The ring of fire di Aura (/viewuser.php?uid=1032)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo del Forestiero ***
Capitolo 2: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 3: *** Un passo in avanti ***
Capitolo 1 *** L'arrivo del Forestiero ***
1rof
Mi portò lì proprio nel momento in
cui ormai non me lo aspettavo più, mi portò nella terra in cui lui
era cresciuto quando ogni speranza era finita.
In
Dublin's fair city,
where
the girls are so pretty,
I first set my eyes on sweet Molly
Malone,
As she wheeled her wheel-barrow,
Through streets broad
and narrow,
Crying, "Cockles and mussels, alive alive
oh!"
(Molly Malone, canto popolare gaelico)
-
J, il tavolo tre si sta lamentando che nessuno è ancora andato a
prendergli le ordinazioni: dormi in piedi? - Frank le diceva le cose
con la solita aria impegnata. Non che lo fosse davvero, era un tono
che si dava per poter rimanere al bancone e continuare a flirtare
indisturbato con le sciocche che gli davano corda, mentre a Jill
ovviamente rimaneva il lavoro sporco, quello che lui continuava ad
affibbiarle.
Con
un'occhiata carica di astio nella sua direzione, estrasse dalla tasca
del grembiulino nero un blocchetto e la penna, e con il più falso
dei sorrisi si avvicinò al tavolo dei nuovi arrivati. Era
arrabbiata. Quel giochetto poteva andare bene nei giorni tranquilli,
ma il sabato sera lui avrebbe dovuto scendere dal trespolo, o almeno
assumere qualcuno che l'aiutasse, qualcuno con più sale in zucca
dell'inutile Betta che con la sua appariscenza soddisfaceva il
proprietario e gli occhi dei clienti, ma non l'aiutava certo a
smaltire gli ordini del pienone.
-
Ragazzi, scusatemi se non sono riuscita a venire prima. Cosa
prendete? - disse svelta, mentre cercava di ignorare le occhiate dal
tavolo di fianco che tentavano di attirare la sua attenzione per
sollecitare le loro birre.
-
Non avete un listino? - domandò annoiata la ragazza a capotavola,
soffiando un cono perfetto di fumo sopra di lei.
J
si sforzò di mantenere il sorriso, sperando che i clienti non si
fossero accorti dell'angolo delle sue labbra che aveva tremato
nervosamente alla domanda
-
Ma certo, che sciocca che sono, - disse. Sfoderò una risata
dispiaciuta ed efficiente, e corse al banco per poi ritornare da loro
con quattro libretti plastificati praticamente inutilizzati. - Ve li
lascio, così scegliete con comodo. Torno tra cinque minuti. - Fece
per allontanarsi, ma fu fermata dal damerino che stringeva la mano
alla stronza a capotavola.
-
Ti dispiace stare qui? Scegliamo subito, non vorremmo aspettare
ancora un'ora, sai com'è.
-
J, ma dove sono finite le nostre bionde? - la chiamò Bill, cliente
abituale dal tavolo cinque al quale si permise di rivolgere un
segnale con la mano per fargli capire che sarebbe arrivata a breve,
prima di tornare armata di pazienza al tavolo tre.
-
Ma certo, sono qui per voi, - disse, mentre con la mente stava già
stabilendo il percorso successivo per accontentare il più
velocemente possibile i clienti che stavano aspettando.
-
Senti, nell'irish coffe cosa c'è? - le domandò pensierosa una
brunetta.
-
Caffè, whisky e panna shakerata, - rispose senza esitazione,
nonostante ci fosse scritto proprio sulla lista nella riga sotto al
nome del cocktail. La ragazza arricciò il naso e scosse la testa,
per poi proseguire a sfogliare il menù.
-
Come lo fa il barista il Cocktail Martini? Bello forte? - chiese il
damerino di prima con aria da intenditore.
Gin
sporcato con una goccia di vermouth, come potesse essere leggero era
un mistero.
-
Certo, il migliore della città, - disse sicura, spostando impaziente
il peso del corpo da un piede all'altro. Da quanto tempo era lì
ferma? La gente era insopportabile quando ci si metteva, e provare a
far notare che oltre a loro c'era un'intera massa di persone nervose
che aspettavano non avrebbe fatto altro che farli alzare
indispettiti, facendole guadagnare un predicozzo da Frank
sull'attenzione che bisogna rivolgere al cliente.
Dopo
aver spulciato tutto il menù finalmente le dettarono le ordinazioni,
ovvero due coca-cole per le ragazze, tre Guinness e un Cocktail
Martini.
Con
un sorriso J raccolse i listini e scappò a lasciare la comanda a
Frank, facendogli sopra un bel segno che nel loro codice significava
clienti esigenti; per poi caricare sul vassoio quanti più ordini
poteva e iniziare veloce la distribuzione.
-
Eccomi qui, ragazzi, - disse, approdando da Bill e Mark. - E questo
giro è gratis. - Sbuffò, lanciando praticamente le pinte sul
tavolo, per scappare subito via. Se proprio doveva offrire qualcosa a
qualcuno per ripagarlo del ritardo, preferiva farlo con chi era
praticamente di casa, piuttosto che con i gruppi che si alternavano
ogni sera.
-
Alla tua, J! - brindarono loro, mentre la schiuma colava giù dai
loro bicchieri dopo l'impatto.
Una
volta che ogni tavolo fu servito, J si rifugiò dietro al bancone,
nell'angolo sommerso di bicchieri vuoti e sporchi.
Aprì
rapida la lavastoviglie, spostandosi per evitare di essere investita
dalla nube di vapore, ed estrasse il cestello delle stoviglie pulite
per sostituirlo con quello che velocemente aveva riempito.
- Un successone, stasera - le disse simpatico Frank, avvicinandosi per
mettere a posto qualche bicchiere, e con una rapida occhiata alle sue
spalle la ragazza si accorse che le ochette non c'erano più.
-
Come tutti i sabati, - non si trattenne dal dire. - Frank, non ce la
faccio da sola, - gli fece notare implorante, ma lui scoppiò a
ridere
-
Ma non sei sola, c'è Betta e ci sono io! Su, vai a fare un giro dei
tavoli, che scommetto che qualcuno vuole dell'altro carburante! - le
disse con la sua solita faccia supponente, e Jill appoggiò con poca
grazia i boccali che aveva in mano e rispettò l'ordine sforzandosi
di non digrignare i denti.
Amava
quel posto in settimana, quando era solo suo e di Melly, la sorella
di Frank, che prendeva il posto del fratello nei giorni feriali; ma
quando lui nel week end onorava tutti con la sua presenza era un
inferno. Controllò l'orologio. Il giro di boa era passato da un po'
e se la gente sgomberava in fretta nel giro di un'ora sarebbe stata
lontana da lì.
Patrick
era lusingato dalle continue occhiate che le due bamboline
continuavano a rivolgergli ridacchiando, ma il tempo passava e
nessuno faceva cenno di volersi spostare dalle scale antincendio del
palazzo davanti al quale si erano dati ritrovo.
-
Amico, - disse a Mike, il collega che l'aveva invitato a passare una
sera con i suoi amici. - Fammi capire, non dovevamo andare in
discoteca?
-
Stiamo aspettando J, - gli spiegò lui e gli passò un’altra
bottiglia di birra per far passare l’attesa. - Dovrebbe smontare il
turno a breve, se tutto va bene. Aveva detto che per stasera non
prevedeva di fare tardi.
Patrick
prese un sorso dalla bevanda e cercò di non incrociare di nuovo lo
sguardo con una delle bamboline, per evitare di ripetere l'ennesimo
sorriso di circostanza. Sperava che quel Jay non si sarebbe fatto
attendere ancora a lungo.
Erano
due settimane che lavorava con Mike. Sembrava un tipo a posto, e non
appena saputo che Patrick si era appena trasferito nei sobborghi di
Memphis lo aveva subito invitato a uscire con i suoi amici, per farlo
ambientare un po'. Gliene era grato, ma doveva ammettere che aveva
sperato in una serata un po' diversa.
-
Io propongo di andare, - disse Sam, dopo che Patrick ebbe finito
altre due birre. - in fondo J sa dove andiamo e ci può raggiungere
là. Stiamo passando la serata a fare la muffa come al solito e non è
un benvenuto per Patrick. Giusto, amico? - Gli diede una pacca sulla
spalla, mentre Annabell si lamentava inquieta.
-
Ma avevo detto a J che ci saremmo visti tutti qui...- mugugnò.
Sam
non si scompose e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi dai
gradini.
-
Ci raggiungerà. Non è certo colpa sua se le cose al pub sono andate
per le lunghe, ma non è neanche colpa nostra. Muovete le chiappe,
ragazze, si va. - sentenziò, gentile ma irremovibile.
Patrick
lo guardò con rispetto dopo quella frase. Sam era fatto di un'ottima
pasta: era un ragazzo di polso e sapeva il fatto suo, senza
sconfinare mai nella tirannide, si sapeva imporre quasi con garbo. In
fondo aveva ragione: non vedeva un motivo perché quel Jay non
potesse raggiungerli ovunque erano diretti, così si alzò in piedi
dandogli silenziosamente il suo appoggio.
-
Sarà meglio, - scherzò Mike, - sennò un altro paio di bionde e il
povero Patrick arriverà alla Sierra sui gomiti.
-
ehi, ragazzo, - lo rimproverò lui. - Dimentichi che in queste vene
scorre sangue irlandese, e il sangue degli irlandesi è fatto di
birra. - Gli prese la testa amichevolmente sotto al braccio e ci
sfregò sopra le nocche.
Si
incamminarono, le due ragazze davanti a lui a braccetto. Avevano
preso quella posizione nel corteo solo per mostragli i loro
sculettamenti civettuoli, ci avrebbe scommesso.
Prese
da parte Mike.
-
Spiegami, la smetteranno mai queste due di provocarmi o hanno bisogno
di una bella lezione? - Se poi la lezione la volevano in coppia, lui
certo non si sarebbe tirato indietro, ma era abbastanza stanco di
tutto quel girargli attorno senza arrivare al sodo.
Mike
rise.
-
Hai il fascino della novità, vedrai che presto Annabell e Katie
troveranno qualcun altro su cui mettere le grinfie. Si scaldano con
te prima di entrare alla Sierra.
-
Impegnate, le ragazzine, - osservò Patrick.
-
Non credere. Sai come si dice: can che abbaia non morde. -
Evidentemente conosceva le due amiche da molto tempo.
L'ingresso
era pieno di persone. Annabell e Katie si congedarono da loro e si
buttarono nella mischia, mentre Patrick, guardandosi intorno, decise
immediatamente che non gli sarebbe dispiaciuto passare la serata al
bancone, piuttosto che imitarle e cercare di entrare in una pista da
ballo affollata; fortunatamente Sam sembrava dello stesso avviso,
mentre Mike e John si diressero in cerca di due ragazze che avevano
conosciuto la settimana prima.
-
Allora, Mike dice che vieni dall'Irlanda, - disse Sam, ordinando un
Bourbon per entrambi.
-
Sono di Dublino, ma la mia ultima casa è stata Detroit, - affermò
lui, accettando di buon grado il whisky.
-
Qui al sud ti sembrerà tutto diverso, immagino.
-
Sono qui da due settimane, ma per il momento mi trovo bene, -
Brindarono e si girarono entrambi a osservare senza reale interesse
la pista.
-
Veniamo qui ogni tanto, così le ragazzine si sfogano, e con
ragazzine intendo Mike e John, - specificò ridendo. - Ma per lo più
in settimana andiamo nel pub dove lavora J. Scommetto che ti
troveresti a tuo agio lì,- disse, sottintendendo che la sua presenza
gli era gradita. Patrick alzò nuovamente il bicchiere nella sua
direzione.
-
Lo proverò, amico.
Katie
arrivò correndo.
-
Sam, - lo chiamò allarmata. - I ragazzi si sono messi a fare gli
stupidi con dei tizi che stavano girando attorno ad Ann, vieni a
fermarli! - lo implorò, prima di fare dietrofront senza aspettarlo e
raggiungere l'amica che guardava spaventata la scena.
-
Vengo con te, - disse Patrick, facendo per seguirlo, ma Sam lo fermò.
-
Tranquillo, forestiero. Non voglio che ti crei una brutta reputazione
alla prima uscita: stai qui e goditi pure la benzina, - disse, prima
di venire inghiottito dalla folla camminando nella direzione in cui
si era dileguata Katie.
Patrick
si accese una sigaretta e si appoggiò al bancone.
Quella
Sierra non sembrava un posto frequentato da brutta gente,
probabilmente si trattava di galletti del sud che avevano un po'
alzato la cresta. Non aveva dubbi che Sam sarebbe riuscito a
ricondurli alle buone maniere senza difficoltà.
Quando
ogni sedia fu messa sui tavoli e il pavimento fu pulito, J disse a
Frank che poteva spegnere le luci della sala e si diresse nel retro a
darsi una sistemata.
Mentre
scioglieva la coda spettinata ripensava con disappunto all'ultimo
tavolo che si era liberato, e al fatto che andando a ritirare i
bicchieri vi aveva trovato quello del Cocktail Martini intatto. Ci
scommetteva che quel bifolco con addosso la camicia buona si era
fatto bello davanti ai suoi amici dicendo che era stato preparato
male, e per quanto i cocktail di Frank facessero schifo in confronto
a quelli che preparava lei, lo riteneva perfettamente in grado di
farne uno classico e basilare come il Martini.
Prese
dall'armadietto il suo cambio e si chiuse nello spogliatoio.
Dall’altra stanza sentiva il capo fare le moine a Betta: che se la
facesse pure, e alla svelta, in modo che poi con un po' di fortuna
avrebbe avuto una collega migliore.
Ma
Betta probabilmente non se ne sarebbe mai andata dal pub. Era più
bella e più appariscente di lei, doti che Frank sembrava apprezzare
più della sua bravura e della sua velocità. J era stata l'unica
ragazza normale a lavorare lì dentro e se non fosse stato per Melly,
che aveva pestato i piedi con il fratello riconoscendone l'abilità,
non avrebbe da lì a poco festeggiato il suo anno al pub.
Aprì
l'acqua calda e coprì i capelli con un asciugamano, prima di entrare
nella doccia e fare rilassare i muscoli stanchi e indolenziti con il
getto benefico. Non si era dimenticata che aveva promesso agli amici
di raggiungerli, perciò si avvolse nell'asciugamano e iniziò a
frugare nella borsa, dalla quale estrasse i vestiti puliti, per poi
infilare i jeans e la maglietta che aveva usato per servire in un
sacchetto che poi l'indomani avrebbe portato a casa.
Si
infilò la canottiera e i jeans sfilacciati che Frank chissà perché
non le permetteva di indossare al pub, nonostante apprezzasse le
minigonne allucinanti di Betta. Dopo aver legato di nuovo i capelli
neri e lisci in una coda, si diede un colpo di phon alla frangetta e
uscì dallo spogliatoio.
-
Io vado, a domani! - urlò a Frank e Betta che stavano fumando una
sigaretta in compagnia, chiacchierando come vecchi amici.
Chiuse
la porta del retro scuotendo la testa. Poteva capire il fatto avendo
ventisette anni Betta fosse più vicina ai trentacinque di quel
despota di Frank rispetto a lei, ma diamine: per quanto fosse una
sgualdrina dalla zucca vuota era una bella ragazza, e poteva aspirare
a molto di più del noioso e ignorante di Frank.
Salì
in groppa alla sua bicicletta, ripetendo lo stesso mantra di tutti i
sabato notte: se non fosse stato per Melly, lei avrebbe già levato
le tende da quel po'.
Lasciò
la bici dietro al locale. Per una sorta di solidarietà del suo
status di barista quelli del Sierra glielo lasciavano fare,
evitandole il rischio di furto o vandalismo al suo unico e prezioso
mezzo di trasporto. Fece il giro ed entrò dall'ingresso principale,
porgendo il dorso della mano a Ricky per il timbro “Minore di
ventun'anni”.
Come
se ce ne fosse stato bisogno, dal momento che lei stessa aveva
lavorato per un periodo lì e i baristi la conoscevano bene.
Si
fece largo tra la folla, cercando di individuare qualche suo amico, e
con disappunto notò che nemmeno Sam si trovava al bancone.
-
Jim, mi dai una tonica? - urlò al ragazzo al di là del banco,
porgendogli una banconota stropicciata.
Strano,
veramente strano: Sam non era lì, e in giro non vedeva traccia degli
altri. Facendo scorrere lo sguardo in giro intercettò un paio di
occhi scuri che la guardavano con insistenza.
Spostò
immediatamente la sua attenzione altrove, afferrando il bicchiere che
Jim le aveva messo davanti e servendosi di una generosa sorsata. La
prima cosa liquida che il suo palato toccava da molte ore. Sospirò
soddisfatta, prima sussultare al suono di una voce sconosciuta.
-
Cosa puoi bere con tanta soddisfazione, dato che hai il timbro dei
piccoli?
Alzò
la testa e incrociò con disappunto gli stessi occhi che erano venuti
a fissarli più da vicino.
Accento
da forestiero, un accenno di barba sul viso dai lineamenti decisi, un
sorriso che poteva definire con una parola sghembo. Lo ignorò. Dopo
una serata passata a respingere i clienti ubriachi non era certo
venuta lì per farsi importunare da uno sconosciuto.
-
Cosa c'è? - la incalzò lui, per niente intenzionato a lasciar
cadere la conversazione. - Ti è caduta la lingua?
Lei
gli scoccò uno sguardo torvo e lui scoppiò a ridere.
-
Senti, - gli concesse, seccata, - sono stanca, assetata e incazzata.
Quella che sto bevendo è acqua tonica e non intendo essere
rimorchiata, grazie e buona serata.
Non
era propriamente da lei rispondere così alle persone, anzi, in
genere gli amici la rimproveravano sempre di essere troppo
accomodante, ma quella sera non tirava aria buona, e prendersela con
uno sconosciuto per una volta tanto era liberatorio.
-
Non ti voglio rimorchiare, piccola. Ti ho solo fatto una domanda: non
te la prendere.
Fortunatamente
incrociò un volto amico sopra la spalla dello sconosciuto, ma il
sorriso le morì sulle labbra.
-
Eccomi qua, forestiero. Vedo che hai già conosciuto la nostra J.
Il
“forestiero” scoppiò a ridere e J strinse di più le labbra.
-
Tu... - riuscì a dire tra le risa, - sei Jay?
La
ragazza espirò teatralmente. Non era la prima volta che qualcuno
cadeva nel malinteso.
-
In persona. Con chi ho l'onore di parlare? Hai un nome, oltre a
“forestiero”?
Il
ragazzo appoggiò il bicchiere vuoto al banco e lanciò il mozzicone
spento per terra, porgendole la mano.
-
Patrick O'Connor, signorina, al suo servizio.
Gli
strinse brevemente la mano robusta e poi sfilò malamente la propria.
Lo ignorò e si rivolse a Sam.
-
Credo che andrò dalle ragazze, - gli comunicò, mentre lui le
indicava il punto della pista in cui erano.111
-
Devi averle proprio fatto una brutta impressione, forestiero. J è il
ritratto della simpatia in genere, mentre quella che era qui sembrava
più una stronza con una scopa in culo, - osservò Sam divertito. -
Senza contare che è la prima volta che si allontana di più di
quattro piedi dal bar. - Scosse la testa e mentre Patrick ne
approfittò per attirare l'attenzione del barista per ordinare un
altro giro.
-
Com’è andata là in mezzo?
-
Mike e John se la potevano cavare benissimo da soli. C’era un
ragazzino che aveva pensato bene di allungare un po' le mani con Ann,
ma stupidamente quando loro gli hanno fatto notare che stava
esagerando si è messo a fare il buffone. Bifolchi, forestiero: il
Tennessee ne è pieno. - Prese il bicchiere che lui gli porgeva e lo
alzò alla sua direzione. - Alla tua, - disse, prima di ingollarne il
contenuto.
-
Devo proporre a Frank di rimanere aperto tutta notte, così quando
usciamo dai locali si può andare lì a riempirci lo stomaco gratis.
-
Sei un genio, John, e chi ci lavorerebbe tutta notte? - gli fece
notare J, che spingeva la sua bicicletta a fianco di Ann, fingendo
come faceva da un'ora a quella parte che non c'era nessun nuovo
membro nel gruppo.
-
Ah, già, - ribatté John, un po’ alticcio. - Non ci avevo pensato.
Si
fermarono da un ambulante per assorbire l'alcol che tutti, a parte J,
avevano bevuto, ma nonostante questo anche lei ordinò un panino, dal
momento che aveva mangiato all'alba delle sei quella sera,
esattamente come tutte le sere che faceva servizio.
-
Di’ un po’, - le disse Katie, brilla ma ancora lucida. - Come si
è comportato Il Despota questa sera?
-
Da stronzo, - rispose J. - Come al solito. Mi sa che nel giro di poco
Betta gliela smolla, ragazzi. Non ci sarà più trippa per voi se
quella diventa la nuova donna del capo. - Dalla radio dell’ambulante
si levò la voce di Johnny Cash.
-
Accidenti, J, non puoi permetterlo! - Mike era sinceramente
preoccupato. - Ero a tanto così dal farmi dare il suo numero! - Gli
altri si misero a ridere.
-
Ma quando lo capirai che per lei sei solo un bambino? - disse J in
tono paziente e poi gli offrì un morso del proprio panino, visto che
il suo non era ancora pronto.
-
Forestiero, - disse Sam, - domani ti portiamo al Regno di J, e allora
capirai il malumore del povero Mike.
Katie,
come ricordatasi della sua presenza, lasciò il posto accanto a J e
si arrampicò sulla recinzione sulla quale era appoggiato Patrick.
-
In che posti hai vissuto prima di venire a Germantown? - gli domandò.
-
In cerca di lavoro ho fatto un po' di tutto da quando ho lasciato
l'Irlanda. dove c'era bisogno io c'ero, bellezza, - le rispose e le
fece l'occhiolino prima di bere un'altra sorsata dalla sua birra.
-
È proprio fascinoso, vero? - commentò sottovoce Ann al suo fianco.
-
Non è diverso da tutti quei bifolchi che appestano il Tennessee, e
Dio sa se non ne abbiamo già abbastanza dei nostri, - sbottò poco
accomodante J, chiedendosi quando “il forestiero” avrebbe levato
le tende: se aveva ben capito, aveva girato gli States, quindi era
solo questione di tempo per levarselo dai piedi.
Come
se avesse letto nella sua mente, il bifolco forestiero rivelò:
-
Ma qui al Sud mi trovo bene, credo che la mia permanenza qui sarà
più lunga del previsto. - Nascose il ghigno bevendo un altro sorso,
perché aveva capito dalla reazione sul volto di J che c'aveva fatto
centro: non lo poteva proprio sopportare.
Sam
e Mike non avevano fatto altro che ripetergli quanto J fosse gentile
di solito, ma a dispetto delle apparenze a Patrick stava molto più a
genio la piccola scontrosetta che lo ignorava piuttosto che le due
ragazze civettuole.
Se
davvero preferiva uscire qualche sera con quei ragazzi piuttosto che
starsene da solo nel suo buco d'appartamento doveva tenere le mani a
posto con quelle due, e il loro corteggiarlo continuamente era solo
sfiancante; nonostante lui da buon irlandese non fosse capace di non
rispondere loro a tono.
-
Chissà perché non mi stupisce che ti trovi a tuo agio in mezzo a
oche e buzzurri, - disse J, senza riuscire a trattenersi, acida.
-
J, non è da te, - la rimproverò Sam.
-
Senti, è lui che ha fatto per primo lo stronzo con me, - tentò di
giustificarsi, prima di incrociare lo sguardo con lui e capire che
aveva oltrepassato il limite. Si alzò, lanciando la carta del suo
panino in un cestino. - Hai ragione, scusami, - poi si rivolse al
forestiero. - perdonami, sono stata una stronza. Buonanotte a tutti,
- Inforcò la bici e si dileguò, ferita nell’orgoglio. Mai Sam
l'aveva guardata così, per lei era stato un disonore guadagnarsi
quell'occhiata.
Ma
era anche vero che mai si era comportata così, nonostante tutti la
considerassero disumana per il suo contegno sempre sereno.
-
Non ti preoccupare, Sam, non me la sono presa a male, - disse
Patrick, mentre lei si allontanava. Si sentiva responsabile del
rimprovero.
-
Non ci pensare, Patrick: J non tiene il broncio e sa accettare le
critiche, e in effetti uscite del genere sono fuori luogo, - disse
Mike con una pacca sulla spalla. - Stasera aveva la luna storta, ma
vedrai, ci dormirà sopra e domani sarà come nuova.
Ringraziamenti:
Ovvio che ringrazio chi ha reso questo capitolo migliore, con pazienza
e precisione Kukiness ha betato questo capitolo in maniera talmente
perfetta che spero che rimarrà dall'altra parte dello
schermo armata di tastiera e mouse fino alla fine di questa mia
impresa. Un grazie immenso.
Ringrazio anche SidRevo, che con la sua unica e fantastica Blowing Bubbles
mi ha ridato interesse per le originali, e risvegliato in me l'amore
assopito per Elvis Presley, citato nella bellissima canzone Always on my mind.
Ringrazio lui e Johnny Cash per le bellissime canzoni che ci hanno
lasciato in eredità, e proprio da una canzone di Cash prendo il
titolo di questa storia e l'ispirazione: The ring of fire.
Infine grazie a chi la leggerà
|
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Capitolo 2 *** Sensi di colpa ***
2rof
Capitolo betato da Kukiness
Long
distance information
give me Memphis Tennessee.
Try
to find the party
trying to get in touch with me.
She
would not leave her number
but I know who placed the
call.
'Cos my uncle took the message
and he wrote
it on the wall.
(Memphis
Tennessee, Chuck Berry)
J
Legò la bici alla rastrelliera e in punta di piedi percorse il
vialetto di fronte che portava a una piccola costruzione di
periferia, con le pareti in legno azzurro leggermente scrostato e il
tetto con le tegole verde scuro che andava a chiudere la sommità
dopo appena un piano. Le imposte bianche non erano certo messe meglio
dei muri perimetrali, ma la porta era stata verniciata da poco, dello
stesso verde delle tegole, e una targa in ottone lucidato recitava
Tom & J Brown. Quello era
il posto che fin da bambina aveva chiamato casa.
Non
appena girò la chiave e aprì l’uscio di un piccolo spiraglio,
capì che i suoi sforzi di passare inosservata erano stati vani.
-
J, sei tu? -La raggiunse una voce assonnata dal salotto; la luce era
spenta, ma dalla stanza provenivano dei bagliori azzurrini, segno che
suo padre si era nuovamente addormentato davanti alla TV.
J
entrò in casa e chiuse la porta.
-
Scusa, pa’, non volevo svegliarti.
Suo
padre fece capolino dal salotto, sbadigliando. Ormai viaggiava sulla
cinquantina, era alto e robusto, anche se le spalle erano incurvate
dai troppi anni di lavoro.
-
Non ti preoccupare, non dormivo, - mentì. - Tutto bene al lavoro?
Hai una faccia strana.
-
Il solito, Frank non è che diventi simpatico da un giorno all'altro,
- borbottò lei sfilandosi le scarpe e sostituendole con un paio di
babbucce.
Si
fece strada nell'ingresso stiracchiandosi le spalle, ma fu bloccata
dalla figura del padre.
-
Io mi faccio un latte caldo, lo vuoi anche tu?
Sospirò
e lo seguì dentro la cucina: voleva farla cantare, era fin troppo
chiaro, ma decise di fingere di non essersene accorta.
Prese
dai pensili smaltati due tazze e le mise sul tavolo quadrato
appoggiato contro la parete, mentre Tom versava il latte nel
pentolino (dimenticandosi puntualmente il cartone ancora pieno sul
bancone della cucina) e accendeva i fornelli.
-
E tu hai finito tardi di lavorare? - gli chiese, mettendo il latte
nel frigo,
-
No, stasera alle sette ero a casa.
Quando
il latte fu caldo lo versò nelle tazze che la figlia aveva
preparato, aggiunse nella sua del cacao amaro mentre in quella di lei
due abbondanti cucchiai di miele, poi gliela fece scivolare sul
tavolo e si sedette in silenzio.
J
sentì il suo sguardo su di sé, e cercò di rassicurarlo con un
sorriso tra un sorso e l'altro, indovinando l'apprensione nello
sguardo del padre.
-
Tu lo sai e io lo so: parlerai, a costo di rimanere qui tutta la
notte. Perché non sputi il rospo e basta? -le disse alla fine, senza
ammettere repliche.
-
Signor Brown è un interrogatorio questo?
-
Lo sarebbe se avessi qualche domanda da porle, signorina Brown. Le
sto semplicemente chiedendo di parlare a suo piacimento della cosa
che tanto la disturba.
J
si accigliò, prima di tuffarsi di nuovo nella tazza per bere
l’ultimo sorso; si alzò e aprì il rubinetto per lavarla, e mentre
l'acqua correva disse semplicemente
-Sam
mi ha rimproverato.
-
Lo stesso Sam che conosco anche io? Sei certa che non ce l'avesse con
Annabell o Katie? - le domandò, cercando di non ridere per non
offenderla: aveva visto Sam gridare così tante volte dietro a quelle
ragazze nel corso degli anni che si meravigliava che la figlia se la
fosse presa tanto per un semplice rimprovero.
-
Sì e sì. Ma lo vedi che le fai allora le domande? Comunque, quel
che è peggio è che aveva ragione . Mi sono comportata come una
stronza acida. - Suo padre quella volta non riuscì a trattenere un
sorriso.
-
Bambina, non è una tragedia, - sbuffò divertito. - è
tutta colpa di quel cazzone da cui lavori. Vedrai, prima o poi
vinceremo alla lotteria e lo manderai a quel paese.
J
rise, spingendolo fuori dalla cucina.
-
Questo implicherebbe che prima o poi uno di noi due giocasse a quella
stramaledetta lotteria, no? 'Notte pa’, fila a letto.
Chiuse
la porta della sua camera e senza accendere la luce raggiunse il
letto, si liberò dei vestiti e infilò il pigiama che teneva sotto
al cuscino, balzando poi sotto al lenzuolo.
Ok,
non aveva parlato a suo padre del forestiero, non gli aveva detto che
era con lui che era stata stronza.
Nel
buio rivide i suoi occhi fissarla. aveva reagito così provocata da
quello sguardo, non era da lei e non lo avrebbe più rifatto.
Si
rigirò e si abbandonò al sonno.
-
Sveglia, J! - la chiamò il padre dal corridoio. - Io vado con Peter
a sistemare il tetto della signora Lane, ti ricordi? Non so se
riusciamo a tornare in tempo per il pranzo, nel caso ci arrangiamo da
soli.
J
si mise il cuscino sulla testa.
-
Va bene!- urlò, ben sapendo che non sarebbe più riuscita a prendere
il sonno.
Suo
padre era esasperante. Dopo una settimana di lavoro-spezza-schiena,
nel week-end se ne andava in giro a sistemare le magagne del vicinato
con Peter, il Secondo Cavaliere dell’Apocalisse, nonché amico
d’infanzia di suo padre fin dai tempi dell’asilo e, non in
ultimo, suo zio.
Si
alzò stiracchiandosi, e andò ad aprire le imposte per fare entrare
il sole caldo del mattino nella stanza e per dare il quotidiano
buongiorno a sua madre, cosa che non mancava mai di fare. Rimase in
contemplazione del cielo per qualche istante, poi rivolse un ultimo
silenzioso saluto a sua madre e si diresse di nuovo verso il letto.
Appallottolò lenzuola e federa e le buttò nella lavatrice dove già
si trovavano quelle del padre, che le aveva buttate lì prima di
uscire come lei gli aveva insegnato.
Selezionò
il programma di lavaggio e si diresse in cucina, dove si servì del
caffè già fatto e prese pigramente in mano la cornetta del
telefono.
Il
destinatario rispose dopo un paio di squilli.
-
Sono J, venite a pranzo da me? Mio padre se ne è andato in giro come
al solito a fare il matto con zio Peter.
Katie
rispose affermativamente, e dopo averla assicurata che avrebbe
avvertito lei Annabell si salutarono.
J
Spalancò le finestre della cucina e accese l'aspirapolvere, pronta a
iniziare i soliti mestieri.
-
Ehi, J, - la chiamò Sam, facendo capolino dalla finestra. J spense
l’elettrodomestico, lo appoggiò in un angolo e poi si avvicinò al
davanzale.
-
Entri per un caffè, Sam?- gli propose. Era difficile fingere di non
essere in imbarazzo per quello che era successo la sera prima.
-
Sono venuto apposta.
-
Lo faccio nuovo, tu entra. - Gli indicò la porta con un cenno del
capo, mentre legava il filo attorno all'aspirapolvere e lo riponeva
nel ripostiglio.
Mentre
la macchina del caffè si scaldava, lasciò Sam in cucina e trasportò
il bucato dalla lavatrice all'asciugatrice, poi tornò in cucina
dove lui stava già versando il caffè in due tazze.
-
Qual buon vento, Sam? - gli domandò mentre mescolava.
-
Volevo assicurarmi che fosse tutto a posto dopo ieri sera, - disse
lui sicuro, senza mezzi termini.
J
sollevò lo sguardo e non riuscì a non sbuffare una risata pentita.
- Sono
stata una vera cogliona, vero? - Usò un tono più sincero di quello
della sera prima.
-
Abbastanza. Se fosse stato qualcun altro avrei lasciato correre, ma
mi ha fatto troppo strano da te.
-
Non so cosa mi è preso. forse mi ha solo parlato nel modo sbagliato
nel momento sbagliato.
-
è
un bravo ragazzo, - disse Sam. - Si spacca la schiena ogni giorno e
qui in città non conosce nessuno: non mi andrebbe che si sentisse
costretto a non uscire con noi perché ti urta i nervi.
J
gli prese la tazza vuota dalle mani e la buttò nel lavello con la
sua.
-
Gli darò una seconda possibilità, anche se non mi è sembrato
particolarmente simpatico. - Si mise a lavare le tazze.
-
J, perché non stai un attimo ferma? Mi meraviglio che mentre
camminiamo non spazzi le strade! - Sam rise. - E comunque, su Patrick
ti sbagli, è un tipo a posto. È un po’ matto, forse, - disse,
facendo spallucce. - È fatto a modo suo, ma è a posto.
Non
sapeva spiegarsi il perché, ma per qualche motivo le risultava
difficile ammettere sia a Sam che a sé stessa che, a prescindere dal
primo scambio di battute che aveva avuto con il forestiero, c'era
qualcosa in lui che le dava sui nervi; e nella sua vita gli individui
che le facevano quell'effetto si potevano contare sulle dita della
mano.
Decise
di cambiare discorso.
-
Vengono le ragazze a pranzo. Ti fermi anche tu?
-
E presenziare a un incontro privato delle tre disgrazie? - Sam rise,
fingendosi spaventato. - Non ci tengo, grazie. Vado da John e lo
convinco ad andare a fare due tiri con la stecca.
J
Arrivò prima di Betta, che era in ritardo come al solito, e dai
commenti di Frank ebbe la sensazione che qualcosa fosse davvero
successo tra i due la sera prima.
-
Poverina, avrà trovato traffico, - se lei non metteva piede nel pub
minimo dieci minuti prima del turno si beccava una lavata di capo
sull'importanza della puntualità, che si concludeva in genere con
borbottamenti vari sul fatto che Melly dava troppa corda alla gente
irresponsabile.
J
sbuffò e spillò le birre per due ragazzi al bancone. Quella sera si
prospettava tranquilla, perciò avrebbe fatto sia servizio in sala
sia la barista. Visto che di solito, quando non c’era casino, i
clienti abituali si andavano a prendere le ordinazioni da soli, J
pregò che entrasse una bella ragazza civettuola che distraesse
Frank, in modo che lei se ne potesse stare tranquilla a godersi una
serata di calma piatta.
Involontariamente
controllò l'ora quando Betta entrò, esattamente venti minuti dopo
dell'inizio del suo orario, e sbuffò consapevole che il despota non
le avrebbe detto niente.
-
J. - La voce di lui la sorprese alle spalle. - Non mi piace come ti
stai comportando ultimamente con Betta. La tratti con troppa
supponenza, come se fosse una tua dipendente.
J
Provò a mostrarsi calma e tranquilla,
-
No, Frank, non è vero.
-
Non è che perché è qui meno tempo di te che tu le devi mettere i
piedi in testa, - continuò, come se lei non avesse detto niente. -
Inoltre, se tutto va come deve andare, presto le dovrai portare
rispetto, - si lasciò scappare.
J
sbarrò gli occhi: l'aveva convinto a darle una promozione? E in nome
di quali capacità?
-
Cosa intendi, non capisco. È un anno che io lavoro qui tutti i
giorni e non mi hai mai aumentato lo stipendio di un dollaro e...
Frank
si lasciò scappare una risata.
-
Oh, no, non preoccuparti. Non si tratta di una cosa lavorativa! È
solo che, quando diventerà la mia donna, capisci bene che dovrai
trattarla come tale.
Despota
tiranno maiale, pretendeva che si prodigasse in salamelecchi con lei
solo perché aveva il coraggio di dargliela.
Con
la coda dell’occhio vide entrare i suoi amici, e colse l'occasione
slacciandosi il grembiule.
-
Senti, dal momento che è arrivata e stasera è tranquillissimo, mi
prendo una pausa,
-
Ma sì, - le rispose lui, ingentilito dall'occhiata che Betta gli
aveva rivolto uscendo dal retro. - Prenditi pure una mezz'oretta, non
ti preoccupare e fai con comodo: te la scalo dallo stipendio.
Le
labbra di J si assottigliarono in un sorriso sconvolto: che
magnanimità, pensò sarcasticamente.
Quando
gli altri si sedettero al tavolo la videro arrivare come una furia.
-
Che è successo? - le domandò Mike, notando gli occhi lucidi. J si
sforzò di sorridere e ricacciare indietro le lacrime.
-
Niente, sono solo una stupida, tutto qui.
-
Dai, piantala di fare la martire e dicci subito cos'è successo, - la
incalzò John, a cui la prospettiva di avere una scusa per gonfiare
la faccia a quel verme di Frank non dispiaceva affatto: le aveva
forse messo le mani addosso?
J
si lasciò cadere sul divanetto a braccia conserte.
-
Succede che mi devo trovare un altro lavoro. Entro mezzanotte Betta
diventerà la Signora Despota, e lui mi ha fatto capire che dovrò
leccarle il culo a ogni piè sospinto.
-
Brutto affare, - commentò tetra Ann, solidale.
-
Prima o poi scoppierai, lo sai, specialmente tu che ti tieni tutto
dentro, - notò Katie
J
sbuffò e abbozzò un sorriso.
-
Mike, non è che posso venire da te a fare il muratore?
Patrick
stava osservando pensieroso la scena.
-
Considerala un'offerta di pace.- J si voltò di scatto nella sua
direzione. Evidentemente era tanto presa dai suoi problemi che non si
era ancora accorta della sua presenza. - Quello che vuoi è che stia
lontana dal tuo capo, no? - le chiese, guardando però verso il
bancone, dove la cameriera e il padrone parlottavano allegri. J mosse
la testa in segno di assenso. Patrick si voltò di nuovo verso di lei
e abbozzò un ghigno. - Non ti preoccupare, nessuno diventerà la
signora nessuno.
J
lo guardava stranita, come se non avesse compreso il significato
delle parole, e Patrick le fece semplicemente l'occhiolino.
Non
sapeva con esattezza perché si fosse posto a salvatore della patria,
ma quando aveva incrociato con gli occhi il culo di quella Betta
aveva pensato che non ci avrebbe messo molto a farla desistere.
Notò
con piacere che il topo si stava avvicinando alla sua trappola, e
sfoderò il suo sorriso più accattivante.
-
Frank mi manda a chiedervi cosa volete. - Betta aveva uno strascicato
accendo del sud e masticava insistentemente un chewing-gum. Si
rivolse a J. - Ha anche detto che tu hai lo sconto del dieci per
cento, se vuoi bere un succo di frutta con i tuoi amici! - Emise una
risatina stridula e divertita.
I
ragazzi cominciarono a dirle che cosa volevano da bere, e lei se lo
appuntò con lentezza sul blocchetto delle ordinazioni. Per quanto si
sforzasse di non pensare al lavoro nella sua mezz'ora libera, J
poteva giurare che, nonostante l'eternità che ci aveva messo per
scriverla, la comanda sarebbe stata illeggibile. Quando fu il suo
turno scosse il capo, dicendo che non voleva nulla. Fece attenzione
invece all'ordinazione del forestiero, che fu l'ultimo a comunicarla.
-Mi
chiedi cosa voglio, bellezza? Intendi, a parte un tuo sorriso? - Le
guance di Betta si imporporarono lusingate sotto al trucco. - Allora
una birra, tesoro, me la farò bastare. - Le strizzò l’occhio. Il
forte accento irlandese aveva fatto la sua parte, ma lui ci aveva
messo del suo.
Ann
e Katie annuivano soddisfatte, mentre Mike e John avevano l’aria
stranita. Probabilmente non riuscivano a capire come diavolo avesse
fatto a farla arrossire con una sola frase.
Betta
si avvicinò al bancone, e la sorpresero a guardare al di sopra della
sua spalla in direzione di Patrick.
-
Diavolo di un forestiero, hai fatto centro. - Sam gli batté una mano
sulla spalla, poi si voltò verso J. - Mi sa che puoi continuare a
lavorare al pub ancora per un po’, - disse, e inarcò le
sopracciglia in direzione di Patrick. J capì immediatamente quello
che intendeva dire, e si schiarì la voce.
-
Patrick, giusto? Se ce la farai, ti sono debitrice, - ammise, mentre
lui si alzava dal tavolo.
-
Non lusingatemi, l'avete vista? Non mi sono certo immolato. Ora
scusatemi, ma vado a cuocere la mia preda. - Patrick si avvicinò al
bancone e si sistemò accanto a Betta, sotto lo sguardo furente di
Frank. Le toccò lascivamente la schiena.
-
Ti prego, - lo sentirono dire, - questi affari pesano troppo per una
bella ragazza come te, mi sentirei un verme a guardarti portarli. -
Le prese dalle mani il vassoio carico delle loro ordinazioni. -
Vieni, dolcezza, seguimi e ti restituisco il tuo vassoio.
-
è
un genio, - disse tra i denti Mike, guardandoli avvicinarsi.
-
Sai, io vengo da Dublino, - disse Patrick a Betta, guardandola come
se esistesse solo lei. - Di’
un po’, ci sei mai stata, in Irlanda? - Lei scosse la testa, con
l’aria trasognata. - Ci devi assolutamente andare! È una bellezza
della natura, proprio come te.
J
vide il volto di Katie assumere un'espressione sbigottita, e indovinò
quello che stava pensando: i capelli ossigenati e le trenta libbre di
trucco non si potevano certo definire un miracolo della natura, e
osservando Ann, che si era presa in mano una ciocca di capelli,
rimirandosi il biondo naturale, capì che anche lei aveva la stessa
opinione a riguardo.
Controllò
l'orologio: la pacchia era finita e doveva ricominciare a lavorare.
-
Se riesco a staccare presto ci si vede dopo, - disse e si diresse
verso il bancone, con Betta alle calcagna.
-
E da dove esce quello schianto?- le chiese sottovoce. J decise di
tenergli il gioco.
-
Ne sai tu più di me, - le disse con finta complicità. - Come al
solito ha fatto colpo. - Betta si girò nuovo a spiarlo e quando lui
si accorse che lo stava guardando le fece di nuovo l’occhiolino.
-
Dici? - sospirò lei.
Stava
a vedere che doveva pure ringraziarlo, il bifolco forestiero.
Verso
le dieci, gli unici avventori rimasti erano Sam e gli altri.
-
J, comincia pure a tirare su le sedie, - le disse Frank. Betta era
impegnata a caricare le scorte dei frigoriferi, facendo avanti e
indietro dal magazzino, perciò J si fece dare una mano da Mike, in
cambio di una pinta offerta dalla casa.
Il
Despota si era ritirato nell'ufficio sul retro a contare l'incasso, e
J aveva tirato giù un pezzo di saracinesca; anche Sam e John si
erano uniti a Mike per aiutarla a sistemare, così J si poté
dedicare alla pulizia del bancone. Quando ebbe finito di disinfettare
con l’acqua bollente i beccucci delle spine si guardò attorno
soddisfatta. Grazie all’aiuto degli amici aveva finito prima del
previsto.
Decise
di raggiungere Betta per aiutarla con l'ultimo carico e avvisarla che
potevano andare via, così scese saltellando i gradini delle anguste
scale che portavano al magazzino. Conosceva il percorso a memoria,
perciò non ebbe difficoltà a procedere nonostante il piano
inferiore fosse completamente al buio; Frank continuava a
dimenticarsi di cambiare la lampadina fulminata dell’antimagazzino.
Si stupì di non sentire il tipico rumore delle bottiglie accatastate
nel cartone per essere trasportate al piano superiore.
Sicuramente
Betta si era presa una delle sue solite pause per fumarsi una
sigaretta. Nonostante a lavoro non combinasse un bel niente,
continuava a scegliere compiti che l’aiutassero a imboscarsi. J era
furente, perché l’aveva lasciata per l’ennesima volta a sbrigare
il lavoro noioso, perciò decise di sorprenderla in torto. Si
avvicinò di soppiatto alla porta di ferro socchiusa del magazzino.
Il suo naso non mentiva: come aveva immaginato, c’era odore di
fumo.
Evitando
di toccare la porta per non farla cigolare, ci infilò dentro la
testa, ma la scena che le si parò davanti era ben diversa da quella
che si era immaginata. Due mozziconi ardenti giacevano a terra,
lasciati a consumarsi, mentre Betta si consumava di passione in un
bacio, avvinghiata al forestiero.
Imbarazzata,
J non riuscì a muoversi per qualche istante. Quando realizzò che la
possibilità di venire scoperta a spiarli fosse ancora più
imbarazzante, si ritrasse con attenzione.
Raggiunto
il primo gradino gridò: – Betta, muoviti che abbiamo chiuso! -
come se non avesse mai realmente messo piede nel magazzino,
limitandosi ad averla avvisata dalle scale, e poi corse al piano
superiore più in fretta che poté, sentendo dietro di lei i rumori
maldestri dei due ragazzi riportati alla realtà.
Era
turbata: sia nei confronti di Betta, avendo l'impressione di averla
venduta per un po' di tranquillità al lavoro, sia nei confronti del
forestiero, impaurita dal fatto che si fosse sentito in dovere di
corteggiare la cameriera solo per avere la sua benedizione
all'interno del gruppo.
-
Ci siete? - le si parò davanti Frank, già pronto, impaziente di
continuare il suo discorso con Betta.
-
Non ancora, ci dobbiamo cambiare, - gli fece notare lei indicandogli
la t-shirt nera con il logo della Guinnes che indossava. - Vado a
spegnere le luci della sala. - Lasciò che scoprisse da solo con chi
si era imboscata Betta, che sentiva salire alle sue spalle.
Era da sola, probabilmente aveva fatto uscire il forestiero dalle
cantine.
-
Eccoti, dolcezza, - disse Frank. - Allora, vogliamo andare a berci
una cosa? Magari a casa mia?
J
non vide l’espressione di Betta, ma conosceva bene la sua smorfia
“no grazie” che rivolgeva ai clienti molesti che ci provavano con
lei. - Frank, senti, dobbiamo parlare...
J
accelerò. Non aveva intenzione di ascoltarla mentre lo scaricava,
non voleva aumentare il proprio senso di colpa.
Mentre
abbassava definitivamente la saracinesca, avvertendo gli amici che
l'aspettavano fuori che si sarebbe presto unita a loro, Frank,
rubicondo, fece capolino dalla porta sul retro, lanciandole un mazzo
di chiavi.
-
Io me ne vado, non sto certo qui ad aspettare i vostri comodi! - le
disse, senza mimetizzare la sua rabbia, e si dileguò.
J
raggiunse gli spogliatoi e scoprì che anche Betta se ne era già
andata in fretta e furia. Infilò nello zaino il cambio del giorno
precedente, si sfilò veloce la maglietta nera e la sostituì con una
camicetta rossa e un giubbettino. Dopo aver controllato che fosse
tutto spento, uscì in strada, richiudendosi con attenzione la porta
alle spalle.
-
Sta diventando un vizio? - la sorprese la voce di Mike, - Sei ancora
musona.
-
Accidenti, mi hai fatto prendere un colpo! - disse e si nascose le
chiavi del pub nello zaino.
-
Abbiamo fatto il giro, dato che non ti decidevi a tornare più, - le
disse Ann appoggiata al muro.
-
Andiamo, dai. – J slegò la propria bici e la spinse mentre
uscivano dal vicolo sul retro e raggiungevano l'ingresso chiuso dove
l'aspettava il resto della banda.
-
Non mi hai ancora risposto, - le fece notare Mike, prendendole la
bicicletta dalle mani e spingendola al suo posto.
-
Non ho niente. - Si assicurò che il forestiero non fosse nel gruppo.
– Prima, nel magazzino, ho visto il tuo collega che faceva il
polipo con Betta.
-
Che volpone, ce l’ha fatta! - disse Mike. - Diavolo di un uomo.
Sono tre mesi che le faccio il filo e a me non ha neppure dato un
calcio, poi arriva questo qui e, bam, in una sola sera va in seconda
base. - Il suo tono era allegro, sembrava divertito, non rancoroso. -
Di fronte al maestro non posso fare altro che fare tanto di cappello.
-
Piantala, - lo rimproverò J. - Ma se la conosce solo da stasera? E
lo ha fatto solo per evitarmi guai con Frank, ti sembra un buon
motivo?
Mike
la fissò qualche secondo, per poi scoppiare in una risata.
-
Che c'è da sganasciarsi tanto? - chiese John quando raggiunsero il
resto del gruppo.
-
J fa la puritana, e si è scandalizzata perché ha visto Patrick che
si faceva Betta giù nel magazzino.
-
Come “si faceva”?
Mike
rise - Beh, alla lingua c'è arrivato di certo e sicuramente avrà
anche allungato le mani,
-
Ma la smettete? Vi sembra di parlarne così?
-
Senti, J, - disse Sam, che conosceva troppo bene la ragazza da non
comprendere il motivo del suo turbamento - il forestiero e Betta sono
adulti e consenzienti. Lei appena l'ha visto è andata in brodo di
giuggiole, e lui concorda con l'opinione di ogni essere umano maschio
che la conosce, ovvero che lei sia una sventola da paura. Non ti
crucciare, tu non c'entri niente: l'hanno fatto solo per il loro
piacere.
Lei
lo guardò sospettosa, ma gli credette e cercò di allontanare il
nodo allo stomaco. Era vero, probabilmente le cose sarebbero andate
così in ogni caso. Il forestiero, con il suo fascino quasi rude, era
il classico tipo che faceva impazzire quelle come Betta, che
risaputamente era in grado di attirare tutti gli uomini nell'arco di
un miglio e di convincerli a farle da schiavetti, sempre se non
apriva bocca.
Annuì
infine, e si sedette sul muretto davanti al pub, appoggiando la
schiena al lampione: un'altra serata era finita, per fortuna. Ora
aveva davanti un'intera settimana prima di dover affrontare un altro
week end.
Stavano
quasi per congedarsi quando una voce alle sue spalle la fece
sussultare.
-
Dicevi che saresti stata in debito con me, ragazzina.
Mike
lo accolse con la mano testa. - Patrick, da oggi tu sei il mio mito
personale.
-
Ma dove sei stato fino ad adesso? - si informò curioso John, mentre
attendeva il suo turno per congratularsi.
-
Ho accompagnato la bambola sotto casa, - disse Patrick, criptico,
suscitando risate di approvazione.
Anche
Sam gli porse la mano. - L’hai fatta capitolare, eh, forestiero?
Sembrava
la Fiera del Tacchino. J ringraziò il cielo che almeno le ragazze
non sembrassero desiderose di elargirgli pacche sulle spalle. Fece un
cenno a Katie.
-
Io vado, facciamo la strada insieme? - disse alzandosi dal muretto.
-
Quindi, ragazzina? - Patrick la intercettò. - Soddisfatta? - le
disse, con il suo solito tono impertinente.
J,
per Sam e per Mike, si costrinse a rimanere cortese, e gli rispose
gentile ma distaccata:
-
Ti ringrazio, forestiero,
- disse, dando all'appellativo un accezione più negativa di quanto
non facesse Sam, che usava il soprannome in tono amichevole. - Come
ti ho detto, sono in debito con te. ‘Notte a tutti!
Ann
disse che si sarebbe trattenuta ancora dieci minuti, ma che ci
avrebbe pensato Mike ad accompagnarla a casa, così le ragazze si
avviarono spalla a spalla.
Katie
si accese una sigaretta.
-
Ma non riesci proprio a fartelo stare simpatico, eh?
J
rimase in silenzio per buona parte della strada, ma prima di entrare
nel loro quartiere si decise ad aprire bocca.
-
A voi non dà fastidio il suo modo di fare? - Katie la guardava senza
capire di cosa stesse parlando, così specificò, - Il forestiero:
si comporta come se tutte le donne dovessero cadergli ai piedi.
-
Oh, beh, - disse l'amica, pensierosa, - ma è così. Tu forse sarai
immune al suo fascino, ma ti assicuro che ne ha un bel po'.
-
Non mi dirai che anche tu gli fai gli occhi dolci? - J era
scandalizzata: vedere anche Katie comportarsi come Betta sarebbe
stato troppo, non voleva vedere anche lei trattata così.
-
Non nego che quando l'ho conosciuto ieri ci ho fatto più di un
pensiero, ma no: innanzitutto per Ann. Io gli sto alla larga e lei fa
lo stesso, non sarebbe carino l'una nei confronti dell'altra. Anche
lei lo ha guardato bene. E poi, se non l'hai capito, Patrick va a
genio a Sam e a John. Quanto a Mike, è stato lui a portarlo, e
quindi con tutta probabilità lo vedremo sempre più spesso.
Sbuffò in maniera infantile all’ultima constatazione, e Katie
sogghignò.
J
ruotò gli occhi. - Ma che fortuna!
-
Dai, guarda che è simpatico,
-
Sì, immagino. Ma che ci trovate, dico io. Ti ripeto, a me quello che
dà fastidio è... - Ci pensò su, cercando le parole adatte. - È
così sicuro di sé, con tutte quelle occhiate e quel tono di voce.
-
Guarda che non è un atteggiamento impostato, fa parte di come è
fatto.
J
Si fermò, dal momento che erano arrivate davanti alla casa
azzurrina.
-
E anche guardare ogni ragazza come un pezzo di carne che dovrebbe
aspettare solo di venire scelta da lui?
Katie
scosse la testa.
- È
un dongiovanni, questo nessuno può negarlo, ma da quel poco che ho
capito è fatto così. Non lo fa con cattiveria. Credo che anche
Betta sappia che per quanto lui la corteggi non è certo per farne
una donna onesta, e che non si aspetterà di sicuro un rapporto serio
ed esclusivo. Nessuna ragazza si avvicinerebbe a lui con queste
intenzioni, se non è pazza o talmente innamorata di lui da sentire
il desiderio tipicamente femminile di redimerlo. - J la guardò,
Katie era così pragmatica, così logica. Annuì alla spiegazione,
per quanto comunque non lo ritenesse corretto: un uomo non aveva
certo il diritto di andare in giro a fare lo stallone spezza cuori
giustificandosi solo perché era nella sua natura.
-
'Notte, Miele, - le disse, usando il soprannome con cui la chiamava
sempre quando erano sole o con Ann.
-
'Notte, Scricciolo.
Ringraziamenti:
grazie
a Kukiness, che oltre aver betato mi ha anche fornito un sacco di
spiegazioni e consigli. La mia ignoranza in materia è comunque
abissale, ma se oggi è un po' smussata è grazie a lei.
Ringrazio questa storia, perchè sta facendo sfogare il mio lato
musicale più di esigente, dal momento che sto ascoltando solo
ciò che potrebbe ascoltare J, e questo taglia un bel pezzo di
musica moderna: mi da però l'opportunità di approfondire
quella dell'epoca, e di riscoprire un sacco di brani e gruppi che non
conoscevo oppure avevo dimenticato.
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Capitolo 3 *** Un passo in avanti ***
rof
Well
you ask me if I'll forget my baby.
I guess I will,
someday.
I don't like it but I guess things happen that
way.
You ask me if I'll get along.
I guess I will,
someway.
I don't like it but I guess things happen that
way.
God gave me that girl to lean on,
then he
put me on my own.
Heaven help me be a man
and have
the strength to stand alone.
I don't like it but I guess
things happen that way.
(A
guess things happen that way, Johnny Cash)
Infilò
per l'ennesima volta il badile nella malta, e facendo leva con le
braccia lo sollevò svuotandolo nella betoniera. L'accese, mentre si
passava il braccio sulla fronte per asciugare le gocce di sudore, e
le girò intorno per controllare che il vassoio fosse posizionato
correttamente; odiava stare di turno a quell'affare, era il lavoro
più monotono del cantiere. Il motore iniziò a tremare, in maniera
poco rassicurante, e Patrick gli assestò un calcio, facendola
ripartire, poi inforcò la carriola per andare a recuperare della
nuova malta.
Preferiva
riempirla al massimo, per fare meno viaggi: pesava come un accidente,
ma aveva l'impressione di fare più in fretta, anche se la fine del
suo turno era determinata più che dalla mole di lavoro svolto
dall'orario; aveva capito però che il capocantiere se avesse fatto
un buon lavoro lo avrebbe tenuto alla larga da quell'affare per più
tempo, al contrario dei suoi colleghi che facevano il minimo
indispensabile.
Strinse i
denti mentre spingeva la carriola piena, con i muscoli che gli
bruciavano dal peso,
- Mike, levati di lì cazzo! - Sbuffò,
fermandosi per non andargli addosso. Appoggiò la carriola a terra e
riprese fiato, - La prossima volta che ti metti in mezzo giuro che ti
azzoppo.
Mike
intanto rideva, - Dai, è dall'alba che fai il mulo, fumiamoci una
sigaretta.
- Aiutami
a portare sto affare alla betoniera prima.
Afferrarono
ognuno un manico della carriola,
- Ehi, ma
sei pazzo? Come facevi a portarla da solo? - disse Mike con un ultima
spinta.
Patrick
rise, - Non sono una donnetta come te, - sfilò all'amico il
pacchetto di sigarette di tasca, - questa la offri tu.
Si
appoggiarono al muretto, passandosi l'accendino.
- Sai, -
disse poi a Mike, - ci ho provato, ti giuro, ma la tua amica non
riesco proprio a capirla. Pensavo che sarebbe stata felice dopo ieri
sera, e invece sembrava quasi che le abbia dato fastidio. Mike sembrò
capire al volo di chi stesse parlando,
- J è
una brava ragazza, fin troppo forse, ed è terribilmente innocente.
Pensa di avere fatto da pappone e si è sentita in colpa.
Patrick
rise di gusto.
- In
colpa per che cosa, scusa? Amico, le donne sono un piacere, non un
dovere!
- Ma io
sono d'accordo con te, - si difese Mike. - J è troppo piccola per
capirlo.
- Quanti
anni ha, scusa?
-
Diciannove, anzi, venti. Vedrai, capirai conoscendola, - gli disse
sibillino, mentre tornava al lavoro.
Vent'anni.
Ne aveva sicuramente di più di quanto ne dimostrava, e sicuramente
non ne aveva meno della maggior parte delle ragazze che aveva avuto,
eppure era molto più ragazzina di loro. Lei non si truccava, non si
laccava le unghie e non si arricciava i capelli come invece faceva la
maggior parte delle sue coetanee, ma soprattutto non aveva quella
malizia a cui Patrick era abituato. Sabato sera, quando l'aveva
guardata senza sapere che fosse “Jay” e aveva deciso lei come
bersaglio, aveva intuito che avrebbe dovuto faticare più del solito.
Lei aveva
distolto subito lo sguardo, imbarazzata, e quando le si era
avvicinato aveva iniziato a respingerlo infastidita, come se
realmente non volesse avere niente a che fare con lui, e non per un
gioco civettuolo architettato per fare la difficile e poi cedere; ma
nonostante quello che la ragazza dimostrava con i suoi comportamenti
Patrick aveva capito una cosa durante i suoi ventiquattro anni di
vita: nessuna donna arrossisce per caso.
Peccato
che poi si fosse rivelata essere Jay, anzi, J, e e per il bene comune
lui avesse dovuto riporre ogni mira nei suoi confronti. Patrick aveva
capito al volo quanto Sam fosse protettivo con lei. Se avesse
cominciato a corteggiarla come faceva di solito, lui non lo avrebbe
affatto gradito e Patrick non aveva alcuna voglia di andarsi a
ficcare in una situazione del genere.
Con il
senno di poi era meglio così: l’ingenuità e il caratterino di J,
malgrado quello che decantavano i suoi amici, si sarebbero rivelati
più una grana che altro.
La
campanella del pranzo suonò, e lui si avviò affamato alla trattoria
dove lavorava Michelle, una rossina tutto pepe che lo guardava sempre
con gli occhi dolci.
-
Bambola, - le disse entrando e facendola arrossire di piacere, - il
fine settimana senza di te è stato uno strazio.
Puoi
aspettarti il meglio da una donna che arrossisce: non lo fanno mai
per caso.
- E poi?
- la incalzò Melly mentre J le raccontava gli avvenimenti del week
end.
- A
quanto sembra lei gli ha dato il ben servito, essendo tutta presa
dall'irlandese; Frank era arrabbiato come un bambino.
Melly
diede una sonora manata al bancone: - Oh, quanto avrei dato per
esserci e vedere la faccia di quel tontolone, - sospirò.
Melly
era... meravigliosa. Era difficile pensare a lei e trovare altri
aggettivi: quarantatrè anni appena festeggiati portati con fierezza,
e il cuore da ragazzina che fino a due anni prima aveva vissuto
bighellonando per il mondo come un soffione trasportato di qua e di
là dal vento.
Non era
sposata, ma non si curava del suo stato civile. Amava con tutto il
cuore il pub che un tempo era stata dei suoi genitori ed era stato
solo per prendersi cura di esso e dei ragazzi che lo frequentavano
che un bel giorno aveva riportato bauli e valigie a Germantown,
dichiarando al fratello che si sarebbe cavata gli occhi piuttosto che
vederlo farlo fallire. Frank aveva rivelato una volta a J, una sera
che era di buon umore, che tutt’ora faceva fatica a stabilire per
quanto tempo la sorella sarebbe rimasta in città, e che nonostante i
suoi modi spesso lo innervosissero, specialmente le numerose volte
che si trovavano in disaccordo riguardo alla gestione del pub,
accettava di buon grado la sua presenza, che gli permetteva di fare
la bella vita per tutta la settimana mentre lei lavorava al posto
suo.
Dal canto
suo, Melly non nascondeva di rimpiangere la sua vita vagabonda, ma
osservando il luogo che era stato teatro della sua infanzia e in cui
il padre aveva riversato tutto il suo sudore, e facendo scorrere lo
sguardo sui frequentatori abituali che lo consideravano alla pari di
un monumento cittadino, ammetteva candidamente che alla sua età era
arrivato il momento di mettere radici, e che Germantown sarebbe stata
la sua ultima stazione fino alla pensione: rimandava ad allora tutte
le mete che le sarebbe ancora piaciuto visitare o rivedere.
La vita
le aveva insegnato parecchie cose, ma più che per i mirabolanti
racconti J amava il carattere schietto e buono della donna, e
l'ardore con cui viveva ogni sua giornata.
- Ti
giuro che per un momento mi ha fatto pena. Sembrava così convinto di
sé fino a un momento prima che deve essere stato un colpo per lui
vedere crollare il suo castello di carte.
-
Baggianate: si è solo illuso e lo sapeva benissimo. Ci ha solo
sperato fino alla fine, negando l'evidenza. Se quel ragazzo ha fatto
davvero la corte tutta sera a Betta davanti ai suoi occhi io al suo
posto avrei alzato subito bandiera bianca, - stabilì, sicura.
J aprì
un cassetto e ne estrasse un blocchetto e una penna, comunicandole
che sarebbe scesa nel magazzino a controllare i rifornimenti e a
buttare giù un promemoria di ordine da fare al fornitore il giorno
successivo, e Melly la lasciò andare con un cenno del capo mentre
continuava a spolverare ad una ad una le bottiglie alle sue spalle.
Come ogni
lunedì la serata era tranquilla: c'erano gli immancabili Mike e Mel
che bevevano le loro pinte chiacchierando con un gruppo di giovani
del quartiere seduti al tavolo vicino; poco più in là tre ragazze
erano approdate per una serata di conforto ad una di loro che aveva
litigato con il ragazzo; ed infine un gruppo di uomini si godevano la
loro ultima birra della giornata prima di ritornare a casa delle
mogli.
Melly
guardò incuriosita verso la porta che ci stava aprendo. Entrò un
ragazzo alto da solo; i capelli biondo scuro ricadevano mollemente
sui lineamenti cesellati, le spalle quadrate e imponenti si muovevano
con fluidità, la cadenza tranquilla e sicura di chi si trova a suo
agio in qualsiasi situazione.
Ancor
prima che aprisse bocca, Melly capì immediatamente chi si trovava
davanti a lei.
- Il
forestiero, immagino, - gli disse quando ebbe raggiunto il bancone. -
Ti posso portare qualcosa da bere?
Sul volto
comparvero delle fossette che accompagnavano un sorriso.
- Patrick
O'Connor, al suo servizio, - disse con un cenno del capo. - La mia
fama mi precede. Merito di Sam? - le disse con il melodico accento
che lo contraddistingueva.
- Questa
volta il caro vecchio Sam non ha colpa, ho altre fonti. Melanie
Parker, ma ti prego di chiamarmi Melly. - Tese la mano oltre al
bancone, fissando negli occhi il ragazzo.
Patrick
la guardò e l'afferrò prontamente.
- Dammi
un whiskey. Ce l’hai il Connemara?
La donna
rise, soddisfatta: a pelle le piaceva, con i suoi modi un po' rudi ma
gentili. - Ne tengo una bottiglia proprio per i tipi come te, - gli
rivelò mostrandogli, nascosto dalle altre, il vetro verde della sua
terra natia.
Il
sorriso di Patrick si fece più ampio,
- Allora,
Melly, - le chiese, dopo aver preso una sorsata, - a chi devo il
piacere di averti parlato di me?
La
risposta gli arrivò dalla porta sul retro che si schiuse cigolante,
e apparve J.
-
Forestiero?
-
Ragazzina, - la salutò lui, sollevando il bicchiere nella sua
direzione,
- Che ci
fai qua? Sai che Betta lavora solo il fine settimana, vero? - gli
chiese scostante, fingendo di essere molto impegnata a sistemare i
bicchieri puliti.
- Lo so,
- le spiegò, guadagnandosi un'occhiata carica di disappunto, -
aspetto Sam, ieri sera mi ha detto che sarebbe venuto qui.
- Siete
diventati così amici? - Più che una domanda sembrava un rimprovero,
ma non riuscì nell'intento di intaccare la serenità del ragazzo.
Melly intanto si era allontanata per andare a ritirare i bicchieri
vuoti dai tavoli, e con la coda dell'occhio J giurò di aver visto un
sorriso divertito.
- È un tipo a posto, mi piace, - le rivelò.
- Oh! -
Si finse dispiaciuta. - Ma lui ha altri gusti, mi dispiace di dover
essere io a spezzarti il cuore.
- Mi era
sembrato che ieri sera nel magazzino tu avessi visto con i tuoi occhi
quali sono i miei di gusti, - la punzecchiò divertito.
J incassò
il colpo imbarazzata e piena di vergogna per essere stata scoperta si
allontanò da lui. Si diresse verso il frigo delle bibite, che decise
avere un disperato bisogno di essere pulito.
Patrick
la seguì.
- Dai,
dicevo per scherzare! - Il forestiero sembrava divertito dalla sua
reazione.
J si
voltò a guardarlo con occhi fiammeggianti. - Senti, prima fai lo
stronzo con me, poi cerchi di rimediare in un modo squallidissimo e
alla fine mi umili. Che vuoi da me?
- Quando
avrei fatto lo stronzo esattamente?
- Alla
Sierra, quando ci siamo conosciuti, - gli ricordò J, nervosa.
- Ma in
che modo, esattamente? Forse mi è sfuggito qualche particolare,
- Mi hai
importunato: io ero stanca e arrabbiata e te l'ho fatto capire
subito, ma tu hai continuato. Per non parlare del fatto che da vero
simpaticone hai iniziato a prendermi in giro per il mio nome.
- Non ti
ho preso in giro, ho solo domandato: non era mica colpa mia se
nessuno mi aveva specificato che Jay era una ragazza. Non ho
fatto commenti sul tuo nome. - La seguì di nuovo mentre lei tornava
alla postazione di partenza, per spillare una birra a Mark che gliela
aveva chiesta all’altro lato del bancone.
- Non è
mica il mio nome! - replicò stizzita
- Non mi
hai dato modo di chiederti quale fosse il tuo vero nome.
- Forse
perché non volevo che mi fosse chiesto. - J spinse la pinta a Mark e
si sciacquò le mani, sulle quali era colata della schiuma,
- E
comunque non intendevo darti fastidio, solo scambiare due
chiacchiere. E per quanto riguarda Betta, non mi sembrava che
ritenessi squallido Mike quando le dedicava i suoi apprezzamenti.
- È il
modo in cui...
- Senti:
è una bella ragazza, ci avrei provato comunque. Non pensavo forse di
farlo subito, ma poi l'occasione è arrivata da sola: se è andata
bene anche a te che problema c'è?
J lo
fissava, seria. Non era in grado di continuare la discussione. Aveva
intuito che lui sapeva far valere meglio le proprie argomentazioni, e
più continuavano a discutere e più lui ribaltava la frittata,
facendola finire dalla parte del torto. Sospirò e chiuse il
discorso, per quanto le riguardava in modo definitivo.
- Vuoi un
altro goccio, forestiero? - domandò, con un'aria da divinità offesa
che si piegava a porgere un ramoscello di pace.
Il
forestiero sorrise. - Volentieri, ragazzina. Tu non mi fai compagnia?
- Ma sono
in servizio, - replicò lei imbarazzata. - E non ho ancora l'età per
bere.
-
Scherzavo, non avvampare di nuovo. - Si mise a ridere sonoramente.
Qualcosa
la indusse a non prendersela, nonostante un lato di lui le desse
ancora fastidio. Sarebbe passata, ne era certa: doveva solo
dimenticare quell'inizio disastroso,
- Con
ghiaccio? - disse, prendendolo in giro, e questa volta fu il turno di
lui di guardarla sconvolto dalla domanda. - Ehi, scherzavo. - Gli
passò il bicchiere con una debole risatina.
- Questa
volta hai vinto tu, ragazzina.
Melly
annunciò la sua presenza. - Ma bene, vedo che avete fatto pace. -
Sorrise benevola. - Forestiero, Sam sta entrando proprio adesso. J,
versagli una birra.
J A volte
si sentiva in colpa per adorare così tanto il martedì, come se il
fatto di amare il suo giorno libero facesse di lei una fannullona;
eppure non poteva farne a meno.
Si era
alzata in tempo per bere un caffè con Tom, e mentre lui usciva di
casa per andare al lavoro J sprofondava nel divano, godendosi i
programmi del mattino e spiluccando l'ultimo dei muffin che aveva
preparato domenica con Katie e Ann.
Il trillo
del campanello di casa la svegliò. Non si era accorta di essersi
appisolata. Ancora intontita, barcollò fino alla porta, e fu
abbastanza accorta da passarsi una mano sulla guancia sulla quale era
rimasto appiccicato l’ultimo rimasuglio di dolce.
-
'Giorno. - Sbadigliò, concedendosi di stropicciarsi gli occhi,
- Che
faccia, - la prese in giro ridendo Bobby, il postino che da tempi
immemori svolgeva il suo servizio nel quartiere.
- Dovrei
vergognarmene, lo so. - Firmò la bolla della ricevuta,
- Regali
di compleanno in ritardo, eh? - chiese Bobby, notando che il
destinatario era proprio J.
- Chi lo
sa. - Lesse il nome del mittente e capì che il postino aveva
ragione. Ma d’altra parte lo sapeva benissimo che la persona in
questione avrebbe continuato a spedirle il regalo di compleanno con
alcune settimane di ritardo per il resto della sua vita. - Buona
giornata, Bobby. - Chiuse la porta con il piede, mentre portava
l’enorme pacco in salotto con tutt’e due le mani.
La
scatola di spedizione, marrone, anonima e piena di timbri, rivelò al
proprio interno della carta da regalo dalle tinte accese, mimetizzata
da listarelle e coriandoli di carta che avevano lo scopo di
proteggere il regalo dagli scossoni del viaggio.
J Si
riservò di leggere il biglietto d'accompagnamento per ultimo, e
facendo attenzione a non sparpagliare sul divano la carta, estrasse
il pacchetto. Dopo aver fatto scivolare via il filo argentato, aprì
con cura i lati strappando via lo scotch delicatamente, mentre
un'altra scatola in cartone lucido veniva alla luce.
Barney's,
un altro capo d’abbigliamento impossibile da utilizzare che sarebbe
finito nel fondo del suo armadio insieme a tutti gli altri che
venivano presi in mano solo ogni tanto da Katie o Annabell che li
ammiravano estasiate.
Sollevò
il coperchio e si trovò di fronte una velina ripiegata che
proteggeva una stoffa rosso veneziano, accesa e improbabile come il
vestito che creava.
In
realtà, prendendo tra le dita l'abito e srotolando a cascata il
tessuto, la prima sensazione che provò fu di estasi. quel vestito
era indubbiamente bello: lo scollo a barchetta era morbido, tutt'uno
con le maniche formate da due graziose balze; una cinturina laccata
delineava il punto vita lasciando sotto libera l'ampia gonna.
Ma Janet
era lontana da troppo tempo da lei e dal quartiere, o non le avrebbe
mai preso quel vestito così inadatto. Era oggettivamente bello, ma J
non conosceva una sola occasione in cui avrebbe potuto indossarlo,
inoltre era così diverso da lei che calzandolo sarebbe sembrata una
bambina con gli abiti della sorella maggiore. Ripiegò la stoffa,
rimettendola nella sua scatola, e scovato il biglietto strappò la
busta.
Cara
Jill,
vent'anni
sono una data molto importante per una ragazza, e ogni ragazza che
compie vent'anni deve avere nell'armadio almeno un vestito come
questo.
Sarai
bellissima, già lo so!
Tanti
auguri,
Zia
Janet
Erano
Cinque anni che non si faceva viva a Germantown, come poteva sapere
se sarebbe realmente stata bella?
Janet
probabilmente dava per scontato che avendo parte dei suoi geni
sarebbe sicuramente andata così.
Janet era
la sorella gemella di sua madre, e l'unica persona al mondo a
chiamarla ancora Jill: ormai aveva rinunciato a chiederle di evitare
di usare quel nome. Si era sposata con uno yankee di passaggio e poi
l'aveva seguito fino a New York, dove aveva meticolosamente lavorato
per estirpare le proprie radici. La prima volta che era tornata, J lo
ricordava ancora, aveva osservato lei e sua madre chiedendosi come
potessero essere due sorelle gemelle tanto differenti: Janet con il
suo accento finto della city, i capelli cotonati freschi di piega e
il trucco che le induriva lo sguardo, non aveva niente a che spartire
con la madre, che deliziosa nel suo vestitino verde con i capelli
lisci tagliati a caschetto sembrava ancora una ragazzina.
La sera
aveva sentito suo padre e Peter ridere su quanto Janet fosse
ridicola, e su come sicuramente la trovassero stupida i newyorkesi,
che ovviamente indovinavano che sotto a quelle piume lucenti stava
una bifolca del sud; lei era in camera sua, ma aveva sentito
distintamente la madre rimproverarli difendendo la sorella, che a suo
dire era stata costretta a bardarsi così proprio per colpa di quella
nicchia di persone fiere delle loro origini che guardavano con
sospetto tutto ciò che non fosse prettamente yankee. La grande mela
era crudele, l'aveva sentita dire, e Janet cercava solo di non farsi
inghiottire.
Si
domandò tristemente quanto nelle parole della madre fosse sincero,
quanto lei credesse ancora nella sorella, e come avrebbe reagito nel
sentirla parlare al suo funerale.
* * *
-
Mi porto via la bambina,
Tom. Sarai d'accordo
con me che saprò crescerla
molto meglio io di come faresti tu.
- J era in camera sua, ma aveva riconosciuto la voce dura e
squadrata della zia, nella quale
aveva inutilmente sperato di sentire le note morbide di sua
madre.
-
Janet,
non dire fesserie. Jill
non se ne andrà da nessuna parte! - aveva
sbottato suo padre, sicuramente vicino a metterla
alla porta.
-
Sii obiettivo, tu lavori tutto il giorno, la
bambina con
chi starebbe? Per non parlare dell'educazione che potrebbe ricevere
grazie a me a
Manhattan. Sai bene
che le possibilità economiche mie e di Jack...
Tom
l'aveva interrotta malamente:
- Non voglio
ripetertelo, mia figlia sta con me.
Non ha bisogno di niente di ciò che puoi darle.
A
seguire aveva sentito dei rumori confusi, sedie che stridevano
spostandosi e passi veloci.
-
Sei un bifolco orgoglioso,
Tom, e se ti ostini a fare così
Jill crescerà proprio come tutti voi: intrappolati in questo stupido
quartiere a vita! - aveva strillato in
modo teatrale.
Fu
lo zio concludere la conversazione:
- Janet, Tom è
troppo buono per dirti quello che ti sto per dire io: vattene al
diavolo, torna nella tua bella città perchè la tua presenza qui non
è gradita.
I
passi si erano avvicinati alla sua stanza, e
aveva sentito qualcuno
bussare.
Per
un fugace istante aveva
avuto un tuffo
al cuore nel vedere quei lineamenti, così camuffati ma che in
sottofondo riflettevano il viso di
sua madre.
-
Piccola Jill, - aveva detto zia
Janet
entrando, con una voce molto più pacata dei toni con cui si era
esibita con il lo zio e il padre.
- Ora io devo andare, il mio aereo parte tra poco e Jack
domani deve essere al lavoro.
Vienimi pure a trovare quando vuoi, ok? - Si
era avvicinata inondandola con quel profumo stucchevole, posandole un
bacio sulla fronte.
-
Janet... - l'aveva ammonita suo padre dalla porta.
La
zia le aveva accarezzato la guancia, poi si era sollevata
ed era uscita.
* * *
La zia
Janet l’aveva invitata spesso nelle sue lettere a raggiungerla
durante le vacanze, ma non era più tornata nel Tennessee se non in
occasione del terzo anniversario delle morte della sorella, quando
con toni più melliflui aveva provato ad avanzare nuovamente la
proposta di prendersi cura di lei, ricevendo lo stesso rifiuto. Da
allora si era limitata ad inviare a J regali che le raccontavano la
vita che avrebbe potuto avere con lei a New York, forse per
invogliarla ad andare forse per umiliare suo padre con cose che lui
non poteva permettersi di darle, riflesso di una vita troppo lontana
da loro.
J non le
era molto legata, ma una piccola parte di lei non se la sentiva di
rompere ogni legame con lei, sapendo che sotto ai lustrini rimaneva
l'immagine della donna che sua madre sarebbe diventata.
Ripose
l'abito nell'armadio, l'ultima delle scatole impilate ordinatamente
una sopra all'altra, e decise di aver riposato abbastanza, così si
diede da fare per riassettare la casa.
Accese la
radio, impostando l'antenna su una stazione locale che ovviamente
alternava Elvis a Cash, e dopo aver ripulito la dispensa e sistemato
negli armadi il bucato pulito si mise a preparare il pranzo, visto
che Tom sarebbe tornato a casa per la pausa.
- Mi vuoi
far morire? - le disse il padre una volta entrato, guardando con
diffidenza la pentola dentro la quale sobbolliva una specie di sugo
da cui spuntavano dei pezzi di carne. Se c'era una faccenda domestica
nella quale J non spiccava era proprio la cucina, infatti in genere
era sempre lui ad occuparsene e lei si limitava a scaldare la pizza
o preparare dei panini imbottiti.
- Dai,
pa, - si lamentò, - mi sono fatta dare la ricetta dal macellaio,
vedrai che sarà buonissimo! - gli assicurò mentre finiva di
apparecchiare la tavola e lui andava a lavarsi le mani.
-
Programmi per il pomeriggio? - le domandò sedendosi.
Lei gli
servì un mestolo di intruglio rossiccio. - Niente di che. Pensavo di
andare a fare la spesa e poi di aspettare che Ann finisca il lavoro.
Ci siamo messe d’accordo per andare a fare un giro in città.
Tom
stappò una birra con cui si diede il coraggio di assaggiare la
pietanza, che si rivelò troppo salata e la carne troppo dura,
praticamente impossibile da masticare.
- J,
tesoro, non c'è nient'altro da mangiare? - le chiese implorante,
mentre lei stessa faceva una smorfia disgustata e risputava nel
piatto il boccone.
- Stai
lì, faccio due panini.
- Sicura
che non vuoi che ci pensi io? - Il padre ghignò e svuotò il
contenuto dei piatti nella pentola, per poi versare il tutto nella
spazzatura.
- Come
sei simpatico, - disse sarcastica, mettendogli davanti un panino. -
Oggi è arrivato il pacco, - lo informò poi, a bocca piena.
- La
puntualità di quella donna mi lascia sempre sbalordito, - commentò
. - Un altro stupido cappellino?
- Ci sei
quasi: un vestito da sera di Barney's, del genere fatalona.
Il padre
sospirò.
- Abbi
pazienza piccola, non lo fa con cattiveria nei tuoi confronti, è
fatta così. - Si pulì la bocca dalla senape e le diede un bacio
sulla fronte, alzandosi. - Ci vediamo stasera?
- Non
abbiamo intenzione di stare fuori tanto, ceno a casa. Ordino una
pizza, ok?
-
Perfetto. - Le strizzò l’occhio prima di uscire.
J lavò i
piatti e s'impegnò a raschiare via dalla pentola i rimasugli dello
sfortunato pranzo. Ormai era tardi per la spesa, così si fece una
doccia e aspettò pazientemente la telefonata di Ann per mettersi
d'accordo per l'ora.
Alle
cinque, come avevano deciso, sentì il clacson avvertirla d'uscire,
così afferrò il giubbettino di jeans e la raggiunse in macchina
- Scusami
se non mi sono cambiata, - la salutò Ann, che vestiva ancora il
tailleurino da segretaria, - ma poi avrei fatto tardi e avremmo
trovato i negozi chiusi. - si giustificò mentre metteva in moto.
-
Figurati, Ann, non vedo il problema. Devi comprare qualcosa?
- Il
vestito che mi sono provata settimana scorsa quando siamo andate con
Katie, non riesco a togliermelo dalla mente. Tu, mia cara formichina?
- Non ho
molto da spendere, ma se trovo un paio di jeans potrei farci un
pensierino.
Ann rise.
- Come no, non avevo dubbi: la tua divisa.
-
Zucchero, non essere cattiva, sai che non mi ci vedo con gonne e
gonnelline. Che male c'è?
Sorpassarono
un camioncino e si immisero nella statale.
-
Assolutamente niente, scherzavo un po', Perché tu come al solito non
ti smentisci. Bobby ha messo in giro la voce che è arrivato il
pacco, è vero?
J annuì.
- Un vestito rosso di Barney’s. Sai, rimanendo in tema, proprio il
mio stile.
- Per
quello devi fare giudicare me, lo sai. Chi è stata a convincerti a
prendere quella graziosa magliettina che indossi? - Parcheggiò,
lasciando come suo solito la macchina per metà fuori dalle striscie.
- Ehi, guarda un po' lì, - le disse acquattandosi contro di lei ed
indicandole un punto fuori dal finestrino. J seguì la direzione del
dito, fino a raggiungere i tavolini di un bar dove stavano seduti il
forestiero e Betta.
- Che
fortuna.Non vorrai andare a salutarli, spero, - borbottò
- Mi
sembrava che Sam avesse detto che avevate fatto pace, - ribattè Ann
uscendo dalla macchina e chiudendo la serratura. - Comunque no, non
ci tengo ad andare da quell'ochetta della tua collega. Certo che
sembrano fare sul serio.
- Katie
dice che nemmeno una pazza farebbe sul serio con lui.- Entrarono nel
negozio, ma continuarono a seguire con lo sguardo la coppia che
chiacchierava allegramente.
- È
ovvio, intendevo sul serio dati i personaggi. Su, andiamo.
Ann si
confuse le idee provando altri quattro vestiti oltre a quello che era
inizialmente intenzionata a comprare,così alla fine non seppe
decidersi, lanciò però una camicetta a J intimandole di comprarla
dato che il colore avrebbe messo magnificamente in risalto i suoi
occhi blu.
Quando
alla fine uscirono, il negozio era ormai in chiusura. J aveva
ascoltato il consiglio di Ann ed era soddisfatta, mentre Ann
stringeva il sacchetto contenente il primo abito, ma continuava a
pensare agli altri che aveva visto in negozio.
- È
un'ingiustizia, - borbottò mentre si avviavano alla macchina, - se
solo mi avesse fatto lo sconto mi sarei presa anche l'altro!
- Quello
che hai comprato era il più bello, non preoccuparti, - l'assicurò
leale J.
Una voce
dall’altra parte della strada le chiamò. - Ehi, bamboline!
Si
voltarono entrambe, riconoscendo una con disappunto e l’altra con
entusiasmo la voce di Patrick. J era pronta a fargli un cenno educato
e a risalire in macchina, ma Ann la trascinò trotterellando da lui.
- Ti
abbiamo visto prima in dolce compagnia, ma non volevamo disturbarti,
- lo informò solerte Ann, sorridendogli allegra.
- Eh già,
mi immagino la fitta conversazione che avete avuto, - commentò J
sarcastica. Betta non era nota per le sue doti comunicative.
-
Ragazzina, non essere cattiva, - le disse lui con un ghigno che ebbe
il potere di fare sbattere le ciglia ad Ann. - In fondo è una brava
persona, sai?
Lei
sbuffò.
- Mi
immagino, ma contento te. - Scrollò le spalle,
- A dire
la verità, - continuò il forestiero - mi ero dato appuntamento qui
con Miss Melania, un incontro d'affari, e quando è andata via ho
incontrato la dolce cameriera e ci siamo fermati un po' a parlare.
Se era
lui il suo nuovo collega c'era da stare freschi: Betta impegnata a
fare gli occhi dolci agli uomini, il forestiero a fare la corte a
tutte le clienti di sesso femminile e lei a sgobbare per tutti.
- Che
genere d'affari? - l'anticipò curiosa Annabell, con un tono
carezzevole.
-
Musica, bambine: farò qualche serata al pub.
J lo
fissò e scoppiò in una risata benevola, con sua sorpresa.
-
Forestiero, dimmi: ti impegni ad essere un clichè vivente o ti viene
naturale?
-
Naturale, ragazzina: ci sarà un motivo se sono venuto proprio negli
States. Di lavoro per muratori ce n'è in tutto il mondo, - le spiegò
sorridendo, mentre la fossettina sul suo mento si accentuava.
Ann
occhieggiò l'orologio.
- Credo
che sia meglio che andiamo. Patrick, stasera ci troviamo al bar del
nostro quartiere: i ragazzi giocano a stecca e noi si spettegola un
po', sei dei nostri?
- Certo,
bambolina, è meglio che insegni a questi ragazzotti americani come
si gioca, - rise lui, avviandosi.
Le due
ragazze tornarono in macchina.
- È un
miracolo: hai fatto la simpatica alla fine, - la stuzzicò.
- Suvvia
Ann, mi conosci: non tengo certo il muso a lungo io, sto cercando di
essere più morbida nei suoi confronti.
- Certo,
anzi: credo che fosse la prima volta che tieni il broncio a qualcuno,
- annuì comprensiva.
-
Piuttosto, tu, - indagò J. - Ti vedo particolarmente morbida
con lui.
Ann rise
di cuore.
- Ma no,
Scricciolo: flirto un po' ma innocentemente, Patrick è un gran bel
pezzo di ragazzo ma ho capito benissimo di che pasta è fatto e dal
momento che ormai fa parte del gruppo non è mia intenzione di creare
dei malumori per un paio di bacetti. - Si fermò davanti alla casetta
azzurra. - Ricordati il tuo sacchetto. Alle nove da Billy!
nda Scusatemi per l'attesa, ma questa
storia non riesco a scriverla nei tempi canonici, mi richiede un po'
più di concentrazione.
Ringrazio di cuore Kukiness per il suo lavoro di betaggio eccelso, grazie a lei sto imparando molto!
Non voglio accattonare recensioni, di sicuro sapere cosa ne pensate mi
farebbe piacere e non vi nascondo che sarebbe un bello stimolo a
continuare, ma spero che in ogni caso a prescindere dalla recensione
qualcuno la legga e l'apprezzi.
Il prossimo capitolo non si farà aspettare così tanto, lo prometto!
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