Me. Storia di un ragazzo normale.

di GlassOnion
(/viewuser.php?uid=135336)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una macchina da scrivere ***
Capitolo 2: *** La più bella di tutte ***
Capitolo 3: *** Condannare la ragione ***
Capitolo 4: *** Sangue, lacrime e risate. ***
Capitolo 5: *** Solitudine e confusione ***



Capitolo 1
*** Una macchina da scrivere ***


NdA#
Questa storia è un po' diversa dalle precedenti. Innanzitutto è sul mio personaggio preferito di Criminal Minds, Spencer Reid.
La storia sarebbe la seconda di una raccolta di song - fic tra il personaggio di Reid e le canzoni di Morgan (la prima purtroppo ce l'ha il mio professore di italiano e non la riavrò).
Sarà una storia a capitoli, molto brevi, a causa dei vari cambiamenti di PoV. Sarà anche un po' cruda, spero non siate impressionabili.
Infine, vi faccio un appello. Molti leggono le storie ma non recensiscono.
Fatelo vi prego, se leggete, fatemi sapere il vostro parere. Non fate che sempre le solite persone recensiscono, fatemi sentire anche la vostra!
(Non commenti neutri grazie, penso siate abbastanza evoluti per esprimere un semplice parere!)
BUONA LETTURA!


Una macchina da scrivere.
Un foglio.
Un titolo solo: Storia di un bambino troppo normale.
A capo.
Dita veloci premono sui tasti.
Gli occhi, attenti, scorrono, nascosti da pesanti occhiali.

 
«Un cortile. Una scuola.
Ragazzi che corrono liberi, gustando i pochi attimi prima della fine della ricreazione.
Ragazzi che si nascondono, ragazzi che invece si mettono in mostra per farsi vedere da tutti, ragazzi che non pensano a nulla, ragazzi intenti a baciare la propria fidanzatina.
Ragazzi che invece, preferiscono studiare, ripassando la materia dell’ora successiva, intimoriti al pensiero di un’interrogazione.
Ragazzi che studiano, ma sanno già di sapere alla perfezione la lezione senza neanche averla mai letta.
Ma questo è il caso di un solo individuo in tutta la scuola, Spencer Reid.
Spencer non ha amici. O meglio, non ha amici tra i suoi coetanei. I suoi amici si trovano nelle pagine dei libri che divora giorno dopo giorno.
Spencer ha solo undici anni, ma ne dimostra venti: porta sulle spalle il peso di una madre schizofrenica e di un padre troppo poco premuroso.
Spencer guarda il mondo con gli occhi di un bambino che ha vissuto già troppo. Spencer vorrebbe sentirsi più piccolo di quanto già non è.
Spencer sistema gli occhiali sul naso e torna a leggere la lezione.

“Se voglio che si avveri il sogno che ho fatto da bambino, mi devo stare vicino fin troppo, per imparare le cose non le devo disprezzare, potrei finire male, o troppo normale" recita una scritta sul diario di Spencer. A seguire una foto, con su scritto:
E se cerco di parlarti non ci sei mai. Non so come dirti che vorrei te al mio fianco.”
Spencer distoglie lo sguardo dal libro e guarda la pagina aperta del diario, negli occhi una lieve malinconia.
Papà.»

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La più bella di tutte ***


NdA#
Ok, ecco qua la seconda parte della storia su Spencer Reid. Questa volta il capitolo è più "attivo", finalmente si snodano le vicende della storia.
La storia ha vari PoV, mio malgrado, e per farvi capire la differenza ho cambiato anche font di scrittura.
Spero che la cosa non vi crei troppi problemi. 
Per quanto riguarda la storia, la volta scorsa ho dimenticato di dirvi che questa, essendo nata come SongFic, si basa su una canzone (che vi consiglio caldamente di ascoltare durante la lettura, link:
http://www.youtube.com/watch?v=CKbVFeLw4fA - "Me" - Morgan).
Infine, ringranzio tutti coloro a cui la storia è piaciuta e che hanno recensito. Grazie, grazie, grazie spero che anche questo capitolo vi soddisfi.
Mi raccomando recensite se leggete, mi fa piacere leggere cosa ne pensate.
BUONA LETTURA


“Papà.
Non posso credere che te ne sia andato. Perché mi hai lasciato? Non sono sicuro di essere pronto a cavarmela senza di te.
Mamma sta soffrendo. La sento piangere ogni giorno da quando sei andato via. Ci hai lasciato soli, proprio quando ne avevamo più bisogno.
Non ce la farò ad aiutare la mamma. La sua malattia è incontrollabile, io troppo piccolo.
Mi hai negato l’affetto paterno e mi hai lasciato solo. Ho solo undici anni. Perché?”

 
«Spencer si alza e inizia a incamminarsi verso la biblioteca, senza distogliere lo sguardo da libro.
Qui, una ragazza, vistosamente più grande di Spencer, sorride vedendolo arrivare e, spinta dal suo migliore amico, gli corre incontro.
I capelli, legati in una coda di cavallo, ondeggiano nell’aria, seguendo il ritmo dei passi veloci e affrettati di lei.
È arrivata a pochi passi da Spencer, la ragazza. Spencer non si accorge della sua presenza e fissa imperterrito il libro di fisica, rimuginando ancora sui suoi pensieri.
“Ciao Reid.” sussurra una voce dolce e melodiosa nell’orecchio di Spencer.
Il ragazzo sobbalza, spaventato dalla comparsa improvvisa di quella che per lui era una perfetta sconosciuta.
“Spencer giusto? Credo di non essermi mai presentata ufficialmente: sono Harper Hillman, della quinta H.”
Quel nome non era assolutamente nuovo a Spencer.
Sapeva che era la migliore amica della ragazza più bella della scuola, ma mai aveva osato parlarle.
Quante speranze poteva avere un ragazzo di undici anni, secchione e con gli occhiali con la più bella di tutte?
“Ciao … Harper ehm … piacere.” balbetta Spencer. Era la prima volta che una ragazza si trovava così vicino a lui.

“Papà diceva sempre di essere spigliato con le ragazze. Ho paura di sbagliare” pensa Spencer.
“Ascolto volentieri da chi mi sa spiegare, quello che poi uso per comunicare. Non voglio fare del male … vengo costretto.”»
“Sono qui per conto di Alexa Lisbon, penso tu abbia già sentito il suo nome. È una mia amica sai? Ti ha notato.
Mi ha chiesto di dirti che ti aspetta nel pomeriggio dietro l’impianto sportivo dove si allena la squadra di football della scuola. Allora? Cosa le dico? Si? No?”
Alexa è la ragazza più bella della scuola.

“L’aspetto esteriore, forse, non è tutto” pensa Spencer, “c’è ancora qualche speranza”.
“Puoi dirle che l’aspetto al campo. Ci sarò sicuramente.”
Spencer sorride, c’era gioia sul suo volto, qualcosa iniziava finalmente ad andare per il verso giusto.
“Perfetto, le riferirò il messaggio. Ne sarà felice.”
Harper se ne va, salutando Spencer con la mano, rimasto solo, il libro ancora tra le mani.
Harper si allontana, fino a raggiungere una ragazza alta con i capelli lunghi e rossi.
“Allora Harper? Che ti ha detto?” chiede Alexa.
La ragazza sorride, cinicamente. “Missione compiuta. Ha abboccato”.
Un sorriso malizioso compare sulle labbra di Alexa.
“Bene. Questo pomeriggio sarà molto interessante.”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Condannare la ragione ***


NdA#
Ok, ecco il nuovo capitolo di questa storia che, come vedo, sembra vi sia piaciuta (facendomi molto felice!)
Vi ringrazio veramente di cuore, soprattutto ringrazio Jopadfoot e Lisbeth17 per le recensioni BELLISSIME!
Purtroppo ho spezzato la storia ancora una volta e il momento fondamentale è solo accennato in questo capitolo... Nel prossimo ci sarà!
Detto questo, invito chi vuole a passare nella mia pagina facebook, qui:
 
https://www.facebook.com/pages/This-is-calm-and-its-doctor-Criminal-Minds/168015653308327
Mettete mi piace se volete! E RECENSITE!


«Spencer era incredulo. Non aveva mangiato nulla in tutta la giornata, ma non aveva fame. Quel pomeriggio avrebbe incontrato Alexa Lisbon.

Era martedì. “Il martedì la squadra di football non si allena mai.”
Ciò significa che sarebbero stati loro due, da soli, lontani dagli occhi di tutti, in privato.
Ti può tradire anche l’amico migliore.” ripeteva sempre la madre di Spencer prima che la schizofrenia degenerasse.
“Come fidarsi di una perfetta sconosciuta che non si degna nemmeno di invitarmi di persona?” rifletteva Spencer.
Le parole della madre l’avevano sempre aiutato da piccolo. Sentiva che c’era qualcosa di completamente sbagliato in quell’invito.
“Forse ho fatto male a dirle di sì. Sono stato impulsivo. Mi sono fatto prendere dall’emozione di essere invitato da una ragazza.” continuava a ripetere Spencer.
Quella che all’inizio era gioia e ansia di incontrare Alexa, ora sembrava essere diventata un enorme senso di colpa per essersi fidato dell’istinto e,
per la prima volta in vita sua, per aver agito senza pensare.
Spencer alza la testa e guarda l’ora.
Erano le 15 e 50. Le lezioni sarebbero finite in un quarto d’ora.
Non aveva seguito molto della lezione, ma poco importava, avrebbe studiato nel pomeriggio, per lui era semplice studiare in poco tempo.
Inoltre, avrebbe finalmente saputo cosa vuole Alexa, quindi si sarebbe concentrato molto meglio.
La professoressa di chimica parla, ma Spencer non percepisce alcun suono uscire dalla sua bocca, troppo preso dai suoi pensieri, di gran lunga più importanti di qualsiasi provetta o elemento della tavola periodica.

Non ho amici,” pensa Spencer,“perché, per una volta, devo impedirmi di avere un rapporto umano con una persona, maschio o femmina che sia?”
“Perché dipendo dai consigli di mia madre, non era forse già una paranoica schizofrenica quattro anni fa?
Chi mi dice che abbia sempre ragione lei, quando invece la malattia le altera le percezioni?
Devo vivere la mia vita, d’altronde non si vive bene senza un po’ di rischio.
Andrò da Alexa, quest’incontro potrebbe essere una luce nel buio che attanaglia la mia vita.”

Spencer sente la campanella suonare, indice della fine delle lezioni, fa un respiro profondo e si alza dal posto.
In fretta e furia, mette i libri nello zaino, indirizza un saluto veloce alla professoressa ed esce dall’aula,
dirigendosi nella direzione opposta rispetto ai suoi compagni, verso l’impianto sportivo.
Arrivato al campo, Spencer si guarda intorno cercando Alexa. Ed eccola lì, bellissima, che ricambia il suo sguardo sorridendogli.

“E se voglio condannare la ragione, devo cominciare da me, rivelarmi in questa mia contraddizione, saper scegliere una fine e starla ad aspettare.”
Spencer si avvicina ad Alexa mentre la ragazza fa un cenno a qualcuno.
“Ciao Alexa” inizia Spencer, visibilmente nervoso.
“Ciao Spencer … Reid. Non ti dispiace se ho chiamato due o tre amici, vero?” risponde Alexa, indicando un gruppo di ragazzi in tuta da calcio.
La sua voce è melodiosa, attraente come quella di una sirena.
“Che significa? Chi so … ” esordisce Spencer, ma la sua frase è interrotta da uno dei membri della squadra di football che,
senza preavviso, salta addosso a Spencer, lasciandolo in un solo secondo senza maglietta e senza pantaloni.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sangue, lacrime e risate. ***


NdA#
Ecco finalmente il quarto capitolo! Siamo finalmente arrivati al punto cruciale della storia!
Non avrei mai pensato di scrivere così questo capitolo, visto che la storia era partita come song-fic ma, a quanto pare, sembra essere diventata qualcosa di più (almeno per me!).
Prima di tutto colgo l'occasione per ringraziare ancora tutti quelli che leggono e che recensiscono, grazie!
Poi vorrei chiedervi, in questo capitolo in particolare, di recensire se leggete, è un capitolo importante e vorrei sapere davvero cosa ne pensate.
Mi scuso se sono stata un po' cruda e volgare in alcune parti, spero non siate sensibili!
Ah, e aggiungo che ho inserito in questo capitolo una frase di un'altra canzone di Morgan!

Buona lettura!


«Freddo. L’aria gelida riempiva Las Vegas. Gli ultimi giorni di gennaio erano sempre i più freddi. Spencer l’aveva appena constatato.
In un attimo era diventato consapevole di quanto fosse freddo quel giorno. Nudo, in un campo di calcio, sotto gli occhi di almeno quindici ragazzi ridenti.
Spencer sposta lo sguardo da Alexa Lisbon e vede la sua maglietta, scaraventata lontano dall’energumeno che l’aveva spogliato, troppo distante per raggiungerla senza che fosse fermato.
I pantaloni. Rimasti sulle cosce, gli impedivano di camminare. Spencer li afferra e se li rimette su, cercando un modo per fuggire da lì.
Un secondo dopo i pantaloni ricadono a terra e Spencer viene spinto, giù, sull’erba bagnata e fredda. Un ragazzo torreggia su Spencer.
“Cosa cerchi di fare, sputo? Fuggire?” gli inveisce contro.
E poi un calcio alla gamba, forte. “Non provarci mai più, ti divertirai con noi, adesso.”
Spencer geme, il sangue che esce copioso per il calcio ricevuto.
Il ragazzo viene raggiunto dagli altri compagni di squadra, Alexa in prima fila, come chi non vuole perdere uno spettacolo per nessun motivo.
“Togligli quegli occhiali da sfigato, Alexa. Non vorrai che ci riconosca e vada a spifferare questa storia al preside” dice il capobanda.
“Non credo che avrà voglia di raccontare in giro qualcosa, dopo ciò che gli faremo, almeno” replica Alexa togliendo gli occhiali a Spencer e scaraventandoli lontano, “e sono altrettanto sicura che non vorrà che la gente sappia quanto ce l’ha piccolo, non è vero Reid?”
Spencer non sa cosa replicare. È nudo, sul prato e la sua gamba non vuole saperne di smettere di sanguinare.
Qualcuno cammina sugli occhiali di Spencer, rompendoli.

“Sapevo che non sarei dovuto andare, lo sapevo,” pensa Spencer,“aveva ragione la mamma”.
Ma ormai è troppo tardi. Alexa, aiutata dagli altri ragazzi, solleva il corpicino magro e piccolo di Spencer.
Nessuno dei suoi tentativi di difesa è utile per liberarsi dalla presa dei ragazzi.
Alcuni lo tengono fermo, altri lo cingono con qualcosa che gli stringe il petto.
Poi finalmente lasciano la presa.
Spencer si ritrova in alto, molto di più rispetto ai suoi aguzzini, si guarda intorno e poi capisce.
“Mi hanno legato al palo della porta.”

Un paio di mani grandi e ruvide iniziano a toccare le gambe scalcianti di Spencer, ne risalgono il profilo, ancora bambinesco, poi si fermano, in corrispondenza delle mutande. E poi, con uno strattone, giù, anche le mutande.
Spencer chiude gli occhi, riempitisi di lacrime.
Le risate aumentano. “Accidenti Reid, ce l’hai veramente piccolo!” lo prende in giro Alexa, provocando ulteriori risate.
“Queste le teniamo noi come trofeo, se non ti dispiace” dice un ragazzo.
“No … vi prego, farò tutto quello che volete, vi prego …!” dice Spencer.
Ma niente. Le risate aumentano. Così come le lacrime di Spencer.
“Che c’è genietto? Non c’è la tua mammina a cambiarti il pannolino?”
“Chi cerchi di commuovere?”
Quindici voci si sovrapponevano, in insulti, prese in giro e gesti volgari. “Vi prego, slegatemi, ridatemi i miei vestiti!”
Inutili le preghiere di Spencer, inutile qualsiasi supplica.
Spencer trattiene a stento lacrime e conati di vomito.
Com’è possibile che in dei ragazzi adolescenti possa esserci così tanta cattiveria? Cos’aveva mai fatto loro di male?
La corda che lo legava al palo era stretta, immobile.
Inutile qualsiasi tentativo di slegarsi, era impossibile.
Spencer cercava il nodo che lo legava, provando a scioglierlo con le sue mani ancora da bambino.
Quante probabilità aveva di riuscire a liberarsi? Le statistiche erano assolutamente inutili in momenti del genere.
Cosa se ne faceva della cultura, di un quoziente intellettivo pari a 187, della sua memoria eidetica in momenti del genere? Nulla.
Gli rimanevano solo le lacrime.
“Lasciatemi andare … vi prego …” riprova Spencer.
Il bambino è smarrito, il ragazzo è impreciso, l'uomo è sbagliato.
Lacrime. Risate. Il tramonto.
L’agonia di Spencer sembra non avere mai fine.
La fame di Alexa e dei ragazzi della squadra di football nemmeno.
Spencer cerca ancora di liberarsi, sente le gambe indolenzite, la ferita che brucia ancora, il sangue rappreso e maleodorante.
Poco lontano, gli occhiali, inesorabilmente rotti e irreparabili.
Le ore che passano, scandite dalle suppliche e dalle risate.

“Sarà passata l’ora di cena, la mamma sarà preoccupatissima, non voglio che sappia di questa storia. Non voglio.” pensa Spencer.
Il freddo. I brividi alle gambe e al petto nudi. Il dolore allucinante. Le lacrime. Le suppliche. Le risate.
“Ragazzi, direi che sia ora di tornare a casa, questo sputo ci ha fatto fare una bella risata oggi, ma è piuttosto tardi” dice ad un tratto uno dei ragazzi.
“Accidenti hai ragione, guardate che ora si è fatta!” replica un altro.
“Sì, ma cosa si fa con questo qui?” dice un altro ancora.
“Io direi di lasciarlo qui. Non neghiamo a qualcun'altro il diritto di farsi qualche risata” dice una voce, quasi sicuramente Alexa.
“No … vi prego, lasciatemi andare …” supplica ancora Spencer.
“Zitto, sei veramente noioso, lo sai?” risponde Alexa, “e se non ti è ancora chiaro, non mi piaci e, non mi piacerai mai.”
Detto questo, vanno via.
Spencer è solo, legato al palo, nudo, a contemplare il suo dolore.» 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Solitudine e confusione ***


NdA#
Lo so, sono in tremendo ritardo e chiedo umilmente perdono a tutti. Sono stata occupata tutta la settimana appena passata, causa, ahimé, la scuola. Non è colpa mia, purtroppo, se chiamano sempre me alle interrogazioni, per ulteriori dettagli parlate con la professoressa di filosofia e storia e con quello di italiano e latino. Per non parlare poi del tema, a causa del quale la mia scrittura si è concentrata in altre cose. Però per vostra fortuna eccomi tornata con un nuovo capitolo.
Spero vi piaccia e che possiate comprendere da soli che ci sono tre diverse situazioni in questo capitolo (tre storie nella storia che serviranno per i prossimi capitoli, ovviamente, e che sono tutte legate a Reid). 
La seconda è stata veramente molto difficile da scrivere, in quanto tratta di una situazione a me, per fortuna, sconosciuta. Ho cercato di basarmi sulle mie emozioni e sulla canzone "Confusione" delle Yavanna (sono presenti citazioni della canzone stessa, alcune con un paio di modifiche apportate da me per adattarle meglio alla storia). 
Vi lascio al capitolo e, anche se non avete voglia (vi capisco, ci mancherebbe) RECENSITE!
 


«Solo. Spencer si divincola, cerca di slegare la corda che lo lega al palo, senza successo. È solo.
Ogni volta, sembra essere quella giusta. La corda sembra cedere, o almeno allentarsi.
Spencer cerca di tirare fuori un braccio, lentamente, ma questo non riesce mai a uscire. Poi l’ennesimo colpo di vento, freddo, si posa sul corpicino magro e nudo di Spencer, gelandolo.
In quel momento, la speranza, nata poco prima, diventa nuovamente vana, e a Spencer non rimane altra consolazione che le sue lacrime.
Il suo pianto è interiore, lontano, pieno di vergogna.

“La peggiore umiliazione della mia vita”, la giudica Spencer. Ma Spencer è pur sempre un bambino di dieci anni, e un bambino non è in grado di comprendere una cosa simile, nonostante l’alto quoziente intellettivo.
Spencer si divincola, sempre più furiosamente, usufruendo di tutta la sua forza. La corda si allenta, ma il nodo non si scioglie mai.
Spencer piange, grida, singhiozza più forte che può, ma nulla lo slegherà mai.

“Un aiuto, forse, arriverà. Mamma, perdonami, non avrei voluto.
Spero che tu possa capire e che, un giorno, tu possa dimenticare il dolore che stai vivendo adesso per causa mia.”

 
Confusione. Urla. Tende strappate. Stanze rovesciate da cima a fondo.
Vasi rotti. Pezzi di vetro e acqua sul pavimento. Fiori rossi appassiti tra le gocce d’acqua. La cornice di una foto che ritrae un bambino con gli occhiali ridere, abbracciato dalla madre, rotta, a terra. 
Piedi nudi e due gambe cinte da due braccia.

Una testa bionda, nascosta nelle braccia, lentamente si alza e guarda con gli occhi spalancati la stanza.
La donna è in preda alle convulsioni e si dondola ritmicamente avanti e indietro. Una sottile camicia da notte bagnata la veste e le fa intravedere il seno e la pancia.
Gli orologi sembrano muoversi al contrario, la stanza è piena di voci, ma nessuna parla. Urlano senza urlare.

“Mordo, strappo, ingoio, vomito questa vita. Bevo la mia voragine, il buco è rabbia e tristezza.”
Libri e compiti in classe di chissà quanti anni fa, giacciono bagnati sul pavimento, l’inchiostro sciolto e reso opaco dall’acqua.
Il movimento ritmico della donna, che ora preme la testa contro il muro.
I lividi sulle braccia, i segni dei morsi, le ferite che si era procurata da sola. Il suo dolore.

“Sì, ho sbagliato tutto ora. Non capisco niente, non rimane niente ora. Troppe le opinioni qui, non è vero niente, non rimane niente ora.”
Una voce che urla dal profondo, oppressa dalla moltitudine delle altre, smaniose di parlare, di giudicare, quell’unica incapace di parlare.
“E non so pensare, non ho più il pensiero. Cosa sei? Ma ci sei? Tu.”
La donna cerca la forza di alzarsi, si poggia incerta su quelle due gambe che possiede e cerca di muovere un passo, cadendo di nuovo a terra.
“Cado come uno straccio, mi guardo intorno e, tese verso me, presa tra le fauci di più cani, solo delle mani.”
La donna grida, tra le lacrime, tenendosi la testa in fiamme tra le mani.
“Solo la confusione, aiutami, abbracciami, perdonami.”
Non esisteva altro al di fuori di lei, c’era solo la sua confusione.

Una luce si accende poco lontano.
Una donna anziana, in vestaglia, guarda fuori la finestra, in cerca della persona che l’aveva svegliata dal suo sonno.
La scena fuori dalla finestra le fa sgranare gli occhi. Non c’era bisogno di occhiali per capire una cosa simile.
Senza esitare, cerca una torcia, o qualsiasi altra cosa che le potesse fare luce, e, così com’era vestita, uscì da casa sua.»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=932218