A funny thing happened on the way to you

di becky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il Porto ***
Capitolo 2: *** 2. Il tanga ***
Capitolo 3: *** 3: La fotografia ***
Capitolo 4: *** 4. Il matrimonio ***



Capitolo 1
*** 1. Il Porto ***


Questo capitolo può essere tranquillamente letto singolarmente, come una storia a sé stante. Per chi li ha letti, invece, questo può essere considerato un missing moment de “L’appartamento spagnolo” e di “Life as we know it”.

I personaggi non mi appartengono e non ne ricavo niente.



A FUNNY THING HAPPENED ON THE WAY TO YOU

Capitolo 1 – Il Porto

“e forse e questo che mi stanca
il sapere che è così “*

C’è una bottiglia di vino vuota sul tavolo. È un Bordeaux dell’84, un’ottima annata.

Antonio si ferma qualche secondo ad osservare i riflessi sul vetro verde della bottiglia, gli effetti che la luce gialla della lampadina sopra al tavolo produce sulla superficie arrotondata.

Francis mormora qualcosa ma la voce viene attutita dal suo stesso gomito, sul quale è appoggiato brutalmente.

« Devo chiudere, Francis» ribadisce lo spagnolo lanciando un’occhiata strana all’amico accasciato sul tavolino.

« Fallo, allora » sibila il francese con la voce ringhiosa di un ubriaco. Ubriaco lo è per davvero, e non è una novità. Non di questi tempi, almeno. Antonio lo sa bene, l’ha visto in quello stato un po’ troppe volte per non conoscerne la causa. E più ci pensa e più vorrebbe ridursi in quel modo anche lui, bere fino a collassare su un tavolo e non pensarci più.

Con un sospiro rassegnato manda a casa il barista e chiude da solo il locale, tirando giù tutte le saracinesche e dando due giri di chiave anche alla porta, per sicurezza.

Ma poi non se ne va a casa. Afferra lo schienale di una vecchia sedia di legno scuro e la trascina fino accanto a quella del francese. Porta con se una bottiglia di Porto e un paio di bicchierini.

Il Porto non gli è mai piaciuto troppo, ad essere onesti. I Portoghesi in generale non gli sono mai piaciuti, ma proprio per questo è il liquore adatto a quella sera. E a quella prima, e quella prima ancora.

Con movimenti abili e silenziosi apre la bottiglia e versa il liquore scuro nei due bicchierini, osservando la sua densità e il suo colorito bruno.

Francis alza appena il capo quando sente l’aroma del Porto diffondersi tra loro e un sorriso appannato compare sul suo viso. Ha la barba rada e i capelli in disordine, ma Antonio pensa comunque che sia affascinante. Forse se non fosse il suo migliore amico ci proverebbe perfino. Ma non è quello il momento di fare certi pensieri.

Porge uno dei due bicchieri a Francis ma un attimo prima che le sue dita affilate lo afferrino si tira indietro e gli lancia un’occhiata ammonitrice.

« Forse non dovrei dartelo. Hai già bevuto troppo».

Francis ghigna divertito ma il suo tono è tutto fuorché amichevole. È denso quanto il Porto e decisamente più amaro.

« Fai il bravo, Antonio. Non rovinarmi la serata».

« Credo che tu te la sia già rovinata da solo » commenta lo spagnolo lasciandogli il bicchiere e afferrando il proprio « Ti rovinerai la vita continuando a pensare a lui».

Gli occhi chiari di Francis si assottigliano di colpo e butta giù il liquore tutto di un colpo, stringendo poi le labbra con una smorfia di disappunto.

Antonio sa che non ne vuole parlare. Non ne vuole parlare mai, ma prima o poi dovranno farlo. Antonio è ancora convinto che parlare faccia bene, che sia qualcosa di catartico. Per questo cerca di indurre il francese a parlare, perchè è lui per primo ad aver bisogno di liberarsi da un po’ di pene.

Francis invece è meno ingenuo e più disilluso. Sa che parlare, in certi casi, non serve a niente e fa solo più male.

Una cosa è accettare di avere un debole per uno stronzetto inglese che però preferisce Mr America. Un’altra cosa è ammettere davanti al suo migliore amico che è talmente stupido da essersi preso una cotta per la persona sbagliata e che si sta ubriacando per non pensarci.

« Lascia perdere» sospira sperando che Antonio sia abbastanza furbo da cambiare discorso e versare un’altra generosa dose di Porto. Ma lo spagnolo è ottuso, e sostanzialmente troppo buono per lasciar cadere un discorso in quel modo.

« Prova a sfogarti, Francis. Può farti bene, magari. Pensi che non ti potrei capire? Che non ti potrei aiutare?».

« Lascia-perdere » sillaba con maggior astio Francis con gli occhi piantati sul fondo del suo bicchiere. Gli manca il vino. Gli manca la Francia, dannazione.

« No, non lascio perdere!» continua ad insistere Antonio, e il biondo sa già che finirà col perdere la pazienza « Non puoi continuare in questo modo, Francis. Devi fare qualcosa, risollevarti oppure...».

« Oppure cosa?» esclama Francis e in quel momento non sembra affatto ubriaco. C’è una lucidità dolorosa e reale nel suo sguardo e nelle sue parole mentre si raddrizza e punta un indice contro l’amico « Perchè non parliamo anche di te, Antonio? Eh? Perchè non parliamo del tuo piccolo e adorabile Romano?».

« Lascialo fuori» borbotta Antonio ma Francis non si preoccupa. Conosce Antonio sa secoli e sa quando è il caso di farla finita. Sa riconoscere il momento in cui gli occhi dello spagnolo diventano scuri e cattivi, quando non bisogna spingersi oltre e aspettare, sperare, che gli passi.

Questo non è uno di quei momenti, per fortuna. Perciò Francis ghigna e sbotta « E perchè dovremmo? Forse perchè ti fa troppo male pensare che ti ha lasciato? Che è chissà dove e con chissà chi? Ti fa male pensare che forse tu non eri abbastanza, che forse prima o poi potrebbe incontrare qualcuno meglio di te?».

Le mani dello spagnolo tremano sulla superficie liscia del tavolo. Una scatta all’improvviso andando ad afferrare il colletto della camicia del francese, che sgrana gli occhi ma non demorde. Antonio non può essere così stupido da pensare di intavolare una conversazione del genere e non pagarne il prezzo.

Con la sua solita faccia tosta e un briciolo di cattiveria continua « Certo che ti fa male, stronzo. Ti rode pensare a lui, pensare che forse passerà un bel po’ di tempo prima di rivederlo. E ancora di più prima di portartelo di nuovo a letto. Perchè non parliamo anche di questo?».

Antonio gli sferra un pugno tremendo che viene subito ricambiato da un calcio all’addome. Entrambi rotolano per terra, facendo cadere un posacenere e una sedia. Si rotolano per qualche istante, cercando di farsi più male possibile.

« Stai zitto» sibila Antonio col labbro sanguinante e gli occhi lucidi di frustrazione. Sa che Francis ha ragione e proprio per questo vuole farlo tacere.

« Col cazzo. Hai voluto parlarne? Bene, parliamone!» ringhia il francese caricando alla cieca un pugno « Vogliamo parlare di come il tuo pseudo ragazzo abbia quasi paura di te? Di come stia meglio lontano? Di come tu gli stravolga la vita? Gli fai più male che bene, Antonio!».

Lo spagnolo stringe i denti e gli rifila una gomitata in pieno petto, pur di non sentirlo. Francis lo conosce da troppo tempo e sa perfettamente cosa dire per fargli del male. Sa dove colpire, il bastardo. Conosce i suoi punti deboli, prima di tutto il suo rapporto tormentato con Romano e il suo senso di colpa che lo lacera ogni giorni di più.

Romano gli manca come l’aria, ma allo stesso tempo ci sono momenti in cui si chiede se forse non sia meglio così, stare separati. Antonio sa perfettamente dell’ascendente che ha sul ragazzo, sa l’effetto che gli fa, la dipendenza che gli procura. Ed è per questo che si odia. Davvero, non vorrebbe renderlo così succube e vulnerabile.

All’esterno sembra tutto diverso, sembra che Romano riesca a tenergli testa e che si ribelli a lui. Ma nel profondo entrambi sanno che non è così, sanno che se solo glielo chiedesse l’italiano mollerebbe tutto per lui. Perchè c’è qualcosa di strano tra loro, qualcosa di così intenso che è quasi doloroso. E lui si sente in colpa, terribilmente in colpa, per quello.

Per questo lo ha lasciato andare, quando ha dovuto. Ha lasciato che seguisse la sua strada, che tornasse da suo fratello se proprio voleva.

E ora se ne pente, perchè Romano gli manca, gli manca da morire. E Francis questo lo sa perfettamente, e non esita a rinfacciarglielo pur di non esporsi a sua volta.

Antonio lascia cadere il pugno alzato pronto a colpire il naso del francese e lascia perdere, perchè tanto non ne vale la pena. Non vuole continuare a lasciargli spazio per fuggire.

Francis coglie l’occasione per saltargli addosso e prepararsi a colpire a sua volta.

« Hai paura che si trovi qualcun altro, vero? Che un bel giorno torni qui mano nella mano con un altro uomo e che ti sbatta in faccia la sua felicità, giusto?».

Anche il suo pugno non giunge mai a destinazione. Francis crolla miseramente davanti agli occhi verdi dello spagnolo.

« Sei un idiota, Antonio. Dovresti smetterla di preoccuparti tanto. Se succederà, lo affronterai, ma fino ad allora non ti rovinare la vita con le tue mani. Tu non hai davvero le prove che Romano vada con qualcun altro, no?».

« No, io no».

« Bene. Io invece so, vedo ogni singolo giorno Arthur e Alfred assieme. Li ho davanti agli occhi continuamente, sono sempre partecipe della loro fottutissima grande storia d’amore. E ti assicuro che preferirei mille volte vivere nel dubbio e nella paura, che vivere questo. Questo è il peggio, Antonio, credimi sulla parola».

Antonio gli crede, ciecamente, perchè lo sente tremare sopra di sé, sente il suo cuore dimenarsi e stillare veleno, e non può nemmeno essere arrabbiato per le parole che gli ha rivolto poco prima.

Lentamente gli passa le braccia attorno alle spalle e lo abbraccia forte, stringendoselo più vicino. Lo sente sospira rumorosamente e affondare il viso nel suo collo, per una volta senza dire nulla.

A nessuno dei due interessa di essere distesi sul pavimento sporco di un locale chiuso, del fatto che chiunque passi potrebbe vederli ed equivocare, che sembrano davvero due idioti in quel momento.

Non importa, perchè solo così riescono a sentirsi meno soli, meno incompleti.






NdB:

Non so ancora quanti capitoli avrà questa storia, idealmente tre o quattro, ma è ancora presto per dirlo. Volevo davvero scrivere qualcosa dedicato a Francia e Spagna, alla loro amicizia, perché secondo me c’è tutto un mondo dietro loro che aspetta solo di essere scritto. I capitoli racconteranno la loro storia all’interno de “L’appartamento spagnolo” ma non in ordine cronologico. Ci saranno salti temporali e missing moment che avrei voluto inserire ma non ho potuto. Saranno generi differenti, per fortuna non tutti malinconici come questo, e naturalmente compariranno anche tutti gli altri personaggi, osservando come si sono conosciuti.

Fatte queste “brevi” premesse, giungo finalmente a ringraziarvi per aver letto questo primo capitolo e sarei davvero una donna felice se mi lasciaste anche un commentino. Vorrei sapere cosa ne pensate, anche solo due parole, perché questa storia mi sta creando un sacco di patemi d’animo!



* Stadio, “Gioia e dolore”

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Capitolo 2
*** 2. Il tanga ***


Capitolo 2 – Il tanga

“E' in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta, il vento dell'ovest rideva gentile”*

« Capo, ci dispiace di averla chiamata, ma noi...».

Antonio entra frettolosamente nel locale più per ripararsi dal freddo e dalla pioggia che per reale interesse a quello che sta succedendo.

« Abbiamo provato di tutto, ma non c’è stato nulla da fare. Dobbiamo chiamare la polizia?» domanda pallido come un lenzuolo il nuovo, e brufolosissimo, cameriere.

Antonio lo osserva con la pietà negli occhi e sospira profondamente.

Scocciature. Fino a questo momento tutto quello che gli ha lasciato sua nonna sono scocciature. Prima l’appartamento che nessuno vuole affittare, poi il vecchio bar di famiglia.

Avrebbe dovuto trasferirsi a Madrid anche lui, assieme ai suoi genitori. Almeno lì la gente è educata e civile, non lascia l’impianto idraulico ed elettrico di un appartamento in affitto completamente rotto, e non ... .

« Ma sta davvero ballando nudo su un tavolo?» domanda stupito Antonio osservando il giovane ragazzo biondo accennare ad un valzer nel mezzo del locale più affollato che mai.

« Ehm...» mormora imbarazzato il cameriere torcendosi le dita «...tecnicamente non è nudo. Indossa un tanga».

Antonio lo fulmina con lo sguardo e il ragazzino arrossisce fino alla punta dei capelli e pigola « Beh, è quello che ha detto lui, capo».

Lo spagnolo si guarda attorno notando che il bar è davvero pieno di gente, probabilmente attratta dall’insolito e inaspettato spettacolino che quel ragazzo ha messo sù. Ma per quanto questo possa far bene agli affari, rischia comunque di beccarsi una denuncia dalla buoncostume, e proprio non ha voglia di altri casini.

« Va bene, tiriamolo giù da lì » sospira rimboccandosi le maniche pronto anche ad usare la forza, se necessario. In fondo ha diciannove anni, è grande e forte, e non ha di certo paura di sporcarsi un po’ le mani.

Il giovane cameriere però lo ferma e lo guarda con timore negli occhi.

« Cosa c’è?» si infastidisce Antonio, stanco di tutta quella ritrosia.

« Ecco, è solo che... il tizio...è francese. Pensavo volesse saperlo, ecco».

Oh, è francese.

Antonio ha una personalissima scala di valori per quanto riguarda le altre nazioni. In prima posizione, tra le sue preferite, c’è senza alcun dubbio l’Italia. Ha sempre amato l’Italia, la buona cucina, la musica, l’arte e soprattutto i ragazzi italiani.

Al fondo della classifica, certa come la morte, appare l’Inghilterra. Su questo lo spagnolo non transige, non da quando da bambino un ragazzino inglese ha affondato tutte le sue barchette. Ancora gli monta la rabbia ripensando a quel terribile naufragio avvenuto durante una vacanze sulle coste del Nord. Non ha mai più voluto tornarci, da quella volta.

La Francia non è certo a livello dell’Inghilterra, ovviamente, ma è prossima al fondo della scaletta. I francesi non gli sono mai piaciuti troppo. Non hanno senso dell’umorismo, sono scostanti ed egocentrici, sempre convinti di avere qualcosa in più degli altri. E poi hanno quel modo di fare da finti aristocratici, con la sigaretta a penzoloni tra le labbra e un bicchiere di vino rosso.

Sicuramente il francese che sta ballando seminudo sul suo tavolo ne ha bevuti un po’ troppi, di bicchieri di vino.

Antonio si sgranchisce il collo e si fa largo tra la folla urlante per raggiungere quell’imbarazzante soggetto. Deve perfino spintonare un paio di ragazze in delirio, cosa che gli crea un certo nervosismo, ma alla fine riesce ad avvicinarsi e ad attirare la sua attenzione.

« Ehi, bel moretto...» biascica languido il biondo facendogli anche l’occhiolino «...vuoi fare un giro anche tu?».

Suo malgrado lo spagnolo sorride divertito. Scuote la testa e gli tende una mano « Scendi, avanti. Se continui a dare spettacolo mi becco una denuncia, sai?».

« Oh, solo un altro po’...» lo prega fintamente zucchero il ragazzo con un forte accento francese che gli fa arricciare tutti le consonanti « Ci stiamo tutti divertendo, no?». Nel dirlo alza il tono di voce e incita la folla ad osannarlo, riuscendoci perfettamente.

Antonio alza gli occhi al cielo e non cerca più neppure di contrastare il sorriso. Quel francese ha davvero una faccia tosta invidiabile, e nonostrante la sua nazionalità ad Antonio sono sempre piaciute le persone così. Però non può proprio permettersi che arrivi la polizia, ha ben altre grane a cui pensare. Per questo afferra con uno scatto fulmineo il polso del francese e lo tira verso di lui.

« Scendi, forza. Giuro che ti offro tutto quello che vuoi, ma tu adesso vieni giù, por favor».

Il ragazzo sembra valutare seriamente l’ipotesi, ma poi l’alcol in corpo prende il sopravvento e ridendo come una iena cerca di liberarsi.

Quello che succede dopo è talmente inevitabile da sembrare quasi una barzelletta. Il francese si sbliancia pericolosamente indietro, Antonio non riesce a reggerlo e lascia la presa sul suo polso, unica cosa che lo teneva ancora in piedi. In meno di un secondo il biondo cade a terra e dopo aver bofonchiato qualcosa su Giovanna d’Arco e Maria Antonietta collassa bellamente sul pavimento.

Quando Francis riapre finalmente gli occhi gli sembra passato un secolo e la prima cosa che avverte è un dolore lancinante alla testa.

« Buono, non ti muovere troppo. Il medico ha detto che hai un leggero trauma cranico e che devi stare a riposo».

A parlare è una voce maschile calda e affascinante, una voce assolutamente spagnola.

Francis sbatte leggermente le palpebre e si volta verso colui che ha appena parlato. Tra i ricordi sfocati della sera precedente gli sembra di ricordarlo: riccioli scuri, occhi verdi, sorriso spensierato. Probabilmente è il tizio che ha cercato di tirarlo giù dal tavolo facendolo però finire letteralmente a gambe all’aria. È seduto accanto a lui e gli sorride allegramente, sicuramente ignaro del malditesta che lo sta uccidendo. O forse invece lo sa, ed è per questo che gli porge un bicchiere ed un analgesico.

Francis si solleva di qualche centimetro e lo accetta con riconoscenza, niente gli è mai sembrato più opportuno di quell’antidolorifico.

« Devo aver preso proprio una bella botta...» commenta sforzandosi di mettere in fila qualche parola in spagnolo.

« Devi aver preso davvero una bella sbronza, piuttosto» commenta lo spagnolo ridacchiando.

« Beh, anche quella» ammette Francis storcendo il naso e riacquistando la lucidità necessaria per rendersi conto che si trova steso su un divano che non riconosce, in un appartamento che non ha mai visto.

Antonio percepisce il suo stupore e scrolla le spalle « Non avevi documenti con te, quindi quando sei caduto ti abbiamo portato a casa mia. Abito vicino al bar, non è stato un problema».

«Ah» sospira il francese avvertendo finalmente l’odore aspro e insistente di vernice attorno a sè. L’intero appartamento, un open space soppalcato, sembra essere in via di ristrotturazione a giudicare dai barattoli di colore e i teli bianchi.

« Grazie » mormora alla fine incrociando lo sguardo verde e attento di Antonio, che gli risponde scrollando nuovamente le spalle.

« Di nulla. Ti chiedo scusa per il disordine, ma mi sono trasferito da poco e devo ancora sitemare un po’ di cose. Comunque, vuoi qualcosa da mangiare?».

« Che ore sono?».

« Le otto. Di mattina. Hai dormito tutta la notte. Che ne dici di brioche e caffè?».

Seduti al tavolo della cucina, davanti ad una tazza di caffè caldo e brioche al cioccolato, Francis sembra più ben disposto a comunicare.

« Allora, sei il proprietario del bar?».

« Sì, mia nonna si è trasferita in una specie di resort per anziani, e ha lasciato a me tutte le attività di famiglia» sospira lo spagnolo mescolando insistententemente lo zucchero nel caffè e sporcando la tovaglia candida.

« Deve essere una bella cosa» afferma convinto Francis, ma lo sguardo dell’altro ragazzo gli fa immediatamente chiuedere la bocca.

« è una bella scocciatura, invece. Non ho la minima idea di come si gestisce un’attività, di come si pagano le tasse e i dipendenti, dell’inventario e di quelle cose. È solo una grana, ecco cos’è».

Francis torna ad osservare la sua tazza, perchè non gli piace molto quello che lo spagnolo sta dicendo. Non gli piace per nulla, ad essere onesti, e lui non è mai stato molto bravo a mordersi la lingua.

Con un tono di voce insolitamente basso sussurra « Parli così perchè sei viziato. Probabilmente per tutta la tua vita sono stati gli altri ad occuparsi di te, a mantenerti e a proteggerti. E adesso che ti ritrovi da solo, a gestire finalmente qualcosa, non sai dove sbattere la testa. Se vuoi sapere come la penso, la tua non è affatto una scocciatura, ma una fortuna».

Antonio Fernandez Carriedo normalmente non permette a nessuno di parlargli in quel modo, ma allo stesso tempo sa che gli fa bene sentire quelle parole, parlare con qualcuno disinteressato che gli possa mettere davanti la realtà. E la realtà è che Antonio è davvero un ragazzino viziato che ama lamentarsi. 

« Una fortuna non richiesta » confessa cercando gli occhi azzurri del francese.

« Non importa » continua l’altro, tremendamente serio – Hai la tua vita nelle tue mani. Puoi fare quello che ti pare, gestire le cose come ritieni sia meglio. Un sacco di gente vorrebbe essere al tuo posto, quindi bada bene prima di lamentarti tanto. Hai una casa, un lavoro, sicuramente anche degli ottimi amici. Nulla di cui lamentarsi davvero-.

Antonio annuisce, colpito e affondato. Ogni tanto si dimentica che c’è chi sta peggio di lui e che quindi ha ben poco da lamentarsi. E qualcosa gli dice che Francis non se la passa molto bene.

« Perchè sei a Barcellona?» chiede all’improvviso, godendosi subito dopo l’espressione stupita e confusa del francese.

Francis però non si tira indietro. Lo spagnolo lo ha ospitato e gli ha offerto colazione, come minimo gli deve una storia.

« Secondo te perchè sono qui?».

« Perchè stai fuggendo da qualcosa».

« Bravo, hai indovinato. Pensavo che la Spagna fosse il posto ideale per me: sole, mare e bellissime ragazze. Invece mi sono ritrovato con un lavoro di merda e la mia padrona di casa che vuole sfrattarmi».

I due ragazzi rimangono per qualche istante in silenzio, persi ognuno nelle sue riflessioni. Uno pensa che forse dovrebbe davvero rimboccarsi le maniche e mandare avanti il locale, un po’ per rispetto verso la sua famiglia e un po’ per dimostrare a sè stesso che è in grado di fare qualcosa da solo. L’altro invece pensa che forse, a quel punto, dovrebbe tornare in Francia. Ha fallito, e non ha più molte carte da giocarsi.

« Io comunque mi chiamo Antonio» esclama all’improvviso lo spagnolo tendendo una mano oltre il tavolo.

Francis si riscuote e accenna ad un rapido sorriso, stringendogli la mano e sussurrando « Francis. È un piacere conoscerti ».

È interessante osservare le gocce di pioggia cadere e mescolarsi nelle pozzanghere sull’asfalto. Creano tanti piccoli cerchi che pochi secondi dopo svaniscono nel nulla. L’aria autunnale profuma di foglie ormai secche e di pioggia scrosciante.

Antonio e Francis rimangono fermi sulla soglia di casa per qualche istante, pronti a prendere ognuno la sua strada e forse a non rivedersi mai più.

Francis muove un passo in avanti ma lo spagnolo lo blocca esclamando « Ho un appartamento».

Il biondo si volta verso di lui, le sopracciglia alzate e la bocca leggermente socchiusa. Antonio invece è appoggiato ad uno dei battenti, lo sguardo perso verso l’alto ed un leggero rossore sulle gote.

« Come, scusa?».

« Ho un appartamento sfitto a qualche metro da qui. È grande, ma non proprio in buone condizioni. Ti potrebbe andare bene ugualmente?».

Francis si morde un labbro, indeciso. Non è proprio da lui accettare offerte su due piedi, tanto più quando è il proprietario stesso ad avvertire sul cattivo stato dell’abitazione. Eppure qualcosa gli dice che potrebbe essere una buona occasione. La migliore della sua vita, se decide di rischiare.

« Sembra interessante...» commenta tornando indietro e appoggiandosi al portone a sua volta.

Antonio sorride sornione senza smettere di osservare il cielo nuvoloso.

« Per adesso ti posso fare un buon prezzo, dato che saresti l’unico inquilino. Però qualcosa devo pur guardagnarci anche io. Devi farmi una promessa: devi cercarti il più presto possibile dei coinquilini, chiaro?».

Francis sorride e si perde ad osservare gli antichi palazzi gotici di Barcellona.

« Consideralo fatto».

NdB:

Ed ecco finalmente svelato come si sono conosciuti Francis e Antonio. In pratica tra loro due c’è sempre qualche bottiglia di vino.

Mi piacerebbe nel prossimo capitolo mostrare come si sono conosciuti anche gli altri personaggi, anche se forse va un po’ oltre il tema centrale di questa storia. Comunque è presto per dirlo, il capitolo è ancora in fase di lavorazione.

 

Intanto ringrazio tutti coloro che hanno letto e chi ha commentato. Mi dite cosa ne pensate? Ne sarei davvero molto felice!

Come sempre, alla prossima!

 

PS: chiedo scusa se ci sono ancora degli errori, ma purtroppo non è stata betata!

* Modena City Rambe, “In un giorno di pioggia”

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Capitolo 3
*** 3: La fotografia ***


Come sempre mi scuso se ci sono errori di battitura ma ho il correttore automatico disattivato e sono sprovvista di Beta, al momento.

Grazie comunque di continuare a leggere! Buona lettura!

Capitolo 3 – La fotografia

“Come fa male cercare , trovarti poco dopo E nell' ansia che ti perdo ti scatterò una foto”

C’è una foto, su una mensola della cucina di Antonio, che li ritrae tutti assieme. L’ha messa proprio lì, tra il frigorifero e la dispensa, perchè non c’è posto più addatto per quella fotografia.

“C’è un posto adatto per ogni cosa”, gli ripeteva sempre sua nonna quando era piccolo e l’aiutava a mettere in ordine la casa. Per questo ha fatto sempre molta attenzione a dove collocava ogni singola foto, nel suo appartamento.

Sul comodino, accanto al letto, tiene una foto di lui e Romano assieme. È una foto scattata durante una festa al locale, ed ogni volta che la guarda gli si stringe qualcosa nel petto. Quella è l’unica foto che ha di Romano, ed è perfetta, perchè c’è tutto quello che serve. C’è Antonio, sorridente e felice, che abbraccia l’italiano da dietro e guarda verso l’obiettivo. E c’è Romano, bello e impeccabile come sempre, con un broncio adorabile che finge di allontanarsi, ma senza rendersi conto di essere inquadrato mente gli stringe con determinazione una mano.

Le fotografie della sua famiglia, invece, le tiene nel salotto, in modo che tutti le possano vedere. La sua famiglia è il suo passato, il posto da dove viene e che lo ha reso ciò che è adesso. Per questo lascia che siano la prima cosa che si noti appena entrati nel suo appartamento. Sono un tacito avviso, un monito: non si può pretendere di conoscere Antonio senza conoscere le sue origini, la sua famiglia, la sua fede.

E poi c’è la foto in cucina, racchiusa in un semplice portafoto di legno scuro. Li ritrae tutti assieme, sereni e forse un po’ ubriachi, sul terrazzo del loro appartamento.

In prima fila c’è Feliciano, accovacciato per terra intendo ad accarezzare un gatto. Subito dietro di lui ci sono Arthur, serio e impassibile, ed Alfred, che ride e saluta l’obiettivo. Kiko se ne sta in un angolo, goffo e imbarazzato, mentre Ludwig scruta tutt’attorno corrucciato. Esattamente al centro, protagonisti indiscussi, ci sono Antonio e Francis. Hanno le teste vicine e le braccia sulle rispettive spalle, e chiunque potrebbe capire che tra loro c’è qualcosa di importante.

Antonio si ferma spesso, mentre cucina o mentre pulisce, ad osservare quella fotografia. Ogni volta che la guarda sorride o ridacchia, e cerca di ricordare come ci siano finiti tutti assieme, tutti lì, in quel piccolo appartamento.

« Scusatemi, mi potete dire da che parte è Calle National?» domanda un ragazzone biondo dal fortissimo accento straniero che fa istintivamente rabbrividire Antonio.

Ecco come hanno conosciuto Alfred Fitzgerard Jones. È una mattina di maggio, le strade di Barcellona sono più serene del solito e il profumo di privarera arriva fino alla soglia del bar di Antonio, dove lui e Francis stanno bevendo una spremuta di pomodori.

« Calle National?» domanda incuriosito il francese osservando i muscoli del biondo, il suo sorriso spavaldo ma un po’ spaesato e i suoi occhi terribilmente azzurri.

Alfred gli porge un pezzo di carta strappato da qualche giornale e gli mostra un annuncio su una casa in affitto.

« Vedi? È qui che devo andare!» esclama entusiasta il ragazzo con la sua voce tonante.

Francis sgrana gli occhi e il suo cervello, che ama definire semplicemente geniale, fa rapidamente due più due.

« Quindi stai cercando casa...» mormora con finta noncuranza e a quelle parole anche Antonio si fa subito più attento.

Scocca un’occhiata veloce all’annuncio sul giornale e gli servenono solo tre secondi per decidere cosa fare. Entrambi hanno una luce maligna negli occhi, un lampo che per fortuna l’americano non coglie perchè troppo occupato a pulire e infilarsi un paio di occhiali da sole.

Antonio si morde vistosamente il labbro inferiore e sussurra rammaricato « Oh, vai a vedere proprio quell’appartamento».

Francis gli regge il gioco e lancia all’americano uno sguardo impietosito, restituendogli l’anununcio.

« Beh, certo, capisco. Se ti piace quel genere di posto...».

Alfred, da dietro le lenti scure dei Rayban, sgrana gli occhi « Perchè? Cos’ha quell’appartamento di strano?».

Antonio e Francis si lanciano un’occhiata triste e infine lo spagnolo sospira « Sai, io non vorrei fare il pettegolo, però...».

« Però?».

« Però dicono che sia orribile. Certo, se non ti crea problemi dormire con gli scarafaggi nel letto e il lavandino che perde non c’è nulla che non vada».

« A parte i vicini rumosi e le continue perdite di gas, si intende- aggiunge il francese con una scrollata di spalle».

« Davvero?» domanda affascinato e al tempo stesso ansioso Alfred, pendendo letteralmente dalle loro labbra. Antonio e Francis vorrebbero ghignare, ma hanno ancora abbastanza contegno per non farlo.

« Eh sì, e poi c’è il proprietario. Un tipo losco, sempre ficcato in qualche brutto affare» commenta evasivo Antonio godendosi la faccia sconvolta del ragazzo.

« Un comunista» conferma per sicurezza Francis, e questo sembra essere il colpo decisivo.

« No! » strilla oltraggiato l’americano.

« Sì, invece ».

Alfred si guarda la punta delle scarpe da ginnastica e sembra rifletterci per qualche istante. Una manciata di secondi dopo le sue spalle robuste sono scosse da un flebile sospiro e infine rassegnato sussurra « Va bene, ho capito, cercherò qualcos’altro. Grazie lo stesso, ragazzi».

« Oh, di nulla» risponde sorridente Antonio, ma un attimo prima che il ragazzone si volti butta lì con finta casualità « Però ci potrebbe essere un’alternativa».

Gli occhi azzurri di Alfred si illuminano e un sorriso letteralmente radioso si allarga sul suo viso. Francis ne rimane folgorato per una manciata di secondi e quando si riprende ricambia con un ghigno malizioso.

« Non vorrei essere troppo invadente » mente spudoratemente Francis sporgendosi verso di lui ammiccante « ma vedi...io sto cercando un coinquilino».

Ed eccola, la trappola che scatta silenziosamente ma letale. E l’americano non si rende conto di essere appena diventato la loro preda.

« Veramente? » esclama tonante Alfred saltellando sul posto freneticamente « Perchè io ho proprio bisogno di un posto dove andare!».

I sorrisi gemelli di Antonio e Francis, più simili a ghigni che a sorrisi sinceri, si allargano e entrambi annuiscono soddisfatti.

« Non è tanto lontano da qua, è grande e lo sto risistemando. Ci sono tre camere da letto, ma se vuoi puoi stare nella mia, tesoro» propone languido il francese ma Alfred non lo sta neppure più ascoltando.

« Accetto!» esclama rapidamente « Accetto subito, non vorrei che dessi il posto a qualcun altro!».

« Perfetto, allora» ridacchia Antonio già pregustando i nuovi e raddoppiati introiti « passa domani qui al bar, ti porto a vedere la casa, ok?».

Una volta che il biondo è sparito dietro l’angolo Antonio e Francis sospirano conteporaneamente e si lasciano cadere sulle sedie davanti all’entrata.

« Dio, è stato fin troppo facile» commenta quasi rammaricato lo spagnolo continuando a guardare la strada dove è sparito l’altro ragazzo « Quell’americano è un tale idiota!».

« Oh, è carino» lo rabbonisce Francis tornando alla sua bevanda « e non vedo l’ora di entrare per sbaglio in bagno quando lui si farà la doccia!».

.

.

Antonio non si aspettava quel tipo di ragazzo.

A giudicare dalla chiamata ricevuta quella mattina pensava che il tipo che aveva risposto all’annuncio per l’affitto fosse un ragazzo acqua e sapone, forse un po’ ingenuotto, allegro e un filo sopra le righe.

Il ragazzino che invece sta girando per l’appartamento, osservando entusiasta gli stucchi, i quadri e il panorama fuori dalla finestra è ... è semplicemente strano. Nonostante sia primavera indossa un lungo giaccone scuro, un cappellino da baseball calato sul viso e un paio di occhiali scuri come se volesse celare la propria identità. Ogni tanto si guarda attorno guardingo, sussulta ad ogni minimo rumore e osserva di sottecchi lo spagnolo.

Strano, poco da aggiungere.

« Allora...» prova a rompere il ghiaccio Antonio «...che te ne pare? Ti piace? È grande e Francis ha rimesso a nuovo l’impianto elettrico e idraulico. E poi è tranquillo, i vicini...».

« Sono invadenti? Fanno domande?» chiede di scatto l’italiano avvicinandosi a lui e guardandolo dal basso verso l’alto.

Antonio arrossisce e si gratta la nuca « Uhm, no, non direi. Sono tutte famiglie tranquille».

« Bene, allora è perfetto» sospira il ragazzino e lo spagnolo inizia a domandarsi quali oscure attività nasconda.

« Lo prendo».

« Intendi dire che affitti una stanza?».

« Esatto, proprio quello. Dove devo firmare?».

Antonio decide che farsi troppe domande sarebbe controproducente. E poi non è lui a dover vivere assieme allo strambo italiano, ma Francis e Alfred. Quindi, col sorriso sulla faccia, gli porge il contratto d’affitto e una penna.

L’italiano fa appena in tempo ad apporre un paio di firme che un paio di colpi scuotono la porta d’ingresso. Il ragazzino squittisce e si rintana immediatamente il più lonanto possibile, mentre Antonio assiste sbigottito alla caduta della porta.

Un piccolo esercito di uomini in giacca, cravatta, auricolari e occhiali scuri fa irruzione nel salotto e si dirige a passo di marcia verso l’italiano.

« Signorino Vargas, come ha fatto a scappare di nuovo? L’abbiamo seguita per tutta la città, suo nonno era estremamemten preoccupato».

Feliciano sbuffa qualcosa di indefinito e cerca di opporre un’inutile quanto vana resistenza alle guardie del corpo.

«Voglio restare qua! » protesta come un bambino « Non voglio tornare a casa col nonno!».

Una voce possente, maschile e dura impone il silenzio. Da dietro alcuni bodyguard emerge un uomo alto ed affascinante, ben vestito ed elegante, che osserva dall’alto in basso il ragazzino.

Ad Antonio bastano tre secondi per riconoscerlo. Il profillo massiccio e squadrato di Romeo Vargas è inconfondibile, lo avrà visto centinaia di volte sulle riviste patinate di gossip e finanza. Tuttavia visto dal vivo è nettamente più imponente e spaventoso. È alto, muscoloso e ha lo sguardo di chi è pronto a qualsiasi cosa.

« Nonno, ti prego, non portarmi a casa! Voglio restare qui!» lo supplica il ragazzino con i grandi occhi castani pieni di lacrime.

« Ti ho comprato una villa e un attico nel centro di Barcellona. Perchè vuoi vivere in questa topaia?» domanda l’uomo con voce dura e irreprensibile.

Antonio apre la bocca per difendere l’appartamento ma gli sguardi d’avvertimento che gli lanciano le guardie del corpo lo fanno desistere. Serra con forza la mascella e continua a seguire la conversazione in silenzio, anche se dentro di sè sta semplicemente ruggendo.

« Perchè voglio essere come tutti gli altri!» esclama con rinnovato entusiasmo il ragazzo « Voglio vivere con altre persone, condividere la casa e la mia vita! Non voglio chiudermi in una gabbia dorata, nonno! Voglio restare qua, studiare come tutti gli altri ragazzi della mia età e dipingere ciò che ho attorno! Come faccio se rimango chiuso in una villa o in un attico?».

Lo spagnolo si aspettava una risposta brusca e secca da parte dell’uomo più anziano, invece ancora una volta questi lo sorprende. Romeo si scioglie in un sorriso pieno di tenerezza e abbraccia il nipote con tanta forza da rischiare di strangolarlo.

« Oh, il mio adorabile nipotino...» sospira baciandogli i capelli « come sei diventato maturo! Sono così fiero di te, Feliciano!».

Le guardie del corpo sembrano abituate a scene del genere mentre Antonio fatica seriamente a richiudere la bocca spalancata. Romeo Vargas non sembra neppure più lui, non ha più nulla dell’uomo austero e freddo che era quando è entrato. O almeno è così almeno fino a quando lascia andare il nipote e si volta verso Antonio. Il suo sguardo è tornato serio e determinato, e lo spagnolo sente le gambe tremargli per una frazione di secono.

« Tieni d’occhio il mio nipotino, d’accordo? E se gli succede qualcosa ti riterrò personalmente responsabile. E non sarà piacevole, te lo posso assicurare».

Antonio deglutisce e annusice istintivamente, giurando a sè stesso che non toccherà Feliciano mai a poi mai, nemmeno con un dito.

Ovviamente non sapeva ancora che l’italiano aveva anche un fratello.

.

.

« No, non se ne parla neppure».

« Francis, questa cosa non piace neppure a me, ma è necessario. E poi ormai ho detto che andava bene».

 Ma come ti è saltato in mente di dire che andava bene?».

« Non lo sapevo, d’accordo? Non ho pensato di chiedergli di che nazionalità fosse quando ha telefonato!».

« Sbagliato, Antonio, molto sbagliato! Era la prima cosa che dovevi chiedergli!».

« Stai esagerando».

« Certo che esagero! E poi non devi viverci tu con lui, no? Sono io quello che dovrà condividere casa con un...» Francis prende un respiro profondo « un damerino Inglese, ecco».

« Magari non è poi tanto male» tenta Antonio, sorridente.

Il francese lo trucida con lo sguardo « Ti dico io cosa sarà. Sarà un piccolo, spocchioso, arrogante inglese. Come tutti. Sarà sicuramente pieno di sè, snob, viziato, maniaco dell’ordine e della pulizia, esageratamente organizzato, educato e politically correct. Dio, sarà un incubo...».

Antonio vorrebbe dire che sta davvero esagerando, ma il trillo del campanello li interrompe.

« Eccolo, è arrivato» sussurra Antonio mentre va ad aprire la porta e gli lancia un’occhiata ammonitrice « Comportati bene».

Un attimo dopo entra in casa il famigerato Arthur Kirkland, alto un metro e qualcosa, occhi verdi, capelli biondi e delle inquietantissime sopracciglia scure.

“Oh cielo” pensa Francis e vorrebbe tanto, davvero tanto, sbattere la testa contro il muro “ Ha anche l’ombrello! Ci sono quaranta gradi e nessuna nuvola, e lui ha anche un ombrello!”.

Mentre Antonio fa gli onori di casa e parla a vanvera delle bellezze di Barcellona, Francis gira attorno all’inglese studiandolo attentamente, quasi fosse un animale bizzarro e in via d’estinzione. E quando finalmente Arthur se ne accorge sbotta bruscamente « Hai finito? Sei irritante!».

« Oh, scusa, non volevo darti fastidio...» sogghigna poco rassicurante Francis e Antonia inizia a pregare.

« Come sei divertente...» sibila l’inglese digrignando i denti.

« Certamente meglio del vostro famoso “humor inglese”, no?».

« Mangialumache!».

« Sopracciglia folte!».

« Fallito!».

« Sfigato!».

Tutto quello che Antonio può fare è lasciare l’appartamento e chiudersi la porta alle spalle, sperando di non trovare il giorno dopo un bagno di sangue.

“Iniziamo bene, proprio bene”.

È questo che ha pensato quando Arthur è entrato a far parte delle loro vite, e le ha stravolte. Riguardando indietro, tutti quanti, a loro modo, hanno cambiato la sua vita. In meglio, di solito. E ognuno di loro è immortalato in una foto, per ricordarglielo.

Manca solo Francis. Ogni tanto qualcuno gli chiede perchè non abbia una foto con il suo migliore amico, e lui risponde sempre che non ne ha bisogno.

Non ha bisogno di alcuna foto di Francis, non quando vede il suo viso dal vivo ogni singolo giorno, non quando il francese si autoinvita a cena un giorni sì e l’altro anche, non quando se lo ritrova a dormire sul divano senza spiegazioni.

Ma alla fine va bene così, perchè gli vuole bene proprio per quello.

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NdB:

Bene, eccoci qui! E fu così che si incontrarono i coinquilini dell’appartamento spagnolo!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto perchè per me è molto importante, soprattutto la prima parte.

E per quanto riguarda il prossimo un piccolo spoiler: non vi sembra che manchi qualcuno? Manca un terzo elemento per comporre il trio delle meraviglie!

Grazie infinite per aver letto e soprattutto commentato, ne sono davvero felicissima! Lasciatemi un commentino, ok?

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Capitolo 4
*** 4. Il matrimonio ***


Capitolo 4 – Il matrimonio

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“E ho guardato dentro un' emozione

. E ci ho visto dentro tanto amore

. Che ho capito perché

. Non si comanda al cuore

. E va bene così”

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I passi affrettati di Gilbert riempiono l’intera navata della chiesa, portando numerose teste a voltarsi verso di lui.

« Sei in ritardo» gli fa notare Antonio quando l’albino prende posto accanto a loro in una delle prime file.

« Scusate, mi ero perso» risponde con un ghigno incredibile Gilbert.

« Con la cugina della sposa» aggiunge dopo un secondo e il suo sorrisetto si amplia.

Antonio e Francis, accanto a lui, ridacchiano e alzano entrambi gli occhi al cielo.

« Pensavo che i matrimoni ti mettessero depressione...» sussurra lo spagnolo ammiccando alla signora seduta davanti a loro che continua a voltarsi sbuffando e invocando il silenzio.

« Se fosse il mio sì » conferma il tedesco senza nascondere il suo buon umore « Ma per fortuna oggi non sono io a sposarmi». Ancora una volta gli altri due ragazzi sbuffano una mezza risata e scrollano le spalle.

Gilbert è una forza della natura, il perfetto complemento al loro già quasi perfetto duo.

Francis apre la bocca per dire qualcosa, probabilmente qualcosa di estremamente perverso, ma la marcia nuziale lo blocca appena in tempo.

Un centinaio di teste si voltano verso l’entrata della chiesa da dove fa il suo spettacolare ingresso Elizaveta, meravigliosa in un abito bianco e spumoso.

Antonio lancia un’occhiata a Roderich, immobile ed emozionato sull’altare, e non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così. Aveva sempre pensato che tra lui e lo svizzero le cose sarebbero continuate per sempre, tra alti e bassi, tra pianoforti e quotazioni in borsa.

Invece un bel giorno l’austriaco si era presentato alla sua porta con una sacher annunciandogli che tra lui e Vash era tutto finito, che il biondo era ritornato in Svizzera con la sorella e che ora lui non sapeva più cosa fare della sua vita.

Lo spagnolo sorride, pensando che è passato nemmeno un anno da quel giorno, ed ora eccoli lì, a Vienna, al matrimonio di Roderich e la famigerata Elizaveta.

« Tutto questo ha seriamente dell’incredibile » gli mormora in un orecchio Francis, e Antonio non può fare a meno di sorridere per via della loro sintonia di pensieri. Non è la prima volta che pensano alla stessa cosa nello stesso momento, ma ogni volta che se ne accorge gli viene da ridere e da abbracciarlo. Perchè qualcun altro potrebbe anche spaventarsi per quella sintonia, per quella capacità di leggersi la verità negli occhi. Ma non loro, non dopo tutto quel tempo passato assieme e a tutte le cose dette.

Elizaveta passa accanto a loro sorridendo radiosa in direzione dello sposo, e Gilbert intercetta il suo sorriso con un occhiolino privo di pudore. Francis gli conficca un gomito nel costato e lo ammonisce con lo sguardo, scoppiando a ridere un attimo dopo e suscitando le ire della donna seduta di fronte a loro. Con la coda dell’occhio Antonio li osserva divertito, dimenticandosi per qualche minuto della cerimonia e del perchè siano lì.

Nella penombra della cattedrale si ferma a guardarli ridacchiare e parlottare incessantemente, e senza apparentemente alcun motivo si domanda come sarebbe fare sesso con loro, tutti e tre assieme. Sarebbero in sintonia, sicuramente, e sarebbero davvero uno spettacolo ammirevole.

È un pensiero assurdo, privo di fondamenta, completamente inadatto all’occasione, ma qualche volta gli sorge spontaneo, come ora, mentre osserva i suoi migliori amici assorti in chissà quale svergognata conversazione.

Pensa che siano entrambi bellissimi, ognuno a modo suo. Francis, nel suo abito grigio e col fiore bianco nel taschino, ha l’aspetto di uno che ne sa davvero tanto sul sesso, uno che conosce ogni trucco, ogni strategia e vizio umano.

Antonio ha passato le sue dita mille volte in quei lunghi capelli biondi, ne conosce la morbidezza e il profumo, ma non è mai andato oltre. Sa perfettamente che basterebbe poco, pochissimo, per far degenerare la situazione e complicare le cose. E lui davvero non vuole complicazioni, non vuole rovinare quel rapporto perfetto che si è instaurato tra di loro. Loro due, per quanto legati e costantemente alla ricerca di qualcosa di nuovo, stanno bene così. Non hanno bisogno di rovinare tutto con stupide promesse che sanno perfettamente non essere in grado di mantenere.

E poi c’è Gilbert. Gilbert è completamente pazzo, ma forse è proprio per questo che a lui piace tanto. Ha quel fascino criminale che fa impazzire le donne, che fa incendiare le feste e li fa buttare fuori dai locali ogni singola, dannatissima, volta. Il tedesco è presuntuoso, arrogante, egocentrico e pieno di sè, ma Antonio ha bisogno di avere qualcuno come lui accanto. Ha bisogno di specchiarsi in quegli occhi scarlatti e in quel sorriso tremendo, e sentirsi un mezzo delinquente come lui.

Quando sta con loro due lo spagnolo si sente irrimediabilmente vivo. Con loro riesce finalmente a dare sfogo a quella parte di sè che per la maggior parte del tempo tiene segregata sotto strati di perbenismo e gentilezza, coperta da un sorriso troppo buono per essere vero. Quando è con loro, in giro per la città senza una meta, o anche ad un matrimonio, si sente libero di tirare fuori il peggio di sè, sapendo che non verrà mai giudicato da loro.

Ormai ha perso il conto delle sciocchezze che hanno combinato assieme, di tutte le volte che hanno fatto qualcosa che non bisognerebbe mai fare, di tutte le stupidaggini che si sono detti.

Nemmeno con Romano ne parla, perchè probabilmente lui non capirebbe. Penserebbe solo che sono tre idioti troppo cresciuti, pianta grane e rissosi. Invece loro sono molto di più, sono i cattivi ragazzi che nessuno vorrebbe mai incontrare, sono i riflessi oscuri delle loro vite altrimenti troppo perfette e solari.

Quindi chissà come sarebbe finire a letto tutti insieme, almeno una volta...

Riflettendo su questo per poco non si accorge che la cerimonia ormai sta volgendo al termine e che Francis sta cercando di richiamare la sua attenzione.

« Tonio, dov’era finita la tua bella testolina?» lo rimprovera con un sorriso, ma il suo sguardo chiarissimo è attento e indaga ogni sua espressione, in cerca di un possibile disagio.

Il viso dello spagnolo si stende in un sorriso sereno e si passa la lingua sul labbro inferiore.

« Credimi, non lo vuoi sapere» risponde smaliziato e divertito. E forse Francis sa esattamente a cosa stava pensando, perchè gli regala un sorriso gemello davvero poco rassicurante.

.

.

« Riesci a crederci che siano passati solo pochi anni?» domanda completamente rilassato Francis e Antonio non ha bisogno di chiedere a cosa si stia riferendo. Gli basta seguire la traiettoria del suo sguardo per incontrare Gilbert intento a ballare fin troppo strettamente con la sposa.

Alla fine è stata una bella cerimonia ed il banchetto nuziale, tenutosi nel parco di una villa appena fuori Vienna, è una festa sfarzosa in perfetto stile austro ungarico.

Antonio si lascia cadere accanto a Francis su una delle tante sdraio che circondano la piscina e sospira beatamente, sentendosi bene e in pace col mondo. Sotto il cielo scuro illuminato da fiaccole e stelle sfocate pensa che non ci sia nulla che non vada, nulla di sbagliato in quella serata. Davvero, per una volta non ha nulla da chiedere di meglio.

Non è una questione di accontentarsi, no, Antonio non è il tipo da accontentarsi per poco. Lui punta al meglio, sempre e tenacemente. Ma questa sera sta bene così, sazio e soddisfatto.

In silenzio osservano per qualche istante Gilbert danzare con Elizaveta, ridacchiare e sussurrare chissà quali porchierie alla novella sposa, ed Antonio impiega che un secondo a capire a cosa si riferisca Francis.

Ci sono volte in cui nemmeno a lui sembra vero che si conoscano da così poco tempo. Sono passati solo pochi anni da quando hanno incontrato Gilbert, eppure sembrano conoscersi da tutta la vita.

Forse è proprio questa l’affinità elettiva che si crea tra alcune, rare, persone. È qualcosa di istintivo e naturale, quasi chimico. Qualcosa che si instaura subito, a primo acchito, qualcosa che scivola sulla silenziosamente sulla pelle e ti lega per tutta la vita.

Lo spagnolo scrolla le spalle ridacchiando « A volte sembrano un’eternità».

Francis annuisce, gli intreccia le dita tra i riccioli castani, massaggiandogli la cute con delicatezza e sensualità e fa cenno all’albino di raggiungerli.

Gilbert barcolla leggermente mentre si avvicina, probabilmente anche lui ha bevuto un po’ troppo, e si sistema comodamente tra le gambe aperte di Antonio, poggiando la schiena contro il suo petto. 

E nonostante la serata non sia delle più calde e l’aria fresca della notte gli soffi sulla pelle, Antonio avverte un senso di calore avvolgerlo. Un senso di calore che parte dalle dita di Francis e finisce sulle spalle dell’albino, che lo riempie da dentro e gli fa chiudere gli occhi. Poggia la nuca sulla sdraio e inspira il profumo di fumo e di vino che emanano i suoi migliori amici, pensando che potrebbe anche addormentarsi così, senza più una parola.

Ma poi Gilbert si riscuote e si mette a sedere dandogli un paio di calcetti ai polpacci.

« Non so voi, ragazzi, ma io mi sto annoiando a morte qui. Che ne direste di movimentare un po’ questa serata?».

E il riposo di Antonio evapora come una bolla di sapone, ma non può proprio lamentarsene.

« E andiamo».

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NdB:

Gilbert. Basta il nome: Gilbert. Quanto lo amo! Per scrivere questo capitolo, per lui, mi sono addirittura convertita alla coppia Ungheria/Austria, e non è cosa da poco! Il problema è che io e le mie coinquiline guardiamo troppo spesso “Abito da sposa cercasi” e questo è il risultato!

Perdonate gli eventuali errori di battitura ma non è stata betata. E dovendo essere sincera non so bene se ci saranno altri capitoli, per il momento ho in mente qualcosa ma nulla di cartaceo, ancora.

Grazie a chi ha letto fino a questo punto e soprattutto grazie mille per i commenti! Sono sempre molto molto graditi!

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