Baby run, cut a path across the blue skies

di olor a libros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Corro. ***
Capitolo 2: *** Vivo. ***



Capitolo 1
*** Corro. ***



Lei è lì.
E' il momento.
Renditene conto.
E' il momento che hai sempre aspettato, svegliati.
Lei è quella persona splendida e lontana che hai sempre aspettato, devi raggiungerla.


Eppure non riesco a muovermi. Perché i sogni, quelli che guardi da lontano, tu nel tuo presente e loro laggiù nel futuro - forse, se ti va bene - questi sogni che aspetti per tutta una vita, vivi aspettando proprio loro, questi sogni quando poi arrivano ti devastano.
Spazzano via tutto, non rimane più niente se non un piccolo istante, minuscolo, immenso.
E a riempire quell'istante - a renderlo completo - c'è un viso, che è l'altra unica cosa che rimane. Più di tutto, c'è il suo viso.
E' piccolo, dolce, e impossibile. Così impossibile che la ragione ti dice che non può essere lì, così vicino. Così impossibile che il cuore ti dice Allunga le mani, allunga tutta te stessa, perché quello lì è proprio tutto ciò che desideri.
Sì, tutto ciò che desidero. La mia Taylor.
E finalmente me ne rendo conto. Lei. Lei è qui. Lei è...
E' lei, è quello che aspettavo.
E' lei, vicina.
Taylor.
Faccio un passo avanti.
Incontro un ostacolo, è la schiena di qualcuno che dentro ha un cuore come il mio, totalmente in delirio in questo momento.
Ma non importa, io vado ancora avanti.
Perché lei è lì, vedo il suo sorriso spuntare da sopra tutte queste teste - sembrano così tante, un mare di teste di fans. Non la raggiungerò mai.
Mi fermo, rimango immobile.
Va già bene così, va benissimo così.
E' già più vicina di quanto lo sia mai stata, posso dire di averla vista, posso dire che mancava solo un piccolo spazio e poi saremmo state una dove finisce lo spazio dell'altra.
Basta non ascoltare questo straziante dolore, che è desiderio troppo forte, desiderio di raggiungerla; basterà far finta di niente quando questo abbraccio mancato mi brucierà sulle braccia.
Ma tanto ora è tutto a posto, non devo pensare più a niente, è finito il tempo: lei se ne va.
La vedo, gli omoni vestiti di nero la circondano, la fanno salire in macchina.
Sento le urla accanto a me, le urla che la chiamano, le sento tutte ora all'improvviso.
Pian piano, mi lascio riempire la testa da queste voci. Che entri il caos, si porti via i miei pensieri.
Non lo voglio un cervello, ora. Nessuna mente ragionevolmente ragionante, per questa volta.
Questa volta non sono io.
Questa volta sono io.
Senza paura.
Senza cose da perdere.
Ma con tutto da prendere.
Ho tutto, io, questa sera. Tutto quello che mi serve, tutto quello che amo. E' proprio lì, nella macchina che si sta per allontanare.
Parte, la macchina.
Partono, le mie gambe, guidate da una testa che non è più quella vecchia.
Sto correndo.
Corro dietro il mio sogno, corro dietro di lei, dietro questa macchina nera che sembra blindata come una cassaforte - voglio il tesoro che c'è dentro, questo voglio.
Corro come non ho mai corso in vita mia,
desidero raggiungerla come non ho mai desiderato niente in vita mia.
Arrivo al punto in cui non mi sento più le gambe, non mi sento più niente - la testa, quella se n'è già andata da un pezzo.
Non capisco niente, so solo che sto inseguendo la mia Taylor.
Eppure lì davanti a me vedo solo quel pezzo di ferro scuro, ostile.
Dentro forse c'è lei.
Forse lei mi sta guardando, da dietro i vetri completamente oscurati.
Forse ha anche chiesto di fermare la macchina, evidentemente non l'hanno ascoltata.
O forse, forse non sa che io sono qui - non sa che io sono.
Forse è lì seduta tranquilla, e non lo sa che dietro ha una squilibrata che sta perdendo i polmoni per seguirla.
 E se ne andrà, Taylor. Sarà come prima, quando non c'era.

La macchina si allontana sempre di più, man mano che i miei piedi perdono i passi.
Vedo solo quello, la macchina che si porta via la mia Taylor.
Non vedo l'incrocio, non vedo l'auto che frena di colpo.
Non vedo il camion che le va addosso da dietro, la spinge in avanti.
In avanti che poi è proprio dove sono io, con le gambe che ancora si illudono di correre ma non vanno lontano.
Non mi fermo, non vedo. Devo correre.
Però poi qualcosa mi ferma.
Mi dà fastidio, perché mi ferma.
Io devo correre.
E invece ora, chissà come, mi ritrovo a volare.
Volo, sbalzata alla mia destra - non è da quella parte che devo andare.
Volo,  ruoto su me stessa, o forse è il mondo che ruota intorno a me.
I miei occhi non si chiudono. Mi si riempiono di scaglie, linee impazzite, di queste cose intorno a me che ora hanno deciso di mischiarsi tutte, alla rinfusa.
E' un ciclone di cui io sono il centro, è la tavolozza del pittore dopo che un gatto ci ha zampettato sopra creando un carnevale di colori.
Vedo tutto questo, tutto ciò che mi circonda, anche se nell'ordine sbagliato.
Solo una cosa non vedo, ed è l'unica che vorrei negli occhi: la macchina. Taylor, dentro la macchina.
E' questione di un istante, eppure ho tutto il tempo di pensare, perché ho capito quel che sta accadendo - quel che mi accadrà.
Ho tutto il tempo di pensare a lei, che per un attimo, nella mia vita, è stata vicina.
Lei che per ogni singolo istante, nella mia vita, mi è stata vicina.
Penso che non potrò mai ringraziarla.
Penso che non voglio che la mia vita finisca qua, perché nella mia vita non può mancare quell'attimo - quell'abbraccio.
Ancora un attimo, penso. Solo quell'istante, vi prego, quello devo viverlo.
Poi sento un colpo.
Il cemento duro si abbatte contro la mia testa, o forse è il contrario.
E il colpo porta con sé il buio.
Solo un piccolo black-out, breve, un ultimatum prima del buio vero.
La mia testa chiama un'ultima immagine, quel suo viso che ora mi riempie completamente gli occhi, è lei che per un attimo cancella il nero. Mi sorride, e io non sento le mie labbra ma secondo me ora stanno sorridendo.
La mia ultima parola, ne ho il diritto, anche se nessuno sarà lì ad ascoltarla.
"Thank you."
Un ultimo nome, il nome che amo di più al mondo.
"Taylor."

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Capitolo 2
*** Vivo. ***


Apro gli occhi e penso di essere in paradiso.
Dev'essere un angelo.
O forse non lo è, forse non sono in paradiso, chi lo sa dove sono, non importa.
Perché quell'angelo è lei, e allora va tutto bene.
Taylor è con me ora come lo è sempre stata quando ero in vita.
Ora è lì, che riempie il mio sguardo.
Quel sorriso che all'improvviso le si apre è tutto ciò che vedo, è tutto ciò di cui mi importi.
Voglio vedere solo lei.
Non voglio queste cose grigie che adesso mi stanno spuntando al margine degli occhi.
Pian piano la visuale si allarga, vedo le pareti, non capisco se sono loro a spuntare dal nulla o se sono io che solo ora inizio a vedere.
Ma va bene, non mi importa delle pareti grigie, perché con loro anche il volto vicino a me diventa più nitido.
Mi concentro su quello, giuro a me stessa che non distoglierò mai più lo sguardo.
Il sorriso, Taylor, dammi il tuo sorriso, che riempia questo mio corpo che sento svuotato.
Eccolo.
Grazie.
Mio Dio, anche la tua voce.
"Hi", mi dici. Ciao.
Ciao, Taylor.  
Sei dolce. Tanto. Ma sei vera?
Troppi regali mi fai, poi non può essere altro che un sogno, tutto questo - lo sapevo, sono morta davvero.
Però non posso non accettarlo, il tuo abbraccio.
Mi arriva inaspettato, aspettato per un'eternità.
E con lui arrivi anche te. Taylor.
Vicina, mi stai abbracciando.
Ora il tuo viso è di fianco al mio, ho la testa sulla tua spalla e non ho più niente a riempirmi lo sguardo.
Così alla fine li vedo, i macchinari, li vedo ora che ti abbraccio, che ho gli occhi liberi.
Vedo i letti vuoti, tristi.
Vedo quella linea sullo schermo che va su e giù; poi arriva anche il rumore da associarvi, lo trovo il rumore  giusto, c'è sempre stato, era solo questione di riconoscerlo.
E allora decido di svegliare anche il naso, e sento quell'odore, quello che non si può confondere.
Odore di ospedale.
Sono in un ospedale.

Come sono ridotta? Come sto?
Sono felice.

E il mio corpo, com'è?
Vivo.
Ora la sento la schiena, sotto le tue braccia.
Lo sento il mio cuore, accanto al tuo.
Io vivo.
Mi fa vivere, questo abbraccio.  Ci sei tu. Non sono morta. Non sono mai stata viva.
Mai, prima d'ora.

Poi lei allontana un po' il viso, torna a guardarmi.
I suoi occhi sono liquidi, ancor più di come li avevo immaginati. Sono tremendamente intensi, tremendamente suoi.
C'è una lacrima, che scende silenziosa.
E striscia su quella guancia che un attimo fa era attaccata alla mia, e striscia nella mia testa, mi porta dentro, in una serie di immagini che credevo impossibili, immagini senza immagini, immagini senza colori, foto immerse nel fango. Non c'è niente da vedere, solo sensazioni, intrappolate in quella palude.
Rumori. Una giungla di rumori.
Una voce si distingue, in quel gomitolo di orridi suoni sembra ancor più bella.
La sento, sono immersa in quel fango del passato ma la sento come se fosse vicino al mio orecchio, ora. Eppure non riesco a capire cosa dice.
Poi sento una stretta su di me. E' forte, decisa, ma non fa male: è la sua stretta.
Poco dopo una voce flebile, quasi non esiste, si sente che è distrutta dalla lotta che ha compiuto per uscire fuori. Mi accorgo che è la mia, perché dice: "Taylor."
L'altra voce le risponde - ora sta urlando, o forse è il contrasto a renderla così acuta -, ma anche questa volta sono parole indecifrabili, suoni indistinti ma belli.
L'ultima cosa che sento è una lacrima. Calda, cade appena sopra il mio occhio. Piano.
Giusta.
Sua.

E dunque ora so che lei mi aveva sentito. L'aveva sentito, il mio "Thank you."
Ma in ogni caso non importa, perché avrò tutto il tempo di sommergerla di ringraziamenti, e sorrisi, e abbracci.
Perché ora è qui accanto a me, Taylor Swift.
In questa camera di ospedale con  le sue pareti tristi e il freddo del ferro, Taylor Swift è seduta accanto a me su questo letto ridicolmente bianco, lei è qui, la sua gamba che tocca la mia, le mie dita fredde fra le sue mani, il mio cuore nei suoi occhi, ormai perso.
E tutto brilla in questo piccolo spazio formato dai nostri due corpi, il grigiume spinge da fuori ma non può toccare questa nostra bolla piena di vita, di questa vita che ho quasi perso per lei - lei che è stata la prima a donarmi la vita.

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