Dhialya di Dhialya (/viewuser.php?uid=70910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** D - Delusione ~ When the heart is broken ~ ***
Capitolo 2: *** H - Happy Ending ~ Life is not a fairy tale ~ ***
Capitolo 3: *** I - Impassibile ~ The feelings are dead ~ ***
Capitolo 4: *** A - Apatia ~ The life has not sense ~ ***
Capitolo 5: *** L - Libertà ~ Memories from the future ~ ***
Capitolo 6: *** Y - Years ~ Day by day ~ ***
Capitolo 7: *** A - Amicizia ~ Prospective of a new life ~ ***
Capitolo 1 *** D - Delusione ~ When the heart is broken ~ ***
Dhialya
D di
Delusione
~ When
the heart is
broken ~
[Past]
Cammini
velocemente e a testa bassa per la via trafficata della
città, non badando al sole che hai contro e che ti sta
lentamente uccidendo gli occhi.
Ti tieni vicino al fianco la borsa a
tracolla che porti, torturandone i bordi quando ti senti messa in
soggezione o devi oltrepassare gruppi di ragazzi pressoché
coetanei.
Ti morsichi un labbro, nervosa, mentre procedi spedita
superando un ennesimo trio di questi.
Lo sai, che cos'hai.
Lo psicologo
te lo ho fatto notare in una delle tante sedute, che a parer tuo non
sono servite a nulla.
Parlavi, parlavi e parlavi, lui ti guardava e
scriveva qualcosa, ma tu non ci ricavavi nulla se non un momentaneo
sollievo.
Destinato a finire, come tutto ciò che fa parte
della tua vita.
Traffichi fintamente interessata cercando qualcosa
nella borsa, mentre cerchi di tenere la mente occupata e distratta.
Distratta da quegli occhi che ti sembra stiano osservando solo te.
Distratta da quel senso di panico ed inquietudine che ti prende ogni
volta che ti trovi, da sola, in mezzo a tanti altri. Quando capisci che
tu sei completamente
sola, in quel grande mare che è la
vita, mentre loro no.
Fobia sociale. Ansia.
Attacchi di panico.
Hai un
lieve accenno di fobia sociale, contornata da attacchi di panico.
Sorridi di scherno impercettibilmente, al ricordo.
Hai passato di
peggio, vero?
Questa è solo l'ultima frase della lunga lista
di eventi.
Cosa sarà mai, il senso di ansia che ti prende
ogni volta che devi andare a scuola o in luoghi affollati, contro il
dolore della perdita, della delusione,
del sapere che la strada che hai
preso non ti condurrà da nessuna parte?
Cosa
potrà mai toccarti ancora?
E' stata la goccia che ha fatto
traboccare il vaso, costringendolo ad aprirsi.
Ti senti diversa.
Forse
perché sei
diversa?
Una parte di te se ne è
andata quando eri piccola, seguita da un altro pezzettino un anno e
mezzo dopo.
E quello, il secondo, fu
straziante. Avevi l'età
per capire che non sarebbe più tornato.
Ricordi tutto.
Precisamente.
Gli ospedali con i loro giardini dall'aria fintamente
tranquilla, la carrozzella, il sapore della cioccolata presa dalla
macchinetta nei pomeriggi d'ottobre...
Scuoti la testa, cercando di
scacciare quei ricordi che però si annidano li, davanti agli
occhi come ad invitarti ad andare avanti a rivivere quei momenti.
Fanno
parte di te, non puoi farne a meno.
Ricordi di un passato
macchiato di
ombre e sangue rappreso che vanno ad incrostare il cuore.
Gli occhi si
strizzano per cercare di ricordare più particolari
possibili, nonostante tutto.
Un solo anno e mezzo prima, invece, avevi
preso l'altra notizia come un gioco, non ci volevi credere.
Perchè era impossibile, non poteva capitare a te. Quegli
eventi capitano agli altri.
Da non credere come si
cambia in un anno,
vero?
Svolti un angolo per poter prendere una strada meno affollata, ma
che ti porterà lo stesso dove vuoi arrivare, incurante delle
case abbandonate e dall'aria tetra.
Ti piace, l'aria tetra; ti fa
sentire una presenza viva in mezzo a tante ombre.
Stropicci gli occhi
ringraziando il buio che ti fanno i tetti ravvicinati, cercando di
mettere a fuoco ciò che sta davanti a te, mentre maledici il
sole così forte che ti fa venire anche mal di testa, e
ripiombi nei ricordi.
Ci fu, durante il periodo delle elementari,
l'altra famiglia.
Li adoravi, non è così? Certo
che li adoravi.
Stravedevi per loro, che ti trattavano come se fossi
una loro parente veramente.
I figli che consideri, ancora dopo tutti
questi anni in cui non li senti, come i fratelli che non hai mai avuto,
la compagnia di amici che hai desiderato ma che non sei stata in grado
di crearti.
Stavi bene quando eri con loro, ti sentivi realmente a
casa. Più che con coloro che sono legati a te con il sangue.
Non puoi dire che hai passato ogni giorno d'inferno, hai anche dei
teneri ricordi della tua infanzia, che se potessi torneresti indietro
per rivivere in ogni attimo, in ogni sorriso, in ogni respiro.
Solo che
sono più quelli tristi che quelli felici.
Ecco,
ciò che ti ha mandato in panne quando te ne sei resa conto
qualche tempo fa.
Il botto di ricordi ed eventi che ti è
scoppiato in testa, creando una grande nube che ti ha ostruito la vista
del presente che stavi vivendo: come continuare, ora che te ne eri resa
conto veramente?
Fare finta di nulla o ribellarsi, farlo pesare su
coloro che ne erano la causa?
Giri l'ennesimo angolo e ti
ritrovi fuori dalla via, con il sole nuovamente contro.
Sospiri
pesantemente, mentre ti chiedi perché stai andando li. Non
ci vai mai, neppure per le feste come Natale o Pasqua.
Pensi che non
serva andarci, tanto loro non torneranno indietro e non verranno ad
aiutarti.
Eppure quella mattina ti sei alzata e la prima cosa che ti
è venuta in mente è stata di andare a fare un
giro.
Un giro fuori casa, ascoltando i rumori di coloro che vivono, una
passeggiata che ti avrebbe condotto senza volerlo in quel luogo.
L'istinto ti ha guidata, e tu lo hai ascoltato, per una volta.
Ancora.
Hai un fremito interno quando ti rendi conto di quello che stai
facendo, e il tuo corpo ha un impulso automatico di girarsi e tornare
indietro.
Per scappare.
Per tornare a casa, nella tua stanza, un luogo
sicuro e chiuso agli altri.
Perchè tanto andare li non
serve.
Tiri un calcio ad un sassolino, annoiata, e ti decidi a
continuare la camminata dopo un pesante sospiro.
Devi farcela, non puoi
andare avanti così: non puoi continuare a scappare, non puoi
continuamente credere di essere messa continuamente sotto tiro dagli
altri; che lo sai
benissimo, hanno decisamente altro a cui pensare.
Continuasti a vivere nel tuo mondo di bambina, nonostante tutto, quello
fantastico e personale, in cui tutto andava bene e tu potevi fare
quello che volevi.
In cui la realtà non era che un effimero
angolo nella tua mente, talmente piccolo da non badarci e non renderti
conto che la vita, quella vera, cruda e spietata, iniziava a chiamarti
a sé.
Che aveva iniziato a girarti intorno continuamente, in
attesa di poterti lambire come il cacciatore con la sua preda.
E quando
tutto il tuo mondo andò in frantumi fu un trauma, una bomba
che si era innescata ed aveva iniziato il conto alla rovescia per poter
scoppiare.
Una mina vagante destinata a scontrarsi prima o poi con
qualcosa.
La vita reale ti aveva richiamato a sé nella
maniera peggiore possibile, di cui continui a portarti le cicatrici
senza che all'inizio te ne rendessi conto.
Niente sarebbe stato
più come prima.
Nemmeno tu.
Hai passato tre anni a continuare come se
niente fosse, mentre i segni bruciavano e i ricordi se ne andavano, per
poi tornare limpidi e chiari.
Ti sei resa conto che in qualche modo non
sei normale, vero? Fin da piccola non lo sei stata, ma non te ne eri
mai resa conto fino a quando non hai dovuto prendere in mano le redini
della tua esistenza, qualche tempo fa.
E ciò non ha fatto
altro che scombussolarti di più la vita che stavi
conducendo, mettendoti davanti ad un muro impenetrabile, circondata da
un nero profondo e cupo che lentamente ti divorava.
Giocava con te,
illuminandoti fiocamente delle strade percorribili per poi mangiarsele,
lasciandoti nel bel mezzo del nulla, ad osservare il vuoto assoluto.
Un
centinaio di metri ti dividono da quel posto, e con sollievo noti che
sei quasi arrivata, mentre percorri l'ultimo pezzo di strada sotto il
sole cocente.
Quanto vorresti un bel grigio uggioso, con quell'aria
fredda che porta il sapore della tempesta, in quel momento...
Sorpassi
il cancello d'entrata, mentre delle occhiate curiose si posano su di te
discretamente, chiedendosi forse cosa ci fa una ragazza come te e della
tua età in un posto simile, invece che essere a casa a
studiare o in giro con gli amici.
Che tu non hai. Quella è una nota che ti sei
segnata per bene nella testa: non hai una vera
compagnia di amici.
Ora sai su chi puoi contare davvero, chi sarebbe li
per te e a discapito dei suoi impegni, a capirti con uno sguardo.
Nessuno.
Nessuno tranne te stessa, presenza che ancora fatichi a
capire.
I sassolini che formano le stradicciole tra le lapidi sotto i
tuoi piedi scricchiolano e si muovono, rendendoti la camminata come al
solito particolarmente instabile, e ti sembra di sprecare moltissime
energie per cercare di non perdere centimetri a causa del fatto che
rotolano via ogni volta che ci posi sopra un piede.
Quando arrivi alle
due solite postazioni ti siedi sul muretto alla tua sinistra e che
divide quella dall'altra corsia, poco più sotto a causa
della forma a scala del cimitero, mentre alla destra l'odore dei vari
fiori ti arriva al naso. Nauseante.
Osservi le foto incastrate sul muro
grigio chiaro, poco nitide a causa dei riflessi che da la luce del sole
alle tue spalle.
Più le vedi, più ti sembrano
sfuocate, sbiadite, dei ricordi destinati ad annullarsi: lo hai notato
anche con le foto di famiglia.
Perché sono, ai tuoi occhi,
così poco nitide?
Il silenzio ti avvolge, e senti
distintamente i battiti del tuo cuore lenti, quasi annoiati; il
suono che fa la tua mente quando i tuoi i pensieri s'intrecciano in
complicate costatazioni, che tu non stai seguendo, per poi sciogliersi
e perdersi nuovamente.
Senti un magone alla bocca dello stomaco che ti
blocca il respiro, un nodo in gola che si forma in automatico e un peso
al cuore che te lo fa cedere in una voragine bollente. Non vorresti, ma
non puoi fare a meno di pensare a loro, a ciò che li ha
aspettati quando hanno chiuso gli occhi.
Loro che mancano, loro che ti
hanno lasciata, loro che ti guardano impassibili da due fotografie ma
non possono aiutarti e sentirti.
Che cosa avranno provato in quel
momento?
Non lo sai, ma continui a torturandoti, chiedendoti cosa ci
sia dopo, se sia veramente così bello come dicono.
Bugiardi.
Un senso di panico ti monta dentro, mandandoti in confusione, a quei
pensieri.
Gli occhi iniziano a bruciare, mentre delle gocce salate
fanno capolino da dentro la te stessa più sconosciuta,
mostrando quel tuo lato che hai costantemente tenuto chiuso a chiave.
Dentro di te hai due personalità opposte, in continua lotta
tra loro: strafottente, allegra, impulsiva e che non si lascia toccare
da niente, quasi da sembrare superficiale, una; insicura, sensibile e
facile da colpire, chiusa nella sua testardaggine l'altra.
Ciò che le unisce, però, sono le lacrime che
entrambe riescono sempre a versare, anche se non vorresti,
l'infiammabilità della parlantina quando parte e la gelosia
nei confronti dei propri pensieri quando qualcuno cerca di capirli.
Piangi?
Le gocce salate che hanno il sapore di amarezza e tristi
ricordi ti bagnano le guance, mentre continuano il loro percorso fino
a scontrarsi con il terreno sotto di te.
Segnano un'ennesima
realtà, che tutto ciò che conoscevi è
cambiato, ha preso la svolta che ognuno, prima o poi, è
chiamato a fare.
Ma tu non la volevi quella svolta che ti ha rotto
l'equilibrio che tanto ti eri costruita intorno dopo l'ultima rottura.
La svolta ti ha rovinato per l'ennesima volta la vita, mandando tutto
all'aria.
Sei delusa da ciò che ti circonda?
Sola.
Sei
restata completamente sola, senza amici e con l'ombra di una famiglia
che sembra tale ma non lo è.
Senza nessuno che ti capisce,
che non riesce ad intuire i tuoi pensieri e che se lo fa non
è mai nel modo in cui tu vorresti, perché manca
sempre quel qualcosa che non riesci a definire.
Il tuo sentirti
costantemente chiusa in un mondo che non è tuo, in una vita
che non ti appartiene, in cui ti sembra di essere una povera stupida
che non capisce nulla.
Sei delusa da come gli eventi hanno movimentato
la tua vita?
E ti chiedi che cosa hai fatto di male per meritarti una
vita simile, domandandoti se le cose sarebbero migliori se i fatti si
fossero svolti in maniera diversa già dai primi anni in cui
hanno iniziato ad incrinarsi.
Perché tu dovevi reagire: se
lo avessi saputo, se avessi avuto un approccio diverso nei confronti
degli eventi passati, qualcosa sarebbe sicuramente andato diversamente.
Magari di poco, ma quella piccola percentuale che riesce a far vedere
le cose in maniera più positiva o negativa.
Se in questo
momento saresti felice, con un obbiettivo ben in testa ma che hai perso
di vista.
Oppure sei Tu stessa, la tua personale
delusione?
Perchè tutto non ha più senso. Forse non lo ha
mai avuto.
Di una cosa, però, sei sicura: è
venuto il momenti di reagire.
***Eccomi
con una
nuova raccolta, ora che ne ho conclusa un'altra. Dunque, l'avevo
già pubblicata qualche mese fa, questa prima shot, quindi
magari qualcuno che l'aveva letta se la ricorderà,
però poi ho deciso di cancellarla e attendere prima
di ripubblicare nuovamente, perché non riuscivo
più a scrivere.
Difatti, ci sono vari progetti che attendono
la pubblicazione negli antri del mio pc, ma aspetto per evitare di
incorrere nel brutto vizio
metti e poi cancella, perché vedere storie li sospese e in
attesa
di aggiornamento mi da fastidio.
Anyway, passiamo ad altro: la raccolta
è composta da sette one-shot, più o meno
introspettive. Le protagoniste di ogni singolo capitolo, - come
già avevo detto, ma fa niente -, possono essere considerate
ogni volta
diverse, per poi mettersi tutte nell'ultima frase dell'ultima shot,
oppure può essere considerata sempre la stessa protagonista
che vive diverse esperienze. A voi libera scelta :)
Per il momento non ho molto da dire, se non che spero di non incorrere
in ritardi negli aggiornamenti a causa degli impegni.
Cercherò di essere regolare, promesso!
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio per aver
letto.
Love,
D***
|
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Capitolo 2 *** H - Happy Ending ~ Life is not a fairy tale ~ ***
Dhialya
H
di Happy Ending
~
Life is not a fairy tale ~
[Present]
Lo
schermo
del computer acceso illumina la stanza altrimenti quasi completamente
al buio, fatta eccezione per un filo di luce del lampione che proviene
dalla finestra con le imposte semi-chiuse.
Ti piace il buio.
Ti senti
al sicuro quando sei lambita da esso, senza nessun'altro visibile
attorno.
Ultimamente più di prima.
Vivi di buio, le ombre
sono le tue migliori amiche.
Lo sono sempre state, anche se non lo
sapevi.
Batti qualcosa sulla tastiera, giri per siti smorzando le
curiosità che ti nascono sul momento.
E intanto la tua mente
vaga altrove, intonando silenziosamente alcune note e parole delle
canzoni che ascolti ultimamente e che senti particolarmente vicine a
te.
Ti rispecchiano, sembrano aver capito tutto di te, che raccontino
la tua vita.
E' bella la musica; vivi di musica; ti aiuta la musica; si
conserva nei tuoi ricordi, la musica.
E mentre nella stanza si sente
soltanto il ronzio del computer che potrebbe essere assorbito dalle
pareti anonime della camera, nella tua testa c'è il
fermento, una piena attività di pensieri e musichette.
Se la
vita potesse avere delle musiche come colonne sonore, compagne quando
accadono episodi particolari, tu saresti contenta.
Ne avresti giusto
alcune da assegnare a determinati fatti che ti sono capitati o che la
tua fantasia si diverte ad immaginare. Impossibile che si avverino, ma
se si potesse avere una canzone come sottofondo, allora magari
potrebbero capitare.
Sulla cartella dei giochi ci clicchi quasi per
sbaglio, in un movimento del cursore non calcolato quando ti sporgi per
prendere una penna e segnare degli abbozzi su un'agenda, quasi piena di
disegni e scritte poco chiare che non riesci più a
decifrare, anche se non hai fonti di luce più forti.
Così, quando la tua vista torna sullo schermo dopo aver
scritto un paio di righe poco chiare – e che, sei sicura, se
non trascrivi il prima possibile finiranno nel dimenticatoio come le
altre – ti ritrovi davanti la cartella dei giochi con quello
degli scacchi evidenziato di blu ma non ancora aperto.
Mediti.
Non sei
mai stata molto brava a scacchi, forse perché ti capita poco
di usare la logica prima di fare la tua mossa.
Perché se ci
rimugini troppo sopra non combini niente, quindi agisci.
Ci pensi dopo,
però, e spesso è già troppo tardi per
frenare le conseguenze che il tuo gesto poco pensato e analizzato
avrebbe comportato a te e a chi ti sta intorno di positivo e negativo.
Anzi, non hai mai vinto, a scacchi.
Magari, pensi, provare
potrebbe aiutarti.
Come esattamente non lo sai, ma il solo provare a
meditare prima di fare una mossa potrebbe essere uno spunto per il
prossimo futuro.
Non sia mai che il gioco ti faccia un'iniezione di
calma, risolutezza e responsabilità.
Clicchi, e la partita
inizia.
Ci metti qualche minuto a ricordare bene i movimenti che
possono fare le varie pedine, e per questo dopo cinque minuti hai
appena spostato tre pedoni in avanti di un solo passo, anche se potevi
farlo di due caselle come prima mossa.
Ma, secondo te, muoversi
così è un modo troppo lento, vorresti osare di
più, attaccare subito.
E sbaglieresti, lo sai.
Le volte che
hai provato ad attaccare, a reagire, hai combinato dei disastri.
E solo
in quel momento ti rendi conto che non sei stata solo tu la vittima dei
tuoi stessi gesti.
Che non solo tu hai perso, hai sofferto e pianto.
Anche le altre, ma magari erano talmente brave a nasconderlo con
l'indifferenza che a te sembravano essere state solo delle maschere,
che le persone che ti eri trovata davanti non erano altro che
sconosciute: non mostrano tristezza, quindi è colpa loro.
No.
Non possono non essere state segnate.
Anche solo in minima parte
qualcosa devono aver provato: dispiacere, un pizzico di delusione.
Qualcosa.
O forse davvero non hanno mostrato niente perché
non erano tanto coinvolte da poter provare qualcosa quando hanno
iniziato a rompere tutto.
Quando, alle elementari, la tua prima lei
aveva attaccato per non perderti, troppo gelosa nei tuoi confronti per
condividerti con qualcun'altra, la tua vita, i tuoi giorni di scuola
erano diventati incubi: pizzicotti, litigi, oppressione, ricatti.
Cose
da bambini, sciocchezze
pensavi.
Sapevi che non era normale, ma tu eri
sempre stata una debole.
E lei era la tua prima migliore amica da
quando eri nata.
E tu ti facevi valere, poi lei ti diceva scusa e si
metteva piangere perché eri arrabbiata con lei, allora la
perdonavi – ed eri tu a scusarti con lei.
Forse era una
qualche forma di bullismo o solo una sua fragilità che
veniva fuori?
Non lo sai, però sei sicura di una cosa: le
persone possono essere cattive, meschine, ti possono calpestare per
ragioni che non sai, per loro paure.
Ma con lei non puoi avercela.
Le
vuoi bene ancora dopo tutti gli anni trascorsi, se la trovi in giro
sembra quasi non essere cambiato nulla, tranne che ognuna ha preso la
propria strada.
È una cosa bella, ti fa vedere quegli anni
con un po' di nostalgia ma sei contenta che siano passati, andati via e
lontani.
Anche se in realtà non sono così tanti a
te sembra di star vivendo un'eternità.
Dov'è la
fine?
L'uscita da questo labirinto?
Non riusciva a capirsi, si perdeva
nei suoi stessi pensieri e ormai stava muovendo i suoi scacchi virtuali
solo per inerzia, con la voglia di mangiare più pedine
avversarie possibili per affermarsi.
Non capiva come potesse sapere di
avere sofferto per colpa loro e non considerarle lo stesso colpevoli;
non capiva come, sapendo di aver sofferto ma di non essere stata
l'unica, potesse comunque ritenerle in parte responsabili dei loro
allontanamenti e delle rotture irreparabili che c'erano state.
Era
strano.
Era un controsenso che, per l'appunto, non aveva nessun senso.
Oppure stava ragionando troppo di logica e doveva solo rilassare la
testa.
Mentre la tua vita continuava tranquilla, è arrivata
lei come un uragano.
All'inizio non la sopportavi, non la calcolavi.
Poi l'hai amata – di bene – come solo con una
persona speciale, che ti capisce con un solo sguardo e che inizia a
condividere tutto con te, si possa fare.
L'adoravi, era diventata il
centro del tuo mondo.
Che grosso errore far credere una persona tanto
importante.
Poi, quel giorno.
Quella piccola frase detta in
più e l'inizio di un atteggiamento distante.
In due ore era
crollato tutto.
Due ore.
E addio ricordi e momenti passati insieme per
mesi.
Due fottutissime ore.
E un'ora l'avevi passata a piangere in
mezzo al cortile, con lei che ti sputava addosso cose che ti avevano
messo in bocca ma che tu, anche se le avevi pensate in passato senza
mai averle detto davvero – troppo codarda per farlo
– non avevi mai confessato, senza avere la
possibilità – né la voglia, troppo
indignata per ciò che stava accadendo – di
ribattere.
Per quello pensavi – pensi. Non sai dire se
qual'è la tua linea di pensiero – che
l'indifferenza con cui ti aveva negato la fiducia fosse solo la
conferma che lei era esattamente come l'avevi immaginata e come
tutt'ora alcune persone la descrivono: le piace sentirsi importante, le
piace sentirsi al centro del mondo e mettere i piedi in testa a tutti,
le piace quando le persone cadono ai suoi piedi – lo ha
sempre fatto, con i ragazzi –.
Tu non eri stata altro che
l'ennesima persona che le era andata vicino.
Però era
vero.
Sembrava tutto così vero.
Siete passate all'evitarvi
nuovamente, a guardarvi come due persone che non si non mai conosciute
davvero.
E hai iniziato ad evitarla il più possibile, a
sentirti sotto pressione in sua presenza.
E da li niente è
più stato come prima.
Ti dispiace averla persa.
Davvero.
Ti
manca tanto.
Se ci pensi più di prima.
Non sei mai riuscita
ad ammetterlo, perché ogni volta che la vedevi non potevi
far altro che pensare alle lacrime che ti aveva fatto versare, a come
da stupida ti stavi allontanando da un'altra tua parte di anima per una
che alla prima crisi ti ha lasciata indietro tornando a credere al suo
gruppo di iene.
Iene, davvero, non smetterai mai di pensare
così riguardo loro.
Ne hanno approfittato per dividervi, e
alla prima occasione ognuna di loro ha preso la sua strada, facendosi
nuove
conoscenze, spezzando quel gruppo che sembrava tanto unito.
Era entrata
dentro di te come un uragano, un legame nato per caso – forse
era per il caso che non era destinato a durare.
Non lo ammetterai mai
in pubblico, ma dentro di te ne hai una vaga certezza: ti manca.
Ti fa
male che quando v'incontrate per caso a mala pena vi salutate.
Ti
dispiace che lei si sia fatta, molto probabilmente, un'idea sbagliata
su di te.
Ma il passato è
passato.
Ti sarebbe piaciuto,
però, vedere come poteva essere il tuo futuro se non si
rompeva nulla.
Probabilmente avreste frequentato le stesse scuole
superiori, però ti saresti allontanata da tre persone che
ora sono tra le più importanti della tua vita.
Due non
avresti nemmeno avuto l'occasione di conoscerle, legami nati per caso e
che sei intenzionata a non perdere per nessuna ragione al mondo.
Forse
alla fine non c'è niente di male nel come sono andate le
cose.
I fatti accadono, in parte siamo noi che li facciamo avvenire:
come se senza saperlo seguiamo la pista che il destino ci ha lasciato
per arrivare ad un punto ben preciso, per capire cose che forse,
altrimenti, non avremmo mai saputo, non avremmo mai vissuto.
Deve
essere qualcosa di magico e inspiegabile.
Torre mangia pedina.
Regina
mangia torre.
Che stupida, come hai fatto a non vedere che quella mossa
ti avrebbe lasciato scoperta?
Eri troppo presa a pensare alle cose
fatate del fato.
I tuoi scacchi sono decimati, la partita è
destinata a finire e non in tuo favore.
La vita non è un
film, non ci sarebbe stata nessuna rimonta finale, nessun intervento
divino di qualche potere speciale.
Il lieto fine non esiste, per te
è destinato a non esistere mai, a non avere una soluzione.
Scacco matto.
Hai perso.
***Ecco
qui la seconda
shot, più corta della precedente, di questa raccolta
basata sulle lettere del mio nickname. Mio, indubbiamente mio. Mi hanno
chiesto se, dato che riprende le lettere di un nome a me caro, se
c'è dentro anche qualcosa di me nella raccolta. Beh, si.
Abbastanza. Molto. Poco. Tanto. Dipende da che parte la si guarda.
Come
nella precedente versione, il fatto che ogni argomento del capitolo
prende spunto da una lettera lo fa avvicinare di molto a me.
Però ho imparato a mettere delle barriere tra ciò
che posso scrivere sia di me che non, e tra ciò che
è meglio lasciar scorrere via senza dargli motivo d'esistere
ancora e persistere. Anyway, la risposta era si ^^'
Dunque, spero che
questa shot sia stata di vostro gradimento, anche per come è
stata posta (partita di scacchi → non sempre si vince
→ la vita non è una favola/film dove i buoni
riescono “sempre” nelle loro imprese o a
riscattarsi, però c'è sempre la
possibilità di incominciare una nuova partita, anche se
questo è sottinteso.) Il cambiamento di persona in una parte
del racconto (passo dal tu al lei) è voluto, ovviamente ^^
Ho
aggiornato anche abbastanza (molto) in fretta nonostante sia ancora
malata, sono contenta di star riuscendo a scrivere quando mi va e non
solo quando non mi sento bene internamente :)
Vi ringrazio di aver
letto.
Love,
D.***
Ps: tra la pubblicazione del primo capitolo e questo
ho potuto scrivere e pubblicare piccole flash originali-Nonsense (Mai
più – Chiedeva
Scusa. - Odore
di nulla)
Introspettive (Senza
mondo – Se
fossi... - Weakness)
e una
“Romantica” (C'erano
cose che volevo dirgli.)
Senza
impegno, ovviamente, se volete potete passare a leggerle ^^
|
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Capitolo 3 *** I - Impassibile ~ The feelings are dead ~ ***
Dhialya
I di
Impassibile
~ The
feelings are dead ~
[Present/Future]
Lo odiava.
Era questo ciò di cui stava provando a
convincersi.
La sua mente continuava a ripeterlo ininterrottamente da
giorni, da mesi, dal tempo in cui la sua mancanza le stava trafiggendo
l'anima per assopire il cuore che soffriva, sanguinando ancora da una
cicatrice che, forse, non si sarebbe mai richiusa.
Lo odiava.
Il sole
estivo le brucia la pelle, i capelli si scompigliano quando una
sferzata di vento la investe in pieno e la gola diventa secca ad ogni
passo, ad ogni respiro che compie, quando invece vorrebbe solo
lasciarsi andare.
Se stava camminando sotto il torrido sole d'estate,
alla fine, era ancora colpa sua.
Ti odio.
Non aveva altri pensieri in
testa, gli occhi freddi e troppo asciutti, prosciugati da lacrime
notturne che non aveva più voglia di far scendere per
orgoglio, che non vedevano altro se non la strada che stava
percorrendo.
Muoveva i passi fermamente, i piedi che scattavano veloci
lasciandosi dietro impronte invisibili del passaggio di una figura che
ad occhi esterni passava quasi inosservata.
Una più attenta
osservazione di quel corpo minuto, diventato fin troppo magro e
pallido, avrebbe fatto capire che quello spirito una volta libero e
ribelle era scivolato in un buco nero in cui ricordi, passato e
nostalgia lo tenevano legato in fondo all'abisso con catene create da
egli stesso.
Perché secondo lei non si meritava amore, se le
uniche persone che glielo avevano dimostrato le erano state strappate
via.
Nella vita degli altri aveva solo il potere di portare morte e
sofferenza.
I ricordi delle risate le trafiggevano le orecchie ogni
volta.
I visi, i sorrisi, i ricordi le accecavano gli occhi
più della fastidiosa luce mattutina che entrava dalla
finestra quando stava ancora dormendo.
Gli altri non potevano
comprendere ciò che provava.
Gli altri erano bravi solo a
dettare parole al vento, sporadiche frasi di consolazione che per lei
suonavano solo false, consolazioni di cui avrebbe fatto volentieri a
meno.
Non capivano.
Non potevano comprendere appieno come si sentiva.
Affila maggiormente gli occhi e indurisce il lineamenti facciali,
assumendo un'espressione dura che non si addice ai suoi lineamenti
delicati.
I rumori non li sente, i motori che ruggiscono non la
distraggono, il brusio delle persone e le grida dei bambini le passano
inosservati.
E' concentrata solo su se stessa, su ciò a cui
sta pensando e il luogo in cui sta andando.
Niente “Che
tempo
fa?” o
“Che ore sono?”.
Prende una via
secondaria, una scorciatoia che ha scoperto per caso, sempre con lui.
Lui.
L'unico che era riuscito a penetrarle nel cuore senza farle male.
L'unico che l'aveva fatta sentire davvero speciale, diversa dalle altre
anche se si confondeva sempre con la massa.
Lui, l'unico che quando la
guardava la metteva un poco in soggezione con quegli occhi scuri, ma
che sorridendo a ciò che diceva la sua bocca la faceva
sentire compresa e sicura.
Con cui si sentiva protetta anche se non
erano vicini, perché sentiva il suo sguardo vigile su di
sé che la controllava con dolci attenzioni come per dirle:
“Ehi, sono
sempre qui.”
Lui era quello a cui era
riuscita a mostrare l'altro lato di se stessa, quello insicuro e pieno
di dubbi da dissipare.
Perché lui era riuscito ad andare
oltre il sorriso che si stampava in faccia, e lei ancora dopo tutto
quel tempo non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto.
-Puoi
piangere a volte, sai? Sfogarsi fa bene-
-Come scusa?-
Sfogarsi fa
bene.
Se le ricordava ancora quelle parole, il tono di voce lontano e
comprensivo con cui le aveva pronunciate.
Arriva all'entrata, varca
quel portone che ormai conosce come casa sua e meglio di se stessa,
entrata di passaggio che l'ha vista superarla immense volte in
quell'arco di mesi.
Conosce la strada a memoria, ha imparato ogni modo
per arrivarci quando ancora il dolore era vivo, fresco e ardente, e
cercava un modo per arrivare davanti a quella consapevolezza il
più tardi possibile.
Come per illudersi che fosse tutto un
sogno, che arrivando li avrebbe potuto dire “Che sciocca,
cosa ci faccio qui se non ho nessuno da venire a trovare?”.
Invece no.
Ogni volta lo trovava li, ed era una pugnalata.
Ogni volta
lui giaceva sotto li, ed era un mattone che le si posava sul cuore.
Ogni volta lui stava li, ma chissà quanto lontano realmente,
ed erano aghi aggrovigliati che le foravano i polmoni.
Ogni volta
arrivava li, e non era cambiato nulla, la realtà tornava ad
essere mischiata con l'incubo e le lacrime premevano per uscire.
Per
scappare da quella gabbia interna che era diventata, perché
dentro, ormai, era vuota.
Non provava più nulla.
Non sentiva
più nemmeno il battito del suo cuore, respirava appena e
solo per inerzia.
Lei era morta con lui.
Lei se n'era andata, con lui.
Desolazione.
Era un involucro ambulante.
Uno strato di pelle in cui
vagavano ricordi, emozioni che mai più niente e nessuno
sarebbe riuscito a sostituire.
Erano dei pezzi di vita che avevano un
valore troppo importante perché li lasciasse cadere nel suo
passato e continuasse ad andare avanti, verso un nuovo inizio da
cercare e creare.
Paura.
Aveva paura che, continuando la sua vita,
avrebbe potuto dimenticarlo.
Dimenticare la sensazione che provava
quando le parlava, l'odore della sua pelle, la delicatezza delle sue
carezze.
Paura di lasciarlo andare e perdere per sempre quel poco che
le era rimasto e su cui si aggrappava costantemente per non cadere.
Il
magone le sale in gola, un groviglio di ricordi ed emozioni che le
pesano sul cuore.
Gli occhi che si fanno di nuovo lucidi e la perdita
totale di cognizione.
Dov'è?
Chi c'è?
Che ore
sono?
Domande retoriche che scompaiono, lasciandola sola, in ginocchio,
spaventata da ciò che vede come con una nuova
consapevolezza.
Un'incisione di dati leggermente decorati, dei fiori
freschi, un lumino e una foto.
La sua foto, battuta dai raggi del sole
che si riflettono sul suo volto.
E dei ricordi incessanti che le
passano davanti agli occhi, come se tutti quei mesi non fossero mai
passati, come se lo vedesse nuovamente per la prima volta.
-Ho detto
che piangere fa bene se ci si vuole sfogare-.
Perché?
Le
gocce che le percorrevano le guance bruciavano.
Erano fredde e salate
ma bruciavano come se fossero uscite da un inferno di fuoco e ghiaccio.
Se stessa.
Lasciavano sulla pelle la sensazione di scottatura dove
passavano.
E non riuscire più a controllarle, a fermarle
come da qualche settimana era riuscita a fare, la faceva sentire inerme
ed impotente.
Una debole che si lascia sopraffare da sentimenti,
sentimenti che avevano solo il potere di innescare una tortura.
Oltre
al pianto si aggiunge la rabbia verso se stessa.
Rabbia che acceca,
rabbia che le manda vampate di fuoco, che le infiamma la mente e che
non le fa capire più niente se non la consapevolezza che lei
sta soffrendo.
Dolore.
Fa male.
Tanto.
Soffre per colpa sua, soffre per
la sua mancanza, soffre perché non riesce – non
vuole – continuare a vivere senza di lui, perché
la sua mancanza è troppa.
Inizia a tirare pugni.
Disperazione.
Manca la sua presenza, manca la sua risata, mancano i
suoi ragionamenti svelti e limpidi.
Altri pugni.
Solitudine.
Mancano i
suoi occhi, i suoi abbracci, le sue parole mai troppo dolci
perché sapeva che a lei le cose sdolcinate non piacciono.
Pugni, più forti.
Rabbia.
Ancora rabbia.
Per averlo fatto
arrivare così vicino a lei, per avergli permesso di
abbattere le sue barriere e per star facendo in modo che la sua assenza
la stia soffocando.
Di più, ogni
giorno di più.
Pugni, lamenti soffocati, labbra morsicate a sangue per non cedere alle
grida che stanno esplodendo dentro di lei.
Persa.
Cosa avrebbe fatto?
Chi l'avrebbe più capita?
Le altre persone si erano
allontanate, troppo spaventate dal dolore che provava e che loro non
riuscivano a comprendere appieno.
Pugni.
Contro il terreno che si trova
davanti.
Pugni.
Contro le sue gambe.
Pugni.
Contro il suo stesso sangue
che ha macchiato il marmo.
Pugni all'aria.
Come se volesse colpire lui
direttamente, per fargli provare ciò che non riesce a
togliersi di dosso.
Manca Lui.
Era stanca.
Lo odiava e lo amava.
L'aveva abbandonata quando aveva giurato che sarebbe sempre rimasto
sempre con lei.
Aveva rotto la sua promessa.
Le mancava.
Tanto,
moltissimo.
In una maniera straziante che le bloccava il respiro.
Lui
l'aveva lasciata, lui l'aveva distrutta e continuava a tormentarla
continuamente.
Lo odiava, voleva dimenticarlo.
Non era vero, e lo
sapeva.
Si accascia sulla lapide, scoppiando, e il suo pianto fende
l'aria.
Si propaga per quel terreno tetro e silenzioso, lamento di vita
in un cimitero di anime.
Per rinascere, si dice che bisogna bruciare.
Torna da me.
Implorazione.
Perché lui era rimasto cenere?
***Ci
sono, eh ^^ La
terza shot, eccola qui.
Sono contentissima di star riuscendo a portare
avanti questa raccolta senza intoppi particolari, non lo avrei pensato
e sono un po' basita da questo ^^'
Comunque, vorrei spiegare brevemente
una cosa prima di lasciavi: la ragazza qui è rimasta
talmente segnata dalla perdita di lui che il fatto che cerchi di essere
“Impassibile” e poi scoppia è collegato
al fatto che nessuno riesce a rimanere indifferente davanti a qualcosa
che lo turba particolarmente. Da solo o con la compagnia di qualcuno,
piangendo, gridando o picchiando, qualcosa si esprime e traspare. Lei
non riesce a reprimere quello che prova, anche se dentro di
se crede che non sente più “nulla”
perché ormai troppo abituata a quei pianti e quei ricordi da
cui non riesce a staccarsi.
Inoltre è impassibile verso gli altri, minimizzando
ciò che anche loro possono aver provato, troppo concentrata
su se stessa.
Spero di essere stata chiara ma se ci sono dubbi chiedete pure.
Ringrazio che legge in
silenzio e segue questa raccolta, chi la seguirà nei suoi
aggiornamenti e magari lascerà un segno di sé
dietro.
Spero che continui a piacervi :)
Love,
D***
|
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Capitolo 4 *** A - Apatia ~ The life has not sense ~ ***
Dhialya
A di
Apatia
~ The
life
has not sense ~
[Present]
Plic.
Una goccia cade
dal cielo.
Plic.
Una goccia rimbalza per terra.
Plic.
Una goccia
schizza sul viso.
Il tuo sguardo di bambina ormai persa guarda con
attenzione i movimenti – non molti, a dire il vero
– che fa l'acqua che scende dall'alto.
Osserva quelle piccole
macchie trasparenti cadere in un luogo preciso, e poi si sforza di non
spostare lo sguardo, per vedere se un'altra potrebbe finire esattamente
nello stesso punto della precedente.
Ma non ci sei mai riuscita, a
scoprirlo; vuoi per la poca pazienza mostrata fin da bambina o la
sensazione che, proprio nel momento in cui sbatti le palpebre e perdi
di vista il tuo obbiettivo, perdi qualcosa.
Una sensazione di
incompletezza che ti ha sempre seguito, come un'ombra, non solo quando
pioveva.
La perenne certezza di star tralasciando sempre qualcosa di
fondamentale, che ciò che ti sembrava dare
felicità non fosse reale per davvero.
Volgi lo sguardo in
alto, fissandolo sul grigio biancastro che domina sovrano sopra di te:
le nuvole sono troppo pesanti per pensare di riuscire a vedere uno
sprazzo di cielo.
Cielo azzurro.
Limpido, pulito, incontrastato.
Quel
colore che da qualche altra parte c'è ancora, accompagnato
da un sole raggiante che mette buon umore.
Come se facessero da
barriera a qualcosa di così immensamente semplice e
complicato allo stesso tempo; che sta li, visibile e fermo, ma che non
è mai come sembra.
Cosa nasconde in alto, dove gli occhi non
riescono a vedere?
E su, sempre più su, fino a perdersi in
quella moltitudine di colori che solo lui sa avere?
Ci sarebbero tante
domande che vorresti fare, esprimere, a cui ti piacerebbe dare una
risposta – e non solo in abito di cosa nasconde il cielo,
anzi, sarebbe l'ultimo dei tuoi pensieri.
Sarebbe.
Ma non lo
è.
Perché al resto ormai non ci pensi
più.
Perché la voglia di scoprire di girare,
viaggiare e sognare non ti accompagna più.
Sei grigia, sei
diventata monotona come quel cielo uggioso che ti sovrasta.
Hai perso
la pioggia che ti animava, l'hai sentita colare via, lasciandoti solo
un involucro vuoto, i resti di una vita ormai dimenticata e che non
riesci a far tornare integri.
E rimane il nulla da fare,
perché pensi che tornare indietro non si può
– forse, forse è meglio così, per certi
aspetti – mentre ad andare avanti... non sei come la goccia
di pioggia cadente dal cielo che deve solo andare dritta, che cade, che
ha il percorso già fatto.
Il sentiero lo dovresti creare, ma
la nausea di tutto ti appanna la vista e non ti permette di andare
avanti, di scorgere, di interessarti a qualcosa.
Rimanere ferma, in
quel momento a fissare la pioggia, o farsi travolgere dagli eventi
senza pretendere qualcosa, ti sembra in quel momento la scelta
più gusta.
Benché tu sappia, tu sappia benissimo
che non dovrebbe andare così.
Che non dovrebbe minimamente
essere così.
Lo sai bene che non era in questo modo che
doveva finire, ma ci sono cose alle quali non hai potuto fare altro che
piegarti; piegarti ed accettarle, come se subissi una sconfitta, in
qualche assurdo modo che tanto sconfitta non è.
Non dovrebbe
esserlo.
Tante cose diverse.
Tanti passi diversi.
Tanti eventi diversi.
Tutte cose che si nascondono, giocano, tornano, restano anche se invano
cerchi di relegarle da qualche parte nascosta.
Ormai lo sai bene, fin
troppo, che la tua vita è destinata a continuare tra ghiacci
e ombre del tuo passato, circondata da un buco nero sempre presente e
che aleggia minaccioso su di te attendendo bramoso di poterti prendere
nuovamente.
Rimane a circondarti, come l'azzurro del cielo che
c'è anche se non si vede, anche se per un periodo, per del
tempo, è nascosto.
Il cielo piange senza vergogna, gocce
d'acqua che bucano gli strati di nuvole grige confondendosi con
l'atmosfera, lavando visi e nascondendo lacrime.
La pioggia cade da
cielo, semplicemente, non sapendo dove finirà, cosa
incontrerà, chi bagnerà sulla la sua strada in
discesa.
Un semplicemente pieno di contraddizioni, come il fondo di un
lago visibile ma troppo lontano per essere raggiunto.
Plic.
***Non
mi sono
dimenticata. Ho dovuto mettere l'attenzione su altro... ed il tempo
è passato.
Questo capitolo è diverso rispetto ai
precedenti perché il tema, l'apatia, volevo che fosse
percepibile senza perderlo troppo in vaghi pensieri o azioni. E'
volutamente corto, e volutamente non dice niente di che, sottolineando
la “noia” che possono provocare le giornate di
pioggia ed i pensieri che ne derivano, solitamente, ma che alla
protagonista piacevano.
Ringrazio chi legge, segue
e gradisce queste shot abbastanza depressive – a causa del
periodo di quando le abbozzai per la prima volta.
Grazie della
pazienza.
Love, D.
|
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Capitolo 5 *** L - Libertà ~ Memories from the future ~ ***
Dhialya
L
di
Libertà
~
Memories from the
future ~
[Past/Present/Future]
Quando
le
capitavano sotto mano certe immagini, certi paesaggi, non poteva fare a
meno di pensare che una parte antica, antica ed inspiegabile, si
mettesse a vibrare dentro di lei, come a reclamare di tornare, di
appartenere a quei luoghi.
Era magico.
Era magico ed inspiegabile, e
faceva male.
Faceva male perché sapeva benissimo che
sarebbero per sempre state solo delle sensazioni.
E aveva iniziato a
capire che probabilmente avrebbe solo dovuto smettere di voltarsi
indietro, di chiedersi cosa ci fosse di perso e da ritrovare, ed andare
avanti.
Non stava andando male, negli ultimi tempi.
Era come se mano a
mano che il tempo passava gli eventi si posassero su di lei, come un
manto leggero ed ottenebrante.
Certe volte si domandava come fosse
finita in quelle situazioni senza nemmeno rendersene conto.
Un giorno
era pieno inverno, quello dopo un soleggiata mattinata d'inizio
estate.
E nonostante si chiedesse come ci fosse finita li, come fossero
stati possibili certi miglioramenti – lo erano davvero? Non
lo sapeva perfettamente – si ritrovava a sorridere e a
crederci un po' di più.
Si, ogni giorno ci credeva un po' di
più.
La sensazione di restrizione che provava certe volte si
faceva leggera, molto leggera; era come se iniziasse a capire come
farsela passare, anche se a volte tornava.
Tornava e disintegrava tutto
ciò che nel tempo si era costruito.
Ma andava bene,
perché ci aveva fatto l'abitudine. Nel tempo, nei giorni
passati in un'aula, o la sera a leggere un libro, aveva imparato ad
espandere quella gabbia che sentiva spesso premere sulla gola come a
volerla soffocare.
L'aveva resa un po' più vivibile, non era
più solo buio e paesaggi di morte: c'erano anche degli
sprazzi di sole, e degli infiniti boschi autunnali, oppure cambiava e
finiva davanti ad un'immensa distesa di neve, neve soffice e bianca.
Quella era la libertà che stava costruendo per se stessa,
per riuscire a vivere, per continuare ad alleggerire il peso allo
stomaco.
C'erano volte poi, le volte in cui tornava, approdando
nuovamente alla realtà.
E si era accorta che la vita era
andata avanti, che lei stessa era cambiata: non che non se ne
accorgesse, solo che non lo credeva possibile e quindi non lo
realizzava.
Perché si
accorgeva di avere cose belle intorno a sé, cose belle a cui
si era affezionata e che aveva l'immenso terrore di perdere.
Quella
stessa paura per cui si era rifugiata nel suo mondo, anni prima, e che
le aveva fatto quasi perdere lui; lui, perché lo aveva
allontanato, lui che invece nel suo mondo ci era entrato e lo aveva
capito, illuminato, non denigrato e non aveva preso lei per pazza.
Lui
era come lei.
E per quello aveva la sensazione che le cose fossero
giuste, per come si stavano evolvendo.
Ed il futuro faceva un po' meno
paura, in quei momenti.
Erano memorie dal futuro.
Come se lo
avesse sempre saputo, come se non si trovasse davanti nulla di nuovo.
Come se non avesse aspettato altro per tutta la vita.
E si sentiva
bene, immensamente bene, e non credeva che sarebbe riuscita nuovamente
ad avere paura di morire, paura di lasciare qualcosa –
qualcuno.
Non credeva perché lei la morte l'aveva aspettata,
per un anno e più, e poi era andava avanti ad inerzia.
Era
diverso, ora.
Diverso, e con la consapevolezza che si, era un tutto con
niente di certo, però era in qualche modo giusto.
Si sentiva
appartenere.
Appartenere a qualcosa, a qualcuno.
Ed era bellissimo, ed
era euforica, perché stava andando tutto bene, tutto
normale, con i normali alti e bassi che si possono avere nella vita.
Normali, ma nulla che la stesse trascinando inesorabilmente verso il
basso e che lei assecondava, non ritenendo di avere motivazioni valide
per opporsi.
E la libertà che sentiva scorrere dentro di lei
era sottile, era sottile perché era come se le appartenesse,
ma era più forte di ciò che aveva già
provato; più forte, più presente, più
viva.
Perché in quei momenti, quei momenti di tanti anni fa,
era inconsapevolmente consapevole di stare vivendo e non aveva mai
percepito la mancanza di quel pizzico in più che ti rende
completo e ti fa stare bene.
Mentre quando le era mancato, quando lo
perse irrimediabilmente e non riusciva più a trovarlo e
quando lo aveva sentito scivolarle via;
quando si era poi accorta che qualcosa si stava smuovendo, qualcosa
stava rinascendo, era stato come avere una conquista enorme tra le
mani.
Il sapere di poter ancora fare, di avere possibilità,
di sentire la motivazione che lacera la pelle e ti costringe a
camminare a testa alta – a testa alta quando per anni, per
anni, hai abbassato lo sguardo e messo abiti troppo larghi.
E no,
quella maglietta e quelle scarpe no, chi ti credi di essere? Non ti
stanno bene, a te no.
Che poi faceva ancora un po' di fatica; aveva
difficoltà a scegliere dei tipi di vestiti, o dopo averli
comprati ad indossarli, ma cercava di fare del suo meglio per poter
vivere appieno ciò che sentiva di avere.
Che poi,
vivere, cos'è?
Le domande retoriche non l'avrebbero mai
abbandonata, lo sapeva.
I dubbi l'avrebbero accompagnata ed i sogni
sarebbero stati infranti dall'illusione, la speranza sarebbe inacidita.
Però andava bene così, se quella era la
libertà che si stava riprendendo, se così stava
bene.
Andava bene così, perché almeno prima di
sentirsi privata ancora di qualcosa, lo avrebbe vissuto in pieno.
Avrebbe continuato a costruire il suo mondo, avrebbe espanso la gabbia
e modellata a suo piacere, avrebbe condiviso il suo modo di essere
libera con chi, ed esclusivamente con chi, nell'entrare dentro di lei
portava la luce, chiedeva permesso e non toccava le decorazioni.
Andava
bene così.
**Diversa
da come me
l'aspettavo. Meno depressa, diciamo, di come l'avevo in mente. Meglio
così. ^^
Grazie della lettura, alla prossima.
Dhi. <3
|
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Capitolo 6 *** Y - Years ~ Day by day ~ ***
Dhialya
Y
di Years
~
Day by day ~
[Past/Present/Future]
Tic. Toc.
Secondi.
Sospiri, ti giri tra le coperte e ravvivi un po' il
cuscino
diventato ormai troppo piatto per i tuoi gusti; ti rigiri ancora,
tornando alla posizione in cui ti eri trovava fino a pochi istanti
prima.
Cambiare modo in cui stavi cercando di dormire ti aveva dato la
sensazione come se stessi perdendo qualcosa, ed un vuoto si fosse fatto
presente vicino o dentro di te.
Il silenzio della stanza è
un po' inquietante, se ti ci soffermi a pensare, però ci sei
abituata e cerchi di non farci caso, concentrandoti su pensieri belli e
ragionamenti a cui puoi dare finalmente via libera.
Secondi erano quei
ticchettii incessanti che tuonavano nell'apatia di quella stanza.
Accade molto, accade tutto e niente, in un secondo. Accade che si
può fare un errore imperdonabile che cambia il corso di
tutto ciò che viene dopo.
Si accende una miccia
che
può rompere un mondo.
Tic. Toc.
Minuti.
Solitamente erano
quelli che temeva di più.
Avevano il potere di passare e
allo stesso modo non passare mai, rendevano lunghe e pesanti cose che
si potevano risolvere e che sarebbero state in grado di risolversi nel
giro di pochi istanti.
Tic. Toc.
Ore.
Una, due, sette, diciotto, venti.
Erano tante, erano le stesse ed erano sempre diverse, erano periodi di
tempo marcati che continuavano a susseguirsi in un circolo quasi
vizioso capace però di variare da un estremo all'altro.
Tutto uguale ma tutto diverso.
Le ore le parevano noiose, faticavano ad
andare avanti durante la giornata e se aspettava qualcosa con
trepidazione la infastidivano, perché la tenevano lontana da
ciò che stava aspettando, come se dovesse scalare qualcosa
su cui non aveva potere.
Tic. Toc.
Scendi dal letto ed il freddo che
senti a contatto con il pavimento ti infastidisce momentaneamente, poi
torni a poggiare i piedi con più sicurezza, abituandoti e
beandoti di quel fresco che percepisci sulla pelle.
È bello,
ti piace il fresco, il freddo.
Alzandoti sei leggermente malferma sulle
gambe – la testa aveva leggermente girato e ti sembrava di
non essere nel tuo corpo.
Eri come fuori, fuori te
stessa, fuori dalla tua vita.
Pensi, mentre inspiri. Da
quanto non mangiavi un pasto regolare?
Ti appoggi ai mobili per cercare
sostegno nell'ombra e ti dirigi in cucina, gli occhi abituati ormai al
buio e al percorso notturno da fare.
Giorni.
Erano un po' menefreghisti
ed imbroglioni.
Imbroglioni, soprattutto.
E le facevano perdere tempo.
O forse era lei che non sapeva gestirlo?
Era una cosa che doveva ancora
capire bene.
Un attimo prima era mattina e poi si ritrovava nel
pomeriggio inoltrato, oppure la sera era appena iniziata e
già era diventata piena notte. Alle volte volavano, mentre
altre sembravano dei macigni impossibili da mandar via.
Tic. Toc.
Settimane.
Quelle
le piacevano.
Si, poteva ammetterlo.
Le settimane le piacevano,
perché erano illusorie, ma riusciva a gestirsi bene, le
davano la certezza di potersi organizzare e riuscire così a
portare a termine tutto ciò che aveva da fare.
L'acqua
fredda è un toccasana, per la gola irritata, e ti da subito
sollievo nella secchezza che iniziavi a sentire e nella fatica a
respirare che da qualche giorno percepisci.
Probabilmente era colpa del
caldo, non hai ancora contattato la dottoressa.
Rimetti la bottiglia
in frigorifero e stai attenta a chiudere bene lo sportello –
ultimamente da problemi e sembra si apra da solo –,
dopodiché torni in camera, sempre aiutandoti con i mobili ed
il muro avvolta nel buio dell'appartamento.
Si chiedeva
perché stesse ragionando su ogni componente del tempo che
era in grado – o quasi – di gestire e con cui si
ritrovava a fare i conti da sempre – e per sempre.
Le uniche
conclusioni a cui era arrivata fino a quel momento era che, per prima
cosa, il tempo non poteva controllarlo ma sicuramente avrebbe dovuto
imparare a gestirlo meglio.
Era un obbiettivo che da tempo aveva in
mente di fare, ma motivazione ed impegni vari non riusciva a
sciogliersi ed attuare ciò che voleva.
Perché lo
sapeva, che se avrebbe imparato a gestire il tempo che aveva a
disposizione, sarebbe stata anche in grado di gestire tutto il resto
degli impegni – e concludere qualcosa, o più di
qualcosa, che da tanto voleva fare.
Per secondo, aveva capito che tutto
il resto dei pensieri era una matassa unica, ingarbugliata e malata che
nemmeno lei riusciva a decifrare.
Ed era meglio lasciarla
dove stava.
Tic. Toc.
Mesi.
Tanto valeva finire il discorso con se stessa.
I mesi.
Li trovava così strani, i mesi. Un po' come i numeri. Alcuni
le piacevano, altri li trovava irritanti.
Per i mesi, sicuramente aveva
i suoi preferiti – come quelli invernali, come quelli
autunnali. Soprattutto gli ultimi tre dell'anno, confine tra autunno ed
inverno.
Avrebbe detto anche Gennaio se non avesse significato l'inizio
di un nuovo percorso, un nuovo ciclo, nuovi compiti e simili.
Gennaio
era quel tipo di mese che le stava simpatico ed antipatico insieme,
come una persona su cui non sai che giudizio dare. Lo guardava
circospetta, lo studiava e per certi aspetti lo apprezzava mentre per
altri lo detestava.
Torni in camera e chiudi a porta, creando una bolla
di spazio circoscritta e in cui sei presente solo tu.
Tic. Toc.
Anni.
Oh, anche quelli scorrevano.
Sembravano non passare mai e poi si
ritrovava come fregata, mentre avanzavano; impantanata in qualcosa che
la imprigionava sbattendola crudelmente nella vita e nello scorrere del
tempo, nel doversi adeguare e andare avanti.
Il pensiero che faceva
solitamente era che “c'era tempo”.
C'era tempo
perché un anno è composto da settimane, mesi e
giorni, e sicuramente avrebbe trovato spazio per fare quello che doveva
in tutta quella moltitudine di roba.
No.
Sbagliato.
Andavano avanti
anche loro, lenti ma inesorabili.
E, sbagliando modo di approcciarsi
alla vita, si ritrovava insoddisfatta e con il nulla tra le mani.
Chiudi gli occhi e sospiri pesantemente, decisa che vuoi dormire.
Ti
scocciava star facendo quei pensieri quando invece avresti potuto
riposare tranquilla, e non avevi voglia di ritrovarti a dover stare per
forza alzata perché si era già fatta l'alba e
addormentarsi non avrebbe avuto senso, a quel punto.
Almeno quello, il
tempo, avrebbe potuto concedertelo, no?
Shot
molto diversa
dall'idea originale.
Tutti gli ultimi capitoli hanno subito come un
“dirottamento”, nel corso del tempo, quindi
è probabile che si noti il cambiamento tra i primi capitoli
e da quelli dopo Apatia.
Spero comunque continuino ad interessarvi.
Grazie per la lettura. :)
Alla prossima, Dhi.
|
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Capitolo 7 *** A - Amicizia ~ Prospective of a new life ~ ***
Dhialya.
A
- Amicizia
~
Prospective of a
new life ~
[Future]
Oh
mannaggia, perché?
Pesti un piede per terra lanciando
lontano un sassolino, ansiosa, mentre controlli l'orario sul cellulare
e smani dall'idea di iniziare a toglierti le pellicine intorno alle
unghie.
Lo fai sempre quando sei nervosa, - e in quel momento lo sei
decisamente, mentre continui a fare gli stessi gesti in modo veloce e a
scatti.
Però hai anche deciso di provare a perdere il vizio,
cosa non facile, quindi cerchi in tutti i modi di distrarti per non
pensarci. - Entrando nel circolo vizioso di controllare cose
immaginarie sul cellulare, sistemarsi i capelli, controllare
l'abbigliamento o cercare qualcosa di non definito sul fondo della
borsa.
Perché a me?
E' la domanda che ti ripeti da quando
sei uscita di casa. E prima, mentre ti preparavi. Ed ancora, i giorni
precedenti a quello.
In realtà te lo chiedi da quando hai
accettato, domandandoti se per qualche strano caso dell'universo la tua
mente si fosse per caso azzerata proprio in quel momento per lasciare
posto ad un criceto che non sa usare la ruota.
Stupida, stupida.
Batti
una mano ripetutamente sulla fronte ma poi ti fermi, accorgendoti che
dei signori ti stavano guardando con apprensione, come se avessi
bisogno di aiuto.
Merda.
Avvampi e sorrisi imbarazzata, voltando lo
sguardo dalla parte opposta ed appoggiandoti ad un palo.
Cerchi di
respirare piano, per raccogliere un po' di calma.
Magari nemmeno viene.
-Scusa il ritardo! Hai aspettato molto?-
Doppiamente merda.
Trasali e
ti giri, forzando il sorriso ed incassandoti nelle spalle.
Solo un
venti minuti buoni, ma è colpa tua e dell'agitazione, che ti
ha fatto preparare un'ora e mezza prima del necessario.
-No,
tranquilla-.
La guardi, studiandola per bene come non avevi fatto in
precedenza mentre lei controlla qualcosa sul cellulare. Ha il viso
delicato ed il corpo da fata, piccolino e aggraziato, gli occhi dolci e
un sorriso accennato.
Ti senti tanto goffa ed insulsa, a suo confronto,
come un troll di montagna.
In realtà ti sei sempre sentita
goffa ed insulsa in confronto a chiunque.
Ecco perché eviti
confronti e cerchi di stare lontana dalle persone.
Quello era stato un
errore. Tu non dovresti essere li. Non dovresti in ogni modo essere li
con qualcuno presumibilmente sconosciuto, non cerchi nuovi rapporti
– o almeno così ti grida una voce pressante nella
tua testa.
Cerchi
di
scappare dal vociare presente nei corridoi e nelle classi muovendoti
tra i gruppetti di alunni quasi disperatamente, cercando di mascherare
la voglia di metterti a correre per andare via il più
velocemente possibile da quella gabbia infernale.
È mentre
sei fuori e sospiri di sollievo che accade quello che per te
è un vero disastro: stavi cercando una canzone sul lettore
musicale e accennavi qualche passo indeciso, non guardando la direzione
in cui ti muovevi, e finisci per sbattere contro qualcuno.
Il cuore di
balza in gola prima che tu possa fermarlo e calmarti, e le mani
iniziano a tremare, il senso di colpa che dilaga e ti manda in panne.
-M-Mi dispiace!- Esordisci, avvinandoti alla tua vittima non
prestabilita e guardando intorno se altri ragazzi osservano la scena.
Qualcuno è stato attirato dall'accaduto, ma torna veloce a
confabulare; nonostante quello, vorresti infossarti nel terreno e
sparire.
È il mugolo che ti arriva alle orecchie che
t'impone di non svignartela.
La ragazza è circondata da
libri e mugola dolorante massaggiandosi un fianco.
-Dannazione, stai
più attenta!- Indietreggi, non sapendo cosa fare per
scusarti e come approcciarti: sai di aver sbagliato e di essere stata
sbadata.
-Si, hai ragione- Ingoi un boccone amaro durante
quell'affermazione.
Solitamente non vuoi avere torto, ti brucia da
morire.
Quel giorno però non ne hai voglia, ne ti viene da
inveire contro la ragazza dicendole che, almeno lei, poteva vedere se
stava andando contro qualcuno o poteva portare qualche libro in meno.
Inizi a raccogliere i tomi sparsi in giro prima che possano venire
calpestati da coetanei distratti. Vorresti aiutarla ad alzarsi, ma il
tuo corpo è come bloccato e le braccia non si allungano
verso la sconosciuta.
Le lanci un'occhiata, mentre è ancora
a terra. Sta soffiando sugli occhiali, e non puoi fare a meno di
chiederti come mai non si sia ancora alzata.
Come avendoti letto nel
pensiero raccoglie i libri più vicini a se stessa e ti
guarda, lanciandoti un'occhiata storta.
-Mi spiace, davvero- Ti
avvicini mentre si tira in piedi, stirandosi la camicetta, e le porgi
il tuo raccolto.
Lei ti guarda, e allora lo noti: un luccichio nel suo
sguardo, e un'espressione indecifrabile sul viso. Non sorride,
però non sembra nemmeno seria.
-Va bene, ti perdono.
Però ad una condizione-
Cosa?
Alzi un sopracciglio,
determinata a non cedere e chiedendoti cosa possa passarle per la
testa.
-Spara- Esali, chiudendo gli occhi ed espirando leggermente.
Poggi il peso su una gamba, mentre ti rendi conto che la musica
continua ad andare.
-Vieni a fare un giro come me al centro
commerciale, questo sabato- Strabuzzi gli occhi e la guardi, credendo
di aver capito male.
-Prego?- Sorridi sghemba per non scoppiare a
ridere di nervosismo.
No.
Ma proprio no.
Non se ne parla proprio.
Ne di
un pomeriggio forzato in giro per negozi, né di un giro
forzato in giro per negozi di sabato pomeriggio con una a cui sei
sbattuta contro per sbaglio.
-Vieni a fare un giro con me.
Così sarai perdonata del tutto- Sorride, sorride
semplicemente senza ghigni o smorfie strani, e capisci che non scherza.
-Dai, me lo devi!-
Da quando, precisamente? Vorresti domandare a quella
sua affermazione per convincerti maggiormente.
Ok, va bene.
La sua
richiesta ti pare strano e inusuale, però, guardandola bene,
tutta la sua persona ti pare un po' particolare.
Posso sempre
inventarmi un impegno improvviso e venire via prima – o non
andare del tutto.
Convinta della tua astuzia sfoggi un sorriso
determinato.
-Perfetto, ci sto-.
Hai
accettato perché, in qualche antro oscuro dentro di te,
qualcosa aveva vibrato.
Paura, forse?
Un ignaro senso di terrore per
quello sbaglio che ti avrebbe seguito per giorni.
“Quella
strana che fa pure cadere la gente e non si scusa”.
Ti
sembrava quasi possibile udire i bisbigli e le voci maligne che si
sarebbero potute spargere su te e che ti sarebbero state dette dietro,
tra risate beffarde e ghigni mal trattenuti di sbeffeggiamento.
Quindi
in qualche modo ti eri sentita in dovere ti scusarti, per restare in
pace con te stessa e la tua coscienza e poter continuare la tua vita
tranquilla e serena.
Un po' egoista e un po' altruista.
Le persone ti
avevano sempre deluso, quando ti aspettavi gesti da loro e le tue
speranze venivano infrante ci rimanevi male.
Non volevi più
fare quella fine, per cui ti eri allontanata da tutti e avevi smesso di
aspettarti qualcosa dagli altri; e allo stesso tempo di dare, o fare
favori.
Senza qualcuno da cui aspettarti qualcosa evitavi di venire
delusa.
Quindi, perché ti trovavi li?
Forse una forza che ti
aveva spinto ad accettare, tipo un sesto senso.
Perché una
ragazza così carina e con carattere doveva chiedere proprio
a te di passare il sabato pomeriggio con lei?
Forse c'era altro dietro.
Volevi sapere.
Ma, come al solito, non ti aspettavi nulla da quella
giornata.
Ti aveva detto nei giorni seguenti che sareste state solo voi
due, e di non preoccuparti di possibili presenze fastidiose ed
inopportune. Ti salutava e ti aveva dato il numero di cellulare per
rintracciarla, in caso di problemi.
Se ci fosse altro, dietro?
Lo avevi
sempre pensato che era particolare, da quando ci avevi sbattuto contro.
Era stato un incontro insolito – e chissà, se ce
ne fossero stati altri, come sarebbero andati. Forse sareste finite a
rotolare giù dal marciapiede?
Ti viene da ridere ma ti
trattieni, posando lo sguardo su di lei, che sta rimettendo il
cellulare in borsa e ti rivolge un sorriso mimando uno
“scusa”.
Scuoti la testa, per niente disturbata
– anche tu eri persa via, dopotutto.
-Non ci siamo presentate
a dovere, quindi ricapitoliamo- Si sistema il giubbetto, lisciandolo
lungo il busto e si schiarisce la voce, per poi alzare il mento sicura
ed inchiodarti con lo sguardo.
Non puoi scappare, non più.
-Io sono Demetra, piacere-.
Ti sorride, porgendoti una mano, in un
chiaro implicito messaggio di esporti, per una volta, di crederci.
Sembra tanto dirti di provare a tenerti stretto ciò che
è tuo e non lasciartelo strappare via, di provare a goderti
quello che ti viene offerto.
Di combattere per iniziare vivere
veramente, e non scappare solo nei mondi di musica e libri –
per quanto, sai, anche a lei piacciano.
-Tu?-
E ti sembra
tanto un faro venuto a salvarti dal buco nero che ti stava divorando.
E
quei pensieri erano strani, totalmente in direzione opposta a quelli
soliti a cui era abituata.
Ma non ci vuoi pensare.
Sei fuori, ti sei
preparata, è sabato pomeriggio.
E va bene.
-Dhialya-.
Ehhhh
raccolta giunta
al termine. Che soddisfazione. :')
Il “lieto fine”
era già da tempo stato deciso dall'inizio della
pubblicazione. Poi non si sa come va, non si può prevedere.
Come scrissi nel primo capitolo, ogni flash può avere
un'interpretazione a se, quindi storie di varie protagoniste oppure
solo di una in vari momenti della sua vita.
Vi ringrazio tanto per
avermi seguito in questa storia, ringrazio per la lettura e
l'attenzione; e grazie anche a chi, in un futuro, passerà a
leggere questi capitoli o lascerà un pensiero.
With Love,
Dhi.
Per chi fosse interessato, altre storie in corso:
Le
Cronache di Narnia: Narnia's
Spirits /
Essence
Zero
no Tsukaima: Mizu
no Chikai
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