Dhialya

di Dhialya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** D - Delusione ~ When the heart is broken ~ ***
Capitolo 2: *** H - Happy Ending ~ Life is not a fairy tale ~ ***
Capitolo 3: *** I - Impassibile ~ The feelings are dead ~ ***
Capitolo 4: *** A - Apatia ~ The life has not sense ~ ***
Capitolo 5: *** L - Libertà ~ Memories from the future ~ ***
Capitolo 6: *** Y - Years ~ Day by day ~ ***
Capitolo 7: *** A - Amicizia ~ Prospective of a new life ~ ***



Capitolo 1
*** D - Delusione ~ When the heart is broken ~ ***


Dhialya



D di Delusione

~ When the heart is broken ~
[Past]








Cammini velocemente e a testa bassa per la via trafficata della città, non badando al sole che hai contro e che ti sta lentamente uccidendo gli occhi.

Ti tieni vicino al fianco la borsa a tracolla che porti, torturandone i bordi quando ti senti messa in soggezione o devi oltrepassare gruppi di ragazzi pressoché coetanei.
Ti morsichi un labbro, nervosa, mentre procedi spedita superando un ennesimo trio di questi.

Lo sai, che cos'hai.
Lo psicologo te lo ho fatto notare in una delle tante sedute, che a parer tuo non sono servite a nulla.
Parlavi, parlavi e parlavi, lui ti guardava e scriveva qualcosa, ma tu non ci ricavavi nulla se non un momentaneo sollievo.

Destinato a finire, come tutto ciò che fa parte della tua vita.



Traffichi fintamente interessata cercando qualcosa nella borsa, mentre cerchi di tenere la mente occupata e distratta.
Distratta da quegli occhi che ti sembra stiano osservando solo te.
Distratta da quel senso di panico ed inquietudine che ti prende ogni volta che ti trovi, da sola, in mezzo a tanti altri. Quando capisci che tu sei completamente sola, in quel grande mare che è la vita, mentre loro no.

Fobia sociale. Ansia.
Attacchi di panico.
Hai un lieve accenno di fobia sociale, contornata da attacchi di panico.
Sorridi di scherno impercettibilmente, al ricordo.


Hai passato di peggio, vero?

Questa è solo l'ultima frase della lunga lista di eventi.
Cosa sarà mai, il senso di ansia che ti prende ogni volta che devi andare a scuola o in luoghi affollati, contro il dolore della perdita, della delusione, del sapere che la strada che hai preso non ti condurrà da nessuna parte?

Cosa potrà mai toccarti ancora?

E' stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, costringendolo ad aprirsi.

Ti senti diversa.
Forse perché sei diversa?

Una parte di te se ne è andata quando eri piccola, seguita da un altro pezzettino un anno e mezzo dopo.
E quello, il secondo, fu straziante. Avevi l'età per capire che non sarebbe più tornato.
Ricordi tutto.
Precisamente.

Gli ospedali con i loro giardini dall'aria fintamente tranquilla, la carrozzella, il sapore della cioccolata presa dalla macchinetta nei pomeriggi d'ottobre...
Scuoti la testa, cercando di scacciare quei ricordi che però si annidano li, davanti agli occhi come ad invitarti ad andare avanti a rivivere quei momenti.
Fanno parte di te, non puoi farne a meno.
Ricordi di un passato macchiato di ombre e sangue rappreso che vanno ad incrostare il cuore.
Gli occhi si strizzano per cercare di ricordare più particolari possibili, nonostante tutto.
Un solo anno e mezzo prima, invece, avevi preso l'altra notizia come un gioco, non ci volevi credere. Perchè era impossibile, non poteva capitare a te. Quegli eventi capitano agli altri.

Da non credere come si cambia in un anno, vero?


Svolti un angolo per poter prendere una strada meno affollata, ma che ti porterà lo stesso dove vuoi arrivare, incurante delle case abbandonate e dall'aria tetra.
Ti piace, l'aria tetra; ti fa sentire una presenza viva in mezzo a tante ombre.
Stropicci gli occhi ringraziando il buio che ti fanno i tetti ravvicinati, cercando di mettere a fuoco ciò che sta davanti a te, mentre maledici il sole così forte che ti fa venire anche mal di testa, e ripiombi nei ricordi.


Ci fu, durante il periodo delle elementari, l'altra famiglia.
Li adoravi, non è così? Certo che li adoravi.
Stravedevi per loro, che ti trattavano come se fossi una loro parente veramente.
I figli che consideri, ancora dopo tutti questi anni in cui non li senti, come i fratelli che non hai mai avuto, la compagnia di amici che hai desiderato ma che non sei stata in grado di crearti.
Stavi bene quando eri con loro, ti sentivi realmente a casa. Più che con coloro che sono legati a te con il sangue.
Non puoi dire che hai passato ogni giorno d'inferno, hai anche dei teneri ricordi della tua infanzia, che se potessi torneresti indietro per rivivere in ogni attimo, in ogni sorriso, in ogni respiro.
Solo che sono più quelli tristi che quelli felici.


Ecco, ciò che ti ha mandato in panne quando te ne sei resa conto qualche tempo fa.
Il botto di ricordi ed eventi che ti è scoppiato in testa, creando una grande nube che ti ha ostruito la vista del presente che stavi vivendo: come continuare, ora che te ne eri resa conto veramente?
Fare finta di nulla o ribellarsi, farlo pesare su coloro che ne erano la causa?


Giri l'ennesimo angolo e ti ritrovi fuori dalla via, con il sole nuovamente contro.
Sospiri pesantemente, mentre ti chiedi perché stai andando li. Non ci vai mai, neppure per le feste come Natale o Pasqua.
Pensi che non serva andarci, tanto loro non torneranno indietro e non verranno ad aiutarti.

Eppure quella mattina ti sei alzata e la prima cosa che ti è venuta in mente è stata di andare a fare un giro.
Un giro fuori casa, ascoltando i rumori di coloro che vivono, una passeggiata che ti avrebbe condotto senza volerlo in quel luogo.
L'istinto ti ha guidata, e tu lo hai ascoltato, per una volta.
Ancora.


Hai un fremito interno quando ti rendi conto di quello che stai facendo, e il tuo corpo ha un impulso automatico di girarsi e tornare indietro.
Per scappare.

Per tornare a casa, nella tua stanza, un luogo sicuro e chiuso agli altri.
Perchè tanto andare li non serve.

Tiri un calcio ad un sassolino, annoiata, e ti decidi a continuare la camminata dopo un pesante sospiro.
Devi farcela
, non puoi andare avanti così: non puoi continuare a scappare, non puoi continuamente credere di essere messa continuamente sotto tiro dagli altri; che lo sai benissimo, hanno decisamente altro a cui pensare.


Continuasti a vivere nel tuo mondo di bambina, nonostante tutto, quello fantastico e personale, in cui tutto andava bene e tu potevi fare quello che volevi.
In cui la realtà non era che un effimero angolo nella tua mente, talmente piccolo da non badarci e non renderti conto che la vita, quella vera, cruda e spietata, iniziava a chiamarti a sé.
Che aveva iniziato a girarti intorno continuamente, in attesa di poterti lambire come il cacciatore con la sua preda.
E quando tutto il tuo mondo andò in frantumi fu un trauma, una bomba che si era innescata ed aveva iniziato il conto alla rovescia per poter scoppiare.
Una mina vagante destinata a scontrarsi prima o poi con qualcosa.
La vita reale ti aveva richiamato a sé nella maniera peggiore possibile, di cui continui a portarti le cicatrici senza che all'inizio te ne rendessi conto.

Niente sarebbe stato più come prima.
Nemmeno tu.

Hai passato tre anni a continuare come se niente fosse, mentre i segni bruciavano e i ricordi se ne andavano, per poi tornare limpidi e chiari.
 Ti sei resa conto che in qualche modo non sei normale, vero? Fin da piccola non lo sei stata, ma non te ne eri mai resa conto fino a quando non hai dovuto prendere in mano le redini della tua esistenza, qualche tempo fa.
E ciò non ha fatto altro che scombussolarti di più la vita che stavi conducendo, mettendoti davanti ad un muro impenetrabile, circondata da un nero profondo e cupo che lentamente ti divorava.
Giocava con te, illuminandoti fiocamente delle strade percorribili per poi mangiarsele, lasciandoti nel bel mezzo del nulla, ad osservare il vuoto assoluto.


Un centinaio di metri ti dividono da quel posto, e con sollievo noti che sei quasi arrivata, mentre percorri l'ultimo pezzo di strada sotto il sole cocente.
Quanto vorresti un bel grigio uggioso, con quell'aria fredda che porta il sapore della tempesta, in quel momento...

Sorpassi il cancello d'entrata, mentre delle occhiate curiose si posano su di te discretamente, chiedendosi forse cosa ci fa una ragazza come te e della tua età in un posto simile, invece che essere a casa a studiare o in giro con gli amici.
Che tu non hai.
Quella è una nota che ti sei segnata per bene nella testa: non hai una vera compagnia di amici.
Ora sai su chi puoi contare davvero, chi sarebbe li per te e a discapito dei suoi impegni, a capirti con uno sguardo.
Nessuno.

Nessuno tranne te stessa, presenza che ancora fatichi a capire.


I sassolini che formano le stradicciole tra le lapidi sotto i tuoi piedi scricchiolano e si muovono, rendendoti la camminata come al solito particolarmente instabile, e ti sembra di sprecare moltissime energie per cercare di non perdere centimetri a causa del fatto che rotolano via ogni volta che ci posi sopra un piede.

Quando arrivi alle due solite postazioni ti siedi sul muretto alla tua sinistra e che divide quella dall'altra corsia, poco più sotto a causa della forma a scala del cimitero, mentre alla destra l'odore dei vari fiori ti arriva al naso. Nauseante.

Osservi le foto incastrate sul muro grigio chiaro, poco nitide a causa dei riflessi che da la luce del sole alle tue spalle.
Più le vedi, più ti sembrano sfuocate, sbiadite, dei ricordi destinati ad annullarsi: lo hai notato anche con le foto di famiglia.
Perché sono, ai tuoi occhi, così poco nitide?

Il silenzio ti avvolge, e senti distintamente i battiti del tuo cuore lenti, quasi annoiati; il suono che fa la tua mente quando i tuoi i pensieri s'intrecciano in complicate costatazioni, che tu non stai seguendo, per poi sciogliersi e perdersi nuovamente.

Senti un magone alla bocca dello stomaco che ti blocca il respiro, un nodo in gola che si forma in automatico e un peso al cuore che te lo fa cedere in una voragine bollente. Non vorresti, ma non puoi fare a meno di pensare a loro, a ciò che li ha aspettati quando hanno chiuso gli occhi.
Loro che mancano, loro che ti hanno lasciata, loro che ti guardano impassibili da due fotografie ma non possono aiutarti e sentirti.
Che cosa avranno provato in quel momento?
Non lo sai, ma continui a torturandoti, chiedendoti cosa ci sia dopo, se sia veramente così bello come dicono.
Bugiardi.

Un senso di panico ti monta dentro, mandandoti in confusione, a quei pensieri.
Gli occhi iniziano a bruciare, mentre delle gocce salate fanno capolino da dentro la te stessa più sconosciuta, mostrando quel tuo lato che hai costantemente tenuto chiuso a chiave.
Dentro di te hai due personalità opposte, in continua lotta tra loro: strafottente, allegra, impulsiva e che non si lascia toccare da niente, quasi da sembrare superficiale, una; insicura, sensibile e facile da colpire, chiusa nella sua testardaggine l'altra.
Ciò che le unisce, però, sono le lacrime che entrambe riescono sempre a versare, anche se non vorresti, l'infiammabilità della parlantina quando parte e la gelosia nei confronti dei propri pensieri quando qualcuno cerca di capirli.

Piangi?



Le gocce salate che hanno il sapore di amarezza e tristi ricordi ti bagnano le guance, mentre continuano il loro percorso fino a scontrarsi con il terreno sotto di te.
Segnano un'ennesima realtà, che tutto ciò che conoscevi è cambiato, ha preso la svolta che ognuno, prima o poi, è chiamato a fare.
Ma tu non la volevi quella svolta che ti ha rotto l'equilibrio che tanto ti eri costruita intorno dopo l'ultima rottura. La svolta ti ha rovinato per l'ennesima volta la vita, mandando tutto all'aria.
Sei delusa da ciò che ti circonda?

Sola.

Sei restata completamente sola, senza amici e con l'ombra di una famiglia che sembra tale ma non lo è.
Senza nessuno che ti capisce, che non riesce ad intuire i tuoi pensieri e che se lo fa non è mai nel modo in cui tu vorresti, perché manca sempre quel qualcosa che non riesci a definire.
Il tuo sentirti costantemente chiusa in un mondo che non è tuo, in una vita che non ti appartiene, in cui ti sembra di essere una povera stupida che non capisce nulla.

Sei delusa da come gli eventi hanno movimentato la tua vita?

E ti chiedi che cosa hai fatto di male per meritarti una vita simile, domandandoti se le cose sarebbero migliori se i fatti si fossero svolti in maniera diversa già dai primi anni in cui hanno iniziato ad incrinarsi.
Perché tu dovevi reagire: se lo avessi saputo, se avessi avuto un approccio diverso nei confronti degli eventi passati, qualcosa sarebbe sicuramente andato diversamente.
Magari di poco, ma quella piccola percentuale che riesce a far vedere le cose in maniera più positiva o negativa.
Se in questo momento saresti felice, con un obbiettivo ben in testa ma che hai perso di vista.

Oppure sei Tu stessa, la tua personale delusione?
Perchè tutto non ha più senso. Forse non lo ha mai avuto.

Di una cosa, però, sei sicura: è venuto il momenti di reagire.







































































































***Eccomi con una nuova raccolta, ora che ne ho conclusa un'altra. Dunque, l'avevo già pubblicata qualche mese fa, questa prima shot, quindi magari qualcuno che l'aveva letta se la ricorderà, però poi ho deciso di cancellarla e attendere prima di ripubblicare nuovamente, perché non riuscivo più a scrivere.
Difatti, ci sono vari progetti che attendono la pubblicazione negli antri del mio pc, ma aspetto per evitare di incorrere nel brutto vizio metti e poi cancella, perché vedere storie li sospese e in attesa di aggiornamento mi da fastidio.
Anyway, passiamo ad altro: la raccolta è composta da sette one-shot, più o meno introspettive. Le protagoniste di ogni singolo capitolo, - come già avevo detto, ma fa niente -, possono essere considerate ogni volta diverse, per poi mettersi tutte nell'ultima frase dell'ultima shot, oppure può essere considerata sempre la stessa protagonista che vive diverse esperienze. A voi libera scelta :)
Per il momento non ho molto da dire, se non che spero di non incorrere in ritardi negli aggiornamenti a causa degli impegni. Cercherò di essere regolare, promesso!
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio per aver letto.
Love,
D***


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Capitolo 2
*** H - Happy Ending ~ Life is not a fairy tale ~ ***


Dhialya



H di Happy Ending

~ Life is not a fairy tale ~
[Present]




Lo schermo del computer acceso illumina la stanza altrimenti quasi completamente al buio, fatta eccezione per un filo di luce del lampione che proviene dalla finestra con le imposte semi-chiuse.

Ti piace il buio.
Ti senti al sicuro quando sei lambita da esso, senza nessun'altro visibile attorno.
Ultimamente più di prima.
Vivi di buio, le ombre sono le tue migliori amiche.
Lo sono sempre state, anche se non lo sapevi.

Batti qualcosa sulla tastiera, giri per siti smorzando le curiosità che ti nascono sul momento.
E intanto la tua mente vaga altrove, intonando silenziosamente alcune note e parole delle canzoni che ascolti ultimamente e che senti particolarmente vicine a te.
Ti rispecchiano, sembrano aver capito tutto di te, che raccontino la tua vita.

E' bella la musica; vivi di musica; ti aiuta la musica; si conserva nei tuoi ricordi, la musica.

E mentre nella stanza si sente soltanto il ronzio del computer che potrebbe essere assorbito dalle pareti anonime della camera, nella tua testa c'è il fermento, una piena attività di pensieri e musichette.
Se la vita potesse avere delle musiche come colonne sonore, compagne quando accadono episodi particolari, tu saresti contenta.
Ne avresti giusto alcune da assegnare a determinati fatti che ti sono capitati o che la tua fantasia si diverte ad immaginare. Impossibile che si avverino, ma se si potesse avere una canzone come sottofondo, allora magari potrebbero capitare.

Sulla cartella dei giochi ci clicchi quasi per sbaglio, in un movimento del cursore non calcolato quando ti sporgi per prendere una penna e segnare degli abbozzi su un'agenda, quasi piena di disegni e scritte poco chiare che non riesci più a decifrare, anche se non hai fonti di luce più forti.

Così, quando la tua vista torna sullo schermo dopo aver scritto un paio di righe poco chiare – e che, sei sicura, se non trascrivi il prima possibile finiranno nel dimenticatoio come le altre – ti ritrovi davanti la cartella dei giochi con quello degli scacchi evidenziato di blu ma non ancora aperto.

Mediti.
Non sei mai stata molto brava a scacchi, forse perché ti capita poco di usare la logica prima di fare la tua mossa.

Perché se ci rimugini troppo sopra non combini niente, quindi agisci.
Ci pensi dopo, però, e spesso è già troppo tardi per frenare le conseguenze che il tuo gesto poco pensato e analizzato avrebbe comportato a te e a chi ti sta intorno di positivo e negativo.

Anzi, non hai mai vinto, a scacchi.

Magari, pensi, provare potrebbe aiutarti.
Come
esattamente non lo sai, ma il solo provare a meditare prima di fare una mossa potrebbe essere uno spunto per il prossimo futuro.
Non sia mai che il gioco ti faccia un'iniezione di calma, risolutezza e responsabilità.

Clicchi, e la partita inizia.

Ci metti qualche minuto a ricordare bene i movimenti che possono fare le varie pedine, e per questo dopo cinque minuti hai appena spostato tre pedoni in avanti di un solo passo, anche se potevi farlo di due caselle come prima mossa.
Ma, secondo te, muoversi così è un modo troppo lento, vorresti osare di più, attaccare subito.
E sbaglieresti, lo sai.
Le volte che hai provato ad attaccare, a reagire, hai combinato dei disastri.

E solo in quel momento ti rendi conto che non sei stata solo tu la vittima dei tuoi stessi gesti.
Che non solo tu hai perso, hai sofferto e pianto.
Anche le altre, ma magari erano talmente brave a nasconderlo con l'indifferenza che a te sembravano essere state solo delle maschere, che le persone che ti eri trovata davanti non erano altro che sconosciute: non mostrano tristezza, quindi è colpa loro.

No.


Non possono non essere state segnate.
Anche solo in minima parte qualcosa devono aver provato: dispiacere, un pizzico di delusione.
Qualcosa.
O forse davvero non hanno mostrato niente perché non erano tanto coinvolte da poter provare qualcosa quando hanno iniziato a rompere tutto.

Quando, alle elementari, la tua prima lei aveva attaccato per non perderti, troppo gelosa nei tuoi confronti per condividerti con qualcun'altra, la tua vita, i tuoi giorni di scuola erano diventati incubi: pizzicotti, litigi, oppressione, ricatti.
Cose da bambini, sciocchezze pensavi.
Sapevi che non era normale, ma tu eri sempre stata una debole.
E lei era la tua prima migliore amica da quando eri nata.
E tu ti facevi valere, poi lei ti diceva scusa e si metteva piangere perché eri arrabbiata con lei, allora la perdonavi – ed eri tu a scusarti con lei.

Forse era una qualche forma di bullismo o solo una sua fragilità che veniva fuori?
Non lo sai, però sei sicura di una cosa: le persone possono essere cattive, meschine, ti possono calpestare per ragioni che non sai, per loro paure.
Ma con lei non puoi avercela.

Le vuoi bene ancora dopo tutti gli anni trascorsi, se la trovi in giro sembra quasi non essere cambiato nulla, tranne che ognuna ha preso la propria strada.
È una cosa bella, ti fa vedere quegli anni con un po' di nostalgia ma sei contenta che siano passati, andati via e lontani.
Anche se in realtà non sono così tanti a te sembra di star vivendo un'eternità.

Dov'è la fine?

L'uscita da questo labirinto?


Non riusciva a capirsi, si perdeva nei suoi stessi pensieri e ormai stava muovendo i suoi scacchi virtuali solo per inerzia, con la voglia di mangiare più pedine avversarie possibili per affermarsi.
 
Non capiva come potesse sapere di avere sofferto per colpa loro e non considerarle lo stesso colpevoli; non capiva come, sapendo di aver sofferto ma di non essere stata l'unica, potesse comunque ritenerle in parte responsabili dei loro allontanamenti e delle rotture irreparabili che c'erano state.

Era strano.
Era un controsenso che, per l'appunto, non aveva nessun senso.
Oppure stava ragionando troppo di logica e doveva solo rilassare la testa.

Mentre la tua vita continuava tranquilla, è arrivata lei come un uragano.

All'inizio non la sopportavi, non la calcolavi.

Poi l'hai amata – di bene – come solo con una persona speciale, che ti capisce con un solo sguardo e che inizia a condividere tutto con te, si possa fare.
L'adoravi, era diventata il centro del tuo mondo.

Che grosso errore far credere una persona tanto importante.


Poi, quel giorno.
Quella piccola frase detta in più e l'inizio di un atteggiamento distante.
In due ore era crollato tutto.
Due ore.

E addio ricordi e momenti passati insieme per mesi.

Due fottutissime ore.


E un'ora l'avevi passata a piangere in mezzo al cortile, con lei che ti sputava addosso cose che ti avevano messo in bocca ma che tu, anche se le avevi pensate in passato senza mai averle detto davvero – troppo codarda per farlo – non avevi mai confessato, senza avere la possibilità – né la voglia, troppo indignata per ciò che stava accadendo – di ribattere.

Per quello pensavi – pensi. Non sai dire se qual'è la tua linea di pensiero – che l'indifferenza con cui ti aveva negato la fiducia fosse solo la conferma che lei era esattamente come l'avevi immaginata e come tutt'ora alcune persone la descrivono: le piace sentirsi importante, le piace sentirsi al centro del mondo e mettere i piedi in testa a tutti, le piace quando le persone cadono ai suoi piedi – lo ha sempre fatto, con i ragazzi –.

Tu non eri stata altro che l'ennesima persona che le era andata vicino.
Però era vero.

Sembrava tutto così vero.


Siete passate all'evitarvi nuovamente, a guardarvi come due persone che non si non mai conosciute davvero.
E hai iniziato ad evitarla il più possibile, a sentirti sotto pressione in sua presenza.
E da li niente è più stato come prima.

Ti dispiace averla persa.

Davvero.

Ti manca tanto.

Se ci pensi più di prima.

Non sei mai riuscita ad ammetterlo, perché ogni volta che la vedevi non potevi far altro che pensare alle lacrime che ti aveva fatto versare, a come da stupida ti stavi allontanando da un'altra tua parte di anima per una che alla prima crisi ti ha lasciata indietro tornando a credere al suo gruppo di iene.

Iene
, davvero, non smetterai mai di pensare così riguardo loro.
Ne hanno approfittato per dividervi, e alla prima occasione ognuna di loro ha preso la sua strada, facendosi nuove conoscenze, spezzando quel gruppo che sembrava tanto unito.

Era entrata dentro di te come un uragano, un legame nato per caso – forse era per il caso che non era destinato a durare.

Non lo ammetterai mai in pubblico, ma dentro di te ne hai una vaga certezza: ti manca.
Ti fa male che quando v'incontrate per caso a mala pena vi salutate.
Ti dispiace che lei si sia fatta, molto probabilmente, un'idea sbagliata su di te.

Ma il passato è passato.

Ti sarebbe piaciuto, però, vedere come poteva essere il tuo futuro se non si rompeva nulla.
Probabilmente avreste frequentato le stesse scuole superiori, però ti saresti allontanata da tre persone che ora sono tra le più importanti della tua vita.
Due non avresti nemmeno avuto l'occasione di conoscerle, legami nati per caso e che sei intenzionata a non perdere per nessuna ragione al mondo.

Forse alla fine non c'è niente di male nel come sono andate le cose.

I fatti accadono, in parte siamo noi che li facciamo avvenire: come se senza saperlo seguiamo la pista che il destino ci ha lasciato per arrivare ad un punto ben preciso, per capire cose che forse, altrimenti, non avremmo mai saputo, non avremmo mai vissuto.
Deve essere qualcosa di magico e inspiegabile.

Torre mangia pedina.
Regina mangia torre.
Che stupida, come hai fatto a non vedere che quella mossa ti avrebbe lasciato scoperta?

Eri troppo presa a pensare alle cose fatate del fato.

I tuoi scacchi sono decimati, la partita è destinata a finire e non in tuo favore.
La vita non è un film, non ci sarebbe stata nessuna rimonta finale, nessun intervento divino di qualche potere speciale.
Il lieto fine non esiste, per te è destinato a non esistere mai, a non avere una soluzione.

Scacco matto.

Hai perso.































































































***Ecco qui la seconda shot, più corta della precedente, di questa raccolta basata sulle lettere del mio nickname. Mio, indubbiamente mio. Mi hanno chiesto se, dato che riprende le lettere di un nome a me caro, se c'è dentro anche qualcosa di me nella raccolta. Beh, si. Abbastanza. Molto. Poco. Tanto. Dipende da che parte la si guarda.
Come nella precedente versione, il fatto che ogni argomento del capitolo prende spunto da una lettera lo fa avvicinare di molto a me. Però ho imparato a mettere delle barriere tra ciò che posso scrivere sia di me che non, e tra ciò che è meglio lasciar scorrere via senza dargli motivo d'esistere ancora e persistere. Anyway, la risposta era si ^^'
Dunque, spero che questa shot sia stata di vostro gradimento, anche per come è stata posta (partita di scacchi → non sempre si vince → la vita non è una favola/film dove i buoni riescono “sempre” nelle loro imprese o a riscattarsi, però c'è sempre la possibilità di incominciare una nuova partita, anche se questo è sottinteso.) Il cambiamento di persona in una parte del racconto (passo dal tu al lei) è voluto, ovviamente ^^
Ho aggiornato anche abbastanza (molto) in fretta nonostante sia ancora malata, sono contenta di star riuscendo a scrivere quando mi va e non solo quando non mi sento bene internamente :)
Vi ringrazio di aver letto.
Love,
D.***
Ps: tra la pubblicazione del primo capitolo e questo ho potuto scrivere e pubblicare piccole flash originali-Nonsense (Mai piùChiedeva Scusa. - Odore di nulla)
Introspettive (Senza mondoSe fossi... - Weakness) e una “Romantica” (C'erano cose che volevo dirgli.)
Senza impegno, ovviamente, se volete potete passare a leggerle ^^

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Capitolo 3
*** I - Impassibile ~ The feelings are dead ~ ***


Dhialya



I di Impassibile
~ The feelings are dead ~

[Present/Future]








Lo odiava.

Era questo ciò di cui stava provando a convincersi.
La sua mente continuava a ripeterlo ininterrottamente da giorni, da mesi, dal tempo in cui la sua mancanza le stava trafiggendo l'anima per assopire il cuore che soffriva, sanguinando ancora da una cicatrice che, forse, non si sarebbe mai richiusa.

Lo odiava.

Il sole estivo le brucia la pelle, i capelli si scompigliano quando una sferzata di vento la investe in pieno e la gola diventa secca ad ogni passo, ad ogni respiro che compie, quando invece vorrebbe solo lasciarsi andare.

Se stava camminando sotto il torrido sole d'estate, alla fine, era ancora colpa sua.

Ti odio.


Non aveva altri pensieri in testa, gli occhi freddi e troppo asciutti, prosciugati da lacrime notturne che non aveva più voglia di far scendere per orgoglio, che non vedevano altro se non la strada che stava percorrendo.

Muoveva i passi fermamente, i piedi che scattavano veloci lasciandosi dietro impronte invisibili del passaggio di una figura che ad occhi esterni passava quasi inosservata.
Una più attenta osservazione di quel corpo minuto, diventato fin troppo magro e pallido, avrebbe fatto capire che quello spirito una volta libero e ribelle era scivolato in un buco nero in cui ricordi, passato e nostalgia lo tenevano legato in fondo all'abisso con catene create da egli stesso.

Perché secondo lei non si meritava amore, se le uniche persone che glielo avevano dimostrato le erano state strappate via.
Nella vita degli altri aveva solo il potere di portare morte e sofferenza.

I ricordi delle risate le trafiggevano le orecchie ogni volta.
I visi, i sorrisi, i ricordi le accecavano gli occhi più della fastidiosa luce mattutina che entrava dalla finestra quando stava ancora dormendo.

Gli altri non potevano comprendere ciò che provava.
Gli altri erano bravi solo a dettare parole al vento, sporadiche frasi di consolazione che per lei suonavano solo false, consolazioni di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Non capivano.
Non potevano comprendere appieno come si sentiva.

Affila maggiormente gli occhi e indurisce il lineamenti facciali, assumendo un'espressione dura che non si addice ai suoi lineamenti delicati.

I rumori non li sente, i motori che ruggiscono non la distraggono, il brusio delle persone e le grida dei bambini le passano inosservati.

E' concentrata solo su se stessa, su ciò a cui sta pensando e il luogo in cui sta andando.
Niente “Che tempo fa?” o “Che ore sono?”.

Prende una via secondaria, una scorciatoia che ha scoperto per caso, sempre con lui.

Lui.

L'unico che era riuscito a penetrarle nel cuore senza farle male.
L'unico che l'aveva fatta sentire davvero speciale, diversa dalle altre anche se si confondeva sempre con la massa.
Lui
, l'unico che quando la guardava la metteva un poco in soggezione con quegli occhi scuri, ma che sorridendo a ciò che diceva la sua bocca la faceva sentire compresa e sicura.
Con cui si sentiva protetta anche se non erano vicini, perché sentiva il suo sguardo vigile su di sé che la controllava con dolci attenzioni come per dirle: “Ehi, sono sempre qui.
Lui era quello a cui era riuscita a mostrare l'altro lato di se stessa, quello insicuro e pieno di dubbi da dissipare.
Perché lui era riuscito ad andare oltre il sorriso che si stampava in faccia, e lei ancora dopo tutto quel tempo non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto.


-Puoi piangere a volte, sai? Sfogarsi fa bene-
-Come scusa?-


Sfogarsi fa bene.

Se le ricordava ancora quelle parole, il tono di voce lontano e comprensivo con cui le aveva pronunciate.

Arriva all'entrata, varca quel portone che ormai conosce come casa sua e meglio di se stessa, entrata di passaggio che l'ha vista superarla immense volte in quell'arco di mesi.
Conosce la strada a memoria, ha imparato ogni modo per arrivarci quando ancora il dolore era vivo, fresco e ardente, e cercava un modo per arrivare davanti a quella consapevolezza il più tardi possibile.
Come per illudersi che fosse tutto un sogno, che arrivando li avrebbe potuto dire “Che sciocca, cosa ci faccio qui se non ho nessuno da venire a trovare?”.

Invece no.

Ogni volta lo trovava li, ed era una pugnalata.
Ogni volta lui giaceva sotto li, ed era un mattone che le si posava sul cuore.
Ogni volta lui stava li, ma chissà quanto lontano realmente, ed erano aghi aggrovigliati che le foravano i polmoni.
Ogni volta arrivava li, e non era cambiato nulla, la realtà tornava ad essere mischiata con l'incubo e le lacrime premevano per uscire.

Per scappare da quella gabbia interna che era diventata, perché dentro, ormai, era vuota.
Non provava più nulla.
Non sentiva più nemmeno il battito del suo cuore, respirava appena e solo per inerzia.

Lei era morta con lui.
Lei se n'era andata, con lui.

Desolazione.

Era un involucro ambulante.

Uno strato di pelle in cui vagavano ricordi, emozioni che mai più niente e nessuno sarebbe riuscito a sostituire.
Erano dei pezzi di vita che avevano un valore troppo importante perché li lasciasse cadere nel suo passato e continuasse ad andare avanti, verso un nuovo inizio da cercare e creare.

Paura.


Aveva paura che, continuando la sua vita, avrebbe potuto dimenticarlo.
Dimenticare la sensazione che provava quando le parlava, l'odore della sua pelle, la delicatezza delle sue carezze.
Paura di lasciarlo andare e perdere per sempre quel poco che le era rimasto e su cui si aggrappava costantemente per non cadere.

Il magone le sale in gola, un groviglio di ricordi ed emozioni che le pesano sul cuore.
Gli occhi che si fanno di nuovo lucidi e la perdita totale di cognizione.
Dov'è?
Chi c'è?
Che ore sono?

Domande retoriche che scompaiono, lasciandola sola, in ginocchio, spaventata da ciò che vede come con una nuova consapevolezza.

Un'incisione di dati leggermente decorati, dei fiori freschi, un lumino e una foto.
La sua foto, battuta dai raggi del sole che si riflettono sul suo volto.

E dei ricordi incessanti che le passano davanti agli occhi, come se tutti quei mesi non fossero mai passati, come se lo vedesse nuovamente per la prima volta.


-Ho detto che piangere fa bene se ci si vuole sfogare-.


Perché?


Le gocce che le percorrevano le guance bruciavano.
Erano fredde e salate ma bruciavano come se fossero uscite da un inferno di fuoco e ghiaccio.
Se stessa.

Lasciavano sulla pelle la sensazione di scottatura dove passavano.
E non riuscire più a controllarle, a fermarle come da qualche settimana era riuscita a fare, la faceva sentire inerme ed impotente.
Una debole che si lascia sopraffare da sentimenti, sentimenti che avevano solo il potere di innescare una tortura.

Oltre al pianto si aggiunge la rabbia verso se stessa.

Rabbia che acceca, rabbia che le manda vampate di fuoco, che le infiamma la mente e che non le fa capire più niente se non la consapevolezza che lei sta soffrendo.

Dolore.

Fa male.

Tanto.


Soffre per colpa sua, soffre per la sua mancanza, soffre perché non riesce – non vuole – continuare a vivere senza di lui, perché la sua mancanza è troppa.

Inizia a tirare pugni. 

Disperazione.


Manca la sua presenza, manca la sua risata, mancano i suoi ragionamenti svelti e limpidi.

Altri pugni.

Solitudine.


Mancano i suoi occhi, i suoi abbracci, le sue parole mai troppo dolci perché sapeva che a lei le cose sdolcinate non piacciono.

Pugni, più forti.

Rabbia.
Ancora rabbia.


Per averlo fatto arrivare così vicino a lei, per avergli permesso di abbattere le sue barriere e per star facendo in modo che la sua assenza la stia soffocando.
Di più, ogni giorno di più.

Pugni, lamenti soffocati, labbra morsicate a sangue per non cedere alle grida che stanno esplodendo dentro di lei.

Persa.

Cosa avrebbe fatto?
Chi l'avrebbe più capita?


Le altre persone si erano allontanate, troppo spaventate dal dolore che provava e che loro non riuscivano a comprendere appieno.

Pugni.
Contro il terreno che si trova davanti.

Pugni.
Contro le sue gambe.

Pugni.
Contro il suo stesso sangue che ha macchiato il marmo.

Pugni all'aria.
Come se volesse colpire lui direttamente, per fargli provare ciò che non riesce a togliersi di dosso.

Manca Lui.


Era stanca.

Lo odiava e lo amava.
L'aveva abbandonata quando aveva giurato che sarebbe sempre rimasto sempre con lei.
Aveva rotto la sua promessa.
Le mancava.
Tanto, moltissimo.
In una maniera straziante che le bloccava il respiro.

Lui l'aveva lasciata, lui l'aveva distrutta e continuava a tormentarla continuamente.
Lo odiava, voleva dimenticarlo.
Non era vero
, e lo sapeva.

Si accascia sulla lapide, scoppiando, e il suo pianto fende l'aria.
Si propaga per quel terreno tetro e silenzioso, lamento di vita in un cimitero di anime.

Per rinascere, si dice che bisogna bruciare.

Torna da me.

Implorazione.

Perché lui era rimasto cenere?

























































***Ci sono, eh ^^ La terza shot, eccola qui.
Sono contentissima di star riuscendo a portare avanti questa raccolta senza intoppi particolari, non lo avrei pensato e sono un po' basita da questo ^^'
Comunque, vorrei spiegare brevemente una cosa prima di lasciavi: la ragazza qui è rimasta talmente segnata dalla perdita di lui che il fatto che cerchi di essere “Impassibile” e poi scoppia è collegato al fatto che nessuno riesce a rimanere indifferente davanti a qualcosa che lo turba particolarmente. Da solo o con la compagnia di qualcuno, piangendo, gridando o picchiando, qualcosa si esprime e traspare. Lei non riesce a reprimere quello che prova, anche se dentro di se crede che non sente più “nulla” perché ormai troppo abituata a quei pianti e quei ricordi da cui non riesce a staccarsi.
Inoltre è impassibile verso gli altri, minimizzando ciò che anche loro possono aver provato, troppo concentrata su se stessa.
Spero di essere stata chiara ma se ci sono dubbi chiedete pure.
Ringrazio che legge in silenzio e segue questa raccolta, chi la seguirà nei suoi aggiornamenti e magari lascerà un segno di sé dietro.
Spero che continui a piacervi :)
Love,
D***

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Capitolo 4
*** A - Apatia ~ The life has not sense ~ ***


Dhialya


A di Apatia
~ The life has not sense ~
[Present]



Plic.

Una goccia cade dal cielo.

Plic.

Una goccia rimbalza per terra.

Plic.

Una goccia schizza sul viso.


Il tuo sguardo di bambina ormai persa guarda con attenzione i movimenti – non molti, a dire il vero – che fa l'acqua che scende dall'alto.
Osserva quelle piccole macchie trasparenti cadere in un luogo preciso, e poi si sforza di non spostare lo sguardo, per vedere se un'altra potrebbe finire esattamente nello stesso punto della precedente.

Ma non ci sei mai riuscita, a scoprirlo; vuoi per la poca pazienza mostrata fin da bambina o la sensazione che, proprio nel momento in cui sbatti le palpebre e perdi di vista il tuo obbiettivo, perdi qualcosa.

Una sensazione di incompletezza che ti ha sempre seguito, come un'ombra, non solo quando pioveva.
La perenne certezza di star tralasciando sempre qualcosa di fondamentale, che ciò che ti sembrava dare felicità non fosse reale per davvero.

Volgi lo sguardo in alto, fissandolo sul grigio biancastro che domina sovrano sopra di te: le nuvole sono troppo pesanti per pensare di riuscire a vedere uno sprazzo di cielo.

Cielo azzurro.

Limpido, pulito, incontrastato.

Quel colore che da qualche altra parte c'è ancora, accompagnato da un sole raggiante che mette buon umore.
Come se facessero da barriera a qualcosa di così immensamente semplice e complicato allo stesso tempo; che sta li, visibile e fermo, ma che non è mai come sembra.

Cosa nasconde in alto, dove gli occhi non riescono a vedere?
E su, sempre più su, fino a perdersi in quella moltitudine di colori che solo lui sa avere?

Ci sarebbero tante domande che vorresti fare, esprimere, a cui ti piacerebbe dare una risposta – e non solo in abito di cosa nasconde il cielo, anzi, sarebbe l'ultimo dei tuoi pensieri.

Sarebbe.

Ma non lo è.

Perché al resto ormai non ci pensi più.
Perché la voglia di scoprire di girare, viaggiare e sognare non ti accompagna più.

Sei grigia, sei diventata monotona come quel cielo uggioso che ti sovrasta.
Hai perso la pioggia che ti animava, l'hai sentita colare via, lasciandoti solo un involucro vuoto, i resti di una vita ormai dimenticata e che non riesci a far tornare integri.
E rimane il nulla da fare, perché pensi che tornare indietro non si può – forse, forse è meglio così, per certi aspetti – mentre ad andare avanti... non sei come la goccia di pioggia cadente dal cielo che deve solo andare dritta, che cade, che ha il percorso già fatto.
Il sentiero lo dovresti creare, ma la nausea di tutto ti appanna la vista e non ti permette di andare avanti, di scorgere, di interessarti a qualcosa.

Rimanere ferma, in quel momento a fissare la pioggia, o farsi travolgere dagli eventi senza pretendere qualcosa, ti sembra in quel momento la scelta più gusta.
Benché tu sappia, tu sappia benissimo che non dovrebbe andare così.

Che non dovrebbe minimamente essere così.

Lo sai bene che non era in questo modo che doveva finire, ma ci sono cose alle quali non hai potuto fare altro che piegarti; piegarti ed accettarle, come se subissi una sconfitta, in qualche assurdo modo che tanto sconfitta non è.

Non dovrebbe esserlo.

Tante cose diverse.

Tanti passi diversi.

Tanti eventi diversi.

Tutte cose che si nascondono, giocano, tornano, restano anche se invano cerchi di relegarle da qualche parte nascosta.

Ormai lo sai bene, fin troppo, che la tua vita è destinata a continuare tra ghiacci e ombre del tuo passato, circondata da un buco nero sempre presente e che aleggia minaccioso su di te attendendo bramoso di poterti prendere nuovamente.
Rimane a circondarti, come l'azzurro del cielo che c'è anche se non si vede, anche se per un periodo, per del tempo, è nascosto.

Il cielo piange senza vergogna, gocce d'acqua che bucano gli strati di nuvole grige confondendosi con l'atmosfera, lavando visi e nascondendo lacrime.
La pioggia cade da cielo, semplicemente, non sapendo dove finirà, cosa incontrerà, chi bagnerà sulla la sua strada in discesa.
Un semplicemente pieno di contraddizioni, come il fondo di un lago visibile ma troppo lontano per essere raggiunto.

Plic.











































































***Non mi sono dimenticata. Ho dovuto mettere l'attenzione su altro... ed il tempo è passato.
Questo capitolo è diverso rispetto ai precedenti perché il tema, l'apatia, volevo che fosse percepibile senza perderlo troppo in vaghi pensieri o azioni. E' volutamente corto, e volutamente non dice niente di che, sottolineando la “noia” che possono provocare le giornate di pioggia ed i pensieri che ne derivano, solitamente, ma che alla protagonista piacevano.
Ringrazio chi legge, segue e gradisce queste shot abbastanza depressive – a causa del periodo di quando le abbozzai per la prima volta.
Grazie della pazienza.
Love, D.

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Capitolo 5
*** L - Libertà ~ Memories from the future ~ ***


Dhialya




L di Libertà
~ Memories from the future ~
[Past/Present/Future]



Quando le capitavano sotto mano certe immagini, certi paesaggi, non poteva fare a meno di pensare che una parte antica, antica ed inspiegabile, si mettesse a vibrare dentro di lei, come a reclamare di tornare, di appartenere a quei luoghi.
Era magico.

Era magico ed inspiegabile, e faceva male.
Faceva male perché sapeva benissimo che sarebbero per sempre state solo delle sensazioni.

E aveva iniziato a capire che probabilmente avrebbe solo dovuto smettere di voltarsi indietro, di chiedersi cosa ci fosse di perso e da ritrovare, ed andare avanti.

Non stava andando male, negli ultimi tempi.
Era come se mano a mano che il tempo passava gli eventi si posassero su di lei, come un manto leggero ed ottenebrante.
Certe volte si domandava come fosse finita in quelle situazioni senza nemmeno rendersene conto.
Un giorno era pieno inverno, quello dopo un soleggiata mattinata d'inizio estate.
E nonostante si chiedesse come ci fosse finita li, come fossero stati possibili certi miglioramenti – lo erano davvero? Non lo sapeva perfettamente – si ritrovava a sorridere e a crederci un po' di più.

Si, ogni giorno ci credeva un po' di più.

La sensazione di restrizione che provava certe volte si faceva leggera, molto leggera; era come se iniziasse a capire come farsela passare, anche se a volte tornava.
Tornava e disintegrava tutto ciò che nel tempo si era costruito.
Ma andava bene, perché ci aveva fatto l'abitudine. Nel tempo, nei giorni passati in un'aula, o la sera a leggere un libro, aveva imparato ad espandere quella gabbia che sentiva spesso premere sulla gola come a volerla soffocare.
L'aveva resa un po' più vivibile, non era più solo buio e paesaggi di morte: c'erano anche degli sprazzi di sole, e degli infiniti boschi autunnali, oppure cambiava e finiva davanti ad un'immensa distesa di neve, neve soffice e bianca.

Quella era la libertà che stava costruendo per se stessa, per riuscire a vivere, per continuare ad alleggerire il peso allo stomaco.

C'erano volte poi, le volte in cui tornava, approdando nuovamente alla realtà.
E si era accorta che la vita era andata avanti, che lei stessa era cambiata: non che non se ne accorgesse, solo che non lo credeva possibile e quindi non lo realizzava.
Perché si accorgeva di avere cose belle intorno a sé, cose belle a cui si era affezionata e che aveva l'immenso terrore di perdere.

Quella stessa paura per cui si era rifugiata nel suo mondo, anni prima, e che le aveva fatto quasi perdere lui; lui, perché lo aveva allontanato, lui che invece nel suo mondo ci era entrato e lo aveva capito, illuminato, non denigrato e non aveva preso lei per pazza.

Lui era come lei.


E per quello aveva la sensazione che le cose fossero giuste, per come si stavano evolvendo.
Ed il futuro faceva un po' meno paura, in quei momenti. 
Erano memorie dal futuro.
Come se lo avesse sempre saputo, come se non si trovasse davanti nulla di nuovo.
Come se non avesse aspettato altro per tutta la vita.

E si sentiva bene, immensamente bene, e non credeva che sarebbe riuscita nuovamente ad avere paura di morire, paura di lasciare qualcosa – qualcuno.
Non credeva perché lei la morte l'aveva aspettata, per un anno e più, e poi era andava avanti ad inerzia.

Era diverso, ora.
Diverso, e con la consapevolezza che si, era un tutto con niente di certo, però era in qualche modo giusto.
Si sentiva appartenere.
Appartenere a qualcosa, a qualcuno.
Ed era bellissimo, ed era euforica, perché stava andando tutto bene, tutto normale, con i normali alti e bassi che si possono avere nella vita.
Normali, ma nulla che la stesse trascinando inesorabilmente verso il basso e che lei assecondava, non ritenendo di avere motivazioni valide per opporsi.

E la libertà che sentiva scorrere dentro di lei era sottile, era sottile perché era come se le appartenesse, ma era più forte di ciò che aveva già provato; più forte, più presente, più viva.

Perché in quei momenti, quei momenti di tanti anni fa, era inconsapevolmente consapevole di stare vivendo e non aveva mai percepito la mancanza di quel pizzico in più che ti rende completo e ti fa stare bene.

Mentre quando le era mancato, quando lo perse irrimediabilmente e non riusciva più a trovarlo e quando lo aveva sentito scivolarle via; quando si era poi accorta che qualcosa si stava smuovendo, qualcosa stava rinascendo, era stato come avere una conquista enorme tra le mani.
Il sapere di poter ancora fare, di avere possibilità, di sentire la motivazione che lacera la pelle e ti costringe a camminare a testa alta – a testa alta quando per anni, per anni, hai abbassato lo sguardo e messo abiti troppo larghi.

E no, quella maglietta e quelle scarpe no, chi ti credi di essere? Non ti stanno bene, a te no.


Che poi faceva ancora un po' di fatica; aveva difficoltà a scegliere dei tipi di vestiti, o dopo averli comprati ad indossarli, ma cercava di fare del suo meglio per poter vivere appieno ciò che sentiva di avere. 

Che poi, vivere, cos'è?
Le domande retoriche non l'avrebbero mai abbandonata, lo sapeva.
I dubbi l'avrebbero accompagnata ed i sogni sarebbero stati infranti dall'illusione, la speranza sarebbe inacidita.

Però andava bene così, se quella era la libertà che si stava riprendendo, se così stava bene.
Andava bene così, perché almeno prima di sentirsi privata ancora di qualcosa, lo avrebbe vissuto in pieno.
Avrebbe continuato a costruire il suo mondo, avrebbe espanso la gabbia e modellata a suo piacere, avrebbe condiviso il suo modo di essere libera con chi, ed esclusivamente con chi, nell'entrare dentro di lei portava la luce, chiedeva permesso e non toccava le decorazioni.
Andava bene così.

























**Diversa da come me l'aspettavo. Meno depressa, diciamo, di come l'avevo in mente. Meglio così. ^^
Grazie della lettura, alla prossima.
Dhi. <3

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Capitolo 6
*** Y - Years ~ Day by day ~ ***


Dhialya




Y di Years
~ Day by day ~
[Past/Present/Future]



Tic. Toc. Secondi.

Sospiri, ti giri tra le coperte e ravvivi un po' il cuscino diventato ormai troppo piatto per i tuoi gusti; ti rigiri ancora, tornando alla posizione in cui ti eri trovava fino a pochi istanti prima.
Cambiare modo in cui stavi cercando di dormire ti aveva dato la sensazione come se stessi perdendo qualcosa, ed un vuoto si fosse fatto presente vicino o dentro di te.

Il silenzio della stanza è un po' inquietante, se ti ci soffermi a pensare, però ci sei abituata e cerchi di non farci caso, concentrandoti su pensieri belli e ragionamenti a cui puoi dare finalmente via libera.

 Secondi erano quei ticchettii incessanti che tuonavano nell'apatia di quella stanza.
Accade molto, accade tutto e niente, in un secondo. Accade che si può fare un errore imperdonabile che cambia il corso di tutto ciò che viene dopo.
Si accende una miccia che può rompere un mondo.


Tic. Toc.

Minuti.


Solitamente erano quelli che temeva di più.
Avevano il potere di passare e allo stesso modo non passare mai, rendevano lunghe e pesanti cose che si potevano risolvere e che sarebbero state in grado di risolversi nel giro di pochi istanti.


Tic. Toc.

Ore.


Una, due, sette, diciotto, venti.
Erano tante, erano le stesse ed erano sempre diverse, erano periodi di tempo marcati che continuavano a susseguirsi in un circolo quasi vizioso capace però di variare da un estremo all'altro.
Tutto uguale ma tutto diverso.
Le ore le parevano noiose, faticavano ad andare avanti durante la giornata e se aspettava qualcosa con trepidazione la infastidivano, perché la tenevano lontana da ciò che stava aspettando, come se dovesse scalare qualcosa su cui non aveva potere.


Tic. Toc.


Scendi dal letto ed il freddo che senti a contatto con il pavimento ti infastidisce momentaneamente, poi torni a poggiare i piedi con più sicurezza, abituandoti e beandoti di quel fresco che percepisci sulla pelle.
È bello, ti piace il fresco, il freddo.
Alzandoti sei leggermente malferma sulle gambe – la testa aveva leggermente girato e ti sembrava di non essere nel tuo corpo.
Eri come fuori, fuori te stessa, fuori dalla tua vita.
Pensi, mentre inspiri. Da quanto non mangiavi un pasto regolare?
Ti appoggi ai mobili per cercare sostegno nell'ombra e ti dirigi in cucina, gli occhi abituati ormai al buio e al percorso notturno da fare.


Giorni.


Erano un po' menefreghisti ed imbroglioni.
Imbroglioni, soprattutto.
E le facevano perdere tempo. O forse era lei che non sapeva gestirlo?
Era una cosa che doveva ancora capire bene.

Un attimo prima era mattina e poi si ritrovava nel pomeriggio inoltrato, oppure la sera era appena iniziata e già era diventata piena notte. Alle volte volavano, mentre altre sembravano dei macigni impossibili da mandar via.


Tic. Toc.

Settimane.


Quelle le piacevano.
Si, poteva ammetterlo.
Le settimane le piacevano, perché erano illusorie, ma riusciva a gestirsi bene, le davano la certezza di potersi organizzare e riuscire così a portare a termine tutto ciò che aveva da fare.


L'acqua fredda è un toccasana, per la gola irritata, e ti da subito sollievo nella secchezza che iniziavi a sentire e nella fatica a respirare che da qualche giorno percepisci.
Probabilmente era colpa del caldo, non hai ancora contattato la dottoressa.
Rimetti la bottiglia in frigorifero e stai attenta a chiudere bene lo sportello – ultimamente da problemi e sembra si apra da solo –, dopodiché torni in camera, sempre aiutandoti con i mobili ed il muro avvolta nel buio dell'appartamento.

Si chiedeva perché stesse ragionando su ogni componente del tempo che era in grado – o quasi – di gestire e con cui si ritrovava a fare i conti da sempre – e per sempre.

Le uniche conclusioni a cui era arrivata fino a quel momento era che, per prima cosa, il tempo non poteva controllarlo ma sicuramente avrebbe dovuto imparare a gestirlo meglio.
Era un obbiettivo che da tempo aveva in mente di fare, ma motivazione ed impegni vari non riusciva a sciogliersi ed attuare ciò che voleva.

Perché lo sapeva, che se avrebbe imparato a gestire il tempo che aveva a disposizione, sarebbe stata anche in grado di gestire tutto il resto degli impegni – e concludere qualcosa, o più di qualcosa, che da tanto voleva fare.

Per secondo, aveva capito che tutto il resto dei pensieri era una matassa unica, ingarbugliata e malata che nemmeno lei riusciva a decifrare.
Ed era meglio lasciarla dove stava.


Tic. Toc.

Mesi.


Tanto valeva finire il discorso con se stessa.

I mesi.
Li trovava così strani, i mesi. Un po' come i numeri. Alcuni le piacevano, altri li trovava irritanti.
Per i mesi, sicuramente aveva i suoi preferiti – come quelli invernali, come quelli autunnali. Soprattutto gli ultimi tre dell'anno, confine tra autunno ed inverno.
Avrebbe detto anche Gennaio se non avesse significato l'inizio di un nuovo percorso, un nuovo ciclo, nuovi compiti e simili.
Gennaio era quel tipo di mese che le stava simpatico ed antipatico insieme, come una persona su cui non sai che giudizio dare. Lo guardava circospetta, lo studiava e per certi aspetti lo apprezzava mentre per altri lo detestava.


Torni in camera e chiudi a porta, creando una bolla di spazio circoscritta e in cui sei presente solo tu.


Tic. Toc.

Anni.


Oh, anche quelli scorrevano.
Sembravano non passare mai e poi si ritrovava come fregata, mentre avanzavano; impantanata in qualcosa che la imprigionava sbattendola crudelmente nella vita e nello scorrere del tempo, nel doversi adeguare e andare avanti.
Il pensiero che faceva solitamente era che “c'era tempo”.
 C'era tempo perché un anno è composto da settimane, mesi e giorni, e sicuramente avrebbe trovato spazio per fare quello che doveva in tutta quella moltitudine di roba.

No.

Sbagliato.


Andavano avanti anche loro, lenti ma inesorabili.
E, sbagliando modo di approcciarsi alla vita, si ritrovava insoddisfatta e con il nulla tra le mani.

Chiudi gli occhi e sospiri pesantemente, decisa che vuoi dormire.
Ti scocciava star facendo quei pensieri quando invece avresti potuto riposare tranquilla, e non avevi voglia di ritrovarti a dover stare per forza alzata perché si era già fatta l'alba e addormentarsi non avrebbe avuto senso, a quel punto.

Almeno quello, il tempo, avrebbe potuto concedertelo, no?





















































Shot molto diversa dall'idea originale.
Tutti gli ultimi capitoli hanno subito come un “dirottamento”, nel corso del tempo, quindi è probabile che si noti il cambiamento tra i primi capitoli e da quelli dopo Apatia.
Spero comunque continuino ad interessarvi.
Grazie per la lettura. :)
Alla prossima, Dhi.

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Capitolo 7
*** A - Amicizia ~ Prospective of a new life ~ ***


Dhialya.



A - Amicizia
~ Prospective of a new life ~
[Future]




Oh mannaggia, perché?

Pesti un piede per terra lanciando lontano un sassolino, ansiosa, mentre controlli l'orario sul cellulare e smani dall'idea di iniziare a toglierti le pellicine intorno alle unghie.
Lo fai sempre quando sei nervosa, - e in quel momento lo sei decisamente, mentre continui a fare gli stessi gesti in modo veloce e a scatti.
Però hai anche deciso di provare a perdere il vizio, cosa non facile, quindi cerchi in tutti i modi di distrarti per non pensarci. - Entrando nel circolo vizioso di controllare cose immaginarie sul cellulare, sistemarsi i capelli, controllare l'abbigliamento o cercare qualcosa di non definito sul fondo della borsa.

Perché a me?


E' la domanda che ti ripeti da quando sei uscita di casa. E prima, mentre ti preparavi. Ed ancora, i giorni precedenti a quello.
In realtà te lo chiedi da quando hai accettato, domandandoti se per qualche strano caso dell'universo la tua mente si fosse per caso azzerata proprio in quel momento per lasciare posto ad un criceto che non sa usare la ruota.

Stupida, stupida.

Batti una mano ripetutamente sulla fronte ma poi ti fermi, accorgendoti che dei signori ti stavano guardando con apprensione, come se avessi bisogno di aiuto.

Merda.

Avvampi e sorrisi imbarazzata, voltando lo sguardo dalla parte opposta ed appoggiandoti ad un palo.
Cerchi di respirare piano, per raccogliere un po' di calma.

Magari nemmeno viene.


-Scusa il ritardo! Hai aspettato molto?-

Doppiamente merda.


Trasali e ti giri, forzando il sorriso ed incassandoti nelle spalle.
Solo un venti minuti buoni, ma è colpa tua e dell'agitazione, che ti ha fatto preparare un'ora e mezza prima del necessario.

-No, tranquilla-.

La guardi, studiandola per bene come non avevi fatto in precedenza mentre lei controlla qualcosa sul cellulare. Ha il viso delicato ed il corpo da fata, piccolino e aggraziato, gli occhi dolci e un sorriso accennato.
Ti senti tanto goffa ed insulsa, a suo confronto, come un troll di montagna.
In realtà ti sei sempre sentita goffa ed insulsa in confronto a chiunque.
Ecco perché eviti confronti e cerchi di stare lontana dalle persone.
Quello era stato un errore. Tu non dovresti essere li. Non dovresti in ogni modo essere li con qualcuno presumibilmente sconosciuto, non cerchi nuovi rapporti – o almeno così ti grida una voce pressante nella tua testa.


Cerchi di scappare dal vociare presente nei corridoi e nelle classi muovendoti tra i gruppetti di alunni quasi disperatamente, cercando di mascherare la voglia di metterti a correre per andare via il più velocemente possibile da quella gabbia infernale.

È mentre sei fuori e sospiri di sollievo che accade quello che per te è un vero disastro: stavi cercando una canzone sul lettore musicale e accennavi qualche passo indeciso, non guardando la direzione in cui ti muovevi, e finisci per sbattere contro qualcuno.

Il cuore di balza in gola prima che tu possa fermarlo e calmarti, e le mani iniziano a tremare, il senso di colpa che dilaga e ti manda in panne.

-M-Mi dispiace!- Esordisci, avvinandoti alla tua vittima non prestabilita e guardando intorno se altri ragazzi osservano la scena. Qualcuno è stato attirato dall'accaduto, ma torna veloce a confabulare; nonostante quello, vorresti infossarti nel terreno e sparire.

È il mugolo che ti arriva alle orecchie che t'impone di non svignartela.
La ragazza è circondata da libri e mugola dolorante massaggiandosi un fianco.

-Dannazione, stai più attenta!- Indietreggi, non sapendo cosa fare per scusarti e come approcciarti: sai di aver sbagliato e di essere stata sbadata.

-Si, hai ragione- Ingoi un boccone amaro durante quell'affermazione.

Solitamente non vuoi avere torto, ti brucia da morire.
Quel giorno però non ne hai voglia, ne ti viene da inveire contro la ragazza dicendole che, almeno lei, poteva vedere se stava andando contro qualcuno o poteva portare qualche libro in meno.

Inizi a raccogliere i tomi sparsi in giro prima che possano venire calpestati da coetanei distratti. Vorresti aiutarla ad alzarsi, ma il tuo corpo è come bloccato e le braccia non si allungano verso la sconosciuta.
Le lanci un'occhiata, mentre è ancora a terra. Sta soffiando sugli occhiali, e non puoi fare a meno di chiederti come mai non si sia ancora alzata.
Come avendoti letto nel pensiero raccoglie i libri più vicini a se stessa e ti guarda, lanciandoti un'occhiata storta.

-Mi spiace, davvero- Ti avvicini mentre si tira in piedi, stirandosi la camicetta, e le porgi il tuo raccolto.
Lei ti guarda, e allora lo noti: un luccichio nel suo sguardo, e un'espressione indecifrabile sul viso. Non sorride, però non sembra nemmeno seria.

-Va bene, ti perdono. Però ad una condizione-

Cosa?

Alzi un sopracciglio, determinata a non cedere e chiedendoti cosa possa passarle per la testa.

-Spara- Esali, chiudendo gli occhi ed espirando leggermente. Poggi il peso su una gamba, mentre ti rendi conto che la musica continua ad andare.

-Vieni a fare un giro come me al centro commerciale, questo sabato- Strabuzzi gli occhi e la guardi, credendo di aver capito male.

-Prego?- Sorridi sghemba per non scoppiare a ridere di nervosismo.

No.
Ma proprio no.
Non se ne parla proprio.
Ne di un pomeriggio forzato in giro per negozi, né di un giro forzato in giro per negozi di sabato pomeriggio con una a cui sei sbattuta contro per sbaglio.

-Vieni a fare un giro con me. Così sarai perdonata del tutto- Sorride, sorride semplicemente senza ghigni o smorfie strani, e capisci che non scherza. -Dai, me lo devi!-

Da quando, precisamente? Vorresti domandare a quella sua affermazione per convincerti maggiormente.


Ok, va bene.


La sua richiesta ti pare strano e inusuale, però, guardandola bene, tutta la sua persona ti pare un po' particolare.


Posso sempre inventarmi un impegno improvviso e venire via prima – o non andare del tutto.


Convinta della tua astuzia sfoggi un sorriso determinato.

-Perfetto, ci sto-.


Hai accettato perché, in qualche antro oscuro dentro di te, qualcosa aveva vibrato.
Paura, forse?
Un ignaro senso di terrore per quello sbaglio che ti avrebbe seguito per giorni.
“Quella strana che fa pure cadere la gente e non si scusa”.
Ti sembrava quasi possibile udire i bisbigli e le voci maligne che si sarebbero potute spargere su te e che ti sarebbero state dette dietro, tra risate beffarde e ghigni mal trattenuti di sbeffeggiamento.

Quindi in qualche modo ti eri sentita in dovere ti scusarti, per restare in pace con te stessa e la tua coscienza e poter continuare la tua vita tranquilla e serena.
Un po' egoista e un po' altruista.

Le persone ti avevano sempre deluso, quando ti aspettavi gesti da loro e le tue speranze venivano infrante ci rimanevi male.
Non volevi più fare quella fine, per cui ti eri allontanata da tutti e avevi smesso di aspettarti qualcosa dagli altri; e allo stesso tempo di dare, o fare favori.

Senza qualcuno da cui aspettarti qualcosa evitavi di venire delusa.

Quindi, perché ti trovavi li?
Forse una forza che ti aveva spinto ad accettare, tipo un sesto senso.

Perché una ragazza così carina e con carattere doveva chiedere proprio a te di passare il sabato pomeriggio con lei?
Forse c'era altro dietro.
Volevi sapere.
Ma, come al solito, non ti aspettavi nulla da quella giornata.

Ti aveva detto nei giorni seguenti che sareste state solo voi due, e di non preoccuparti di possibili presenze fastidiose ed inopportune. Ti salutava e ti aveva dato il numero di cellulare per rintracciarla, in caso di problemi.

Se ci fosse altro, dietro?

Lo avevi sempre pensato che era particolare, da quando ci avevi sbattuto contro.
Era stato un incontro insolito – e chissà, se ce ne fossero stati altri, come sarebbero andati. Forse sareste finite a rotolare giù dal marciapiede?

Ti viene da ridere ma ti trattieni, posando lo sguardo su di lei, che sta rimettendo il cellulare in borsa e ti rivolge un sorriso mimando uno “scusa”.
Scuoti la testa, per niente disturbata – anche tu eri persa via, dopotutto.

-Non ci siamo presentate a dovere, quindi ricapitoliamo- Si sistema il giubbetto, lisciandolo lungo il busto e si schiarisce la voce, per poi alzare il mento sicura ed inchiodarti con lo sguardo.

Non puoi scappare, non più.

-Io sono Demetra, piacere-.

Ti sorride, porgendoti una mano, in un chiaro implicito messaggio di esporti, per una volta, di crederci. Sembra tanto dirti di provare a tenerti stretto ciò che è tuo e non lasciartelo strappare via, di provare a goderti quello che ti viene offerto.
Di combattere per iniziare vivere veramente, e non scappare solo nei mondi di musica e libri – per quanto, sai, anche a lei piacciano.

-Tu?-

E ti sembra tanto un faro venuto a salvarti dal buco nero che ti stava divorando.

E quei pensieri erano strani, totalmente in direzione opposta a quelli soliti a cui era abituata.
Ma non ci vuoi pensare.
Sei fuori, ti sei preparata, è sabato pomeriggio.

E va bene.

-Dhialya-.























































Ehhhh raccolta giunta al termine. Che soddisfazione. :')
Il “lieto fine” era già da tempo stato deciso dall'inizio della pubblicazione. Poi non si sa come va, non si può prevedere. Come scrissi nel primo capitolo, ogni flash può avere un'interpretazione a se, quindi storie di varie protagoniste oppure solo di una in vari momenti della sua vita.
Vi ringrazio tanto per avermi seguito in questa storia, ringrazio per la lettura e l'attenzione; e grazie anche a chi, in un futuro, passerà a leggere questi capitoli o lascerà un pensiero.
With Love,
Dhi.



Per chi fosse interessato, altre storie in corso:
Le Cronache di Narnia: Narnia's Spirits / Essence
Zero no Tsukaima: Mizu no Chikai

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