Polvere di stelle

di reggina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio liceo ***
Capitolo 2: *** Cameratismo ***
Capitolo 3: *** La Berceuse ***
Capitolo 4: *** Vado a Osaka ***
Capitolo 5: *** Come un quadro di Manet ***
Capitolo 6: *** I dolori del giovane Ross ***
Capitolo 7: *** Scattando fotografie ***
Capitolo 8: *** Malaika ***
Capitolo 9: *** Dai Le Blanc ***
Capitolo 10: *** Il canto delle megattere ***
Capitolo 11: *** Domenica pomeriggio sulla Grande Jatte ***
Capitolo 12: *** Una J e una A ***
Capitolo 13: *** Une mécanicienne japonais ***
Capitolo 14: *** Nel refettorio dell'università ***
Capitolo 15: *** "Sei una fauve" ***
Capitolo 16: *** I pesci rossi ***
Capitolo 17: *** "Gli ottocento e otto ponti di Naniwa" ***
Capitolo 18: *** Orgoglio e pregiudizi ***
Capitolo 19: *** "Conosciamoci un pò" ***
Capitolo 20: *** L'ombra dei ieri felici ***
Capitolo 21: *** "Tienimi con te" ***
Capitolo 22: *** Un nastrino nero al collo ***
Capitolo 23: *** Fiorirà l'aspidistra ***
Capitolo 24: *** "Ci sono tante cose in un silenzio" ***
Capitolo 25: *** Il vaso di terracotta ***
Capitolo 26: *** Le candele della vita ***
Capitolo 27: *** Pesci in gabbia ***
Capitolo 28: *** "La trama del tessuto" ***
Capitolo 29: *** "Segreti e bugie" ***
Capitolo 30: *** "Stare in apnea" ***
Capitolo 31: *** "Parossismo del dolore" ***
Capitolo 32: *** "Tu che pesce sei?" ***
Capitolo 33: *** "Quando gli animali vanno in letargo" ***
Capitolo 34: *** "Da grande" ***
Capitolo 35: *** "Nel guscio della tartaruga" ***
Capitolo 36: *** "Barbie girl" ***
Capitolo 37: *** "Polvere di stelle" ***
Capitolo 38: *** "La fascia di capitano" ***
Capitolo 39: *** "Prima dell'alba" ***
Capitolo 40: *** "Poco e subito" ***
Capitolo 41: *** "Alla stazione un pomeriggio d'inverno" ***
Capitolo 42: *** "Una foto in bianco e nero" ***
Capitolo 43: *** "La febbre della ragione" ***
Capitolo 44: *** "Spleen" ***
Capitolo 45: *** "Paura di essere felice" ***
Capitolo 46: *** "Qualcuno con cui parlare" ***
Capitolo 47: *** "Ridere insieme" ***
Capitolo 48: *** "Pescatori e sirene" ***
Capitolo 49: *** "Il bouquet della sposa" ***
Capitolo 50: *** "Promessa per il futuro" ***



Capitolo 1
*** Addio liceo ***


Non era stata la stessa estate di sempre e in quel settembre non avrebbe rivisto i compagni, gli amici di una vita.

Tre mesi prima avevano promesso di rimanere in contatto ma Amy sapeva già come sarebbe andata a finire: si giura di restare uniti ma poi ci si perde.

Anche per questo in quella mattina, sfavillante ancora di frammenti d'estate, si era ritrovata a spiare le ragazzine leggiadre nelle loro uniformi alla marinara.

Per lei non ci sarebbero più stati lo zaino pieno di libri, le corse per non perdere l'autobus, le prediche dei professori e le lezioni di matematica.

Niente più interrogazioni, compiti fatti, non fatti o fatti male. Tutto finito.


Si sentiva fuori posto e un po' sciocca nell'osservare, furtivamente, gesti che fino a pochi mesi prima le erano così familiari.

Come una moglie fedele tradita per un'amante più giovane. Forse era stata proprio la gelosia a spingerla fin lì il primo giorno di scuola, ad essere spettatrice mentre il suo caro, vecchio, liceo spalancava le porte del futuro a perfetti sconosciuti.

Stava immobile e inerme, con il suo diploma in tasca, mentre in un'inevitabile legge del contrappasso storie nuove stavano già sbiadendo quelle vecchie.

Che sciocca che era stata a desiderare che il tempo passasse più veloce, ad avere fretta di crescere e abbandonare la culla sicura che era stata l'adolescenza!


Le sembrava soltanto ieri di essere entrata in quella classe piena di facce nuove, di quaderni ad anelli e penne profumate. Era strano: per anni aveva lottato con quel desiderio di finire il liceo, di andarsene, di cambiare aria e adesso già le mancava quella routine fatta di lezioni, ore noiose, chiacchiere su qualsiasi argomento per perder tempo, battute e risate.

Si sentiva come quei giovani che credono che il meglio debba ancora venire e si accorgono poi che il meglio è già passato.

Le salì un misto di tenerezza e malinconia nell'osservare i ragazzini del primo così piccoli e impauriti.

Era come essere sfiorata da tante storie, attraversarle e viverle di profilo.


Una ragazzina dall'aria smarrita le ricordò la Amy dodicenne che si era da poco trasferita a Tokyo, ignara di tutte le prove, di tutte le amicizie e le cose belle che le avrebbero lasciato in eredità gli anni futuri.

Chiuse gli occhi per ripercorrere la routine così confortante: prepara lo zaino in fretta e furia dimenticando sempre qualche libro, le corse per non perdere l'autobus, le ultime ripetizioni prima delle interrogazioni, le chiacchiere con le compagne e gli sguardi languidi da destinare al banco di Julian durante le ore più noiose. L'intervallo passato sempre insieme alla sua migliore amica e il doposcuola a seguire gli allenamenti della Mambo.

Niente di tutto questo sarebbe più stato suo.


Gonne fruscianti di divise da sailor, la sorpassarono senza badarle, ed infilarono il portone d'ingresso: comparse nuove che le avevano rubato la scena mentre Amy, mentalmente, sgranava come un rosario il registro della sua ex classe.

Un nodo per il rimpianto di un passato, che non apparteneva più a nessuno, e l'incertezza del futuro le serrò la gola.


Il suono della campanella. Il profumo di gesso alla lavagna e di pastelli colorati.

Il vecchio bidello, alto e curvo, prima di chiudere il portone si accorse della giovane spettatrice al di la del cancello e la salutò con un sorriso velato.

Per Amy era il momento di dire addio ad ogni singolo momento dell'adolescenza, degli anni più belli. Ad un parte di vita che non avrebbe mai dimenticato.

Di salutare la parte di lei che sarebbe rimasta lì, tra le mura che profumavano di ardesia e di futuro.

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Capitolo 2
*** Cameratismo ***


In un clima da gita scolastica, il pullman della nazionale giovanile si era messo in moto: allegria e cameratismo erano incrementati anche dalla prestigiosa vittoria ottenuta contro i pari età della Cina.

Bruce Harper aveva raggiunto i posti delle ultime file esordendo con l’ultima delle sue barzelletta, rigorosamente sconcia.

Oliver Hutton cercava di sistemare alla bell’è meglio la montagna di giornali e riviste sportive di cui aveva fatto incetta mentre Philip Callaghan custodiva, soddisfatto, il pacchetto acquistato in un negozio alla moda sul lungomare del Kobe Harborland.

“Ehi Phil, cos’hai comprato alla tua bella?”

Lo provocò, con un sorriso ammiccante uno dei gemelli Derrick.

“Non sono affari tuoi…Jason!”

Tirò ad indovinare l’Aquila d’Hokkaido perché distinguere quei due, identici in tutto e per tutto, era impresa ardua per chiunque.

“Sapete qual è il colmo per un calciatore?”

Aveva continuato imperterrito Bruce, poco interessato all’identificazione dei gemelli , e trovandosi perfettamente a suo agio nell’essere il jolly della situazione.

“Dare un calcio alla fortuna! E per un estremo difensore? Fare il portiere di notte!”

“Harper le tue battute sono pessime! In queste condizioni capirai che ci è impossibile smettere di prenderti in giro!”

Si era intromesso anche il portiere titolare dell’Amburgo, aggiustandosi la visiera del cappellino con un gesto spocchioso che lo contraddistingueva sin da quando era bambino.

“Per fortuna sono più bravo a giocare a calcio che a raccontar barzellette, eh Benji?”

“Se intendi che fai ridere anche in campo, hai perfettamente ragione amico!”

Rincarò Jack Morris.

“Sei solo invidioso perché io sarò tesserato in una vera squadra di Japan League, finalmente!”

“Però…Ve la ricordate il nostro primo torneo a Yomiuri Land? Avevamo undici anni ed era la prima volta che provavamo passioni, emozioni, delusioni e rancori che, allora, duravano una settimana ma erano così forti che ci sono rimasti indelebili nella memoria!”

Meditò a voce alta Danny Mellow.

“Hai proprio ragione! Prendi la nostra saracinesca Price: affermato a livello mondiale ormai, tanto da essersi guadagnato il soprannome di Super Great Goalkeeper…Eppure ancora gli rode il gol che gli rifilò, da fuori area, il nostro Holly!”

Ammise candidamente Ted Carter. Fraddy Marshall ridacchiò, pur rimanendo composto nel suo ruolo di trainer accanto all’autista, ben consapevole del fondo di verità di quell’accusa.

“Beh anche il nostro pallone gonfia…”

L’impulsivo Philip fu bloccato da una gomitata rifilatagli dal suo corretto compagno di posto, che lo costrinse ad esprimersi con epiteti più gentili.

“Ahi! Dicevo…Anche la nostra Tigre ha i suoi scheletri nell’armadio!”

Come intuendo che si stesse parlando di lui, Mark Lenders si tolse un attimo gli auricolari lanciando al giovane di Furano un’occhiata ferina, quindi si isolò nuovamente dietro la sua play-list.

“Beh un fondo di verità in quello che dici c’è! Mark non ha mai perdonato al nostro signor due-assist-e-un-gol qui presente la crisi mistica a cui lo mandò incontro dopo quel famoso spareggio Mambo contro Toho. E, in tutta sincerità, Ross nemmeno io ho mai digerito la doppietta che mi rifilasti in mezz’ora di gioco!”

Confermò Ed Warner, sgranchendosi le lunghe gambe nel corridoio del pullman.

“Ma sono passati cinque anni!”

Obiettò Julian, vero mattatore nella sfida ai cinesi, ben deciso a mettere una pietra su un passato difficile che considerava ormai morto e sepolto .

Philip ed Ed fecero spallucce come ad intendere che certe cose non si scordano mai.

“Ehi Julian sono seriamente preoccupato per te!”

Berciò all’improvviso Bruce, lasciando finalmente in pace i gemelli nonostante James non poté trattenere una battuta che fu udita da pochi.

“Ci credo! Se gridi come una scimmia a quel poveretto verrà un infarto proprio adesso che è sano come un pesce. Sarebbe il colmo!”

Lo sguardo scettico di Ross mutò in un sorriso che ben presto arrivò ad illuminargli gli occhi marrone chiaro quando, finalmente, l’ex difensore della New Team si spiegò.

“Con quelle mezze calzette dagli occhi a mandorla hai fatto il bello e il cattivo tempo ma non avrai altrettanto la vita facile quando ti ritroverai me, a marcarti ad uomo, durante le partite di campionato!”

“Si attento a questo bulldozer, Julian! Ti fermerà con i suoi famigerati colpi di faccia!”

E ci mancava pure la voce del possente Clifford Yuma a burlare il malcapitato Harper!


Per quegli sportivi l’unico rimpianto era stato non aver avuto abbastanza tempo extra per avventurarsi nell’ardua salita del Monte Rokko e, per i più scansafatiche, prendere la funivia e godersi in dieci minuti un panorama mozzafiato.

L’autobus si inerpicava già in un dedalo di salite e vie secondarie per raggiungere l’autostrada. Tom Becker si era addormentato da circa mezz’ora con la testa appoggiata contro il finestrino freddo e le gambe rialzate a mo’ di scimmia tra la congiuntura di due rami, insofferente agli sballottamenti e alle curve di quel viaggio che stava diventando una pena.

Una macchia d’ombra nell’euforia collettiva che vedeva, ancora, Bruce come mattatore e mattacchione: il difensore si era appropriato del microfono che penzolava sopra il volante e si era piazzato accanto al conducente.

“E ora, amici miei, facciamoci un po’ gli affari vostri! Signor Marshall credo sia doveroso iniziare con fare gli auguri al nostro Mister che, finalmente, è diventato nonno! Maschietto o femminuccia?”

Messo a disagio adesso che la sua vita privata era messa in piazza e imbarazzato dagli auguri dei suoi calciatori e da commenti tipo che super nonno! che la voce impertinente di Price sembrava aver snocciolato, Freddy si prese una piccola vendetta.

“Dovresti saperlo che sono due gemelli: maschio e femmina, gossipparo che non sei altro! Ah e già che ci siamo: hai già assicurato il posto in panchina accanto a me per la prossima uscita della Nazionale!”

Bofonchiando per la permalosità dell’allenatore, Bruce aveva fatto spallucce e continuato imperterrito il suo giochino, prendendo di mira uno dei compagni più silenziosi.

“Ah e il nostro falco Patrick Everett si è fidanzato!”

A salvare il povero attaccante dell’Otomo dal diventare rosso come un granchio ci aveva pensato Philip.

“Con Evelyn Davidson!”

“Romanticone di un Callaghan faccia meno lo spiritoso e venga qui! So che ha un annuncio da farci!”

Punto sul cuore, lo speaker aveva incrociato le braccia e, questa volta, era riuscito a rendere impacciato pure l’estroverso capitano della Flynet.

Mani dietro la testa, ridacchiando nervoso, si avvicina in una posa degna del più maldestro Oliver Hutton .

“Mi sposo!”

“Oh che bella notizia! Per caso Jenny è incinta? Forse i nostri bebè nasceranno lo stesso giorno!”

Philip aveva sollevato un sopracciglio, perplesso dalla candida ingenuità del capitano ed aveva cercato di tenere a bada i fischi di approvazione del resto della ciurma.

“No Holly non è un matrimonio riparatore! Ci si sposa anche giovani, lo sai bene anche tu che l’amore non ha età. Naturalmente siete tutti invitati al tempio di Chuo-ji dove ci scambieremo le promesse, l’estate prossima. Julian…”

Il libero della Nazionale, preoccupato dalla tonalità verdastra del viso di Tom Becker, fece uno sforzo per prestare attenzione al discorso di gruppo.

“Vuoi essere il mio testimone di nozze?”

“Contaci amico!”

“Tom…”

Callaghan non aveva fatto in tempo a chieder nulla all’amico di vecchia data perché, appena l’autobus si era fermato nella piazzola di un autogrill, Becker aveva cercato di tenersi in equilibrio e, ignorando tutti, era sceso precipitosamente e aveva vomitato.


Se ne era rimasto in disparte, dopo quell’attacco di cinetosi, mentre gli altri, dopo essergli sfilati accanto ed essere stati rassicurati che tutto era apposto, adesso si stavano rimpinzando e sgranchendo le gambe.

Tom si sentiva decisamente frastornato e un po’ debole ma poteva dire che il peggio era passato anche perché un buon profumo di pane appena sfornato lo aveva quasi rigenerato del tutto.

“Lo so cosa significa avere lo stomaco sottosopra e conosco anche qualche trucchetto per calmarlo!”

Julian, proprio il riservato Julian Ross, gli si era seduto accanto sul ciglio del marciapiede e gli aveva allungato un panino vuoto appena comprato. A spiazzare Tom, oltre che il gesto altruista, era stata soprattutto la semplicità con cui Julian aveva menzionato i suoi problemi, senza piangersi addosso.

“Grazie davvero! Credo che sbocconcellare questa fragrante delizia mi aiuterà a rimettermi in sesto!”

Non potevano chiedere di più alla loro amicizia, superficiale da tanti anni, perciò prima che sprofondassero in un silenzio imbarazzato Becker aveva tolto d’impiccio entrambi.

“Beh vado a sentire cosa aveva da propormi Philip. Purché non mi chieda di fare da fotografo alle sue nozze! Non voglio lamentele se poi il servizio è scadente!”

Julian aveva riso. Finalmente si sentiva leggero, parte del gruppo. Sentiva davvero i suoi vent’anni.

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Capitolo 3
*** La Berceuse ***


L’aeroporto di Narita era pieno di gente che camminava su e giù portando bagagli di ogni tipo. Gruppi organizzati stavano vicini ad ascoltare le indicazioni della guida, qualcuno si salutava con abbracci e mille raccomandazioni, alcuni ragazzi parlottavano felici, facendo ipotesi sul loro primo viaggio all’estero.

Tom guardava il tabellone degli orari prima con noia, poi con ansia e infine con impazienza: il volo per Parigi aveva subito un ritardo di tre ore.

Avendolo riconosciuto, alcuni bambini appassionati di calcio lo avevano avvicinato con discrezione; elettrizzati per quell’incontro fortuito e con discrezione e voce bassa a causa dell’emozione gli avevano chiesto un autografo.

L’attaccante della Nazionale, grato per il calore e l’affetto dimostratogli dai piccoli tifosi, non si era tirato di certo indietro e aveva anche scompigliato la zazzera disordinata di uno dei piccoli che avevano continuato a fissarlo, quasi con venerazione, anche mentre si allontanava.

Aprire il bagaglio a mano e prendere un libro o ascoltare musica non lo avrebbe aiutato ad ingannare i minuti che scorrevano lentamente.

Era ancora scombussolato dopo il tortuoso viaggio in bus perciò aveva deciso di defilarsi dal subbuglio tra la folla in attesa e spostarsi verso la zona franca.


Aveva compiuto un primo giro di perlustrazione per capire com’erano suddivisi i reparti e le luci e i profumi dei duty free gli avevano provocato una sorta di stordimento dei sensi.

È stanco, stanchissimo e l’occasione sprecata, le parole non dette gli bruciano la gola e gli girano lo stomaco sottosopra.

Il ritorno in Giappone, a casa, era la circostanza giusta per rivedere sua madre, per riabbracciarla e magari dirle che le voleva bene.

Tom non c’era riuscito.

“Io non sono Tom Yamaoka. Io sono Tom Becker!”

Quella frase, la sua voce bambina, gli risuonava nelle orecchie da anni ed è ancora una ferita aperta.

La sua non mamma si era rifatta una vita, aveva una famiglia nuova e lui accampava volentieri mille scuse, inventava imprevisti pur di evitare quell’ambiente dove si sarebbe sentito un estraneo.

Perché casa sua ormai era la Francia. Casa sua era Ichiro.


In uno spazio di antiquariato e oggettistica si era fermato a guardare e pensare con malinconia: una litografia della Berceuse tra due stampe di girasoli era un accostamento perfetto, quasi mistico, una sorta di Madonna tra due candelabri.

Difronte all’opera di Van Gogh aveva fatto un cenno di ironico riconoscimento e si era chiesto se l’artista avesse attinto ad un’infanzia felice mentre dipingeva Augustine Rouline come emblema di tutte le mamme.

All’improvviso gli erano ritornare in mente le strofe di una ninna nanna con cui Yumiko lo addormentava quando era bambino: era l’unico appiglio a sua madre e semplicemente, come si fa anche con i ricordi belli, l’aveva dimenticata per tutti quegli anni. Erano briciole sparse su quel passato lontano, sulla precaria famiglia che erano stati tutti e tre.

Riconoscendo una certa familiarità con quell’opera aveva tirato fuori il portafogli deciso a comprarla. Da una delle tasche era caduto un foglio stropicciato con un disegno astratto e pieno di colori fatto da un bambino.

Da una bambina. Sua sorella Yoshiko.


Una mano femminile, ancora un po’ infantile con la pelle morbida sulle nocchie e le unghie mangiucchiate, l’aveva raccolto e glielo aveva porto.

Ancor prima di poter ringraziare , gli occhi di Tom erano andati oltre il grande Trolly e il borsone a tracolla che la gentile sconosciuta si tirava dietro.

I suoi codini bassi, all’altezza della nuca, rimbalzavano a tempo e le davano un’aria così infantile e scanzonata nonostante i tacchi alti e nonostante cercasse di darsi un contegno dignitoso.

Tom era quasi inciampato nel trolley per lo stupore nel riconoscere la sua vecchia compagnia di scuola.

“Susie?”

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Capitolo 4
*** Vado a Osaka ***


C’erano tante vite in transito nel salone da parrucchiera della signora Aoba: l’innamorata che sognava sotto il casco, la ragazzina ribelle che si tingeva i capelli di viola, la sposina che provava l’acconciatura per il grande giorno…

Amy avrebbe voluto davvero che tutto fosse così semplice : un taglio di capelli e ci si sente nuovi e rinnovati!

Quando era piccola , ammirava la mamma mentre realizzava quelle pettinature gonfie e piene di ricci e pensava che poi le signore sarebbero state avanti allo specchio a rimirarsi come la matrigna di Biancaneve. Adesso si divertiva ad aiutare, a mettere le mani in teste con mille idee diverse e, ancora con il candore di una bambina, credeva che fare la parrucchiera fosse bello perché le signore arrivavano brutte e in disordine e uscivano belle pavoneggiandosi .

Lei però non era sicura che quella fosse la sua vera vocazione, la strada giusta da seguire.

L’università: una svolta. Una boccata di ossigeno.


“Tesoro finisci tu la messa in piega della signora Neville? Io ho un appuntamento con un rappresentante di balsami!”

Amy era sempre stata brava a scuola, sapeva tante cose perciò le chiacchiere con le signore le venivano bene perché aveva sempre qualcosa da dire.

Stava maneggiano la spazzola rotonda e la signora Neville la stava bombardando di informazioni e curiosità sull’aceto balsamico quando furono interrotte da qualcuno di davvero inaspettato.

“Posso?”

Julian.

Sembrava che uno scultore si fosse divertito a scolpirlo solo per renderlo un’irresistibile tentazione. Quell’atleta così bello e armonico da sembrare una statua greca era così diverso dal Julian emaciato e malaticcio che aveva conosciuto da ragazzina tanto che, a quella visione, Amy aveva la gola secca e il cuore palpitante.

“Accidenti a me!”

L’imprecazione le era salita spontanea alle labbra appena si era accorta che quella distrazione le era costata una lieve ustione con il phon alla mano.

Era corsa a metterla sotto il getto corrente dell’acqua fredda: il ragazzo impacciato non sapeva come rendersi utile mentre la signora Neville ammiccava, da dietro una rivista, mangiandosi con gli occhi quello che le clienti più affezionate avevano ribattezzato l’Apollo di Tokyo .

Era davvero perfetto Julian Ross con il suo profilo simmetrico e il suo corpo slanciato, con le spalle ampie e le gambe incrollabili che avevano sostenuto tutte le sue battaglie, con i muscoli dell’addome e del torace che si muovevano sotto la t-shirt aderente con il logo della federazione.

E aveva anche la pazienza di un certosino perché si era seduto su una poltrona con le gambe intrecciate e distese in avanti e aveva osservato il lavoro di Amy, aspettando che lei finisse e potesse accompagnarlo nella passeggiata che le aveva proposto di fare insieme.


Shiodome. Stare seduti tranquillamente tra i grattacieli che rifulgevano da lontano permetteva di immaginare l’affascinante passato di quella zona.

“Amo questa parte di Tokyo. È straordinario il contrasto degli alberi e dei prati verdi con i monoliti di vetro che si stagliano sullo sfondo!”

Julian era da sempre innamorato della sua città e ne tesseva le lodi allargando un sorriso che faceva allargare il cuore di Amy.

Quel giorno quel cuore era come un cavallo da domare e la ragazza si era aggrappata forte alla panchina sulla quale si erano seduti per cercare di tenere a bada quella sensazione che la corrodeva dentro come un liquido denso.

“Complimenti! Avete giocato una bella partita.”

Quel modo di fare rigido e distaccato aveva spiazzato il calciatore della Mambo. Aveva cercato di allungare una mano a sfiorare la sua più cara amica ma, istintivamente, lei era scattata indietro come se volesse mettere più distanza possibile tra di loro.

Julian aveva abbassato gli occhi ma poi aveva pensato che era un suo sacrosanto diritto sapere il perché di quella reazione.

“Amy che ti succede? Mi sembra che mi eviti, che non vuoi vedermi.”

Lei lo aveva schivato e aveva fatto vagare il suo sguardo sui vialetti che costeggiavano laghetti e salette da tè.

Stava per dargli una notizia bomba, una scelta drastica che avrebbe sconvolto tutti i loro equilibri.

“Vado via da Tokyo, Julian. Vado a studiare a Osaka!”

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Capitolo 5
*** Come un quadro di Manet ***


“Come un quadro di Manet”

Allacciata la cintura di sicurezza, Susie si estraniò dalle ultime raccomandazioni dell’hostess che preparavano al decollo e si astrasse nel mare di nebbia che rimandava l’oblò.

Tracciò una linea diritta con la punta del dito sul vetro appannato per imprimere la distnza tra il Giappone e il futuro; in quel momento non voleva pensare né al passato né all’avvenire

Voleva essere soltanto parte di quel luogo trasparente, parlare alla luna della sera con quel gioco del dito. Chissà quanti avevano i suoi stessi pensieri! Aveva sempre osservato con interesse gli aloni lasciati sui finestrini dei treni da sconosciuti; segni indecifrabili che celavano storie complesse in simboli elementari e che ora lei stava imitando.

Lanciò un’osservazione crucciata al suo vicino di posto: quando se lo era ritrovato a tale distanza non era ricorsa a frivole citazioni del destino per calibrare le coincidenze di quella giornata ma si era limitata a sorridere affabile, pentita di aver lasciato che Tom lasciasse la Berceuse all’attenzione di altri visitatori.

Era stata capricciosa e testarda nel voler rivendicare la proprietà di quella cornice, senza particolare interesse in verità, animata poi dal semplice piacere di prevaricare l’altro sesso: Susie non era abituata a sottomettersi alle richieste altrui ma aveva imparato a giocare con il fuoco fino a scottare i suoi partner.

Tom ora le sedeva accanto rispettando il suo tacito desiderio di silenzio: le era venuto spontaneo riconoscerlo soltanto con il cognome, tipico distintivo da attribuire alla notorietà del soggetto, forse anche per sottolineare un atavico distacco da lui.

Non avevano più fatto menzione dell’alterco nato nel duty free shop e Becker celava abilmente la sua delusione per l’acquisto mancato.

Tom la fissò incuriosito quando tappò bocca e naso con la mano quasi si stesse preparando per un’immersione e l’aero decollò.

“ Serve ad evitare che le orecchie si otturino durante il decollo!"

Si sentì in dovere di spiegare, parlando per la prima volta.

Lui assentì accondiscendente: Tom era diverso dagli altri uomini della sua vita e questo la inquietava.

*************

Il velivolo solcava ormai in un mare di stelle e di infinito spazio scuro su cui Susie si sentì scivolare, il corpo che danzava e fluttuava sospeso in aria e poi scorreva inerme e libero sulle acque dell’oblio.

La stessa sensazione che la pervadeva negli interminabili attimi in cui lo sguardo paterno l’aveva criticata in silenzio, la trafiggeva ora improvvisamente a diecimila metri di altezza: le algide e inespressive iridi di chi avrebbe dovuto trasmetterle solo affetto l’avevano portata a sentirsi una nullità, incompresa e seviziata nel suo orgoglio.

Quante volte la figlia ribelle aveva represso il desiderio di scivolare via da Nankatsu e affogare in un fiume del distretto!

Lei era la ragazza interrotta, quella che lasciava le opere a metà schiava della noia facile e insofferente alle regole: la primogenita costretta a racimolare le briciole di orgoglio che invece i genitori riversavano al figlio modello.

Non odiava Jo per l’amore e la comprensione che non avevano potuto spartire in famiglia: da bambina lo cullava e lo proteggeva il suo fratellino dalle urla domestiche e dalle incomprensioni degli adulti, lo trincerava nel suo mondo di giochi e di bambole e lo considerava il migliore compagno.

Crescendo le esigenze di entrambi erano mutate, l’adolescenza li aveva allontanati e quando Jo si era realizzato, ancora giovane, nelle sue prospettive di vita decidendo di affiancare il padre in officina la ribelle Susie si era sentita ancora più sola e incapace.

Non aveva soppresso il suo ego nel veleno che quella situazione la costringeva a secernere ma, come un pesce istrice, aveva incamerato più sfide possibili e ai taciti attacchi del padre era rimasta immobile, gonfiando a dismisura la sua rabbia da celare in irti aculei e da sprigionare in comportamenti lesivi per la sua immagine.

E aveva superato lo scoglio dei silenzi, dei gesti negati, il muto desiderio di una presenza anelata e mai avvertita ricercando in sconosciuti l’uomo assente della sua infanzia.

“Donna di facili costumi!”

Era stata dipinta dalle bigotte del suo quartiere a Nankatsu che annotavano i suoi rientri a notte fonda su auto lussuose con accompagnatori che mutavano fisionomia con la stessa rapidità dei giorni della settimana e aumentavano le similitudine con sua nonna, etichettata come una mistica vecchia, mezza pazza:

“Nella nipote scorre il sangue indemoniato della nonna!”

Aveva udito un tempo.

Non la ferivano le diceria e sui talami ove immolava la sua femminilità si sentiva diversa: sporca e lurida, come la tuta di lavoro del babbo impregnata di oli e lubrificanti, un attimo dopo inarrivabile femme fatale.

Era il suo modo di ridere in faccia al mondo e alle convenzioni, di sfidare la mamma che si era annullata nel matrimonio e dimostrarle di non voler commettere i suoi stessi errori.

Susie non si era mai innamorata…forse aveva nutrito un sentimento simile per Oliver Hutton ma l’attrazione era durata quanto un soffio d’alito: con l’entrata in scena di Patty era stata costretta a frenare bruscamente le redini della sua fantasia e ad arrestare la speranza che il bomber nipponico potesse cambiarla.

Si era ributtata a capofitto in storie senza amore, dettate dalla passione e dalla volontà di imporre la sua superiorità: mentre si distruggeva in comportamenti lascivi suo padre restava a guardare disapprovandola con i suoi silenzi.

Durante le riunioni a pranzo o a cena a Susie avrebbe fatto meno male un ceffone: un atto di violenza con cui Kumi avrebbe dimostrato di volerla tutelare.

Invece se ne era restato nel suo mondo di motori da riparare, chiavi inglesi e bulloni: un mondo troppo lontano da quello della figlia.

Era trascorso così l’ultimo anno, aveva abbandonato gli studi e si era destreggiata tra saltuari lavori…fino all’ultimo come cameriera in un fast food. Dopo pochi giorni si era licenziata anche da lì; esasperando la mamma.

“Così non si può andare avanti!”

La voce femminile, generalmente silente, spazientita e piena d’amore materno aveva annunciato una drastica decisione la settimana prima.

“Susie andrai a stare dalla zia Mina per un po’ di tempo!”

Aveva decretato inamovibile Kumi: la giovane si era morsa il labbro inferiore restando in silenzio, non osando contraddire quegli ordini.

La zia Mina viveva in Francia: austera e con modi spartani che canalizzavano alla disciplina; dell’educazione aveva fatto il credo della sua vita.

***************

“Deve essere bella Parigi!”

Mormorò, per un attimo dimentica di Tom.

“La Ville lumière dell’amore!”

La descrisse lui senza saperne il perché: rendendosi conto dell’assurdità cerco nuovi approcci di conversazione.

“Avete giocato una bella partita contro la Cina!”

Inaspettatamente fu proprio la giovane Spencer a cambiar trascorso.

“Grazie a Julian che era davvero ispirato!”

Gli venne da pensare a quanto successo sul pullman.

“Sai…Holly e Patty avranno un bambino!”

Non riuscì ad indovinare la reazione che quella rivelazione provocò: era stato crudele a farle quella confessione e non si capacitava delle gaffe che stava rincorrendo da quando l’aveva incontrata.

Era diversa dalla ragazzina esuberante e allegra che portava i codini al tempo delle superiori: ora vestiva in abiti più ricercati e i capelli, neri e lucenti, erano sciolti sulle spalle.

A Tom pareva di osservare un quadro di Manet Non era l’Olympia dedita all’amore mercenario, immorale e lascivo.

Era Suzon*, aliena all’andirivieni delle hostess e al vociare degli altri passeggeri, lo sguardo vacuo e assente.

Il corpo mortificato di un’ amadriade.

Occhi mesti di chi per vincere la noia cerca qualcosa ma non sa dove andare.

Occhi dal taglio particolare, specchio di un’anima profonda e conturbata che Tom desiderava indagare.

***

*Riferimento alla modella del “Bar delle Folies Bergère di Manet

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Capitolo 6
*** I dolori del giovane Ross ***


Julian shakerò il suo cocktail tante di quelle volte che i cubetti di ghiaccio, all’interno del flute si erano ormai liquefatti e la bevanda risultava calda al gusto.

Benché non fosse nello spirito ideale per prender parte ad un ricevimento, il vincolo parentale gli imponeva di esser presente al party organizzato dagli zii in onore della laurea del cugino Akito.

Restava in disparte a rimirare i comportamenti degli altri invitati: fossilizzati nel loro mondo di ipocrisia e falsa felicità, cristallizzati dietro sorrisi di circostanza e discorsi stentati.

Si chiese quanto somigliasse a quegli sconosciuti e cercò di indovinare se c’era qualcosa che lo sradicasse da quel mondo.

Provò a sostituire la figura di Amy a quella di una signora tutta in ghingheri: l’amica però conservava la semplice immagine acqua e sapone anche nel suo immaginario.

Ripensò alla conversazione avuta al parco e fu costretto a realizzare che la ragazza non era una sua proprietà, che la piccola e dolce manager di un’anonima squadra di calcio stava cedendo il passo a una volitiva e ambiziosa fanciulla.

L’amica di sempre si trasformava in una mantide sfuggente.

“Allora il prossimo a fregiarsi della laurea sarai tu, eh caro cuginetto?”

Proprio il festeggiato interruppe quel flusso di pensieri.

“Come scusa?”

Julian uscì dal suo mondo sorpreso dalla rivelazione dell’altro ragazzo, con cui non c’era mai stato molto feeling.

“Suvvia non fare il finto tonto: è quasi un obbligo nel nostro clan mettere il bacheca la laurea…tanto meglio se in medicina!”

Akito sistemò con convinzione gli occhialetti tondi sul naso.

Julian aveva tempestivamente poggiato sul tavolò da buffet il suo drink, per impedire che nella foga lo scaraventasse a terra.

“E se mi è lecito sapere: chi si arroga il diritto di scegliere al mio posto?”

In realtà non aveva pensato al futuro preferendo concentrarsi, nell'immediato, a costruirsi un nome nel calcio che conta.

“Naturalmente nonno Goro! L’ho sentito parlare con la zia Himeko poco fa: a quanto ho capito ha già provveduto alla tua iscrizione e ti darà una mano…come ha fatto con tutti noi nipoti!”

La conferma dei suoi sospetti contribuì a inebriargli la mente e permettere alla collera di impadronirsi dell’assennato Julian.

“Devo assentarmi un attimo!”

Troncò lapidariamente quella prima conversazione.

******************

Il vecchio Goro si intratteneva con un gruppetto di distinti pari età, tra i quali spiccava subito all’occhio la presenza di un uomo molto più giovane. Julian lo avvicinò.

“Ah ecco qua l’ultimo orgoglio della famiglia!”

Lo presentò lodandolo alla cerchia di amici, alla quale apparteneva anche il relatore della tesi di Akito.

“Suvvia nonno non cercare di corrompere di già il signore! Per trovare lavoro al Dottor Akito ne avrai di tempo…per stasera lasciagli godere la sua festa!”

Il nonno, messo a disagio, cercò di camuffare l’imbarazzo mentre gli altri, consapevoli della solerzia con cui il patriarca Ross aveva messo una buona parola con i professori del corso del nipote, si lasciarono andare ad una sonora risata.

“Oltre ad un’indiscussa leadership in campo sai fare anche dello spirito, ragazzo!”

Si complimentò il professore universitario.

“Goro non ci avevi detto di annoverare nella tua discendenza un campione come Julian!”

Il nonno era sempre più spiazzato.

“Sai ho due bambini e puoi ben immaginare quanto siano attirati dal calcio! La piccola Chika poi…pare essersi presa una cotta preadolescenziale per te!”

Lo ammonì l’uomo, attirandosi la simpatia di Julian e rubandogli un sorriso: i tempi delle fanatiche attenzioni delle compagne di classe erano finiti da un pezzo eppure ormai aveva imparato a conviverci.

“Cosa vuoi studiare anche tu medicina, ci diceva tuo nonno!”

Lo apostrofò dopo.

“Veramente vorrei rifletterci bene…ora però vogliateci scusare ma ho necessità di parlare da solo con mio nonno!”

E attirò l’anziano in una zona più appartata.

****************

“Che cos’è questa storia?”

Goro preparò impassibile la pipa, il tabacco iniziò a bruciare, e inspirò quasi godendo nell’essere finalmente riuscito a domare la tempra del nipote più coccolato.

“Desidero che porti avanti gli studi!”

Julian ne sostenne lo sguardo, fermo nelle sue convinzioni.

“Peccato che non rientri anche nei miei desideri! Disobbedirò alla tua tirannia…come ha fatto mio padre!”

La determinazione con cui gli teneva testa era figlia della risolutezza con cui, otto anni prima, aveva deciso di giocare un’intera partita contro la New Team, consapevole dei rischi che correva. Anche stavolta ebbe timore che quell’ardore gli si sarebbe ritorno contro.

“Quello sprovveduto di tuo padre! Lo sai vero che è grazie ai miei prestiti senza interessi se è riuscito a risanare la sua società, evitando la bancarotta?”

Il giovane Ross si sentiva in trappola.

“E io cosa sarei? Il rendiconto della tua generosità?”

“Ora basta Julian! La vita è serietà, possibile che neppure una grave malattia come quella che hai sconfitto te lo abbia insegnato?”

Il riferimento alle prove che la vita gli aveva dato da affrontare lo infastidì.

“Non permetterò che te ne vada bighellonando per i campi del Giappone in gioventù per poi, quando il fisico non reggerà più, ritrovarti con un pugno di mosche in mano!”

Continuò le sue minacce l’uomo, con protervia.

“L’FC Tokyo mi ha offerto un contratto! Ora è su questo che voglio concentrarmi…per il resto ho imparato a vivere alla giornata!”

“Vivere alla giornata!”

Gli fece eco, con scherno, Goro.

“Nella vita occorre avere uno scopo Julian! Credi che dietro controlli medici scrupolosi un club della massima serie si assumerebbe la responsabilità di tesserare un cardiopatico?”

L’epiteto con cui era stato descritto per anni lo mortificò ancor di più delle prime volte che lo aveva sentito e tutto fu chiaro.

“Sono amico del medico sociale dell’Fc Tokyo! Ciò potrà tornarti utile soltanto se ti atterrai alle mie condizioni!”

Per qualsiasi altra facoltà il calciatore si sarebbe sforzato di accontentare il nonno, ma quella richiesta era troppo ardua da esaudire.

Il calcio, unico terreno in cui aveva potuto spiegare le ali della libertà, diventava ora terreno fertile per le coercizioni del nonno.

“Questo è un ricatto bello e buono! Sosterrò le visite mediche e allora…capiranno che sono completamente guarito!”

Protestò flebilmente.

“Ragazzo esci dal mondo delle favole e cresci una buona volta! Non sei più alla Mambo, dove eri coccolato e idolatrato; sarai anche un talento ma…la tua cartella clinica non sarà un bel biglietto di presentazione!”

Le lotte del passato, le scelte pericolose, la testardaggine per non farsi sopraffare apparivano ora inutile al cospetto della volontà del patriarca.

“Sei un presuntuoso!”

Se gli aveva tolto la libertà di scelta almeno non aveva il potere di privarlo della libertà di opinione.

Si allontanò per interiorizzare il tradimento e in un gesto di stizza portò la mano sul petto, stringendo forte il tessuto di jeans della camicia, quasi a volersi privare della parte più significativa della sua vita.

Himeko, in lontananza lo osservava preoccupata. Accorgendosi di sua madre, Julian serrò ancor più forte la presa.

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N.d.a.: "enorme" discrepanza in questo capitolo rispetto a quello che ci viene raccontato nel manga: qui Julian non sceglie autonomamente e volontariamente di studiare medicina ma per imposizione. Ho scelto questa "strada" per sviluppare in modo diverso il personaggio.

Grazie a quanti continuano a seguire, recensire o semplicemente leggere questa piccola storia.

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Capitolo 7
*** Scattando fotografie ***


“Scattando fotografie”

Atterrati al Rossy Charles De Gaulle, Susie cercò tra la folla di sconosciuti qualcuno che fosse lì per lei.

Scrutò diversi volti e alla fine si rassegnò; circondata da gesti calorosi e abbracci di saluto capì che non avrebbe ricevuto uguale accoglienza sul suolo francese.

La zia Mina dimostrava ancora una volta il suo carattere severo e distaccato, lasciando la giovane nipote in balia di una terra sconosciuta.

- Come la zia di Pollyanna! *

Azzardò un paragone la giovane Spencer, ritrovando il sorriso.

Non aveva alternativa se non quella di recarsi nel piazzale riservato ai taxi, cercando di prenderne uno. Si dedicò alacremente alla sua ricerca e venne avvicinata da qualcuno che aveva i suoi stessi problemi, dovendo gestire i trolley e gli altri borsoni da viaggio.

Tom fu quasi contento di ritrovarla lì, dopo averla persa di vista durante il recupero dei bagagli: gli sarebbe dispiaciuto vederla eclissarsi tra i Campi Elisi e l’Arco di Trionfo.

Quell’incontro occasionale, se non altro, poteva aiutarlo a mitigare il distacco dal Giappone.

Lei si guardava intorno, con gli occhi vispi e curiosi innanzi alla novità che si tradivano, elegiaci, nella consapevolezza di dover ricominciare tutto d’accapo.

“Parigi è proprio bella!”

Asserì Susie, accorgendosi di essere stata seguita.

“Come artista, un uomo non ha altra patria in Europa che Parigi!” **

Tom citò quell’aforisma che Ichiro gli aveva ripetuto tante volte. Lei sorrise.

“Potrebbe essere una massima di tuo padre!”

Confermò infatt.

Calò il silenzio. Il mutismo, dettato dall’esaurimento di quegli argomenti superficiali, portò Susie a pensare di aver detto qualcosa di sbagliato.

Chinò la testa e restò in attesa. Entrambi i ragazzi avevano paura di esporsi troppo.

“Abbiamo viaggiato tante ore spalla a spalla e non ti ho ancora chiesto cosa ti ha portata in Francia!”

All’improvviso a Tom quella sembrava la curiosità più scontata.

“Sono in visita da una zia!”

Becker tirò la zip della sua borsa a tracolla e vi frugò dentro. Ne estrasse un manuale tascabile foderato di arancione, con la Torre Eiffel sulla copertina.

“Questo potrebbe tornarti molto utile durante il tuo soggiorno nella Capitale! Per me è sempre stato un utile aiuto per ritrovare la strada di casa…fin da quando ,ancora bambino, mio padre me lo regalò!”

Lei avrebbe voluto replicare che una casa non l’aveva più.

“Ma è un tuo ricordo!”

Protestò flebilmente, mentre lui glielo metteva in mano, scuotendo la testa.

“Prendilo…magari poi me lo restituirai! Non dovresti avere grosse difficoltà ad orientarti: sai in Europa non è come da noi…qui ogni viuzza ha un nome!”

“Davvero?”

Si incuriosì Susie, felice di non doversene andare in giro con un pacchetto di fiammiferi come mappa geografica.

“Si, in genere sono intitolate a personaggi che hanno fatto le fortune del luogo!”

“Grazie alle tue informazioni e al tuo vademecum sarà tutto più facile!”

Il ghiaccio del primo impatto iniziava a sciogliersi e ai ragazzi sembrava di costruire un rapporto ben più complice di quello mai nato tra i banchi di scuola.

Tom nascondeva qualcosa che la intimoriva: in lui non avrebbe mai potuto trovare il padre assente o cercare l’amante di una notte, lui era distante anni luce dagli uomini che l’avevano costretta a perdere il rispetto di sé.

Per un attimo si rammaricò di non aver mai approfondito la conoscenza di quel ragazzo affabile e dal buon carattere.

Chissà se invece di Holly si fosse infatuata di lui, molti errori sarebbero stati evitati.

Ma era solo una fantastica illazione.

Estrasse dalla tasca del giubbotto un foglietto spiegazzato e sgualcito indicante l’indirizzo della zia Mina e glielo mostrò.

“Lo conosci?”

Ormai tanto valeva accettare quell’insperato aiuto.

“Potremmo proseguire insieme per un pezzo…è sulla mia strada!”

Propose l’asso del Paris Saint German fermando un tassista.

****************

Con il nasino schiacciato contro il finestrino dell’auto, a rimirare i maestosi viali parigini, Susie sembrava una bambina entusiasta.

In Tom quella presenza, rientrata irruentemente nella sua vita all’aeroporto di Narita, provocava scompiglio.

Susie era diversa dalle provocanti e manipolatrici arriviste che lo avevano cercato per crearsi un nome nel mondo del glamour, lei era come un ama giapponese.

Una sirena, una donna pescatrice, che si ribella agli obblighi familiari e sociali, ostinata a mostrare il suo valore, sfidando tutte le difficoltà.

Il taxi si impantanò in un ingorgo dell’ora di punta.

“Vorrei proseguire a piedi!”

Buttò lì Susie, estraendo il portamonete per pagare la sua corsa.

Tom, sebbene ancora spossato, non voleva farsela sfuggire: non ne comprendeva il motivo ma quella caparbia ragazza l’attirava come fosse miele per un orso. I suoi modi impulsivi e sbarazzini lo rivitalizzavano.

“Faccio una telefonata perché i nostri bagagli giungano a destinazione e proseguo con te! Altrimenti mi tocca aspettare due ore fermo in coda!” Inavvertitamente le sfiorò una ma no: il contatto stupì entrambi.

************

Dopo aver diviso il conto, su insistenza di Susie, che aveva rischiato di spazientire l’autista, proseguirono a piedi.

E li, sulla Place de la Concorde la giovane turista estrasse la sua Kodak digitale iniziando a scattare alla rinfusa.

Cercava di cogliere con l’obiettivo quello che sfuggiva all’occhio nudo, quel particolare che poteva permettere di trasformare uno spaccato di realtà in arte.

Dopo aver postato da varie angolazioni si arrestò, sostenendosi a una transenna in ferro che proteggeva alcuni monumenti.

“A volte mi sembra di essere in una fotografia! Ti illudi che tutto resterà immutabile e invece…il tempo scorre inesorabile e ti cambia!”

Tom fu colpito da quella confessione e da quella passione per la macchina fotografica.

“In fondo lo scopo della fotografia è di affidare un attimo all’eternità!”

Convenne.

In quelle convinzioni vi era un fondo di verità. Ma la fotografia, restituendo qualcosa colto nell’attimo stesso del suo avvenire ne testimonia la morte.

“Accetteresti un invito ad una gita sulla Senna domenica pomeriggio? Ci sono dei luoghi incantevoli per ogni artista!”

Non era da lui quell’uscita. Era sempre stato misurato e parsimonioso nell’elargire inviti alle donne.

Susie non voleva travisare quell’amicizia appen a sbocciata, trasformandola prontamente in un appuntamento che avrebbe assunto risvolti a lei ben noti.

Voleva provare a cambiare…a saper dire di no.

“Senza impegno sia chiaro! Solo per prendere un caffè insieme e per scambiare due chiacchiere da connazionali!”

Si affrettò a precisare vedendola indugiare.

Lei sorrise ancora, lasciandosi convincere.

In fondo anche scattando fotografie sulla Senna avrebbe potuto provare a cambiare.

*************

*Riferimento a “Pollyanna” romanzo di Eleanor Porter.

**Aforisma di Friedrich Nietzsche.

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Capitolo 8
*** Malaika ***


“Malaika ”

In quel sabato pomeriggio di metà settembre l’attesa superava la realtà e al Tokyo Disneyland c’era spazio solo per i divertimenti dei più piccini.

Amy sorpassò Fantasyland notando i genitori che, catturati dai pupazzi animati che saltavano felici qua e là, regredivano alla spensierata età dell’infanzia.

Nel fiore dei suoi diciannove anni, la ragazza si sentiva già tagliata fuori da quel mondo di giochi e di illusioni. Scrutava la disinvoltura su quei giovani volti e la naturalezza con cui godevano di quel pomeriggio scanzonato e si chiese se quella goliardia fosse mai appartenuta alla sua adolescenza.

Aveva smesso presto di pettinare le bambole e non aveva avuto accanto coetanee con le quali provare i primi rossetti o sfilare con vestiti un po’ audaci nei camerini dei Grandi Magazzini di Tokyo.

Mentre le compagne di scuola annusavano le essenze maschili dei primi ragazzi che le accompagnavano al cinema, Amy imparava a conoscere il pungente odore di disinfettante e le fredde ed austere corsie dell’ospedale.

Mentre le altre ragazze scarabocchiavano sui diari di scuola romantici pensieri sui primi amori, la giovane Aoba si ritirava in preghiera nei templi buddisti.

Quando la paura della sofferenza allentava la presa sui suoi pensieri, permettendole di concentrarsi su sé stessa e non solo su Julian, divorava montagne di libri e ascoltava quantità industriali di nastri che riproducevano parole pronunciate in varie lingue.

Studiare lingue era stata la sua prima, vera, scelta indipendente.

*******************

Al Critter Country, regno di Fratel Coniglietto, l’espressione accigliata di Amy mutò in un largo sorriso.

“Ciao Malaika!”

“Ben arrivata Senpai!”*

Una ragazzina poco più bassa di lei l’accolse con tono solenne, poi scoppiarono a ridere e si abbracciarono.

“Sempre voglia di scherzare la mia oneechan!”**

La riprese affettuosamente: ormai Malaika era per lei una di famiglia, la sorellina minore che tanto aveva desiderato da bambina.

Malaika sembrava uscita dalla matita di un disegnatore di manga: i lineamenti morbidi e gentili, i capelli neri raccolti in fantasiose acconciature, gli occhi felini che palesavano la sua gioia di vivere.

La sua sola presenza era magica per Amy; il giusto toccasana per riappacificarla con il destino.

Una presenza indispensabili negli ultimi otto anni. Se in Julian aveva trovato il suo alter ego, sui campi di calcio, nelle palestre e sugli spalti, in Malaika aveva scoperto la sua migliore amica.

Con quella ragazzina, poco più piccola di lei, aveva imparato a conoscere le ribellioni dell’adolescenza: i giochi con cui non si era mai svagata, l’evasione dai libri e le follie dell’adolescenza.

Qualche volta avevano marinato la scuola, andando in giro per Tokyo ridendo come matte.

Avevano trascorso interi pomeriggi a passarsi la piastra sui capelli, a vicenda.

Avevano affogato le pene d’amore nei golosi dolci della pasticceria del centro.

Con Malaika finalmente Amy si era sentita nuovamente viva… Quella ragazzina semplice e briosa, con la sua semplicità, l’aveva fatta reimpossessare di uno spaccato di gioventù.

“Così Sensei*** te ne vai ad Osaka, eh?”

Ad Amy non davano fastidio i suffissi onorifici che, da sempre, avevano descritto quell’amicizia.

“Dalla megalopoli al piccolo centro…sei proprio un controsenso Amy!”

Malaika cercava di celare nelle battute il dispiacere per quel distacco ormai imminente: si sarebbe sentita un po’ persa, senza i consigli di Amy.

“Osaka non è poi tanto piccola inoltre …non vado mica in capo al mondo!”

Cercò di sdrammatizzare. Ma si accorgeva che la vitale Malaika aveva bisogno di rassicurazioni.

“Sai che questo è un arrivederci temporaneo! Tu potrai venirmi a trovare ogni qualvolta lo desideri e io cercherò di tornare ogni weekend!”

“E poi ci terremo sempre in contatto con gli sms!”

Le andò dietro la ragazza dei manga.

“Già il metodo di comunicazione più efficace per una che li digita a velocità da guinness!”

La prese in giro Amy, ammonendola per la sua dipendenza dal cellulare.

“Non credi di dover risolvere le questioni in sospeso prima di partire?”

Improvvisamente era Malaika ad assumere il ruolo dell’amica matura, saggia consigliera.

Amy fece finta di non capire.

“Il tuo Julian non ha diritto a un chiarimento?”

Amy giocherellò con l’anellino che portava all’anulare destro. Malaika conosceva ogni particolare dei sentimenti dell’amica e le era rimasta accanto, discreta, in tutti quegli anni.

- Julian non ha bisogno della tua compassione…di quella ne ha a iosa! Devi essere la sua forza Amy!

La spronava quando la manager, stanca di tutte quelle tensioni, si rifugiava a piangere contro la sua spalla.

“Il mio Julian?”

Ripeté disincantata, assestandole uno spintone scherzoso. Poi si fece seria.

“Non è il momento adatto! Gli dirò tante cose un giorno ma…non ora!”

Era ferma e determinata nella sua decisione: vivere lontana da Tokyo per un po’ di anni l’avrebbe aiutata a conoscere meglio i suoi sentimenti.

Malaika non ribatté: sapeva rispettare le decisioni altrui. Molleggiò sul corpo e sorrise ad Amy: l’unico difetto della ragazza dagli occhi di gatto era di non riuscire a stare ferma un momento!

“Ricordi quando ti chiesi di osservare Stephen Mellory perché mi piaceva un sacco?”

Amy scoppiò a ridere.

“Aveva quasi creduto che fossi io ad essermi presa una cotta per lui a furia di guardarlo per l’intera giornata! Considerando che è il migliore amico di Julian anche il Capitano credeva che la sua migliore amica si fosse invaghita di Mellory!”

Malaika asciugò le lacrime spuntate per il troppo ridere e cercò di riprendere il controllo.

“Almeno è servito a farlo ingelosire!”

Poi afferrò l’amica per il braccio.

“Basta parlare di ragazzi Amy! Andiamo a divertirci!”

E la trascinò verso “Splash Mountain” affinché il suo ultimo sabato a Tokyo fosse indimenticabile.

****************

• Senpai si rivolge ad un compagno più anziano

• Oneechan :sorellina

• Sensei:maestro

Ringrazio quanti continuano a leggere, seguire e commentare questa storia. A presto

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Capitolo 9
*** Dai Le Blanc ***


“Dai Le Blanc”

La villetta della zia Mina si confondeva nella schiera di costruzioni identiche le une alle altre, nel quartiere residenziale poco fuori da Parigi.

Susie pagò la nuova corsa al tassista a cui era stata costretta a ricorrere per proseguire fin li e si diresse, borsoni in spalla, verso il portico ricoperto da foglie di vite.

Venne ad aprirle una donna attraente, che esibiva i tipici tratti somatici delle popolazioni dell’Est Europa.

“Sono Susie Spencer…la pronipote della signora Mina!”

Si presentò. Il sorriso prolungato della sconosciuta la portò a constatare che l’interlocutrice non comprendeva la sua lingua.

“Olga è russa…non parla giapponese…sta giusto prendendo qualche lezione di francese!”

Una signora attempata, richiamata dalle voci, si era spinta fino all’ingresso sorretta dal suo bastone.

La sua discendente chinò il capo in segno di rispetto.

“Sei in ritardo di circa due ore Susanne Spencer!”

La riprese, posando gli occhi orientali, velati dalle cataratte, sulle lancette del suo “uovo di Norimberga”.

Olga si allontanò, continuando i suoi lavori domestici. Riconobbe Mina, poi si riconcentrò sulla nipote.

“Allora a cosa è dovuto questo ritardo?”

Poteva mentire, esagerando con il ritardo dell’aereo.

Poteva dire di essersi persa…

Poteva inventare mille assurde e convincenti scuse ma preferiva essere sincera: quella parente, conosciuta solo di fama, la portava a rivedere i suoi comportamenti.

“Visto che non c’era nessuno ad attendermi all’aeroporto…ho preferito venire a piedi!”

La signora Spencer trasalì, incredula innanzi a quanto sentiva: le era stato anticipato che la sua giovane ospite avesse idee bizzarre ma si stupiva che le mettesse anche in atto.

“A piedi!”

Ripeté per convincersi della veridicità di quel tragitto.

“Hai camminato molto dunque! Su vieni a tavola!”

Addolcì il tono, invitando Susie a seguirla nella sala da pranzo.

************

Susie si concentrò sulla sua porzione di ratatouille, selezionando i vari pezzi con il coltello, per degustare poi in silenzio la specialità della cucina francese.

Si sentiva osservata e aveva paura che la zia le avesse già cucito addosso un’etichetta.

“Ho ricevuto una lunga lettera dai tuoi genitori…mi spiegano il motivo per il quale ti trovi a Parigi!”

In realtà la lettera l’aveva scritta la mamma ma, al momento, faceva poca differenza.

Mina aveva speso l’esistenza ad educare i pargoli di buone famiglie. Formare avvocati, medici, diplomatici del futuro era stata la sua missione; impartendo loro lezioni di buone maniere e correggendo le loro infantili villanie.

Sicuramente aveva storto il naso innanzi alla descrizione di quella scapestrata ragazzina senza creanza che accettava di ospitare.

Susie non replicò: non aveva nulla da aggiungere alla descrizione fatta dai genitori.

“La cosa fondamentale che devi capire è che non sei qui in vacanza!”

“Lo so bene!”

Convenne con un filo di voce Susie, cercando di aggraziarsi la vecchia spartana. Era disposta a pagarsi vitto e alloggio, magari dando una mano ad Olga nelle faccende domestiche.

“Hai intenzione di studiare o di trovarti un lavoro?”

Nonostante il tono austero, l’esperta educatrice si preoccupava del futuro di quella giovane che si stava lasciando andare via.

“Io…non ci avevo pensato!”

Ammise l’altra sempre più imbarazzata.

“Susenne finché resterai in questa casa scordati di cambiare lavoro o ragazzo in un batter di ciglia!”

I suoi errori erano giunti a Parigi prima di lei, a quanto pareva!

Non voleva ributtarsi sui libri…con quel mondo aveva chiuso appena preso il diploma.

“Bene se non mi dici ciò che vuoi fare, ci penserò io! Seguirai un corso di francese un’ora alla sera cinque giorni a settimana!”

La prima imposizione della zia era inevitabile se non voleva rischiare di ripetere le incomprensioni che aveva riscontrato prima con Olga.

“Il resto del giorno lavorerai presso una mia cara amica!”

Susie la guardò sorpresa: così svaniva la speranza di decidere spontaneamente come pagarsi vitto e alloggio.

“La Signora Le Blanc cerca una ragazza che si prenda cura della casa!”

In pratica la mandava a fare lo stesso lavoro di Olga presso degli estranei.

“Sarei venuta a Parigi per fare la ragazza alla pari?”

Cercò spiegazioni incredula.

Mina premette leggermente il tovagliolo, bordato di pizzo, alle estremità della bocca e continuò a parlare piano.

“Non propriamente…dovrai occuparti anche dei bambini! Non dico che dovrai educarli…per quello ci sono figure apposite…con le tue scarse competenze potrai tuttalpiù organizzare il loro tempo libero!”

A Susie piacevano i bambini e accettò come una piacevole postilla la loro presenza nel suo imminente incarico.

“Quindi dovrei andare a fare la serva dai Le Blanc?”

L’ostinazione tipica di Susie iniziava ad urtare la zia proprio come, in Giappone, aveva costretto alla resa Kumi Spencer.

“Signorina non sei nella posizione adatta per dettare condizioni! Domattina ti presenterai a casa di Louise Le Blanc per portare le tue referenze…una seconda avvertenza…”

Le regole divenivano sempre di più.

“Stai lontana da Pierre Le Blanc, il nipote di Louise…se mi arriva una sola indiscrezione o lamentela sul tuo conto…considera che il biglietto aereo di ritorno per Tokyo è già prenotato!”

Susie scostò la sedia per allontanarsi da quelle minacce.

Si sentiva mortificata perché la zia aveva fatto di tutto per farla vergognare di sé.

“Dai Le Blanc!”

Ripeté tra sé e sé e le spensierate ore assieme a Tom apparivano già così lontane.

********** Ratatouille:piatto tipico della provenza a base di verdure.

Chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornamento e ringrazio ancora quanti hanno seguito fin qui la storia: spero non vi annoierete!

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Capitolo 10
*** Il canto delle megattere ***


“IL CANTO DELLE MEGATTERE”

“Dove sono i miei Hello Kitty?”

La richiesta di Amy sovrastò il frinire dei grilli nell’ultima sera che trascorreva a Tokyo.

L’adrenalina era alle stelle e la ragazza rovistava tra la montagna di indumenti, disposti in mezzo alla stanza, senza trovare il necessario per ultimare la valigia.

Kezia si affacciò a quel campo di battaglia, esibendo un paio di jeans arricchiti di strass e dallo stemma del celeberrimo gattino col fiocco rosso.

“Amy non vorrai portate anche questi, spero!”

Nell’affermazione della mamma si celava un sottile obbligo a diventare adulta. Amy li prese e li buttò sul futon assieme agli altri tessuti, ormai stropicciati.

“C’è una visita per te! Che fai scendi?”

Raramente qualcuno era andato a cercarla a casa: pensò potesse trattarsi di Malaika o di qualche curiosa ex compagna di scuola che, con una scusa banale, andava lì per testare i suoi progetti.

“Di chiunque si tratti digli di venire di sopra! Io non posso assolutamente lasciare!”

Aveva intimato decisa, sedendo sulla valigia per cercare di chiuderla mentre i capelli spettinati le ricadevano sugli occhi.

Kezia si allontanò e seguirono alcuni attimi di silenzio.

“Caspita! Vuoi portare con te l’intera casa?”

Nell’udire la voce della sua “questione in sospeso” sussultò incastrandosi le dita nella zip scorrevole.

“Julian avvisami quando ti avvicini a mezzo metro da me…altrimenti dovrò farmi un’assicurazione sulla vita!”

Portò il dito indolenzito alle labbra cercando di calmarne le pulsazioni, rammentando anche l’incidente col phon di qualche giorni prima.

“Scusa non volevo spaventarti! E poi quello a cui non dovrebbero fare simili sorprese sono io…”

Cercò di stemperare la tensione, evidenziando in tono canzonatorio problemi ormai superati.

“Lasciamo perdere!”

Liquidò l’argomento la sua migliore amica: non le piaceva riaccendere quel tasto e anche Julian, di solito, preferiva dimenticare parte della sua adolescenza.

Essendogli rimasta accanto per tanto tempo si accorse subito che c’era qualcosa che lo turbava: il libero della nazionale era stato enfatizzato con gli aggettivi più disparati, bello e dannato, irraggiungibile, ma ormai per Amy era un libro aperto.

Ora si aggirava per la stanza, studiando i clown di cui la ragazza faceva collezione.

“Julian tutto bene?”

Tradì la sua apprensione, mutando il tono aggressivo.

Ormai lui sapeva a cosa si alludesse quando gli ponevano quella domanda perciò si preoccupò di rassicurarla.

Si trattenne dal metterla al corrente del ricatto del nonno: quella sera era di Amy e non aveva il diritto di rubargliela.

“Si, si…sto benissimo! Ero semplicemente passato per salutarti…domani parti vero?”

Lei annuì e si sentì invadere da una sconosciuta tristezza.

“Volevo anche darti questo affinché ti porti fortuna nella nuova avventura universitaria!”

Estrasse dalla tasca della felpa un Maneki Neko e lo pose tra le mani affusolate della ragazza che dapprima sorrise per ringraziare e poi si irrigidì: anche lei aveva donato un amuleto simile, molto tempo prima, a un ragazzino in procinto di entrare in sala operatoria.

“Scusa…non volevo intristirti!”

Julian aveva distolto lo sguardo, soffermandosi ancora sui Pierrot, per allontanare quei ricordi che erano anche i suoi.

Amy gli accarezzò una guancia costringendolo a specchiarsi nei suoi occhi color dell’ambra.

“Julian possiamo sotterrare i ricordi ma…non potremo mai cancellarli!”

Il contatto era così intimo che arrossirono e Ross cercò il modo di togliersi da quella situazione imbarazzante.

“Vedi è bianco con macchie nere e arancioni: dicono porti fortuna e aiuti a realizzare i desideri di chi lo possiede!”

Quello che invece Amy aveva donato a lui era rosso: allontanava al malattia e gli spiriti maligni le aveva detto il negoziante che glielo aveva venduto.

“In realtà l’ho comprato perché la somiglianza con il tuo Shiro è impressionante!”

Rivelò Julian scatenando una risata di Amy al paragone con il bobtail giapponese della ragazza.

“Scemo!”

Lo riprese, lanciandogli una bluse a mezze maniche: Julian percepì immediatamente la fragranza di muschio bianco a cui erano legati tanti ricordi.

Era un aroma familiare: aveva accompagnato sia i momenti belli che quelli brutti.

Era il profumo di Amy e non gli sembrava vero fosse giunto il momento di dirle addio.

Julian odiava gli addii: quando aveva rischiato di dover rinunciare al calcio c’era rimasto malissimo, per giorni si era sentito uno straccio, inutile e privo di sogni finché non aveva deciso di combattere.

Dire addio ad Amy era ancora più straziante: significava lasciar volare via con lei una parte di se.

“Amy!”

Ogni volta che il Capitano pronunciava il suo nome sentiva le ginocchia tremare: capì anche lei che il momento era arrivato.

Si alzarono ponendosi uno di fianco all’altro e improvvisamente Ross prese tra le sue le mani di Amy che non le ritirò.

“Anche se andrai in capo al mondo ricorda che quando sarai triste, delusa o semplicemente avrai bisogno di un amico basterà che mi chiami e io ci sarò sempre per te! La nostra amicizia è così forte che il tuo richiamo mi giungerà anche a Kilometri di distanza!”

“Un po’ come il canto delle megattere?”

Propose, scostandosi di botto: l’osservazione aveva suscitato nuovi ricordi.

*************

<3 ANNI PRIMA>

Era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di primavera.

Non c’erano lezioni quel giorno ma assemblea d ‘istituto: Amy aveva trascorso la mattinata con Malaika nei dintorni dell’edificio, non soggetto al controllo dei docenti.

La giornata era splendida e le ragazze particolarmente euforiche e decise a fare qualcosa di trasgressivo: avevano così deciso di brindare alla loro amicizia.

“Kanpai!”

Avevano ripetuto ad ogni bicchierino di midori sorseggiato.

Quel pomeriggio Amy aveva appuntamento con il suo gruppo di ricerca per approfondire un argomento di scienza: dato il clima vacanziero, aveva trovato solo Julian ad attenderla in biblioteca.

Aveva lasciato al ragazzo il compito di digitare sulla tastiera i nomi di mammiferi e cetacei mentre lei cercava di scrollarsi di dosso l’euforia della mattinata.

“Guarda che razza di balene strane che esistono in natura, Amy!”

Le aveva mostrato diapositive raffiguranti le megattere, accingendosi a renderla consapevole dei loro comportamenti.

“Con il loro canto possono richiamarsi anche se sono molto lontane tra loro, ogni gruppo ha un canto e ogni loro canto può durare più di un ora!”

Aveva aggiunto, interessato a quell’argomento. Quindi aveva alzato il volume della casse affinché ascoltassero quel canto.

Ad Amy quei suoni cupi e ripetitivi mettevano solo una gran tristezza.

“ Pensa che i maschi usano questi gemiti lamentosi anche per corteggiare!”

Non provavano imbarazzo nel parlare di certi argomenti: anzi neppure ci avevano mai pensato.

Gli effetti del midori iniziavano a provocare le loro conseguenze inebriando la mente di Amy, un po’ brilla.

Julian continuava la ricerca per entrambi, cliccando casualmente su un link attinente agli usi dei popoli del Polo Nord.

“Bè anche gli eschimesi hanno un modo originale per manifestare i loro sentimenti più belli!”

Lo ammirava in silenzio, apprezzando i suoi modi gentili e affabili, felice di vederlo finalmente ridere.

In Julian quel pomeriggio aveva visto qualcosa che non c’era prima: una gioia di vivere offuscata dalla malattia.

“Hanno un bacio davvero particolare!”

“Ah sì…fammelo vedere!”

Si era fermata di colpo sulla sedia girevole, convinta che quella prima esperienza l’avrebbero dovuta condividere, indipendentemente dalle successive storie d’amore che sarebbero sbocciate per entrambe.

Ross non la riconosceva più. Il midori la portava ad essere così caparbia e insolitamente disinibita: in circostanze normali non avrebbe esposto così facilmente i suoi desideri.

“Si sfiorano il naso…così!”

Aveva strusciato il naso su quello piccolo di Amy, finché anche le loro labbra si erano sfiorate. Amy aveva solo sentito una calda e leggera pressione sulla bocca poi il Capitano si era staccato mortificato.

“Dunque…stavamo parlando delle megattere?”

Aveva ripreso il controllo la giovane Aoba per impedire che quell’episodio rovinasse la loro amicizia.

Si erano riconcentrati sui compiti, fingendo che nulla fosse accaduto.

Da allora non avevano più parlato di quel pomeriggio, così come evitavano i ricordi spiacevoli avevano accantonato nei propri pensieri anche quello più importante.

********************

“Già proprio come le megattere!”

Asserì Julian, avvicinandosi pericolosamente proprio come in quel pomeriggio in biblioteca.

Amy distingueva perfettamente l’odore del suo dopobarba.

Stavolta però non c’era il midori a renderla sicura e allegra: abbandonandosi nuovamente a lui avrebbe intrapreso una strada senza ritorno, negandosi la possibilità di esplorare nuovi mondi.

Non è più un gioco ingenuo e senza conseguenze.

Non c’è più odore di disinfettante e di ospedale.

C’è profumo di eucalipto e mentolo: profumo di uomo. Parvenza di uno sconosciuto che la intimorisce.

Julian si avvicinò fino a sfiorarle le labbra: non avendo il tempo di esigere di più.

Una manata gli si stampa sulla guancia rosea: uno schiaffo ai suoi sentimenti.

“Per favore…va via!”

Lo scacciò Amy con un filo di voce. Poi si piegò sui jeans con Hello kitty per scoppiare in singhiozzi.

**********

maneki neno:statuetta raffigurante un gatto, considerato un portafortuna dai giapponesi. Può essere di diversi colori.

Midori: liquore giapponese preparato con melone verde.

Ringrazio quanti continuano a seguire la storia: mi sa che da questo capitolo inizierete ad odiarmi^^

A presto

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Capitolo 11
*** Domenica pomeriggio sulla Grande Jatte ***


“Domenica pomeriggio sulla Grande Jatte”

Tom osservò i Bateaux Mouches solcare le acque più famose di Parigi e alcuni versi gli tornarono alla mente.

-La Senna è fortunata/ non ha preoccupazioni/ esce dalla sorgente/pian piano senza rumore/..verso il mare se ne va *

Il fiume parigino, infatti, si prestava alle leggi del turismo, permettendo incurante che i curiosi ne fendessero le acque, per poi buttarsi nel Canale della Manica nel suo millenario e monotono percorso.

- La Senna è come uno specchio: piange se piangete e sorride per consolarvi.

Si ritrovava ancora nei versi di Prevert per identificare lo stretto rapporto con il fiume parigino.

Quando camminava lungo i quais diventava un po’ malinconico, pensava a sua madre e cresceva il desiderio di aver a portata di mano un lapis e un foglio d’album ruvido per improvvisarsi artista: per imprimere sulla carta bianca le sue emozioni.

Avere una tavolozza con mille colori per adattarla al suo umore.

“Tutto è in movimento, tutto cambia!”

Diceva suo padre, discepolo della scuola impressionista.

Tom però non era bravo come Ichiro a diventare un tutt’uno con la tela, a scrivere con la tavolozza la sua storia.

A Tom Becker riusciva meglio esprimersi con un pallone tra i piedi, perciò abbozzare schizzi su fogli ruvidi restava un passatempo per ammazzare la noia.

Sulla rive gauche dell’ile de la Jatte, Susie si sbracciava per richiamare la sua attenzione.

“Ben arrivata!”

Le andò incontro, notando subito la macchina fotografica al collo; lei si accorse di quel particolare e sorrise.

“Lo so…penserai che sono come tutti i turisti giapponesi che cercano con un flash di fissare per sempre la loro vacanza!”

A Tom tornarono alla mente le considerazioni che la ragazza aveva fatto appena giunta in Francia.

- A volte mi sembra di essere in una fotografia. Ti illudi che nulla cambi, poi invece…

Quei puntini di sospensione potevano essere riempiti con la massima degli impressionisti : tutto è in movimento, tutto cambia.

“Non lo credo affatto! Credo tu sia una fotografa…hai talento, sei creativa, sei anche tu un artista!”

La incoraggiò, incantato di come l’aveva vista muoversi quel giorno alla ricerca delle angolature e delle luci adatte.

“Talento! Io riesco solo a rovinare le cose belle…”

Si inalberò contro se stessa, poi, non volendo permettere al calciatore di scavare nella sua anima, si affrettò a mutare trascorso.

“Allora…domenica pomeriggio sulla Grande Jatte?”

Cercò di mettere entrambi a proprio agio, citando la tela di Seraut.

Il figlio dell’artista colse l’allusione e si fece coinvolgere dalla vivacità di Susie.

“Spero non sia stato difficile raggiungere l’isola per te!”

Lei scosse la testa e mostrò il libricino foderato di arancione.

“Grazie alla tua giuda presto conoscerò la città come le mie tasche!”

Più proibitivo era risultato eludere il controllo della zia Mina, mentendole: avesse saputo dell’appuntamento della nipote con un ragazzo incontrato sull’aereo, a quell’ora Susie sarebbe stata sul volo di ritorno per Narita anziché a passeggio sul lungosenna.

“Allora andiamo a prendere quel famoso caffè?”

**************

I caffè della Rive gauche erano stati per anni il ritrovo di diversi artisti: da Sartre a Picasso.

Mentre Tom le dava queste informazioni, la piccola ama si guardava incantata intorno, facendo partire di tanto in tanto qualche flash della sua Kodak.

Non si era mai sentita libera di essere sé stessa accanto ad un uomo: nelle sue precedenti relazioni aveva sempre cercato di trasformarsi, di diventare un oggetto di desiderio, per superare i vuoti d’affetto paterni.

Quel pomeriggio di domenica invece, accanto a Tom, si sentiva completa e le bastava poco per essere contenta, convincendosi di poter finalmente trovare un buon amico e non l’amante di turno.

Dal canto suo Becker la fissava incantato dai gesti e dai movimenti con cui la giovane Spencer cercava di intrappolare Parigi in una fotocamera.

In lei vedeva ancora l’ancestrale irrequietezza della Suzon di Manet e la temerarietà di un ama giapponese che sfida le acque dell’oceano per trovare le sue ostriche.

In Susie coesisteva questo contrasto sottile che per Tom si stava trasformando in un attrazione pericolosa, più la conosceva più si accorgeva di quanto fosse particolare quel carattere, determinato e fragile allo stesso tempo.

Più il tempo assieme aumentava più si accorgeva di quanto stesse bene con Susie: ebbe paura di starsi innamorando di lei.

“Quindi Seraut nel suo dipinto voleva prendersi gioco della borghesia parigina di fine ottocento?”

Chiese Susie, dalle sue reminiscenze di storia dell’arte, rimestando il cappuccino.

“Suppongo il suo scopo fosse quello di evidenziare l’individualismo portato dall’industrializzazione! Se ben ricordi le figure sembrano manichini…”

Gli piaceva confrontarsi con lei sull’arte.

Susie rise, pronta a condividere con lui un episodio.

“Ricordi il quarto anno di Liceo quando osservai che le persone più sono ricche più sono folli notando la signora della Gran Jatte portare al guinzaglio una scimmietta?”

“Ti costò un punto in mezzo con il prof Nakamura!”

Quante cose ricordava improvvisamente, cose che quando erano accadute passavano inosservate e che ora, collegate a Susie, assumevano valore.

“Quel vecchio matto! Pretendeva che restassimo ancorati a ciò che vedevamo…io credo invece che ogni forma di arte richiami un sentimento!”

“Inoltre credo si sentisse punto nel vivo nell’osservazione!”

Rivelò Tom .

“Quindi anche il prof Nakamura appartiene all’alta borghesia?”

Si ritrovarono a spettegolare e a sentirsi complici di qualcosa.

“Allora…hai conosciuto tua zia?”

Susie si drizzò sulla schiena: in quel momento sembrava uno di quei manichini che avevano deriso fino a poco prima.

“Si, purtroppo! Starò a lungo con lei se mi comporto bene! Mi ha trovato un lavoro!”

Tom si incuriosì.

“Davvero?”

“Come cameriera in una famiglia molto ricca, giusto per restare in tema: la famiglia Le Blanc!”

Il volto di Tom fu attraversato da un’ombra.

“Susie…fa molta attenzione a Pierre Le Blanc!”

L’ammonì serio e gettò lo sguardo verso le verdi acque della Senna invidiandola perché: La Senna non ha preoccupazioni.

*****

*Canzone della Senna di Prevert.

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Capitolo 12
*** Una J e una A ***


“Una J e una A”

Il display si illuminò e una leggera vibrazione annunciò l’invio di un sms.

Julian afferrò il cellulare che aveva abbandonato sull’erba, inghiottendo la saliva, poi un sospiro deluso cancellò l’illusione: si trattava di un semplice messaggio promozionale.

Si rigettò sul prato, nel giardino ricco di piante ben curato da sua madre, concentrandosi sul movimento delle nuvole: si muovevano per nascondere il sole, si rincorrevano e si trasformavano in bianchi e sottili strati presto allontanati dal vento.

Ogni una assumeva una forma diversa.

Julian provava ad indovinare a quale oggetto reale potessero somigliare e intanto il grigiore di quella giornata diveniva anche il colore della sua anima.

Non ricordava di aver passato una domenica peggiore dai tempi in cui era stato male.

Anche quel giorno non stava bene, ma era un dolore diverso che scaturiva da fattori contrastanti.

Se ripensava alla sera prima avvertiva ancora la guancia intorpidita per la sberla con cui Amy lo aveva respinto. Lei non lo voleva, per lo meno non voleva più lui.

Riviveva tutta la scena in camera della ragazza e gli risuonavano patetiche le parole con cui l’aveva incoraggiata a fidarsi di lui, semplicemente come amico.

A Julian non bastava più quell’amicizia: il rapporto con la giovane Aoba era arrivato ad un punto di svolta, lo intuiva, lo sapeva e credeva che quel bacio fosse il gesto più significativo per farlo capire anche a lei.

Perché anche Amy doveva provare qualcosa per lui: negli anni passati aveva attribuito a quel qualcosa vari nomi, dall’empatia alla solidarietà, ma quel giorno trovava difficoltà nel definirla.

Fosse stato in campo avrebbe cercato di non farsi inghiottire da quei pensieri ma, quell’anno, il campionato sarebbe iniziato con qualche settimana di ritardo.

Avrebbe potuto prendere il primo treno per Osaka e aspettarla lì: ma avrebbe rischiato di confonderla ancor di più e di ricevere come saluto un altro ceffone.

Ripensò a quando, ancora bambini, era stato lui a prenderla a sberle perché si sentiva tradito: si era vergognato molto per aver alzato le mani su di lei, facendosi sopraffare dal desiderio di giocare un’ultima, dignitosa partita, prima di dire addio al calcio.

L’addio non c’era stato e nei successivi traguardi che aveva tagliato l’ ex manager della Mambo era sempre stata al suo fianco.

Mentre le nuvole si diramavano in lunghe distese orlate di rosa capì che le cose con Amy non sarebbero più tornate come prima: non l’avrebbe sentita più neppure per telefono, perché di certo lui non avrebbe fatto il primo passo, e la lontananza forzata lo catapultò nuovamente in rigidi schemi di vita.

Si tirò su, poggiandosi con le spalle contro il nespolo giapponese e si accorse di essere di fronte al tiglio. Inevitabilmente lo sguardo fu attratto dalla corteccia intagliata: uno strano simbolo ornava e deturpava il legno.

*********

“Ciao campione!”

“Papà!”

Si ricompose Julian, distratto dall’uomo che gli si avvicinava con la giacca poggiata sulla spalla, sorretta da una mano. Scompigliò i capelli del figlio e si buttò con lui sull’erba, pronto a rilassarsi.

“Quando sei tornato?”

Chiese il ragazzo che per il genitore nutriva una segreta ammirazione.

“Poco fa! La trattativa con i cinesi è andata per le lunghe…” “La prossima volta voglio venire con te!”

Asserì serio il ragazzo, rendendosi successivamente conto di aver detto una sciocchezza che avrebbe potuto insospettire il genitore.

“Ah si? Ti annoierai a morte e poi… con il calcio come farai?”

Lo prese in giro Gregory Ross, ben sapendo quanto per il figlio fosse importante giocare. Il ragazzo chinò lo sguardo e fece spallucce.

“Potremmo fare un viaggio insieme durante uno stop di campionato!”

Propose.

“Julian! Lo sai che perché i nostri impegni combacino si dovrebbero congiungere tutti i pianeti…non fingere che vada tutto bene! Non con me, almeno!”

Benché Gregory fosse spesso lontano dal Giappone, voleva molto bene a Julian: lo aveva cresciuto secondo i suoi principi e stravedeva per quell’unico figlio.

Ne aveva rispettato le scelte, anche azzardate.

Lo aveva incitato durante le partite giovanili e lo aveva seguito con orgoglio durante le competizioni nazionali.

Lo aveva tenuto tra le braccia nei momenti di smarrimento, maledicendosi per non poter esaudire la preghiera del suo ragazzo quando lo supplicava di portarsi via un po’ del suo dolore.

Lo aveva distratto da quei giorni difficili facendolo sognare con le leggende giapponesi che era solito leggergli, fin da quando era bambino.

“Julian so tutto!”

“A si…cos’è che sapresti?”

“Del ricatto del nonno! Mi dispiace tanto…è tutta colpa mia!”

Segui qualche attimo di silenzio.

“No, è tutta colpa della mamma!”

L’accusò Julian.

“Lei si preoccupa del tuo futuro Julian! Ha chiesto un aiuto al nonno ma…non immaginava ti costringesse a frequentare quella facoltà!”

Il giovane Ross si sentiva a disagio: non riuscivano neppure a chiamarla con il proprio nome la facoltà di medicina, perché negli ospedali avevano perso gran parte delle loro speranze.

“Per questo sei così malinconico questo pomeriggio?”

Si azzardò ad indagare Gregory. Julian scosse il capo.

“Si tratta di Amy! Lei…è partita per Osaka!”

Il padre guardò il tiglio che fino a poco prima attirava il ragazzo.

“Tua madre non è mai riuscita a capire cosa fosse quell’incisione lì sul tronco! Ha consultato tutti gli ideogrammi ma non ne è venuta a capo…io lo sempre saputo invece!”

Julian lo guardò curioso.

“Sono una A e una J intrecciate! Le vostre iniziali…”

Stavolta Julian arrossì, investito da un piacevole calore.

Gli sembrava ancora di udire lo strusciare dello scalpello che scanalava il legno per legittimare quella dichiarazione di affetto.

Per un attimo cercò una formula magica che facesse materializzare nel giardino quei due ragazzini che avevano unito le due lettere dei loro nomi per sempre.

Come Angelica e Medoro che avevano inciso i loro nomi sugli alberi per dichiararsi amore. *

Loro li avevano imitati in un clima di fiducia e di profonda fratellanza.

“Ecco la nostra amicizia durerà finché il tiglio non verrà abbattuto!”

Aveva deciso Julian, finendo il suo lavoro.

Amy lo aveva contagiato con la sua risata.

“Ma è un albero secolare!”

“Allora la nostra amicizia durerà più di cento anni!”

Gli sembrava strano che tutto fosse finito, che il vento fosse cambiato all’improvviso.

“Amy è come un boomerang: hai lasciato che si lanciasse nel mondo per realizzare i suoi sogni ma…tornerà!”

Gregory trovava sempre i paragoni più azzeccati per infondergli fiducia.

“Lo credi davvero?”

“Certo! Le cose che amiamo tornano sempre…bisogna avere solo pazienza!”

Continuarono a fissare in silenzio la J e la A che si sovrapponevano da un tempo lontano.

*****

*Dall'Orlando Furioso.

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Capitolo 13
*** Une mécanicienne japonais ***


“UNE MéCANICIENNE JAPONAIS ”

“ Ha lavorato altre volte con dei bambini?”

All’ennesima domanda della Signora Le Blanc, Susie rispose con un sorriso di circostanza, spaziando ai ricordi dell’infanzia.

Si rivedeva, appena ragazzina, nella casa di Nankatsu ancora felice e sicura in quell’ambiente che presto l’avrebbe soffocata nell’abitudinaria routine familiare.

Ripensava a Jo e a tutti i giochi che aveva insegnato a suo fratello.

Ai segreti sussurrati ad un bambino che, forse non li capiva, ma sicuramente non li avrebbe traditi.

Alla sorella maggiore che, finite le sue lezioni, andava ad attendere il fratellino ai cancelli della scuola primaria pronta a difenderlo quando un bambino più grande l’avesse prevaricato.

Perché Jo era un bambino pacifico e tranquillo al contrario di Susie, irrequieta , insofferente, ribelle ma amante del rispetto ad ogni costo.

Solo quando Jo era cresciuto si era resa conto di quanto fosse stata preziosa la loro complicità fanciullesca: gesti spontanei e semplici che il fratello, ormai ragazzo, non le avrebbe più permesso di compiere.

L’affiatamento e il calore che le avevano regalato quelle giornate, fatte di giochi vicino al fiume e voglia di emulare i grandi, avevano lasciato a Susie un vuoto incolmabile che si allargava ad ogni suo errore e ad ogni muto rimprovero della famiglia.

“Chantal ha lezione di piano tre volte alla settimana, di solito i giorni dispari, mentre André si reca al maneggio il martedì e il giovedì per migliorare in equitazione…”

La signora continuava ad elencare gli impegni dei ragazzi e Susie cercava, invano, di allungare la stoffa della giacca che non arrivava a coprirle nemmeno i polsi: la zia Mina le aveva dato da indossare un tailleur grigio, elegante ma anonimo, probabilmente aveva sbagliato taglia.

La nipote sapeva quanto contasse la prima impressione in quell’ambiente aristocratico ma, fasciata nella gonna e nella giacca che la ingrossava con le spalline, si sentiva costruita addosso una personalità che non le si addiceva.

“Naturalmente lei li accompagnerà e li riporterà a casa! Per il resto del tempo non le daranno noie: al mattino vanno a scuola e i pomeriggi seguono varie lezioni con insegnanti altamente qualificati!”

< Ma questi bambini avranno il tempo di respirare?>

Si chiese Susie ma si guardò bene da esprimere le sue impressioni.

“Venga… glieli presento, così avrò anche occasione di mostrarle la casa!”

**********

Chiamare quell’abitazione casa appariva alla giovane Spencer riduttivo. Non era ancora stata a visitare la reggia di Versailles ma, credeva, lo stile dei Le Blanc poteva risultare misero solo al cospetto di un tale lavoro architettonico.

Solo una volta, quando era stata invitata al compleanno di Benji Price suo compagno di scuola, era rimasta a contemplare a bocca aperta i fasti di una villa.

Ora le sembrava di visitare un castello, con un bellissimo e spazioso parco all’esterno.

Le venne da chiedersi se quelle persone erano coscienti di quanto benevola fosse stata con loro la sorte o se i fasti e le ricchezze non erano sufficienti a comprare la felicità.

“Ah…mes petit garçons!”

La signora, aggraziata e sicura di se, con un battito di mani richiamò i due piccoli Le Blanc, che se ne stavano composti vicino alla piscina.

Per un attimo Susie li associò a lei: la piccola Chantal sembrava insoddisfatta del suo vestitino blue in velluto ricco di riccioli mentre André sembrava poco interessato del papillon che lo trasformava in un piccolo uomo più attento ai colori con i quali si stava impasticciando le mani, per essere ancora bambino.

“Chantal ti avevo detto di badare a tuo fratello!”

In quel richiamo convinto a Susie parve di scoprire i rimproveri di sua madre quando lasciava Jo libero di divertirsi.

“Salutate la signorina Susennne Spencer…la vostra nuova nounou!”

Chantal si piegò in un elegante inchino facendo ondeggiare i riccioli castani , trascinando con sé il fratellino.

“Nice to meet you, Miss!”

Le diede il benvenuto in inglese, perché aveva letto che in Giappone parlavano anche quella lingua.

Susie si sentì rincuorata nel sapere che avrebbe potuto dialogare tranquillamente con i bambini, nonostante la sua scarsa dimestichezza con il francese.

Aveva visto diversi film dove i bambini erano ostili verso le nuove governanti e si divertivano a rendere impossibili le vite di quelle malcapitate con dispetti infernali; i piccoli Le Blanc invece sembravano l’esatto opposto.

“Piacere bambini!”

Esitò lei, incerta se stringere la manina di Chantal.

“Ci porterai allo stadio alla domenica?”

Il piccolo con il papillion la strattonò leggermente per il tessuto della gonna, costringendola ad abbassarsi alla sua altezza.

“André non importunare Mademoiselle Spencer!”

Poi si rivolse a lei.

“Questo non rientra nelle sue mansioni…se non se la sente!” Ma lei sentiva già di star deludendo il piccolo.

“Le nostre precedenti nanny erano tutte vieille fille che odiavano il calcio e preferivano lavorare all’uncinetto sulle panchine del parco la domenica!”

Iniziò a raccontare spontaneamente il bambino, catturando il cuore di Susie e facendo finta di non vedere gli sguardi di rimprovero della mamma, per la quale non stava bene parlare di chi era assente, soprattutto se veniva apostrofata come zitella.

“Vi accompagnerò!”

Lo rassicurò, attirando un hurrà entusiasmato.

“Se vostra madre è d’accordo!”

Si affrettò a tutelarsi, ma ormai il piccolo André aveva ottenuto ciò che voleva.

“Finalmente potrò andare a fare il tifo per Pierre!”

Susie si stava concentrando su Chantal, timorosa che quella soluzione potesse essere noiosa per una bambina, ma la conversazione fu interrotta dallo giungere di un auto di grossa cilindrata, di un fiammeggiante rosso acceso.

Il giovane alla guida accelerò lungo il perimetro della villa, tra i gridolini festosi di Andrè, per poi fermarsi davanti al gruppetto.

L’uomo cercò di rimettere a moto, ma dopo diversi tentativi, uscì dall’abitacolo con un imprecazione.

“Non parte più?”

Chiese il cuginetto andando incontro alla stella della nazionale francese: Pierre lo mise sulle spalle per giocare con lui.

“La batteria è andata! Mi sa che farò di nuovo tardi agli allenamenti!”

Intanto si erano avvicinati agli altri, di modo che anche Susie aveva udito quale fosse il problema.

“Se ha bisogno di farla ripartite subito…posso provarci io!”

Propose timidamente, sicura di aver davanti Pierre Le Blanc.

In quell’istante le parole di Tom le tornarono da monito.

“Lei?”

Si incuriosì Pierre, levando gli occhiali scuri a specchio, fissandola con i suoi intensi occhi verdi.

“Potremo ricaricarla utilizzando un'altra auto!”

La Porsche Carrera di Pierre era un gioiellino: la ragazza aveva visto auto simili solo nei modellini che Jo collezionava da bambino.

La donna indicò il garage dove altre due auto, che Susie non avrebbe potuto permettersi nemmeno sbancando la lotteria, facevano la loro bella figura.

La ragazza unì i morsetti con la sicurezza di una veterana.

“Dove hai pardon… ha imparato a capire di auto?”

Si incuriosì Pierre, poggiato sul parabrezza.

“Mio padre ha un officina! Comunque può darmi del tu!”

Spiegò, abolendo quelle formalità che le sembravano inutili tra coetanei, avvertendo uno strano fastidio.

Pierre sorrise e la invitò a fare altrettanto. Chantal e André assistevano al lavoro della nuova bambinaia, fermi all’ingresso del garage.

“Chantal, non è forte? Abbiamo une mécanicienne japonais come nuova bambinaia!”

Scoppiarono a ridere complici, senza far capire il motivo di tale ilarità, abbozzando un’idea di come avrebbero potuto canzonare la nuova nounou qualora fosse stata troppo severa o avesse fatto la spia con i grandi.

******

*Nounou: bambinaia.

Approfitto di questo spazio per augurare a voi tutte/i una Buona Pasqua e una spensierata scampagnata di pasquetta

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Capitolo 14
*** Nel refettorio dell'università ***


“ Nel refettorio dell’università”

Amy scivolò nelle prime luci della mattina, lasciandosi catturare da un paesaggio ancora estraneo al suo mondo e si riparò sotto la pensilina della fermata: la mattina era rigida e ancora fredda, inoltre la ragazza si sentiva sottosopra a causa del sonno spezzettato che le aveva impedito di riposare quella notte.

Quando l’autobus arrivò, obliterò il biglietto e prese posto in uno dei primi sedili: non c’era molta gente a quell’ora e ciò le permetteva di studiare i volti di quegli sconosciuti.

Si concentrò sui visi rugosi e gli sguardi disillusi di lavoratori veterani impassibili agli orari da rispettare.

Udì le lamentele di un gruppetto di studenti pendolari che, al contrario, discuteva delle ore di sonno sottratte da quel viaggio verso scuola. Per un attimo corse con il pensiero al liceo di Tokyo dove, da lì a poco, sarebbe iniziata una giornata gemella a quella che gli scolari di Osaka si apprestavano a vivere.

Una quotidianità che aveva accompagnato anche lei fino a qualche mese prima.

Desiderò avere Malaika accanto per potersi sfogare.

Le venne da azzardare un improbabile paragone tra l’amica di Tokyo e Naomi, la ragazza conosciuta il giorno prima con la quale avrebbe diviso l’affitto e l’alloggio della Casa Studenti.

Cercò di concentrarsi su argomenti futili e sulle fattezze architettoniche degli edifici che le sfilavano davanti sperando di scacciare il ricordo di quella sera in camera sua.

Ma il suo corpo era rimasto lì: catturato dall’eucalipto e dal profumo di uomo; incollato a quelle labbra che la anelavano.

Si fissò le mani e la mente riprodusse lo schicco con cui aveva rifiutato l’amore.

Quando si riscosse dai pensieri si rese conto di aver sbagliato fermata: le toccava ritornare a piedi per qualche kilometro.

Ci teneva ad essere puntuale il primo giorno all’università perciò affrettò il passo e lancio mute suppliche all’orologio nella speranza che fermasse le lancette.

Il ritmo del tempo però seguiva la cadenza di sempre sordo alle richieste di Amy che, giunta all’ateneo, si dedicò ad una disperata ricerca del cubo dove si sarebbe tenuta la lezione di “Lingue e Letterature moderne”.

Dopo vario peregrinare tra studenti di altre facoltà, trovò finalmente la persona giusta che potesse indirizzarla.

Quando aprì la porta dell’Aula Magna fu puntata da un centinaio di occhi scrutatori. Chinò la testa e si sistemò verso l’esterno di una fila, in fondo.

Non capì molto da quella posizione, non ancora abituata ai ritmi delle spiegazioni universitarie, perciò non le restò altro che tirare fuori il block notes per appuntare le informazioni che la professoressa cercava di trasmettere agli accademici.

*****

Le prime due ore furono un incubo: si sentiva sola ed isolata non avendo ancora avuto occasione di far conoscenza con nessun collega di facoltà.

Per un attimo si pentì di aver lasciato Tokyo e di aver scelto di diventare adulta.

Mentre la docente mostrava le slide della lezione capì che non ci sarebbe stato più nessuno a prenderla per mano e a correggere i suoi sbagli.

La nostalgia diventò il sentimento dominante.

Continuò a scrivere come un automa per superare quel momento di smarrimento .

Dopo quasi tre ore la lezione terminò.

Era quasi mezzogiorno e la matricola approfittò dell’ora d’intervallo prima di partecipare al corso di orientamento che si sarebbe tenuto nel pomeriggio: aveva deciso di prendervi parte per capire meglio come organizzare le sue future giornate e cogliere magari l’occasione di farsi qualche amico.

Amy aveva molti conoscenti ma, pochi, veri amici. Per lei l’amicizia era qualcosa di sacro, un valore che non concedeva facilmente se non testava prima la fiducia nell’altro.

Solo Malaika e Julian le avevano trasmesso la sicurezza necessaria perché condividesse con loro parte dei suoi segreti.

Si chiese se le cose sarebbero mai potute tornare come prima ma realizzò che quel bacio e quello schiaffo avevano cambiato tutto: non sapeva se sentirsi tradita da lui o se arrabbiarsi contro se stessa per averlo scacciato.

“Ecco qui la mia coinquilina!”

Naomi le andò incontro, prendendola a braccetto: sembrava essere nata in quel posto e non lasciava trasparire nessuna ansia della matricola. Ad Amy venne da paragonarla ad una di quelle ragazze che aveva visto tante volte a Takeshita Dori fare lo struscio in una delle vie più folli di Tokyo.

Come le ragazze della capitale, Naomi appariva curata come una bambolina, truccata alla perfezione, coordinata nella sua mise.

“Ti presento Hiroshi! Siamo stati compagni dalle elementari fino all’altro ieri!”

Sorrise, facendo segno ad un ragazzo dall’aria un po’ stralunata di avvicinarsi.

Amy ebbe la reazione di indietreggiare e fuggire da loro: le persone nuove la mettevano a disagio, erano ladre del suo passato che avrebbero presto offuscato i ricordi condividendo con lei nuove esperienze.

“Su vieni a pranzare con noi!”

La convinse e si avviarono tutti e tre verso il refettorio.

****

La mensa era piuttosto affollata, dopo aver riempito i loro vassoi i ragazzi trovarono posto ad un tavolo verso il centro della sala.

C’era una piccola televisione che rimandava le immagini del telegiornale, ma il brusio intorno impediva di distinguere i suoni.

“Domenica potremo fare un giro esplorativo della città, che ne dite ragazze?”

Propose Hiroshi senza venir meno al suo spirito di iniziativa.

Naomi acconsentì per entrambe mentre la coinquilina restava concentrata sulla sua porzione di sashimi.

“Ah ecco il notiziario sportivo: era d’obbligo oggi iniziare con le notizie che riguardano l’FC Tokyo!”

Commentò Hiroshi, ignorando Naomi che le ricordava quanto lei odiasse il calcio.

Amy rizzò le orecchie e un groppo in gola le impedì di continuare a mangiare.

Venne ipnotizzata dallo schermo estraniandosi dall’ambiente universitario.

“Gli addetti ai lavori sono concordi nel considerare già una scommessa vinta questo nuovo acquisto!”

Le parole, da appassionato tifoso, di Hiroshi quasi non le captava incantata dalle immagini che giungevano dalla Sala Stampa dell’ Ajinomoto Stadium.

Perché una parte di lei era lì, dietro i sorrisi che Julian dispensava ai fotografi, nelle parole centellinate con cui non si lasciava imbarazzare da domande scontate e nelle risposte sincere, nell’orgoglio con cui il neo acquisto dell’FC Tokyo esibiva la maglietta con il numero 14.

Solo lei sapeva quanta fatica era costata a Julian arrivare a quel traguardo.

Perché lei c’era quando il futuro libero della Nazionale Juniores si lasciava andare ai momenti di sconforto temendo che i suoi sogni restassero irrealizzabili chimere.

Perché lei era presente sia quando il Dottore gli aveva imposto di lasciare il calcio, sia quando gli aveva detto che poteva riprendere l’attività sportiva a livello agonistico.

Perché Amy era stata la prima persona con cui Julian aveva condiviso la felicità per la prima convocazione in Nazionale e la prima a cui aveva rivelato l’interesse della squadra di Tokyo per il suo cartellino.

Lì, nel refettorio dell’università di Osaka, riesce solo a realizzare di essere assente nel momento più importante nella vita dell’amico: mentre il bambino prodigio compie l’ultima metamorfosi ed è ormai pronto per essere incoronato “Principe del calcio” lei si trova a kilometri di distanza.

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Capitolo 15
*** "Sei una fauve" ***


“Sei una fauve”

I primi fiocchi imbiancarono i boulevard parigini. Tom cercò di scaldarsi le mani sfregandole tra loro e si fermò innanzi alla cassettina della posta per recuperarla prima di meritarsi il caldo confortevole del suo appartamento.

Quel giorno era fissata una sola seduta di allenamento mattutino: fu felice di avere il pomeriggio libero.

La sosta natalizia era vicina e il Paris Saint Germain stava disputando un discreto girone di andata, mantenendosi in una posizione di classifica che non era mai scesa oltre il quarto posto. Inoltre la squadra parigina si era qualificata per gli ottavi di Champions League vincendo il proprio girone di qualificazione. Il centravanti sognava una finale contro il Barcellona, con la golden combi a contendersi il prestigioso trofeo: probabilmente sfidare Holly in una sfida tanto affascinate restava fantacalcio.

Recuperò la posta e si mise a scartabellare tra le missive, oltrepassando il portone d’ingresso.

Fu accolto da un caratteristico odore di tempere e capì che suo padre stava lavorando nel suo “salone”.

La piacevole sensazione di avere un po’ di tempo da trascorrere con Ichiro fu stemperata dall’indirizzo che lesse su una busta: tra bollette e proposte pubblicitarie infatti era nascosta una cartolina che proveniva dal Giappone. Tom riconosceva la calligrafia curata e femminile.

Restò con solo quella in mano in bilico tra il desiderio di aprirla e la riluttanza a non sconvolgere il suo mondo.

“Per quanto tempo hai intenzione di tenerla ancora in mano?”

Ichiro riemerse dalle sue tele e dagli acquarelli, qualche macchia di colore gli restava appiccicata sulle mani come timbro indelebile della sua passione: dipingeva da una vita ma gli capitava ancora qualche sbavatura.

“L’ha spedita la mamma!”

Rivelò il figlio, tralasciando l’osservazione critica dei lavori paterni che era solito compiere quando si addentrava nella parte dell’appartamento riservata all’arte.

Il Signor Becker posò il pennello in acqua per evitare che la tempera pastello lo indurisse aspettando che il ragazzo leggesse il contenuto di quei fogli.

I piccoli occhi scuri difficilmente tradivano le emozioni, lui i sentimenti era abituato a farli uscire sulla tela e come tutti gli artisti aveva le sue stranezze: solo Tom riusciva a capirlo.

Gli venne da ripensare alla separazione da Yumiko, all’unità familiare che avevano negato a Tom, alle scelte difficili innanzi alle quali avevano posto un bambino.

Inconsciamente assaporava la stessa paura di allora: la paura che l’amore tra madre e figlio prevalesse e lo lasciasse per sempre solo.

Lesse un’espressione preoccupata sul giovane viso di quel ragazzo che tante volte aveva sopperito alla nostalgia di paesi sconosciuti conquistando nuove amicizie.

“Qualcosa non va?”

Anche se il matrimonio era andato a rotoli si interessava alle vicende dell’ex moglie in quanto madre di suo figlio. “Si tratta di Yoshiko! Dice che sta male ma non specifica cos’ha!”

“Tua madre ti chiede di raggiungerla?”

“Scrive che Yoshiko non l’ha presa bene! Non chiede esplicitamente il mio intervento ma….fa capire che sarei d’aiuto ad entrambe! Forse dovrei…!”

“Si tratta pur sempre di tua sorella!”

Osservò tranquillo Ichiro cercando di perfezionare il paesaggio a cui lavorava da mesi.

“Forse andrò!”

Tentennava Tom. Suo padre si fermò per guardarlo.

“Devi vincere le tue paure Tom! Tu sei mio quanto di Yumiko : ora lei ha bisogno di te! Potresti approfittare delle vacanze natalizie!”

Non aveva mai sentito suo padre prendere le parti di quella donna ormai quasi estranea e scavare nelle sue ansie: si chiese cosa avrebbe trovato al suo ritorno.

**********

Si avvicinò alla finestra e creò una piccola fessura: improvvisamente l’aria era diventata irrespirabile.

Fu accolto da voci festanti che intonavano “Mon Beau Sapin” e da gridolini entusiasti di bambini che si rincorrevano cercando di colpirsi con le palle di neve.

Osservò l’andirivieni della gente nella Nazione che lo aveva accolto come se fosse nato su quella terra. Dopo un po’ gli sembrò di scorgere una figura familiare: lì sul boulevard con la Kodak pronta ad immortalare le atmosfere gioiose di una fredda giornata d’inverno si materializzò il suo porto di sicurezze.

L’aveva notata a tutte le partite casalinghe, seduta nel parterre del “Parco dei Principi” tra i due giovani cugini di Pierre Le Blanc, sempre agli stessi seggiolini.

Ne aveva memorizzato la postazione e all’ingresso in campo, dopo un gol, nel saluto del dopopartita sotto le curve dei tifosi, lo sguardo era corso sempre verso quello spicchio di tribuna.

“Susie!”

Senza quasi rendersene conto ne stava attirando l’attenzione, agitando le mani dalla finestra.

Un altro gesto che Tom Becker non avrebbe mai osato tentare per approcciare una ragazza: ma in quel momento si sentiva troppo irrequieto per via della lettera.

La nounou dei Le Blanc sentendosi chiamare cercò di capire a quale direzione rivolgersi: quando scorse Tom ricambiò il saluto sperando di restare calma.

Le stava succedendo qualcosa di inspiegabile, provava una sconosciuta attrazione che non l’aveva mai legata a nessun uomo.

In quei primi mesi a Parigi aveva accettato gli sporadici inviti del connazionale per una chiacchierata amichevole nei Caffè, per un giro turistico della Capitale con il pretesto di confrontarsi sulle loro impressioni artistiche. Lo vedeva spesso quando i bambini volevano andare ad assistere agli allenamenti a porte aperte e le domeniche allo stadio, ma in quelle occasioni non avevano modo di parlarsi.

Nessuno dei due aveva scavato nella vita dell’altro, convincendosi di poter portare avanti un’amicizia disinteressata.

Ma Susie aveva capito di starsi sbagliando quando aveva iniziato a sviluppare i primi rullini scattati allo stadio: oltre la metà delle pellicole erano occupate dall’immagine dell’attaccante con il numero 9.

“Ti va di salire a prendere qualcosa di caldo?”

L’invito talmente esplicito la spiazzò: non era ancora pronta a restare da sola con lui, senza una folla ad evitar loro di confrontarsi su temi personali.

“Veramente dovrei andare a prendere Chantal a scuola!”

Si giustificò con una mezza verità poiché aveva ancora un’ora abbondante di libertà.

“Non è ancora presto per il termine delle lezioni? Su vieni…così potrai ammirare il capolavoro di mio padre!”

La convinse perché non mancava mai di accennare ai lavori di Ichiro durante le loro conversazione.

*******

Le pareti erano tappezzate da imitazioni di diversi capolavori di artisti impressionisti: Degas, Renoir e “Impression, soleil levant”. Fu proprio quest’ultimo Monet a far intuire a Susie quanto l’arte fosse il filo sottile ma indistruttibile su cui si costruiva l’intesa tra il Signor Becker e il figlio.

“Così tu sei la piccola Susie! Quanto sei cresciuta!”

L’accolse il papà di Tom che pur non avendo avuto modo di familiarizzare con i numerosi amici del figlio, era rimasto colpito da quella fanciulla con i codini, vista sporadicamente.

La giovane Spencer si sentì subito a suo agio.

“Lei invece è un pittore impressionista, signor Becker!”

Osservò la tela che aveva difronte facendo capire che anche lei poteva entrare in quella perfetta intesa artistica.

“Susie è una brava fotografa!”

Si affrettò ad aggiungere Tom.

“La fotografia è un opera d’arte!”

Convenne ermeticamente Ichiro.

“Non sono poi così brava! Ma quando scorgo un paesaggio è lui che mi chiede di essere immortalato…non ho il tempo di pensare, agisco d’impulso…sì sono impulsiva!”

Rivelò con trasporto Susie, accorgendosi che nello sguardo interessato del Signor Becker si celava una segreta comprensione: essere scrutata in quel modo non la infastidiva.

“Allora appartieni alla scuola del fauvismo! Sei una fauve!”

Suscitando lo stupore di Tom, il pittore porse un tubetto di tempera alla ragazza per invitarla a dimostrare la veridicità della sua teoria.

Lei prese i colori che le venivano posti e li schizzò su un foglio d’album bianco che all’improvviso si macchiò di colori vivaci e contrastanti.

Sembravano scarabocchi, macchie buttate qua e là ma mentre Susie spremeva il tubetto sentiva una parte delle sue insicurezze abbandonarla e imprimersi sulla carta.

Non era più la Suzonne di Manet.

Non era più la ragazza interrotta.

Non era più la nounou dei Le Blanc.

Tutte le barriere e gli schemi di una vita precostruita si infrangevano dando libertà alla sua creatività.

In quell’istante si stava spogliando di tante maschere che l’avevano confusa per tanto tempo per tornare ad essere solo Susie.

Non c’era nessuno a giudicarla o a condannare i suoi errori: si sentì apprezzata per la prima volta, percependo il calore di una vera famiglia tra tempere pastello e tele dipinte con gli acquerelli.

**********

Ringrazio quanti continuano a leggere e seguire la mia storia...

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Capitolo 16
*** I pesci rossi ***


“I pesci rossi”

Fuori dallo stadio il bancarellista contrattava magliette e gadget dell’FC Tokyo, già sistemato con le sue merci nello spazio che occupava da oltre trent’anni.

L’uomo era invecchiato facendo felici diversi supporters, appassionandosi alle sorti di vecchie glorie e di futuri campioni: ormai una sosta alla sua bancarella era un rituale prima di andare ad assistere alla partita e da quella postazione aveva imparato a riconoscere i calciatori che si allontanavano, finiti gli allenamenti.

Perciò quando quella mattina riconobbe una Toyota MR2, la forza dell’abitudine lo portò a interrompere la vendita di uno stendardo e ricambiare il cenno del ragazzo alla guida.

Julian salutò e riposizionò la mano sul cambio oltrepassando lo stadio nel quale stava trovando la sua consacrazione.

Quella fredda mattina d’inverno non era nata per appagarlo ma per riconsegnarlo ad incubi da cui si era svegliato molti anni prima.

Fermo ad un semaforo, rielaborò ancora una volta gli incombenti avvisi con cui , nella lezione di qualche giorno prima, il prof di anatomia aveva deciso di responsabilizzare i futuri medici.

“Questo anno accademico sarà molto importante e riserverà diverse novità! Come ben sapete è previsto un tirocinio al termine della vostra carriera universitaria: ora invece la pratica andrà di pari passo con la teoria!”

Aveva cercato di misurare quelle parole, le aveva riascoltate tante volte, come se nella sua mente vi fosse un nastro riavvolgente, finché non tornavano prepotenti nelle sue giornate come un ritornello che si sente una volta e non si riesce più a scacciare.

Le risentiva mentre si sforzava di studiare.

Gli era parso di leggerle sulle bocche del nutrito gruppo di tifosi che ne avevano applaudito il gesto tecnico con cui aveva regalato il pareggio all’FC Tokyo nella difficile trasferta contro i Jubilo Iwata.

Una voluminosa croce rossa lo costrinse a posteggiare l’auto, disobbedendo alla sua volontà: quel nosocomio era carniere di molti dolori, temette che oltrepassando la porta avrebbe potuto scoperchiarli come un vaso di Pandora.

Avendolo riconosciuto, un piccolo gruppetto con cui avrebbe condiviso quell’esperienza, gli si fecero incontro.

“Ah bene Julian, finalmente sei arrivato anche tu!”

Lo salutò Erina, compagna di corso che non mancava mai di sorridergli ammiccante: Ross non badava a quelle attenzioni, ancora ferito e arrabbiato con Amy, ma innamorato di lei.

“Non sto più nella pelle! Non vedo l’ora di intervenire ai casi di Pronto Soccorso!”

Aggiunse Mark, sistemandosi i capelli nella speranza che il gel mantenesse: l’attenzione per l’aspetto fisico lo avvicinava più ad una carriera cinematografica che non medica.

A Julian venne da pensare all’omonimo Lenders che sicuramente si sarebbe dilettato molto più a spedire gli avversari al Pronto Soccorso su una barella piuttosto che lavorarvi dentro.

L’accenno al rivale, con il quale restava in rapporti tesi, lo portarono quasi a rimpiangere le loro sfide di bambini.

“Brrr …Dottore…per fortuna non sono un malcapitato che finirà sotto le sue grinfie!”

L’espressione drammatica di Hideo fece scoppiare gli altri in una risata, sciogliendo un po’ di tensione, tuttavia Julian non riusciva a farsi coinvolgere dal fermento che emozionava gli altri tirocinanti.

Fissò a lungo l’immagine che rimandava lo specchio interno di un armadietto nello spogliatoio dei medici: la tuta verde e il camice bianco, che per un certo periodo lo avevano intimorito, ora sbiadivano la sua figura dandogli l’impressione di veder riflesso un fantasma.

E i fantasmi di un adolescenza negata si materializzarono nelle sensazioni che era stato costretto a gestire durante la malattia.

Il freddo metallico di uno stetoscopio sulla pelle calda di un petto nudo.

La presa forte e calda delle grosse mani del cardiochirurgo intorno al polso.

Strumenti d’indagine strani per un bambino ad auscultare i battiti irregolari di quel cuore malato.

Stare lì lo costringeva a rivivere tutto. “Tutto bene?”

Mark si accorse che il collega si era estraniato. Julian si affrettò a rassicurarlo.

“Buongiorno discendenti di Asclepio!”

Con sorpresa Julian constatò che il loro tutor sarebbe stato l’amico del nonno, quello che gli aveva fatto i complimenti durante la festa di laurea di Hakito.

Quella presenza lo rincuorò un poco, anche perché a primo impatto l’uomo gli aveva suscitato simpatia.

“Il mio motto è : molto lavoro, poche chiacchiere! Dunque durante le ore di tirocinio dovrete imparare a familiarizzare con tutti i reparti…io sarò pronto a rispondere alle vostre domande e cercherò di essere flessibile con le vostre esigenze in fatto di orari!”

Gli studenti più audaci non esitarono ad esporre i loro dubbi che l’uomo cercò di dipanare.

“Questa settimana sarete sotto la mia ala protettrice nel reparto di pediatria!”

*******

La diligenza con cui gli infermieri si prendevano cura di quei corpicini spossati fece riaffiorare ulteriori ricordi, talvolta imbarazzanti.

Riconosceva quegli sguardi stanchi e delusi pronti a riversare la loro insofferenza sugli sconosciuti che venivano a strapparli da un’ immaginaria isola felice dove potevano essere esuli dal dolore per poco tempo.

Ricordava le attese interminabili di un bambino nei corridoi asepsi e austeri di una corsia d’ospedale.

La stessa noia e l’assenza di speranze ora Julian la scorgeva in una ragazzina ferma vicino ad un acquario: con i pugni sul mento sembrava interessata ai guizzi dei pesci rossi nell’acqua.

Il vetro che custodiva gli animaletti riflesse l’immagine di Julian.

“Sai che i pesci rossi sarebbero verdi se venissero lasciati nel loro habitat?”

Condivise l’informazione con il giovane senza muoversi dalla sua posizione.

“No…non lo sapevo!”

Ammise il calciatore, grattandosi la testa.

La ragazzina si voltò per conoscerlo: aveva un ovale perfetto e dall’incarnato roseo; gli ricordava le bamboline di porcellana di cui Amy faceva collezione da bambina.

Gli occhi però erano inespressivi e rassegnati.

“Perché sei vestito così? Tu non sei un Dottore!”

Osservò tranquilla, quasi stesse discorrendo con un coetaneo: Julian restò spiazzato da tanta sincerità .

“Neanche tu sembri malata! Come mai sei qui?”

Ribatté un po’ seccato per essere stato scoperto.

“In verità dovrei essere nel reparto di ortopedia, ma per i miei sono ancora una bambina!”

“Non hanno ragione?”

“Vado per gli undici anni…sono grandicella!” Si difese, allungando la gamba sinistra su una panca per poi portarvi il peso di tutto il corpo.

“Cosa fai?”

Chiese curioso il tirocinante.

“Stretching…sono una ballerina! Tra poco non potrò più farlo!”

Julian ormai si era seduto accanto a lei, incuriosito da quei modi espansivi.

“Ho la colonna vertebrale storta… forse…” La vide farsi triste.

“Dovranno operarmi!”

La rivelazione fece allungare nuove ombre su quella giornata: flashback opachi di una difficile riabilitazione.

Gettò lo sguardo sugli occhi tondi dei pesci ricordando come ci si senta ad essere osservati, studiati da degli sconosciuti.

“Come ti chiami?”

Cercò di distendere la tensione il ragazzo. “Yoshiko! E tu?”

“Io sono Julian! Hai paura?”

Yoshiko si strinse nelle spalle.

“Ti hanno mai detto che dovevi rinunciare a qualcosa?” Lui sorrise amaro.

“Quando avevo la tua età i Dottori mi dissero che non potevo più giocare a calcio perché mi stancavo facilmente!”

“Hai obbedito?”

“I primi tempi sono stati molto difficili, ho seguito alla letera tutto quello che mi veniva detto di fare ma poi…sono guarito!”

“Giochi ancora a calcio?”

Ebbe una conferma.

“Anche io ho un fratello che gioca a calcio ma…non mi vuole bene, non viene mai a trovarmi!”

Recriminò Yoshiko.

“Credi che guarirò anche io?”

La speranza della ragazzina, così simile a quella che aveva alimentato i sogni proibitivi di Julian , guizzava come i pesci rossi.

Sapeva che Yoshiko non si sarebbe arresa al piccolo universo che la malformazione del suo corpo le prospettava: era simile a lui e non avrebbe permesso che, come i pesci rossi, si accontentasse di nuotare nel liquido di una stretta brocca. Capì di essersi preso a cuore il caso di quella ragazzina.

*******

Ringrazio quanti hanno “curiosato” in questa storia e sono arrivati a leggerla fin qui. Un grazie ancora più grande a Sissi 149 che non manca mai di farmi conoscere le sue impressioni!

A presto

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Capitolo 17
*** "Gli ottocento e otto ponti di Naniwa" ***


“Gli ottocento otto ponti di Naniwa”

Naomi sistemò due rametti di pino ai lati della porta mentre all’interno dell’alloggio Amy finiva di ritagliare striscioline di carta che poi sarebbero state appese ad una fune di paglia.

Stavano seguendo tutti i cerimoniali perché gli spiriti maligni restassero lontani da loro.

“Shogatsu si avvicina! Certo che questi primi mesi all’università sono volati!”

Per Amy non era stata la stessa cosa: le giornate le erano sembrate lunghe e interminabili, buie e tristi quando il sole aveva iniziato a tramontare prima.

Non si era lasciata vincere dallo spaesamento e dalla desolazione buttandosi a capofitto sui libri.

Dal lunedì al venerdì la solita routine: l’attesa alla fermata dell’autobus, la corsa delle otto e trenta con i primi visi che le diventavano familiari, le serate obbligate con Naomi davanti alla TV o lasciandosi guidare dalla coinquilina nei locali di Osaka.

Non sapeva ancora se poterla considerare un’amica: mancava ancora quella fiducia necessaria a convincerla a dirle tutto della sua vita e del suo passato.

A Tokyo era ritornata poche volte nei fine settimana, scegliendo sempre le domeniche in cui la squadra di calcio era impegnata in trasferta: una parte di lei anelava il confronto con Julian, sicura che parlandosi di nuovo molti dubbi si sarebbero chiariti.

La parte razionale però rifuggiva uno scenario che, presto o tardi sarebbe diventato inevitabile.

Pensava spesso allo schiaffo di quella sera d’autunno e ai mesi di silenzio che erano seguiti.

Cercava di convincersi che, tornando indietro, avrebbe avuto la stessa reazione: ricambiare quel bacio avrebbe significato tracciare per sempre la sua vita. Si conosceva, sapeva che agendo diversamente avrebbe permesso a qualcosa di più profondo di instaurarsi per sempre tra lei e Julian.

Se ci pensava le sembrava buffo: per anni aveva atteso che lui facesse un gesto simile, che la facesse sentire davvero importante oltre l’episodio del bacio degli eschimesi scambiato in biblioteca.

Ma quella era un’altra Amy: sognatrice e altruista. I mesi all’università l’avevano cambiata: aveva iniziato a pensare di più a sé stessa e meno agli altri.

“Allora stasera si va allo stadio?”

Naomi non era entusiasta di quell’uscita ma Hiroshi aveva insistito tanto perché le ragazze andassero con lui ad assistere al match tra i Gamba Osaka e l’ FC Tokyo.

La coinquilina ebbe un sussulto.

“Non so se verrò con voi!”

Benché le possibilità di incontro con i calciatori fossero quasi nulle, la giovane Aoba sapeva che anche soltanto guardarlo dagli spalti avrebbe sconvolto le sue giornate: sarebbe stato difficilissimo, dopo quella sera, restare concentrata per la sessione di esami ormai imminente.

“Come non sai se verrai? Dopo che mi hai costretta a sorbirmi tutte le partite in chiaro e le telecronache radiofoniche della tua squadra del cuore ora non vieni?”

Naomi non riusciva a spiegarsi quel rifiuto: lei non sapeva niente delle pene d’amore di Amy, non sapeva quale legame indissolubile la legasse al numero quattordici della squadra di Tokyo.

L’improvviso trillo del campanello rimandò le giustificazioni di Amy.

“Malaika!”

Si buttò al collo dell’amica che le stava innanzi, sentendosi in colpa: i problemi con Julian l’avevano portata a trascurare l’amica più preziosa che avesse mai avuto.

“Beh se Maometto non va alla montagna…”

Citò un noto proverbio Malaika per evidenziare le mancanze di Amy.

“Che sorpresa! Come hai fatto a convincere i tuoi?”

Amy , entusiasta di quella visita, trascinò l’amica nell’appartamento illudendosi di poter tornare ai tempi del liceo.

“Tre ore di treno non sono poi la fine del mondo! Ci siamo organizzati con un gruppo di amici per il grande match di stasera: dobbiamo riportare nella capitale la Coppa Nabisco!”

Serrò i pugni battagliera, facendo prevalere l’indole sportiva.

“Oh no…un'altra patita di calcio!”

Si finse disperata Naomi a cui l’improvvisa visitatrice stava già simpatica.

“Allora convinci tu la tua amica ad essere dei nostri stasera?”

Ora Amy era con le spalle al muro.

L’atmosfera fuori dallo stadio calcava l’importanza della partita: mancavano ancora due ore al fischio d’inizio ma i primi supporters del Gamba Osaka oltrepassavano i cancelli d’ingresso per iniziare a sistemare i loro striscioni. Amy si trovava pochi passi dietro ad un gruppetto formato dagli amici di Malaika, da Naomi e Hiroshi.

Era restata di proposito indietro, in modo da poter parlare tranquilla con Malaika: sapeva che non avrebbero avuto più il tempo di una volta per confidarsi i segreti.

“Hai incontrato Julian?”

Si sforzò di non lasciar trapelare l’ansia per la risposta, impostando il tono di voce come se stesse chiedendo notizie di un conoscente.

“Qualche volta viene a seguire gli allenamenti della Mambo, è molto affezionato a quel posto!”

Amy lo sapeva bene, così come Malaika intuiva che non era quella la risposta che l’amica si aspettava.

“Mi ha avvicinata un paio di volte! Ha chiesto di te!”

Nel gelido della sera sentì un caldo improvviso che le arrossava le gote, effetto non solo della fiammella su cui un venditore ambulante cuoceva le sue caldarroste.

“E tu cosa hai risposto?”

“Che ci sentiamo tramite sms, che stai bene…le solite frasi superficiali!”

Malaika si fermò innanzi ad una bancarella per farsi incartare qualche castagna, poi riprese a camminare al fianco dell’amica.

“Amy non ho mai visto nessuno amarsi e soffrire per amore come voi due! “

Aveva solo diciassette anni ma era sempre stata sincera.

Il gruppetto di qualche metro avanti si arrestò per ricompattarsi.

Fu quando si riunirono che il pullman della squadra ospite li sorpassò per fermarsi nella piazzola riservatagli: uno ad uno sfilarono tutti gli atleti, concentrati sulla gara, con i pensieri dissolti negli auricolari e le strette di mano da riservare agli addetti prima di eclissarsi negli spogliatoi.

“Magari riusciamo a raggiungere qualcuno!”

Hiroshi era smanioso di ricevere qualche autografo.

Amy se ne restava immobile e tratteneva il respiro per la paura che un solo sospiro avrebbe fatto troppo rumore.

Guardava quegli atleti sconosciuti e man mano che il pullman si svuotava l’attesa la logorava.

Julian fu l’ultimo a scendere. Indossava la divisa ufficiale del club e si muoveva con una certa sicurezza, con la determinazione di un uomo.

Prima di raggiungere l’entrata si voltò per buttare uno sguardo ai curiosi che temporeggiavano per accogliere la squadra.

Fu allora che Amy fu pervasa dal desiderio ardente di tornare al passato: di rivivere luoghi, sapori e giornate che non sarebbero più tornate.

Ross alzò la mano in segno di saluto verso alcuni tifosi in trasferta che lo acclamavano e proseguì per la sua direzione.

Non l’aveva notata.

Girò su sé stessa lasciando che gli amici si defilassero nell ‘ “ Expo stadium”. Non aveva una meta precisa: voleva solo piangere e dimenticare.

Si sentì infantile.

Ripensava a tutte le volte che aveva pianto per Julian senza che lui se ne accorgesse e senza che lo venisse a sapere.

Riviveva febbrilmente gli ultimi mesi senza sapere più chi essere e cosa volere.

“Credo sei l’unica persona al mondo che riesca a piangere negli stadi!”

Malaika le porse un fazzoletto di carta, accucciandosi vicino a lei.

“Perdonami! Non è così che doveva finire la nostra giornata insieme!”

Tirò col naso rasserenata dalla presenza di Malaika.

“Promettimi che la nostra amicizia non finirà come quella con Julian!”

Aveva bisogno di quella rassicurazione, di sperare che uno spicchio dei suoi affetti sarebbe sopravvissuto alla nuova Amy.

La ragazza dei manga sorrise.

“Non accadrà mai Sampei! Così come non perderai mai Julian: tu per noi hai un valore incalcolabile!”

“Credi che noi siamo come gli ottocento otto ponti di Naniwa?”

Era di una tenerezza incredibile la dolce Aoba quando chiedeva sostegno: Malaika in quei frangenti si sentiva indispensabile e utile, si sentiva quella più matura, orgogliosa nel dare consigli.

“Si Amy noi siamo al di sopra di tutto: anche se le strade dovessero dividersi la nostra unione non si spezzerà mai!”

Le vennero i brividi a sentire quei discorsi malinconici sulla bocca di una ragazza allegra come Malaika.

“Lo so! Anche lui nutre gli stessi sentimenti: è soltanto che siete due puntini alle estremità del foglio…dovrete cercare di convergere verso il centro!”

La studentessa universitaria si lasciò abbracciare dalla liceale.

“Potrai perdonarmi per essere stata così assente in questi ultimi mesi?”

“Ad una condizione: che non passi una vita prima che ci rincontriamo!”

Quella che era nata come una battuta infastidì, senza motivo Amy: attribuì quel fastidio alla nuova imminente separazione ma una sensazione sinistra la fece rabbrividire nuovamente.

”Gli ottocento e otto ponti di Naniwa” espressione famosa nel Giappone antico per indicare qualcosa di incalcolabile.

*Shogatsu: I primi giorni dell’anno nuovo. In Giappone la casa viene pulita da cima a fondo (Susuharai) e si mettono ai lati della porta rami di pino( Kadomatsu). Si mette anche una fune di paglia con striscioline di carta (Shimenawa) per evitare agli spiriti maligni di entrare in casa. Rituali che, in genere, si compiono entro l’ultimo giorno dell’anno, seguono poi tre giorni di vacanza.

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Capitolo 18
*** Orgoglio e pregiudizi ***


“Orgoglio e pregiudizi”

“Ballerai la polka con me?”

Il piccolo André ondeggiò lievemente, aspettando pazientemente che Susie finisse di abbottonargli la camicina: si era molto affezionato alla nuova nounou in quei mesi.

“Vedremo!”

Prese tempo la ragazza, non volendosi coprire di ridicolo innanzi a mezza aristocrazia francese.

Il primo evento mondano a cui era chiamata a partecipare la rendeva tesa e sicura di compiere qualche passo falso.

André e Chantal glielo avevano chiarito più di una volta che quelle feste erano un mortorio per loro, che dovevano solo sorridere e salutare affabili, fare qualche inchino e stretta di mano per ingraziarsi amici potenti per i Le Blanc.

Avevano ascoltato rapiti ed esterrefatti i racconti di Susie: in Giappone il giorno di Natale si lavorava, poi al ritorno a casa si stava in famiglia o si andava dagli amici. Chi aveva il fidanzato, trascorreva una romantica giornata insieme a lui. Quest’ultima rivelazione aveva fatto desiderare un fidanzatino alla piccola Chantal.

La bambina giunse nella stanza sbuffando, incurante di poter stropicciare il suo vestitino blu.

“La mamma dice di spicciarci: gli ospiti sono quasi tutti arrivati!”

Annunciò poco entusiasta, lasciandosi prendere per mano da Susie che, con i bambini ai lati, fece il suo ingresso nella sala agghindata a festa.

Sentì gli occhi di tutti i presenti puntati addosso a lei: credette che il suo vestitino a motivo floreale fosse misero per i canoni dell’alta società e la facesse troppo ragazzina.

Avendo dovuto preparare i bambini e curare altri particolari per la serata, non aveva avuto molto tempo da dedicare a se stessa.

Louise Le Blanc le andò incontro e sorridendole le fece capire che per quella sera poteva divertirsi: prese i bambini per mano e li portò con sé di modo che potessero salutare gli ospiti.

Susie fu dispiaciuta di restare sola: André e Chantal erano una buona compagnia, l’unico motivo che l’aveva convinta a mescolarsi a quegli sconosciuti.

Ispezionò il tavolo da buffet, avanzò insicura tra le persone dell’alta società, senza ben capire i loro commenti, quindi si accomodò su una sedia, in disparte, sperando che la serata volgesse presto a termine.

Dopo svariati minuti Chantal le si avvicinò.

“Tra poco inizieranno le danze! Potrei chiedere allo zio Pierre di farti da cavaliere!”

“Non mi va di ballare!”

Sembravano le scuse patetiche che, da bambina, inventava a scuola per non mostrarsi impreparata.

Voleva stare lontana dai guai, ed intuiva che il calciatore le avrebbe portato solo grane.

L’avvertimento che quel giorno Tom le aveva dato al cafè sulla Senna era un monito che aveva seguito con risultato, fino a quel giorno.

“Peccato che Tom non sia stato invitato!”

Quella bambina era proprio astuta e furba!

“Cosa centra Tom adesso?”

Si sorprese Susie, allarmata di come la bambina avesse notato l’amicizia nata con Becker.

“Visto che allo stadio hai sempre la macchina fotografica su di lui, pensavo ti sarebbe piaciuto immortalarlo anche stasera!”

Osservò con nonchalanche, ignorando il disagio in cui stava sprofondando la nounou.

“Io e Tom siamo solo buoni amici!”

“Certo! E tu fotografi solo soggetti interessanti!” Comunque a me Tom sta molto simpatico…anche più dello zio Pierre!”

Le diede la sua approvazione.

“Non raccontare a nessuno delle mie foto, però!”

Tornava bambina, costruiva segreti e li condivideva con Chantal, speranzosa che anche lei sapesse mantenerli.

La bambina le strizzò l’occhio e corse via, avendo notato l’arrivo di alcune sue pari età.

Aperte le danze, pochi coraggiosi si erano lanciati sulla pista da ballo. La giovane Spencer si limitava a seguire il ritmo con il corpo e con il battito delle mani.

“Ho saputo che ti hanno strappato una promessa per un giro di polka!”

Pierre le porse una coppa di cointreau, approcciandola con fare cavalleresco.

Era elegante ed impeccabile come sempre.

“In cambio di questo drink posso rubarti un valzer?”

“Sono una pessima ballerina! Finirò per pestarti i piedi…”

Si oppose debolmente, cercando una scusa per rifiutare la sua vicinanza.

Si ritrovò però irrigidita tra le braccia di Pierre che la guidava, cercando invano di insegnarle qualche passo.

“Ti avevo detto che sono proprio negata!”

Si difese facendosi aria con la mano aperta, dando un’occhiata invidiosa ai piccoli Le Blanc che si erano scatenati sul parquet, inventando nuovi passi e divertendo i presenti.

Terminato il valzer, Susie fece per raggiungere quella che era diventata la postazione fissa della serata.

“Usciamo a prendere una boccata d’aria?”

Esitò innanzi alla richiesta di Pierre, pronta a rifiutarla.

“Non mordo mica!”

La convinse infine.

S’incamminarono in silenzio, girando intorno alla fontana zampillante in giardino.

Oltrepassarono i pochi invitati che, come loro, si erano spostati all’aperto e continuarono a camminare.

“Ti piace stare in Francia?”

Indagò Pierre per rompere il silenzio. Susie restava diffidente ma si sforzava di essere amichevole.

“Mi ci sto abituando!”

Lasciò cadere quel tentativo di intavolare un discorso.

“Hai trovato qualche buona amicizia?”

“Sto molto tempo con i bambini, poi ho i corsi di francese e le domeniche vengo allo stadio! Non resta molto tempo per me stessa!”

“Allora…non ti vedi con nessuno?”

Fu sorpresa da tanta invadenza. Intanto avevano quasi raggiunto il garage in cui, al loro primo incontro, lei aveva riparato l’auto di Pierre.

“Qualche volta esco con Tom Becker! Siamo connazionali, oltre che vecchi conoscenti!”

“Capisco! Credo però che non hai ancora provato un bacio alla francese!”

Sentì la testa girare e il volto prendere fuoco: forse non solo per colpa del liquore.

La mano di Pierre tracciò una linea sul suo collo e poi scomparve dentro la scollatura. Con l’altra cercava di sollevarle la gonna.

“Ma cosa stai facendo?”

Sussurrò terrorizzata da quanto stava succedendo.

“Ho sentito mia sorella parlare con tua zia: dice che sei una cattiva ragazza!”

Essendo più forte era riuscito ad immobilizzarla contro la parete in cemento, le carezze si facevano più insistenti e aveva preso a mordicchiarle il lobo dell’orecchio.

“Ho saputo che ti piace strusciarti attorno a diversi letti! Non vuoi anche un’amante francese nella tua collezione?”

Susie iniziò a tremare, implorandolo di lasciarla andare. Pierre però era interessato esclusivamente a soddisfare la sua libido.

Cercava di vincere le resistenze della ragazza che lottava con tutte le sue forze per liberarsi.

Poi riuscì a graffiarlo, vicino all’occhio sinistro.

La stella del Paris Saint Germain fu colta di sorpresa: costretto a lasciare la sua preda e curarsi del sangue che colava caldo sulla guancia.

“Te la sei cercata gattina selvaggia! Non avvicinarti più ai Le Blanc se non vuoi che racconti a tutti come sono andate realmente le cose!”

La minacciò, convincendola che la verità di Pierre le sarebbe costata la condanna della zia Mina.

Prese a correre per allontanarsi da quel posto, inseguita dagli epiteti ingiuriosi con cui l’amante respinto l’apostrofava.

Corse sui boulevard parigini, illuminati dai festoni natalizi, piena di vergogna e di umiliazione.

Finché era stata lei a condurre i giochi con i precedenti partner si era data senza scrupoli, ignorando i pregiudizi e non rendendosi perfettamente conto della cattiva strada su cui stava trascinando la sua vita.

Ora che quei pregiudizi erano tornati prepotenti, che qualcuno aveva cercato di prenderla con la violenza, di forzare la sua volontà si rendeva conto di quanta sofferenza si fosse procurata in passato.

Correva e piangeva: solo l’orgoglio che nessuno poteva rubarle le impediva di abbandonarsi alla disperazione.

Si fermò di tanto in tanto per riprendere fiato e vagò senza meta per diverse ore, da sola nel cuore della notte.

Poi giunse innanzi ad una palazzina, nel centro della capitale e suonò al campanello.

Polka: ballo di origini francesi, veloce e a coppia. Per dare un’idea: lo ballarono Di Caprio e la Winslet nella festa in terza classe sul “Titanic”

Cointreau: liquore francese dal profumo di arance , usato come aperitivo e in diversi cocktail.

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Capitolo 19
*** "Conosciamoci un pò" ***


“Conosciamoci un po’”

Non riuscendo a prendere sonno, Tom pensò di ultimare i bagagli che lo avrebbero accompagnato nel suo ritorno in Giappone.

Decise di portare l’indispensabile e di non farsi bloccare per molto tempo sul suolo nipponico: la ligue 1 che concedeva solo pochi turni di stop era un’ottima scusa per non sostare a lungo a casa della mamma.

Il viaggio a Sendai lo impensieriva: aveva passato gli ultimi giorni a formulare le frasi da dire a sua madre e ad immaginare le reazioni che avrebbe avuto innanzi alla nuova famiglia della donna.

Aveva paura di accorgersi di essere diventato un estraneo per Yumiko, di rendersi conto delle attenzioni e delle carezze che gli erano mancate durante quegli anni ed essere geloso di sua sorella.

Quella sorella che non conosceva più e per la quale stava sacrificando le sue sicurezze accettando di insediarsi nella nuova vita della mamma.

Continuò ad infilare alla rinfusa il vestiario nella borsa, senza prestare particolare attenzione a ciò che riponeva dentro. La casa era silenziosa e vuota senza Ichiro, impegnato ad organizzare un’esposizione delle sue tele in provincia, perciò Tom si sentiva tremendamente solo.

Passò una mano sugli occhi e sbadigliò; un improvviso scampanellare lo fece sussultare: l’ora tarda lo fece desistere dall’andare subito ad aprire la porta. Si avvicinò cauto alla finestra che dava sulla via, per non destare sospetti che si trovasse nell’appartamento, e scostò le tendine per riconoscere la persona che stava sul pianerottolo.

Al buio fece un po’ di fatica ad accertarsi di chi fosse, poi quando fu quasi sicuro si precipitò all’ingresso.

Susie era sconvolta: le lacrime le avevano sciolto il trucco ed ora era una maschera di disperazione. Il buon Tom restò interdetto innanzi all’apparizione grottesca che era piombata in casa sua.

“Perdonami…non sapevo dove andare!”

Disse soltanto la ragazza, sentendosi finalmente al sicuro: Tom e il signor Becker le avevano dato l’idea di quel calore familiare che non aveva mai conosciuto.

“Ma cosa ti è successo?”

Chiese preoccupato Tom, avvicinandola ma timoroso di sfiorarla.

“Non mi va di parlarne…ora!”

Asciugò gli occhi, iniziando a calmarsi: se Tom era al suo fianco i pregiudizi non potevano sopraffarla e l’umiliazione si affievoliva.

“Forse non sarei dovuta venire qui! Rovinerò anche te e tuo padre…io rovino sempre tutto!”

Si pentì Susie, facendo per raggiugere nuovamente l’ingresso. A Tom parve di udire l’eco delle parole di quel giorno lontano in cui erano stati assieme, mentre lei scattava fotografie.

“No aspetta! Non andrai da nessuna parte stanotte: resta qui! Mio padre è fuori e io non sarò inopportuno con te!”

- L’antitesi di Pierre!

Le venne da pensare.

^^^^^

Restarono in silenzio, rispettando gli spazi l’uno dell’altra seduti sul divano a debita distanza.

“Ti dispiace se accendo la TV?”

Susie scosse la testa, sperando che un po’ di rumore riuscisse a spezzare quel silenzio teso e a sciogliere l’imbarazzo.

Guardavano le immagini di un vecchio film scorrere sullo schermo senza capirvi molto: Susie a causa della lingua con la quale aveva ancora poca dimestichezza, Tom perché preso da mille altri pensieri.

“Ti va uno spuntino?”

Chiese dopo un po’ Becker. Non aveva molta fame ma per fargli capire di essergli grata per la discrezione e l’ospitalità con cui l’aveva accolta fece di nuovo un cenno di assenso.

Il padrone di casa sparì in cucina e Susie iniziava ad abbandonare i ricordi spiacevoli legati alla festa dei Le Blanc.

“Non sono molto bravo in cucina! Ci ho messo un bel…po’!”

Tom sussurrò l’ultima parola per non disturbare il sonno in cui era scivolata la ragazza; posò il piatto con i toast sul tavolo e si sedette vicino a lei, cercando di prendere un plaid con cui coprirla. Al contatto con qualcosa di caldo e di morbido, Susie abbandonò la posizione scomoda che aveva assunto, scivolando contro la spalla di Tom: sorrise soddisfatta e non si lasciò turbare per tutta la notte.

Per non svegliarla in quella posizione equivoca, Tom le accarezzò i capelli e si addormentò accanto a lei. ^^^^^ La mattina parigina era fredda ma soleggiata. Susie socchiuse gli occhi senza ancora focalizzare, nello stato di dormiveglia, l’ambiente circostante. Portò una mano sul collo indolenzito, per massaggiarlo e urtò contro qualcuno. “Buongiorno!”

La salutò Tom, destato da quella manata. La giovane Spencer balzò subito a sedere.

“Abbiamo dormito…insieme?”

Ebbe paura nel trovare conferma di aver rovinato anche l’amicizia con Tom.

“Insieme? Vicini…come amici! Sai si dorme scomodi sul divano e quando ho cercato di sistemarti in un’altra posizione hai trovato comoda la mia spalla!”

Susie sorrise, decisa ad abbattere coraggiosamente le barriere di diffidenza che la separavano ancora da quel compagno di scuola con cui, ai tempi delle superiori a Nagatsu, non era mai nata nessuna alchimia,

“Sai è la prima volta che mi sveglio vicino ad un uomo…senza che sia successo niente!”

Il calciatore fu sorpreso da tanta franchezza nell’esporre questioni segrete che, spesso, restano riservate.

“Cosa vuoi dire?”

“Voglio dire che abbiamo passato molto tempo insieme negli ultimi mesi ma non abbiamo mai parlato di noi! Conosciamoci un po’!”

Propose Susie.

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Capitolo 20
*** L'ombra dei ieri felici ***


“L’ombra dei ieri felici”

Fuori dall’ateneo si respirava l’ansia degli studenti che ancora dovevano sostenere l’esame e si coglieva il sollievo di chi aveva già superato quell’ardua prova.

Amy fece sparire i foglietti con gli appunti all’interno della borsa che teneva a tracolla, tenendo ancora in mano il libretto universitario per contemplare il suo primo voto.

Sorrise soddisfatta: aveva la gola secca ma non le importava di aver dovuto faticare sodo per raggiungere quel primo, importante, traguardo tutto suo.

La tensione del primo esame restava un ricordo e i mesi passati sui libri erano stati ricompensati; si sentì leggera.

“Allora, come è andata?”

Naomi, che era rimasta fuori a ripete in attesa che arrivasse il suo turno, le si avvicinò spaginando il libro.

“Ventotto!”

Esultò la coinquilina, captando i discorsi di altri studenti, vicini a loro che si lamentavano invece per la loro prova: all’improvvisò capì di non voler restare lì.

Voleva correre alla stazione per prendere il primo treno.

Voleva tornare presto a Tokyo, a casa sua.

Nel giorno in cui si affacciava al futuro si allungavano le ombre del passato: le ombre dei ieri felici che restavano la sua sicurezza.

“Complimenti!”

L’abbracciò Naomi, invidiandola un po’.

“Scusa, ma ora devo scappare! Ci vediamo dopo le vacanze!”

La congedò frettolosamente Amy: dopo quei mesi difficili di solitudine e cambiamenti desiderava soltanto ritornare a casa.

Affrettò il passo per arrivare presto alla stazione di Shin-Osaka, programmando già il giorno successivo: avrebbe aiutato la mamma nel salone, avrebbe dedicato un po’ di tempo a sé stessa e poi, certamente, avrebbe rivisto Malaika.

Dal giorno della partita aveva ridotto nuovamente i contatti con la sua migliore amica, tutta presa dalla sessione di esami ormai alle porte.

Cercò di non inserire anche Julian nei suoi progetti imminenti, ma la voglia di rivederlo si affacciava prepotente nella mente facendola interrogare sul modo più giusto di comportarsi con lui, semmai si fossero incontrati.

D’un tratto capì che, riprendere le vecchie abitudini non le avrebbe ridato la sua vecchia vita.

Non sarebbe più tornata al Liceo di Tokyo o a bordocampo a strofinare palloni e conoscere i primi sospiri d’amore.

Non ci sarebbero state più gite fuoriporta con Malaika , follie e complicità da condividere.

Tutto era cambiato, lei era più matura e si era allontanata dalle cose belle e dalle persone più importanti della sua vita.

Si intristì perché crescere aveva significato voltare una pagina importante della sua vita, conoscere meglio sé stessa e non sapere dove trovarsi e chi essere quando si era ritrovata a riflettere nel cuore della notte.

Crescere l’aveva estirpata dalle sue radici e l’aveva posta nell’incognita del mondo: aveva dovuto imparare a cavarsela senza il sostegno dei genitori e senza la fiducia dei suoi pochi amici. Aveva imparato presto ad asciugare le lacrime e a puntare con ambizione all’avvenire.

Sostò innanzi ad una vetrina che esponeva bigiotteria, attratta da un braccialetto formato da palline di quarzo rosa: l’esposizione gli ricordava il passatempo preferito, suo e di Malaika, quando marinavano la scuola e si ritrovavano, improbabili modelle, a ridere come pazze nei camerini dei negozi nella Capitale.

Un groppo in gola accolse quelle ombre dei ieri felici che si allungavano ancora sulla giornata.

Decise di comprare il braccialetto per regalarlo a Malaika, quindi, dopo aver dato un’occhiata agli orari ferroviari, affrettò il passo per non perdere la corsa verso Tokyo.

*******

Arrivata a Marunouchi era già buio, così la sera l’aveva passata con i genitori, festeggiando con loro il bel voto con cui aveva intrapreso la carriera universitaria.

La mattina era accompagnata da un pallido sole.

Amy si stiracchiò e poi si accucciò nuovamente sotto le coperte: la stanchezza delle levatacce mattutine degli ultimi giorni iniziava a farsi sentire ora che finalmente poteva rilassarsi.

Kezia aveva lasciato che la figlia dormisse qualche ora in più e, senza disturbarla, era già uscita di casa.

Amy sbadigliò decidendo di alzarsi: aveva fame e voleva concedersi il tempo di una buona colazione.

Scese in cucina e riempì la ciotolina di Shiro con le sue crocchette, lo accarezzò e il gatto inizio a fare le fusa.

Quindi lasciò che l’animale sgranocchiasse il suo cibo e prese il tazzone, dove era solita prepararsi il latte prima di andare a scuola fin da bambina, e lo colmò di corner flakes.

Accese la TV, notando che replicava un vecchio telefilm, quindi sedette sulla poltrona dove il padre era solito trascorrere le serate, quando il lavoro non lo costringeva a pernottare fuori.

Lì, sul tavolino vicino a lei era stato lasciato una copia del Tokyo Shinbun, fresca di stampa.

Spinta dalla curiosità, l’afferrò per spulciare qualche inserto interessante.

Giunta all’indice che rimandava allo sport, lesse due volte prima di iniziare a spaginare freneticamente i fogli, facendosi sopraffare dall’inquietudine.

Prima che potesse giungere all’articolo che le interessava, fu distratta dalla porta d’ingresso che si riapriva.

“Mamma non dovresti essere a lavoro?”

Cercò di celare i suoi tormenti, chiedendosi perché la mamma fosse rincasata così presto.

Kezia le stava di fronte, incapace di parlare, temporeggiando per non voler rivelare alla figlia una verità che le avrebbe spezzato il cuore.

Si avvicinò alla poltrona e mise le sue mani sul braccio della ragazza.

“Amy è successa una cosa!”

“Si tratta di Julian? Stavo per leggere…”

La donna scosse il capo, asciugando una lacrima.

“No! Si tratta di Malaika!”

Amy si ritrasse ed urtò il tazzone che si infranse sul pavimento.

****

*Tokyo Shinbun: quotidiano giapponese.

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Capitolo 21
*** "Tienimi con te" ***


“Tienimi con te”

“Cosa è successo a Malaika?”

Trovò il coraggio di informarsi Amy, temendo la risposta. Se ne restava rannicchiata sul divano sperando che la mamma la tranquillizzasse e la proteggesse dal mondo, come aveva sempre fatto.

Ma quella mattina Kezia era chiamata a mettere la figlia innanzi alla prova più dura.

“C’è stato un incidente stradale! Malaika è…”

Non riuscì a continuare, passandosi una mano sul volto arrossato.

“No, non dirlo! Non è vero! Non può essere vero!”

L’aggredì Amy, tappandosi le orecchie per non scoprire la più drammatica delle verità. Kezia le si avvicinò e le prese dolcemente le mani tra le sue.

“Forse non è lei! Devi aver capito male!”

Cercò di tenere acceso un barlume di speranza, di trincerarsi dietro un muro di illusioni che le certezze della mamma sgretolarono.

“Bambina mia devi farti forza!”

Amy si ritrasse, non volendo essere consolata, si alzò in piedi e quasi si tagliò un piede. Dimentica del tazzone che aveva rotto, quasi camminò sui cocci.

Corse in camera sua per vestirsi e per convincersi che avrebbe iniziato una normale giornata. Solo innanzi alle ante spalancate dell’armadio capì che qualsiasi cosa avrebbe indossato quel giorno, l’avrebbe odiata per sempre.

Afferrò il cellulare pensando di fare uno squillo a quello di Malaika: certamente l’amica avrebbe risposto e tutto sarebbe tornato a scorrere al ritmo di sempre.

Ma non lo fece.

Non voleva andare dalla mamma nel salone e neppure uscire per strada: in ogni sguardo che avrebbe incrociato avrebbe riconosciuto un presagio di morte.

Non voleva pensare a quello, non poteva e non voleva credere che Malaika se ne fosse andata per sempre, all’improvviso, senza salutarla, senza vivere la sua vita.

Si chiuse in bagno, guardandosi inquieta attorno: doveva trovare qualcosa che la impegnasse per evitare al dolore di sopraffarla.

Scorse la cesta del bucato piena di indumenti sporchi: anziché azionare la lavatrice li buttò nella vasca e li cosparse di sapone.

Li immerse nell’acqua con le mani guidate dalla rabbia, li risciacquò per due volte cercando di concentrarsi soltanto sul getto dell’acqua dal rubinetto; era un modo per restare ancorata alle sue certezze, a quei ieri felici che quella mattina erano stati spazzati via per sempre.

//////

“Amy, tesoro esci di lì! Vieni a mangiare qualcosa!”

Kezia bussava insistentemente alla porta, facendole rendere conto di essere rimasta nel suo mondo in sospeso per diverse ore.

Come un automa sedette a tavola, senza toccare cibo e senza lasciarsi avvicinare dalla mamma.

Avrebbe potuto chiederle come era successo, perché proprio Malaika, perché la vita era così ingiusta.

Ma non chiese nulla e non versò neppure una lacrima.

Pensava ad una vita cancellata per sempre. Ad un futuro negato. Ad un’amicizia restata in sospeso. Ma non riusciva a realizzare che tutto questo lo stava vivendo in prima persona.

Le ore successive scivolarono via lente, inghiottite da lacrime represse e singhiozzi spezzati: il sole accarezzava timidamente chi ancora viveva ma quel tepore infastidiva Amy.

Vinta dalla stanchezza e dal continuo negare di quella giornata, si buttò sul letto e si addormentò.

“Così Sensei te ne vai ad Osaka eh?”

“Lo sai che è solo un arrivederci temporaneo!”

“ Noi siamo al di sopra di tutto Amy: anche se le nostre strade dovessero dividersi, la nostra unione non si spezzerà mai!”

“Basta che non passi una vita prima che ci rincontriamo!”

Reminiscenze delle ultime frasi che si era scambiata con Malaika si fondevano con i suoi incubi impedendole di dormire.

Balzò sul letto, l’animo svuotato e la solitudine a martoriarla e a costringerla a guardare in faccia il suo dolore.

I Pierrot sugli scaffali la guardavano con l’aria più triste del solito e l’attiravano nel loro mondo di disillusioni, facendola tremare.

Non voleva restare da sola con i clown quella notte.

Non voleva rifugiarsi tra le braccia della mamma per farsi consolare da frasi scontate.

Non voleva farsi una ragione di quanto accaduto ed accettare che la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

Doveva riappropriarsi della sua vita.

Si rivestì ed usci in punta di piedi, con le scarpe in mano: solo quando fu sicura che nessuno l’avrebbe notata, le infilò.

Iniziò a girovagare nella capitale addormentata. Poteva essere pericoloso andarsene in giro, da sola, a quell’ora ma non le importava.

Non le interessava di vivere o di morire.

Non le importava se quella sera c’erano le stelle o lo smog intrappolava il paesaggio nelle sue nebbie.

Tutto scorreva uguale ed immutabile e le sembrava ingiusto che il mondo non si fermasse a condividere il suo dolore.

Camminò per diversi isolati senza una meta precisa; poi trovandosi all’ingresso del Liceo ebbe l’impulso di correre via.

Un rumore proveniente dal campetto dove si allenava la Mambo la trattenne. Barcollando, raggiunse il punto del campo dove era proiettata l’ombra di qualcuno.

//////////

Con le spalle contro la rete di protezione, Julian, seduto sul rettangolo verde, strappava ciuffi di erba e li sgretolava tra le mani. Si accorse che c’era qualcuno ad osservarlo.

“Amy non sapevo fossi tornata!”

Le loro ombre si intrecciarono e proiettarono un unico, grande, spazio buio sul campo.

“Come stai?”

Era la prima persona quel giorno che si preoccupava di chiederglielo. Amy gli si buttò sul petto, distrutta dal dolore che si era tenuta dentro fino ad allora.

“Mi dispiace così tanto per Malaika! Eravate così legate!”

Le bisbigliò dolcemente Julian, accarezzandole la testa e lasciandola piangere, cancellando quei mesi di silenzi.

“Ti prego Julian non dirmi anche tu che la vita va avanti! Che devo farmi forza!”

Lo implorò, vinta dai singhiozzi.

“No Amy! Piangi e soffri come è giusto che sia! Ora è troppo presto per dirti che devi dimenticare!”

La ragazza si staccò da lui per fargli una richiesta.

“Julian…tienimi con te!”

Solo la sua vicinanza di Julian le avrebbe impedito di sprofondare nel baratro, lo sapeva bene. Il ragazzo la allontanò un attimo e si sfilò il giubino per posarlo sulle spalle tremanti di lei, quindi l’attirò nuovamente su di sé, pronto a restare con lei anche tutta la notte.

Un po’ di calore riscaldò Amy, che si strinse ancor di più a Julian e pianse contro il suo petto. In quella gelida notte sentiva i battiti di un cuore per cui tante volte aveva trepidato che pulsavano solo per lei.

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Capitolo 22
*** Un nastrino nero al collo ***


“Un nastrino nero al collo”

Le tele del signor Becker brillavano nella luce del mattino: una in particolare attirò Susie.

Sul foglio era ritratta una giovane donna dal sorriso inquieto e lascivo e dagli occhi velati di una celata malinconia.

Al collo portava un nastrino di raso nero.

Come l’Olympia senza pudore.

Come le ballerine di Degas in bilico tra il successo e i pericoli della vita.

Come le ragazze di Montmartre che si divertivano al Moulin de la Galette, con i loro atteggiamenti disinvolti.

Come Suzon.

Pensò di avere dentro di sé qualcosa che la accomunava a tutte loro, donne lontane nel tempo o partorite dalla fantasia di un’artista: lo stesso sguardo impudico di chi conosce le durezze della vita; occhi sprezzanti consapevoli di un disagio che non sanno comprendere.

“Sai che mia nonna è una strega?”

Se ne uscì all’improvviso, dopo aver deciso di essere sincera con Tom, anche se questo avrebbe potuto attirarle il suo disprezzo.

“Non credo alle streghe! Penso ci siano persone dotate di una particolare sensibilità verso fenomeni misteriosi…Tu pensi di somigliare a tua nonna?”

Tom espose tranquillamente la sua teoria strappandole un sorriso indecifrabile: probabilmente credeva di essere stata fraintesa.

“A Nankatsu dicono che nelle mie vene scorre il sangue indemoniato di mia nonna! Forse hanno ragione!”

“Cosa vuoi dire?”

Indagò confuso il calciatore. Susie lo guardò fisso negli occhi accorgendosi di provare per lui qualcosa di indescrivibile.

“Sono una ragazza di facili costumi!”

Continuò fiera a sostenerne lo sguardo per scorgervi una qualsiasi reazione: odio, disprezzo, biasimo, era sicura di non suscitare in Tom sentimenti diversi.

Il ragazzo vide scorrere l’immagine dell’Olympia, dedita all’amore lascivo, e poi quella di Suzon con i suoi occhi mesti che non sanno cosa cercare e dove andare.

Poi pensò ad un ama giapponese che riemerge dalle acque gelide dell’oceano con la pesca delle sue conchiglie. Ostriche custodi di perle.

Coraggiosamente Susie stava abolendo nuovamente gli schemi e i pregiudizi, decidendo di essere sé stessa: come quel giorno, di qualche settimana prima, in cui aveva premuto le tempere dal tubetto, incitata dal Signor Becker.

Tom non voleva giudicare o condannare i suoi errori ma apprezzare la sincerità e il coraggio di spogliarsi innanzi a lui come non aveva mai fatto con nessun altro uomo.

“E per questo che mi hai chiesto se abbiamo dormito insieme?”

Si riprese dalla sorpresa Tom, cercando conferme.

Susie scosse la testa pentita.

“Sapevo che avrei rovinato anche te ma tu sei diverso dagli altri!”

Non era il padre assente, tantomeno l’amante di una notte: per la prima volta sapeva di aver trovato un amico che non l’avrebbe costretta a perdere il rispetto di sé stessa.

“Mi hai aiutata a cambiare Tom! Sei l’unico che è andato oltre le apparenze, che si è sforzato di conoscermi veramente e non ha chiesto niente in cambio!”

“ Vuoi dire che fino ad ora hai avuto storie senza amore?”

“Me le sono cercate sì! Dovevo prevaricare gli uomini, essere capace di di darmi gli altri senza scrupoli e fermarmi quando volevo io, poi quando la mia poco apprezzabile fama mi ha preceduto a Parigi ho capito quanti errori ho lasciato sulla mia strada!”

Tom ascoltava, rabbrividiva, riviveva le sensazioni contrastanti che gli regalava Susie e non giudicava.

“Qualcuno ha cercato di farti del male? Per questo l’altra sera eri così sconvolta?”

Innanzi alle domande incalzanti, che la ponevano difronte ad una nuova, ardua, verità, crollò in lacrime.

“Non ha importanza ormai! Era giusto che sapessi tutto su di me prima che la nostra amicizia diventasse importante!”

Tom la prese per un braccio, costringendola a vincere il suo momento di debolezza.

“Susie è molto importante per me! Tu mi piaci molto…l’ho capito fin da quel giorno in aeroporto!”

Susie, decidendo di spogliarsi dei suoi segreti ed essere onesta mettendolo al corrente di un passato scomodo, gli aveva infuso la follia necessaria per emularla e parlarle schiettamente dei suoi sentimenti.

La piccola donna del mare si portò una mano sulla bocca per la sorpresa, indecisa se muoversi o restare immobile per paura di rompere l’incanto: sicuramente la sua Kodak avrebbe immortalato per l’eternità quel momento.

“Sei così diverso dagli altri uomini che ho conosciuto: non ti meriti una come me!”

“Lascia scegliere me! Dimmi solo cosa vorresti tu?”

Susie deglutì e si alzò dal divano.

“Qualcuno che passeggi con me mano nella mano, che mi regali un fiore di campo ogni tanto, che mi scriva parole carine che mi facciano sentire importante! Forse sogno un amore da adolescente perché non l’ho mai avuto!”

Passo il palmo della mano sulla gota umida. Tom si inginocchiò innanzi a lei, prendendole le mani tra le sue.

“Lascia che provi a conoscerti, capirti ,regalarti qualcosa di nuovo! ”

Restò in silenzio combattuta: non sapeva se essere pronta a trascinare Tom nel suo mondo di ambiguità. Notò i borsoni accantonati in un angolo.

“Sei in partenza?”

Glissò per non concedergli una possibilità pericolosa.

“Torno in Giappone! Mia sorella ha bisogno di me!”

Spiegò lasciandola andare, allontanandosi da lei.

“Non sembri molto entusiasta di tornare!”

“Dovrò rivedere mia madre e la cosa mi inquieta un po’!” Susie ripensò all’alterco nel duty free shop e all’improvviso ricordò qualcosa: si avvicinò alla sua borsa ed estrasse un pacchetto che porse a Tom.

“Questa è tua: ora potrai portarla a tua madre!”

Rigirò tra le mani la litografia: la Berceuse non era rimasta esposta agli occhi di altri turisti, Susie l’aveva comprata e ora gliela cedeva perché giungesse alla giusta destinataria.

Riferimento alle opere impressioniste: “Olympia” e “Il bar delle follie- Bergére” di Manet , all’opera “Ballo al Moulin De la Galette” di Renoir e “Lezioni di Ballo” di Degas.

Ringrazio quanti continuano a recensire o a leggere la storia, a coloro che l’hanno inserita tra le seguite o le preferite: grazie di essere arrivati fin qui, dedicando alla storia un po’ del vostro tempo e della vostra curiosità.

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Capitolo 23
*** Fiorirà l'aspidistra ***


“Fiorirà l’aspidistra”

Julian studiò gli interni dell’appartamento che sarebbe diventato la sua nuova casa e calcò per due volte il perimetro dell’ampio stanzone che fungeva da soggiorno: misurava a passo d’uomo i centimetri che avrebbero legittimato la sua indipendenza.

Sedette sul pavimento conto le mattonelle fredde e sorrise beffardo: quella era la prima, vera, decisione che era dipesa esclusivamente da lui.

Niente veti dei medici.

Niente costrizioni del nonno.

Una nuvola oscurò il pallido sole di dicembre disegnando un espressione infelice anche sul giovane volto di Julian. Sapeva che quella era la sua occasione di libertà ma non si era mai sentito soggiogato da catene invisibili, legato al ceppo dei desideri degli altri, come in quel momento.

Si sforzò di scacciare la rabbia per l’ultimo ricatto con cui il nonno aveva deciso di tenerlo sotto tiro ottenendo però l’effetto opposto: la collera aumentò.

Pensò a Malaika così giovane, briosa e sempre sorridente e i pensieri di morte tornarono prepotenti.

Per anni aveva corso quell’incosciente quanto pericoloso rischio senza fermarsi a pensare che la fine avrebbe potuto avere la meglio sulle sue ambizioni. Era andato contro tutto e tutti pur di far prevalere la vita: contro i pareri medici, contro le obiezioni della famiglia, finanche contro se stesso. In fondo quando si è bambini si è attratti dal proibito e se ne ignorano i rischi.

Non poteva permettere che Goro, con la sua arroganza, distruggesse il suo futuro rendendo vane tutte le sue lotte.

Focalizzò l’attenzione sull’arredamento e tornò alle estati trascorse in quella casa: i fusuma decorati da foglie autunnali che affacciavano sul giardino, la coppia di vasi giapponesi dipinti a mano e il kakemono al muro con gli ideogrammi dei nomi dei nonni materni.

Gli vennero in mente la J e la A impresse per sempre sul tiglio e invidiò i nonni, sorretti sempre dal loro forte sentimento tanto che, quando uno dei due era venuto a mancare l’altra lo aveva seguito dopo pochi anni.

La perdita di due guide così importanti lo aveva disorientato e smarrito e ora lì nella loro casa silenziosa, morta con loro, si sentiva ancora più solo.

I genitori di Himeko erano così diversi da Goro che Julian si chiese come sua madre avesse potuto permettere all’austero suocero di prevaricarlo.

Notò che sul davanzale sopravviveva una pianta di aspidistra che lenì la sua solitudine.

Ebbe l’impulso di imitare Gordon Comstock che maltratta e trascura la sua aspidistra per farla morire, per ribellarsi al denaro e alla borghesia. *

Lui aveva ereditato da poco la sua aspidistra ma non credeva fosse giusto lasciare morire lei per ripicca contro Goro.

Il suono del campanello lo strappò dalle sue congetture.

***********

Riconosciuto l’ospite dallo spioncino della porta, restò in bilico qualche secondo incerto se aprire o restare fermo al posto di prima.

“Immaginavo che saresti venuto qui!”

Con la sua sobria eleganza, Himeko era un’immagine diafana capace di ridare vita a quel posto.

“Cosa sei venuta a fare?”

Pose subito le distanze suo figlio.

“Questa è la casa in cui sono cresciuta!”

Himeko si aggirava nello spazio pieno di ricordi, trafitta da un dolore che si sforzava di non lasciar trasparire, soffocata dall’eco del passato di una famiglia che non c’era più.

“Ho saputo che hai rifiutato il voto del tuo primo esame!”

Non c’era tono di rimprovero nella sua voce.

Julian ne studiò l’atteggiamento per indovinare le intenzioni di quella visita scontata.

“Non lo meritavo quel voto: la mia interrogazione era insufficiente e non da trenta!”

Non c’era rammarico per aver privilegiato l’onestà alle raccomandazioni con cui, ne era certo, Goro aveva cercato di spianargli la carriera universitaria.

Julian aveva affrontato sfide ben più difficili senza perdere la sua dignità e non avrebbe certo venduto la sua integrità morale perché i capricci del nonno venissero soddisfatti.

Quando il professore gli aveva comunicato quel voto bugiardo i mormorii degli altri studenti, sicuramente più volenterosi di lui, lo avevano riportato ad una sera di molti anni prima fuori dagli spogliatoi della Mambo: ma se allora si era rifiutato di placare le voci maligne dei compagni che lo calunniavano con menzogne gratuite, quella mattina nell’ateneo di Tokyo non aveva permesso di essere tacciato come il rampollo privilegiato della famiglia Ross.

Himeko non replicò, tenendo dentro di sé i suoi pensieri continuava a perdersi in una vita che non le apparteneva da molto tempo: forse pensava ai genitori, ai giorni felici dell’infanzia, alla sua vita prima del matrimonio con Gregory Ross.

Sorpassò Julian, insospettito che la mamma non desse peso alle sue parole, e sfiorò le foglie verdi e lucide dell’aspidistra, increspando le labbra in un sorriso malinconico.

“Sai che questa pianta può vivere anche cento anni, Julian?”

Lui non lo sapeva: non si era mai interessato molto di botanica, gli piaceva il tiglio perché era suo e di Amy e le conoscenze della mamma non erano ancora riuscite a decifrare il suggello con cui se ne erano appropriati, ma le altre piante erano di Himeko.

“Alcuni credono che non fiorisca mai, invece i fiori ci sono, a contatto con la terra e nascosti dal fogliame!”

L’aspidistra riusciva solo a farlo pensare al ribelle Gordon e alla sua aspra battaglia dalla quale, infine, era uscito sconfitto.

“ Io non ti ho mai capito Julian ma una cosa di te, in tutto questi anni, l’ho imparata: anche tu hai tante capacità che hai nascosto, non sempre per tua volontà! Ma l’aspidistra fiorirà e anche tu sboccerai in questo mondo!”

Julian aveva sempre ammirato segretamente la mamma: la sua classe, l’eleganza, la cultura e la poesia che emergeva dai suoi paragoni. Non gli perdonava le interferenze nella sua vita ma, in fondo, lui gli aveva dato molti motivi di preoccupazione in passato.

“Me ne sono andato di casa per cercare la mia strada! Non sopportavo più l’idea che tu abbia permesso a nonno Goro di rovinarmi la vita!”

“ Una mamma agisce sempre nel modo che crede migliore per aiutare i propri figli! A volte sbagliamo credendo di essere nel giusto ma ce ne accorgiamo troppo tardi!”

Himeko recuperò le sue cose per lasciare solo Julian, accettando la sua decisione di porre le distanze con lei.

“Non avercela con me se ho chiesto a tuo nonno di guidarti verso il futuro: non immaginavo avesse simili piani per te!”

Sibilò lasciandolo pieno di dubbi, sfiorandolo con una carezza: metteva sempre un certo timore nei gesti d’affetto verso suo figlio, quasi avesse paura che sfiorandolo avesse potuto infrangerne la perfezione che vedeva in lui.

Rimasto solo, Julian si riconcentrò sull’aspidistra osservandone ogni millimetro, quasi i suoi occhi fossero un microscopio, per indovinare se i fiori c’erano.

Fu un nuovo scampanellare a costringerlo ad allontanarsi dalla pianta. Aprì la porta e si trovò innanzi i coniugi Aoba.

********** • Il titolo del capitolo così come il personaggio di Gordon Comstock appartengono ad un celebre romanzo di George Orwell: il protagonista, per ribellarsi al mondo comandato dal denaro, mette in atto una sorta di declassamento volontario e maltratta la sua aspidistra, fiore nazionale inglese. Alla fine è costretto ad assumersi le sue responsabilità e ad entrare a far parte della vita borghese. Rivaluterà anche la sua aspidistra.

• Fusuma: nell’architettura giapponese sono pannelli di legno o di carta decorati, usati come porte scorrevoli.

• Kakemono: dipinto o calligrafia giapponese su seta, cotone o carta destinata ad essere appesa.

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Capitolo 24
*** "Ci sono tante cose in un silenzio" ***


“Ci sono tante cose in un silenzio”

Le zelkova gli diedero il benvenuto a Sendai con le loro foglie dentellate e i fiori verdi, insignificanti.

Non aveva piacevoli ricordi legati a quel posto ma alla fine era capitolato, facendo ritorno nella città degli alberi.

Prima di pagare la corsa si accertò che la Berceuse fosse al suo posto: ormai aveva eretto quella litografia ad icona rappresentativa delle donne più importanti della sua vita, Susie e sua madre.

Durante tutto il volo non aveva fatto altro che pensare a loro.

Scampanellò sul pulsante di una graziosa abitazione sperando inconsciamente che nessuno venisse ad aprirlo.

Invece Yumiko si scoprì al figlio nella sua sobria eleganza, curata come sempre, senza riuscire a scacciare quel disagio che la lontananza aveva frapposto tra lei e Tom: si era trasformata in una moderna Andromaca assurgendo la sua rinuncia a simbolo della maternità violata.

Si era comportata come gli uccelli che, dopo la lunga covata, beccano il guscio per permettere alla loro nidiata di uscire dall’uovo per conoscere il mondo: anche lei aveva dato questa possibilità a Tom.

“Grazie per essere venuto! Hai fatto buon viaggio?”

Lo accolse con due freddi baci sulle guance, sospingendolo nell’appartamento.

“L’ho fatto per Yoshiko! Lei non è in casa?”

“No, è a scuola!”

Yumiko guidò il figlio nelle varie stanze, un po’ risentita per quella precisazione che, di fatto, la escludeva dalla decisione di Tom.

“Hai detto che sta male! Cosa le è successo?”

“Vieni ti preparo un tè così ne parliamo con calma!”

Ascoltava la mamma con attenzione e intanto rimestava il liquido ambrato benché le zollette di zucchero fossero ormai sciolte.

Dopo che Yumiko lo informò esaustivamente delle condizioni della sorella calò il silenzio: la donna avrebbe voluto chiedere a Tom tante cose sulla sua vita, sui suoi sentimenti, ma sentendosi ormai un’estranea per lui tentennò nel prendere l’iniziativa. Il giovane Becker, dal canto suo, non si sforzava di dissipare i timori della genitrice.

“Sai ci sono tante cose in un silenzio!”

Osservò all’improvviso la donna riponendo le tazze nel lavello.

“Ad esempio?”

Fu colpito da quelle parole Tom.

Yumiko lo fissò intensamente.

“Il volto delle persone che hai perso! “

Spiazzato dal coraggio con cui la madre palesava i suoi sentimenti, Tom capì che quello era il momento giusto per darglielo.

“Ti ho portato un regalo!”

Proferì infatti avvicinandosi alle sue borse per poi porgerle una carta colorata che presto venne stropicciata: Madame Roulin si presentò con la mano sulla culla, nel dondolio impresso per sempre sulla tela.

Come critica d’arte sapeva leggere i dipinti e capì subito cosa Tom le volesse comunicare con quella riproduzione.

“L’ho comprato la volta scorsa che sono stato in Giappone! Mi ha fatto pensare a te…a come eravamo un tempo! A quando mi cantavi le ninna nanne per farmi addormentare!”

Sibilò l’ultimo ricordo, imbarazzandosene un po’.

Yumiko osservò con attenzione prima il quadro, poi il figlio e intanto le lacrime iniziavano a pizzicarle gli occhi: era rimpianto e nostalgia per la ragazza piena di sogni che era stata.

“Lavander’s blue, dilly dilly, lavander’s green…”

“When I am King, dilly, dilly, you shall be queen!”

Le andò dietro Tom riemergendo dai ricordi dell’infanzia, mettendo a fuoco le parole sfumate delle nenie con cui la mamma lo addormentava e che cantavano insieme nei parchi delle diverse città in cui avevano vissuto, per brevi periodi, come famiglia felice.

Yumiko gli aveva dato l’input per tornare indietro nel tempo, per ricordare quando lei gli chiedeva un soldino per i suoi pensieri e si professava debitrice del suo amore.

“La ricordi ancora? A Yoshiko non è mai piaciuta: ho provato a cantargliela qualche volta ma lei continuava a strillare insoddisfatta! Tu invece eri così allegro quando la cantavamo assieme!”

Rivelò la donna con dolce tristezza perché la filastrocca che aveva imparato durante i suoi studi in Inghilterra sembrava aprire nuovamente un varco nel cuore del figlio.

“Forse Yoshiko aveva capito che quella non poteva essere la vostra canzone perché tu l’avevi già divisa prima con qualcun altro! Vorrei parlare da solo con lei quando ritorna!”

Spezzò l’incanto del passato Tom lasciando tuttavia in Yumiko la speranza di un’altra possibilità per essere ancora mamma per lui.

Guardò ancora la Berceuse e si ritrovò a far mente locale sulle mamme di tutte le epoche, immortalate per sempre: mamme collocate all’interno di chiese o sedute su un prato erboso. Mamme dai tratti marcati o dai lineamenti dolci e sottili. Con gli occhi chiusi o ben aperti a sorvegliare il piccolo tra le loro braccia e si riscoprì di nuovo mamma anche lei.

//////////////

Dopo il pranzo, consumato tutti insieme, dove il marito di Yumiko e il figliastro si erano sforzati di costruire un clima amichevole, Yoshiko chiese il permesso di alzarsi da tavola per andare a finire i suoi compiti: sembrava che la presenza del fratello la infastidisse.

Tom si scambiò un cenno di intesa con la mamma e seguì la bambina.

Se ne stava ricurva sulla sua scrivania a spaginare un libro di storia e ad estrarne appunti che poi ricopiava sul quaderno: il fratello bussò e senza aspettare una risposta fece un passo avanti nella cameretta di Yoshiko.

“Lo so che non avevi voglia di tornare in Giappone e che sei stato costretto dalla mamma!”

Gli rivolse la parola, senza distrarsi dai suoi compiti.

“Chi ti mette in testa queste idee?”

“Ci sono arrivata da sola: non sono una stupida! Non vieni mai a trovarci, non ci telefoni mai…probabilmente non ci vuoi bene!”

Tom si accorse di quanto poco conoscesse Yoshiko: era diventata molto intelligente e perspicace. Si avvicinò alla sedia dove stava studiando ed estrasse dal portafoglio una carta per mostrargliela: il disegno che lei gli aveva inviato anni prima.

“Se non mi importasse di te non conserverei i tuoi regali!”

Cercò di convincerla.

“La bambina che lo ha fatto ormai non esiste più! La mamma ti ha detto che forse dovranno operarmi?”

Si esprimeva in modo freddo, senza tremolii nella voce, come se quella situazione riguardasse un’altra persona e non lei.

“Sì! Sono tornato anche per starti vicino! Hai paura?”

Yoshiko voleva continuare ad apparire forte e coraggiosa ma la tensione degli ultimi mesi la portò ad essere sincera.

“Un po’! C’è un dottore che mi ha assicurato che cercherà tutti i modi per farmi guarire!”

Confidò instaurando un dialogo più complice con Tom.

“In realtà non è un vero dottore! Gioca a calcio…proprio come te!”

Alla stella del Paris Saint Germain la descrizione di quello sconosciuto sembrava bizzarra e curiosa.

“Si chiama Julian! Perché la prossima volta che devo andare a controllo non viene con me così te lo presento?”

Yoshiko aveva portato la penna sotto il mento, pensierosa ed euforica al pensiero che Tom potesse conoscere il finto dottore che aveva promesso di guarirla senza ricorrere ad un’operazione.

I pensieri del giovane Becker per un attimo corsero al compagno di nazionale: li scacciò prontamente pensando che potevano esistere molti altri Julian che giocavano a calcio, non necessariamente a livello professionistico.

“Va bene ti accompagnerò!”

Promise a Yoshiko. Cercò di dare un volto al dottore di cui lei aveva parlato tanto entusiasta e si affacciò di nuovo alla mente Julian Ross.

- Assurdo! Scacciò quella folle idea, supportato anche dal fatto che l’ex capitano della Mambo non aveva certo l’età per essere medico e , certamente, neppure l’inclinazione per diventarlo in futuro.

************* *La zelkova è l’olmo giapponese, molto diffuse nella città di Sendai. ** Le strofe della filastrocca sono quelle iniziali di “Lavander’s blue” una canzone popolare inglese.

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Capitolo 25
*** Il vaso di terracotta ***


“Il vaso di terracotta”

I convogli si muovevano veloci sulle linee ferroviarie: c’erano treni che si fermavano per consentire ai passeggeri di scendere e altri che partivano verso la fermata successiva.

Amy si strinse contro i mattoncini che costruivano la facciata esterna aspettando il prossimo treno che l’avrebbe riportata ad Osaka.

Aveva evitato di proposito di sostare nella sala d’aspetto della stazione: quello spazio le ricordava attese ben più penose, inoltre voleva isolarsi e non lasciarsi distrarre dai racconti degli altri.

Una comitiva di ragazzine la sorpassò, quasi fosse invisibile, tutte prese nei loro problemi di adolescenti. Si rincorrevano, si cercavano, si divertivano con piccoli scherzi innocenti tirandosi per gli zaini.

Il loro passaggio lasciò una scia di rabbia e di malinconia.

Nonostante il debole sole di gennaio, Amy estrasse gli occhiali scuri dalla custodia e vi celò lo sguardo assente e infelice, poi sentì dei pizzichi sugli occhi. Era convinta di aver pianto tutte le lacrime che aveva in corpo ma, probabilmente, il vuoto che sentiva dentro ne aveva generato di nuove.

Una donna si mise accanto a lei imitandone l’attesa: aveva un profumo di buono e di crudele allo stesso tempo, di essenza di rose.

Forse erano rose bianche e delicate come quelle lasciate sul banco di scuola di Malaika assieme ai numerosi biglietti d’affetto che lei non avrebbe mai letto.

La sua migliore amica mise a fuoco le istantanee listate a lutto che avevano caratterizzato l’ultima settimana della sua vita: si rivedeva sulla poltroncina del babbo e risentiva la terribile verità che le avrebbe cambiato per sempre la vita; riproiettava la sua figura sul campo buio della Mambo a cercar consolazione tra le braccia di Julian e sentiva ancora la presa forte e decisa della mano di lui che l’aveva sorretta durante la cerimonia funebre.

“Tienimi con te!”

Lo aveva supplicato quella sera e Julian aveva accolto quella richiesta: standole accanto con discrezione e invitandola, invano, a sfogarsi. Amy si era chiusa in un mondo tutto suo, come se la prerogativa del dolore fosse una sua esclusiva e non aveva concesso più a nessuno di esserle da sostegno, neppure a chi aveva invocato di essere il suo aiuto.

Si allontano da quella fragranza che riapriva ferite ancora troppo fresche e si accorse delle ragazzine di prima che schiamazzavano allegre nelle vicinanze dei binari vuoti. Si ritrovò a portare rancore per quella felicità altrui nella stessa maniera in cui, il primo giorno di scuola, si era ritrovata ad invidiare i vecchi compagni all’ingresso del Liceo.

Si arrestò innanzi al vaso di terracotta al cui interno vegetava ancora un cipresso dalle foglie giallo- oro e fu percossa da un brivido: le sembrava un controsenso che quella giara accanto alla quale con Malaika avevano sostato nelle giornate più spensierate custodisse l’albero della morte. Un funesto presagio della fine della loro amicizia.

La giovane Aoba osservò il vaso di terracotta con le sue scanalature e si domandò di quanti andirivieni fosse stato spettatore in tutti gli anni che era stato posto ad abbellire la stazione: si accorse che tutto quel tempo esposto ai raggi dell’estate e all’erosione delle piogge ne aveva sfregiato la perfezione e aveva ricoperto il colore rosso- arancio di chiazze verde muschiate.

L’amicizia con Malaika era stata plasmata innanzi al vaso con il cipresso, modellata come la creta da cui si ottiene la terracotta, e sui suoi bordi avevano atteso i treni per andare a curiosare nei vari sobborghi di Tokyo condividendo il walkman e gli auricolari con cui ascoltare l’ultimo CD comperato alle bancarelle.

Ora si ritrovava da sola nel tempio del suo passato più felice in attesa di fuggire verso quello che era diventato il suo presente.

Aveva deciso di tornare ad Osaka perché a Tokyo tutti i luoghi in cui si svolgeva la sua vita le ricordavano Malaika e aveva paura che, restando da sola, non sarebbe stata in grado di fronteggiare tutta quella disperazione.

Pensò alla proposta dei genitori di andare con loro in Europa e si convinse di aver preso la decisione migliore: voleva allontanare da sé anche la sua famiglia e fu quasi sollevata che i due fossero stati costretti a raggiungere la nonna materna tanto lontano.

Ritornare ad Osaka le era sembrata la cosa più ovvia da fare: il punto d’inizio per trasformarsi in una nuova persona, cinica e libera dal passato.

Riprese il penoso conto alla rovescia in attesa del treno che avrebbe supportato la sua fuga verso un futuro confuso, che appariva come una grossa incognita.

////////////

Julian vagava lungo il terminal ferroviario vicino al Palazzo Imperiale passando in rassegna volti indistinti e sconosciuti, scoraggiato concluse che non sarebbe riuscito a trovare in tempo Amy.

Diede una veloce occhiata al tabellone con gli orari dei treni per Osaka e dei relativi binari per avere un indirizzo nelle sue ricerche.

Aveva fatto una promessa ai signori Aoba e intendeva mantenerla: loro lo avevano ritenuto la persona più adatta a prendersi cura di Amy e lui non l’avrebbe certo lasciata sola ad autodistruggersi in un momento tanto triste della sua vita.

Tante volte si era chiesto che direzione avrebbero preso la sua vita e i suoi sogni senza la costante presenza di Amy e si era convinto che ora era il suo turno di ripagarla di tutte le attenzioni di cui lei lo aveva circondato durante la malattia.

Raggiunse il vaso con il cipresso proprio mentre lo speaker annunciava la partenza del treno per Osaka: Amy stava ricomponendosi per avviarsi verso il veicolo.

“Non andare!”

Riuscì solo ad articolare Julian senza che lei si scomponesse: sembrava quasi che aspettasse quell’improvvisata e non mostrò alcuna sorpresa per la presenza del ragazzo continuando tranquillamente a risistemare le sue cose.

Julian prese tra le sue una mano di Amy e la aiutò a staccarsi dal bordo levigato del vaso di terracotta dove era rimasta per diversi minuti: fu allarmato dal distacco che avvertiva tra Amy e il resto del mondo, quasi che gli sembrò di aver sollevato un pezzo freddo e inanimato.

“Sapevo che non mi avresti lasciato in pace!”

Recriminò fiera la piccola Aoba ritraendo la mano e facendo per avvicinarsi al suo treno. Un improvviso capogiro le fece perdere l’equilibrio e oscurò Julian, il vaso di terracotta e il cipresso, i convogli e la stazione con i suoi mattoncini bruni.

/////

Ringrazio quanti continuano a leggere, seguire e recensire questa ff!

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Capitolo 26
*** Le candele della vita ***


“ Le candele della vita”

Fuori aveva ripreso a piovere: il cielo si era gonfiato di nuvoloni e poi aveva esploso la sua rabbia. Le frasche del ciliegio, spoglie e misere, ondeggiavano fino a quasi piegarsi.

Julian restava incollato al vetro, appannandolo con il calore del suo corpo, lasciandosi rapire dal cielo plumbeo e dalle rigidità di quella giornata d’inverno. C’era stato un tempo in cui le nuvole e la pioggia erano state espressione della sua tristezza, lo scroscio battente dell’acqua si era confuso con le lacrime che un bambino forte non avrebbe dovuto versare e si era sentito libero di sfogare la sua disperazione, proprio come quei nuvoloni neri.

Si perse dietro il penzolare dei rami del ciliegio da una prospettiva nuova: ne aveva sempre osservato i fiori, coperti dal sangue dei samurai, che in aprile ripopolavano gli alberi come tante nuvole profumate sospese in aria, dai reparti del secondo piano.

Convenne con se stesso che lì, dal piano terra, quegli alberi spogli apparivano ancora più grandi e inermi alle forze della natura.

Un gemito, di chi sta per risvegliarsi, lo distolse da quello spettacolo desolante riportandolo vicino al lettino dove riposava Amy.

“Non immaginavo fosse tanto terribile…stare dall’altra parte!”

Trovò la forza di rivelarle.

“Ora lo sai!”

Mise l’ultima parola Amy tirandosi a sedere, arrossendo lievemente: le dava fastidio che Julian avesse accennato a quei giorni che, tacitamente, avevano promesso di dimenticare. L’ospedale aveva sempre messo a nudo le paure di entrambi, li aveva costretti a crescere, a cambiare, a sostenersi; aveva arginato le loro maschere di coraggio costringendoli ad essere sé stessi. Quel posto impauriva Amy, anche ora che Julian avrebbe preteso spiegazioni da lei e non sarebbe potuta ricorrere a facili finzioni.

“Da quant’è che non mangi?”

Chiese il ragazzo porgendole una confezione di Karinto.

La giovane Aoba si strinse nelle spalle evitando di rispondere. Negli ultimi giorni aveva saltato i pasti e si era limitata a spuntini poco salutari giusto per placare il senso di fame : non immaginava che quel mancamento alla stazione potesse dipendere dal disordine in cui era sprofondata la sua vita.

“ Hai avuto un calo di zuccheri! Forse sei anche un po’ anemica!”

Continuò Julian per rassicurarla. Amy non mostrò nessuna reazione: come se della sua salute non le importasse molto, sembrava in collera con l’amico per qualcosa.

“ Vedo che il futuro Dottor Ross sta studiando con impegno per rovinarsi il futuro!”

Lo aggredì all’improvviso, sicura che con quell’omissione Julian aveva tradito la loro amicizia e ferita per il modo in cui lo aveva scoperto.

Il calciatore fu disorientato da quell’attacco improvviso. Lo schiaffo con cui lei lo aveva allontanato, quella sera di settembre, lo aveva convinto ad essere meno dipendente da Amy e a non coinvolgerla più in tutti i suoi problemi.

“Non c’è stata l’occasione e il tempo per dirtelo!”

Nicchiò senza dirle tutta la verità. La ragazza si mise a sedere sui talloni fissandolo intensamente.

“Avresti potuto trovarlo il tempo Julian! L’ho saputo dai giornali: il principe del calcio torna in corsia! Cosa può indurre a pensare un titolo simile?”

Per un attimo mise a fuoco la copia del Tokyo Shinbun che si apprestava a sfogliare prima che la mamma le dicesse che Malaika non c’era più. Cercò di scacciare il ricordo di quella mattina, concentrandosi sul suo rancore verso il comportamento di Julian.

“Mi dispiace! Non volevo che ti preoccupassi per me!”

Cercò di giustificarsi Ross, chinando lo sguardo.

“ Perché hai preso questa decisione? Io ti conosco Julian e a me non puoi mentire: tu odi quello che stai diventando, ti si legge in faccia!”

Le parole di Amy gli suonarono come un eco di quelle di Yoshiko : anche la bambina lo aveva apostrofato di non essere un vero dottore.

Avrebbe voluto raccontarle tutto, del ricatto del nonno e della sua infelicità nel tornare al passato: ma ora era Amy ad aver bisogno di aiuto e questo aveva la precedenza su tutto il resto.

“Parliamone un’altra volta! Tu, piuttosto, perché volevi ritornare ad Osaka?”

Lei si concentrò sui cilindretti glassati di zucchero di canna, sapendosi vulnerabile nel parlare di Malaika.

“Per la ripresa dei corsi universitari!”

Julian scosse il capo poco convinto.

“Anche io so tanto di te, Amy! Ti conosco quanto basta per capire quando menti!”

Si confrontavano di proposito con frasi dirette e schiette cercando di fare uscire l’altro allo scoperto. Anche Amy ora aveva due possibilità: evitare la verità, come aveva fatto Julian poco innanzi o decidere, finalmente, di parlare.

“ L’altro giorno mi è tornata in mente una di quelle leggende che ti raccontava spesso tuo padre: quella in cui si crede che la vita sia una candela che si consuma poco a poco fino a spegnersi alla fine dell’esistenza!”

Il ragazzo cercò di reprimere la smorfia di dolore che gli aveva distorto il viso gentile: la storia di Oi e Yai, del loro amore fraterno, lo aveva fatto sentire libero di mostrare la sua fragilità, proprio come i nuvoloni neri.

Era stata la leggenda più gettonata che Gregory si era ritrovato a ripetergli nei periodi più difficili e da essa Julian aveva tratto forza.

“ Sei amareggiata per non essere stata come Oi? Per non aver potuto ravvivare la candela di Malaika?”

Le si era avvicinato cercando di indurla ad esternare le sue emozioni.

Amy si morse il labbro inferiore e, sorpassandolo, si avvicinò alla finestra per guardare fuori.

“In tutti questi anni la mia unica paura è stata quella di perdere te!”

Mormorò evitando di scorgere la reazione che provocavano in Julian quelle parole.

“Non potevi sapere che la vita ti avrebbe strappato qualcun altro così prezioso per te!”

Julian cercò il modo di dare un senso a quella recriminazione e si odiò per aver costretto Amy a conoscere troppo presto la paura della fine.

“Un giorno ho guardato Malaika e mi sono sforzata di immaginare il suo viso da adulta ma…non ci sono riuscita!”

Inghiottì la saliva e cercò di frenare le lacrime. Julian l’avvicinò e la strinse tra le sue braccia senza parlare.

“ Se solo la vita fosse come le leggende: sarei potuta essere come Oi, fare il possibile per non farmela portare via!”

Singhiozzò. Julian la sentiva gemere tra le sue braccia e lasciava che sfogasse la sua disperazione.

Da ragazzino lui si era convinto che Amy avesse agito come quel fratello, pieno d’amore verso il suo gemello, sfidando i demoni per alimentare la fiammella della sua candela. Julian sapeva che senza di lei quel cero allegorico che simboleggiava all’esistenza si sarebbe già spento da un pezzo.

Ma non glielo disse.

“Le cose accadono senza che noi possiamo evitarle, Amy! Non colpevolizzarti inutilmente!”

La piccola Aoba sollevò il capo mostrandogli gli occhi gonfi e luccicanti.

“Torno ad Osaka per dimenticare! Forse la lontananza mitigherà questo peso insopportabile e poi…non voglio restare da sola a Tokyo!”

Julian ripensò alla richiesta di Amy quella sera al campo della Mambo, alla promessa fatta ai suoi genitori, alla paura di averla persa una seconda volta quando non riusciva a trovarla alla stazione.

“Non andare Amy! Ho una proposta da farti!”

** ** **

Karinto: snack giapponese dolce fatto da farina, lievito e zucchero. Tradizionalmente ricoperto da zucchero di canna.

“Le candele della vita” è una leggenda giapponese che narra di due fratelli gemelli, tanto uniti da fare tutto insieme, da non ricordare neppure i loro nomi di nascita chiamandosi tra loro Oi e Yai ( in giapponese Io e Tu). Quando Yai si ammala, Oi va in cielo, sfidando i demoni, per raggiungere la “stanza delle candele” e trovare quella di Yai che si sta spegnendo. Alla fine riesce a salvare il fratello…

** ** **

Ringrazio quanti continuano a seguire e a commentare le mie storie^^

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Capitolo 27
*** Pesci in gabbia ***


“Pesci in gabbia”

Il vetro dell’acquario sdoppiava i pesci rossi che, di tanto in tanto, tornavano in superficie boccheggiando.

Yoshiko si era seduta sul pavimento, con le mani intrecciate sul tavolinetto circolare che ospitava la vasca degli animaletti e la schiena contro le gambe di suo fratello.

“Cosa fai prima di una partita?”

Tom si distrasse dalla rivista che aveva preso in mano mentre la bambina continuava ad osservare le molteplici pose che assumevano i pesci.

“Faccio riscaldamento!”

Yoshiko abbandonò lo spazio che ormai era diventato suo e si andò a sedere vicino a lui: anche in treno erano stati vicini, senza quasi mai parlarsi.

Alcuni genitori in attesa proprio come loro, con figli dell’età di Yoshiko, rivolsero un’occhiata curiosa al ragazzo e poi si nascosero nuovamente nei loro problemi.

“Non sei superstizioso? Ho letto di calciatori che portano amuleti in campo e di un allenatore che faceva bruciare tutte le maglie quando la sua squadra perdeva!”

In tutti quegli anni trascorsi in campo Tom aveva imparato a conoscere compagni che pregavano prima delle partite e altri gesti propiziatori per una vittoria: lui però non ne aveva mai compiuto alcuno. Negò perciò con Yoshiko.

“Prima di un saggio io mordicchio sempre le unghie!”

Confessò il suo segreto la bambina. Tom sorrise pensando fosse una reazione istintiva al nervosismo e alla tensione che si accumula prima di un evento importante.

Guardò l’orologio: l’ultima cosa da fare quando si spera che il tempo passi in fretta.

“Ciò che una volta presente non ci turba, nell’attesa ci fa impazzire!”

Tom citò Epicuro e capì che anche quell’attesa li stava logorando: forse Yoshiko temeva il responso medico di quel giorno, il fatto di avere accanto lui e non la mamma e il pericolo che il suo incubo prendesse forma.

La segretaria dello studio medico tornò nella sala d’aspetto e chiamò il loro nome.

* * * *** *******

Julian sistemò il bottone del suo camice bianco nell’asola e guardò, spaesato, verso le pareti dove i diversi cartelloni evidenziavano i sistemi di organi del corpo umano. Snobbò il corpo sul quale linee più marcate accentuavano il sistema cardiovascolare e si concentrò sull’apparato scheletrico.

Pensò a tutte le storie con cui quella mattina aveva riempito le cartelle cliniche di ragazzini che avrebbero visto rivoluzionata la loro adolescenza: storie che si somigliavano, imperfezioni da correggere attraverso terapie o interventi più significativi. Da quando aveva conosciuto Yoshiko aveva preso sul serio il suo impegno, spendendo diverso tempo a fare ricerche e a documentarsi sulle patologie della colonna vertebrale.

Ora era sicuro di poter dare alla ragazzina almeno una speranza.

“ Julian sei proprio tu?”

Il prossimo paziente era già entrato nello studio del Dottor Tanaka e il tirocinante si trovò puntati addosso gli occhi interrogativi e sorpresi di Tom Becker.

Julian scattò in piedi restando incastrato tra la scrivania e la sedia girevole. Di fronte al compagno di Nazionale si sentiva in imbarazzo e a disagio proprio come lo era stato durante la sua presentazione al resto della squadra come secondo allenatore.

“Yoshiko sei proprio una bambina fortunata ad avere Tom Becker come parente e Julian Ross tra i tuoi dottori!”

Il Dottor Tanaka, forte della sua passione per il calcio, si era avvicinato alla bambina per cercare di metterla a suo agio.

“Lo saprebbe mia figlia Chika ti invidierebbe molto, sai?”

Con rassegnazione Yoshiko iniziò a seguire i movimenti che il medico gli imponeva, impassibile alla presenza di altri alla sua visita, incurante agli sguardi sconcertati di Tom e a quelli esitanti di Julian.

“ La curva scoliotica ha un angolo inferiore ai 40 gradi!”

Yoshiko si rivestì senza ben capire cosa quel linguaggio medico volesse comunicarle.

Era la notizia che il tirocinante aspettava per prendere coraggio.

“ Dottor Tanaka significa che non è necessario ricorrere ad un intervento chirurgico? Voglio dire: la situazione di Yoshiko potrebbe risolversi con un corsetto gessato e poi con uno ortopedico!”

L’amico del nonno Goro guardò stupito il suo discepolo: aveva capito già da un pezzo che non fosse realmente interessato alla medicina ma quello spirito d’iniziativa gli piacque.

“Yoshiko te l’ho detto che sei fortunata! Julian ha avuto un’esatta intuizione: non dovrai essere operata!”

La bambina sorrise sollevata e abbracciò prima Julian e poi suo fratello per condividere con loro quella sottile felicità.

***** ******* ***

I pesci continuavano a guizzare. Yoshiko si avvicinò all’acquario, nella stanza ormai vuota, e versò nell’acqua una manciata del mangime granulare che aveva portato loro: ormai erano diventati anche un po’ animaletti suoi. Tom la teneva d’occhio e, con pazienza, registrava ogni scatto, ogni minimo rumore che proveniva dallo studio del Dottor Tanaka.

Poi vide un’ombra allungarsi verso lui e la bambina e capì di chi si trattava.

“ Quando Yoshiko mi ha detto che non sei un vero dottore non capivo cosa volesse dire: probabilmente non sa il significato di tirocinante!”

Julian non era sorpreso dal fatto che il compagno di squadra avesse atteso lì per avere con lui un confronto. Si avvicinò con calma.

“Yoshiko riesce a vedere delle cose che da adulti ci rendono ciechi! Tua sorella riesce a vedere la verità!”

Confessò, senza che Tom riuscisse a cogliere la profondità di quella frase.

“ Mi ha davvero spiazzato il fatto di trovarti qui a lavorare per diventare dottore!”

Julian fece una smorfia infastidita, quasi a dare a vedere che quell’inclinazione era frutto di imposizioni e non di libero arbitrio.

Tom ricordò lo zenzero e le radici che si nascondono sotto i rizomi: ebbe l’impressione che Julian si stesse nuovamente nascondendo.

“Ad ogni modo volevo ringraziarti per aver impedito che Yoshiko subisse un intervento così giovane!”

Vide Ross farsi triste e sforzarsi di sorridere.

“Ho cercato per lei il male minore! Sarà sempre un pesce in gabbia!”

Gettò lo sguardo sulla scatola di vetro, gabbia dei pesci rossi.

Compianse quei pesciolini prima rinchiusi in un sacco di plastica e poi nella vasca dell’acquario.

Pensò all’adolescenza di Yoshiko e alla sua libertà che sarebbero state imprigionate in un busto che le avrebbe raddrizzato la schiena.

Pensò ad Amy prigioniera del suo dolore e della sua disperazione.

Yoshiko alzò gli occhi nella loro direzione e sorrise, ma lui non si era mai sentito così inutile.

** ** ** ***

Ringrazio tutte le persone che continuano a leggere, seguire e recensire le mie storie!

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Capitolo 28
*** "La trama del tessuto" ***


“La trama del tessuto”

Tornarono a Sendai che era buio da un pezzo.

Yoshiko informò i genitori sull’esito della sua visita medica e Tom cercò di dare maggiori dettagli sulle cose che la bambina dimenticava di dire.

Il silenzio del ragazzo cozzava con la loquacità della sorella. Yumiko credeva che il figlio avesse bisogno di maggior tempo per inserirsi ed accettare quella nuova famiglia e decise di lasciarlo tranquillo, senza fargli pressioni.

Tom però pensava ai pesci in gabbia, al male minore che era toccato a Yoshiko, a Julian e al futuro poco chiaro di finto dottore, allo zenzero e a mille altre cose.

Mise una mano all’interno della tasca della giacca e ne tastò un piccolo involucro di carta: era la scheda per le chiamate internazionali che aveva acquistato sulla via del ritorno.

“Devo fare una telefonata…in Francia!”

Annunciò esibendo la carta telefonica. Yumiko pensò volesse parlare con suo padre perciò gli indicò la cornetta e lo lasciò solo.

Compose il numero di accesso locale e seguì le istruzioni multilingue, inserì il codice segreto della carta e attese che l’operazione andasse a buon fine.

Ricevette la conferma e, dopo aver digitato il prefisso internazionale, compose un numero che non era quello del suo appartamento di Parigi.

********

Susie armeggiò con i sacchetti che teneva in mano, poi si precipitò al telefono prima che la chiamata risultasse rifiutata.

Se ne era andata da casa della zia Mina prima che la donna la scacciasse, venuta a conoscenza di una parte di verità di quanto successo alla festa dei Le Blanc.

Il signor Becker era stato gentile ad aiutarla a trovare un piccolo appartamento e lei aveva iniziato a comprare il giornale tutti i giorni, ne guardava gli inserti e cercava un opportunità per tirare avanti dopo aver perso il lavoro di nounou.

Non sapeva se sarebbe riuscita a sostenersi da sola a Parigi ma di una cosa era certa: non voleva tornare a Nankatsu per colpe che non erano sue per essere etichettata ancora come una figlia di cui non andare fieri.

Il telefono squillò ancora una volta e poi Susie alzò la cornetta.

“Pronto?”

Dall’altro lato del filo vi fu qualche attimo di esitazione.

“Ciao Susie, sono Tom! Come stai?”

Fece un profondo respiro e si lasciò riscaldare dalla voce del ragazzo.

“Io bene! Li in Giappone come vanno le cose?”

Chiese sedendosi sul bordo del letto. Tom le aveva telefonato una sola volta da quando era partito.

“Yoshiko non dovrà essere operata! Ha trovato un bravo dottore!”

“Bene sono contenta che tutto sia andato per il meglio!”

Susie intrecciava i fili sul dito e poi li lasciava andare. La voce di Tom era calda e rassicurante e le faceva sembrare tutto più semplice e familiare.

“Ti ricordi di Julian Ross?”

Chiese all’improvviso dall’altra parte dell’Oceano. Susie se lo ricordava anche se le squadre delle loro scuole non si erano più incontrate da quando lei era diventata manager della New Team.

“Si! Perché mi parli di lui?”

“Cura Yoshiko! Fa tirocinio presso uno studio medico di Tokyo!”

Susie cercò altre domande pur di restare al telefono con Tom più a lungo.

“Come vanno le cose con tua madre?”

“Discretamente! Le ho dato la Berceuse e si è messa a piangere!”

“Perché le sei mancato!”

Lo convinse Susie e intanto pensò alla sua famiglia, a sua madre che l’aveva mandata in Francia per sottrarla dal nulla in cui stava sprofondando il suo futuro.

“Sono andata via da casa della zia Mina e da quella dei Le Blanc! Ora vivo da sola!”

Lo investì con tutte quelle novità che l’avevano riguardata da quando lui era partito.

Pensò a quella domenica sulla Grande Jatte, agli avvertimenti che le aveva dato su Pierre e iniziò ad avere dei sospetti sul compagno di squadra.

Non sapeva cosa dirle, come prendere quelle informazioni e farle sapere il suo desiderio di averla vicina.

“Tornerai a Nankatsu?”

Le chiese all’improvviso, pensando egoisticamente a come sarebbe stato bello averla più vicina in quel periodo.

Dall’altra parte della cornetta Susie scosse la testa risoluta.

“No, non torno dalla mia famiglia! E poi tra pochi giorni tu sarai di nuovo a Parigi, vero?”

Tom ebbe qualche attimo di esitazione: non voleva lasciare Yoshiko finché tutto non si fosse risolto per il meglio.

“Non so quando tornerò!”

“Mi manchi!”

Lo spiazzò lei. Si erano lasciati con tanti punti interrogativi in sospeso, senza definire il rapporto che volessero nascesse tra loro. Seguì una lunga pausa di silenzio.

“Susie?”

Tom si accertò che fossero ancora in comunicazione e decise di prendere il coraggio necessario per chiederlo.

“Verresti a Sendai se io te lo chiedessi?”

La ragazza accarezzò la trapunta lì sul letto, seguendo i contorni delle linee sul tessuto. Si perdeva dietro il motivo a nido d’ape e si sforzava di entrare nella mente del tessitore mentre intrecciava ordito e trama.

Quella trapunta aveva una sua storia e la trama del tessuto ne custodiva i codici.

Ricordò gli aloni lasciati sull’oblò dell’aereo ai quali aveva affidato la sua storia e il suo disagio nel viaggio d’andata verso Parigi.

Ora si sentiva pronta a decifrare quella storia. Era pronta a non nasconderla più dietro codici e trame segrete.

“Si partirei anche subito!”

Rispose.

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Capitolo 29
*** "Segreti e bugie" ***


“Segreti e bugie”

Il mazzo di chiavi sembrava scottare tra le sue mani e quando si decise ad inserire quella giusta nell’apposita serratura, si sentì come una ladra che entra in casa di sconosciuti per derubarli.

Anche lei avrebbe rubato: entrando nell’appartamento si sarebbe appropriata di un pezzetto della vita dei nonni di Julian.

Il ragazzo le aveva lasciato tutto il tempo di riflettere su quella proposta fatta all’improvviso, si era mostrato flessibile alle sue esigenze e comprensibile alle sue scelte, non le aveva dettato nessuna condizione. Julian odiava le condizioni.

Non l’avrebbe fermata se tornare ad Osaka significava soffrire di meno.

Ma Amy aveva deciso di guardare in faccia il suo dolore: trovò il biglietto ferroviario, mai obliterato, e lo strappò.

Il cellulare squillò per l’ennesima volta, come faceva ormai da giorni, e puntualmente la chiamata venne ignorata. Naomi, non avendo avuto più sue notizie e non avendola vista tornare ad Osaka, probabilmente si stava preoccupando per lei.

In quel momento Amy non aveva voglia di parlare con nessuno, non voleva spiegare e non voleva farsi consolare. Rifuggiva tutte quelle novità che avevano stravolto la sua vita e tra queste includeva anche l’amica dell’università.

Tornò prepotente il desiderio di rivivere quei ieri felici e pieni di affetti che non sarebbero più tornati.

Julian restava l’unica persona a cui avrebbe permesso di conoscere la sua disperazione. A lui voleva aggrapparsi e forse da lui si sarebbe lasciata aiutare.

Cercò il telefono per spegnerlo del tutto e, involontariamente, le dita tastarono delle piccole gocce lisce e sfaccettate. Incuriosita, Amy tirò fuori l’oggetto: era il braccialetto di quarzo rosa che avrebbe dovuto regalare a Malaika.

Lo nascose di nuovo ed entrò nell’appartamento.

Notò i kakemono con i nomi dei nonni di Julian, affissi alla parete, e anche lei pensò ai loro nomi intrecciati sul tiglio.

Si riscosse decidendo di non pensare, di non voler ricordare e di non voler più sbagliare.

Poi si avvicinò all’aspidistra, unico segno di vita in quella casa, e scavò delle piccole zolle nel terreno della pianta per assicurarsi che fosse ben annaffiata.

Sapeva che era una pianta incredibile, capace di sopravvivere dove altre piante sarebbero morte.

“Julian non eccelle certo come pollice verde, vero?”

Si mise a parlare con la pianta bagnandola lievemente.

Con le dovute attenzioni l’aspidistra avrebbe vissuto più di cento anni. Proprio come il tiglio con i loro nomi.

Fu contenta che lui non fosse ancora a casa: preferiva familiarizzare con quell’ambiente e farsi un’idea di come sarebbe stata la convivenza.

Sussulto sentendo dei colpi alla porta esterna. Restò qualche momento ferma, nell’incertezza sul come comportarsi, poi pensò potesse essere qualcuno che cercava Julian ed aprì.

Goro piombò in casa come una furia cieca.

“Dov’è mio nipote?”

Pretese di sapere, senza nemmeno salutare la ragazza. Amy, intimorita dall’uomo, si fece piccola, piccola.

“Aveva gli allenamenti!”

Lo informò con un filo di voce.

“Quello scriteriato ha solo il pallone in testa! Io lo avevo avvertito che sarebbe finita male!”

Meditava l’uomo, ignorando Amy. La ragazza aveva riconosciuto in lui il patriarca Ross e decise di andare fino in fondo a quelle parole.

“Cosa vuole dire signor Ross?”

Goro la studiò e poi la riconobbe anche lui.

“Mi ricordo di te, sai? Eri quella ragazzina irresponsabile che assecondava i colpi di testa di mio nipote!”

Lei ignorò la provocazione e cercò di soffocare lo sdegno che i modi del nonno di Julian le avevano sempre provocato.

“Mi chiamo Amy Aoba! Vuole che dica a suo nipote che lo cercava?”

“Digli che esigo una spiegazione per il suo comportamento! Come si fa a rifiutare un trenta all’esame di anatomia?”

Aveva alzato la voce. Amy trasalì e nutrì un sospetto.

“Avrà avuto i suoi buoni motivi!”

Cercò di giustificarlo facendo arrabbiare il vecchio Ross.

“Tu e mio figlio continuate ad assecondare quell’irresponsabile e lui ne approfitta! Ecco perché i miei sforzi per farlo diventare qualcuno nella vita vengono vanificati!”

Recriminò spazientendo Amy che non sopportava più quegli aggettivi con cui il nonno stava qualificando Julian.

“Dovrebbe avere più rispetto per suo nipote e accettarne le scelte!”

La soggezione di poco prima l’aveva abbandonata e ora cercava, con fierezza, di tener testa alla protervia dell’uomo.

“ Se continua a far di testa sua e a non impegnarsi negli studi so io come togliergli il pallone dalla testa!”

Amy non ci vide più dalla rabbia e tutto le fu chiaro.

I sospetti divennero certezza, le parole assunsero un significato e i segreti che Julian le aveva taciuto, per proteggerla e non darle altre preoccupazioni, le si rivelarono all’improvviso.

“Julian non si sarebbe mai iscritto alla facoltà di medicina: io lo conosco bene! Mi dica signore lo ha ricattato?”

Chiese con freddezza mettendolo a disagio.

“Dì a Julian che devo parlare urgentemente con lui!”

Glissò a quella domanda girando i tacchi e congedandosi.

Restata sola Amy rielaborava e pesava le parole di Goro e tutto le sembrava assurdo: Julian che non si era fatto fermare dalla vita non avrebbe mai assecondato suo nonno.

Si avvicinò di nuovo all’aspidistra che sopravviveva lì anche senza luce e continuò a tormentarsi sulle cose importanti da cui Julian l’aveva esclusa.

Abbandonata sul davanzale, vicino alla pianta, c’era una custodia con l’immagine di un albatros che spiega le ali verso l’oceano. Amy la riconobbe subito: custodiva un cd con musiche tedesche che aveva comprato lei tanti anni prima. Lesse la prima traccia e ricordò di cosa cantassero quelle musiche: parlavano di un uccello che vaga dal Polo Nord al Polo Sud e che non conosce confini. Del sovrano dei mari per il quale non esistevano obiettivi impossibili.

Lo aveva inserito tante volte nel suo stereo , poi lo aveva dato a Julian perché lo ascoltassero insieme: anche lui era come un albatros che in campo si muoveva maestoso e dominava come un re.

Pensò agli albatros catturati dai marinai che sulla tolda diventavano goffi e ridicoli.

Proprio come lo diventava Julian quando entrava in ospedale e indossava un camice bianco.

Goro non poteva diventare come i marinai, non poteva tarpare le ali a Julian per impedirgli di vivere quanto si era guadagnato con sacrifici.

Decise ancora una volta di non restare indifferente alla sorte del ragazzo. Ma questa volta si sarebbero aiutati a vicenda.

Cercò di rimettere a posto il cd e notò un foglietto spiegazzato abbandonato su una rivista.

Incuriosita lo srotolò e lo lesse.

“Al mio dottore preferito. Ti voglio bene, Yoshiko”

Lo rilesse incredula. Le parole si ingigantivano, nonostante la calligrafia incerta, diventavano pesanti come macigni e la ferivano.

Si sentì ingannata e decise di fargliela pagare.

Trovò le chiavi dell’auto di Julian, che lui aveva lasciato sulla mensola. Le afferrò e uscì.

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Capitolo 30
*** "Stare in apnea" ***


“Stare in apnea”

Il pallone roteò a bordocampo, sporcato da chiazze verdastre, e nessuno si preoccupò di recuperarlo: l’allenamento dell’FC Tokyo era appena terminato e i calciatori raggiusero gli spogliatoio scambiandosi battute complici.

Superata la fase di rodaggio la squadra si era ben compattata e i risultati erano arrivati anche sul campo da gioco.

Julian si cambiò svelto, salutò e si incamminò verso casa. La sera sembrava alleggerirlo delle preoccupazioni e lo convinceva che tutti i problemi si sarebbero indirizzati verso la giusta conclusione.

Aveva fretta di tornare a casa perché sapeva che vi avrebbe trovato Amy: la ragazza si era limitata a comunicargli con uno scarno sms il suo tentativo di accettare l’aiuto che le veniva offerto. Si ripromise di rispettare i tempi e gli spazi della ragazza, senza infastidirla con consigli inutili. Sapeva bene quanto si può essere gelosi del proprio dolore e quanto sia difficile condividerlo con altri.

Girò lungo il perimetro esterno dello stadio e si fermò ad osservare i movimenti del bancarellista che radunava le merci in esposizione: le disponeva seguendo un ordine e svuotava con flemma il suo piano di lavoro, per ultime conservò le magliette rosso-blu con il colletto bordato di bianco.

Innanzi ai gesti trentennali dell’uomo la fretta di Julian svanì: guardava la maglietta in poliestere con il numero quattordici e sopra il suo nome ondeggiare nel vuoto spinta dalla brezza serale ed ebbe un brivido. Era diventato già un figlio prediletto dell’Ajinomoto Stadium, che non lesinava applausi alle sue giocate, eppure un senso di precarietà sopravviveva in lui.

Lui aveva un dono e i tifosi che lo acclamavano volevano averne saggio, gli chiedevano solo di fare quello per cui si sentiva vivo: giocare a pallone. Allora le minacce di Goro si affievolivano, perdevano di potenza e si riducevano a inoffensivi sussurri.

All’improvviso gli tornò in mente la canzone degli albatros, quella che tanto piaceva ad Amy, uccelli inadatti alla vita tra gli uomini.

Il suo dono per molti anni era stato come le lunghe ali dell’uccello oceanico, troppo grandi da costituire un impedimento allontanandolo dalla terra, condannandolo a soffrire debole e indifeso.

Solo come lo era Amy in quel momento.

Il bancarellista si accorse di lui e alzò la mano in segno di saluto, Julian ricambiò con un lieve inchino e si allontanò.

Aveva voglia di tornare a casa per inserire il cd e riscoprire il mondo senza confini degli albatros, capaci di trovare la via di casa in un uragano.

Si allontanò continuando a pensare al maestoso pennuto e poi ai pesci rossi che si trovavano nello studio del Dottor Tanaka. Innanzi all’acquario vedeva sempre Yoshiko intenta a prendersi cura di loro.

Presto non avrebbe più visto i pesci rossi: il primo periodi di tirocinio era quasi terminato e per lui non c’è ne sarebbe stato un secondo.

Ripensava alle parole con cui, quella mattina, il Dottor Tanaka lo aveva messo innanzi alle sue inclinazioni e si chiese se davvero fosse tanto evidente la sua insofferenza per quelle scelte forzate.

“Sai cosa serve per diventare un bravo medico, Julian?”

L’eco di quella domanda gli rimbombava in testa.

“Vocazione?”

L’incerta risposta affidata ai luoghi comuni.

“Si può amare profondamente la pittura eppure non si può essere nemmeno artisti mediocri! In medicina vale lo stesso: si può avere una gran vocazione a curare gli altri ma molti abbandonano gli studi già nel primo biennio!”

“Cosa serve allora?”

“Attitudine e motivazione! Cose che non vedo in te, Julian!”

La farsa era stata scoperta e la verità, detta in maniera così schietta e diretta, gli dava la forza necessaria a piantarla lì, a non sottostare più ai ricatti di Goro.

Yoshiko e la sua storia però lo legavano ancora a doppio filo a quel mondo.

“Per il restante periodo di tirocinio affiancherai i fisioterapisti nel percorso di preparazione dei ragazzi alla vita con il corsetto! Li seguirai nelle ore di ginnastica correttiva…è l’unico modo per avvicinarti al tuo mondo! “

Tacitamente il Dottor Tanaka gli veniva in aiuto, gli permetteva di prendere tempo e di riflettere bene su quella delicata scelta per il futuro. Julian gliene fu grato.

• * ***

Le luci erano spente e dalla casa non proveniva nessun rumore. Entrò e urtò il borsone di Amy, abbandonato sull’entrata, ancora da disfare.

“Amy!”

Chiamò senza ottenere risposta. La cercò in tutte le stanze e si sporse sul davanzale che dava sul cortile ma della ragazza non c’era traccia.

Notò che l’aspidistra era stata innaffiata e ipotizzò che Amy fosse tornata a prendere altre cose. Provò a contattarla per vedere se aveva bisogno di aiuto ma dopo due squilli ricevette come risposta un lungo segnale che interrompeva la comunicazione.

Non se ne preoccupò e si concentrò su altro. L’incertezza su quanto stesse accadendo dilatava il tempo fino ad ingigantire la sua impazienza.

Notò un cumulo di riviste ammucchiate disordinatamente sul pavimento: sembrava che qualcuno le avesse scaraventate tutte insieme a terra, con veemenza, tanto che alcune copertine si erano staccate dal resto dei fogli.

Sperò non fosse opera di Amy.

Si avvicinò alla mensola per prendere le chiavi dell’auto e andare a cercarla ma tastò solo il legno liscio e vuoto.

La terra gli mancò da sotto i piedi pensando che Amy potesse commettere qualche sciocchezza.

Decise di fare qualcosa, di cercarla comunque, di chiedere aiuto a suo padre.

Si precipitò sul ballatoio esterno e si bloccò nell’udire un trepestio di passi sempre più vicini.

“Amy!”

Questa volta sembrava un’implorazione, destinata a restare inesaudita.

Tom Becker lo guardava confuso, disorientato dai modi frenetici che non appartenevano a Julian.

Per il ragazzo di Tokyo anche le ultime speranze si spensero e le sorti più terribili che sarebbero potute toccare ad Amy gli avvilupparono la mente come tanti tentacoli terribili.

Tentacoli invisibili che lo stringevano sempre più forte nella loro morsa finché ebbe la sensazione di soffocare. Avvertì un fastidio al petto e si sostenne a Tom.

“Julian ti senti bene?”

Chiese trepidante riaccompagnandolo in casa. Lo fece sedere e gli versò un bicchiere d’acqua: Julian bevve a piccoli sorsi accompagnandoli con respiri lunghi e controllati, come gli era stato insegnato a fare un tempo.

“Credevo che certe sensazioni non sarebbero più tornate!”

Sorrise al compagno di nazionale per rassicurarlo: intuiva che quell’episodio di dispnea era dovuto all’ansia e non ad altro.

“Sono molto preoccupato per Amy: non sta attraversando un bel periodo ed è sparita!”

Esporre a voce alta i suoi turbamenti lo fece sentire meglio, non essere più solo a patire l’attesa gli ridava fiducia che tutto si sarebbe risolto per il meglio.

Tom pensò alla semifinale del torneo regionale tra le loro squadre, quando era stato Julian a sparire e lo avevano cercato in lungo e in largo senza però pensare al posto più ovvio dove trovarlo.

“Vedrai che si farà sentire presto! Tutti a volte abbiamo bisogno di stare un po’ da soli!”

“Come mai sei tornato a Tokyo? Si tratta di Yoshiko?”

Indagò il finto dottore avvicinandosi al fusuma decorato con le foglie autunnali.

“Si anche per lei! E poi…per parlare con te!”

Aveva uno sguardo serio e alla ricerca di verità che solo in Julian era sicuro di trovare. Sarebbe rimasto con la sorella in quel periodo e si era rivolto al giovane tirocinante per capire meglio.

“Vuoi sapere come sarà essere un pesce in gabbia?”

La domanda di Julian intuiva, celava inquietudine e disperazione.

“Com’è essere malati?”

Una curiosità troppo vorace inghiottita tra le pareti rimbombanti di drammi mai dimenticati.

L’alterazione di ogni equilibrio e l’essere solo il male.

Giornate di paura, dolore e solitudine.

Scegliere di vivere o di sopravvivere.

Nessuno gli aveva mai rivolto una domanda del genere: né Amy, né i suoi genitori.

“Come stare in apnea!”

Fu la risposta naturale che gli venne da dare a Tom.

Restare senza fiato ad ascoltare un corpo che chiedeva di essere conosciuto, curato, capito.

Un breve respiro in superficie prima dell’immersione nel mondo nuovo, sconosciuto tanto da spaventare.

Stare in sospeso, nell’incertezza del futuro, nell’attesa della vita vera.

In quella breve definizione Tom si sforzava di cogliere tutte queste sfaccettature e quasi si pentì di aver posto una domanda tanto diretta da richiedere una difficile risposta.

Era la seconda volta che faceva allusioni al passato di Julian: la prima era stata quando lo aveva ringraziato per aver risparmiato a Yoshiko di conoscere il vero dolore troppo presto.

“ Non volevo scavare nei tuoi ricordi, perdonami! Solo che Yoshiko ha bisogno di entrambi e io ho bisogno di te!”

Tom era sincero, come lo ricordava da sempre, schietto e generoso: non si stupiva che avesse trovato tanti amici sparsi per il mondo.

“Prima devo trovare Amy!”

Chiarì le sue priorità Julian. Le parole di Tom non lo facevano più sentire inutile e gli davano un occasione di riscatto.

Il trillo del telefono li interruppe. Julian lasciò che i primi squilli cadessero nel vuoto, poi prese la cornetta tra le mani e attese.

“Julian?”

Un’espressione di sollievo gli rischiarò il volto.

“Ehi stai bene?”

Chiese dolcemente, venendo ignorato.

“Vieni a prendermi!”

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Capitolo 31
*** "Parossismo del dolore" ***


“Parossismo del dolore”

Quando Gregory Ross l’aveva regalata a suo figlio l’aveva definita una “piccola Ferrari” viste le prestazioni eccellenti che poteva offrire.

Ma Amy si era concentrata solo sul pigiare sull’acceleratore aspettando che la velocità l’annientasse.

Voleva distruggere tutti i suoi pensieri.

Voleva lasciarsi accarezzare dal vento e farsi rapire dalle sue folate per sentirsi più vicina a Malaika.

L’autoradio diffondeva nel silenzio della sera strofe che conosceva a memoria ma che restavano mute sulla sua bocca.

Era come un albatro catturato dai marinai.

Ascoltava e pensava alle canzoni che non avrebbe stonato insieme a Malaika. Alle feste che non ci sarebbero state, agli aliti gelidi che non avrebbero più spento alcuna candelina.

Ai veli e al vestito bianco che non avrebbero celato nessuna sposa.

Frammenti di un futuro che non sarebbe esistito, di una vita spezzata in un attimo.

Poi aveva svoltato e si era trovata al lato di un pilastro in cemento ornato di peluche e fiori come simbolo della gioventù che aveva infranto.

Uno schiaffo in pieno viso con la mano aperta.

Il primo desiderio di Amy era stato di andarsi a schiantare nello stesso punto in cui il motorino di Malaika l’aveva tradita sbalzandola contro il cemento duro e freddo. Lo stridere improvviso dei freni l’aveva fatta desistere dal suo folle proposito.

Lì tra i fiori ormai afflosciati le era parso di vedere uno zaino blu con il portafortuna kokeshi affisso alla zip, un diario segreto che avrebbe lasciato numerose pagine in bianco, vestiti che portavano ancora, indelebile, il profumo di Malaika.

Aveva sterzato bruscamente e un nuovo nome si era intromesso nella sua disperazione: Yoshiko.

Si sforzava di associarle un volto, di capire perché Julian non ne avesse mai parlato con lei e che diritto aveva la sconosciuta di prendersi un pezzo importante della sua vita.

Il dolore si era fatto più intenso, la rabbia e la solitudine le avevano offuscato la mente e lei aveva riposizionato il piede sull’acceleratore dell’auto di Julian spingendolo sempre di più.

Finché una volante della polizia non l’aveva fermata.

*** **** ***

Ora se ne stava sul sedile passeggeri della stessa auto con cui aveva tentato di distruggersi, le mani abbandonate sul grembo e lo sguardo di sbieco a cercare di cogliere le reazioni sul viso di Julian.

Il ragazzo guidava piano e teneva dritti gli occhi sulla strada. Amy si sentiva come una bambina in attesa della giusta lavata di capo e ritenne opportuno rompere il silenzio.

“Ti restituirò i soldi della cauzione!”

Pronunciò titubante come per rassicurarlo e calmarlo, aggirando la sua collera per non essere aggredita.

Julian si fermò bruscamente e la fissò: a lei sembrò uno sguardo gelido.

“Avresti potuto ucciderti o fare del male a qualcuno! Cosa diavolo ti è saltato in mente, Amy?”

Non era come quella volta che le aveva liberato uno schiaffo. Nelle parole di Julian leggeva preoccupazione e interesse solo per lei.

Chinò di nuovo lo sguardo e non rispose.

“Capisco che soffri molto per Malaika e so che non c’è consolazione contro la morte! Io però ti ho promesso di aiutarti!”

La voce di Julian si era fatta più dolce ma Amy si era irrigidita.

“Non posso più fidarmi di te! Mi hai nascosto troppe cose!”

Recriminò guardando lontano, nel buio, oltre il finestrino.

“Cosa dovevo dirti? Che devo esaudire il desiderio di mio nonno di vedermi medico per continuare a giocare a calcio? Non potevo riversare ancora una volta su di te i miei problemi…non nel periodo più importante della tua vita! Tu stavi andando ad Osaka…”

“Risparmiati le giustificazioni! Gli amici si dicono sempre tutto!”

Julian faticava a riconoscere la Amy che per anni aveva avuto a fianco mentre la ragazza si chiedeva se avvisarlo fosse stata la cosa più giusta da fare, in fondo gli aveva quasi distrutto la macchina e ora cercava anche di farlo sentire in colpa.

Pensava a quella misteriosa Yoshiko e le sue accuse le sembravano fondate.

“Allora parlami del tuo dolore, del vuoto che c’è nel tuo cuore, di Malaika, del perché sono dovuto venire a tirarti fuori da una stazione di polizia!”

“Volevo cancellare il presente!”

Fu l’evasiva risposta a quell’incoraggiamento. Julian accarezzò lo sterzo e decise di metterla al corrente di una reazione molto importante.

“Ho avuto così tanta paura di perderti! Credevo di impazzire nell’attesa di rivederti…ora so come deve essere stato difficile per te in tutti questi anni! Se tu me lo avessi chiesto una sola volta io…avrei abbandonato il calcio!”

Era sincero, parlava con genuinità e la commuoveva.

“Non avrei mai potuto chiedertelo! Costringerti ad una vita senza ciò che le dava significato sarebbe stato come ucciderti!”

“Mi dispiace!”

“Perché sottostai al ricatto di tuo nonno? Il vecchio Julian si sarebbe ribellato da un pezzo!”

Lui guardò imbarazzato gli interni dell’abitacolo prima di rispondere.

“Ho promesso di aiutare anche un’altra persona! Si chiama Yoshiko e…”

Non fece in tempo ad aggiungere altro che Amy aveva già spalancato la portiera e si era isolata nel piccolo quadrato verde della piazzola di sosta in cui si erano fermati.

“Si può sapere cosa ti prende?”

Julian le era corso dietro sempre più confuso. Lei frugò in una tasca e ne recuperò un fogliettino spiegazzato che gli spinse con forza contro il petto.

“Ecco cosa mi prende!”

Il ragazzo trattenne il pezzo di carta e, buttandogli una rapida occhiata, capì l’equivoco.

“Yoshiko è la sorella di Tom Becker!”

Si sentiva sempre più ferita da lui.

“ Bene allora sei diventato amico della sorella di un altro calciatore! I giornali di gossip ci ricameranno sopra per mesi!”

Con il palmo della mano strofinò gli occhi lucidi e gonfi, decisa a mostrarsi orgogliosa innanzi a lui. Julian lesse in quelle stilettate la gelosia di Amy e capì di doverne approfittare per mettere finalmente a nudo i sentimenti della ragazza.

“Sei mia amica o sei gelosa?”

A quella domanda avrebbe voluto rispondere con la manifestazione di un sentimento da sempre nascosto in lei ma ormai evidente.

“Di a Yoshiko di essere tua amica d’ora in poi!”

Gli aveva voltato le spalle decisa a troncare la discussione.

“Yoshiko ha undici anni e se non fossi stata accecata dalla gelosia ti saresti accorta della calligrafia da bambina!”

Quella verità anestetizzò il suo dolore. Come la quiete dopo la tempesta. Come la calma che invade dopo un lungo pianto liberatore.

Dimenticò le incomprensioni degli ultimi mesi, il distacco che aveva imposto tra lei e Julian per timore di sentire la loro unione come un obbligo.

Voleva solo lui.

Si riavvicinò e prese le mani del ragazzo tra le sue.

“Una volta mi hai detto che anche se fossi andata in capo al mondo quando sarei stata triste e delusa il mio richiamo ti sarebbe arrivato, ovunque io fossi stata!”

“Non mi credevi?”

Julian ricordava bene la questione del canto delle megattere, lo sfiorare quelle labbra perfette per ricevere come risposta un ceffone.

Amy si sollevò sulle punte dei piedi per arrivare a lui, per lasciarsi inebriare dall’odore di eucalipto e mentolo e lo baciò con passione e con trasporto, abbattendo le barriere mentali che non erano servite ad arginare un amore troppo profondo.

“Allora è così che baciano gli eschimesi?”

La stuzzicò Julian ricambiandone le effusioni. In quel momento ad Amy non interessavano né i canti delle balene, né le dimostrazioni d’affetto tra i popoli.

“No questo è il bacio di Julian e di Amy!”

“Un po’ come la J e la A sul tiglio!”

****** *******

*Kokeshi: bambole tradizionali giapponesi realizzate in legno senza gambe o braccia. Precorritrici delle matrioske russe.

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Capitolo 32
*** "Tu che pesce sei?" ***


“Tu che pesce sei?”

Yoshiko spaginò distrattamente il libro che aveva sulle gambe, poi ne abbandonò definitivamente la lettura e si concentrò sui volti inespressivi che affollavano l’aeroporto di Narita.

La sua curiosità fu catturata poi da una bambina, poco più piccola di lei ma con l’espressione molto più felice della sua, che affiancava la mamma mentre imbarcavano i loro bagagli.

“Non è interessante il libro?”

Tom, dopo aver controllato il bouquet di fiori misti che teneva in mano, interpretò il silenzio della sorellina come un segnale di disagio e di inquietudine.

La piccola si limitò a fare un piccolo cenno di assenso con la testa. Il libro era stato un regalo di Tom: aveva lasciato che la bambina lo scegliesse e Yoshiko aveva cercato a lungo prima di prendere quella piccola enciclopedia sul mondo marino e sulle forme acquatiche che vi danno vita.

“Chissà dove sarà domani quella bambina!”

Esternò i suoi pensieri Yoshiko additando la fonte delle sue curiosità.

Il fratello maggiore capì a cosa era dovuto quel silenzio.

“Vedrai che presto potrai viaggiare anche tu!”

Cercò di rincuorarla essendo cosciente che l’indomani la sorellina sarebbe stata ricoverata in ospedale e sarebbe stato l’inizio di una prova difficile per lei.

“Potremo chiedere alla mamma se qualche volta puoi venire a Parigi con me!”

Propose timidamente il calciatore per ridarle un motivo di gioia.

“Mi piacerebbe venirti a trovare! Quando sarò grande girerò il mondo…proprio come hai fatto tu!”

Tom avrebbe voluto rivelarle che non era poi tanto piacevole sradicarsi dai posti dove si lasciano le proprie abitudini, i propri affetti e i propri amici ma decise di tacere per non spegnere sul nascere la calda euforia di Yoshiko.

“E poi vorrò imparare a nuotare bene per esplorare i fondali marini e conoscere milioni di pesci!”

Continuò la sua proiezione al futuro la bambina.

“Non vuoi fare più la ballerina?”

Indagò Tom. Yoshiko si strinse nelle spalle come se fosse incerta sulla risposta da dare e sulla decisione da prendere: ballare le piaceva molto ma sapeva che da allora in poi il suo problema le avrebbe richiesto molti sacrifici.

“Non so se potrò continuarlo a fare con quella corazza che presto avrò addosso! Quando danzo mi sento leggera e anche in acqua il corpo diventa leggero e galleggia: ti sembra di stare su una nuvola!”

Quell’accenno all’acqua riportò alla mente di Tom le parole di Julian: l’immergersi e il trattenere il fiato.

Un breve respiro e la scoperta di un mondo nuovo.

Tom non replicò e la ragazzina cambiò discorso.

“Quando arriva la tua fidanzata da Parigi?”

Tom arrossì e finse di guardare i fiori che aveva tra le mani.

“Non è la mia fidanzata! È solo una cara amica!”

Yoshiko parve non credergli molto.

******

Mentre l’aereo atterrava, Susie emise un profondo respiro.

Tornare in fretta e furia in Giappone le era sembrata una follia e, al contempo, la cosa più saggia da fare.

A Parigi aveva fallito, non era riuscita a trovare sé stessa, un’identità tutta sua, eppure dall’esperienza francese aveva ricevuto molto: per la prima volta aveva trovato una persona di cui potersi fidare, che non l’avrebbe usata come avevano fatto gli altri uomini, che non l’aveva etichettata e snobbata come aveva fatto suo padre.

Era giunto il tempo di scrivere o riscrivere la trama della sua vita.

Passò i controlli di identità e attese che il nastro trasportatore le restituisse il suo bagaglio.

Non avendo nulla da dichiarare alla dogana, si incamminò verso la zona accessibile al pubblico.

Fu ubriacata dai ricongiungimenti di diversi familiari, dai gesti calorosi e affettuosi con cui gli altri passeggeri che avevano viaggiato insieme a lei venivano salutati.

Si guardò con circospezione intorno alla ricerca di qualcuno che fosse li per lei, notando solo visi sconosciuti pensò che avrebbe fatto meglio a prendere un taxi pur non sapendo dove andare a Tokyo.

“Susie…Susie siamo qui!”

Sentì qualcuno ripetere il suo nome e vide una bambina agitare le mani per attirare la sua attenzione. Sorrise quando accanto alla piccola riconobbe Tom e si sentì più tranquilla.

“Ciao!”

“Questi sono per te! Trovare i fiori di campo in inverno è un po’ difficile…anche in Giappone!”

Le porse il bouquet composto con semplicità riscaldandole il cuore: si era ricordato delle sue confessioni, del suo desiderio di vivere un amore da adolescente e forse voleva accontentarla.

“Sono molto belli! Mi sei mancato!”

Gli sussurrò all’orecchio, prima di chinarsi verso la bambina.

“Tu devi essere Yoshiko, vero?”

“Esatto: sono Yoshiko Yamaoka! Tu sei la fidanzata di Tom?”

Se suo fratello tergiversava a metterla al corrente della verità forse la ragazza sarebbe stata più sincera con lei, anche perché, a primo acchito, aveva suscitato un sentimento di simpatia a Yoshiko.

“Yoshiko!”

La riprese Tom.

“Non preoccuparti! I bambini a questa età sono molto curiosi e…un po’ invadenti!”

Strizzò complice l’occhio a Yoshiko, facendole capire che avrebbero parlato più tardi da sole, di “cose di donne”.

Durante il tragitto in taxi Susie diede informazioni sul signor Ichiro a suo figlio e Tom le spiegò che avrebbero alloggiato in una pensione per qualche settimana per permettere a Yoshiko di seguire la ginnastica di preparazione prima di portare il corsetto.

“Io non volevo metterlo ma la mamma mi ha detto: fai questo sacrificio adesso ed eviterai conseguenze peggiori da grande!”

Aggiunse Yoshiko, che si sentì in dovere di intervenire poiché l’argomento riguardava lei.

“La tua mamma è molto saggia! Io da ragazzina non volevo portare l’apparecchio ai denti ma…se non lo avessi fatto adesso non potrei neppure sorridere con i denti storti!”

Portò avanti il discorso Susie. La bambina, seduta tra lei e Tom, sembrava molto contenta di quella nuova compagnia.

“Però il tuo caso era diverso! Conosco molti ragazzi che portano l’apparecchi per i denti ma quasi nessuno che porta il corsetto!”

Rivelò Yoshiko, esternando la sua paura che il suo handicap l’avrebbe portata alla diversità dai coetanei.

“É perché non ci hai mai fatto caso! Vedrai che d’ora in poi ne troverai molti che hanno il tuo stesso problema!”

“Sarà come dici tu…!”

Mise l’ultima parola Yoshiko, non del tutto convinta. Tom e Susie si lanciavano occhiate cariche di significati, desiderando tanto parlare, contenti di essersi ritrovati.

Yoshiko riprese a sfogliare il suo libro.

“Sai che esistono pesci che possono mimetizzarsi! Guarda il pesce pietra ad esempio!”

Puntò il dito sul corpo tozzo del pericoloso abitante del mar Rosso e lo mostrò prima a Tom, poi a Susie.

La ragazza di Nankatsu rabbrividì alla vista di quell’esemplare.

“Non ci sono pesciolini più belli, Yoshiko?”

La bambina cercò ancora e poi sorrise trovando quello che le interessava.

“I pesci pagliaccio ad esempio? Sono anche i miei preferiti!”

Susie si sporse vero il libro rapita dalla curiosità della bambina.

“Anche Nemo è un pesce pagliaccio!”

Ricordò l’esemplare di un noto film di animazione.

“ Già! Ci somigliamo moltissimo: lui nasce con una malformazione ad una pinna e io ne ho una alla colonna vertebrale!”

Tom e Susie si guardarono al di sopra della testa della piccola e non aggiunsero altro per non rattristarla.

Yoshiko attirò Susie verso di sé e le bisbigliò qualcosa nell’orecchio.

“Credo che Tom sia un pesce viaggiatore ma non so se esiste nella realtà!”

Si scambiarono le loro congetture in gran segreto e poi scoppiarono a ridere insieme.

“E tu? Tu che pesce sei?”

Susie si raddrizzò sui posti posteriori della vettura e ridiventò seria.

Le venne da pensare alla rabbia che l’aveva portata a gonfiarsi come un pesce istrice durante le incomprensioni con il padre, agli invisibili aculei con cui aveva cercato di difendersi dagli attacchi di un mondo in cui era entrata per gioco e l’aveva portata lontana dalla sua famiglia.

“Un pesce istrice?”

Propose alla piccola Yoshiko, senza darle altre spiegazioni. L’altra scosse la testa.

“Sei molto più bella di un pesce istrice! Secondo me sei una sirena!”

Spiazzò sia Susie che Tom.

Il calciatore la vide nuovamente come un’ ama, come la donna pescatrice di perle.

Metà donne e metà pesce capaci di placare i venti con il loro canto o di far naufragare le navi che finivano sugli scogli attratte dalle dolci melodie delle sirene.

Susie gli aveva detto di essere nipote di una strega e Tom iniziò a sospettare che gli avesse fatto qualche incantesimo perché da quando l’aveva ritrovata nell’aeroporto, ormai quattro mesi prima, se ne sentiva attratto proprio come i marinai della mitologia lo erano stati del canto delle sirene.

Quel giorno, nello studio del Dottor Tanaka, Julian gli aveva detto che sua sorella era in grado di vedere cose che sfuggono agli adulti, di vedere la verità.

E forse aveva visto, prima degli altri, la vera essenza di Susie.

***

Ringrazio quanti continuano a seguire questa storia.

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Capitolo 33
*** "Quando gli animali vanno in letargo" ***


“Quando gli animali vanno in letargo”

Un profumo dolce ed invitante aveva invaso tutta la casa e dal piano inferiore provenivano i rumori tipici di chi armeggia e si destreggia tra fornelli e padelle.

Amy si girò supina nel futon e sorrise al pensiero che Julian stesse preparando la colazione. Restò sdraiata e si mise a fissare il soffitto.

Temporeggiò volontariamente prima di alzarsi e raggiungerlo, decisa a far chiarezza su quanto successo la sera precedente.

La notte aveva svigorito le emozioni del giorno prima e ora era in grado di guardarle con un cero distacco: come quando si vuole prendere coscienza che una cosa è accaduta realmente.

Aveva atteso per anni di dare quel bacio: lo aveva sognato, immaginato, rifiutato e alla fine se lo era preso.

La gelosia era stata la molla che aveva fatto scattare tutti i suoi timori e l’aveva portata a scoprirsi e a preferire la via della sincerità.

Provò ad essere felice per quell’amore ormai rivelato ma non vi riuscì appieno: un senso di vuoto permaneva in lei.

Rifiutò di pensare ancora, per evitare di mettere in crisi anche la cosa più bella che le era capitata nell’ultimo anno e decise di raggiungere Julian.

Il ragazzo le dava le spalle e si divideva tra il leggere il ricettario ereditato dalla nonna e il porre a cucchiaiate il composto di uova, zucchero e farina in una padella rivestita in teflon.

Amy avanzò silenziosamente e si mise a sedere su uno zabuton per distrarsi con l’arte culinaria a cui Julian sembrava avvezzo.

Quando sulla superficie del composto, posto sulla fiamma, iniziarono a formarsi delle piccole bolle il ragazzo rigirò la frittella e restò concentrato per rispettarne i tempi di cottura.

Intanto pensava a quel giorno al parco, quando aveva accusato Amy di star fuggendo da lui, ai silenzi che gli avevano fatto capire che amare significava anche saper aspettare, al boomerang che torna sempre indietro. Suo padre aveva ragione: era servita pazienza ma la persona più importante per lui era tornata.

Amy restava spettatrice muta mentre pensava alla solitudine e ai pasti condivisi con degli sconosciuti nel refettorio dell’università di Osaka.

Ritornava alla sera della partita quando lui aveva salutato i tifosi e aveva tirato dritto verso la sua strada, senza cercarla. Allora aveva pianto convinta di averlo perso per sempre.

Ricordò gli ottocento ponti di Naniwa, le parole di Malaika, i puntini all’estremità del foglio che devono trovare un punto di contatto.

In quei mesi in cui aveva vissuto da sola in una nuova città, sforzandosi di costruire un futuro diverso, si era ritrovata in uno stato di torpedine.

Come gli animali che quando vanno in letargo sopravvivono grazie al grasso immagazzinato durante l’inverno , per superare quei primi mesi Amy aveva attinto dal passato, dalla forza dei sentimenti indissolubili che la legavano a Julian e a Malaika.

E in qualche modo aveva superato i momenti di sconforto e si era illusa che, con il ritorno a casa, tutto si sarebbe risolto.

Perdere Malaika aveva sfaldato tutte le sue certezze, il letargo si era trasformato in una dimensione di sospensione e lei aveva posto la sua vita in standby.

Aveva rinunciato a mettersi in gioco, aveva dubitato su cosa volesse veramente, aveva smarrito la sua identità.

La sera precedente la disperazione, la realtà da affrontare, la paura di aver perso anche Julian per sempre erano stata la miscela giusta a scuoterla, a risvegliarla e a farle prendere coscienza di non voler più sprecare nessuna occasione.

Voleva tentare di correggere gli errori rimediabili e riscrivere la storia daccapo: reagire per ripartire.

Si sentì leggera e capace di farcela mentre, ignaro della sua presenza, Julian ultimava la colazione; poi si girò e si accorse di non essere solo.

“Ho preparato i dorayaki!”

Spiegò restando immobile, incerto se a lei avrebbe fatto piacere ricevere un gesto di saluto più caloroso.

“I dolci di Doraemon!”

Tenne viva la conversazione Amy, alzandosi dallo zabuton.

“Non sono riuscito a preparare l’anko però! Dovremo farcirli con la cioccolata!”

La giovane Aoba si avvicinò al piano di cottura.

“Non siamo proprio portati per le tradizioni noi due!”

Si sorrisero per sconfiggere quella sorta di imbarazzo che si era frapposta tra di loro: avevano parlato con sincerità la sera prima, si erano scoperti l’una con l’altra, erano stati vicini come non mai. Ma esporsi così apertamente li portava ora a temere i giudizi dell’altro.

“Una colazione atipica ma…buonissima!”

Giudicò Amy assaggiando il panino dolce, per poi ringraziarlo, con sua grande sorpresa, con un bacio sfuggevole.

“Non devi uscire questa mattina?”

Julian scosse la testa: non voleva lasciarla sola e aveva deciso di non andare in ospedale per il tirocinio.

“C’è qualcosa di particolare che ti piacerebbe fare?”

Cercò di invogliarla, coinvolgendola in qualche attività da fare insieme.

Amy non sapeva con certezza come organizzare la giornata: sarebbe voluta andare al cimitero da Malaika ma aveva paura delle reazioni che quella visita, voluta ma temuta, avrebbe potuto scatenare in lei.

Voleva provare a studiare di nuovo ma era cosciente di non provare la passione necessaria a ributtarsi sui libri.

Una parte di lei restava ancorata a pensieri di morte e di fine, uno strascico di pigrizia come ultima avvisaglia del letargo da cui stava, lentamente, risvegliandosi. Cercò di vincere il desiderio di ributtarsi nel futon e coprirsi la testa per isolare, ancora una volta, la realtà.

“Possiamo restare anche a casa! L’importante è stare insieme!”

Julian la guardava con un certo sospetto: vedeva in lei qualcosa di diverso e intuiva che le cose stavano cambiando in meglio.

“Ti va di parlare? Non lo abbiamo fatto molto ultimamente…se escludi le nostre diatribe!”

Amy gli diede ragione: il dialogo era stato scadente negli ultimi mesi tra loro, ed era tempo di recuperarlo.

Si avvicinò all’aspidistra e frappose una certa distanza tra lei e Julian.

“Vorrei tanto tornare a quel giorno al parco! A quando ti ho detto che andavo a studiare ad Osaka!”

“Perché?”

Julian non capiva.

“Non ti ho detto tutto quel giorno! Avevi ragione tu: stavo fuggendo! Da una vita che mi sembrava un film ripassato al replay tante volte e di cui ora mi sento spodestata e…fuggivo anche da te!”

“Avevi così tanta paura di continuare a stare accanto a me?”

Amy scosse la testa: ormai le erano chiare molte cose ma la tempistica del destino le aveva concesso di scoprirne alcune quando ormai era troppo tardi.

“Si Julian! Non volevo che la nostra vicinanza si trasformasse in qualcosa di forzato: sono dovuta partire per andare alla ricerca di me stessa!”

Lui si carezzò gli avambracci.

“E cosa hai trovato?”

“Non solo cose positive! Ho creduto di essere diventata egoista, ma in realtà questi mesi ad Osaka mi hanno cambiata…non so se in meglio!”

Julian gli si avvicinò e sfiorò le foglie della pianta.

“Sono sempre stato convinto che, dopo tutti questi anni, tra noi non ci fossero più segreti! Invece mi accorgo che ci conosciamo meno di quanto immaginassimo!”

Constatò, con una punta di amarezza.

“ È stato così fino allo scorso anno Julian! Ora sono cambiate tante cose e noi abbiamo paura anche di dirci la cosa più evidente!”

Il ragazzo arrossì sapendo bene a cosa Amy alludesse: sapevano di volersi bene, di essere sempre stati complici, si erano baciati eppure non erano riusciti ancora ad esprimere a voce alta il sentimento che li univa.

“Ti amo Amy! Forse da sempre!”

Trovò il coraggio di dirle. Lei si morse il labbro inferiore e poi sorrise.

“Lo so! Hai cercato di dirmelo in tanti modi: con il bacio degli eschimesi, il canto delle megattere, il tuo sacrificio di rinunciare al calcio per me…ma io ho sempre ignorato l’evidenza!”

“Avrei cercato altri modi…finché tu finalmente non avresti capito!”

Erano vicini, tanto che avevano finito per sussurrare ed Amy cercò perdono per le sue mancanze prendendolo per mano.

“Ora lo so! Ma ho bisogno di tempo Julian: credi di potermi aspettare ancora un po’?”

Lui sorrise: era quella dolcezza e quella capacità di apparire sempre forte che lo avevano fatto innamorare di Amy.

“Ho passato l’adolescenza a rincorrere la vita, non permetterò che ora sia la vita a rincorrere me!”

Non avevano nessuna fretta: le proiezioni perché i punti, all’estremità del foglio, convergessero verso il centro potevano essere tracciate con molta calma ora che si erano ritrovati e chiariti.

Quel giorno era tutto per loro e i problemi sembravano lontani, chiusi fuori dalla finestra: non esistevano distanze tra Tokyo e Osaka, non esistevano ricatti e scelte forzate per un futuro di cui non volevano preoccuparsi, anche il lutto che albergava il cuore di Amy si fece più sopportabile.

Esistevano soltanto Julian ed Amy.

“Mi parli di Yoshiko? Vorrei tanto poterla conoscere!”

Chiese poi Amy, ben sapendo quanto una bambina sconosciuta l’avesse aiutata a trovare la verità.

***** **********

Zabuton: cuscino giapponese per sedersi sul tatami.

Dorayaki: dolce giapponese formato da due pancake ricoperti con l’anko ( marmellata di fagioli azuki). Delle varianti prevedono anche ripieni di crema di castagne o cioccolato.

In genere la colazione giapponese prevede piatti salati, mentre i dolci vengono consumati con il tè: ecco il perché della battuta di Amy.

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Capitolo 34
*** "Da grande" ***


“Da grande”

Al triplice fischio dell’arbitro Amy aveva lasciato la tribuna e, con calma, aveva raggiunto l’uscita laterale da dove i calciatori avrebbero lasciato lo stadio.

L’FC Tokyo aveva chiuso la partita contro lo Jubilo Iwata sullo 0 a 0 e Julian non aveva disputato una delle sue migliori gare, un po’ perché aveva sofferto la marcatura adottata su di lui dalla squadra avversaria e un po’ perché nervoso per l’indomani quando avrebbe iniziato a svolgere il nuovo compito affidatogli dal Dottor Tanaka.

Amy si era accorta del malumore del ragazzo nello stesso modo in cui, da piccoli, non le sfuggiva l’insofferenza che gli provocava stare in panchina piuttosto che in campo a dar man forte ai compagni.

Era stata la prima partita da professionista di Julian a cui aveva assistito e in quei novanta minuti aveva riassaporato la stessa sensazione provata quel giorno nel refettorio dell’università: era consapevole che, per andare alla ricerca di sé stessa, aveva rinunciato a condividere dei momenti importanti con lui.

E tra i sostenitori della squadra di calcio della capitale si era sentita spaesata proprio come il primo giorno di università. Dai loro commenti, però, aveva capito che anche gli estranei avevano intuito che, quella domenica, nel libero della nazionale c’era qualcosa che non andava. Ad Amy venne da sorridere nel constatare che Ross aveva abituato bene i suoi nuovi tifosi.

Pensò che se il signor Goro avesse visto, almeno una volta, il nipote giocare avrebbe tentennato sul futuro forzato da imporre a Julian.

I primi calciatori iniziarono a guadagnare l’uscita: l’ex manager della Mambo provava ad associare i volti ai nomi che aveva letto sull’albo della squadra. Conosceva bene l’Ajinomoto Stadium perché in passato era andata ad assistere a diverse partite con e per Julian, ma da allora la squadra era stata rivoluzionata.

Ora desiderava soltanto raggiungere Julian per andare a casa insieme a lui e chiudere fuori dalla porta tutti i problemi.

** ** ** ** ** ** ** ** **

“Ciao Amy! Sei venuta a vedere la partita di Julian?”

Fu distratta dalla voce di qualcuno che l’aveva riconosciuta. Si voltò e si trovò innanzi ad un terzetto inedito per lei: Tom Becker le sorrideva gentile tenendo la mano ad una bambina che la scrutava con una certa curiosità, l’altra mano della piccola era stretta tra i guanti di una bella ragazza che restava in silenzio.

Annuì e si affrettò a salutare in maniera più eloquente.

Conosceva Tom Becker solo attraverso gli aneddoti che le raccontava Julian e i frammenti dell’esperienza dei campionati giovanili.

“Salve Tom…”

Poi, come ricordandosi di qualcosa, si concentrò sulla bambina che lo affiancava.

“Lei è Yoshiko?”

Cercò conferme vedendo in lei uno specchio in cui si riflette il passato: gli occhi di Yoshiko risplendevano della vivida curiosità, dell’impazienza di crescere e della leggerezza tipica dei suoi undici anni.

“Come fai a conoscere il mio nome?”

Diede subito prova della sua disinvoltura la piccola.

“Julian mi ha molto parlato di te!”

Avrebbe voluto ringraziarla perché, per un malinteso, grazie a lei si era svegliata dal letargo ma sapeva che sarebbe stata una situazione molto complessa da spiegare.

“Amy è una cara amica di Julian!”

Spiegò quindi Tom per poi coinvolgere anche Susie nelle presentazioni.

“Amy, lei è Susie Spencer: è stata manager della New Team per qualche tempo!”

La giovane Aoba le tese la mano cordiale: era la prima volta, da quando aveva perso Malaika, che non additava le persone nuove come ladre del suo passato. Riusciva a riconoscersi in Susie, vedeva uno sguardo che cifrava segreti pesanti da sostenere e provò una certa affinità verso di lei.

Non aggiunsero altro riconoscendo la figura del calciatore dell’FC Tokyo avvicinarsi a loro. Con sua grande sorpresa Amy gli diede un bacio e poi lo prese per mano davanti ai nuovi amici.

“Ho conosciuto Yoshiko!”

Precisò l’evidenza perché quell’incontro fosse la pietra tombale sui loro screzi e le loro incomprensioni.

“Certo che Bruce non c’è andato leggero oggi con te!”

Cercò di mettere tutti a proprio agio Tom rivolgendosi al compagno di nazionale.

“In fondo mi aveva avvertito che non avrei avuto vita facile con un difensore come lui!”

Per la prima volta da quando si conoscevano scoppiarono a ridere insieme confondendo le ragazze.

“Hai saputo che le convocazioni per la prossima amichevole del Giappone saranno diramate domani?”

Julian annuì e non aggiunsero altro: non volevano allontanarsi da Tokyo e dai loro affetti più cari in quel periodo.

Dal viaggio di ritorno da Kòbe, ultima uscita della Nazionale nipponica, molte cose erano cambiate per entrambi.

Avevano conosciuto persone nuove.

Avevano scoperto sensazioni nuove.

Si erano trovati a gestire vite nuove.

“Ragazze vi va qualcosa da bere?”

Tom utilizzò la prima scusa che gli venne in mente per parlare da solo con il compagno di Nazionale.

**** *** *** “Domani è il grande giorno per Yoshiko! Sai un po’ lo temo!”

Espose la ragione che gli stava a cuore quando furono abbastanza lontani dal tavolino all’aperto dove li aspettavano le ragazze.

“Starà tranquilla ancora un po’: dovrà seguire almeno due settimane di ginnastica di preparazione…anche se finirà pur sempre in ospedale! Ma…dopo l’apnea si torna a respirare!”

Julian cercò di essere complice con Tom e di fugare le incertezze su un mondo che, ancora, spaventava entrambi.

Becker capì che stavano riprendendo e chiudendo il discorso iniziato qualche sera prima, quando era andato a cercare il dottore di sua sorella per conoscerne meglio il problema.

"Ora che ho ritrovato Amy posso provare ad assecondare la tua richiesta: staremo entrambi vicino a Yoshiko!”

Tom tornò a quella sera: non aveva mai visto nessuno sconvolto come Julian al pensiero che ad una persona importante potesse capitare il peggio.

“Amy sembra molto serena oggi! Sono contento che sei riuscita a trovarla!”

Julian sorrise e decise di dirgli la verità fino in fondo.

“Per merito di Yoshiko!”

E gli raccontò tutta la storia.

**** *** ***

Una ragazzina con i capelli tinti di viola e dalla pettinatura improbabile sfilò innanzi al tavolo delle ragazze facendo storcere il naso ad Amy e facendo, al contrario, gongolare Yoshiko.

“Da grande anche io farò le tinte colorate ai capelli!”

Informò la bambina.

“Lo avessi fatto io mio padre mi avrebbe cacciata di casa!”

Rivelò Susie facendo apparire ancor più forte la loro compatibilità ad Amy.

“Io a undici anni pasticcia con i colori a tempera e mi ritrovai con le punte dei capelli neri: mia madre me li spuntò la sera stessa!”

“Si ma se lo fareste ora nessuno vi direbbe niente!”

Rafforzò la sua convinzione della libertà che implica l’essere grande Yoshiko.

“ Ma allora lo facevo per sfidare il proibito! Ora nemmeno mi divertirebbe!”

Ammise Amy, constatando di come la realtà della vita ne avesse indurito il carattere.

“Io non vedo l’ora di diventare grande! Farò tutto quello che non posso fare adesso!”

Susie ed Amy si arresero innanzi alla fermezza di quel desiderio: anche loro erano state bambine smaniose di crescere.

Da grandi però rimpiangevano l’età spensierata di Yoshiko.

Nessuna delle due lo disse: soltanto crescendo la bambina si sarebbe accorta che la sua, con tutti i problemi che comportava, era l’età più bella.

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Capitolo 35
*** "Nel guscio della tartaruga" ***


“Nel guscio della tartaruga”

Sdraiata su un tappetino verde, nella spaziosa palestra dell’ospedale per svolgere gli esercizi di cinesiterapia, Yoshiko si trovava con la mente lontana dai gesti ripetitivi e noiosi a cui il suo corpo era costretto.

Vagava nella sala di danza dove aveva mosso i suoi primi passi da ballerina tanto da immaginarsi con le spalle ben allineate alla spalliera piuttosto che sul freddo pavimento e le mani poggiate sulla sbarra della danza classica.

Tra il silenzio religioso con cui altri pochi ragazzi, di fianco a lei, seguivano le indicazioni del fisioterapista si sforzava di ricordare la musica che aveva accompagnato le sue piroette e le sue capriole.

Nella mescolanza di profumi, anche forti, di gomma e ferro che caratterizzavano quell’ambiente alle narici della piccola si aggiungeva anche quello delicato dei fasci di fiori con cui il papà la omaggiava al termine di ogni saggio.

Agli ordini cadenzati del fisioterapista sostituiva la voce flautata della mamma che riusciva a farle apparire come un gioco qualsiasi sacrificio.

Da una porta, lasciata semiaperta, giunsero degli intensi odori di cuoio e plastica che provenivano dalle officine dove venivano confezionati i corsetti. Yoshiko lo percepì come una traccia del suo futuro prossimo: si innervosì e si intristì un po’ spazzando via il suo sogno di ballerina.

Quando i primi lacrimoni di resa le stavano spuntando sugli occhi guardò il ragazzo che affiancava il fisioterapista e non si sentì più tanto sola in quell’ambiente sconosciuto.

Julian, accortosi del disagio della sua piccola amica, le strizzò l’occhio come a voler stipulare con lei un tacito patto a sostenersi a vicenda in quella situazione.

Il fisioterapista aveva preferito lavorare con non più di cinque ragazzi per volta perciò per Yoshiko, che “sapeva leggere la verità”, non era stato difficile indovinare i pensieri degli altri e accorgersi che, come lei, anche Julian si sentiva un pesce fuor d’acqua.

“Ora per concludere la nostra ora insieme vi insegnerò come rimettersi in piedi al mattino quando avrete il corsetto!”

Suggerì il fisioterapista senza lasciar trasparire nessuna emozione innanzi alla nuova situazione con cui quei ragazzi dovevano fare i conti, probabilmente assuefatto al suo lavoro. A Julian venne spontaneo paragonarlo agli invitati della festa di laurea di Akito, a quegli amici del nonno fossilizzati nei loro modi di fare snob e abituati ad avere il controllo su tutto e su tutti.

Un po’ come il vecchio Goro aveva fatto con lui.

“Immaginate di essere nel guscio di una tartaruga e di esservi capottati sulla vostra carapace…per riprendere posizione dovrete fare molto lentamente e usare le mani per sostegno!”

L’uomo diede una distribuzione pratica di quanto detto e poi, facendosi aiutare dal giovane tirocinante, controllò che i suoi allievi eseguissero correttamente l’esercizio.

“Non trovi che sia buffo immaginare di portare una casa sulle spalle proprio come le tartarughe?”

Chiese Yoshiko, impegnata nel suo esercizio, quando Julian fu abbastanza vicini per aiutarla.

“Forse! Ma è un esempio di grande effetto!”

Tenne la conversazione con complicità.

Mentre gli altri quattro ragazzini raggiunsero l’uscita, Yoshiko se ne restò per qualche attimo con il “finto dottore”.

“Mia mamma dice che quando una donna aspetta un bambino è come se avesse uno zaino pieno di libri sulla pancia! Pensi che con il corsetto sarà un po’ l’inverso? Cioè come avere il pesante zaino sulla schiena?”

Julian si strinse nelle spalle: non conosceva quelle sensazioni ma si era accorto che quegli improbabili paragoni riuscivano a rassicurare Yoshiko.

“È sempre un peso in più che dovrà portare il tuo corpo! Come indossare un’armatura di un cavaliere medievale?”

Ormai la tensione di quella nuova esperienza si era sciolta per entrambi e si divertivano a minimizzare una situazione che, non conoscendo ancora bene, un po’ li spaventava.

Yoshiko scoppiò a ridere fino alle lacrime e tutto il suo viso si illuminò: ancora una volta agli occhi di Julian parve una bambolina di porcellana, come quelle da collezione.

“Basta che non inizi a muovermi o a camminare come Robocop!”

Scongiurò divertita la ragazzina, richiamando la figura metà uomo e metà macchina.

Julian stava per aggiungere qualcosa per continuare a darle corda ma vennero interrotti da un inserviente che li distrasse e comunicò al ragazzo che qualcuno lo stava attendendo per parlare con lui.

**** ********* **********

In un primo momento pensò potesse trattarsi del Dottor Tanaka, il suo tutor che magari voleva accertarsi di avergli assegnato i giusti compiti per il restante periodo di tirocinio.

Quando però entrò nella sala- medici e vide chi era seduto alla scrivania il buonumore di poco prima scomparve all’improvviso.

Non vedeva suo nonno da un bel po’ di tempo e, dopo il rifiuto dell’immeritato voto dell’esame, aveva di proposito evitato la sfuriata di Goro.

Il vecchio uomo tastava la liscia superficie di legno e poi ricalcava con un dito le incisioni di una targhetta con sopra un nome.

“Quando torno qui torno alla mia vita…al mio passato! Certi luoghi, certi rumori, certi profumi ti restano dentro per sempre!”

Ammise il cinico medico, ormai in pensione, con una punta di nostalgia che era inconsueta in lui.

“Sono le stesse sensazioni che vorrei provare io se alla tua età tornassi su un campo da calcio…se solo tu non me lo impedissi!”

Recriminò duro Julian poggiando le mani sulla spalliera di una sedia fissandolo dritto negli occhi.

Forte del disprezzo alla disobbedienza e ai colpi di testa del nipote, Goro ricordò il motivo del suo ritorno in ospedale e fece uno sforzo per non battere i pugni sulla scrivania.

“Tuo cugino Akito la settimana prossima inizia la sua nuova vita nel mondo del lavoro! Un medico preparato in una delle cliniche più prestigiose di Tokyo a soli ventiquattro anni! Sarà un professionista rispettato, con un lavoro ben retribuito e un futuro senza sorprese assicurato, nonché rampollo di una importante famiglia!”

Julian aveva annuito alla disanima del nonno, aspettando che finisse di parlare, senza scostarsi della sua posizione.

“Lo hai addestrato bene il tuo pappagallino Akito a quanto pare! Dimmi andavi a corrompere anche i suoi professori per fargli ottenere un trenta ad un esame di cui non sapeva neanche di cosa parlasse?”

Ormai Julian non aveva più paura delle minacce dell’influente uomo ed era stanco di nascondersi dietro alle sue paure e ai voleri degli altri: aveva deciso di fare di testa sua anche questa volta conscio che agendo in questo modo avrebbe potuto mettere a rischio il suo futuro nel calcio.

Il vecchio Goro non poté più trattenersi dal battere i pugni sul ripiano che aveva innanzi, facendo sobbalzare il nipote.

“Tuo cugino è un ragazzo con la testa sulle spalle e non per aria come la tua! Non ha avuto bisogno che io intercedessi per lui con i suoi professori…solo tu rifiuti il mio aiuto per il tuo futuro!”

Lo rimproverò adirato.

Julian sapeva che se non fosse stato per Goro il caro cugino si sarebbe trovato ancora con un anno di corso da completare: preferì però glissare sull’argomento anche perché Akito era il nipote prediletto di nonno Goro.

“Io però non lo voglio un futuro già pianificato! Dopo essere stato ad un passo dalla morte non voglio programmare più niente! Potrò sembrare folle o incosciente ma voglio vivere con intensità ogni mia giornata!”

Si scoprì Julian toccando tasti di cui, in genere, era restio a parlare. Goro gli riservò un applauso sarcastico.

“Il filosofo del clan Ross! Devo ricordarti il nostro patto e la mia amicizia con il medico dell’FC Tokyo?” A Julian prudettero le mani dalla rabbia e provò l’irrefrenabile desiderio di usarle per riprendersi la sua vita, ma non sapeva di preciso dove andare a pescare in quel vicolo cieco.

“Il tuo ricatto vorrai dire! Sei una persona odiosa…squallida e odiosa!”

“Adesso basta ragazzino! Sei uguale a tuo padre!”

Goro incassava quegli epiteti spregiativi prendendo la questione come una sorta di sfida a misurare il grado di collera più alto tra il suo e quello di Julian.

“Comunque questo è stato il mio ultimo giorno di tirocinio e…di studente di medicina! Puoi andare a parlare anche con il presidente del mio club o se vuoi con tutta la federazione di calcio nipponica ma di una cosa puoi star certo: non mi lascio più intimidire da te!”

Goro lo guardò sconcertato capendo che la sua presa sulle aspirazioni del ragazzo si stava allentando e lui non avrebbe potuto riacciuffarlo.

“Non so nemmeno perché ti sono venuto dietro in questa tua folle idea di avere una discendenza di soli dottori! Quello è il tuo sogno non il mio: l’altro giorno ho immaginato, se mai arriverei alla laurea, che scopo avrebbe avuto la mia vita in questi anni e quello che ho scoperto non ha fatto piacere a me e non piacerà nemmeno a te!”

Goro lo guardava in silenzio, disposto ad ascoltare le sue motivazioni.

“Avrei buttato via anni importanti della mia vita per qualcosa che non voglio e non vorrò mai fare in futuro!”

“Lo capisci che occasione d’oro ti era capitata per l’avvenire con un nonno come me?”

L’ultimo flebile tentativo di Goro di farlo ricredere e tornare sui suoi passi.

“No nonno era un’occasione che ti sei creato per te…per provare qualcosa a te stesso! È difficile da spiegare…e se saresti stato dall’altra parte della scrivania quando lavoravi in ospedale forse riusciresti a capirmi un po’: io in questo posto mi sento prigioniero…del mio passato…dei miei incubi…della sofferenza degli altri! E se non sarai tu a spezzare le catene di questa prigionia…lo farò da me! A qualsiasi costo!”

Rafforzò la sua convinzione Julian rendendo definitiva la sua decisione.

Non lo spaventavano più le ritorsioni del nonno e sperò che, avergli parlato a cuore aperto, servisse a smuoverlo un po’ dal suo fare ottuso.

Non aspetto la replica di Goro per troncare una discussione che per lui era conclusa. Si allontanò dall’uomo a passo di gambero e quando, dopo essersi richiuso la porta alle spalle, si trovò da solo nel lungo corridoio emise un profondo sospiro sentendosi alleggerito di un peso enorme.

Rasentando la parete una piccola ombra si allungò di fianco a lui. Si girò e si trovò vicino Yoshiko con la testa fasciata in un grande fazzoletto.

“Piccola cosa ti è successo? Ti sei fatta male?”

Chiese con un po’ di apprensione Julian leggendo un senso di colpa negli occhi vivaci della bambina. Lei scosse la testa e si decise a scoprirsi il capo per mostrarsi il suo segreto, anzi il suo disastro.

I lunghi capelli neri le ricaddero sulle spalle ma, alle punte, apparivano appiccicosi e di tonalità scure diverse l’una dall’altra.

“Volevo provare a fare qualche ciocca bionda ma…i colori a tempera non hanno funzionato! Se mi vede mia mamma…”

Si pentì della sua ragazzata sperando che Julian l’aiutasse a trovare una soluzione prima che la vedesse Yumiko.

Il finto dottore ci pensò su un attimo e poi le sorrise sicuro.

“So io chi può aiutarci!”

******* ************* **********

Robocop è una figura cinematografica, poliziotto metà uomo e metà macchina che lotta nella città di Detroit.

Ringrazio quanti continuano a leggere, seguire e recensire questa storia, quanti l’hanno inserita tra le preferite e le seguite.

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Capitolo 36
*** "Barbie girl" ***


“Barbie girl”

Shiro, il gatto di Amy, continuava ad investigare con circospezione nella nuova casa mentre la ragazza riempiva una ciotola di acqua fresca e l’avvicinava a lui perché si dissetasse.

“Su Shiro…non resteremmo per sempre a vivere con Julian!”

Cercò di rassicurarlo la padrona iniziando a solleticarlo sotto il mento: gesto che il felino apprezzava sempre e che lo induceva a fare le fusa.

Nella voce di Amy però c’era un velo di rammarico e tristezza nella consapevolezza che quella strana convivenza, che molto di lei e dei suoi sentimenti le aveva fatto scoprire, presto si sarebbe interrotta.

Si staccò dal gatto, che riprese il suo prudente giro di perlustrazione, e si avvicinò al davanzale: accanto all’aspidistra e al cd degli albatros figurava un plico sigillato indirizzato a Julian, poiché portava il timbro della federcalcio giapponese per Amy non era difficile capire di cosa si trattasse.

Si chiese se il ragazzo avesse già appreso dai mass media la sua scontata convocazione per i prossimi impegni della Nazionale e cercò di non farsi sopraffare dal desiderio egoistico di averlo per se e non lasciarlo partire.

Temeva la solitudine di quella casa, gli spettri dei suoi pensieri più bui, il sapere Julian lontano da lei sia pure per pochi giorni: una parte di lei era ancora addormentata nel dolore inevitabile per la perdita di Malaika e non aveva certezze su quanto tempo le sarebbe occorso per uscire del tutto dal letargo.

Sentendo dei rumori sul pianerottolo Shiro cercò in fretta un posto isolato dove nascondersi per essere al sicuro da eventuali pericoli: Amy si riconosceva nel suo animale, in quello spaesamento che aveva provato anche lei nelle buie e fredde mattine di Osaka.

“Sono tornato!”

Si annunciò Julian facendo più fracasso del solito. Le paure di Amy svanirono in un secondo perché avere Julian equivaleva ad avere una parte della sua famiglia.

“Ho portato un ospite davvero speciale oggi! Ha urgente bisogno del nostro aiuto!”

Continuò il ragazzo dando un’affettuosa carezza ad Amy e nascondendo con l’altra mano l’ospite. Dalle espressioni del calciatore l’ex manager della Mambo capì di dover stare al gioco.

“E come possiamo aiutare questa tua bella ospite?”

Chiese con tono scanzonato, girandogli intorno per indovinare chi gli si nascondesse dietro la schiena avendo già intuito di chi si trattasse.

“Una bambina un po’ pasticciona che ora cerca una brava parrucchiera!”

“Non sono più una bambina!”

Saltò fuori Yoshiko, ribadendo il concetto che gli aveva chiarito la prima volta che si erano incontrati, innanzi all’acquario dei pesci rossi.

La determinazione della piccola ospite strappò ad Amy una risata genuina e spontanea, che non si sentiva da molto tempo.

Quando finalmente Yoshiko si scoprì del copricapo il pasticcio che aveva combinato sui bei capelli scuri fu accolto da un’espressione contrariata di Amy.

“Credi che la figlia di una parrucchiera potrà far tornare questa chioma al suo splendore?”

Cercò una risposta affermativa Julian, sicuro di aver cercato la soluzione nella persona giusta. Secondo Amy c’era qualcosa di stano, quel giorno, nel modo di esprimersi e di porsi del calciatore: se ne avrebbe saputo i motivi avrebbe sicuramente azzardato che Julian era felice.

“In fondo è anche un po’ colpa mia se ti è venuta l’idea di pasticciare i capelli con le tempere! Dobbiamo però andare nel salone di mia mamma: lì troveremo tutti i prodotti che ci occorrono!”

La rassicurò Amy, sicura di poter risolvere il piccolo problema della bambina.

******** ******* **********

Prima di partire Kezia aveva lasciato tutto al proprio ordine, anche se il salone senza clienti e con il cartellone di chiusura alla porta d’ingresso acuivano il senso di solitudine di Amy, le facevano sentire più marcata la nostalgia per la distanza dai genitori e la confinavano a quella dimensione di sospensione in cui la sua vita stava transitando da diverso tempo.

Yoshiko si incuriosì subito ai diversi accessori che adopera una parrucchiera nel suo lavoro e quando non conosceva l’utilizzo di un oggetto ne chiedeva prontamente informazioni ad Amy. “L’ultima volta che sono passato da qui ti ho fatto ustionare con il phon!”

Le sussurrò Julian, un po’ amaro per l’epilogo che aveva avuto quella giornata.

“Non ti ho trattato bene quel giorno! Ma in quel periodo ero così nervosa che appena ti vedevo mi facevo male!”

Julian capì che le parole di Amy non intendevano solo un dolore fisico ma uno molto più profondo, legato alla confusione e alla paura di ferirlo con quella scelta di allontanarsi da lui.

“Per fortuna oggi non ci sono le signore della messa in piega!”

Azzardò Julian per stemperare quel momento di confessioni così intime e delicate, facendo nascere un sospetto in Amy.

“Quindi ti accorgevi degli sguardi che ti lanciano le attempate clienti di mia madre quando passi di qui?”

Il libero della nazionale diede una conferma divertita.

“So anche che oltre al principe del calcio sono diventato l’Apollo di Tokyo!”

Cercarono di soffocare una nuova risata per non insospettire Yoshiko che li aveva già accusati di confabulare alle sue spalle. Julian aveva sempre trovato ridondanti gli appellativi con cui si celebrava il suo talento calcistico e aveva sempre trovato il modo di scherzarci su con Amy.

“Saranno invidiose di sapere che ho trovato la mia ninfa!”

La stuzzicò facendola arrossire.

Yoshiko tornò indietro, interrompendo i due ragazzi per conoscere una nuova cosa.

“Cos’è questa?”

Mostrò un involucro di un nastro magnetico, sull’esterno la copertina era ormai illeggibile.

“ Si chiama musicassetta! Quando ero bambina io si ascoltavano queste perché ancora non avevano inventato i cd!”

Da quella spiegazione si accorse di come fosse passato veloce il tempo, di come l’epoca della sua infanzia era scivolata via senza renderla consapevole di essere diventata adulta prima delle coetanee.

Ricordava come era stata felice nel riceverla come regalo per il suo ottavo compleanno, dei pomeriggi passati a canticchiare i brani che conteneva con le compagnette di scuola, delle ragazze- barbie che si ostinavano ad imitare improvvisando look sempre diversi.

“Possiamo ascoltarne solo un pezzetto?”

Chiese l’intraprendente Yoshiko.

“Se trovo la mia vecchia radio possiamo ascoltare mentre faccio una spuntata ai tuoi capelli!”

Acconsentì Amy adempiendo ai suoi propositi, sistemando una mantella cerata intorno al busto della piccola cliente per non sporcarla.

Cercò di attenersi alle volontà di Yoshiko che sperava si potesse mantenere una discreta lunghezza dei capelli che l’avrebbero aiutata a nascondere la futura presenza del corsetto.

Julian ed Amy si accorsero che, nonostante quelle ore di spensierata evasione, una sottile inquietudine agitava la sorellina di Tom.

Quando partirono le prime note Amy fece un immenso sforzo e, per apparire libera da pensieri tristi, si mise a canticchiare come faceva sempre quando aiutava la mamma.

La prima canzone la riportava ai pomeriggi spesi con le amiche, tra compiti e merendine, e il motivetto allegro l’aiutava a mettersi di buon umore.

Dopo qualche strofa anche Yoshiko si unì a lei mentre Julian, seduto in disparte, ammirava compiaciuto la metamorfosi della ragazza che amava.

Barbie nella canzone ripeteva di pettinarle i capelli e le ragazze iniziarono ad agitare le spazzole in aria.

Man mano che la musica procedeva loro si facevano più disinibite e spigliate finché si decisero a coinvolgere anche un impacciato Julian nei loro improvvisati e divertiti movimenti.

Lo circondarono una dal lato destro e l’altra da quello sinistro e lo trascinarono nel mezzo del salone.

Ken, nel ritornello, stava invitando la fidanzata Barbie a fare un giro ma ormai loro non facevano più caso al testo della canzone, quanto all’orecchiabilità e al lasciarsi andare dimenticando tutto il resto.

“Avanti Julian impara dalla nostra piccola ballerina!”

Lo invogliò Amy muovendosi intorno a lui. Le ragazze erano sempre più scatenate, tanto che ad un certo punto anche Julian abbandonò il suo riserbo e si lasciò trascinare da quell’euforia.

Ormai il salone della signora Aoba sembrava una pista da discoteca dove i tre si muovevano sinuosi, provavano parrucche sulla testa dell’altro quando captavano qualche parola della canzone e si affidavano per lo più all’improvvisazione.

Quando Ken, alla fine, diceva a Barbie di amarla, Amy finì, accaldata, tra le braccia di Julian.

Riprendendo il controllo di sé si sentì un po’ in imbarazzo per quella situazione.

“Bravissimi! Siete molto più divertenti della mia insegnante di danza!”

Si complimentò Yoshiko.

Amy le aggiustò i capelli e poi Julian la riaccompagnò in ospedale.

Quando rincasò a casa dei nonni trovò Amy meditabonda con qualcosa tra le mani.

“Chissà se la vita in un mondo di plastica è davvero fantastica!”

La distrasse riferendosi al testo della canzone. La ragazza si strinse nelle spalle.

“Da bambina andavo matta per quella canzoncina orecchiabile…e pensare che è stata considerata una delle peggiori canzoni degli anni novanta!”

“A me sembra abbia avuto un buon successo!”

Amy non ribatté e gli consegno la busta della convocazione. Julian lisciò la busta esterna senza aprirla.

“Temo sarà l’ultima volta che giocherò con la nazionale!”

Le confidò.

“Ho affrontato mio nonno e gli ho detto che non mi lascio più usare per i suoi raggiri!”

Ad Amy fu chiaro lo strano comportamento di prima: non era felicità quella di Julian ma senso di libertà.

“Sono fiera di te! Affronteremo tutto insieme…!”

Gli si strinse accanto lei. Julian preferì non indugiare sull’argomento e sorrise.

“Oggi con te e Yoshiko mi sono divertito come non avevo mai fatto in vita mia!”

“Anche io ho provato sensazioni belle dopo tanto tempo! Credevo non sarebbe più stato possibile!”

Si sorrisero e capirono che gran parte del merito andava attribuito ancora una volta a Yoshiko: aveva dato loro la prova che non è mai tardi per scoprire anche parti positive di sé.

Il viaggio in Korea del Nord però si avvicinava e Julian non voleva lasciare da sola Amy a Tokyo.

***** **********

• Gli accenni della canzone contenuta nella musicassetta di Amy si riferiscono a “Barbie girl” degli Acqua: ha avuto molto successo sul finire degli anni ’90. L’ho scelta non perché abbia un testo particolare ma per il suo motivetto allegro e orecchiabile.

Mi scuso per l’enorme ritardo con cui giunge questo aggiornamento e ringrazio quanti continuano ad avere la pazienza di aspettare e continuare a seguire la storia.

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Capitolo 37
*** "Polvere di stelle" ***


“Polvere di stelle”

Sorpassato il distretto Tsukiji, Susie cercò di scrollarsi di dosso il sapore di salsedine che l’attraversare il più grande mercato ittico del mondo le aveva lasciato in bocca.

Stando alle indicazioni che aveva ricevuto doveva ormai essere vicina alla meta.

Tirò fuori un pacchetto di fiammiferi dove Julian le aveva scarabocchiato alla meno peggio il suo indirizzo e si ritrovò a ripensare a quando, appena arrivata a Parigi, Tom le aveva regalato la sua guida affinché ritrovasse la via di casa.

Tom era partito da meno di un giorno assieme alla nazionale di calcio e già ne sentiva la mancanza: senza di lui a Tokyo si sentiva sola e credette che lo stesso poteva accadere ad Amy, forse per questo Julian si era rivolto a lei.

La sera precedente il calciatore dell’FC Tokyo si era presentato alla pensione dove alloggiava temporaneamente con Tom e sua madre: Susie, dapprima aveva creduto che fosse venuto per parlare con il compagno di squadra e perciò aveva trovato bizzarro il fatto che avesse chiesto esplicitamente un favore a lei, che conosceva appena.

Da quanto le aveva raccontato Tom, di Julian si era fatta l’idea di un ragazzo estremamente riservato e se arrivava a chiedere l’aiuto di una perfetta sconosciuta doveva sicuramente essere guidato da un sentimento molto forte verso Amy. “Forse crede la mia compagnia possa in qualche modo aiutarla a superare le difficoltà!”

Aveva meditato Susie non pienamente consapevole dei problemi di Amy: Julian le aveva solo accennato che la ragazza stava attraversando un periodo difficile e che sarebbe partito più tranquillo nel non saperla sola.

La ragazza di Nankatsu si era sentita importante e utile e aveva accettato di buon grado quella richiesta di aiuto: non le andava di restare a deprimersi nella sua stanza della pensione con la televisione sincronizzata sul match in Korea e la mente a vagare sui precari equilibri di un futuro ancora incerto. Amy, a primo acchito, le era risultata dolce e disponibile e sperò di poter trovare in lei un qualcosa di simile all’amicizia.

Susie aveva sempre avuto difficoltà a rapportarsi con le coetanee e spesso le aveva trasformate, nella sua mente, in esaminatrici pronte a giudicare e condannare la sua non eccelsa condotta di vita, fino ad allontanarle da lei.

Aveva capito che Amy era diversa da quelle finte amiche.

Ricontrollò la scatola dei fiammiferi e si accorse di essere arrivata sul pianerottolo cui affacciava la casa dei nonni materni di Julian.

*** ***** ****

Amy cercava tutti i diversivi possibili per impegnare la mente e non pensare: sperava che l’orario di messa in onda della partita arrivasse presto per distrarsi e far finta di avere Julian con sé.

Shiro, rannicchiato su un vecchio drappo, aveva trovato il suo angolo di quiete e non era di nessuna compagnia.

La giovane Aoba pensò di telefonare ai genitori ma temette che sentirne la voce e saperli così lontani da lei ne avrebbe acuito la tristezza.

Sperò che i pensieri sul passato, sul suo lutto, non tornassero ad opprimerla e cercò di scacciarli appena si affacciavano alla mente.

Era ancora alla ricerca di un’attività per far scorrere più veloce il tempo quando il campanello annunciò visite.

La ragazza sul pianerottolo portava un involucro di carta tra le mani.

“Ho pensato che sarebbe stato bello vedere la partita insieme!”

Spiegò l’esuberante Spencer cercando una scusa plausibile per giustificare quell’improvvisata.

“Susie!”

Salutò Amy un po’ confusa dalla visita inaspettata.

“Ho portato il sushi…credo che non hai ancora mangiato, vero?”

A quella domanda l’ex manager della Mambo sorrise e la invitò ad entrare.

Per abbattere la diffidenza iniziale Susie le raccontò di come per poco non si era persa nella capitale nipponica, cosa assurda per una giapponese che si era saputa orientare a Parigi.

“Deve essere bella la Francia! Come mai sei ritornata?”

Si incuriosì Amy sorseggiando la sua bevanda. Susie temporeggiò qualche secondo non sapendo come sintetizzare le sue esperienze e le sue emozioni senza venire fraintesa.

“Ho capito che lì non avrei trovato la strada per la mia vita!”

Quella frase colpì Amy e la rapportò alla sua decisione di andare ad Osaka: forse era stato necessario intraprendere una via sbagliata per ritornare su quella maestra e capire di voler proseguire su quella.

“E ora credi di essere sulla retta via?”

Proseguì Amy interessata a sondare intenzioni molto simili alle sue. L’altra ragazza si strinse nelle spalle.

“Mi prenderai per matta se ti dico che sono scappata da Parigi e ora vivo alla giornata aspettando che si delinei la situazione di Tom per capire meglio anche la mia! Se mi chiedi del futuro posso dirti solo che vedo tanta confusione!”

Anche questa volta Amy capì perché aveva vissuto per diverso tempo una situazione analoga, sia pur con motivi diversi, aspettando che si risolvessero i problemi di Julian per poi pensare ai suoi.

“Sai un’artista, il papà di Tom, mi ha fatto un ritratto e me lo ha regalato prima di partire: mi ha aggiunto un nastrino nero intorno al collo e ha tracciato occhi inquieti di chi brama e non sa dove andare! Ecco io mi ritrovo in quella mia rappresentazione!”

Spiegò Susie srotolando il nori per lasciare che il ripieno si spargesse nel piatto. Stuzzicò la curiosità della sua interlocutrice che avrebbe tanto voluto vedere come un pittore avesse reso l’idea di una ragazza che ha il caos dentro di sé.

Intanto sullo schermo risuonavano già gli inni nazionali prima del match.

“Sarà dura stasera per i nostri ragazzi! Le convocazioni non sono potute essere ottimali e i calciatori che militano in Europa non hanno avuto la concessione dai loro club, impegnati nelle competizioni continentali!”

Osservò Susie catturando anche l’attenzione dell’altra ragazza sulla formazione del Sol Levante: Ross compariva tra i titolari, in posizione più avanzata rispetto al suo ruolo abituale.

“Se ti faccio una domanda prometti di rispondere con sincerità?”

Se ne uscì all’improvviso la padrona di casa, mentre la commensale lasciò le bacchette sospese a mezz’aria.

“É stato Julian a chiederti di venire da me?”

A Susie non piaceva dire le bugie.

“Diciamo che lui mi ha dato l’input per trascorrere una piacevole serata in buona compagnia! È preoccupato per te e ha cercato in me una soluzione per non saperti da sola!”

Per un attimo Amy si sentì trattata come una bambina e quasi accusò Julian di aver tramato alle sue spalle, poi, razionalmente, si ravvide e riconobbe di non essere nella situazione emotiva ideale a cercare la solitudine.

Con Yoshiko e Julian, pochi giorni prima, aveva riso di nuovo e si era per giunta divertita ma aveva timore si trattasse di un fuoco fatuo nel cimitero del suo dolore interiore.

Per non apparire scortese agli occhi di Susie, Amy decise di concedersi qualche minuto per riordinare le idee e far sfumare la rabbia nel credere che le sue questioni personali fossero diventate di pubblico dominio.

“Ho bisogno di una boccata d’aria!”

Annunciò, senza preoccuparsi di poter apparire scortese.

*** **** ******

Scoccato il quindicesimo minuto di gioco e vedendo che Amy non rientrava, Susie decise di raggiungerla sul balcone.

“Non avercela con Julian se si è rivolto a me! Ha agito in buona fede…è stato un gesto d’amore verso di te! “

Notando il disagio di Susie, Amy si ravvide di starsi comportando effettivamente come una bambina capricciosa.

“Cosa ti ha detto di me?”

“Che stai attraversando un periodo difficile e se doveva saperti sola era disposto anche a rinunciare alla convocazione!”

A quella rivelazione Amy rinsavì: per amor suo Julian avrebbe rinunciato anche a quella che sarebbe potuta diventare la sua ultima partita in nazionale.

Quella sera in cui lo aveva baciato per la prima volta, lui le aveva confessato che avrebbe rinunciato al calcio se solo fosse stata lei a chiederglielo: capì che lo avrebbe fatto veramente.

Seguì un lungo silenzio poi Amy rincasò qualche momento e raggiunse nuovamente il terrazzo: Susie era appoggiata alla balaustra e fissava intensamente il cielo.

Non c’era la luna in quella fredda sera d’inverno e, abituati gli occhi al buio, guardando verso sud si poteva intuire quale fosse la costellazione di Orione.

Le piccole palle incandescenti si muovevano, nel silenzio della notte, nell’immensità dell’universo.

“Sono così misteriose le stelle così lontane da noi eppure ci fanno sentire parte dell’universo!”

Commentò Susie accorgendosi del ritorno dell’altra.

“Non ho mai capito come facessero i popoli antichi a orientarsi guardando il cielo!”

Anche Amy protrasse la testa verso il cielo, con il naso all’insù, per contemplare quel meraviglioso spettacolo, fino a sentirsi anche lei parte dell’universo.

“È che in un certo senso le stelle sono i nostri antenati!”

“Che cosa significa?”

“Che la maggior parte degli elementi di cui siamo fatti e che ci consentono di vivere sono stati creati nelle stelle!”

“Quindi anche noi siamo, in un certo qual senso, delle stelle?”

Cercò di rafforzare quella teoria Amy, che ne era rimasta affascinata.

Susie si estraniò come se, tra quei corpi celesti, cercasse qualcosa di familiare.

“Credo che quando una persona ci lascia si trasformi in una stella e sia libera di vagare per l’universo! La mia sorellina Mikawo a quest’ora è un’esperta!”

Confessò Susie con dolcezza nella voce, senza ombra di pena per quella vita che era stata negata.

Amy sentì le affinità con Susie rafforzarsi e fu pronta a condividere con lei anche i suoi segreti.

“In realtà Mikawo non è mai stata una bambina: mia mamma l’ha persa prima che potesse vedere la luce! Non le avevano messo neppure un nome: sono io che l’ho chiamata Mikawo perché significa la bambina della pace e della verità!”

Spiegò tranquillamente Susie, ormai superato l’opprimente vuoto che l’aveva colta da piccola quando la mamma le aveva prima detto che sarebbe arrivata una sorellina e che, poi, la sorellina aveva preferito restare in cielo.

Crescendo aveva creduto che avere una sorella con cui litigare, con cui condividere vestiti e primi amori e con cui spartirsi l’amore dei genitori l’avrebbe fatta sentire meno estranea nel gelo della sua famiglia.

Voleva molto bene a suo fratello ma era sicura che con una sorella si sarebbe intesa meglio.

Aveva quattro anni allora Susie e per la prima volta aveva pianto per qualcosa che non era un capriccio.

Per qualche periodo aveva fatto finta che le sue bambole fossero Mikawo ma, poiché il senso di vuoto persisteva, aveva finito per convincersi che la sorellina fosse davvero rimasta in cielo e aveva iniziato a cercarla nelle notti buie.

“Sarebbe bello credere che dopo la vita ci si trasformi in stelle!”

Convenne Amy, allungando una foto verso la sua nuova amica.

Susie si avvicinò alla luce soffusa che proveniva dall’interno della stanza per delineare la figura immortalata dal flash: era una bella ragazza dagli occhi mandorlati e dall’aria scanzonata ma con il fascino che ispira i creatori di personaggi di manga.

“Si chiama…si chiamava Malaika! È la mia migliore amica…è morta quasi un mese fa in un’incidente! È dovuto a questo il mio periodo di difficoltà!”

Parlarne ad alta voce dapprima ferì Amy ma poi si rivelò un toccasana quello sfogo, mentre strofinava il palmo della mano sulle gote bagnate.

“Malaika è un nome bellissimo: in lingua swahili significa angelo!”

Amy, guardando le stelle, scoppiò in singhiozzi: era un pianto diverso dagli altri, non più carico di dolore, ma di liberazione e di condivisione per quel fardello che le stava schiacciando la vita.

“Sai credo che la tua amica Malaika abbia incontrato Mikawo nella parte di universo in cui è andata e che ora siano fatte di polvere…di polvere di stelle!”

Susie l’abbracciò e si ritrovò a condividerne la commozione.

**** **** ***

• Poiché in Giappone le vie non hanno nomi , alcuni hotel tracciato veramente gli itinerari su scatole di fiammiferi.

• Nori: alga in cui viene racchiuso il sushi

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Capitolo 38
*** "La fascia di capitano" ***


“La fascia di capitano”

Tom decise di abbandonare il ritiro della Nazionale per stare vicino a Yoshiko.

Quella con la Thailandia si apprestava ad essere poco più che un amichevole di lusso e l’attaccante, guidato dai sentimenti, era stato chiaro nella scelta delle sue priorità: non voleva lasciare da sola sua sorella proprio nel giorno in cui avrebbe messo il corsetto.

Prima di prendere il taxi per tornare a Tokyo cercò tra i compagni, nella hall dell’albergo in attesa di riunirsi per consumare insieme la prima colazione.

Julian, scorgendolo con il borsone già preparato, lo avvicinò per salutarlo e per sentire le ultime notizie che aveva da dargli su Yoshiko, in quanto i due ragazzi si erano tenuti costantemente aggiornati sulla bambina in quei giorni di lontananza forzata dalla capitale.

“Così perdiamo anche l’ultimo pezzo da novanta eh?”

Nella voce di Julian non c’era recriminazione per quella scelta che condivideva ma risultava un tentativo di sdrammatizzare la difficile situazione che si prospettava per il Giappone.

L’amicizia tra i due compagni di squadra, nata davanti all’acquario dei pesci rossi, si era lentamente consolidata, rafforzata da sentimenti di fiducia e confidenze sempre più intime, tuttavia alcune situazioni provocavano ancora un po’ di diffidenza ed imbarazzo in entrambi.

“Sembra buffo che proprio quando dobbiamo affrontare la forte Thailandia la nostra squadra sia decimata!”

Osservò Tom.

“Potremo sempre chiedere una mano ai sette del Giappone Reale!”

Propose Julian, stando accorto a non farsi udire da mister Gamo: entrambi scoppiarono a ridere avendo ancora ben vivido il ricordo, anche se nel pacato Becker non si era ancora del tutto placata la rabbia per l’allontanamento dal ritiro nipponico in vista del World Youth, di qualche anno prima.

“Per carità: un pezzo da novanta ci resta ancora!”

Tom scosse la testa e le mani contemporaneamente per allontanare quell’idea.

“Speriamo allora in un’altra tripletta di Rob Denton! Senza te, Holly, Philip, Mark e Benji sarà già un miracolo non subire una goleada!”

Tom tornò serio e si chinò sulla zip del borsone per frugarvi dentro.

“Si ma al Giappone resta un fuoriclasse che non ha nulla da invidiare a nessuno di noi e sai bene a chi mi riferisco!”

Si rialzò tendendo una fascia in tessuto elastico bianca con una C stampata sopra.

“Rispettando le gerarchie sai che la fascia da capitano spetta a te adesso!”

Julian restò per qualche secondo paralizzato dall’emozione poi prese la fascia e la strinse tra le mani: con molta probabilità conquistarsi una futura convocazione in nazionale avrebbe richiesto molta più fatica non certo per propri demeriti e non poteva esserci modo migliore per salutare quanto di più prezioso avesse conquistato nella sua carriera calcistica.

Per molti anni era stato capitano della squadra scolastica ma non aveva mai pensato di riuscire, un giorno, a ricoprire un ruolo tanto prestigioso per la Nazionale del suo paese.

“Direi che te la sei meritato! Dovrai essere tu la guida per Rob e per gli altri domani…io e Yoshiko ti guarderemo in televisione e guai a te se non stenderai i tailandesi con una delle tue rovesciate!”

Tom lo fece sorridere, scuotendolo dall’emozione che lo aveva frastornato.

Lo accompagnò al suo taxi e mandò i suoi saluti a Yoshiko.

*** **** ***** *****

Amy aveva passato il pomeriggio assieme a Susie e a Yoshiko: da quando era riuscita a sfogarsi con la ragazza di Nankatsu si sentiva più leggera e pronta a ridare fiducia alle persone, senza allontanarle da lei alla prima impressione, azione che l’aveva portata a compiere il suo recente dolore.

Il ritrovarsi nuovamente al pomeriggio in ospedale le faceva riaffiorare ricordi ed emozioni dolceamari.

Quel giorno si sentiva particolarmente felice, una sensazione che non provava da tanto tempo, appagata e speranzosa.

Appena aveva saputo la notizia, Julian l’aveva immediatamente telefonata per dirle che sarebbe stato il capitano nel match dell’indomani: nessuno meglio di lei poteva capire quanto il ragazzo meritava quel traguardo.

Sapeva che arrivare fin lì era stato un crescendo di difficoltà e ne fu orgogliosa, proprio come la prima volta che lo aveva visto sugli schermi di un refettorio di università, dalla sala stampa dell’Ajinomoto Stadium.

“Se solo suo nonno guardasse la partita domani!”

Meditò la ragazza convinta che all’implacabile Goro sarebbe bastato vedere l’espressione e la tenacia del nipote durante la partita più importante, dal punto di vista delle motivazioni, per capirne i desideri e decidere finalmente di assecondarle.

Prima di rincasare decise di fare un giro per negozi: era ancora presto e ne avrebbe approfittato per comprare le cose mancanti in casa.

Dopo aver girato pochi viali riconobbe il signor Ross: il padre di Julian le si fece incontro, per lui era sempre una gioia vederla.

“Salve signor Ross! Ha saputo la novità?”

Dopo aver fatto un leggero inchino in segno di rispetto, la ragazza non tardò a condividere con l’uomo la gioia per quella notizia.

“Il nostro campioncino è sbocciato definitivamente possiamo dire!”

Non era difficile indovinare l’ammirazione e l’orgoglio che guidavano Gregory Ross nel tessere le lodi di quel figlio che tanto amava.

Amy si chiese come potesse essere figlio di Goro eppure accondiscendere con tale solidarietà ai valori di Julian.

“Se solo il Signor Goro guardasse la partita domani! Sono sicura che renderebbe meno difficile la vita di Julian!”

All’improvviso si era fatta triste, smorzando con quell’osservazione, l’euforia che aveva accomunato entrambi per il traguardo di Julian.

“Se mi dai una mano possiamo fare un tentativo! Dopotutto è mio padre: saprò pure come prenderlo!”

Gregory le sorrise facendole riacquistare un po’ di speranza. **** ***** ****** Goro sbuffò e cercò di concentrarsi sul manuale di medicina che teneva in mano: riusciva però solo a ricordare i suoi sbotti durante la conversazione con quel figlio senza ragione e quella ragazzina scialba. L’aveva etichettata come “ragazzina petulante” e aveva bollato il figlio come “scapestrato”. Eppure ora il tarlo dei sensi di colpa iniziava a mordere la sua vecchia coscienza portandolo a considerare anche le ragioni di chi difendeva le scelte di Julian.

Quel pomeriggio si era più volte sentito ripetere le parole amore e rispetto, pilastri su cui Gregory ed Amy avevano costruito la loro difesa per il libero arbitrio di Julian.

Si chiese se fosse mai stato davvero un bravo nonno per i suoi nipoti: certo li aveva aiutati a realizzarsi professionalmente e non aveva mai chiesto loro se erano felici, perché li aveva semplicemente aiutati a seguire le loro inclinazioni.

Ma Julian era il primo ad essersi opposto a lui, ad avergli remato contro, ad avere altre aspirazioni rispetto ai parenti.

Forse a Goro sarebbe bastato fermarsi e stare ad ascoltare.

Con un tonfo chiuse il tomo, dimenticando di porre il segnalibro alla pagina dove era rimasto con la lettura, e lo posò sul tavolo.

Accese il televisore e sincronizzò la frequenza sulla partita del Giappone.

Le due squadre stavano facendo in quel momento il loro ingresso in campo: i calciatori tenevano per mano i bambini che indossavano la casacca degli avversari e i capitani portavano i gagliardetti delle loro squadre, che si sarebbero scambiati prima del fischio d’inizio.

Goro studiò più volte l’espressione di Julian nelle diverse inquadrature durante l’esecuzione degli inni; poi seguì con attenzione l’espletamento delle procedure precedenti all’inizio del gioco e si accomodò tranquillamente in poltrona pronto a guardare tutti i novanta minuti di gara.

Ripensò alla sua assenza di nonno e all’affetto che aveva fatto mancare a quel nipote, che ora era diventato un bravo calciatore, durante gli anni più difficili della sua malattia.

Alla gioia che gli aveva negato quando aveva saputo che era guarito definitivamente.

Alle oppressioni e alle prevaricazioni che era pronto ad imporgli, facendogli rivivere un passato difficile, per soddisfare un suo capriccio.

Julian lo aveva rimproverato di essere presuntuoso e gli riconobbe la ragione: aveva peccato della presunzione di comandare di una giovane vita che chiedeva solo libertà.

Si mise ad armeggiare con il cellulare e andò sulla rubrica: trovò il numero del medico sociale dell’FC Tokyo e lo cancellò. Non ne avrebbe avuto più bisogno.

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Capitolo 39
*** "Prima dell'alba" ***


“Prima dell’alba”

Yoshiko aveva pianto tutto il pomeriggio ingabbiata nella sua “ armatura medievale” che le sfregava contro la pelle.

A nulla erano serviti i tentativi di confortarla di Yumiko e di Tom come vane erano state le disparate idee di Amy e Susie di inventare le storie più bizzarre per distrarla.

Alla sera non si era ancora abituata al corsetto gessato e, trovando scomoda qualsiasi posizione, aveva inondato di lacrime il guanciale.

Tom e Susie alla fine avevano convinto Yumiko ad andare a mangiare qualcosa e il ragazzo aveva scortato le donne per un pezzo di strada.

Si era fermato qualche secondo all’esterno del nosocomio, prima di tornare dalla sorellina, quando notò un’ombra allungarsi verso di lui.

Appena rientrato a Tokyo, Julian aveva avuto la premura di andare a trovare quella bambina a cui molto si era legato negli ultimi tempi: sapeva che quello per lei era stato un giorno importante e difficile.

“Ciao Julian! Siete stati formidabili contro la Thailandia!”

Gli fece prontamente notare il compagno di Nazionale, imbarazzandolo con quei complimenti più che meritati.

“Non è stato facile ma…abbiamo giocato una bella partita!”

Convenne il nuovo capitano del Giappone.

“Come sta Yoshiko?”

Si interessò quindi. Tom scosse la testa sconsolato.

“È di cattivo umore e sembra non ci sia nulla in grado di rasserenarla!”

“Posso immaginarlo!”

Sospirò Julian, guardando nel buio della sera per non far indovinare i suoi pensieri. Ma Tom sapeva che era l’unico in grado di parlare a Yoshiko.

“Perché non provi tu a parlare con lei? Non ha dato ascolto né a me, ne a mia madre, né a Susie, né ad Amy!”

“Si vorrei tanto vederla!”

Trovò concorde Julian a quella proposta.

*** ***** ***********

La bambina smise di singhiozzare quando si sentì pizzicare la guancia e riconobbe l’inconfondibile odore di albero e di umido delle zelkove.

“Avevi ragione: a Sendai avete degli alberi proprio belli! Verrò in agosto al festival del Tanabata!”

Yoshiko, riconoscendo quella voce, si voltò tirandosi a sedere.

“È per me?”

Indicò il vaso recante un bonsai.

Quando l’aveva acquistato, Julian aveva pensato alla sua aspidistra e alla longevità che accomunava entrambe le piante; alla forza, alla pace e alla serenità che il bonsai doveva evocare in chi lo guarda e aveva pensato ai Maneki neko che si erano scambiati, in momenti difficili, con Amy: gli era sembrato il regalo più adatto da portare a Yoshiko.

“Sì…ti aiuterà a sentirti meno sola…anche se tra pochi giorni tornerai tra le tue zelkova!”

“ La prossima volta che tornerai a giocare nel Miyagi Stadium voglio venire a vederti! Ho visto la partita di ieri sera con Tom e dice che sei stato un ottimo capitano!”

Julian lanciò un’occhiata di ringraziamento al promettente attaccante.

“Vuoi che vi lasci da soli?”

Propose Tom, temendo che Julian e Yoshiko avrebbero toccato argomenti delicati trovando d’intralcio la sua presenza.

Julian scosse la testa, invitandolo a restare: avevano promesso di essere entrambi un sostegno per Yoshiko e Tom aveva cercato un punto di riferimento in lui.

“Allora è difficile abituarsi al corsetto?”

“A questo strumento di tortura vorrai dire! Mi sembra di essere intrappolata come i pesci rossi nello studio del Dottor Tanaka!”

Sbottò la ragazzina esasperata da quella giornata.

“Abbi pazienza! Tra qualche giorno andrà meglio: già domani faranno delle modifiche al corsetto nei punti in cui ti da maggior fastidio!”

I modi calmi di Julian riuscivano a rassicurarla, poi osò chiedere di più su un discorso appena accennato la prima volta che si erano visti innanzi all’acquario dei pesci rossi.

“Ricordi quando ci siamo conosciuti? Mi hai detto che i dottori ti avevano detto che dovevi rinunciare al calcio… che malattia avevi?”

Tom si fece piccolo piccolo ,provando una strana sensazione per timore che Julian non volesse palesare i suoi segreti innanzi a lui, ma l’altro ragazzo rispose tranquillo.

“Il mio cuore faceva le bizze e…hanno dovuto operarmi per farlo stare buono!”

Nel rivelarle quella verità aveva preso a girarsi i pollici per distogliere il pensiero dal ricordo di quei giorni d’infanzia.

Yoshiko capì quell’alchimia che si era creata con il finto dottore, il filo sottile della malattia che legava le loro vite e le rendeva simili: Julian però, concluse, era stato più coraggioso di lei.

“ Piangevi e avevi dolore anche tu?”

Si interessò la bambina, speranzosa che le rivelasse un rimedio per alleggerire quel supplizio fisico.

“La notte era il momento peggiore: sei avvolto nel buio e ti sembra che sia infinita! Prima dell'alba credi di essere arrivato allo stremo della sopportazione! Ma sai cosa mi dava coraggio?”

Yoshiko tese le orecchie.

“La sicurezza che presto il cielo si sarebbe schiarito e l’alba avrebbe riportato il sole! Vedrai che domani andrà meglio piccola!”

Lei prese il bonsai tra le mani e si lasciò convincere da quelle parole.

*** ****** ******

Amy stava riordinando le sue cose, incerta sul cosa tenere da parte e su cosa disfarsi: le sembrava che tutto avesse una storia da raccontare, che fosse un pezzo della sua vita da cui era difficile separarsi.

Non aveva avuto occasione di parlare con calma con Julian da quando era tornato, prima ne aveva condiviso l’euforia e l’amarezza per la rete contro la Thailandia che, si erano ormai rassegnati, con le minacce di Goro avrebbe potuto rappresentare l’ultima apparizione in Nazionale per lui; poi ne aveva assecondato il desiderio di andare a trovare Yoshiko in ospedale.

Si accorse subito dell’espressione tormentata di Julian al suo rientro e cercò di indagarne i motivi con discrezione, sebbene potesse immaginarli.

Senza parlare lo prese per mano e lo portò con lei sul ballatoio esterno dell’abitazione, aspettando che fosse lui a confidarsi.

“È sempre difficile per me tornare in ospedale!”

“Lo so! È arduo affrontare le cose che ci fanno paura ma io ho deciso di tentare!”

“Cosa vuoi dire?”

Chiese confuso Julian.

“Torno ad Osaka! Gli esami del primo semestre si avvicinano e non voglio perdere l’anno a causa delle mie debolezze!”

Glielo aveva rivelato tutto d’un fiato, tenendo gli occhi chiusi per non scorgere la delusione sul viso di lui. Julian avvertì le stesse sensazioni di quel giorno, al parco, quando Amy gli aveva comunicato la sua decisione di andare a studiare lontano dalla capitale: stavolta, però, fu in grado di sopperire alla delusione grazie alla certezza del forte legame che ormai li univa.

“Credo sia una saggia decisione! Devi riprendere in mano la tua vita e devi farcela da sola: dopotutto Tokyo e Osaka distano solo tre ore di treno!”

Amy si mise a ridere per non farlo accorgere di stare in realtà piangendo.

“Ormai devo finire l’anno accademico ad Osaka ma…l’anno prossimo chiederò il trasferimento all’ateneo di Tokyo! Non so come sono potuta allontanarmi dalla mia famiglia…da te!”

Julian la strinse a se e l’abbracciò a lungo.

Guardava le stelle e pensava alla festa di Sendai: alla stella Vega e alla stella Altair che si incontrano solo una volta l’anno, la settima notte del settimo mese e capì che anche lui doveva proiettarsi al futuro.

“Ricominciamo insieme Amy!”

Rientrarono e Julian prese il camice bianco che aveva indossato durante il tirocinio ; si aggirò per la stanza a cercare tutto ciò che gli ricordava il periodo della malattia.

Amy lo imitò: prese i vestiti che alla fine aveva scelto di indossare, dopo essere stata per interminabili minuti innanzi alle ante aperte dell’armadio, quando aveva scoperto che Malaika non c’era più, perché ormai non sarebbe stata in grado di rindossarli senza rivivere quella mattina.

Poi recuperò un mazzetto di pagine con la sua calligrafia da bambina custoditi in un raccogli fogli ,esitante su cosa farne.

“Ci sono tutti i miei pensieri di quando tu stavi male! Non voglio che il nostro amore si fondi sul dolore!”

Julian non chiese di leggere. Tornarono sul ballatoio e accesero il fuoco in un caldano: prima finirono tra le fiamme le parole di Amy che si annerivano fino a ridursi in cenere; poi i ragazzi buttarono dentro il resto aspettando finché tutto fu ridotto in cenere.

La luce del fuoco, nel quale stava bruciando la parte dolorosa del loro passato, faceva apparire l’alba più vicina.

**** ***** ****

Tanabata: festa tradizionale giapponese che cade in luglio, legata ad una leggenda popolare che parla dell’amore tra un pastore e una dea, separati dal padre della dea che creò la Via Lattea per non farli ricongiungere. Alla fine i due innamorati poterono incontrarsi solo una volta l’anno.

**** *******

Ringrazio quanti continuano a seguire, leggere e recensire questa storia^^

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Capitolo 40
*** "Poco e subito" ***


“Poco e subito”

Tom fece zapping sui diversi canali digitali della tv, all’interno della sua camera nella pensione, fino a sintonizzarsi su un canale sportivo francese: la ligue 1 era ripresa e il Paris Saint Germain aveva ottenuto un importante vittoria a Grenoble.

Prima che potesse leggere il nome del marcatore venne distratto dalle risate di Yoshiko che si era improvvisata modella per il servizio fotografico di Susie: la ragazza zumava con la sua macchina fotografica pronta a catturare nel rullino tutte le espressioni della bambina.

La piccola stava iniziando ad abituarsi al corsetto e ad imparare a superare le difficoltà e le limitazioni di movimento che ciò comportava; l’imminente ritorno a Sendai la rendeva felice e al contempo la immalinconiva: sapeva che Tom e Susie non sarebbero rimasti con lei anche se ancora non avevano affrontato quell’argomento.

“Pensi che riuscirò a salutare Julian prima di prendere il treno per Sendai?”

Yoshiko si avvicinò pensierosa al fratello per testare, indirettamente, anche le sue intenzioni.

“Certo! La mamma ha prenotato il treno per domani pomeriggio!”

Aveva lasciato cadere il telecomando sul letto e nel frattempo anche Susie li aveva raggiunti.

“Il Paris Saint Germain ha fatto una buona gara?”

La ragazza cercò di ristabilire un contatto con Tom concentrandosi su quello che rimandava lo schermo.

“Sì anche se gran parte del merito va a Pierre Le Blanc!”

Al riferimento al compagno di squadra, Tom si accorse che l’espressione di Susie si era accigliata e lei aveva cercato di essere evasiva sull’argomento.

Il giovane calciatore non sapeva ben spiegarsi quel cambio d’umore ogni volta che si accennava a Pierre, dapprima aveva pensato fosse a causa dei trascorsi di Susie nella famiglia Le Blanc ma poi l’idea che Pierre le avesse fatto qualche torto ben più grave non l’aveva abbandonato.

“Dovrai tornare a giocare anche tu in Francia?”

Chiese Yoshiko guardando dritto negli occhi il fratello. Tom si chinò alla sua altezza timoroso che la sorellina potesse interpretare il suo ritorno in Europa come un nuovo abbandono verso di lei.

“Devo finire la stagione agonistica con la mia squadra e tornare da mio padre! Ma…se per l’anno prossimo mi arriveranno proposte importanti potrei anche tornare a giocare in Giappone!”

Gli occhi neri di Yoshiko si illuminarono e le sue gote di porcellana risaltarono ancora più rosee.

“Sarebbe fantastico!”

Poi fece cenno al ragazzo di avvicinarsi e gli bisbigliò qualcosa nell’orecchio. Poiché lo sguardo di Tom si rivolse prontamente verso Susie, la ragazza capì di essere lei l’oggetto della curiosità di Yoshiko.

Tom non fece in tempo a rispondere alla domanda della sorella, forse perché non ne aveva una.

***** ***** ****

Yumiko, dopo essersi preparata, passò nella camera ad avvisare la figlia: le aveva promesso un giro per i posti più divertenti di Tokyo prima di ritornare a Sendai; l’invito era stato esteso anche a Tom e Susie che però lo avevano declinato.

Rimasti da soli, Susie sedette sul bordo del lettino e fissò intensamente il disegno floreale della trapunta che, ad un certo momento ,pareva iniziasse a muoversi: ancora una volta avrebbe dovuto riscrivere la trama della sua vita.

I problemi di Yoshiko avevano assorbito le sue giornate e rimandato il confronto con il futuro ma ora che tutto era passato il destino l’aspettava al capolinea per metterla di fronte alle sue responsabilità e per tarpare i suoi desideri di fuga dalla realtà.

“Tu hai deciso cosa fare? Vuoi…vuoi tornare con me a Parigi?”

Tom si sentiva un po’ impacciato nel rivolgerle quella domanda: sapeva che Susie era tornata di corsa in Giappone per stare con lui ma non avevano mai affrontato di petto la situazione, non avevano mai trovato il momento opportuno per chiarire la loro condizione.

“No! Sarebbe uno sbaglio tornare!”

Era decisa e risoluta.

“Allora tornerai a Nankatsu?”

Susie aveva recuperato la sua macchina fotografica, aveva oscurato la stanza per sviluppare le foto appena scattate: un modo per proteggersi da un confronto fin troppo diretto con lui.

“No, non torno! Non sono ancora pronta ad affrontare la mia famiglia!”

Selezionò i negativi da inserire nell’ingranditore e si concentrò sull’intero processo di sviluppo, cercando di evitare il subbuglio che dentro la scuoteva.

“Neanche con me sei pronta a confrontarti ancora?”

Tom le si rivolgeva con una certa cautela.

Susie interruppe il suo lavoro decisa ad essere sincera.

“Tu mi piaci e anche molto Tom!”

“Ma?”

Continuò lui sicuro che quel preambolo portasse sempre a quella conclusione.

“Ma fino ad ora mi sono sempre accontentata di avere poco e subito e se cederei ora accadrebbe lo stesso con te! Io provo qualcosa che non ho mai provato per nessun altro ed è per questo che voglio aspettare: con te potrei avere tutto Tom ma non voglio che la fretta rovini tutto!”

Lui era confuso, felice, incerto su come rispondere a quel turbine di confessioni.

“Io ho già scelto Susie e se ti serve ancora del tempo prima di trasformare quest’amore adolescenziale in qualcosa di importante saprò dartelo!”

Susie gli si avvicinò e sfregò le labbra contro le sue.

“Avrei tanto voluto che ci conoscessimo meglio qualche anno fa!”

Tom non replicò e cercò di resistere al richiamo ammaliante che la donna del mare aveva verso di lui.

Nell’incertezza del futuro Susie aveva finalmente trovato un punto fermo da cui ripartire anche se la preoccupazione sul cosa fare quando sarebbe rimasta da sola a Tokyo restava.

Riprese il suo lavoro finché il viso sorridente di Yoshiko comparve sulle prime stampe, subito messe ad asciugare.

Tom si sistemò in un angolo ad osservare i sapienti gesti di Susie: gli ricordava suo padre capace di far rivivere luoghi ed emozioni su una tela bianca.

Il silenzio venne rotto da un quasi impercettibile bussare alla porta esterna.

“Non credo che Yoshiko e mia madre siano già di ritorno!”

Si stupì Tom apprestandosi ad aprire, dopo aver avuto il consenso di Susie perché i suoi lavori non correvano più il rischio di rovinarsi con la luce del giorno.

Il viso amichevole di Julian e l’espressione riservata di Amy gli si pararono innanzi.

“Siamo passati per avere notizie di Yoshiko e per proporre a voi due di passare insieme a noi la vostra ultima serata a Tokyo!”

Propose Julian sperando che il suo invito venisse accolto: dall’indomani si sarebbe ritrovato nuovamente da solo giacché anche Amy sarebbe ripartita per Osaka.

Lui ed Amy non avevano voluto restare da soli in casa quella sera per non creare una situazione di possibili ripensamenti e inevitabili tristezze per la futura lontananza.

“Avete avuto un idea molto gentile!”

Susie, che aveva udito la conversazione, accolse i due ragazzi.

Amy, liberatasi della borsa, si era avvicinata ad ammirare le fotografie che ritraevano Yoshiko.

“Sono bellissime! Non sapevo che Yoshiko fosse stata da un fotografo professionista!”

Osservò la ragazza dai fulvi capelli.

“In realtà le ho scattate io!”

Ammise Susie, chinando il capo non essendo avvezza a ricevere complimenti.

“Sei bravissima! È un peccato che tu debba tornare a Parigi!”

“Io non torno a Parigi!”

A quella convinta rivelazione, Amy si fece passare la borsa da Julian e vi frugò dentro: ne estrasse un volantino e lo mostrò all’amica.

Era l’annuncio di una rivista di Osaka che cercava un fotoreporter per un lavoro mensile.

“Magari potrebbe essere un inizio lavorativo per te!”

Susie apprezzò molto il pensiero di Amy, la prima ragazza con la quale aveva trovato una certa affinità.

“Sei molto gentile Amy ma io non sono mai stata ad Osaka e non saprei nemmeno come organizzarmi!”

Le costava molto cestinare quell’opportunità e recriminò sul fatto di essersi concessa poco tempo per vagliarla bene.

“Ti aiuterò io: dovrò tornare per frequentare l’università e potrai dividere l’appartamento con me e con la mia coinquilina!”

Anche Amy era rassicurata dall’idea che Susie sarebbe andata con lei ad Osaka: tornare lì dove era stata prima che la sua vita cambiasse la spaventava; affrontare Naomi e il silenzio che aveva frapposto tra di loro in quei mesi le faceva innalzare nuovamente le barriere contro le persone nuove.

Susie diede una nuova occhiata al volantino e le sorrrise.

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Capitolo 41
*** "Alla stazione un pomeriggio d'inverno" ***


“Alla stazione un pomeriggio d’inverno”

Alla stazione del quartiere Shinagawa, a sud di Tokyo, i passeggeri consultavano i loro biglietti e si affrettavano a prendere posto nella carrozza recante il numero che sopra vi era segnato.

Lo shinkansen per Osaka doveva già essere in sosta alla stazione di Odawara dopo la partenza dalla stazione centrale eppure erano diversi minuti che Tom non schiodava lo sguardo dai binari affollati da nuovi convogli.

Il treno che avevano preso la mamma e Yoshiko per tornare a Sendai era partito da quasi mezz’ora e Susie ed Amy avevano lasciato la capitale nipponica una decina di minuti dopo di loro ; quella sera anche l’ aereo di Tom sarebbe decollato dall’aeroporto Haneda per riportarlo da suo padre in Francia.

Trovò una circostanza curiosa partire dal secondo aeroporto di Tokyo piuttosto che da Narita, dove aveva conteso la litografia della “Berceuse” a Susie.

La confusione del momento dei saluti, delle promesse strappate dalla sorellina avevano tenuto lontane le emozioni ma ora avvertiva un grande vuoto dentro.

Si volse verso Julian, silenzioso su una panchina della sala d’aspetto, che fingeva di concentrarsi sui grattacieli che popolavano il quartiere.

L’aria fresca rimandava l’arrivo della primavera ma l’odore di salsedine era marchio inconfondibile delle strutture mercantili che si affacciavano sul mare in quello spicchio meridionale di Tokyo.

“ Fa uno strano effetto lasciare partire le persone a cui si vuole bene! Fino ad oggi ero sempre stato io quello che saliva da un treno all’altro o che prendeva un aereo con la stessa facilità con cui Holly gioca a pallone!”

Quell’ultimo paragone strappò un sorriso a Julian, mentre il compagno di nazionale gli si sedeva accanto. Anche lui era stato preda della solitudine, passata l’euforia collettiva che la piccola Yoshiko era riuscita a creare intorno a lei.

Ora che la bambina aveva ripreso la sua vita e che Amy aveva deciso di riprendere il suo cammino da sola si sentiva svuotato dell’energia e della fermezza con cui aveva deciso di opporsi a nonno Goro.

Aveva tenuto stretta a lungo Amy tra le braccia prima che fosse chiamato il treno per Osaka e una parte di lui avrebbe voluto fermarla, come aveva fatto quel giorno di quasi due mesi prima per mantenere la promessa fatta ai genitori della ragazza: la convivenza con lei era stata un’esperienza irripetibile che aveva solidificato i loro sentimenti e cancellato i loro timori, anche se molti aspetti di quel rapporto restavano da scoprire per entrambi.

Sarebbe stato difficile affrontare da solo le conseguenze della sua ribellione al nonno, sarebbero state tristi le serate davanti alla tv nella silenziosa casa dei nonni e sarebbe stata un’attesa infinita l’arrivo dei fine settimana senza campionato per poterla rivedere.

Tom, dal canto suo, doveva ridire addio ad una famiglia appena ritrovata, avendo avuto poco tempo per godere dell’affetto di Yumiko e avendo dovuto dare la priorità alle esigenze di Yoshiko. Era contento di essere tornato per stare vicino alla sorellina: prima di quel viaggio in Giappone di lei ricordava solo il disegnino stropicciato che teneva nel portafogli.

Ma Yoshiko non era più quella bambina che pensava che il fratellone fosse troppo impegnato per volerle bene; adesso sapevano entrambi che, dopo essersi ritrovati, non avrebbero più frapposto silenzi tra di loro e sarebbero ricorsi alle e-mail e alle telefonate per abbattere le distanze geografiche.

Sperò che anche con Susie sarebbe potuta avvenire la stessa cosa e che il tempo richiesto dalla ragazza le si potesse rivelare utile per fare chiarezza.

“L’aeroporto Haneda dista solo dieci minuti da qui!”

Disse Julian allungando un pacchetto di Karinto verso di lui, giusto per avviare un discorso. Tra di loro era nata una sorta di amicizia in quei mesi; erano cambiate molte cose da quel viaggio di ritorno da Kobè quando Julian gli aveva parlato dello zenzero.

Da allora gli aveva fatto scoprire cosa significa stare in apnea, gli aveva fatto notare come i pesci rossi sono prigionieri delle loro brocche, gli aveva fatto intuire che ci si può sentire i padroni del mondo con una fascia di capitano al braccio quando si è lottato molto per arrivare fino a lì e gli aveva insegnato che dopo le ore più buie arriva sempre l’alba.

“Sai a cosa stavo pensando?”

Propose Julian addentando uno snack. Tom lo guardò curioso.

“Al primo torneo internazionale di Parigi, quando io non sono potuto partire con voi! Il vostro aereo partì proprio dall’aeroporto di Shinagawa!”

Ricordò tranquillo benché a quei tempi avesse provato un incontrollata delusione e una gran rabbia verso la malattia che lo teneva lontano dai suoi sogni: agli amici aveva augurato le migliori fortune sportive e ne aveva seguito con interesse le belle prestazioni dal divano di casa, invidiandoli in verità moltissimo.

“Lo ricordo! Venisti a salutarci all’aeroporto!”

“È grazie a me se Bruce è entrato nel giro della Nazionale!”

Scherzò Julian, rammentando che Harper aveva preso proprio il suo posto nello spazio vuoto lasciato nella lista delle convocazioni.

“La cosa che mi colpì quando ti vidi arrivare con Amy fu che ti mostravi sorridente e felice, come se quell’esclusione forzata non scalfisse minimamente il tuo buonumore! Ma era evidente che i sentimenti più brutti li tenevi dentro di te!”

Lo spiazzò il centravanti del Paris Saint Germain.

Julian inghiottì la saliva non sapendo cosa aggiungere a quella verità lampante, che forse poteva passare inosservata a dei bambini galvanizzati per la prima trasferta internazionale ma che molto aveva colpito il giudizioso ed equilibrato Tom. Si ritrovò in imbarazzo, proprio come era accaduto quando aveva dovuto parlare a Yoshiko per consolarla.

“Siamo così diversi noi due: agli antipodi uno dell’altro oserei dire! Tu il nomade e io il sedentario! Non ho avuto una bella carriera in Nazionale finché non ho risolto i miei problemi e c’erano dei periodi in cui speravo perfino di non venire convocato!”

“Perché?”

“Non è bello sentir dire ai tuoi compagni: ragazzi non facciamo affaticare Julian! Ti senti un peso più che un aiuto per la squadra! È per questo che, finché ho potuto, ho mantenuto il segreto anche con i miei compagni della Mambo!”

“Ci vuole un gran coraggio a tenere per se un segreto tanto grande!”

Non sapevano bene come erano arrivati a quel discorso ma parlarne si stava rivelando un ottimo metodo per chiudere, finalmente, il cerchio.

“ Yoshiko con la sua passione per la danza mi ha ricordato il mio amore per il calcio e quanto ho lottato per avere la meglio! Per questo mi sono molto affezionato a tua sorella e la invidio un po’!”

A Tom quella conversazione stava rivelando ancora di più dell’amico.

“ Lei è così spontanea e piena di gioia di vivere! A volte anche io vorrei essere più impulsivo e meno razionale…saper far ridere come fa Bruce quando siamo in ritiro! Ma ormai ho l’etichetta del ragazzo assennato, riservato, sfortunato, e amico solo di Philip!”

Elencò sulle punta delle dita, riepilogando le dicerie che erano scaturite sul suo conto in passato dalla stampa pettegola.

Tom si mise a ridere e non si sentì più tanto solo.

“Io, tu e Philip però siamo il centrocampo del futuro per il Giappone! Sai che forza!”

Gongolò, non stando più nella pelle nell’avere le chiavi del ruolo nevralgico del campo da condividere con il suo amico d’infanzia dell’Hokkaido e con il “finto dottore” che aveva imparato ad apprezzare grazie alla sorellina.

Julian per un momento si immalinconì: sarebbe stato un sogno che si realizzava quella prospettiva, senza le minacce del nonno che avrebbero potuto troncarlo sul nascere. Non ne parlò con Tom.

“ Se non fossi guarito probabilmente avrei continuato a fare l’allenatore! Non il vice di Marshall in Nazionale però!”

Confessò Julian guardando i convogli intrecciarsi sui binari e partire con la solita puntualità.

“Mi sono sentito un po’ come una spia in quella veste, come se a voi ragazzi stessi antipatico per quel mio comportamento che poteva apparire distaccato! Non è bello sentirsi la mascotte della squadra quando sai che potresti fare di più!”

Tom era impressionato dalla franchezza con cui Julian ricordava il ruolo delicato, che era valso un po’ come una seconda scelta per non escluderlo dal giro della nazionale, quando era stato impossibilitato a giocare.

“Sì ma la tua rovesciata ai mondiali Under 16 , che disputammo di nuovo a Parigi, credo resterà a lungo negli annali del calcio!”

Ne lodò le capacità tecniche, ben sapendo quanto l’aver dovuto seguire la maggior parte delle partite a prendere appunti per l’allenatore dalla panchina ne avesse condizionato il rapporto con i compagni, portando Julian ad essere un po’ l’escluso del gruppo.

“Se io non avessi fatto il calciatore probabilmente mi sarei dedicato all’arte!”

Confessò poi il figlio di Ichiro Becker.

“Bella forza! Con una famiglia come la tua direi che sarebbe stata la scelta più ovvia!”

Tom sorrise notando come quel pensiero che aveva avuto lo avvicinasse a Yumiko.

“Ma non avrei fatto il pittore come mio padre! Per quello serve un’attitudine innata che io non ho!”

Quell’osservazione ricordò a Julian le parole del Dottor Tanaka quando lo aveva redarguito per la sua scarsa motivazione nell’affrontare il tirocinio, dicendogli che si può amare molto la pittura senza mai diventare neppure mediocri artisti.

“Avrei fatto il critico d’arte! Come mia madre!”

Sembrava buffo ad entrambi sviscerare le seconde scelte che avrebbero riguardato le loro vite se non ci fosse stato il calcio.

“Una cosa buona nell’avervi osservati per lungo tempo dalla panchina però c’è stata!”

Buttò lì Julian serio, serio. Tom lo guardò interrogativo.

“Finalmente ho scoperto come distinguere i gemelli Derrick!”

Tom non sapeva se ridere o indagare fino in fondo su quel divertente mistero che aveva tenuto banco fin dalla loro infanzia; stava imparando a conoscere Julian a fondo e a scoprire che sapeva essere anche simpatico e divertire con la sua compagnia.

“E come ci sei riuscito?”

“Semplice…Jason è mancino!”

Quella differenza così sottile ma a cui nessuno aveva mai fatto caso lo spiazzò e mise entrambi di buonumore.

Si ritrovarono a ridere insieme, alla stazione in un pomeriggio d’inverno.

/////////////////

Ringrazio le persone che continuano a leggere, seguire e recensire questa storia.

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Capitolo 42
*** "Una foto in bianco e nero" ***


“Una foto in bianco e nero”

Ad Amy l’abbaino della casa studenti sembrava più spazioso dall’ultima volta : i rametti di pino con cui tener lontani gli spiriti maligni erano stati rimossi da Naomi e gli eventi si erano continuati a succedere senza essere clementi con i suoi tempi.

Nei giorni successivi alla morte di Malaika si era trincerata dietro l’apatia, come se conoscesse solo quel metodo per restare ancorata ad una vita che non sentiva più sua.

Poi grazie a Julian aveva capito che potevano esserci altre emozioni intense da scoprire, Yoshiko le aveva ridato il sorriso e con Susie aveva scoperto che le stelle l’avrebbero fatta sentire meno sola ogni volta avrebbe pensato all’amica scomparsa.

Un po’ temeva di rincontrare la sua coinquilina dopo quei mesi di silenzi ma il fatto che Susie fosse con lei le dava sicurezza.

Fece fare alla nuova amica un breve giro panoramico della casa, poi si affacciò sul distretto dello shopping.

“Mi è tanto dispiaciuto lasciare Tokyo senza poter stare un po’ con i miei genitori! Sono andati in Europa dalla nonna e io non sono voluta partire con loro!”

Spiegò la bella Aoba guardando i passanti giù nella strada.

“I miei invece mi ci hanno spedita in Europa e…non ho nessuna voglia di rivederli!”

La spiazzò Susie incrociando le gambe sul tatami, Amy prudentemente preferì non indagare oltre finché l’altra ragazza non avesse parlato dei suoi problemi spontaneamente.

Per non stare con le mani in mano, in attesa che Naomi rientrasse dai suoi corsi universitari, decisero di disfare i loro borsoni.

Amy sistemò il maneki neko che le aveva regalato Julian in bella mostra sulla scrivania e poi prese un insieme di foto indecisa se vagliarle per sceglierne una da incorniciare o dimenticarle nel fondo del borsone.

“Non trovi che le foto in bianco e nero abbiano qualcosa di particolare?”

Attirò l’attenzione di Susie che le si avvicinò. Amy allungò verso di lei la stampa grigia dove erano ritratti due visi da bambine maliosi.

“La fotografia ha il potere di affidare un attimo all’eternità! Ognuna ha un suo fascino ma quelle in bianco e nero pare siano capaci di immortalare la storia per secoli: nei libri di scuola credo si impari molto di più studiando le immagini che non le parole!”

Asserì Susie, riprendendo una convinzione che aveva espresso a Tom quando avevano scattato fotografie a Parigi e che tornava in voga ogni volta che si sviscerava la sua passione per quella moderna forma d’arte.

“Quando ti trovi innanzi ad una foto di uomini o donne vissuti anche molto prima di te vorresti sapere tutto di loro : è come se la fotografia, indiscreta, abbia rubato le loro vite per farcele conoscere!”

Continuò. Amy decise di spiegare chi erano le ragazzine ritratte nella sua foto.

“Siamo io e Malaika! È stata scattata durante la settimana dorata: io ero in terza liceo, Malaika in prima! Ora quei giorni mi sembrano prigionieri di questa foto in bianco e nero! ”

Si avvertiva la nostalgia che le attanagliava la voce. Poi decise di riprendere il discorso accennato da Susie quando le aveva rivelato la sua teoria sulla polvere delle stelle.

“Qualche ora fa, quando ci trovavamo in treno, ho notato una ragazza il cui profilo richiamava vagamente quello di Malaika! Per un attimo mi sono illusa che potesse essere lei…tu hai mai...?”

“Se ho mai associato la mia sorellina a qualcun altro? Ad ogni età che avrebbe avuto Miwako mi impuntavo ad identificarla con qualche bambina di Nankatsu! Se fosse nata probabilmente ora sarebbe una bellissima ragazza di quindici anni…Ma dopo un po’ questo giochino diventa marginale e la vita viene inghiottita da altre cose!”

Confessò Susie, poi cercò qualcosa nella sua borsa: ne tirò fuori una babbuccia rosa magenta: era una scarpetta di lana lavorata a maglia larga e impreziosita da un fiore all’uncinetto.

“Quando ho saputo che presto avrei avuto una sorellina chiesi aiuto a mia nonna! Passavo interi pomeriggi ad imparare a sferruzzare da lei per fare una sorpresa a mia madre! Quando abortì tenni nascosto il mio regalo per Mikawo e da allora lo tengo come un portafortuna!”

Spiegò intristendo Amy, decisa però a confidarle anche le piccole cose che l’aiutavano a tener vivo il ricordo dell’amica.

“Ho ancora gli sms di Malaika salvati nella memoria del cellulare e il suo numero sulla rubrica anche se so di non poterlo più digitare! L’altra sera ho riletto un suo messaggio e mi sono ritrovata a sorridere!”

“Sono sicura che è quello che vorrebbe anche Malaika! Intendo vorrebbe essere ricordata proprio con il sorriso sulle labbra!”

Amy guardò l’espressione buffa e allo stesso tempo incantevole di ragazza dei manga lì sulla foto, accanto alla sua immagine.

“Si Malaika era proprio così! Ho temuto che altri potessero prendere il suo posto nei miei affetti ma credo non succederà mai!”

“Ognuno di noi lascia un po’ di sé a chi lo incontra! Quello che ti ha dato Malaika non potrà mai rubartelo nessuno come nessuno potrà mai privare me dei ricordi della mia immaginaria sorellina!”

Nel confortarla con quella verità l’aveva cinta per le spalle e per qualche secondo avevano fissato la fotografia che Amy teneva ancora tra le mani.

“Quando l’altra sera mi sono messa a ridere pensavo a tutte le volte che io e Malaika ci ritrovavamo nelle pasticcerie dei sobborghi di Tokyo per soffocare nei dolci le nostre pene d’amore!”

“Deve essere stata un’amicizia bellissima la vostra!”

La invidiò un po’ Susie che, venendo additata come discendente di una strega, non aveva mai goduto di particolare simpatia tra le coetanee. Quando poi era diventata manager della New Team il suo carattere aveva urtato più volte Patty ed Evelyn.

“Una volta avevo litigato di brutto con Julian…non ricordo neanche più il motivo! Piansi per l’intero pomeriggio e la mattina successiva avevo due occhi gonfi come cocomeri! Malaika asserì che non mi sarei potuta presentare a scuola in quello stato e girammo per le pasticcerie di mezza Tokyo! Non toccammo più una pastetta per il seguente mese!”

Susie trovava divertenti quegli aneddoti e si sentiva utile nell’ascoltare Amy e darle così il modo di parlare di una persona tanto importante per lei ma che, come intuiva, era diventato argomento tabù nei discorsi della ragazza.

“Mi sembra impossibile credere che tu e Julian possiate litigare! Lui mi sembra molto legato a te!”

Notò quel sottile particolare da cui era scaturito il racconto.

“Infatti lo è! Ma quello non era un bel periodo per lui e quando stiamo male ce la prendiamo anche con le persone a cui vogliamo più bene!”

Lo giustificò Amy.

“Almeno siete riusciti a dichiararvi i vostri reciproci sentimenti e non avete nicchiato innanzi alle difficoltà!”

Le venne da pensare a Tom e al tempo che gli aveva chiesto per fare chiarezza dentro di lei.

“Le difficoltà al contrario ci hanno unito ancora di più! Ma se l’occhio non mi inganna anche tra te e Tom ho notato un certo feeling!”

Amy la guardò maliziosa portandola ad arrossire, cosa che non era da lei. E il rossore per Susie Spencer era sinonimo di amore.

Le ragazze si stavano scoprendo e sorprendendo di trovarsi così affiatate dopo così poco tempo che si erano frequentate.

“Io nella mia vita ho fatto molti errori Amy e non voglio che Tom sia l’ennesimo! Finora ho scattato solo foto in bianco e nero della mia vita ma con lui voglio provare a sviluppare la prima a colori! Non so se puoi capire cosa intendo dire!”

“ Vuoi che non sia qualcosa di insignificante giusto?”

Susie annuì. “È per questo che gli ho chiesto del tempo e spero che abbia la pazienza di aspettare!”

Anche Amy aveva chiesto a Julian di permetterle di risvegliarsi lentamente dal suo letargo ed era sicura che, con il vero amore, anche Tom avrebbe saputo tollerare quell’attesa.

Rivedere Naomi e rispondere alle sue domande, ai suoi rimproveri per la lunga assenza, non era stato brutto come aveva immaginato e la presenza di Susie l’aveva salvata da molti dettagli che ancora non era pronta a svelare.

Presto si sarebbe rituffata nella solita routine: avrebbe rivisto le solite facce sotto la pensilina della fermata dell’autobus, avrebbe passato le ore tra i corsi universitari e avrebbe speso i pomeriggi sui libri per ripassare le lezioni e rimettersi al passo con gli esami.

Naomi e Susie con la loro compagnia le avrebbero fatto riscoprire il piacere di stare insieme e il maneki neko di Julian e la foto in bianco e nero di lei e di Malaika l’avrebbero tenuta sempre ancorata alle sue origini.

*******************

• La settimana d’oro in Giappone comprende la Festa Verde, la Festa della Costituzione e la Festa dei Bambini, si celebra tra la fine di aprile e gli inizi di maggio, in particolare a Tokyo. I giapponesi in questa occasione fanno un lungo ponte e da ciò deriva il nome della settimana.

• Babbuccia: per chi ha dimenticato l’arte delle nostre nonne, sono delle calzature di lana a maglia per neonati. Con il termine vengono indicate anche delle calzature orientali con la punta rivolta all’insù.

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Capitolo 43
*** "La febbre della ragione" ***


“La febbre della ragione”

Il dottor Sasaki aveva due grandi guance rosee che prendevano ancora più colore quando l’FC Tokyo scendeva in campo. Era il medico sociale della squadra della capitale da oltre un decennio e tifoso della stessa da una vita intera perciò, quando adempiva alle sue mansioni a bordocampo, sussultava sempre per qualche bella azione di gioco e saltellava come un canguro nei pressi della panchina se la squadra con la casacca rosso-blu falliva qualche importante match point.

Le sue mani esperte e pazienti avevano rimesso in sesto molti atleti e la sua passione e la sua professionalità gli avevano attirato le simpatie e l’amicizia di molti componenti della rosa.

Anche quel giovedì pomeriggio si dimenava ai lati del campo d’allenamento, non appagato del punteggio rotondo con cui l’FC Tokyo stava avendo la meglio su una formazione dilettantistica nella consueta partitella infrasettimanale come preparazione al match della domenica.

Quando vide Julian Ross, uno dei migliori della squadra, estraniarsi all’improvviso dal gioco e sedersi sul terreno tenendosi la coscia chiese immediatamente all’allenatore di sostituire il ragazzo.

Julian aveva appena centrato un altro gol quando era stato attirato da qualcosa sugli spalti: era un allenamento aperto al pubblico e tra i diversi sostenitori aveva notato un volto, purtroppo, familiare.

La collera lo aveva montato quando aveva incrociato lo sguardo distaccato di nonno Goro: non poteva credere che il vecchio medico fosse così meschino da andare a sbandierare la sua personale vittoria contro di lui innanzi allo staff al completo e ai compagni . Deconcentrandosi, il calciatore aveva eseguito un movimento scoordinato e avvertito un dolore acuto ed improvviso alla coscia destra a cui era seguito uno spasmo muscolare.

Richiamato dall’allenatore si era avvicinato alla panchina e il Dottor Sasaki aveva nebulizzato il dolore applicando uno spray a ghiaccio istantaneo sulla parte interessata.

“Ti sei procurato uno bello stiramento muscolare! Credo che domenica la squadra dovrà fare a meno di te!”

Era sempre così pacato e gentile quando esponeva le sue diagnosi che anche il peggiore infortunio con le sue parole avrebbe avuto probabilità di guarigione.

“Crede che ne avrò per molto?”

Chiese Julian lasciandosi curare. Per la prima volta nella sua carriera fu felice di quel piccolo infortunio: avrebbe potuto raggiungere Amy ad Osaka e passare il weekend con lei.

“Se starai a riposo finché il dolore non scompare, tempo due settimane e sarai di nuovo in campo!”

Illustrò il Dottor Sasaki che ancora non era riuscito a spiegarsi cosa avesse distratto il ragazzo da portarlo a fare quel movimento azzardato in allenamento.

“Sono infortuni frequenti in ambito sportivo! Meglio immobilizzare la gamba…negli spogliatoi troveremo tutto l’occorrente per una fasciatura!”

Lo rassicurò l’uomo invitandolo a seguire.

Julian lo aveva sempre considerato con sospetto, complici anche le minacce del nonno nelle quali aveva più volte tirato in ballo la sua amicizia con l’uomo, poi con il trascorrere dei mesi all’FC Tokyo aveva imparato a conoscere il medico sociale come una persona affabile ed affidabile: si chiese come una persona simile potesse essere amica di suo nonno.

Si chiese più volte anche quando nonno Goro avrebbe dato adito alle sue minacce ma poi aveva convenuto con sé stesso che la cosa migliore era non rimuginarci su.

**** ***** ***** ************

Il Dottor Sasaki aveva appena disposto le bende elastiche per la medicazione quando un uomo canuto e dal portamento elegante si affacciò ad interromperne il lavoro, facendo trasalire Julian.

“Goro! Per tutti i templi del Giappone! Hai impiegato un girono di andata e mezzo di ritorno prima di venire a vedere tuo nipote giocare!”

Il fatto che gli si fosse rivolto con un esclamazione che era divenuto il leitmotiv di quando la squadra sbagliava qualche aggancio fece capire a Julian che i due medici dovevano veramente essere amici di vecchia data.

- Ci siamo! È arrivato il momento della vendetta per il nonno!

Pensò il ragazzo che aveva perfino sperato in una conversione del nonno.

“È grave l’infortunio di Julian?”

Il calciatore si sorprese di quella domanda: possibile che Goro si fosse redento e si interessasse di lui?

No, probabilmente cercava la conferma che si fosse azzoppato definitivamente per tentare nuovamente di imporgli i libri di medicina.

“Un’elongazione muscolare che guarirà nel giro di una quindicina di giorni! Julian è in gamba, sai? Non ci poteva capitare di meglio per questa stagione!”

Il fatto che chi, nelle intenzioni del nonno, avrebbe dovuto stroncare la sua carriera lo stava elogiando avrebbe portato Julian a sorridere compiaciuto, non fosse stato per la tensione che gli provocava cercare di indovinare le prossime mosse del nonno.

“Ho saputo che mi hai cercato per dirmi qualcosa di molto importante nei giorni scorsi ma poi non ti sei fatto più sentire!”

Il dottor Sasaki continuò a parlare con Goro mentre curava la gamba del calciatore.

“Ho perso il tuo numero di cellulare! Comunque non era niente di che: volevo solo informarti che si sta organizzando una rimpatriata tra vecchi compagni di corsi!”

La spiegazione del patriarca Ross spiazzò il nipote: sicuramente il fatto che avesse perso quel numero era una bugia.

“Posso parlare da solo con Julian? Potrei continuare io con il bendaggio…qualche nozione di ortopedia la ricordo ancora sai?”

Stuzzicò il collega, facendolo ridere.

**** ***** ***********

Goro si sedette sulla lunga panca accanto a Julian e gli chiese di allungare la gamba verso di lui per facilitargli il lavoro.

“ Sei venuto a sbandierare la tua vittoria di Pirro ai quattro venti dello stadio?”

Lo affrontò con tagliente ironia il ragazzo: quell’improvvisa trasformazione del nonno non lo convinceva affatto.

“ Le tue filippiche nei miei riguardi forse sono ingiuste ma sicuramente meritate!”

Sentire Goro fare mea culpa doveva essere sicuramente frutto di un miracolo. Lo stupore fu tanto che Julian ritrasse violentemente la gamba riacutizzando il dolore, per poi lasciarsi sfuggire una imprecazione.

“Su fatti medicare! Vedrai che con gli antinfiammatori il dolore passerà!”

“Anche dei betabloccanti una volta dicevi che mi avrebbero fatto guarire! Eppure…”

Gli lanciò una stilettata il nipote ribelle per evidenziare l’aria da saputo che lo aveva sempre contraddistinto.

Goro ignorò la provocazione ed estrasse dalla ventiquattrore ,che portava sempre con sé quando doveva dare lezioni all’università, una piccola agenda dalla copertina in sughero che ne testimoniava l’aspetto vissuto: l’aprì alla prima pagina e la porse a Julian.

A caratteri cubitali, come una sorta di promemoria, si poteva leggere una massima di François de la Rochefoucauld sulla giovinezza.

“Questo è stato il mio primo diario! Quando vi ho scritto questa massima avevo solo sedici anni ed ero appena uscito dagli orrori e dalla miseria della guerra! Promisi a me stesso che avrei impegnato la mia giovinezza per costruirmi un futuro e un nome senza però abbandonare l’ebrezza di quell’età!”

Julian lo ascoltava in silenzio.

“Quando siamo giovani pensiamo che nulla ci è precluso e siamo pieni di ideali, quando invecchiamo diventiamo prepotenti, crediamo di poter essere le migliori guide per chi è più giovane di noi e finiamo per prevaricarlo, sicuri di poter correggere la sua passione per quello che a noi può sembrare inutile!”

Goro stava seguendo i propositi che si era prefissato quella sera innanzi alla Tv, guardando la partita del Giappone con la Thailandia. Forse imparando ad ascoltare Julian ne avrebbe capito anche il comportamento.

“Guarirai da questo stiramento Julian come sei guarito dalla malattia al cuore ma la nessuno può curarti dalla malattia della tua età : è la febbre della ragione!”

Citò la massima dell’aforista seicentesco che campeggiava su quel taccuino.

“Sono stato accecato dai miei desideri, dalla mia smania di assicurare un buon futuro alla mia discendenza e ho perso di vista la vera essenza della gioventù! Senza una ragazzina testarda e un padre che ti vuole molto bene probabilmente non avrei mai capito che è meglio sprecare la gioventù piuttosto che vivere di rimpianti!”

Julian fu sorpreso di quella confessione: né Gregory né Amy gli avevano accennato di aver cercato di dissuadere nuovamente il patriarca, forse per evitargli un inutile delusione sicuri dell’esito fallimentare del loro tentativo.

“ Probabilmente tu sai già dove indirizzare il tuo futuro quando smetterai di bighellonare per i campi di mezzo Giappone!”

Questa volta non c’era sarcasmo o astio nella voce di Goro, come invece era stato quando aveva mosso quell’accusa al nipote alla festa di laurea di Akito.

“Credo…sono convinto che farò l’allenatore! O in alternativa, se riprenderò gli studi, cercherò di ottenere l’abilitazione per l’insegnamento nelle scuole!”

Era strano parlare così francamente con Goro e ancora più sorprendente era il fatto che il vecchio uomo ascoltasse senza cercare di far prevalere le sue idee.

“Sarebbe una bella prospettiva in ottica futura!”

Julian decise che doveva chiedergli qualcosa.

“Hai davvero perso il numero del Dottor Sasaka?”

“L’ho cancellato dalla memoria del cellulare qualche sera fa! Me lo farò ridare presto…ma per invitarlo a cena e parlare di questioni mediche!”

Lo rassicurò prontamente Goro, consapevole di dover recuperare o forse costruire gradualmente un rapporto con quel nipote che non aveva mai capito.

“Riuscirai mai a perdonare la mia cocciutaggine?”

Lo spiazzò ancora una volta il nonno. Julian si massaggiò la gamba e ci meditò su.

“Forse ci riuscirò…ma con calma! Mi hai fatto rivivere troppe cose brutte con le tue imposizioni ed è ancora troppo presto perché possa dimenticarle!”

Rispose con sincerità. Goro era disposto ad aspettare: si era conquistato l’affetto di tutti i nipoti con la sua disponibilità nel dar loro una mano negli studi ma conquistare la fiducia di Julian era la sfida più difficile.

“Prova anche a perdonare tua madre! Lei non si è rivolta a me con cattiveria: è solo un’altra persona grande che credeva di sapere cosa è meglio per te!”

Julian non rispose e lasciò che il nonno finisse di applicare la benda elastica sulla sua coscia.

Avrebbe tanto desiderato riparlare con sua madre e raccontargli di essere felice grazie ad Amy.

***** ******** *********

• L’aforisma che campeggia sul diario di nonno Goro per intero cita così: “La giovinezza è un ebbrezza continua: è la febbre della ragione”

Ringrazio quanti continuano a leggere, seguire e commentare questa storia!

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Capitolo 44
*** "Spleen" ***


“Spleen”

I Bateaux Mouches solcavano le acque tiepide della Senna: la primavera era alle porte e Tom non riusciva ancora a credere di essere stato lontano da Parigi, dal calcio, da suo padre per così tanti giorni.

Yoshiko lo aveva cambiato: preoccuparsi per lei, confortarla e imparare a conoscerla gli aveva fatto scoprire di avere una famiglia molto più grande di quanto non fosse stato in quegli anni con Ichiro.

Ora desiderava tornare presto nell’appartamento del centro parigino per riabbracciare suo padre e raccontarsi tutto ciò che non si erano detti in quelle settimane che li avevano tenuti distanti.

Nell’attraversare il boulevard Saint Germain si fermò qualche istante a riflettere e a confondere i suoi pensieri con il fluire placido delle acque del fiume e gli tornarono in mente i versi di Prevért: anche quel giorno la Senna si faceva specchio della sua anima e sembrava piangere con lui.

Poi invidiò la fortuna del fiume, esente da preoccupazioni, che con il “suo bel vestito verde” si sarebbe diramato anche quel giorno verso Le Havre e alla sera, con le sue luci dorate, si sarebbe attirato le invidie di Notre Dame e di tutte le sue pietre.

Passando davanti al Café de Flore s’illuse di tornare a quella domenica trascorsa alla Grande Jatte con Susie, a scattare fotografie.

Rivedeva la luce che balenava negli occhi di lei quando cercava di scoprire i retroscena che avevano portato alla creazione di un’opera d’arte, ne risentiva la voce entusiasta quando difendeva l’immortalità della fotografia.

Di nuovo da solo, nella Ville Lumière dell’amore, non riusciva a togliersi dalla mente gli occhi inquieti e vaghi della Suzonne di Manet e la temerarietà delle ama giapponesi.

Voleva tornare presto a casa, da Ichiro per sapere da lui come una tela avrebbe rappresentato i suoi sentimenti.

Aveva preferito tornare con calma dall’aeroporto per riadattarsi all’atmosfera francese: Parigi agli albori della primavera era un tripudio di colori e suoni festosi.

Il ritorno della bella stagione sembrava essere una fonte di ispirazione per gli artisti e, quando tornò finalmente a casa, Tom trovò Ichiro dinnanzi alla tavolozza e alla tela con i balconi spalancati per cogliere quello spicchio di città visibile dalla loro veranda.

Tom sorrise e gli si fece subito incontro: ogni volta che lo scopriva intento nel suo lavoro rivendicava con convinzione quella sua affermazione da bambino, quella verità incancellabile che mai nessuno avrebbe fatto vacillare, lui era Tom Becker, il figlio di Ichiro Becker il grande artista, e non avrebbe voluto diversamente.

“Tom? Credevo saresti arrivato con il volo di questa sera!”

Si sorprese Ichiro, abbandonando il suo lavoro per abbracciare il figlio.

“Non volevo farti stare in pensiero! Ormai dovresti conoscere le mie piccole bugie!”

Ichiro scosse la testa e lo guardò con dolcezza: erano stati vuoti e tristi le lunghe giornate invernali da riempire soltanto con la sua arte; il non avere Tom tra i piedi gli aveva quasi fatto perdere l’ispirazione per i suoi prossimi lavori.

“Come sta Yoshiko?”

Chiese Ichiro, riprendendo il pennello in mano e risedendosi sullo sgabello. Tom gli aveva accennato ai problemi della ragazzina durante le loro lunghe telefonate.

“Sta meglio! Ha capito che dovrà curarsi per il suo bene e ha accettato tutti i sacrifici che questo comporta!”

“E tu? Tu come stai?”

Tom sedette dietro di lui, temporeggiando nel rispondere. Avrebbe tanto voluto dirgli della malinconia che quel ritorno in Francia gli aveva causato, spiegargliene i motivi, chiedergli di dipingere una tela che rappresentasse i suoi stati d’animo ma non trovava le parole adatte a raccontare.

“Io mi sento diverso! Prima di andare a Sendai ero arrabbiato con la mamma e Yoshiko per me era un’estranea…ora invece mi mancano entrambe!”

Spiegò, sperando di non ferire il padre con quell’esternazione.

“È normale! Anche loro sono la tua famiglia e Yumiko è tua madre! Tu sei di tutti e due: sia mio che suo!”

Rispose Ichiro curando i dettagli della sua opera, senza scomporsi.

“E Susie poi ti ha raggiunto?”

A quella nuova domanda Tom si imbarazzò un poco e si chiese se suo padre avesse capito cosa stava succedendo nel suo cuore.

“Sì, è stata con me a Tokyo per alcuni giorni! Ora è partita per Osaka con una nuova amica: ha trovato un lavoro come fotografa li!”

Ichiro annuiva e aspettava che Tom aggiungesse qualcosa.

“Le avevo proposto di tornare in Francia ma…ha rifiutato!”

Il padre si accorse del tono di recriminazione con cui lo informò.

“È perché non vuole deluderti! Vuole trovare la sua strada e lasciare che tu trovi la tua!”

Tom avrebbe tanto voluto chiedere come si comportava la mamma con lui quando erano fidanzati ma decise di desistere da quel proposito, sia per non immalinconire anche il padre, sia perché lui e Susie non erano fidanzati.

“A cosa stai lavorando?”

Tom si avvicinò curioso alla tela come ogni volta che si improvvisava il primo critico dei lavori paterni.

Sul foglio i tetti delle case apparivano anonimi e le pareti delle case sembravano mura di prigioni, il cielo grigio faceva presagire un giorno più triste della notte e le campane di Notre Dame sembravano lì lì sul punto di esplodere con furia.

Il ragazzo fu meravigliato nell’osservare un dipinto che non aveva nulla da spartire con i paesaggi fiabeschi e colorati, le pennellate veloci e colorate che si erano presentati sempre come marchio dell’arte di Ichiro.

“Sembra che i tuoi stati d’animo siano cambiati in questi mesi!”

Osservò Tom.

“È stato l’averti lontano da me che mi ha reso triste! Tra qualche settimana esporrò le mie tele in un importante salone parigino e poi, forse, dovrò cercare altri luoghi di ispirazione per i miei lavori!”

Il figlio lo guardò basito: sapeva bene che ormai non era più costretto a seguire Ichiro nei suoi lunghi peregrinaggi per il mondo ma restare da solo a Parigi non lo allettava per nulla.

“Forse tornerò in Giappone! Tu ormai sei grande Tom e non devi più dividerti tra la mamma e il babbo: puoi decidere liberamente dove porre le tue radici!”

Il ragazzo aveva incassato in silenzio la decisione dell’uomo, che probabilmente non si aspettava un’immediata replica.

“Non ho ancora dato un nome a quest’opera! Vuoi aiutarmi a sceglierne uno, Tom?”

Più guardava la tela più gli sembrava che il padre avesse tradotto in immagini un cielo plumbeo e pesante che schiaccia un’anima già soffocata da pensieri; la terra umida e le gocce di pioggia che sembrano gocce invisibili.

“Spleen!”

Propose all’improvviso, ricordando i “Fiori del male” di Baudelaire, trovando Ichiro concorde.

***************

Riprendere gli allenamenti era stato un po’ come tornare a scuola dopo le lunghe vacanze estive.

Il Paris Saint Germain stava disputando un discreto campionato anche se negli ultimi turni l’assenza di Tom, giustificata dalla dirigenza della squadra, si era fatta sentire.

“Ehi Becker com’è andata la vacanza nel tuo Giappone?”

Chiese Pierre Le Blanc, cambiandosi i calzini dopo la fine dell’allenamento.

“Non sono andato in vacanza!”

Tagliò corto il compagno di squadra al quale l’ironia di Pierre non era mai andata a genio.

“Mia zia è molto in collera con una tua compatriota: dice che per l’educazione dei suoi figli non si fiderà mai più di persone sciatte e sempliciotte come la sua ultima ragazza alla pari!”

“Mi risulta che Susie era la baby sitter e non la serva della tua famiglia!”

Rispose a tono Tom, stanco dei sproloqui del francese.

“Sei tu che tiri in ballo la nostra nounou! Solo la piccola Chantal è rimasta delusa dalla sua improvvisa dipartita: ma lo zio Pierre le ha spiegato che le ragazze facili preferiscono la compagnia dei ragazzi a quella delle belle bambine come lei!”

Tom si sforzava di restare calmo e di non lasciarsi provocare.

“Susie è una brava ragazza e non azzardarti mai più ad apostrofarla con epiteti ingiuriosi!”

“Oh il nostro Becker sembra essersi innamorato di una cattiva ragazza! Stai in guardia però: la zia della tua Susie dice che la nipotina adora scaldare i letti degli altri…peccato che il mio non abbia ancora la forma del suo corpo!”

I sospetti presero a martoriare Tom, l’evanescenza di Susie nel parlare del suo soggiorno presso i Le Blanc aveva un nesso, ora si spiegava la disperazione della ragazza quanto era giunta, trafelata, quella notte a bussare alla sua porta.

La rabbia esplose prepotente e serrò forte il pugno prima di colpire Pierre in pieno stomaco.

*****

*Spleen: “Spleen et ideal” è una sezione de “I Fiori del Male” di Charles Baudelaire. Spleen è una parola che deriva dal greco ma nel decadentismo letterario dell’’800 assume il significato di malinconia e noia dell’esistenza.

Anche se con un po’ di ritardo faccio agli amici e alle amiche di EFP i miei migliori auguri per queste Sante Feste e per un sereno Natale.

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Capitolo 45
*** "Paura di essere felice" ***


“Paura di essere felice”

Tempozan, nella baia di Osaka, anche quel giorno attirava molti visitatori e divertiva diversi ragazzi. La giornata era tiepida e le acque dell’Oceano Pacifico lambivano, placide, le coste.

Amy si strinse al braccio di Julian, camminandogli accanto per raggiungere l’ingresso dell’ “Acquarium Kaiyukan”: con quel contatto cercava conferme che quelle ore di evasione dalla routine, ripresa con il ritorno all’università, fossero reali.

Non era stato facile riadattarsi alla vita ad Osaka: studiare era diventato più difficile e trovare nuovamente la concentrazione necessaria le era costato un enorme sforzo.

Quello che prima era un piacere si era trasformato in un obbligo.

La nostalgia fendeva le sue giornate tra i doveri di studentessa da portare a termine e i sogni del ritorno a Tokyo che presto si sarebbero concretizzati.

“Sei sicuro di riuscire a camminare?”

Chiese all’improvviso al calciatore, pensierosa. Julian la rassicurò.

“Pensa che per non sforzare la gamba sono venuto ad Osaka con lo Shinkansen anziché in auto! Si risparmia un sacco di tempo a non stare in coda nel traffico!”

Amy annuiva divertita, mentre le loro mani si erano cercate fino a trovarsi.

“ Ho quasi l’impressione che tu sia diventato più coscienzioso rispetto al passato!”

Lo prese in giro la ragazza, facendolo arrossire. Calò il silenzio tra loro. Un silenzio piacevole.

Amy all’improvviso scoppiò a ridere nel ricordare come, alla fine delle lezioni della mattina, fosse stata avvicinata da Naomi.

“ La mia coinquilina era così galvanizzata stamane che, ironicamente, le ho chiesto se avesse visto l’imperatore Akihito! E sai lei cosa mi ha risposto?”

“Cosa?”

“No!…Ma c’è un principe oggi in giro per l’università!”

Risero insieme. Quando Amy era uscita dall’aula , già proiettata ai compiti con cui impegnare il weekend per recuperare il periodo di studio perso in quei mesi, aveva notato un gruppetto di ragazzi nel corridoio dell’ateneo e poi Naomi, da conoscitrice di sport, l’aveva informata su cosa avesse attirato l’attenzione degli universitari.

“Ormai è un soprannome desueto! Non è stata una buona idea aspettarti all’università…avrei potuto metterti in imbarazzo!”

“ Invece è stata una sorpresa meravigliosa! Questa sera chi la sente Naomi! Sai…non le ho ancora raccontato niente di noi! Forse è egoista o forse è stupido ma volevo tenere queste sensazioni nuove ancora un po’ tutte per me!”

Erano giunti alla vasca a forma di tunnel che riproduceva l’Oceano Pacifico; una piccola galleria d’acqua li accolse e si trovarono circondati da pesci tropicali.

“ Dovrai farmi conoscere i tuoi nuovi amici! Sono un po’ geloso di loro, sai?”

Amy lo guardò sincera ed ebbe voglia di baciarlo, di sentire su di sé il sapore dell’eucalipto.

“ Tra noi non ci saranno più segreti! Non riesco ancora a credere che tuo nonno abbia finalmente capito che ti stava rendendo infelice!”

Continuarono il loro passaggio attraverso l’acqua, attraverso i pesci.

“Ha detto di averlo capito grazie ad una ragazzina testarda!”

Le creature all’interno dell’acquario interagivano, formando un unico organismo vivente.

In un parco divertimenti di Tokyo, quando ancora era felice ma insicura, Amy aveva promesso a Malaika che un giorno avrebbe detto a Julian tante cose e ora sapeva che il momento adatto era, finalmente, arrivato.

Si girò verso di lui e, alzandosi sulle punte, sfiorò le labbra del ragazzo per interiorizzare l’odore di eucalipto, l’odore di uomo.

“ Non ero mai stata prima all’acquario di Osaka! Nei primi mesi trascorsi qui avevo timore che le cose nuove potessero sradicarmi dal mio passato…un po’ come avrebbero potuto fare le persone nuove!”

Sussurrò all’orecchio di Julian, decisa a renderlo partecipe della sua vita fino in fondo.

“Ma poi l’abitudine rende sopportabili anche le cose che ci spaventano! Dopo andremo anche sulla ruota panoramica, sai?”

Aggiunse Julian per far tornare il sorriso ad Amy. Lei non lo prese sul serio: una volta erano saliti su quella di Tokyo, insieme, ma dubitava avrebbero mai ripetuto quell’esperienza.

I cubi diafani davano loro l’impressione di trovarsi in fondo al mare, immersi tra le creature marine; l’enorme cisterna con lo squalo balena ricordò a Julian la boccia di vetro contenente i pesci rossi, nello studio del Dottor Tanaka: il bestione del mare, nonostante avesse il privilegio di occupare la vasca più grande all’interno dell’acquario, girava in tondo per ore suscitando nel ragazzo la stessa impressione di prigionia che gli avevano trasmesso i minuscoli pesciolini.

“Dovrò portare Susie in questo posto! Scommetto saprebbe fare delle foto eccezionali!”

“Si trova bene qui ad Osaka?”

S’interessò Julian, continuando a seguire i giri in tondo dello squalo balena.

“Tra qualche settimana terrà la sua prima mostra! Credo sarebbe molto contenta se Tom potesse venire…”

“Sarebbero felici entrambi se riuscissero a parlarsi!”

Non aggiunsero altro: a loro erano occorsi le incisioni sul tiglio, i baci degli eschimesi e l’aspidistra prima di riuscirsi a parlare.

Il padiglione delle meduse concludeva il tour all’interno dell’acquario: Amy si incantò dietro i movimenti di quei piccoli ombrelli trasparenti che fluttuavano nell’acqua. “ Ieri mi ha telefonato Jenny: il matrimonio con Philip è ormai imminente!”

Introdusse un nuovo argomento Amy.

“E dire che quello scriteriato ha chiesto proprio a me di fare da suo testimone di nozze!”

La buttò sullo scherzoso Julian.

“Verranno tutti i vostri compagni di nazionale…le ragazze! Sarà un po’ come ai vecchi tempi!”

Osservò Amy, con una punta di malinconia, seguendo con il dito le fluttuazioni delle meduse.

“Stai cercando di dirmi qualcosa, Amy?”

“Jenny ha invitato anche me alle sue nozze ma…non sono sicura di venire! Non mi sento ancora pronta ad affrontare tutto e tutti! Devo uscire dal letargo piano, piano!”

Julian restò in silenzio, lasciandosi rapire dalle tonalità azzurrine a cui ormai avevano abituato gli occhi.

“Lo capisco! Se si è stati lontani dalla vita per un po’ di tempo quando si è pronti a tornare si viene ubriacati dalla normalità!”

Guardava le tartarughe giganti, i pinguini e le lontre e si stupiva di come un habitat di sole quattordici vasche riuscisse a ospitare tutti gli esemplari dell’Oceano Pacifico.

“Non prendertela a male Julian, ma…sono quasi certa che non verrò con te al matrimonio!”

Il calciatore accettò quella scelta, disposto a rispettare i tempi di Amy.

Ripresero il percorso a spirale, dall’alto verso il basso, ammirando altri esemplari.

Innanzi alla “vasca Antartide” custode dei pinguini, assicuratasi di essere rimasti un po’ isolati dagli altri visitatori dell’acquario, Amy costrinse Julian a fermarsi.

“Baciami Julian! Qui in mezzo all’Oceano!”

Lo spiazzò con quella richiesta. Il ragazzo le passò le mani tra i capelli ramati e lucenti e poi esaudì quella domanda: non fu uno sfiorarsi di labbra ma un vero bacio.

I pescecani e le mante cozzarono contro i vetri antiriflesso delle loro gabbie, facendo sobbalzare i ragazzi. Amy si rannicchiò contro il petto di Julian, come quella sera al campo della Mambo quando gli aveva chiesto di tenerla con sé.

“Julian? Ho paura!”

Sussurrò piano.

“Degli squali? Non possono farti del male!”

“No, non è di loro che ho paura!”

“Allora di cosa? Di soffrire ancora?”

Lei si staccò perché i loro sguardi si trovassero: aveva un balenio diverso negli occhi, un luccichio che presto si trasformò in lucciconi. Per Julian non era mai stata tanto bella.

“Ho paura di essere felice! Ora che la felicità è a portata di mano non so se sarò in grado di scoprirla!”

“Impareremo a conoscerla insieme!”

La rassicurò Julian. Poi si diressero verso la ruota panoramica.

********

Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire questa storia! Approfitto di questo spazio per fare agli amici di EFP i migliori auguri per il nuovo anno appena arrivato: auguro a tutti voi che nel 2012 possiate realizzare tutti i vostri sogni!

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Capitolo 46
*** "Qualcuno con cui parlare" ***


“Qualcuno con cui parlare”

Tom continuava a fissare la mano tremante di rabbia, incredulo innanzi alla reazione che le parole di Pierre ne avevano causato.

Il francese aveva accusato il colpo, colto di sorpresa, poi se ne era andato con dignità, senza osare più fiatare e non rivolgendo nessuna minaccia di vendetta.

Rimasto solo nello spogliatoio, Tom continuava a chiedersi se restare a Parigi fosse la scelta più saggia per il proprio futuro.

Non aveva garanzie sul proprio autocontrollo e temeva che, se provocato, non sarebbe stato nuovamente capace di gestire le sue emozioni.

Sentiva di star deludendo il club che aveva avuto fiducia in lui e il tempo in cui lo stesso Pierre lo aveva accolto a Parigi ,lanciandogli una sfida con il pallone, sembrava appartenere ad un’altra epoca.

Quando lo aveva conosciuto, da ragazzino, aveva perfino creduto di poter diventare amico di Pierre e ora lo vedeva come l’antagonista pronto a gettare calunnie su Susie. Eppure tra quelle parole velenose l’altezzoso Le Blanc aveva colto la verità: Tom si era davvero innamorato di Susie.

Nel silenzio della sera, nel quartiere Saint Germain, l’attaccante nipponico fu dilaniato da un difficile dilemma: il presidente del suo club gli aveva accennato ad offerte di mercato provenienti dal Giappone, con lo Jubilo Iwalta pronto ad acquistare il suo cartellino.

Bastava un si per rivoluzionare nuovamente tutta la sua vita e forse piantare le radici che non avevano mai attecchito in nessun posto.

Nella nuova squadra avrebbe ritrovato Bruce Harper e nella Japan ligue avrebbe potuto sfidare gli amici di sempre.

Tornando in Giappone avrebbe potuto avere la famiglia che aveva sempre desiderato: avrebbe potuto conoscere meglio la mamma e stare vicino a Yoshiko e anche Ichiro gli sarebbe rimasto vicino.

Tornare in patria significava anche tornare da Susie con la speranza che lei avesse fatto chiarezza nel suo cuore e fosse pronta a prendersi tutto poco a poco.

Stava attraversando in corrispondenza della biglietteria, al lato ovest di una delle tribune, quando un auto si accostò a lui impedendogli di proseguire.

Ne scese una bambina aggraziata e ben vestita, ad occhio e croce poteva avere la stessa età di Yoshiko.

“Sei tu Tom Becker?”

L’interrogato la riconobbe.

“Tu sei la nipotina di Pierre, vero? Tuo zio è già andato via!”

Si sentiva meschino per aver aggredito il compagno di squadra e rammentò come lui gli avesse detto quanto la piccola Chantal fosse rimasta male alla partenza di Susie.

“Non è per lui che sono qui…voglio parlare con te!”

Affermò decisa la piccola signorina. L’autista cercò di giustificare quell’invadenza ma Tom era disposto ad ascoltare e invitò la bambina a sedersi con lui su una panchina li vicino.

“ Tu sei amico di Susie vero?”

Quelle domande così risolute poste con aria fanciullesca gli ricordavano Yoshiko: pensò che la sua sorellina e Chantal sarebbero potute diventare buone amiche, se solo Pierre avesse avuto un buon carattere.

“So che sei arrabbiata con lei perché se ne è andata all’improvviso!”

“Io non sono arrabbiata ma solo tanto triste! Susie ha avuto ragione a lasciare la nostra famiglia: lo zio Pierre non era molto gentile con lei!”

Sospirò la piccola, incrociando le gambe e iniziando a dondolarsi.

“Susie ti vuole ancora molto bene e anche tu le manchi molto!”

Provò a spiegare la situazione ma Chantal lo interruppe contenta.

“Hai visto la nostra nounou? È felice ora che è tornata a casa?”

Tom le raccontò del lavoro di fotografa che aveva ottenuto e la piccola Le Blanc si mise a frugare nella sua borsetta a tracolla, continuando a parlare.

“Anche quando ci accompagnava allo stadio scattava sempre fotografie! Avevamo fatto un patto ma ormai credo che il nostro segreto non valga più!”

Si strinse nelle spalle.

“Che tipo di patto?”

“Io non dovevo dire a nessuno chi era il soggetto delle sue foto ma ormai non credo se la prenderà se le do a te perché gliele riporti!”

“Posso dare un’occhiata?”

Chantal, che non aspettava altro che il calciatore le rivolgesse quella domanda, annuì e tolse il sigillo dal plico che conteneva le foto: Tom s’irrigidì nel prendere coscienza di essere lui il soggetto ritratto nelle foto.

“ Io ho sempre saputo che eri tu a piacere a Susie e non lo zio Pierre…ma lei mi aveva fatto promettere di non dirlo a nessuno!”

Tom si accoccolò di fronte alla bambina e l’abbracciò: quell’incontro aveva chiarito molti suoi dubbi.

“Sei stata molto coraggiosa e buona nel venirmi a cercare! Sai Chantal…grazie a te forse troverò il modo di far felice Susie!”

Il viso della bimba si allargò in un grande sorriso, poi prima di congedarsi, orgogliosa dell’opera buona compita, si voltò nuovamente verso Tom con aria pensierosa.

“Quando rivedrai Susie le potresti dare questa letterina da parte mia e dirle di non dimenticarmi mai?”

Era lì li sul punto di scoppiare a piangere e al giovane Becker venne in mente un’idea.

“Ti prometto che torneremo a trovarti e porteremo con noi un’altra bambina con cui potrai giocare!”

***** ******* *********

Tornato a casa non riusciva a stare fermo: gli spazi silenziosi sembravano ancora più grandi e i tetti grigi del quadro del signor Becker sembrava avessero preso all’improvviso colore.

Tutto appariva trasformato agli occhi di Tom e il desiderio di condividere la sua gioia con qualcuno diventava sempre più impellente.

Avrebbe tanto voluto parlare con Ichiro, aspettandone ansioso il ritorno, ma sapeva di dover spiegare molte cose al genitore prima che potesse capirne lo stato d’animo.

Calcolò il fuso orario con il Giappone e fu più volte tentato di comporre il numero di Susie per parlare con lei delle trame dei tessuti e delle loro vite che forse erano destinate ad intrecciarsi: dovette fare un enorme sforzo per rispettare la richiesta della ragazza e darle il tempo che le aveva chiesto.

Voleva sentire Yoshiko e le sue teorie sui pesci e sulle sirene: alla sorellina avrebbe potuto raccontare delle donne pescatrici che nuotano nelle acque dell’Oceano per cercare le ostriche con le loro perle e dire che Susie era una di loro.

Avrebbe avuto tante cose da dire ma non trovava nessuno con cui parlare, nessuno a cui sarebbe bastato sentire la sua voce per rendersi conto di tutto.

Scorse sui numeri della sua rubrica telefonica finché trovò quello giusto.

Schiacciò il tasto e inviò la chiamata attendendo il segnale di ricezione dall’altro capo dell’apparecchio.

“Pronto?”

Rispose una voce assonnata.

“Julian sono Tom! Ti ho svegliato?”

L’altro sgranò gli occhi, svegliandosi completamente.

“Ma che ora sono?”

“Qui è quasi notte…quindi a Tokyo deve essere la prima mattina!”

“È successo qualcosa?”

Chiese Julian, insospettito da quella telefonata.

“Sì una cosa molto bella e avevo bisogno di parlarne con qualcuno!”

Il compagno di nazionale sorrise, sedendosi di fronte all’aspidistra, pronto ad ascoltare.

“Ho dato un pugno a Pierre Le Blanc!”

“Sicuramente una cosa meravigliosa! Credo che per un po’ di tempo sarà meglio evitare le amichevoli con la Francia!”

Rispose ironico Ross.

“L’ho fatto perché continuava ad inveire contro Susie e allora…io non ci ho visto più dalla rabbia!”

Julian cercò sotto il rizoma carnoso della pianta scovando un piccolo fiore bianco.

“Lo capisco! Se qualcuno offendesse Amy…credo reagirei male anche io!”

“Il fatto è che io amo Susie e ora ho la certezza che anche per lei sia lo stesso, Julian!”

L’interlocutore urtò la custodia raffigurante l’albatros, sentendosi importante nel nuovo ruolo di confidente.

“ Susie terrà la sua prima mostra fotografica tra qualche settimana…voleva che tu non ne sapessi niente per timore di distoglierti dai tuoi impegni con il Paris Saint Germain!”

Confessò il libero dell’FC Tokyo: lui ed Amy stavano discutendo da giorni sul modo per far si che Tom potesse essere presente all’evento.

“Sai Julian Parigi non mi è mai sembrata tanto triste e brutta come in questo periodo!”

“È perché sei lontano dalle persone a cui vuoi bene e che ami! Anche per me Tokyo era invivibile quando Amy è andata a studiare ad Osaka!”

“Gli stati d’animo possono cambiare il modo di percepire anche gli ambienti più familiari!”

“Già!”

Tom ripensò alla conversazione avuta con Chantal, ai patti e ai segreti di cui gli aveva parlato e decise di prendersi una piccola vendetta.

“Senti Julian se ti confido un segreto prometti che resterà tra noi due per qualche giorno?”

L’amico di Tokyo, che non aveva mai avuto particolare confidenza con i compagni di nazionale, annuì allettato da quella proposta.

Tom parlò e lo trovò concorde scoprendo una sorprendente affinità tra di loro.

“ Tom grazie per aver pensato a me! Mi fa piacere essere stato io il qualcuno con cui avevi bisogno di parlare!”

Ma Tom sapeva di aver operato la scelta giusta: quello che un tempo gli appariva come un pozzo di sorprese nascoste si stava trasformando in un caro amico.

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Capitolo 47
*** "Ridere insieme" ***


“Ridere insieme”

“Sakura, Sakura no-yama mo sato mo…”

Stonò Bruce mentre l’autobus della nazionale costeggiava il fiume Sumida, di ritorno a Tokyo dopo il vittorioso incontro contro il Tagikistan che aveva regalato la qualificazione al prossimo Mondiale giovanile.

“Ecco l’unico che riesce a profanare la musica sacra giapponese!”

Lo ammonì uno dei gemelli Derrick, tappandosi le orecchie.

“Pensare che Puccini ne trasse ispirazione per la sua Madame Butterfly e il nostro Bruce invece la usa per puro diletto!”

Gli diede corda Ted Carter, dai posti centrali del veicolo, con Paul Diamond e Johnny Mason che prontamente annuirono.

“Sentili, sentili Athos, Porthos e Aramis come se la intendono con i gemelli del destino! La verità è che la vostra è tutta invidia…voi non sapete godervi la bellezza dei ciliegi in fiore, dell’allegria che c’è nei parchi in questo periodo dell’anno…!”

Mark Lenders si disinteressò della griglia del Sudoku che stava cercando di completare, perplesso dal modo di parlare del compagno.

“Sakura, Sakura yayoi no sora wa…”

Riprese Bruce venendo, questa volta, interrotto dalla voce del Capitano.

“Ehi Bruce potrei portarti con me a Barcellona così potrai cantare le ninna nanne a mio figlio!”

Lo canzonò, lasciando ben trasparire quale fosse il suo orgoglio nel mostrarsi nel nuovo ruolo di padre.

“Allora il tuo Hayate avrà di che strillare! Comunque Bruce Harper dovrà prima esibirsi nella marcia nuziale delle mie nozze!”

Si intromise Philip, dai posti di dietro, partecipando allo sfottò collettivo nei confronti del malcapitato difensore.

“Cerchi il modo per far si che Jenny ti pianti sull’altare?”

Espresse il suo parere anche Benji: l’affinità tra i ragazzi era ormai tale che quel ritorno nella capitale somigliava tanto ad un’allegra gita di fine anno scolastico.

“Se aveste sentito Bruce intonare Marmalade Boy non sareste così critici con il suo…talento!”

Julian riemerse dal sedile nel quale aveva sprofondato la testa, rosso in viso per il troppo ridere. Freddy Marshall evitò di voltarsi verso i ragazzi, restando impassibile a guardare la strada avanti a sé, in verità compiacendosi del fatto che il ragazzo che un tempo aveva fatto parte dello staff tecnico avesse trovato la spontaneità e il coraggio di farsi partecipe della goliardia dei suoi vent’anni.

“Il dopopartita con la Thailandia è stata una festa! Dovevate vedere quando siamo tornati in ritiro a Sendai…Bruce a cantare e Julian ad accompagnarlo con il Koto!”

Spifferò Jason Derrick facendo attenzione al tono di voce perché l’allenatore non scoprisse da cosa fosse stata scatenata la baldoria quella sera di quasi un mese prima.

“Stavo solo accordando lo strumento che Clifford aveva comprato…e poi se non sbaglio qualcuno ballava sui futon durante il nostro piccolo party!”

Recriminò il chiamato in causa, spiazzando quanti non avevano condiviso con il resto della squadra quelle allegre ore successive alla vittoria.

“E dire che all’esecuzione dell’inno nazionale apparivi così compito con la fascia di capitano al braccio e, in televisione, i cronisti non facevano che tessere le tue lodi come esempio di serietà e diligenza!”

Tom strizzò l’occhio a quello che ormai considerava un buon amico. Ai suoi occhi Julian non appariva più come la pianta dello zenzero che si nasconde sotto i rizomi o un pesce che si sente prigioniero della sua brocca.

“ Per fortuna quello che succede fuori dal campo resta un pettegolezzo inaccessibile per molti!”

Replicò Julian, stando al gioco. La verità era che quella sera, con la fascia di capitano della nazionale al braccio, aveva provato nuove sensazioni: si era sentito appagato e felice, dimenticando l’opprimente convinzione che quella sarebbe potuta essere la sua ultima partita ufficiale.

Aveva riso insieme ai suoi compagni e si era sentito il padrone del mondo.

Si era riappropriato dei suoi vent’anni e aveva capito di potersi concedere qualche follia.

“Peccato non sia stato girato un video…altrimenti lo avremmo potuto far visionare ad Amy!”

Philip fece arrossire il suo testimone di nozze mentre Marshall, scuotendo la testa, si faceva contagiare dal vociare allegro dei suoi ragazzi.

L’autobus si fermò e i discorsi all’interno dell’abitacolo vennero interrotti: da uno dei ventisei ponti che si erigevano sul fiume Sumida si dipanava lo spettacolo dei ciliegi in fiore e una leggera brezza trasportava nell’aria l’odore delicato e zuccheroso dei piccolo cumuli bianchi e rosei che blandivano i sensi.

Tom si avvicinò a Julian e fissarono l’acqua che scorreva sotto di loro poi estrasse qualcosa dal borsone, che aveva portato con sé, e gliela porse.

“Questo lo ha fatto Yoshiko…non mi ha raccomandato altro che dartelo quando ci saremo rivisti per la partita del Giappone! È un suo regalo per il finto dottore che l’ha molto aiutata!”

Julian rise nel sentirsi definire a quel modo e si mise a contemplare il dono della bambina: con gli acquerelli aveva dato vita ad un’alba sul mare, riuscendo a rappresentare giochi di luce soffusi e a creare chiaroscuri tra le ombre degli scogli che si protraevano verso il cielo roseo pronto ad accogliere il sole.

Si ricordò della conversazione avuta con Yoshiko riguardo alle ore precedenti il sorgere del sole, in cui si attende ansiosi l’inizio di un nuovo giorno.

Quello che lo colpì fu che la sua piccola amica aveva arricchito il dipinto con piccoli pesci variopinti che sembrava guizzassero fuori dall’acqua per arrivare a prendere il sole.

“Lo ha fatto Yoshiko? È bravissima!”

“Ci ha tenuto anche ad incorniciarlo perché non lo sciupassi! Ha talento per la pittura e dire che lei non è figlia di Ichiro Becker!”

Accettò con una battuta quella condizione di famiglia allargata che era pronto a vivere. Julian conservò con cura il regalo di Yoshiko e poi si rivolse al compagno di squadra con l’aria da cospiratore.

“Allora questa sera resti a Tokyo da me e domani si va ad Osaka?”

Quella che voleva essere una domanda risultava quasi come un ‘affermazione: avevano confabulato spesso, per telefono, negli ultimi mesi coinvolgendo anche Amy nella sorpresa di cui Tom voleva rendersi protagonista.

“Tanto con lo Shinkansen arriveremo in un batter baleno!”

Fece il verso ad una frase che Julian gli aveva ripetuto sovente negli ultimi tempi.

Era bello avere qualcosa da condividere, ragazze da amare e da sorprendere.

“Credo che Bruce avrà notizie fresche da gridare dal centro del pullman al prossimo raduno!”

Rispose Julian imbarazzando un poco l’amico, entrambi speravano fosse così.

I compagni di nazionale guardavano a quella nuova amicizia con interesse e curiosità, smaniosi di scoprire come fosse nata tale affinità tra Tom e Julian, uno di loro però aveva un altro dubbio che lo tormentava.

Risalendo sul pullman a Julian capitò di buttare un’occhiata sulla casella bianca lasciata nel Sudoku di Mark Lenders.

“Otto…secondo me manca l’otto Mark!”

Consigliò, deciso ad abbattere le diffidenze anche con lui.

“Grazie Ross…Julian!”

Lo trattenne ancora un attimo, portando gli altri a voltarsi verso di loro.

“Dove diavolo hai imparato a suonare il koto? Bada che se vinceremo i mondiali dovrai dare una dimostrazione palese a tutti noi che ci siamo persi lo spettacolo di Sendai!”

Lo spiazzò con quella richiesta tra il serio e il faceto. Dopo lo smarrimento iniziale Julian annuì sorridente.

Dopotutto avrebbero avuto ancora molte esperienze da condividere insieme.

*** **** ****

• “Sakura Sakura” è una canzone popolare tradizionale giapponese. Sakura significa “ciliegio”, le strofe intonate da Bruce dovrebbero significare “ Fior di ciliegio, fior di ciliegio tra le colline e laggiù” e “Fior di ciliegio in pieno boccio”: la traduzione viene da Wikipedia, anche perché io in lingua giapponese sono ignorante!

• Marmalade Boy è il manga da cui fu tratto “Piccoli problemi di cuore”: credo un po’ tutte noi abbiamo sognato assieme a Miki il nostro primo bacio ^//^

Ringrazio quanti hanno seguito la storia fin qui e quanti continuano a scoprirla, a dedicarvi un po’ di tempo e a lasciarmi le loro impressioni! Ormai manca poco al termine!

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Capitolo 48
*** "Pescatori e sirene" ***


“Pescatori e sirene”

Amy imballò l’ultimo scatolone e fissò, in un crescendo di sensazioni contrastanti, la scrivania su cui aveva studiato quell’ultimo semestre, ormai vuota dai suoi libri.

Alla sensazione di libertà che le aveva dato l’aver superato l’ultimo esame prima di chiedere il trasferimento e alla gioia per l’imminente ritorno a casa si frapponeva una leggera malinconia e la sensazione di aver lasciato qualcosa in sospeso lì ad Osaka.

Naomi sedette su uno scatolone guardando l’amica della capitale.

“Sai Amy, in fondo al mio cuore, ho sempre saputo che tu non appartenevi a questo posto: l’ho capito fin da quando ci siamo presentate che questa per te sarebbe stata solo un’avventura!”

La giovane Aoba annuì.

“Un avventura che mi è servita a conoscermi meglio! Anche se…”

Temporeggiò, temendo di non sapersi spiegare e di apparire indelicata.

“Mi dispiace che non siamo diventate buone amiche!”

Naomi scosse la testa e le sorrise: quando cercava di metterla a proprio agio le ricordava i modi di fare di Malaika.

“Forse se tu avessi passato un anno più tranquillo saresti riuscita a fidarti di me! In fondo è giusto che torni a Tokyo, la tua vita è lì, i tuoi amici…il tuo ragazzo!”

A quella puntualizzazione Amy parve volersi giustificare ancora di qualcosa.

“Mi dispiace non averti raccontato di me e di Julian…è successo tutto quando sono tornata a casa per le feste e poi…hai ragione non mi fidavo ancora di te al punto da renderti partecipe della mia vita! Ma ora è diverso: ora ti voglio come mia amica!”

Naomi sorrise, per nulla offesa da quella giustificazione.

“Hai un solo modo per farti perdonare Amy Aoba: dovrai presentare il principe del calcio, nonché tuo fidanzato, alla tua nuova amica!”

La sua ormai ex coinquilina sorrise sorniona.

“Allora preparati ad avere una doppia sorpresa oggi!”

E già gustava la faccia di Naomi quando si sarebbe trovata davanti anche Tom Becker: le avesse detto che era lì per Susie, probabilmente, Naomi avrebbe reclamato anche per sé un calciatore della nazionale!

*** **** ****

Nella galleria fotografica del National Museum di Osaka, Susie disponeva le diapositive affinché godessero della giusta luce: nella zona a lei riservata era un esplosione di luminosità e di spaccati di vita, la sua mano attenta aveva immortalato, con molto realismo, la quotidianità della città.

Le venne da pensare al signor Ichiro e alle sue tele e, inconsciamente, le venne in mente anche il dipinto della ragazza con il nastrino nero al collo, quello che il padre di Tom le aveva regalato.

L’accenno alla famiglia di Tom la immalinconì: aveva passato dei momenti felici a Tokyo con l’ex compagno di scuola e con Yoshiko e si chiedeva se avesse fatto bene a chiedergli del tempo.

-Certo che hai fatto bene! Non vorrai mica commettere gli stessi errori del passato?

La interrogò la dispettosa vocina della coscienza.

Guardò l’orologio per calcolare quanto tempo mancasse all’arrivo dei visitatori: Amy e Naomi le avevano assicurato che sarebbero andate e lei anelava quella compagnia per scacciarsi dalla testa Tom Becker.

Gran parte del merito di quelle foto andava attribuito ad Amy, era stata lei, dopo la giornata trascorsa all’acquario con Julian, ad indirizzare la sua ispirazione verso l’acqua e a proiettarla verso soggetti molto interessanti.

Le venne in mente il libro illustrato con i pesci della piccola Yoshiko e si ricordò di come la bambina avesse visto in lei una sirena.

Guardò le donne immortalate nelle sue foto e sorrise compiaciuta.

Amy agitava la mano in sua direzione per farsi notare: non era sola, accanto a lei camminava Naomi e, poco dietro, a Susie sembrò di scorgere delle sagome familiari.

“Probabilmente ho le traveggole!”

Si disse ad alta voce, rimproverandosi per l’aver solo fantasticato che Tom potesse andare alla sua prima mostra fotografica: quelle erano sorprese e scene mozzafiato che si vedevano solo nei film.

“Ci è mancato poco che ci scoprisse!”

Tirò un sospiro di sollievo Amy, assicurandosi di aver frugato i dubbi dalla mente dell’amica, dando le direttive ai ragazzi perché Tom le si presentasse al momento opportuno. Alla ragazza piaceva essere il tramite per la buona riuscita della sorpresa, se pensava che i due calciatori confabulavano da giorni sul come organizzare la cosa e lei, molto più pratica, aveva risolto la questione in un attimo!

“Ciao Susie…in bocca al lupo per oggi! Sai viene anche Julian!”

Alla ragazza di Nankatsu Amy sembrava strana quel giorno, quasi un po’ nervosa.

“Io e Naomi lo raggiungiamo…ci vediamo dopo!”

“Aspettate…porta anche lui qui!”

Farfugliò la novella fotografa, cercando un’espediente per non restare nuovamente da sola.

“Guarda tu se devo stare da sola come una…”

Nel cercare un paragone azzeccato venne interrotta da una voce alle sue spalle.

“Posso tenerti io compagnia…se ti fa piacere!”

Susie trasalì ed ebbe paura di voltarsi per timore di aver solo immaginato anche questa volta.

“Tom? Ma cosa ci fai qui?”

Non era quello che voleva dire ma la sorpresa era enorme.

“Ho saputo della mostra fotografica e…volevo assolutamente vedere le tue foto!”

“Ma la Francia? Il campionato?”

Tom le posò un dito sulle labbra impendendole di fare altre domande: l’importante era che lui era lì.

Si mise a fissare le foto e ne restò sbalordito: erano ritratte donne del mare con il fudoshi attorno alla vita e il tenugui attorno alla testa nel pieno rispetto della tradizione delle pescatrici di perle.

Non indossavano mute, probabilmente erano delle oyogido che lavoravano senza barca, vicino alle coste.

Sembrava quasi di sentirle parlottare ,al mattino, attorno alle amagoya , di percepire il rumore degli strumenti che controllavano prima di iniziare una nuova giornata di pesca.

Erano donne per lo più sessantenni, donne forgiate dall’esperienza nel mare, con poche ragazze al loro seguito.

Di loro si era parlato nei libri di poesia, loro erano state un termine di paragone nella mente di Tom e quelle donne pescatrici Susie aveva deciso di immortalare nell’eternità per dimostrare, inconsapevolmente, l’affinità tra lei e Tom.

“È una cosa incredibile, Susie!”

“Cosa?”

Chiese lei confusa dall’improvvisa euforia del ragazzo.

“Ricordi quando abbiamo preso il taxi insieme a Parigi e tu hai fermato la corsa per scattare le tue foto?”

Certo che lo ricordava.

“Allora anche tu mi sei sembrata un ama, una donna pescatrice che andava alla ricerca di qualcosa…”

Lei sbatté le ciglia meravigliata: era incredibile che anche lui, come aveva fatto Yoshiko, la vedesse come una donna del mare.

Capì di essere pronta, per la prima volta, ad amare veramente.

Non voleva più tempo per riflettere, aveva una trama ben definita per scrivere la storia della sua vita e voleva che Tom ne facesse parte.

Non aveva più paura di essere irrazionale e di sbagliare ancora: aveva finalmente fatto chiarezza in sé stessa.

“Susie non chiedermi altro tempo: Parigi è molto brutta senza di te…senza la mia fotografa personale che realizzi questi magnifici scatti mentre io sono in campo!”

Estrasse il plico che gli aveva consegnato Chantal e glielo porse, lei lo riconobbe immediatamente: si sentì come una bambina golosa che viene colta con le mani nel barattolo della marmellata.

Una bambina che però è sazia, appagata e contenta.

“Ricordi la fiaba della Sirenetta?”

Chiese all’improvviso Tom.

“Quella di Andersen? Lei si innamora di un principe e…comunque non ha un lieto fine!”

“Perché il principe non fa in tempo ad innamorarsi di lei! Susie noi siamo come i pescatori e le sirene…”

La prese per mano e si inginocchiò innanzi a lei.

“Vuoi essere la mia sirena?”

Lei non si sarebbe mai aspettata una dichiarazione così insolita, romantica e dolce, tanto che si commosse.

“Se mi innamoro di te anche tu mi darai due gambe al posto della coda?”

“Ti darò tutto ciò che vuoi ma…resta con me!”

Susie si abbassò alla sua altezza e lo baciò con trasporto.

“Ti amo Tom!”

Riuscì a mormorare, prima di nascondersi contro la sua spalla per attutire gli applausi che la sala stava riservando a quella dichiarazione d’amore pubblica.

Non interessavano a nessuno dei due le conseguenze di quel gesto: Susie non aveva mai ricevuto un bacio più bello, lì tra le donne pescatrici di cui si sentiva un po’ parte, sirena tra le braccia del suo pescatore.

*** ******** *********

• Fudoshi: tipico costume delle ama

• Tenugui: bandana che le ama annodano attorno alla testa.

• Oyogido: sono spesso principianti che lavorano vicino alle coste.

• La fiaba di Andersen ha un finale diverso da quello del film della Disney: la sirenetta infatti si lancia in mare e si dissolve in schiuma.

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Capitolo 49
*** "Il bouquet della sposa" ***


“Il bouquet della sposa”

Avendo vissuto per diverso tempo negli Stati Uniti, Jenny aveva voluto una cerimonia in stile occidentale per festeggiare le sue nozze, c’erano tuttavia delle tradizioni che lo sposo intendeva rispettare.

Nella sua casa di Sapporo, Philip misurò tre masau finché il sakè non debordò sull’orlo, come segno di prosperità e abbondanza, quindi ne porse uno al suo testimone di nozze e l’altro al primo amico avuto nel mondo del calcio.

“Kanpai!”

Brindò il novello sposo, alzando il suo bicchiere di legno.

“È una fortuna che Jenny sia stata tanto tempo in America…altrimenti il giorno del tuo matrimonio avresti corso il rischio di indossare un haori- hakama!”

Lo stuzzicò Julian, rispondendo al brindisi, con Tom pronto a dargli corda.

“Probabilmente la signora Callaghan preferiva abiti più moderni a uno shiromuku!”

Continuarono a prendere il giro la passione di Philip per le tradizioni.

“Ma che spiritosoni di amici che mi scelgo per condividere con loro il giorno più bello della mia vita! Vedremo se perderete questo sarcasmo quando anche le vostre donne prosciugheranno le vostre carte di credito!”

Cercò di ammonirli il futuro marito di Jenny, marcando sui difetti del gentil sesso e riproponendo il luogo comune della loro sfrenata passione per lo shopping.

“Povero Philip, destinato ad andare sul lastrico! Non riesco a credere che stai per sposarti…sembra ieri che eravamo a Yomiuri Land con i moccoli al naso a pensare solo a correre dietro al pallone…rivolgendoci alle ragazze solo perché curassero le nostre ginocchia sbucciate!”

Si fece serio Tom sentendo dei risolini allegri provenire dal piano di sopra: la cerimonia nuziale infatti si sarebbe svolta a casa di Philip e le camere erano state riservate alla sposa perché si preparasse.

Susie avrebbe scattato le foto e il calciatore aveva voluto portare con sé anche Yoshiko a Sapporo.

“Io vorrei tanto dimenticare quel periodo!”

Aggiunse Julian, lisciando il masau contenente ancora del sakè. Gli amici si erano accorti che, sebbene partecipasse con allegria alle loro battute, si sentiva privo di qualcosa quel giorno e si accorgevano della sua tristezza senza Amy.

“In fondo abbiamo capito tante cose a Yomiuri Land: io ho capito quanto era importante Jenny, Julian che non si schiaffeggiano le ragazze, Holly che la compagnia di Patty era molto più divertente del tandem che creava con te caro Tom…”

Sapevano bene che senza gli sbagli di quel torneo non sarebbero diventati uomini ma l’ironia di Philip riusciva sempre a sdrammatizzare anche i ricordi più delicati.

“Allora ringrazia anche Susie…vado a vedere se ha finito di sopra così potrà fare qualche foto anche allo sposino!”

Tom bevve il suo sakè, lasciando Philip e Julian a discutere gli ultimi dettagli della cerimonia: Jenny aveva scelto come sua damigella d’onore Grace, l’amica con cui aveva condiviso l’esperienza di manager della Flynet, e ora il testimone dello sposo doveva sbrigare con lei alcune formalità.

**** ***** **** ****

Finito di parlare con la ragazza, Julian si spostò in giardino ad ammirare i decori esterni: se il matrimonio si fosse svolto in inverno Philip avrebbe certamente optato per delle sculture di ghiaccio, il suo testimone di nozze ne era sicuro.

“Julian!”

Il giovane si voltò a quel richiamo e vide correre verso di lui una graziosa ragazzina: era più alta dall’ultima volta che l’aveva vista, forse anche per merito della postura molto più dritta che teneva, i capelli erano cresciuti da quando Amy era stata costretta a spuntarglieli e il vestitino scamiciato che indossava la faceva sembrare più grande dei suoi dodici anni.

“Yoshiko…che bello vederti!”

Anche la ragazzina sprizzava gioia da tutti i pori e raccontò, con l’euforia tipica dei bambini, le ultime novità sulla sua vita al finto dottore.

“Ora posso togliere il corsetto cinque ore al giorno e, forse, in autunno per il doppio del tempo! Tom dice che mi porterà con lui a Parigi per ultimare il trasloco e che, dato che dall’anno prossimo tornerà a giocare in Giappone, torneremo a Sapporo a Febbraio quando ci sarà il festival della neve!”

Julian annuiva e sorrideva contento di notare tanto spirito d’iniziativa in quella bambina con cui, davanti all’acquario dei pesci rossi, aveva trovato molte similitudini con l’esperienza che aveva vissuto un tempo. Allentò un po’ il nodo della cravatta, iniziava a fare davvero caldo quella mattina.

“Sono scomodi i vestiti da cerimonia per un uomo?”

“Con questa calura ti sembra di essere un pinguino all’equatore!”

Yoshiko rise e si sollevò sulle punte sui bordi della fontana, fuori dalla villetta di Philip: gli zampilli muovevano l’acqua dando l’illusione che vi fossero forme di vita dentro.

“Ho liberato i miei pesci rossi…così potranno tornare ad essere verdi!”

Rivelò all’improvviso Yoshiko, portandosi una mano sotto il mento, incuriosita da qualcosa.

“Perché Amy non è con te? Vi siete lasciati?”

“No! Amy ha preferito restare a Tokyo!”

La bambina parve non convincersi di quella superficiale giustificazione.

“Sarà! Comunque prima ti ho visto parlare con quella ragazza castana…”

“È solo la damigella della sposa…nemmeno la conosco!”

Yoshiko scosse il capo, quasi contrariata da qualcosa.

“Non stai bene affianco alle ragazze brune…quelle con i capelli rossi stanno meglio accanto a te!”

Julian cercava il modo per farle capire l’equivoco.

“Yoshiko ha ragione…le ragazze con i capelli rossi stanno molto meglio accanto a te!”

Si girò lentamente per timore di aver solo immaginato quella voce: nel suo vestitino vintage chiaro e la luce del sole a dorare i suoi capelli ramati Amy non gli era mai sembrata così bella.

“Gliel’abbiamo fatta!”

Le strizzò l’occhio Yoshiko, dandole il cinque, prima di sparire a cercare il fratello lasciando sola la coppia.

“Voi due eravate d’accordo?”

Amy sorrise e lo avvicinò, facendogli nuovamente il nodo alla cravatta.

“Sono arrivata a Sapporo nel primo mattino e Yoshiko mi ha aiutata a farti questa sorpresa!”

Julian le cinse la vita e la baciò con trasporto.

“Sono felice che tu abbia cambiato idea e sia venuta!”

“Dovevo tener d’occhio il mio fidanzato!”

Lui esplose di gioia nel sentirsi definire a quel modo.

Tornata a Tokyo, Amy aveva riflettuto a lungo sull’essere pronta a partecipare ad un evento gioioso come un matrimonio e aveva deciso di mettersi alla prova.

Era andata a pregare sulla tomba di Malaika e aveva parlato a lungo con lei prima di capire che doveva provare a conquistare una nuova felicità.

Aveva pensato e aveva ricordato le parole che Julian le aveva detto quando, un giorno, erano usciti insieme dallo studio del dottore.

“È soltanto dopo essere guariti da una brutta malattia che si può gustare appieno la bellezza di camminare, respirare regolarmente, dormire profondamente, vedere con chiarezza, risvegliarsi ogni nuovo giorno!” *

Entrambi erano guariti da due brutte malattie ed Amy era pronta a risvegliarsi accanto a Julian ogni nuovo giorno della sua vita.

“Andiamo…voglio salutare anche gli altri!”

Lo prese per mano e avanzò con lui verso lo spazio in cui si sarebbe svolta la cerimonia.

*** ****

Lo scambio delle promesse avvenne con la voce rotta dall’emozione di Jenny e Philip che, di tanto in tanto, si beccava una gomitata dal suo testimone di nozze che lo scopriva imbambolato ad ammirare la sua quasi moglie e aveva bisogno di essere spronato per far proseguire il rito.

Tutti gli invitati applaudirono quando i neosposi ripercossero insieme l’arcata floreale che avevano attraversato prima di giurarsi amore eterno; molte tra le signore celavano nei fazzoletti la loro emozione.

Prima di salutare gli amici e di offrire loro un degno banchetto di nozze, gli sposi decisero di onorare altre tradizioni non proprio orientali.

“Ehi Phil lancia da questa parte la giarrettiera!”

Si fece notare Bruce emergendo dal gruppetto che aveva formato assieme alla sua fidanzata, ai gemelli Derrick, a Mark Lenders e a Maki che, con grande sorpresa di tutti, era diventata la sua ragazza. Evelyn si coprì il volto, decisa a disconoscere la sua relazione con il difensore dello Jubilo Iwalta.

“ Voi credete che Bruce abbia tutta questa voglia di sposarsi?”

Holly si chinò sul passeggino di Hayate per accertarsi che non si fosse svegliato, quindi rivolse quella domanda a Patty, Tom e Julian che facevano gruppo assieme a loro e alle ragazze che avevano scoperto di amare in quell’anno.

“Credo che Bruce non cambierà mai!”

Rispose la moglie mentre la giarrettiera lanciata da Philip finiva ad un imbarazzatissimo Lenders.

“Ora si avvicinino tutte le ragazze…vediamo chi sarà la prossima a sposarsi!”

Jenny ondeggiò lievemente in aria il suo bouquet di fiori di loto e diede una veloce occhiata alla disposizione delle invitate cercando di memorizzare il giusto punto verso cui lanciarlo.

“Io ho già dato!”

Si tirò fuori Patty, prendendo per mano il marito.

“ Noi preferiamo accontentarci di guardare l’album fotografico del matrimonio…per ora!”

Sorrise Tom, abbracciando Susie prima di baciarla.

“Dai Amy tu non hai niente da perdere!”

Le due donne spinsero l’amica in avanti, senza darle il tempo di obbiettare, staccandola dalla mano di Julian per farla avvicinare alla folla di donne che anelavano quel bouquet.

Jenny effettuò il lancio e i fiori di loto finirono tra le braccia di Amy.

Julian trattenne il respiro non sapendo che reazione aspettarsi dalla ragazza quando gli invitati avrebbero iniziato a fare commenti sulla sua fortuna.

Amy restò qualche secondo immobile a stringere il bouquet poi, portandolo con sé, corse via.

**** ****

Masau: bicchiere quadrato in legno in cui viene servito il sakè freddo.

Haori Hakama e shiromuku sono dei kimono, rispettivamente maschile e femminile, indossati dagli sposi in Giappone.

La frase contrassegnata dall’asterisco è di Pam Brown.

Ringrazio i lettori che sono arrivati fino a questo penultimo capitolo…ormai, con un po’ di tristezza, manca poco alla fine della storia!

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Capitolo 50
*** "Promessa per il futuro" ***


“Promessa per il futuro”

“Accidenti!”

Julian si lasciò sfuggire solo quell’imprecazione prima di correre dietro ad Amy, che aveva lasciato tutti attoniti quando, preso il bouquet, si era defilata dagli applausi di tutti sparendo verso l’interno della casa.

Forse era troppo presto e lei non era pronta a vivere tutte quelle emozioni insieme, aveva chiesto di uscire dal suo letargo lentamente e Julian temeva che quella esperienza inattesa destabilizzasse l’equilibrio che Amy stava, faticosamente, cercando di ristabilire.

“ Ma cos’ha Amy?”

Chiese confusa Patty, senza ricevere risposta dal gruppetto che avevano formato, Susie aveva guardato con una certa apprensione la ragazza scappare con il bouquet, aveva ripensato alla sera d’inverno in cui avevano guardato insieme il cielo e condiviso l’idea che dopo la vita si possa diventare polvere di stelle.

Sorrise e si convinse che per Amy era arrivato il momento di mettere da parte il dolore e concentrarsi sul futuro: se sua nonna era considerata una strega, Susie era sicura di aver ereditato da lei quelle misteriose percezioni che portano ad una particolare sensibilità nel conoscere la verità prima degli altri.

Lo sguardo della fotografa cadde su Holly, un tempo suo primo amore, e poi su Patty: si accorgeva di quanto la loro unione fosse forte e strinse forte la mano di Tom, felice di non dover più rincorrere uomini sbagliati.

Hayate si mosse nel passeggino e la giovane mamma capì che presto si sarebbe svegliato: Susie lo osservava con una segreta venerazione per quel piccolo corpicino capace di suscitare tanto amore.

Patty lo prese in braccio e lo cullò dolcemente ma il piccolo, forse incuriosito da tutta quella confusione e dai volti nuovi, protese le manine verso Susie come a volersi farsi prendere da lei.

Susie attraversò un momento di tensione: non era mai riuscita ad instaurare una vera amicizia con l’ex compagna della Nankatsu e temeva che i dissapori della loro adolescenza non si sarebbero mai appianati e la Gatsby le avrebbe per sempre cucito addosso un’etichetta, bacchettandola magari perché non facesse soffrire Tom.

“Vuoi andare in braccio alla zia Susie?”

La voce dolce di Patty giunse come la migliore offerta di chiudere la porta al passato: sentirsi chiamare in tono tanto confidenziale la rassicurava sul fatto che sarebbe stata ben accettata anche dai migliori amici di Tom.

“Posso prenderlo?”

Patty lasciò che Hayate passasse tra le braccia di Susie e che la ragazza lo tenesse con se anche quando Tom l’avvicinò chiedendole di parlare.

Si allontanarono verso la lanterna in pietra del giardino.

“Credi che Amy e Julian saranno i prossimi a sposarsi?”

Chiese all’improvviso Susie, lasciando che Hayate giocasse con il ciondolo che portava alla collana.

“Non mi fido molto delle tradizioni! Una volta sono stato ad un matrimonio e non credo che la fortunata che prese il bouquet si sia sposata!”

“Era troppo vecchia?”

“No…apparteneva alle suore Agostiniane di Nostra Signora di Parigi!”

“Allora era già una sposa del Signore!”

Rise Susie, scuotendo lievemente il bambino sul suo petto. Poi fu pervasa da una dolce ma crudele malinconia: chissà quante esperienze non avrebbe condiviso ancora con Tom.

“Susie, c’è una cosa molto importante di cui volevo parlarti: da quando ho capito quanto Parigi sia brutta nel vivere da solo ho preso una decisione molto importante!”

Lei ascoltava e non osava interromperlo.

“Ho ricevuto una proposta dallo Jubilo Iwalta e ho deciso di tornare a giocare in Giappone: voglio imparare a conoscere mia madre e Yoshiko, voglio continuare a considerare mio padre come un punto di appoggio…voglio imparare ad amare veramente!”

Nessun uomo le aveva mai rivolto parole simili e Susie fu certa che nemmeno cercando per tutta l’Asia avrebbe trovato qualcuno come Tom.

“Anche se dovrai cominciare come gli adolescenti con una passeggiata mano nella mano e scrivendo parole carine per me?”

Senza rendersene conto aveva bagnato la testolina di Hayate, le prime lacrime d’amore che versava.

“Si anche se dovrò regalarti tutti i fiori di campo del Giappone…voglio progettare il futuro con te Susie: sei splendida con un bambino tra le mani e forse, un giorno, vorrò condividere con te quest’esperienza!”

“Un passo alla volta!”

Lo frenò lei che aveva trovato una trama con cui scrivere la storia della sua vita: si era tuffata nel mare e aveva trovato la sua perla.

Lasciò che Tom la baciasse e poi la stringesse tra le sue braccia: oltre il capo del ragazzo vide Yoshiko, impegnata in giochi di bambina con altre coetanee.

La sorellina di Tom si accorse di essere osservata e agitò allegramente le mani in segno di saluto facendo sentire Susie parte della famiglia.

*** **** ******

Amy prese un portafiori e lo posizionò sotto il getto d’acqua del rubinetto: aspettando che si riempisse ammirò la bellezza dei fiori di loto del bouquet.

Quando l’acqua strabordò dal vaso vi sistemò i fiori, cercando di inserire nel mezzo anche la rosa con cui erano state omaggiate tutte le invitate.

Non prestava più attenzione ai semplici gesti da compiere, all’ambiente circostante, in preda ad un crescendo di emozioni.

“È così difficile sistemare i fiori in quel vaso?”

Sussultò a quella voce, rischiando di pungersi con le spine della rosa.

“L’ho detto io che devo farmi un’assicurazione sulla vita quando ti avvicini a mezzo metro da me!”

Julian la guardava divertito e un po’ ansioso per la sua reazione, poggiato allo stipite della porta: ne aveva osservato tante volte, di nascosto, le azioni più banali fin da quando erano bambini.

Anche starla a guardare strofinare palloni era stata un’attrazione da cui, un tempo, non si era riuscito a staccare.

L’affermazione, per nulla recriminatoria, di Amy lo fece dubitare di essere davvero un pericolo per lei: aveva sulla coscienza un dito ustionato, un altro pizzicato nella zip di un borsone e ora, forse, anche un dito punto.

“Da quanto mi stavi spiando?”

“Io non ti spiavo…ti ammiravo di nascosto!”

Amy arrossì come la prima volta che lui l’aveva difesa innanzi alla classe intera.

Come quando, prendendola per mano, le aveva confessato di considerarla più di un’amica.

Arrossì come quando il profumo di eucalipto del suo dopobarba l’aveva stordita e confusa e come quando, il loro primo bacio le aveva chiarito tutto.

“Non trovi che i fiori di loto siano bellissimi? Nascono dal fango e sono così perfetti e immacolati! Simbolo del passato, del presente e del futuro!”

Amy sfiorò appena il bouquet, per timore di poterlo sgualcire.

“Rappresentano la vita! Sai che non devi dare molta importanza al fatto di aver preso il bouquet di Jenny!”

Julian cercava il modo per farle intendere che erano tradizioni a cui dover dare il giusto peso.

“Ah no? Un po’ me ne dispiace!”

La ragazza si strinse nelle spalle, tenendolo sulle spine con i suoi modi evasivi.

“Cosa intendi dire?”

Amy sapeva di star per compiere un passo importante, di essere in procinto di pronunciare parole in grado di dilatare il tempo e di annullarlo, di scegliere un modo originale e insolito per porre una domanda ed esigere una risposta per tutta la vita.

Prese la mano di lui e si chinò lievemente, senza inginocchiarsi del tutto.

“Julian…vuoi sposarmi?”

Lui per un momento ebbe paura di respirare ma solo per la paura che così facendo avrebbe rotto l’incanto.

“Cosa?”

Aiutò Amy a rialzarsi.

“Non subito! Abbiamo tante cose di noi due, della vita, da scoprire insieme…ti andrebbe di considerarla come una promessa per il futuro?”

“Sì, si Amy! Non ho mai pensato di poter amare nessun’altra se non te!”

L’aveva attirata a sé, le accarezzava i capelli, l’ovale perfetto e ancora da adolescente e poi la baciava più volte per suggellare quella promessa.

Dall’esterno provenivano le prime musiche e si intuiva che erano iniziate le danze.

“Ti va di ballare?”

Le chiese Julian, porgendole la mano.

“Rischierò di pestarti i piedi!”

“Allora impareremo anche a ballare…insieme!”

Si rese conto di come quell’avverbio rendesse superabili le difficoltà: insieme avevano imparato a soffrire, a conoscere i silenzi e i sorrisi degli altri e insieme avrebbero imparato a conoscere le cose belle e a scacciare la paura di essere felici.

Stretta tra le braccia di Julian, Amy alzò lo sguardo verso il cielo: il sole era tramontato e le prime stelle erano spuntate in cielo e in quella costellazione lontana le sembrò di notarne una più luminosa delle altre: l’astro sembrava ridere con lei e dirle di aver avuto ragione.

Brillava come i due puntini all’estremità del foglio che convergono verso il centro e si uniscono a formarne un unico, più grande, che pare somigliare ad una stella.

**** ****

Che sensazione strana quando si scrive la parola “fine” a qualcosa che, nel suo piccolo, mi ha tenuto impegnata e “in compagnia” per quasi un anno!

Questo spazio di chiusura vorrei usarlo per rinnovare, ancora una volta, il mio più grande GRAZIE alle ragazze che hanno seguito, con costanza e con pazienza, la storia per tutto questo tempo, in particolare: Sissi149,Amily Ross, Sanae78 e Krys.

Grazie a coloro che hanno letto, recensito e inserito la storia tra le preferite e le seguite e hanno così deciso di darle una possibilità!

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