Project Gemini

di B3CKS0FT
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Questa che state per leggere è la prima storia che ho mai scritto, l'incipit non è molto originale, ma spero di poterlo sviluppare bene.
Vi prego di lasciare una recensione dopo aver letto il capitolo, in modo tale da potermi indicare i miei errori da principiante.
Vi ringrazio per l'attenzione.
Buona lettura.


Freddo. Sentivo molto freddo. Aprii gli occhi e mi resi conto di essere sdraiato per terra. Mi alzai faticosamente, ogni muscolo del mio corpo mi faceva male. Una volta messomi in piedi mi guardai intorno, l'ambiente in cui mi trovavo era un lungo corridoio spoglio, con pareti, soffitto e pavimento in cemento il tutto era illuminato dalla fredda luce di lampade al neon attaccate al soffitto. Dalla posizione in cui mi trovavo si vedeva che dopo qualche metro il corridoio faceva una svolta a destra. Mi girai per vedere dove conduceva l'altra parte, e solo allora notai l'enorme lastra di metallo che mi bloccava la visuale, guardando meglio si trattava di una sorta di spessa porta di metallo, come quelle che si vendono nei caveau delle grosse banche. Incastonato nel muro accanto alla porta si trovava un terminale. Mi avvicinai lentamente al terminale, ogni movimento mi provocava dolore. Quando arrivai al terminale vidi sullo schermo la scritta "Inserire il codice di apertura". A quel punto mi resi conto che non ricordavo niente, ne dove mi trovassi e cosa ci facessi, e soprattutto non sapevo chi ero. Fui colto da un profondo terrore, cercai di ricordare qualcosa della mia vita, ma non ricordavo niente, ne il mio nome, ne il mio cognome o qualsiasi altra cosa legata alla mia vita. Chi ero? Che cosa ci facevo in quel posto?  Provai ad ispezionarmi addosso, ma non trovai nessun documento, soltanto una biro con sopra stampato un ottagono con all'interno il disegno di un segno dello zodiaco, mi sembrava fosse quello dei gemelli. Pensai che forse il mio segno zodiacale fosse quello. Poi guardai di nuovo il terminale, e mi chiesi se prima dell'amnesia conoscessi il codice che andava inserito per aprire quell'enorme porta di metallo. Dopo mi resi conto della mappa che si trovava attaccata al muro proprio a due passi dal terminale. La guardai bene, si trattava sicuramente di una mappa del posto in cui mi trovavo, era divisa su più livelli, e da quanto mi sembrava di aver capito io mi trovavo nel livello più alto, che sulla mappa veniva indicato come uscita, della planimetria si capiva che la struttura si sviluppava in profondità, sembrava proprio un bunker. Infine notai che su ogni livello della mappa, in un angolo in alto a sinistra, si trovava lo stesso simbolo presente sulla biro. Quindi forse era un logo aziendale e magari io lavoravo in quel posto. Dalla planimetria quel posto sembrava veramente immenso. Forse avrei dovuto esplorarlo, nella speranza di ritrovare la memoria perduta. Stare fermo davanti a quel terminale e cercare di ricordare un codice che magari non conoscevo non mi sembrava una buona opzione. Guardai ancora la mappa del livello in cui mi trovavo, e vidi che il corridoio in cui ero conduceva solo ad un ascensore per accedere ai livelli inferiori. Allora decisi di esplorare la struttura e mi avviai nella direzione opposta alla porta di metallo. Quando svoltai l’angolo vidi subito il grande ascensore, aveva le stesse dimensioni del corridoio, sembrava un ascensore per trasportare grossi carichi da un piano all'altro, grazie alla porta a grata ad apertura verticale si vedeva l'interno. Quando arrivai d'avanti all'ascensore mi chinai per afferrare la maniglia e mi sorpresi per il fatto che i miei dolori muscolari erano diminuiti. Afferrai la maniglia, sollevai la saracinesca ed entrai. Vidi subito il pannello di controllo, con i tasti dei vari piani, poi accanto al pannello vidi una cornetta telefonica, appena la vidi mi avventai subito sul pannello e l'afferrai, me la portai subito all'orecchio e dissi « C'è nessuno?» e spettai qualche secondo, nessuna risposta. « Ho bisogno d'aiuto, mi potete rispondere!?», nessuno risposta. Allora sbattei la cornetta contro il muro per la rabbia e tornai ad osservare i pulsanti da premere per raggiungere i vari libelli. C'erano 5 pulsanti, sul quello più in alto c'era scritta una T, sugli altri invece numeri che andavano da 1 a 4. Non sapevo quale pigiare, poi pensai che se dovevo esplorare tutta la struttura, sarebbe stato meglio iniziare dal livello più alto per poi scendere fino in fondo. Prima di premere il pulsante sperai di trovare presto qualcuno che mi potesse aiutare a ricordare chi fossi. Infine pigiai il pulsante per arrivare al primo livello e l'ascensore cominciò lentamente a scendere verso il basso.
 
Il rumore che faceva l'ascensore mentre si muoveva era molto assordante, e per non bastare non andava neanche tanto veloce. Durante quella lunga pausa cercai di vedere se avevo altri oggetti addosso, ma non trovai altri oggetti oltre la penna che avevo trovato prima, che tenevo nel taschino della polo. Durante questa auto perquisizione avevo notato che il logo con il segno dei gemelli era stampato anche sul taschino della maglietta. Doveva per forza essere un logo aziendale, forse era dell'azienda a cui apparteneva quel posto, e forse io lavoravo li per loro. Chi sa di cosa mi occupavo. Mentre stavo pensando a queste cose mi resi conto che l'ascensore aveva cominciato a rallentare la sua discesa, segno che era quasi arrivato a destinazione. Mi chinai per preparami ad aprire la porta, ma appena alzai lo sguardo dopo aver sentito il contraccolpo dell'ascensore che si fermava, rimasi pietrificato dallo stupore. Attraverso la grata della porta si vedeva un lungo corridoio molto simile a quello dell'entrata, soltanto che in questo era presente un uomo accasciato a terra. Dopo essermi ripreso della sorpresa aprii subito l'ascensore e corsi verso la figura. Mi chinai su di essa e la scossi dicendo «Signore mi sente?», non ci fu nessuna risposta. Allora provai a girare il corpo verso di me, e rimasi subito inorridito dalla visione, il volto dell'uomo era ricoperto di sangue. Il sangue era uscito dagli orifizi del volto e l'aveva ricoperto. Il volto dell'uomo aveva un'espressione sofferente, tra le mani stringeva una foto, molto probabilmente era una foto dei suoi cari, l'uomo portava una maglietta bianca uguale alla mia, anche se ora non era più molto bianca, visto che era ricoperta di sangue. Ad un tratto mi resi conto della mia reazione alla visione di quella scena. Non ero affatto sconvolto da quella visione. E fu allora che si ricordò qualcosa del suo passato.
 
Ero seduto su un divano rosso, in quello che sembrava il salotto di un appartamento. Davanti al divano c'era un televisore acceso, era sintonizzato su un telegiornale. Nello studio era seduta un uomo, aveva i capelli grigi, sembrava aver superato i 50 anni. Il giornalista stava parlando in quel momento «... Al momento sembra che la mortalità sia del 100%, anche se la notizia non é stata ancora confermata dal Centro delle malattie infettive. Ripetiamo, in numerosi ospedali di tutto il mondo si sono presentati pazienti affetti da una malattia tuttora sconosciuta. Tutti i pazienti sono morti poche ore dopo il ricovero. Sembra che l’agente patogeno sconosciuto causi una febbre emorragica che porta alla morte l’ospite in poche ore e… Aspettate un attimo…» il giornalista s’interruppe e portò la mano destra all’orecchio destro, stette fermo per qualche secondo e poi riprese a parlare, «Mi hanno appena comunicato che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha alzato il livello di allarme a 6, ovvero il più alto livello d’allarme per una pandemia.  Dal ministero della sanità non sono stati rilasciati comunicati….».
Il ricordo s’interrompeva li.
 
Guardai di nuovo il cadavere, e appena feci il possibile collegamento con la malattia misteriosa, feci subito uno scatto indietro. “maledizione!” urlai. Mentre nella mia testa si faceva l’argo l’idea che forse ero stato appena contagiato. Cercai di tranquillizzarmi. “magari è solo un virus che si trasmette tramite liquidi, non ho toccato il sangue o le ferite” pensai. Ma non riuscii a calmarmi. Feci ancora qualche passo verso l’ascensore, per allontanarmi dal cadavere. Poi mi venne in mente di lavarmi, ma dove? Subito dopo l’ascensore si trovava attaccata al muro la pianta del complesso. Mi avvicinai e mi misi alla ricerca di un posto dove potermi pulire. Durante la ricerca i miei occhi si fermarono su una stanza, che sulla cartina era segnata come stanza di controllo e comunicazioni. Ma la mia priorità in quel momento era trovare un posto in cui pulirmi, quindi ci sarei passato dopo. Dopo qualche secondo di ricerca trovai una serie di stanze che erano contrassegnate con la scritta spogliatoi femminile e spogliatoi maschili. Sicuramente in quel posto ci sarà stata dell’acqua corrente con cui pulirmi. Guardai bene il percorso che dovevo fare per raggiungere gli spogliatoi. Lo memorizzai in qualche secondo e prima di partire ripetei il percorso ad alta voce, «Sinistra, destra, avanti, sinistra.», e m’incamminai verso la mia meta.
 
Stavo camminando ormai da più di qualche minuto, quel complesso era veramente immenso, i corridoi erano tutti uguali. L’ambiente era molto asettico, tutto molto pulito, con quelle pareti grigie e l’illuminazione fredda dei neon, sembrava di stare in un ospedale in costruzione. Ero passato d’avanti a molte porte chiuse, più volte aveva avuto la tentazione di fermarmi d’avanti ad una di esse ed aprirla per vedere cosa ci fosse nella stanza, ma subito dopo mi ripetevo che il mio attuale obbiettivo era quello di raggiungere il prima possibile gli spogliatoi, mi dovevo assolutamente dare una ripulita. Anche se non ero entrato in contatto con i fluidi del cadavere, non ero sicuro di potermi permettere di stare tranquillo.  Ma per quanto ne potevo sapere, potevo essere già stato contagiato. Anche se i dolori muscolari erano diminuiti, li sentivo ancora, per quanto ne potessi sapere quelli potevano essere i sintomi della malattia. Cercai di ricordare qualcosa di più della malattia, ma non riuscii a ricordare altro. Allora mi sforzai a concentrarmi sul mio attuale obbiettivo. Mentre stavo pensando a queste cose, non mi ero accorto che il corridoio era leggermente cambiato, infatti differentemente da prima, il corridoio in cui mi trovavo era pieno di porte, su entrambi i lati. Mentre proseguivo vidi che su ogni porta era affisso un numero, il valore dei numeri aumentava man mano che andava avanti, le porte sulla destra avevano numeri pari, quelle sulla sinistra invece numeri dispari. Rallentai il passo, spostavo velocemente la testa da un lato all’altro del corridoio per leggere i numeri ad alta voce, « tre, quattro, cinque, sei, sette, otto...». Appena lessi il numero otto mi fermai. Allora mi ricordai dove mi trovassi, quella parte dell’impianto era stabilita a dormitorio, e la stanza numero otto era stata assegnata a me. A guardarla sembrava una porta come le altre, il metallo lucido rifletteva un po’ la luce delle lampade al neon. Sembrava che mi fosse bastato leggere il numero sulla placca, per farmi ricordare che fosse la mia stanza. Mi avvicinai lentamente alla porta, allungai il braccio destro verso il lucido pomello. Chissà cosa avrei trovato lì dentro. Infine afferrai con decisione il pomello e lo girai.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Ecco il secondo capitolo di Project Gemini.
Prima di lasciarvi alla lettura voglio ringraziare orfeopaci per aver recensito il primo capitolo.
Inoltre ho deciso di far uscire i capitoli una volta alla settimana, cercherò di pubblicarli sempre di domenica.
Ora vi lascio alla lettura del nuovo capitolo, invitandovi a lasciare una recensione per dirmi come vi sembra.
Buona lettura!


Mentre stavo girando il pomello mi chiesi cosa avrei trovato dentro quella stanza. Per un breve istante ebbi paura di vedere cosa ci fosse dentro. Poi mi resi conto che la serratura non scattava, provai ad imprimere più forza sul pomello, ma niente. La porta era chiusa a chiave. Avevo già controllato, e ricordavo di non aver trovato nessuna chiave durante la mia perquisizione. Mi chiesi se quella fosse veramente la mia stanza. Sicuramente non l’avrei scoperto in quel momento. Ripensai alla stanza di controllo che avevo visto sulla pianta del complesso “magari la dentro tengono le copie di ogni chiave dell’edificio, dopo essere passato dallo spogliatoio andrò a controllare, sicuramente non posso pensare di buttare giù la porta con la forza, mi sembra bella solida”. Così decisi di proseguire. Ormai doveva mancare poco all’arrivo. Mentre proseguivo ripensai alla mia presunta stanza, in un certo senso ero rincuorato dal fatto che fosse chiusa a chiave, ma non capivo il perché, forse aveva paura di ricordare il mio passato? Quel posto sembrava molto strano, mi ero risvegliato lì, senza sapere cosa ci facevo e chi fossi, e poi come se non bastasse, trovai quell’uomo ucciso da una malattia sconosciuta. Avevo tantissime domande per la testa, ma avevo paura di conoscere le risposte. Infine feci l’ultima svolta verso sinistra, e mi trovai nel corridoio, dove ci dovevano essere gli spogliatoi. Vidi subito due porte con sopra delle insegne, sopra la porta che stava alla mia destra c’era disegnato un uomo, invece sulla porta alla mia sinistra c’era disegnata una donna. Per un breve momento mi chiesi se, data la situazione, dovessi entrare obbligatoriamente nello spogliatoio degli uomini. La mia morale invece m’impose di entrare lo stesso nella parte dedicata agli uomini. Anche se sicuramente nessuno mi avrebbe detto niente se fossi entrato in quello delle donne. Mi diressi verso la porta sulla destra, allungai il braccio verso il pomello e lo afferrai. Pregai che la porta fosse aperta e infine girai il pomello. La serratura scattò subito. Spinsi la porta, ma niente, non si muoveva. Allora provai a tirarla, ma niente neanche così. Solo dopo qualche secondo mi resi conto che la porta non aveva i cardini, e allora mi accorsi che era una porta a scomparsa. Mi vergognai un po’ per quell’errore, anche se non c’era nessuno che l’aveva visto. Feci scorrere la porta verso sinistra ed entrai.
La stanza dove era entrato era molto diversa dal corridoio, tutti i muri erano intonacati e imbiancati, il pavimento era ricoperto di mattonelle bianche, ma le luci al neon erano le stesse. Lo spogliatoio era molto grande, erano presenti diverse file di armadietti, tra una fila di armadietti e l’altra erano presenti delle lunghe panche in legno. Entrai tra due file di armadietti, tutti gli armadietti avevano un lucchetto che si apriva con una combinazione di numeri a 6 cifre, inoltre su tutti gli sportelli c’era presente una targhetta con scritto un nome. “Chissà quale sarà il mio, magari è proprio questo”, pensai mentre guardavo un armadietto vicino a me. Sull’etichetta c’era scritto il nome John Rodwell. Quel nome non mi diceva niente, chissà se lo conoscevo. Alcuni armadietti erano aperti o socchiusi. Mi diressi verso quello più vicino a me. Sul cartellino c’era scritto Parker Larsen, aprii completamente lo sportello e guardai dentro l’armadietto, c’era un lungo camice, lo tirai fuori, era completamente bianco, aveva una taschino sul d’avanti, al taschino era attaccato un tesserino, in alto a sinistra c’era sempre il simbolo dei gemelli, in alto a destra c’era una foto e sotto c’era scritto il nome Parker Larsen, sotto al nume c’era scritto, autorizzazione livello due. Che cosa significava? Comunque quella roba non mi ricordava niente. La posai da una parte e guardai se c’era altro. Trovai solo delle biro e qualche cartaccia, niente di utile, decisi di prendere il tesserino e continuai. C’erano altri armadietti aperti in quella fila, li perquisii tutti ma non trovai niente di utile. Arrivato in fondo alla fila in cui ero entrato, notai che in quel lato della stanza c’era l’entrata per accedere ai bagni, mi avvicinai all’entrata che dava su una stanza piena di lavandini, sopra di essi c’era un enorme specchio, finalmente mi vidi interamente. Ero un uomo abbastanza alto forse misuravo un metro e ottanta, avevo capelli neri molto disordinati, e degli occhi celesti. Indossavo una maglietta a maniche lunghe bianca e un paio di jeans blu. Guardandomi meglio la faccia, non avevo una bella cera, il colorito del volto tendeva al bianco, avevo delle pesanti occhiaie e una leggera barba incolta. Non ero un bello spettacolo. Poi mi ricordai perché ero venuto li, mi avvicinai ad un lavello, sperai che ci fosse l’acqua corrente ed aprii il rubinetto. Non uscì niente, sentivo solo strani rumori provenienti dalle tubature, provai ad aprire un altro rubinetto, ma niente. Poi dal primo rubinetto cominciò ad uscire dell’acqua, allora chiusi il secondo e mi comincia a lavare le mani. In un certo senso sapevo che quello che stavo facendo era completamente inutile, ma continuai, dopo essermi lavato le mani, passai al viso, quando ad un certo punto mi prese un colpo di tosse. Smisi di lavarmi per portarmi una mano davanti alla bocca e aspettare che la tosse finisse. Una volta smessa feci per tornare a lavarmi, quando mi resi conto che la mano che avevo usato per coprire la bocca era sporca di sangue. A quella vista fui preso dal panico, e mi lavi via il sangue con l’acqua. Ero molto agitato. Ripensai all’uomo che avevo trovato davanti all’ascensore e al suo volto sofferente. Pensavo a che terrificante sofferenza avesse provato quell’uomo. Non sapevo cosa fare, continuavo a lavarmi via il sangue dalle mani, anche se ormai non era più presente. Poi m'imposi di calmarmi, non avrei ottenuto nulla disperandomi in quel modo. Smisi di lavarmi le mani, chiusi il rubinetto. Mi guardai un attimo intorno adiacente alla stanza dei lavandini ce ne erano altre 2, sulla destra c’erano le docce, mentre sulla sinistra le toilette. Feci ritorno nella sala degli armadietti e mi misi a sedere su una panca. In una fila differente da quella in cui ero passato prima. Non sapevo cosa fare, ormai ero quasi sicuro di essere stato contagiato dallo stesso virus che aveva ucciso l’uomo nel corridoio. Cercai di rilassarmi per qualche minuto, senza riuscirci. Mentre stavo lì seduto decisi di guardare se ci fosse qualcosa di utile negli armadietti rimasti aperti in quella fila. Mi alzai e inizia di cima. Nei primi due armadietti non trovai niente, erano vuoti. Il terzo attirò la mia attenzione perché fosse stato forzato, lo sportello era deformato ed attaccato ad esso c’era ancora il lucchetto chiuso. L’armadietto apparteneva a un certo Adam Forgét. Dentro non c’era niente, per terra c’era un camice e diverse biro. Sembrava che qualcuno avesse cercato qualcosa in fretta e furia. Quello era l’ultimo armadietto aperto della fila in cui si trovava. Provai a guardare se c’erano altri armadietti aperti in altre file. Ne trovai altri ma non contenevano molto, vestiti e qualche tesserino. Un tesserino attirò la mia attenzione, mentre la maggior parte aveva un'autorizzazione di livello due, quello aveva ne una di livello tre, la tessera apparteneva a Louis Shaw. Nella foto presente sul tesserino, si vedeva che aveva i capelli castani e gli occhi neri. Il volto era molto paffuto. Quel viso mi sembrava molto familiare. Mi sembrava di conoscerlo. Fu allora che mi rivenne in mente un vecchio episodio della mia vita.
 
Non so quanto tempo prima fosse successo. Ero in quella che sembrava una spartana sala conferenze, sul palo c’era una persona dietro ad un grosso leggio che era fatto in un qualche tipo di lega. L’uomo aveva i capelli biondi e un viso squadrato, gli occhi erano nascosti da dei sottili occhiali da sole, era vestito con un completo nero, che sembrava molto costoso. L’uomo sembrava intento a liberare il leggio da dei fogli, segno che aveva appena finito la conferenza. Mi guardai attorno, la sala era gremita di gente, avevano appena cominciato ad alzarsi per andare via. Anche mi alzai, mi trovavo ad un angolo della sala, proprio accanto al passaggio che conduceva all’uscita, dove mi diressi immediatamente. Nella sala c’era un forte brusio di persone che parlavano. Quando ero ormai prossimo all’uscita, sentii una voce che sovrastò il brusio della sala, “Adam! Aspettami!”, fu allora che mi fermai e mi girai per vedere da dove proveniva la voce. Cercai per qualche secondo tra la folla, poi vidi da chi proveniva la voce. Era un uomo dai lunghi capelli castani e dal volto un po’ paffutello, aveva un fisico abbastanza robusto, ed era vestito con una camicia rossa un baio di jeans. Stava correndo verso di me. Io l’aspettai. Alla fine riuscì a raggiungermi, riprese un po’ il fiato. Poi mi rivolse la parola. «Allora Adam, come ti è sembrata la conferenza?», «Non ne sono molto sicuro Louis, questo progetto non mi convince», Luis mi guardò per qualche istante, poi rispose «Secondo me è un ottima idea. Credo che parteciperò. Tutti devono dare una mano in un periodo come questo.» si fermo un altro po’, sembrava pensare a qualcosa, «Quindi non parteciperai? Ho sentito che Eve ha già detto che farà parte della squadra.»  Sembrava che stesse cercando di convincermi ad ogni costo. «Cosa vuoi dire con questo? Non m’interessa quello che fa Eve, e sicuramente non deciderò in base a quello che fa lei.» Dissi un po’ spazientito, «Certo. Come no.», rispose Lusi in maniera sarcastica, «comunque non vedo lavora di lavorare con il dottor Marcus», «Parli di quello che ha appena smesso di parlare? Non lo conosco», Luis mi guardò un po’ sorpreso «Non sai chi è il dottor James Marcus? Va bene era da un po’ di tempo che non si vedeva in giro. Ma quell’uomo è una leggenda nel nostro campo, si è laureato a 14 anni, e a soli…», «Ho capito Luis, è un fottuto genio, comunque devo ancora decidere se partecipare a questa cosa, Ti farò risapere quando avrò deciso. Ora scusami ma devo andare.» Guardai Luis con un aria un po’ spazientita, «Va bene ho capito», disse con l’aria un po’abbattuta «Ci risentiamo, ciao.», gli feci un cenno di saluto, poi mi voltai e mi diressi verso l’uscita. Il ricordo s’interrompeva li.
 
“Adam” pensai, “Mi chiamo Adam”, dissi ad alta voce. Poi ripensai a tutti i nomi scritti sulle targhette degli armadietti, e mi ricordai di aver visto almeno due Adam, ma non ne ero completamente sicuro. Mi misi la tessera di Luis in tasca e mi misi a riguardare tutti gli armadietti. Alla fine trovai tre Adam in tutto lo spogliatoio,: Adam Levine, Adam Forgét e Adam Jensen. L’armadietto di Adam Levine era chiuso, mentre quello di Adam Jensen era aperto, ma non c’era il tesserino di riconoscimento. Infine L’armadietto di Adam Forgét era stato scassinato. Poi ripensai a Luis, sembrava conoscermi abbastanza bene. Chissà che fine aveva fatto, chissà se era ancora vivo. Poi mi ricordai che nel ricordo Luis nominava una certa persona, Eve, chi era? Significava qualcosa per me? Dovevo assolutamente scoprirlo. Non m’importava se dovevo morire da un momento all’altro, dovevo scoprire chi era Eve. Luis aveva detto che Eve partecipava al programma, forse si riferiva a qualcosa che aveva a che fare con il posto in cui mi trovavo, quindi sicuramente aveva un armadietto nello spogliatoio delle donne. Decisi di andare nello spogliatoio delle donne e trovare l’armadietto di Eve. Magari trovandolo mi sarei ricordato qualcosa del mio passato, e di Eve. Quindi mi diressi con passo deciso verso l’uscita dello spogliatoio.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Come promesso ecco il terzo capitolo. In seguito ad alcuni consigli lasciati nelle recensioni, ho fatto qualche taglio al capitolo originale, quindi sarà un po' più corto rispetto agli altri.
Ringrazio  mietitrebbia per la recensione e i consigli.
I nuovi capitoli che ho scritto cercano di seguire i consigli delle recensioni, ma con quelli vecchi ho potuto solo cercare di alleggerirli un po'.
Ma bando alle ciance, vi lascio alla lettura del capitolo.
Buona lettura!


Uscii dalla porta che avevo lasciato aperta, e mi trovai subito difronte l’entrata dello spogliatoio femminile. Mi avvicinai alla porta, afferrai il pomello, prima di girarlo mi ripetei che si trattava di una porta a scomparsa come l’altra, e dovevo muoverla verso destra per aprirla. Poi girai il pomello e feci scorrere la porta sui binari, l’operazione non emetteva alcun rumore. Entra nello spogliatoio, l’ambiente era identico all’altro. File parallele di armadietti che attraversavano la stanza, e come nell’altro spogliatoio, tra una fila di armadietti e l’altra erano sistemate delle panche. Mi misi subito alla ricerca dell’armadietto di Eve. Inizia dalla prima fila di armadietti, proprio vicino alla porta. Mi limitai a leggere solo le targhette degli armadietti, quindi ci misi poco tempo a trovare l’armadietto di Eve. Si trovava nella terza fila che controllai, era il penultimo armadietto sulla sinistra. Sulla targhetta c’era scritto a chiare lettere, Eve Ellis, era sicuramente la stessa Eve di cui parlava Luis. Purtroppo l’armadietto era chiuso, provai a vedere se nella stanza ci fosse qualcosa con cui poter forzare il lucchetto, ma non trovai niente. Allora pensai al Nome che avevo letto, Eve Ellis, ma non mi ricordava niente. Forse non era la stessa Eve di cui parlava Luis. Allora decisi di finire di controllare gli armadietti, nella speranza di trovare un'altra Eve, ma alla fine non trovai nessun'altra targhetta con quel nome. Quindi Eve Ellis doveva per forza essere la stessa persona nominata da Luis. Mi sforzai di ricordare qualcosa di quella persona.
«Eve Ellis, Eve Ellis...»
Ma niente, quel nome non mi ricordava niente. Ero depresso per non essere arrivato a niente, speravo davvero che quel nome fosse in grado di ricordarmi qualcosa del mio passato. Magari quella conferenza non aveva niente a che fare con quel posto. Per quanto ne sapevo quel fatto poteva essere avvenuto anni prima. Mi ero illuso nel credere che con così pochi indizi potessi presumere un collegamento tra il progetto nominato in quell’evento e questo posto. Mi fermai qualche minuto per riflettere sul da farsi, cercare l’armadietto di Eve si era rivelato un fallimento, non sapevo come muovermi, poi mi ricordai che sulla mappa del complesso avevo visto una stanza di controllo, forse in quel posto avrei trovato qualche indizio per capire a cosa serviva questo complesso, e magari in quel posto tenevano le chiavi della stanza numero otto, che pensavo fosse la mia. Mi diressi verso l’uscita dello spogliatoio, una volta superata l’uscita girai verso destra per tornare dalla parte da cui ero venuto. Accelerai il passo preso da una sorta di euforia. Quando ormai ero prossimo a svoltare l'angolo, sentii un rumore in lontananza, mi fermai per ascoltare meglio, non capivo da dove provenisse quel suono, era un rumore continuo, che mi sembrava di aver già sentito, più il tempo passava, più diventava forte, alla fine mi resi conto che quel suono proveniva dalla direzione del corridoio in cui c’erano gli spogliatoi, feci qualche passo in quella direzione, ed infine mi ricordai dove avevo già sentito quel rumore, ero lo stesso suono che produceva l’ascensore che avevo usato per scendere in quel livello del complesso. Ma l’ascensore che avevo usato era da un'altra parte, quindi in quella direzione ce ne doveva essere un altro. Poi mi resi conto che l’ascensore poteva essere stato attivato da qualcuno. Quello era il primo segno di vita che avevo sentito da quando mi ero risvegliato in quel posto. Ero bloccato dallo stupore, non mi aspettavo niente del genere. Alla fine mi riscossi e inizia a correre nella direzione da cui proveniva il rumore che diventava sempre più forte, nella speranza di trovare qualcuno che mi potesse aiutare.
 
Stavo percorrendo di corsa il corridoio che dava sugli spogliatoi, dopo di questi il corridoio faceva una svolta a sinistra, il rumore che aveva attirato lamia attenzione sembrava provenire da li. Tutti i muscoli del corpo mi dolevano, ogni secondo che correvo il dolore aumentava, arrivato alla svolta, rallentai. Girai l’angolo e vidi che dopo qualche metro c’era un ascensore del tutto simile a quello che avevo usato per scendere. Attraverso la rete si vedeva che la cabina non era presente, però si sentiva il rumore che produceva quando era in movimento, il rumore veniva dal basso, stava diventando sempre più forte. Doveva essere quasi arrivato. Intanto mi stavo avvicinando, quando fui arrivato davanti all’entrata del vano dell’ascensore, mi fermai. Cercai di riprendermi da quel breve scatto che avevo fatto, molto lentamente il dolore muscolare stava diminuendo. Mi avvicinai di più alla saracinesca dell’ascensore, per vedere se attraverso la rete s'intravedesse la cabina che saliva. Intravidi subito qualcosa che si avvicinava lentamente. Ero felice di aver trovato qualcuno, speravo che fosse qualcuno in grado di aiutarmi. Ormai era quasi arrivato, mi allontanai leggermente dall’entrata e attesi l’apparizione della cabina, che cominciò a emergere dalle profondità della tromba dell’ascensore poco dopo. Inizialmente non vidi niente, ma a un certo punto vidi dei capelli biondi, seguiti da due occhi di colore diverso, quello alla mia sinistra era nero, mentre quello alla mia destra era azzurro, il volto era squadrato, sembrava scolpito nel marmo, la figura indossava un lungo camice bianco, poi mi resi conto di aver già visto quell’individuo. Era la persona che avevo visto sul palco alla fine della conferenza, la persona che Luis sembrava ammirare tanto, era James Marcus. James aveva l’aria sorpresa, sicuramente non si aspettava di vedermi. Appena l’ascensore si fermò aprii la saracinesca. Non sapevo cosa dire, poi James alzò il braccio destro verso la mia direzione, e solo allora mi accorsi che aveva qualcosa in mano, alla fine mi resi conto che era una pistola.
«Stai indietro!»
«Se ti avvicini ancora giuro che ti sparo!»
Feci subito qualche passo indietro, molto lentamente.
«Stai tranquillo James, non voglio farti del male.»
«Come fai a sapere come mi chiamo!?, Chi sei!?»
James sembrava parecchio spaventato, non sapevo come comportarmi.
«Penso di conoscerti, non ne sono sicuro, mi sono svegliato in questo posto, non ricordo niente del mio passato, ma so che mi chiamo Adam, e non voglio farti del male»
«Non prendermi in giro! Sicuramente sei stato tu a combinare quella carneficina ai livelli inferiori, io voglio soltanto uscire da questo posto, lasciami passare!»
Non sapendo cosa fare, alzai lentamente le mani sopra la testa e mi feci da parte, lasciandogli lo spazio libero per passare, poi aggiunsi
«Per me puoi passare, ma non credo che riuscirai ad uscire»
James mi guardò per qualche istante, poi aggiunse
«Non azzardarti a seguirmi, altrimenti ti sparo!»
«Stai tranquillo, non ti seguirò»
James attese ancora un po’. la mano che impugnava la pistola gli tremava in maniera vistosa, poi sempre tenendomi sotto tiro, iniziò ad avanzare. Dopo avermi superato, si girò di scatto e corse via.
 
Mi ci volle qualche minuto per riprendermi dal primo incontro da quando mi ero risvegliato in quel luogo, sinceramente non era andato come me lo ero immaginato, James era molto agitato, aveva parlato di una carneficina ai piani inferiori, forse saranno stati i proprietari degli armadietti che avevo trovato. Inoltre James non sembrava conoscermi, ma il fatto che si trovasse lì mi spingeva a credere che quello fosse il posto in si era svolto il progetto di cui aveva parlato Luis alla conferenza. Quello significava che anche Eve doveva essere stata li, ma il nome Eve Ellis non mi aveva detto niente. Dovevo assolutamente scoprire se quello fosse il posto in cui pensavo d’essere. Aspettai qualche minuto, per la paura di raggiungere James, per arrivare alla sala di controllo dovevo ripercorrere la maggior parte della strada che avevo fatto per arrivare li. Dopo un’indefinita quantità di tempo, decisi che era venuto il momento di muoversi. Mi lasciai l’ascensore alle spalle e mi avviai verso la sala di controllo.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Ecco a voi il quarto capitolo di Project Gemini.
Questo è l'ultimo capitolo che ho scritto prima di ricevere i consigli di orfeopaci e mietitrebbia . Dal capitolo 5 in poi ho cercato di seguire i loro consigli.
Ultimamente, sono stato preso dallo sconforto di non riuscire a concludere questa storia in modo degno. Non ho la minima idea di dove sto andando a parare, i personaggi fanno di testa loro. Quando penso di scrivere una cosa, alla fine scrivo qualcosa di completamente diverso.
Ma ora vi lascio alla lettura e spero che qualcuno trovi il tempo di recensirla, in modo tale da poter ricevere un riscontro sul mio lavoro.
Buona lettura!


Durante tutto il percorso per arrivare alla sala di controllo e telecomunicazioni, non vidi la minima traccia di James. Ero quasi giunto a destinazione. Infatti, una volta svoltato l’angolo, vidi subito che il corridoio si concludeva e in fondo era presente una porta. La porta fortunatamente era spalancata, visto che accanto ad essa c’era in bella vista un lettore di tessere elettroniche. Aumentai il passo e oltrepassai l’entrata. Una volta dentro vidi due corpi nella stanza, uno era accasciato a terra, mentre l’altro era su una sedia in posizione seduta. I due uomini non erano stati uccisi dal virus, ma da dei colpi d’arma da fuoco. Mi avvicinai al primo corpo per guardare meglio. Attorno al corpo si era formata una chiazza di sangue ormai raggrumata. L’uomo indossava un’uniforme blu, attaccata alla camicia, aveva un tesserino come gli altri, l’uomo si chiamava Chris Bradley. Passai all’altro cadavere sulla sedia, anche quello era stato colpito alla testa, girai verso di me il corpo che stava su una sedia girevole. Allora fui certo di non essere Adam Levine, perché vidi sul tesserino che l’uomo si chiamava così.  Dalla posizione in cui si trovavano, sembrava che gli uomini fossero stati sorpresi alle spalle, mentre erano intenti a osservare degli schermi che si trovavano nella sala. I monitor si trovavano dalla parte opposta dell’entrata, li guardai meglio. Sembrava un sistema di videosorveglianza. Su ogni schermo si vedeva una parte del complesso. La mia attenzione fu catturata da un movimento su uno dei monitor. Mi avvicinai a esso, e vidi che stava inquadrando l’uscita in cui mi ero risvegliato, allora vidi James, stava trafficando con il terminale. Sembrava intento a inserire il codice per aprire la porta, ma dopo qualche secondo di attesa, era evidente che non lo sapesse. Distolsi lo sguardo dallo schermo per guardare meglio la stanza. Accanto alla porta, sulla destra si trovava un armadio a due ante, anzi guardando meglio era una cassaforte. Finalmente vidi attaccata al muro sulla sinistra un pannello a cui erano attaccate delle chiavi, andai più vicino e vidi che si trattavano delle copie delle chiavi del dormitorio. Vidi subito la chiave della stanza numero otto, la presi e me la misi nella tasca dei jeans. Nella parete opposta a quella dove era situata la bacheca, era presente una serie di computer tutti accesi. Mi avvicinai per vedere se ci fosse materiale utile per capire a cosa servisse quel posto. Purtroppo vidi che su tutti i monitor era presente la richiesta di una password per accedere al sistema operativo.
«Maledizione!»
Quel maledetto posto era pieno di porte chiuse da chiavi e sistemi elettronici protetti da password. Provai a guardare se James era ancora intento a cercare di inserire il codice giusto per uscire. Quando mi avvicinai allo schermo, mi resi conto che James era sparito. Dove diavolo era andato? Sicuramente non era riuscito ad andare fuori. Spostai lo sguardo su altri monitor. Alcuni schermi non mostravano niente. Ogni schermo visualizzava più luoghi a rotazione, attraverso di essi vidi luoghi in cui ero passato e altri mai visti. Quel posto sembrava sorvegliato molto bene, ma non mi ero accorto della presenza di nessuna telecamera. A un certo punto uno dei monitor cambiò visuale mentre lo stavo fissando, e allora vidi una scena terribile, attraverso lo schermo si vedeva una stanza con diverse scrivanie, davanti a queste scrivanie erano sedute delle persone su delle poltrone, alcune erano accasiate sule scrivanie, mentre altre erano rimaste sdraiate sulle poltrone, erano tutti morti. Dall’immagine si vedeva il volto di alcune persone, e avevano tutte la faccia macchiata di sangue, come l’uomo che avevo visto davanti all’ascensore. Poi lo schermo mostrò un altro luogo, ma era solo un corridoio. Stetti qualche altro secondo a osservare i monitor, poi uno di essi mostrò l’interno di un ascensore e finalmente trovai James. L’uomo stava in piedi in mezzo alla cabina, l’ascensore sembrava in movimento, era sicuramente l’ascensore che avevo usato per arrivare in quel livello. James sembrava avere l’aria più calma di quella che aveva avuto nel nostro ultimo incontro. Forse era in grado di parlare, magari mi avrebbe aiutato. Intanto l’ascensore si era fermato, il monitor indicava che si trovava al primo livello. Allora decisi di andargli incontro per vedere se fosse disposto a collaborare con me. Ormai in quella stanza non c’era altro che mi fosse utile, quindi mi diressi verso la porta. Ma ad un tratto mi fermai, tornai indietro e mi chinai sul cadavere della guardia per terra, vidi subito quello che cercavo, la fondina con dentro la pistola. Aprii la fondina e impugnai la pistola, non so perché la presi, forse sarà stato per la minaccia che mi avevo fatto James, o forse per qualcos’altro. Dopo presi altri due caricatori che la guardia aveva attaccato al cinturone. Poi mi resi conto che non potevo farmi vedere da James con una pistola in mano, non sapevo dove metterla, mi guardai intorno, dopo qualche ricerca vidi una borsa a tracolla sotto il bancone dove erano situati i monitor, la presi e la svuotai. Ci misi dentro la pistola e i due caricatori, me la misi a tracolla sulla spalla sinistra, mi alzai e lasciai la stanza.
 
Mi dovevo sbrigare, accelerai il passo, non potevo assolutamente perdere James, forse era in grado di dirmi cosa era successo in quel posto. Svoltai l’angolo, e fui sorpreso di vedere James che stava venendo verso di me. A quanto pare lo fu anche lui, si fermo un attimo, sembrava essere molto più calmo di prima, aveva sempre la pistola in mano, ma almeno in quel momento non me la stava puntando addosso. Stavo continuando ad avanzare verso di lui, a un tratto anche James riprese a camminare verso di me. Alla fine ci fermammo uno davanti all’altro. Non sapevo cosa dire, ma più guardavo gli occhi di James, e più mi rendevo conto che aveva uno sguardo diverso, sembrava un'altra persona rispetto al nostro primo incontro. Ad un certo punto James parlò, e disse:
«Non sono riuscito ad uscire…, Ma io ti conosco?»
Non sapevo rispondere, poi dissi:
«Non ne sono sicuro»
James non sembrava sorpreso dalla risposta e ribatte:
«Allora non sono l’unico che non si ricorda niente»
«Anche te non ti ricordi niente?»
James fece un cenno di assenso.
« Già, prima di incontrare te non sapevo neanche il mio nome… Prima mi hai chiamato James, sai anche quale è il mio cognome?»
« Credo che il tuo nome completo sia James Marcus»
James si mise a riflettere qualche secondo, forse stava cercando di ricordare qualcosa, poi improvvisamente scoppiò.
«Cazzo! Non mi dice niente questo nome!»
Si mise ad agitare la pistola. Mi spaventai un po’ per quel gesto e dissi:
«Stai calmo amico, non risolverai niente arrabbiandoti così, so come ti senti, sto passando la tua stessa situazione»
«Hai ragione…  Mi devo calmare…»
James si mise la pistola in una tasca del camice e poi continuò.
«Scusami per prima, ero molto agitato, mi sono risvegliato in questo strano posto e poi ho visto tutti quei cadaveri, non sapevo se mi potevo fidare, ma a quanto pare siamo nella stessa situazione. Quindi penso che dovremo collaborare per vedere se riusciamo ad uscire da questo posto…. Sei d’accordo con me?»
James si mise in attesa di una risposta, naturalmente la sua proposta mi sembrava sensata, infondo era quello che volevo fare fin dal primo incontro, così risposi.
«Naturalmente, sono con te. Prima d’incontrarti stavo andando a ispezionare quella che mi pare sia la mi stanza, vuoi venire con me?»
James fece cenno di assenso mentre si metteva una mano nella tasca sinistra del camice.
«Certo che vengo con te, ho anche la chiave della mi stanza»
Estrasse dalla tasca una chiave su cui c’era inciso il numero quattro.
«Così mentre te controlli la tua stanza, io controllo la mia»
Fui contento del fatto che avesse la chiave della sua stanza, e del fatto che le nostre stanze erano vicine l’una all’altra, così risposi.
«Perfetto, allora siamo d’accordo, mettiamoci in marcia»
Mi diressi verso i dormitori e James cominciò a seguirmi. Ero euforico per quel passo vanti che avevo fatto, almeno non dovevo più vagare da solo in quel posto. Mi guardai alle spalle per vedere se James teneva il mio passo, appena lo guardai negli occhi, uno nero e l’altro celeste, lui mi fece un cenno di assenso. Quel gesto mi rincuorò molto, finalmente non ero più solo. 

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Capitolo 5
*** 5 ***


Ecco il quinto capitolo di Project Gemini.
La scrittura sta procedendo bene, oggi ho finito di scrivere l'ottavo capitolo.
Ho deciso di pubblicare il racconto anche su un blogo, potete andarci da qui .
Ora vi lascio al capitolo. Buona lettura!


Finalmente arrivammo nella zona del complesso adibita a dormitori, la prima stanza che trovammo fu quella di Marcus, la stanza numero quattro. James si avvicinò alla porta, s'infilò la mano in tasca e ne estrasse la chiave. Dopo si girò dalla mia parte e mi disse con un po’ d’imbarazzo «Forse è meglio che ognuno controlli la propria stanza, quando abbiamo finito ci rincontreremo nel corridoio. A te va ben così?», fui sollevato da quella frase. Quando ero arrivato per la prima volta li, avevo trovato una sorta di preoccupazione quando avevo cercato di aprire la porta, era meglio se perlustravo da me la mia stanza. Così gli risposi «Certamente, il primo che finisce aspetta l’altro nel corridoio. Ci vediamo dopo», feci un cenno di saluto che James ricambiò subito e rispose «A dopo.». Mi allontanai da Marcus e mi diressi verso la mia stanza. Mentre mi allontanavo, sentii scattare la serratura della stanza di James. Quando arrivai davanti alla porta della mia stanza, presi la chiave che avevo messo nella borsa e la infilai nella serratura. Guardai la targhetta con scritto il numero otto, poi girai la chiave per tre volte prima di sentire il suono della serratura che si apriva, girai il pomello, feci scorrere la porta e infine entrai. La stanza era buia, allungai le mani alla ricerca di un interruttore, lo trovai dopo qualche secondo sulla sinistra della porta, lo accesi e dopo qualche istante la stanza fu illuminata da due lampade al neon, una volta che la stanza fu illuminata, mi resi conto che non era molto grande. Era abbastanza grande da contenere un letto singolo, posto sulla destra in fondo alla stanza, un armadio a due ante, situato sulla parete sinistra in cima e una scrivania sulla parete sinistra, in fondo alla stanza. Chiusi la porta, non volevo rischiare che James ficcasse il naso in quella stanza. Mi girai verso l’armadio, era costruito in metallo e aveva due ante scorrevoli. Afferrai la maniglia dell’armadio e feci scorrere l’anta. Dentro l’armadio c’erano solo degli abiti appesi a delle grucce. Infondo al vano c’erano dei cassetti, provai ad aprirli, ma contenevano solo della biancheria e delle magliette. Rivolsi la mia attenzione alla scrivania, sopra essa, erano sparsi vari documenti scritti sia a mano che al computer. Provai a leggere qualche foglio, ma c’erano scritte delle formule di qualche tipo che non comprendevo. Aprii il primo cassetto, era pieno di materiale da cancelleria, dopo un po’ di ricerca trovai un portafoglio marrone, lo presi in mano, lo aprii velocemente e la prima cosa che vidi fu il documento d’identità. Sopra il documento, si leggeva a chiare lettere Adam Forgét. Finalmente sapevo il mio nome completo. Poiché volevo essere sicuro al cento per cento che quello fosse il mio documento, lo estrassi dal portafoglio e lo aprii. Mentre stavo eseguendo l’operazione, dal documento scivolò qualcosa sulla scrivania, la raccolsi subito e mi resi conto che era una foto. Ripresi nella foto, c’erano due persone, un uomo e una donna abbracciati che sorridevano, l’uomo sembravo proprio io, mentre la donna non la conoscevo, aveva dei lunghi capelli lisci di colore biondo, i tratti del viso erano molto delicati e aveva degli occhi verde smeraldo. Mentre osservavo gli occhi di quella donna, mi ricordai chi fosse. «Eve…», dissi ad alta voce. Fu allora che mi ricordai un altro evento del mio passato.
 
Ero nella mia stanza, seduto su una poltrona davanti alla scrivania. Stavo analizzando dei dati usando un notebook, a un certo punto interruppi il lavoro e tirai fuori dalla tasca dei pantaloni il portafoglio, ne estrassi la fato e mi fermai a guardarla assorto nei miei pensieri. Fui interrotto dal suono di qualcuno che bussava alla porta, riposi in fretta la foto nel portafoglio e lo infilai nel primo cassetto. Mi alzai e mi diressi verso la porta. «Chi è?», chiesi ad alta voce, la riposta non si fece attendere «Sono io, Eve.». Aprii la porta e mi trovai davanti una donna bionda, con dei bellissimo occhi verde smeraldo. Ero sorpreso di quella visita, non sapevo cosa dirle, poi lei ruppe il silenzio «Posso entrare?», mi ripresi dallo stupore e risposi «Certamente, entra», mi feci da parte e la feci passare. «Sono stata sorpresa nel vederti prima insieme agli altri ricercatori. Luis aveva detto che non avresti partecipato.», «Gli avevo solo detto che ci dovevo pensare e come puoi vedere, ho deciso di partecipare», intanto Eve si stava avvicinando alla scrivania «Già, ho visto. A quanto pare lavori sempre fino a tardi», disse dando un’occhiata allo schermo del notebook, allora la superai, afferrai il notebook, lo chiusi e lo infilai nel secondo cassetto della scrivania. «Cosa sei venuta a fare qui Eve?», le dissi in maniera spazientita. Lei mi guardò un po’ con aria sorpresa, «Sei nervoso? Comunque volevo solo dirti che sono stati formati i gruppi di ricerca, noi due siamo nello stesso gruppo insieme a Luis. Proprio come ai vecchi tempi.», «Che fai? Sei venuta a rievocare i bei vecchi tempi? Ricorda che sei stata te ad abbandonarci. Anche io sono stato sorpreso di sapere che partecipavi a questa cosa. Cos’è? Avevi paura che avremmo trovato la cura prima di te?», ero sempre più nervoso, cercavo di trattenere la rabbia, «Ancora con questa storia? Adam, ormai è passato tanto tempo. E poi dove sono finiti i tuoi principi? Quest’iniziativa se non lo sapessi è finanziata da privati. Quelli che disprezzavi tanto quando lavoravamo all’università.», dopo quella frase non riuscii più a trattenermi, «Lo sai perfettamente che questa è una situazione diversa! Qua stiamo cercando una cura per salvare milioni di vite! Non stiamo mica cercando di sviluppare delle medicine da inserire nel portafoglio brevetti dell’ennesima multinazionale!», con quella frase stizzii Eve. Poi mi resi conto, che forse avevo un po’ esagerato. «Scusami… Ma ora voglio riposare, lasciami solo…», senza dire un'altra parola, Eve se ne andò via sbattendo la porta…
 
Mentre stavo osservando la foto, mi chiesi cosa avesse fatto Eve, per farmi arrabbiare in quel modo. Decisi di tenere la foto. Magari l’avrei potuta far vedere a Marcus, magari conosceva Eve. A quanto pare in quel posto si stava cercando di trovare una cura per quel virus sconosciuto. Ma allora perché aveva visto più persone uccise dallo stesso virus? Cos’era andato storto? Aprii il secondo cassetto della scrivania, dove trovai il notebook. Lo misi sulla scrivania e lo accesi. Dopo poco mi resi conto che richiedeva una password. Provai a vedere se me la ricordavo, ma niente, non la sapevo. Allora feci qualche tentativo, guardai nel mio documento e inserii la data di nascita, ma non andava bene, provai a inserire “Eve”, ma neanche quello andava bene. Allora Rinunciai ad altri tentativi, spensi il portatile e lo infilai nella borsa. Nella speranza che alla fine mi sarei ricordato la password. Detti un'altra occhiata nella stanza, guardai sotto il letto, ma non trovai altro di utile. Non avevo altro da fare li, così aprii la porta e uscii. Una volta fuori chiusi la porta a chiave. James non si vedeva ancora, cosi mi misi ad aspettarlo.
 
Dopo qualche minuto d’attesa James non si era ancora fatto vedere, così provai a chiamarlo ad alata voce «James? Quanto tempo ti manca?», aspettai qualche secondo e non ricevetti alcuna risposta. Allora mi avvicinai alla porta e vidi che era socchiusa, non sapevo cosa fare, magari si era sentito male. Comincia ad aprire lentamente la porta, sentivo dei rumori provenire da dentro la stanza. Quando finii di aprire la porta vidi James intento rivoltare il materasso del letto, a quel punto si accorse della mia presenza, «Hai bisogno di qualcosa?» mi chiese con aria un po’ contrariata, «No, ti avevo chiamato e visto che non mi avevi risposto, mi ero preoccupato.», intanto vidi che la stanza era completamente sottosopra, l’armadio era vuoto e tutti i vestiti erano sparsi per terra, dove c’erano anche i cassetti della scrivania vuoti il cui contenuto era stato riversato su di essa, «Come vedi sto bene, ora mi puoi aspettare fuori?», «Va bene, ti aspetto fuori.». Chiusi la porta, e mi misi ad aspettare Marcus. Che cosa stava cercando? Da come aveva ridotto quella stanza, sembrava qualcosa d’importante per lui.
James uscì pochi minuti dopo. «Allora hai trovato quello che cercavi?», «Per la verità non sapevo neanche cosa stavo cercando. Te hai trovato qualcosa d’interessante?», estrassi la foto dalla borsa, «Ho scoperto il mio nome completo, mi chiamo Adam Forgét, inoltre volevo farti vedere una cosa.», gli porsi la foto, «Questa donna ti ricorda qualcosa? So solo che si chiama Eve e che anche lei lavorava qui.», James osservò per qualche istante la foto, «Mi sembra di averla già rivista, ma non ricordo chi sia.», a quel punto mi venne in mente che James aveva detto di aver visto molti morti quando si è risvegliato, «Sei sicuro di non averla vista quando ti sei svegliato?», «Non credo. Ma non posso dirlo con certezza, in quel momento non ero molto lucido, volvevo soltanto uscire il più presto possibile da quel posto, è stato terr…» James cominciò a tossire, quando smise non mi sorpresi nel constatare che anche lui aveva tossito sangue, ma quando se ne accorse lui, non ebbe la reazione che mi aspettavo, guardò semplicemente la mano sporca di sangue e poi se la pulì sul camice bianco, «Non sei sorpreso di vedere che hai tossito sangue?» gli chiesi, «No, non è la prima volta che mi succede, è successo anche a te, vero?», «Già… Comunque penso che questo posto servisse a trovare una cura per la malattia che ha ucciso queste persone e credo che abbia contagiato anche noi…», «Non credo che siamo riusciti a trovare una cura, visto la fine che hanno fatto. Ma non capisco perché noi siamo ancora vivi», «Forse siamo stati contagiati per ultimi?», «E pensi che l’amnesia sia un effetto della malattia? Io penso che dovremo esplorare il resto del complesso. Magari riusciremo a scoprire cosa è successo in questo posto.», «Va bene, ma da dove iniziamo?», «Io propongo d’iniziare dal primo livello.», «Allora andiamo.». Così ci avviammo verso il montacarichi per arrivare al primo livello.

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Capitolo 6
*** 6 ***


Ecco il sesto capitolo di Project Gemini.
In seguito ad alcuni consigli, ho riorganizzato un po', il modo in cui scrivo i dialoghi. Ora, mi toccherà riguardare anche i vecchi capitoli.
Ricordo che è piossibile leggere il capitolo anche sul mio blog.
Buona lettura.


Ero in ascensore, la cabina era molto affollata. Accanto a me c’era Luis, sembrava molto eccitato.
 «Non vedo l’ora di iniziare questo lavoro Adam!»
Un paio di persone si girarono verso di lui.
«Calmati amico, questa è una cosa seria, molte vite dipendono da noi.»
«Hai ragione, mi devo dare una calmata, ma sono così eccitato dalla possibilità di lavorare con il dottor Marcus.»
«Lo sai meglio di me che sarà occupato a gestire questo posto, lavorerai soltanto con me ed Eve, Marcus è il responsabile di questa struttura, molto probabilmente non lo vedremo mai nel nostro laboratorio.»
 « Sei sempre così negativo. Non ti sopporto.»
Luis fece finta di farmi il muso, facendomi scappare una piccola risata.
«Ma allora sai ancora ridere, è tutta la mattina che hai il morale a terra. Cosa ti è successo?»
«Ma niente. Ieri sera Eve è venuta a trovarmi nella mia stanza…»
«Finalmente capisco. Non l’hai mica picchiata? Vero?»
«Certo che no! Mi sono solo scaldato un po’.»
«Come al solito. Te l’ho già detto, devi cercare di controllare i tuoi scatti d’ira.»
«Lo ammetto ho un po’ esagerato. Ma in fondo se lo meritava, ci ha abbandonati nel bel mezzo delle nostre ricerche per andare da quella multinazionale che la copriva di soldi.»
L’ascensore si fermò e uscimmo insieme alle altre persone. Luis continuò il discorso:
 «Ti sei arrabbiato solo per il fatto che ci ha abbandonati? Non perché ti ha abbandonato per seguire la sua carriera?»
«Per me è la stessa cosa. Non voglio addentrarmi in questo discorso con te. Tanto lo sai già che abbiamo due opinioni diverse. Ora voglio solo concentrarmi su questo lavoro.»
Ci fermammo davanti ad una porta.
 «Allora è questo il posto dove lavorerà il nostro team?»
Chiesi a Luis.
«Certo, ci hanno assegnato questo laboratorio.»
Aprii la porta ed entrammo, il laboratorio era deserto.
 «Come immaginavo… Non è ancora arrivata.»
«Stai calmo Adam, arriverà presto»
Disse Luis mentre stava chiudendo la porta.
«A proposito, guarda com’è ben fornito questo posto!»
Luis si guardò un po’ intorno.
«Guarda lì! Avrei ucciso per avere uno di quelli all’università!»
 «Che macchinario è? Non l’ho mai visto.»
 Luis assunse la sua solita aria da maestrino.
 «La tua ignoranza a volte mi sorprende. Questo è un…»
Fortunatamente in quell’istante la porta si aprì.
«Finalmente sei arrivata…»
Non feci in tempo a finire la frase che vidi apparire James Marcus, aveva i soliti occhiali da sole che gli coprivano gli occhi. Cercai di rimediare subito all’errore.
 «Mi scusi dottor Marcus, pensavo fosse un'altra persona.»
«L’avevo intuito dottor Forgét.»
Marcus si rivolse verso Luis e gli disse.
«Salve dottor Shaw, spero che il laboratorio sia di suo gradimento.»
«Ma certo dottor Marcus, questo posto è perfetto, abbiamo tutto quello che ci serve.»
«Molto bene. Ora passiamo a lei dottor Forgét. Questa mattina ho sentito delle voci in mensa, riguardo a lei e la dottoressa Walls. Secondo queste voci, ieri sera avete avuto un piccolo diverbio. Ciò corrisponde al vero?»
«Certo, ma non è stato niente di grave.»
«Lo spero bene, come ben sa ci sono molte persone che contano sul successo di questo programma. Essendo il responsabile di massimo grado in questa struttura mi devo assicurare che non ci siano problemi nel personale. Vuole che sposti la dottoressa Walls in un altro gruppo?»
«Non ce ne sarà bisogno. Le assicuro che non ci saranno più problemi del genere.»
«Mi fido di lei dottor Forgét, non me ne faccia pentire. Ora se volete scusarmi, ho altre cose di cui occuparmi.»
Marcus si girò verso la porta e se ne andò via. Dopo qualche secondo di silenzio, Luis disse.
«Sembra che quegli occhiali da sole siano attaccati alla sua testa, non se li toglie mai. Secondo alcuni li tiene per nascondere i suoi occhi storti.»
«Non credo sia per quello.»
«Allora secondo te perché li porta sempre sapientone? Che voglio farti notare, avevi predetto che non avremo mai visto il dottor Marcus in questo laboratorio. »
«Non ho predetto niente. Ora sarà meglio iniziare a lavorare.»
«Agli ordini signore!»
Così iniziammo il nostro primo giorno di lavoro nella struttura.
 
Grazie al mio ricordo, James ed io trovammo facilmente il laboratorio, dove avevo lavorato. Eravamo arrivati lì in cerca d’indizi. James non sembrava ricordare un gran che, cosa che m’irritava molto, dato che ogni volta che ricordavo qualcosa capivo che fosse stata una figura di rilievo in quel posto. Il posto era diverso da come me lo ricordavo, c’era molto più disordine. In quel momento stavamo ispezionando il laboratorio, anche se non avevamo la minima idea di cosa stavamo cercando. A un certo punto James richiamò la mia attenzione.
«Adam, mi sono ricordato che in questo posto è stata trovata la cura per il virus…»
«Sei sicuro!? Ma allora perché sono morti tutti tranne noi due?»
«Non lo so. I ricordi sono ancora così confusi.»
«James, devi cercare di ricordare, quella è un’informazione fondamentale, ormai è chiaro che siamo stati contagiati anche noi. Basta guardarci, non siamo un bello spettacolo.»
«Lo so, ma non riesco a ricordare bene. Mi sonori cordato di alcuni campioni della cura in fase sperimentale. Erano contenuti in delle siringhe particolari, ma non ricordo, dove sono tenuti o se ci sono ancora.»
«Dobbiamo trovarli ad ogni costo. Dovresti provare a disegnarli, così posso vedere cosa stiamo cercando.»
Mi misi alla ricerca di un sopporto su cui disegnare. Lo trovai quasi subito su un bancone, era un quaderno, dove c’erano scritti degli appunti, lo passai subito a James e gli diedi una mia biro con cui disegnare. James si mise subito a disegnare, fini il disegno in pochi istanti e me lo fece vedere.
«Sei sicuro che sia questo, quello che dobbiamo cercare?»
«Non ne sono sicuro al cento per cento, ma è l’unico indizio che abbiamo.»
Osservai meglio il disegno, solo allora mi resi conto di aver già visto una siringa di quel tipo.
«Penso di averla già vista da qualche parte.»
James si scompose un po’ e disse.
«Ne sei sicuro!? Dove l’hai vista?!»
«Calmati un attimo! Ci sto pensando e la tua agitazione non mi aiuta molto.»
Provai a concentrarmi, intanto James si calmo e rimase in silenzio.
 
Ero da solo, stavo percorrendo un corridoio, svoltai un angolo e fu allora che vidi un uomo. Stava davanti ad una porta, quando mi avvicinai, vidi che era una guardia della sicurezza. Mi diressi verso l’uomo, quando mi feci abbastanza vicino, l’uomo capì che volevo andare da lui e disse.
«Solo il personale autorizzato può accedere alla stanza.»
Mentre mi avvicinavo, risposi.
«Sono il dottor Forgét e sono stato autorizzato dal dottor Marcus in persona.»
«Certo. Il dottor Marcus mi aveva avvertito. Può passare.»
L’uomo si girò verso la porta sulla quale c’era una targhetta, con inciso il numero tredici, aprì la porta con una chiave e infine si fece da parte per farmi passare. Entrai nella stanza, era uguale alla mia camera e seduta davanti alla scrivania vidi Eve. Mentre la guardavo, si girò verso di me.
«Non mi aspettavo di vederti qui. Che cosa sei venuto a fare?»
Mi avvicinai a lei e mi misi a sedere sul letto.
«Accomodati pure, fai come fossi a casa tua.»
Disse in modo sarcastico.
«Perché l’hai fatto Eve? Sapevi le regole della struttura. Ora tutti pensano che sei una spia o chissà cos’altro.»
«Non ti devo spiegare niente. Non è una cosa che ti riguarda.»
«Ne dovrai parlare con qualcuno! Queste persone non scherzano!»
Eve rimase in silenzio.
«Va bene, fa come ti pare.»
Infilai una mano nella tasca del camice e ne tirai fuori una siringa, appena Eve la vide, disse con tono di sfida.
«Cos’è? Una specie di siero della verità?»
«Niente di tutto questo. Da quando ti sei fatta arrestare, abbiamo fatto dei passi avanti nel trovare una cura per il virus. Questo è una dei campioni della cura sperimentale più promettente, voglio che la tenga te.»
«Ma sei pazzo!? Se mi scoprissero con una cosa del genere…»
«Non ti scopriranno se la nascondi per bene. Voglio che la tenga te in caso di emergenza. Usala solo se sei certa di essere stata contagiata, altrimenti potrebbe ucciderti…»
«Ma smettila di dire queste cose.»
Mi alzai e andai verso di lei. Gli presi la mano con la forza e ci misi la siringa e dissi.
«Nascondila bene. Quando avrò un po’ di tempo tornerò.»
Mi allontanai da lei per avvicinarmi alla porta, bussai e attesi che la guardia l’aprisse.
«Vedi di non fare altre stupidaggini. Alla prossima»
La guardia aprì la porta e me ne andai.
 
Non sapevo se dire a James quello che mi ero ricordato, Eve non sembrava in una bella situazione e da quanto ricordavo, lui ne era a conoscenza. Infine dissi
«Non ricordo di averla mai vista. Ma almeno ora so cosa cercare.»
«Sei sicuro che non ti ricordi niente?»
«Non mi dice niente questo disegno.»
James mi guardò con aria perplessa, si aspettava un'altra risposta?
«Non fa niente. Alla fine ce ne ricorderemo.»
Disse infine James.
«Pensi che dovremo continuare a cercare qui?»
«Credo che abbiamo controllato abbastanza questo posto, sono sicuro che qua non troveremo i campioni della cura. Cerchiamo da qualche altra parte.»
«Va bene… Andiamo.»
E ci avviamo verso l’uscita del laboratorio.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Ecco il settimo capitolo di Project gemini.
Il capitolo è pubblicato anche sul mio blog.
Buona lettura.


«Vi do il benvenuto alla struttura Gemini! Sono contento di vedere che siete in così tanti ad aver accolto la nostra richiesta di collaborazione.»
L’uomo stava parlando su un palco sopraelevato, davanti ad un leggio, aveva un’aria molto eccitata.
«Come ben sapete, la mia compagnia ha messo a disposizione questa struttura per la ricerca  della cura del virus che sta causando tante morti nel mondo, è un dovere di noi tutti dare una mano ho pensato. Per questo motivo, in seguito ad alcune discussione avute con il qui presente, dottor James Marcus»
Indicò un uomo seduto vicino a lui.
«Ho deciso di mettere a disposizione questa avanzatissima struttura di ricerca alle più brillanti menti del campo della microbiologia, sia del settore privato che di quello pubblico. Qui potrete svolgere le ricerche in completa tranquillità e sicurezza. Ma ora basta parlare di me. Passo la parola al dottor Marcus che vi spiegherà meglio la situazione.»
L’uomo si mise a sedere e subito dopo si alzò il dottor Marcus, era vestito come la prima volta che l’avevo visto alla conferenza di presentazione del progetto, un’impeccabile completo scuro e gli immancabili occhiali da sole.
«Anche io sono lieto di vedervi in così tanti, sono presenti molti nomi illustri del nostro campo. Come ha già detto il presidente Merck questa struttura dispone delle apparecchiature più avanzate disponibili, inoltre grazie ad un avanzata rete di telecomunicazione, la struttura Gemini è collegata con altre strutture simili in tutto il mondo, in modo tale da poter condividere meglio i risultati ottenuti. Come scoprirete presto il complesso si sviluppa in profondità su cinque livelli, in quello più alto ci sono gli accessi. Nel primo livello interrato ci sono gli alloggi per il personale, la mensa e gli spogliatoi. Mentre nel secondo e terzo livello interrato sono presenti i laboratori. Nel quarto livello invece sono custoditi i campioni del virus, per questo motivo l’accesso a quel livello sarà riservato a pochi. La struttura è sotto il controllo di un’innumerevole quantità di telecamere, che sono presenti quasi ovunque, tranne che nei bagni e negli alloggi.»
Marcus differentemente da Merck era impassibile.
«Per i l’utilizzo dei laboratori ci saranno dei turni giornalieri. Saranno composte delle squadre da tre elementi ciascuna. La composizione delle varie squadre sarà detta domani mattina, prima dell’inizio dei lavori. Per ulteriori dettagli vi sono stati consegnati delle cartelle con tutta la documentazione del caso. Non c’è bisogno di dire quanto sia importante il successo di questa iniziativa, molte persone contano su di noi, vediamo di non deluderle. Per ora è tutto, potete andarvi a stabilire negli alloggi che vi sono stati assegnati.»
Applaudimmo per qualche istante, poi Marcus andò a parlare con il presidente Merck. Mi alzai dalla sedia, dove ero seduto, ero in una sala conferenze del complesso, acconto a me era seduto Luis.
«Non ero sicuro che avresti partecipato.»
«Non è stata una decisione difficile. Come avevi detto te, in tempi come questi, dobbiamo dare tutti una mano. Poi penso che in un posto come questo, avremo più possibilità di trovare prima una cura.»
«Hai assolutamente ragione, avranno apparecchiature che all’università neanche si sognano! Comunque hai sentito le voci sulla nascita di questa cosa?»
«Di che stai parlando?»
Luis si mise in piedi e mi si avvicinò.
«Sembra che questa cosa sia nata in seguito a strani incidenti avvenuti ad alcune delle persone che stanno cercando la cura per il virus. Ecco perché questo posto è sorvegliato così bene.»
«Cosa vuoi dire? Che c’è qualcuno che sta uccidendo le persone che stanno cercando di trovare una cura per il virus?»
«Io non l’ho detto. Sei stato te a dirlo.»
«Ma non dire cavolate Luis, vedi cospirazioni da tutte le parti. E di chi sarebbe la colpa? Dei templari? Degli illuminati? La CIA? Topolino? Non crederai ancora a queste cose?»
«Certo. Continua a prendermi in giro. Ma alla fine anche te vedrai la verità.»
«Certamente Luis. Intanto vado a vedere il mio alloggio. Ci vediamo dopo in sala mensa.»
Dissi mentre mi allontanai da lui.
 
C’eravamo fermati nella sala conferenze, perché James voleva controllare una cosa, diceva che in quella sala c’era un terminale per accedere alla rete interna del complesso e che tramite quella era possibile vedere se c’erano altri sopravvissuti. Ormai stava trafficando al computer da diversi minuti, non capivo cosa stessa facendo, continuava a inserire linee di codice a me incomprensibili. A un certo punto gli dissi.
«Stai facendo qualche progresso?»
«Sta andando bene, presto potrò usare i sensori biometrici per vedere se ci sono altre persone vive.»
«Bene. Sai, mi ricordo che in questa sala hai tenuto una conferenza. Eri molto convincente.»
«Dici? Non me lo ricordo proprio.»
«Strano, ti ricordi molte cose utili di questo complesso.»
«Non è meglio così? Vorresti che mi ricordassi cose inutili come una conferenza a cui ho partecipato?»
Disse James impassibile.
«Certo che no, queste cose sono molto più utili. Ma da qui non ti riesce trovare il codice di apertura dell’uscita?»
«Non posso. Quella porta è scollegata dal resto della rete.»
«Capisco. Ma…»
«Adam al momento sono impegnato, perché non fai un giro della stanza per vedere se trovi qualcosa di utile?»
Disse James in modo calmo mentre armeggiava al computer.
«Certo… Vado subito.»
Guardai un attimo la stanza, fortunatamente era deserta, prima di arrivare li avevamo controllato un altro paio di laboratori, in cui avevamo trovato dei cadaveri. Invece nella sala conferenza non c’era nessuno, la stanza era molto ampia con diverse file di poltrone divise in due gruppi, vicino al palco c’erano alcune apparecchiature, tra cui il computer con cui stava lavorando James. Dopo un veloce giro non notai niente di utile. Allora mi misi a sedere su una poltrona e tirai fuori il notebook dalla borsa. Lo accesi e dopo qualche decina di secondi apparve la richiesta di log in, provai a inserire qualche password, come la data di nascita e altre cose, ma non erano accettate dal sistema. Infine provai a inserire “Eve”, ma neanche quello era stato accettato. Poi osservai James che stava lavorando, sembrava cavarsela molto bene con quella roba. Magari avrei potuto chiedergli una mano per trovare la password. Rimisi il notebook nella borsa e tornai da Marcus. Una volta avvicinatomi, gli dissi:
«Senti James, saresti in grado di trovare la password per accedere a un computer?»
«Lo posso fare, ma si può accedere ai dati di un computer anche senza dover mettere la password richiesta dal sistema operativo. Lo potrebbe fare chiunque.»
«Capito. Allora mi potresti aiutare ad accedere ai dati del mio notebook? Vedi non ricordo ancora la password.»
«Certamente… Aspetta un attimo, il sistema di sorveglianza ha rilevato del movimento in un settore del terzo livello interrato.»
Sul monitor vedevo solo dei codici incomprensibili.
«Sei in grado di far vedere la ripresa della telecamera?»
«è quello che sto facendo… Ecco fatto.»
Sul monitor apparve una finestra che mostrava un video. Nel video si vedeva un corridoio del complesso, a un certo punto apparve una figura, indossava un camice bianco e aveva dei lunghi capelli biondi.
«Ma quella è Eve!»
Dissi avvicinandomi al monitor. Subito dopo la donna uscì dall’inquadratura.
«Non la puoi seguire?»
Dissi rivolgendomi a James.
 «Certo che la posso seguire, è quello che voglio fare.»
La visuale del video cambiò e inquadrò nuovamente la donna, ogni volta che usciva dall’inquadratura, subito dopo veniva messa la visuale di un'altra videocamera. Così seguimmo la donna per qualche minuto, fino a quando arrivò a un ascensore.
«Dove vorrà andare?»
«Sicuramente salirà ai piani superiori.»
Rispose James. La donna era entrata nell’ascensore e solo allora ne vidi il volto. Era sicuramente Eve. La donna si avvicinò al pannello di controllo dell’ascensore e pigiò un bottone, dall’inquadratura non si capiva quale bottone avesse premuto.
 «Non è possibile…»
Disse James intento a osservare il monitor, poi la cabina si mosse verso il basso.
«Ma che dici? Cos’è impossibile?»
«Niente… Lascia stare.»
Osservai ancora il monitor, dopo un po’ di tempo l’ascensore fermò la sua discesa e subito dopo Eve uscì. Ci fu un altro cambio di camera, Eve stava percorrendo un corridoio, dopo qualche altro cambio di camera fu inquadrata una grossa porta, si trovava alla fine del corridoio ed era simile a quella che avevo visto quando mi ero svegliato. Eve si era fermata a contemplare la porta, poi si avvicinò a un terminale ed estrasse dalla tasca quello che sembrava un palmare.
«Non è possibile!»
Esclamò James, aveva il volto leggermente livido, si vedeva che si stava alterando, intanto Eve, stava armeggiando con il dispositivo, infine si concentrò sul pannello e incominciò a digitare qualcosa sulla testiera. Quando fini di digitare sulla testiera si allontanò dal terminale, dopo qualche istante la porta cominciò ad aprirsi. Quando la porta si aprì completamente, Eve vi entrò, sparendo dall’inquadratura e subito dopo la porta si chiuse.
«Dobbiamo seguirla.»
Disse James. Mi girai per guardarlo in volto, l’accenno di rabbia che avevo notato nel suo volto era sparito.
«Che hai detto?»
James mi guardò negli occhi, il suo viso era calmo, ma gli occhi trasmettevano la sua determinazione.
«Dobbiamo assolutamente trovare quella donna.»

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Capitolo 8
*** 8 ***


Dopo una lunga pausa, ecco l'ottavo capitolo di Project Gemini!
Come sempre, ho caricato il capitolo anche sul mio blog.
Buona lettura!


«Dobbiamo assolutamente trovare quella donna.»
Disse James, mentre mi guardava. C’erto che dovevamo trovarla, ma non capivo perché lui la volesse trovare.
«Certo. Ma perché la vuoi trovare?»
«Ora non ti posso spiegare. Ma quella donna è pericolosa, non so quale sia il suo obbiettivo, ma va fermata. Nel posto in cui è entrata, sono tenute cose molto pericolose. Dobbiamo andare. Subito!»
«Allora andiamo.»
James si alzò dalla sedia e scattò verso l’uscita, io lo seguii a ruota e ce ne andammo dalla sala conferenze.
 
«Allora non ti ha voluto dire niente?»
Disse il dottor Marcus, mi trovavo nel suo ufficio ed ero seduto su una sedia. James era seduto su una poltrona dall’altra parte della scrivania.
«Non mi ha voluto dire il motivo per cui l’ha fatto. Ma se vuole posso riprovare.»
James mi fissò per qualche istante, poi disse:
«Quella donna mi preoccupa. Pensavo che fossero stati fatti dei controlli accurati sui partecipanti. Ma ha quanto pare mi sbagliavo…»
Il dottore rimase qualche secondo in silenzio, sembrava pensare a qualcosa e poi riprese;
«Non possiamo permettere che il programma fallisca. La posta in gioco è troppo alta. Hai il permesso di fargli visita quando puoi, devi scoprire tutto quello che sa.»
«Ho capito.»
«Devi fargli capire che sei dalla sua parte. Forse alla fine si fiderà di te. Ora lasciami solo, mi devo occupare di altre cose.»
Mi alzai dalla sedia e andai verso la porta. Prima di uscire però chiesi una cosa al dottor Marcus;
«Scusi. Ma lei sa quale sia la situazione all’esterno?»
James mi guardò un attimo e rispose;
«La situazione sta precipitando. Andrà sempre peggio. Ma non è niente che non fosse già stato preventivato. Ora se non ti dispiace, puoi andare?»
«Certo…»
Uscii dall’ufficio. Mentre stavo percorrendo il corridoio, ripensai al discorso avuto con Marcus, non sopportavo quell’uomo, era sempre pieno di se e sembrava che niente lo potesse toccare. Ma ero costretto a lavorarci e lo dovevo sopportare fino alla fine del progetto. Poi molto probabilmente non l’avrei più rivisto. Guardai l’orologio e mi resi conto che ero in ritardo. Dovevo andare subito in laboratorio, sicuramente Luis mi stava aspettando e al mio arrivo mi avrebbe fatto una bella ramanzina. Feci subito uno scatto e mi diressi verso il laboratorio.
 
Marcus stava inserendo il codice di apertura della porta. Fortunatamente se l’era ricordato. Stavo attendendo che la porta si aprisse. La porta era in pratica identica a quella che avevo visto, appena mi ero svegliato. Finalmente James si staccò dal terminale e si mise accanto a me in attesa. Iniziai ha sentire dei rumori, che provenivano dalla porta, durò qualche istante e subito dopo la porta cominciò ad aprirsi. Al di la della porta continuava un corridoio, che dopo qualche metro s’intersecava con un altro.
«Penso che dovresti andare prima te. Io aspetto qualche minuto e poi ti raggiungo.»
Disse James. Fui sorpreso dalla proposta che aveva fatto e dissi;  
«Per quale motivo vuoi fare così?»
«Te e la dottoressa Walls vi conoscete. Quindi è meglio che prima veda una faccia familiare. Così penso di poterla prenderla di sorpresa, mentre te la distrai.»
Infilò la mano in tasca e impugnò la pistola.
«La sai usare?»
Dissi con aria perplessa.
«Certo. Ma spero di non doverla usare.»
«Allora io vado»
Attraversai l’entrata. Dopo qualche passo mi girai verso James. Lui fece un cenno di assenso e disse;
 «Non ti preoccupare. Non ti perderò.»
Tornai a guardare davanti a me e accelerai il passo. Dovevo cogliere quell’occasione per distanziarmi il più possibile da James. In modo tale, da poter aver più tempo, per scoprire il più possibile da Eve.
 
Entrai in laboratorio, aspettandomi di sentire Luis, iniziare a farmi una bella ramanzina. Ma non sentii niente del genere. Feci scorrere lo sguardo in tutto il laboratorio e alla fine vidi Luis chino su un’apparecchiatura.
«Sono arrivato. Scusami per il ritardo.»
«Non fa niente. Ti dovevi occupare di cose importanti. Com’è andata con Eve? Ti ha detto qualcosa?»
«Non ha detto niente. Ma almeno non sono andato lì per niente.»
Vidi lo sguardo di Luis, si capiva che era preoccupato per qualcosa.
«C’è qualcosa che non va?»
«No…niente…è solo, che girano delle strane voci.»
«Su cosa?»
«Secondo queste voci, sembra che ultimamente, non si stiano ricevendo comunicazioni da alcune delle altre strutture di ricerca. E poi Eve viene arrestata…»
«Cosa vuoi dire? Che Eve è coinvolta in tutto questo?»
«No… Stavo solo dicendo che le cose vanno sempre peggio. Non so se faremo in tempo, ha trovare una cura efficace…»
«Ma certo che ce la faremo, e poi l’umanità è sempre riuscita a sopravvivere alle varie pandemie.»
«Ma non hai ancora capito che questa è diversa dalle altre!? Non è mai successo che un virus così contagioso, con un così alto tasso di mortalità, si potesse diffondere così tanto. Sembra quasi che sia stato aiutato da qualcuno…»
«Ora basta Luis. Stai diventando paranoico…»
«Ma non lo vedi!? Sembra un virus progettato per uccidere il più alto numero di persone possibili! Poi se aggiungi la velocità con cui si è diffuso! È apparso da un giorno all’altro!»
Mi girai un attimo verso la porta. E solo allora vidi, che le urla di Luis avevano richiamato l’attenzione degli altri scienziati, che si erano avvicinati all’entrata per vedere cosa succedeva. Luis stava continuando a sbraitare, anche se non ascoltavo quello che diceva. Andai verso la porta e la chiusi con forza.
 «Ma stai ascoltando quello che sto dicendo!»
«Devi smetterla Luis! Devi riprendere il controllo!»
«Ma io ho il controllo assoluto! È soltanto che non mi vuoi ascoltare! Come sempre!»
«Ma non è vero! Sono solo le tue teorie cospirative a essere assurde!»
Luis si calmò di colpo;
«Allora è così?»
Prima che avessi il tempo di rispondere, Luis si diresse verso la porta e l’aprì.
«Non avete nient’altro da fare voi!?»
Urlò al gruppetto di persone che si era formato fuori dal laboratorio e se ne andò.
 
Stavo perlustrando il livello da ormai qualche minuto. Quel posto era pieno di avvertimenti, su ogni porta che avevo visto, era attaccato un cartello che segnalava il pericolo biologico. Da quanto era grande quel posto, ci dovevano tenere anche altre cose, oltre al virus cui stavamo cercando la cura. Tutte le stanze che avevo perlustrato fino a quel momento, si erano rivelate deserte. Entra in un'altra stanza, era di piccole dimensioni. Dalla parte opposta all’entrata, c’era una porta pressurizzata. Allora notai, che nelle pareti della stanza erano stati ricavati degli incavi, due per lato. Dentro gli incavi c’erano appese delle tute. Erano chiaramente delle tute di contenimento. A un certo punto, mi accorsi che una cavità era vuota. E fu allora che la porta pressurizzata si apri di colpo. Non mi feci neanche in tempo a rendermi conto cosa stesse succedendo, che vidi una figura fiondarsi verso di me. Fui stretto in un forte abbraccio e allora sentii una voce distorta da un altoparlante.
«Adam…»
Respinsi indietro la figura, naturalmente si trattava di Eve. Stava indossando la tuta mancante, nella mano destra, teneva, quella che sembrava una robusta valigetta metallica.
«Non sapevo cosa fare Adam… Mi dispiace…»
«Non c’è tempo! Senti… Non mi ricordo quasi niente… Ho avuto un’amnesia. Prima ho trovato James Marcus, lui vuole catturarti, mi devi spiegare cosa sta succedendo…»
«Cosa!? Hai incontrato Marcus?! E adesso dove si trova?!»
«Sta arrivando, ha mandato me in avansc…»
«Cazzo! Tieni un attimo questa.»
Eve mi porse la valigetta e la presi. Subito dopo cominciò a sfilarsi la tuta di contenimento, l’operazione fu abbastanza complessa e richiese circa un minuto. Una volta finito Eve mi riprese la valigetta dicendo;
«Dobbiamo assolutamente andarcene di qui. Andiamo.»
Eve mi afferrò per la mano e mi trascinò via con lei.
Non era proprio come l’avevo vista nei miei ricordi, aveva il volto molto pallido, i lunghi capelli biondi erano disordinati e i suoi occhi verde smeraldo mostravano la sua stanchezza.
«Mi vuoi dire cosa sta succedendo? Eve?»
«Non c’è tempo, dobbiamo trovare un modo per seminare Marcus…»
Eve, interruppe il discorso e mi resi subito cono del motivo. Marcus si era parato davanti a noi e disse;
«Questo credo sia impossibile.»
Ci stava puntando la pisola addosso.
«Dottoressa Walls, lasci andare il mio amico. Per piacere.»
«Mai!»
Eve si parò davanti a me, aprì la valigetta e la rivolse verso James.
«Dove spera di andare dottoressa?»
«Voglio uscire da questo posto e porterò Adam con me!»
«Purtroppo è impossibile uscire da qui. Anche Adam lo sa.»
«Marcus, Sei solo un lurido bugiardo.»
«Non m’importa cosa pensa di me. Ora mi passi la valigetta e lasci andare il dottor Forgét.»
James era determinato, glielo si leggeva negli occhi, dopo qualche secondo di stallo, aggiunse;
 «Se non fa come dico, sarò costretto a spararle.»

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Capitolo 9
*** 9 ***


Ecco il nono capitolo di Project Gemini.
Questa settimana, ho riguardato un paio di vecchi capitoli. In seguito ad un consiglio, ho iniziato a scrivere i dialoghi in maniera differente e questa settimana ho rivisto i capitoli 3 e 4, per adattarli a quelli più recenti.
Ricordo che potete leggere il racconto anche sul mio blog.
Per questa settimana è tutto. Buona lettura!


«Se non fa come dico, sarò costretto a spararle.»
Disse James.
«Se mi spari il contenuto della valigetta, cascherà in terra.»
Rispose Eve. La situazione era tesa, dovevo fare qualcosa;
«Dai James… Non c’è bisogno di essere così drastici…»
«Stai zitto Adam, se ti ricordassi come stanno veramente le cose. Saresti dalla mia parte.»
«Non ascoltarlo. Cerca solo di confonderti.»
Disse Eve, rivolgendosi verso di me, poi aggiunse;
«Lasciaci andare Marcus, o giuro che distruggo il contenuto della valigetta»
«Interessante, a quanto pare siamo arrivati a una situazione di stallo.»
Non sapevo di chi fidarmi. Perché James era tanto interessato al contenuto della valigetta? Che cosa conteneva? Cercai di osservarla meglio, dalla mia posizione non si vedeva il contenuto. Mentre stavo osservando0 la valigetta, sentii tossire qualcuno. Neanche il tempo di accorgermi che si trattava di James, che mi sentii strattonare da Eve e mi urlò;
«Corri!»
Fu una questione di un attimo, iniziammo a correre a più non posso. Dopo un paio di secondi, sentii degli spari. Ma dopo che svoltammo il corridoio, non sentii più niente. Continuammo a correre, senza girarci indietro.
 
Non ce la facevo più. I miei muscoli erano straziati dal dolore. Aravamo quasi arrivati all’uscita del livello.
«Eve… non ce la faccio più…»
«Dai Adam… Non fare l’uomo… siamo quasi arrivati all’ascensore.»
Anche Eve non sembrava stare molto bene, ma riusciva a resistere. Arrivammo all’ascensore in poco tempo. E quando finalmente entrammo , potei riprendermi un po’. Eve attivò subito l’ascensore, che cominciammo a salire. Dopo essermi ripreso un po’, chiesi a Eve;
 «Cosa diavolo contiene quella valigetta?»
«Contiene… delle prove.»
«Prove? Prove di cosa?»
 «Questa valigetta, contiene le prove che dimostrano il fatto che il virus che sta uccidendo tante persone nel mondo, è stato creato artificialmente. Ci sono tutte le varie versioni del virus, da quelle meno efficaci, fino a quella che conosciamo tutti.»
 «Cosa?»
«Ma perché sei sorpreso? Sei stato te a dirmi queste cose. C’è il dottor Marcus, dietro a tutto questo.»
«Non ti ricordi? Ti ho detto che ho un’amnesia.»
«Come?!»
 «Non te lo ricordi? Te l’avevo detto prima, quando ci siamo incontrati?»
«Scusa, non me lo ricordavo. Sai, siamo appena sfuggiti da Marcus…»
«Prima dobbiamo nasconderci da James. Lui ci può trovare tramite il sistema di videosorveglianza.»
«Ecco come mi avete trovato. Ma non ci nasconderemo, prima ho trovato una cosa interessante. Nella stanza di Marcus ho trovato questo.»
Eve estrasse dalla tasca del camice un palmare.
«E a cosa ci serve?»
«Ci serve per uscire da qui. Anche te sapevi la password, ma anche se non te la ricordi, non serve, è scritta qua dentro. A quanto pare Marcus aveva paura di scordare vari codici, quindi se li è appuntati qua dentro.»
«Allora possiamo uscire da qui?»
«Certamente. E il dottor Marcus non ci potrà fermare.»
 
«Te lo portano da mangiare?»
Chiesi a Eve, che rimase in silenzio. Ero tornato nella sua stanza, per vedere se riuscivo a farla parlare.
«Scena muta anche oggi?»
«…»
«Va bene… Sai, ieri, dopo che sono andato via, ho avuto in piccolo battibecco con Luis, lui si era fatto prendere dalle sue solite ipotesi complottistiche e alla fine se la presa con me.»
«Sicuramente se la è presa, perché non lo ascolti mai e lo prendi sempre in giro…»
«Prego?»
Eve mi guardò con aria di sfida.
«Pensi di aver sempre ragione. Non ascolti mai le opinioni degli altri.»
«Allora sei in grado di parlare. Allora mi vorresti dire, perché diavolo sei entrata in una zona vietata?»
«…»
A quanto pare non voleva dirmi niente a riguardo.
«Eve… ti puoi fidare di me… Voglio solo aiutarti. Perché l’hai fatto?»
Eve rimase in silenzio.
«Ho capito… Ho finito anche per oggi.»
Presi la mia roba e mi alzai. Bussai alla porta e attesi che la guardia me l’aprisse dall’esterno.
«Non ti fidare di nessuno.»
«Che cosa hai detto?»
La guardia aprì la porta. Non ricevendo riposta da Eve, me ne andai.
 
Eravamo arrivati all’entrata del complesso. Eve camminava davanti a me con andatura decisa. Poi mi venne in mente di Luis.
«Eve, ma te sai che fine ha fatto Luis? È ancora vivo?»
«Non lo so. Sono sempre stata rinchiusa prima del rilascio del virus. Te non hai voluto dire che fine avesse fatto.»
«…»
«Manca poco. Finalmente potremo uscire da questo inferno.»
Girammo l’angolo e ci trovammo davanti all’uscita, naturalmente era chiusa. Eve si avvicinò al terminale e tirò fuori dalla tasca il palmare. Armeggiò qualche istante con il palmare e poi cominciò a inserire il codice sul terminale. Una volta inserito il codice, pigiò il pulsante di conferma e attese. La risposta non si fece attendere e fu negativa. Il terminale emise un suono e sullo schermo apparve la scritta:
 
Accesso negato
 
«Non è possibile!»
Esclamò Eve. Si mise a digitare nuovamente il codice. Ma la riposta fu sempre la stessa.
«Ma come è possibile. Sono sicura che questa sia il codice giusto.»
Eve aveva un’espressione spaesata, mentre controllava lo schermo del palmare. Poi si rivolse a me.
«Dobbiamo farti tornare la memoria.»
«Ma come? Hai qualche…»
Fui interrotto da uno sfruscio, che non capivo da dove provenisse.
«Mi dispiace per voi. Ma il codice che conosceva Adam, era lo stesso segnato sul palmare.»
Era James.
«Non potete uscire da qui. Ho cambiato il codice. Se mi riporterete la valigetta con i campioni del virus, potrei decidere di lasciarvi andare.»
«Che tu sia maledetto Marcus!»
inveì Eve.
«Si deve dare una calmata, dottoressa Walls. Non le fa bene, essere sempre così tesa.»
«Quali garanzie abbiamo, che una volta consegnata la valigetta, ci lascerai andare?»
«Naturalmente nessuna. Vi dovrete fidare della mia parola.»
«Non mi fiderò mai di te!»
«Così mi offende, dottoressa. Ma non capisco, come mai si fidi tanto del dottor Forgét. È forse perché, le ha salvato la vita? Com’è riuscita a salvarla? Questo mi domando. »
Ma di che diavolo stava parlando? Così mi rivolsi a Eve.
«Di che sta parlando?»
«Lascialo perdere, sta cercando di metterci contro. Ora andiamocene da qui.»
Eve rimise il palmare in tasca e si avviò verso l’ascensore. Io la seguii a ruota.
«Dove pensate di andare? Non potete nascondermi alla mia vista. Vi troverò ovunque andrete!»
 
Eravamo sull’ascensore, Eve non aveva aperto bocca da quando eravamo andati via dall’entrata, aveva un’espressione pensierosa. James non si era fatto più sentire. Il discorso che aveva fatto James non mi tornava molto. Ma Eve aveva detto che non lo dovevo ascoltare, l’unica cosa che mi ricordavo, era che aveva dato a Eve un sorta di cura sperimentale per il virus. Si era salvata grazie ad essa?
«Eve. Mi puoi dire cosa è successo in questo posto?»
«Non lo sodi preciso cosa sia successo. Prima del propagarsi dell’infezione ero stata confinata nel mio alloggio. Poi sei arrivato te e mi hai detto di usare la cura che mi avevi dato. Infine abbiamo cercato di scappare e mi avevi detto che sapevi il codice per uscire. Però, prima di arrivare all’uscita, sei collassato a terra. Io non sapevo cosa fare, il codice lo conoscevi solo te. E non c’era modo per farti rinvenire… Non avevo la minima possibilità di spostarti da lì… Così ti ho lasciato lì e ho girovagato nel complesso, fino a quando mi hai trovato…»
«capisco... E come hai trovato il palmare di James?»
«L'ho preso nella sua stanza. Sapevo che dietro a tutto questo casino c'era lui.»
«Ecco cosa stava cercando con tanta foga... Ma ora ė inutile averlo. Marcus ha cambiato la password. Che cosa proponi di fare?»
« Prima di tutto dobbiamo trovare un luogo tranquillo e poi ne parleremo. Tanto non credo che ci verrà a cercare.»
L'ascensore si fermò e uscimmo.
 
Ero nuovamente nell'ufficio di Marcus per fare rapporto. James stava analizzando dei dati.
«Anche oggi, non ho ottenuto risultati.»
«Adam, mi stai deludendo... Dobbiamo assolutamente scoprire per chi lavora! Dobbiamo scoprire cosa sa! Pensavo di potermi fidare di te.»
«Mi ci vuole un altro po' di tempo. Sono sicuro che presto si aprirà con me.»
«Non abbiamo più molto tempo. Sto guardando dei risultati del gruppo cinque... si stanno avvicinando alla risoluzione dell'enigma. Credo che presto dovremo procedere con il piano.»
«Ne è sicuro? Così presto?»
« Ne sono sicuro! Presto dovremo fare piazza pulita. Come ti ho già detto. Molte persone contano sul successo di questo progetto.»

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Capitolo 10
*** 10 ***


Ecco il decimo capitolo di Project Gemini.
Potete trovare Project Gemini anche sul mio blog.
Buona lettura!


«Non penso sia…»
«Stai mettendo in dubbio le mie capacità Adam?»
Fui interrotto da James
«No, stavo solo dicendo, che dovremo essere sicuri, prima di procedere.»
«Sono sicuro. Si stanno avvicinando alla cura per il virus. Quindi dobbiamo passare alla fase successiva del piano. Altre strutture sono state ripulite. Al momento poche sono operative. Forse, siamo addirittura gli ultimi. Mi hanno deluso. Questi cosiddetti luminari. Ma lasciamo perdere. Ti ricordi come va somministrata la cura? Vero?»
«Certo, va inoculata, solo dopo essere stati contagiati.»
«Ottimo. Fino a quando non inizieremo le pulizie, puoi continuare a giocare con la dottoressa Walls. Ormai, non credo sia più necessario sapere cosa sa. Il mondo sta andando a scatafascio, abbiamo vinto.»
Il volto del dottor Marcus s’illuminò. Anche se durò solo qualche istante, poi ritorno al suo solito sguardo freddo.
«Ora puoi andare. Ti richiamerò per informarti sui dettagli.»
«Va bene.»
Feci un cenno di assenso verso James e lasciai l’ufficio.
 
Marcus aveva ragione. Eve non si doveva fidare di me. Stavamo percorrendo un corridoio, al primo livello interrato. Eve era davanti a me. Perché l’avevo fatto? Non riuscivo a ricordarmelo. Ma ormai, era chiaro, che fossi a conoscenza, di quello che stava per succedere in quel posto. Tutte quelle persone morte. Le avevo uccise io? Non credevo che fossi capace di fare cose simili.
Eve si fermò davanti ad una porta, rivolse un attimo lo sguardo nella mia direzione e poi aprì la porta.
«Dove stai andando?»
Non mi rispose ed entrò nella stanza. Io la seguii subito. Appena entrai, vidi che ci trovavamo in una delle tante stanze da letto.
«Perché siamo entrati qui?»
«Puoi chiudere la porta? Per favore?»
Chiusi la porta e tornai a osservare la stanza. Guardandola meglio, mi resi conto che quella era la stanza di Eve, mentre stavo pensando, non mi ero reso conto, dove mi avesse condotto. Eve mi stava osservando, o meglio, sembrava che mi stesse analizzando con lo sguardo. Poi disse:
«C’è qualcosa che non va? Mi sembri sconvolto.»
«No! Va tutto bene.»
Risposi fulmineo. La risposta non sembrava averla convinta.
«Adam. Ti conosco abbastanza bene. So quando cerchi di mentirmi.»
L’aveva capito. Dovevo sviarla. Non potevo dichiarargli la verità. Almeno, non in quel momento.
«Hai ragione… Il fatto è che niente va bene… Non mi ricordo niente. Siamo intrappolati in questo posto… Come posso stare bene?»
Cercai d’essere il più melodrammatico possibile. Eve mi osservò qualche istante. Avevo esagerato? Poi aggiunse.
«Hai ragione… Sono stata stupida a chiedertelo. Ma penso, che presto risolleverò il tuo morale.»
«In che modo lo vorresti fare?»
Eve fece un sorriso e cominciò ad avvicinarsi a me. Si faceva sempre più vicina. Una volta arrivatami di fronte, mi avvinghiò per i fianchi, portò la sua bocca vicina al mio orecchio e disse:
«Possiamo ancora uscire da qui.»
«Cos…»
Eve mi spinse via e cominciò a tossire. Cercai di avvicinarmi, ma lei si allontanò.
«Stai bene?»
Una volta finito di tossire, Eve si rivolse verso di me.
«Certo… Almeno sono ancora viva… E tutto questo, grazie a te. Se non mi avessi portato la cura, a quest’ora sarei morta. Grazie.»
«Non c’è di che…»
Rimanemmo per qualche secondo in silenzio. Dall’espressione di Eve, vedevo, che mi era veramente grata, per quello che avevo fatto. Poi Eve riprese.
«Come ti ho detto, possiamo ancora uscire da questo posto. C’è un'altra via per uscire dal complesso. E sono sicuro, che Marcus, non abbia fatto ancora in tempo a cambiare il codice. Perché, come la porta all’entrata, è impossibile, modificare la password da remoto.»
«Ma come sai tutte queste cose?»
«Anch’io ho i miei segreti.»
Disse Eve con un’aria maliziosa.
«Tornando a noi. Si da il caso, che sul palmare, sia segnata la password per quell’uscita. Non credo, che Marcus pensi, che potremo conoscere l’esistenza di tale uscita. Quindi non si sarà preso la briga di andare a cambiare il codice.»
«Allora cosa aspettiamo? Dobbiamo muoverci!»
«Hai ragione. Ma c’è un problema. Non sappiamo, dove si trovi ora Marcus. Potrebbe essere ovunque. Quindi, se ci avviamo verso l’uscita secondaria, non penso che gli ci vorrà molto tempo, per capire le nostre intenzioni. Dovremo essere veloci. Hai capito?»
«Certo.»
«Fortunatamente, nelle stanze del dormitorio, non sono presenti sistemi di sorveglianza. Ma una volta usciti da quella porta, Marcus ci potrà vedere. Se siamo fortunati, capirà troppo tardi le nostre intenzioni, altrimenti… Non penso che riusciremo a uscire. Ma dobbiamo provarci ugualmente! Sei con me?»
«Certo!»
«Ottimo! Allora andiamo!»
Allora, ci dirigemmo verso la porta e uscimmo.
 
Dormivo. A un tratto, sentii il suono di una sirena. Mi svegliai di soprassalto. Il rumore rimbombava in tutta la stanza. Cercai di capire cosa stava succedendo. Poi mi rivenne in mente il discorso che aveva fatto il dottor Marcus, il giorno prima.
«Brutto figlio di puttana.»
Non avrà già rilasciato il virus nel complesso? Saltai giù dal letto e m’infilai i primi vestiti che trovai, un paio di jeans blu e una maglietta bianca a maniche lunghe. Una volta vestito, andai verso la porta per aprirla. Una volta spalancata la porta, mi trovai davanti Luis.
«Adam… è terribile!»
Aveva la faccia sconvolta, stava ansimando, forse aveva corso molto e non era una persona molto atletica. Cercai di calmarlo.
«Luis, riprendi il fiato! Poi dimmi cosa sta succedendo!»
Cercavo di urlare, in modo da sovrastare il rumore della sirena, che nel corridoio era molto più forte. Luis, si fermò un attimo, per riprendere fiato, poi continuò:
«Si è attivato l’allarme della fuoriuscita di materiale biologico!»
Maledetto Marcus! Non mi aveva neanche avvisato! Mi dovevo sbarazzare di Luis e trovare James.
«Ho capito! Cercherò di capire cosa è successo di preciso! Torna nella tua stanza, ti raggiungerò quando mi sarò informato!»
«Certo… Ma…»
«Ascoltami Luis… Devo capire cosa sta succedendo, sicuramente lo capirò prima se mi muovo da solo. Hai capito?!»
Luis era perplesso, poi aggiunse.
«Hai ragione! Ti aspetterò nella mia stanza! Ma sbrigati!»
Se ne andò e si diresse verso la sua stanza. Io invece, mi diressi verso l’ufficio di Marcus.
 
Stavamo camminando da diverso tempo. Eve faceva strada, mentre io la seguivo. Non sapevo come facesse a orientarsi in quel posto, i corridoi mi sembravano tutti uguali. Invece lei sembrava muoversi con molta disinvoltura in quei corridoi. Fino a quel punto, non avevamo sentito la voce di Marcus. Magari ci stava osservando dal sistema di videosorveglianza, ma non ne potevamo essere sicuri. A un certo punto, Eve si fermò davanti ad una porta chiusa elettronicamente e disse:
«Ed eccoci alla prima prova…»
Prese il palmare rubato a James, guardò un attimo il display e digitò un codice sul tastierino numerico vicino alla porta. Una volta finito di digitare il codice, la porta si aprì automaticamente.
«Questa è fatta. Penso che ora, Marcus abbia capito le nostre intenzioni.»
Disse Eve, poi entrò e io la seguii.
«Siamo già arrivati all’uscita?»
«No. Siamo solo entrati nella parte del complesso in disuso. Il personale del progetto non era autorizzato a entrarvi. Il codice lo sapeva solo Marcus. Avanti, muoviamoci in fretta, non è ancora finita.»
Eve accelerò il passo. Quella parte del complesso, non era molto dissimile da quella in cui eravamo prima, si distingueva solo per il fatto di essere più trasandata. Mentre stavo osservando il nuovo ambiente, fui richiamato da Eve:
«Adam! Non rimanere indietro!»
Infatti, si era molto distanziata da me. Feci una piccola corsa per raggiungerla e continuammo il nostro cammino.
 
Spalancai la porta e mi fiondai dentro la stanza. Marcus stava tranquillamente seduto sulla sua poltrona. Era intento a lavorare al computer e sembrava che il suono della sirena gli desse fastidio.
«Accomodati pure…»
Disse, senza degnarmi di uno sguardo. Allora, preso dalla furia, sbattei la porta e gli urlai contro:
«Ma cosa hai fatto!?»
«Ho fatto quello che dovevamo.»
«Ma non avevi detto, che mi avresti avvertito, prima di procedere con il piano!?»
«Non c’era tempo. Dovevo agire il prima possibile. Tanto finché non sei infetto, non hai bisogno di usare la cura.»
«Ma… Mi dovevi avvertire ugualmente!»
Finalmente, Marcus distolse il volto dallo schermo e mi guardò negli occhi, almeno credevo, visto che portava, i suoi soliti occhiali da sole.
«Ti devo ricordare chi comanda qui? Ho deciso di anticipare i tempi. Non volevo, che fosse scoperta la cura. Quindi ho deciso di rilasciare in anticipo il virus. Ora sono sicuro, che non troveranno la cura. Hai capito?»
«Ho capito…»
«Bene. Ho già modificato il codice dell’uscita. Così, nessuno sarà in grado di uscire. Ecco…»
Marcus, prese un foglio e me lo porse. Lo presi e lo guardai. C’era scritta la nuova password:
 
xFXF=fN7UEceA7LX
 
«Una volta che l’hai memorizzata, dammela.»
Rilessi un'altra volta la password, per essere sicuro di ricordarmela. Poi ridiedi il foglio a James, che lo distrusse. Poi si rivolse nuovamente verso di me.
«Come ben sai, la cura, potrebbe avere degli effetti collaterali… Come una temporanea perdita della memoria. C’è da dire, che la percentuale è molto bassa, ma può capitare. Quindi ho deciso di memorizzare diverse password su un dispositivo, nel caso perdessi la memoria.»
«Bene. Ma dopo che saranno tutti morti, cosa dovremo fare?»
«Stai calmo. Saprai tutto a tempo debito. Tanto ci vorrà del tempo, prima che la gente inizi a morire. Intanto, dovrò cercare di mantenere la calma. Te invece, guarda di far parlare la dottoressa Walls, gli altri sono molto preoccupati riguardo a quella donna. Sa muoversi troppo bene nel complesso.»
«E una volta scoperto cosa sa. Come mi devo comportare?»
«Lasciala dove sta. Tanto sarà uccisa dal virus. Penso che tra poco, farò riunire tutti nella sala conferenze, per vedere se riesco un po’ a calmarli. Adesso puoi andare.»
«Allora ci vediamo dopo.»
Marcus, tornò a osservare il monitor del computer ed io andai verso la porta. Una volta uscito, tornai verso il dormitorio, dove Luis mi aspettava nella sua camera. Durante il tragitto, ripetei più volte il nuovo codice, per aprire l’uscita del complesso.

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