupida riunione, così si alzò.
“Io me
ne vado. Voi continuate pure con questa perdita di
tempo”. Si diresse verso l’uscita, senza degnare di
un’occhiata gli altri
comandanti. Ryukotsusei lo interruppe con una risata sprezzante.
“Dove vai
principino? Vai ad avvertire il tuo papà?”
Sesshomaru si
fermò. Non si volse, né si mosse in alcun modo.
“Non hai altro di meglio da fare, oltre a schiamazzare come
una vecchia?”
Il tono
tagliente e beffardo fu come uno schiaffo per
Ryukotsusei, che si alzò e lo raggiunse in un lampo.
“Ti avverto Sesshomaru,
quando avrò finito con tuo padre toccherà a
te…”
Il giovane
daiyokai sorrise ancora malignamente, e senza
batter ciglio se ne andò. Sapeva che per il momento quel
dannato demone non
avrebbe attaccato Inu no Taisho. Se l’avesse fatto, avrebbe
attirato su di sé
l’odio di tutti gli altri comandanti, devoti al Generale.
Era notte. Quel
dannato concilio era durato per l’intera
giornata. Così, Sesshomaru si inoltrò nel bosco
poco distante, dove aveva
intenzione di riposare e recuperare le energie. Camminava lentamente,
per nulla
preoccupato dalla guerra, né dai nemici del padre. Tutto era
perfetto. E lui era
ben conscio del fatto che Inu no Taisho avrebbe sconfitto senza troppe
difficoltà Ryukotsusei. Una volta morto
quest’ultimo, Sesshomaru si sarebbe
concentrato su suo padre. Il suo ultimo obiettivo, per ottenere il
potere.
Così
il giovane daiyokai camminava, ma una volta giunto nel
suo angolo privato sospirò stancamente. “Che vuoi
adesso?”
Un’ombra
si avvicinava, lenta e sinuosa. “Che ti succede
oggi? Sembri proprio di malumore…”
“Non
sono affari tuoi Minori. E ora vattene”.
L’ombra
lo raggiunse. “Ieri notte non sembravi dello stesso
parere, mentre te la spassavi con me”. La ragazza lo guardava
coi suoi
taglienti occhi verdi, lo squadrava da capo a piedi, mentre sorrideva
divertita. Le piaceva stuzzicarlo.
Sesshomaru non
rispose.
“Dai
principe…rilassati” continuò la
kitsune, mentre si
appoggiava al tronco di un albero, giocando con gli splendidi capelli
ramati.
“Quel Ryukotsusei è solo uno stupido se pensa di
potersi confrontare con te e
tuo padre”.
Il daiyokai si
voltò a guardarla. Persino lui non era
insensibile ai complimenti. Un leggero ghigno gli attraversò
il volto. “Non mi
servi tu per capire che siamo i migliori”.
Lei
ricambiò il sorriso. “Però si
può anche dire che le cose
possono cambiare…” Fece appena in tempo a
terminare la frase, che
all’improvviso Sesshomaru le fu di fronte. La mano artigliata
aveva mancato
Minori di pochi centimetri e in quel momento il tronco colpito dietro
di lei si
stava squagliando.
La demone volpe
tremava. Sesshomaru la guardò gelido.
“Sì. Le
cose cambieranno. Cambieranno eccome”.
Gli occhi verdi
fissarono un istante quelli dorati, e Minori
capì che non voleva farle male. Peccato. Comunque
tornò a sorridere, questa
volta dolcemente. “Vuoi mettere da parte i tuoi piani almeno
per stasera?”
Sesshomaru
distolse lo sguardo dal viso della kitsune per
posarlo sul suo corpo. Guardò l’armatura
resistente, tuttavia aderente alla
vita e ai fianchi della demone. Era irresistibile. Non era una
daiyokai, ma
poco importava in quel momento.
In pochi secondi
le fu addosso e la aggredì con un bacio
passionale, quasi furioso. La teneva inchiodata al tronco. Mentre si
spogliavano
a vicenda lui la graffiò e la morse, ma lei da tutto questo
trasse solo
piacere. Nessun dolore.
No. Sesshomaru
proprio non capiva cos’avesse da spartire suo
padre con un’insulsa umana.
***
Cinque giorni.
Cinque giorni
erano passati da quando si era svegliata nella
radura accanto a Taisho, eppure Izayoi ancora non era riuscita a
riprendersi
del tutto da quello shock. Possibile che il sogno fosse una previsione
del
futuro? Se davvero era così, la principessa non aveva dubbi
su ciò che
significava.
Quattro volte si
era unita al demone, avrebbe dovuto sapere
che prima o poi sarebbe successo.
Poi, nei momenti
in cui pensava a queste cose, Izayoi ad un
certo punto scuoteva la testa e si diceva che no, non era possibile che
fosse
così. La sua mente le stava solo facendo dei brutti scherzi.
Così tornava
tranquilla.
Suo padre aveva
notato questo strano cambiamento. Izayoi
sempre più spesso se ne stava seduta nella sua stanza, a
osservare la foresta,
persa nei suoi pensieri. A volte si dimenticava persino di fare qualche
faccenda, cosa che prima di quel momento non era mai accaduta.
Il vecchio
signore era preoccupato per la figlia, ogni giorno
sempre di più.
Così
passarono i giorni. E furono dieci.
Scherzi della
mente o meno, Izayoi non stava bene. Sentiva
qualcosa dentro di sé, a livello del cuore. Una sorta di
agitazione, che spesso
sfociava in una gioia quasi incontenibile. Non se lo spiegava. Oppure
non
voleva ammettere che tutti gli indizi portavano ad un’unica
soluzione.
Sulle prime
Izayoi non volle confidarsi con nessuno,
soprattutto con Taisho, che ogni sera la veniva a trovare nella sua
stanza per
sapere come stava. La principessa si limitava a rincuorarlo, a dirgli
che stava
bene e che non doveva preoccuparsi. Lui non era mai convinto, ma la
lasciava
stare. Un paio di giorni prima infine era partito per andare di nuovo
in
guerra.
La principessa
in un certo senso ne fu felice. Finché lei non
avesse scoperto la verità, non si sarebbe più
sentita davvero a suo agio col
demone. Così decise di confidarsi con l’unica
persona a lei cara che ne avrebbe
potuto sapere qualcosa: la vecchia balia Tomoko, che aveva addirittura
visto
nascere Izayoi.
Quel giorno, la
mattina, la principessa stava sistemando insieme
all’anziana donna la camera del signore, che era uscito a
godersi un po’ di
sole in una passeggiata. Il resto della servitù era
impegnato in altre
faccende, così Izayoi, non appena lo ritenne opportuno, si
confidò con Tomoko.
“Mia
cara balia…avrei bisogno di parlarti”. Era
notevolmente
imbarazzata, ma decisa ad arrivare fino in fondo.
La donna si
interruppe, mentre piegava dei kimono. Le
sorrise. “Ditemi principessa”.
“Ecco,
io credo di…” Izayoi era più
imbarazzata che mai, e
soprattutto non riusciva a pronunciare quella parola, che da giorni
ormai le
martellava la testa.
Tomoko la stava
guardando interrogativa. “Credete di?”
“Credo
di essere incinta”. Lo disse tutto d’un fiato, le
lacrime le spuntarono dagli occhi.
La balia era
allibita. “State scherzando, vero?” disse in un
soffio, ma in cuor suo sapeva benissimo che non era così.
“Sì.
Non saprei come spiegartelo dolce Tomoko…ma lo sento, da
diversi giorni ormai, dall’ultima volta che Taisho ed
io…” si interruppe, di
nuovo con un nodo alla gola.
La balia non si
arrabbiò, né alzò la voce.
“Cosa vi sentite?”
E Izayoi non
resse più. Cominciò a parlare, a dirle tutto
ciò
che provava. La sensazione calda e avvolgente di quando il daiyokai la
toccava,
il cuore che batteva all’impazzata, la sensazione di essere
in continua attesa
di qualcosa di sconosciuto. Il tutto unito, negli ultimi due o tre
giorni, a
diversi malesseri fisici. Le raccontò della sera prima, a
ora di cena. Aveva
rifiutato di mangiare la zuppa che aveva sempre amato tanto,
perché d’improvviso
le si era rivoltato lo stomaco. Che cattivo odore.
La balia
ascoltò tutto in silenzio. Infine, quando la
principessa terminò il suo racconto, si aprì nel
sorriso più felice che Izayoi
potesse ricordare. “Mia dolce signora…sono
così felice per voi!”
La
abbracciò, mentre la ragazza era ancora stupita da questa
strana reazione. “N-non sei arrabbiata?”
Tomoko si
staccò da lei. “Tesoro…nulla, nulla
è più bello e
miracoloso di un bambino! Non importa che ostacoli ci saranno nel
vostro
cammino, ciò che avete dentro di voi è quanto di
più splendido possa offrirvi
la natura. E’ il frutto del vostro
amore…”
Detto questo, la
vecchia balia guardò Izayoi con gli occhi
colmi di lacrime di gioia. La principessa sorrise. Era davvero felice.
Felice
di pensare che, forse, non tutto quello che aveva fatto era sbagliato.
Tuttavia,
c’erano davvero molti ostacoli da superare.
***
Era notte. Inu
no Taisho si alzò dal suo giaciglio. Si era
trattenuto anche troppo, tanto i comandanti se la sarebbero benissimo
cavata
comunque, anche senza di lui. Era preoccupato per la sua Izayoi, aveva
uno
strano presentimento.
Si diresse in
silenzio verso nord-est.
“Vai
forse dalla tua ningen?”
La voce
proveniva da dietro di lui. Il daiyokai si fermò, ma
non si voltò. “Ti interessa tanto,
Ryukotsusei?” disse calmo, con un velo di
irritazione nella voce.
Tale
padre tale figlio,
che scocciatura…
pensò il demone drago, che fece un sorriso maligno.
“Spero che tu sappia che
oltrepassare certi limiti potrebbe anche costarti caro”.
Inu no Taisho
sbuffò, pieno di disprezzo. “Non devo rendere
conto a nessuno di ciò che faccio. Tanto meno a
te”.
E
partì, veloce come il vento.
Arrivò
a casa di Izayoi poco prima che spuntassero le prime
luci dell’alba. Entrò silenzioso nella stanza
dell’amata compagna, e le si avvicinò.
“Izayoi…”
disse piano, sfiorandole la guancia con un dito.
Lei si mosse e
aprì piano gli occhi. Ormai aveva imparato a riconoscere
quel tocco. “Amore mio…è molto presto,
cosa fai qui?” Si mise seduta e si stropicciò
gli occhi. In pochi secondi le vennero mente tutte le cose che aveva da
raccontare al demone. Lo guardò, con gli occhi
già svegli e vigili. Si perse a
contemplare le iridi dorate.
Lui sorrise
dolcemente. “Sentivo il bisogno di vederti, tutto
qui”.
“Non
sei ferito, vero?” disse lei all’improvviso. Con
tutti i
pensieri che aveva, la principessa si era dimenticata che il daiyokai
in effetti
era in guerra.
“No.
Certo che mi fai delle domande proprio sciocche a volte”.
Lei
arrossì e abbassò lo sguardo. “Taisho,
visto che sei qui,
avrei bisogno di parlarti. Usciamo un attimo?”
Lui la
guardò un po’ confuso ma poi sorrise ancora.
“Certo”
rispose, e uscì ad aspettarla. Izayoi lo raggiunse dopo
qualche minuto. Si era
coperta per bene, nonostante fosse primavera le notti erano ancora
piuttosto
fredde.
Iniziarono a
camminare verso la foresta, attenti a non fare
troppo rumore. Ad un certo punto il demone si voltò a
guardarla, e gli si
strinse il cuore. Che diavolo gli prendeva, all’improvviso?
“Avanti,
dimmi”.
E camminavano.
Lei rimuginò qualche secondo sulle parole
giuste. Era arrivato il momento, sembrava che il cuore potesse
scoppiare da un
momento all’altro.
“Vedi”
cominciò infine, “da qualche giorno mi sento
strana.
Avrai notato anche tu qualcosa”.
Lui
annuì in silenzio, mentre continuavano a camminare.
Nemmeno si accorsero di essere arrivati alla loro radura.
“Insomma,
io…” disse lei. Eccolo, di nuovo. Un nodo alla
gola. Izayoi si fermò.
Inu no Taisho
aspettò, paziente. Eppure il suo cuore non
voleva smettere di agitarsi, incontrollato.
“Amore
mio” disse lei infine sorridendo, con le lacrime agli
occhi, “io aspetto un bambino”.
Inu no Taisho si
bloccò e sgranò gli occhi. Aveva sentito
giusto? Sì, non poteva sbagliare. Il cuore in gola, il
demone era colmo di
sentimenti che lottavano per avere il sopravvento, mentre registrava e
cercava
di comprendere ciò che la sua adorata compagna gli aveva
appena detto. All’improvviso
si sentì leggero come una piuma.
Era sorpreso,
sì, ma non impaurito. E il sentimento che
sentiva traboccare da tutti i pori non era rabbia. No. Era pura e
semplice
gioia.
Si accorse
all’improvviso che la principessa lo stava
guardando, in uno sguardo misto fra confusione, paura e attesa.
“Izayoi…”
disse infine lui, prendendole la mano con infinita
delicatezza. “Questo è il regalo più
bello che potessi farmi!” E l’abbracciò,
la strinse a sé. Voleva farle capire quanto fosse felice,
quanto fosse fiero di
avere un figlio dall’unica donna che avesse mai davvero
amato. Allora Izayoi
non stava male. Aveva solo accolto nel suo grembo il frutto del loro
amore.
La principessa
scoppiò a piangere. Un peso enorme come un
macigno si era sollevato dal suo cuore nel vedere, in quegli occhi
ambrati, la pura
felicità. Un pianto liberatorio, un pianto silenzioso ma
pieno di gioia. E in
quel momento Izayoi capì, una volta per sempre, che lui non
l’avrebbe mai
abbandonata.
Che lui
l’avrebbe sempre protetta e amata. E lei avrebbe
ricambiato con tutto l’amore che solo una misera donna umana
poteva donare.
***
L’angolo
dell’autrice:
Ed eccomi di
nuovo qui! Confesso che sono emozionata,
davvero. La seconda parte del capitolo, a partire dalla conversazione
con la
dolce Tomoko, è stata scritta tutta d’un fiato.
Sono esausta ma soddisfatta,
per una volta. XD Nuovamente, spero che il capitolo piaccia a voi
così com’è
piaciuto a me. Se volete recensite, mi piace sentire le vostre opinioni
e le
vostre congetture! ^^ A presto! ^^ Kitsune
NB: I demoni e i loro nomi
sono completamente inventati da me
(ad eccezione, ovviamente, di Sesshomaru, Inu no Taisho e Ryukotsusei).
Spero
di poterne approfondire un paio, ma vedrò a seconda di come
va avanti la
storia. ^^
|
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Capitolo 11 *** Scontri ***
Scontri
Quasi nulla
avrebbe potuto turbare la felicità della
principessa.
Si sentiva
più felice che mai, consapevole che ogni mattina,
ogni giorno significava dare sempre più vita al bambino che
cresceva dentro di
lei. Allora, cullata da questi pensieri iniziava a canticchiare
allegramente,
mentre svolgeva le faccende di casa in totale serenità. Era
passato circa un
mese dalla notte d’amore nella radura.
E il vecchio
padre osservava. Ma come? Un giorno la sua
adorata bambina sembra sull’orlo delle lacrime, e il giorno
dopo diventa
all’improvviso felice come non mai? Doveva essere successo
qualcosa senza
dubbio. Bisognava indagare.
Così,
appena poteva, seguiva Izayoi nelle sue faccende. La
osservava mentre sistemava le stanze, mentre preparava da mangiare o
piegava i
vestiti. L’unica cosa che l’uomo poté
notare fu un attaccamento quasi morboso
della balia verso la padroncina. Le diceva spesso di stare attenta a
non farsi
male, di non affaticarsi troppo. Ma non era poi così strano.
E’
giusto, pensava quindi
il signore, una principessa non dovrebbe
lavorare
troppo.
Così
il padre si calmò, più o meno, e
continuò tranquillo la
sua routine. Era talmente contento di vedere Izayoi così
serena, che ne fu
contagiato e divenne più allegro e ridanciano che mai. La
sua casa era
splendida, la sua bambina era bellissima, la sua vita perfetta. Fu un
periodo
felice.
In
realtà, la ragazza non sempre era così sorridente
come
sembrava. C’erano momenti, soprattutto la sera quando si
coricava, in cui pensava
al suo amato genitore. E pensava che prima o poi sarebbe venuto a
conoscenza
del suo segreto. Se non gliel’avesse detto lei stessa,
ovviamente avrebbe
scoperto tutto da solo. I grandi kimono che era solita portare non
sarebbero
più bastati a nascondere il proprio corpo che, nonostante
fosse passato
solamente un mese, mostrava già i primissimi cambiamenti
tipici di una
gravidanza. Ma Izayoi era sempre e comunque felice, mai un pensiero
negativo
aveva adombrato quella che per lei era la cosa più bella che
le fosse mai
capitata. Così, quando era sola, pensava spesso al suo
bambino, gli parlava e
cercava di immaginare quale sarebbe stato il suo aspetto. In cuor suo,
Izayoi
sperava che avesse gli occhi dorati del padre.
In questo modo
passò anche quasi tutto il secondo mese. E
Taisho era ancora in guerra.
***
“Te ne
vai, padre?”
La voce
tagliente risuonò nelle orecchie di Inu no Taisho
come un fastidioso ronzio, e malvolentieri il daiyokai si volse per
continuare
quella conversazione.
“Sì”
rispose, “siamo in tregua adesso, non mi sembra di
doverti raccontare i fatti miei”.
Un ghigno fugace
attraversò le labbra di Sesshomaru. “Tanto
tutti quanti ormai sanno dove vai quando parti da qui”.
“E con
questo?” Inu no Taisho strinse leggermente i pugni.
“Nulla,
mi chiedevo solo quando avrai intenzione di troncare
questa storia assurda. Ne va del nostro nome”.
Il padre rise,
di una risata fredda e vuota. “Il nostro nome.
Non è questo che conta nella vita, Sesshomaru”.
“No?”
disse il figlio, mettendo nella voce tutto il disprezzo
che poteva. “Allora dimmi tu ciò che conta, padre.
Sono curioso…hai qualche
ningen da farmi conoscere?”
Detto questo
sorrise ancora, mostrando una mano artigliata.
“Dovrei essere io ad insegnarti come ci si comporta con
loro”, aggiunse.
Gli occhi di Inu
no Taisho divennero d’improvviso freddi e
taglienti come rasoi. “Hai ancora molta strada da fare per
raggiungermi”.
“Raggiungerti?
Non farmi ridere, ormai ti ho già superato da
un pezzo!” La voce di Sesshomaru fece eco tra le montagne.
Il Generale Cane
sbuffò sprezzante. “Davvero? Non credo sia
così” disse, e il suo sguardo scintillante
d’ira fece ammutolire Sesshomaru,
che tuttavia non perse la sua arroganza.
“Vedrai,
padre, io ti sfiderò un giorno…e allora sapremo
chi
di noi sarà il sovrano incontrastato del mondo
demoniaco”.
Un ghigno
spettrale deformò il volto di Taisho. “Se vuoi
possiamo sfidarci anche subito”.
Sesshomaru
mantenne uno sguardo gelido e una voce sicura. “Non
ho intenzione di sfidarti oggi, non finché sarai ridotto in
quello stato. Vai
dalla tua ningen, non ho intenzione di fermarti”.
Detto questo,
voltò le spalle al padre e se ne andò, verso il
luogo dove la sua compagna di ogni notte lo aspettava con ansia.
***
Una di quelle
famose sere, in cui Izayoi pensava a come
parlare al padre, Inu no Taisho tornò dall’ovest.
Infatti il demone era partito
la notte stessa in cui la ragazza gli aveva annunciato di essere
incinta. Ma
Izayoi stava imparando a non preoccuparsi troppo per il daiyokai.
Dopotutto, si
trattava del demone più potente dell’Ovest, se non
addirittura il più forte
dell’intero Paese.
Quindi, quella
notte, una notte come tante, la ragazza era
andata a coricarsi con la pace nel cuore. Si stava finalmente decidendo
a dire
la verità al padre. Si girò su un fianco,
faticando però ad addormentarsi.
“Non
preoccuparti piccolo, presto conoscerai meglio il tuo
papà” disse sommessamente la principessa,
sfiorando il lievissimo gonfiore sul
suo ventre, “lui è un demone forte e bellissimo,
proprio come sarai anche tu”.
Chiuse gli
occhi, sentendo finalmente il sonno che prendeva
possesso di lei, quando all’improvvisò
sentì un fruscio nella foresta. Un
rumore inconfondibile.
Taisho…!
Corse subito
alla porta scorrevole e l’aprì. Si
guardò
intorno, alla ricerca della fonte di quel suono, sicura di non essersi
sbagliata.
E infatti era
così. Illuminata dalla tenue luce della luna,
la corazza di Inu no Taisho si stagliava inconfondibile sullo sfondo
nero del
bosco. Izayoi guardò la figura del suo demone avvicinarsi
lentamente.
Troppo
lentamente. Non c’era grazia, non c’era
agilità in
quei movimenti, così stranamente goffi e pesanti. Izayoi si
corrucciò. Pensava
ad uno scherzo.
Invece non era
così. Giunto al limitare del bosco, Inu no
Taisho cadde in avanti, per terra. Izayoi si portò una mano
al cuore, il viso
colmo di paura. Le ci volle qualche secondo per riprendersi e correre a
rotta
di collo verso il daiyokai, urlando il suo nome terrorizzata.
“Taisho!
Taisho!”
Non le importava
di essere sentita da qualcuno. Si avvicinò
al daiyokai, preoccupata come non mai. “Amore
mio…ti prego alzati, ti faccio
entrare!”
“No
Izayoi, non serve…sto bene…!”
Lei si
arrabbiò. “E smettila di fare
l’orgoglioso, testardo
di un cane!” Si interruppe subito e lo guardò. Ma
Taisho non le lanciò una
delle sue solite occhiatacce. Anzi, rimase zitto e si lasciò
condurre in casa,
dove fu coricato sul futon nella stanza della principessa.
Izayoi gli tolse
la corazza e aprì il kimono. Uno squarcio
orrendo partiva dalla clavicola sinistra del demone fino ad arrivare
quasi al
cuore. La ferita doveva avere due o tre giorni, ma non aveva dato alcun
segno
di volersi rimarginare: il sangue usciva fitto e bagnava il candido
kimono del
daiyokai, ogni minuto di più.
Tuttavia Taisho
era perfettamente sveglio.
“Ascolta
Izayoi, devi conficcare questa al centro della casa”
disse, passandole Tessaiga, “creerà una barriera
protettiva…”
La principessa
non fece domande e prese la katana. “Vado”.
Non appena
arrivò sulla soglia della sua stanza, suo padre le
venne incontro. “Tesoro, ma che…tu!”
Aveva visto Inu
no Taisho. “Che diavolo fai di nuovo qui?!”
Mentre Izayoi
schivava il padre e andava a cercare il punto
più centrale della casa, il daiyokai si mise seduto e
guardò l’uomo con
arroganza. “Hai qualche problema, vecchio?”
Il demone non
era dell’umore giusto per affrontare una
discussione. Sarebbe finita male per il povero signore, che
però non aveva
intenzione di arrendersi.
“Vuoi
mia figlia? E’ lei che vuoi?! Non aspettarti la mia
gratitudine per l’altra volta, dannato demone!”
Per tutta
risposta Inu no Taisho ringhiò con veemenza, ma
fortunatamente in quel momento tornò Izayoi. “Per
favore, non litigate!” disse
lei, sull’orlo delle lacrime, “Taisho, ho fatto
quello che mi hai chiesto”.
Sentire sua
figlia parlare così a quel demone fu come uno
schiaffo per l’anziano signore. “Che succede qui?!
Izayoi, pretendo una
spiegazione!”
La figlia si
chinò accanto al daiyokai, e iniziò a
tamponargli la ferita con un panno, mentre lui continuava a guardare
l’uomo con
odio. Stava per rispondere ma Izayoi lo anticipò.
“Padre,
io amo questo demone” disse con sicurezza, poi si
fece ancora più coraggio. “E aspetto un figlio da
lui”.
L’anziano
signore si portò la mano al cuore, e Izayoi ebbe
timore di aver provocato una reazione che non avrebbe mai voluto. Suo
padre
seppe resistere. Tuttavia sul suo antico volto si dipinse la
più amara
delusione. Senza una parola distolse lo sguardo da Izayoi e se ne
andò, diretto
alla sua stanza.
Per la
principessa, sarebbe stato meglio se le avesse urlato
addosso. Una lacrima le rigò il viso, mentre riprendeva a
curare la ferita di
Inu no Taisho.
Lui la
guardò attentamente. “Izayoi…”
La ragazza non
rispose, ma il daiyokai fu sicuro di sentire
un singhiozzo represso a fatica.
“Izayoi,
ti prego guardami”.
Lei infine
alzò il viso bagnato di lacrime. Un volto triste e
stravolto, ma fiero. “Come ti sei procurato questa
ferita?”
Inu no Taisho
non l’ascoltò. “Mi dispiace, non sarei
dovuto
piombare qui all’improvviso. Non sarebbe accaduto tutto
questo”.
Lei fece
spallucce. “Comunque prima o poi l’avrebbe
scoperto.
Quindi è meglio così”, ma continuava a
piangere.
Il daiyokai le
sfiorò delicatamente le guance, per asciugarle
dalle lacrime. “Andrà tutto per il meglio.
Chiaro?” La guardò intensamente, gli
occhi ambrati fissi su quelli castani.
Izayoi
riuscì a sorridere timidamente.
“Sì…grazie Taisho”.
“Finalmente
sei tornata in te” sorrise lui, ma subito dopo si
lasciò sfuggire una smorfia di dolore. Izayoi riprese subito
a curarlo.
“Allora?
Non mi dici come ti sei fatto questa ferita?”
Lui
guardò il tremendo squarcio che sanguinava ancora un
po’.
“Ryukotsusei, dannato…mi ha attaccato alle spalle.
Mi sono voltato subito ad
affrontarlo, ma non sono riuscito ad evitarlo”.
Izayoi
sentì un brivido al nome di Ryukotsusei. Doveva essere
davvero un demone terribile.
“Ma
l’ho colpito duramente anche io” aggiunse Inu no
Taisho,
“e l’ho fatto fuggire. Per
ora…”
La principessa
rimase senza fiato. “Che intendi dire?”
“Verrà
a cercarmi ancora, e a cercare te. Per questo ti ho
fatto creare la barriera da Tessaiga” disse lui, mentre la
ragazza cominciava a
fasciargli saldamente la ferita. “Non appena mi
sarò ripreso potrò affrontarlo
e batterlo senza problemi. Ma per adesso sarà necessario
rimanere all’interno
della barriera”.
Lei
annuì. “Sì, certo, faremo come dici tu.
Ho visto la mia
dolce balia seguire mio padre poco fa, sono certa che in qualche modo
lo farà
ragionare”.
“Ne
sono certo” rispose lui, ricordandosi che anche lui aveva
dovuto arrendersi una volta ai modi mielosi di quella vecchia.
“E dimmi, come
sta mio figlio?”
Lei sorrise
radiosa. “E’ ancora piccolissimo, non posso
saperlo. Però lo sento…sento che cresce e vive
dentro di me. E comunque non
sappiamo se sarà un maschio o una femmina”.
Inu no Taisho
non rispose e alzò la mano fino ad appoggiarla
sulla pancia di Izayoi. Il suo cuore ebbe un sussulto. Suo
figlio…un
mezzodemone. Il daiyokai non era pentito per ciò che era
successo. Ma sapeva
che quella piccola creatura avrebbe faticato tanto per ottenere un
posto in
quel mondo crudele. Sapeva che sarebbe stato ripudiato dagli umani,
disprezzato
dai demoni. Ma sarebbe stato anche sangue del suo sangue, e questo
contava non
poco.
***
Il vecchio
signore camminava su e giù per la stanza, incapace
di calmarsi.
“Ve ne
prego padrone, smettete di agitarvi!” La balia era
disperata.
“No!”
urlò lui, “non lascerò mai mia figlia
fra le zampe di
quel demone! E quel bambino, quel bambino…”
Pronunciò
le ultime parole con puro disprezzo nella voce.
La vecchia donna
era sull’orlo delle lacrime. “Quel bambino
è
frutto del loro amore! La padroncina Izayoi è felice come
non lo è mai stata in
vita sua!”
Ma
l’uomo non l’aveva ascoltata.
“C’è solo una soluzione a
tutto questo. Non avevo intenzione di accettare, ma se così
stanno le cose…”
“Di
cosa parlate, mio signore?”
“Di
quella lettera che mi è arrivata qualche giorno fa. Era
di un pretendente di Izayoi. Un feudatario molto ricco, un valoroso
guerriero”.
La balia
sospirò di sorpresa. “Un pretendente, ma
chi…?”
Il padre di
Izayoi si fermò, e andò al suo tavolo.
“Sì. Ho
deciso. Mia figlia si sposerà. Diventerà la
moglie di Takemaru Setzuna”.
***
L’angolo
dell’autrice:
Ed eccomi qua,
come sempre!!! Come al solito, spero che
abbiate gradito il capitolo, ci ho messo tutto il mio impegno.
Anche se, lo
ammetto, ho sempre detto che sarei rimasta
fedele ai pochi indizi che abbiamo sul prologo di
“Inuyasha”, ho deciso di
cambiare la posizione sociale di Takemaru, per dare un po’
più di pepe alla
storia. Non uccidetemi! T.T
E poi
sì, ammetto che mi diverto a scrivere i dialoghi fra
Taisho e quell’iceberg di suo figlio…
Vi lascio alle
recensioni! A presto! *scappa via*
Kitsune
|
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Capitolo 12 *** E nella notte, attimi di pace ***
Breve
introduzione:
Questo
è un capitolo
speciale, nato un po’ per mettere ordine alla situazione dei
personaggi e ai
loro pensieri, ma soprattutto per dare loro un po’ di
“pace”. Approfondirò
alcuni rapporti e sarà aggiunto qualche piccolo dettaglio
rilevante per la
storia. Il contesto in cui è stato scritto è la
notte, parte del giorno che
personalmente preferisco più di tutte. Spero che possiate
gradire, nonostante
il capitolo sia alquanto statico. Buona lettura ^^ Kitsune
Ma
tu chi sei che
avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti
pensieri?
William Shakespeare
E
nella
notte, attimi di pace
Un corpo caldo
accanto a sé, che respirava regolare,
abbandonato al sonno.
Sesshomaru si
mise seduto, e guardò Minori che dormiva
accanto a lui. Studiò le sue curve, quelle forme che fino a
qualche ora prima
stringeva nel colmo del piacere. Guardò freddamente il viso
addormentato della
kitsune, che ad un certo punto sorrise, stringendo la candida pelliccia
del
daiyokai. Forse stava sognando.
Sesshomaru
distolse lo sguardo dalla figura della volpe per
volgerlo al cielo, verso la luna. Un paio di giorni e sarebbe stata
piena.
L’incompleto disco bianco ora illuminava la pelle chiara del
demone, mettendo
in evidenza le striature rosse che ne percorrevano il corpo in diversi
punti.
Un corpo perfetto, senza alcun difetto o sfregio. I lunghi capelli
argentei
ricadevano morbidi sulle spalle e fino a terra.
E guardando la
luna, il giovane daiyokai pensava.
Suo padre era
davvero uno stolto se credeva di poter
sopravvivere a lungo, andando dietro a quella ningen. Che diavolo gli
era
successo? Fino a qualche tempo prima Inu no Taisho fremeva e godeva
nelle
battaglie, nello scorrimento di sangue. Ardeva di furia e gioiva nella
sola
idea di combattere. Uno stratega eccezionale. Ora invece…ora
qualcosa era
cambiato. Lo stesso orgoglio, la stessa fierezza ardevano dietro a
quegli occhi
dorati così simili ai suoi, ma i suoi tratti si erano quasi
addolciti.
Quell’insulsa umana aveva spezzato qualcosa del demone che un
tempo Sesshomaru
aveva considerato suo padre.
“Che
fai sveglio, Sesshomaru? Non è nemmeno
l’alba…”
La volpe si era
svegliata, non sentendolo più accanto a sé.
Si mise seduta accanto a lui. “Non riesci più a
dormire?”
Il daiyokai non
la guardò. “Sai bene che a noi demoni non
serve dormire a lungo”.
Lei
sbuffò contrariata. “Sì, lo so
benissimo. Però è bello
dormire insieme” aggiunse, poi notò lo sguardo
cupo del compagno. “Stai ancora
pensando a tuo padre vero?”
“Non
credo che ti interessi cosa penso”.
Minori era ormai
abituata a quella freddezza. Le era sempre
piaciuto molto quel lato del carattere di Sesshomaru. Quindi si
limitò a
sorridere dolcemente e appoggiò la testa sulla spalla del
demone. “Credo che
dovresti smettere di pensare al Generale e alla sua
ningen…”
Lui infine si
voltò a guardarla. “Non sarai certo tu a dirmi
quello che devo o non devo fare”.
“Lo
so” disse la kitsune, mentre continuava a sorridere, ora
sensuale, “quello che intendevo dire è nulla
dovrebbe impensierire il grande
Sesshomaru”. In realtà Minori era preoccupata per
lui. Non voleva perderlo, in
alcun modo. Era un sentimento tutto nuovo per la giovane volpe.
Lui
sospirò impercettibilmente. “Dormi, sciocca
kitsune”.
Lei intanto
aveva preso a giocare con i capelli argentati del
principe. “Non mi va più” rispose, e
guardò intensamente Sesshomaru negli
occhi.
Il demone
rispose al suo sguardo e per un istante si perse
negli occhi verdi. Nemmeno se n’era accorto. Il desiderio
s’impadronì
nuovamente di lui, che si avventò su Minori cercandone le
labbra con furia.
La cinse col
braccio in vita e agilmente la portò sotto di
sé, bruciando di passione. “Impara a restare al
tuo posto, Minori”. Detto
questo riprese a baciarla, quasi con violenza.
Per la demone
volpe, questo era quanto di più bello potesse
ottenere. Non le importava se Sesshomaru le faceva male, se la
graffiava o la
mordeva, nell’impeto del desiderio. Tutto ciò che
contava per la kitsune era
averlo accanto, poter sentire il suo calore, anche se non avrebbe mai
ottenuto
affetto. Quel gelido demone non era in grado di provare un simile
sentimento.
Lei sì.
E mentre il
principe dei demoni la possedeva, Minori si
sentiva felice come non era mai stata. Lei era contenta
così, le bastava. Era
anche troppo.
Illuminati dalla
luce lunare due corpi si univano. Animati
certo da due diverse necessità, ma uniti, almeno per una
notte ancora.
***
Fuori era
completamente buio.
La principessa
stava nella sua camera, accanto al
fuocherello. Presto sarebbe arrivato il momento di dormire. Ma lei non
ne aveva
voglia, quindi rimaneva dov’era seduta sul morbido futon.
Aspettava. Chissà
cosa poi, nemmeno lei lo sapeva.
Venti giorni.
Venti giorni erano passati ormai da quella
sera, in cui aveva detto a suo padre di essere incinta. Izayoi lo
sapeva,
perché contava ogni singolo giorno di quella gravidanza,
come le aveva detto la
dolce balia. Così, quando si fosse avvicinato il momento,
sarebbero stati tutti
pronti.
Al momento, la
ragazza aveva contato due mesi più dieci
giorni. Mancava ancora molto al giorno fatidico, ma lei ebbe comunque
una
stretta al cuore. Aveva paura. Paura di provare troppo dolore, paura di
non
essere adatta ad essere madre. A volte riferiva i suoi timori alla
vecchia
Tomoko, che le diceva che era più che normale
quest’ansia, e che si ricordava
quando la madre di Izayoi provava le stesse cose, mentre era incinta.
“Vi ho
vista nascere” diceva la dolce balia, “e posso
assicurarvi che vostra madre fu bravissima, nonostante tutte le paure
che
aveva. Principessa, siete così bella e
gentile…vostra madre ha cresciuto una
bambina eccezionale. E voi non sarete da meno”.
E la giovane
sorrideva, rincuorata da quelle parole.
Tuttavia, non
poteva fare a meno di provare queste paure, di
tanto in tanto.
Inu no Taisho
ultimamente le era stato più vicino che poteva.
Era guarito dalla ferita nel giro di tre giorni, lasciando Izayoi
stupefatta da
quella velocità nel riprendersi.
“Noi
demoni non siamo deboli come voi umani” aveva detto lui
con tono fiero e arrogante.
Mentre pensava
tutte queste cose, Izayoi si lasciò sfuggire
un sorriso, poi notò che la luce del fuoco si stava
affievolendo. Buttò della
nuova legna tra le fiamme, pensando questa volta a suo padre.
Negli ultimi
giorni l’anziano genitore era diventato strano.
Non era più terrorizzato e arrabbiato dalla presenza del
demone che la veniva
spesso a trovare, anzi era freddo e distaccato. Izayoi capì
che il padre, a
modo suo, stava dando il “permesso” alla figlia di
vedere Inu no Taisho. Il
quale in ogni caso non aspettava certo il consenso di nessuno per
passare del
tempo con la principessa.
Comunque, la
situazione era decisamente meno tesa, e Izayoi
ne era felice.
“Spero
che non avrai il caratteraccio di quei due” disse
sorridendo e sfiorando la sua pancia, assorta.
“E io
spero che quando il bambino sarà nato smetterai di parlare
da sola”.
“Amore
mio!” fece lei in un sospiro, correndo ad abbracciare
la figura che era comparsa sulla soglia della stanza.
Inu no Taisho
sorrise e strinse la a sé. “Come stai?”
disse,
baciandola delicatamente sulle labbra.
“Molto
bene, grazie” rispose la ragazza, arrossendo
lievemente. “Sono due giorni che manchi, ero
preoccupata”. Detto questo
accompagnò il daiyokai a sedersi sul futon, accanto a lei.
“Sai
benissimo che non devi”. Il demone assunse un’aria
di
rimprovero e la fissò, e la principessa distolse lo sguardo,
trafitta dagli
occhi ambrati.
“Comunque”
riprese lui, “sembra che Ryukotsusei sia sparito.
Non si è più visto, nemmeno fra i
demoni”.
Lei sorrise,
raggiante. “Ma è una splendida notizia, Taisho!
Abbiamo fatto bene a rimuovere la barriera della tua spada!”
Il daiyokai
però rimase cupo. “Sì, una bella
notizia…”
Conosceva fin troppo bene Ryukotsusei. Probabilmente si era nascosto da
qualche
parte, per attaccare al momento giusto.
Izayoi lo
rimproverò. “Non fare il
brontolone…dovremmo essere
felici piuttosto”.
“E
perché?” questa volta il demone la
guardò interrogativo.
La principessa
sprizzava gioia da tutti i pori. “Ieri mio
padre ha ricominciato a parlarmi, mi ha chiesto anche come stava il
bambino!”
Inu no Taisho si
aprì in un dolce sorriso, ma un sentimento
bruciante prese vita nello stesso istante. “Si è
deciso, finalmente” disse,
mentre la gelosia ardeva in lui tanto quanto la voglia di uccidere.
La ragazza si
asciugò una lacrima. “Sono così
contenta, le
due persone che amo di più sono al mio fianco, mi sento
tanto felice”.
Il daiyokai le
prese la mano con cui si era asciugata il
viso. “Izayoi, non devi mai temere che ti abbandoni. Io ti
proteggerò sempre, a
costo della mia stessa vita”.
La
guardò dritta negli occhi castani, e lei rimase impietrita
a contemplare quello sguardo dorato. Lo stesso sguardo che aveva
conosciuto una
gelida notte. Aveva temuto quegli occhi, li aveva studiati in ogni
minimo
dettaglio, aveva cominciato ad amarli quanto il sole che sorge ogni
mattina.
“Amore mio…grazie, grazie!” E lo
abbracciò, estasiata.
Inu no Taisho la
lasciò fare. La coccolò e la cullò,
poi si
separò dolcemente da lei. Per un attimo, Izayoi ebbe paura
di vederlo andare
via, come aveva già fatto tante altre volte. Invece il
demone si limitò a
spogliarsi della corazza che lo proteggeva, rimanendo con indosso solo
il
candido kimono.
La principessa
sorrise e si accoccolò su di lui,
appoggiandosi al suo petto. “A volte penso che incontrarti
sia stata la cosa
più bella della mia vita”.
“Forse
c’è qualcosa di ancora più bello
sai?” disse lui, e
appoggiò delicatamente la mano sulla pancia di Izayoi.
E lei
sentì di nuovo quella sensazione, ormai familiare ma a
suo modo unica. Il cuore fece un salto e le sue guance bruciarono. Quel
bambino, quel cucciolo che la ragazza portava in grembo era il
testimone
vivente del loro amore, l’unione perfetta di qualcosa che in
natura non sarebbe
possibile. E lei si emozionava al solo pensiero di portare dentro di
sé un
pezzetto del compagno che tanto amava. Si sentiva unica al mondo. Era
unica al
mondo.
La voce del
daiyokai interruppe i suoi pensieri. “Qualcosa
non va?” Lo sguardo profondo tradiva una nota di
preoccupazione.
“No”
rispose lei in fretta, le guance ancora arrossate,
“stavo solo…ho pensato ad un nome per il
bambino”.
Inu no Taisho
inarcò le sopracciglia. “Tu stessa mi hai detto
che non puoi sapere se sarà maschio o femmina”.
“E’
maschio” disse in fretta Izayoi, “lo so. Lo sento
qui”
aggiunse, indicando una zona imprecisata sotto al suo cuore. Ma lui
rimase
scettico, e lei sospirò.
“E’
maschio e basta, fidati di me. E se non lo sarà
penserò
ad un altro nome”.
Lui rise
sommessamente, sinceramente divertito. “Avanti,
sentiamo”.
“Si
chiamerà Inuyasha” disse la principessa decisa.
Il demone ci
rimase un po’ male. “Inuyasha? E’ un nome
strano”.
Izayoi sorrise.
“Invece secondo me è perfetto. Suona bene e
mi sembra dolce…”
Anche Inu no
Taisho sorrise. “Se lo dici tu, allora sarà
Inuyasha”. In effetti se pronunciato ad alta voce non suonava
male. Sorrise
ancora di più nel vedere che la sua compagna sembrava
soddisfatta del suo
lavoro. Era bellissima.
Poi
sospirò. “C’è una cosa che
devo fare”.
La principessa
lo guardò tristemente. “Devi andare via?”
Aveva appena
terminato la frase che subito capì cosa
intendeva il daiyokai. Lui le prese dolcemente il viso fra le mani e la
baciò.
Chissà quanto tempo rimasero uniti in quel gioco delicato e
sensuale. Lui si
imponeva, la stringeva e le accarezzava i fianchi morbidi con un
selvaggio
desiderio faticosamente represso. Ma sapeva come e dove toccarla per
non farle
del male.
Dormivano tutti.
L’occasione era perfetta. A dire il vero,
inizialmente il demone non aveva intenzione di possederla. Ma averla
lì, fra le
sue braccia, calda e innamorata, era troppo perché potesse
resistere.
E lo stesso
pensava la principessa. Il cuore le faceva male
da tanto forte era l’emozione che provava in quegli istanti.
Lui la
spogliò e la adagiò delicatamente sul futon.
Anche il
kimono bianco fu presto un ricordo, mentre i due amanti si
contemplavano. Lo
sguardo dorato e ardente incrociò quello scuro e lucido di
emozione. Un battito
d’ali di farfalla, e i due furono di nuovo uniti in un bacio
passionale e colmo
di desiderio.
Così
fecero l’amore. Si univano e si separavano, si cercavano
e si respingevano, mentre il fuoco lentamente si spegneva e la luna
chiara e
incompleta restava l’unica testimone di
quest’intesa perfetta. In silenzio.
Unico suono, il battito di due cuori.
Uno giovane come
un fiore di primavera, l’altro millenario
come una montagna. Tanto diversi eppure tanto simili, due cuori ora
battevano
all’unisono.
***
Notte di luna
piena.
Il vecchio padre
sedeva nella propria veranda. Non c’era
freddo quella sera, e lui tristemente osservava il disco bianco in
cielo,
perfetto e luminoso. Tanti pensieri aveva per la testa!
Qualche stanza
più in là, la sua adorata figlia dormiva fra
le braccia del demone, lui lo sapeva. Ed era così confuso,
così stanco per
quella situazione. Non era più arrabbiato, no, si sentiva
piuttosto
tremendamente in colpa nei confronti della sua amata Izayoi. Dolce,
cara
ragazza, così bella e ingenua, così fragile che
sembrava poter andare in mille
pezzi da un momento all’altro.
Innamorata
dell’uomo sbagliato. Incinta di una creatura
sbagliata.
Ma in
realtà, chi aveva sbagliato? Questo si domandava il
vecchio signore, mentre osservava le scure fronde profumate della
foresta.
“Mio
signore?”
Lui si
voltò, e vide l’anziana balia sulla soglia.
“Entra
pure, Tomoko”.
La donna non se
lo fece ripetere, e percorse la breve distanza
che li separava. Si sedette accanto all’uomo e
posò a terra un vassoio con una
tazza di tè.
“Signore,
lasciatemi dire una cosa. Vi vedo preoccupato.
Posso esservi utile?”
Il vecchio
sospirò, un respiro stanco, quasi esasperato.
“Pensavo a mia figlia…”
Tomoko
abbassò lo sguardo. In effetti, il padrone non si era
comportato molto bene con la ragazza, ma non osava dirlo.
“Mio signore, sono
sicura che la principessa Izayoi non penserà mai male di
voi”.
“Forse
non adesso” disse l’uomo, poi fece una breve pausa.
“Takemaru ha risposto alla mia lettera. Ci aspetta al suo
feudo, al termine
dell’estate”.
Anche la balia
sospirò. “Voi sapete che quel
giovane…”
“Sì,
sì, lo so! Per questo Izayoi mi odierà. Lei non
ha mai
sopportato Takemaru, fin da quando erano piccoli”. E ora quel ragazzo si dedica anche allo sterminio
di demoni…pensò,
infine.
Ci fu una lunga
pausa, interrotta ogni tanto solo dal fruscio
delle conifere.
Infine
l’anziano signore riprese a parlare. “Negli ultimi
giorni ho ricominciato a parlare a Izayoi”.
Tomoko sorrise
dolcemente. “La principessa ne sarà
contentissima, sicuramente”.
“Sì,
ho notato subito un cambiamento in lei. Oh, Tomoko”
disse lui, con un tono commosso, “non l’ho mai
vista così bella come in questi
ultimi tempi! Sembra proprio sua madre, più che mai. Questa
gravidanza”
aggiunse poi, lottando col suo stesso orgoglio, “questa
gravidanza le sta
facendo proprio bene. E’ tanto felice…”
Il volto della
balia si illuminò di gioia. “Avete detto delle
splendide parole, mio signore!”
Al contrario, il
viso dell’uomo si rabbuiò. “Ma la mia
decisione non cambierà”.
“Non
capisco, perché?” chiese la donna, quasi in
lacrime.
“Ho
pensato a tutte le scappatoie possibili, ma non ne ho
trovate” rispose il vecchio, tornando a guardare la luna.
“Per quanto quel
demone sia gentile e diverso dagli altri, ciò non toglie che
resti comunque
quello che è. Nessuno eccetto Takemaru sarebbe disposto a
sposare mia figlia,
ora che non è più illibata. E se lui ha accettato
questo matrimonio è solo
perché ha sempre provato un certo interesse per lei. Nessuno
fra gli umani deve
sapere di questa gravidanza”.
Tomoko
abbassò nuovamente lo sguardo. “Forse posso capire
ciò
che provate”.
Il signore era
sicuro nelle sue parole. “Voglio solo evitare
che mia figlia venga disprezzata dai suoi simili, per quello che porta
in
grembo. Perciò ho preso la decisione che reputo migliore per
lei. A fine
estate, quando il caldo sarà passato e quindi Izayoi
potrà viaggiare, andremo
in segreto al feudo di Takemaru. Lì attenderemo che nasca il
bambino, poi
celebreremo delle splendide nozze, così potremo dimenticare
tutto e la mia
bambina potrà avere una vita felice”.
La balia
guardò il suo signore interrogativa.
“Ma…il
bambino?”
“Suo
padre lo prenderà con sé e lo porterà
via, lontano da mia
figlia e da occhi indiscreti. Sono sicuro che il demone
accetterà la mia
condizione, per il bene di Izayoi”.
Tomoko non
trovò nulla da ribattere. Non poteva dire nulla,
anche se le parole che aveva sentito le sembravano immensamente tristi
e
ingiuste. Povera creatura, già discriminata prima ancora di
nascere…
Infine
parlò. “Spero solo che tutto ciò
porterà davvero
felicità alla mia signora Izayoi, Mamoru”. Detto
ciò, la donna si alzò e si
ritirò, per andare a dormire.
Il signore era
rimasto fermo dov’era. Nessuno l’aveva
chiamato più per nome, dopo che sua moglie era morta.
Scosse la testa,
come per gettar via i mille pensieri che la
affollavano, e si mise a dormire. La luna luminosa ardeva ancora in
cielo.
La luna
spettatrice di tanti pensieri, tante azioni, tante
vite legate dall’inesorabile forza che è il
destino.
***
L’angolo
dell’autrice:
Ed eccomi, tornata dalla mia
fuga. XD Come descritto
nell’introduzione, avrete sicuramente notato che il capitolo
è molto statico,
ma prepara le basi per il proseguimento della storia. Spero che abbiate
gradito! ^^ Kitsune
|
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Capitolo 13 *** Rivelazioni ***
Prima
di cominciare…
Vi
chiedo umilmente
scusa per il ritardo con cui aggiorno la storia. Ho dovuto sostenere
degli
esami improvvisi all’Accademia, esami che hanno prosciugato
temporaneamente la
mia creatività. Spero davvero che possiate gradire il
capitolo, e quindi che mi
perdoniate! Buona lettura^^ Kitsune
Rivelazioni
Ora, per il
povero padre, l’ostacolo più grande era dire la
verità alla figlia.
Tante volte si
ritrovava assorto, a pensare se davvero ciò
che aveva fatto era giusto. E allora la notte non dormiva, si rigirava
sotto
quella coperta che lo soffocava, insieme al peso della sua coscienza.
Si
alzava, faceva avanti e indietro nella sua stanza più e
più volte, non trovando
una risposta al peso che gravava sul suo cuore.
La sua Izayoi
dormiva ormai ogni notte fra le braccia
dell’uomo che amava. Di quel demone che tutto sommato
l’aveva resa felice.
Poi il vecchio
Mamoru scuoteva la testa, mentre si lambiccava
il cervello. No, lui aveva ragione, stava facendo ciò che
era meglio per la
principessa. Le stava ridando una vita, una vita che sarebbe stata un
inferno,
se fosse dipesa da quel demone e dal bambino. Un mezzodemone era la
disgrazia
peggiore che potesse capitare per una povera ragazza, fragile e ingenua
com’era
Izayoi. Tanto entusiasta di quella gravidanza quanto ignorante della
gravità
della sua situazione.
Sì,
senza dubbio sposare Takemaru per lei sarebbe stata la
cosa migliore.
Eppure, intanto,
la lettera del pretendente restava nel
cassetto, al sicuro, letta e riletta dal signore ma mai svelata a
nessuno, ad
eccezione della vecchia balia.
E le rose di
maggio avevano lasciato il posto all’acceso
verde dell’estate, il sole alto e bruciante. Gli animali
della foresta erano
nel pieno della stagione degli amori. Gli uccellini cantavano
incessantemente
per tutto il giorno, ma erano tutt’altro che fastidiosi.
Il profumo del
sottobosco era più intenso che mai, e nei rari
momenti di silenzio si poteva ascoltare il pigro ronzio delle api
operose. Una
volpe ogni tanto lanciava dei guaiti, per richiamare i cuccioli che
giocavano.
Ogni tanto la si poteva scorgere, la mattina presto, sul limitare della
foresta, mentre cercava qualche preda da dare ai suoi piccoli.
Alla principessa
Izayoi piaceva ascoltare e osservare. Stava
a sentire per ore i canti soavi degli uccellini, e li guardava mentre
compivano
spettacolari acrobazie, presi dalle loro danze d’amore.
Spesso si concedeva una
passeggiata nella foresta per rilassarsi, e allora ogni tanto poteva
scorgere
una pelliccia fulva dileguarsi del bosco.
Di solito era la
dolce Tomoko ad accompagnarla in questi
giretti. La controllava rigorosamente perché altrimenti la
principessa sarebbe
stata capace di non rientrare a casa per l’intera giornata,
presa com’era dalla
natura.
Ma la
principessa non poteva permettersi di affaticarsi
troppo, nella sua condizione. La gravidanza procedeva, e Izayoi aveva
superato
il terzo mese da diversi giorni. Ma lei era davvero serena e rilassata,
stava
affrontando benissimo i suoi timori. I malori dei primi mesi stavano
gradualmente sparendo, ma in compenso la sua pancia aveva iniziato a
crescere sul
serio. Ormai la si poteva scorgere facilmente sotto il leggero kimono
estivo.
La vecchia balia
era estasiata e passava molto tempo con la
sua principessa, a cucire vestiti per il piccolo in arrivo. Izayoi
stava
imparando tantissime cose che purtroppo non aveva mai potuto imparare
dalla
madre. E ogni tanto le capitava di piangere.
“Ah,
gli umori!” diceva allora Tomoko, consolandola.
***
Mentre la dolce
vecchina faceva compagnia a Izayoi di giorno,
la sera arrivava sempre il daiyokai. La guerra in quel periodo si era
interrotta: i due eserciti erano davvero spossati, e perciò
avevano stabilito
una tregua. Per di più, il secondo demone più
forte dell’esercito dell’Ovest,
Ryukotsusei, era sparito. Non che questa notizia dispiacesse agli altri
generali, ma nonostante tutto il demone dagli occhi di sangue era
davvero utile
in battaglia.
Naturalmente, la
scomparsa del demone drago era stata
nascosta ai nemici, per evitare che se ne approfittassero, e nel
frattempo era
arrivata la buona notizia della tregua.
Una sera di fine
giugno, Izayoi se ne stava seduta sulla
veranda a osservare il cielo. Taisho era in ritardo, ma lei non se ne
preoccupava molto. Sapeva che il demone sarebbe arrivato prima o tardi,
quindi
aspettava paziente, e intanto osservava il bosco illuminato dalla luna.
Il
suono dei grilli ora riempiva il silenzio che di giorno solitamente era
rotto
dal rumore delle cicale. Queste ultime alla principessa non piacevano,
perché
quel suono era fastidioso, quasi stonasse col fascino di quella natura
incontaminata.
Mentre pensava a
tutto questo, Izayoi fece una smorfia.
Quegli insetti erano davvero brutti da vedere, oltre che terribili da
ascoltare. Poi, all’improvviso, la ragazza sentì
un fruscio nel bosco.
Non era Taisho,
ormai lo conosceva troppo bene. Se fosse
stato lui, avrebbe sentito la sua armatura tintinnare lievemente al
contatto
coi rami più bassi, avrebbe riconosciuto subito quel passo
felpato che solo il
daiyokai era in grado di fare.
No, non era lui.
Izayoi strinse gli occhi per cercare di
vedere meglio.
“Ma
sei tu!” disse all’improvviso, a voce
più bassa che
poteva.
La volpe si era
spinta fino a qualche metro dalla
principessa, e la guardava incuriosita.
“Dai
piccolina, non ti farò del male…”
La piccola
creatura fece qualche piccolo passetto verso la
ragazza, fissandola coi suoi intensi occhi verdi, che brillavano alla
tenue
luce proveniente dalla casa. Ormai era distante poco più di
un metro dalla
principessa, e annusava l’aria circospetta.
“Sei
proprio timida vero?” disse dolcemente Izayoi, poi
notò
che la povera volpe era molto magra. Chissà
perché.
“Ho
capito! Hai fame”. Detto questo la giovane rientrò
in
casa, e ne uscì qualche minuto dopo con alcuni pezzi di
pane. L’animale era
rimasto dov’era, e appena sentì il profumo del
cibo i suoi occhi si dilatarono
affamati.
Izayoi rise
dolcemente e si inginocchiò a terra.
“Mangia”
disse, posando sul legno della veranda un pezzo di pane. La volpe fu
velocissima. Si avventò subito sul boccone, divorandolo con
avidità ma tenendo
le orecchie ritte e pronte a captare il pericolo.
La principessa
provava pena per quella povera creatura.
Chissà perché era tanto magra…eppure
non era una stagione povera. Le diede da
mangiare fino a che non finì tutti i bocconcini.
“Mi
dispiace piccola, ma non ho più niente” disse
infine,
mostrando i palmi vuoti. La volpe inclinò leggermente la
testa di lato, poi le
si avvicinò per annusare le sue mani. Poi passò
ad annusare la pancia di
Izayoi, vagamente incuriosita.
La ragazza rise
ancora, piena di gioia. “Qui dentro c’è
il
mio cucciolo”. Appiattì le pieghe del kimono,
mostrando la rotondità della sua
pancia. Non le importava che la volpe non capisse, anzi a dire la
verità la
piccola creatura si avvicinò tanto da toccare col muso il
corpo della giovane.
Poi all’improvviso si scostò, abbassando le
orecchie. Lanciò un ultimo sguardo
a Izayoi, sul cui volto era dipinta la più pura sorpresa,
poi partì di corsa,
sparendo nel bosco.
La principessa
era colpita. Che strano comportamento, come se
all’improvviso avesse avvertito un forte pericolo.
Forse
i suoi piccoli
avevano bisogno di lei…
Si
alzò per rientrare in casa. La schiena le faceva davvero
male in quegli ultimi giorni.
“Ti
serve una mano?”
Izayoi fece un
mezzo salto , terrorizzata. “Ma chi…? Taisho,
potevi avvertirmi!” Si teneva una mano sul cuore.
“Mi
dispiace, non sapevo cosa fare, mi sembravi così
persa…”
Il daiyokai si sedette sul futon, accogliendo la ragazza fra le sue
braccia.
“Pensavo
che stasera non saresti venuto” disse lei, fingendo
di essere offesa.
Lui
sospirò stancamente. “Ho avuto da fare”.
La principessa
fu sorpresa da quel tono di voce così diverso
dal solito. Si voltò a guardare il viso di Taisho,
incrociando il suo sguardo
ambrato. Uno sguardo che quella sera era opaco, quasi spento per la
stanchezza.
Non aveva mai visto il demone in quello stato, nemmeno quando si era
presentato
da lei con un tremendo squarcio sulla spalla sinistra.
“Amore
mio, sei sicuro di stare bene?” Era seriamente
preoccupata.
“Sì.
Ho solo bisogno di riposo”. Ma non poteva permetterselo,
perché da giorni era in cerca di Ryukotsusei, di cui non
aveva trovato ancora
alcuna traccia.
Lei sorrise
dolcemente, mentre gli occhi castani diventavano
lucidi. “Mi fido di te” disse, baciandolo
teneramente sulle labbra. Ma
all’improvviso si staccò. “Oh!”
“Che
c’è, Izayoi? Che succede?” Il daiyokai
era allarmato.
“Inuyasha…insomma
il bambino…si è mosso!”
Lui la
guardò sorpreso, un po’ scettico. “Ne
sei sicura?”
“Non
potrei mai sbagliare!”
Detto questo la
ragazza si slacciò l’obi e aprì il
kimono,
rimanendo con indosso solo una vestaglia. “Prova a
sentire”.
Il daiyokai,
ancora incerto e un po’ imbarazzato, posò
delicatamente la mano sulla pancia di Izayoi. Era sempre una strana
sensazione
toccarla, pensando che a pochi centimetri da lui c’era suo
figlio, o sua figlia,
anche se in realtà la principessa era riuscita davvero a
convincere anche lui
che fosse un maschio. Toccando la pelle della sua compagna il demone
provava
sempre una gioia intensa, una gioia che tuttavia era sempre inquinata
da
quell’ombra che terrorizzava persino lui. Allora gli ricadeva
addosso la
consapevolezza di quanto sarebbe costato vivere a quel bambino, di
quanto
avrebbe sacrificato e sofferto per trovare un posto in quel mondo che
l’avrebbe
sempre disprezzato.
Disprezzato per
ciò che era e per ciò che non era.
Questi pensieri
passarono in un istante nella mente di Inu no
Taisho, i suoi occhi si velarono di tristezza ma Izayoi non lo
notò.
“Non
sento niente” disse infine, con una nota di delusione
nella voce.
La principessa
si fece triste. “Allora, forse è stata solo
una mia impressione…”
“O
forse è troppo presto perché lo possa sentire
anche io”
disse il daiyokai sorridendo. La ragazza sorrise speranzosa e si
appoggiò al
demone, rilassata. Lui, invece, era piuttosto teso.
“Izayoi,
io dovrei…”
La principessa
si voltò a guardarlo, questa volta
tristemente. “Devi andare via, giusto?”
“Esatto”
rispose lui, distogliendo lo sguardo.
Lei sorrise
dolcemente, nonostante avesse le lacrime agli
occhi. “Ho capito, non ti preoccupare. So che lo fai per
me” disse infine,
baciando la guancia del daiyokai, il quale si sentì
sollevato. Izayoi non era
una donna stupida, ma il suo umore era molto variabile in quegli ultimi
tempi.
Si
alzò, e la principessa lo imitò.
“Allora io vado”.
“Ti
prego amore mio, stai attento”.
Lui si
limitò a sorridere con sicurezza, poi si lanciò
di
corsa nel bosco. Doveva ancora abituarsi a sentirsi chiamare amore mio, però non gli
dispiaceva, in
fondo.
***
La principessa
trascorse il giorno successivo in totale
tranquillità, in attesa del ritorno di Taisho. Fece la sua
consueta passeggiata
ma quella mattina, invece della dolce Tomoko, ad attenderla per uscire
c’era
suo padre. Izayoi ne rimase piuttosto sorpresa. Il vecchio genitore non
l’aveva
mai accompagnata nei suoi giretti prima d’ora.
“Padre,
dov’è Tomoko?”
“E’
dovuta andare al villaggio oltre il bosco. Non ha voluto
che andassi anche tu perché non sei più in grado
di camminare così a lungo”.
Fece una pausa e sorrise. “Non vuoi che ti accompagni
io?”
Izayoi
arrossì, imbarazzata. “Certo che voglio. Vi chiedo
scusa, sono stata irrispettosa…”
“Figlia
mia, non sei stata affatto irrispettosa. Anzi, sono
io che ti chiedo perdono, per non averti avvisata. Andiamo?”
chiese infine
l’anziano signore, prendendo la mano alla ragazza.
Lei sorrise.
“Sì, andiamo”.
Si inoltrarono
quindi nel bosco, iniziando la loro
passeggiata. Il sole filtrava fra i rami delle conifere, donando al
paesaggio
un aspetto paradisiaco. Per diversi minuti Izayoi e suo padre rimasero
in
silenzio, ma infine l’uomo riuscì a parlare.
“Piccola
mia, c’è una cosa che devo dirti” disse,
tenendo lo
sguardo basso.
La principessa
lo guardò incuriosita. Con un sospiro, il
padre riprese a parlare.
“Alla
fine dell’estate ce ne andremo da qui. Dovremo cambiare
casa. Pare che le guerre si stiano spostando, e saremo al
sicuro”.
Izayoi sorrise,
ma un velo di tristezza attraversò il suo
volto. “E’ una buona notizia. Ma io sto
così bene qui. E poi” aggiunse,
accarezzandosi la pancia, “questo è il luogo
perfetto per crescere mio figlio.
Per noi sarà dura all’inizio, sarà
meglio rimanere nascosti, non trovate?”
“Forse…ma
avrei trovato un’altra soluzione”.
A questo punto
la principessa era davvero confusa. “Che
soluzione?”
Il vecchio
signore trovò tutto il coraggio che aveva. “Ti
ricordi
di Takemaru?”
Izayoi rise
leggermente. “Sì, certo che mi ricordo. Giocavamo
spesso insieme da bambini”.
“Esatto.
Ecco…mi ha mandato una lettera qualche tempo fa. Io
gli ho risposto”.
La ragazza aveva
un brutto presentimento. “Di che lettera
state parlando? Io non sapevo niente”. Il suo volto esprimeva
tutta la
confusione che provava in quel momento.
“Takemaru
mi ha chiesto la tua mano. Gli ho dato la mia
benedizione”.
“Che
cosa?” disse Izayoi, in un sospiro. Certo aveva capito
che non sarebbero state buone notizie, ma questo era davvero troppo.
“Perché l’avete
fatto?!”
La sua voce
arrabbiata risuonò limpida nell’aria profumata
della foresta. Mamoru la guardò addolorato, ma deciso.
“Non sapevo cosa fare.
Ho ritenuto che fosse la cosa giusta per te, e lo penso
ancora”. La sua voce,
al contrario di quella della principessa, era ferma e sicura.
Izayoi era fuori
di sé. Il cuore batteva all’impazzata, le
faceva male. “La cosa giusta?! Cosa sapete voi di cosa
è giusto per me adesso?!”
“Izayoi,
non accetto un rifiuto”. Il vecchio si sentiva
malissimo nel parlare in quel modo all’adorata figlia, ma
sapeva che prima o
poi sarebbe successo.
“Voi
non sapete affatto cosa sia meglio per me, padre. Odiate
Taisho, e quel che è peggio odiate mio figlio”.
Mentre diceva queste parole,
calde lacrime le bagnarono le guance. “Non vi
perdonerò mai”.
Detto questo
Izayoi se ne andò correndo, con tutto il fiato
che aveva in corpo. Arrivò in pochi minuti nella sua stanza,
sudata e tremante.
Il cuore martellava senza sosta, mentre il bambino si fece sentire,
impercettibilmente. Non le importava di ciò che aveva deciso
suo padre, sapeva
solo che da quel momento in poi lei avrebbe vissuto unicamente per il
cucciolo
che aveva in grembo. Nulla avrebbe impedito loro di vivere felici.
Così,
l’intera giornata passò. Izayoi si chiuse in un
silenzio che per il vecchio padre era a dir poco esasperante. La
principessa
non mangiò, né uscì dalla sua stanza.
Non si fece viva in alcun modo. Non uscì
nemmeno quando la dolce Tomoko tornò dal villaggio.
D’altro canto, la donna non
la disturbò. Era abbastanza saggia ed esperta da capire al
volo cosa fosse
successo.
Quella sera
tutti si coricarono molto presto, anche il
vecchio Mamoru. Ma Izayoi non riusciva a dormire. Aveva pianto spesso e
silenziosamente, ma voleva essere il più naturale possibile
per l’arrivo di Inu
no Taisho. Anche quella sera sembrava avrebbe tardato.
I minuti
passarono molto lentamente. Il silenzio, tutt’intorno
nella foresta, era assoluto. Ma ad un certo punto, un rumore familiare
destò la
principessa dai suoi pensieri. Il solito, inconfondibile rumore di
passi.
La ragazza si
alzò, al colmo della felicità. Le era costato
molto quell’ostinato silenzio, sentiva il bisogno di stare in
compagnia. Finalmente è
arrivato…!
Uscì
sulla veranda. Non poteva aspettare. Si mise a correre
ed entrò nel bosco. “Taisho…!”
Rallentò
e prese a camminare. Aveva già il fiatone, quel
giorno aveva decisamente esagerato. Giunta in uno spiazzo illuminato
dalla luna
tenue, Izayoi si fermò, chiamando ancora il suo compagno. Il
fruscio tra le
foglie era ormai vicinissimo.
Un’armatura
lucente venne colpita dalla luce bianca.
“Amore
mio?”
Un guizzo di
capelli argentei.
“Taisho,
sei tu?”
Gli occhi dorati
la fissavano in modo strano, diverso dal
solito. La figura uscì dagli alberi, mostrandosi
completamente alla luce della
luna. “Credo che tu abbia sbagliato persona, umana”.
La voce glaciale
raggiunse Izayoi come un coltello affilato.
Un brivido percorse la schiena della ragazza, che non ebbe la forza di
ribattere.
Ma il demone,
quel demone così simile a Taisho eppure così
profondamente diverso, non aspettava una risposta. “Ho
sentito delle voci. Voci
che dicono che aspetti un figlio dal Grande Demone Cane”.
Abbassò lo splendido
sguardo dorato, soffermandosi sulla pancia della giovane.
Ancora una
volta, Izayoi non rispose. Si limitava a guardare
il misterioso demone con occhi sbarrati.
“Quel
bambino” riprese lui, “è un mezzodemone,
giusto?”
Un ghigno
malevolo gli attraversò il volto, mentre la ragazza
era paralizzata dall’orrore. Tuttavia questa volta lei
riuscì ad aprire bocca. “Chi…chi
sei…?”
Il demone parve
non ascoltarla, e continuando a sorridere
fece schioccare le dita artigliate. “Non accetterò
mai una simile vergogna. Ora
io ti uccido”.
***
L’angolo
dell’autrice:
Eccomi qua! Chiedendovi
nuovamente perdono per il mio
tremendo ritardo, mi auguro che abbiate gradito il capitolo.
Cercherò di
aggiornare al più presto, l’ispirazione sembra
tornata…alla faccia degli esami,
tiè! XD Ditemi che ne pensate, mi piace sentire il vostro
parere. A presto! ^^
Kitsune
|
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Capitolo 14 *** Furia ***
Furia
Nella folle
corsa, gli alberi erano solo delle macchie scure
indistinguibili. Anche quel giorno la ricerca di Ryukotsusei non aveva
dato
alcun frutto. Inu no Taisho aveva vagato a lungo nelle terre
più remote del
Paese, ma senza risultati. Nemmeno una traccia rivelava un possibile
passaggio
del demone dagli occhi iniettati di sangue.
Il demone si
muoveva veloce nella foresta, aiutato dal vento
che soffiava alle sue spalle. Il bosco era molto strano, silenzioso,
quasi
senza vita. Era tetro. Non fosse stato per la lieve falce lunare che
filtrava
lievemente tra i rami, tutto sarebbe stato immerso nel silenzio e
nell’oscurità
più completi.
Poco prima, il
daiyokai aveva avuto uno strano presentimento.
Per questo correva rapidissimo, verso Izayoi. Non aveva notato nulla di
strano
durante il suo cammino, ma sentiva uno strano peso nel cuore. Provava
ansia, aveva
fretta. Doveva essere dalla principessa il prima possibile.
Gli occhi dorati
guardavano in ogni direzione, in cerca di un
indizio, di un segno che gli facesse capire perché si
sentiva così oppresso.
Niente. L’unica cosa strana era che i grilli, di solito tanto
rumorosi, ora
tacevano.
Inu no Taisho si
impose di calmarsi. In fondo, non c’era
motivo di essere tanto allarmato. Doveva smetterla di percepire
pericoli
ovunque. Izayoi era al sicuro a casa sua, e non era successo nulla di
cui lui
dovesse preoccuparsi.
Poi il vento
cambiò direzione.
Il daiyokai si
fermò all’improvviso, circondato dal silenzio
opprimente. Si concentrò nel tentativo di riconoscere
quell’odore che già aveva
sentito tantissime altre volte. Non lo riconosceva. Anzi, non voleva
riconoscerlo.
No, non poteva
essere così.
In
realtà il demone sapeva benissimo chi era, ma non voleva
capacitarsene. Non si trattenne un attimo di più. Si
lanciò in una corsa ancora
più folle, spinto dal terrore di perdere la sua principessa,
spinto dal
desiderio di salvarla.
Così
correva e correva. Il tempo sembrava non passare mai.
Forse ce l’avrebbe fatta, forse l’avrebbe salvata.
Ma come poteva essere stato
così idiota?! Avrebbe dovuto prevedere che prima o poi
sarebbe successo. Che
Sesshomaru avrebbe scoperto che Izayoi aspettava un bambino.
“Dove
andate, mio signore?”
Inu no Taisho si
bloccò. “Che fai qui, Minori?”
La kitsune stava
avanzando verso di lui, i capelli rossi
illuminati dalla luna e gli occhi verdi fissi su di lui.
“Stavo facendo un
giro” disse, aprendosi in un candido sorriso.
Il daiyokai
rimase impassibile. Non credeva ad una sola
parola di quello che lei aveva detto. Intanto la demone continuava a
sorridere,
ma ora si manteneva ad una certa distanza.
“Questo
non è il tuo territorio” disse lui, “non
mentire”.
Minori a questo
punto divenne seria. “Se sono qui è per un
motivo preciso”.
Inu no Taisho
sospirò stancamente. “Ho degli affari
più
urgenti da sbrigare ora. Parleremo dopo dei tuoi problemi”.
Detto questo fece
per andarsene, ma la kitsune lo interruppe.
“Vai
dalla tua ningen? Credo che ormai sia troppo tardi”.
Il daiyokai si
fermò nuovamente. “Che ne vuoi sapere tu di
lei?”
La kitsune
scoppiò improvvisamente a ridere. Una risata
cristallina, squillante nel silenzio della foresta. “Cosa ne
so? Ditemelo voi…eppure
dovreste sapere che noi demoni siamo disposti a tutto per riavervi
dalla nostra
parte, signore”.
Inu no Taisho la
guardò con gli occhi sbarrati. “Cosa intendi
dire con questo?”
“Voglio
dire che quella donna è solo un ostacolo per un
grande demone come voi. Bisognava fare qualcosa”.
Il daiyokai
cercò di mantenere una fredda calma. Aveva già
deciso quale sarebbe stata la sorte della kitsune, ma gli serviva
ancora. “Cosa
sai di Izayoi?”
Minori
tornò seria e incrociò le braccia. “So
che siete molto
intimi…anzi, ne sono
sicura, visto
che aspetta un figlio mezzosangue da voi”.
“Allora
sapete anche del bambino”.
La demone
sorrise in modo impercettibile. “Quando assumo la
mia forma animale so calarmi perfettamente nella parte. Sono solo una
tenera
volpe affamata. La ningen non ha saputo resistermi, così
sono riuscita ad
avvicinarmi”.
La voce del
daiyokai uscì dalle labbra piena di gelido odio.
Aveva sentito abbastanza. “Avevo detto a tutti di non
intromettersi nei miei
affari. Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro”.
Minori
arretrò leggermente, intimorita da quel cambiamento
repentino nell’atteggiamento del suo signore. “Non
avevamo altra soluzione”.
Ma il demone non
l’ascoltò. “Mettendoti in combutta con
Sesshomaru hai fatto un grossissimo errore, Minori”. Gli
occhi dorati avevano perso
quella dolcezza che in genere li caratterizzava: ora erano duri e
spettrali, le
pupille come due lame.
La kitsune fece
ancora qualche passo indietro, questa volta
decisamente spaventata. “Sono convinta che col tempo
sarà contento di tutto
questo…!”
“Contento…”
disse il daiyokai quasi sovrappensiero. I suoi
occhi si addolcirono, e sorrise. Avanzò lentamente verso la
volpe pronta a
fuggire. “Dici sul serio?”
Minori si
rilassò, vedendo il suo generale così tranquillo.
Azzardò un timido sorriso, ma il suo sguardo non
riuscì ad incrociare gli occhi
ambrati. “Sì…tornerà ad
essere quello di sempre”.
Così
avrò reso felice
Sesshomaru…
Inu no Taisho
era di fronte a lei. Le prese il mento fra le
dita, alzandole delicatamente il viso.
“Guardami…”
Minori
alzò timidamente lo sguardo. I suoi occhi verdi
incrociarono quelli dorati. Quanto erano irresistibili, unici al
mondo…ma lei
amava gli occhi del principe. Preferiva le iridi gelide e taglienti del
figlio,
invece di quelle calde e avvolgenti del padre.
Fu un secondo.
La kitsune nemmeno se ne accorse.
Un rivolo di
sangue le uscì dalla bocca, poi dal naso. Lei
continuava a fissare quegli occhi ambrati. Proprio quello sguardo,
quello che
un minuto prima emanava tranquillità, quasi dolcezza, e che
in un attimo si era
trasformato.
Per diversi
secondi Minori non fu in grado di distogliere gli
occhi verdi dal suo generale, ma infine con un certo sforzo ci
riuscì. Guardò
in basso. La vista le si offuscava lentamente, tuttavia vide
chiaramente il
braccio del daiyokai immerso nel suo petto, all’altezza del
cuore.
Minori non
sentiva dolore.
Tossì,
mentre un rivolo di sangue più consistente usciva
dalle sue labbra carnose. Così alzò nuovamente lo
sguardo, lentamente. Guardò
il demone dagli occhi dorati ancora una volta. Riconobbe molti
sentimenti
attraversare quel viso giovane e millenario. Rabbia, dolore, tristezza,
disperazione…furia.
E allora la
kitsune capì. Aveva davvero fatto un grosso
errore. Avrebbe dovuto capirlo.
“Perdonami…Taisho…”
Avrebbe dovuto
capire quello che intendeva il daiyokai. Il
motivo per cui era così cambiato, per cui difendeva senza
tregua quella donna.
Era lo stesso
motivo per cui lei era pronta a morire per
Sesshomaru.
Sorrise
debolmente. Calde lacrime le rigarono il viso.
Forse
Sesshomaru sarà
comunque fiero di me…
Con questo
pensiero, Minori morì, gli occhi verdi in lacrime
ormai vuoti, il sorriso ancora stampato in volto. Il daiyokai, accecato
dalla
furia, abbandonò il suo corpo a terra, e scattò
alla ricerca del suo prossimo
nemico.
***
Ormai non
c’era scampo. Sarebbe morta.
Izayoi non aveva
rimpianti. Non era pentita delle scelte che
aveva fatto in quell’ultimo, tumultuoso periodo della sua
vita. Ne era certa.
Era diventata una donna.
Però,
forse, un rimpianto c’era nel suo cuore. Lo sentiva
mentre le attanagliava lo stomaco, scuotendo la sua anima nel profondo.
Non
avrebbe mai visto suo figlio, perché non sarebbe mai venuto
al mondo.
Era dunque
quello il loro destino? La principessa sarebbe
morta per aver deciso di difendere la fragile vita dentro di
sé. Un bambino
innocente sarebbe morto prima ancora di nascere, ucciso per il suo
semplice
essere diverso.
Tutto
ciò non era giusto.
“Perché…?”
Il demone
sorrise malignamente. “Adesso morirai, quindi è
inutile fare domande”. Si avvicinò.
Izayoi era in
lacrime. “Stammi lontano!”
Lo sconosciuto
la trafisse con lo sguardo. “Mi hai stancato,
umana”. Detto questo in un attimo le fu davanti, gli artigli
pronti a colpire.
Ma il demone non
fece in tempo a sfiorarla. Venne colpito al
fianco e mandato a sbattere contro un albero poco lontano. Poi qualcun
altro si
parò davanti alla ragazza.
“Izayoi,
sei ferita?”
“T-Taisho…”
La tensione
degli ultimi minuti si sciolse e la principessa
barcollò, andando ad appoggiarsi al petto del daiyokai.
Quest’ultimo la strinse
a sé. “Non temere, ora ci sono io con
te”.
Si
voltò a guardare l’avversario, che ormai si era
ripreso ed
era in piedi, immobile. “Sesshomaru, ora basta. Hai passato
il limite”.
Il giovane
demone sorrise. “In realtà avevo appena
cominciato, padre…”
La principessa
rimase di stucco. Quel demone aveva appena
chiamato Taisho padre?
Sentì che il
daiyokai la faceva sedere a terra, lontano dal ragazzo chiamato
Sesshomaru. Si
riscosse dai suoi pensieri.
“Amore
mio…quel demone è tuo…?”
“Mi
dispiace di non avertene mai parlato, ma ora non è il
momento Izayoi” rispose lui, tirando fuori una veste rossa da
sotto la sua
armatura. “Metti questa. E tieni anche Tessaiga, ti
proteggeranno entrambe”.
La principessa
obbedì e si mise subito intorno la veste
scarlatta, poi prese fra le mani la spada. “Cosa vuoi
fare?”
“Non
ho scelta” disse il demone, rialzandosi. “Non
allontanarti troppo. Non potrei proteggerti da altri
attacchi”. Detto questo si
voltò e si diresse verso il figlio.
Sesshomaru lo
guardava serio, con una punta di disprezzo negli
occhi. “Ti ostini a proteggerla?”
Inu no Taisho
strinse i pugni. “Ti ho già detto che non sono
cose che ti riguardano”.
“Invece
mi riguarda eccome” lo interruppe il figlio,
trattenendo a stento la rabbia, “non mi farò mai
disonorare dalla nascita di
uno sporco mezzosangue”.
Gli occhi dorati
del daiyokai persero nuovamente ogni
scintilla di umanità, diventando vuoti e terrificanti.
“Inuyasha è mio figlio.
Non osare insultarlo oltre, o potrei dimenticare che anche tu lo
sei”.
Sesshomaru
sbuffò sprezzante. “I tuoi rimproveri non mi
toccano.
Appena ti avrò messo in condizione di non muoverti
ucciderò quella ningen, e lo
farò sotto i tuoi occhi”.
“Non
ti tocca nemmeno la morte della tua donna, immagino”
replicò il daiyokai con la massima calma.
“La
mia donna? Intendi Minori forse?” La voce del principe
tradiva una nota di sorpresa, che il padre non si fece sfuggire.
Taisho
continuò il suo discorso, pacato. “Proprio lei. Si
è
messa in mezzo al mio cammino. Voleva distrarmi per darti il tempo
necessario a
uccidere Izayoi”.
Sesshomaru
assunse nuovamente il suo atteggiamento freddo e
distaccato. “Hai detto che è morta?”
“Quella
kitsune era intelligente, non pensavo che per te
avrebbe osato addirittura ostacolarmi. Invece l’ha fatto, e
ha pagato il suo
errore”.
Le ultime parole
furono pronunciate da Taisho con un tono
diverso, intriso di un’agghiacciante furia che faceva gelare
il sangue. Izayoi,
che guardava la scena in silenzio, vide per la prima volta il vero Inu
no
Taisho. La sua natura demoniaca, di solito celata dai profondi occhi
dorati,
era ora facilmente riconoscibile nel daiyokai, nelle mani artigliate
pronte a
scattare, nei tratti del viso induriti e concentrati, che
già assaporavano il
gusto della battaglia.
No, si diceva la
principessa, quello non era il suo adorato
compagno.
La ragazza
guardò poi Sesshomaru, che non aveva risposto alle
parole del padre, e al chiarore lunare poté giurare di
vedere un’ombra strana
attraversare quel volto glaciale. Solo per un attimo. Rabbia,
disperazione,
forse paura? A questa domanda Izayoi non sapeva dare risposta. Non
conosceva
quel demone, ma si convinse che questa Minori, chiunque ella fosse,
doveva
essere stata una persona importante per il giovane daiyokai.
Il silenzio che
si era creato si ruppe all’improvviso. Inu no
Taisho fece schioccare le dita artigliate, pronto
all’attacco. Non avrebbe utilizzato
le sue spade, voleva vincere contando sulle sue sole forze. Soprattutto
perché
voleva coinvolgere il meno possibile Izayoi.
Infatti
Sesshomaru non si fece aspettare troppo. Scattò verso
il daiyokai con gran velocità, ma Taisho era pronto.
Schivò un’artigliata
diretta al suo viso e con un calcio sfondò
l’armatura che proteggeva il
principe sul ventre.
Il giovane
daiyokai arretrò di diversi metri, rimanendo
impassibile. Ma aveva accusato il colpo: l’armatura davanti
cadeva a pezzi e
lui respirava faticosamente. Doveva aspettarselo, suo padre non era
quel genere
di avversario con cui fare mosse avventate. Tuttavia il colpo non era
stato
così potente. Ben presto riprese a respirare piuttosto bene.
Il padre era
immobile, in piedi, poco lontano. I suoi occhi
erano colmi di una gelida furia. “Non costringermi a fare sul
serio,
Sesshomaru”.
Il principe
sorrise. Parlò per la prima volta dopo diversi
minuti. “Abbiamo appena iniziato, padre”.
Detto questo
partì di nuovo all’attacco, ma non fu
sprovveduto come prima. Fingendo un attacco frontale, Sesshomaru si
scansò
invece all’ultimo momento, e con un agile salto fu alle
spalle del padre.
Quest’ultimo fece appena in tempo a girarsi, per pararsi col
braccio.
Izayoi
sentì il rumore di una veste strappata, mentre un
odore acre riempì l’aria tutto intorno a loro.
“Taisho!”
Il daiyokai si
teneva l’avambraccio sinistro, che sanguinava
parecchio. La protezione era andata distrutta, sciolta dal veleno di
Sesshomaru. Non era una ferita tanto grave, ma aspettò ad
attaccare.
E suo figlio si
avventò ancora su di lui, sperando di
assestargli un altro colpo, ma finendo dritto nella trappola. Questa
volta
Taisho era preparato. Scansò gli artigli intrisi di veleno e
si allontanò da
Sesshomaru. In un attimo dalle dita del daiyokai fuoriuscirono diversi
filamenti dorati e luminosi simili a fruste. Con quelli
immobilizzò il figlio, e
cominciò a stritolarlo lentamente.
“Te lo
ripeto per l’ultima volta, Sesshomaru. Non
costringermi a fare sul serio”. Detto questo strinse ancora
la presa. Il
principe dei demoni era senza fiato, ma cercava di non far notare la
sua debolezza.
Continuò a resistere.
Taisho strinse
ancora e ancora.
Sesshomaru era
al limite.
Poi la foresta
venne inondata da una luce improvvisa. Diversi
alberi caddero. Izayoi ebbe molta paura, ma fu protetta dalla barriera
di Tessaiga,
poi vide cos’era successo.
Dove prima si
trovava il giovane daiyokai, stretto dalla
morsa del padre, ora si trovava un enorme cane d’argento,
dagli occhi iniettati
di sangue, le fauci scattanti che minacciavano Taisho. Il terrore prese
il
possesso della principessa, che tremava come non mai. Non aveva mai
visto nulla
del genere.
Il Generale Cane
rimase impassibile. “Dovevi essere proprio
disperato, se hai deciso di rivelare la tua vera forma. Non
c’è nulla da fare,
hai ancora molte cose da imparare”.
Dopo aver detto
queste parole, anche lui si trasformò. La
pelliccia candida che ricopriva le spalle si ingrandì,
diventando d’argento. Il
viso si allungò e con esso anche i canini. Gli occhi dorati
mutarono, divenendo
rossi e scintillanti come quelli del figlio.
Quando
terminò la trasformazione, Taisho guardò il
figlio,
emettendo un ringhio cupo e raggelante. I due demoni superiori si
studiarono
per diversi secondi girandosi intorno, fronteggiandosi.
Poi, in un
ringhio simile ad un ruggito, Sesshomaru scattò e
si avventò sul padre. Iniziò un combattimento
furioso e tremendo.
Izayoi era
protetta dalla barriera di Tessaiga ma aveva tanta
paura. Si sentiva paralizzata, non riusciva a muovere un muscolo. Inu
no Taisho
riusciva a mantenere il combattimento ad una certa distanza da lei, ma
ciò non
toglieva che quella fosse una lotta tremenda non solo a guardarsi, ma
anche a
sentirsi.
Gli artigli
saettavano, illuminati dalla luna, e laceravano
la carne. Le zanne scattavano in un alternarsi di ringhi e ruggiti,
alcuni
minacciosi, altri trionfanti, altri ancora di dolore.
Poi, tutto
cessò. La principessa non seppe mai dire quanto fosse
durata quella lotta. Ma era ancora notte fonda.
Non vedeva
nulla. I due demoni nella furia del combattimento
si erano allontanati, ed erano spariti alla sua vista. Ma il surreale
silenzio
che ora regnava nel bosco era un chiaro segnale: la lotta era
terminata, e
qualcuno doveva esserne uscito vincitore. Chissà chi.
E
così un altro tipo di paura assalì la giovane in
quel
momento. Taisho poteva avere anche perso, poteva anche essere morto! Le
lacrime
le inondarono gli occhi castani, mentre si alzava chiamando il suo
compagno.
“Taisho!”
Si mise a
correre, inciampando nei sassi, nei rami caduti
durante la terribile lotta. Incautamente abbandonò a terra
Tessaiga.
“Taisho,
rispondi!”
La sua voce era
disperata, le sue urla strozzate dal groppo
alla gola.
Poi,
all’improvviso, sentì un rumore. Rami spezzati da
un
incedere lento e pesante. La principessa si voltò verso la
macchia di larici da
cui proveniva quel rumore. Non lo riconosceva.
Il suo cuore
accelerò, mentre i passi si avvicinavano sempre
di più.
Poi una figura
uscì dalle fronde, illuminata dalla luna
tenue. Occhi dorati, capelli lunghi e argentei mossi dal vento. Capelli
sciolti.
No!
Non può essere!
Izayoi
nuovamente si sentì paralizzare dall’orrore,
mentre la
figura incedeva lenta e silenziosa verso di lei. Allora era
così che doveva
andare. Se solo Taisho non fosse intervenuto…lei sarebbe
morta comunque, ma lui
sarebbe rimasto in vita. Chiuse gli occhi, aspettando la morte.
“Izayoi…stai
bene?”
Quella voce,
esausta sì, ma familiare inondò di calore la
principessa. “Amore mio…sei tu!”
Si
gettò fra le sue braccia, scoppiando in un pianto
disperato. Il daiyokai la strinse dolcemente a sé.
“Scusami, ti ho fatta preoccupare”.
Fra i
singhiozzi, Izayoi prese debolmente a pugni il petto
del suo compagno. “Sei uno stupido, sei solo uno
stupido!”
“Lo
so” disse lui sospirando, ma sorrise. Izayoi stava bene,
gli bastava questo.
La principessa
pianse ancora per diversi minuti. Mentre
stringeva fra le mani la veste lacerata di Taisho, sfogò
tutto l’orrore di
quella notte. La paura di morire, il timore nel vedere Taisho
combattere e
ferirsi, il terrore di perderlo per sempre.
Sentì
Inuyasha dentro di lei. Stava bene. Le persone che
amava di più erano salve, più di così
la principessa non avrebbe potuto
desiderare.
Troppe emozioni
davvero, quella notte. Così Izayoi si
addormentò, cullata dal tepore del suo amato demone.
Sarebbero stati felici
ancora una volta, insieme.
***
L’angolo
dell’autrice:
Eccomi! Mamma mia che
capitolo…movimentato! Spero che abbiate
gradito, se no sono pronta a fuggire col mio fagottino! Aspetto le
vostre
opinioni! ^^ Kitsune
|
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Capitolo 15 *** Amore, dolore ***
Il
mio pensiero
vola verso te,
per
raggiungere le
immagini
scolpite
ormai
nella coscienza,
come
indelebili
emozioni
che
non posso più
scordare…
e
il pensiero andrà
a cercare
tutte
le volte che
ti sentirò distante,
tutte
le volte che
ti vorrei parlare,
per
dirti ancora
che
sei solo tu la
cosa
che
per me è
importante...
-tratto
da “Per
me è importante”, Tiromancino-
Amore,
dolore
“Izayoi,
ti ho detto che in meno di tre giorni sarò già
guarito del tutto”.
La coppia si
trovava nella stanza di della principessa. Fuori
era ancora buio. I grilli avevano ripreso a cantare, come se avessero
capito
che il peggio era ormai passato. In effetti era così, ma la
ragazza non
smetteva di preoccuparsi, mentre con cautela si prendeva cura delle
ferite del
suo compagno.
Izayoi si era
ripresa dallo svenimento nel giro di qualche
minuto, fra le braccia del daiyokai. E una volta rientrati, alla luce,
entrambi
avevano potuto vedere le conseguenze di quel terribile scontro. La
prima cosa
che la giovane aveva notato era la veste lacera del demone: la corazza
era
andata distrutta e perduta nella foresta. Solo la protezione
dell’avambraccio
destro si era salvata. Il kimono era strappato in diversi punti,
irreparabile.
Quindi il primo,
secco ordine che la principessa aveva dato a
Inu no Taisho era facilmente intuibile.
E ora, un
daiyokai quasi nudo si trovava seduto sul futon
della principessa, che gli stava pulendo le ferite.
“Non
mi interessa quanto tu sia invincibile, non posso
lasciarti in questo stato”.
Inu no Taisho
sospirò stancamente. Sapeva che in discussioni
come quella lui non avrebbe mai vinto, e questa non sarebbe stata
un’eccezione.
Quindi si limitò a tacere per alcuni minuti, mentre Izayoi
ricuciva con molta
premura una ferita sul suo addome. Era davvero brava.
“Non
pensavo che fossi tanto pratica”.
Lei
arrossì, ma cercò di non farlo notare.
“Ultimamente uso
molto ago e filo”.
Il demone
inclinò leggermente la testa di lato, guardandola
interrogativo. “Davvero?”
Izayoi rise
dolcemente. Per un attimo, Taisho le era sembrato
proprio come un cane. Si guadagnò un’occhiataccia
di quelle che solo lui sapeva
fare, così si affrettò a rispondere.
“Sì, sto facendo…dei
vestitini…”
Le ultime parole
erano sfumate sulle labbra rosee della
principessa, e il daiyokai la guardò confuso. “Che
hai detto?”
“Ho
detto che sto cucendo dei vestitini!” Era riuscita a
dirlo.
Inu no Taisho
rimase silenzioso per qualche secondo. Poi
sorrise dolcemente. “Sarai proprio una splendida madre,
sai?”
Il fuocherello,
in quell’istante, era freddo in confronto
alle guance di Izayoi, che distolse lo sguardo, incapace di mantenere
il
contatto con gli occhi dorati. “Grazie, significa molto per
me”.
“Sei
troppo formale, Izayoi”.
“Che
intendi dire?”
Con un movimento
agile e fluido, lui la attirò fra le sue
braccia e la baciò. “Che avrei preferito se mi
avessi ringraziato così”.
Sfiorò
le guance incandescenti della principessa. Quanto
adorava il suo imbarazzo. La guardò dritta negli occhi
castani, mentre il
desiderio prendeva possesso della sua volontà. Lo scontro
col figlio sembrava
ormai lontano nella sua memoria.
Izayoi si
sentiva paralizzata. Il cuore batteva
irrefrenabile. Poi sentì qualcosa di caldo nella mano
destra, appoggiata sul
futon in cerca di l’equilibrio. “Ma
cosa…?”
Abbassò
lo sguardo per guardare il suo palmo, e l’orrore si
dipinse sul suo viso. Era lucido di rosso scarlatto. Poi
guardò il futon, anche
quello impregnato del sangue del daiyokai.
“Che
succede? Perché tutto questo sangue?!”
La principessa
si alzò, disperata, guardando la pozza rossa
che si allargava lentamente. Non poteva crederci, come poteva una
ferita
perdere tanto sangue? Lo stupore però fu presto sostituito
da ansia e
preoccupazione. Così Izayoi cercò subito la fonte
di quel disastro, e non ci
mise molto a trovarla.
La lacerazione
sull’avambraccio sinistro si era
improvvisamente aperta. Si trattava dello stesso punto in cui Taisho,
per
difendersi dall’attacco del figlio, aveva ricevuto
un’artigliata impregnata di
veleno.
La ragazza
guardò Inu no Taisho. Ormai aveva imparato a
conoscerlo, e sapeva che adesso persino lui non era più
tanto sicuro di sé. La
sua espressione sempre indecifrabile tradiva una nota di
preoccupazione.
Tuttavia lo vide prendere velocemente il lenzuolo sotto di
sé e arrotolarselo
sul braccio, bloccando così il sangue. Il tutto come se
fosse la cosa più
naturale del mondo. Persino il suo volto era tornato sereno.
“Dannazione”
esclamò il daiyokai, più rivolto a se stesso che
ad altri, “ha pure ereditato il veleno di sua madre, oltre al
carattere…”
“Voi
demoni siete sempre così rilassati alla vista del
sangue?” chiese la principessa, in un misto fra sollievo ed
esasperazione.
Incrociò le braccia, corrucciata.
“Ma
che stai dicendo, Izayoi?” chiese lui, piuttosto stupito.
“Dico
solo che odio vederti così tranquillo e pacifico,
mentre io…io rischio di morire al solo pensiero di
perderti!”
Il viso del
demone si addolcì, guardando le lacrime che ora rigavano
il viso della sua compagna. “Vieni qui…”
disse Taisho, tendendo la mano sana
verso di lei.
La ragazza
rimase ferma in piedi, orgogliosa. Ma si rilassò
in pochi secondi. “Aspettate ancora un
attimo…”
Uscì
dalla stanza e rientrò poco dopo, portando molti stracci
e dell’acqua calda. Il demone si alzò subito per
aiutarla. “Sciocca umana, non
dovresti sforzarti, lo sai”.
“Da
quando hai ripreso a chiamarmi umana?”
chiese lei sarcastica, pulendo il sangue sul pavimento.
“Da
quando hai ricominciato a darmi del voi?”
Izayoi
sospirò, paziente. Finì di sistemare tutto e
stese a
terra un nuovo futon, aiutata dal daiyokai.
“Allora,
adesso vieni qui da me?” chiese lui, già seduto
sulle lenzuola candide. Aveva tolto il suo kimono lacero e ne aveva
indossato
uno di Mamoru, prestatogli dalla principessa. Quest’ultima
sorrise dolcemente e
lo raggiunse, accoccolandosi subito fra le sue braccia.
“Posso
smettere di preoccuparmi?” chiese lei, ora decisamente
più tranquilla.
“Non
dovresti preoccuparti per me, lo sai” rispose il
daiyokai. Appoggiò la mano sulla pancia della compagna.
“Non fa bene a te, e
nemmeno al bambino”.
La ragazza
sorrise. “Inuyasha sta bene. E’ forte come il suo
papà”.
Il demone non
rispose, la strinse solamente a sé. Chissà
perché poi lei si ostinava a chiamare il bambino Inuyasha,
quando nemmeno
sapevano se sarebbe stato un maschio o una femmina. Mentre pensava, Inu
no
Taisho accarezzava dolcemente la pancia di Izayoi.
Così
per diversi minuti calò il silenzio, che fu rotto dalla
voce della principessa. “Sei sicuro di stare bene?”
“Sì.
Forse la ferita sul braccio ci metterà qualche giorno in
più, ma guarirà”. Taisho ormai si era
arreso e rispondeva tranquillamente alle
insistenti domande della ragazza. Se serviva a farla sentire
più tranquilla,
allora andava bene. Non aveva detto nulla su Sesshomaru, e non
l’avrebbe fatto,
perché non voleva ricordare a Izayoi l’incontro
ravvicinato di qualche ora
prima. D’altro canto, anche lei sembrava non volerne parlare,
perciò
l’argomento era ormai archiviato.
“Anche
io avrei rischiato grosso, se non fosse stato per
Tessaiga” disse la principessa, che guardò verso
l’angolo della stanza,
dov’erano posate le tre spade e la strana veste rossa che
Taisho le aveva dato
prima dello scontro. Lui aveva detto che l’avrebbe protetta,
ma Tessaiga da
sola era stata più che sufficiente. Quella veste scarlatta,
comunque, non
sembrava avere poteri molto particolari. Pareva solo un kimono molto
strano.
Inu no Taisho
sospirò, poi scosse la testa. Izayoi aveva
rischiato davvero tanto, ma ora era lì, con lui. Era andato
tutto bene, ed era
proprio questo che contava più di ogni cosa.
“Adesso
nessuno ci darà più fastidio” disse
infine il
daiyokai. “Verrò a trovarti ogni giorno. Poi,
quando il bambino sarà nato, ti
porterò via con me”.
Così,
all’improvviso, il peso di tutto ciò che le aveva
detto
il padre solo poche ore prima ricadde addosso a Izayoi, peggio di un
macigno.
Lei non avrebbe mai potuto rimanere con l’uomo che amava,
perché il suo destino
era già deciso.
“Taisho,
dovrei dirti una cosa, a proposito”. Non sapeva da
dove cominciare.
“Dimmi…”
disse lui distrattamente, mentre accarezzava ancora
la pancia della principessa.
“Questa
mattina mio…mio padre mi ha dato una notizia.
Però ti
prego amore mio” aggiunse, quasi disperata, “non
agitarti!”
Lui si fece
serio. “Muoviti, Izayoi. Cosa devi dirmi?”
“Nelle
scorse settimane un pretendente ha chiesto la mia mano
a mio padre. Lui ha accettato, l’ha fatto per me”.
La principessa teneva lo
sguardo basso, mentre sentì il demone irrigidirsi.
“Che
hai detto?”
“Ho
detto che…che mi devo sposare…” rispose
la ragazza, con
voce soffocata. Sentì un ringhio cupo risalire dalla gola
del compagno, e
rabbrividì.
“Nessuno
ti può avere, a parte me. Nessuno.” La sua voce
era
cambiata. Era diventata fredda, tagliente, proprio come quella nella
foresta,
qualche ora prima. Era la voce di un assassino.
La principessa
tremò, ma riuscì ad alzare lo sguardo per
affrontare quegli occhi spietati. “Nemmeno io ne sono felice,
ma mio padre l’ha
fatto solo perché riteneva che fosse la cosa
migliore!”
“Lo
sai, Izayoi. Sai che non sarai felice, perché non
è una
tua scelta”.
Le lacrime
inumidirono gli occhi della giovane. “Sarebbe
stato comunque il mio destino, prima o dopo”.
Inu no Taisho
strinse i denti. A stento si stava
controllando, per non spaventare la sua adorata compagna. Ma una
tempesta stava
infuriando dentro di lui. Voleva uccidere quel dannato vecchio, per
aver
violato in quel modo la personalità stessa di Izayoi. Con lo
stomaco stretto in
una morsa, il demone desiderava con tutto se stesso di poter avere il
pretendente fra le mani, per torturarlo e ucciderlo nel modo
più crudele
possibile. No, nessuno avrebbe sposato Izayoi. Solo lui poteva farlo.
“Il
tuo destino?” disse infine il daiyokai, con un velo di
tristezza nella voce, “no, non deve essere per forza
così. Voglio essere io il
tuo destino”.
La principessa
lo guardò stupefatta. “Amore
mio…grazie!” Lo
abbracciò, commossa e piena di gioia.
“Vedrai”
disse lui, accarezzandole i capelli, “quando sarà
il
momento ti porterò via con me. Non ti lascerò mai
sposare quell’uomo, chiunque
egli sia”.
Izayoi si
limitò ad annuire, rimanendo aggrappata al
daiyokai. Sì, ne era certa, sapeva che lui
l’avrebbe sempre protetta, qualunque
cosa sarebbe successa. Le dispiaceva per suo padre, e in fondo le
dispiaceva
per Takemaru, ma aveva fatto la sua scelta: avrebbe sempre seguito
Taisho. E
loro due avrebbero cresciuto loro figlio, insieme.
E
così, spossata per la lunga veglia, Izayoi finalmente
trovò
il sonno fra le braccia dell’uomo che amava.
***
Aveva camminato
a lungo. Non aveva idea di quanto tempo fosse
passato. Sentiva solo un tremendo bruciore al petto, dove uno squarcio
aperto
dagli artigli nemici, grondante di sangue, rovinava la pelle di solito
candida
come la neve. Ma al potente Sesshomaru non bruciava quella ferita,
nemmeno la
carne lacerata, lui non sentiva il calore del sangue che colava
sull’addome,
insozzando il kimono di solito bianco e splendente.
Il daiyokai non
faceva caso al dolore fisico, che a ondate
gli scuoteva il corpo, facendolo tremare. Ciò che
più gli bruciava era la
sconfitta, l’umiliazione subita da quel demone che un tempo
aveva considerato
suo padre. Avrebbe accettato di essere battuto da lui qualche anno
prima. Ora
non più.
I capelli
disordinati vennero scossi da un’ondata di vento,
mentre il demone si faceva trasportare dai suoi stessi piedi, come un
automa,
senza una meta.
Sesshomaru non
sapeva quanto tempo fosse passato, ma si
svegliò quando il sole era basso sull’orizzonte.
Si guardò intorno, e si rese
conto di essere in una piccola grotta, nella foresta. Quando aveva
perso i
sensi non si trovava lì. Qualcuno doveva averlo spostato.
“Finalmente
vi siete svegliato, Principe”. Una sagoma si
stagliava all’entrata della grotta. Una forma femminile,
snella e slanciata.
Il giovane
daiyokai guardò la sconosciuta in silenzio, per
qualche secondo. “Sei stata tu a trovarmi?”
“Sì”
rispose pronta la donna, “e se non vi avessi curato
quelle ferite sareste morto dissanguato prima che sorgesse il
sole”.
Sesshomaru
rimase impassibile. “Per quanto tempo sono rimasto
privo di sensi?”
La misteriosa
ragazza si chinò a terra per accendere un
fuoco. “Avete dormito tutto ieri e oggi. Ormai è
il tramonto”.
Calò
il silenzio per diversi minuti, mentre la donna era
impegnata con la legna da accendere. Il daiyokai osservò le
proprie ferite, che
ora erano completamente fasciate. In tre o quattro giorni si sarebbe
completamente ripreso.
Un brillio
improvvisò destò Sesshomaru dai suoi pensieri. Il
fuoco aveva preso a scoppiettare, inondando di luce la piccola
cavità. Così il
demone vide con chi aveva a che fare, e con una punta di orgoglio
pensò che il
suo fiuto non poteva sbagliare.
“So
perché sei qui”.
La giovane
demone deglutì, come se avesse un terribile nodo
alla gola. “Sì, avete capito bene”.
Sesshomaru
studiò i lineamenti affilati della kitsune,
soffermandosi sugli occhi verdi, colmi di lacrime trattenute
dall’orgoglio.
“Tua sorella era consapevole del pericolo che correva,
Miyuki”.
“Cosa
ne volete sapere, voi, di mia sorella?!”
La voce della
volpe, carica di disperazione, echeggiò
nell’aria circostante. “Per voi Minori non era
altro che una pedina, un pezzo
di carne da sacrificare per la vittoria!”
Sesshomaru
rispose con molta durezza. “Non le ho chiesto io
di affrontare mio padre”.
“Bugiardo!
Sei solo uno sporco bugiardo!”
Il daiyokai le
fu addosso con una velocità impressionante,
nonostante le ferite. Prese Miyuki dal collo e la attaccò al
muro. “Non
osare…mai più”.
Gli occhi verdi
smeraldo incontrarono quelli dorati, colmi di
terrore. Miyuki vide la rabbia in quello sguardo. Vide un orgoglio
smisurato.
Vide la freddezza di un assassino. Vide anche una profonda tristezza,
la
disperazione.
“Ho
capito…vi prego, ora lasciatemi!”
Sesshomaru la
lasciò cadere a terra, e tornò al suo angolo.
Calò nuovamente il silenzio, che durò per diversi
minuti. Il sole ormai era
quasi del tutto scomparso all’orizzonte. Poi Miyuki
parlò.
“So
che non vedete l’ora di andarvene, ma mi farebbe piacere se
rimaneste ancora un po’. Appena sorgerà il sole,
brucerò il corpo”.
Il demone non
rispose, ma la kitsune lo interpretò comunque
come un sì.
Così
il tempo passò. I minuti diventarono ore, e Sesshomaru
non si mosse, né parlò. Miyuki ogni tanto lo
guardava, cercando di capire quali
sentimenti si nascondessero dietro quella maschera di freddezza. Non
riuscì a
capire nulla. Eppure poco prima, in quegli occhi ambrati, lei aveva
visto una
scintilla diversa dal solito. Possibile che Sesshomaru, nel profondo,
stesse
soffrendo per la perdita della sua prediletta? Sarebbe stato un evento
unico:
il principe non era certo famoso per la sua pietà verso gli
altri.
La kitsune aveva
ancora chiaro in mente un ricordo. Sua
sorella tempo addietro le aveva rivelato i suoi sentimenti per il
glaciale
principe dei demoni. Miyuki si era chiesta cosa mai potesse trovare in
Sesshomaru di tanto interessante, e se lo chiedeva ancora. Non
l’avrebbe mai
potuto scoprire, perché sua sorella non c’era
più. E le lacrime lottarono
ancora per sgorgare dagli occhi verdi, ma subito vennero ricacciate
indietro.
Non doveva mostrarsi debole, non davanti a quel demone spietato.
Nel totale
silenzio, infine, il cielo a est si rischiarò.
“E’
ora” disse Miyuki, alzandosi. La sua voce era suonata
forte, quasi stonata, in quello sfondo fermo e muto.
Sesshomaru la
osservò uscire, poi si alzò e la seguì.
Percorsero un
breve tratto di foresta, prima di giungere
nella radura in cui Miyuki aveva sistemato la pira. La natura si stava
risvegliando. Qualche grillo cantava ancora, e le rane gracidavano tra
l’erba
umida. Nel silenzio si sollevò la voce splendida di un
usignolo.
I due demoni
camminarono lentamente, e raggiunsero il luogo
in qualche minuto. Mentre la kitsune sistemava le ultime cataste di
legna,
Sesshomaru osservò il monumento dal basso
all’alto. I suoi occhi percorsero
tutta l’altezza di quella piccola montagna, fino a giungere
alla sommità, sulla
quale Minori dormiva.
La sorella
l’aveva sistemata e pulita, e le aveva fatto
indossare degli abiti diversi. Il daiyokai riconobbe subito
quell’armatura
argentea, semplice e splendente. Si ricordò di un giorno,
uno dei tanti nella
sua lunga vita, un giorno in cui aveva incontrato una giovane demone
volpe,
focosa e potente. In quel giorno lei aveva steso in combattimento il
figlio
maggiore del capo dei demoni lupo. Un’impresa non da poco,
per un demone di
basso rango com’era Minori.
Un dolore nuovo
percorse il corpo di Sesshomaru, un dolore
che nulla aveva a che fare con le ferite o l’orgoglio.
Tuttavia, il daiyokai
rimase totalmente composto, come se nulla fosse successo.
Si accorse poi
che Miyuki aveva completato l’opera. La vide
inginocchiarsi a terra e creare un fuoco fatuo con entrambe le mani.
Lentamente, l’incandescente globo azzurro
galleggiò nell’aria fino ad
attaccarsi all’erba secca alla base del tumulo. Questa
bruciò subito, mentre la
kitsune appiccava il fuoco in altri punti. Poi lei si
allontanò, lasciando che
le fiamme azzurre avvolgessero la pira.
Miyuki e
Sesshomaru si trovavano ora l’uno accanto
all’altra,
ad una certa distanza.
“So
che non siete stato voi a mandare a mia sorella contro il
Generale” disse improvvisamente la volpe, sovrastando con la
voce il fuoco
crepitante. “Ma penso che sappiate…che Minori
avrebbe dato volentieri la sua
vita per proteggere la vostra”.
Finalmente
Sesshomaru si degnò di guardarla, ma non rispose.
“Sapete”
proseguì Miyuki, osservando le fiamme che lambivano
il cielo, “io non so cosa fosse mia sorella per voi, ma lei
vi considerava più
di un semplice compagno di guerra”.
“Dove
vuoi arrivare con questo?” Finalmente anche il daiyokai
ruppe il suo impenetrabile silenzio.
“Voglio
dire che voi avreste potuto salvarla. Ma non l’avete
fatto”. La kitsune strinse i pugni tanto da incidersi la
carne con gli artigli.
“Ma statene pur certo. Io mi vendicherò, quando
sarò abbastanza forte ucciderò
il Generale con le mie stesse mani. Poi ammazzerò anche
voi”.
Sesshomaru non
avrebbe mai lasciato che fosse qualcun altro,
a parte lui, a battere suo padre. Ma non se ne curò,
perché sapeva che in ogni
caso quella kitsune non sarebbe mai stata in grado di competere con un
demone
di alto rango.
“Potevi
lasciarmi morire, allora” disse il daiyokai con
impercettibile sarcasmo.
“Non
fraintendete” disse pronta Miyuki, “se vi ho curato
l’
ferite l’ho fatto solo per saldare un vecchio
debito”.
Sesshomaru le
volse le spalle e prese a camminare. “Quando
tornerai, non ti aspettare clemenza da parte mia”.
La kitsune lo
guardò allontanarsi, e capì che sarebbe rimasta
sola. “Io ti ucciderò, stanne certo. Ti
ammazzerò!!!” urlò infine, mentre le
lacrime scorrevano copiose, vincendo il suo fiero orgoglio.
Sesshomaru
sentì le ultime parole di Miyuki, ma non rispose.
E si allontanò, per partire di nuovo verso il suo eterno
viaggio. Il rombo del
fuoco si affievolì lentamente, mentre le fiamme consumavano
ancora il corpo di
Minori, di quella donna che lui stesso aveva stretto fra le sue braccia
solo
tre giorni prima, quella donna che ora non era più.
***
L’angolo
dell’autrice:
Eccomi
qui! Per me è
stato piuttosto emozionante scrivere questo capitolo, soprattutto nella
seconda
parte. Spero che vi possa piacere, ho cercato di inserire tutte
emozioni dei
personaggi principali. La breve introduzione, tratta da “Per
me è importante” dei
Tiromancino, è riferita soprattutto al personaggio di Miyuki
(che compare tra
l’altro nello spin-off “L’amore di una
guerriera”), ma se la vostra fantasia lo
desidera potete tranquillamente applicarla anche a Sesshomaru. :3
Scusatemi,
può darsi che a voi la canzone non piaccia, ma io la adoro e
mi sembrava adatta
a ciò che scrivevo nella seconda parte del capitolo.
A
questo punto, qualche
ringraziamento:
-A
Pluto90, Penelope
Aldaya, Sesshomaru_Sama, BlueCross123, 0DuBhe0, Fede chan Pucci e
harua_96, che
hanno commentato e apprezzato (almeno fino al capitolo scorsoXD) la mia
storia.
-A
tutti quelli che
hanno messo la mia storiella fra le preferite, le ricordate o le
seguite.
So che sembra un
terribile luogo comune, ma siete proprio voi a darmi
l’ispirazione per
continuare e inventare capitolo per capitolo risvolti sempre nuovi!
Grazie! Ora
sono nelle vostre mani. ^^ Kitsune
|
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Capitolo 16 *** Destino incombente ***
Destino
incombente
Il rombo di un
tuono suonò debole e cupo, segno che il
temporale che aveva imperversato quella notte stava ormai abbandonando
il cielo
sopra la foresta. Gli aghi dei sempreverdi grondavano di gocce di
pioggia
cristalline, che una dopo l’altra cadevano nel sottobosco
ormai morente. L’erba
stava marcendo per lasciare posto alla sola terra fredda e umida,
mentre il
muschio ingrigiva.
Gli animali
migravano verso sud, o si preparavano ad
affrontare l’autunno, che quell’anno sembrava
promettere una bella gelata: da
due settimane pioveva ormai ininterrottamente e il freddo si faceva
sentire,
mentre le giornate si accorciavano.
Quella mattina
finalmente la pioggia concesse una tregua e il
cielo schiariva in lontananza, ma il sole non si sarebbe mai fatto
vedere. Le
dense nubi grigie infatti lasciavano filtrare solo qualche timido
raggio, che
tuttavia non scaldava abbastanza da mitigare quello strano periodo che
intercorre
tra la fine dell’estate e l’inizio della stagione
fredda.
Quanto tempo era
passato?
Nemmeno Izayoi
lo sapeva, ma se lo domandava spesso mentre
preparava le sue cose per il viaggio imminente. I suoi kimono giacevano
piegati
con cura davanti a lei, ormai tutta la stanza era quasi completamente
vuota. A
causa del brutto tempo, aveva dovuto passare le ore vuote a liberare la
sua
stanza. Ore rubate alle ultime possibilità che aveva di
stare insieme al suo
compagno.
Ne era passato
di tempo, eppure sembrava essere volato.
L’estate era trascorsa, l’estate più
breve, la più bella dell’intera vita della
principessa, che d’improvviso si trovò persa
nell’osservare fuori dalla porta
scorrevole, spalancata sul bosco. Proprio fra quegli alberi, solo
qualche mese
prima, era comparso colui che inizialmente aveva considerato il suo
assassino,
ma che ora era diventato ciò che per lei era più
importante.
L’uomo,
il demone che amava più di ogni altra cosa.
Izayoi scosse la
testa, turbata. Presto avrebbe cambiato
vita, e nonostante lei non lo desiderasse non poteva contraddire il
padre, già
abbastanza provato da tutto ciò che era successo negli
ultimi tempi. Non voleva
fargli ulteriormente del male.
Questo pensava
la principessa, ma subito dopo si trovò a
pensare ad un’altra vita, una vita felice accanto a Inu no
Taisho. A volte si
immaginava mentre aspettava il ritorno del suo compagno
dall’ennesima
battaglia, mentre fra le braccia teneva ciò che il loro
amore le aveva donato.
Inuyasha…
Come in risposta
a quei pensieri, il cucciolo dentro di lei
si mosse, facendole il solletico. Izayoi sorrise. Forse si stava
mettendo un
po’ più comodo. Così la principessa
posò alcuni kimono piegati accanto ad
un’altra pila di vestiti, e appoggiò la mano sul
suo pancione.
Era incredibile
quanto il cucciolo fosse cresciuto: fino al
mese prima Izayoi indossava ancora tranquillamente i suoi soliti
kimono,
nonostante li allacciasse con qualche fatica, ma da un mese a quella
parte la
sua pancia era diventata ogni giorno più rotonda, mentre il
piccolo si faceva
sentire sempre di più.
Anche adesso il
bambino non si stava risparmiando, dandole
piccoli calci all’altezza delle costole. Izayoi si
lasciò sfuggire una risata.
Moriva dalla voglia di vedere suo figlio, ormai mancavano solo poco
meno di tre
mesi.
“Signorina
Izayoi, tutto bene?”
La principessa
smise di ridere e si volse verso la figura
comparsa sulla porta. “Certo, dolce Tomoko”
rispose, “non sono mai stata
meglio”.
La vecchia balia
le si sedette accanto, aiutandola a
sistemare le sue cose. “Quindi…siete contenta di
andare in sposa a Takemaru?”
Il volto della
fanciulla si rabbuiò, solo per qualche
istante, poi il velo di tristezza venne sostituito da un tenero
sorriso.
“Finché Taisho sarà al mio fianco, non
ho paura del mio destino”.
L’anziana
donna sospirò. “Quant’è bello
l’amore! Non vi ho
mai vista bella come in questi ultimi mesi, principessa”.
Izayoi
scoppiò a ridere, di una risata innocente e
cristallina. “Tu sei troppo gentile con me, mia dolce balia!
Non vedi come sono
ingrassata?”
“Ciò
che avete in grembo vi fa solo diventare ogni giorno più
incantevole, credetemi” disse Tomoko, in assoluta
sincerità.
La principessa
si asciugò una lacrima di commozione.
“Grazie…!” esclamò, e
abbracciò la donna con infinito calore.
Poi la balia si
ricordò del compito assegnatole dal padrone.
“Signorina Izayoi, avete voglia di fare una passeggiata?
Fuori stranamente non
piove e se vi coprite un po’ potremmo arrivare al villaggio e
comprarvi un
kimono nuovo per l’imminente viaggio”.
Il viso della
fanciulla si illuminò. “Certo che mi va! Ho
proprio voglia di muovermi un po’, il piccolo oggi
è molto agitato, ho bisogno
di distrarmi”. Detto questo si alzò, con
l’aiuto di Tomoko, e indossò un kimono
largo e caldo.
La vecchia
balia, mentre allacciava l’obi alla principessa,
pensò a Mamoru. Si sarebbe incontrato con il Grande Demone
Cane per discutere
sulla situazione di Izayoi, ma per farlo la principessa doveva essere
allontanata. L’ultima cosa di cui la giovane aveva bisogno
nella sua situazione
era proprio l’ansia, quindi volentieri Tomoko avrebbe badato
a lei per due o
tre ore.
“E’
troppo stretto, principessa?”
“No”
rispose dolcemente Izayoi. “E’ perfetto.
Andiamo?”
“Sì”
rispose subito la balia, prendendola a braccetto.
“Vedrete mia signora, compreremo il kimono più
bello che abbiate mai avuto!”
***
Il demone
correva nella foresta, rapido e silenzioso. I suoi
passi leggeri erano ancor più attutiti dal terreno morbido e
umido del
sottobosco, mentre l’acqua imprigionata fra gli aghi bagnava
le vesti e i capelli
argentei.
Inu no Taisho
ormai conosceva a memoria quella strada: i suoi
occhi infatti non erano concentrati sul cammino, che ormai poteva
percorrere ad
occhi chiusi, quanto piuttosto sulla piccola perla nera che teneva fra
le dita.
Hosenki l’aveva fabbricata per lui, e il daiyokai sapeva
quale fosse la sua
funzione.
Perché
Hosenki aveva terminato di fabbricare la sfera proprio
in quel periodo? Possibile che fosse un segno del destino?
No, doveva
essere solo un caso. Tutto ciò non poteva avere a
che fare con la nascita di suo figlio.
Taisho nascose
quindi la perla fra le pieghe dell’obi e
accelerò l’andatura, mentre si concentrava sugli
odori intorno a sé. Il profumo
dei funghi, che spuntavano dal terreno umido, si mescolava
all’intenso odore
delle cortecce degli alberi fradici. Da nord proveniva un fresco
venticello:
sulle montagne lontane doveva aver nevicato parecchio.
Tuttavia tutti
questi odori non coprivano ciò che lui
cercava: un profumo fresco e delicato di fiori di primavera, come una
rosa appena
sbocciata. Era la sua Izayoi che si allontanava, probabilmente insieme
alla
balia, come stabilito.
Così
in pochi minuti il demone fu davanti alla piccola villa.
La servitù non vi fece troppo caso, poiché erano
abituati alla sua presenza
nonostante incutesse comunque un certo timore. Il daiyokai
entrò in casa,
diretto nella stanza del focolare, e proprio lì
trovò il signore.
Fu un approccio
teso, quello. Inu no Taisho rimaneva in
piedi, immobile, e fissava il vecchio, che si trovava seduto
dall’altra parte
del fuoco scoppiettante. Il silenzio durò per alcuni
interminabili secondi, ma
lo sguardo glaciale dell’uno e quello deciso
dell’altro sembravano non volersi
arrendere.
“Siediti
pure” disse infine Mamoru rompendo il suo mutismo,
senza però staccare i vecchi occhi castani da quelli ambrati.
Il daiyokai
accettò l’invito e si sedette. Volse lo sguardo
nelle fiamme, i lineamenti duri e felini contratti per i molti
pensieri. Un
servo entrò e posò una tazza di tè
davanti a entrambi, ma i due quasi non se ne
accorsero.
Fu il vecchio a
rompere nuovamente il pesante silenzio.
“Immagino che tu sappia perché ti ho chiesto di
venire, demone”.
Inu no Taisho
rimase immobile come una statua, ma i suoi
occhi taglienti saettarono in un istante a trafiggere il suo
interlocutore.
“Anche io ho parecchio da dire, umano”.
Mamoru sostenne
lo sguardo gelido del daiyokai, dando prova
di enorme coraggio. “Takemaru è la persona
più indicata per proteggere mia
figlia, quindi accantona l’idea di poter mettere ancora gli
artigli su di lei”.
“Non
so chi sia questo Takemaru, ma certo non sarà mai in
grado di prendersi cura di Izayoi” replicò Taisho
in tono pacato. “In ogni caso
lo ucciderò”.
L’uomo
non si scompose e guardò scettico il suo
interlocutore. “E tu saresti in grado di prenderti cura di
lei?
Un sorriso poco
rassicurante sfiorò appena le labbra del
daiyokai, che subito tornò serio. L’anziano
signore gli stava facendo già
perdere la pazienza. “Certo che ne sono in grado”
rispose. “Stai certo che se
Izayoi si sposerà con quell’uomo non
sarà felice, e morirà lentamente, senza
che tu possa fare nulla. Solo io posso darle la vita che desidera, solo
io
posso farle da scudo per ogni minaccia”.
“E
come?” ribatté Mamoru. “Non sono
stupido, so benissimo che
poco tempo fa mia figlia ha rischiato di morire, e che tu
l’hai salvata per un
pelo”.
Il demone
mantenne il suo tono tranquillo, ma deciso. “Izayoi
sarà sempre esposta ai pericoli, e anche il bambino. Sono io
l’unico che la può
proteggere, io e nessun altro”.
Il vecchio
distolse lo sguardo. Il daiyokai aveva colto nel
segno. Effettivamente, l’unico che poteva proteggere Izayoi
era proprio lui.
“Sì”
disse infine, “hai ragione, effettivamente ciò di
cui ha
bisogno Izayoi è la tua protezione”.
***
Erano passate
ormai più di tre ore, e Izayoi era esausta.
Tomoko la teneva a braccetto, aiutandola a proseguire.
“Volete
riposare un pochino, mia signora?” chiese la vecchia
balia con tenerezza.
“Sì,
ti prego dolce Tomoko, lascia che riposi un
po’…” disse
la ragazza, appoggiandosi ad un albero umido. “Non importa se
sporco il
kimono”. Sentiva un terribile dolore alla schiena.
“Credo di essere stata un
po’ troppo entusiasta oggi…”
“Lo
credo anche io” disse una voce molto familiare. Taisho si
stava avvicinando a lei da poco lontano. Stava sorridendo.
La vecchia
Tomoko guardò verso di lui, poi tornò a guardare
Izayoi. “Allora…se non vi dispiace io proseguo da
sola, principessa” disse con
un sorriso, e riprese a camminare lungo il sentiero.
Il daiyokai
osservò la donna sparire fra gli alberi, poi si
avvicinò alla sua compagna. “Sei stata via per
molto tempo, sai che…”
“Non
dovrei affaticarmi troppo” finì Izayoi,
prendendolo in
giro, “lo so. Però mi stavo divertendo e non mi
sono accorta del tempo che
passava”.
Taisho divenne
serio e la fissò intensamente. Rimproverarla
non sarebbe servito a nulla, Izayoi avrebbe sempre fatto di testa sua,
e
comunque non era stupida, sapeva quando fermarsi.
“Non
mi chiedi perdono?” chiese il demone, ironico.
Izayoi parve
offesa. “Per quale motivo?”
“Mi
hai fatto aspettare. Non si fa aspettare Inu no Taisho”
rispose lui, prendendole il mento fra le dita. In realtà si
era anche
preoccupato.
La principessa
sorrise, non notando alcuna minaccia nel volto
del compagno. Poi la sua risata lieve e cristallina echeggiò
nella foresta, e
per un attimo fu come se fosse tornata la primavera. Taisho
sospirò. Quanto
amava la sua voce, quanto detestava l’idea di perderla.
“Izayoi,
poteva accaderti qualunque cosa” disse lui
all’improvviso,
e i profondi occhi dorati incontrarono quelli castani. Le labbra dei
due amanti
si incontrarono in un bacio tenero e fugace. “Non potrei mai
accettare di
perderti, lo sai”.
Lei si fece
seria. “Non ti abbandonerò mai, amore mio. Tu per
me ci sarai sempre, e anche per nostro figlio. Lo so”.
Lo sguardo
deciso della principessa non ammetteva repliche.
A questo punto
il volto del daiyokai si addolcì. “Domani
è il
grande giorno allora?”
“Sì,
domani partirò per raggiungere la mia nuova casa”
disse
Izayoi in un sospiro. Un’ombra era passata sul suo viso
morbido e candido.
“Ci
sarò anche io. Ti accompagnerò per tutto il
viaggio”
annunciò lui per tranquillizzarla.
La principessa
infatti alzò lo sguardo, su cui si era accesa
una scintilla di speranza. “Dici davvero?”
Il demone
sorrise con orgoglio. “Certo, ti proteggerò da
qualunque pericolo” disse, e appoggiò una mano
artigliata sul ventre
arrotondato della compagna. “Vi
proteggerò”.
“Non
ho mai avuto alcun dubbio, Taisho” disse lei con un
sorriso, appoggiando la mano su quella di lui.
***
Il daiyokai
aveva riaccompagnato a casa Izayoi da alcune ore,
ed era già calata la notte. Probabilmente la principessa aveva
già cenato e si
preparava ormai per coricarsi. L’indomani la partenza sarebbe
stata al sorgere
del sole.
Inu no Taisho
aveva preso una decisione. Se davvero il
destino che lo aspettava era un destino di morte, allora
l’avrebbe affrontato.
Non aveva paura.
Si
presentò nella stanza dell’amata proprio mentre
lei si
stava infilando sotto le coperte.
“Izayoi…”
La fanciulla
ebbe un lieve sussulto, ma lo riconobbe subito.
“Taisho…comincia
a farsi tardi. Non vuoi riposare?”
Il demone
sbuffò sprezzante. “Noi demoni non abbiamo bisogno
di riposarci come voi deboli umani. Credo di avertelo già
detto”.
La principessa
sorrise. In quel buio nemmeno Taisho avrebbe
percepito quel delicato sorriso, se fosse stato chiunque altro a farlo.
Ma in
quella stanza ogni granello di polvere sapeva di lei. Vederla non era
necessario.
Lui ruppe quel
breve e infinito silenzio. “Ti ho portato una
cosa”.
La ragazza
rimase stupita da quell’annuncio inaspettato, così
armeggiò subito con della legna per ravvivare il fuoco. In
qualche minuto nella
stanza ci fu di nuovo luce. Taisho intanto si era seduto accanto a lei.
Izayoi lo
guardò incuriosita. “Mi hai fatto forse un
regalo?”
Lui
sembrò sovrappensiero per qualche secondo.
“Mettiamola
così”.
Il demone si
mise quindi a frugare tra le soffici pieghe dell’obi
e ne estrasse un piccolo pacchettino di seta rossa, poi lo porse alla
ragazza,
che guardò l’oggetto stranita. Il fazzolettino
sembrava contenere un oggetto
piccolo e rotondo. Una sfera.
“Lo
apro?” chiese lei, certa della risposta che sarebbe
arrivata. Ma che non arrivò mai.
“So
che sembrerà assurdo, ma non devi aprirlo. Quando
sarà il
momento capirai”.
Izayoi era
davvero confusa. “E allora
perché…?”
Taisho chiuse
dolcemente l’oggetto fra le mani della
compagna. “Fai finta che questo oggetto mi rappresenti.
Questa sfera sono io.
Proteggila, finché non sarà arrivato il momento
giusto”.
La principessa
parve ancora confusa per qualche secondo, poi
lo guardò con fierezza. “Tratterò
quest’oggetto con infinita cura. Te lo
prometto”.
Per tutta
risposta lui la baciò. Questa volta fu un bacio
lungo e appassionato, che finì solo perché
all’improvviso Izayoi si mise a
ridere. Il daiyokai aveva appoggiato la mano sul pancione senza volerlo.
“Ecco”
disse la ragazza, “hai svegliato Inuyasha”.
Taisho
sospirò, paziente. “Questo bambino è
come te. Non sta
mai fermo”.
“Allora
somiglia più a te” lo rimbeccò lei con
un sorriso.
Il demone prese
la ragazza fra le braccia e la portò a letto.
“Ora basta. Dormite, tutti e due”. Stava facendo
l’offeso, ma nel frattempo si
era sdraiato su un fianco, accanto a Izayoi.
La principessa
non fiatò, non c’era bisogno di parlare. Il
daiyokai le stava accarezzando dolcemente il ventre, mentre guardava il
fuoco
morire lentamente. In pochi minuti il piccolo si fermò. In
quel torpore che
precede il sonno, Izayoi si trovò a domandarsi come faceva
Taisho a calmare in
quel modo il cucciolo. Lei non ci riusciva mai, mentre lui non
sbagliava
nemmeno una volta.
E
così, l’idea che quelle mani assassine potessero
portare
tanta serenità fece sorridere la principessa, che si
addormentò poco dopo il
suo bambino.
Il demone,
invece, non dormì. Aveva raggiunto un accordo con
Mamoru, e l’avrebbe rispettato…in parte. Si
trovò a chiedersi se anche tutto
questo facesse parte del suo destino, ma non doveva darci troppo peso.
Sarebbe
stato solo peggio.
Il
fuocò morì. Izayoi dormiva ormai profondamente,
ma Inu no
Taisho continuò ad accarezzare la dolce rotondità
che accoglieva suo figlio.
Desiderava vederlo, stringerlo e chiamarlo per nome. Desiderava Izayoi,
la
desiderava come compagna, voleva vederla sorridere, voleva ascoltare la
sua
voce ogni giorno.
Così
sarebbe stato, se tutto fosse andato come stabilito.
Si preparava un
nuovo viaggio per Izayoi, un nuovo inizio per
Inu no Taisho.
E da qualche
parte, lontano, una nuova minaccia incombeva sul
loro futuro.
***
L’angolo
dell’autrice:
Salve
a tutti! Ecco concluso il nuovo capitolo. Takemaru, stiamo
arrivando! Tanti avvenimenti si prospettano per i nostri protagonisti,
ma un
capitolo di collegamento era necessario. Un consiglio…tenete
a mente la perla
di Hosenki…
Concludendo,
spero che anche questo capitolo sia stato di vostro
gradimento. Il prossimo aggiornamento sarà per
“L’amore di una guerriera”. A
questo punto sono nelle vostre mani! ^^ A presto! Kitsune
P.s. un ringraziamento a tutti
coloro che recensiscono, che leggono e
apprezzano questo mio lavoro. In un certo senso, sta sorprendendo anche
me! ^^
|
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Capitolo 17 *** Un altro viaggio ***
Salve!
^^ Per
cominciare, vorrei chiedere perdono a tutti per l’orrendo
ritardo con cui ho
postato il capitolo (vi prego, non uccidetemi), ma
l’ispirazione fa davvero
brutti scherzi, e nonostante ultimamente ne avessi davvero tanta, era
tutta
orientata verso un altro fandom. Detto questo, spero immensamente che
questo
capitolo vi possa piacere. Sto gettando le basi per arrivare alla
conclusione
della storia che, come avrete forse intuito, comincia a volgere al
termine.
Prima di lasciarvi al capitolo, vorrei ringraziare love_dreams,
0duBhe0 e Pluto90,
per i commenti al capitolo
scorso. Ringrazio anche chi legge soltanto, chi ha inserito la storia
fra le
preferite, le ricordate o le seguite…o tutte e tre insieme!
XD Buona lettura!
Kitsune
Un
altro
viaggio
“Di
questo passo, saremo arrivati a destinazione entro questa
sera, mio signore”.
L’uomo
fu soddisfatto e felice per quella notizia: prima
fossero arrivati a destinazione, meglio sarebbe stato per tutti quanti.
Il malcontento
generale, infatti, era palpabile nella fredda
e pungente giornata autunnale. Tutta la scorta era innaturalmente
compatta,
troppi sguardi vagavano intimoriti verso gli alberi della foresta.
Davvero
insolito, per dei guerrieri allenati proprio per l’arte del
combattimento.
Ma Mamoru non li
biasimava. Evitava di impartire troppi
ordini, desiderava solo arrivare alla tenuta di Takemaru indenne,
insieme alla
sua adorata figlia. Sapeva che i suoi soldati erano estremamente
valorosi,
altre che perfettamente addestrati, ma fino a quel momento avevano
sopportato
anche troppo, tanto che a volte lui stesso si stupiva di non aver
subito ancora
una diserzione. Ciò dimostrava solo quanto quegli uomini gli
fossero fedeli e
pronti ad obbedire in qualsiasi istante.
Perché
Mamoru avrebbe sfidato chiunque, anche il più
coraggioso fra gli uomini, a non temere l’eccessiva vicinanza
di quel mostro,
di quella figura che in quel momento si muoveva agilmente fra gli
alberi,
silenziosa solo come un abile assassino potrebbe essere. Il solo
sostenere
quello sguardo gelido e ambrato era una vera e propria prova di forza,
che a
stento lo stesso Mamoru aveva superato.
Tuttavia il
demone gli era necessario per la protezione di
Izayoi. Il colloquio che aveva avuto qualche giorno prima aveva sancito
fra
loro una sorta di tregua. Mamoru difficilmente avrebbe dimenticato quel
dialogo.
“Protezione?”
disse
Taisho, e in quel momento il consueto sguardo impassibile si
velò di una certa
diffidenza.
Il
vecchio annuì con un
sospiro. “La situazione di Izayoi è molto
delicata” disse, con un vago tono di
accusa che il daiyokai riuscì a cogliere, ma che non
commentò. “L’inverno
arriverà prima di quanto possiamo immaginare, e sia a lei
che al bambino questo
non fa bene”.
Il
demone fece finta di
non capire. “Dove vuoi arrivare col tuo discorso,
vecchio?”
“Detesto
ammetterlo”
continuò Mamoru, “ma ho bisogno del tuo aiuto. Sai
meglio di me quanto sia in
pericolo mia figlia a causa dei demoni, quindi sai anche che nessuno
meglio di
te sarebbe in grado di proteggerla”.
“Su
questo non ci sono
dubbi” rispose il daiyokai con freddezza. “Quindi
vorresti assoldarmi per
salvaguardare la vita di Izayoi. Quindi anche la tua vita” concluse,
con un
pericoloso sorriso che fece correre un brivido freddo lungo la schiena
del
vecchio padre.
Quest’ultimo
strinse i
pugni: il demone aveva capito perché gli desse tanto
fastidio chiedere un
simile favore. Tuttavia non diede alcun segno di cedimento.
“Esatto.
Proprio così”.
Così
ora Taisho si muoveva fra gli alberi, agile e
silenzioso, i sensi tesi a captare qualsiasi minaccia in avvicinamento.
Nonostante molti demoni si fossero avvicinati al suo passaggio, nessuno
di essi
aveva osato attaccare la carovana, dal momento che avevano fiutato
chiaramente
l’odore del Grande Generale.
La
verità era che la notizia della sconfitta di due Generali,
dei quali addirittura uno era rimasto ucciso, aveva già
fatto il giro
dell’intero popolo demoniaco.
La morte di
Minori aveva causato un notevole shock
nell’esercito. La kitsune era conosciuta per il suo coraggio
e la sua determinazione,
ma nessuno avrebbe mai pensato che sarebbe stata tanto stupida da
ribellarsi al
demone più forte in circolazione.
Lo stesso valeva
per Sesshomaru, che in quel momento
risultava disperso più che vivo. Il fatto che Inu no Taisho
avesse combattuto
contro di lui, ferendolo forse a morte, era ciò che
definitivamente aveva
convinto qualunque altro demone a tenersi più che mai alla
larga dal Grande
Generale, per evitare di essere coinvolti e uccisi dalla sua furia.
Inu no Taisho
sapeva che probabilmente nessun nemico si
sarebbe fatto vivo, ma tenne comunque gli occhi aperti per tutta la
durata del
viaggio, continuando a perlustrare l’intera zona intorno alla
carovana.
Il daiyokai
aveva accettato di buon grado quella tregua.
Dopotutto, anche per lui la protezione di Izayoi veniva prima di
qualunque
altra cosa. Inoltre Mamoru era andato contro il suo stesso orgoglio per
proteggere sua figlia. In fondo, molto in fondo, Taisho provava una
sorta di
ammirazione per quel vecchio testardo e invadente.
***
Il sole aveva
ormai ceduto il posto alle tenebre della notte.
Il silenzio intorno alla tenuta era pressoché assoluto:
nessun rumore dalla
foresta vicina, né dall’interno della casa.
Il guerriero se
ne stava in piedi, sulla veranda della sua
stanza, e osservava la luna senza un vero e proprio interesse. Il suo
pensiero
era rivolto alla ragazza che, di lì ad un paio di mesi,
avrebbe preso in
moglie. Il suo arrivo ormai era imminente.
“Takemaru,
signore. Le vedette riferiscono di avere avvistato
dei fuochi in lontananza”.
Il suo braccio
destro, capitano dell’esercito di sua
proprietà, era l’unico che potesse entrare nelle
sue stanze senza chiedere
espressamente il permesso.
“Grazie,
Daisuke” rispose il padrone del castello, senza
voltarsi a guardare il suo interlocutore, “provvedi subito
affinché gli ospiti
vengano accolti il più calorosamente possibile”.
“Mio
signore, anche il…”
“Sì,
anche il demone” lo interruppe Takemaru, voltandosi
infine verso di lui con un mezzo sorriso. “Non vorremmo
essere scortesi nei
confronti di un re, per quanto sia una bestia. Giusto?”
Daisuke non si
scompose, ma uno strano bagliore balenò nei
suoi occhi. “Certo. Ho capito”.
Con un inchino
il capitano si congedò e uscì dalla stanza,
chiudendosi la porta alle spalle.
Il padrone del
castello tornò subito serio e si volse
nuovamente a osservare il cielo stellato. Quella sera avrebbe
finalmente
rivisto la donna di cui tempo prima si era follemente innamorato. Ma
prima di
ogni cosa era necessario osservare il suo nemico. Per uccidere un
demone era
necessario scovare ogni suo punto debole, e questo Takemaru lo sapeva
bene.
E ora avrebbe
avuto modo di stare in stretto contatto con
lui. Un’occasione del genere era assolutamente imperdibile.
***
Il freddo
pungente era ampliato da un gelido vento
proveniente da nord, portatore di bufere di neve. La natura era ormai
irriconoscibile: in quelle zone iniziava molto presto a nevicare,
perciò ogni
cosa era già interamente coperta di bianco, tanto che era
persino difficile
riconoscere il cielo dalla terra.
Chiunque, in
quelle lande, in tali condizioni si sarebbe
perso e sarebbe morto di stenti. Chiunque non avesse sangue demoniaco
nelle
vene.
C’era
qualcuno, in effetti, che negli ultimi giorni aveva
affrontato quel gelo mortale, per trovare risposta a molti dubbi che da
tempo
gli affollavano la mente. Un occhio umano non avrebbe mai distinto
quella
sagoma candida, per quanto enorme, che correva velocissima sul soffice
tappeto
bianco.
La creatura
proseguiva nella sua corsa, sul cominciar della
notte, tanto agile e silenziosa che pareva quasi volare, e non si
fermò finché
non raggiunse la meta prefissata. Solo allora il grande cane argenteo
si
arrestò, trovandosi davanti ad un palazzo grande e sfarzoso
come non ce n’erano
nel raggio di moltissime miglia.
A prima vista
poteva sembrare anche una corte imperiale, ma
ad un’occhiata più attenta si intuiva subito che
quel castello, per quanto
splendido, non era abitato. La neve infatti aveva ricoperto non solo il
tetto,
ma anche le ampie verande, rendendo addirittura impossibile
l’entrata
attraverso alcune porte, completamente bloccate.
Gli occhi dorati
del cane bianco rimasero fissi
sull’abitazione, mentre tornava alla sua forma umana.
L’impassibilità dello
sguardo non tradiva in alcun modo i pensieri che passavano nella mente
del
demone, che per diversi minuti rimase immobile, come fosse in attesa di
qualcosa.
O di qualcuno.
Ma il silenzio
continuava ad essere il padrone dell’intera
montagna.
Sesshomaru non
si scompose. Non rimase deluso dal mancato
invito ad entrare, e non se l’era mai aspettato a dire il
vero. Perciò
lentamente, ma senza alcun indugio, si mosse verso l’entrata
della dimora
abbandonata.
Varcò
la soglia in totale silenzio, e subito il suo fiuto
venne invaso da quello che era un inconfondibile puzzo di morte. Era
ovunque,
era persino impregnato nelle pareti, dove macchie di sangue
più o meno vaste si
susseguivano lungo i corridoi lunghi e deserti.
Il giovane
daiyokai dovette rinunciare a percepire qualsiasi
altro odore, visto che l’acre puzza di cadavere aveva
ormai preso
completamente il sopravvento sulle sue percezioni. Perciò
Sesshomaru tese le
orecchie, pronte a captare qualunque rumore fuori
dall’ordinario, e assottigliò
gli occhi ambrati, cercando di intuire movimenti sospetti nel buio
della dimora.
Ma niente ancora
entrò nel suo raggio d’azione. Un fremito
attraversò le sue mani artigliate. Il principe non amava
attendere troppo, ed
era certo di essere nel luogo giusto. Ma la sua sete di sapere era
talmente
tanta che per una volta fece un’eccezione, e si mise
volontariamente alla
ricerca del suo obiettivo. Percorse i lunghi corridoi bui, fino ad
arrivare
alla veranda del cortile centrale. Anche lì, dove un tempo
sorgeva rigoglioso
uno splendido giardino, tutto era stato lasciato morire: gli alberi
erano
spogli, marci e colmi di neve, le carpe dello stagno erano morte e si
erano
congelate all’interno dell’acqua.
Sesshomaru
oltrepassò il triste spettacolo: ora che si
trovava nuovamente all’esterno della dimora l’odore
pungente si era attenuato, lasciando
trapelare una nuova scia che proveniva dalle stanze più
piccole, in una zona
del palazzo rimasta inutilizzata molto tempo prima.
Fu con
un’inspiegabile fastidio che il daiyokai si
addentrò
in quello stretto corridoio, le cui pareti erano regolarmente
intervallate da
stanze piccole e spartane, stanze che un tempo erano appartenute ai
membri
della sua scorta.
Fu un attimo, un
infinitesimo frangente. Sesshomaru
percorreva l’angusto corridoio buio, in cerca del suo
obiettivo. Sapeva di non
essere lontano, nonostante l’odore di morte fosse tornato,
più intenso che mai.
Camminava lento e deciso, degnando di appena un’occhiata le
stanze che
scorrevano accanto a lui.
Ma ad un certo
punto fu costretto a fermarsi, e per la prima
volta gli occhi del gelido principe dei demoni si dilatarono dallo
stupore,
nella sua maschera di ghiaccio. Conosceva la stanza che aveva appena
sorpassato, più di una volta l’aveva visitata, in
un passato che in fondo non
era poi così lontano.
Tornò
indietro, per guardare meglio. Il futon impolverato era
rimasto intoccato, il braciere non portava i segni di un uso recente.
Eppure, per un
istante interminabile, Sesshomaru l’aveva
vista. Aveva visto la luce del fuoco che brillava vivida, inondando con
la sua
calda luce l’intera stanza. E c’era una ragazza
dalla chioma lunga e ramata
seduta accanto a quel piccolo falò. L’aveva
guardato. L’aveva guardato con due
intensi occhi verdi come lo smeraldo.
***
Ci volle almeno
un’ora, prima che la lenta carovana arrivasse
a destinazione, così Daisuke aveva avuto tutto il tempo che
gli serviva per
terminare le ultime preparazioni per l’accoglienza: nel giro
di poco, tutti i
cavalli vennero accolti nelle stalle, e venne dato loro da mangiare. I
soldati
furono invitati a condividere la mensa con l’esercito, mentre
ai loro signori
venne preparata una cena ricca e sontuosa come raramente se ne vedevano
in quei
tempi di carestia.
La portantina
della principessa venne adagiata nei pressi
della porta principale. Con l’aiuto di Tomoko, Izayoi
uscì da essa e respirò
finalmente un po’ di aria fresca, dopo un viaggio tanto
estenuante. Aveva fame,
e aveva anche mal di schiena. Il bambino non le stava certo rendendo la
vita
facile, con tutti quei movimenti, e Taisho non le aveva fatto visita
per tutta
la giornata, impegnato com’era nella sua protezione.
Ma le sue
aspettative non vennero deluse: non appena la
principessa iniziò a dirigersi verso l’entrata
principale, ecco che il demone arrivò,
elegante come solo lui poteva essere, in una giornata così
particolarmente
fredda.
“Amore
mio” disse Izayoi in un sorriso, poi lo guardò
meglio.
“Ti senti bene?”
Inu no Taisho la
guardò duramente. “Che domande sciocche che
fai. Certo che sto bene” rispose. Poi, vedendo che la sua
compagna era rimasta
stupita dalla sua risposta burbera, tagliò subito il
discorso.
“La
cosa fondamentale è che tu sia qui sana e salva. Come sto
io non è importante”.
Izayoi lo
guardò con apprensione. Non aveva sbagliato allora.
Lo aveva capito dalle sue parole, parole che per chi non lo conosceva
sarebbero
potute sembrare solo una mera rassicurazione. Ma la principessa sapeva
che Taisho
non stava bene. Il demone infatti si informava spesso sulla salute del
bambino
e sulla sua salute, non curandosi di dormire la notte, per poter
vegliare su di
lei. E nonostante Izayoi avesse sempre insistito, consigliandogli di
dormire,
la risposta secca era sempre rimasta la stessa.
“Sciocchezze.
Noi demoni non abbiamo bisogno di dormire”.
Così
la principessa si arrendeva e gli lasciava fare di testa
sua. Ma ogni giorno di più la spossatezza era diventata
evidente nel daiyokai,
e aumentava così come il suo nervosismo. Infatti Taisho, che
aveva sempre tollerato
la vicinanza degli altri umani con magistrale indifferenza, ora non
sopportava
quasi più nemmeno la stessa Tomoko, e se non
l’aveva ancora attaccata al muro
era solo per evitare di incappare nelle ire della principessa, con
conseguente
agitazione di quest’ultima.
Izayoi sapeva
tutto questo, perché era stato lo stesso
daiyokai a riferirglielo.
Perciò
la principessa, nonostante fosse evidente che Taisho
fosse spossato da quel viaggio lungo, era contenta per lui. Da tempo il
demone
non si allontanava da lei, e quella missione di protezione sicuramente
gli era
servita per sfogare tutte le energie represse in due estenuanti
settimane di
preparazione al viaggio.
Le sue
riflessioni vennero però improvvisamente interrotte.
“Avanti,
entra. Non vorrai ammalarti”. Era stato il daiyokai
a parlare, con un tono addolcito che lei in quegli ultimi giorni
raramente
aveva sentito.
“Certo.
Vado subito” rispose la ragazza, senza abbandonare il
sorriso. “ti aspetto dentro”. Detto questo prese a
braccetto Tomoko, e le due
si diressero verso l’entrata della casa, dove un servo le
attendeva per
accoglierle, finché il padre di lei era impegnato a
sistemare il suo esercito e
i suoi cavalli.
Taisho non perse
di vista un secondo le sagome scure che
stavano entrando nella dimore, ma una voce ad un certo punto lo
costrinse a
voltarsi.
“E’
un incanto, vero?”
“Che
hai detto?” chiese Taisho. Ma la sua era una domanda
retorica. Aveva capito benissimo cos’aveva detto
l’uomo a pochi passi da lui.
“Avanti”
continuò lo sconosciuto, con un sorriso ironico.
“Mi
hai sentito benissimo. Se anche tu sei uno di loro
dovresti anche avere un buon udito”.
Taisho
assottigliò gli occhi in uno sguardo pericoloso.
“Credo
di non aver capito bene il tuo nome”.
“Sono
Takemaru Setsuna” rispose l’uomo con grande
prontezza. “Ovviamente
tu non hai bisogno di presentazioni, Grande Generale Cane”.
Il daiyokai non
abbandonò la sua ostilità. “Bene,
Takemaru
Setsuna, ho solo una cosa da dirti: stai alla larga da me, e
soprattutto stai
alla larga da Izayoi”.
L’uomo
per tutta risposta si mise a ridere sommessamente. “Senti
senti, che grinta. Ma sai che si dice. Can
che abbaia non morde”.
Gli occhi
ambrati del daiyokai scintillarono d’ira
nell’oscurità.
“Credimi, quel vecchio proverbio non comprende anche me. E
non vedo l’ora di
dimostrartelo”.
Takemaru rise
ancora più forte. “Vieni a prendermi allora.
Peccato che se mi uccidessi la principessa avrebbe qualcosa da ridire.
Sbaglio
o ti ha addomesticato? Devi fare il bravo cagnolino, e startene buono
in un
angolo com’è giusto che sia”.
Questa volta
Taisho sorrise, senza tuttavia che il tremendo
bagliore negli occhi ne risentisse. “Potrei anche decidere di
comportarmi come
si deve, e ucciderti per poi mangiare la tua carne. Da bravo demone, com’è giusto che sia”.
Il padrone del
palazzo tornò serio, ma non si era impaurito alle
parole del daiyokai. “Ho fatto preparare la cena. Per stasera
ho invitato anche
te, anche se in genere ai cani riservo gli avanzi. Non
accetterò un rifiuto, ma
ti avverto che non avrò problemi a cominciare a mangiare,
anche senza di te”.
Detto
questo, Takemaru lo oltrepassò e si diresse
anch’egli
verso la dimora, sparendo poco dopo oltre la porta. E Taisho prese una
decisione: quell’uomo presto o tardi sarebbe morto, e a
ucciderlo sarebbe stato
lui stesso.
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