What They Died For

di Vattelapesca
(/viewuser.php?uid=152223)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. A thousand Miles Away ***
Capitolo 2: *** 2. Pression from the Press ***
Capitolo 3: *** 3.The Bearded Bard ***
Capitolo 4: *** 4.Those-who-must-not-be-forgotten. ***
Capitolo 5: *** 5.The Rage of the Ginger ***
Capitolo 6: *** 6. In the right way ***
Capitolo 7: *** 7. Sometimes they come back ***
Capitolo 8: *** 8.Marauder's Memories ***
Capitolo 9: *** 9. Beyond Letters Lies Something ***
Capitolo 10: *** 10. Before they leave ***
Capitolo 11: *** 11. A ray of Black light ***
Capitolo 12: *** 12. What they died for ***



Capitolo 1
*** 1. A thousand Miles Away ***


Ps: ho riformattato i primi capitoli dal 3/1/12, la storia non cambia di una frase, si tratta solo di forma.


1. A thousand miles away
 
Molto probabilmente Hogsmeade non era stata mai così affollata, o, meglio, forse lo era stata solo in un'altra occasione. Ed anche molto simile, in effetti.
Se non fosse stato per la tragicità che aleggiava sul motivo di tutti quegli avventori Madama Rosmerta non avrebbe potuto essere stata più felice, non solo aveva riempito tutte le stanze disponibili in un batter d'occhio, ma aveva anche incrementato follemente gli incassi. Ormai, infatti, non si potevano più contare tutti i clienti che ogni giorno le riempivano il locale, consumando litri di burrobirra e dando fondo alle sue migliori riserve di Whiskey Incediario.
Il fatto che un certo ragazzo occhialuto con una cicatrice in fronte avesse soggiornato per un giorno in una delle stanze, poi, aveva quadruplicato l'affluenza, anche se in realtà nessuno era riuscito a vederlo.
Harry Potter aveva davvero preso una stanza da Rosmerta, raccomandandole una massima discrezione che, però, non era stata proprio rispettata. Fuggendo a gambe levate dalla miriade di ammiratori, aveva fatto velocemente i bagagli e si era smaterializzato direttamente nel salotto di Aberfoth Silente, meritandosi un gran numero delle sue migliori imprecazioni, ma salvo.
Seduto sul materasso sfondato e, stando alle esperienze della Cooman, molto probabilmente pieno di pulci, Harry si chiese perché mai era arrivato con tanto anticipo. La cerimonia si sarebbe svolta da lì a due giorni e lui si sarebbe potuto materializzare davanti ai cancelli di Hogwarts anche solo un minuto prima dell'inizio. Non aveva nessun motivo a giustificarlo, certo, Hogmsmeade era piena, ma di curiosi che speravano di vedere qualcuno di importante, di famoso, qualcuno come lui.
Si era andato a cacciare dritto dritto nella tana del lupo, come aveva fatto a non prevederlo? Lo tormentavano da quando era nato, figurarsi ora che aveva dimostrato di essere davvero il Prescelto.
Stropicciandosi gli occhi da sotto le lenti tonde si buttò con la schiena sul letto, producendo un sinistro cigolio di molle.
Volevi fuggire, gli disse una vocina dentro la testa. Volevi fuggire perché non riesci più a sopportare tutta quella tristezza.
Si ricordava perfettamente lo scoppio di gioia che aveva accompagnato quell'alba, ormai più di un mese prima, la gente che si abbracciava in preda ad una felicità convulsa, quasi disperata, e poi feste ogni dove, maghi che giravano per le strade senza preoccuparsi di vestirsi da babbani, il ministero della magia appena riformato che non riusciva ad arginare la situazione, che non voleva arginare la situazione. “Proprio come l'ultima volta” diceva chi ci era stato, con un'unica differenza, però, quella volta era finita, era finita davvero.
Ma tutto quel dolore, sarebbe mai finito? Perché il dolore era presto arrivato, aveva spazzato via la gioia in un unico colpo, inarrestabile, il dolore per i caduti, amici, mariti, genitori e figli. Come Fred.
Harry rammentava il vento leggero che faceva ondeggiare i cipressi del cimitero di Ottery St.Catchpole in quel giorno tiepido di metà Maggio, quando Fred Weasley fu sepolto sei piedi sotto terra, per sempre.
La tomba spiccava bianca in mezzo a tutte le altre, incrostate di muschio e con le incisioni erose dal tempo, portavano tutte il nome Weasley in quel lato del cimitero. Harry non c'era mai stato prima, quel posto gli ricordava terribilmente il piccolo cimitero di Godric's Hollow dove, assieme alla famiglia di Silente, riposavano i suoi genitori.
La vista dei Weasley era un misero spettacolo: la signora Weasley, scossa dagli stessi singhiozzi che non l'abbandonavano da giorni, si sorreggeva al marito e a suo figlio Charlie, Bill e Fleur stavano vicini in silenzio, il volto di lei era rigato dalle lacrime ma l'espressione era controllata in una smorfia non ben riuscita, Ron era rimasto in piedi, rigido come un manico di scopa per tutto il tempo, con un'espressione accigliata, finché il sacerdote non aveva estratto la bacchetta ed aveva inciso sulla lapide contrassegnata dal simbolo che riconosceva lo stato di eroe di guerra il nome di Fred e la data di morte e lui non aveva più retto, scosso da brividi aveva cominciato a piangere senza ritegno, allora Hermione, borbottando qualcosa di molto simile a “per l'amor del cielo”, si era asciugata il volto bagnato di lacrime e aveva afferrato la mano di Ron con tanta decisione da sembrar di volergliela staccare. Lui l'aveva abbracciata con forza, facendo sparire il volto nella sua spalla e continuando a piangere, in silenzio.
Harry si era sentito così estraneo al tutto da desiderare di voler correre a gambe levate, si sentiva talmente in colpa da riuscire a malapena a guardare Ginny. Era bella con quel serio vestito nero, era bella anche con quei segni lividi sotto gli occhi rossi e gonfi di lacrime, per lui era bella ed avrebbe voluto dirglielo. Ma non avrebbe mai osato, come avrebbe potuto, in quel momento. Avrebbe anche voluto andare lì da lei e, semplicemente, passarle un braccio attorno alle spalle, ma non lo fece.
Gli ci sarebbero voluti solo pochi passi, ma era rimasto lì, fermo imbambolato ad osservare la bara che calava nella terra.
Lo spettacolo più terribile, era senza dubbio George. Aveva insistito ad non indossare il nero come tutti, quel giorno. Indossava un completo magenta, e non poteva apparire più misero di così.
La sua espressione era puro dolore, faceva male a guardarlo, Harry pensava di non aver mai provato un dolore così forte come quello di George in vita sua. Nessuno aveva saputo cosa dirgli, tentare di consolarlo sarebbe quasi stato offensivo, solo Percy stava vicino a lui. Inspiegabilmente era stato l'unico a stargli accanto in tutto quel tempo, ed era l'unico anche ora, nel giorno dell'estremo addio.
E lui, Harry, in prima fila assieme a tutta la famiglia, addirittura prima di zia Muriel, non poteva sentirsi più estraneo. Era a mille miglia di distanza da tutto e da tutti, dal pianto disperato di Molly Weasley, dallo smarrimento sulla faccia pallida di Lee Jordan, dal dolore soffocato di Fleur e Bill, da quello puro di George, dalle mani intrecciate di Ron e Hermione e dal viso duro di Ginny che lo fissava fiera con gli occhi lucidi di lacrime.
 
E poi i giorni si erano fatti ripetitivi; i pasti silenziosi alla tana, qualche isolato scoppio di gioia seguito dal senso di colpa, i racconti del loro viaggio, e poi, un'altro funerale, ed un'altro ancora e ancora. Lupin e Tonks, sepolti accanto, loro figlio in braccio alla nonna che rideva, ignaro che sarebbe cresciuto senza di loro. Il piccolo Colin Canon ed altri innumerevoli studenti che lui conosceva a malapena. Non era riuscito a rifiutare gli inviti, non erano riusciti a rifiutare gli inviti. In quel periodo sembrava che lui, Ron e Hermione non facessero altro che andare ad un funerale. La loro vita si era trasformata in quello.
E poi, infine, Piton. Quello più difficile.
Era stato ad Hogwarts, poco lontano dalla tomba di Silente. Harry aveva insistito così tanto che alla fine gli avevano dato retta. La cerimonia era stata corta e vuota, loro tre, che sapevano, e pochi altri che avevano saputo, ma che non avevano capito.
Tutte quelle tombe bianche con quel simbolo, quella ghirlanda intrecciata ad una H – l'h di eroe – ed a una bacchetta, l'aveva perseguitato nei sogni per settimane, anche ora se chiudeva gli occhi poteva vederle.
Così se ne era andato, aveva preparato i bagagli e, mancandogli il coraggio di dirlo di persona alla signora Weasley o ai suoi amici, aveva lasciato un biglietto con scritto che aveva alcuni affari da sbrigare e che si sarebbero rivisti tutti a Hogwarts di lì a qualche giorno.
Ma adesso cosa avrebbe fatto? Uscire era impensabile e non aveva alcuna voglia di rimanere rinchiuso lì tutto il tempo. Nella mente gli balenò l'immagine del numero dodici Grimmauld Place, ma scartò la possibilità immediatamente, quel posto l'avrebbe solo aiutato a deprimersi ancora di più, se possibile. Certo, prima o poi ci sarebbe dovuto tornare, ma il momento gli sembrava collocato in un futuro incerto e lontano. Un'altra cosa ,però, gli venne in mente a proposito della casa che aveva ereditato dal suo padrino. Si alzò di scatto dal letto, provocandosi un giramento di testa, e quasi in un sussurro chiamò.
“Kreacher!”


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Pression from the Press ***


 2. Pression from the Press

L'elfo domestico apparve con il caratteristico e sonoro “Crack!” che Harry aveva sentito così tante volte da esserci ormai abituato. Lo straccio che usava come gonnellino non era troppo logoro e sudicio come quello che indossava una volta, ma l'assenza di qualcuno da servire non gli aveva fatto troppo bene, il medaglione di Regulus gli cadeva sul petto scarno da cui si potevano vedere le costole. Le orecchie flosce da pipistrello e gli occhi grandi come tazze gli fecero pensare a Dobby, una fitta al cuore lo colpì assieme al ricordo della piccola tomba a villa conchiglia, si sforzò di non pensarci e si concentrò su Kreacher. Quello lo stava guardando pieno di riverenza.
“Padron Potter ha chiamato Kreacher. Kreacher aspettava da tanto tempo questo, aspettava da quando il padrone e i suoi amici se ne sono andati e non sono più tornati.”
Harry ricordava di come si era sentito in colpa al tempo, e avrebbe voluto dirglielo, ma non sapeva come fare, Hermione sarebbe stata molto più brava.
“Ehm, già. Kreacher, stai... stai bene?”
“Oh, il padrone è molto gentile a chiedere a Kreacher se sta bene. Kreacher ha combattuto valorosamente nella battaglia di Hogwarts. Kreacher ha onorato il casato dei Black e il coraggioso Harry Potter.”
Harry rimase spiazzato da quel commento, il vecchio elfo domestico l'aveva sempre disprezzato, talvolta anche offendendolo. Adesso, chissà come, si era meritato il suo rispetto.
“Il padrone ha chiamato Kreacher. Cosa può fare Kreacher per il padrone?”
Improvvisamente il ragazzo si rese conto di non sapere cosa rispondere, non l'aveva chiamato per nessun motivo, gli era passato per la mente e lo aveva fatto. Ma forse quella era una cosa che Kreacher non poteva capire.
“Cosa puoi fare? Ehm, in realtà non ci ho pensato. Però, forse c'è una cosa che potresti fare, in effetti. Ascolta Kreacher, dovresti controllare che nessuno arrivi fin qui, e che nessuno infili buste sotto la porta o qualcosa del genere, lo potresti fare? Perfavore.”
“Kreacher terrà lontani gli intrusi dalla camera del padrone, oh, sì Kreacher rispedirà quegli impiccioni dalla feccia da cui provengono.”
Harry guardò l'elfo domestico allontanarsi borbottando insulti con un sorriso sulle labbra, certe abitudini dovevano essere proprio difficili da sconfiggere.



Un dolore pungente al dito indice lo svegliò, con uno scatto spostò la mano ed urtò qualcosa di morbido e caldo. Cercò a tentoni gli occhiali sul comodino e gli inforcò, strizzando gli occhi per la troppa luce riuscì a vedere un barbagianni che svolazzava attorno al suo letto, pronto a sferrare un nuovo attacco.
“Sono sveglio, sono sveglio!” mugolò Harry, cercando da qualche parte cinque zellini.
Il gufo gli consegnò il giornale arrotolato e sparì della finestra aperta. Il ragazzo sbadigliò, ancora assonnato, e diede un'occhiata alla prima pagina.


ONORE AI CADUTI – ANCORA UN GIORNO ALLA CERIMONIA
Domani alle 10:00 presso la famosissima scuola di Magia e Stregonieria di Hogwarts, sì terrà una cerimonia commemorativa per chi ha perso la vita durante la così ormai chiamata Battaglia di Hogwarts.
Il mondo magico attende impaziente questo grande evento per ringraziare di cuore chi ha combattuto fino all'ultimo per la salvezza del mondo magico. Ma in cosa consisterà esattamente la cerimonia? E, soprattutto, chi sarà presente? La professoressa Minerva McGranitt,ma ormai dovremo chiamarla Preside, ha dichiarato “Chi desidera partecipare potrà farlo, ma chiedo massimo rispetto per le famiglie e per gli amici. Non vorremmo essere costretti a chiudere i cancelli, ma se sarà ritenuto necessario, lo faremo.”
Tutti si aspettano di vedere il grande Harry Potter, colui che ha liberato il mondo magico da Colui Che Non Deve Essere Nominato, ad Hogsmeade i posti sono già esauriti da un bel pezzo e girano voci su un avvistamento del Prescelto.
SEGUE A PAG. 4 LE INTERVISTE AI TESTIMONI A PAG.6

Harry spostò lo sguardo, lievemente infastidito, verso un articolo a colori che occupava buona metà della parte inferiore della pagina. C'era una sua foto di spalle che si allontanava a grandi passi, probabilmente scattata a tradimento da qualcuno di molto simpatico. Il titolo diceva:


HARRY POTTER- QUANTO ANCORA PER UNA BIOGRAFIA COMPLETA?
La domanda che tutti si sono posti avrà forse presto risposta. Rita Skeeter, celebre scrittrice del Best Seller di quest'anno “Vita e Menzogne di Albus Silente” ha dichiarato alla nostra inviata : “Come è ormai risaputo io e Harry Potter abbiamo un legame speciale sin da quando lui frequentava il quarto anno di scuola. Penso proprio che sarà ben felice di collaborare con me. Ma non vi anticipo nulla!”
Sarà dunque la Skeeter a narrare le gesta del nostro eroe? Attendiamo con ansia la risposta.
Ma anche altre domande sorgono spontanee. Che ruolo hanno...
SEGUE A PAG. 10.


Harry non volle sapere nulla delle altre domande. Ma come era possibile che il Profeta non cambiasse mai? Se c'era una cosa sicura era che non avrebbe mai e poi mai permesso alla Skeeter di scrivere la sua biografia. Non avrebbe permesso a nessuno di scrivere la sua biografia. Doveva assolutamente fare qualcosa, non avrebbe fatto la fine di Silente. La sua vita farcita di menzogne spiattellata in bella mostra su delle pagine stampate, solo il pensiero gli fece venire il volta stomaco.
Poi accaddero parecchie cose contemporaneamente, una serie di tonfi sordi risuonarono fuori dalla porta, l'urlo acuto di Kreacher forò un timpano ad Harry che, ancora in pigiama, afferrò la bacchetta e la puntò contro la porta, facendola spalancare.
Per poco non si mise a ridere. L'elfo domestico si era attaccato ad una gamba dell'uomo che tentava di scalciarlo via in tutti i modi, la donna che era con lui sembrava essere indecisa su chi proteggere e un po' si affannava per staccare Kreacher dalla sua preda , un po' tentava di limitare i calci dell'uomo.
“Maledetto elfo! Non siamo ammiratori, siamo i suoi amici! Ma non ci riconosci razza di deficiente?!”
“Ronald! Chiamarlo deficiente non credo che ci sarà d'aiuto!”
“Il padrone ha ordinato di scacciare gli intrusi! Kreacher obbedisce agli ordini!”
“Ma non siamo intrusi!” Ron riprese a scalciare più forte, furente.
“Kracher, lascialo andare!”
Il terzetto si girò al suono della sua voce, improvvisamente essendosi reso conto di avere compagnia. L'elfo mollò la presa, leggermente frastornato.
“Kreacher non era sicuro che il rosso e la ragazza babbana fossero a posto, padrone.”
“Ehi! Non chiamarla così!” ringhiò Ron, Hermione lo trattenne.
“Oh, non importa. Non mi ha chiamata Mezzosangue, va già bene.” poi rivolse un gran sorriso a Kreacher che fece di tutto per non apparire disgustato, non fu proprio un gran risultato, ma la ragazza sembrò soddisfatta.
“Loro sono apposto, Kreacher. Su, adesso entrate, prima che qualcuno ci veda.”
Ron e Hermione buttarono i mantelli e senza tanti complimenti si sedettero sul letto disfatto.
“Non hai idea di quanto sia stato difficile arrivare fin qui!” esclamò Ron “pensavo che avrei dovuto Schiantare qualcuno per riuscire a passare, giuro. Se non fosse stato per Hermione... a proposito, da dove l'hai fatta saltar fuori quella polvere buiopesto peruviana?”
“Me ne è rimasta una scorta, diciamo. E' che ho preso l'abitudine di portarmi tutto dietro.” sollevò la sua piccola borsetta di perline.
“Ma pesa un quintale!”
Lei alzò le spalle “Forza dell'abitudine. Non vorrai negare la sua utilità, spero.”
“Neanche per sogno! L'ho detto e lo ripeto, avrei dovuto schiantare qualcuno se non fosse stato per te.”
“Frenate un momento!” li interruppe Harry, del tutto frastornato “di cosa accidenti state parlando? C'è stato un attacco?”
Ron ridacchiò amaramente “ Beh, penso proprio di poterlo definire attacco. Non è stato per niente pacifico, in effetti.”
Harry, avendo colto l'ironia, fu tentato di lanciare una fattura all'amico, Hermione, forse essendosi accorta della sua espressione si affrettò ad aggiungere:
“Non siamo stati attaccati, Harry! Niente di pericoloso, insomma.”
“Niente di pericoloso? Vuoi provare a tornare laggiù e vedere cosa succede?”
“Oh, per favore, Ron!”
“Ma insomma!” sbottò Harry “Si può sapere cosa vi è successo?”
“Immagino quello che è accaduto anche a te da quando si sa che sei qui.Non hai letto il profeta?”
“Mi stai dicendo che vi hanno attaccato dei.. dei...” balbettò Harry, incredulo.
“Penso che “ammiratori” sia quello che stai cercando di dire. Comunque erano giornalisti.”
“Dei giornalisti? Che possono volere da voi dei giornalisti?”
Hermione alzò le sopracciglia in un'espressione di totale stupore. “Quando dici che leggi il Profeta, intendi solo la prima pagina, vero?”
“Andiamo, il Profeta è spazzatura.” si giustificò Harry. “E comunque lo so che sono fissati con me, quando non lo sono stati? C'è scritta sempre la solita roba.”
“Oh, andiamo, Harry. Non è come quando ti chiamavano il prescelto per via della profezia, o quando dicevano che eri completamente fuori di testa o , beh, penso che possiamo lasciar stare il periodo in cui sei stato “Il nemico numero uno”, perché quella è un'altra storia...”
“Hermione, si può sapere cosa stai cercando di dire?”
“Sta cercando di dire che stavolta lo hai sconfitto per davvero! Non si fermeranno tanto facilmente, ora.” sbottò Ron.
“Grazie tante, non ci avevo proprio pensato, infatti ho messo un elfo domestico a guardia della mia stanza, così, perché non sapevo proprio cosa fare. Questo non spiega l'attacco dei giornalisti.”
“Secondo me si sta rimbambendo sempre di più.” disse Ron a Hermione, ridacchiando. “Amico, lo sanno! Sanno tutto! Beh, non proprio tutto, ma se lo sono immaginato lo stesso. E anche molto particolareggiatamente, direi.”
“Quello che Ron vuole dire è che sanno che siamo sempre stati con te ed anche, chissà come, cosa abbiamo fatto. Adesso sono attratti da noi, non ci lasciano un secondo in pace.” Hermione aveva preso a camminare per la stanza, esaminandola.
Harry era così sbalordito da non riuscire più a spiccicare una parola.
“Ma, ma, insomma... non pensavo che anche con voi... adesso...” balbettò confusamente.
“Cos'è, sei geloso? Mi sa che ti toccherà dividere la fama con noi, adesso.” ridacchiò Ron
“Fidati, ve la cederei tutta volentieri, se solo fosse possibile.” mugolò Harry.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3.The Bearded Bard ***


3.The Bearded Bard


“Va bene. Adesso cercherò di dirvelo il più chiaramente possibile. Non avete alcun motivo per restare qui, anzi, non avevate nessun motivo neanche per venire. Sto bene.”
Harry, seduto di fronte ai suoi due amici ad tavolo nascosto nell'angolo più buio del pub La testa di Porco, scandì bene le parole da sotto il cappuccio del mantello.
“Ci stai forse cacciando ?” esclamò Ron con un tono offeso.
Era più di un'ora che quella storia andava avanti, Harry che tentava di farli capire che avrebbe preferito restare solo, loro che si rifiutavano di andarsene.
“Non vi sto cacciando. Dico solo che sarebbe più logico per voi tornare alla Tana.”
“Veramente” cominciò Hermione con fare saputo “ se vogliamo guardare l'aspetto logico per me e Ron sarebbe molto scomodo tornare alla Tana, visto che la cerimonia è domani. E poi non preferiresti avere compagnia in questo stato di forzata reclusione?”
“Certo che vorrei avere compagnia” disse Harry, temendo di non risultare troppo sincero.
“E allora dove sta il problema?” fece Ron.
“Beh, dubito che troverete una camera.” in realtà non era proprio quello, il problema.
“Ho già sistemato tutto con Aberforth. C'è una camera più grande, tu e Ron vi sistemerete lì e io... io prenderò la tua.” disse Hermione in fretta, arrossendo man mano che finiva la frase. Poi si alzò per prendere da bere.
Harry si abbandonò sullo schienale con un sospiro. Non si sarebbe liberato di loro tanto facilmente, tanto valeva giocare a carte scoperte.
Aprendo una delle bottiglie polverose con cui Hermione era tornata, chiese:
“Siete venuti qui perché pensavate che potessi fare qualcosa di stupido, non è vero?”
Hermione spalancò la bocca come per rispondere, ma Ron la precedette.
“Siamo venuti qui, tanto per cominciare, perché sei sparito. Dico, ti sarebbe costato tanto avvertire?”
“Ho lasciato un biglietto.” si giustificò Harry.
“Oh certo, quel capolavoro di letteratura. Me ne vado ad Hogsmeade per un po', ho da fare. Ci vediamo alla cerimonia. Harry. Davvero molto esauriente. Ginny l'ha bruciato quando l'ha visto.”
Ad Harry andò di traverso la Burrobirra “Ginny cosa?” rantolò tra i colpi di tosse.
“Non posso di certo biasimarla. Ha ragione Ron, “Ho da fare”? Andiamo, Harry.” disse Hermione, ignorando i singhiozzi dell'amico.
“Che dovevo fare? Comunicarvelo a colazione? Avreste fatto di tutto per fermarmi, non provate a negarlo. Avevo bisogno di andarmene, voi non capite, io non ce la facevo più, avevo bisogno di... di...”
“Di stare solo.” finì per lui Hermione, poi, nervosa, aggiunse “Noi non capiamo? Cosa credi, di essere l'unico? Secondo te non è stato difficile anche per me, per noi, tutti quei giorni passati ad aspettare il... il prossimo funerale, e quello dopo ancora. Pensi che non mi importi nulla di Tonks e Remus e... e di Fred...” la sua voce si ruppe tra le labbra tese, sul tavolo la sua mano cominciò a tremare, allora Ron la afferrò, con discrezione, mentre lei tentava di trattenere le lacrime.
Ad Harry la realtà piombò addosso come un macigno, dentro di sé si sentì egoista e stupido. Come aveva fatto a non capirlo? Aveva creduto di essere il solo a sentire quel senso di vuoto infinito, di impotenza, di disillusione. Adesso lo capiva chiaramente, loro si sentivano proprio come lui. Capì anche che, in realtà, non erano venuti lì per cercarlo, almeno non del tutto, Ron e Hermione erano fuggiti, esattamente al suo stesso modo.
Distolse lo sguardo dai volti dei propri amici, incapace di guardarli, e piano mormorò
“Scusatemi”
“Nulla, amico.” gli rispose Ron, tirando un sorriso.
In quel momento la porta del Pub si aprì attirando la loro attenzione, una figura massiccia e barbuta era apparsa sulla soglia, una figura che avrebbero riconosciuto da miglia e miglia di distanza.
Rubeus Hagrid avanzava zoppicando verso il bancone, non avendoli potuti adocchiare, nascosti dal buio e dai mantelli così come erano.
Harry non riuscì a trattenere quel gesto avventato, per un attimo gli parve di essere tornato ai tempi di Hogwarts, quando lo incontrava ai Tre Manici di Scopa, così, proprio come aveva fatto altre mille volte, sventolò un braccio in aria, chiamando a gran voce il suo nome e il cappuccio gli scivolò per un attimo dalla testa.
Tutto il locale si voltò nella sua direzione, il ragazzo abbassò la mano di scatto e si affrettò nascondendosi di nuovo sotto il mantello.
Hermione sibilò infuriata “Che diavolo ti è saltato in mente?”, ma era troppo tardi. Un paio di persone si erano alzate dai propri tavoli e li stavano raggiungendo.
“Mi scusi” disse una vecchia strega che indossava un cappello tutto rattoppato “lei non è forse Harry Potter?”
“No, si sbaglia.” balbettò Harry, abbassando di più la testa.
“Ma come, mi era sembrato proprio di averla riconosciuta! Andiamo, non si nasconda sotto quel mantello.”
La vecchia si avvicinò, e per un attimo Harry pensò che gli avrebbe tolto il cappuccio a forza se una voce non l'avesse fermata.
“Ti ha detto che non è Potter!” tuonò Hagrid “Fatti un po' gli affari tuoi. Conosco il proprietario molto bene e sono sicuro che non gli piacerebbe sapere che ci ha dei clienti così impiccioni.”
La donna sgattaiolò via, spaventata dalla stazza del mezzo gigante, borbottando “Che modi!”
Hagrid si lasciò cadere in un concerto di scricchiolii su una sedia libera “Harry!”sussurrò quando si fu sistemato “ E Ron e Hermione! Quanto tempo che non ci si vede, eh? Da quando, eh, da quando...” si interruppe un po' imbarazzato, guardando nella direzione di Ron.
“Da quando c'è stato il funerale di Fred.” disse lui “Lo puoi dire Hagrid, non c'è niente di male.”
“Già, già. Brutta faccenda, mi dispiace tanto.” mormorò tirando fuori il suo gigantesco fazzoletto per soffiarsi il naso rumorosamente.
“Che ci fate qui, comunque?”
Harry scambiò un'occhiata fugace con gli amici prima di rispondere “Siamo qui per la cerimonia.” tagliò corto, omettendo il resto della storia che comprendeva la sua fuga.
“E siete arrivati con un giorno di anticipo?”
Harry, che in realtà aveva più di un giorno di anticipo, stette zitto, incapace di trovare una buona risposta.
“Avevamo da fare.” rispose allora Hermione, il ragazzo la guardò alzando le sopracciglia, ma lei lo ignorò.
“Da fare?” chiese il guardiacaccia.
“Si, niente di importante. Comunque grazie per aver mandato via quella donna, prima.” riprese la ragazza in un tentativo di sviare il discorso.
“Oh, certa gente non sa farsi i fatti suoi. E' per questo che ci avete tutti questi mantelli, eh? Lì per lì non vi avevo riconosciuto, accidenti!”
“E' per evitare episodi come quello, o peggio.” disse Ron, probabilmente ricordando l'attacco dei giornalisti.
“Peggio?”
“Il profeta non ci da pace, Hagrid. Parlano anche di una mia biografia, che dovrebbe essere scritta da Rita Skeeter. Non hai letto il giornale ultimamente?” spiegò Harry avvertendo una strizza allo stomaco al ricordo dell'articolo di quella mattina.
“Non tanto a dire il vero. Ho avuto piuttosto da fare, con la scuola distrutta e tutto il resto. Il ministero in questi giorni è un macello. E poi anche Groppino, ne ha prese parecchie, sapete. Ci è voluto un po' prima che si riprendesse. Quella Skeeter è tremenda, ma stavolta non ci dico nulla, eh! Mi ricordo come è finita l'altra volta.”
“E' già venuta da te?” chiesero tutti e tre in coro, allarmati.
“Cosa? No, no. E non ci provi, che le scateno Thor dietro! Non ci è venuto nessuno da me, sarà perché ci intimidisco di più forse, col fatto che sono così grosso. Ma ve l'ho detto, ci ho avuto molto da fare.”
“Come va la ricostruzione?” chiese Hermione.
“E' un bel pasticcio, ecco come va. Volendo i professori la potrebbero rimetterla su in un baleno, ma il Ministero ha bloccato tutto. Dice che vuole indagare sui danni, forse ci serve per capire se ci sono altri Mangiamorte mancanti.”
“Ma è assurdo! Tutte le vittime sono state trovate! E poi il ministero, in confusione come è, dovrebbe pensare a rimettersi e a dare la caccia a tutti i seguaci di Voldemort che sono fuggiti!”
Hagrid ebbe un sussulto a sentire quel nome che nessuno di loro poté ignorare. “Andiamo Hagrid! Non c'è più ragione ad avere paura di quel nome, non ce n'era neanche prima, a dirla tutta. E' morto, è morto per sempre. Hai visto il suo corpo steso a terra anche tu, no?”
“Lo so, Hermione. Solo che fa un po' strano pensarci, no? Ci vuole del tempo, tutta la vita che uno passa a non nominarlo e poi da un giorno all'altro, così, lo può fare.”
“Lo potevi fare anche prima.” disse Harry “Non quando avevano imposto il Tabù, certo.”
“ E quindi il castello è rimasto distrutto?” Ron li riportò all'argomento principale.
“Sì, la McGranitt è infuriata, penso che un giorno di questi fa come vuole e rimette i muri su da sola. Ci avrebbe sì la stoffa del Ministro!”
“Cosa?” chiese Harry sgranando gli occhi.
“Come, non avete sentito nulla? E poi dite a me che non leggo i giornali!”
“Non è che abbiamo seguito molto l'andamento del Ministero, quando eravamo alla Tana. Voglio dire, papà non è andato al lavoro da quando... insomma avete capito.” si giustificò per loro Ron. Era vero, nel tempo che aveva trascorso alla Tana, distinguendo i giorni con i funerali a cui dovevano andare, a Harry il mondo era apparso qualcosa di vago ed indefinito. Certo, si era accorto dei giornalisti che lo seguivano nei suoi spostamenti, ma in realtà quello di quella mattina era il primo Profeta che aveva veramente letto da tanto tempo. Molto probabilmente era così anche per Ron e Hermione, di cosa era successo al Ministero in quelle settimane loro non sapevano nulla.
“Si stanno sbranando per decidere chi sarà il nuovo Ministro! In molti dicono che alla McGranitt sia stato offerto il posto, ma lei non ha detto nulla. E vi assicuro che lo avrei sentito, visto tutto il tempo che passo su a scuola.”
“Sarebbe forte la McGranitt. A me ha sempre messo paura.” disse Ron.
“Secondo me non accetterebbe. Voglio dire, a Silente hanno offerto il posto per anni e lui ha sempre voluto fare solo il Preside, no?”
“La McGranitt non è Silente, Hermione.” le fece notare Ron. Lei fece per ribattere, ma Harry fu più veloce.
“Andrebbe di sicuro meglio di qualcun altro. Vogliamo parlare di Caramell e della sua politica del non vedo non sento? O di Scrimgeour? Mi dispiace per la fine che ha fatto, ma in fondo non era meglio del suo predecessore.”
Nessuno se la sentì di ribattere. Hagrid ricominciò a parlare “Beh, ovviamente sono venuti fuori anche un sacco di altri nomi. Gente della resistenza, soprattutto, ho sentito dire qualcosa anche su tuo padre, Ron.”
Ron fece una faccia tra il divertito e il sorpreso. “Papà? E' impossibile. Passerebbe metà del tempo in visita dal primo ministro babbano. Ha immaginazione la gente, eh?”
“Immagino che tutti i membri dell'Ordine siano possibili candidati, non mi sorprenderei se qualcuno avesse fatto anche il tuo nome, Hagrid.” ragionò Hermione.
“Ora che mi ci fai pensare è proprio vero. Non è che perché ci opponevamo siamo tanto straordinari, potevano farlo anche loro, se avessero avuto un po' di coraggio. Ma ci è stata un sacco di gente che ha preferito piegarsi al loro schifoso gioco piuttosto che rischiare. Ci sarebbero morte un mare di persone di meno, se solo qualcuno in più avesse combattuto. Sono solo un mucchio di ipocriti, ora che è finita tutti ad adorare Harry, ma quando la sua faccia era appesa per strada con una taglia sopra non avrebbero esitato un secondo a venderlo per vedere il proprio stato di sangue al sicuro.”si infiammò Hagrid.
Harry sentì un moto di riconoscenza per le parole dell'amico, ma non riuscì a impedire al senso di colpa che languiva in lui a montare, opprimendolo.
“Non volevo chiedere alle persone di mettersi in pericolo per me, Hagrid, non l'ho mai voluto. Chi si è tenuto il più possibile lontano da me ha fatto bene”
“Ma cosa stai dicendo!” sbottò il guardiacaccia “Non so se ti ricordi, ma tu sei morto per noi! Ti ho portato tra le braccia e, credimi, non è una cosa che si dimentica tanto facilmente!” Il ragazzo fece per interromperlo ma Hagrid gli fece gesto di stare zitto e continuò, sempre più infervorato. “Abbiamo vinto perché tu eri pronto a sacrificarti, non dimenticarlo mai, Harry. Andando dritto contro di lui hai fatto esattamente la stessa cosa che fece tua madre. Ci hai protetto tutti. Quindi non dire più una cosa del genere, per Merlino! E' sempre bene mostrarci modestia nella vita, ma, in questo caso, direi proprio che ci hai tutti i meriti! E anche voi due, ovviamente.” disse indicando Ron e Hermione, che, proprio come Harry, erano rimasti a fissarlo muti come pesci.
“E ora, se volete scusarmi, devo proprio andare. Groppino mi aspetta e per domani c'è un sacco da fare. Ci si vede, e, mi raccomando, attenti ai giornalisti.” Se ne andò via facendogli l'occhiolino come se niente fosse, lasciandoli sbalorditi.
“Accidenti” esalò Ron “che tempera.”
Neanche Hermione riuscì a trovare una definizione migliore.
 



Nell'oscurità estranea della sua stanza Harry guardava il soffitto, incapace di dormire, accanto a lui sentiva il suono familiare del respiro di Ron, neanche lui stava dormendo, lo sapeva perfettamente.
Si ricordò di tutte le notti passate con lui alla Tana,o a Grimmauld Place o, ovviamente ad Hogwarts. Riflettendoci, era da quando avevano undici anni che condividevano la stessa stanza, per non parlare di quando avevano condiviso una tenda. Normalmente, sapendolo sveglio, gli avrebbe detto qualcosa e così si sarebbero messi a parlare, ma adesso non riusciva a farlo.
Così stava lì a fissare il soffitto, la testa che vorticava di parole vuote e immagini inafferrabili.
Fu Ron a parlare, lo chiese piano nel buoi, come se avesse paura di dirlo “Cosa faremo dopo?”
“Domani c'è la cerimonia, no?” ma era una risposta fasulla, aveva capito cosa l'amico voleva dire, e non era quello.
“No, dico dopo. Una volta che sarà finita, cosa faremo?”
La domanda cadde nel buio senza rumore. Harry non lo sapeva, cosa avrebbe fatto dopo. Il suo orizzonte era tutto occupato dalla cerimonia commemorativa, stagliata netta e precisa in tutta quella confusione. Se lo era chiesto anche lui, eccome. Ma non era riuscito a darsi alcuna risposta. Il cervello gli suggeriva che sarebbe dovuto tornare a Grimmauld Place, almeno per mettere le cose apposto, ma dentro di lui qualcosa lo spingeva a rimandare e a rimandare.
Alla fine le parole gli uscirono dalla bocca in un sussurro appena udibile
“Non lo so, Ron. Non so cosa faremo.”
 
 
PS:
grazie mille a chi ha commentato e a chi l'ha messa tra le seguite. E grazie anche a chi non l'ha fatto, ma l'ha letta comunque.
Spero che continuerete a commentare.
Il capitolo forse non è molto “movimentato”, oddio, non che gli altri lo fossero,ma non mi piace correre, quindi faccio le cose per bene.
Il titolo è un giochino di parole, perchè “Barbuto” non lo sto a spiegare, “Bardo” è perchè racconta un po' di cose, forse è un po' stupido ma mi diverto un sacco a trovare queste assonanze. Se mi riesce continuo.
Grazie ancora, spero vi piaccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4.Those-who-must-not-be-forgotten. ***


4.Those-who-must-not-be-forgotten


I cancelli di Hogwarts apparvero in tutta la loro familiarità, luccicanti al sole tiepido di giugno.
Camminavano piano e in silenzio, senza alcuna fretta, visto che avevano più di un'ora di anticipo.
Quella mattina Harry si era svegliato prestissimo ,sebbene reduce da una notte pressoché insonne, e aveva trovato Ron nello stesso stato. Avevano languito lì, aspettando che il sole si alzasse sempre di più sull'orizzonte, finché un'Hermione completamente scarmigliata ed ancora in pigiama era piombata nella loro stanza decretando che sarebbero partiti subito- chi se ne frega se è ancora presto- liberandoli così da quello stato di torpore.
Avevano fatto una misera colazione e, finalmente, erano usciti da quel posto.
Senza alcun accordo preciso non si erano smaterializzati, ma avevano camminato lungo la via percorsa tante altre volte.
L'entrata della scuola, sormontata dai suoi cinghiali alati, li attendeva silenziosa e, soprattutto, chiusa.
“Perché i cancelli non sono aperti?” chiese Ron.
“Immagino che sia troppo presto.” rispose piano Hermione mentre si avvicinavano alle sbarre di ferro.
“E allora che facciamo? Rimaniamo qui ad aspettare?”
Non ci fu bisogno di nessuna risposta, con un impercettibile cigolio una delle ante del cancello si scostò dalla sua compagna in uno spiraglio, come per fargli capire che potevano passare.
“E' Hogwarts che ci da il benvenuto” disse Harry, affrettandosi a spingere il cancello in modo che potessero passare.
Il castello si presentò a loro come un vecchio amico, ergendosi maestoso nonostante la visibile mutilazione dell'ala crollata durante la battaglia. Aveva un aspetto da veterano sopravvissuto, come se stesse dicendo al mondo che a lui non importava niente, sarebbe comunque rimasto in piedi.
Una volta entrati nel parco deserto si resero conto di non sapere dove andare.
“Dove pensate che sia?” chiese Harry.
“Non saprei, potrebbe essere ovunque. Il castello è smisurato.” esclamò Ron passandosi una mano sulla fronte.
“Veramente” lo corresse Hermione “la scelta del luogo è piuttosto limitata. Dubito seriamente che la cerimonia si svolgerà nella torre di Grifondoro o al bagno del secondo piano.”
“Sentite” disse Harry “entriamo dentro e basta, troveremo di sicuro qualcuno, altrimenti potremo sempre andare da Hagrid, no?”
I due annuirono ed insieme si diressero verso le grandi porte di quercia. La sala d'Ingresso non portava più i segni della battaglia, evidentemente il ministero non poteva fermare la McGrannit, dopotutto. Ogni cosa era al suo posto; i ritratti appesi alle pareti che ,muovendosi da una tela all'altra, stavano ora commentando il loro arrivo, la grande scala di marmo che saliva ai piani superiori, quella che invece scendeva verso i sotterranei, la porta che dava accesso alla Sala Grande.
La visione corrispondeva appieno alla memoria di Harry, tranne che per un particolare; l'assenza di qualsiasi essere umano tranne che loro tre. Era questo a rendere il tutto così strano.Per quanto ricordasse, il ragazzo aveva visto sempre quella sala piena di studenti vocianti, vederla così, vuota, era un qualcosa di incontemplabile.
Il religioso silenzio che aveva caratterizzato il loro arrivo fu spezzato dal rumore secco dei tacchi sulla pietra, dall'alto della scalinata di marmo la professoressa McGranitt si fermò un attimo, come interdetta dalla loro vista e, cominciando a scendere i gradini, esclamò “Potter!Weasley!Granger! Che ci fate qua dentro?”
I tre rimasero immobili e muti alla vista della loro vecchia insegnante di trasfigurazione, del tutto incapaci di spiccicare una sola parola.
“Allora? Avete intenzione di rispondermi o cosa?” insistette lei nei suoi soliti toni. Harry si sentì a suo agio con quei modi, dentro di sé ringraziò vivamente la McGranitt per essere quella di sempre, li trattava come aveva fatto ogni giorno, che importava se lui aveva sconfitto il mago oscuro più pericoloso di tutti i tempi? Non poté fare a meno di sorriderle. Lei lo fissò aggrottando le sopracciglia “Il signor Potter è forse stato confuso?”
“No” rispose prontamente Hermione, che sembrava aver ritrovato l'uso della parola “ certo che no. Noi, noi siamo qui per la cerimonia, professoressa.”
“Certo che siete qui per la cerimonia. Io intendevo chiedere perchè siete dentro al castello e, se non erro, con quasi due ore di anticipo.”
“Ehm” farfugliò Hermione “non sapevamo dove andare.” tacque sulla loro estrema puntualità, un po' imbarazzata.
“Tanto meglio, almeno sarà più facile all'entrata. Seguitemi.” varcò a passo svelto il portone immergendosi nel sole mattutino, i tre ragazzi si affrettarono a seguirla.
“Più facile all'entrata?” chiese Harry sottovoce mentre si sforzava di tenere il passo della preside “di cosa stava parlando?”
“Io non glielo chiederei, non mi sembra di umore ideale per fare conversazione.” sussurrò Ron.
“Signor Weasley, signor Potter, vi comunico che sono in grado di sentirvi perfettamente.” la McGranitt rallentò un po' il passo, in modo che potessero raggiungerla.
“Come sicuramente vi sarete accorti, c'è una certa attenzione speciale nei vostri riguardi, ultimamente. Sarebbe sciocco pensare che la vostra presenza qui non creerà qualche problema, stamattina.”
“Non è colpa nostra! Crede che ci faccia piacere avere uno strascico di giornalisti impiccioni che ci segue?” saltò su Harry, rendendosi però immediatamente conto di averlo detto un po' troppo forte e sentendo di meritare la gomitata nelle costole che ricevette da Hermione.
La McGranitt sì fermò per voltarsi e fronteggiarlo. “Non sto affatto dicendo che è colpa tua ,signor Potter. Dio solo sa quanto il mondo magico ti sia debitore, un po' di confusione attorno alla tua persona è tollerabile, ma devi capire che può causare dei problemi che, come è mio compito, devo essere pronta a gestire. Ora, se volete scusarmi, devo occuparmi di alcune cose prima dell'inizio della cerimonia. Sono sicura che sarete in grado di proseguire da soli, a questo punto.”
fece per andarsene ma, dopo appena un passo, si girò nuovamente verso di loro “Quando dico 'mondo magico', dovete sapere che mi reputo parte di esso. E molto fieramente, in quanto grifondoro, vi devo ringraziare.” le sue labbra si aprirono in un sorriso “si, anche tu, Weasley! Non fare quella faccia!” così volto la schiena e se ne andò definitivamente.
“Avete sentito anche voi quello che ha appena detto o me lo sono solo immaginato?” chiese Ron, incredulo.
“Penso che sia uno dei vantaggi di cui puoi usufruire quando hai salvato il mondo.” disse Harry, scoprendosi una risata in gola. Piccola, forse poco convinta, ma vera. Anche Ron cominciò a ridacchiare e presto, nonostante la debole resistenza di Hermione con il suo “Ma cosa avete da ridere! Smettetela!”, il parco risuonò delle loro tre risate, le prime dopo tanto tempo.
“Ma l'avete vista? Se l'avessero pietrificata sarebbe stata meno rigida!”
“Il ministero deve averla stressata davvero parecchio, poverina.” disse Hermione, esaurendo le rimanenze di risata.
“Probabilmente non è ancora riuscita a godersi la pace.” concluse Harry “deve essere stanca, che senso aveva accompagnarci fin qui, se non sappiamo comunque dove andare.”
“Veramente penso di sapere dove dobbiamo andare.”
“Cosa?” chiese Harry, la ragazza gli fece cenno di guardarsi intorno e lui si accorse che il terreno scendeva per meno di mezzo miglio verso la riva del lago, dove una tomba bianca, che adesso non recava più alcun danno, spiccava sull'erba verde.
Vicino alla lapide che portava il nome di Silente era stata allestita la commemorazione, proprio come al suo funerale tante leggere sedie di legno chiaro erano erano state disposte in file ordinate di fronte ad una specie di palco, dove stava solo un leggio.
Presero posto nella prima fila, in silenzio.
“Immagino che adesso non ci resti altro che aspettare.” disse Harry, non potendo impedire alla sua mente di posarsi sull'immagine di Ginny.
 
Piano piano, tutte le sedie cominciarono a riempirsi. La gente arrivava in piccoli gruppetti e, dopo aver stretto la mano a tutti e tre- nessuno era riuscito a farne a meno tranne che Hagrid- prendeva posto.
Ad un tratto la loro attenzione fu attirata dal luccichio di una lunga chioma biondo sporco di una ragazza e da quella bianca di un uomo che si avvicinavano velocemente al palco.
Luna Lovegood si diresse senza esitazioni verso di loro, ma suo padre scomparve tra la folla.
Harry le rivolse un gran sorriso mentre guardava i suoi orecchini a forma di rapanello dondolare, Hermione la abbracciò, anche lei sorridente.
“Oh, sono molto contenta di vedervi.”
“Anche noi, Luna. Come stai?” disse Ron.
“Molto bene direi. Sono tornata a casa da papà.” Hermione scoccò un'occhiata nervosa nella direzione di Xenophilius Lovegood.
“Lui ha preferito starvi lontano. Sapete, è molto dispiaciuto per avervi venduti. E si vergogna.” disse soave.
Harry si passò una mano fra i capelli, in imbarazzo, non aveva affatto dimenticato la visita a casa Lovegood, ma quei momenti erano inevitabili se frequentavi Luna.
“Ehm, già. Non è stato molto carino, ma lo faceva per un buon fine.” balbettò.
“Non ce l'abbiamo con lui, Luna.” aggiunse Hermione.
“Siete molto carini ad averlo perdonato.” sorrise la ragazza “Oh, guarda Ron, c'è la tua famiglia.” disse indicando un gruppo di persone che scendevano la piccola collina che portava al lago. “Hanno tutti i capelli rossi tranne quella donna bionda, è buffo, non trovate?” inclinò la testa, osservando rapita la visione.
La prima cosa che Molly Weasley fece quando gli raggiunse fu stringere Harry in una abbraccio stritolante, il ragazzo, che se lo era aspettato, aspettò pazientemente che lo lasciasse andare.
“Harry caro! Sparire così, senza dire nulla!”
“Ha lasciato un biglietto, mamma.” disse Ginny, Harry la guardò, accennando un piccolo sorriso, per un attimo lei parve voler ricambiare ma subito dopo la sua espressione si fece indecifrabile.
“Sì, lo so che non era un granché. Mi dispiace, signora Weasley.” disse Harry, mentre guardava la donna riservare lo stesso abbraccio al figlio e a Hermione.
“Oh, non importa, non importa. Adesso siamo tutti qui, è questo che conta. E dopo tornerete alla Tana, non voglio sentire storie.”
Harry avrebbe voluto ribattere, ma si rese conto di non avere nessuna alternativa valida e stette zitto, la signora Weasley non aveva ancora cominciato a piangere, e non voleva essere lui a darle un motivo.
Il gruppo dei Weasley si sciolse per prendere posto, Harry guardò George che camminava piano accanto a Percy e Charlie, stringendo il braccio del fratello occhialuto, forse era solo merito del sole, ma sembrava aver riacquistato un po' di colore sulle guance scavate e pallide.
Ginny era ancora in piedi, apparentemente in cerca di una sedia, Harry si guardò intorno e, notando che i posti vicino a lui erano occupati, provò un moto di delusione misto a qualcosa che, però, sembrava sollievo. Stordito dai suoi stessi sentimenti, distolse lo sguardo dalla sua figura che si sedeva accanto a Hagrid a qualche fila di distanza.
L'ultima persona ad arrivare, proprio un momento prima che la McGranitt richiamasse il silenzio dal palco, fu Neville con sua nonna. Il ragazzo li salutò sventolando una mano, aveva la testa ancora fasciata da bende, evidentemente quel genere di bruciature, provocate personalmente da Lord Voldemort, non guarivano così in fretta. La McGranitt aspettò che il ragazzo si fosse seduto, poi, schiarendosi la voce, iniziò a parlare. Harry guardò l'orologio, erano le dieci in punto.
“Sono molto contenta, come Preside di questa scuola, di vedervi qui oggi, e vi ringrazio per essere venuti. Io e i miei colleghi abbiamo deciso di stare qui all'aperto, piuttosto che nella Sala Grande, e, visto il tempo, credo che a nessuno dispiacerà. Abbiamo attraversato dei tempi difficili e pericolosi, ma, stando insieme, siamo sopravvissuti. Per questo dobbiamo ringraziare chi ha combattuto per noi e con noi. Dobbiamo ringraziare chi non si è piegato ad un dominio violento ed ingiusto, e ha lottato fino alla fine per la pace. Penso che non sia esagerato, ma dovuto, ringraziare per primo Harry Potter, di cui sono sicura conoscerete ormai a memoria tutte le gesta, visto tutto il recente interesse del Profeta. Ma non dobbiamo dimenticare di ringraziare chi lo ha aiutato, anche quando non era tenuto a farlo. Siamo quindi debitori al signor Ronald Weasley e alla signorina Granger in ugual misura. Inoltre mi sento obbligata a ricordare tra i qui presenti il signor Neville Paciock, di cui sicuramente credete di sapere tutto ma, forse, c'è una cosa che vi è oscura. Neville ha condotto per mesi una resistenza interna ad Hogwarts, senza mai arrendersi. E, credetemi, non è stato per niente facile, contando il tipo di punizioni che erano soliti dare Alecto e Amycus Carrow.”
La professoressa si interruppe un attimo e, senza che nessuno potesse impedirlo, un fragoroso applauso risuonò nell'aria limpida. Harry si sentì in imbarazzo ma non poté fare a meno di sorridere mentre si girava per guardare i suoi amici. Il rossore delle guance di Hermione sembrava fare a gara con quello delle orecchie di Ron.
“E la lista sarebbe ancora più lunga. Ma non siamo qui per ricordare i nostri eroi sopravvissuti, siamo qui per ricordare chi si è sacrificato per noi, e, per questo, forse merita ancora più riconoscenza. In tanti sono caduti durante la guerra, e ancora di più nella battaglia che ha imperversato nelle mura di questo castello. Hogwarts ha subito gravi perdite, in molti tra gli studenti, quel giorno, sono morti. Giovani che non erano in grado di fronteggiare l'esercito di Lord Voldermort, ma che hanno voluto lottare. E' nostro compito non dimenticarlo, mai. La nostra vita andrà avanti, deve andare avanti, ma dobbiamo ricordare come abbiamo costruito la pace, o non sarà servito a nulla. Per questo oggi, faremo qualcosa che rimarrà per sempre, un simbolo che non svanirà.” così detto estrasse la bacchetta e con un complicato svolazzo la agitò verso terra. L'erba parve fremere e diradarsi, dal suolo apparve una grande lastra rettangolare, di un materiale quasi trasparente, che portava un'iscrizione in caratteri oro. Due Maggio 1998, Battaglia di Hogwarts. Per chi ha combattuto fino alla fine, senza mai arrendersi, nemmeno di fronte alla morte.
Era semplice, delicata, e per questo così perfetta.
“Questo è un monumento ai caduti, a coloro che non devono essere dimenticati. Adesso, chi lo vorrà, potrà alzarsi e scriverci sopra il nome della persona che vuole ricordare.”
Per quello che sembrò un tempo infinito nessuno si mosse, poi, silenziosamente, George Weasley si alzò. Rifiutando con un gesto l'offerta di aiuto dei due fratelli, si diresse barcollando verso la lastra vuota. Estrasse la bacchetta con mano tremante e il nome del suo gemello apparve vergato in oro, indelebile.
Dopo di lui tutti si alzarono per scrivere un nome sulla lapide, ordinatamente. Harry li poteva vedere bene in faccia ad uno a uno come vedeva i nuovi nomi comparire chiari e nitidi. Accanto a lui Hermione piangeva in silenzio con la testa poggiata sulla spalla di Ron, che le accarezzava piano una mano. Lo sguardo di Harry corse subito verso Ginny, che stava consolando un Hagrid immerso in uno dei suoi fazzoletti tovaglia. Harry pensò che ci sarebbe potuto stare lui, vicino a lei, ma non ci era riuscito. Non ci era riuscito ai funerali e non ci stava riuscendo ora.
La processione era quasi finita e ancora c'erano due nomi mancanti, il ragazzo sentì un groppo alla gola e,con estrema amarezza, si accorse che Andromeda Tonks non era presente, molto probabilmente era a casa, ad accudire l'unico pezzetto di famiglia che le era rimasto.
Fu per il suo figlioccio ed anche per lei che si alzò e, più guidato dalle gambe che dalla mente, raggiunse il monumento per poggiarci i nomi di Tonks e Lupin, li scrisse tutti e due insieme, in modo che potessero stare vicini.
Il resto della cerimonia fu un susseguirsi di discorsi, da parte degli insegnanti della scuola o di chi, semplicemente, voleva dire qualcosa. Ma Harry non prestava veramente attenzione, mentre dal palco le parole e i sorrisi tirati di Lumacorno gli lambivano la coscienza, lui pensava alla risata che lui,Ron e Hermione avevano condiviso meno di due ore prima. Era stato un avventato, forse inappropriato, spontaneo e bellissimo scoppio di normalità. Ma, come sempre a quei tempi, sentiva quel momento lontanissimo.
Eppure c'era stato, non poteva negarlo. Era lì la differenza.
Un qualcosa si era rotto, ed era stata quella risata a farlo, proprio come l'ariete che sfonda le porte della città assediata.
 
 
P.S: Sì, ci ho messo un po' di più ad aggiornare questa volta rispetto alle altre. Prendetevela con Parmenide e Zenone, non è colpa mia.
Intanto vi ringrazio ancora per i commenti e tutto il resto. Questo fa sempre bene. Ripetiamolo,và. Grazie mille per i commenti, mi fanno un piacere immenso. Ovviamente sono ben accette anche le critiche, dai propri errori si impara.
Sono certa che voi-sapete-su-cosa è giocato il titolo. Quindi, enjoy. Spero tanto vi piaccia, per ora vi saluto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5.The Rage of the Ginger ***


5.The Rage of the Ginger


Da quando erano tornati, alla Tana si erano creati nuovi equilibri. La situazione di attesa e apatia generale che aveva aleggiato prima della cerimonia si era dissolta, lasciando un vuoto pronto ad essere colmato.
Ognuno aveva reagito in modo diverso. La signora Weasley aveva preso a cucinare quantità di cibo che sarebbero bastate per un reggimento, e li rimpinzava fino a farli star male. Ma sembrava che la aiutasse, i momenti che passava in cucina erano gli unici in cui si dimenticava di piangere.
Suo marito aveva ripreso ad andare a lavoro, ormai ci passava così tanto tempo che a casa era solo un fantasma.
Bill e Fleur avevano deciso di rimanere per aiutare, ma il primo era sempre alla Gringott e la seconda languiva nei pressi della cucina, incapace di intromettersi nei frenetici rituali di sua suocera.
George si era barricato in camera, da cui non provenivano più gli strani scoppi che Harry aveva sempre sentito.
Ma i più strani di tutti erano Ron ed Hermione. La prima volta che Harry li vide fu un pomeriggio caldo, pochi giorni dopo che erano tornati alla Tana. Era entrato nella stanza di Ron per sfuggire alla signora Weasley ma, appena aperta la porta, aveva desiderato ardentemente di tornare dai suoi giganteschi muffin.
Ron e Hermione si stavano baciando con tanto trasporto da farlo quasi arrossire. Erano incollati l'uno all'altra in un abbraccio strettissimo, a Harry parve di rivivere la scena avvenuta nella stanza delle necessità, questa volta, però, non ci fu bisogno che fosse lui a dire qualcosa, i due si accorsero immediatamente della sua presenza, impossibile il contrario , visto il modo in cui aveva sbattuto la porta, e si staccarono i fretta, scarmigliati e rossi in viso.
Se Harry aveva pensato che quello potesse essere imbarazzante, non aveva fatto bene i conti.
Ron affrontò l'argomento la sera stessa, mentre si preparavano per andare a letto.
“Ehm, riguardo a quello, a quello che hai visto oggi.” iniziò incerto. Se si aspettava un incoraggiamento dall'amico, non lo ricevette. “Voglio dire... quello....” si sedette sul letto sbuffando. “Sto parlando di me e Hermione! Accidenti, l'ho detto.” esclamò infine, come se gli fosse costato uno sforzo immenso. “ Scusa, amico, è che mi sembra strano parlarne con te. La situazione mi... confonde.”
“E' normale.” si decise a dire Harry “ e' la mia migliore amica ed è anche la tua. E tu sei il mio migliore amico.”
“Già.” borbottò l'altro passandosi una mano sulla fronte.
“Insomma, non è come con Lavanda.”
“Che diavolo c'entra Lavanda?” chiese Ron sgranando gli occhi.
Harry, lo fissò, interdetto “Come sarebbe a dire che c'entra Lavanda? Avete passato un anno a pastrugnarvi per tutta Hogwarts!” L'amico gli rifilò un'occhiataccia che lui non capì del tutto.
“Lavanda? Seriamente, Harry? Certo che non è come con lei. Come ti è saltato in mente di paragonare Hermione a Lavanda?” Disse piano “Hermione è un'altra cosa, amico. Lei, lei...” ma la frase si spense nella diversa luce che avevano preso i suoi occhi. Si stese sul letto, guardando il soffitto.
“Scusa, eh.” bofonchiò Harry, un po' offeso, coricandosi anche lui.
Già quel discorso era imbarazzante senza che Ron si mettesse a sgridarlo. Dentro di lui sentì salire un moto di stizza che non riuscì del tutto a spiegarsi, come ultimamente non riusciva a spiegarsi la maggior parte dei suoi sentimenti. Certo, aveva sempre preso di conto la possibilità che i suoi due migliori amici potessero mettersi insieme, e si ricordava di averla anche temuta, perché c'era anche la possibilità che ciò li separasse, ma infondo era contento per loro.
“No, scusa tu.” disse Ron dopo un po'. “E' che le cose sono, diciamo, difficili. Hermione non vuole che nessuno lo sappia, dice che sarebbe irrispettoso, che sarebbe meglio aspettare un po'. Forse ha ragione, comunque è meglio che decida lei, è sempre stata più intelligente di me.”
“Quindi non lo avreste detto neppure a me se non...?”
“No, no! Penso che te lo avremo detto. Non è che ci abbiamo proprio pensato, voglio dire, lo avresti saputo comunque.”
Harry stette zitto, pensando che se non li avesse visti molto probabilmente non avrebbe saputo niente, e non potè fare a meno di sentirsi un po' escluso. Ma poi si diede dello stupido e soffocò quella sensazione.
“Lo sapevo, che sareste finiti insieme.” disse, e lo credeva davvero.
Ron ridacchiò dal suo letto.
“Credo di averlo sempre saputo anche io, in fondo.” disse dopo qualche secondo.
Durante i giorni successivi, Ron e Hermione fecero di tutto per nascondere il loro rapporto.In presenza degli altri stavano così lontani l'uno dall'altra, attenti a non sfiorarsi neanche per sbaglio ne a rivolgersi più di due frasi, da risultare del tutto innaturali. Sembrava che avessero litigato furiosamente, ma in realtà non era così.
La conseguenza di quell'allontanamento forzato era che, appena si ritrovavano soli, non perdevano un minuto di tempo. Harry li ritrovava avvinghiati nei posti più impensabili, tanto che arrivava a guardare dietro le porte prima di andare da qualsiasi parte, pur di non doversi imbattere in loro, ma la sua strategia non aveva molti risultati.
Il limite giunse, quando, una mattina, li ritrovò in bagno, spiaccicati contro il muro di piastrelle. Alla visione sentì montare dentro qualcosa che gli attorcigliò le viscere, non lo avrebbe sopportato una volta di più, era tutta la settimana che li sorprendeva praticamente ovunque. All'inizio aveva creduto di essere stato contento, ma in quel momento non riusciva a ragionare.
“Basta!” esclamò in faccia ai suoi due migliori amici. “Non potreste andare da un'altra parte? Oppure che so, darci un taglio? Vi state baciando in bagno!”
“Harry, noi...” sussurrò Hermione, ancora rossa in viso.
“Voi un accidenti! Mi avete stufato!” sbraitò andandosene, l' “Ehi” di Ron, lo raggiunse lontano e smorzato. Le orecchie gli fischiavano, poteva sentire il sangue che pulsava nelle tempie. Quello scoppio di rabbia lo aveva fatto sentire vivo.
Uscì in giardino, desiderando di allontanarsi il più possibile da tutti, desiderando di allontanarsi da se stesso.
Perchè in realtà sapeva benissimo il motivo di tanto astio nei confronti di Ron e Hermione. Gli davano fastidio, certo che lo facevano, perchè era geloso.
Era geloso perchè loro due erano riusciti a ritrovarsi e invece lui era solo. Quando li vedeva, immaginava di stare così con Ginny, proprio come avevano fatto in quei pomeriggi felici che avevano condiviso insieme quello che adesso sembrava tanto tempo fa, troppo, tempo fa.
Quei due lo irritavano perchè lui non era riuscito a riavvicinarsi a Ginny , anzi, sembrava che si fosse allontanato. All'inizio era stato il lutto a tenerli lontani ma, piano, piano, il tempo si era dilatato e Harry aveva rimandato all'infinito il momento giusto. Quando si incrociavano, adesso, lui a malapena riusciva a guardarla. La verità era che non avrebbe saputo cosa dirle, l'aveva lasciata senza la dignità di un'intera spiegazione, il senso di colpa lo logorava come una strana bestia provvista di lunghissimi artigli. Ma la cosa peggiore, e ora se ne rendeva bene conto, era che, aveva cominciato a provare un senso di sollievo quando lei non era presente. Se Ginny stava nella sua stessa stanza lui si sentiva teso e inadatto, la paura che lei potesse avercela con lui si tramutava in certezza e il suo cervello diventava incapace di ragionare.
Avrebbe voluto urlare. Per la rabbia calciò un sasso, provocandosi un male incredibile a due dita del piede. Imprecò ad alta voce, facendo fuggire qualche gnomo.
 



 
Evitare il più possibile le persone con cui viveva era diventata la sua nuova missione. Si vergognava troppo del suo comportamento per andare a parlare con Ron e Hermione e ,sul fronte Ginny, il passo più notevole che aveva fatto era stato sorriderle quando gli aveva chiesto di passarle dei toast, durante la colazione. Quindi preferiva di gran lunga stare da solo.
Passava gran parte della giornata fuori, sveglio fino a tardi per poter sgattaiolare a letto quando Ron era già addormentato e la mattina si svegliava prestissimo, incapace di prender sonno.
Dentro di sé sentiva rinascere la stessa sensazione che lo aveva spinto alla fuga, dentro casa si sentiva soffocare, così gironzolava in giardino o andava a camminare per la campagna circostante poi si sedeva in giardino con il Profeta del giorno, ma abbandonava quasi subito la lettura, troppo infastidito dalle notizie, che, ovviamente, riguardavano quasi tutte lui.
Guardava il cancello e pensava che non avrebbe mai più avuto la forza di volontà per andarsene.
Fu Hermione a fare il primo passo, dopo qualche giorno di quell'estenuante isolamento, mentre Harry stava seduto vicino al capanno delle scope, ad osservare il sole da poco sorto.
Si presentò con due di quegli enormi muffin con cui la signora Weasley gli rimpinzava stretti in mano, pronta a parlare.
“Non volevamo infastidirti, Harry.” disse piano mentre sbocconcellava uno dei dolcetti.
Il ragazzo sospirò stropicciandosi gli occhi.
“Mi dispiace. Sono stato terribile, non volevo urlarvi contro.”
“Un po' avevi ragione, forse il bagno era un tantino esagerato.” sorrise Hermione ed anche Harry ridacchiò.
“Quanto ce l'ha con me Ron?” chiese poi.
“Non ce l'ha con te. Però è preoccupato, e lo sono anche io. Perchè ci hai evitati? Lo sai che potevi venirci a parlare in qualsiasi momento.”
“Mi vergognavo, Hermione.” lo disse in un sussurro, ma lei sentì perfettamente.
“Non è cambiato niente. Niente, Harry. Siamo sempre noi.”
Harry la guardò in faccia e credette alla sua espressione sincera. Aveva ragione ed anche torto.
Era cambiato tutto, eppure niente.
Ron arrivò strascicando il passo sul terreno acciottolato, si fermò a pochi passi da loro e lanciò uno sguardo interrogativo agli amici, Hermione annuì come per dire “è tutto apposto” allora lui sorrise a Harry.
Si sedette accanto a lei e, cingendole la vita con un braccio, fece per baciarla, ma lei lo respinse energicamente “Che diavolo ti salta in mente?” sibilò alterata.
I lineamenti di Ron si composero in un'espressione spesata, guardò Harry, come in cerca d'aiuto.
“Che... che vuoi dire?” balbettò.
“Ci potrebbero vedere! Te l'ho detto mille volte, vuoi stare più attento?”
“Ah, quello!” disse sollevato.
“Perchè, di cosa pensavi stessi parlando?” chiese Hermione inarcando le sopracciglia.
“Cosa? Niente, lascia perdere.” la liquidò lui con le orecchie che cominciavano ad arrossire. “Comunque” continuò Ron “Ero da George.”
“Ci sei tornato ancora?” esclamò Hermione.
“Bhè, scusa tanto, sai, se voglio stargli vicino.” replicò lui con tono offeso.
“Scusa, ma che male c'è se aiuta George? E' suo fratello.” disse Harry, a cui il loro siparietto sembrava illogico.
“Non stavo dicendo questo. Certo che potrebbe stare con suo fratello, se solo lui lo lasciasse entrare. E' la quinta volta che ci prova, ma lui non apre mai la porta.” si difese Hermione.
“Potrebbe aprire, prima o poi. Dopotutto qualcuno lo fa entrare, Percy è sempre lì con lui! Chissà perchè, poi.”
“Oh, per l'amor del cielo, Ronald! Come fai a non capirlo?”
“Capire cosa?”
“Percy era, era...” tentennò lei.
“Era lì quando Fred è morto.” finì Harry che non avrebbe mai dimenticato quella scena.
“Anche io ero lì!” boccheggiò Ron “e anche voi, a dirla tutta!”
“E' diverso, Ron.” lo interruppe Hermione. “Percy era tornato dopo tanto tempo e stava combattendo con lui, erano insieme, si guardavano le spalle. Molto probabilmente è stato l'ultimo a vederlo... vivo. Penso che George voglia sapere come è andata, per lui non deve essere facile non esserci stato. Io lo avrei voluto sapere.”
Ron si passò una mano fra i capelli mormorando “non ci avevo mai pensato. E che vorrei solo parlargli. C'ero anche io lì, è una cosa che non potrò mai dimenticare.”
“ Ti resta solo aspettare. Il tempo cura tutte le ferite.” disse Harry.
L'amico affondò il viso tra le mani, poi, dopo un po', ne riemerse con un ghigno divertito “Il tempo cura tutte le ferite? Da quand'è che sei diventato così saggio?”
“Più o meno da quando mi è impossibile stare in casa perchè voi vi sbaciucchiate ovunque, a stare da soli si ha un sacco di tempo per prepararsi queste frasi ad effetto.”
“Noi non ci sbaciucchiamo ovunque!” esclamò Hermione risentita.
“E' vero, lo facciamo in privato, sei tu che spunti fuori come un fungo ovunque andiamo!” aggiunse Ron, sempre ridacchiando.
“Certo, perchè il pianerottolo davanti a camera tua è un luogo davvero privato. Ma perchè non la smettete e basta con questa sceneggiata?”
“Ecco, vedi!” disse Ron a Hermione “lo dice anche Harry! Perchè non la smettiamo di nasconderci?”
Lei sbuffò spazientita “Perchè sarebbe irrispettoso, ecco perchè. Ne abbiamo già discusso mille volte, non ho intenzione di cambiare idea.”
“Andiamo, Hermione! Nessuno si offenderebbe, mamma sarebbe felicissima di sapere che noi siamo...” ma si bloccò, incerto. “Noi siamo cosa?” chiese Hermione alzando le sopracciglia, la sua voce tendeva all'acuto.
Ma la risposta non arrivò mai. Uno schianto terribile che sembrava provenire dalla casa li fece trasalire, si alzarono di scatto, le mani di tutti e tre corsero alle bacchette, in un riflesso incondizionato.
Entrarono di corsa nel salotto, guardinghi. Fleur sbucò dalla cucina con una faccia sbalordita.
“Che succede?” le chiese in fretta Harry.
“E' Ginnì! Ha comisciato a far esplodere i piatti! E' come impazzita!”
Dalla cucina arrivò un altro schianto, stavolta si poteva sentire distintamente il rumore di qualcosa che andava in pezzi. Harry si precipitò nella stanza senza pensarci.
Ginny stava di fronte al lavello, la bacchetta sfoderata, ai suoi piedi i resti di porcellana delle stoviglie che aveva rotto. La signora Weasley era in piedi di fronte al tavolo ingombro di ciotole e libri di cucina, guardava sua figlia con un'espressione sconvolta, il mestolo ancora in mano.
“BASTA!” urlò la ragazza “BASTA! SMETTILA MAMMA, SMETTILA! NON SERVE A NIENTE FARE COSI'! SONO STANCA, SONO STANCA DI ASPETTARE!”
“Ginny, tesoro...” provò a dire la signora Weasley, ma lei spaccò un altro piatto, facendola trasalire.
“Ehi!” esclamò Ron “che succede Ginny? Calmati.”
“CALMARMI? NON CHE NON MI CALMO! NON VEDETE COME SIAMO RIDOTTI? NON TI SEI ACCORTA, MAMMA, CHE PAPA' QUASI NON TORNA PIU' A CASA? NON TI SEI ACCORTA CHE CUCINI COSI' TANTA ROBA DA DOVERNE BUTTARE VIA?”
“Ginny...” sussurrò Hermione.
“E VOI DUE!” urlò additandola insieme a Ron “PIANTATELA DI FINGERE, COME SE NON SE NE FOSSERO ACCORTI TUTTI CHE STATE INSIEME!”
Hermione aprì la bocca per ribattere ma poi la richiuse subito, imbarazzata.
“Che succede?” tutti si girarono al suono di quella voce, George era apparso, come un fantasma, sulla soglia.
“Succede che non ne posso più!” gli rispose lei abbassando un po' la voce, ma sempre alterata “State lì, come ad aspettare che succeda qualcosa. Tu ti sei rinchiuso in camera tua, ci tratti come se fossimo degli estranei. Non lo capisci che non servirà a nulla?”
“Stà zitta.” le disse George, andandosene “Sta zitta.”
“LO CAPISCI CHE NON LO RIPORTERA' INDIETRO?” urlò lei alla sua schiena. “NON SERVIRA' A NIENTE!”
Si girò verso Harry, che fino ad allora non era stato capace di produrre un solo suono, furiosa. Il ragazzo fissò i suoi occhi accesi quasi provando timore.
“E TU! TU, CHE SEI SPARITO PER PIU' DI UN ANNO SENZA UN BRICIOLO DI SPIEGAZIONE E ADESSO STAI QUI E NEANCHE TI DEGNI DI DIRE QUALCOSA. IO SONO STANCA! DEVO SEMPRE ESSERE MESSA DA PARTE! E' TROPPO PERICOLOSO, GINNY, RESTA NELLA STANZA DELLE NECESSITA! E INTANTO LA GENTE MUORE!
DOVETE SMETTERLA, DOVETE SMETTERLA. NOI SIAMO VIVI! E CONTINUIAMO A COMPORTARCI DA MORTI!” come se avesse esaurito tutto ad un tratto la voce, smise di urlare e quasi di corsa scomparve dalla porta con uno svolazzo scarlatto.
Nella cucina calò un silenzio assoluto, poi la signora Weasley si accasciò su una sedia e cominciò a piangere.
Harry non ci pensò due volte, non l'avrebbe lasciata andare via.
Fu con la sua voce ancora riecheggiante nelle orecchie che la trovò, era nel cortile sul retro , in piedi con le braccia incrociate, la luce della mattina che le faceva scintillare i capelli.
Si avvicinò a lei in silenzio, agli angoli degli occhi le spuntavano delle lacrime discrete. Harry rimase in silenzio a fissarla, aspettando che fosse lei a parlare.
Dopo un tempo che parve infinito udì la sua voce “Mi hai lasciata.” disse piano, non era un'accusa, ma una costatazione.
“Lo so.”
“Te ne sei andato e io l'ho accettato. Non me lo hai spiegato, perchè forse non potevi, ma io ho capito lo stesso.”
“Mi dispiace” disse semplicemente lui, ma avrebbe voluto dirle di quando, tutte le notti, guardava il suo puntino sulla mappa del malandrino andare a letto nella torre di Grifondoro.
“Io l'ho capito, Harry. Ma c'è una cosa che non riesco ad accettare.” fece una pausa, guardandolo fisso negli occhi “Tu eri morto. E' stato terribile. In quel momento, quando ti ho visto tra le braccia di Hagrid, è stato come se... come se tutta la speranza del mondo mi fosse stata estirpata via a forza. Non riuscivo più a pensare a qualcosa di anche solo vagamente felice. Ma poi è stato anche peggio. Poi ho scoperto che nella foresta ci eri andato di proposito, che lo sapevi. Non mi hai nemmeno detto addio.”
Qualcosa di duro, come un sasso, colpì forte il cuore di Harry.
“Non l'ho detto a nessuno. Non potevo, mi avreste fermato.”
Lei rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo. Allora lui continuò “Quando mi hanno portato davanti al castello, nelle braccia di Hagrid, io sentivo tutto. Vi ho sentiti urlare, quando mi avete visto. Vi sentivo e non potevo fare niente. E' stato orribile, è stato peggio che morire.”
Lei si girò verso di lui per guardarlo ed Harry si rese conto di non provare più quello strano senso di disagio che associava alla sua persona ultimamente; qualcosa, dentro di lui, si era come aggiustato. In quel momento, lì con Ginny, sentiva di stare bene come con nessun altro.
“Mi dispiace” le disse un'altra volta “non volevo che così tanti morissero.” aveva usato il plurale, ma sapeva che lei avrebbe capito a chi si riferiva.
“Non puoi salvare tutti, Harry” disse lei, pratica.
“Lo avrei fatto se avessi potuto. Ci ho provato.”
“Lo so.” Allora Ginny sorrise e tutto il suo viso si illuminò “ti sei anche fatto ammazzare pur di salvare il mondo, peccato non ti sia riuscito.”
“Peccato che non mi sia riuscito, eh? Come era che avevi detto? 'come se non ci fosse più speranza', più o meno sono come un dissennatore, no?”
Lei gli tirò uno scappellotto sulla nuca “Ahi!” protestò lui “perchè lo hai fatto?”
“Perchè sei uno stupido.” ma il suo sorriso si fece più largo nel dirlo.
Allora lui capì che non gli aveva mai attribuito nessuna colpa, che l'aveva sempre aspettato, e che lui era stato solo uno stupido.
Così, come se fosse stato il gesto più naturale del mondo, le baciò quel suo sorriso bellissimo, e gli parve che il tempo, tra loro due, non fosse mai trascorso.
 
 
PS:
Eccovi un nuovo capitolo. Lo messo veramente in anticipo su quanto pensavo, ma stamani ho fatto un tema sulla saga di Harry Potter e l'ispirazione mi ha presa a braccetto e non mi ha più mollata.
Ovviamente vi devo ringraziare per i commenti. Questa volta vi ho anche commosso, sono onorata.
Vi prego di continuare a commentare, mi fa sempre piacere sapere cosa pensate.
Parlando del capitolo, sono stata indecisa fino all'ultimo se includere o no l'ultimo pezzettino, da dopo la scenata di Ginny per intenderci. Alla fine ce l'ho messo, niente suspense.
Riguardo a Ginny, mi sembrava che lei potesse “smuovere” la situazione . Ma non mi perdo in auto-commenti, che sennò mi faccio le paranoie. I commenti li lascio a voi.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. In the right way ***



6. In the right way


La ciotola cadde rovinosamente a terra, spaccandosi in tanti piccoli pezzi e rovesciando il porridge sul pavimento in una larga pozza. Le mani della Signora Weasley, che un attimo prima la stavano reggendo, erano corse a coprire la bocca, in un gesto di puro stupore.
I suoi occhi, più quelli di tutti i presenti in cucina, che non erano pochi, seguirono la figura che era appena apparsa sulla porta e, adesso, si stava sedendo a tavola.
“Sarà meglio ripulire.” fece notare George con voce piatta.
Sua madre rimase con le mani alla bocca, ancora scioccata, fino a quando il signor Weasley non si avvicinò a lei e delicatamente le prese i polsi per abbassarli.
“Faccio io Molly.” disse estraendo la bacchetta. Borbottò un “reparo” che ricompose la ciotola e con un altro colpo ripulì anche il porridge che si era rovesciato a terra.
“George” riuscì infine a sillabare la donna.
“Sì, mamma?” rispose lui alzando impercettibilmente le sopracciglia.
“Tu... tu... vuoi del bacon, caro?” aveva ancora un'espressione un po' stralunata ma le sue labbra avevano scoperto un sorriso.
“Sicuro. Sto morendo di fame.” rispose George allungandosi per prendere la pila dei toast.
Intorno al tavolo nessuno aveva emesso alcun suono, sembrava che un polmone gigante stesse trattenendo il respiro di tutti.
Con la bocca piena di uova e bacon, George li fissò ad uno ad uno.
“La piantereste di fissarmi, per cortesia?” disse. “Non sono mica stato io ad aver sconfitto il più grande mago oscuro di tutti i tempi.”
La tensione scoppiò come un palloncino, Ginny sorrise radiosa ad Harry, Hermione fece una specie di risolino acuto lasciando andare dalla presa ferrea, che aveva tenuto tutto il tempo, la mano di Ron, il quale se la massaggiò con vigore, strabuzzando gli occhi alla vista dei segni delle unghie che lei gli aveva impresso.
Quel giorno, né il Signor Weasley che Bill andarono a lavoro.
 
Nessuno, da quando era successo, ne aveva mai parlato. Ma la sfuriata di Ginny non sarebbe potuta essere stata più efficace. Era come se li avesse schiaffeggiati forte in faccia ad uno ad uno.
E sembrava aver funzionato. Certo, la normalità era lontana, forse irraggiungibile, ma, piano piano, qualcosa sembrava muoversi nel verso giusto.
Il Signor Weasley aveva rincominciato a tornare a delle ore decenti dal lavoro e la sua presenza in casa adesso era un qualcosa di reale, oltre che di semplicemente fisico.
Nei discorsi di Charlie affiorava sempre più spesso la parola “Romania” e, impossibile non notarlo, anche Fleur e Bill avevano voglia di tornare alla quiete di Villa Conchiglia.
Tuttavia, erano solo supposizioni, aleggiava ancora nell'aria un certo desiderio di non separarsi, una smania di constatare la presenza l'uno dell'altro, eppure, nello stesso tempo, c'era la volontà di rimanere soli.
Harry avrebbe tanto voluto rimanere solo con Ginny, anche per poco. C'erano molte cose che dovevano dirsi, molte cose che dovevano raccontarsi.
Ma la signora Weasley non sembrava della stessa opinione.
Quando aveva scoperto, grazie alla sua unica figlia, la relazione tra Ron ed Hermione non avrebbe potuto essere stata più felice. Era talmente al settimo cielo che non li lasciava un attimo da soli e la cosa non aveva mancato di destare la massima ilarità da parte di Ginny e Harry. Vedere i loro amici strapazzati da mille richieste e domande sapendo di aver scampato la stessa sorte era quanto di più divertente avessero potuto immaginare.
Ovviamente, fu quella la loro rovina. Dopo giorni passati a prenderlo in giro, Ron, anche piuttosto giustamente, Harry non poteva negarlo, si fece casualmente sfuggire qualcosa a proposito di sua sorella ed il suo migliore amico.
Per la signora Weasley fu decisamente troppo. Due coppie in così pochi giorni erano al di là di ogni suo desiderio. Harry si consolava dicendosi che, almeno adesso, le sue lacrime erano di felicità.
 
“Se mi ripete ancora un'altra volta che ho fatto bene a non perdere le speranze, giuro che l'affatturo!”
Ginny li raggiunse a grandi passi e si lasciò cadere sull'erba vicino ad Harry. Era un bel pomeriggio di inizio Luglio, il calore del sole era stemperato da un venticello leggero che faceva muovere le foglie sui rami. Harry, Ron, Hermione e Ginny erano seduti nei pressi del terreno che i Weasley usavano per giocare a Quiddich, protetti dall'ombra fresca degli alberi su cui frinivano senza sosta le cicale.
“Ginny!” esclamò Hermione indignata, interrompendo per un attimo di sfogliare il giornale che si era portata dietro.
“Non sto esagerando! Andiamo, non mi dite che non vi da fastidio!”
“Lasciala essere felice.” replicò lei.
“Dici così solo perché con te è carinissima, visto che riesci a sopportare il suo piccolo Ronnie.” Ginny proseguì ignorando le lamentele di Ron “ma quando ce l'aveva con te perchè la Skeeter diceva che avevi spezzato il cuore di Harry mettendoti con Krum non eri tanto felice, no?”
“Ma cosa centra questo, adesso?” replicò Hermione piccata, non riuscendo però ad impedire alle guance di diventare rosse.
“Ecco, giusto! Cosa centra? E poi quelle erano bugie!” esclamò Ron ad alta voce “non è vero?”
“Oh, per l'amor del cielo, Ronald, smettila!” gli rispose Hermione “E tu non tirare fuori queste storie ridicole.” aggiunse rivolta a Ginny.
“Non sono ridicole, la storia di Krum è vera.” le rispose la ragazza tranquillamente, guardando il fratello di sottecchi.
“Ehm, Hermione, che dice di nuovo il Profeta?” intervenne velocemente Harry, che aveva visto una
buona dozzina di povere margherite finire i loro giorni stritolate nel pugno di Ron.
Scoccò uno sguardo di rimprovero a Ginny e lei gli sorrise, furba.
“Le solite cose, niente di interessante. Cioè, niente di veramente interessante. A parte...” si interruppe, sfogliando le pagine. “sì, qui si dice che sei partito in viaggio per andare a visitare delle comunità di vampiri.”
“Vampiri? E perchè non ci hai detto nulla, amico?” sghignazzò Ron.
“Ridi quanto vuoi, sono sicuro che ce ne sono anche per te.” replicò Harry “niente di nuovo sul Ministero?”
Hermione scosse la testa ripiegando il giornale.
“Ma andiamo, sarebbe anche l'ora che si dessero una mossa!” esclamò Ginny spostandosi una ciocca di capelli che le era finita in faccia “quanto possiamo stare ancora senza un Ministro?”
“In effetti è da più di un mese che stanno ne stanno discutendo, cosa stanno aspettando?” aggiunse Harry.
“Che tu ti faccia avanti, ad esempio.” disse Hermione distrattamente mentre giocherellava con un filo d'erba.
Il ragazzo, che non si era aspettato una risposta, figurarsi una risposta del genere, restò basito.
“Cosa? Non puoi dire sul serio! Ma dai, è assurdo!”
“Non è così assurdo, se ci pensi. Scrimgeur ti aveva già chiesto di lavorare per il Ministero.”
“Ma era un'altra cosa! Scrimgeur voleva solo usarmi.”
“E cosa credi che vogliano fare, ora? Non dico che ti eleggerebbero Ministro della Magia, questo no. Ma se tu intervenissi in qualche modo, magari esprimendo una preferenza, penso che sarebbero molto contenti.”
“Non succederà mai. Non voglio avere niente a che fare con questi impicci politici, ora. Ne ho già avute abbastanza.” sentenziò Harry stendendosi sull'erba, sopra di lui le nuvole si muovevano placide.
Rimasero in silenzio per un po', ognuno assorto nei propri pensieri. Poi Harry si decise a dire la cosa che gli era passata non poche volte per la mente, negli ultimi giorni.
“Devo andare via da qui.” disse rialzandosi a sedere.
Gli altri lo fissarono ammutoliti, accanto a lui Ginny si irrigidì. “Oh, non ancora...” mormorò con voce flebile “ Harry, pensavo che avessimo già attraversato questa fase.”
“No, no! Non voglio scappare di nuovo! Non è quello che intendevo, state tranquilli.” assicurò lui mettendo le mani avanti “ Penso che sia l'ora di tornare nella casa di Sirius, per me. Ci sono un sacco di cose da sistemare e a questo punto è inutile rimandare. Potrei... stare lì, almeno per il momento.”
Ci aveva riflettuto a lungo e gli sembrava la decisione migliore. Sebbene i Weasley lo trattassero come uno di famiglia, lui sapeva di non poter stare alla Tana per sempre. Sentiva che era giunto il momento di andarsene ma, questa volta, in lui non c'era nessuna smania di fuga, nessuna ricerca di isolamento, dentro di lui si sentiva finalmente tranquillo, adesso che aveva preso una decisione.
“Un giretto a Londra, eh? Non sarebbe male, che dici, Hermione?” chiese Ron.
“In effetti mi stavo chiedendo quando ti saresti deciso, Harry.” rispose calma lei.
“Vuol dire che volete venire con me?”
“Te lo avevamo detto che saremo sempre stati dalla tua parte, amico. Doveva pur venire il giorno in cui ci avrebbe fatto comodo.” disse Ron con un sorrisetto beffardo.
 
 
“Allora?”
“Ron! Lascialo riprendere fiato!” lo rimproverò Hermione “Allora, Harry?” aggiunse poi, con la stessa voce infervorata che aveva usato Ron, quest'ultimo la guardò male, ma non disse niente.
“Allora cosa?” disse Harry in un finto tono innocente, sistemandosi distrattamente gli occhiali sul naso.
“Come allora cosa? Lo hai fatto?” esclamò Ron spazientito.
“Ehm, io... veramente...”
“Non gliel'ha detto! Lo sapevo, io, Hermione!” disse il ragazzo sventolando le lunghe braccia in aria “Ma com'è possibile? Miseriaccia, Harry, hai fatto fuori due Horcrux e ucciso Voldemort e non riesci ad affrontare mia madre!”
“Tecnicamente, era un Horcrux solo. Il diadema è stato distrutto dall'ardemonio di Tiger e...”
“Oh, andiamo, il concetto è lo stesso!” replicò Ron.
“E allora vacci tu, visto che sei tanto bravo!”
“Smettetela, voi due. Così non andiamo da nessuna parte.” intervenne Hermione, accigliata “che è successo stavolta?”
“Io ho provato a tirare fuori la questione, lo giuro. Ma lei ha cominciato a chiedermi di me e Ginny, sapete come fa, quando inizia non la smette più.” Harry fece una pausa, non proprio deciso ad andare avanti con la storia “E allora io ho dovuto cambiare argomento.”
“Ma allora le ne hai parlato!” la faccia di Ron si illuminò di speranza.
“Non ho detto di aver cambiato con quell'argomento.” fece notare lui abbassando gli occhi. “Mi dispiace ragazzi, ma sono le uniche cose che le interessano ultimamente! E se non siamo io e Ginny , allora...”
“siamo io e Ron!” finì per lui Hermione lasciandosi cadere seduta sul suo letto. Erano nella stanza di Ginny, era passato qualche giorno da quando avevano preso la decisione, ma ancora non erano riusciti a dire a tutti della loro imminente partenza.
“Ve l'ho detto, mi dispiace, ma non riuscivo a fermarla. Non faceva altro che farmi domande su domande e ho dovuto cedere.”
“Hai dovuto cedere!” esclamò Ron “Cos'è, ti minacciava con la bacchetta?”
“Andiamo, non facciamone una tragedia adesso.” tentò di ragionare Hermione “Ci ha fatto le stesse domande così tante volte che ormai le sappiamo a memoria. Prima o poi le passerà.”
“Se stai parlando di mamma, non penso che le passerà mai.” Ginny entrò nella stanza e si sedette vicino ad Hermione.
“Dove eri finita?” le chiese lei.
“A salvare Harry. A proposito, Hermione, sappi che mamma ci tiene molto a farti sapere che è proprio contenta che tu sia una ragazza così forte e, aspetta, com'era? Ah sì, padrona di te stessa. Perchè se fosse stato per il suo piccolo Ron, allora avremo aspettato in eterno.”
Ron strinse i pugni e guardò in cagnesco la sorella farfugliando “Questo... io... voi...non lo potete sapere. Non, non ha di sicuro detto questo.”
“Sì che lo ha detto. Perchè non glielo vai a chiedere?” rispose calma Ginny.
“Basta, adesso. Questa storia sta andando avanti da troppo tempo.” disse Hermione, che era arrossita “Siamo adulti e possiamo fare quello che vogliamo. Domani diremo a tutti che abbiamo intenzione di andare a Grimmauld Place, discorso chiuso.” così si alzò di scatto ed uscì dalla stanza, Ron la seguì a ruota con espressione sorpresa, lasciando gli altri due soli.
 
La mattina dopo, al tavolo della colazione, Harry, Ron e Hermione si scambiavano occhiate furtive tra le fette di pane tostato e i mucchi di pancetta, indecisi su come affrontare l'argomento.
Del tutto inaspettatamente, qualcos'altro, qualcosa di molto più grande, portò scompiglio alla Tana, quel giorno.
La notizia arrivò con un grosso allocco bruno che planò sul braccio di Percy Weasley. Quando lesse, quasi gli caddero dal naso gli occhiali. Sotto un'enorme foto a colori, i titoli recitavano.
 

KINGSLEY SHACKLEBOLT, ELETTO NUOVO MINISTRO DELLA MAGIA.
Dopo settimane e settimane di attese, voci di corridoio e mille plausibili candidati il Wizengamot si è riunito ieri sera per designare il nuovo Ministro.
Kingsley Shacklbot, fin dall'inizio dato tra i più favoriti alla carica ha commentato “Sono onorato di poter rappresentare la comunità magica. Abbiamo appena attraversato tempi duri e confusionari, adesso occorre ristabilire un nuovo ordine basato sulla libertà e sull'uguaglianza. Ci muoveremo così per ristabilire al più presto tutti i settori del Ministero.”
CONTINUA DA PAG. 2 A PAG. 10. PER L'INTERVISTA AL MINISTRO DELLA MAGIA A PAG. 12.
 

“Immagino che sia stata la scelta migliore!” disse Percy, tornando alla sua antica pomposità.
“Kingsley! Oh, che notizia! Ma come abbiamo fatto a non sapere nulla prima!” esclamò la signora Weasley con voce acuta, mentre sfogliava febbrilmente il giornale.
“In realtà, Molly cara, io lo sapevo.” disse suo marito con voce innocente, evitando di guardarla negli occhi.
“Cosa?! E si può sapere perchè non hai detto nulla?”
“Era una cosa del Ministero...”
“Una cosa del Ministero, eh? Allora perchè Percy non ne sapeva niente? Kingsley è anche nostro amico, oltre ad essere il nuovo Ministro!”
“Suvvia, Molly, cerca di capire...” bofonchiò il signor Weasley.
“Ne riparleremo dopo, di questa storia.” lei gli puntò un dito contro come una minaccia “ma dovremo organizzare qualcosa. Una cena con tutti i membri dell'Ordine, magari. O forse, adesso che è Ministro della Magia, Kingley non avrà più tempo per frequentare la vecchia compagnia?”
“Non essere ridicola, mamma.” intervenne Ginny “Sono sicura che Kingsley sarà sempre felicissimo di rivedere i suoi amici.”
“Oh, beh, sì. Immagino che tu abbia proprio ragione, Ginny.” disse sua madre massaggiandosi la fronte, come sovrappensiero. “ Smettetela di tirarvi quel giornale, voi tre!” sbraitò poi rivolta a Bill e Charlie che stavano facendo a gara con Percy per poter leggere prima.
Harry stava ridendo divertito quando sentì un dolore lancinante trafiggergli il piede, si lasciò sfuggire una mezza imprecazione ad alta voce, guadagnandosi l'attenzione di tutti.
“Hai detto qualcosa, Harry caro?” gli chiese la signora Weasley.
“Harry stava proprio per dirvi qualcosa di importate.” disse Ginny prima che lui potesse anche solo aprir bocca.
Lui si voltò verso di lei, lanciandole uno sguardo arrabbiato, perchè diavolo gli aveva tirato un pestone del genere?
La risposta gli balenò nella mente, chiara come sole.
“Cosa ci devi dire, Harry?” disse il Signor Weasley.
Ron e Hermione lo guardarono incoraggianti, lui prese un gran respiro e, cogliendo l'occasione che Ginny aveva creato, iniziò a parlare.
 
 
 
 
“Penso proprio che sia ora di andare.” disse Hermione dopo aver ricontrollato la sua piccola borsetta di perline per la quarta volta. Evidentemente portarsela dietro quando doveva viaggiare era diventata un'abitudine.
Harry annuì, distratto. I bagagli erano pronti da giorni e avevano già salutato tutti almeno due volte, ma c'era ancora qualcosa a trattenerlo.
“Sei sicura di voler rimanere?” chiese a Ginny. Ne avevano già discusso a lungo e, sebbene lui sapesse bene la risposta, sentiva di doverglielo chiedere ancora un'ultima volta.
“Sì, te l'ho detto. Mamma ha ancora bisogno di me e George sta migliorando, ma è solo da poco che ha ripreso ad uscire dalla sua stanza. Per ora sento di dover rimanere qui.” disse con calma, guardandolo negli occhi. “E poi” aggiunse “ Io ti ho aspettato per un anno, adesso sarà il tuo turno di aspettare me, altrimenti non sarebbe giusto.”
Lei sorrise e lo baciò piano sulle labbra, come una promessa.
Harry la guardò un attimo ancora, poi, afferrò le mani di Ron e Hermione e il profilo storto della Tana scomparve nella familiare oscurità opprimente.
Il suolo apparve improvvisamente sotto i suoi piedi e l'aria tornò a gonfiare i polmoni, lasciandolo per un attimo spaesato.
Nell'aria tersa della mattina la piccola piazzetta davanti al numero dodici di Grimmauld Place era squallida come sempre. Si diressero verso i gradini del palazzo visibile ai loro occhi e a quelli di pochi altri, Harry si era sempre chiesto cosa avrebbe pensato un babbano vedendo qualcuno entrare nella casa, che effetto faceva, vedere una persona sparire nel nulla?
La porta si aprì sul lungo corridoio polveroso e oscuro, il terzetto entrò, perfettamente consapevole di cosa sarebbe successo. Ma non accadde nulla.
“Penso che sia perchè Piton è... morto.” disse Hermione piano, poi si fece avanti, accendendo le lampade con la bacchetta piano piano che avanzava.
Ad Harry parve di essere saltato a piè pari in un suo stesso ricordo, la casa sembrava essersi fermata da quando se ne erano andati, come se avesse passato tutto quel tempo ad aspettarli. Le teste degli elfi li guardavano con occhi vuoti dalle pareti delle scale, dove il ritratto della madre di Sirius era celato da vecchie e pesanti tende.
“Dov'è Kreacher?” chiese Ron, a cui la vista delle teste aveva forse suggerito la domanda.
“Non lo so. Non ho idea di dove vada quando io non ci sono, in effetti.”
“Dovrebbe essere qui, gli elfi sono legati alla propria casa.” la voce di Hermione si allontanò, mentre lei saliva le scale.
Harry provò a chiamarlo un paio di volte, ma l'elfo non apparve. Dentro di lui sentì qualcosa stringersi all'altezza dello stomaco, Kreacher aveva sempre risposto, anche quando non avrebbe voluto.
“Magari sta solo dormendo.” tentò Ron con fare rassicurante. “Dai, andiamo su a sistemarci, poi lo possiamo cercare.”
Salirono le scale fino al primo piano, dove c'era la camera che lui e Ron avevano condiviso quando la casa era ancora il quartier generale dell'Ordine, ma adesso, proprio come quando vi si erano rifugiati prima di infiltrarsi al Ministero, non c'era più motivo per cui stessero nella stessa stanza, con tutto lo spazio che avevano a disposizione.
Harry decise che avrebbe preso la stanza del suo padrino e, insieme, salirono fino al penultimo piano dove sapevano ci fosse la camera di Hermione.
Il pianerottolo era deserto, una delle porte era socchiusa, l'altra spalancata. Harry fece qualche passo dentro la stanza buia, cercando Kreacher, Ron rimase fuori , in piedi sulle scale.
Dietro di lui, risuonò un cigolio e una voce fredda gli arrivò alle orecchie, facendogli accapponare la pelle del collo
“Adesso girati, molto lentamente. E non cercare di tirare fuori la bacchetta, se non vuoi che alla vostra amichetta, qui, succeda qualcosa.”
 
 
Ps:
Grazie mille a chi segue questa ff, alle due persone che l'hanno messa tra i preferiti, a chi la commenta, a chi l'ha letta e anche a chi-ma sì perchè no, sono in vena- non l'ha fatto.
Capitolo non molto movimentato ma per me fondamentale per andare avanti. E questa volta ce l'ho messa, la suspence.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. Sometimes they come back ***


7. Sometimes they come back


Harry si voltò lentamente, quasi con la speranza che quella voce fosse solo un sogno.
Un brutto sogno.
Sentiva tutti i muscoli del proprio corpo tesi allo spasimo, un gelo innaturale gli era calato addosso, come se il sangue si fosse improvvisamente ghiacciato nelle vene.
Non voleva crederci, non poteva crederci.
Davanti a lui, proprio in mezzo al pianerottolo, un uomo alto aveva immobilizzato Hermione, stringendole le braccia in una morsa ferrea e dolorosa. La ragazza stava guardando con terrore la bacchetta che lui le puntava contro, a pochi centimetri dal viso.
Pochi gradini sopra di loro, Ron era bloccato dallo stupore e dalla paura, proprio come Harry.
“Sorpreso di vedermi, Potter?” chiese quello con un ghigno malefico dipinto sulla faccia lunga e storta.
“Yaxley” il sussurro di Harry fu appena udibile.
“Però, sei sveglio.”
Non era possibile. Lo aveva visto, sconfitto da George e Percy nella sala grande, ne era sicuro.
“Ti starai chiedendo come faccio ad essere qui, immagino. Lasciami rispondere. Vedi, mentre voi stolti eravate impegnati a festeggiare, io ne ho approfittato. Sono fuggito, come molti altri, ma, a differenza di loro, mi sono nascosto molto meglio. Non era difficile, dopotutto. Non con tutta la confusione che c'era al ministero in quei giorni. Non sapevano chi cercare, chiunque poteva essere morto in battaglia. Bastava aspettare, e io l'ho fatto.”
Hermione tentò di divincolarsi dalla sua presa ma lui, tenendola ancor più stretta, le rifilò una ginocchiata alle gambe, che la fecero cadere a terra. “Evidentemente non vi interessa quello che ho da dire. Tanto peggio per voi. E tu, “chinò la testa ad un soffio da quella di Hermione e con una mano le tirò i capelli con forza “ti conviene stare calma, ci sono un sacco di cose che potrei farti, prima di ucciderti.” Nonostante non le trattenesse più le braccia, Hermione non osò muoversi.
Harry vide Ron stringere i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, il suo ruggito rimbombò immediatamente nell'aria “Lasciala andare! Tu, schifoso bastardo, non osare toccarla o...”
“O cosa?” chiese Yaxley, chinando la testa in direzione di Ron. “Non penserai mica di riuscire a salvarla, vero? Sei proprio un idiota. Dovresti scegliere meglio tra chi ti è fedele, Potter. E poi, visto che sembri non essertene accorto, non la sto forse già toccando?” disse il Mangiamorte con un'altro ghigno mentre strattonava con ancor più violenza i capelli di Hermione. Alla ragazza uscì un gemito dalle labbra e dagli occhi le lacrime cominciarono a cadere.
Fu un attimo.
Harry vide tutto come a rallentatore. Ron, la faccia contratta in una maschera di rabbia e dolore, scese i gradini che lo separavano dal pianerottolo. Harry lo guardò, implorandolo senza voce di fermarsi e anche Hermione gli lanciò uno sguardo simile tra le lacrime, ma non funzionò.
Come una furia, senza nemmeno preoccuparsi di estrarre la bacchetta, si lanciò contro Yaxley che invece aveva la bacchetta pronta. Harry fissò il suo braccio muoversi e percepì l'incantesimo che stava per arrivare. Ron era a pochi centimetri, sarebbe stato colpito, proprio in pieno petto.
Allora qualcosa dentro di lui si mosse, senza neanche accorgersene percepì la sua mano estrarre la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e puntarla in un punto ben preciso, tra Yaxley e Hermione.
La potenza del sortilegio scudo scaraventò la ragazza in avanti, facendole sbattere la faccia sul pavimento. Yaxely rimase bloccato dov'era ,così come Ron, con in mano parecchie ciocche dei capelli di Hermione.
Ripresosi subito dallo stupore alzò la bacchetta verso Harry e spezzò il suo scudo in un solo colpo. Con un secondo di ritardo di troppo Harry disse “Expe...”, Yaxley lo stava proprio per bloccare quando l'incantesimo di Ron giunse, più veloce. Dalla sua posizione Yaxley non poteva bloccarlo, ma avendolo comunque sentito, visto che era verbale, si chinò in avanti. Lo schiantesimo mancò Harry per un pelo, qualche centimetro e se lo sarebbe preso dritto sulla fronte. Non potevano combattere così, sul quel pianerottolo minuscolo, rischiavano di essere colpiti dai loro stessi incantesimi.
Anche Yaxley doveva aver pensato la stessa cosa, perchè indietreggiò verso una delle camere, in modo da riuscire ad averli sotto tiro tutti e due, ma stette immobile. Harry si guardò intorno nella speranza di farsi venire una buona idea. Hermione era ancora stesa a terra, ma come constatò con gran sollievo, il respiro le faceva alzare ed abbassare le spalle ritmicamente.
Ron lo guardava con gli occhi spalancati, in cerca di aiuto. Harry sapeva esattamente cosa era a preoccuparlo, perchè preoccupava anche lui. Yaxley era vicino ad Hermione, era troppo vicino ad Hermione. Se l'avesse ripresa in ostaggio loro non avrebbero più potuto fare niente, non avrebbero mai rischiato, anche se erano due ad uno.
Yaxley ridacchiò freddo, aveva appena avuto la sua stessa idea, Harry ne era sicuro. Dovevano fare in fretta, dovevano portarlo via da quello spazio ristretto, ed allora avrebbero potuto combattere.
Guardò Ron, sperando che capisse, che facesse qualcosa, qualunque cosa.
“Che c'è?” disse lui, attirando l'attenzione di Yaxley “Adesso hai paura? Per uno che è riuscito a fuggire agli Auror del ministero, non sei molto sveglio.”
Fu abbastanza. Harry pronunciò velocemente l'incantesimo e delle corde scaturirono dalla sua bacchetta, pronte ad attorcigliarsi al corpo del mangiamorte. Lui le bloccò appena in tempo, ma una corda riuscì comunque ad avvolgergli le gambe, facendogli perdere l'equilibrio. Cadde in avanti come un sacco di patate, travolgendo Harry.
L'incantesimo di Ron volò sopra le loro teste e il ragazzo abbe appena il tempo di gridare, prima di cadere sotto il peso di Yaxley giù per le strette scale.
Rotolarono assieme per quella che sembrò un'eternità ma che, Harry lo sapeva, era solo una rampa. Ogni scalino gli si conficcava nella schiena come una lama, mozzandogli il respiro. Quando arrivò al pianerottolo la testa gli girava così tanto che, per un attimo, considerò seriamente la possibilità di rimanere lì disteso, ma sapeva perfettamente che non poteva farlo, accanto a lui il Mangiamorte sembrava svenuto. Con uno sforzo immenso che gli procurò una fitta acuta allo sterno si alzò , con disgusto capì che qualche costola doveva essersi incrinata, se non rotta. Non riusciva a vedere niente, nella caduta doveva aver perso gli occhiali, fece per appellarli ed allora si accorse di non avere la bacchetta. Un brivido di terrore gli scese giù per la schiena. Doveva trovare gli occhiali, ed anche in fretta, non aveva nessuna possibilità di farcela cieco e disarmato com'era. Cercò a tentoni intorno a lui fino a che non urtò qualcosa di solido, qualcosa che assomigliava dannatamente ai suoi occhiali. Li inforcò senza pensarci due volte ed il mondo fu subito più chiaro, una lente era incrinata, ma almeno ci vedeva qualcosa.
Strisciò fino ad entrare in una delle stanze e si appoggiò al muro, tentando di riprendere il respiro, lo sterno gli mandava fitte allucinanti. Sbirciò furtivamente oltre lo stipite della porta, Yaxley era ancora a terra, ma adesso stava tossendo e rantolando, mentre cercava di alzarsi. Harry pregò che anche lui avesse perso la bacchetta, ma non era così. Il sottile stecco di legno era in mano al mangiamorte, intatto.
Dove diavolo era finito Ron? Era l'unico che potesse salvarlo.
Harry riuscì a mettersi in piedi e si addentrò ancora di più nella stanza, nella speranza di nascondersi.
“Giochiamo a nascondino, Potter?” disse Yaxley con voce roca, la caduta doveva aver destabilizzato anche lui. “Molto coraggioso da parte di quello che si vanta di aver posto fine ai giorni del signore Oscuro.” Da dietro l'armadio dove si trovava, Harry fremette.
“HARRY! HARRY!” l'urlo di Ron arrivò smorzato, da qualche parte sulle scale. “MA CHE DIAVOLO? BOMBARDA! AHHHHH! MA E' RIMBALZATO! HARRY!”
“E' inutile che ci speri, i tuoi amici non arriveranno mai qui. Ho bloccato l'ingresso con la magia. E' finita, devi accettarlo.”
Non poteva essere, non poteva finire, non in un modo così stupido. Erano stati avventati, Harry lo sapeva bene, a piombare a Grimmauld Place senza nessuna precauzione. Avrebbero dovuto ricordare che Yaxely sapeva, molto probabilmente era rimasto lì ad aspettarli tutto il tempo. E loro erano caduti nella sua trappola.
“Allora? Continui a nasconderti come un codardo? Sai, probabilmente è meglio per te venire fuori da solo, o dovrò pensarci io.”
Lentamente Harry si staccò dall'armadio e, con il cuore che gli balzava in gola, si mostrò al mangiamorte.
Yaxley aveva un grosso spacco su un labbro e uno zigomo gonfio e tumefatto, ma per il resto sembrava illeso. Aveva due bacchette, Harry riconobbe con un brivido la sua.
“Bravo, molto bene. Vedo che cominciamo ad intenderci.”
“Cosa vuoi, Yaxley?” chiese Harry senza neanche sapere perchè lo stesse facendo.
Lui alzò le sopracciglia, “Cosa voglio?”
“Non c'è bisogno che tu lo faccia. E' finita, ormai. Non servirà a niente catturarmi, non hai più un signore a cui rispondere.”
Lui rise, finto. “Ma io non lo faccio per qualche ordine o merito. Vedi, so perfettamente che il signore Oscuro non ritornerà, non lo farà perchè tu lo hai ucciso ed adesso io ucciderò te.”
“Non contavi nulla per lui!” si ritrovò a gridare Harry “nessuno contava nulla per Voldemort, avrebbe ucciso tutti pur di conseguire il suo scopo.”
Lontano risuonarono gli urli di Ron, incomprensibili.
“E tu credi che io non lo sappia? Oh, no, lui non mi ha mai apprezzato fino in fondo. Ma adesso non ha più importanza. Adesso sarò colui che ha ucciso il grande Harry Potter!”
“Sei un pazzo. Che cosa hai da guadagnarci?”
Lui inclinò la testa e ghignò “Che cosa ho da perderci, vorrai dire.”
Harry capì che non lo avrebbe mai convinto. Chiuse gli occhi, maledicendosi. Era tutta colpa sua, sarebbe morto, sarebbero morti, ed era tutta colpa sua.
Un rumore sordo rimbombò sul soffitto, facendo alzare la testa ad entrambi, il lampadario stava tremando. Harry non fece neanche in tempo a chiedersi cosa stesse succedendo prima che un boato assordante gli traforasse i timpani. In una nuvola di polvere uno squarcio si aprì come una ferita sul soffitto ed insieme ai detriti caddero anche due figure. Harry riconobbe il lampo rosso che sfrecciò nell'aria e si lanciò in avanti per recuperare Ron e Hermione. La polvere era così densa che riuscivano a malapena a vedersi, tra i rantoli e i colpi di tosse Hermione,che aveva la faccia coperta di sangue e il naso molto probabilmente rotto, riuscì a dire “Le scale... erano... erano bloccate.”
“Abbiamo dovuto trovare un'altra strada.” aggiunse Ron, cercando di trovare Yaxely in tutto quel polverone.
“Ma che diavolo!” rantolò la sua voce “non riuscite mai ad arrendervi, eh? Siete solo degli sciocchi! Avada Kedavra!”
il raggio verde della maledizione li mancò di molto, infrangendosi da qualche parte sulla parete, preso dalla rabbia il mangiamorte aveva cominciato a tirare a caso.
“Exbelliarmus!” gridò Hermione, ma il naso rotto le impediva di pronunciare bene l'incantesimo, che non funzionò.
Yaxely le lanciò contro un'altra maledizione e, adesso che la polvere si era diradata, la sua mira fu migliore, così che la mancò per un soffio, Ron l'aveva tirata via per un braccio appena in tempo.
“Impedimenta!” gridò il ragazzo, ma lo mancò. Presero a lottare, Ron che urlava incantesimi ed Hermione che usava i non verbali, in cui era altrettanto brava. Ce l'avrebbero potuta fare, ma il problema era che Yaxley continuava a mirare ad Harry, che così indifeso, costringeva gli altri due a proteggerlo in continuazione, il resto del tempo lo impiegavano a schivare i lampi verdi di morte che sfrecciavano per tutta la stanza.
“Ahahaha!” rise l'uomo, folle “non ce la farete mai, non fate abbastanza sul serio! Farete la fine di quell'orribile elfo domestico che ha tentato di fermarmi!”
Le viscere di Harry si contrassero orribilmente “Cosa hai fatto a Kreacher?” urlò.
“Oh, che tenero, lo chiami per nome? Mi è stato molto utile, a dire il vero.”
“Tu, razza di bastardo!” gridò Ron, cominciando a lanciare incantesimi a casaccio. Yaxeley li parò tutti, ma fu costretto ad indietreggiare verso il pianerottolo. Ancora una volta, si ritrovavano in quello spazio stretto. Harry si sentiva inutile, senza la bacchetta. Avrebbe voluto prendere quella di Hermione, che non era neanche in grado di pronunciare per bene un incantesimo, ma prima di che potesse fare qualsiasi cosa, la ragazza agì.
Fu Yaxely a commettere l'errore, era appena riuscito a colpire Ron con un brutto incantesimo, un taglio si era aperto sulla spalla del ragazzo, sanguinando abbondantemente, il mangiamorte aveva sorriso, beffardo e trionfante, assaporando la vittoria, e Hermione lo aveva colpito.
Harry l'aveva vista correre sul pianerottolo e, con un movimento complicato della bacchetta, l'incantesimo si era infranto sul petto di Yaxely, gettandolo all'indietro con forza. La ringhiera di legno cedette con un rumore sinistro, l'uomo si aggrappò alla prima cosa che vide, una manica.
Il mangiamorte scomparve nel vuoto, trascinando con sé Hermione.
 

Ad Harry ci volle un attimo per realizzarlo, l'immagine del viso di Hermione, un momento prima esaltato dalla vittoria, un momento dopo terrorizzato, continuava a riprodursi all'infinito, come un nastro. L'urlo di Ron gli arrivò lontano, tutto era ovattato, i suoi passi veloci che attraversavano la stanza, l'orribile tonfo di un corpo che cadeva.
Vide l'amico tuffarsi in avanti oltre il bordo del pianerottolo e per un attimo non capì che cosa stesse facendo. “Aiutami!” il suo ruggito lo riscosse, facendogli tornare a sentire di botto tutti i rumori.
Si sporse oltre l'abisso delle scale e il cuore perse un colpo, Hermione stava penzolando nel vuoto, attaccata con una mano ad un palo che si era staccato dalla ringhiera, pericolosamente instabile.
“Prendi la mia mano!” Ron quasi la stava implorando, la faccia contratta dalla paura.
Ma Hermione era molto più in basso e quei pochi pollici che mancavano tra la sua mano e quella di Ron erano un ostacolo insormontabile.
“Non ci arriva!” esclamò Harry, “Scendi più in basso, ti reggo io.”
Afferrò il più saldamente possibile la felpa di Ron con una mano, mentre con l'altra gli teneva il busto. Il suo braccio si allungò di poco, ma fu abbastanza. “L'ho presa!” urlò trionfante.
Harry cominciò a tirare, ma non era facile, lui non era molto forte.
“Non mi lasciare, hai capito? Hermione, non devi assolutamente lasciare la mia mano. Ce la faremo, ma tu non lasciarla.”
Piano piano, ce la fecero. Lentamente Ron tornò guadagnò sempre più spazio sul pavimento e alla fine issarono su Hermione insieme, graffiandosi sulle schegge di legno dei resti della ringhiera.
Anche quando la ragazza fu al sicuro, non mollò la presa su Ron, si rannicchiò su se stessa e, nascondendo il viso tra le mani, cedette alle lacrime. Harry si alzò dolorante, mentre Ron, con un braccio attorno alle sue spalle, tentava in qualche modo di calmare i singhiozzi di Hermione.
Il ragazzo distolse lo sguardo, sentendosi superfluo, e guardò oltre la balaustra, nel precipizio delle scale, dove, in fondo, si vedeva una figura scura.
“Yaxely è...” bofonchiò “io, vado a controllare.” scese i gradini in fretta, con un presagio oscuro che incombeva su di lui.
L'uomo era caduto di schiena, le braccia e le gambe aperte scompostamente, come se si fosse buttato a letto dopo una giornata particolarmente pesante. Avvicinandosi, Harry mise il piede su qualcosa di duro, si chinò e riconobbe la bacchetta del mangiamorte, rotolata via nella caduta. La prese con due dita, come fosse una cosa infetta, e se la mise nella tasca dei pantaloni. Poi rimase lì immobile a fissare la nuca di Yaxley, voltata dalla parte opposta, un solo passo e l'avrebbe visto in faccia, avrebbe visto i suoi occhi vuoti.
Potrebbe essere solo svenuto, gli disse una vocina dentro la testa. C'era un solo modo per saperlo, Harry ne era consapevole.
Si inginocchiò accanto al corpo e posò la punta delle dita sul collo, in cerca di un battito. Yaxley aveva gli occhi chiusi, tra le labbra affiorava rosso il sangue. Harry sapeva che era morto, lo sapeva da quando lo aveva visto, lì disteso, con la faccia distorta dalla rabbia come ultima espressione.
“Non c'è battito.” disse ad alta voce “E'... morto.”
Non ci fu risposta immediata, ma dopo qualche minuto il rumore dei passi risuonarono per le scale.
Ron e Hermione apparvero sull'ultima rampa e il loro sguardo corse subito al corpo steso sul pavimento. Hermione, che stava ancora piangendo, sebbene con un certo controllo, fu scossa da un sussulto più forte. Aveva gli occhi cerchiati e rossi, e la faccia ed i capelli impastati del suo stesso sangue. A malapena si riconosceva il suo vecchio naso, tanto adesso era gonfio e livido.
Ron, sebbene tentasse di non darlo a vedere, doveva soffrire molto per il taglio alla spalla. Il sangue gli aveva inzuppato tutta la manica della felpa e gocciolava dalle sue dita, lui si teneva il braccio con l'altra mano, serrando i denti, pallido in volto.
“Krrrrrrr.. rrr” rantolò Hermione incomprensibilmente, con la bocca ancora impastata di lacrime.
“Calma, calma.” le disse Ron “E' tutto finito.” allungò il braccio sano per cingerla, ma lei lo scansò, continuando a parlare.
“Credo voglia dire qualcosa.” disse Harry, “Hermione, respira, cosa vuoi dire?”
“Lui, lui... a, a, abeba detto che Krrr....” allora chiuse gli occhi, si concentrò un attimo e spazzò via le lacrime con il dorso della mano. E alla fine disse semplicemente “Kreacher.”
Quell'unica parola colpì Harry con la forza di una valanga, nella foga degli eventi si era dimenticato cosa aveva detto il mangiamorte, prima di morire. “Farete la fine di quell'orribile elfo domestico che ha tentato di fermarmi!”...“Mi è stato molto utile, a dire il vero.”
Un brivido gli corse lungo la schiena, aprì la bocca per parlare, ma si accorse di non avere abbastanza aria per farlo. Nella sua testa, intanto, la morte di Dobby si ripeteva, vivida come non mai, e trovava sempre più parallelismi con Kreacher.
“Va bene” disse Ron prendendo in mano la situazione “magari stava solo bluffando. Adesso ci dividiamo e il primo che lo trova chiama gli altri. Harry, dov'è finita la tua bacchetta?”
“Non lo so, l'aveva presa Yaxley, ma qui ho trovato solo la sua.”
“Allora usala per abbellarla.” suggerì Hermione con una vocina piatta.
Harry lo fece, pregando dentro di sé che non si fosse rotta. Sfrecciando nell'aria da qualche parte diversi piani di sopra, la bacchetta di agrifoglio ritornò, integra, ad essere impugnata dalla sua mano.
“Bene, andiamo.” disse il ragazzo cercando di mantenere la calma.
 

Fu Harry a trovarlo per primo. Fu la prima cosa che vide quando entrò nell'ampia cucina del seminterrato. Era steso a terra, un sacco grigio e immobile.
Si precipitò in ginocchio dall'elfo e chiamò a gran voce i suoi due amici. Non osava toccarlo.
Il medaglione che portava al petto si era rotto, sembrava come fuso al centro.
“E'...?” chiese Ron, una volta che lui ed Hermione furono arrivati nella stanza.
“Non lo so, guardate il medaglione, sembra che sia stato colpito da un incantesimo... è... è possibile?”
Hermione scosse la testa. “Dod se è stato l'anateba che uccide.”
“Bhè, potrebbe averlo solo schiantato.” insistette Harry.
“Ehi! Ha appena respirato!” esclamò Ron. Tutti e due fissarono intensamente il petto di Kreacher, che sembrava immobile, ad un tratto, però, Harry vide quello che sembrava un impercettibile movimento. Strizzò gli occhi, credendo di esserselo solo immaginato.
“Ron...” sussurrò Hermione.
“Vi dico che lo ha fatto!” mentre lo diceva, un grugnito risuonò nell'aria.
Si fissarono a vicenda con cipiglio interrogativo. “Che c'è? Non sono stato io!” esclamò Ron.
Ed infatti aveva ragione, quel rumore proveniva da Kreacher. Con qualche rantolo, l'elfo prese a respirare più forte, come se si stesse solo agitando nel sonno.
“Kreacher?” lo chiamò Harry più volte, avvicinandosi a lui.
Allora Kreacher scosse la testa facendo muovere le lunghe orecchie da pipistrello, mormorando qualcosa.
“Che sta dicendo?” chiese Harry, gli altri due alzarono le spalle.
“Grrrrr..... feccia, sporco traditore, vieni nella nobile casa dei Black e ti nascondi come un codardo, grrrr.... brutta sanguisuga sudicia...”
Harry spalancò gli occhi tirando un gran sospiro, sbalordito. Ron aveva la bocca aperta, come se stesse per dire qualcosa. Si guardarono e poi, improvvisamente, cominciarono a ridere, un po' nervosi un po' sollevati, ma incredibilmente stanchi.
 
 
Ps:
Se qualcuno mi stava aspettando, allora mi scuso per il ritardo. Di solito aggiorno una volta a settimana (e più o meno fin'ora mi è riuscito), ma stavolta ne ho saltata una.
Un ringraziamento speciale va a Enide che mi lascia sempre delle bellissime recensioni. Ringrazio anche tutti gli altri che l'hanno letta, le dodici persone che la seguono, e le tre che l'hanno messa tra le preferite (sono molto contenta, davvero).
Se mi lasciaste un commentino sarei ancora più felice, mi farebbe veramente piacere sapere cosa ne pensate, nel bene e nel male. Vi chiedo un minuto, nulla di più. :D
Riguardo alla storia, mi sono documentata prima di infilarci Yaxley, non ci sono notizie in quanto alla sua morte, quindi mi sono presa questa libertà. Inoltre era l'unico ad aver visto il numero dodici, quindi poteva tornare.
Goodbye.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8.Marauder's Memories ***


8.Marauder's Memories


Fuori dalla finestra il sole splendeva sereno, annunciando una bella giornata estiva, ma Harry non avrebbe potuto sentirsi più in disaccordo con il tempo, non in quel momento. Con un gesto di stizza chiuse le pesanti tende tarmate di velluto verde, sollevando una nuvola di polvere. Sebbene immersa nella penombra, la stanza di Sirius era ancora ben definita. Harry aveva passato tutta la mattina a sistemare la camera del suo padrino, isolandosi completamente dagli altri. Non aveva trovato molto di più di quello che aveva già preso ben più di un anno prima, ma c'erano un paio di cose che lo avevano interessato.
C'erano due foto molto vecchie e sciupate che erano sopravvissute. La prima ritraeva Sirius e suo padre insieme in un giardino, Harry aveva pensato che molto probabilmente era stata scattata nella casa dei Potter, durante uno dei soggiorni estivi di Sirius. I due ragazzi, che dimostravano più o meno quindici anni, sorridevano, senza guardare l'obbiettivo perché presi di sorpresa da uno dei nonni di Harry. In mano tenevano entrambi un manico di scopa.
La seconda, invece, era chiaramente una foto in posa. Era stata scattata ad Hogwarts e immortalava Lupin nel suo sesto anno, appuntato sulla divisa brillava il distintivo di prefetto. Harry l'aveva presa per portarla ad Andromeda, voleva che il piccolo Ted potesse vederla.
L'ultimo oggetto era un libro scolastico, una vecchia copia di Storia della Magia. Quando l'aveva vista, Harry non aveva subito capito come mai Sirius avesse deciso di conservare un libro e perché, tra tutti, avesse scelto proprio quello. Il ragazzo ricordava le lezioni del professor Ruf come qualcosa di estremamente noioso dove nessuno, tranne Hermione, prestava attenzione. Aveva aperto il libro, curioso, sfogliando le pagine ingiallite. Fu sorpreso di vedere che sulla carta la scrittura stampata era stata sostituita da una calligrafia manuale in molti casi. La cosa si ripeteva per tutto il libro, a volte anche intorno al testo, come se il suo padrino avesse scritto delle note. Ma quelli non erano affatto appunti, Harry lo aveva capito subito. Le frasi erano state scritte in quattro calligrafie diverse, che si alternavano rigo dopo rigo. Leggendo, Harry aveva compreso che erano conversazioni. Era come se i Malandrini, perché chi aveva scritto quelle cose erano senz'altro loro, si scambiassero in quel modo i messaggi durante la lezione.
Il ragazzo aveva letto con interesse, lasciandosi trasportare dalle immagini ormai perdute che quelle frasi evocavano. Presto era stato in grado di associare ad ogni persona l'esatta calligrafia corrispondente. Sirius aveva una scrittura lunga e obliqua, elegante, sebbene disordinata. Suo padre aveva una certa stravaganza nel vergare le maiuscole e spesso le faceva in modo differente, come se stesse cercando qualcosa di originale e vistoso. Remus, come Harry aveva notato, era quello che scriveva di meno, ma quando lo faceva era ordinato e preciso. Minus aveva una calligrafia piccola e tondeggiate, quasi illeggibile.
Andando avanti nella lettura, Harry aveva sentito il cuore stringersi sempre di più, gli faceva un certo effetto pensare che quelle persone, che un tempo avevano scritto quelle frasi lettera dopo lettera, adesso erano tutte morte. In quel momento gli occhi gli erano pizzicati di lacrime e lui si era sentito solo più che mai.
Il suo stomaco brontolò, vuoto da troppo tempo. Era dal giorno prima che praticamente non toccava cibo. Dopo che una squadra di Auror più Kingsley era arrivata per prelevare il corpo di Yaxley e raccogliere le loro deposizioni, Harry si era eclissato nella propria stanza, con l'unico desiderio di dormire. Nessuno lo aveva disturbato, per quanto ne sapeva, Ron e Hermione potevano anche essersene andati.
Nonostante il cattivo umore, decise che era il momento di uscire da quella stanza, rinchiudersi non sarebbe servito a nulla ed in più aveva fame. All'ultimo momento decise di portare con lui il libro per farlo vedere ai suoi amici.
La cucina del seminterrato lo accolse avvolgendolo con l'aroma speziato di una delle zuppe di Kreacher. Appena lo vide, l'elfo batté le mani soddisfatto, blaterando qualcosa mentre lo spingeva a tavola e gli rifilava una scodella di ministra fumante. Harry lo guardò alla ricerca di qualche segno di debolezza, ma il vecchio elfo sembrava stare più che bene. Si era ripreso subito dopo l'attacco e, nonostante Harry avesse provato in tutti i modi a farlo riposare, Kreacher si era dato subito da fare per rendere quella casa abitabile.
Accanto a lui, Ron e Hermione erano già seduti da molto tempo, a giudicare dalla zuppa di Ron, che non fumava più. Il ragazzo la stava rimestando, pensieroso, mentre Hermione, di fronte a lui, leggeva il Profeta con espressione corrucciata. Quando era entrato, gli avevano fatto segno di saluto, senza però chiedergli niente. Harry accettò quel tacito accordo di buon grado, non aveva voglia di parlare dell'accaduto, proprio come loro.
“Cos'é quello?” chiese Hermione alzando il naso, che era tornato dritto, dal giornale. Aveva insistito per non andare in ospedale e un Auror esperto in incantesimi di guarigione l'aveva aiutata a sistemarsi.
Harry le allungò il libro. “L'ho trovato in camera di Sirius, è la copia di Storia della Magia che usava a scuola. Credo che lui, mio padre e gli altri la usassero per scambiarsi messaggi.”
Hermione annuì lievemente mentre, con le sopracciglia aggrottate, scorreva velocemente le pagine.
“Fà vedere.” disse Ron allungandosi per prendere il libro dalle mani di Hermione.
“Parlano di tutto” continuò Harry “Praticamente va dal terzo anno in poi, ci sono un sacco di discussioni sulla mappa del Malandrino, ad esempio.”
Ron sghignazzò attirandosi gli sguardi interrogativi degli altri due.
“Sentite qua.” disse, cominciando a leggere una pagina, più o meno in fondo al libro. “Cosa è successo?- Ramoso ha chiesto di uscire alla Evans un'altra volta, e lei lo ha respinto come se fosse un troll, un'altra volta.- Non è vero! -Devo essermi perso qualcosa, James, a me sembrava ti avesse detto che preferiva bere pus di Bobotubero. -Beh, sì. Ma stavolta mi ha sorriso mentre lo diceva! In realtà vuole uscire con me, ve lo dico io. - A me sembrava più un'espressione disgustata, piuttosto che un sorriso. - Remus! Pensavo stessi seguendo la lezione! -Non se voi continuate a blaterare come delle oche pettegole.”
Harry ed Hermione sorrisero, divertiti.
“Bella trovata per passare le lezioni di Ruf! Avremo dovuto pensarci noi, come credi che abbiano fatto?” disse Ron, mentre sfogliava altre pagine. Hermione gli lanciò un'occhiataccia, ma non gli rispose.
“Penso che si passassero il libro, no? Come dei semplici bigliettini.”
Hermione inarcò le sopracciglia, spalancando gli occhi. “Non credo proprio. Sarebbe stato scomodo, oltre che troppo rumoroso e visibile. Credo che abbiano incantato i libri, ognuno scriveva sul proprio e la frase appariva su quello degli altri, è un incantesimo piuttosto semplice. E poi” aggiunse, piuttosto acida “Storia della Magia è una materia interessantissima, se voi foste stati più attenti a lezione, ve ne sareste accorti!”
“Libri incantati!” esclamò Ron “Geniale! Immaginate come sarebbe stato se gli avessimo avuti!”
Hermione aprì la bocca per ribattere, piccata, ma Harry fu più veloce “Cosa dice la Gazzetta del Profeta oggi?” chiese prima di ingollare un cucchiaio di zuppa, trovandola squisita.
Hermione parve un attimo indecisa sul da farsi, poi, scoccando un'ultima occhiataccia a Ron, che era tornato a rimestare nel suo piatto, chiuse il giornale, in modo che si vedesse la prima pagina.
Harry scorse qualcosa che assomigliava molto a Kingsley.
“Hai presente quando abbiamo chiesto a Kingsley di mantenere la massima riservatezza? Beh, sono sicura che ci abbia provato, ma non ha funzionato un granché, in effetti.” disse Hermione facendo una smorfia.
“Per niente, direi.” aggiunse Ron “Aspetta solo che mamma legga il Profeta, ci manderà milioni di lettere, sempre che non si presenti direttamente qui.”
Harry voltò il giornale, in modo da poter leggere i titoli. La prima pagina diceva:
 
MANGIAMORTE RESTA UCCISO DURANTE SCONTRO: CI SARA' SEMPRE POTTER A SALVARCI?
 
Nella giornata di ieri, durante un breve e violento scontro avvenuto nella casa dove attualmente risiedono Harry Potter, Ron Weasley ed Hermione Granger, un Mangiamorte è rimasto ucciso.
Pare che il mago abbia teso un agguato al noto trio, minacciando la loro vita. Da quanto emerge dalle poche dichiarazioni si sarebbe trattato di un incidente, la causa della morte non sembra infatti di derivazione magica.
Il ministro della magia in persona, Kingsley Shacklebolt, si è recato nell'abitazione assieme ad una squadra di Auror subito dopo l'accaduto.
La versione ufficiale fornita alla Gazzetta del Profeta afferma che si sarebbe trattata di una morte accidentale durante lo scontro iniziato dal Mangiamorte, di cui non si sa ancora il nome. Quel che è certo è che, ancora una volta, Harry Potter ed i suoi amici sono intervenuti per garantire la sicurezza del mondo magico. Senza di loro, un pericoloso Mangiamorte sarebbe ancora a piede libero. Quello che tutti si stanno chiedendo è: perché il Ministero non ne sapeva niente?
 
CONTINUA DA PAG 2 A 5.
 
Harry si stropicciò la fronte, sentendo sotto le dita la forma familiare della cicatrice. Anche se ormai non gli dava più alcun fastidio quando era sovrappensiero lo faceva sempre, era diventato qualcosa di meccanico.
“Poteva andare peggio.” disse poi.
Hermione annuì impercettibilmente. “Potrebbe ancora andare peggio. Non voglio sentire cosa avrà da dire al riguardo la Skeeter. Per ora se la stanno prendendo con il Ministero, ma se cominciassero a farlo con noi?” Harry poteva vedere dalla sua espressione quanto fosse tesa e spaventata. Sapeva cosa stava pensando, anche se nessuno tranne loro e Kinglesy lo sapeva, era stata lei quella che, in effetti, aveva sferrato il colpo di grazia a Yaxley.
“Non succederà mai. Ci vedono come eroi.” mugugnò Ron.
Hermione lo guardò corrucciata, ma non disse nulla e si rimise a sfogliare il giornale senza, però, fermarsi a leggere veramente qualcosa.
Harry non sapeva cosa dirle. Avrebbe voluto consolarla in qualche modo come lei aveva sempre fatto con lui, ma non ci riusciva. L'episodio li aveva scossi tutti, ma aveva colpito lei in particolare. Harry guardò i suoi amici in silenzio, chiedendosi quante ne avrebbero potute ancora sopportare prima di cedere definitivamente.
Dentro di se sentiva di aver raggiunto il limite massimo.
All'improvviso, nel silenzio della cucina, la voce di Ron rimbombò forte sulle spoglie pareti di pietra.
“Hermione!” esclamò lasciando cadere il cucchiaio nel suo avanzo di zuppa fredda “I tuoi genitori!”
La ragazza aggrottò le sopracciglia. “I miei genitori cosa?”
“Ci siamo dimenticati! Stavo pensando a... insomma, mi è venuto in mente! Sono in Australia, no? Devi riportarli! Ce ne siamo dimenticati!”
Hermione lo fissò per un minuto con la bocca spalancata, ammutolita. Poi, come se stesse raccogliendo tutta la rabbia che aveva in corpo, sibilò contro Ron. “Tu... credi veramente che io abbia potuto dimenticarmi dei miei genitori?”
“Io non... Non era questo che intendevo...” balbettò Ron a disagio, evidentemente non si aspettava una reazione del genere.
“No? So perfettamente che cosa intendevi, Ronald. Come avrei potuto dimenticarmene? Tu, tu non capisci assolutamente che cosa mi è costato fare quello che ho fatto. E pensi che avrei potuto dimenticarmene.”
Era rossa in viso e sembrava furiosa, Harry provò piano a parlarle, ma lei lo ignorò deliberatamente.
“E allora perché non sei ancora andata a riprenderli?” sbottò Ron con le orecchie in fiamme, tirando fuori il coraggio da chissà dove. “Se dici che non lo potresti mai dimenticare, allora perché non sei già là? Non ci vuoi andare, forse?”
Dirlo gli era costato uno sforzo immenso, tanto che adesso aveva il fiatone.
Hermione spalancò ancor di più gli occhi, incredula “Come... come ti permetti. Non osare mai più.” boccheggiò stravolta, sembrava sull'orlo delle lacrime.
“Hermione.” intervenne Harry “Ron non voleva accusarti di nulla, credo sia solo preoccupato.”
“Certo che sono preoccupato! Non hai detto una sola parola da quando è... è successo, insomma, quello che è successo. Ci nascondi le cose!”
“Io non vi nascondo niente.” ribatté piccata Hermione.
Ron inarcò le sopracciglia “ Ah no? E le lettere?” chiese in tono accusatorio.
“Quali lettere?” fece Harry, ma nessuno gli rispose.
“Tu... tu... come fai a sapere delle lettere?”
“Perché non me lo hai detto?”
Questa volta fu Hermione a sentirsi a disagio, in qualche modo quell'affermazione aveva fatto centro.
“Non sono affari tuoi.” sbottò infine, poi, senza aggiungere nient'altro si alzò facendo strusciare pesantemente la sedia ed abbandonò in fretta la cucina.
“E INVECE SONO ANCHE AFFARI MIEI!” Le urlò dietro Ron, alzandosi anche lui.
“Di che lettere stavate parlando?” chiese un'altra volta Harry.
In tutta risposta Ron imprecò ed uscì dalla stanza, lasciandolo solo con Kreacher che lavava le pentole.
 

PS: E' un po' che non aggiorno, lo so, e per questo mi scuso. Ma partecipavo a dei contest che mi hanno preso un po' di tempo. Nell'idea originale, se devo essere sincera, il capitolo era più lungo, ma alla fine ho deciso così.
Ringrazio le nuove persone che l'hanno messa tra le seguite, sono contenta. Nonostante ciò ho ricevuto una sola recensione, non posso di certo obbligare nessuno, ma due parole mi farebbero piacere. Quantomeno per sapere se vi piace la direzione che sta prendendo o anche per dirmi un “guarda, fai schifo.”
Buona lettura per chi ha aspettato questa storia. (Sempre che qualcuno ci sia.)

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Beyond Letters Lies Something ***


9.Beyond Letters Lies Something
 
Ne Ron che Hermione si fecero vedere per il resto della giornata. Parevano essersi rinchiusi in un silenzio ostinato che spaventava Harry. I suoi due migliori amici avevano sempre litigato, sin dal primo giorno in cui si erano conosciuti, e per esperienza Harry sapeva che era meglio se si urlavano in faccia tutta la propria rabbia, piuttosto che trattenerla dentro, dove sarebbe potuta peggiorare. Quel modo che avevano di ignorarsi a vicenda era pericoloso ed Harry sperava che Ron ed Hermione non cadessero in uno dei loro periodi di silenzio ed astio come tante volte era successo ad Hogwarts. Harry temeva che, questa volta, se non si fossero chiariti subito, forse non lo avrebbero fatto mai più. Ron ed Hermione erano le persone più cocciute che conosceva, dopotutto.
Al termine di una cena solitaria passata a leggere il libro dei Malandrini decise che avrebbe provato a parlare con i due amici. In realtà, anche se in minima parte, lo faceva per soddisfare una propria curiosità. Durante il litigio era stato escluso a priori, senza possibilità di scelta. Quel comportamento lo aveva un po' offeso. Se queste lettere erano tanto importanti, perché Hermione, la sua migliore amica, non gliene aveva parlato? Ma ancor di più lo aveva colpito Ron. Un tempo gli avrebbe subito raccontato della scoperta ed invece lui era rimasto completamente all'oscuro dell'intera faccenda.
Si sentiva inquieto, la calma conquistata nei giorni trascorsi alla Tana dopo la cerimonia di commemorazione sembrava essere evaporata, lasciando posto ad un'incertezza ancora più profonda di prima.
Però sapeva che isolarsi non sarebbe servito a nulla, aveva bisogno dei suoi amici come loro avevano bisogno di lui.
Non riusciva a decidere da chi cominciare. Riunirli nella stessa stanza sarebbe stato controproducente, di questo ne era certo. La risposta arrivò senza che lui dovesse nemmeno sforzarsi di cercarla. Stava salendo le scale quando, arrivato al primo pianerottolo, notò una striscia di luce polverosa proveniente dal salotto. Entrò in silenzio e la prima cosa che vide fu la testa cespugliosa di Hermione abbandonata sullo schienale del divano logoro.
“Hermione.” disse piano Harry. Lei aprì gli occhi di scatto, sussultando, aveva lo sguardo lucido e stanco.
Il ragazzo si sedette accanto a lei, il suo peso fece cigolare le molle sotto l'imbottitura del cuscino.
Hermione era seduta rannicchiata su se stessa, le braccia cingevano le ginocchia, in mano aveva dei fogli di pergamena ripiegati.
“Hermione.” ripetè Harry “devi ascoltarmi senza interrompermi.”
Lei annuì stancamente senza opporre alcuna resistenza, la luce tremolante dei lampioni in strada le illuminava il viso in maniera irreale, conferendole un'aria spettrale.
Harry deglutì, incerto, aveva passato tutta la cena a preparare discorsi, ma adesso sembravano tutti molto stupidi. La verità era che non sapeva da dove iniziare, così disse la prima cosa che gli passò per la mente.
“Non litigate.” mormorò, sorprendendosi di udire il tono della sua stessa voce. Sembrava una supplica.
“Non mi piace farlo, Harry.” rispose lei.
“E allora smettetela, vi prego.” La frase cadde nel vuoto e per un po' nessuno dei due aggiunse nulla.
“E' che sono così stanca.” mormorò poi Hermione stropicciandosi gli occhi con due dita.
Harry sapeva cosa intendesse con quella frase. Anche lui era stanco, era così stanco che sarebbe rimasto a sedere su quel divano per sempre, se avesse potuto. Era stanco di aspettare che qualcosa si aggiustasse. Aveva speso tutte le sue energie in una guerra spietata che gli aveva portato via tanti pezzi della sua vita, uno dopo l'altro, inesorabilmente. Era stato come camminare in un lungo tunnel oscuro, senza alcuna garanzia di poterne vedere la fine. Lo aveva fatto, aveva scelto di andare avanti, sempre, ma ancora non era riuscito ad uscirne. Certo, adesso vedeva la luce alla fine, era là, nitida e ricca di promesse e speranze. Il problema era che sentiva di non riuscire più a camminare, lo aveva fatto per troppo tempo, era stanco.
La certezza che Hermione si sentisse nel suo stesso modo gli fece stringere un nodo alla gola. Era sempre stata forte, Hermione. Non era il tipo di forza che aveva Ginny, no, non aveva quella tempra decisa e spiritosa, ma qualcosa di diverso. Hermione aveva la forza di credere nelle proprie convinzioni. E per difenderle era stata pronta a fare di tutto. Harry non avrebbe mai dimenticato le sue lacrime silenziose versate nella notte, dopo che Ron li aveva lasciati, o le sue urla strazianti a Villa Malfoy. In qualche modo, il senso di colpa ultimamente assopito si risvegliò, come una bestia famelica.
“Ti ricordi cosa mi hai detto ad Hogsmeade, quando ero scappato?” le chiese Harry stringendole un braccio, come per farle coraggio “mi hai detto che capivi perfettamente come mi sentivo. Che non ero solo. Mi hai fatto capire che andarmene era stato un errore, che fuggire dagli altri non serve a niente. Non sei sola, Hermione.”
Lei sorrise timidamente, tirando su con il naso.
“Ron può essere stupido a volte, lo so. Ma anche lui è provato. Le cose stavano appena cominciando a muoversi nel verso giusto e torneranno a farlo. Abbiamo tutti bisogno di tempo.”
Lei scosse la testa, mormorando “Ron ha ragione. Sono io ad essere stata stupida.”
“Che vuoi dire?” disse Harry aggrottando le sopracciglia.
“Lo so che suona strano detto da me, ma è così. Quello che ha detto sui miei genitori è vero, che...” fece un gran sospiro, le sopracciglia aggrottate, come se dirlo le costasse uno sforzo immenso “ che non ci voglio andare.”
Lo guardò di sottecchi, come per verificare la sua reazione. Harry stava in silenzio, ancora un po' confuso.
“Non mi fraintendere, Harry. Voglio molto bene ai miei genitori e quello che ho fatto loro è stata una delle decisioni più difficili di tutta la mia vita. Ma dovevo farlo, era l'unico modo per tenerli al sicuro, capisci quello che voglio dire?” si voltò verso di lui, lo sguardo le luccicava. “Ed ha funzionato. Vivono in Australia, convinti di non aver mai avuto una figlia, e sono felici. Il fatto è che... a volte mi chiedo, forse è meglio così, no?”
“Hermione” disse Harry, sbalordito dall'enormità della cosa che l'amica aveva appena detto. “Non ci pensare nemmeno. No che non è meglio così. Tu stai...”
“Lo so.” lo interruppe lei. “Lo so, è che a volte non posso impedirmi di pensare queste cose. E' da stupidi, ma...”
“Non è da stupidi.” disse subito Harry, lei gli sorrise appena, poi riprese. “Ho paura, sai. Insomma, quando arriverò là dovrò annullare l'incantesimo di memoria, sempre ammesso che mi riesca, e poi dovrò comunque spiegarli tutto. Ci ho pensato tutti i giorni, da quando Voldemort è morto. E tutti i giorni ho continuato a rimandare. Mi dicevo che era troppo presto, che dovevo aspettare che le cose si sistemassero. Sono venuti i funerali e non avevo tempo, poi c'era la Cerimonia, perché non aspettare un altro po'? Continuavo a ripetermi che gli avrei feriti e fatti preoccupare, se gli avessi raccontato della guerra, e questo mi frenava a partire. Ma era solo uno scusa. La verità è che avevo paura di dover rivivere tutto. E intanto i giorni passano, senza che le cose brutte non smettano mai di accadere...” si interruppe, spazzando via le lacrime con il palmo della mano.
“Ascoltami, Hermione. Tu sei la strega più capace e coraggiosa che io abbia mai conosciuto e riuscirai a spezzare quell'incantesimo, non c'è nessun dubbio su questo. Ci riuscirai e tu ed i tuoi genitori tornerete in Inghilterra, perché se non c'è più niente da temere è anche merito tuo. Hai capito?”
Lei fece sì con la testa, facendo sbattere impercettibilmente il mento sulle ginocchia, e mormorò “Grazie.”
“Sono quelle le lettere di cui stava parlando Ron?” le chiese poi Harry, indicando le pergamene che la ragazza teneva in mano.
Lei sospirò, passandogli semplicemente le carte.
Harry le sfogliò, ordinandole. C'erano tre buste e tre fogli spessi. La prima portava la data di due settimane prima, la seconda era stata spedita poco più di una settimana dopo e l'ultima recava la data del giorno stesso. Erano tutte e tre scritte in una calligrafia ordinata vergata in inchiostro verde. Tutte portavano lo stemma di Hogwarts. Il ragazzo non si soffermò nemmeno a leggerle.
“Torni ad Hogwarts.” esclamò.
“Sarebbe così brutto?” chiese lei.
“No.” si affrettò a rispondere Harry. “Certo che no.”
“Continuavo a pensarci e avevo deciso di scrivere la prima lettera alla McGrannit solo per sapere se sarei potuta tornare. Volevo poter vedere la possibilità aperta davanti a me, senza dover decidere nulla. Nell'ultima mi ha inviato la lista dei libri, anche se ha scritto che se voglio posso prendermi altro tempo per decidere.”
“E hai deciso?”
“No, non ancora. Ho sempre voluto terminare la mia istruzione e tornare ad Hogwarts mi sembrava un modo per... ricominciare. Volevo dirvelo, volevo farlo davvero. Ma Ron ha scoperto le lettere e...”
“E ha fatto come suo solito.” concluse Harry con un mezzo sorriso.
Lei alzò le spalle “Non posso biasimarlo. Mi sarei arrabbiata anch'io al suo posto.”
“A quest'ora starà impazzendo.” aggiunse il ragazzo.
“Va da lui, Harry. Penso che abbia bisogno di te.”
Lui annuì e si alzò dal vecchio divano, la voce di Hermione gli giunse quando era quasi arrivato alla porta.
“Puoi dirgli che ho detto che aveva ragione lui, se vuoi. Ma non dirgli che ti ho detto io di farlo.”
Harry sorrise ed uscì dalla stanza.
 
 
“Non volevo essere così scortese ma ogni volta che tiro fuori l'argomento lei trova un modo per non parlarne! Ho pensato che se c'eri anche tu magari lo faceva e poi... poi, se la facevo arrabbiare, magari. Si, va bene , lo so, sono stato un imbecille. Ma ho ragione! E' un mese che mi tiene nascoste quelle lettere! Come... come ha fatto a tenermi nascosta una cosa come quella?”
Ron farfugliava le solite cose da dieci minuti ormai, sembrava seriamente combattuto tra il rimproverarsi per averla trattata in quel modo e la rabbia per la storia delle lettere nascoste. Ancora qualche minuto e ad Harry sarebbe scoppiata la testa.
“Ron.”
“Insomma, perché deve fare così? Cioè, io avevo ragione, capisci? Però in questa maniera lei ha una scusa per darmi torto e...” lo ignorò lui, continuando a camminare gesticolando come un matto per tutta la stanza.
“Ron!” ripeté ancora una volta Harry a voce più alta.
Lui si fermò di botto “Che c'è?” esclamò, come infastidito.
“Ho parlato con Hermione e mi ha spiegato tutto. Se tu stessi zitto ti potrei dire cosa mi ha detto.”
“Oh, ma lo so già cosa ti ha detto. Che sono un insensibile e che non ho il diritto di immischiarmi nelle sue faccende private! Che ho la sfera emotiva di un cucchiaino e che non capisco niente! Già me la immagino! Beh, sai che ti dico? Io non ho la sfera emotiva di un cucchiaino, perché se ce l'avessi allora non avrei sentito così male quando ho scoperto che mi mentiva!”
“Ha detto che hai ragione.”
“Ecco, vedi! Lo sapevo, che ti avevo detto? Io...” aveva le braccia a mezz'aria quando si fermò un'altra volta e sgranò gli occhi “No, aspetta, che hai detto?”
“Hermione dice che hai ragione.”
Ron si avvicinò di botto, prendendolo per le spalle.
“Sei sicuro di quello che dici?”
“Certo!” rispose Harry, un tantino infastidito.
“Tu stai dicendo che Hermione Jean Granger mi ha dato ragione, non è vero?”
“Accidenti, Ron, ti ho detto di sì! E adesso lasciami!”
Il ragazzo lo lasciò di botto, come si fosse appena accorto di averlo stretto in quel modo.
“Scusa, amico.” borbottò poi, passandosi una mano tra i capelli con un espressione totalmente sbalordita.
“E... e... che altro ha detto?”
“Niente di tutto quello che hai detto tu prima, poco ma sicuro. Era scossa, Ron. La verità è che ha paura di tornare a prendere i suoi genitori in Australia. E' un po' sopraffatta, ecco. Non voleva nasconderci la questione delle lettere ma non sapeva come dircelo.”
Ron annuì, pensieroso, poi lo squadrò di sottecchi. “Com'è che a te dice tutte queste cose?”
Harry sbuffò, esasperato. “Non vorrai ricominciare con questa storia, spero.”
“Dico solo che...” cominciò lui.
“Beh, le direbbe anche a te, queste cose, se gliele chiedessi.” lo interruppe Harry.
“Ma io l'ho fatto!” replicò Ron, alzando le braccia, come in segno di resa.
“Adesso non ha più importanza. Vai a parlarle ora, sono certo che ti dirà tutto quello che ha detto a me, ed anche di più.”
“Certo, certo.” assentì Ron, con un piede già fuori dalla stanza, visibilmente impaziente di scendere giù da Hermione. “Ah, e... grazie, amico.”
Harry ridacchiò, chiedendosi quanti altri grazie avrebbe ricevuto quella sera.
 
 
Nella camera di Sirius trovò una sorpresa ad attenderlo. Appollaiato, o per meglio dire, aggrappato come un naufrago alla riva, c'era Errol, il vecchio gufo dei Weasley. Aveva le piume tutte arruffate ed un aspetto piuttosto malconcio, il caldo torrido incontrato durante il viaggio doveva averlo spossato.
Harry si affrettò a prendere le lettere che il gufo gli porgeva, poi vuotò un vecchio porta penne e con un colpo di bacchetta lo riempì d'acqua. Errol ci si avventò sopra con troppa foga e gli schizzi volarono da tutte le parti. Il ragazzo si allontanò velocemente per mettere in salvo le missive. Si sedette sulla sponda del letto, c'erano due buste, una era indirizzata a lui, l'altra a Hermione. Aprì la sua.
 
Harry,
di sicuro questa lettera ti arriverà in ritardo, ma mi era rimasto solo Errol, visto che mamma ha usato il gufo di Percy. Come avrete di sicuro immaginato, mamma è andata fuori di sé, quando ha letto la notizia sul Profeta. Voleva partire immediatamente per Londra ma grazie al cielo è arrivato Kingsley in persona a tranquillizzarla. Ci è voluto un po', ma alla fine l'ha convinta ad aspettare.
Ha mandato una lettera a Ron e per una volta,(ma tu non dirglielo) lo compatisco. Non vorrei essere in lui. Comunque non ti stupire se domattina la vedrai arrivare a Grimmauld Place. È tutto il giorno che blatera sul fatto che è un sacco di tempo che non va a Londra.
Giusto per fare un giro a Diagon Alley e poi magari potrei passare dai ragazzi, visto che è di strada.”
Peccato che non sia affatto di strada. In ogni caso, io ti ho avvertito.
Kingsley ci ha già spiegato tutto quello che è successo, è terribile. Vorrei essere lì con voi, non deve essere stato facile, sopratutto con il Profeta che dice un sacco di cavolate.
Qui va tutto bene, cioè, andava meglio prima della faccenda di Yaxley. Adesso, come potrai immaginare, c'è un bel po' di agitazione. Ma non sto qui a lamentarmi, di sicuro a voi è andata molto peggio.
Spero di poterti raggiungere presto, ma con mamma così agitata non mi sembra il caso di andarmene. E poi George ha cominciato a parlare di più anche con me, non voglio lasciarlo solo.
Stai vicino ad Hermione, (conto su di te, perché il mio caro fratello ha la ben nota sensibilità di un babbuino). Anche se non sembra, sono sicura che è molto scossa. Ho inviato una lettera anche a lei, accertati che la riceva, per favore, non mi fido troppo di Errol.
Mi manchi,
Ginny.
 
Ps: fai riposare un po' Errol, prima di inviare la risposta, anche se il viaggio non è lunghissimo per lui è molto stancante.
 
Harry rilesse la lettera due volte, immaginandosi Ginny intenta a scriverla. Non aveva mai ricevuto una lettera da lei, ne lui le aveva mai scritto. Ora che ci pensava, quella era una delle poche volte in cui aveva visto la sua calligrafia, se non addirittura la prima. Percorse con le dita le lettere tondeggianti che Ginny aveva tracciato per lui. Sulla pergamena aleggiava ancora il vago profumo di fiori che da sempre Harry associava a lei.
Quel profumo lo fece sentire a casa.
Ripose la lettera con cura, poi andò a posare la busta per Hermione sulla soglia della sua camera. La porta era aperta e la stanza era buia, segno che lei e Ron erano ancora di sotto. Tornò in fretta in camera sua, impaziente di poter rispondere a Ginny.
Scrisse finché la mano non cominciò a fargli male, mantenendo per tutto il tempo un sorriso ebete stampato sul volto. Le raccontò di tutto quello che era successo, perché, nonostante Kingsley lo avesse già fatto, Harry sapeva che lei voleva sentirselo dire da lui. Scrisse con leggerezza, senza timore di esternare le sue preoccupazioni. Quella semplice lettera era riuscita a risollevargli l'umore in maniera incredibile.
Fu a malincuore che andò a letto, quando un crampo alla mano e la stanchezza gli impedirono di continuare. Se avesse potuto, le avrebbe scritto di tutto il mondo.
 
 
PS:
I'm back.
Mistero delle lettere svelato, spero di non aver deluso nessuno, ma l'idea era stata sempre quella. Niente amanti misteriosi o Krum, anche se farei carte false per inserirlo, solo per scrivere il suo accento, o la gelosia di Ron, che mi ha fatto sempre sbellicare dalle risate.
Comunque, vi ringrazio come sempre per le vostre opinioni e ringrazio anche le nuove persone che l'hanno messa tra i seguiti.
Spero di non essere stata troppo malinconica.
Vi saluto tanto, alla prossima. :D

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Before they leave ***


10. Before they leave

La mattina lo trovò di buon umore per la prima volta dopo tanto tempo. Fu con il sorriso sulle labbra che Harry scese a fare colazione. Anche la spoglia cucina dalle pareti di pietra gli sembrava, in qualche modo, più accogliente. Al tavolo di legno, Ron ed Hermione erano già seduti, gustando il porridge e la pancetta che Kreacher aveva preparato. Entrambi avevano due profonde occhiaie, lascito inequivocabile di una notte passata svegli a parlare, ma le loro espressioni erano di serenità. Vedendoli, Harry si sentì ancora più felice.
“Hai trovato la lettera di Ginny?” chiese ad Hermione. Lei annuì sorridendo.
Rimasero per un po' in silenzio, incerti su come affrontare il discorso. Poi, Hermione parlò.
“Ieri sera io e Ron abbiamo parlato e... ho preso una decisione.”
“Tornerete, non è vero?” chiese Harry.
“Sì, tornerò ad Hogwarts. Ma solo io. Ron non... tornerà.” sembrava serena nel dirlo, anche se sotto sotto Harry poteva vedere l'ombra della tristezza.
Ron le prese la mano e proseguì. “All'inizio, volevo tornare anche io. Ma poi lei mi ha convinto. E' meglio così.”
“Ma perché? L'hai detto tu stessa ,Hermione, è un modo per ricominciare.” disse Harry con entusiasmo. “Ascoltate, io ci ho pensato e mi sembra l'unica soluzione. Nonostante tutto, quello che voglio è diventare un Auror e per farlo devo tornare ad Hogwarts. Quindi, potremo tornarci tutti insieme e...”
“Harry.” lo interruppe Hermione, le labbra appena incurvate in un sorriso. “Sii sincero con te stesso. Vuoi veramente tornare a scuola? Pensaci bene prima di rispondere. Pensa... un altro anno pieno di libri, compiti ed esami. Ma, soprattutto, gli sguardi nei corridoi, i mormorii alle spalle, flotte di ragazze che tentano di rifilarti pozioni d'amore. Vuoi veramente tutto questo?”
Harry aprì la bocca, pronto a rispondere affermativamente, ma qualcosa lo bloccò.
“No.” disse poi, quasi sorpreso di averlo ammesso a se stesso, ma allo stesso tempo felice della scoperta.
Hermione sorrise soddisfatta come volesse dire “Visto?”
“Ma aspetta.” riprese Harry. “ Io devo tornare. Devo farlo per forza. Senza MAGO non posso...”
La risata della ragazza non lo lasciò finire la frase. “Andiamo, Harry. Credi veramente che al Ministero ti rifiuterebbero? Non gliene importerà niente dei tuoi voti, se potessero, ti farebbero Ministro della Magia!”
Harry aggrottò le sopracciglia, ma poi fu costretto ad ammettere “Forse hai ragione.”
“E allora cosa farai, Ron?” chiese rivolgendosi all'amico.
Lui alzò le spalle. “Non penso che verrò con te ad addestrarmi per diventare Auror, mi sembra di aver dato già abbastanza. Magari potrei aiutare George con il negozio, sai, sempre se mi vorrà lì intorno.”
“Certo che ti vorrà.” lo rassicurò Hermione, sorridendogli.
“Ma prima.” riprese Ron “Andremo a riprendere i genitori di Hermione in Australia.”
“No. Io andrò a riprendere i miei genitori. Tu...”
Ron alzò gli occhi al cielo e disse, interrompendola. “Ne abbiamo già discusso. Non puoi impedirmi di venire, e lo sai.”
Hermione era già pronta a ribattere, ma Harry fu più veloce. “Verrò anch'io.”
“Per l'amor del cielo, Harry, adesso non ti ci mettere anche tu.”
“Ron ha ragione, non puoi impedircelo. Ricordi cosa mi hai detto quando volevo partire da solo per cercare gli Horcrux? Abbiamo iniziato insieme e finiremo insieme. Voi ci siete sempre stati per me, è venuto il momento di ricambiare.”
“Ma... ma... è una cosa completamente diversa!”
“No che non lo è. E poi te l'ho detto, sono in debito.”
“Esattamente, e io devo venire. Insomma sono il tuo... il tuo...” Ron arrossì in zona orecchie e si ammutolì.
“Il mio cosa?” chiese Hermione alzando un sopracciglio.
“Oh, smettila. Non tentare di cambiare discorso. Noi verremo con te, punto e basta. Hai bisogno di noi e lo sai anche tu, solo che il tuo orgoglio non te lo fa ammettere.”
Hermione parve colpita e per un attimo Harry temette che si sarebbe arrabbiata, ma poi sospirò, abbandonandosi sulla sedia.
“Oh, e va bene. Razza di zucconi. Andremo insieme in Australia!”
“Ma prima.” aggiunse Harry. “Dobbiamo finire quello che siamo venuti a fare qui. Ossia, sistemare questo posto.”
“Hai intenzione di venirci a vivere?” chiese Hermione.
“Non so. Insomma, sarebbe piuttosto comodo quando frequenterò il corso per Auror. Però... non sto bene qui. Troppi ricordi, forse. Credo che alla lunga non riuscirei più a viverci.”
Ron annuì, guardandosi intorno.
“Ne abbiamo passate tante qui. Vi ricordate di quando progettavamo il piano per intrufolarci al Ministero. Sembrava quasi una casa, al tempo.”
“E come potrei dimenticarlo? Adesso, comunque, non mi sembra ci sia molta differenza. Stiamo qui rinchiusi come dei fuggitivi. Forse abbiamo sbagliato a venire qua, dovremo uscire.”
“Vuoi uscire?” ghignò Ron inarcando un sopracciglio. “Accomodati pure, amico. L'altro giorno io ci ho provato e, fidati, non è stato piacevole. Ma comunque penso potrete vedere le foto sul giornale, quindi...”
Harry ridacchiò. “Dovremo tirare fuori il mio vecchio mantello dell'invisibilità.”
“Va bene.” sentenziò Hermione “Adesso basta, abbiamo tanto lavoro da fare ed un viaggio da organizzare.”
“Dimentichi una cosa: abbiamo Molly Weasley da affrontare. Potrebbe sbucare fuori da un momento all'altro.” aggiunse Ron storcendo la bocca.
“Un motivo in più per darci una mossa. Avanti, andiamo.”
Stavano tutti per alzarsi, ma una voce li interruppe.
“Ma prima.” disse Kreacher, sbucando fuori dalla credenza “Finirete la vostra colazione!”
Scoppiarono tutti a ridere e, Harry ne era piuttosto sicuro, anche l'elfo inclinò la bocca in qualcosa di molto simile ad un sorriso.
 
Quella che venne fu una settimana impegnativa e stancante. Prima di tutto dovettero affrontare una Signora Weasley convinta come non mai a riportarli alla Tana. Ci volle un pomeriggio intero e più di una Burrobirra a convincerla anche se, senza il miracoloso intervento del Signor Weasley che arrivò verso sera , non ce l'avrebbero mai fatta. Fu un po' contrariata alla notizia della loro imminente partenza per l'Australia ma non si oppose, anche perché era convinta almeno quanto loro che Hermione avesse bisogno dei suoi amici. Ovviamente, non vide di buon occhio il fatto che lei e Ron andassero a fare un viaggio del genere da soli. E, quando Harry fece notare che avevano appena passato un anno in giro per l'Inghilterra dormendo in una tenda, lei lanciò uno sguardo eloquente inarcando le sopracciglia, che fece arrossire le guance di Hermione almeno quanto le orecchie di Ron.
Alla fine della serata, quando i signori Weasley se ne andarono dopo un'ottima cena preparata da Kreacher, i tre amici erano talmente stanchi e stravolti che andarono a letto senza nemmeno augurarsi la buonanotte.
I giorni che seguirono furono pieni di strani oggetti di cui sbarazzarsi e stanze polverose da esplorare. In realtà, non era rimasto poi molto dopo la grande disinfestazione avvenuta ai tempi in cui la casa era stata trasformata in quartier generale dell'Ordine, ormai quattro anni prima, ma c'erano comunque un sacco di cose che Sirius aveva lasciato stare. Per lo più erano cianfrusaglie magiche con ogni probabilità molto pericolose che Harry fu felice di buttar via. Tutto il resto erano cimeli della famiglia Black di cui lasciarono scegliere il destino a Kreacher. Il vecchio elfo si sentì molto onorato e scelse quelli che secondo lui erano i pezzi migliori, ovvero quasi tutti, per conservarli. Harry gli permise di disporli come meglio credeva nello studio al primo piano, in modo che potesse andare a guardarli ogni volta che voleva.
Quelle furono le uniche cose che Harry conservò, ma lo fece solo perché sapeva quanto Kreacher ci tenesse. Si diceva che Sirius avrebbe voluto così. Ed in fondo era vero, il suo padrino odiava quella casa. E, nonostante per lui fosse stato un rifugio sicuro per alcune settimane durante la guerra, Harry non riusciva a sentirsi bene lì dentro. C'erano troppi ricordi, in ogni ombra poteva rivedere la figura magra ed oscura di Sirius, i capelli di tutti i colori di Tonks erano nei riflessi lucidi del lungo tavolo in cucina, sulle forme lasciate nelle poltrone consunte c'era Lupin che leggeva un libro.
Era come se un velo di tristezza e nostalgia fosse steso su tutto, come quando nelle case disabitate si trovano i mobili coperti da lenzuoli polverosi.
Fu con sollievo che alla fine si accorsero di aver girato tutte le stanze. Adesso avrebbero potuto sbrigare con calma gli ultimi preparativi prima della partenza.
Ma c'era un'ultima cosa che Harry doveva sapere prima di poter partire. E l'unico che poteva dargli quella risposta, al momento, era un gufo. Fu così che, quella notte calda di fine Luglio, qualche giorno prima del suo compleanno ed anche della partenza, che era prevista per il primo d'agosto, quando Harry vide arrivare un Errol arrancante alla sua finestra, quasi lo strozzò nella fretta di prendere la lettera.
Lui e Ginny avevano continuato a scriversi piuttosto frequentemente, ma quella volta lei ci aveva messo un po' di più a rispondere.
Harry aprì la lettera velocemente, impaziente di leggerla.
 
Scusami per il ritardo,Harry, ma non volevo risponderti senza aver preso una decisione. Non farò troppi giri di parole. La risposta è no. Non verrò in Australia con voi. Mi piacerebbe, sono sicura che lo sai. Ma non penso che mamma sarebbe felice di vedermi andare via, anche se per poco, e, ora come ora, preferisco rimanere. E poi te l'ho detto, adesso è il tuo turno di aspettarmi!
So che mi puoi capire.
Comunque, domani sarò a Londra. Ci possiamo vedere davanti alla Gringott alle dieci? Ti devo dire una cosa.
So già che Errol non potrebbe mai portare la risposta in tempo, perciò non prenderti la briga di scrivere. Non vedo alcun motivo per cui domani tu non possa venire, quindi ci diremo tutto là.
A presto,
Ginny.
 
Harry rimase un po' deluso nel leggere che Ginny non sarebbe partita con lui. Ma in fondo, proprio come diceva lei, capiva la sua decisione. La capiva perché era la stessa per cui non era venuta a Grimmauld Place.
Inoltre, la lettera conteneva una notizia troppo bella perché lui potesse perdere troppo tempo a crucciarsi. Il giorno seguente avrebbe rivisto Ginny. Gli pareva troppo bello per essere vero.
Ovviamente, non aveva potuto non notare quel “Ti devo dire una cosa.”
La frase lo intimoriva. Che cosa doveva dirgli? E perché proprio alla Gringott? Ma forse a quello poteva dare una risposta sensata. Anche Hermione aveva programmato di recarsi a Diagon Alley il giorno seguente, in modo da avere tutto l'occorrente per la scuola prima di partire. Ginny, molto probabilmente, lo sapeva ed aveva deciso in modo da poter rivedere anche lei e Ron. In realtà Harry aveva deciso di non accompagnarli a fare compere ma, ovviamente, la presenza di Ginny cambiava ogni cosa.
Si stese sul letto riponendo gli occhiali sul comodino. Dalla finestra aperta non passava nemmeno un filo d'aria e presto il cuscino si fece caldo come un forno. Il ragazzo lo rigirò dalla parte opposta, beandosi della momentanea sensazione di fresco e asciutto. Chissà perché, era convinto che addormentarsi, quella notte, sarebbe stata un'impresa assai ardua.
 
Le sue supposizioni non furono errate. Dopo ore e ore passate insonne a rigirarsi nelle lenzuola, con un caldo opprimente che lo faceva sudare ad ogni minimo movimento si era addormentato all'alba con la voce di Ginny che gli sussurrava nell'orecchio “Ti devo dire una cosa.”.
Quando si svegliò poche ore dopo, fu felice di poter abbandonare il letto, nonostante la stanchezza. In bagno, passò diversi minuti a guardare il suo riflesso nello specchio annerito dagli anni che, con molto poco tatto, gli disse. “Hai un aspetto orribile. Datti una pettinata.”
E aveva ragione. Sembrava uscito da una notte di volo ad alta quota. I capelli erano scompigliati più del solito, ma non positivamente. Non c'era nulla di ribelle o di anche vagamente attraente in quello che aveva in testa. Sembravano un mucchio di alghe nere, o qualcosa del genere. E, nonostante i consigli dello specchio, non ci fu verso di migliorare la situazione, continuava a sembrare uno spaventapasseri. Alla fine lasciò perdere, sperando che nel tempo che gli rimaneva si sarebbero messi apposto da soli. Attuò la stessa strategia con le occhiaie, anche perché non si fidava affatto degli incantesimi suggeriti dallo specchio.
Quando, finalmente, scese a fare colazione, trovò Ron ed Hermione già pronti a partire.
“Ma a che ora vi siete svegliati?” chiese stupito, erano appena le nove.
“Poco meno di un'ora fa, è che abbiamo deciso di andare a fare colazione fuori.” rispose Hermione, aggiustandosi i capelli.
“Potevate dirmelo.”
“Pensavo avessi un appuntamento con Ginny, no?” gli fece notare la ragazza con un sorriso.
“Sì.” rispose Harry “A proposito, ha scelto Diagon Alley perché sapeva che c'eravate anche voi, giusto?”
“Veramente siamo noi che...” iniziò Ron, ma Hermione lo interruppe dandogli una poco discreta gomitata nelle costole.
“Ouch! Che c'è?”
“Niente.” rispose lei evasiva. “Te lo spiego dopo. Ciao Harry, noi andiamo.” disse poi in fretta prendendo Ron per un braccio e trascinandolo verso la porta.
“Ehi!” esclamò Harry, rincorrendoli lungo il corridoio “Ron! Voi cosa? Rispondimi!”
“Oh, niente, lascia perdere... sai cosa, amico, datti una pettinata magari, eh?” Ron si fermò un attimo a dirgli, un piede già fuori dalla porta. Poi Hermione lo strattonò via e l'uscio si chiuse con un tonfo, lasciando Harry più agitato di prima.
Dopo una colazione sbocconcellata per far contento Kreacher, Harry si decise ad uscire, nonostante mancassero ancora più di venti minuti.
Si smaterializzò e in un attimo fu davanti al Paiolo Magico. Era ancora presto, ed in giro c'era poca gente, ma aveva comunque deciso di portare il mantello dell'invisibilità. Se lo fece scivolare addosso, poi aspettò che qualcuno entrasse o uscisse dal Pub. Non ci volle molto, dopo pochi minuti una strega corpulenta spalancò la porta, e lui si infilò nel locale velocemente. Gli bastò uno sguardo per capire che aveva fatto bene a nascondersi. Il Pub era pieno di maghi e streghe, anche a quell'ora. Non gli piaceva ricorrere a certi mezzi, ma se si fosse presentato a capo scoperto lo avrebbero riconosciuto di sicuro. Si chiese come Ron ed Hermione avessero fatto, perché era certo che adesso le loro facce erano famose almeno quanto la sua.
Svincolò le persone, attento a non urtarle e giunse al cortiletto che gli interessava. Con la bacchetta picchiettò i mattoni giusti, proprio come aveva fatto Hagrid il giorno del suo compleanno di tanti anni prima. Attraversò l'arco che si aprì per lui, pronto a rivedere Diagon Alley dopo tanto tempo. La strada sembrava aver dimenticato i giorni bui della guerra ed assomigliava molto a quella che viveva nei suoi ricordi, eppure era diversa. Alcuni negozi erano scomparsi, le vetrine scure e vuote. Passando accanto alla gelateria di Florian Fortebraccio, Harry rammentò con nostalgia il vecchio proprietario, morto per mano dei Mangiamorte. Il locale era chiuso, ma dei grandi cartelli color verde menta ne annunciavano la prossima apertura.
La grande figura bianca della Gringott si stagliava vicina nel cielo azzurro, luccicando al sole. Harry fu felice di notare che i danni che lui, Ron e Hermione avevano provocato l'ultima volta che erano stati lì sembravano essere stati riparati. Avrebbe voluto rivedere anche l'interno, ma non si azzardò ad entrare, neanche con il mantello, perché confidava che Folletti avessero preso ogni misura possibile per tenerlo lontano. Erano delle creature dalla lunga memoria, dopotutto.
Si tolse il mantello dell'invisibilità, riponendolo in un piccolo astuccio rigido su cui aveva fatto applicare da Hermione un incantesimo estensibile permanente. Si mise dove Ginny avrebbe potuto vederlo, preparandosi ad aspettare.
Dopo quella che gli parve una vita la ragazza arrivò. La prima cosa che riconobbe fu la fiamma scintillante dei suoi capelli, poi, man mano che si avvicinava la sua figura di delineò chiaramente. Sorrideva strizzando gli occhi per via del sole ed Harry seppe, in quel momento, di avere un'espressione del tutto ebete dipinta sul viso, ma non gli importava. Aspettò che lei arrivasse proprio davanti a lui e poi, con la gola secca, le disse.
“Ciao.”
Lei gli mise una mano dietro alla nuca, attirandolo a se per baciarlo con trasporto. Ad Harry parve di essere finito in un altro mondo. Le infilò le dita tra i capelli morbidi, stringendola di rimando. Alla fine, quando si staccò dalle sue labbra, aveva il fiatone.
“Ciao.” gli rispose lei con un sorriso.
“Camminiamo, ti va?”
Lui annuì, prendendola per mano e si avviarono a passo lento lungo la via.
“Cosa dovevi dirmi?” le chiese subito Harry, incapace di trattenersi.
Lei abbassò lo sguardo, ma solo per un attimo, poi alzò il mento per fissarlo direttamente negli occhi.
“Tornerò ad Hogwarts con Hermione.” disse semplicemente.
“Oh.” rispose Harry, fermandosi per la strada, incapace di dire altro.
“Pensavo che lo sapessi, o che almeno lo avessi immaginato.”
Harry riprese a camminare, riflettendo. In realtà, tra tutte le cose che aveva immaginato Ginny gli potesse dire, quella non c'era. Aveva tolto la scuola dall'equazione. A pensarci, però, era piuttosto logico.
Ridacchiò piano, dandosi dello stupido. Ginny lo guardò con aria interrogativa. “Che c'è?”
“Niente, è che non ci avevo pensato. E' quello che vuoi, vero?”
“Sì, e poi credi veramente che mia madre mi permetterebbe di lasciare la scuola?”
“Sei maggiorenne.”
“Questo non fermerebbe Molly Weasley, lo sai. E poi, tecnicamente, non sono ancora maggiorenne.”
“Oh, no.” disse Harry.
“Cosa?”
“Spero di essere già tornato per il tuo compleanno.” *
Ginny alzò le spalle. “Non importa. Dovete prendervi il tempo necessario, non stare a pensare al mio compleanno.”
Harry le sorrise, poi un pensiero improvviso gli attraversò la mente. “Ecco cosa Hermione non voleva che Ron mi dicesse stamattina! Lei lo sapeva, vero?”
“Beh, certo. E' stata lei che mi ha aiutato a decidere. Immagino lo abbia detto anche a Ron.”
“Ma non a me, perché sapeva che me lo volevi dire tu.” concluse Harry, facendo combaciare tutti i pezzi.
Hermione aveva deciso di fare compere per la scuola proprio quel giorno perché sapeva che anche Ginny lo avrebbe fatto, e non il contrario, come aveva pensato lui.
“Quindi adesso dovremo andare a riempirci di pacchetti, dico bene?”
“Perché credi ti abbia voluto qui con me, se non per portarmi le buste?”
 
 
Ps:
forse sono un po' in ritardo per l'aggiornamento settimanale ma le feste e una nuova insana passione per iscrivermi ad ogni contest che vedo mi hanno presa. Volevo fare un capitolo natalizio, ma essendo la storia ambientata in piena estate mi sa che sarebbe stata filino fuori tempo massimo. Per stavolta vi siete salvati dal mio dilagante spirito natalizio, vi è andata bene.
*Il compleanno di Ginny è l'undici Agosto, come wikipedia comanda.
Ovviamente, ringrazio tutti quelli che hanno commentato, letto e messo tra i seguiti.
Sappiate che sta per finire. Prevedo altri due capitoli, forse. Presto non dovrete sopportarmi più ;D

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. A ray of Black light ***


11. A ray of Black light


La mattina del suo diciottesimo compleanno, Harry Potter camminava in aperta campagna tra l'erba bruciata dal sole cocente. Il cielo era così azzurro da sembrare irreale. Attorno a lui, come uniche compagne, le api ronzavano ininterrottamente mentre si posavano frenetiche sui fiori. Nonostante il caldo opprimente, aveva deciso di camminare, piuttosto che materializzarsi direttamente davanti alla casa. Inoltre, nonostante le esaustive spiegazioni che il Signor Weasley gli aveva mandato via gufo, non ne conosceva l'ubicazione esatta.
Quando aveva comunicato la sua decisione, la sera prima, Hermione e Ron si erano dimostrati sorpresi, ed avevano insistito per accompagnarlo. Alla fine, avevano dovuto cedere alla sua volontà, lasciandogli i suoi spazi. L'unica raccomandazione di Ron era stata quella di tornare in tempo per la cena, o avrebbero dovuto affrontare il disappunto della Signora Weasley.
Harry sorrise, ripensando a come Ginny gli aveva comunicato, appena prima di ripartire, che sua madre aveva ogni intenzione di presentarsi a cena, in modo da festeggiare il suo compleanno. Lì per lì, Harry aveva pensato di spedire un gufo alla Signora Weasley per distoglierla dal suo intento. Ma poi si era accorto che sarebbe stato terribilmente ingiusto. Non si trattava solo del suo compleanno, ma anche di poterli salutare prima che partissero per l'Australia. E poi, mentre camminava lì, all'aria aperta di quel giorno meraviglioso, Harry era arrivato a pensare che forse, dopotutto, festeggiare qualcosa avrebbe fatto bene a tutti.
La casa apparve dietro ad una collina, inconfondibile. Era esattamente come il Signor Weasley l'aveva descritta. Piccola ed un po' sbilenca, era circondata da un cortile, che a differenza di quello della Tana, poteva reggere l'appellativo di giardino senza vergogna. Aveva l'aspetto di un normalissimo cottage, forse un po' dismesso, a giudicare dall'intonaco scrostato e stinto dal sole. In effetti, pareva estremamente Babbana ed Harry immaginò che dentro potesse viverci una vecchietta , che divide la sua giornata tra il giardinaggio, il gatto e il thè delle cinque con le amiche.
Improvvisamente, Harry si trovò a sperare di trovarci davvero quella vecchietta, di sicuro sarebbe stato tutto molto più facile. Ma non sarebbe stato giusto.
Inoltre, le intenzioni che lo avevano spinto a fare quella visita erano genuine e sincere. Voleva davvero andarci, ma il senso di colpa che lo dilaniava non era una cosa facile da ignorare. Mentre bussava alla porta – non c'era campanello – si chiese se, un giorno, avrebbe imparato a considerare quel sentimento latente come un vecchio amico.
La porta si aprì, rivelando un volto femminile la cui bellezza era stata visibilmente provata e sciupata. Harry se lo aspettava, ma non poté far a meno di trasalire impercettibilmente quando la vide. La somiglianza con la sorella pareva ancora più accentuata, adesso che due profonde occhiaie solcavano la pelle chiara ed i capelli parevano ribellarsi dall'acconciatura, cadendole in malo modo sul viso.
Andromeda Tonks spalancò gli occhi, sorpresa di vederlo, ma poi inclinò la bocca in un lieve sorriso.
“Harry Potter.” disse semplicemente.
“Ehm, salve Signora Tonks. Io... vorrei parlare.” riuscì a balbettare Harry, alquanto in imbarazzo.
“Ma certo, entra pure.” rispose la donna scostandosi dalla porta per farlo passare. Lo fece accomodare ad un tavolo di legno chiaro nel piccolo salotto poi lei sparì in cucina. Harry rimase fermo a fissare la stanza. Era piccola ed accogliente ma disomogenea, sembrava che i mobili fossero stati aggiunti nel corso di diverse generazioni. Sulla mensola del caminetto c'erano delle fotografie allineate ordinatamente. Harry si alzò per andare a vedere da più vicino. In molte di esse il ragazzo non fu in grado di riconoscere nessuno, ma il suo sguardo non poté non essere attratto da un lampo color rosa cicca. Una Tonks adolescente gli faceva la linguaccia dalla cornice, felice nella sua divisa di Hogwarts. Nella foto subito accanto, riconobbe con una stretta al cuore Lupin. Era la foto del suo matrimonio ed, ovviamente, era assieme alla moglie. Nella sua espressione non c'era alcuna traccia del tormento che lo caratterizzava, sembrava l'uomo più felice del mondo. Per l'occasione indossava dei vestiti nuovi, senza toppe o scuciture ed al suo braccio Tonks agitava la mano, l'anello al dito. Lei indossava un semplice vestito di un giallo sfolgorante, e per l'occasione si era fatta i capelli neri e lisci.
“Avrei voluto che indossasse il bianco, ma dopotutto non sarebbe stato da lei.” disse la voce di Andromeda alle spalle di Harry. Il ragazzo si girò abbozzando un sorriso e la vide posare sul tavolo in un tintinnio un vassoio con dei bicchieri e una brocca di limonata. Lui si accomodò sotto suo invito, poi anche lei lo imitò.
Harry versò la limonata nei bicchieri e la ringraziò prima di bere. Il liquido dolce scese nella sua gola fresco e ristoratore dopo la lunga camminata sotto il sole cocente.
“Si può dire che abbia seguito il mio esempio. Quando io e Ted fuggimmo insieme per sposarci non ebbi di sicuro il tempo per procurarmi un vestito come si deve. Ma non mi importava, proprio come non mi importava che la mia famiglia mi disconoscesse. Non si può dire che le abbia dato il buon esempio, dopotutto.” sorrise triste, percorrendo il bordo del bicchiere con le dita. Sembrava persa nei ricordi.
Harry avrebbe voluto dirle qualcosa, ma non era sicuro del vero significato delle sue parole.
“Remus era...” cominciò in tono difensivo.
“Un brav'uomo.” lo interruppe lei. “Si, lo so. Non era questo che intendevo dire. Ammetto che, almeno all'inizio, avevo le mie riserve su di lui. Ma la rendeva felice. La rendeva felice come non lo era mai stata. Senza di lui era come spenta, non riusciva più neanche ad usare i suoi poteri. Sono sicura che te lo ricordi.”
Harry annuì, e lei proseguì. “Mi ricordava tanto me stessa. Come facevo ad impedirle di essere felice? All'inizio era questo che mi ripetevo, ma poi è scattato anche qualcos'altro. Remus non era quello che credevo. Me ne accorsi quando capii il malessere che provava al pensiero di aver rovinato la vita a Dora. Ne era seriamente convinto, e ne soffriva in una maniera talmente intensa da turbarmi. Fu allora che iniziai a volergli bene. Quando nacque Ted sembrava l'uomo più felice del mondo. Quindi non pensare male di me. Avevo imparato a considerarlo parte della famiglia.” fece una pausa, poi mormorò piano, come fosse un sospiro “E poi ho perso tutti, compreso lui.”
Il silenzio riempì il salotto, insinuandosi nel pulviscolo sospeso nella luce potente che arrivava dalle finestre.
Per un po' nessuno dei due parlò. Andromeda guardava fuori con ostinazione, le labbra tremanti e gli occhi asciutti.
“Mi dispiace.” disse Harry dopo un tempo infinito.
Lei si girò verso di lui, rivolgendogli un sorriso dolce. “Non dirlo. Non è colpa tua. Non lo è affatto.”
Harry abbassò lo sguardo, non sentendosi in grado di ribattere.
“Sono contenta che tu sia qui, Harry. Non ho dimenticato che tu sei il Padrino di Teddy e ti avrei portato subito da lui se non stesse dormendo.”
“Vorrei far parte della sua vita, se lei è d'accordo. Sarei venuto prima, ma sono successe un sacco di cose. Non mi sono dimenticato, davvero. Ma tutto è così...”
“Poco facile?” fece lei, scostandosi un ciuffo scuro dal viso pallido.
“Stai tranquillo, non ho creduto che tu avessi abbandonato Teddy. E poi, ad essere sinceri, anche io non ho mostrato tanta disponibilità. Mi sono rintanata qui, lontano da tutto, senza curarmi d'altro. A proposito, come hai fatto a trovarmi?”
“Ho chiesto ad Arthur Weasley.” lui la vide annuire, poi, disse. “Se posso vorrei chiederle una cosa: che posto è questo?”
“E' la casa di campagna dei genitori di Ted. Quando eravamo giovani, ci piaceva tanto venirci in estate. E poi ci portavamo Dora durante le vacanze, qui in campagna poteva fare tutti i giochi spericolati che voleva. E' che... la casa a Londra mi sembrava così vuota, e ho pensato che questo sarebbe stato un ottimo posto per crescere Teddy, almeno per ora.”
“Che c'è?” chiese poi, notando lo sguardo di Harry. “Ti sembra strano che un membro di un'antica famiglia Purosangue possa amare la vita di campagna?”
“Beh...” si ritrovò a borbottare Harry, sorpreso dall'acume di Andromeda Tonks, che aveva intuito i suoi esatti pensieri.
“Non sono mia sorella Narcissa, nè tantomeno... Bella.” la voce le tremò nel pronunciare l'ultimo nome, reso ancora più agghiacciante dal diminutivo. “Come potrei?” disse scuotendo la testa. “Non sono una Black più da tanto tempo, ormai.”
Harry rimase in silenzio, percependo la portata dei sentimenti che la donna doveva provare in quel momento. Harry non sapeva come era avere fratelli o sorelle ma, dentro di se, sentiva il rapporto con Ron o con Hermione come un qualcosa di molto simile. Provò ad immaginare cosa avrebbe provato se uno dei due avesse ucciso suo figlio.
Fu semplice orrore.
Ma, la cosa che più lo spiazzava, era l'essere ben consapevole che lui poteva a malapena capire la portata di un dolore del genere. E già così lo trovava orribile.
Rabbrividì di fronte alla tempra di quella donna, che riusciva a stare seduta davanti a lui in maniera composta, nonostante la tempesta che doveva avere dentro.
Improvvisamente, l'urlo di un bambino riempì il silenzio.
“Si è svegliato.” disse Andromeda con un sorriso spontaneo.
Si precipitò fuori dal salotto e meno di un minuto dopo, era tornata con in braccio il bambino.
Era cresciuto dall'ultima volta che Harry lo aveva visto, al funerale dei suoi genitori. Si avvicinò titubante, ed, appena vide la bocca sdentata di Teddy inarcarsi in un sorriso non poté fare a meno di rispondere.
“Lo vuoi tenere in braccio?” gli chiese Andromeda.
“Io... veramente, non credo di esserne in grado.” balbettò Harry preoccupato, la prospettiva lo terrorizzava ed eccitava allo stesso tempo.
“Andiamo, coraggio.” lo incitò lei. Così, senza che potesse neanche accorgersene, si ritrovò a stringere il bambino tra le braccia. Era una sensazione molto strana. Teddy sembrava un cosino fragile, ma tra le sue braccia si divincolava senza sosta, ridendo con la vocina acuta. Harry si mise a sedere sul divano sotto consiglio di Andromeda, per riuscire a tenerlo meglio.
Improvvisamente, i pochi ciuffi di capelli che Ted aveva in testa cambiarono colore. Da rosso fuoco che erano, diventarono nero corvino, come quelli di Harry.
“Credo proprio che tu gli piaccia.” asserì la nonna mentre il bambino allungava le dita paffute per afferrare gli occhiali di Harry, che rideva, sempre più a suo agio nel tenerlo sulle gambe.
Allora si ricordò di una cosa. Facendo del suo meglio per tenerlo con un braccio solo, sfilò dalla tasca dei pantaloni la foto che aveva trovato a Grimmauld Place. Avvicinandola alla faccia di Teddy, cominciò a parlargli. “Vedi questo ragazzo? Questo è il tuo papà. Era molto bravo a scuola ed infatti era Prefetto. Io non sono mai diventato Prefetto, ero troppo uno scavezzacollo, forse. Ma i miei due migliori amici sì, te li farò conoscere.”
Il piccolo aveva già allungato le mani per afferrare la fotografia ma, Andromeda, previdentemente, si era avvicinata per sfilarla dalla mano di Harry.
“Questa è meglio che la tengo io.” disse con un sorrisetto. “Grazie, Harry.”
“L'ho trovata nella stanza di Sirius. Ho pensato che poteva farvi piacere averla.”
Lei annuì con fare stanco mentre guardava la foto e, per un attimo, apparve molto più vecchia della sua età. C'era qualcosa di struggente nella sua figura illuminata dalla calda luce del sole. A guardarla bene, Harry si accorse che assomigliava molto meno a sua sorella di quanto avesse creduto, nonostante i segni di stanchezza che la marchiavano. Era il suo sguardo a fare la differenza. Nonostante la bellezza austera ammaccata, forse per sempre, dal dolore, i suoi occhi rimanevano vivi, illuminandola. La forza che l'animava, si disse Harry, era la volontà di vivere per qualcuno.
“Domani partirò per l'Australia per ricercare i genitori babbani di una mia amica, Hermione Granger. Ma stasera i Weasley hanno voluto organizzare una cena per... salutarci. Se vuole venire, ne sarei molto felice.”
“Oggi è anche il tuo compleanno.” disse lei senza scomporsi.
“Beh, sì.” Harry aveva omesso quel fatto di proposito, perché gli sembrava inadatto dire che avrebbero festeggiato il suo compleanno. In quel momento un compleanno gli sembrava la cosa più stupida del mondo. Inoltre, aveva accettato la cena solo per via del viaggio imminente.
“E' a Grimmauld Place.” aggiunse il ragazzo.
“Quel posto mi ha sempre messo i brividi. No, non credo che verrò. Grazie, ma penso che per oggi possa bastare così.”
Harry fece per alzarsi tenendo Teddy in braccio, avendo colto l'invito ad andarsene. Ma appena lei lo vide, mise le mani in avanti, fermandolo.
“No, no! Resta! Non era quello che intendevo. Anzi, sarei molto felice se restassi per pranzo.”
“Non si preoccupi, signora Tonks, davvero.”
“Insisto.” decretò lei, sollevando il mento con un'aria tanto nobile e perentoria da cancellare in Harry ogni desiderio di rifiutare il suo invito.
 
 

Quando tornò a Londra, nel tardo pomeriggio, trovò ad accoglierlo la famiglia Weasley al completo. Aveva appena chiuso la porta che la Signora Weasley si era già precipitata ad accoglierlo chiedendogli ripetutamente spiegazioni riguardo alla sua assenza. Evidentemente, Ron ed Hermione non le avevano detto nulla. Harry lo comunicò a tutti senza troppi giri di parole, mostrando le foto che Andromeda gli aveva regalato.
“Oh!” esclamò la Signora Weasley “Ma come è cresciuto! Aveva proprio ragione Tonks, assomiglia tanto a Remus!”
“Secondo moi ha il naso di Dora'” intervenne Fleur avvicinandosi per guardare una delle foto.
“Ma perché non hai invitato Andromeda?” chiese la Signora Weasley con le mani sui fianchi.
“L'ho fatto. Ma lei ha preferito rimanere a casa.”
La Signora Weasley si mostrò comprensiva, anche se Harry la sentì borbottare qualcosa che suonava come “Ah! Se c'ero io, la convincevo!”. Poi sparì in cucina seguita da Fleur e Bill.
“Dov'è Ginny?” chiese Harry avvicinandosi a Ron e Hermione, che stavano ancora guardando le fotografie.
“Arriverà tra poco assieme a papà ed Hagrid.” gli rispose Ron.
“C'è anche Hagrid?” chiese Harry, sorpreso, adocchiando la porta stretta e lunga di Grimmauld Place con una certa apprensione.
Improvvisamente un fracasso di pentole provenne dalla cucina, sovrastato dalla voce della Signora Weasley.
“Oh, no.” borbottò Ron, mentre i tre si precipitavano a vedere.
Quella che si trovò davanti forse fu una delle scene più comiche di tutta la sua vita. La Signora Weasley, in piedi vicino a i fornelli, fronteggiava Kreacher con un mestolo in mano e la bacchetta nell'altro, mentre un sacco di patate si sbucciavano da sole saltellando in aria. L'elfo guardava la donna con fare sospetto mentre rimestava un gran pentolone.
“Che succede?” chiese Harry.
“Oh, niente, Harry caro. Solo che non c'è bisogno che Kreacher prepari tutto, ci sono qua io.”
“Kreacher cucina per la festa del padrone. Kreacher conosce il padrone, questa è la casa della famiglia di Kreacher e Kreacher fa come vuole!”
“E' tutto il giorno che fanno così.” borbottò Bill con un sorrisetto.
“Ehm, Signora Weasley, perché non lascia fare a Kreacher mentre lei si riposa?” chiese Harry con fare titubante.
“Nient'affatto, Harry caro. Non ho bisogno di riposarmi, è il tuo compleanno e voglio cucinare per tutti voi.”
“Va bene.” acconsentì Harry, prima che l'elfo potesse ribattere con qualcosa di molto peggio.
“Allora perché non cucinate insieme? Potreste dividervi i compiti...”
I due parvero guardarsi con sospetto, ma poi si rimisero a tagliuzzare e mescolare più velocemente di prima.
Dopo poco, il resto degli invitati arrivò. Come Harry aveva previsto, il problema si presentò all'entrata. Semplicemente, il mezzogigante non passava dalla porta. Dopo parecchi minuti di tentativi piuttosto inutili – compreso un incantesimo che doveva far diventare la porta molle come gomma, ma che non riuscì neanche un po' – Hagrid fu portato direttamente in cucina con una smaterializzazione congiunta.
E meno male che c'era lui, vista l'assurda quantità di cibo che era stata prodotta. La Signora Weasley e Kreacher, infatti, avevano intenso l'invito a collaborare in una maniera piuttosto originale: dare luogo ad una sfida a chi sfornava più leccornie.
Fu così, che, quella sera, si congedarono a tarda notte, con la pancia piena e la mente intontita dalla Burrobirra e dal Vino Elfico.
 
 
 
PS:
anno nuovo, capitolo nuovo! Spero vi piaccia, perché io l'ho sentito particolarmente mentre lo scrivevo.
Allora, il fatto che Tonks sia stata uccisa proprio da sua zia è una dichiarazione della Row. Riguardo al personaggio di Andromeda, spero di averla resa bene, non si sa molto di lei ed ho dovuto affidarmi alle mie sensazioni.
Che altro dire? Il cottage me lo sono inventato di sana pianta, però Ted Tonks era veramente un nato babbano.
Vi ringrazio come sempre per i commenti. E ringrazio anche tutte le persone che la seguono in silenzio.
Con questo aggiornamento ho anche riformattato i primi capitoli, che erano messi veramente male. Al livello di scrittura non cambia niente, al massimo qualche virgola e la correzione di alcuni errori (orrori) che più di una volta Enide mi ha fatto notare. A proposito, continua così, sei la mia salvezza!
Insomma, non capivo la formattazione, poi ho imparato e ho deciso di uniformare i primi capitoli agli ultimi. Adesso tutto è molto più ordinato.
Un bacio e buon anno a tutti,
alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. What they died for ***


12.What they died for
 
“Per le mutande di Merlino, Hermione, ti vuoi dare una calmata?!” sbottò Ron esasperato.
Da quando si erano svegliati – o, per meglio dire, da quando Hermione li aveva buttati giù dal letto ad un'ora improbabile – la ragazza non aveva fatto altro che girare per la casa come uno spioscopio impazzito, controllando i bagagli ogni due minuti e urlando ordini ai due poveri amici, che, a detta sua, stavano rallentando la partenza. Harry e Ron sapevano che quello era il modo che Hermione aveva per gestire l'ansia di rivedere i suoi genitori, e l'avevano lasciata fare. Schemi organizzativi e tabelle di marcia erano sempre stati una prerogativa della ragazza, sopratutto a scuola, quando dava inizio ai programmi di ripasso anche mesi prima degli esami. Ma era evidente che la situazione le stava sfuggendo di mano. Era la quarta volta che svuotava completamente la sua borsetta di perline nella convinzione di aver dimenticato qualcosa. Alla fine avevano capito che era venuto il momento di fermarla. O, almeno, di provarci.
Hermione si fermò di botto in mezzo al corridoio, “Ma io sono calmissima!” strillò con voce acuta. Troppo acuta.
“Lurida feccia! Traditori del vostro sangue! Sporchi mezzosangue schifosi! Fuori da questa nobile casa! Fuoriiiiiiii!”
Ron imprecò sonoramente, guadagnandosi una risposta a tono dalla Signora Black, poi si precipitò davanti al ritratto, seguito da Harry. Per la terza volta in quella mattina, riuscirono a chiudere le vecchie tende tarmate, zittendo l'adorabile madre di Sirius.
“Hermione, Ron ha ragione. Penso che tu sia un po' troppo agitata. Andrà tutto bene.” disse Harry con calma voltandosi verso la ragazza.
“Oh, non è affatto detto! Non se voi due continuate a non aiutarmi!”
“E in cosa ti dovremo aiutare?! E' tutto pronto da giorni.” protestò Ron.
“Beh, per esempio, mi è venuto in mente: avete portato i vestiti giusti? Insomma in Australia è Inverno, ma il clima può variare di molto! A sud fa molto più freddo che a nord, anche se mai come qui in Inghilterra. E forse noi dovremo viaggiare per tutta la nazione! Insomma, ci avevate pensato?”
“Neanche un po', in realtà.” ridacchiò Ron.
“Visto! Lo sapevo! E poi pretendete che io stia calma!” si inalberò Hermione. Harry lanciò un'occhiataccia all'amico, che non sembrava aver più tanta voglia di ridere.
“Va bene, va bene! Stavo solo scherzando! Adesso calmati, per favore.”
“Ronald Weasley, se mi dici un'altra volta di calmarmi, giuro che io...” cominciò Hermione agitando un dito per aria.
“Adesso basta.” la interruppe Harry. “Stare a discutere qui porterà solo a far risvegliare la Signora Black. Prima di tutto, andiamo in cucina. E poi partiamo dalle cose fondamentali, Hermione. Nel caso non te ne fossi accorta, non ci hai ancora detto come arriveremo in Australia.”
Hermione aprì la bocca, forse per rispondere, forse per replicare, ma Harry le fece ancora segno di andare di andare in cucina e lei fu costretta a muoversi.
L'intero viaggio era stato organizzato completamente da lei. Appena avevano deciso di partire, Hermione aveva cominciato a procurarsi libri e cartine geografiche che studiava regolarmente ogni sera. Loro l'avrebbero aiutata volentieri, ma, ogni volta che le chiedevano qualcosa, lei rispondeva che era troppo occupata e che ci avrebbe pensato da sola. L'avevano lasciata stare, perché non c'era nessuno più bravo di lei in queste cose ma, adesso, al giorno della partenza, stava di fatto che loro due non sapevano quasi nulla di cosa li aspettasse.
“Allora?” la incitò Harry una volta che si furono seduti.
“Ci ho pensato a lungo. Materializzarsi sarebbe stato impensabile, ad una tale distanza. Per non parlare delle scope, così ho deciso che prenderemo una Passaporta.”
“Hai intenzione di creare una Passaporta non autorizzata?” fece Ron alzando un sopracciglio.
“Certo che no.” rispose scandalizzata Hermione.
“E allora come hai fatto? Ci vuole un sacco di tempo per avere l'autorizzazione dal Ministero!”
“ Beh... diciamo che aver salvato il mondo magico ha i suoi vantaggi, ecco.” rispose sbrigativamente lei abbassando lo sguardo. Harry non riuscì a trattenere un sorrisetto.
“E dov'è questa Passaporta?”
“Non è da nessuna parte. Dovrò crearla io. Mi hanno dato una determinata finestra oraria. L'autorizzazione sarà valida dalle dieci alle undici. Quindi, se partiamo alle dieci, arriveremo a Sydney otto ore dopo, ossia alle sei di pomeriggio.”
“Otto ore dopo?” chiese Ron aggrottando le sopracciglia.
“Il fuso orario, Ron! Anche se il nostro viaggio durerà meno di un secondo, ciò non vuol dire che...”
“Ho capito, ho capito.” la interruppe il ragazzo alzando le mani, come in segno di resa.
“Quindi.” intervenne Harry. “Visto che adesso sono le otto e trenta, abbiamo ben un'ora e mezzo di anticipo, dico bene?”
“Beh, sì! Ma non potevo di certo rischiare di fare tardi!” esclamò Hermione per giustificarsi.
“Ci mancherebbe.” sussurrò Ron.
“Non importa, visto che devo comunque fare un'ultima cosa, prima di partire.” li informò Harry con il tono di voce più calmo che gli riuscisse. Ovviamente, proprio come aveva previsto, vide gli occhi di Hermione spalancarsi prima che lei protestasse contrariata. “Oh, Harry! Ma cosa stai dicendo?! Con tutto il tempo che hai avuto, proprio oggi? E poi si può sapere cosa dovresti fare di così tanto importante?”
“Tranquilla, non devo andare da nessuna parte. Si tratta solo di aspettare una... consegna, diciamo.”
“Una consegna di cosa?” chiese Ron, curioso.
Harry inclinò un angolo della bocca in un mezzo sorriso. Era venuto il momento di raccontare tutto.
In realtà, non c'era un vero motivo per cui Ron e Hermione non avessero dovuto saperlo fin da subito. Ma Harry aveva sentito che che era una cosa da fare in solitudine. Così aveva deciso di aspettare che tutto fosse finito per mettere al corrente i due amici di quanto aveva fatto.
L'idea gli era venuta quando, mentre ripulivano la casa, Hermione aveva restituito il ritratto di Phineas Nigellus Black alla sua postazione originaria, dopo un anno passato in giro per la Gran Bretagna all'interno della borsetta di perline.
Ovviamente, prima di agire in alcun modo, aveva chiesto via gufo il permesso alla McGrannit,che glielo aveva accordato volentieri. Così si era recato da solo in quel negozietto a Diagon Alley, uscendone con un foglietto di pergamena su cui – a detta del negoziante – sarebbe apparso il giorno della consegna. Era stato così che , quella mattina, sulla carta si era vergato un messaggio che diceva:
 
Gentile Signor Potter,
il suo ordine è stato, come da lei richiesto, terminato prima del 2 Agosto. Un fattorino passerà a consegnarle il pacco questa mattina dalle ore nove alle ore dieci.
 
Letto il messaggio, Harry aveva subito mandato un gufo alla McGrannit, invitandola a prelevare il pacco quando meglio credeva durante la sua assenza.
 
 
Fu a pochi minuti prima delle dieci che un ragazzino smilzo e lentigginoso comparve davanti ai numeri udici e tredici con un pacco piatto sotto il braccio. Dalla finestra, Harry lo vide guardarsi confuso intorno, alla ricerca del numero dodici che mai avrebbe trovato. Forse, si disse Harry, stava pensando che qualcuno gli avesse tirato uno scherzo.
Quando uscì di casa il fattorino lo guardò ancora di più stralunato. Un po' perché era spuntato fuori da nulla, un po' perché non capita tutti i giorni di fare una consegna al grande Harry Potter.
Nell'ingresso, Ron ed Hermione lo aspettavano. La ragazza stava battendo il piede a terra in modo nervoso, di sicuro preoccupata di far tardi. Ma, quando vide il pacchetto, smise immediatamente.
Entrambi si erano dimostrati assolutamente d'accordo con l'iniziativa di Harry e si vedeva che la curiosità li stava rodendo.
“Che facciamo?” chiese Ron “Lo... lo apriamo?”
“Immagino di sì.” rispose Harry, la gola incredibilmente secca.
Hermione gli fece un segno di incoraggiamento e lui cominciò a scartare con movimenti lenti il pacco. Alla fine tra le mani aveva un piccolo quadro rettangolare. All'interno della cornice nera e lucida, Severus Piton sedeva su una poltrona, riposando ad occhi chiusi.
“Pensate che stia davvero dormendo?” chiese in un sussurro Hermione.
“Non penso lo sapremo mai.” rispose piano Harry, anche se era piuttosto convinto che Piton stesse facendo finta, esattamente come facevano tutti gli altri ritratti nell'ufficio del Preside, ad Hogwarts.
“Comunque.” riprese il ragazzo, schiarendosi la voce. “Volevo dirle che qualcuno la verrà presto a prendere per portarla ad Hogwarts. Starà lì assieme agli altri Presidi. Ho... ho pensato che fosse giusto così. E' stato un grande Preside, ed anche gli altri dovrebbero saperlo.”
Poi tacque, sentendo che le parole esaurirsi. Non sarebbe stato in grado di dire altro. Non quel giorno. Rinvoltò il quadro nella carta, cogliendo per un attimo – ci avrebbe giurato – il lampo nero dello sguardo di Piton, e poggiò il pacchetto sul tavolo della cucina, dove la McGrannit, o chi altri lei avrebbe mandato, avrebbe potuto trovarlo.
Poi, dopo che ebbero salutato Kreacher, Hermione prese una bottiglia vuota di Burrobirra e, colpendola lievemente con la punta della bacchetta declamò “Portus!”. Aspettarono che la Passaporta indicasse loro l'imminente partenza, poi posarono le dita sul vetro illuminato d'azzurro, pronti. Harry sentì un forte e familiare strappo all'ombelico e poi fu tutto buio.

***
 
 
Uno sbuffo di vapore si disperse nell'aria, insinuandosi tra la folla vociante. In quella tersa prima mattina di settembre, la locomotiva dell'Hogwarts Express sembrava più fiammante che mai. Una marea di studenti occupava la lunga banchina con i carrelli carichi di bauli e gabbie. Sopra gli schiamazzi dei gufi ed il miagolio dei gatti, si poteva udire il vociare confuso dei ragazzi, frenetici nell'aggiornarsi a vicenda dopo mesi di distacco.
Anche in quella confusione totale, non furono poche le teste che si girarono, quando Harry Potter attraversò la barriera del binario 9 e tre quarti. Accanto a lui, Hermione e Ginny spingevano due carrelli e Ron si guardava intorno con un'espressione corrucciata e le mani affondate nelle tasche. Avvicinandosi al treno, Harry poté notare come la folla si apriva attorno a loro in concerto di bisbigli.
“Credi che qualcuno ti chiederà un autografo come l'altra volta?” gli chiese Ginny ammiccando.
Harry storse la bocca, per niente divertito. Durante il periodo che avevano trascorso in Australia la stampa si era a dir poco sbizzarrita. Ogni pochi giorni il Profeta tirava fuori qualche nuova storia a proposito della suo viaggio e nella maggior parte dei casi l'articolo era firmato Rita Skeeter. Ginny gli aveva spedito alcuni di quelli assurdi trafiletti che parlavano di fughe d'amore che coinvolgevano principalmente Hermione e pellegrinaggi ascetici per, a detta della Skeeter, evitare la realtà. Poi, un giorno, aveva superato il limite. Forse perché si era resa conto che i suoi articoli non avevano più lo stesso tiraggio di un tempo, visto che ora tutti erano molto più propensi a crederlo il salvatore dell'umanità, colui che lo ha sconfitto, il Prescelto, o come accidenti lo chiamavano. Comunque, proprio come Harry aveva temuto, la Skeeter aveva cominciato ad insinuare che ci fosse qualcosa d'oscuro sul suo coinvolgimento nel caso Yaxley. Fortunatamente, dopo un paio di articoli che consideravano la sua assenza dalla Gran Bretagna come un'ammissione di colpa, il Ministero, forse per la prima volta nella storia, aveva deciso di prendere dei provvedimenti. Così, adesso – Harry non avrebbe mai finito di ringraziare Kingsley – gli articoli che lo riguardavano all'interno del quotidiano dovevano attenersi ad un numero limitato. E, cosa più importante, non avrebbero più dovuto trattare la sua vita privata senza la presenza di fonti attendibili. I pettegolezzi, aveva detto Kingsley, sono cose da lasciare al Settimanale delle Streghe. Ovviamente, non era possibile pretendere che tutto ciò venisse applicato alla lettera. Il Profeta, sebbene lui avesse più volte dichiarato che non aveva nessuna intenzione di pubblicare una sua biografia, aveva continuato a sproloquiare su di lui. Per non parlare delle centinaia di lettere che riceveva ogni giorno. Sembrava che ogni giornale esistente nel mondo magico – Da Maghi&Streghe a L'Orto del Pozionista, tralasciando il Settimanale delle Streghe, che ad ogni numero gli dedicava almeno cinque pagine – dovesse chiedergli un'intervista. Harry si era ostinato a rifiutare tutte le volte, convinto che, se ne avesse lasciata passare una, allora non sarebbe stato più in grado di fermarli. Hermione – incredibile l'interesse che il mondo magico provava per lei e Ron, adesso – si era dimostrata estremamente concorde con lui, sbarazzandosi delle lettere senza alcun rimpianto. Ron, invece, non era stato così rigido, e, preso dal brivido della fama, aveva accettato un paio di offerte. Ovviamente, se ne era pentito largamente alla pubblicazione. Dopo aver letto il giornale aveva passato tutta la giornata a sbraitare invettive contro la giornalista, che secondo lui si era inventata metà intervista. Harry ed Hermione, dopo aver riso per una buona mezz'ora, avevano conservato una copia di quello scempio per tempi più bui.
Anche in quel momento, nonostante la figura scura dell'Auror che quel giorno li seguiva a distanza, un discreto numero di giornalisti si era radunato sul binario. Harry si era lamentato molto per quella decisione, ma il Ministro era stato irremovibile. Non si trattava solo dei giornalisti, aveva detto.
“E' ancora presto per abbassare la guardia. Pensa a Yaxley.”
Così Harry era stato costretto ad ammettere che la presenza discreta dell'Auror non lo infastidiva più di tanto. Se non altro aiutava a tenere a bada i reporter.
“Beh, penso che per noi sarà meglio andare. Dobbiamo sistemare i bauli e ci sono un sacco di cose di cui mi devo occupare, adesso che....”
“Che sei Caposcuola.” concluse in fretta Ginny. “Sì, lo sappiamo.”
“E tu sei un Prefetto!” le rispose lei “É anche una tua responsabilità.”
“Certo, andiamo.” disse Ginny prendendola sotto braccio.
Harry e Ron le aiutarono a caricare i bauli, poi scesero dal treno per salutarsi.
Erano solo loro, quella mattina. Ginny aveva insistito per non essere accompagnata da nessun altro membro della sua famiglia, visto che c'era già Ron. Avrebbe solo creato scompiglio. La signora Weasley, ovviamente, aveva mostrato un certo disappunto. Aveva sempre accompagnato i suoi figli al binario e aveva intenzione di farlo anche per l'ultima volta, ma alla fine la figlia l'aveva convinta.
“Oh, ma non la potrebbero smettere di scattare tutte queste foto?” si lamentò Hermione con un'occhiataccia ai fotografi.
“Aspettano di vedere se tornerò ad Hogwarts, no?”
“Mi sembra logico che non lo farai, visto che non hai il baule!” protestò lei.
“Non è ancora detto. Potrei sempre saltare sul treno in corsa, ne verrebbe fuori un gran servizio.”
Ginny ridacchiò divertita stringendosi al suo braccio.
Hermione controllò l'orologio della stazione, nervosa. “Allora... noi andiamo.” disse con voce piatta, fissando intensamente Ron. Il quale, però, sembrava estremamente interessato alle sue scarpe.
“Uhm, cosa?” borbottò lui “Sì, si certo.”
Hermione continuò a fissarlo, corrucciata.
Da quando avevano ritrovato i genitori di Hermione, all'incirca a metà Agosto, Ron aveva cominciato ad assumere un atteggiamento sempre più negativo ogni volta che il discorso “Ritorno ad Hogwarts” saltava fuori. Aveva passato tutta la serata precedente a tenere il muso ad Hermione, rovinando le ultime ore che potevano passare insieme. Alla fine, lei era tornata a casa presto, evidentemente indispettita dall'atteggiamento di Ron. Harry aveva deciso di far finta di niente, sicuro che fosse solo uno stato d'animo temporaneo dovuto all'imminente distacco. Era evidente che faceva così perché non voleva separarsi da Hermione, sebbene non lo ammettesse. Quella mattina Harry lo aveva trovato dello stesso identico umore e, adesso, le cose non sembravano star per migliorare.
“Ti scriverò la data della prima gita ad Hogsmeade, così ci vedremo.”
“Certo. Come vuoi.”
“Come voglio?” ripeté Hermione con voce piatta, evidentemente delusa. Prima che Ron potesse peggiorare le cose, Harry si affrettò a salutarla abbracciandola. Poi prese per mano Ginny con l'intenzione di allontanarla un po', ma la ragazza sembrava avere gli occhi incollati su Ron ed Hermione.
“Sto per partire, Ronald.”
Lui la guardò con le sopracciglia aggrottate.
“Beh, ciao.”
Hermione spalancò la bocca come se le stesse mancando l'aria. Qualcosa le luccicò agli angoli degli occhi, ma se erano lacrime fu brava a nasconderle perché,quando rispose, pareva infuriata come una belva.
“Ciao?! Mi dici ciao, eh? Beh, allora ciao anche a te!” poi girò i tacchi con decisione, mormorando a mezza voce aggettivi che definivano Ron in un modo poco lusinghiero.
“Ma sei scemo o cosa?” fece Ginny spalancando gli occhi.
Ron si stropicciò la fronte. “Sono più scemo di un troll.” ammise poi con un sospiro.
“Oh, per merlino, quanto sono stupido.” bofonchiò mentre si lanciava all'inseguimento di Hermione, che stava ormai salendo sul treno.
“Hermione! Aspetta!” le urlò dietro.
“Che vuoi? Non ci eravamo già detti “ciao”?” sibilò lei con gli occhi ridotti a due fessure.
“Non appropriatamente.”
Allora la tirò a sé afferrandole un polso, mentre l'altra mano si poggiava sulla sua nuca. Hermione spalancò gli occhi per un attimo, sorpresa, prima che Ron la stringesse a se per baciarla. Lei gli gettò le braccia al collo sollevandosi in punta di piedi e lui la prese per la vita. Continuarono così a lungo, incuranti della gente che li guardava e dei fotografi impazziti. I bambini li additavano bisbigliando tra di loro mentre i genitori, scuotendo la testa, impedivano a quelli più piccoli di assistere alla scena.
Quando si separarono, Hermione era rossa come un peperone. Mentre tentava di aggiustarsi i capelli, esalò con il respiro ancora corto. “Sempre all'ultimo minuto, eh?”
Harry non seppe se Ron avesse risposto, perché un fischio acuto si propagò nell'aria, sovrastando ogni altro suono. Uno sbuffo di vapore più intenso, segno che il treno era stato messo in moto, offuscò per un attimo la sua visuale.
Si voltò verso Ginny, consapevole di avere pochissimo tempo.
“Non saremo così teatrali, vero?” chiese lei facendo cenno verso Ron ed Hermione, che continuavano a scambiarsi brevi baci, nonostante lei fosse già con un piede sul treno.
“Immagina come sarebbe contenta tua madre nel vedere una nostra foto sul Settimanale delle Streghe.” sghignazzò lui posandole una mano sulla guancia.
Poi, lei si avvicinò sorridendo per baciarlo lievemente. Harry chiuse gli occhi, beandosi del suo profumo.
“Attento alle ammiratrici.”
“Credo che me la caverò. Piuttosto, sono le ammiratrici che dovrebbero guardarsi da te.”
“Puoi dirlo forte.”
L'abbracciò stretta mentre le prometteva di scriverle fiumi di lettere. Poi lei salì sul treno con un ultimo bacio e lui rimase lì, a fissare il punto dove un attimo prima c'era la fiamma dei suoi capelli.
Fu allora, mentre Ron si avvicinava a lui con un sorriso mesto, che Harry sentì qualcosa sbattere violentemente contro le sue gambe.
“Mi scusi! Mi scusi!” esclamò una voce nasale. Il ragazzo si voltò, dietro di lui c'era un bambino allampanato e pallido, una zazzera spettinata di capelli castani gli ricadeva sugli occhi estremamente ingigantiti dalle spesse lenti degli occhiali. Era abbastanza alto, ma Harry avrebbe scommesso che fosse uno del primo anno.
“Mi dispiace!” ripeté quello.
“Tutto bene?”
“Certo. Certo.” rispose in fretta mentre tentava di caricare l'enorme baule sul treno.
Al terzo tentativo andato a vuoto, lasciò andare il bagaglio sul marciapiede sbuffando sonoramente. “Accidenti! Perderò il treno!”
“No che non lo perderai.” lo rassicurò Harry avvicinandosi. “Ti aiutiamo noi.”
Lui e Ron caricarono in fretta il baule mentre l'ultimo fischio annunciava che il treno sarebbe partito di lì a pochi minuti.
“Grazie mille signori! Siete stati molto gentili.”
“Di nulla. E' il tuo primo anno ad Hogwarts, vero?”
Quello annuì convinto. “Sì, quando è arrivata la lettera pensavo ad uno scherzo. Non era mai successo a nessuno della mia famiglia. Essere un mago, intendo! Non conosco nessuno, sono tutti figli di maghi, qui.”
“Oh, non è vero. Ci sono un sacco di ragazzi come te. E poi non vuol dire nulla essere nato in una famiglia di maghi o di Babbani.” gli disse Ron con un sorriso.
“Davvero? E se non mi riesce fare magia? Se mi rimandano a casa?”
“Non rimandano a casa nessuno. Anch'io lo pensavo quando sono arrivato ad Hogwarts. Ho scoperto di essere un mago solo quando ho compiuto undici anni ed è arrivata la mia lettera, proprio come te.”
“Davvero?”
“Certo. Ti troverai benissimo, vedrai. Gli amici che conosci a scuola te li porti dietro per tutta la vita.” gli rispose Harry lanciando un'occhiata a Ron.
“Non credo. Mi prenderanno tutti in giro perché sono Babbano. Ma tanto ci sono abituato, lo facevano anche alla vecchia scuola.” rispose il bambino con serena rassegnazione.
Harry sorrise, sapeva che non l'avrebbe mai convinto del contrario. Quel ragazzo avrebbe dovuto scoprirlo da solo.
“Sai, non credo che ti prenderanno in giro. Guarda, ci stanno fissando tutti.” gli fece notare Harry. Effettivamente, tante teste spuntavano fuori dai finestrini e anche i genitori, in piedi sul binario, li guardavano curiosi.
“Già, forse è perché sono strano.” rispose quello mentre il treno iniziava a muoversi.
“No. E' perché Harry Potter e Ron Weasley ti hanno appena caricato il tuo baule sul treno e adesso stanno parlando con te.”
Harry confidava nel fatto che anche un bambino nato Babbano conoscesse la storia del Prescelto, e, infatti, mentre si scostava fugacemente i capelli dalla fronte per fargli vedere la cicatrice, l'espressione di stupore del ragazzo gli disse che non si era sbagliato.
“Buon viaggio!” augurò Ron mentre lo salutavano con agitando una mano. Il bambino ricambiò il saluto con la bocca spalancata, poi scomparve dalla loro vista.
“E così se ne sono andate via senza di noi.” fece Ron dopo un po', mentre il treno sfilava via.
Harry sospirò sonoramente, sovrappensiero.
“Sai, adesso credo di averlo capito.”
“Capito cosa?”
“Quello per cui sono morti.”
Ron sollevò le sopracciglia, invitandolo a continuare.
“Me lo sono chiesto a lungo in questi mesi. Non riuscivo a capire che senso avesse. Mi sembrava solo un'inutile ingiustizia. E invece ora l'ho capito. E' grazie a loro che, oggi, quel bambino è potuto salire sul treno. E' grazie a loro se si sederà in uno scompartimento con altri ragazzi, se verrà smistato dal Cappello Parlante, se mangerà al tavolo della sua Casa, se passerà le serate d'inverno davanti al fuoco caldo della sua sala Comune, se fonderà il calderone durante Pozioni, se sarà bravissimo in Trasfigurazione, se si stringerà le più grandi amicizie della sua vita e se si innamorerà di una sua compagna. E' per questo che sono morti. Perché tutti possano avere queste cose, senza alcuna discriminazione.”
Ron lo fissò in silenzio per un attimo, poi distolse lo sguardo affondando le mani nelle tasche.
“Sembra un bella cosa per cui morire.”
“Già.” rispose semplicemente Harry, osservando l'ultimo vagone del treno farsi sempre più piccolo, fino a scomparire.
Rimasero così a lungo, fissando i binari in silenzio, come per un tacito accordo.
Ancora una volta, pensò Harry, l'espresso per Hogwarts era partito senza di lui.
 


PS:
questo capitolo arriva in un ritardo mostruoso, mi scuso tanto per aver lasciato passare tutto questo tempo. In realtà, continuavo a rimandare un po' perché non trovavo il tempo, un po' perché mi dispiaceva concludere questa storia.
Questo capitolo è nato insieme al primo, e, sebbene nel corso della storia sia mutato, nella mia mente è sempre rimasto una sorta di punto fermo. Era qui che volevo arrivare, è così è stato. Devo dire che sono contenta di averlo fatto. Questa è stata la prima ff che io abbia mai scritto. L'ho iniziata per curiosità e per volontà di provare ma alla fine mi sono divertita tantissimo. Quando pubblicai il primo capitolo, non pensavo che qualcuno l'avrebbe potuto notare. Fui sinceramente stupita quando arrivò la prima recensione. A proposito, ringrazio tanto i primi recensori, scusandomi se non ho risposto. Non volevo essere maleducata, semplicemente, non sapevo come fare!
Così vi saluto ringraziandovi ancora una volta per le belle parole, per i consigli e per le correzioni. Grazie a tutti quelli che mi hanno seguita (mai finirò di stupirmi), ricordata e preferita (qui lo stupore è limitativo).

 

Ah, dimenticavo. Ho cambiato nickname! Quello vecchio è il nome che uso sempre quando devo iscrivermi da qualche parte e non ci voglio star troppo a pensare. Ho deciso di sostituirlo in qualcosa di più appropiato. D'ora in poi, chiamatemi Vattelapesca ;D 
 
E adesso vi saluto... almeno per ora. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=838965