The ring of fire

di Aura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo del Forestiero ***
Capitolo 2: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 3: *** Un passo in avanti ***



Capitolo 1
*** L'arrivo del Forestiero ***


1rof

Capitolo betato da Kukiness




Mi portò lì proprio nel momento in cui ormai non me lo aspettavo più, mi portò nella terra in cui lui era cresciuto quando ogni speranza era finita.



In Dublin's fair city,
where the girls are so pretty,
I first set my eyes on sweet Molly Malone,
As she wheeled her wheel-barrow,
Through streets broad and narrow,
Crying, "Cockles and mussels, alive alive oh!"
(Molly Malone, canto popolare gaelico)




- J, il tavolo tre si sta lamentando che nessuno è ancora andato a prendergli le ordinazioni: dormi in piedi? - Frank le diceva le cose con la solita aria impegnata. Non che lo fosse davvero, era un tono che si dava per poter rimanere al bancone e continuare a flirtare indisturbato con le sciocche che gli davano corda, mentre a Jill ovviamente rimaneva il lavoro sporco, quello che lui continuava ad affibbiarle.
Con un'occhiata carica di astio nella sua direzione, estrasse dalla tasca del grembiulino nero un blocchetto e la penna, e con il più falso dei sorrisi si avvicinò al tavolo dei nuovi arrivati. Era arrabbiata. Quel giochetto poteva andare bene nei giorni tranquilli, ma il sabato sera lui avrebbe dovuto scendere dal trespolo, o almeno assumere qualcuno che l'aiutasse, qualcuno con più sale in zucca dell'inutile Betta che con la sua appariscenza soddisfaceva il proprietario e gli occhi dei clienti, ma non l'aiutava certo a smaltire gli ordini del pienone.
- Ragazzi, scusatemi se non sono riuscita a venire prima. Cosa prendete? - disse svelta, mentre cercava di ignorare le occhiate dal tavolo di fianco che tentavano di attirare la sua attenzione per sollecitare le loro birre.
- Non avete un listino? - domandò annoiata la ragazza a capotavola, soffiando un cono perfetto di fumo sopra di lei.
J si sforzò di mantenere il sorriso, sperando che i clienti non si fossero accorti dell'angolo delle sue labbra che aveva tremato nervosamente alla domanda
- Ma certo, che sciocca che sono, - disse. Sfoderò una risata dispiaciuta ed efficiente, e corse al banco per poi ritornare da loro con quattro libretti plastificati praticamente inutilizzati. - Ve li lascio, così scegliete con comodo. Torno tra cinque minuti. - Fece per allontanarsi, ma fu fermata dal damerino che stringeva la mano alla stronza a capotavola.
- Ti dispiace stare qui? Scegliamo subito, non vorremmo aspettare ancora un'ora, sai com'è.
- J, ma dove sono finite le nostre bionde? - la chiamò Bill, cliente abituale dal tavolo cinque al quale si permise di rivolgere un segnale con la mano per fargli capire che sarebbe arrivata a breve, prima di tornare armata di pazienza al tavolo tre.
- Ma certo, sono qui per voi, - disse, mentre con la mente stava già stabilendo il percorso successivo per accontentare il più velocemente possibile i clienti che stavano aspettando.
- Senti, nell'irish coffe cosa c'è? - le domandò pensierosa una brunetta.
- Caffè, whisky e panna shakerata, - rispose senza esitazione, nonostante ci fosse scritto proprio sulla lista nella riga sotto al nome del cocktail. La ragazza arricciò il naso e scosse la testa, per poi proseguire a sfogliare il menù.
- Come lo fa il barista il Cocktail Martini? Bello forte? - chiese il damerino di prima con aria da intenditore.
Gin sporcato con una goccia di vermouth, come potesse essere leggero era un mistero.
- Certo, il migliore della città, - disse sicura, spostando impaziente il peso del corpo da un piede all'altro. Da quanto tempo era lì ferma? La gente era insopportabile quando ci si metteva, e provare a far notare che oltre a loro c'era un'intera massa di persone nervose che aspettavano non avrebbe fatto altro che farli alzare indispettiti, facendole guadagnare un predicozzo da Frank sull'attenzione che bisogna rivolgere al cliente.
Dopo aver spulciato tutto il menù finalmente le dettarono le ordinazioni, ovvero due coca-cole per le ragazze, tre Guinness e un Cocktail Martini.
Con un sorriso J raccolse i listini e scappò a lasciare la comanda a Frank, facendogli sopra un bel segno che nel loro codice significava clienti esigenti; per poi caricare sul vassoio quanti più ordini poteva e iniziare veloce la distribuzione.

- Eccomi qui, ragazzi, - disse, approdando da Bill e Mark. - E questo giro è gratis. - Sbuffò, lanciando praticamente le pinte sul tavolo, per scappare subito via. Se proprio doveva offrire qualcosa a qualcuno per ripagarlo del ritardo, preferiva farlo con chi era praticamente di casa, piuttosto che con i gruppi che si alternavano ogni sera.
- Alla tua, J! - brindarono loro, mentre la schiuma colava giù dai loro bicchieri dopo l'impatto.
Una volta che ogni tavolo fu servito, J si rifugiò dietro al bancone, nell'angolo sommerso di bicchieri vuoti e sporchi.
Aprì rapida la lavastoviglie, spostandosi per evitare di essere investita dalla nube di vapore, ed estrasse il cestello delle stoviglie pulite per sostituirlo con quello che velocemente aveva riempito.
- Un successone, stasera - le disse simpatico Frank, avvicinandosi per mettere a posto qualche bicchiere, e con una rapida occhiata alle sue spalle la ragazza si accorse che le ochette non c'erano più.
- Come tutti i sabati, - non si trattenne dal dire. - Frank, non ce la faccio da sola, - gli fece notare implorante, ma lui scoppiò a ridere
- Ma non sei sola, c'è Betta e ci sono io! Su, vai a fare un giro dei tavoli, che scommetto che qualcuno vuole dell'altro carburante! - le disse con la sua solita faccia supponente, e Jill appoggiò con poca grazia i boccali che aveva in mano e rispettò l'ordine sforzandosi di non digrignare i denti.
Amava quel posto in settimana, quando era solo suo e di Melly, la sorella di Frank, che prendeva il posto del fratello nei giorni feriali; ma quando lui nel week end onorava tutti con la sua presenza era un inferno. Controllò l'orologio. Il giro di boa era passato da un po' e se la gente sgomberava in fretta nel giro di un'ora sarebbe stata lontana da lì.






Patrick era lusingato dalle continue occhiate che le due bamboline continuavano a rivolgergli ridacchiando, ma il tempo passava e nessuno faceva cenno di volersi spostare dalle scale antincendio del palazzo davanti al quale si erano dati ritrovo.
- Amico, - disse a Mike, il collega che l'aveva invitato a passare una sera con i suoi amici. - Fammi capire, non dovevamo andare in discoteca?
- Stiamo aspettando J, - gli spiegò lui e gli passò un’altra bottiglia di birra per far passare l’attesa. - Dovrebbe smontare il turno a breve, se tutto va bene. Aveva detto che per stasera non prevedeva di fare tardi.
Patrick prese un sorso dalla bevanda e cercò di non incrociare di nuovo lo sguardo con una delle bamboline, per evitare di ripetere l'ennesimo sorriso di circostanza. Sperava che quel Jay non si sarebbe fatto attendere ancora a lungo.
Erano due settimane che lavorava con Mike. Sembrava un tipo a posto, e non appena saputo che Patrick si era appena trasferito nei sobborghi di Memphis lo aveva subito invitato a uscire con i suoi amici, per farlo ambientare un po'. Gliene era grato, ma doveva ammettere che aveva sperato in una serata un po' diversa.
- Io propongo di andare, - disse Sam, dopo che Patrick ebbe finito altre due birre. - in fondo J sa dove andiamo e ci può raggiungere là. Stiamo passando la serata a fare la muffa come al solito e non è un benvenuto per Patrick. Giusto, amico? - Gli diede una pacca sulla spalla, mentre Annabell si lamentava inquieta.
- Ma avevo detto a J che ci saremmo visti tutti qui...- mugugnò.
Sam non si scompose e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi dai gradini.
- Ci raggiungerà. Non è certo colpa sua se le cose al pub sono andate per le lunghe, ma non è neanche colpa nostra. Muovete le chiappe, ragazze, si va. - sentenziò, gentile ma irremovibile.
Patrick lo guardò con rispetto dopo quella frase. Sam era fatto di un'ottima pasta: era un ragazzo di polso e sapeva il fatto suo, senza sconfinare mai nella tirannide, si sapeva imporre quasi con garbo. In fondo aveva ragione: non vedeva un motivo perché quel Jay non potesse raggiungerli ovunque erano diretti, così si alzò in piedi dandogli silenziosamente il suo appoggio.
- Sarà meglio, - scherzò Mike, - sennò un altro paio di bionde e il povero Patrick arriverà alla Sierra sui gomiti.
- ehi, ragazzo, - lo rimproverò lui. - Dimentichi che in queste vene scorre sangue irlandese, e il sangue degli irlandesi è fatto di birra. - Gli prese la testa amichevolmente sotto al braccio e ci sfregò sopra le nocche.
Si incamminarono, le due ragazze davanti a lui a braccetto. Avevano preso quella posizione nel corteo solo per mostragli i loro sculettamenti civettuoli, ci avrebbe scommesso.
Prese da parte Mike.
- Spiegami, la smetteranno mai queste due di provocarmi o hanno bisogno di una bella lezione? - Se poi la lezione la volevano in coppia, lui certo non si sarebbe tirato indietro, ma era abbastanza stanco di tutto quel girargli attorno senza arrivare al sodo.
Mike rise.
- Hai il fascino della novità, vedrai che presto Annabell e Katie troveranno qualcun altro su cui mettere le grinfie. Si scaldano con te prima di entrare alla Sierra.
- Impegnate, le ragazzine, - osservò Patrick.
- Non credere. Sai come si dice: can che abbaia non morde. - Evidentemente conosceva le due amiche da molto tempo.

L'ingresso era pieno di persone. Annabell e Katie si congedarono da loro e si buttarono nella mischia, mentre Patrick, guardandosi intorno, decise immediatamente che non gli sarebbe dispiaciuto passare la serata al bancone, piuttosto che imitarle e cercare di entrare in una pista da ballo affollata; fortunatamente Sam sembrava dello stesso avviso, mentre Mike e John si diressero in cerca di due ragazze che avevano conosciuto la settimana prima.
- Allora, Mike dice che vieni dall'Irlanda, - disse Sam, ordinando un Bourbon per entrambi.
- Sono di Dublino, ma la mia ultima casa è stata Detroit, - affermò lui, accettando di buon grado il whisky.
- Qui al sud ti sembrerà tutto diverso, immagino.
- Sono qui da due settimane, ma per il momento mi trovo bene, - Brindarono e si girarono entrambi a osservare senza reale interesse la pista.
- Veniamo qui ogni tanto, così le ragazzine si sfogano, e con ragazzine intendo Mike e John, - specificò ridendo. - Ma per lo più in settimana andiamo nel pub dove lavora J. Scommetto che ti troveresti a tuo agio lì,- disse, sottintendendo che la sua presenza gli era gradita. Patrick alzò nuovamente il bicchiere nella sua direzione.
- Lo proverò, amico.
Katie arrivò correndo.
- Sam, - lo chiamò allarmata. - I ragazzi si sono messi a fare gli stupidi con dei tizi che stavano girando attorno ad Ann, vieni a fermarli! - lo implorò, prima di fare dietrofront senza aspettarlo e raggiungere l'amica che guardava spaventata la scena.
- Vengo con te, - disse Patrick, facendo per seguirlo, ma Sam lo fermò.
- Tranquillo, forestiero. Non voglio che ti crei una brutta reputazione alla prima uscita: stai qui e goditi pure la benzina, - disse, prima di venire inghiottito dalla folla camminando nella direzione in cui si era dileguata Katie.
Patrick si accese una sigaretta e si appoggiò al bancone.
Quella Sierra non sembrava un posto frequentato da brutta gente, probabilmente si trattava di galletti del sud che avevano un po' alzato la cresta. Non aveva dubbi che Sam sarebbe riuscito a ricondurli alle buone maniere senza difficoltà.





Quando ogni sedia fu messa sui tavoli e il pavimento fu pulito, J disse a Frank che poteva spegnere le luci della sala e si diresse nel retro a darsi una sistemata.
Mentre scioglieva la coda spettinata ripensava con disappunto all'ultimo tavolo che si era liberato, e al fatto che andando a ritirare i bicchieri vi aveva trovato quello del Cocktail Martini intatto. Ci scommetteva che quel bifolco con addosso la camicia buona si era fatto bello davanti ai suoi amici dicendo che era stato preparato male, e per quanto i cocktail di Frank facessero schifo in confronto a quelli che preparava lei, lo riteneva perfettamente in grado di farne uno classico e basilare come il Martini.
Prese dall'armadietto il suo cambio e si chiuse nello spogliatoio. Dall’altra stanza sentiva il capo fare le moine a Betta: che se la facesse pure, e alla svelta, in modo che poi con un po' di fortuna avrebbe avuto una collega migliore.
Ma Betta probabilmente non se ne sarebbe mai andata dal pub. Era più bella e più appariscente di lei, doti che Frank sembrava apprezzare più della sua bravura e della sua velocità. J era stata l'unica ragazza normale a lavorare lì dentro e se non fosse stato per Melly, che aveva pestato i piedi con il fratello riconoscendone l'abilità, non avrebbe da lì a poco festeggiato il suo anno al pub.
Aprì l'acqua calda e coprì i capelli con un asciugamano, prima di entrare nella doccia e fare rilassare i muscoli stanchi e indolenziti con il getto benefico. Non si era dimenticata che aveva promesso agli amici di raggiungerli, perciò si avvolse nell'asciugamano e iniziò a frugare nella borsa, dalla quale estrasse i vestiti puliti, per poi infilare i jeans e la maglietta che aveva usato per servire in un sacchetto che poi l'indomani avrebbe portato a casa.
Si infilò la canottiera e i jeans sfilacciati che Frank chissà perché non le permetteva di indossare al pub, nonostante apprezzasse le minigonne allucinanti di Betta. Dopo aver legato di nuovo i capelli neri e lisci in una coda, si diede un colpo di phon alla frangetta e uscì dallo spogliatoio.
- Io vado, a domani! - urlò a Frank e Betta che stavano fumando una sigaretta in compagnia, chiacchierando come vecchi amici.
Chiuse la porta del retro scuotendo la testa. Poteva capire il fatto avendo ventisette anni Betta fosse più vicina ai trentacinque di quel despota di Frank rispetto a lei, ma diamine: per quanto fosse una sgualdrina dalla zucca vuota era una bella ragazza, e poteva aspirare a molto di più del noioso e ignorante di Frank.
Salì in groppa alla sua bicicletta, ripetendo lo stesso mantra di tutti i sabato notte: se non fosse stato per Melly, lei avrebbe già levato le tende da quel po'.

Lasciò la bici dietro al locale. Per una sorta di solidarietà del suo status di barista quelli del Sierra glielo lasciavano fare, evitandole il rischio di furto o vandalismo al suo unico e prezioso mezzo di trasporto. Fece il giro ed entrò dall'ingresso principale, porgendo il dorso della mano a Ricky per il timbro “Minore di ventun'anni”.
Come se ce ne fosse stato bisogno, dal momento che lei stessa aveva lavorato per un periodo lì e i baristi la conoscevano bene.
Si fece largo tra la folla, cercando di individuare qualche suo amico, e con disappunto notò che nemmeno Sam si trovava al bancone.
- Jim, mi dai una tonica? - urlò al ragazzo al di là del banco, porgendogli una banconota stropicciata.
Strano, veramente strano: Sam non era lì, e in giro non vedeva traccia degli altri. Facendo scorrere lo sguardo in giro intercettò un paio di occhi scuri che la guardavano con insistenza.
Spostò immediatamente la sua attenzione altrove, afferrando il bicchiere che Jim le aveva messo davanti e servendosi di una generosa sorsata. La prima cosa liquida che il suo palato toccava da molte ore. Sospirò soddisfatta, prima sussultare al suono di una voce sconosciuta.
- Cosa puoi bere con tanta soddisfazione, dato che hai il timbro dei piccoli?
Alzò la testa e incrociò con disappunto gli stessi occhi che erano venuti a fissarli più da vicino.
Accento da forestiero, un accenno di barba sul viso dai lineamenti decisi, un sorriso che poteva definire con una parola sghembo. Lo ignorò. Dopo una serata passata a respingere i clienti ubriachi non era certo venuta lì per farsi importunare da uno sconosciuto.
- Cosa c'è? - la incalzò lui, per niente intenzionato a lasciar cadere la conversazione. - Ti è caduta la lingua?
Lei gli scoccò uno sguardo torvo e lui scoppiò a ridere.
- Senti, - gli concesse, seccata, - sono stanca, assetata e incazzata. Quella che sto bevendo è acqua tonica e non intendo essere rimorchiata, grazie e buona serata.
Non era propriamente da lei rispondere così alle persone, anzi, in genere gli amici la rimproveravano sempre di essere troppo accomodante, ma quella sera non tirava aria buona, e prendersela con uno sconosciuto per una volta tanto era liberatorio.
- Non ti voglio rimorchiare, piccola. Ti ho solo fatto una domanda: non te la prendere.
Fortunatamente incrociò un volto amico sopra la spalla dello sconosciuto, ma il sorriso le morì sulle labbra.

- Eccomi qua, forestiero. Vedo che hai già conosciuto la nostra J.
Il “forestiero” scoppiò a ridere e J strinse di più le labbra.
- Tu... - riuscì a dire tra le risa, - sei Jay?
La ragazza espirò teatralmente. Non era la prima volta che qualcuno cadeva nel malinteso.
- In persona. Con chi ho l'onore di parlare? Hai un nome, oltre a “forestiero”?
Il ragazzo appoggiò il bicchiere vuoto al banco e lanciò il mozzicone spento per terra, porgendole la mano.
- Patrick O'Connor, signorina, al suo servizio.
Gli strinse brevemente la mano robusta e poi sfilò malamente la propria. Lo ignorò e si rivolse a Sam.
- Credo che andrò dalle ragazze, - gli comunicò, mentre lui le indicava il punto della pista in cui erano.111
- Devi averle proprio fatto una brutta impressione, forestiero. J è il ritratto della simpatia in genere, mentre quella che era qui sembrava più una stronza con una scopa in culo, - osservò Sam divertito. - Senza contare che è la prima volta che si allontana di più di quattro piedi dal bar. - Scosse la testa e mentre Patrick ne approfittò per attirare l'attenzione del barista per ordinare un altro giro.
- Com’è andata là in mezzo?
- Mike e John se la potevano cavare benissimo da soli. C’era un ragazzino che aveva pensato bene di allungare un po' le mani con Ann, ma stupidamente quando loro gli hanno fatto notare che stava esagerando si è messo a fare il buffone. Bifolchi, forestiero: il Tennessee ne è pieno. - Prese il bicchiere che lui gli porgeva e lo alzò alla sua direzione. - Alla tua, - disse, prima di ingollarne il contenuto.





- Devo proporre a Frank di rimanere aperto tutta notte, così quando usciamo dai locali si può andare lì a riempirci lo stomaco gratis.
- Sei un genio, John, e chi ci lavorerebbe tutta notte? - gli fece notare J, che spingeva la sua bicicletta a fianco di Ann, fingendo come faceva da un'ora a quella parte che non c'era nessun nuovo membro nel gruppo.
- Ah, già, - ribatté John, un po’ alticcio. - Non ci avevo pensato.
Si fermarono da un ambulante per assorbire l'alcol che tutti, a parte J, avevano bevuto, ma nonostante questo anche lei ordinò un panino, dal momento che aveva mangiato all'alba delle sei quella sera, esattamente come tutte le sere che faceva servizio.
- Di’ un po’, - le disse Katie, brilla ma ancora lucida. - Come si è comportato Il Despota questa sera?
- Da stronzo, - rispose J. - Come al solito. Mi sa che nel giro di poco Betta gliela smolla, ragazzi. Non ci sarà più trippa per voi se quella diventa la nuova donna del capo. - Dalla radio dell’ambulante si levò la voce di Johnny Cash.
- Accidenti, J, non puoi permetterlo! - Mike era sinceramente preoccupato. - Ero a tanto così dal farmi dare il suo numero! - Gli altri si misero a ridere.
- Ma quando lo capirai che per lei sei solo un bambino? - disse J in tono paziente e poi gli offrì un morso del proprio panino, visto che il suo non era ancora pronto.
- Forestiero, - disse Sam, - domani ti portiamo al Regno di J, e allora capirai il malumore del povero Mike.
Katie, come ricordatasi della sua presenza, lasciò il posto accanto a J e si arrampicò sulla recinzione sulla quale era appoggiato Patrick.
- In che posti hai vissuto prima di venire a Germantown? - gli domandò.
- In cerca di lavoro ho fatto un po' di tutto da quando ho lasciato l'Irlanda. dove c'era bisogno io c'ero, bellezza, - le rispose e le fece l'occhiolino prima di bere un'altra sorsata dalla sua birra.

- È proprio fascinoso, vero? - commentò sottovoce Ann al suo fianco.
- Non è diverso da tutti quei bifolchi che appestano il Tennessee, e Dio sa se non ne abbiamo già abbastanza dei nostri, - sbottò poco accomodante J, chiedendosi quando “il forestiero” avrebbe levato le tende: se aveva ben capito, aveva girato gli States, quindi era solo questione di tempo per levarselo dai piedi.
Come se avesse letto nella sua mente, il bifolco forestiero rivelò:
- Ma qui al Sud mi trovo bene, credo che la mia permanenza qui sarà più lunga del previsto. - Nascose il ghigno bevendo un altro sorso, perché aveva capito dalla reazione sul volto di J che c'aveva fatto centro: non lo poteva proprio sopportare.
Sam e Mike non avevano fatto altro che ripetergli quanto J fosse gentile di solito, ma a dispetto delle apparenze a Patrick stava molto più a genio la piccola scontrosetta che lo ignorava piuttosto che le due ragazze civettuole.
Se davvero preferiva uscire qualche sera con quei ragazzi piuttosto che starsene da solo nel suo buco d'appartamento doveva tenere le mani a posto con quelle due, e il loro corteggiarlo continuamente era solo sfiancante; nonostante lui da buon irlandese non fosse capace di non rispondere loro a tono.

- Chissà perché non mi stupisce che ti trovi a tuo agio in mezzo a oche e buzzurri, - disse J, senza riuscire a trattenersi, acida.
- J, non è da te, - la rimproverò Sam.
- Senti, è lui che ha fatto per primo lo stronzo con me, - tentò di giustificarsi, prima di incrociare lo sguardo con lui e capire che aveva oltrepassato il limite. Si alzò, lanciando la carta del suo panino in un cestino. - Hai ragione, scusami, - poi si rivolse al forestiero. - perdonami, sono stata una stronza. Buonanotte a tutti, - Inforcò la bici e si dileguò, ferita nell’orgoglio. Mai Sam l'aveva guardata così, per lei era stato un disonore guadagnarsi quell'occhiata.
Ma era anche vero che mai si era comportata così, nonostante tutti la considerassero disumana per il suo contegno sempre sereno.
- Non ti preoccupare, Sam, non me la sono presa a male, - disse Patrick, mentre lei si allontanava. Si sentiva responsabile del rimprovero.
- Non ci pensare, Patrick: J non tiene il broncio e sa accettare le critiche, e in effetti uscite del genere sono fuori luogo, - disse Mike con una pacca sulla spalla. - Stasera aveva la luna storta, ma vedrai, ci dormirà sopra e domani sarà come nuova.













Ringraziamenti:
Ovvio che ringrazio chi ha reso questo capitolo migliore, con pazienza e precisione Kukiness ha betato questo capitolo in maniera talmente perfetta che spero  che rimarrà dall'altra parte dello schermo armata di tastiera e mouse fino alla fine di questa mia impresa. Un grazie immenso.
Ringrazio anche SidRevo, che con la sua unica e fantastica Blowing Bubbles mi ha ridato interesse per le originali, e risvegliato in me l'amore assopito per Elvis Presley, citato nella bellissima canzone Always on my mind.
Ringrazio lui e Johnny Cash per le bellissime canzoni che ci hanno lasciato in eredità, e proprio da una canzone di Cash prendo il titolo di questa storia e l'ispirazione: The ring of fire.
Infine grazie a chi la leggerà

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Capitolo 2
*** Sensi di colpa ***


2rof

Capitolo betato da Kukiness

Long distance information 
give me Memphis Tennessee. 
Try to find the party 
trying to get in touch with me. 
She would not leave her number 
but I know who placed the call. 
'Cos my uncle took the message 
and he wrote it on the wall. 

(Memphis Tennessee, Chuck Berry)




J Legò la bici alla rastrelliera e in punta di piedi percorse il vialetto di fronte che portava a una piccola costruzione di periferia, con le pareti in legno azzurro leggermente scrostato e il tetto con le tegole verde scuro che andava a chiudere la sommità dopo appena un piano. Le imposte bianche non erano certo messe meglio dei muri perimetrali, ma la porta era stata verniciata da poco, dello stesso verde delle tegole, e una targa in ottone lucidato recitava Tom & J Brown. Quello era il posto che fin da bambina aveva chiamato casa.
Non appena girò la chiave e aprì l’uscio di un piccolo spiraglio, capì che i suoi sforzi di passare inosservata erano stati vani.
- J, sei tu? -La raggiunse una voce assonnata dal salotto; la luce era spenta, ma dalla stanza provenivano dei bagliori azzurrini, segno che suo padre si era nuovamente addormentato davanti alla TV.

J entrò in casa e chiuse la porta.
- Scusa, pa’, non volevo svegliarti.
Suo padre fece capolino dal salotto, sbadigliando. Ormai viaggiava sulla cinquantina, era alto e robusto, anche se le spalle erano incurvate dai troppi anni di lavoro.
- Non ti preoccupare, non dormivo, - mentì. - Tutto bene al lavoro? Hai una faccia strana.

- Il solito, Frank non è che diventi simpatico da un giorno all'altro, - borbottò lei sfilandosi le scarpe e sostituendole con un paio di babbucce.
Si fece strada nell'ingresso stiracchiandosi le spalle, ma fu bloccata dalla figura del padre.
- Io mi faccio un latte caldo, lo vuoi anche tu?
Sospirò e lo seguì dentro la cucina: voleva farla cantare, era fin troppo chiaro, ma decise di fingere di non essersene accorta.
Prese dai pensili smaltati due tazze e le mise sul tavolo quadrato appoggiato contro la parete, mentre Tom versava il latte nel pentolino (dimenticandosi puntualmente il cartone ancora pieno sul bancone della cucina) e accendeva i fornelli.
- E tu hai finito tardi di lavorare? - gli chiese, mettendo il latte nel frigo,

- No, stasera alle sette ero a casa.
Quando il latte fu caldo lo versò nelle tazze che la figlia aveva preparato, aggiunse nella sua del cacao amaro mentre in quella di lei due abbondanti cucchiai di miele, poi gliela fece scivolare sul tavolo e si sedette in silenzio.
J sentì il suo sguardo su di sé, e cercò di rassicurarlo con un sorriso tra un sorso e l'altro, indovinando l'apprensione nello sguardo del padre.
- Tu lo sai e io lo so: parlerai, a costo di rimanere qui tutta la notte. Perché non sputi il rospo e basta? -le disse alla fine, senza ammettere repliche.
- Signor Brown è un interrogatorio questo?
- Lo sarebbe se avessi qualche domanda da porle, signorina Brown. Le sto semplicemente chiedendo di parlare a suo piacimento della cosa che tanto la disturba.
J si accigliò, prima di tuffarsi di nuovo nella tazza per bere l’ultimo sorso; si alzò e aprì il rubinetto per lavarla, e mentre l'acqua correva disse semplicemente
-Sam mi ha rimproverato.
- Lo stesso Sam che conosco anche io? Sei certa che non ce l'avesse con Annabell o Katie? - le domandò, cercando di non ridere per non offenderla: aveva visto Sam gridare così tante volte dietro a quelle ragazze nel corso degli anni che si meravigliava che la figlia se la fosse presa tanto per un semplice rimprovero.
- Sì e sì. Ma lo vedi che le fai allora le domande? Comunque, quel che è peggio è che aveva ragione . Mi sono comportata come una stronza acida. - Suo padre quella volta non riuscì a trattenere un sorriso.
- Bambina, non è una tragedia, - sbuffò divertito. -
è tutta colpa di quel cazzone da cui lavori. Vedrai, prima o poi vinceremo alla lotteria e lo manderai a quel paese.
J rise, spingendolo fuori dalla cucina.
- Questo implicherebbe che prima o poi uno di noi due giocasse a quella stramaledetta lotteria, no? 'Notte pa’, fila a letto.

Chiuse la porta della sua camera e senza accendere la luce raggiunse il letto, si liberò dei vestiti e infilò il pigiama che teneva sotto al cuscino, balzando poi sotto al lenzuolo.

Ok, non aveva parlato a suo padre del forestiero, non gli aveva detto che era con lui che era stata stronza.
Nel buio rivide i suoi occhi fissarla. aveva reagito così provocata da quello sguardo, non era da lei e non lo avrebbe più rifatto.

Si rigirò e si abbandonò al sonno.


- Sveglia, J! - la chiamò il padre dal corridoio. - Io vado con Peter a sistemare il tetto della signora Lane, ti ricordi? Non so se riusciamo a tornare in tempo per il pranzo, nel caso ci arrangiamo da soli.
J si mise il cuscino sulla testa.
- Va bene!- urlò, ben sapendo che non sarebbe più riuscita a prendere il sonno.
Suo padre era esasperante. Dopo una settimana di lavoro-spezza-schiena, nel week-end se ne andava in giro a sistemare le magagne del vicinato con Peter, il Secondo Cavaliere dell’Apocalisse, nonché amico d’infanzia di suo padre fin dai tempi dell’asilo e, non in ultimo, suo zio.

Si alzò stiracchiandosi, e andò ad aprire le imposte per fare entrare il sole caldo del mattino nella stanza e per dare il quotidiano buongiorno a sua madre, cosa che non mancava mai di fare. Rimase in contemplazione del cielo per qualche istante, poi rivolse un ultimo silenzioso saluto a sua madre e si diresse di nuovo verso il letto. Appallottolò lenzuola e federa e le buttò nella lavatrice dove già si trovavano quelle del padre, che le aveva buttate lì prima di uscire come lei gli aveva insegnato.
Selezionò il programma di lavaggio e si diresse in cucina, dove si servì del caffè già fatto e prese pigramente in mano la cornetta del telefono.
Il destinatario rispose dopo un paio di squilli.

- Sono J, venite a pranzo da me? Mio padre se ne è andato in giro come al solito a fare il matto con zio Peter.
Katie rispose affermativamente, e dopo averla assicurata che avrebbe avvertito lei Annabell si salutarono.
J Spalancò le finestre della cucina e accese l'aspirapolvere, pronta a iniziare i soliti mestieri.
- Ehi, J, - la chiamò Sam, facendo capolino dalla finestra. J spense l’elettrodomestico, lo appoggiò in un angolo e poi si avvicinò al davanzale.
- Entri per un caffè, Sam?- gli propose. Era difficile fingere di non essere in imbarazzo per quello che era successo la sera prima.

- Sono venuto apposta.
- Lo faccio nuovo, tu entra. - Gli indicò la porta con un cenno del capo, mentre legava il filo attorno all'aspirapolvere e lo riponeva nel ripostiglio.
Mentre la macchina del caffè si scaldava, lasciò Sam in cucina e trasportò il bucato dalla lavatrice all'asciugatrice, poi tornò in cucina dove lui stava già versando il caffè in due tazze.
- Qual buon vento, Sam? - gli domandò mentre mescolava.

- Volevo assicurarmi che fosse tutto a posto dopo ieri sera, - disse lui sicuro, senza mezzi termini.
J sollevò lo sguardo e non riuscì a non sbuffare una risata pentita.
- Sono stata una vera cogliona, vero? - Usò un tono più sincero di quello della sera prima.
- Abbastanza. Se fosse stato qualcun altro avrei lasciato correre, ma mi ha fatto troppo strano da te.
- Non so cosa mi è preso. forse mi ha solo parlato nel modo sbagliato nel momento sbagliato.
-
è un bravo ragazzo, - disse Sam. - Si spacca la schiena ogni giorno e qui in città non conosce nessuno: non mi andrebbe che si sentisse costretto a non uscire con noi perché ti urta i nervi.
J gli prese la tazza vuota dalle mani e la buttò nel lavello con la sua.
- Gli darò una seconda possibilità, anche se non mi è sembrato particolarmente simpatico. - Si mise a lavare le tazze.
- J, perché non stai un attimo ferma? Mi meraviglio che mentre camminiamo non spazzi le strade! - Sam rise. - E comunque, su Patrick ti sbagli, è un tipo a posto. È un po’ matto, forse, - disse, facendo spallucce. - È fatto a modo suo, ma è a posto.

Non sapeva spiegarsi il perché, ma per qualche motivo le risultava difficile ammettere sia a Sam che a sé stessa che, a prescindere dal primo scambio di battute che aveva avuto con il forestiero, c'era qualcosa in lui che le dava sui nervi; e nella sua vita gli individui che le facevano quell'effetto si potevano contare sulle dita della mano.
Decise di cambiare discorso.
- Vengono le ragazze a pranzo. Ti fermi anche tu?
- E presenziare a un incontro privato delle tre disgrazie? - Sam rise, fingendosi spaventato. - Non ci tengo, grazie. Vado da John e lo convinco ad andare a fare due tiri con la stecca.





J Arrivò prima di Betta, che era in ritardo come al solito, e dai commenti di Frank ebbe la sensazione che qualcosa fosse davvero successo tra i due la sera prima.
- Poverina, avrà trovato traffico, - se lei non metteva piede nel pub minimo dieci minuti prima del turno si beccava una lavata di capo sull'importanza della puntualità, che si concludeva in genere con borbottamenti vari sul fatto che Melly dava troppa corda alla gente irresponsabile.

J sbuffò e spillò le birre per due ragazzi al bancone. Quella sera si prospettava tranquilla, perciò avrebbe fatto sia servizio in sala sia la barista. Visto che di solito, quando non c’era casino, i clienti abituali si andavano a prendere le ordinazioni da soli, J pregò che entrasse una bella ragazza civettuola che distraesse Frank, in modo che lei se ne potesse stare tranquilla a godersi una serata di calma piatta.
Involontariamente controllò l'ora quando Betta entrò, esattamente venti minuti dopo dell'inizio del suo orario, e sbuffò consapevole che il despota non le avrebbe detto niente.
- J. - La voce di lui la sorprese alle spalle. - Non mi piace come ti stai comportando ultimamente con Betta. La tratti con troppa supponenza, come se fosse una tua dipendente.
J Provò a mostrarsi calma e tranquilla,
- No, Frank, non è vero.
- Non è che perché è qui meno tempo di te che tu le devi mettere i piedi in testa, - continuò, come se lei non avesse detto niente. - Inoltre, se tutto va come deve andare, presto le dovrai portare rispetto, - si lasciò scappare.
J sbarrò gli occhi: l'aveva convinto a darle una promozione? E in nome di quali capacità?
- Cosa intendi, non capisco. È un anno che io lavoro qui tutti i giorni e non mi hai mai aumentato lo stipendio di un dollaro e...

Frank si lasciò scappare una risata.
- Oh, no, non preoccuparti. Non si tratta di una cosa lavorativa! È solo che, quando diventerà la mia donna, capisci bene che dovrai trattarla come tale.
Despota tiranno maiale, pretendeva che si prodigasse in salamelecchi con lei solo perché aveva il coraggio di dargliela.

Con la coda dell’occhio vide entrare i suoi amici, e colse l'occasione slacciandosi il grembiule.
- Senti, dal momento che è arrivata e stasera è tranquillissimo, mi prendo una pausa,
- Ma sì, - le rispose lui, ingentilito dall'occhiata che Betta gli aveva rivolto uscendo dal retro. - Prenditi pure una mezz'oretta, non ti preoccupare e fai con comodo: te la scalo dallo stipendio.

Le labbra di J si assottigliarono in un sorriso sconvolto: che magnanimità, pensò sarcasticamente.


Quando gli altri si sedettero al tavolo la videro arrivare come una furia.
- Che è successo? - le domandò Mike, notando gli occhi lucidi. J si sforzò di sorridere e ricacciare indietro le lacrime.

- Niente, sono solo una stupida, tutto qui.
- Dai, piantala di fare la martire e dicci subito cos'è successo, - la incalzò John, a cui la prospettiva di avere una scusa per gonfiare la faccia a quel verme di Frank non dispiaceva affatto: le aveva forse messo le mani addosso?
J si lasciò cadere sul divanetto a braccia conserte.
- Succede che mi devo trovare un altro lavoro. Entro mezzanotte Betta diventerà la Signora Despota, e lui mi ha fatto capire che dovrò leccarle il culo a ogni piè sospinto.
- Brutto affare, - commentò tetra Ann, solidale.
- Prima o poi scoppierai, lo sai, specialmente tu che ti tieni tutto dentro, - notò Katie
J sbuffò e abbozzò un sorriso.
- Mike, non è che posso venire da te a fare il muratore?

Patrick stava osservando pensieroso la scena.
- Considerala un'offerta di pace.- J si voltò di scatto nella sua direzione. Evidentemente era tanto presa dai suoi problemi che non si era ancora accorta della sua presenza. - Quello che vuoi è che stia lontana dal tuo capo, no? - le chiese, guardando però verso il bancone, dove la cameriera e il padrone parlottavano allegri. J mosse la testa in segno di assenso. Patrick si voltò di nuovo verso di lei e abbozzò un ghigno. - Non ti preoccupare, nessuno diventerà la signora nessuno.
J lo guardava stranita, come se non avesse compreso il significato delle parole, e Patrick le fece semplicemente l'occhiolino.
Non sapeva con esattezza perché si fosse posto a salvatore della patria, ma quando aveva incrociato con gli occhi il culo di quella Betta aveva pensato che non ci avrebbe messo molto a farla desistere.

Notò con piacere che il topo si stava avvicinando alla sua trappola, e sfoderò il suo sorriso più accattivante.


- Frank mi manda a chiedervi cosa volete. - Betta aveva uno strascicato accendo del sud e masticava insistentemente un chewing-gum. Si rivolse a J. - Ha anche detto che tu hai lo sconto del dieci per cento, se vuoi bere un succo di frutta con i tuoi amici! - Emise una risatina stridula e divertita.
I ragazzi cominciarono a dirle che cosa volevano da bere, e lei se lo appuntò con lentezza sul blocchetto delle ordinazioni. Per quanto si sforzasse di non pensare al lavoro nella sua mezz'ora libera, J poteva giurare che, nonostante l'eternità che ci aveva messo per scriverla, la comanda sarebbe stata illeggibile. Quando fu il suo turno scosse il capo, dicendo che non voleva nulla. Fece attenzione invece all'ordinazione del forestiero, che fu l'ultimo a comunicarla.
-Mi chiedi cosa voglio, bellezza? Intendi, a parte un tuo sorriso? - Le guance di Betta si imporporarono lusingate sotto al trucco. - Allora una birra, tesoro, me la farò bastare. - Le strizzò l’occhio. Il forte accento irlandese aveva fatto la sua parte, ma lui ci aveva messo del suo.

Ann e Katie annuivano soddisfatte, mentre Mike e John avevano l’aria stranita. Probabilmente non riuscivano a capire come diavolo avesse fatto a farla arrossire con una sola frase.
Betta si avvicinò al bancone, e la sorpresero a guardare al di sopra della sua spalla in direzione di Patrick.
- Diavolo di un forestiero, hai fatto centro. - Sam gli batté una mano sulla spalla, poi si voltò verso J. - Mi sa che puoi continuare a lavorare al pub ancora per un po’, - disse, e inarcò le sopracciglia in direzione di Patrick. J capì immediatamente quello che intendeva dire, e si schiarì la voce.
- Patrick, giusto? Se ce la farai, ti sono debitrice, - ammise, mentre lui si alzava dal tavolo.
- Non lusingatemi, l'avete vista? Non mi sono certo immolato. Ora scusatemi, ma vado a cuocere la mia preda. - Patrick si avvicinò al bancone e si sistemò accanto a Betta, sotto lo sguardo furente di Frank. Le toccò lascivamente la schiena.
- Ti prego, - lo sentirono dire, - questi affari pesano troppo per una bella ragazza come te, mi sentirei un verme a guardarti portarli. - Le prese dalle mani il vassoio carico delle loro ordinazioni. - Vieni, dolcezza, seguimi e ti restituisco il tuo vassoio.
-
è un genio, - disse tra i denti Mike, guardandoli avvicinarsi.

- Sai, io vengo da Dublino, - disse Patrick a Betta, guardandola come se esistesse solo lei. - Di’ un po’, ci sei mai stata, in Irlanda? - Lei scosse la testa, con l’aria trasognata. - Ci devi assolutamente andare! È una bellezza della natura, proprio come te.

J vide il volto di Katie assumere un'espressione sbigottita, e indovinò quello che stava pensando: i capelli ossigenati e le trenta libbre di trucco non si potevano certo definire un miracolo della natura, e osservando Ann, che si era presa in mano una ciocca di capelli, rimirandosi il biondo naturale, capì che anche lei aveva la stessa opinione a riguardo.

Controllò l'orologio: la pacchia era finita e doveva ricominciare a lavorare.
- Se riesco a staccare presto ci si vede dopo, - disse e si diresse verso il bancone, con Betta alle calcagna.
- E da dove esce quello schianto?- le chiese sottovoce. J decise di tenergli il gioco.
- Ne sai tu più di me, - le disse con finta complicità. - Come al solito ha fatto colpo. - Betta si girò nuovo a spiarlo e quando lui si accorse che lo stava guardando le fece di nuovo l’occhiolino.
- Dici? - sospirò lei.
Stava a vedere che doveva pure ringraziarlo, il bifolco forestiero.



Verso le dieci, gli unici avventori rimasti erano Sam e gli altri.
- J, comincia pure a tirare su le sedie, - le disse Frank. Betta era impegnata a caricare le scorte dei frigoriferi, facendo avanti e indietro dal magazzino, perciò J si fece dare una mano da Mike, in cambio di una pinta offerta dalla casa.
Il Despota si era ritirato nell'ufficio sul retro a contare l'incasso, e J aveva tirato giù un pezzo di saracinesca; anche Sam e John si erano uniti a Mike per aiutarla a sistemare, così J si poté dedicare alla pulizia del bancone. Quando ebbe finito di disinfettare con l’acqua bollente i beccucci delle spine si guardò attorno soddisfatta. Grazie all’aiuto degli amici aveva finito prima del previsto.
Decise di raggiungere Betta per aiutarla con l'ultimo carico e avvisarla che potevano andare via, così scese saltellando i gradini delle anguste scale che portavano al magazzino. Conosceva il percorso a memoria, perciò non ebbe difficoltà a procedere nonostante il piano inferiore fosse completamente al buio; Frank continuava a dimenticarsi di cambiare la lampadina fulminata dell’antimagazzino. Si stupì di non sentire il tipico rumore delle bottiglie accatastate nel cartone per essere trasportate al piano superiore.
Sicuramente Betta si era presa una delle sue solite pause per fumarsi una sigaretta. Nonostante a lavoro non combinasse un bel niente, continuava a scegliere compiti che l’aiutassero a imboscarsi. J era furente, perché l’aveva lasciata per l’ennesima volta a sbrigare il lavoro noioso, perciò decise di sorprenderla in torto. Si avvicinò di soppiatto alla porta di ferro socchiusa del magazzino. Il suo naso non mentiva: come aveva immaginato, c’era odore di fumo.
Evitando di toccare la porta per non farla cigolare, ci infilò dentro la testa, ma la scena che le si parò davanti era ben diversa da quella che si era immaginata. Due mozziconi ardenti giacevano a terra, lasciati a consumarsi, mentre Betta si consumava di passione in un bacio, avvinghiata al forestiero.

Imbarazzata, J non riuscì a muoversi per qualche istante. Quando realizzò che la possibilità di venire scoperta a spiarli fosse ancora più imbarazzante, si ritrasse con attenzione.
Raggiunto il primo gradino gridò: – Betta, muoviti che abbiamo chiuso! - come se non avesse mai realmente messo piede nel magazzino, limitandosi ad averla avvisata dalle scale, e poi corse al piano superiore più in fretta che poté, sentendo dietro di lei i rumori maldestri dei due ragazzi riportati alla realtà.

Era turbata: sia nei confronti di Betta, avendo l'impressione di averla venduta per un po' di tranquillità al lavoro, sia nei confronti del forestiero, impaurita dal fatto che si fosse sentito in dovere di corteggiare la cameriera solo per avere la sua benedizione all'interno del gruppo.
- Ci siete? - le si parò davanti Frank, già pronto, impaziente di continuare il suo discorso con Betta.
- Non ancora, ci dobbiamo cambiare, - gli fece notare lei indicandogli la t-shirt nera con il logo della Guinnes che indossava. - Vado a spegnere le luci della sala. - Lasciò che scoprisse da solo con chi si era imboscata Betta, che sentiva salire alle sue spalle.

Era da sola, probabilmente aveva fatto uscire il forestiero dalle cantine.
- Eccoti, dolcezza, - disse Frank. - Allora, vogliamo andare a berci una cosa? Magari a casa mia?
J non vide l’espressione di Betta, ma conosceva bene la sua smorfia “no grazie” che rivolgeva ai clienti molesti che ci provavano con lei. - Frank, senti, dobbiamo parlare...
J accelerò. Non aveva intenzione di ascoltarla mentre lo scaricava, non voleva aumentare il proprio senso di colpa.

Mentre abbassava definitivamente la saracinesca, avvertendo gli amici che l'aspettavano fuori che si sarebbe presto unita a loro, Frank, rubicondo, fece capolino dalla porta sul retro, lanciandole un mazzo di chiavi.
- Io me ne vado, non sto certo qui ad aspettare i vostri comodi! - le disse, senza mimetizzare la sua rabbia, e si dileguò.
J raggiunse gli spogliatoi e scoprì che anche Betta se ne era già andata in fretta e furia. Infilò nello zaino il cambio del giorno precedente, si sfilò veloce la maglietta nera e la sostituì con una camicetta rossa e un giubbettino. Dopo aver controllato che fosse tutto spento, uscì in strada, richiudendosi con attenzione la porta alle spalle.
- Sta diventando un vizio? - la sorprese la voce di Mike, - Sei ancora musona.
- Accidenti, mi hai fatto prendere un colpo! - disse e si nascose le chiavi del pub nello zaino.
- Abbiamo fatto il giro, dato che non ti decidevi a tornare più, - le disse Ann appoggiata al muro.
- Andiamo, dai. – J slegò la propria bici e la spinse mentre uscivano dal vicolo sul retro e raggiungevano l'ingresso chiuso dove l'aspettava il resto della banda.

- Non mi hai ancora risposto, - le fece notare Mike, prendendole la bicicletta dalle mani e spingendola al suo posto.
- Non ho niente. - Si assicurò che il forestiero non fosse nel gruppo. – Prima, nel magazzino, ho visto il tuo collega che faceva il polipo con Betta.
- Che volpone, ce l’ha fatta! - disse Mike. - Diavolo di un uomo. Sono tre mesi che le faccio il filo e a me non ha neppure dato un calcio, poi arriva questo qui e, bam, in una sola sera va in seconda base. - Il suo tono era allegro, sembrava divertito, non rancoroso. - Di fronte al maestro non posso fare altro che fare tanto di cappello.
- Piantala, - lo rimproverò J. - Ma se la conosce solo da stasera? E lo ha fatto solo per evitarmi guai con Frank, ti sembra un buon motivo?
Mike la fissò qualche secondo, per poi scoppiare in una risata.
- Che c'è da sganasciarsi tanto? - chiese John quando raggiunsero il resto del gruppo.
- J fa la puritana, e si è scandalizzata perché ha visto Patrick che si faceva Betta giù nel magazzino.

- Come “si faceva”?
Mike rise - Beh, alla lingua c'è arrivato di certo e sicuramente avrà anche allungato le mani,
- Ma la smettete? Vi sembra di parlarne così?
- Senti, J, - disse Sam, che conosceva troppo bene la ragazza da non comprendere il motivo del suo turbamento - il forestiero e Betta sono adulti e consenzienti. Lei appena l'ha visto è andata in brodo di giuggiole, e lui concorda con l'opinione di ogni essere umano maschio che la conosce, ovvero che lei sia una sventola da paura. Non ti crucciare, tu non c'entri niente: l'hanno fatto solo per il loro piacere.
Lei lo guardò sospettosa, ma gli credette e cercò di allontanare il nodo allo stomaco. Era vero, probabilmente le cose sarebbero andate così in ogni caso. Il forestiero, con il suo fascino quasi rude, era il classico tipo che faceva impazzire quelle come Betta, che risaputamente era in grado di attirare tutti gli uomini nell'arco di un miglio e di convincerli a farle da schiavetti, sempre se non apriva bocca.
Annuì infine, e si sedette sul muretto davanti al pub, appoggiando la schiena al lampione: un'altra serata era finita, per fortuna. Ora aveva davanti un'intera settimana prima di dover affrontare un altro week end.


Stavano quasi per congedarsi quando una voce alle sue spalle la fece sussultare.
- Dicevi che saresti stata in debito con me, ragazzina.
Mike lo accolse con la mano testa. - Patrick, da oggi tu sei il mio mito personale.
- Ma dove sei stato fino ad adesso? - si informò curioso John, mentre attendeva il suo turno per congratularsi.

- Ho accompagnato la bambola sotto casa, - disse Patrick, criptico, suscitando risate di approvazione.
Anche Sam gli porse la mano. - L’hai fatta capitolare, eh, forestiero?

Sembrava la Fiera del Tacchino. J ringraziò il cielo che almeno le ragazze non sembrassero desiderose di elargirgli pacche sulle spalle. Fece un cenno a Katie.
- Io vado, facciamo la strada insieme? - disse alzandosi dal muretto.
- Quindi, ragazzina? - Patrick la intercettò. - Soddisfatta? - le disse, con il suo solito tono impertinente.

J, per Sam e per Mike, si costrinse a rimanere cortese, e gli rispose gentile ma distaccata:
- Ti ringrazio, forestiero, - disse, dando all'appellativo un accezione più negativa di quanto non facesse Sam, che usava il soprannome in tono amichevole. - Come ti ho detto, sono in debito con te. ‘Notte a tutti!

Ann disse che si sarebbe trattenuta ancora dieci minuti, ma che ci avrebbe pensato Mike ad accompagnarla a casa, così le ragazze si avviarono spalla a spalla.
Katie si accese una sigaretta.
- Ma non riesci proprio a fartelo stare simpatico, eh?
J rimase in silenzio per buona parte della strada, ma prima di entrare nel loro quartiere si decise ad aprire bocca.
- A voi non dà fastidio il suo modo di fare? - Katie la guardava senza capire di cosa stesse parlando, così specificò, - Il forestiero: si comporta come se tutte le donne dovessero cadergli ai piedi.
- Oh, beh, - disse l'amica, pensierosa, - ma è così. Tu forse sarai immune al suo fascino, ma ti assicuro che ne ha un bel po'.
- Non mi dirai che anche tu gli fai gli occhi dolci? - J era scandalizzata: vedere anche Katie comportarsi come Betta sarebbe stato troppo, non voleva vedere anche lei trattata così.
- Non nego che quando l'ho conosciuto ieri ci ho fatto più di un pensiero, ma no: innanzitutto per Ann. Io gli sto alla larga e lei fa lo stesso, non sarebbe carino l'una nei confronti dell'altra. Anche lei lo ha guardato bene. E poi, se non l'hai capito, Patrick va a genio a Sam e a John. Quanto a Mike, è stato lui a portarlo, e quindi con tutta probabilità lo vedremo sempre più spesso.

Sbuffò in maniera infantile all’ultima constatazione, e Katie sogghignò.
J ruotò gli occhi. - Ma che fortuna!
- Dai, guarda che è simpatico,
- Sì, immagino. Ma che ci trovate, dico io. Ti ripeto, a me quello che dà fastidio è... - Ci pensò su, cercando le parole adatte. - È così sicuro di sé, con tutte quelle occhiate e quel tono di voce.

- Guarda che non è un atteggiamento impostato, fa parte di come è fatto.
J Si fermò, dal momento che erano arrivate davanti alla casa azzurrina.
- E anche guardare ogni ragazza come un pezzo di carne che dovrebbe aspettare solo di venire scelta da lui?
Katie scosse la testa.
È un dongiovanni, questo nessuno può negarlo, ma da quel poco che ho capito è fatto così. Non lo fa con cattiveria. Credo che anche Betta sappia che per quanto lui la corteggi non è certo per farne una donna onesta, e che non si aspetterà di sicuro un rapporto serio ed esclusivo. Nessuna ragazza si avvicinerebbe a lui con queste intenzioni, se non è pazza o talmente innamorata di lui da sentire il desiderio tipicamente femminile di redimerlo. - J la guardò, Katie era così pragmatica, così logica. Annuì alla spiegazione, per quanto comunque non lo ritenesse corretto: un uomo non aveva certo il diritto di andare in giro a fare lo stallone spezza cuori giustificandosi solo perché era nella sua natura.
- 'Notte, Miele, - le disse, usando il soprannome con cui la chiamava sempre quando erano sole o con Ann.

- 'Notte, Scricciolo.











Ringraziamenti:

grazie a Kukiness, che oltre aver betato mi ha anche fornito un sacco di spiegazioni e consigli. La mia ignoranza in materia è comunque abissale, ma se oggi è un po' smussata è grazie a lei.
Ringrazio questa storia, perchè sta facendo sfogare il mio lato musicale più di esigente, dal momento che sto ascoltando solo ciò che potrebbe ascoltare J, e questo taglia un bel pezzo di musica moderna: mi da però l'opportunità di approfondire quella dell'epoca, e di riscoprire un sacco di brani e gruppi che non conoscevo oppure avevo dimenticato.

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Capitolo 3
*** Un passo in avanti ***


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Capitolo betato da Kukiness


Well you ask me if I'll forget my baby. 
I guess I will, someday. 
I don't like it but I guess things happen that way. 
You ask me if I'll get along. 
I guess I will, someway. 
I don't like it but I guess things happen that way. 

God gave me that girl to lean on, 
then he put me on my own. 
Heaven help me be a man 
and have the strength to stand alone. 
I don't like it but I guess things happen that way. 

(A guess things happen that way, Johnny Cash)






Infilò per l'ennesima volta il badile nella malta, e facendo leva con le braccia lo sollevò svuotandolo nella betoniera. L'accese, mentre si passava il braccio sulla fronte per asciugare le gocce di sudore, e le girò intorno per controllare che il vassoio fosse posizionato correttamente; odiava stare di turno a quell'affare, era il lavoro più monotono del cantiere. Il motore iniziò a tremare, in maniera poco rassicurante, e Patrick gli assestò un calcio, facendola ripartire, poi inforcò la carriola per andare a recuperare della nuova malta.
Preferiva riempirla al massimo, per fare meno viaggi: pesava come un accidente, ma aveva l'impressione di fare più in fretta, anche se la fine del suo turno era determinata più che dalla mole di lavoro svolto dall'orario; aveva capito però che il capocantiere se avesse fatto un buon lavoro lo avrebbe tenuto alla larga da quell'affare per più tempo, al contrario dei suoi colleghi che facevano il minimo indispensabile.
Strinse i denti mentre spingeva la carriola piena, con i muscoli che gli bruciavano dal peso,
- Mike, levati di lì cazzo! - Sbuffò, fermandosi per non andargli addosso. Appoggiò la carriola a terra e riprese fiato, - La prossima volta che ti metti in mezzo giuro che ti azzoppo.
Mike intanto rideva, - Dai, è dall'alba che fai il mulo, fumiamoci una sigaretta.
- Aiutami a portare sto affare alla betoniera prima.
Afferrarono ognuno un manico della carriola,
- Ehi, ma sei pazzo? Come facevi a portarla da solo? - disse Mike con un ultima spinta.
Patrick rise, - Non sono una donnetta come te, - sfilò all'amico il pacchetto di sigarette di tasca, - questa la offri tu.
Si appoggiarono al muretto, passandosi l'accendino.
- Sai, - disse poi a Mike, - ci ho provato, ti giuro, ma la tua amica non riesco proprio a capirla. Pensavo che sarebbe stata felice dopo ieri sera, e invece sembrava quasi che le abbia dato fastidio. Mike sembrò capire al volo di chi stesse parlando,
- J è una brava ragazza, fin troppo forse, ed è terribilmente innocente. Pensa di avere fatto da pappone e si è sentita in colpa.
Patrick rise di gusto.
- In colpa per che cosa, scusa? Amico, le donne sono un piacere, non un dovere!
- Ma io sono d'accordo con te, - si difese Mike. - J è troppo piccola per capirlo.
- Quanti anni ha, scusa?
- Diciannove, anzi, venti. Vedrai, capirai conoscendola, - gli disse sibillino, mentre tornava al lavoro.
Vent'anni. Ne aveva sicuramente di più di quanto ne dimostrava, e sicuramente non ne aveva meno della maggior parte delle ragazze che aveva avuto, eppure era molto più ragazzina di loro. Lei non si truccava, non si laccava le unghie e non si arricciava i capelli come invece faceva la maggior parte delle sue coetanee, ma soprattutto non aveva quella malizia a cui Patrick era abituato. Sabato sera, quando l'aveva guardata senza sapere che fosse “Jay” e aveva deciso lei come bersaglio, aveva intuito che avrebbe dovuto faticare più del solito.

Lei aveva distolto subito lo sguardo, imbarazzata, e quando le si era avvicinato aveva iniziato a respingerlo infastidita, come se realmente non volesse avere niente a che fare con lui, e non per un gioco civettuolo architettato per fare la difficile e poi cedere; ma nonostante quello che la ragazza dimostrava con i suoi comportamenti Patrick aveva capito una cosa durante i suoi ventiquattro anni di vita: nessuna donna arrossisce per caso.

Peccato che poi si fosse rivelata essere Jay, anzi, J, e e per il bene comune lui avesse dovuto riporre ogni mira nei suoi confronti. Patrick aveva capito al volo quanto Sam fosse protettivo con lei. Se avesse cominciato a corteggiarla come faceva di solito, lui non lo avrebbe affatto gradito e Patrick non aveva alcuna voglia di andarsi a ficcare in una situazione del genere.
Con il senno di poi era meglio così: l’ingenuità e il caratterino di J, malgrado quello che decantavano i suoi amici, si sarebbero rivelati più una grana che altro.

La campanella del pranzo suonò, e lui si avviò affamato alla trattoria dove lavorava Michelle, una rossina tutto pepe che lo guardava sempre con gli occhi dolci.
- Bambola, - le disse entrando e facendola arrossire di piacere, - il fine settimana senza di te è stato uno strazio.
Puoi aspettarti il meglio da una donna che arrossisce: non lo fanno mai per caso.




- E poi? - la incalzò Melly mentre J le raccontava gli avvenimenti del week end.
- A quanto sembra lei gli ha dato il ben servito, essendo tutta presa dall'irlandese; Frank era arrabbiato come un bambino.
Melly diede una sonora manata al bancone: - Oh, quanto avrei dato per esserci e vedere la faccia di quel tontolone, - sospirò.
Melly era... meravigliosa. Era difficile pensare a lei e trovare altri aggettivi: quarantatrè anni appena festeggiati portati con fierezza, e il cuore da ragazzina che fino a due anni prima aveva vissuto bighellonando per il mondo come un soffione trasportato di qua e di là dal vento.
Non era sposata, ma non si curava del suo stato civile. Amava con tutto il cuore il pub che un tempo era stata dei suoi genitori ed era stato solo per prendersi cura di esso e dei ragazzi che lo frequentavano che un bel giorno aveva riportato bauli e valigie a Germantown, dichiarando al fratello che si sarebbe cavata gli occhi piuttosto che vederlo farlo fallire. Frank aveva rivelato una volta a J, una sera che era di buon umore, che tutt’ora faceva fatica a stabilire per quanto tempo la sorella sarebbe rimasta in città, e che nonostante i suoi modi spesso lo innervosissero, specialmente le numerose volte che si trovavano in disaccordo riguardo alla gestione del pub, accettava di buon grado la sua presenza, che gli permetteva di fare la bella vita per tutta la settimana mentre lei lavorava al posto suo.


Dal canto suo, Melly non nascondeva di rimpiangere la sua vita vagabonda, ma osservando il luogo che era stato teatro della sua infanzia e in cui il padre aveva riversato tutto il suo sudore, e facendo scorrere lo sguardo sui frequentatori abituali che lo consideravano alla pari di un monumento cittadino, ammetteva candidamente che alla sua età era arrivato il momento di mettere radici, e che Germantown sarebbe stata la sua ultima stazione fino alla pensione: rimandava ad allora tutte le mete che le sarebbe ancora piaciuto visitare o rivedere.
La vita le aveva insegnato parecchie cose, ma più che per i mirabolanti racconti J amava il carattere schietto e buono della donna, e l'ardore con cui viveva ogni sua giornata.
- Ti giuro che per un momento mi ha fatto pena. Sembrava così convinto di sé fino a un momento prima che deve essere stato un colpo per lui vedere crollare il suo castello di carte.
- Baggianate: si è solo illuso e lo sapeva benissimo. Ci ha solo sperato fino alla fine, negando l'evidenza. Se quel ragazzo ha fatto davvero la corte tutta sera a Betta davanti ai suoi occhi io al suo posto avrei alzato subito bandiera bianca, - stabilì, sicura.
J aprì un cassetto e ne estrasse un blocchetto e una penna, comunicandole che sarebbe scesa nel magazzino a controllare i rifornimenti e a buttare giù un promemoria di ordine da fare al fornitore il giorno successivo, e Melly la lasciò andare con un cenno del capo mentre continuava a spolverare ad una ad una le bottiglie alle sue spalle.

Come ogni lunedì la serata era tranquilla: c'erano gli immancabili Mike e Mel che bevevano le loro pinte chiacchierando con un gruppo di giovani del quartiere seduti al tavolo vicino; poco più in là tre ragazze erano approdate per una serata di conforto ad una di loro che aveva litigato con il ragazzo; ed infine un gruppo di uomini si godevano la loro ultima birra della giornata prima di ritornare a casa delle mogli.

Melly guardò incuriosita verso la porta che ci stava aprendo. Entrò un ragazzo alto da solo; i capelli biondo scuro ricadevano mollemente sui lineamenti cesellati, le spalle quadrate e imponenti si muovevano con fluidità, la cadenza tranquilla e sicura di chi si trova a suo agio in qualsiasi situazione.
Ancor prima che aprisse bocca, Melly capì immediatamente chi si trovava davanti a lei.
- Il forestiero, immagino, - gli disse quando ebbe raggiunto il bancone. - Ti posso portare qualcosa da bere?
Sul volto comparvero delle fossette che accompagnavano un sorriso.
- Patrick O'Connor, al suo servizio, - disse con un cenno del capo. - La mia fama mi precede. Merito di Sam? - le disse con il melodico accento che lo contraddistingueva.
- Questa volta il caro vecchio Sam non ha colpa, ho altre fonti. Melanie Parker, ma ti prego di chiamarmi Melly. - Tese la mano oltre al bancone, fissando negli occhi il ragazzo.
Patrick la guardò e l'afferrò prontamente.
- Dammi un whiskey. Ce l’hai il Connemara?
La donna rise, soddisfatta: a pelle le piaceva, con i suoi modi un po' rudi ma gentili. - Ne tengo una bottiglia proprio per i tipi come te, - gli rivelò mostrandogli, nascosto dalle altre, il vetro verde della sua terra natia.
Il sorriso di Patrick si fece più ampio,
- Allora, Melly, - le chiese, dopo aver preso una sorsata, - a chi devo il piacere di averti parlato di me?

La risposta gli arrivò dalla porta sul retro che si schiuse cigolante, e apparve J.
- Forestiero?
- Ragazzina, - la salutò lui, sollevando il bicchiere nella sua direzione,
- Che ci fai qua? Sai che Betta lavora solo il fine settimana, vero? - gli chiese scostante, fingendo di essere molto impegnata a sistemare i bicchieri puliti.
- Lo so, - le spiegò, guadagnandosi un'occhiata carica di disappunto, - aspetto Sam, ieri sera mi ha detto che sarebbe venuto qui.
- Siete diventati così amici? - Più che una domanda sembrava un rimprovero, ma non riuscì nell'intento di intaccare la serenità del ragazzo. Melly intanto si era allontanata per andare a ritirare i bicchieri vuoti dai tavoli, e con la coda dell'occhio J giurò di aver visto un sorriso divertito.
- È un tipo a posto, mi piace, - le rivelò.
- Oh! - Si finse dispiaciuta. - Ma lui ha altri gusti, mi dispiace di dover essere io a spezzarti il cuore.
- Mi era sembrato che ieri sera nel magazzino tu avessi visto con i tuoi occhi quali sono i miei di gusti, - la punzecchiò divertito.
J incassò il colpo imbarazzata e piena di vergogna per essere stata scoperta si allontanò da lui. Si diresse verso il frigo delle bibite, che decise avere un disperato bisogno di essere pulito.
Patrick la seguì.
- Dai, dicevo per scherzare! - Il forestiero sembrava divertito dalla sua reazione.
J si voltò a guardarlo con occhi fiammeggianti. - Senti, prima fai lo stronzo con me, poi cerchi di rimediare in un modo squallidissimo e alla fine mi umili. Che vuoi da me?
- Quando avrei fatto lo stronzo esattamente?
- Alla Sierra, quando ci siamo conosciuti, - gli ricordò J, nervosa.
- Ma in che modo, esattamente? Forse mi è sfuggito qualche particolare,
- Mi hai importunato: io ero stanca e arrabbiata e te l'ho fatto capire subito, ma tu hai continuato. Per non parlare del fatto che da vero simpaticone hai iniziato a prendermi in giro per il mio nome.
- Non ti ho preso in giro, ho solo domandato: non era mica colpa mia se nessuno mi aveva specificato che Jay era una ragazza. Non ho fatto commenti sul tuo nome. - La seguì di nuovo mentre lei tornava alla postazione di partenza, per spillare una birra a Mark che gliela aveva chiesta all’altro lato del bancone.
- Non è mica il mio nome! - replicò stizzita
- Non mi hai dato modo di chiederti quale fosse il tuo vero nome.
- Forse perché non volevo che mi fosse chiesto. - J spinse la pinta a Mark e si sciacquò le mani, sulle quali era colata della schiuma,
- E comunque non intendevo darti fastidio, solo scambiare due chiacchiere. E per quanto riguarda Betta, non mi sembrava che ritenessi squallido Mike quando le dedicava i suoi apprezzamenti.
- È il modo in cui...
- Senti: è una bella ragazza, ci avrei provato comunque. Non pensavo forse di farlo subito, ma poi l'occasione è arrivata da sola: se è andata bene anche a te che problema c'è?

J lo fissava, seria. Non era in grado di continuare la discussione. Aveva intuito che lui sapeva far valere meglio le proprie argomentazioni, e più continuavano a discutere e più lui ribaltava la frittata, facendola finire dalla parte del torto. Sospirò e chiuse il discorso, per quanto le riguardava in modo definitivo.
- Vuoi un altro goccio, forestiero? - domandò, con un'aria da divinità offesa che si piegava a porgere un ramoscello di pace.
Il forestiero sorrise. - Volentieri, ragazzina. Tu non mi fai compagnia?
- Ma sono in servizio, - replicò lei imbarazzata. - E non ho ancora l'età per bere.
- Scherzavo, non avvampare di nuovo. - Si mise a ridere sonoramente.
Qualcosa la indusse a non prendersela, nonostante un lato di lui le desse ancora fastidio. Sarebbe passata, ne era certa: doveva solo dimenticare quell'inizio disastroso,
- Con ghiaccio? - disse, prendendolo in giro, e questa volta fu il turno di lui di guardarla sconvolto dalla domanda. - Ehi, scherzavo. - Gli passò il bicchiere con una debole risatina.
- Questa volta hai vinto tu, ragazzina.
Melly annunciò la sua presenza. - Ma bene, vedo che avete fatto pace. - Sorrise benevola. - Forestiero, Sam sta entrando proprio adesso. J, versagli una birra.




J A volte si sentiva in colpa per adorare così tanto il martedì, come se il fatto di amare il suo giorno libero facesse di lei una fannullona; eppure non poteva farne a meno.
Si era alzata in tempo per bere un caffè con Tom, e mentre lui usciva di casa per andare al lavoro J sprofondava nel divano, godendosi i programmi del mattino e spiluccando l'ultimo dei muffin che aveva preparato domenica con Katie e Ann.
Il trillo del campanello di casa la svegliò. Non si era accorta di essersi appisolata. Ancora intontita, barcollò fino alla porta, e fu abbastanza accorta da passarsi una mano sulla guancia sulla quale era rimasto appiccicato l’ultimo rimasuglio di dolce.
- 'Giorno. - Sbadigliò, concedendosi di stropicciarsi gli occhi,
- Che faccia, - la prese in giro ridendo Bobby, il postino che da tempi immemori svolgeva il suo servizio nel quartiere.
- Dovrei vergognarmene, lo so. - Firmò la bolla della ricevuta,
- Regali di compleanno in ritardo, eh? - chiese Bobby, notando che il destinatario era proprio J.
- Chi lo sa. - Lesse il nome del mittente e capì che il postino aveva ragione. Ma d’altra parte lo sapeva benissimo che la persona in questione avrebbe continuato a spedirle il regalo di compleanno con alcune settimane di ritardo per il resto della sua vita. - Buona giornata, Bobby. - Chiuse la porta con il piede, mentre portava l’enorme pacco in salotto con tutt’e due le mani.

La scatola di spedizione, marrone, anonima e piena di timbri, rivelò al proprio interno della carta da regalo dalle tinte accese, mimetizzata da listarelle e coriandoli di carta che avevano lo scopo di proteggere il regalo dagli scossoni del viaggio.
J Si riservò di leggere il biglietto d'accompagnamento per ultimo, e facendo attenzione a non sparpagliare sul divano la carta, estrasse il pacchetto. Dopo aver fatto scivolare via il filo argentato, aprì con cura i lati strappando via lo scotch delicatamente, mentre un'altra scatola in cartone lucido veniva alla luce.
Barney's, un altro capo d’abbigliamento impossibile da utilizzare che sarebbe finito nel fondo del suo armadio insieme a tutti gli altri che venivano presi in mano solo ogni tanto da Katie o Annabell che li ammiravano estasiate.
Sollevò il coperchio e si trovò di fronte una velina ripiegata che proteggeva una stoffa rosso veneziano, accesa e improbabile come il vestito che creava.
In realtà, prendendo tra le dita l'abito e srotolando a cascata il tessuto, la prima sensazione che provò fu di estasi. quel vestito era indubbiamente bello: lo scollo a barchetta era morbido, tutt'uno con le maniche formate da due graziose balze; una cinturina laccata delineava il punto vita lasciando sotto libera l'ampia gonna.


Ma Janet era lontana da troppo tempo da lei e dal quartiere, o non le avrebbe mai preso quel vestito così inadatto. Era oggettivamente bello, ma J non conosceva una sola occasione in cui avrebbe potuto indossarlo, inoltre era così diverso da lei che calzandolo sarebbe sembrata una bambina con gli abiti della sorella maggiore. Ripiegò la stoffa, rimettendola nella sua scatola, e scovato il biglietto strappò la busta.


Cara Jill,

vent'anni sono una data molto importante per una ragazza, e ogni ragazza che compie vent'anni deve avere nell'armadio almeno un vestito come questo.
Sarai bellissima, già lo so!

Tanti auguri,

Zia Janet



Erano Cinque anni che non si faceva viva a Germantown, come poteva sapere se sarebbe realmente stata bella?
Janet probabilmente dava per scontato che avendo parte dei suoi geni sarebbe sicuramente andata così.
Janet era la sorella gemella di sua madre, e l'unica persona al mondo a chiamarla ancora Jill: ormai aveva rinunciato a chiederle di evitare di usare quel nome. Si era sposata con uno yankee di passaggio e poi l'aveva seguito fino a New York, dove aveva meticolosamente lavorato per estirpare le proprie radici. La prima volta che era tornata, J lo ricordava ancora, aveva osservato lei e sua madre chiedendosi come potessero essere due sorelle gemelle tanto differenti: Janet con il suo accento finto della city, i capelli cotonati freschi di piega e il trucco che le induriva lo sguardo, non aveva niente a che spartire con la madre, che deliziosa nel suo vestitino verde con i capelli lisci tagliati a caschetto sembrava ancora una ragazzina.

La sera aveva sentito suo padre e Peter ridere su quanto Janet fosse ridicola, e su come sicuramente la trovassero stupida i newyorkesi, che ovviamente indovinavano che sotto a quelle piume lucenti stava una bifolca del sud; lei era in camera sua, ma aveva sentito distintamente la madre rimproverarli difendendo la sorella, che a suo dire era stata costretta a bardarsi così proprio per colpa di quella nicchia di persone fiere delle loro origini che guardavano con sospetto tutto ciò che non fosse prettamente yankee. La grande mela era crudele, l'aveva sentita dire, e Janet cercava solo di non farsi inghiottire.

Si domandò tristemente quanto nelle parole della madre fosse sincero, quanto lei credesse ancora nella sorella, e come avrebbe reagito nel sentirla parlare al suo funerale.


* * *

- Mi porto via la bambina, Tom. Sarai d'accordo con me che saprò crescerla molto meglio io di come faresti tu. - J era in camera sua, ma aveva riconosciuto la voce dura e squadrata della zia, nella quale aveva inutilmente sperato di sentire le note morbide di sua madre.
- Janet, non dire fesserie. Jill non se ne andrà da nessuna parte! - aveva sbottato suo padre, sicuramente vicino a metterla alla porta.
- Sii obiettivo, tu lavori tutto il giorno, la bambina con chi starebbe? Per non parlare dell'educazione che potrebbe ricevere grazie a me a Manhattan. Sai bene che le possibilità economiche mie e di Jack...
Tom l'aveva interrotta malamente: - Non voglio ripetertelo, mia figlia sta con me. Non ha bisogno di niente di ciò che puoi darle.

A seguire aveva sentito dei rumori confusi, sedie che stridevano spostandosi e passi veloci.

- Sei un bifolco orgoglioso, Tom, e se ti ostini a fare così Jill crescerà proprio come tutti voi: intrappolati in questo stupido quartiere a vita! - aveva strillato in modo teatrale.
Fu lo zio concludere la conversazione: - Janet, Tom è troppo buono per dirti quello che ti sto per dire io: vattene al diavolo, torna nella tua bella città perchè la tua presenza qui non è gradita.
I passi si erano avvicinati alla sua stanza, e aveva sentito qualcuno bussare.
Per un fugace istante aveva avuto un tuffo al cuore nel vedere quei lineamenti, così camuffati ma che in sottofondo riflettevano il viso di sua madre.
- Piccola Jill, - aveva detto zia Janet entrando, con una voce molto più pacata dei toni con cui si era esibita con il lo zio e il padre. - Ora io devo andare, il mio aereo parte tra poco e Jack domani deve essere al lavoro. Vienimi pure a trovare quando vuoi, ok? - Si era avvicinata inondandola con quel profumo stucchevole, posandole un bacio sulla fronte.
- Janet... - l'aveva ammonita suo padre dalla porta.
La zia le aveva accarezzato la guancia, poi si era sollevata ed era uscita.


* * *

La zia Janet l’aveva invitata spesso nelle sue lettere a raggiungerla durante le vacanze, ma non era più tornata nel Tennessee se non in occasione del terzo anniversario delle morte della sorella, quando con toni più melliflui aveva provato ad avanzare nuovamente la proposta di prendersi cura di lei, ricevendo lo stesso rifiuto. Da allora si era limitata ad inviare a J regali che le raccontavano la vita che avrebbe potuto avere con lei a New York, forse per invogliarla ad andare forse per umiliare suo padre con cose che lui non poteva permettersi di darle, riflesso di una vita troppo lontana da loro.
J non le era molto legata, ma una piccola parte di lei non se la sentiva di rompere ogni legame con lei, sapendo che sotto ai lustrini rimaneva l'immagine della donna che sua madre sarebbe diventata.


Ripose l'abito nell'armadio, l'ultima delle scatole impilate ordinatamente una sopra all'altra, e decise di aver riposato abbastanza, così si diede da fare per riassettare la casa.
Accese la radio, impostando l'antenna su una stazione locale che ovviamente alternava Elvis a Cash, e dopo aver ripulito la dispensa e sistemato negli armadi il bucato pulito si mise a preparare il pranzo, visto che Tom sarebbe tornato a casa per la pausa.

- Mi vuoi far morire? - le disse il padre una volta entrato, guardando con diffidenza la pentola dentro la quale sobbolliva una specie di sugo da cui spuntavano dei pezzi di carne. Se c'era una faccenda domestica nella quale J non spiccava era proprio la cucina, infatti in genere era sempre lui ad occuparsene e lei si limitava a scaldare la pizza o preparare dei panini imbottiti.
- Dai, pa, - si lamentò, - mi sono fatta dare la ricetta dal macellaio, vedrai che sarà buonissimo! - gli assicurò mentre finiva di apparecchiare la tavola e lui andava a lavarsi le mani.
- Programmi per il pomeriggio? - le domandò sedendosi.
Lei gli servì un mestolo di intruglio rossiccio. - Niente di che. Pensavo di andare a fare la spesa e poi di aspettare che Ann finisca il lavoro. Ci siamo messe d’accordo per andare a fare un giro in città.
Tom stappò una birra con cui si diede il coraggio di assaggiare la pietanza, che si rivelò troppo salata e la carne troppo dura, praticamente impossibile da masticare.
- J, tesoro, non c'è nient'altro da mangiare? - le chiese implorante, mentre lei stessa faceva una smorfia disgustata e risputava nel piatto il boccone.
- Stai lì, faccio due panini.
- Sicura che non vuoi che ci pensi io? - Il padre ghignò e svuotò il contenuto dei piatti nella pentola, per poi versare il tutto nella spazzatura.
- Come sei simpatico, - disse sarcastica, mettendogli davanti un panino. - Oggi è arrivato il pacco, - lo informò poi, a bocca piena.
- La puntualità di quella donna mi lascia sempre sbalordito, - commentò . - Un altro stupido cappellino?
- Ci sei quasi: un vestito da sera di Barney's, del genere fatalona.
Il padre sospirò.
- Abbi pazienza piccola, non lo fa con cattiveria nei tuoi confronti, è fatta così. - Si pulì la bocca dalla senape e le diede un bacio sulla fronte, alzandosi. - Ci vediamo stasera?
- Non abbiamo intenzione di stare fuori tanto, ceno a casa. Ordino una pizza, ok?
- Perfetto. - Le strizzò l’occhio prima di uscire.
J lavò i piatti e s'impegnò a raschiare via dalla pentola i rimasugli dello sfortunato pranzo. Ormai era tardi per la spesa, così si fece una doccia e aspettò pazientemente la telefonata di Ann per mettersi d'accordo per l'ora.

Alle cinque, come avevano deciso, sentì il clacson avvertirla d'uscire, così afferrò il giubbettino di jeans e la raggiunse in macchina
- Scusami se non mi sono cambiata, - la salutò Ann, che vestiva ancora il tailleurino da segretaria, - ma poi avrei fatto tardi e avremmo trovato i negozi chiusi. - si giustificò mentre metteva in moto.
- Figurati, Ann, non vedo il problema. Devi comprare qualcosa?
- Il vestito che mi sono provata settimana scorsa quando siamo andate con Katie, non riesco a togliermelo dalla mente. Tu, mia cara formichina?
- Non ho molto da spendere, ma se trovo un paio di jeans potrei farci un pensierino.
Ann rise. - Come no, non avevo dubbi: la tua divisa.
- Zucchero, non essere cattiva, sai che non mi ci vedo con gonne e gonnelline. Che male c'è?
Sorpassarono un camioncino e si immisero nella statale.
- Assolutamente niente, scherzavo un po', Perché tu come al solito non ti smentisci. Bobby ha messo in giro la voce che è arrivato il pacco, è vero?
J annuì. - Un vestito rosso di Barney’s. Sai, rimanendo in tema, proprio il mio stile.
- Per quello devi fare giudicare me, lo sai. Chi è stata a convincerti a prendere quella graziosa magliettina che indossi? - Parcheggiò, lasciando come suo solito la macchina per metà fuori dalle striscie. - Ehi, guarda un po' lì, - le disse acquattandosi contro di lei ed indicandole un punto fuori dal finestrino. J seguì la direzione del dito, fino a raggiungere i tavolini di un bar dove stavano seduti il forestiero e Betta.
- Che fortuna.Non vorrai andare a salutarli, spero, - borbottò
- Mi sembrava che Sam avesse detto che avevate fatto pace, - ribattè Ann uscendo dalla macchina e chiudendo la serratura. - Comunque no, non ci tengo ad andare da quell'ochetta della tua collega. Certo che sembrano fare sul serio.
- Katie dice che nemmeno una pazza farebbe sul serio con lui.- Entrarono nel negozio, ma continuarono a seguire con lo sguardo la coppia che chiacchierava allegramente.
- È ovvio, intendevo sul serio dati i personaggi. Su, andiamo.
Ann si confuse le idee provando altri quattro vestiti oltre a quello che era inizialmente intenzionata a comprare,così alla fine non seppe decidersi, lanciò però una camicetta a J intimandole di comprarla dato che il colore avrebbe messo magnificamente in risalto i suoi occhi blu.

Quando alla fine uscirono, il negozio era ormai in chiusura. J aveva ascoltato il consiglio di Ann ed era soddisfatta, mentre Ann stringeva il sacchetto contenente il primo abito, ma continuava a pensare agli altri che aveva visto in negozio.
- È un'ingiustizia, - borbottò mentre si avviavano alla macchina, - se solo mi avesse fatto lo sconto mi sarei presa anche l'altro!
- Quello che hai comprato era il più bello, non preoccuparti, - l'assicurò leale J.
Una voce dall’altra parte della strada le chiamò. - Ehi, bamboline!
Si voltarono entrambe, riconoscendo una con disappunto e l’altra con entusiasmo la voce di Patrick. J era pronta a fargli un cenno educato e a risalire in macchina, ma Ann la trascinò trotterellando da lui.
- Ti abbiamo visto prima in dolce compagnia, ma non volevamo disturbarti, - lo informò solerte Ann, sorridendogli allegra.
- Eh già, mi immagino la fitta conversazione che avete avuto, - commentò J sarcastica. Betta non era nota per le sue doti comunicative.
- Ragazzina, non essere cattiva, - le disse lui con un ghigno che ebbe il potere di fare sbattere le ciglia ad Ann. - In fondo è una brava persona, sai?
Lei sbuffò.
- Mi immagino, ma contento te. - Scrollò le spalle,
- A dire la verità, - continuò il forestiero - mi ero dato appuntamento qui con Miss Melania, un incontro d'affari, e quando è andata via ho incontrato la dolce cameriera e ci siamo fermati un po' a parlare.
Se era lui il suo nuovo collega c'era da stare freschi: Betta impegnata a fare gli occhi dolci agli uomini, il forestiero a fare la corte a tutte le clienti di sesso femminile e lei a sgobbare per tutti.
- Che genere d'affari? - l'anticipò curiosa Annabell, con un tono carezzevole.
- Musica, bambine: farò qualche serata al pub.
J lo fissò e scoppiò in una risata benevola, con sua sorpresa.
- Forestiero, dimmi: ti impegni ad essere un clichè vivente o ti viene naturale?
- Naturale, ragazzina: ci sarà un motivo se sono venuto proprio negli States. Di lavoro per muratori ce n'è in tutto il mondo, - le spiegò sorridendo, mentre la fossettina sul suo mento si accentuava.
Ann occhieggiò l'orologio.
- Credo che sia meglio che andiamo. Patrick, stasera ci troviamo al bar del nostro quartiere: i ragazzi giocano a stecca e noi si spettegola un po', sei dei nostri?
- Certo, bambolina, è meglio che insegni a questi ragazzotti americani come si gioca, - rise lui, avviandosi.
Le due ragazze tornarono in macchina.
- È un miracolo: hai fatto la simpatica alla fine, - la stuzzicò.
- Suvvia Ann, mi conosci: non tengo certo il muso a lungo io, sto cercando di essere più morbida nei suoi confronti.
- Certo, anzi: credo che fosse la prima volta che tieni il broncio a qualcuno, - annuì comprensiva.
- Piuttosto, tu, - indagò J. - Ti vedo particolarmente morbida con lui.
Ann rise di cuore.
- Ma no, Scricciolo: flirto un po' ma innocentemente, Patrick è un gran bel pezzo di ragazzo ma ho capito benissimo di che pasta è fatto e dal momento che ormai fa parte del gruppo non è mia intenzione di creare dei malumori per un paio di bacetti. - Si fermò davanti alla casetta azzurra. - Ricordati il tuo sacchetto. Alle nove da Billy!









nda Scusatemi per l'attesa, ma questa storia non riesco a scriverla nei tempi canonici, mi richiede un po' più di concentrazione.

Ringrazio di cuore Kukiness per il suo lavoro di betaggio eccelso, grazie a lei sto imparando molto!

Non voglio accattonare recensioni, di sicuro sapere cosa ne pensate mi farebbe piacere e non vi nascondo che sarebbe un bello stimolo a continuare, ma spero che in ogni caso a prescindere dalla recensione qualcuno la legga e l'apprezzi.
 Il prossimo capitolo non si farà aspettare così tanto, lo prometto!

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