Il mondo è anche felicità

di Celest93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


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Per favore, qualcuno mi svegli...
"E' inutile scappare, sai? Tanto nessuno verrà ad aiutarti" tremo a sentire quelle parole dette con così tanta cattiveria, cerco di nascondermi ma non mi è possibile, sa dove sono, d'altronde mi nascondo sempre lì.
"Su, fa la brava e esci, non mi va di perdere altro tempo con te." ho troppa paura, l'unica cosa che riesco a fare è piangere senza farmi sentire, e quel tono di voce non mi aiuta per niente. 
Aiutatemi, per favore, se è un incubo svegliatemi, non ho intenzione di pensare oltre a quella tortura. Invece passa poco più di un minuto che mi sento tirare fuori da sotto il letto  con forza da delle mani che vorrei prendere volentieri a morsi, ma che per colpa dell'età e della paura non riesco a fare niente se non pregarlo, supplicarlo di lasciarmi andare, di non farmi niente. 
Lui continua a ridere deciso a non ascoltarmi, e non è l'unico...
 
 
 
 
 
 
Non mi era mai successo, nel corso dei miei 18 anni di vita, di aver lontanamente conosciuto, o anche solo vagamente provato la parola felicità, inesistente nel mio vocabolario. 
Se non per una cosa, per cui posso definirmi la ragazza più felice di questo mondo, per altri sarebbe stata l'ennesima tragedia nella vita di una donna. Però loro non potevano capire i miei sentimenti, nè io avrei perso tempo a spiegarlo, perchè potevo dire di tutto, loro non avrebbero capito. Mai. Era una cosa inaccettabile, probabilmente l'avrei pensato anch'io se fosse stata la vita di un'altra persona, avrei giudicato negativamente, come gli altri fanno con me adesso.
Forse avevo incrociato quella famosa parola un paio di volte, forse da quando ho conosciuto Seth, oppure quando ho trovato lavoro in quello strano negozio, dove faccio sia la commessa sia la modella. Forse.
Per altri la parola felicità è sinonimo di villette con giardino, auto lussuose, cellulari ultimo modello o vestiti firmati; per altri ancora è avere un compagno, un lavoro stabile, sposarsi e avere figli, costruirsi una famiglia e vivere felicemente vedendo i loro bambini crescere.
Anch'io sono felice, certo, ma solo ad occhi estranei e di una felicità diversa, perchè nessuno mi conosce per poter dire ciò che provo realmente. 
Nessuno sa cosa ho dovuto passare per ottenere quel piccolo raggio di sole che mi illumina le giornate, nessuno può pensare alle sofferenze, alle notti passate a piangere e disperarmi per ciò che mi stava succedendo, nessuno. 
Non ho avuto amici con cui confidarmi, sfogarmi, farmi consigliare sulla cosa giusta da fare, mai nessuno aveva provato ad avvicinarmi in senso confidenziale, se non quello fisico. Su quel lato non potevo lamentarmi, siccome lavoravo anche come modella. Quando un ragazzo si avvicinava potevo stare certa che non mi avrebbe chiesto qualcosa, mi avrebbe chiesto solo quella cosa. Superficiali, in cerca solo dell'avventura, non li toccava minimamente far soffrire, gli scivolava addosso come acqua. 
Esattamente il contrario, le ragazze mi odiavano perchè attiravo l'attenzione maschile di tutta la scuola, mi guardavano con astio appena arrivavo, quando ad un interrogazione o in un compito prendevo un voto decente - per loro cose dell'altro mondo - pensavano subito che ci fosse qualche strana relazione tra me e il professore di turno.
Meglio soli che male accompagnati, mi sono detta che la cosa migliore era ignorare, tutto e tutti, continuare a fare ciò che mi avrebbe portata un pò di fortuna per il futuro: studiare e impegnarmi. 
Per problemi di causa maggiore sono stata costretta a lasciare la scuola, pentendomene, però non avevo altre scelte. Nella mia vita ho sempre avuto poche scelte, o meglio... ero sempre stata costretta.
Esattamente due settimane fa ho conosciuto Seth, ragazzo allegro, simpatico e gentile all'inverosimile, la prima persona che - oserei dire - mi ha voluto realmente bene, sentimento ricambiato da parte mia. Bellissimo e dolcissimo, è stato lui a portarmi nel negozio dove lavoro, dopo un incontro un pò imbarazzante e non propriamente normale.
Quel giorno, come al solito ero uscita di buon ora per cercare un lavoro, mi ero vestita elegantemente per l'occasione, e decisi di fare vari giretti per aziende e uffici. Nessuno poteva assumermi, erano al completo. Per tutta la mattinata però, avevo avuto una brutta sensazione, come se qualcuno mi stesse seguendo o tenendo d'occhio, e non ero affatto tranquilla.
Decisi di ignorare questo fantomatico stalker, e cercai in altri posti. 
Mezzogiorno era arrivato ma quel senso di disagio non ne voleva sapere di andarsene, aumentava.
Presa da un attacco di panico, mi affrettai a tornare a casa; forse per la fretta, per la paura o perchè non stavo guardando la strada da me percorsa, mi trovai presto in un vicolo cieco. 
Non avevo il coraggio di voltarmi, ne di fare niente se non respirare faticosamente, avvolta dalla paura. Stavo sudando freddo, speravo solo di rendermi conto che era solo un sogno, anzi un incubo, invece niente. E intanto sentivo i suoi passi avvicinarsi, perchè non era affatto silenzioso il tipo.
Non seppi come o perchè, mi ritrovai in lacrime mentre sbracciavo per liberarmi dalla sua presa, improvvisamente forte, mentre con una mano mi teneva chiusa la bocca, perchè avrei urlato, e forse lo aveva immaginato. Continuai a dimenarmi nel tentativo di scappare, per quanto i tacchi me lo avessero permesso, finchè non allentò la presa, voltandomi lentamente il viso nella sua direzione.
Paura. Doveva aver letto questo nei miei occhi, perchè aveva sussultato, quasi non riuscisse a capire che era stato lui a farmela provare. Ed era sconvolto!
Mi guardò un ultima volta, per poi liberarmi definitivamente dalla sua stretta. Non urlai ne scappai via.
"Ti prego, dimmi che non piangi per colpa mia." Sembrava molto più che sconvolto, se arrivava a farmi quella strana quanto inutile domanda. Certo che piangevo per colpa sua, avevo temuto il peggio, d'altronde non sarebbe stata la prima volta.
"Non volevo spaventarti, io ho fatto solo un lavoretto che mi era stato affidato" Si grattò la nuca, imbarazzato, mentre si fissava le scarpe, incapace di guardare nella mia direzione. Non piangevo più, avevo capito che non mi sarebbe successo nulla. Ascoltavo, incapace di parlare, mentre il ragazzo mi spiegava in cosa consisteva il suo lavoretto. Cercare una possibile modella, giovane, che facesse anche la commessa nel negozio del suo amico, e doveva trovarla entro quel giorno lì, altrimenti sarebbero stati casini.
Lì capì che Seth non era cattivo, quel giorno ho rischiato di denunciarlo, quel giorno ho trovato un vero amico, quello che ti diceva le cose in faccia, anche se lo conoscevo solo da un paio di settimane, non potevo incontrare persona migliore.
Stiamo sempre insieme, a volte ci hanno scambiati per una coppia, altre- soprattutto ragazze - mi guardavo con invidia, essendo lui un bellissimo ragazzo: biondo, con degli azzurri talmente chiari da sembrare quasi grigi, un fisico che fa girare anche le donne non più giovanissime per strada, un sorriso che ti fa innamorare, soprattutto per le adorabili fossette che si creano.
Lui è stata, forse, parte della fortuna che mi è capitata...
 
 
 
 
 
 
 
Questa storia, se così posso definirla, l'avevo pubblicata un pò di tempo fa, ma che avevo erroneamente eliminato ora la rsposto, sperando che possa interessare a qualcuno XD
Avevo deciso di non farla più, ma non mi davano pace Charlene e Tyron, volevano essere scritti a tutti i costi, e così eccoli qua :)
 Non so com'è venuto fuori questo capitolo, spero possiate dirmelo voi, le critiche sono più che accettate, almeno spero di migliorare in futuro ;)
Essendo il primo capitolo non succede ancora niente, ma andando avanti con i capitoli verrà fuori il tormentatissimo passato dei protagonisti.
A presto, per chi lo leggerà. 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


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- Capitolo 2 -



 
 
 
 
 
 
Ero stanca di fare tutto, stanca di piangere o di prendermi a sberle per la mia impotenza, stanca di vivere quegli incubi...
"Ancora non hai capito qual'è il tuo compito?" Stanca di doverlo sentir parlare, sempre con quel tono minaccioso e poco rassicurante. "Mi dispiace mia cara, ma è ciò che farai finchè io lo vorrò." Sorrise, o megliò ghignò, malefico come suo solito. Non volevo più vederlo, volevo solo poter vivere in pace, senza dovermi ogni volta spaventare per un nonnulla. Invece mi toccava penare.
"Mettiti in ginocchio." Inorridii, non potevo tollerare tanta umiliazione, ma appena aprii bocca per rifiutarmi, mi ritrovai già sbattuta con violenza contro al muro...
 
 
 
"Hey, che fai oggi?" Sbuffai, era solo la trecentesima volta che me lo chiedeva. E la risposta era sempre stata la stessa, a quanto pare era duro d'orecchi il ragazzo.
"Seth, per favore non insistere, sono impegnata." Risposi, sicura che sarebbe tornato all'attacco subito dopo. "Che cosa devi fare?" Alzai gli occhi al cielo, si può sapere dove voleva arrivare? Lui era tranquillissimo, incurante del fatto che forse poteva mettermi in imbarazzo con le sue domande. Decisi di accontentarlo, in parte.
"Devo stare a casa, a occuparmi di una cosa urgente, ti basta?" Finii il mio discorso appoggiando le mani sui fianchi, mostrandomi esasperata. Sorrise, forse pensando che non dicevo sul serio, invece avevo veramente degli impegni.
"Lo so che stai mentendo, tu non hai mai niente da fare." Presa alla sprovvista, appoggiai la camicetta che stavo piegando con cura maniacale per guardarlo stizzita, anche arrabbiata, per quello che voleva insinuare.
"Con questo cosa vorresti dire? Che non ho una vita?" Non ero più in vena di scherzi, non dopo quello che mi aveva detto. Aveva aperto la bocca deciso a parlare, quando lo bloccai, non volevo sentire delle stupide scuse, ne avevo già abbastanza di quelle farse.
"No, non dire niente, non voglio sentire una sola parola, io adesso sono occupata e non ho nessuna voglia di perdere questo lavoro." Mi allontanai, rivolgendogli un occhiata truce per il suo modo di parlarmi.
Nonostante adorassi Seth, avevo deciso di non raccontargli niente, e non era una questione di fiducia, più che altro non ne avevo il coraggio. 
Se gli avessi detto del mio passato, sarebbe stato più reale, mi avrebbe fatto più paura sapere che un'altra persona ne era a conoscenza, nonostante il peggio fosse passato.
E lui semplicemente non doveva dirle quelle parole, il problema era che mi sentivo terribilmente in colpa, avevo agito seguendo l'istinto, maledizione!
Quasi decisi di andare a scusarmi, finchè non ci pensò l'orgoglio a tenermi ferma nella mia posizione, avrebbe dovuto farlo lui il primo passo.
Passai la giornata a ordinare e spuntare le bolle, cosa che toccava sempre a me essendo nuova, o a pulire appena i clienti scarseggiavano, cosa alquanto impossibile.
Il negozio era diverso dagli altri per il semplice motivo che i commessi erano modelli, ovvero sfilavano se i clienti lo desideravano, mostrando gli abiti scelti e facendo loro vedere come sarebbero stati da indossati. Noi femmine ci ritrovavamo spesso e mal volentieri a mostrare top, maglie scollatissime, micro gonne o vestini che coprivano a malapena il necessario, anche chiamati semplicemente stracci, ma che costavano quasi quanto l'oro. Purtroppo avevo capito che la maggior parte della clientela maschile ci chiedeva di sfilare, non per vedere gli abiti ma chi li indossava, e che se ne tornavano a casa a mani vuote, ma soddisfatti per ciò che gli occhi avevano visto. Stessa cosa per i maschi, perchè neanche le femmine ci scherzavano, li facevano provare camicie, ovviamente sbottonate, o la maggior parte delle volte semplicemente stare in boxer, senza nient'altro addosso, mostrando il loro bellissimo corpo palestrato.
Un'altra particolarità del Aber&Belle era la possibilità di farsi fotografare con i commessi, e le clienti non si lasciavano di certo sfuggire la possibilità di farsi una foto insieme ad un bellissimo modello da mostrare fiere alle amiche o conoscenti. 
Terminato con la bolla ormai non mi restava che iniziare a pulire, essendo arrivati alla fine di quella giornata, bisognava lasciare tutto in perfetto ordine. Iniziai dal primo piano, passando per il reparto intimo, uomo, camicie e scendendo per fare il piano terra.  
Stavo cercando di mettere su uno scaffale una scatola, quando mi sentii tirare leggermente all'indietro, rischiando di perdere l'equilibrio e far cadere tutta la roba che avevo in mano, quando invece del freddo pavimento avvertii delle braccia forti circondarmi, impedendomi sia la caduta sia la figura imbarazzante di essere spalmata per terra. Stavo ancora cercando di capire che cosa fosse successo quando un tenero bacetto sulla fronte mi fece sorridere, ma sorridere di cuore, lo aspettavo e lo volevo. Continuò a tempestarmi la faccia di altri dolci baci, sugli occhi, sul naso, evitando accuratamente di avvicinarsi alle labbra, aveva capito cosa poteva fare e cosa no.
Finita la sua opera di perdono, mi girò lentamente il viso per mostrarmi il suo timido sorriso, in una muta richiesta, accettata da parte mia.
"Scusa, non intendevo dire quello." Era impossibile trattenersi dal saltargli addosso, infatti lo abbraccia di slancio, lasciandomi andare contro quel petto forte che mi ispirava tanta protezione, fiducia e una bellissima sensazione familiare.
 
 
Maledetta stronza, come hai potuto farmi questo, come?!?
Io non ti ho mai fatto niente, d'altronde non avrei mai potuto, sapevo quali rischi correvo se avessi anche solo immaginato a farti qualcosa.
Tu però hai fatto tutto, e dico tutto, così, senza un vero motivo, volevi solo sfogarti di una realtà che ti ha lasciata con l'amaro in bocca, con dei ricordi bellissimi - quelli si - ma che io neanche potevo sognare, non potevo perchè non li ho mai vissuti per poterlo fare.
Maledetta stronza...
 
 
Due settimane fa compivo 18 anni, due settimane fa ho trovato il lavoro di modella, due settimane fa ho conosciuto Seth, e queste sono le buon notizie riguardanti il 30 maggio; due settimane fa mi sono ritrovata il peggior regalo che qualcuno, o meglio lei, potesse farmi.
 
 
 
Dopo la visita al negozio e dopo avrer firmato tutti documenti, mi decisi a tornare a casa
Sbattei più volte le palpebre, sperando di aver visto male, mentre le lacrime tornavano a farmi visita.
Con la vista appannata, le gambe tremanti e il cuore che minacciava di uscirmi dal petto, mossi lentamente dei piccoli passi verso casa.
Continuai a camminare guardando ciò che mi aveva tanto terrorizzata, finchè non mi ritrovai per terra, inciampata nella mia borsa, malamente buttata sul marciapiede. I miei vestiti, le scarpe, gli accessori... tutti sparpagliati davanti alla porta, buttati senza il minimo riguardo nelle valigie aperte.
Alzai lo sguardo, la testa che mi girava, per assicurarmi che fosse frutto della mia immaginazione. Tutto li, era tutto vero.
Due valigie aperte, tutte le borse piene e straripanti abiti erano buttate davanti alla porta di casa. Quella che, evidentemente, non potevo più considerare casa mia.
Fu questione di un secondo, mi era bastato vedere quel pezzo di stoffa per far mancare al mio cuore un battito e ritrovarmi in piedi, a cercare disaperatamente le chiavi nella mia borsa.
"Oh Dio, oh mio Dio," singhiozzai tra le lacrime,"Fa che non è come penso, ti prego."
Mai mi era sembrata tanto distante la porta, mai avevo provato tanta paura in vita mia. La vista cominciò ad abbandonarmi, ma nonostante ciò mi ritrovai a bussare e urlare, battere pugni e tirare calci alla porta di legno. Niente. Dall' interno non proveniva il minimo rumore. 
Con il respiro corto e mani che non smettevano di tremare, provai ad infilare la chiave nella serratura. Mi risultò più complicato che mai: trovare la chiave, cercare di infilarla ma sbagliare continuamente per colpa della poca vista, e scoprire che era stata cambiata, fu un colpo tremendo.
"MALEDETTA STRONZA!" Urlai disperata, non smettendo di tirare pugni alla porta "APRI QUESTA DANNATA PORTA, KATY! GIURO CHE SE GLI HAI FATTO QUALCOSA...TI AMMAZZO!" 
Non capivo più niente, non potevo sopportare ne pensare che fosse successo proprio a me. Stavo male, mi girava la testa, ma il dolore più forte era quello nel petto: non me lo sarei mai perdonata.
Mi allontanai, con passo mal fermo, dalla porta avvicinandomi alla strada, per vedere se potevo in qualche modo salire dal balcone, quando notai una cosa in mezzo alla strada che che poco prima non avevo visto.
Ebbi il tempo di riconoscere la scarpetta azzurra, che la vista mi abbandonò definitivamente.
 
 
 
"Tesoro?" Un sospiro. Stavo sognando... mia madre? Mia madre?
"Tesoro, ha bisogno di te adesso, ascoltami e riprenditi." Riprovò, pregandomi.
Ero distesa in mezzo all'erba alta, probabilmente, perchè tutt'intorno a me era verde, e continuavo a fissare le nuvole, che pian piano cominciarono a coprirmi l'azzurro del cielo. Una normalissima giornata estiva che preannunciava temporali e maltempo.
Stavo cercando di capire cosa fosse quello stato di preoccupazione che provavo, da cosa derivasse la preoccupazione che mi stava stringendo il cuore in una morsa fortissima. Non riuscivo a capirlo. E in mezzo a questi pensieri, sentivo delle voci.
Piccole gocce d'acqua iniziarono a cadermi sul viso, accompagnando le lacrime che scendevano veloci sulle mie guance. Piangevo perchè ero in ansia per qualcosa, ma anche sforzandomi non mi venne in mente il motivo.
Vuoto totale nel cervello, un dolore lancinante al cuore.
"Non fare il nostro errore, amore. Non puoi abbandonarlo proprio adesso." La voce che desideravo sentire da diciotto lunghissimi anni, la voce che le mie orecchie aspettavano impazientemente di sentire, fosse stata solo una lettera, ma che avrei dato di tutto per sentirla, mi stava pregando di non fare il loro stesso errore. 
Papà, di quale errore stai parlando? 
Chi non devo abbandonare, papà? Non ti capisco. 
Ho sempre desiderato solo una cosa, ed era sentire la tua voce. Non potevo chiedere altro, non potevo. 
Però adesso sono felice, credo... 
Dove sei papà? Parlami, fammi sentire la tua bellissima voce, sgridami se vuoi, ma parlami. 
Ne ho bisogno...
Le lacrime continuavano il loro cammino, raggiungendo il mio collo, passando oltre lo scollo della maglietta.
"Charlene, ti prego, svegliati!" Una voce vicina, familiare, mi chiese di svegliarmi. Non ne avevo voglia. Non volevo svegliarmi per tornare alla realtà, non volevo affrontare la vita che mi aspettava li fuori. Sentire la voce dei miei genitori, quello si che era veramente importante, niente era più importante di loro. Diciotto lunghissimi, maledettissimi anni cresciuta aspettando il giorno in cui avrei sentito solo la loro voce.
"Invece si!" Perchè piangi, mamma? "C'è una cosa più importante di noi. Noi... noi ti abbiamo abbandonata, non siamo stati capaci di crescerti come si deve, però tu puoi e devi assolutamente farlo. Ti prego, non fare il nostro errore, non puoi abbandonare..."
Il mio cuore, prima ancora del cervello, aveva capito perfettamente le parole dette da mia madre, tant'è che mi svegliai di colpo.
"PETER" Aprii gli occhi, guardandomi intorno, e alzandomi di colpo. La testa che ancora mi girava, le lacrime che scendevano dai miei occhi. Ma non erano lacrime di disperazione, o tristezza, o dolore. No!
Un sorriso spontaneo, di felicità, mi nacque sulle labbra. Dall'altra parte del tavolo, sul divano, il mio angelo dormiva, incurante di tutto. Peter, una sola scarpetta azzurra ai piedini, e senza il bavaglino con Mickey Mouse che gli avevo messo la mattina, al collo,  teneva le braccia vicino alla testa, mentre un sorriso gli incurvava leggermente le piccole labbra verso l'alto.
Caddi in ginocchio vicino a lui, piangendo dall'emozione e accrezzandogli delicatamente i capelli, cercando di non svegliarlo, baciandogli tutto il viso, leggera come il suo respiro, attenta a non rovinare quel momento in cui sembrava in pace con il mondo intero. Continuai a guardarlo, toccarlo, e dirmi che avevo una cosa molto importante nella realtà che vivevo tutti i giorni: mio figlio. Nessuno mi aveva mai dato tanto affetto quanto lui, nessuno era mai riuscito a farmi sorridere di cuore, nessuno tranne lui mi aveva mai fatto provare un sentimento chiamato amore, felicità, affetto infinito. Mio figlio. La mia vita.
"Mi dispiace tanto." Mi voltai a guardare Elisa, nel suo completo elegante, cercando di non saltarle al collo per la felicità. Mi limitai ad abbracciarla, trattenendomi, riconoscente per quello che aveva fatto.
"Dispiacerti? Non oso immaginare cosa avrebbe fatto Katy al mio Peter se non ci fossi stata tu, non so come ringraziarti." Le sorrisi, ma lei non pareva contenta quanto me, sembrava tutto il contrario. Mi fece cenno con la testa di guardare la porta d'ingresso. Li vicino, due valigie pronte stavano in bella mostra.
"Lo sai che giorno è oggi, vero?" Mi domandò con tono dispiaciuto.
E purtroppo ricordai: il 30 maggio, giorno del mio compleanno, giorno in cui avevo trovato lavoro, giorno in cui quella stronza che per diciotto anni ero stata costretta a chiamare zia Katy mi aveva cacciata via di casa senza neppure avere il coraggio di in guardarmi in faccia - e aveva cambiato serratura alla porta per completare il suo regalo - era anche il giorno in cui Elisa, unica persona con cui andavo d'accordo e che mi poteva in qualche modo aiutare, partiva definitivamente per il suo paese natale: l'Italia.
Tornai con il morale a sotto zero. Dove potevo andare in una città dove non conoscevo nessuno? Chi poteva aiutarmi?
"Charlene, ascoltami... ti preparo una tazza di the come ti piace tanto, poi devo parlarti." Non mi lasciò il tempo di fiatare che sparì in cucina. 
Tornai a sedermi vicino a mio figlio, mentre aspettavo che Elisa tornasse.
Elisa non aveva vissuto una vita felice, aveva dovuto affrontare un sacco di problemi: dal suo sogno di diventare attrice non aveva più avuto un buon rapporto con i genitori, la cacciarono via di casa, la incolparono di essere una drogata (non vennero mai a sapere che apparteneva alla sua sorella maggiore quella strana busta contenente polvere bianca) non parteciparono al suo matrimonio, non volevano più vederla nè sentirla.
Elisa, quando scoprì di essere incinta, decise di mettere da parte l'orgoglio e chiamò i suoi genitori per dar loro la lieta notizia: 'non vogliamo nipoti drogati o alcolizzati' furono le uniche parole dette da suo padre. Riattaccò, e si promise che mai, mai più avrebbe messo piede in quello stato che non le aveva dato niente, se non un buon marito. Si trasferirono, allontanandosi da quella vita, decidendo di costruirne una nuova, tutta loro. 
Erano felici nella loro nuova villetta con giardino, con un bimbo di nome Nicola, lontani dal loro paese. 
Ogni estate Daniele, il marito, tornava per vedere i suoi genitori e i fratelli, con cui era rimasto in ottimi rapporti. Nicola cresceva senza aver mai conosciuto i nonni e gli zii, e arrivato all'età di dieci anni, chiese se poteva partire con il padre per poterli conoscere. Non aveva nessun problema Elisa a lasciarlo partire, perciò gli diede il permesso. 
Per dieci la storia fù sempre la stessa: Nicola partiva e tornava con un'idea che per Elisa era pura follia: voleva sposarsi. Certo, quando era piccolo pensava che stesse solo scherzando, però all'età di 20 anni non era più un bambino, sapeva quello che voleva ed era intenzionato a sposare quella dolce ragazza piena di lentiggini, a quanto ne sapeva lei. 
Unico problema? Era italiana, e Elisa non lo tollerava. Non poteva sopportare di vedere il figlio sposato con un'italiana, poteva andare bene qualsiasi ragazza, ma non lei. 
Non la conosceva, non aveva mai più messo piede in Italia, e non aveva intenzione di farlo. 
Litigarono. 
Aveva deciso tutto, lui: l'anno dopo si sarebbe sposato con Alice, con o senza la presenza della madre. Infatti si sposarono senza la madre di lui ma con il padre e la sua famiglia, fu un bellissimo matrimonio, la sposa era a dir poco bella, con quei bellissimi capelli simili al grano, occhi scuri e le lentiggini che avevano tanto fatto impazzire Nicola. 
Per un anno non si sentirono, finchè Nicola chiamò la madre nel cuore della notte per dirle che stava per diventare nonna. Stava piangendo, era al settimo cielo, voleva diventare papà. E voleva che la madre andasse a conoscere lei, la madre del suo futuro nipotino. Elisa disse di no. 
Litigarono ancora più violentemente della prima volta.
Le disse cose che non pensava, che lei non doveva più considerarsi sua madre, le disse di dimenticare di avere un figlio. 
Non parlarono più per mesi, finchè Elisa, pochi mesi fa, non se lo ritrovò alla porta che chiedeva di poter entrare. Non si staccarono, le era mancato avere il figlio in giro per casa. Nicola restò una settimana, passò quei sette giorni a pregarla, baciarla e coccolarla, per farle cambiare idea e portarla con sè a conoscere sua moglie. La promessa era che non avrebbe mai più messo piede in quel paese, con poca fatica declinò l'invito del figlio, seppur con un macigno sul cuore.
Era distrutta, Nicola era uscito di casa con due biglietti aerei, uno per sè e l'altro per il padre, senza nemmeno salutarla. D'altronde, che razza di madre era? 
Una settimana dopo la loro partenza, Nicola le telefonò per dirle poche parole, poche ma che ebbero la stessa potenza di una bomba atomica: "Mamma... ti... ti amo. Perdonami, per fav-ore pre-prenditi cura di Luca e Alice, mamma, mam..." Queste furono le ultime parole di Nicola prima di morire nell'incidente stradale in cui fu coinvolto insieme al padre. 
L'ultimo desiderio del figlio era che lei si prendesse cura del figlio Luca e della moglie, e non poteva tapparsi ancora le orecchie, aveva perso il figlio e il marito per un capriccio, aveva abbastanza rimpianti per combinare altri errori.
"A cosa stai pensando, cara?" Mi riscossi dai miei pensieri dopo aver sentito la domanda di Elisa. Stavo ancora accarezzando Peter; per non rivelarle dei miei pensieri poco felici decisi di confidarle una mia paura: "Sto pensando a dove andrò a dormire" Mormorai. Era vero, non ci avevo pensato, però era un problema, decisamente da non sottovalutare.
"A proposito di questo, vorrei dirti alcune cose." Mi guardò dritto negli occhi, e quando faceva così era perchè era una cosa seria e voleva essere ascoltata. Annuii, incapace di farlo altro.
"Tu conosci Jerry, siete stati da me parecchie volte, avete avuto l'opportunità di conoscervi," Conoscevo Jerry, aveva acquistato la casa di Elisa. "Tu devi sapere che sta mattina presto, tua zia ha buttato la tua roba fuori e ha messo Peter davanti alla porta. Non ho intenzione di dirti che cosa è successo, anche se puoi immaginarlo..." Immaginavo! Non era mai stata capace di badare o preoccuparsi per mio figlio, non le interessava minimamente. Le feci cenno di continuare, mentre le mie mani non abbandonavano per nessun istante il corpicino sdraiato di fianco a me, protetto da cuscini per non farlo cadere.   "Ecco, dopo che ho visto quello che era successo sono andata a prendere Peter e ho chiamato Jerry. Gli ho pagato un mese di affitto... non dire niente! Gli ho pagato un mese di affitto, non potevo fare altro." Io non dicevo niente perchè avevo troppo capito tardi che cosa intendeva e che cosa aveva fatto. Non potevo crederci, non poteva essersi presa questo impegno, non eravamo nè parenti nè niente, ci conoscevamo a malapena da tre mesi. 
"Non dovevi farlo..." Riuscii a malapena a sentirmi, tanto avevo abbassato la voce per la meraviglia. Lei scosse la testa.
"Si che dovevo! Non riuscirei a pensare a te e tuo figlio in mezzo alla strada. Accettalo come un regalo di compleanno." 
"Non posso, davvero. Stai per partire, devi occuparti di tuo nipote che sta per nascere e di tua nuora... non sai la gioia che ho provato nel sentirtelo dire, mai nessuno si è spinto fino a questo punto per me. Però non posso, grazie davvero, ma rifiuto!" Il mio doveva essere un tono che non ammetteva repliche, ma avevo la voce incrinata per via dell'emozione che provavo. Infatti, sembrò non avermi sentita.
"Lo sai perchè non puoi rifiutare? Perchè l'ho già fatto! Tu abiterai qui per questo mese, Jerry ha un cuore d'oro, senza fare domande ha accettato la mia richiesta. E' vero, sto per partire, ma almeno ti saprò in un luogo coperto, al sicuro. Questo è il mio regalo di compleanno per i tuoi 18 anni." Sorrise, mentre io non potei fare altro che abbracciarla, abbracciarla e abbracciarla ancora, commossa per quel gesto inaspettato. 
"Grazie, grazie di cuore." Riuscii a sussurrarle, mentre anche lei ricambiava l'abbraccio.
"Ah, ho un'altra cosa per te." Tirò fuori una busta bianca, chiusa, e me la porse. La fissai, il mio sguardo che chiedeva spiegazioni.
"Questa busta la aprirai solo alle quattro, esattamente tra... due ore." Continuò a guardarsi l'orologio al polso, mentre si mordicchiava il labbro. "Tra un pò arriva il taxi, devo andare." Mancava poco al momento dei saluti, avrebbe abbandonato il suo passato per avviarsi verso il suo futuro.
Controllò di avere tutti i documenti con sè, di non aver dimenticato qualcosa di importante e di aver lasciato in casa ciò che mi sarebbe stato di aiuto.
"Beh, arriva in tempo, a quanto pare." Mi disse, indicandomi dalla finestra l'auto che l' aspettava davanti al cancello. "Mi ha fatto molto piacere conoscerti, Charlene." Non potevo fare niente per lei, se non ringraziarla all'infinito per quello che aveva fatto per me. La abbracciai, intimandole di chiamarmi non appena fosse arrivata e quando Alice avrebbe partorito. Baciò mio figlio, prese la sua borsa mentre il tassista le portava le valigie, e andò senza mai voltarsi indietro, nè mentre si dirigeva verso la macchina, nè mentre questa era già partita. 'Non guardare mai al passato, fa solo tanto male' diceva sempre, avendo vissuto sulle sue spalle tanto dolore.
Rientrai in casa, quella che per il mese a venire avrei chiamato casa mia, anche se sapevo che dovevo già mettermi alla ricerca di qualche appartamento.
Andai in salotto, mi versai una tazza di the e cominciai a berlo a piccoli sorsi mentre i miei occhi non abbandonavano il corpo del mio piccino lì di fianco. Intanto la menta stava facendo il suo effetto: mi stavo rilassando.
 
'Tu lavori, ma a tuo figlio chi ci pensa? Questi soldi (che non puoi più restituirmi) ti serviranno per una baby-sitter. Sono il mio regalo per Peter. Mi raccomando, prenditi cura di te e tuo figlio.' Conteneva questo piccolo biglietto ma tanti soldi la busta bianca lasciatami da Elisa.
 
 
 
"Mi scusi, può mostrarmi questo completo, per piacere?" Eh già, a quanto pare il cliente che mi era stato affidato era uno della categoria 'guardo ma non compro'. Era calvo, gli avrei dato una sessantina di anni, con la pancia ben in mostra, basso e la fede al dito. 
Era... squallida la sua richiesta. Solitamente non mi lamentavo, era il mio lavoro, ma c'era differenza tra la richiesta di un ventenne o trentenne a quella di una persona che poteva essere tuo nonno. Mi sarei sentita a disagio a sfilare mezza nuda per lui. Ma non avevo scelta...
"Siamo spiacenti signore, ma abbiamo un disperato bisogno di Charlene nel reparto scarpe." Avrei costruito una statua in onore di Seth per essere intervenuto, mi sarei sentita veramente male. Il cliente se ne andò borbottando, insoddisfatto. 
Mi recai nel reparto scarpe, vuoto, siccome eravamo in orario di chiusura, ma non notai niente fuori posto. 
"Era una scusa per allontanarlo, ho visto la faccia terrorizzata che hai fatto quando ti ha chiesto di sfilare, qui ho già finito di tutto io." Era tutta una messa in scena, aveva proprio pensato a tutto pur di non lasciarmi in pasto al lupo. Come si poteva non adorarlo?
"Io ero messa male con quel signore, mentre neanche tu te la spassavi con le ragazze di sotto. Che hai combinato?" Gli chiesi, sorridendo e tirandogli un pugno amichevole sul braccio. Anche se ci avessi messo tutta la forza di cui ero capace, ero sicura che avrebbe provato un leggero solletico, altro che dolore!
"Ho capito," disse in tono provocatorio, "Sei gelosa! Chi l'avrebbe mai detto?" Il mio caro amico aveva tante di quelle ammiratrici, che se le ritrovava sotto casa a volte, e lui invece di ignorare, ci stava!
Aveva il brutto difetto di separare le donne: belle o brutte, giovani o meno, fidanzate o non, lui dava loro il numero di cellulare su cui contattarlo, incurante di tutto. Il vero problema erano le quattro sim che possedeva, due rispettivamente per il lavoro e per le persone care, le altre due erano suddivise in ragazze vecchia conoscenza - inutile specificare di letto - mentre le altre erano le possibili nuove avventure.
Per lo più erano clienti abituali, perciò vedeva sempre le stesse persone, e trovandosi in difficoltà chiedeva aiuto a me e a Marg per tirarlo fuori dai pasticci.
Era senza speranza, povero cucciolo. Perchè nonostante avesse 29 anni, lui era un bambino, quello tenerone, abbracciarlo, baciarlo e coccolarlo di continuo era un dolcissimo vizio per noi.
"Ovvio che sono gelosa, che cosa credi?" Stavamo scherzando, lo facevamo spesso, nessuno poteva toglierci quei pochi minuti di relax.
In risposta mi prese il viso tra le mani, cominciando a riempirmi di dolci, teneri baci: sugli occhi, sul naso, la fronte, le guance... Avrei pagato di tutto per poter avere ancora quelle attenzioni in futuro, riservate solo a me.
"Piccioncini, bisogna lavorare!" Effy, un nome un programma. In quelle due settimane sembrava aver dato la caccia a me e al povero Seth, ovunque fossimo, qualsiasi cosa stessimo facendo, ce la ritrovavamo a riprenderci come si fa con i bambini delle elementari. Aveva qualche problema la ragazza.
"Io ho appena finito nel reparto intimo, voi due in quello delle scarpe, che vedo è già sistemato, cosa stavate facendo? A parte sbaciucchiarvi, si intende!" Aveva un tono derisorio, ma l'espressione facciale diceva tutt'altro: era irritata. Non nascondeva il fatto di non sopportarmi, me lo aveva fatto capire già dal primo giorno di lavoro. Mentre Seth e Margaret avevano assunto delle espressioni soddisfatte, lei sembrava delusa. Da cosa, non si sapeva; le portavo rispetto essendo una mia collega, nonostante in cambio ricevevo occhiate ostili, piene di odio, ma per quel posto di lavoro, per mantenermi e mantenere soprattutto mio figlio, avrei fatto di tutto. L'avrei semplicemente ignorata, come era già successo.
"Non ci stavamo sbaciucchiando, ci stavamo semplicemente rilassando, hai presente? Quello che dovresti fare tu, non rimproverarci tutti i secondi di questo e quello." Mi difendeva sempre, il mio cucciolone troppo cresciuto, non mi lasciava mai ad affrontare qualcosa da sola. Soprattutto con Effy, non mi lasciava mai da sola in sua presenza.
"Fate come vi pare, io vi ho avvertiti." Se ne andò sculettando, mentre i lunghissimi capelli biondi sbattevano di qua e di là.
Ridacchiai insieme a Seth, mentre gli altri ci raggiunsero subito.
"Angelo, prenditi cura di lei ... Lei non sa vedere al di la di quello che da ... E l'ingenuità è parte di lei... " Sorrisi apertamente, non la sentivo da tanto tempo quella canzone. 
"Ti accorgi in un momento: Siamo soli... è questa la realta? Ed è una paura che... non passa mai" Era bellissima, la canticchiai sottovoce, senza neppure accorgermene. Elisa mi aveva fatto sentire un casino di canzoni, ma quelle che adoravo di più erano quelle dedicate ai bambini: mi ritrovavo spesso a cantarle a Peter.
Ormai non c'erano più clienti, bisognava pulire, sistemare e finire di allestire le nuove vetrine, ma eravamo tutti nel reparto per le scarpe. Mi accorsi tardi degli occhi puntati su di me.
Margaret - unica ragazza con cui avevo un buon rapporto, era stata lei ad assumermi, a costo che ''Starai lontana da Tyron, te lo chiedo per favore, non avvicinarlo e ignoralo'' voleva che seguissi quella semplice regola - aveva dipinto in volto la consapevolezza, Seth sembrava triste per qualcosa, Effy, che voleva nascondere tutto nell'indifferenza, non riusciva a nascondere una punta di delusione, Mike era allarmato, Sten sembrava agitato... Ma che avevano?
"Tu... conosci la canzone?"  Non potevo mentire riguardo una cosa tanto semplice, anche se per loro sembrava l'inizio di una catastrofe, quindi annuii nella direzione di Marg. Forse era una mia impressione, però mi era sembrato che Seth per poco non saltasse dalla gioia se avessi detto il contrario, infatti era caduto nello sconforto più totale. Strano, poi, che avessero deciso di mettere una canzone simile mentre in tutta la giornata si sentiva solo musica, se si poteva chiamare così, spacca timpani.
"Mentre voi finite qui, io vado ad occuparmi dell' ufficio, oggi tocca a me." Sorrisi, cercando di allontanarmi da quei musi lunghi, senza portarmi dietro il loro pessimo umore.
Mi incamminai verso l'ufficio e salii le scale, mentre la canzone giungeva al termine. Sospirai.
La porta dell'ufficio era leggermente aperta, doveva sempre stare chiusa durante la giornata se non vi lavorava nessuno, ma a quanto pareva, non sarei stata sola.
Sbirciai, facendo piano per non farmi scoprire e guardai all'interno: la sedia oltre la scrivania dava di spalle alla porta, qualcuno era seduto, intento a fissare una foto in mezzo a tutte le altre appese nel ufficio, foto dei commessi del negozio. La foto che stava guardando, fino al giorno prima non c'era.
Era più grande rispetto alle altre, collocata proprio al centro, e raffigurava una bimba di circa due anni, con i capelli tenuti in stile fontana sopra la testolina, il viso macchiato di quella che sembrava cioccolata, sorridente. Bellissima. Semplice, come solo i bambini sanno essere.
E lui era assorto a contemplare quella fotografia, sembrava non essersi accorto della mia presenza oltre la scrivania. 
Si girò.
E il cuore battè tanto velocemente che sembrava stesse gareggiando con qualcosa, mi sentii andare a fuoco, e purtroppo arrossii. Era li. Tyron.
E... Dio! Bellissimo sarebbe stato poco per descriverlo: aveva due occhi di un verde tanto splendente, sembravano due smeraldi, irresistibili solo alla vista, e... mi stavano facendo una radiografia. Quegli occhi, che non avrei dovuto guardare, invece mi fissavano, cercando forse di attirare la mia attenzione. Feci il grosso sbaglio di guardarli, fissarli, memorizzarli nella mia testa, nel mio cuore. Si erano già presi un posto in quell'organo che non la smetteva di battere.
Lui era semplicemente davanti a me che mi fissava, tanto intensamente, che pensai non avrei retto. 
Aveva dei capelli neri, scuri come la notte, che contornavano quel bellissimo viso d'angelo.
Però era serio. Esattamente come la foto appesa al muro, e che due settimane prima avevo guardato tanto intensamente, in quello stesso ufficio.
Io ero li, davanti a lui che era il mio capo, e non mi ero nemmeno presentata. Non si poteva parlare normalmente davanti a tanta bellezza, giusto? Mi schiarii la voce, prima di parlare.
"Salve... io... lavoro qui. Lei deve essere... il capo... immagino, giusto?" Mi sarei volentieri sotterrata, non ero riuscita a dire una sola parola senza guardarlo negli occhi, e quella era la regola numero uno: guardare negli occhi il tuo interlocutore o chi ti stava parlando. Lo sentii ridacchiare, divertito dal mio imbarazzo. Alzai gli occhi per controllare la situazione. Si era alzato, poche parole anche per il suo fisico:decisamente più alto e in forma di Seth, che nel negozio era il più richiesto tra le ragazze. Mi superava con la bellezza di venti centimetri.
Non era più serio, era diventato, forse, meno rigido verso una sconoscita che non sapeva nemmeno presentarsi decentemente.
Il suo sguardo si era fatto più... morbido, mi carezzava con gli occhi, mentre continuava a fissarmi. Le gambe non avrebbero retto tanto a lungo, me lo sentivo.
"Tyron... Tyron!" Era sul punto di dirmi forse il cognome quando si interruppe, cambiando non solo tono di voce, ma anche il suo tipo di sguardo: era più spinto rispetto agli altri: desiderio! I suoi occhi esprimevano questo: desiderio.
Abbassai per l'ennesima volta gli occhi, non potevo continuare a fissarlo, non dopo ciò che avevo visto, anche se di una cosa ne ero certa: la promessa che avevo fatto a Margaret riguardo a Tyron, ovvero che lo avrei semplicemente ignorato, era saltata. Semplicemente non potevo più stare senza guardare quei due smeraldi, avrebbero illuminato di una luce più forte le mie giornate, non avrei saputo allontanarmene, neanche se mi avessero pagata.
Rialzai timidamente lo sguardo, dovevo vederlo: mi stava ancora fissando.
"Posso sapere qualche cosa in più su una mia nuova dipendente o devo tirartele fuori con le pinze, le informazioni?" Sorrisi, imbarazzata per non essermi premurata di farlo da sola. "Accomodati." Presi posto nella sedia davanti alla scrivania, mentre lui si sedeva dall'altra parte. 
" Ecco...Mi chiamo Charlene... ho 18 anni e... avevo bisogno di lavoro, quando mi sono imbattuta in Seth. E' stato lui a presentarmi a Margaret, che mi ha assunta, due settimane fa." Sperando che ciò che gli avevo detto bastasse, fini il mio dialogo, siccome non poteva essere considerata una descrizione. 
In precedenza avevo fatto una specie di corso serale per introdurmi al mondo del lavoro, qualcosa lo sapevo a riguardo, gli andava bene.
"Mhhh, a noi bastano delle ragazze belle, che sappiano fare il loro lavoro e servano i clienti come desiderano, senza che siano troppo o troppo poco. Da quel che vedo, sei adatta a questo lavoro, almeno dal punto estetico non mi lamento..." Aveva finito quelle parole mormorandole, come a voler rendere intimo quel pensiero. Non riuscii ad impedire alle mie guance di accendersi di un rosso ancora più rosso di prima.
"Beh, direi che è tutto, che dici? Io sono tornato oggi, però, mi raccomando: se vuoi sapere qualcosa o non ti è chiaro qualche aspetto di questo negozio, io sono qui. " Mi alzai, cercando di non cadere e fare una qualche figura irrimediabile, e gli porsi la mano. La strinse con gentilezza ma allo stesso tempo con forza. Mi sorrise, accompagnandomi alla porta. Guardai un'ultima volta i suoi occhi: si, ne ero sicura, non sarei più riuscita a vivere senza di loro sul mio corpo, nel mio cuore.
Perdonami Margaret, non aveva senso quella promessa, dimenticala...
 
Era l'inizio dei problemi, anche se non lo sapevo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ed ecco il nuovo capitolo, qui si scopre un pò del passato di Charlene, e della sua vicina di casa e amica.
Le cose sono andate bene fino ad un certo punto, la giornata del suo compleanno era iniziata bene, per poi trasformarsi completamente, rovinata dall'arpia che era sua zia, che odio >.<
Spero interesserà a qualcuno questo capitolo, magari dicendomi anche  cosa ne pensate. 
Ringrazio _Lilac_ per aver inserito questa storia tra le seguite XD
A presto, se proseguirete con la lettura :D
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


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CAPITOLO 3
 
 
 
 
 
 
La cosa più preziosa al mondo sono i bambini.
Sono piccoli, teneri e dolci, hanno bisogno di protezione, d'amore, d'affetto, sempre!
Qualsiasi cosa succeda, i genitori devono farli sentire protetti. Qualsiasi cosa succeda, hai capito? Hai capito?
Perchè da quello che è successo, mi è sembrato proprio di no.
Se fossi qui, davanti a me adesso, forse ti prenderei a sberle, forse ti prenderei a calci. Si, lo farei veramente, anche se sei una donna.
Io le donne le ho sempre rispettate, guarda come mi hai ripagato...
...Stronza...
 
 
Era già passata una settimana dall'arrivo di Tyron in negozio, e il cambiamento si notava: il coro delle oche giulive non appena lui spuntava fuori dall'ufficio ne era la dimostrazione.
E non passava una sola volta che, incrociandomi, mi mandava delle strane occhiate, accompagnate dal suo bellissimo e alquanto strano sorriso. Le prime volte forse, ci avevo fatto poco caso, mi guardava di continuo con una strana luce negli occhi, e non lo nascondeva. E tutte le volte che, erroneamente, incrociavo i suoi smeraldi, mi voltato accaldata e imbarazzata, non sapendo cosa fare o come reagire.
Era una cosa totalmente nuova per me.
Quel giorno ero stata mandata da Margareth a prendere alcuni capi dal magazzino, quando passando davanti all'ufficio avevo sentito alcune voci. Ovviamente la curiosità aveva avuto la meglio sulla ragione, e mi misi ad ascoltare.
"Ti prego, non farlo." Sembrava quasi rivolta a me quella preghiera detta da Seth, non dovevo stare ad origliare una conversazione privata; se Seth o Tyron fossero venuti a scoprirlo avrei dovuto dire addio a quel lavoro.
Però era strano che stessero discutendo, non potevo sapere di cosa, da quanto ne sapevo erano grandi amici. 
"Cazzo, ha 18 anni!" Sussultai nel sentire la voce alta di Seth accompagnata da qualcosa che sbatteva, forse aveva colpito la sedia, o qualcosa che era comunque caduto per terra per il casino che aveva fatto. 
Solo dopo mi accorsi che ero l'unica ad avere quell'età tra tutti i miei colleghi, e che quindi stavano parlando di me. Mi avvicinai di più alla porta, giusto in tempo per sentire la risata di Tyron, una risata piena di cattiveria, come se stesse deridendo il suo amico.
"Seth, ti voglio bene perchè sei mio amico e mi conosci. Giusto?" Forse era solo una mia impressione, ma mi era sembrato di sentire una strana nota ironica nel suo tono di voce, come se si sforzasse a dirle quelle parole, o peggio, non le pensasse.
"Si, mi sembra ovvio." Fu la risposta che ricevette, detta con uno strano tono arrendevole.
"Bene, ora se non ti dispiace, io ho del lavoro da sbrigare e tu anche, quindi, ci vediamo dopo." Feci giusto in tempo ad allontanarmi dalla porta che mi ritrovai Seth davanti agli occhi, con un diavolo per capello, mentre borbottava parole senza senso. Si riprese dai suoi pensieri non appena mi schiarii la voce, meravigliandosi di trovarmi li. Agitandosi anche.
"Che ci fai qui, cucci?" Cucci era l'abbreviativo di cucciola, datomi per la mia età appunto da Seth. Cercai di mostrarmi indifferente a tutto, senza tradire la curiosità che mi stava corrodendo per sapere per quale motivo stessero parlando di me, ma mi trattenni.
"Stavo portando questi a Margareth." Gli risposi mostrandogli i pacchi che avevo in mano, cercando di nascondere il rossore che si stava impadronendo del mio viso e mordendomi a sangue la lingua per non fare domande e far saltare così il mio teatrino. 
Gli sorrisi, prima di superarlo e scendere, mostrandogli la lingua come una bambina che fa un dispetto, per poi sparire oltre le scale, ridendo per la mia scenata infantile.
 
Per il resto della giornata ignorai la discussione avvenuta in ufficio, arrivando alla fine del turno che quasi me ne dimenticai.
Come al solito dopo la chiusura, ci ritrovammo tutti insieme a chiaccherare del più e del meno, con la variante che era presente anche lui, per la prima volta.
Cercai in tutti i modi di ignorare la sua figura, ma sentivo i suoi occhi addosso, e con grande sforzo tenni i miei puntati sulle mie scarpe. Stretta a Margareth, provai ad impegnare la mente nel suo discorso verso le rifatte insieme ad Effy, piuttosto che ad un omone palestrato vicino a me.
Ci incamminammo verso una gelateria ancora aperta, essendo primavera e si moriva dal caldo, e ci accomodammo tutti nei tavolini in piazza, aspettando i nostri ordini.
Stavo cercando qualcosa con cui distrarmi, per non pensare al fatto che ad una sedia di distanza ci fosse lui, bellamente stravaccato, ignaro - o forse no! - che tutte le persone del sesso femminile si voltassero a guardarlo e mangiarlo con gli occhi mentre lui era impegnato nel contemplare il via vai dei giovani e dei ragazzini che correvano urlando felici per la piazzetta, ignorando i richiami degli adulti o degli anziani che brandevano i loro bastoni da passeggio come minaccia.
Si stava una meraviglia, tutto urlava la parola pace e tranquillità, le parole degli altri facevano da sottofondo, nessuno faceva niente se non godersi gli ultimi raggi di sole sul viso e una buona chiaccherata.
"Parlami di te." Rimasi spiazzata dalla domanda di Tyron, soprattutto per il gelo che si era creato intorno a me, le voci degli altri che fino a quel momento avevano animato il gruppo, si erano improvvisamente zittite. Non una parola, chissà se respiravano!
"Mi chiamo..." Cercai di parlare, ma di nuovo la sua voce mi riprese, interrompendomi.
"Quando parli, guarda in facci il tuo interlocutore!" Mi sorpresi non poco di sentirlo arrabbiato, alzai titubante la testa, per incontrare il suo sorriso soddisfatto.
"E non voglio sapere come ti chiami, Lin, ma qualcosa sulla tua vita, rendici partecipi." Lin...
Presi a mordicchiarmi l'interno della guancia in cerca di qualcosa da raccontare, sperando in un'illuminazione o qualche bugia creata così, su due piedi.
Non sapevo bene che dire della mia vita privata, c'erano fin troppe cose da dire ma il coraggio, quello scarseggiava. E non potevo sicuramente rivelare tante cose a persone di cui a malapena conoscevo il nome.
"Neanche io conosco voi, potremmo dire qualcosa ciascuno, così da conoscerci meglio, che dici?" Chiesi imbarazzata e timorosa per un suo rifiuto.
Lo guardai, meravigliata, era di una bellezza sconvolgente, ma ciò che mi faceva battere di più il cuore - si, quello batteva non appena lo vedevo - erano i suoi occhi, mi mandavano una strana sensazione. In fondo a quella pozza, c'era tanta tristezza. La maggior parte delle volte era serio, quasi mai si concedeva all'allegria, lui era l'opposto di Seth.
Mi sorrise prima di rispondermi affermativamente.
"Seth comincia tu" Decise.
Mi voltai verso Seth per vederlo mentre parlava, accorgendomi di nuovo che sembrava un vero bambino: faceva finta di piangere, dalla disperazione di essere stato scelto per primo. Mi alzai, quasi senza accorgermene, e lo abbracciai da dietro, lasciandogli un bacio sui capelli biondi. 
Mi soprese - e soprese anche se stesso dalla faccia imbarazzata che assunse subito dopo - trascinandomi sulle sue ginocchia, dove mi sedetti un pò a disagio, una svolta simile non me l'aspettavo. Ora Tyron era davanti a me. Non volevo stare li, non davanti a lui sulle gambe di un'altro. Non mi andava, mi sembrava quasi di tradirlo in qualche modo, mentre tra noi ancora non c'era niente, se non un legame - ancora freddo - puramente lavorativo.
"Ok, parliamo un pò di noi..." Seth era imbarazzato del gesto compiuto, la mano che aveva appoggiato sul mio fianco per trattenermi dal cadere non stava ferma, non sapendo dove posarsi o come muoversi; si grattò la nuca, in forte difficoltà.
"Va bene, dico quello che mi passa per la testa, fatevelo bastare, ok?" Alla fine era esploso, rivolgendomi un'occhiata ammonitrice, anche se si notava che era scherzosa e per niente seria, perchè lo avevo cacciato in un casino che non doveva piacergli poi molto; magari anche lui odiava parlare della sua vita privata.
"Come mi chiamo già lo sapete, quanti anni ho anche, per la precisione 29 anni e tre mesi, sono felicemente single, " Giunto a quel punto mi fece un occhiolino, talmente sensuale il suo gesto che mi sentii andare a fuoco per l'intensità del suo sguardo! 
"Ho due genitori adorabili, una sorellina più piccola che amo, un sacco di amici a cui voglio un bene dell'anima, una ragazza che mi fa sorridere solo a vederla per l'intensità dei suoi occhi, un amico... un vero fratello, oserei dire. Non ho vissute delle esperienze eccitanti, non ho provato... dolore, parlo del vero dolore." 
Si fece improvvisamente serio arrivato a qull'argomento, spinoso ma che, a detta sua, non aveva vissuto. A cosa fu dovuto il suo cambio d'umore non lo sapevo, così come non capì minimamente lo scambio di sguardi tra tutti loro, compreso Tyron, che non era affatto contento della sua uscita. Infatti gli bastò poco per esplodere.
"Che cazzo vorresti dire, sentiamo! Che ti senti in colpa perchè non hai provato dolore!?" Non era solo arrabbiato, era letteralmente furioso. Tanto che si alzò dal tavolino attirando l'attenzione di tutti. Seth, con le sue parole, doveva in qualche modo averlo ferito, perchè mai avevo visto degli occhi così pieni di sentimento, d'amore e rabbia, come vidi quelli di Tyron in quel momento. Rabbia verso Seth, amore verso un qualcosa o - peggio - qualcuno. Non volevo pensare che aveva qualcuno che gli faceva battere il cuore, non potevo sopportare tanto, ne tanto meno poteva riuscirci il mio, di cuore. Quello stupido organo che aveva iniziato a battere come impazzito non appena Tyron si voltò per andarsene via, non prima di averci regalato un triste sorriso pieno di delusione. 
Quello stupido organo, che dotato di vita propria, aveva obbligato le mie gambe a seguirlo, rincorrerlo, per non lasciarlo da solo con i suoi pensieri.
Ignorai i richiami di Marg per raggiungere Tyron, che non si era minimamente accorto della mia presenza dietro alle sue spalle. Ripresi fiato dopo la breve corsa, affiancandomi a lui per fargli vedere che non era solo. Mi rivolse una breve occhiata curiosa, poi tornò a guardare dritto davanti a se.
Camminammo per un quarto d'ora senza proferire parola, lui indifferente a tutto, io curiosa di sapere per quale motivo aveva reagito in quel modo. Immaginai che doveva avere a che fare con il suo passato.
Decisi di starmene zitta - l'avrei solo infastidito con le mie domande dopo aver visto la sua reazione poco prima - quando mi sorprese iniziando a parlare.
"Scusa per prima, ma non ci ho più visto dalla rabbia. Secondo te è possibile sentirsi in colpa perchè non si ha provato dolore?" Si voltò per guardarmi, poi mi indicò una panchina non molto lontana dove prendemmo posto, lontani tra noi.
"Non ci si deve sentire in colpa assolutamente, non è bello provare un qualsiasi tipo di dolore." Gli risposi, e sapevo quello che dicevo.
"Però... forse Seth non intendeva dire di sentirsi in colpa per non averlo mai provato, secondo me lo diceva per..." La sua risata amara mi bloccò, non sapendo cosa dire ne come reagire.
"No, Seth si sente veramente in colpa, non è la prima volta che si comporta così."Lo fissai allibita, senza riuscire ad articolare una sola parola. Com'era possibile sentirsi in colpa per una cosa simile? Non provai più a ribattere, d'altronde lui lo conosceva da molto più tempo di me, sapeva quello che diceva. Restammo in silenzio, io a torturarmi le mani e lui a guardare il cielo, mentre lentamente si tingeva di blu.
Non volevo andare a casa, eppure non trovavo il coraggio di chiedergli della sua vita, di parlarmi di qualsiasi cosa, non ne trovai la forza. E come al solito, ci pensò lui, con una domanda che mi bloccò il respiro.
"Abiti con i tuoi?" 
Presi aria, balbettando cose senza senso, prima di riuscire a rispondergli, a voce talmente bassa che pensai non mi avrebbe sentita: "No, abito da sola." 
Quale di quelle semplici parole mi aveva ferita, non lo sapevo, e non riuscivo a spiegarmi il motivo delle lacrime che premevano per uscire dai miei occhi. Li sbattei più volte, cacciandole via, sistemandomi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Il semplice ricordarmi i miei genitori mi aveva fatta star male, volevo poter dire qualcosa sul loro conto, se solo li avessi conosciuti. Potevo mentire e dirgli che abitavamo insieme, ma non potevo mentire al mio cuore. L'amore dei genitori verso i figli, quello di cui avevo spesso sentito parlare nei libri e nei film, io non l'avevo mai provato. Mi sarebbe piaciuto, tanto.
"E... e tu? Abiti da solo?" 
"No, abito con mia sorella più piccola." Accompagnò quelle parole con un tenero sorriso, a quanto pare, parlare di lei lo rendeva più felice, e sorrise ancora, prima di iniziare raccontarmi.  
"E' più piccola di te di un anno, è un vero tesoro e le voglio un bene dell'anima. Cerca in tutti i modi di attirare la mia attenzione per mostrarmi di essere ormai adulta, pronta per la vita e tutto, ma non sa che a 17 anni è praticamente impossibile realizzare ciò che lei vuole." 
"E cosa vuole?" 
"Sposarsi, mettere su famiglia, avere decine di bambini... I figli sono la cosa più preziosa per una donna, e per un uomo ovviamente, ma lei non ha ancora capito quanto sia difficile tutto questo." 
"Ovvio che non l'ha ancora capito, è ancora giovane, ne ha di tempo e strada da fare!"   
"Beh, questo è poco ma sicuro!" Seguì una risata piena di vita, una risata che mi entrò dentro, per restarci, nel mio cuore.
"Posso conoscerla?" Il suo volto, che si era ormai rilassato dopo la sfuriata con Seth, tornò ad essere una statua di marmo, rigido.
"No... non puoi conoscerla." Anche il suo tono di voce abbandonò le tonalità calde per rivolgermi parole dette con freddezza. Ma che gli era preso?
"E perchè?" Suonai lamentosa anche alle mie orecchie, sembravo una bambina e me ne pentii subito dopo, grazie anche all'occhiata raggelante che mi rivolse.
"E' strana... non ti piacerebbe conoscerla, fidati." Stava mentendo, potevo capirlo dal suo sguardo, guardava tutto tranne me, agitato.
"Meglio, non credi? Le persone normali non sono poi così divertenti; e poi siamo coetanee." Addolcii il mio tono di voce, accarezzandogli leggermente la mano che sfregava contro la stoffa dei pantaloni. Senti un minimo cambiamento da parte sua, mosse la mano di poco, ma bastò comunque a far scattare la mia, prendendo a torturarmi i capelli, a disagio.
"No, tu sei più grande." Sorrisi, potevo essere considerata più grande per poco meno di un anno?
"E ti cacceresti solo nei casini, ti conviene starle lontano. Per favore!" Sospirai, se era quello che voleva, tanto meglio non conoscerla piuttosto che vederlo arrabbiato - o deluso - da me.
Gli diedi la mia parola.
"Lin, devi stare attenta alla linea."
Eh? Scoppiò in una fragorosa risata dopo aver visto la mia faccia, a dir poco sconvolta, in una muta domanda: Che cavolo significa??
"Tra qualche mese ci saranno i servizi fotografici, vedi di non aumentare di peso, e nemmeno di morire di fame siccome noi vogliamo le curve in una donna, e non gli spigoli."
"Su quello puoi stare tranquillo, non mangerò fino a diventare una mongolfiera, ne tanto meno farò lo sciopero della fame." 
Si unì alla mia risata, mentre i miei pensieri volavano a tutte le bontà che non potevo più mangiare per delle foto. Ne Marg ne tanto meno Seth avevano accennato a questa cosa, non era forse un mio diritto saperlo? Mi ripromisi di chiedere in futuro su questo evento e sul perchè non me ne avessero parlato
Guardando le stelle sopra la mia testa, scattai in piedi, notando l'ora che segnava le 22.20 sul mio cellulare. Avrei dovuto rincasare alle 21 come minimo.
"Accidenti, sono in ritardissimo!" Lucy non era pagata per restare a casa con Peter per tutto quel tempo.
"In ritardo per cosa? Non abiti da sola?" Mi domandò alzando un sopracciglio?
"Beh si, abito da sola... ma devo assolutamente fare una cosa, non posso restare!" 
"Allora ti accompagno."
Gli sorrisi, era così gentile da non volermi lasciare andare da sola a casa. Ringraziai poi il buio, perchè così non avrebbe notato il rossore che si era impossessato delle mie gote, non appena sentita la sua offerta di riaccompagnarmi.
Camminammo vicini, tanto che le nostre braccia si sfiorarono, senza parlare. Avevo capito che a lui non piaceva parlare di cose frivole, dovevano essere discorsi quanto meno seri.
Mi fermai non appena arrivai davanti alla casa di Elisa, evitando accuratamente di guardare la casa dall'altra parte della strada. 
"Io abito qui, grazie del passaggio!" 
L'imbarazzo aveva preso posto in tutto, dalla mia voce ai miei modi di fare, portandomi a  guardare maniacalmente la punta delle mie scarpe.
Ero talmente impegnata a fissarle che non feci caso al fatto che si era avvicinato talmente tanto da sentire il suo respiro sul mio viso, finchè non mi riscossi al contatto delle sue calde labbra sulla pelle della mia guancia. Avvampai, non mi aspettavo di ricevere un bacio
Sulla guancia, ma sempre di un bacio si trattava.
Se prima provavo imbarazzo, a quel punto mi sarei volentieri sotterrata dalla vergogna. Era un semplice bacetto, ma avevo sentito le sue labbra sostare più del dovuto contro la mia pelle, che bruciava.
La mia pelle bruciava o era la sua?
Non m'importava, sapevo solo che quel piccolo contatto mi aveva conquistata oltre ogni limite, lo volevo ancora.
Sentii il suo respiro caldo sul viso mentre rideva, forse notando il colorito che si era impossessato di me, e allontanandosi definitivamente, lasciando il posto al freddo e al vuoto, dopo che non mi sentii più circondata dal suo corpo. Lo volevo ancora...
Spaventata dai miei pensieri poco consoni verso il mio capo, mi voltai per rientrare a casa, non prima di avergli rivolto un flebile ''Grazie"
Non mi voltai per vedere se era ancora lì, aprii la porta e mi catapultai in salotto, posando la mano sul mio cuore.
Respirai a fondo, riprendendo il mio normale colorito, mentre dal mio petto il rumore assordante del cuore che scalpitava, arrivava alle orecchie.
Appoggiai la borsa nel mobiletto dell'ingresso, prima di andare di sopra.
Peter, per la prima volta da quando avevo iniziato a lavorare, stava già dormendo. Ero delusa, volevo giocare un pochino con lui prima di andare a letto, come tutti i giorni, però per colpa mia ero arrivata tardi. Sospirai, l'unico momento della giornata che potevamo passare insieme l'avevo rovinato. Chissà come si era sentito.
"Bentornata, come mai in ritardo?" Lucy mi accolse così nella stanza, parlando sottovoce per non svegliare mio figlio. Le feci il gesto di seguirmi, mentre tornavo nel salotto per poter parlare tranquillamente.
"Grazie, non mi ero accorta che fosse così tardi. Sono uscita con i ragazzi." 
Le sorrisi, lei sapeva fin troppo di lui. Non passava giorno quando, tornata dal lavoro, le raccontassi della sua bellezza, della sua serietà, di come trattava i clienti e dell'effetto che faceva sulle donne. Volevo raccontarle di quel misero bacetto, renderla partecipe della mia euforia.
"Sono rimasta a parlare con lui, e... mi ha baciata!" Spalancò gli occhi dalla sorpresa, prima di alzarsi e venire a sedersi vicino a me, chiedendomi, curiosa, i dettagli. Risi di gusto, ripensando alla mia scena da pesce lesso, vergognandomi di essere rimasta ferma senza regire, o continuare ciò che lui aveva iniziato.
"Ma quali dettagli, era un bacio sulla guancia!" Mi coprii gli occhi con le mani, tirando indietro i capelli, arrossendo di nuovo al solo pensiero del suo tocco. Ero una ragazza alle prime armi, quindi non mi vergognai a mostrarmi imbarazzata davanti a lei.
"E allora? Si comincia sempre con un bacio sulla guancia, poi sulle labbra e così via..." Mi tirò una gomitata, rimproverandomi scherzosamente.
"Mio fratello lo dice sempre, e ha ragione." 
"Non sei figlia unica?" In quelle due settimane non mi aveva mai parlato della sua famiglia, ne io le avevo chiesto niente; in contro, io non le avevo detto niente della mia.
"No, ho un fratello più grande. Sono fiera di essere sua sorella, anche se a volte mi chiedo per quale motivo proprio lui deve essere un figo da far paura..." Tossicchiò, forse pentendosi delle parole dette.
"Non capire male, mi chiedo perchè non sono come lui." Mise su un adorabile broncio, per cui mi ritrovai ad accarezzarle i capelli. Lucy era una bella ragazza, più bassa rispetto a me, occhi verdi contro i miei castani, stessi capelli scuri, i suoi con dei riflessi rossicci. Era bella, ma non se ne rendeva conto.
"Guarda che sei una bellissima ragazza, perchè pensi queste cose?" Le chiesi, sinceramente curiosa. Fece una buffa smorfia, e come a dire che non c'era bisogno di parole, mi indicò il suo corpo. Sbuffai alzando gli occhi al cielo.
"Potrò mai conoscere tuo fratello, così da dirti che anche tu sei bellissima?"
Mi rivolse una breve occhiata scrutatrice, prendendo a mordicchiarsi un unghia.
"No... non puoi conoscerlo." 
"Perchè, sentiamo!" 
"E' strano... non ti piacerebbe conoscerlo, fidati." 
"L'ho già detto, però preferisco l'anormalità." Le feci un occhiolino, ridacchiando per il suo colorito stranamente pallido.
"E ti cacceresti solo nei casini, ti conviene stargli lontano. Per favore!" 
Mi arresi, alzando le mani in segno di sconfitta, ridacchiando poi per averla sentita sospirare sollevata.
"Ora devo proprio andare." Mi fece notare l'orario, era rimasta anche fin troppo tempo oltre il dovuto.
"Certo, però... non mi fido a lasciarti andare da sola a quest'ora." Si era fatto troppo tardi, e il mio lato protettivo era tornato a farsi sentire. 
"Tranquilla, chiamo mio fratello, sarà qui a momenti." Mi sorrise, cercando di tranquillizzarmi, dopo di chè, tornò dentro per chiamare il fratello. la chiamata durò pochi secondi, giusto il tempo per dargli indicazioni sul luogo.
"Io vado ad aspettarlo all'incrocio, gli risparmio un po di strada." a nulla valsero le mie proteste, dopo aver preso la sua roba e avermi salutato, se ne andò.
 
Prima di andare a letto, passai a prendere Peter dalla sua cameretta, cercando di non svegliarlo, per poi adagiarlo cautamente nel lettone vicino a me.
Era bellissimo, mentre lo stringevo tra le mie braccia, e sentivo le sue manine premere leggermente contro il mio petto, chiudendo i pugni sul mio pigiama. Coprii entrambi con un lenzuolo, prima di spegnere la luce e accarezzare, baciare, coccolare Peter.
Prima di addormentarmi, riuscii a pensare a Lucy, a quella straordinaria ragazza che si prendeva cura di mio figlio.
Era simpatica, più volte l'avevo trovata mentre disegnava, sporcava, urlava e giocava con Peter, e mai si era lamentata.
Di lei mi era subito piaciuta la riservatezza. La sua; e non faceva mai domande, riguardo alla mia.
Al mercato - quando capitava - o anche dal medico, tutte le volte che qualche signora vedeva Peter, si sentiva in dovere di chiedermi di quel bellissimo bambino, ma soprattutto, di farmi una domanda che aveva la forza di rigettarmi nel mio passato.
Una domana strana, dolorosa, piena di brutti ricordi.
Una domanda che Lucy non mi aveva mai rivolto, aveva capito che non erano cose di cui impicciarsi.
Chi è il padre di questo bel bambino?
Una domanda. Serviva giusto una risposta per mettere a tacere tutte quelle donne.
Una risposta facile, forse.
Già!
Peccato che me la facevo spesso anch'io!
Chi è il padre di Peter...?
 
 
 
 
 
 
 
Ecco il terzo capitolo xD
Spero piaccia a qualcuno, anche perchè si iniziano a capire un paio di cosette... spero XD
Una cosa che forse non importerà a nessuno, ma ci tenevo a dirla. Il negozio da cui ho preso spunto è l' AberCrombie, Con la piccola variante che non severa con i miei personaggi come lo sono nella realtà con i veri modelli... uno è stato licenziato perchè sorpreso a mangiare un cornetto durante la settimana dei servizi fotografici :( è un modello, inutile dire quindi che è bellissimo. Va beh, questo non c'entra, ma era per far capire che non scriverò sempre cose attendibili :p
Ringrazio yuukicross e _Lilac_ per aver commentato gli scorsi capitoli, grazie veramente <3
Se notate egli orrori in mezzo al testo, fatemelo sapere, così da poter migliorare.
A presto =)
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


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CAPITOLO 4




Belle è stata la cosa più speciale che tu mi abbia regalato.
Certo, considerarla un regalo è un pò esagerato, ma l'ho sempre pensata così.
Poi, tutto è andato storto, per colpa di chi non lo so, forse tua. Si, molto probabile, perchè sei stata tu a cominciare, tu!
Io non ho fatto niente... o almeno è quello che mi dicono sempre.
"Non è stata colpa tua, Tyron. Non devi farti di questi problemi." E cerco di auto convincermi che hanno ragione loro, le persone che mi sono sempre rimaste accanto, a differenza tua.
A distanza di tre anni, la notte vedo ancora la sua figura mentre dorme tra le mie braccia, tranquilla, dolce, bellissima.
Per colpa tua tutto questo non c'è più!


*****

"Stai calma Charlene, è solo un incubo."
Già, un incubo che però ho vissuto realmente.
"No, non pensare a quello..."
NON HO VOGLIA DI RIVIVERLO!!! Urlai con tutto il fiato che avevo. Mia madre cercava, inutilmente, di tranquillizzarmi, ma non poteva veramente farlo...
"No, tesoro, stai calma, questo è solo un incubo. E... tu non sei scappata di casa perchè rischiavi di prenderle da quei mostri..."
Tu non mi avresti cacciata via di casa, vero mamma? Sembrava una preghiera la mia domanda, volevo accertarmi che mia madre non mi avrebbe fatto niente, se solo ci fosse stata.
"No, mai!"
"...E no, tu non ti sei persa per poi capitare in un vicolo cieco."

Non sei sicura di quello che dici! Le urlai contro, in mezzo alle lacrime.
"No, so quello che dico."
E allora? Quelli non sono forse dei malintenzionati? Sicuramente non sono persone amichevoli! Tremavo all'idea di quello che mi sarebbe successo di li a poco.
"Con calma, girati e tornatene a casa, ignora quei due."
Cercai di fare come mi diceva, ma appena voltai la testa per girarmi dall'altra parte, mi trovai bloccata tra quattro corpi.
"Mamma!!"
Purtroppo, quell'urlo non uscì mai dalla mia bocca...

*****

Mi svegliai di soprassalto, causato dall'incubo e da una mano che mi schiaffegiava la faccia.
Mi sfregai gli occhi, cacciando via le lacrime che si erano formate dietro le palpebre, per poi vedere una piccola manina che tornava all'attacco verso il mio viso.
"Amore, che fai? Picchi la mamma?" Ritrovai subito il sorriso grazie a Peter, mentre appoggiato al mio petto cercava di svegliarmi a suon di schiaffetti. E rideva lui, come se si stesse divertendo!
"Cos'è vuoi la guerra?" Gli chiesi sorridendo, prima di alzarmi a prenderlo per le gambette e mettermelo sulle spalle, mentre lui si sbracciava per potersi allungare verso il mio collo. Eh no, non l'avrei perdonato facilmente.
Anche se mi aveva svegliata da un incubo, non l'avrebbe passata liscia!
E rideva, la risata più bella e dolce che avessi mai sentito, mentre i dentini ancora non avevano deciso di spuntare.
Vederlo così, sdentato, mentre rideva e batteva le manine alla cieca, mi faceva sempre battere il cuore forte dall'emozione, sapere che ero stata io a far nascere quel piccolo curvarsi di labbra in alto, mi faceva sentire in pace, con me stessa soprattutto.
Era la mia felicità, avevo sofferto molto per averlo; però averlo vicino a me era la gioia più grande, soltanto guardarlo mi faceva in qualche modo dimenticare del mio passato.
Mi bastava che lui mi guardasse, per ringraziare il cielo di quel piccolo angelo che mi riempiva le giornate con tanto amore.
Lui era tutta la mia vita, senza, non valeva la pena vivere.
Come al solito, scoppiò di felicità non appena mi vide aprire l'acqua per riempire la vasca da bagno, sapendo che lo avrei lasciato sguazzare in libertà.
Lo spogliai con calma, parlandogli del lavoro e delle nuove amicizie che si erano create all'interno del negozio, raccontandogli di come passavo le giornate mentre lui era insieme a Lucy.
Non mi capiva - come avrebbe potuto? - aveva solo 9 mesi, però mi piaceva lo stesso confidarmi con lui.
Mi spogliai anch'io per poi entrare dentro alla vasca, lasciando Peter in un'estremità, mentre io mi appoggiavo dall'altra parte ad osservarlo mentre batteva felice le manine nell'acqua, schiazzando ovunque, per poi guardarmi, con così tanto amore in quei piccoli occhietti celesti, che alle volte ho rischiato di strozzarlo per come lo abbracciavo. Ci mettevo troppo entusiasmo!
Lo guardai mentre osservava l'acqua, giocandoci, cercando di prenderla in mano, senza successo.
Come capitava spesso, mi persi a guardarlo, a registrare ogni sua più piccola sfumatura, che fosse una risata o una smorfia, per portarmela sempre nel cuore. Pensare a lui, quando tornava fuori il mio passato, era la cura migliore.
Quando l'acqua diventò ormai fresca, mi sciaquai per poi portare via Peter a forza in camera da letto; succedeva tutte le volte, ero arrivata a pensare che se avesse potuto avrebbe voluto vivere nell'acqua, sempre.
Mi tolsi l'accappatoio quando arrivai in camera da letto, guardando di sfuggita il mio corpo nello specchio dell'armadio.
Capelli castani scuri, occhi anch'essi castani, più chiari e con delle sfumature verdi; labbra a cuore, carnose: me le morsi per vedere l'effetto attraverso lo specchio: non male da vedere! Scesi verso le spalle, girandomi per vedermi di profilo: braccia snelle, dita affusolate e ben curate; seno florido, una quarta per la precisione, ventre piatto e gambe perfette e lunghe.
Mi piacevo, era raro.
Troppo spesso, anche se non avevo mai capito che era per invidia, mi era stato detto che non ero bella, unico motivo per cui ero rimasta madre di un bambino senza un padre.
Se solo avessero anche solo lontanamente immaginato cosa mi era successo, non avrebbero fiatato.
La mia attenzione fu richiamata dai versi strani di Peter che giocava, sdraiato e nudo, nel piccolo asciugamano dove lo avevo avvolto.
Mi avvicinai con una lentezza disarmante, cercando ancora una volta di imprimermi nella mente ogni suo più piccolo gesto.
Era concentrato a passare la mano su quella stoffa morbida, mentre si guardava attorno, curioso. Infatti non era mai riuscito a guardare solo un punto preciso, lui guardava, memorizzava, poi si voltava a sorridermi, facendomi scoppiare il cuore dalla gioia. Sempre, come se fosse la prima volta.
Smisi di guardarlo per andare a vestirmi, mentre gli parlavo ancora, raccontandogli tutto ciò che mi passava per la mente.
Mi vestii con un paio di jeans semplici, camicetta e tacchi, mentre i capelli li avevo tenuti in una coda alta. Mi truccai.
Cominciai a vestire anche Peter, che come tutte le volte aveva deciso di fare i capricci per rimanere solo con il pannolino.
Gli sorrisi vittoriosa subito dopo avergli infilato a forza la scarpetta, accompagnando il tutto con una linguaccia. E come se non bastasse, aveva messo su un adorabile broncio! Come facevo a non spupazzarlo tutto dalla contentezza? Infatti, non lo mollai per un attimo, se non per prepararmi ad uscire.
Mentre aspettavo l'arrivo di Lucy, infatti, mangiammo e giocammo insieme, per terra, sul letto, in cucina; lo coccolai, lo strapazzai per bene prima di andare al lavoro: come ogni settimana avevo il turno pomeridiano il sabato.
Al suo arrivo, Lucy per poco non mi cacciò da casa mia perchè non volevo staccarmi da mio figlio, mentre mi tranquillizzava sul fatto che lo avrebbe tenuto sveglio per me in caso di ritardo. L'occhiataccia che le rivolsi le fece capire che non doveva neanche pensarci.

Finalmente anche quella giornata infernale era giunta a termine, il sabato era il più sfiancante, c'erano clienti che arrivavano da tutto il paese, mentre nessuno ci aveva risparmiato le sfilate, anzi. Per sette ore costretta a stare sui tacchi a spillo era una tragedia per i miei poveri piedi, che urlarono libertà non mi appena mi sedetti e tolsi quei trampoli. Meno male.
"Stanca?"
"Chi io? No, assolutamente no!" Seth scoppiò a ridere di fronte alla mia ironia, aveva notato con quanta fatica reggessi quegli odiosi tacchi. Si mise a sedere anche lui vicino me sulle scale, mentre gli altri ci raggiunsero subito dopo.
"Ragazzi, volete uscire stasera?" Guardai con orrore Seth, sperando di aver capito male, cioè: lui non era stanco?
"Ma non sei stanco?" Come se mi avesse letto nel pensiero, Tyron formulò quella domanda.
"No, non sono stanco, voglio uscire e divertirmi, scaricare la stress di oggi in mezzo alla pista... tu ci vieni, cucci?"
Gli riservai la stessa occhiata che avrei rivolto ad un alieno se fosse sceso sulla terra, facendogli capire che non era assolutamente nei miei piani. Per fargli capire maggiormente, gli indicai i miei piedi.
"E allora?" Sbuffai, alzando gli occhi verso Tyron che se la rideva bellamente. Lo pregai con lo sguardo di aiutarmi.
"Seth, è stanca, vuoi costringerla con la forza ad andarci?" Accompagnò il tutto con una risata ironica. Si stava prendendo gioco di me, tanto che incrociai le braccia, offessa, mentre l'irritazione aumentava.
Sussultai, poi, sorpresa quando Seth mi prese - anche se sarebbe stato più giusto dire tirò poco gentilmente - i miei piedi sul suo grembo, facendomi voltare. Prese a massaggiarmi delicatamente i piedi, come se fosse un professionista
Iniziò a sbattere velocemente le palpebre, guardandomi, cercando di convincermi. Quella volta, però, gli occhi da cucciolo bastonato, non sortirono nessun effetto sulla sottosritta.
Con la stessa forza usata da lui, strappai i miei piedi dalle sue mani e li rimisi per terra, perchè se avesse continuato avrei finito con l'accettare.
"Se anche non fossi stata stanca, non ci sarei venuta lo stesso. Sono impegnata stasera." Come tutte le sere d'altronde.
Alzò un sopracciglio, scettico.
"Sei fidanzata, per caso?"
Quella domanda non mi era stata rivolta da Seth, anche perchè non sarei arrossita, ma da Tyron. Con difficoltà pronunciai un semplice 'no', senza neppure guardarlo.
Non ne sarei stata capace, quegli occhi mi attiravano troppo, e poi... mi tornava in mente il bacio della sera prima, e no, non dovevo pensarci assolutamente.
"Uffi, come siete noiosi. Ty, ci vieni tu?"
"Lo sai che odio le discoteche e tutto il casino che ne deriva, vero?"
"Si lo so, ci beviamo una birra..."
"Seth..." Quello era stato sibilato da Marg, ma non ne fui sicura, perchè Tyron sovrastò la sua voce, parlando con rabbia malamente trattenuta.
"Si certo, andiamo ad ubriacarci, eh? Vuoi ubriacarti, Seth?" Ringhiò nella nostra direzione, e anche se quelle parole erano piene di rabbia i suoi occhi celavano altro: paura.
"Ok, per me va bene! Andiamo ad ubriacarci e suicidiamoci, tanto che ci siamo! Vuoi portarmi al suicido!?" Mi portai una mano alla bocca non appena scaraventò per terra un espositore per intimo, alzandomi, cercando di capire che gli fosse preso, mentre un sussulto al cuore mi prese alla sprovvista non appena sentii quella parola: suicidio.
E batteva, tanto velocemente che pensai volesse uscirmi di petto, avevo notato l'agitazione di Tyron, da cosa derivasse non lo sapevo.
"Mi faresti solo un favore, cazzo!" Era il flebile ringhio di un animale ferito il suo, come lo era lui in quel momento: ferito, deluso, arrabbiato.
Mi sorpresi di vedere Marg avvicinarsi velocemente a lui e stringerlo forte tra le sue braccia, mentre gli riservava parole che solo loro potevano sentire e capire.
Si sedette per terra, sempre tra le braccia di lei, mentre anche le sue mani correvano a stringere forte la sua maglia, aggrappandovisi come se fosse l'ultimo appiglio rimastogli.
Vedere quella scena, loro due che si abbracciavano, non era confortante per il mio povero cuore; voltai gli occhi, imbarazzata e ferita, in direzioni degli altri ragazzi che facevano finta di nulla, chi cercava qualche maglia piegata male per occuparsene, chi semplicemente si guardava attorno imbarazzato. Seth, che immaginai avesse tutte le colpe della sfuriata di Tyron, era rattristato, i suoi occhi erano spenti dall'allegria di sempre, sembrava in procinto di inginocchiarsi e chiedere perdono... ma che aveva detto di male, poi?
Uno spostamento d'aria mi fece voltare giusto in tempo per vedere Tyron salire velocemente le scale per raggiungere l'ufficio e senza pensarci, mi ritrovai a seguirlo. Di nuovo.
Giunta davanti alla porta, la scostai lentamente.
Sbirciai dentro, e lo vidi seduto mentre in mano teneva una piccola fotografia che guardava con amore.
Una foto.
Piccola, di quelle che si portano nel portafogli, e che non mi era permesso vederne il soggetto data la distanza.
Non appena si accorse della mia presenza, la nascose.
Non si voltò a guardarmi, ma si girò verso il muro per guardare la foto della bambina, quella tenera bimba con il viso sporco di Nutella.
La fissai anch'io, provando tanta tenerezza e affetto per quel volto sconosciuto, accorgendomi tardi che aveva degli occhi verdi capaci di ipnotizzarti. Forse a lui facevano lo stesso effetto.
Se lo avevo seguito in ufficio era perchè volevo parlargli, cercai quindi la forza e la voce per cominciare.
"Anch'io odio le discoteche." Si girò di poco a scrutarmi in viso dopo avermi sentita parlare, per poi tornare alla sua precedente occupazione.
"E anch'io odio gli alcolici." Un lieve sorriso prese forma sul suo viso teso, mentre abbandonava la visione di quell'angelo dagli occhi verdi per dedicarsi a me.
Tornò a guardarmi come le prime volte, mangiando il mio corpo con gli occhi, mentre un brivido di piacere percorreva la mia schiena alla visione dei suoi occhi pieni di desiderio.
Avvampai come al solito, ma non mi preoccupai tanto di quello, ma delle parole che mi disse subito dopo - anche se sarebbe stato più giusto chiamarle coltellate in pieno petto dall'effetto che mi fecero - piene di pentimento.
Nessuna emozione, niente. Solo quelle parole che mi bloccarono il respiro.
"Ho tentato di suicidarmi."






NOTE FINALI:
Ed ecco il quarto capitolo xD
Ci state capendo qualcosa? Spero vivamente di si, anche se potete sempre chiedere, nel caso vi fosse sfuggito qualche passaggio.
Ho provato - male direi -.-" - a fare un immagine, ma non fateci caso XD non sono un'esperta in queste cose.
Ringrazio SmileYou per aver recensito l'ultimo capitolo, chi aggiunge alle seguite/preferite e chi legge soltanto, Grazie veramente =)
A presto per chi volesse leggere, e magari, recensire.
Baci :*








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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


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CAPITOLO 5
 
Perchè lo hai fatto, perchè?
Maledizione, io ti ho dato tutto!
E tu ti sei ripresa tutto ciò che mi avevi dato!
Però ora non ci sei più, non dovrei stare qui a mandarti a quel paese, perchè già ci sei...
Mi hai portato via la fiducia nei tuoi confronti; 
L'amore; 
La speranza;
Belle... l'unica cosa che non dovevi neanche permetterti di sfiorare, lei era la mia vita!
Stronza!
Assassina...
 
*****
 
Ho tentato il suicidio.
Quelle parole restarono sospese tra noi, mentre il mio cuore aveva cessato di correre. Lo guardavo confusa, delusa e arrabbiata. Si, arrabbiata con me stessa. Per quanto dolore io avessi provato, non mi era mai saltato per la mente di suicidarmi, avevo pensato egoisticamente che nessuno poteva mai avere provato una cosa simile alle torture che avevo dovuto subire io, nessuno.
E invece Tyron aveva vissuto qualcosa, qualcosa di tanto forte da portarlo a voler compiere un gesto tanto estremo.
Avevo paura di sapere per quale motivo lui avesse preso in considerazione di porre fine alla sua vita, ne avevo talmente paura, che mi voltai, pronta ad andarmene.
Per un soffio, un misero secondo di troppo, avevo immaginato me stessa in quella situazione. Confidarsi, parlare e mostrare le proprie paure ed essere snobbati, ignorati, non era bello, lo avevo provato sulla mia pelle.
Per questo ritornai sui miei passi, lo guardai mentre si torturava le mani tra di loro, mentre i suoi occhi cercavano qualcosa, un indizio forse, nel mio viso. 
Cercavano comprensione, aiuto; io lo stavo lasciando solo, e il senso di colpa improvvisamente pesava come un enorme macigno sul petto, mentre le mie gambe si mossero lente verso di lui, e come attirate da una calamita, mi ritrovai presto a guardarlo, a cercare di capire se potevo avvicinarmi ancora, o mi avrebbe cacciata via come aveva fatto con Marg.
Forse voleva essere consolato, oppure solo lasciarlo sfogarsi; ignorai quelle supposizioni e lo abbracciai. Lui d'impulso aprì le sue gambe per farmi spazio, mentre le sue braccia correvano a circondarmi i fianchi.
Mi abbassai verso il suo viso, per guardare meglio quegli smeraldi verdi, a leggere la disperazione che gli aveva fatto inumidire gli occhi, ma che per orgoglio non le avrebbe mai versate, quelle lacrime.
"Non dicevi sul serio?" Bisbigliai, avvicinandomi al suo orecchio.
"Io non ti ho detto niente." Rispose utilizzando lo stesso tono di voce usato da me, accompagnando il tutto con una tenera carezza sulla guancia.
Come avevo immaginato, si era già rimangiato tutto per l'orgoglio. Prima lanciava il sasso, facendomi prendere dei colpi al cuore, poi non appena si ritrovava davanti a delle domande spinose, ritirava la mano. Nonostante ciò, non volevo costringerlo a confidarsi con me se ancora non si sentiva pronto. 
Non mi staccai dal suo abbraccio, lo strinsi più forte passandogli la mano su quei bellissimi capelli scuri. Mi ero lasciata trascinare dalle emozioni e non mi resi conto che erano già parecchi minuti che eravamo l'una stretta all'altro, finchè non parlò di nuovo, con una strana intonazione nella voce.
"Tu non sai niente, ok? Se gli altri ti chiedono qualcosa, tu non sai niente!" 
Mancava qualcosa, perchè mi stava minacciando? Loro sapevano, dalle espressioni che assunsero le loro facce, perchè avrei dovuto mentire? Come sempre decisi di accontentarlo, annuendo con la testa.
Ascoltai il ritmo del suo cuore contro il mio petto, batteva regolare, non un battito veloce, niente. Evidentemente la mia vicinanza non gli faceva nessun' effetto, al contrario della sua su di me.
Decisi di allontanarmi, ero rimasta in quella posizione anche troppo e non sapevo quanto potevo comportarmi in modo così confidenziale con il capo, quando due dita mi presero il mento, avvicinandomi al suo viso.
Mi si bloccò il respiro, mentre sentivo il suo sulla mia faccia, gli occhi che ridevano al posto della bocca, forse per il colore porpora che assunse il mio viso per quella misera distanza.
Sorrise sghembo, mentre gli occhi continuavano a studiare la mia faccia; i miei, di occhi, erano stranamente fissi su quelle labbra piene, invitanti.
Sentivo il rombo del mio cuore nelle orecchie, se avesse parlato non l'avrei di certo sentito.
Chiusi involontariamente gli occhi, dandogli forse la possibilità di spingersi oltre il confine direttore-dipendente, finchè non sentii le mie labbra coperte dalle sue, in un tenero bacio a stampo. Vi sostò sopra più tempo del dovuto, incendiandomi.
Si allontanò, fissandomi mentre cercavo ancora di capire qualcosa, qualcosa che non fossero quelle deliziose labbra, per poi tornare di nuovo a lambire le mie labbra con le sue, lasciando da parte la dolcezza per spingersi oltre, mentre le sue mani scivolavano in alto, verso i miei capelli; ci passò dentro la mano, avvicinandomi ancora di più al suo viso, mentre la sua lingua cercava la mia, per iniziare a giocarci, rincorrersi e legarsi infinite volte, togliendomi il respiro.
 Presa da un impulso, posai le mani sul suo petto ben modellato, allontanandolo da me, guardandolo sconcertata.
"Tu..." Non trovai tempo per finire, la porta che si apriva dell'ufficio aveva fatto prendere un colpo a tutti e due.
Mi voltai accaldata e imbarazzata, maledicendo Marg e il suo tempismo, mentre sentii Tyron alle mie spalle sospirare frustrato. Non era l'unico.
"Tyron...  tutto bene?" La domanda giunse ovattata alle mie orecchie, mentre ancora cercavo una spiegazione a tutto.
Gli occhi indagatori della mia amica passarono da Tyron al mio viso, cercando di capire, sicuramente riuscendoci, cosa poteva essere successo tra noi.
Regolarizzai il respiro, impedendomi di fare qualsiasi cosa se non andarmene. Mi voltai un ultima volta verso Tyron: si passava distrattamente le mani tra i capelli in un gesto nervoso, ignorandomi. Non voltò minimamente lo sguardo nella mia direzione, anzi. Tornò a guardare, assorto, come se fosse in un'altro mondo, quella fotografia.
Mossi velocemente dei passi, fino a superare Marg e dirigermi verso le scale, evitando accuratamente di guardarla; tuttavia, non appena arrivai al piano inferiore, trovai Effy ad aspettarmi. 
Non avevamo mai parlato, quindi trovai strana la sua richiesta di conversare, ma nonostante ciò, la seguii fuori.
"Cosa c'è tra te e Tyron?"
"Niente."
"Cosa vi siete detti prima?"
"Niente." Il tremolio alla mia voce le fece capire che stavo mentendo.
"Ha utilizzato anche sta volta la scusa del suicidio?"
Per poco non mi strozzai con la saliva: scusa? Cosa voleva insinuare con quell'affermazione?
"Cosa vorrseti dire, scusa?" Domandai con troppa enfasi.
Mi squadrò dall'alto in basso, soffermandosi sul mio viso, prima di prendere un respiro e parlare.
"Beh, semplicemente quello che so; se lui ha utilizzato la scusa del suicidio allora ti conviene stargli alla larga, e sono sicurissima che lui l'abbia utilizzata. Lo conosco abbastanza per sapere quello che dico, e fidati, ci sono passata anch'io" Parlò come se stesse parlando del tempo, muovendo a tratti le mani con noncuranza, guardandosi le unghie; io invece ero allibita! Come poteva dire tutte quelle cattiverie? Contro Tyron per di più?
"Tu sei solo gelosa, di la verità!" Incrociai le braccia, assumendo una posa sicura, mentre lei continuava a squadrarsi le mani. Con semplicità, senza alzare la voce o mostrare un segno di nervosismo, mi rispose.
"No, semplicemente so quello che dico. Se non vuoi ritrovarti nei casini fino al collo tra qualche mese, stagli lontana già da adesso. E non potrei mai essere gelosa di qualcosa che non è tuo, giusto?" Restai senza parole di fronte alla sfacciataggine dell' ultima insinuazione. Aveva ragione, me ne resi conto, ma non poteva dirmelo così. Accompagnò quelle parole con un sorriso, che se fossi stata in un altro contesto, avrei definito quasi dolce, quello che una mamma rivolgeva al proprio figlio, quello che io rivolgevo al mio Peter.
Se ne andò via, accompagnata da Seth e gli altri, mentre io ancora cercavo di dare un senso a quel sorriso. Lei mi odiava! Non poteva rivolgermelo, o qualcosa le frullava nella testa, qualcosa di preoccupante.
Con ancora quei pensieri presi la mia roba e uscii dal negozio, diretta verso casa mia.
Presi un bel respiro prima di incamminarmi, pensando alla giornata appena passata, dalla stanchezza alla scoperta del tentativo di suicido, al bacio e alle insinuazioni di Effy.
L'indomani sarei stata a casa tutto il giorno, finalmente un giorno da dedicare al mio cucciolo senza preoccupazioni.
Mi ricordai anche che avevo un incontro con un'agente immobiliare il lunedi, dovevo prepare la roba che mi sarei dovuta portare dietro, quindi, avevo ancora bisogno di Lucy.
Mi ripromisi di chiamarla non appena sarei arrivata a casa.
Quando mi trovai nei pressi del mio quartiere, il mio sguardo cadde involontariamente sulla casa di fronte alla mia, e nuovi flashback, dolorosi, si impossessarono di me.
 
Non sentirai alcun dolore se stai ferma, hai capito?
Un brivido lungo la schiena...
Ora stai ferma e smettila di piangere, mi dai sui nervi, mocciosetta!
Le sue luride manacce sporche sul mio corpo...
Che hai da strillare, ti ho detto di tacere!
I suoi colpi, violentissimi...
Che c'è, non dirmi che sei svenuta per così poco!
La vista che mi abbandonava insieme alle forze e alla voce...
Svegliati, puttana!
Le lacrime, le uniche che mi avevano tenuto compagnia in quel periodo, stavano spingendo per tornare fuori.
"Hey"
Urlai, voltandomi di colpo, scossa da brividi di paura e terrore, nel sentire quella voce. Le lacrime, che mi ero ripromessa di non far cadere, avevano ormai raggiunto terra, mentre il mio cuore batteva all'impazzata dallo spavento.
Non volevo sapere niente, mi accasciai a terra, tenendomi la testa e singhiozzando, piangendo e disperandomi... non dovevo pensare a lui...
"Non volevo spaventarti." Una voce dolce, ma che avevo scambiato per quella di quel mostro, mi parlava, vicina al viso, cercando di tranquillizarmi.
Il mio corpo sussultava, i singhiozzi non avevano intenzione di lasciarmi sola, le lacrime anche, mentre i miei pensieri tornavano indietro di 8 anni, quando tutto era iniziato.
L'ultima cosa che ricordai furono due braccia forti che mi circondavano, calde, strette attorno alla mia vita, rassicuranti.
Poi il buio.




 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


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Capitolo 6

Odiavo sentire la casa immersa nel silenzio, mi faceva sentire dannatamente solo.
Eppure quel silenzio me l’ero cercato, lo sapevo ma non lo accettavo. Se solo mia sorella avesse deciso di fare casino come al solito...
Dal piano superiore sentì lo sbattere di una porta, poi di un’altra, finchè capì che erano le ante dell’armadio. Si, aveva deciso di farsi sentire. Sorrisi involontariamente.
Eppure, non appena scese, tornai con i nervi a fior di pelle.
Si era vestita abbandonando i pigiami che usava a casa, probabilmente stava uscendo, e questo mi fece preoccupare.
“Dove stai andando?” Non riuscii a nascondere il mio nervosismo nella voce, tant’è che si voltò a guardarmi con una strana espressione, forse sorpresa.
“Sto andando da una mia amica, passo la notte da lei.” Dolce, ingenua, quella risposta non mi convinse, e non avevo intenzione di nasconderglielo.
“E sentiamo, come si chiama questa tua amica? O... amico, forse?”
Sbuffò alzando contemporaneamente gli occhi al soffitto, parlandomi poi  come si parlebbe ad un bambino.
“Tesoro, vado a passare la notte da una mia amica, non un ragazzo. Ah, e ho quasi diciotto anni, quindi potrei fare qualsiasi cosa senza dovertene rendere conto. E poi, vorrei ancora capire che cos’hai contro di loro, anche tu lo sei!”
Mi portai le mani alla testa, massaggiandomi le tempie e pensando bene a quello che stavo per dirle.
“Io sono un ragazzo, e so perfettamente cosa loro vogliono. E io non voglio ritrovarmi mia sorella incinta da un giorno all’altro, ok? Perchè non voglio vederti con un bambino, perchè non sopporterei di vederti allattarlo o fargli qualsiasi cosa che un genitore fa ad un figlio, non voglio! Se non ti sta bene, non so che dirti, ma finchè sarò vivo sognati di avere un qualunque rapporto con loro, intesi!? Ah, e non avrai figli!!!”
Ero talmente arrabbiato che sbattei involontariamente la mano sul tavolino di vetro che stava davanti al divano su cui ero seduto, facendola sussultare dalla sorpresa.
Voltai lo sguardo lontano da mia sorella per dedicarmi alle foto che riempivano quel salotto, anche se non dovevo vederle! Ma tutto per non guardare un’altra volta i suoi occhi feriti, feriti e delusi dall’unico fratello che avesse mai avuto.
Con mia grande sorpresa non si alterò come in ogni altra sfuriata, nè uscì di casa offesa, ma sentii il calore del suo corpo circondarmi, mentre mi lasciava delle  tenere carezze sulla nuca. Sospirai.
“Fratellone?” Annui contro il suo petto, invitandola a parlare. Continuò, abbassandosi per guardarmi dritto negli occhi.
“Sono una ragazza, e come tutte le ragazze del mondo desidero mettere su famiglia, un giorno. Desidero avere un uomo che mi ama, dei figli da amare, una famiglia tutta mia. Purtroppo a volte la vita non va secondo i nostri piani, ci tocca subire e soffrire, ma ci sono anche momenti in cui senti di toccare il cielo con un dito. Io voglio vivere uno di quei momenti, anche se dovesse essere doloroso, almeno non avrò il rimpianto in futuro di non averlo fatto, di non averci provato. Tu hai provato, e ne sei uscito non scottato, ma bruciato! Sei mio fratello, ma queste cose te le devo dire: io voglio bruciarmi, anche solo per vivere una favola che dura solamente due anni. Lo voglio! Anzi, lo pretendo! E proprio perchè sei mio fratello, devi lasciarmi vivere la mia vita... ”
 La voce le si incrinò leggermente, mentre i suoi occhi erano diventati stranamente liquidi. Lei non piangeva mai, almeno non in mia presenza, e vederla così fragile mi fece sentire un mostro. Allungai una mano nel tentativo di consolarla, quando parlò ancora.
“Tu sei un uomo meraviglioso, ma ti chiedo per favore di non dirmi più che non avrò figli perchè mi fai stare male! Pretendi che io non esca con i ragazzi perchè potrebbero ferirmi, ma tu  sei il primo a farlo se continui così. Sei più grande di me, dovresti incoraggiarmi a realizzare i miei desideri, sai? Anche se... perdonami, ma... mi fai pensare al giorno in cui ti ho fatto da testimone, te lo ricordi?”
Sorrise in mezzo alle lacrime che ormai solcavano il suo giovane e bellissimo viso, mentre tentai con tutte le forze di non ricordarmi quel periodo, ma dovevo ascoltarla. Quindi annuii, anche se contro voglia.
“Ero emozionatissima di farti da testimone, con quello speldido vestito che mi avevi regalato... ricordo ancora che per calmarmi e farmi smettere di piangere hai dovuto abbandonare la sposa e venire da me. E tutte queste emozioni le ho vissute in seconda persona, pensa quando, magari, sarò io quella vestita di bianco mentre attendo di dire ‘si’  al mio amato.”
Sorrisi nel ricordare quel giorno, nonostante ciò un groppo alla gola non mi permise di parlare. Era troppo doloroso pensare a quello che era successo dopo, così doloroso che mi mancò il respiro. Sperai con tutto il cuore che non arrivasse a parlare anche di quello, o non avrei  retto.
“Tu sarai il mio testimone, il mio unico uomo, nessuno sarà come te, ma avrà un amore diverso dalla sottoscritta.” Mi baciò la fronte, nascondendo poi la testa nel mio petto.  La sentii sospirare, per poi mormorare un flebile ‘scusa’.
“Oggi vado a stare da un’amica, ha il figlio che non sta tanto bene.”
“Questa tua amica ha già un figlio?” Se non ero tranquillo prima, dopo quella scoperta ero destinato ad infuriarmi di più. Mi guardò con due occhioni a cui avrei fatto fatica a resistere, lo sapeva!
“Diciamo che anche lei non ha avuto vita facile, se può consolarti. Però sono sicura che ti innamoreresti di Peter.”
“Il figlio?” Domandai scettico.
“Si, proprio lui! E’ una meraviglia, quando sorride ti porta automaticamente ad innamorartene senza via di ritorno, ed è ancora sdentato, che cucciolo!” I suoi occhi si accesero di una luce meravigliosa non appena iniziò a parlare di quel bambino, lo notai perchè mi saltò praticamente in braccio, avvicinandosi ancora di più. La circondai con le mie braccia per non farla cadere rovinosamente a terra.
“Ha diciotto anni, quindi siamo coetanee, e faccio da baby sitter a Peter quando lei lavora. E’ talmente adorabile.”
“Quando avevi intenzione di dirmi che ti eri cercata un lavoretto?” La punzecchiai leggermente su un fianco, mentre lei si dimenava per sfuggirmi.
“Te lo avrei detto presto, non avevo ancora trovato il momento adatto.”
“Posso conoscere questa tua amica?”
Uno sguardo allarmato si impossessò dei suoi occhi. Sapevo cosa voleva chiedermi...
“Perchè me lo chiedi?” Allarmata e timorosa.
“Sicura di essere mia sorella? Perchè sembra che io voglia mangiare questa tua amica, che neanche conosco.”
“Mi dispiace, ma so cosa fai, e ti ho già detto che lei ha sofferto anche troppo, non voglio vederla distrutta per colpa di mio fratello.”
“Ma quanta fiducia!” Ribattei sarcastico. Mi riservò un’occhiataccia, senza però lasciare la posa rigida che aveva assunto il suo corpo.
“Mi dispiace, ma non te la farò conoscere!” Irremovibile.
“Posso almeno sapere come si chiama?” Domanda innocente, anche se sapevo già la risposta.
“No!” Scosse la testa, come a volermi chiedere di lasciare in pace quella povera ragazza. Si affezionava troppo in fretta alle persone, e magari lei non meritava tutta l’attenzione che le regalava mia sorella, ma era troppo buona e soprattutto amava i bambini, motivo per cui non avrebbe rinunciato alla sua amicizia.
“Beh, sono in ritardo, devo andare.”
“Ok, ma mi raccomando, comportati bene e niente colpi di testa, eh?”
Mi regalò un sorriso dolce, sapevo che solo uno di quelli bastava a calmarmi.
“Va bene, ma... mi spieghi come mai oggi te ne stai chiuso a casa, invece di uscire come avevi progettato?”
“La persona che volevo invitare ad uscire si è sentita male, quindi niente da fare.” Scrollai le spalle, come se mi fosse indifferente quello che le avevo detto.
Si alzò in piedi per avvicinarsi alla porta; prima di uscire però mi gettò addosso parole che avrei preferito non ascoltare dalle innumerevoli volte in cui mi era stato ripetuto. Ma la frase finale non me la sarei aspettato, ne tanto meno mi sarei aspettato di sentirmi leggermente in colpa per quello che stavo facendo a Charlene.
“Vedi di non far soffrire un’altra ragazza solo per quei cinque secondi di gloria che ottieni alla fine di ogni tuo teatrino, sei grande abbastanza per capirlo da solo ormai. Ricordati che potrebbe succedere anche a me, come reagiresti? ...E se lo fai ancora solo una volta, dimenticati di avere una sorella!”





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