I pilastri della Terra

di vivix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivo a Kingsbridge ***
Capitolo 2: *** In debito ***
Capitolo 3: *** Al lavoro! ***
Capitolo 4: *** Amici? ***
Capitolo 5: *** La verità ***
Capitolo 6: *** Senza lui ***
Capitolo 7: *** Compromesso ***
Capitolo 8: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 9: *** Attacco a sorpresa ***
Capitolo 10: *** Prigioniera ***
Capitolo 11: *** Finalmente, libera ***
Capitolo 12: *** Lo voglio ***
Capitolo 13: *** Vendetta ***



Capitolo 1
*** Arrivo a Kingsbridge ***


Arrivo a Kingsbridge
 

-Al prossimo centro abitato dobbiamo fermarci: abbiamo finito viveri ed acqua.- l’informò Lorenzo.
Beatrice consultò la cartina.  –A sera dovremmo arrivare a Kingsbridge.-
L’altro corrugò la fronte.  –Non ricordo questa città.-
-Infatti non lo è, non ancora almeno. Secondo il cartografo, era un piccolo villaggio ma negli ultimi anni sembra essere rifiorito. Ci potremo fermare lì.-
-Bene. Aumentiamo l’andatura, allora.- e così dicendo spronò il suo cavallo al trotto veloce.
Con un sospiro, Beatrice fece altrettanto: era qualche giorno che viaggiavano ed ormai Lorenzo sentiva la mancanza delle comodità della vita civile, cosa che però non valeva per lei che adorava stare in mazzo alla natura, dove nessuno poteva farla sentire a disagio a causa della sua diversità.
 
Arrivarono in vista di Kingsbridge nel tardo pomeriggio. Il cartografo aveva avuto ragione perchè quello che si parò loro davanti era un villaggio fiorente che si avviava ad essere una piccola cittadina. Sopra i tetti delle casette di legno, svettava imponente una costruzione d’un bianco accecante.
-Che cos’è?- domandò Bea, indicando l’orizzonte.
Lorenzo aguzzò la vista e si alzò sulle staffe. –Non so, non riesco a capire. Sarà il palazzo di qualche nobile, un castello.-
La ragazza alzò un sopracciglio.  –Nobili in un villaggio?E’ impossibile. Dev’essere qualcos’altro.-
Quando furono più vicini capirono che si trattava di una costruzione incompleta.
-Sono sicuro che è un castello. Cos’altro potrebbe essere così grande?- fece il ragazzo.
-Ma sei scemo?T’ho detto che non è possibile!- 
Normalmente una giovane donna non avrebbe potuto parlare così ad un uomo ma loro erano fratelli, anzi di più, erano gemelli e da sempre erano cresciuti senza che ci fossero distanze tra l’uno e l’altra.
-E allora che roba è, sapientona?Sentiamo.- la sfidò.
L’altra assunse un’aria di superiorità.  –C’è un priorato qui. Forse … forse è una cattedrale.-
Lorenzo scoppiò in una sonora risata e Beatrice non ebbe il coraggio di controbattere, si rendeva conto di aver detto un’assurdità: non esistevano chiese così alte!
A sera erano ormai arrivati al villaggio. Vagabondarono un po’ per le stradine, alla ricerca di una locanda.La ragazza si strinse nel mantello e si calò il più possibile il cappuccio sul volto. -Lore non la troveremo mai così. Chiediamo a qualcuno.-
-Anche se dovessimo fare il giro di Kingsbridge, non ci vorrà molto.-
Nell’udire la risposta del fratello, Beatrice alzò gli occhi al cielo. Cocciuto come un mulo, pensò esasperata. Dopo alcuni minuti, arrivarono in prossimità di una costruzione a due piani, un po’ più grande delle altre, dalla quale proveniva un grosso vociare. Lorenzo alzò gli occhi e lesse la scritta sull’insegna malandata appena illuminata dalle torce.
-Il guscio d’oro. Sarà questa.-
Il gemello parlò con l’oste e dopo poco erano già a tavola, con una camera prenotata per due giorni. All’interno, la locanda era affollata e caotica: v’erano molti avventori che giocavano a dadi, altri urlavano e cantavano a squarciagola, probabilmente ubriachi. In tutta la sala aleggiava un odore pungente che mescolava la puzza del fumo con il profumo delle pietanze.
-Guarda che adesso puoi levarlo il mantello.- le fece notare il ragazzo.
Avevano scelto un tavolo appartato, per stare lontano dagli attaccabrighe, ed ora sedevano l’uno di fronte all’altra: il maschio perfettamente rilassato e la femmina rigida come un fuso.
-Preferirei di no.-
-Se resti così, attirerai il doppio dell’attenzione.-
-Non sono dello stesso avviso.-  ribatté.
-Che t’importa di sta’ gente? Tanto tra un paio di giorni ce ne saremo già andati.-
Bea attese qualche altro secondo e fece come le aveva consigliato Lorenzo: lì dentro faceva molto caldo. Ma sì, chi se ne frega
 All’istante, si sentì scoperta, nuda agli sguardi degli avventori che già iniziavano ad appuntarsi su di lei; d’altronde era normale che fossero curiosi: non capitava mica tutti i giorni di vedere una ragazza vestita da uomo!
-Visto?!- sibilò al fratello.
L’altro, per tutta risposta, si limitò a scrollare le spalle. A servirli, fu un ragazzino frettoloso che doveva avere al massimo dieci anni. Mentre le poneva il piatto dinanzi disse:-Ecco a lei, signo…- non completò la parola, mentre con gli occhi andava dalle brache e la spada, fino al seno e ai lunghi capelli scuri. La ragazza si indispettì ancor di più:- Ra. Signora.-
Il bimbo ora la guardava incredulo ed  apparentemente incapace di dire o fare alcunché;  rimase imbambolato a guardarla finchè l’oste lo chiamò. Appena se ne fu andato, Bea esplose:-Somiglio davvero così tanto a un uomo?!-
Il fratello rise. –No ma … con brache, casacca e spada, è lecito avere qualche dubbio.- le rispose e Bea digrignò i denti  suscitando ancor di più l’ilarità del fratello.
Dopo cena decisero di salire al piano di sopra, dov’erano le camere; erano entrambi stanchissimi ed in poco tempo scivolarono nel sonno.
 
Quando il mattino seguente, Bea si svegliò, doveva essere ancora presto perché la luce che filtrava dalla finestra era poca e dalla strada non proveniva alcun rumore. Desiderosa di bearsi ancora della morbidezza del materasso  -dopo giorni passati a dormire a terra-  ispezionò la stanza con lo sguardo: la sera prima era talmente sfinita che non l’aveva fatto. La camera era semplice e disadorna: due letti addossati alle pareti, un basso tavolino ed una bacinella con l’acqua. Voltò il capo verso il fratello, che ancora dormiva come un sasso, e constatò ancora una volta quanto fossero diversi. Lorenzo era alto e massiccio mentre lei era più esile  -anche se, ad un attento esame, si potevano notare le gambe tornite e le braccia forti-  la cosa che più li accomunava era il colore degli occhi, d’un verde brillante come le gemme in primavera. Rimase sdraiata ancora qualche minuto finchè non decise che era ora di alzarsi. Si diresse verso la bacinella con l’acqua e rabbrividì quando se la spruzzò sul volto: era ghiacciata. Stava per uscire quando notò sul tavolino uno specchio: era piccolo e sporco ma sempre meglio di niente. Durante i mesi di viaggio i capelli le si erano allungati ed ora le scendevano in morbide onde lungo la schiena; il volto, più abbronzato rispetto alla carnagione chiara che di solito avevano le ragazze, risentiva ancora un po’ delle fatiche del viaggio. Diede un’ultima occhiata al fratello ed uscì. Mentre si sedeva avanti al bancone ed aspettava che qualcuno la servisse sentì una voce:-Ciao Signora!- la salutò il ragazzino della sera prima.
-Ciao.- rispose, stiracchiando le labbra in un lieve sorriso.  –Porti tu la colazione?-
-Sicuro!Aspetta solo un minuto.- disse allontanandosi.
Dopo poco, era già di ritorno con una tazza di latte e due fette di pane non lievitato. Beatrice ringraziò ed iniziò a mangiare ma il bambino rimase fermo dov’era.
-Si?-
-Posso portarti qualc’altra cosa?Se vuoi, posso darti un po’ di miele..-
-No, va bene così, grazie.-
Ma il ragazzino non sembrava aver intenzione di andarsene così gli fece cenno di sedersi accanto a lei e domandò:-Come ti chiami?-
-James, Signora.-
-James guarda che non mi chiamo “Signora”.-
-Chiedo scusa.- rispose l’altro, arrossendo.
-Mi chiamo Beatrice.-
-Beatris, Signora?Lo sapevo che non eri inglese!Da dove vieni?-
-Dall’Italia, da Firenze.-
-Dicono che sia molto bella.-
La ragazza storse le labbra, non completamente d’accordo.  -Sì, diciamo che lo è.-
-Sei venuta qui per un pellegrinaggio?-
-No. Perché c’è qualche reliquia?-
-Oh, sì!C’è il cranio di Sant’…- e si lanciò in una dettagliata descrizione del martire e della sua storia. Al termine, Bea chiese:-James cos’è quell’edificio bianco che stanno costruendo?-
-E’ la cattedrale di mastro Tom ma lui è morto e i lavori sono stati ripresi da poco.-
-Non ho mai visto una chiesa come quella.-
-Sì, sarà la più alta d’Inghilterra!-
-Allora avevi ragione!- s’intromise un’altra voce, più profonda.
La giovane donna si voltò verso le scale, dalle quali era appena spuntato il fratello.
-Visto?Te lo dicevo io!-
-Mh..scommetto che il cartografo ti ha fatto una soffiata.-
-Invece no.- rispose facendogli una linguaccia che l’altro ignorò, concentrandosi invece sul bambino.
-Vedo che hai fatto amicizia con qualcuno della tua età.-
Bea gli tirò un sonoro scappellotto.  –James mi ha raccontato un po’ la storia del santo di qui.Vero?-
Il ragazzino annuì.  –Ma se non siete qui per il pellegrinaggio, allora siete venuti per  vedere il Guerriero!-
La ragazza si fece attenta.  –Quale guerriero?-
-Il più forte dell’esercito di re Stefano!Torna oggi dal fronte.-
-Interessante.-
-No. Levatelo dalla testa Bea.-
-E dai Lore!!Se è davvero così bravo, potrebbe insegnarci qualche mossa con la spada.-
Il gemello alzò gli occhi al cielo.  –Usciamo che è meglio.-
Passeggiarono per le stradine di Kingsbridge per un po’ e notarono che tutte le case sembravano un po’ malandate, alcune portavano addirittura segni di bruciature, come se di recente avessero subito un attacco e Beatrice decise che a pranzo avrebbe chiesto informazioni a James; in fondo le era simpatico quel bimbo. A mezzogiorno, quando gli operai che lavoravano alla cattedrale si fermarono per il pranzo, si avvicinarono per ammirarla: era davvero imponente. Su insistenza della ragazza, entrarono all’interno e lo stupore fu ancora più grande: ogni cosa, anche il più piccolo pilastro, metteva in soggezione a causa della loro mole, sembrava di essere nullità a confronto. Passeggiarono lungo la navata sconfinata fino a che un rumore attirò la sua attenzione. Si sporse dietro una colonna e sbirciò: avanti a lei c’era un giovane  frate dai capelli rossi che picchiettava un blocco di marmo candido con martello e scalpello. Inizialmente non capì cosa stesse facendo ma poi volse lo sguardo alle pareti e vide decine di statue, una affianco all’altra. Senza nemmeno accorgersene si perse nella contemplazione di ognuna: erano così ben fatte che Beatrice si aspettava di vederle muoversi da un momento all’altro.
-Ciao.-
Sobbalzò e tornò a guardare il frate: non si era nemmeno accorta che si fosse fermato.  –Scusami. Non volevo disturbarti.-
L’altro sorrise.  –Figurati.-
-Le hai fatte tutte tu, quelle statue?Sono davvero belle.-
-Grazie. Se vuoi puoi vederle più da vicino, non stare nascosta lì, non ti mangio mica.-
Solo in quel momento la ragazza si rese conto di essere ancora seminascosta dalla colonna ma decise di non avvicinarsi: un frate non avrebbe certo accettato il modo in cui vestiva.
-Magari un’altra volta. Adesso devo andare.-
Proprio in quel momento, si sentì riecheggiare tra le pareti la voce di Lorenzo.
-Beatrice!-
Gli sorrise, a mo’ di scuse, e corse verso il fratello, accompagnata dal tintinnio della spada che portava in vita. 




Spazio autore
Questo è il primo capitolo della ff, spero di avervi incuriosito almeno un pò. Lo so, probabilmente vi aspettavate che già apparisse Richard ma ho preferito così, ad ogni modo non preoccupatevi, nel prossimo cappy ci sarà sicuro. Spero di riuscire a pubblicare un capitolo a settimana, quasi sicuramente di domenica, ma anche se dovessi metterci un pò di più non preoccupatevi =)   

 

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Capitolo 2
*** In debito ***


In debito
 

Era ormai pomeriggio inoltrato quando James terminò le sue mansioni e potè andare a farle compagnia ad uno dei tavoli della locanda. Lorenzo dopo pranzo era andato nella stanza a dormire ma lei non ne aveva voglia così aveva deciso di fare due chiacchiere con il bambino.
-Scusami se ti ho fatto aspettare.-
-Figurati. Certo che ti fa sgobbare parecchio l’oste!-
-Sì, un po’. E’ severo.-
Il proprietario del Guscio d’oro era un omaccione dalla pelle scura e piccoli occhietti porcini; fin da subito le era risultato antipatico a causa degli sguardi, prima increduli e poi di disprezzo, che le rivolgeva e dopo aver visto come trattava James, il suo odio per quell’individuo non aveva fatto altro che aumentare.
-Stamattina Lore ed io abbiamo fatto un giro per Kingsbridge e abbiamo notato che è tutto un po’ malconcio. Come mai?-
-Qualche mese fa- prese a raccontare il bambino  -il priore Philip ha organizzato una fiera della lana e il conte di Shiring, temendone un danno economico, ha incendiato il mercato e ucciso parecchie persone tra cui Tom il costruttore, di cui ti ho detto a colazione.-
-E tu come hai fatto a salvarti?-
James scrollò le spalle.  –Chi ci è riuscito, si è rifugiato nella cattedrale.-
-L’ho vista prima!- esclamò Bea, animata al solo pensiero della splendida costruzione  -E’ immensa!Bellissima.-
-Ti senti un nano quando entri.-
-Già.- concordò.  –C’era anche un frate, stava scolpendo delle statue.-
-Allora doveva essere Jack, è l’unico scultore che abbiamo.-
-E’ davvero bravo.-
-Sì. Stasera venite alla festa?-
La ragazza aggrottò le sopracciglia.  –Non sapevo nemmeno che ce ne fosse una.-
-Bè, non è proprio una festa. Più che altro si approfitta del ritorno del Guerriero per fare un po’ di baldoria.-
-Festa significa tante belle donzelle!-
Bea si voltò.  –Finalmente, dormiglione!-
-Ben detto fratello di Beatris!- intervenne James.
-Mi chiamo Lorenzo. E dimmi, ci sarà anche birra gratis?-
-Certo!-
-Allora è deciso, verremo!-
-James e tu già pensi alle ragazze?- domandò Bea, divertita e il bimbo arrossì.
-Ehi, non mi dire che sei innamorato?!- chiese Lore e l’altro divenne color pomodoro.
La ragazza scoppiò a ridere.  –Direi proprio di sì! E ci sarà anche lei stasera?-
Ancora una volta James non rispose, suscitando l’ilarità dei gemelli.
 
Beatrice non aveva mai partecipato ad una festa di villaggio, lei e Lorenzo erano sempre vissuti in città dove erano private. Quella sera, nella piazza di Kingsbridge, sembrava essersi riunita l’intera cittadina, c’erano persino i monaci del priorato! Probabilmente per le persone del posto doveva essere un’occasione molto divertente, una serata passata con amici e parenti a suonare musica, cantare, ballare e chiacchierare ma per lei, che non conosceva nessuno, non era proprio piacevole. Lo stesso non si poteva dire per Lorenzo che grazie al carattere estroverso e al bel fisico,  dopo poco era già attorniato da una schiera di ammiratrici. Per un po’ Bea era stata con James ma poi il bimbo era stato risucchiato dalla calca e l’aveva perso di vista, allora aveva iniziato a scandagliare la folla, alla ricerca del famoso guerriero di cui le aveva parlato, ma non aveva intravisto nessun uomo che somigliasse ad un armigero. Per fortuna, a tenerle compagnia, c’era la birra: rispetto a quella che aveva sempre bevuto in Italia, aveva un colore più chiaro, dorato quasi, ed un sapore più forte e deciso. Quando però nemmeno la bevanda riuscì più ad intrattenerla, decise di allontanarsi dal caos. Mentre si dirigeva verso una stradina più tranquilla qualcuno la urtò.
-Ehi, guarda dove vai!- l’apostrofò un ragazzo poco più grande di lei coi capelli neri che gli ricadevano sugli occhi chiari.
Bea stava per rispondergli per le rime  -d’altronde era stato lui a colpirla-  quando le arrivò l’alito del giovane sul viso e dal forte puzzo di alcool capì che doveva essere ubriaco, quindi lasciò perdere: non voleva cacciarsi nei guai. Uscita dalla calca, si appoggiò a un muro e si massaggiò le tempie: le era venuto un leggero mal di testa. In quel momento vide la cattedrale, alta sulle case, e a passo malfermo vi si diresse. Lungo la strada inciampò in un sasso e decise di rimanere lì fino a quando la mente non le si sarebbe schiarita.
-Ehi, ci incontriamo di nuovo.-
Bea voltò la testa: era il monaco di quella mattina.
-Ciao.-
-Che ci fai qui tutta sola?Non ti piace la compagnia?-
La ragazza incurvò le labbra in un sorriso sornione.  –Potrei farti la stessa domanda.-
-Giusto.-  aggrottò la fronte  -Non mi sono presentato, vero?Mi chiamo…-
-Jack.- completò per lui.
-Sì.- rispose il monaco, sorpreso.  –Come fai a saperlo?-
-Me lo ha detto un uccellino.- lo prese in giro, poi aggiunse:-Un bambino che lavora alla locanda dove alloggio.-
-Come mai sei Kingsbridge?-
La giovane donna spostò lo sguardo sulla cattedrale che nel buio della notte, brillava come una stella.  – Sono in viaggio. Qualche tempo fa mio padre è morto. Già prima desideravo andarmene, vedere posti nuovi, e dopo la sua scomparsa è diventato un bisogno.-
-Mi dispiace per tuo padre.-
L’altra si limitò a scrollare le spalle: era successo, non c’era nessun modo per farlo tornare.
-E tua madre?- indagò ancora il frate.
-Anche lei è passata a miglior vita. Ma è stato tanti anni fa, quando ero piccola. E i tuoi, invece?-
-Mio padre non l’ho mai conosciuto, è stato bruciato per eresia.-
Bea fece un sorriso triste: anche sua madre era stata condannata dall’Inquisizione.
-Invece mia mamma vive poco lontano da qui, nel bosco.- continuò l’altro  -Sono sicuro che le piaceresti.- concluse con una piccola risatina.
La ragazza alzò un sopracciglio, con sguardo interrogativo.
-Sai, lei non è una donna come le altre, è un po’ fuori dal comune, come te.- chiarì.
Ovviamente si era accorto di come era vestita ma aveva notato anche la spada che portava quella mattina?
-Mi piacerebbe conoscerla.- rispose, alzandosi: la mente le si era schiarita ed ora era sicura di riuscire a camminare senza inciampare.  –Scusa ma io torno alla locanda.-
-Ti accompagno. Non è saggio per una ragazza girare da sola a quest’ora.- disse, strizzando un occhio e insieme si diressero al Guscio d’oro.
-E’ qui che alloggi?-
-Sì, fino a domani.-
-Allora scommetto che è stato James a fare la spia sul mio nome!-
-Già. E’ un bimbo simpatico.-
-Bea!Ma dov’eri finita?!-
La ragazza alzò gli occhi al cielo.  –Lui è il mio insopportabile fratello.- disse indicandolo.
-Ti ringrazio di averla riportata qui, frate.- lo ringraziò Lorenzo.
-Di niente. Bè, io vado. Ciao.-
Appena si fu allontanato, Lorenzo esplose:-Ma dove cavolo eri?!Sei sparita all’improvviso!-
-Ehi, non ti scaldare. Ho fatto un giro.-
-E quel monaco?Ti ha fatto qualcosa?Posso ridurlo in poltiglia!-
-Figurati. Ma hai visto quanto è gracile?Con i tuoi insegnamenti, l’avrei battuto in un baleno!Ho sonno, vado a dormire. Tu torna alla festa.-
Il gemello non si mosse, indeciso tra la sorella e le ammiratrici.  –Sicuro?Perchè se vuoi…-
-Sicuro. Vai e divertiti.-
Il fratello aspettò ancora qualche secondo, poi la ringraziò e corse via.
 
-All’improvviso sei scomparso. Ma che fine avevi fatto?- domandò Bea a James. Era tarda mattinata e stavano passeggiando insieme per le vie della cittadina; quel giorno aveva lasciato la spada alla locanda: non c’era pericolo che gliela rubassero perché Lorenzo era ancora lì, a dormire probabilmente.
-E’ che ho incontrato…- il nome sussurrato dal bimbo si perse tra i rumori della strada: era il giorno del mercato e le vie erano affollate. I mercanti esponevano i prodotti sulle bancarelle e, gridando, ne decantavano le qualità, per attirare l’attenzione dei passanti.
-Come?Non ho capito.-
Il ragazzino ripetè ma questa volta fu sopraffatto da una voce tonante alle loro spalle.
-Ehilà gente!-
Si voltarono.  –Lore!Era ora che ti svegliassi!-
-Ho fatto un po’ tardi ieri.- si giustificò l’altro, poi si rivolese a James  -Ti cercava l’oste, sbraitava qualcosa a proposito del pranzo.-
Il bimbo si battè una mano sulla fronte. –Me n’ero completamente dimenticato.- e scappò via.
-Com’è andata alla festa?- chiese Bea al gemello.
Lui fece una smorfia.  –Non ne parliamo.-
La ragazza capì al volo.  –Le tipe di qui sono più difficili di quelle di Firenze?- lo prese in giro, trattenendo a stento una risata  -O forse hanno pensato che sei tutto muscoli e niente…-  fece un gesto vago in direzione del basso ventre di Lorenzo.
-Niente, cosa?- masticò il fratello, lo sguardo minaccioso.
Il sorriso di Bea divenne ancor più grande.  –Niente…sostanza.-
-Rimangia. Quello. Che. Hai. Detto.- scandì, gli occhi che mandavano lampi.
-Altrimenti?- lo sfidò.
-Comincia a scappare. Venti secondi di vantaggio.-
La ragazza non se lo fece ripetere due volte ed iniziò a scappare più veloce possibile, contando in mente i secondi che passavano.
Dieci
Non se la cavava male nella corsa così era riuscita a mettere una certa distanza tra lei e il gemello.
Quindici
Stava avanzando più lentamente del previsto: cercava di correre veloce ma era costretta a zigzagare tra i passanti, molti li mancava per un soffio, altri li urtava e li sentiva confusamente mandare bestemmie al suo indirizzo, quelli che non si scansavano abbastanza in fretta, li travolgeva, urlando scuse, senza fermarsi.
Venti!
Nonostante il fiatone ed il dolore, costrinse le gambe ad aumentare l’andatura: adesso, nemmeno volendo sarebbe riuscita a fermarsi. Si guardò alle spalle e le sembrò di scorgere la figura di Lorenzo tra la folla, le sembrava quasi di sentire il suo fiato sul collo. Improvvisamente le si parò davanti uno strano oggetto di legno intorno al quale v’erano varie persone che reggevano qualcosa di bianco e che le impedivano di procedere. Pensò di rallentare ma ormai era troppo vicina, cercò di schivale ma non ci riuscì ed urtò sia le persone che lo strano oggetto. Cadde, sentì imprecazioni ed il rumore di qualcosa di grosso che si rompeva. Si rialzò di scatto, conscia di averla combinata grossa e l’adrenalina le diede la forza per correre ancor più veloce, nonostante la gamba destra le pulsasse a causa della botta. Si voltò, per capire cosa fosse accaduto esattamente, ma vide soltanto persone confuse e, a terra, l’oggetto e la strana roba bianca. Questa volta l’impatto fu improvviso, in pieno petto, facendole mancare il respiro. Di nuovo, si ritrovò a terra. Rotolò su un lato, annaspando alla ricerca d’aria.
-Mi scusi.- disse qualcuno al suo fianco, una voce familiare.
Si voltò: steso a terra, vicino a lei, c’era il monaco della sera prima!
-Tu!- esclamò  -Che cavolo, guarda dove vai!-
-Scusa, ero sovrappensiero.-  Jack si tirò su e le tese una mano per aiutarla.  –Ti sei fatta male?-
-No.- rispose, ma in realtà si sentiva tutta dolorante.  –E tu, invece?-
-Tutto apposto.-
-Ti ho preso!- sentì gridare alle sue spalle e contemporaneamente, si sentì afferrare per un braccio e voltare in malo modo.  –Dove credevi di scappare?!Bravo, Jack!-
-Ehi, che vuoi!Lasciami!- cercò di divincolarsi ma il ragazzo che le tratteneva l’arto aveva una presa ferrea.  –Levami le mani di dosso!- iniziò a mollargli pugni e calci ma la morsa intorno al braccio non accennava a diminuire.
-Che sta succedendo qui?!-
Bea alzò lo sguardo.  –Lore!- esclamò, rincuorata.
-Che vuoi da lei?Lasciala!-
-Cosa voglio?!- ruggì l’altro, indignato.  –Mi ha distrutto un telaio e due balle di lana!-
-Non l’ho fatto apposta!Avresti dovuto levarti!- strillò lei in risposta.
-Basta, basta!- gridò Jack, ma nessuno gli diede ascolto. 
-Insomma, cos’è questo chiasso?!- questa volta ad urlare era stata una voce molto più autorevole e tutti tacquero.
Bea si voltò: a richiamarli all’ordine era stato un monaco dal viso tranquillo ma deciso.
-Qualcuno  vuole spiegarmi cos’erano tutti quegli schiamazzi?-
Lei, Lorenzo, Jack, ed il ragazzo che ancora la bloccava, risposero tutti insieme col solo risultato di far irritare il frate.   –Non qui!- esclamò  -Richard, possiamo andare al negozio di Aliena?-
-Certo.-
Bea diede un altro strattone al braccio ma Richard la lasciò soltanto dopo che il nuovo monaco gliel’ebbe ordinato con uno sguardo.
 
Avevano passato l’intero pomeriggio in quella stanza ma ancora non erano arrivati ad una conclusione. Il frate, che si era rivelato essere Philip, priore della cittadina, li aveva portati dove Aliena, sorella di Richard, gestiva la sua attività, e li aveva interrogati uno per uno per esporre la loro versione dei fatti. Beatrice aveva sostenuto la propria innocenza dicendo che era stato un incidente, Aliena ed il fratello da parte loro, affermavano che dovesse pagare i danni   -la lana era andata persa ed il telaio distrutto- ma lei e Lorenzo non avevano abbastanza soldi e così avevano passato il tempo a discutere sul se ed il come dovessero pagare.
-Silenzio!- li zittì Philip  -Ho preso una decisione.- annunciò  -Beatrice dovrà lavorare qui fino a quando non avrà pagato il danno.-
-I soldi ci servono adesso!- intervenne Aliena.
-Ma non posso!- esclamò Bea.
-E per quale ragione?- le domandò freddo il priore.
-Lorenzo ed io alloggiamo in una locanda. Come faremo a pagare Aliena e l’oste contemporaneamente?-
-Se parte della paga che ti da Aliena la conservi e parte la usi per pagare il locandiere, ce la farai.-
-Ma ci vorrà una vita così!- protestò.
-Kingsbridge è una bella cittadina: non vi annoierete.-
La ragazza aprì bocca per protestare ma il monaco la bloccò.  –Questa è la mia decisione!- si voltò verso Jack  -Andiamo.- e così dicendo, uscì.
-Fantastico.- fece Aliena, sarcastica  -L’hai sentito?Ti voglio qui domani mattina all’ora ottava.-
Beatrice schiumava di collera, le avrebbe volentieri assestato un pugno su quel bel visino ma si trattenne, limitandosi a stringere le mani, fino a far sbiancare le nocche e a conficcarsi le unghia nella carne, e, senza una parola, uscì seguita dal fratello. Fuori era ormai scesa la sera e con essa, l’umidità; la ragazza camminò a passo svelto sino al Guscio d’oro, senza proferire parola, ma quando entrarono nella stanza loro assegnata, esplose:-Maledizione a quel priore del cavolo e la sua decisione!- urlò, dando un calcio alla parete.  –E’ un provvedimento assolutamente ingiusto!- si fermò, per prendere fiato, aspettandosi che il fratello concordasse con lei ma non disse nulla. Si voltò verso di lui. –Credi che sia giusto?- sussurrò.
Lorenzo rimase in silenzio, lo sguardo fisso a terra.
-Allora?- l’incitò e questa volta la voce salì di diverse ottave.
Il gemello la fissò negli occhi. –Sì, credo che sia giusto.-
Fu come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Per un attimo non seppe cosa dire, poi l’ira divampò:-Certo, perché non sei tu quello che dovrà lavorare!- urlò, estraendo la spada e preparandosi a colpire il basso tavolino al centro della stanza, ma il fendente fu bloccato da un'altra arma. Il fratello, con uno scatto fulmineo, aveva impedito che il colpo andasse a segno. La ragazza lo guardò, sgomenta, poi rinfoderando la spada,annunciò:-Non ho intenzione di rimanere qui.-
Lorenzo l’imitò e ripose la lama nel fodero. –E cosa vuoi fare?-
-Stanotte scapperemo.-
 
Ripassarono il piano ancora una volta.
-Tutto chiaro?- domandò Bea e l’altro annuì, quindi prese il mantello e, calandosi il cappuccio sul volto, uscì.
Cercando di fare meno rumore possibile, attraversò il corridoio, fermandosi ad ogni scricchiolio del legno, temendo di essere scoperta, ma nessuno si affacciò dalla propria camera per controllare a cosa fossero dovuti quei rumori notturni. Al piano di sotto, era tutto buio e silenzioso: la locanda aveva chiuso da parecchio. L’uscita era unica e la porta chiusa ma grazie a James, che le aveva rivelato dov’erano conservate le chiavi, potè uscire. Appena fu avvolta dall’aria fredda della notte tirò un sospiro di sollievo e si diresse verso le stalle. Si era aspettata che anche quella porta fosse chiusa, ma la trovò aperta: probabilmente l’oste, stanco per la giornata di lavoro appena conclusa, se n’era dimenticato. Spinse il legno ed i cardini cigolarono, provocando quello che le sembrò un rumore assordante. Attese alcuni secondi ed entrò. Subito fu investita dal puzzo degli animali e, se non fosse stato per la luce delle stelle che entrava dall’uscio, l’oscurità sarebbe stata completa. Sicura, si diresse verso le nicchie ove sapeva esserci i loro cavalli ma ebbe una brutta sorpresa: erano vuote.
Calma Bea, non farti prendere dal panico. Magari quel cretino dell’oste li ha spostati
Controllò negli altri vani ma niente, erano spariti.
-Per caso cerchi i tuoi cavalli?-
Un’improvvisa voce alle sue spalle la fece sobbalzare. Si voltò di scatto, la mano sull’elsa della spada.
-Chi sei?- chiese, la voce che tremava impercettibilmente.
L’altro fece una piccola risatina. –Ti sei già scordata di me?- le domandò,avanzando verso una zona illuminata dagli astri, per permetterle di riconoscere i suoi lineamenti: era Richard, il ragazzo di quella mattina.
-Che ci fai qui?- l’aggredì.
-Stavi cercando di scappare?-
-Li hai presi tu i cavalli?-
-Non mi hai risposto.-
-Nemmeno tu.-
Gli occhi dell’altro divennero due fessure.  –Sì, li ho io.- rispose.
-Lo sai che potrei denunciarti per furto?Perchè li hai rubati?-
-Per impedirti di fuggire, come stavi per fare.-
Bea digrignò i denti: aveva intuito le sue mosse e l’aveva preceduta.
-Non volevo scappare.- mentì.
Richard alzò un sopracciglio.  –E cosa volevi fare, di grazia?Una passeggiata notturna?-
La ragazza incrociò le braccia al petto.  –Sì, esatto.- rispose con tono altezzoso e, vedendo che l’altro non le credeva, aggiunse:- Lo faccio spesso quando sono nervosa e si da il caso che tu oggi mi abbia fatto innervosire parecchio.-
Richard le si avvicinò e Bea dovette reprimere l’impulso di indietreggiare. Quando furono a pochi centimetri, le disse:-Credi davvero che sia tanto stupido?- e potè leggere lampi d’ira nei suoi occhi.
Prese coraggio e continuò la farsa. -Ti sto dicendo la verità.-
Lui la guardò alcuni secondi poi annunciò:-Benissimo allora. Aspettami qui: non venga mai detto che ti ho impedito di fare la tua passeggiata notturna.- si voltò ed uscì.
La ragazza rimase immobile per alcuni secondi, sconcertata, e quando corse fuori, con l’intenzione di seguirlo, era già sparito. Furente, tornò nella locanda dove, salendo le scale, incontrò Lorenzo.
-Stavo venendo giù. Credevo che il piano fosse…- ma lei lo bloccò con un gesto della mano.
-Il piano è saltato: Richard ci ha scoperti.-
-E adesso dove stai andando?-
Bea fece una smorfia.  –Gli ho raccontato una balla. Ho detto che volevo fare un giro e lui ha gentilmente deciso di accompagnarmi.-
-Vengo anch’io allora.-
-No, lui credeva che volessi fuggire da sola.-
-Ti rendi conto che sarai sola con lui ed è piana notte?Potrebbe farti qualsiasi cosa.-
Al solo pensiero fu percorsa da un brivido.  –Non succederà niente e anche se dovesse provarci, ho la spada. Andrà tutto bene.- mentì, fingendo una sicurezza che non aveva: non voleva mettere nei guai anche il fratello. Il gemello tentò di protestare ma lei uscì in fretta e chiuse la porta a chiave, impedendogli di seguirla.
-Bea dannazione, apri!-
-Sta’zitto, sta arrivando.-
Richard era già in sella ad un cavallo e ne teneva un altro per le briglie.
-Ho preso quello giusto?- le domandò.
-No.- rispose fredda, mentre montava in sella  -Questo è di Lorenzo.-
-Bè, dovrai arrangiarti.-
La ragazza spronò Tempesta al trotto veloce ma in meno di un secondo, Richard afferrò le redini e costrinse l’animale a fermarsi di nuovo.
-Che cavolo fai?- l’aggredì.
Lui la guardò dritto negli occhi. –Niente scherzi.-
-Ti ho già detto che non volevo scappare.-
-Io ti ho solo avvertito.- rispose, e ripresero ad avanzare piano.
A Bea faceva ribrezzo il solo pensiero di essere ad un passo da quel tipo ed avrebbe voluto approfittare dell’occasione per fuggire ma non poteva abbandonare Lorenzo. In breve, furono fuori da Kingsbridge.
-Dove stiamo andando?-
La ragazza indicò una collinetta poco distante e quando furono in cima si voltò ad osservare il panorama: ai loro piedi si stendeva il villaggio, circondato dal bosco e sormontato dalla cattedrale, bianca come un osso, che quella sera le incuteva timore.
-Bella vista, eh?-
-Mh.-
-Come mai siete qui, tu e tuo fratello?- le chiese.
-Viaggio.-
Richard non si lasciò scoraggiare dalle scarne risposte.  –Siete italiani, vero?Da che città venite?-
-Firenze.-
-Perché non ti levi il cappuccio?-
-E per quale motivo dovrei?-
-Bè, di solito preferisco guardare in faccia le persone con cui parlo.-
Anziché rispondere, domandò:-Ci tenevi talmente tanto che ti pagassi il debito, che eri disposto ad aspettare tutta la notte nella stalla?-
L’altro si fece serio.  –Credi  che ce l’abbia con te?-
-Credo che tu sia un avaro che gode nel mettere i bastoni tra le ruote degli altri.- sputò.
 Il ragazzo aggrottò la fonte.  –Per prima cosa,- esordì  -il tuo non è stato un danno da poco e secondo: Aliena aveva investito gran parte dei nostri risparmi in quel telaio e tu l’hai distrutto. Saremmo finiti in mezzo ad una strada ed è sempre per questo motivo che avremmo preferito che ci pagassi in contanti e, tecnicamente, avremmo potuto costringerti a farlo ma abbiamo voluto venirti incontro.-
Adesso che Richard le aveva raccontato il motivo del suo comportamento, si pentì per tutte le brutte cose che aveva pensato del ragazzo.
-Mi dispiace per aver combinato quel casino.- confessò.
L’altro scrollò le spalle.  –Ormai è successo: è inutile rimuginarci sopra. Ma perché correvi in quel modo?Sembrava che i diavoli ti stessero inseguendo!-
Le labbra le si incurvarono in un leggero sorriso. –Scappavo da Lorenzo.-
-Perché?Voleva picchiarti?-
-Certo che no!- esclamò, scandalizzata al solo pensiero che il suo gemello potesse fare una cosa del genere  -Stavamo giocando.- spiegò ma l’espressione di Richard era ancora confusa   -Sai, io fuggo e lui mi deve prendere.- aggiunse.
Il ragazzo sollevò le sopracciglia, perplesso, ma non disse nulla.
-Che ne dici di tornare?Tua sorella mi ha detto che all’ora ottava sarei dovuta stare da lei ed è già l’alba.- gemette.
-Buona idea.-

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Capitolo 3
*** Al lavoro! ***


Al lavoro!
 

Era in ritardo, sarebbe dovuta essere da Aliena almeno da mezz’ora, invece si era svegliata tardi ed ora si ritrovava a correre a più non posso per le strade di Kingsbridge. Quando arrivò in prossimità del negozio, rallentò l’andatura e cercò di regolarizzare il respiro affannato: non voleva far credere alla ragazza che le importasse arrivare in orario. Entrò, la stanza era piccola e stipata di macchinari utili per la lavorazione della lana; Aliena era vicino ad un telaio e parlava con quella che probabilmente era una dipendente. Beatrice si schiarì la voce, per attirare l’attenzione, e la padrona del negozio si voltò.
-Sei in ritardo.-
-Ho avuto un contrattempo.- rispose, fingendo noncuranza.
Aliena lasciò la donna con la quale stava discorrendo e le si avvicinò.  –Adesso sei una mia dipendente e pretendo che arrivi in orario.-
-Vedrò che posso fare.- disse, ostentando superiorità: non voleva farle credere di averla avuta vinta con lei. Il tono usato ebbe l’effetto sperato perché la ragazza si inalberò e strinse le labbra fino a farle diventare una linea.
-Qual è il mio compito?- le chiese.
-Devi filare la lana grezza. Lì- ed indicò un punto della stanza  -trovi tutto il necessario.-
Bea si ritrovò ad arrossire.  –Non potrei fare qualcos’altro?-
-Hai anche da ridire?!-
-No.. cioè sì ma… è che non sono molto brava a filare.- rispose, sempre più imbarazzata.
Aliena alzò un sopracciglio. –E in cosa saresti brava?-
-Mmm…- ci pensò su  -magari a tingere.-
L’altra scoppiò in una aspra risata. –Chi sa come mai, hai scelto la mansione meno faticosa.-
Bea strinse i pugni: il comportamento della mercante le stava iniziando a dare su i nervi.  –Dico sul serio. Non so filare, non ho mai avuto a che fare con la lana.-
-E ti aspetti che io ti creda?Tutte le donne sanno filare, anche quelle italiane.-  così dicendo le voltò le spalle e se ne andò mentre a Beatrice non restava altro che dirigersi verso la macchina che le aveva indicato. La fissò per lunghi istanti: non sapeva nemmeno da dove cominciare! Si guardò intorno: c’erano altre donne al lavoro ma solo una era occupata nella stessa mansione sua e si trovava esattamente dall’altro lato della stanza. Cercò di spiarne i movimenti, ma non riusciva a seguirli bene a causa della distanza che le separava. Quando credé d’aver capito, provò ad imitarla, ma senza successo, provò di nuovo, e ancora e ancora. Qualche volta ci riusciva, molto spesso però aggrovigliava il filo in grossi nodi.
-Non devi fare così.-
Bea sobbalzò nel sentire quella voce improvvisa ed alzò lo sguardo: avanti a lei c’era una bambina dell’età di James, forse un po’ più grande.
-E come?-
La ragazzina le fece vedere.  –Adesso prova tu.-
Bea riprese il lavoro, cercando di imitare i gesti compiuti dall’altra pochi secondi prima. 
-Non arrabbiarti con Aliena.- le disse e lei alzò un sopracciglio, in una muta domanda, così l’altra continuò:-Di solito non è così ma tu non c’entri col suo malumore: ti ha trattato un po’ male perché è nervosa per la perdita del telaio e della lana.- le spiegò.
-Peccato che l’abbia rotta io quella roba.- mormorò.
-Sì, ma lei non c’è l’ha con te, più che altro…- ci pensò un po’ su  -con la sua malasorte.-
-Se ne sei convinta.-
-Certo!Puoi credermi!-
-Come ti chiami?- domandò.
-Martha.-
-Il mio nome invece è..-
-Beatrice, lo so.-
Aggrottò la fronte.  –Chi te l’ha detto?-
La ragazzina rise.  -Una donna che veste da uomo non passa inosservata e poi, dopo la litigata che hai avuto ieri con Richard ed Aliena, tutti hanno sentito parlare di te.-
-Ah. Fantastico.- rispose con una buona dose d’ironia.
Martha le rimase accanto, aiutandola quando sbagliava e tenendole compagnia con le sue chiacchiere. Ad un tratto gemette.
-Cosa hai?- le chiese.
-E’ arrivato mio fratello.- rispose, fissando un punto sopra la sua spalla.
La ragazza rise. –E perché fai quella faccia?Io senza il mio non vivrei.-  si voltò e vide la proprietaria del negozio che parlava con un giovane uomo dai capelli neri e gli occhi chiari.  –Ha un’aria familiare.- notò  -Ma non ricordo dove l’ho già visto. E cosa ci fa qui?-
-Tecnicamente, è venuto a prendermi. Praticamente, è venuto per fare colpo su Aliena ma tanto lei non lo ama.-
-Ah, no?E tu cosa ne sai?-
Martha fece un’altra smorfia.  –Perché a lei piace Jack.-
-Jack?Il frate?Quello con i capelli rossi?-
-Proprio lui. Alfred crede che adesso che è diventato un monaco, avrà più possibilità con lei.-
-Bè, in effetti dovrebbe essere così, no?Jack è un frate quindi ha fatto voto di castità.-
L’altra le lanciò un’occhiata più che eloquente e Bea decise di non ribattere. In un momento di silenzio, le balzò all’orecchio parte della conversazione che stava avvenendo tra i due.
“Richard è uscito?Ancora deve tornare?” diceva una voce maschile, che suppose essere Alfred.
“Magari!Oggi non si è ancora alzato: ho paura che non stia bene.” Rispose la donna e Bea non riuscì a trattenersi dallo sbottare:-Ci credo: abbiamo fatto l’alba!- ma dovette parlare a voce più alta di quel che credeva perché Aliena le chiese:-Hai detto qualcosa?-
-Solo che mi sembra normale che sia ancora a letto, dopo ieri sera.-
L’altra le si avvicinò:-Ieri sera?Di che stai parlando?-
-Del bel regalino che mi avete fatto.- ma l’espressione della donna era ancora vaga così aggiunse:-Sai, i cavalli, tieni presente?-
-Quali cavalli?Ma che cavolo stai dicendo?!- Aliena si stava davvero innervosendo e allora Bea capì:-Non lo sai, non te lo ha detto.-
-Sapere cosa?Insomma, parla chiaro!-
La ragazza alzò le mani.  –No, non mi voglio mettere nei vostri casini quindi, se ci tieni tanto, chiedi a lui.-
In quel momento intervenne Alfred.  –Tu sei la famosa Beatrice, vero?-
Si trattenne a stento dal fare una smorfia: era diventata addirittura “famosa”?Magnifico.
-Bè, quello è il mio nome ma ci sono tante persone che si chiamano così.-
-Beatris, Beatris!- tutti si voltarono verso l’uscio, dal quale apparve James.
-Hey, che ci fai qui?-
-Sono venuto a chiamarti: è l’ora di pranzo, il tuo turno è finito.-
Quelle parole alle sue orecchie, parvero musica. Senza farselo ripetere due volte, si alzò e scappò via.
 
-Com’è andata?- le domandò Lorenzo.
Erano seduti ad uno dei tavoli del Guscio d’oro.
La ragazza fece una smorfia.  –Un disastro: Aliena mi ha dato il compito di filare ed io non l’avevo mai fatto. Il filo si annodava in continuazione e i movimenti da fare erano difficilissimi, un incubo!Non ce la facevo più!-
-Sai, stavo pensando che potrei lavorare anch’io.-
L’altra alzò le sopracciglia, incredula: il fratello era sempre stato una persona estremamente pigra.  –Sei sicuro di sentirti bene?Forse hai la febbre.-  gli poggiò una mano sulla fronte ma il gemello la scostò.
-Sto benissimo! Ho solo riflettuto su quello che hai detto ieri. In fondo è stata anche colpa mia, quindi è giusto che ti aiuti.-
-Dov’è l’inganno?- era sicura che si stesse prendendo gioco di lei.
-Nessun tranello.-
-Tu cosa ci guadagni?-
L’espressione di Lorenzo vacillò.  –Bè…diciamo che forse… mi nobiliterei agli occhi di una donzella.-
-Ah!Ero sicura che c’era qualcosa sotto!E chi sarebbe la fortunata?L’hai vista l’altra sera?-
-Già, ma non ti dico chi è: porta sfortuna.-
-Ehi!- intervenne James, che si stava dirigendo verso di loro  -Sono riuscito ad acchiappare queste.- e mostrò due belle mele rosse  -Sono extra.- disse, strizzando un occhio.
Lo ringraziarono, suo fratello con un cinque, ed il bimbo si sedette accanto a loro.
-Ho visto che c’era Martha con te, prima.-
-Sì, la conosci?-
Il ragazzino divenne rosso pomodoro.  –Sì, più o meno.-
-Non mi dire che è quella che ti piace!-
Silenzio.
-E’ lei?-
-Mh… forse. Sei sicura di ricordarti dove si trova il negozio di Aliena?- chiese, cambiando discorso  -Se vuoi, dopo ti accompagno.-
 
 
-Quindi se ho capito bene, vi conoscete ma non vi parlate granché.-
-Sì.- confermò James.
Si stavano dirigendo verso il negozio  -le toccava anche il turno pomeridiano- e dopo varie insistenze, il bimbo aveva acconsentito a descriverle il rapporto che aveva con Martha e ad elaborare un piano per conquistarla.
-Procediamo come abbiamo deciso, va bene?-
L’altro annuì: era teso come una corda di violino.
-Ciao, Aliena.- salutò.
-Mi fa piacere che tu sia arrivata in orario stavolta.- non era un complimento, semmai  una constatazione, ma Bea capì che al momento era il massimo che poteva aspettarsi dalla donna.  –Puoi continuare il lavoro di stamattina.- accolse la notizia con una smorfia: aveva sperato di poter cambiare mansione. Prima di dirigersi verso la macchina, la ragazza si guardò intorno.
-Cerchi qualcosa?-
-Martha.-
-Non c’è: di solito viene la mattina.-
Beatrice sentì quel po’ di allegria che le era rimasta, svanire del tutto, e non solo perché così il piano “conquista” non poteva andare avanti, ma anche perché senza la bambina, che le faceva compagnia con le sue chiacchiere e l’aiutava nel lavoro, quelle ore sarebbero state interminabili.
-Capisco.- rispose tetra, salutò James e, svogliatamente, iniziò a filare.
-Grazie mille per aver riferito a mia sorella della nostra passeggiata.- la voce improvvisa di Richard, la fece sobbalzare.
Gli lanciò un’occhiataccia. –L’hai fatto di proposito?-
-A spaventarti?Mh… forse.-
La ragazza lo trafisse con un altro sguardo penetrante e tornò al proprio compito, ritenendo chiusa la conversazione: non le andava di farsi deridere da quel tipo. Ma l’altro non la pensava allo stesso modo perché prese una sedia e le si mise di fronte.
-Che vuoi?- chiese, spazientita: oltre al lavoro odioso, doveva sopportare anche lui?!
-Non mi hai ancora risposto. Perché glielo hai detto?-
Scrollò le spalle. –Pensavo lo sapesse. Cos’ha detto del tuo furto?- domandò, prendendo al volo la possibilità di farsi beffe di lui.
Come previsto, Richard fece una smorfia.  –Diciamo che non era del tutto d’accordo.-
-Quindi ce li restituirai?- chiese, gli occhi verdi che brillavano.
-Ti piacerebbe. No, sono riuscito a convincerla che è meglio così. Comunque puoi usarli esattamente come  prima, con l’unica differenza che solo io so dove si trovano e dovrò seguirti per assicurarmi che non scappi.-
-Già e diventi la mia ombra.- borbottò.
-Forse volevi dire il tuo protettore.- la corresse.
-Protettore?- ripetè, un sopracciglio alzato.
-Esatto. Come avresti fatto ieri senza di me?Tutta sola, fuori città a quell’ora di notte.-
Sbuffò.
-Non so a Firenze, ma qui non sarebbe stato prudente.-  continuò l’altro.
-Ero armata.-
-Sì, ho notato. Ma dubito che tu sappia usare quella spada come si deve. A proposito, oggi dov’è?Volevo darle un’occhiata.-
-L’ho lasciata alla locanda: Martha mi ha detto che si parla parecchio di me in giro e non voglio attirare l’attenzione.-
-Quindi adesso sei indifesa?Mi toccherà anche accompagnarti al Guscio d’oro dopo.- disse, fingendo d’essere seccato.
-Tranquillo, puoi evitare. Io non sono mai indifesa.-
L’altro ridacchiò.  –Hai un’arma invisibile forse?-
-Fai troppe domande.-
Richard scosse la testa, divertito.  –Non sapevo che le donne fiorentine fossero così.-
-Così come?-
-Come te: dei maschiacci, nel vestiario, nei comportamenti e nella lingua.-
Bea non rispose, risentita: era in questo modo che la vedeva?Come un maschiaccio?
Notando che la ragazza rimaneva in silenzio, disse:-Ehi, non te la sarai presa, spero.-
Lo ignorò, continuando il suo lavoro e l’altro, per attirare l’attenzione, le bloccò una mano. Con uno strattone si liberò. –Sei un ipocrita.- sputò.  –Parli così proprio tu che hai una sorella mercante!- sibilò.
-Mi hai frainteso: non volevo offenderti, solo prenderti un po’ in giro. Trovo che tu sia singolare in senso positivo, non un ragazzaccio.- quando vide l’irritazione sparire dai suoi occhi, continuò:-Comunque dicevo sul serio quando ti ho chiesto se sono come te. Sono curioso.-
-No, sono uguali a qui.-
-Come mai tu hai fatto questa scelta?-
Scrollò le spalle.  –La gonna non è adatta a correre o a cavalcare: le brache sono più comode.- voltandosi verso la finestra:-Credo possa andarmene, giusto?- ormai era sopraggiunto il crepuscolo.
Richard acconsentì.
-Domani è domenica, quindi non devo venire, vero?-
-Già. Come farai un giorno intero senza di me?- scherzò.
-Non preoccuparti, sopravvivrò.- rispose con un sorriso dovuto non solo al ritorno alla locanda, ma anche al fatto che il ragazzo le avesse tenuto compagnia durante il pomeriggio: le ore erano passate senza che se ne rendesse conto.
 
Era tarda mattinata ormai, il sole splendeva alto nel cielo quasi privo di nuvole e il vento freddo spazzava la radura, ricordando a tutti che era in arrivo l’autunno; nonostante questo, Beatrice aveva caldo, sudava e ansimava come un mantice. Quel giorno aveva convinto Lorenzo ad esercitarsi un po’ con le spade ed ormai erano ore che le loro lame si scontravano e si allontanavano, in una danza continua. Il ragazzo era senz’altro più bravo, possedeva forza, tecnica ed esperienza che lei poteva solo sognare, tuttavia non riusciva ad avere ragione di quello scricciolo: sgusciava via all’ultimo momento, con rapidità, e possedeva una resistenza fisica notevole, sembrava instancabile. Ancora una volta, si chiese come fosse riuscita a convincerlo. Immerso in queste meditazioni, non si accorse che la sorella si era avvicinata più del previsto e che aveva superato le sue difese, la spada volava dritta verso il collo: fu il suo corpo ad agire per lui, uno scatto fulmineo della testa, un repentino movimento del braccio e la lama della gemella si andò a scontrare con la sua. Probabilmente se fosse stato un vero duello e Beatrice non avesse rallentato impercettibilmente il movimento dell’arto, sarebbe stato spacciato: non doveva distrarsi quando combatteva.
-Basta, non ce la faccio più.- si arrese, rinfoderando l’arma e la ragazza si lasciò cadere pesantemente a terra: anche lei era esausta.
-Torniamo alla locanda.- propose Lorenzo.
-Avviati: ti raggiungo.-
-D’accordo, ma non fare tardi: alla mezza si pranza.-  le rispose, allontanandosi.
Beatrice rimase seduta sull’erba ancora qualche minuto, assaporando la sensazione dei muscoli stanchi che si riposavano, quando sentì che il sudore iniziava a ghiacciarsi, si mise il mantello e si avviò verso Kingsbridge.
-Non c’eri stamattina alla funzione.-
La ragazza si voltò: erano Richard, Aliena e Philip che venivano probabilmente dalla cattedrale.
-Buongiorno anche a lei priore.- rispose, trattenendosi a stento dall’usare un tono sarcastico.
-Non sei cristiana?- continuò lui, come se non fosse stato interrotto.
-Certo che lo sono.-
-E allora perché tu e tuo fratello non siete venuti a messa?-
-C’eravamo e non ci ha visti.- mentì.
Il monaco l’osservò, non molto convinto.  –Spero per il bene della tua anima che sia così. Adesso scusami, ho degli affari da sbrigare.- e così dicendo, sparì insieme alla mercante,attraverso un vicoletto.
-Come hai passato la mattina?- le domandò Richard.
-Non hai sentito quello che ho detto?Ho ascoltato il sermone.-
-Forse puoi ingannare Philip ma non certo me. Lo so che non sei venuta alla cattedrale.-
La sicurezza della ragazza vacillò.  –Come fai ad esserne sicuro?-
-Bè sai, la predica è stata piuttosto lunga e noiosa, così mi sono guardato un po’ intorno e non ti ho visto. E poi sei sudata e impolverata. Cos’è, hai fatto a botte?-
-Divertente- rispose ironica  -Ma ci sei andato vicino.-
L’altro le lanciò uno sguardo dubbioso, evidentemente indeciso se prenderla sul serio o meno, e lei non riuscì a trattenersi dal ridere.
 
 
-Dove vai adesso?- le chiese Lorenzo, stravaccandosi sulla brandina.
Avevano da poco finito di pranzare ed erano saliti nella stanza a darsi una ripulita. Il ragazzo, fedele alla sua indole pigra, aveva deciso di schiacciare un pisolino per recuperare le energie spese durante l’esercizio fisico e credeva che anche la sorella avrebbe fatto altrettanto ma la sola idea di provare a dormire con il cibo ancora sullo stomaco, le faceva venire la nausea.
-A fare due passi.- prese il mantello ed uscì.
In cielo c’era ancora il sole ma spesso veniva oscurato dalle nuvole mosse dal vento, le strade erano deserte e silenziose, probabilmente si erano riuniti tutti per il pranzo o, come Lorenzo, approfittavano di quell’ora morta per dormire. Camminò tra i vicoletti del villaggio fino a quando non seppe più orientarsi allora si diresse verso la cattedrale che, come sempre, brillava fulgida al di sopra delle case. Pervasa da un leggero timore reverenziale, varcò la soglia ed arrivò al posto dove aveva visto la prima volta il giovane monaco dai capelli rossi. Tra quelle statue decise di fermarsi e, colta da un’improvvisa stanchezza, si distese sul marmo ad osservare il soffitto ancora incompiuto. Un improvviso rumore, seguito da bestemmie, la fece sobbalzare, strappandola alla veglia in cui era caduta. Si stropicciò gli occhi, cercando di tornare vigile.
-Accidenti quanto cavolo pesa!La prossima volta ti farai aiutare da qualcun altro, Jack!- stava dicendo una voce maschile.
-Forza, siamo quasi arrivati.-
Sentì diversi sbuffi mentre i passi si facevano sempre più vicini, fino a quando due ragazzi comparvero da dietro una colonna.
-Mettiamolo lì.-
Si trattava di Jack e del fratello di Martha che trasportavano un grosso blocco di pietra bianca. Si alzò e dopo che i due si furono liberati del fardello, finalmente il frate si accorse di lei.
-Ciao.- la salutò  -Che ci fai qui?-
Lei scrollò le spalle.  –Facevo un giro.-
L’altro ragazzo si sporse da dietro il marmo, per vedere chi fosse.
-Beatrice!- esclamò sorridente  -Non ci siamo ancora presentati: io sono Alfred, mastro costruttore.- disse tendendole una mano che lei strinse appena.
-Comastro.- lo corresse il monaco.
-Co?In che senzo?- domandò.
-Io e Jack lavoriamo insieme all’ultimazione della chiesa ma, come puoi vedere, più che altro lui si occupa degli ornamenti.-
-Lavori anche di domenica?- chiese al rosso e quello sorrise.
-Ogni volta che ho un po’ di tempo libero.-
-Già.- intervenne il fratello di Martha  -Vieni Beatrice, lasciamolo concentrare.- e le mise una mano dietro la schiena, spingendola piano avanti ma lei si sottrasse a quel contatto.
-Ti spiace se rimango qui?Non mi va di tornare.-
-Certo che no, mettiti dove vuoi.-
-Allora rimango anch’io- annunciò Alfred  -a farti compagnia. Sai, quando scolpisce non dice una parola.- e si sedette accanto a lei.
Jack iniziò a preparare l’occorrente mentre l’altro ragazzo non la smetteva un secondo di parlare. Adesso Beatrice poteva osservarlo meglio: aveva i capelli neri come la pece, che creavano uno strano contrasto con gli occhi color ghiaccio e la pelle chiara, il viso appariva arcigno e scontroso anche se in quel momento era rilassato.
-Mi stai ascoltando?- le domandò.
-Certo.- si affrettò a rispondere, ma in realtà era da un po’ che aveva smesso di prestare attenzione al fiume di parole del ragazzo. –Solo l’ultima frase. Puoi ripetere?-
-Ti ho chiesto se è vero che hai distrutto il telaio di Aliena a colpi di spada.-
-Ovvio che no!- esclamò indignata  -E’ stato un incidente!-
-In giro si dice che vieni dalla Grecia.-
-Sono di Firenze.-
-Italia, giusto?E com’è? Descrivimela.-
Girò il volto e, sicura che Alfred non potesse vederla, lasciò trasparire tutta l’esasperazione per quel flusso ininterrotto di domande. Una risatina sommessa le fece capire che qualcuno l’aveva vista ma non era il fratello di Martha, si trattava di Jack che le lanciava ora uno sguardo complice. Lei allora gli mandò una muta richiesta d’aiuto ma l’altro si limitò a ridere di nuovo e a scrollare la testa e lei, imbronciata, non potè fare altro che riportare l’attenzione sul ragazzo che le sedeva affianco.

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Capitolo 4
*** Amici? ***


Amici?
 

Dopo due mesi dal suo arrivo a Kingsbridge, Bea conosceva a menadito la città. Lavorare nel negozio di Aliena era diventata ormai un’abitudine, così come anche le continue frecciatine che le rivolgeva, non per una reale antipatia, quanto piuttosto perché era diventato una specie di gioco. Anche Lorenzo lavorava, ma ad intermittenza: per un motivo o per l’altro, veniva sempre licenziato. Grazie al piano “conquista” , James aveva fatto grandi progressi con la piccola Martha e così al mattino, anziché tenerle compagnia, la bambina passava il tempo con il ragazzino. Ma Beatrice non rimaneva quasi mai sola quando lavorava, spesso c’era un ragazzo a cui ultimamente, a suo parere, pensava troppo spesso.
Smettila Bea!, si rimproverò.
Quando arrivò al negozio, aveva quasi l’affanno, tanto aveva camminato in fretta. Esaminò con lo sguardo la stanza ma non vide traccia della persona che cercava. Delusa, si avviò al suo posto, senza salutare nessuno.
-Potresti almeno dire buongiorno!- esclamò Aliena, esasperata.
L’altra mugugnò qualcosa di incomprensibile e si accomodò avanti alla cantra; la padrona del negozio, infatti, le aveva cambiato occupazione. Il nuovo lavoro consisteva nel posizionare i fili in modo che fossero paralleli, l'uno sull’altro su un subbio di legno. Da lì doveva farli passare attraverso dei licci che erano sul telaio e che servivano a dare il movimento per il filo di trama. Se possibile, le sembrava un compito più difficile del precedente e quel giorno in particolar modo. Di cattivo umore, si mise all’opera. Era già metà mattina quando una voce familiare la face sobbalzare.
-Come mai di malumore, oggi?-
-Ci trovi gusto, vero?A farmi spaventare ogni volta!- si voltò verso Richard con l’intenzione di fulminarlo ma appena vide il caldo sorriso di lui non potè non ricambiare.
-Sono qui da un sacco di tempo. Sei tu che non mi hai notato.-
-Che significa che eri qui da un po’?Che stavi facendo?-
-Ti osservavo.-
Bea era già pronta a ribattere ma la risposta del ragazzo la lasciò a bocca aperta. Il cervello andò in blackout per alcuni secondi, durante i quali non riusciva a fare altro se non pensare “Mi osservava, mi osservava, mi osservava…”. Quando fu di nuovo in grado di parlare, chiese:-Perché?-
L’altro distolse lo sguardo e scrollò le spalle. –Appena arrivasti, dicesti ad Aliena che non avevi mai avuto a che fare con la lana; ovviamente, non ti credevamo ma adesso che ti ho guardato, sono sicuro che hai detto la verità.-
Bea si sentì pervasa da un misto di delusione e rabbia. Scattò in piedi e nella foga rovesciò la panca sulla quale fino ad un attimo fa era seduta.
-Dopo tutto questo tempo credevi ancora che avessi mentito?!-  disse, la voce più alta di quanto sarebbe stato conveniente.
Il ragazzo, che sembrava aver previsto la sua reazione, non si scompose.  –Il mondo è pieno di imbroglioni.-
Incapace di rimanere un solo secondo in più in quella bottega, Bea fece per andarsene ma Richard le si parò avanti.  –Chi mi diceva che non lo eri anche tu?- continuò.
-Per oggi ho finito.- sibilò lei in risposta e fuggì via.
Corse al Guscio d’oro, si rintanò nella stanza  -fortunatamente Lorenzo non c’era-  e si accoccolò sul letto. Sentiva un dolore al petto come non ne aveva mai provati, il respiro, interrotto dai singhiozzi, le veniva meno, gli occhi le pizzicavano e la vista era annebbiata ma non voleva piangere, non per un ragazzo, non per lui. In quei due mesi le era sembrava avessero legato molto, le era sembrato fossero quasi diventati amici e lei, suo malgrado, stava iniziando a sentire qualcosa per Richard e invece per lui non era stata altro che una potenziale imbrogliona.
Quando Lore tornò, aveva recuperato una buona parte d’autocontrollo e riuscì a fingere di star bene, o almeno, così le sembrò. A pranzo non parlò quasi e mangiò malvolentieri, dopo le avrebbe fatto molto piacere tornare a raggomitolarsi sul letto, ma il fratello aveva deciso di schiacciare un pisolino e non le andava di stare in compagnia, così decise di uscire fuori alla locanda e raggomitolarsi su una sedia. La strada polverosa era deserta   -d’altronde era mezzogiorno passato-  ed era illuminata da un pallido sole, faceva freddo così si raggomitolò più stretta nel mantello. Rimase lì, a rimuginare sui suoi scuri pensieri fino a quando non sentì qualcuno che si schiariva la voce, con l’evidente intento di attirare l’attenzione. Chi poteva essere a quell’ora?
Ti prego fa che non sia Alfred, pensò. Da parecchio tempo a quella parte, infatti, il ragazzo era diventato un vero e proprio tormento: ogni scusa era buona per parlarle. Alzò lo sguardo, già pronta a mandare chiunque a quel paese, ma le parole colorite che aveva deciso di usare non uscirono dalle sue labbra, troppo sconcertata per la sorpresa.
-Ciao.-
Avanti a lei c’era Richard, che spostava il peso del corpo da una gamba all’altra, evidentemente non proprio a suo agio. Incapace di intrattenere qualsiasi tipo di conversazione civile, gli voltò le spalle e si diresse verso un vicoletto lì vicino.
-Aspetta!-
Senza voltarsi, aumentò il passo, fino a quando non potè più procedere a causa di due braccia forti che la bloccavano. Tentò di liberarsi mandando calci e pugni alla cieca ma senza risultato, infine si arrese.
-Insomma che vuoi?Mollami!-  sentiva il fiato caldo del ragazzo sul collo e, suo malgrado, sentì un nodo allo stomaco.
-Non ho capito esattamente perché ti sia arrabbiata in questo modo ma ti chiedo scusa.- le mostrò un piccolo ciclamino, un po’ sciupato.  –E’ uno dei primi che è uscito.- le spiegò  -Se non ti fossi agitata in quel modo, sarebbe in condizioni migliori.-
Bea era paralizzata dallo stupore, non solo perché Richard le aveva appena offerto un fiore in segno di pace, ma soprattutto perché nessuno aveva mai dato prova di tanta gentilezza con lei: i più, per via del suo modo di vestire, dimenticavano quasi che fosse una ragazza. Provò l’irresistibile impulso di sfiorare il ciclamino e accettare le scuse ma, per impedirselo, incrociò le braccia sul petto e domandò:-Credi di potermi comparare con un fiorellino?- cercando di usare un tono di scherno e dovette riuscirci piuttosto bene perché l’altro la lasciò all’istante, quasi si fosse scottato.
-Almeno potresti spiegarmi cos’è che ti ha fatto innervosire tanto.- rispose lui, la voce che sembrava lame di ghiaccio.
-Perché io credevo che…- incominciò ma si morse l’interno della guancia, per evitare di dire qualcosa di cui sicuramente si sarebbe pentita.
-Allora?- la incitò l’altro, ogni secondo che passava sembrava irritarsi sempre più.
Beatrice abbassò lo sguardo e fece un profondo respiro. –Perché…- prese coraggio -mi ha dato fastidio il fatto che per tutto questo tempo hai fatto finta di essermi amico e mi hai parlato solo per capire se ti stavo imbrogliando o meno.-
-Non ti parlavo per questa ragione.-
L’altra alzò lo sguardo, negli occhi un barlume di speranza.  -E per quale motivo allora?-
Richard scrollò le spalle. –Trovo che sia un buon modo per passare il tempo.-
-Ah.-  non era esattamente la risposta nella quale aveva sperato ma di certo era  meglio di quanto pensasse.  –Però credevi che fossi una bugiarda.-
Il ragazzo fece una smorfia. –Diciamo che, se prima c’era qualche dubbio, stamattina è stato fugato. E adesso sono sicuro anche del tuo brutto caratteraccio: se prima mi avessi fatto chiarire e non ti fossi subito inalberata in quel modo, tutta questa sceneggiata si sarebbe potuta evitare.- e così dicendo buttò via il ciclamino.
-Forse hai ragione.- ammise.
-Certo che è così!Avevi qualche dubbio?- rispose, ritrovando il consueto buon umore, anche se un’ombra permaneva nei suoi caldi occhi nocciola*.
Beatrice si diresse verso la pianta, con l’intenzione di raccoglierla, ma prima che potesse farlo, un carro ci passò sopra a tutta velocità: ormai doveva essere solo un pallido ricordo del bel fiorellino che era stato colto per lei ma nonostante questo, lo prese ugualmente.
Richard le si avvicinò. –Lascia stare: a questo punto è andato.-
-Non fa niente.-
L’altro inarcò un sopracciglio.  –Credevo non ti piacessero i regali floreali.-
-Non ho detto questo.-
-Hai detto…- incominciò lui ma l’interruppe:-Pensavo che me l’avessi dato con ipocrisia.-
-Ecco, adesso sono io che dovrei arrabbiarmi: dopo tutto questo tempo pensi ancore che sia un ipocrita?- la prese in giro e lei rise.  –Oggi pomeriggio te la do di festa- aggiunse –ma domani voglio che tu sia puntuale.-
-Sicuro!- rispose, felice più di quanto non volesse ammettere a se stessa.
 
A giudicare dalla poca luce che filtrava attraverso la finestra quando si svegliò, doveva essere ancora presto. Rimase sdraiata ancora un po’, crogiolandosi nel buon umore: quella mattina si sentiva al settimo cielo e, incredibile a dirsi, non vedeva l’ora di andare al negozio, ma alzarsi a quell’ora sarebbe stato inutile: era troppo presto.
Magari entra poca luce perché ci sono le nuvole, pensò e del resto, non sarebbe stata una novità. Aveva notato che lì a Kingsbridge, e in Inghilterra in generale, il cielo era quasi sempre coperto e le giornate assolate erano più uniche che rare, per non parlare poi, del fatto che ormai era autunno inoltrato. Incapace di rimanere ancora distesa, si alzò, scostò le tendine e guardò fuori: doveva essere l’ora settima. Decise di uscire; fuori faceva più freddo di quanto si aspettasse e fu costretta a calarsi il cappuccio sul volto. Arrivò in prossimità della cattedrale e sentì il familiare ticchettio dello scalpello che batteva la pietra.
-Già in piedi?- domandò.
Jack sobbalzò, sorpreso.  –Ehi, che spavento!Mi hai quasi fatto sbagliare.-
-Scusa.-
Il monaco scosse la mano, già dimentico dell’accaduto. –Come mai già sveglia?-
-Non riuscivo a riprendere sonno.- ammise  -E tu?-
-Philip vuole che ci alziamo al sorgere del sole.-
Beatrice sgranò gli occhi. –Tutti i giorni?- chiese e, all’assenso di lui, emise un gemito. –Io crollerei dalla stanchezza.-
L’altro rise. –A volte, mentre preghiamo, mi capita di addormentarmi, ma non dirlo al priore: mi ucciderebbe.- scherzò.
-Sei sicuro che non ci sia un altro modo per rimanere qui?Devi per forza fare il monaco?-
Un giorno aveva convinto Martha a raccontarle la storia del ragazzo dalla chioma rossa ed ora sapeva cosa l’aveva portato a quella scelta ma, nonostante questo, non riusciva ad accettarla: persino lei, che lo conosceva solo da pochi mesi, capiva che il giovane non era fatto per la Chiesa.
Jack si rabbuiò. –Se ci fosse stato un altro modo, credimi, l’avrei fatto, ma questa era l’unica soluzione.-
-E se tu ed Aliena vi trasferiste in un altro villaggio?-
Il monaco arrossì. –Cosa c’entra Aliena, adesso?-
Bea lo guardò in modo eloquente.  –Lo so che vi piacete.-
-No, ma che cosa dici, non è così. Comunque la sua attività è qui.-
-Potrebbe spostarsi, non sarebbe un problema.-
L’altro scosse la testa. –Non capisci. Non è solo per lei: io voglio lavorare a questa cattedrale, era il sogno di Tom ed ora è diventato il mio.-
La passione nelle parole dell’amico la mise a disagio: lui aveva grandi progetti, aveva un obiettivo da inseguire, e lei?Impiegava il tempo a lavorare la lana e chiacchierare con un ragazzo per cui probabilmente era solo un passatempo.
Devi darti una mossa, Bea. Devi trovare il Guerriero e farti allenare.
-Ho capito. Sai, ti ammiro molto.- ammise –Ora scusa ma devo andare.-
Uscì quasi correndo dalla cattedrale e a passo svelto si diresse verso il villaggio, solo quando arrivò alla piazza capì che in realtà non sapeva dove andare. Era andata via con l’intenzione di trovare il famigerato Guerriero ma si rese conto che in realtà non sapeva assolutamente dove cercarlo, non sapeva nemmeno che aspetto avesse.
Sono un’idiota, si rimproverò, avrei potuto chiedere a Jack.
-Bea!Dove vai?-
Si voltò: era Richard.  –Stavo … stavo facendo una passeggiata.- mentì.
-Una passeggiata?Invece di venire a lavoro te ne vai girando?E questo perché ieri mi ero raccomandato!-
Solo in quel momento si accorse di quanto tempo fosse passato da quando era uscita dalla locanda, e di essere in ritardo, ancora una volta.
-Scusami è che…- gli raccontò brevemente della sua visita alla chiesa in costruzione e quando ebbe finito il ragazzo sospirò, esasperato.  –Il lavoro è una cosa seria. Devi cercare di essere più puntuale, oltretutto così dai un pessimo esempio agli altri dipendenti.-
-Ti ho già detto che..- iniziò ma l’altro l’interruppe:-Chiuso il discorso. Adesso vieni con me, è arrivata la lana nuova ma il carro si è dovuto fermare fuori da Kingsbridge perché è il giorno del mercato.-
Beatrice lo seguì fino ai confini del villaggio, dove li aspettava un grosso carro pieno di balle di lana e a stento riuscì a trattenersi dal commentare: avrebbero dovuto fare la spola fino al negozio decine di volte ma era sempre meglio che stare chiusi in una stanza a filare.
Avevano fatto ormai parecchi viaggi quando la campana suonò l’ora undicesima. Beatrice procedeva lenta, sbuffando per la fatica, mentre trasportava una balla particolarmente pesante o forse così le sembrava a causa della stanchezza. Urtò qualcuno: le dimensioni dell’oggetto che portava non le permettevano di vedere bene davanti a sé. –Scusi.- disse,  ma l’altro rispose in malo modo:-Stupida, guarda dove vai!- dal tono di voce, riconobbe Alfred e si stupì di tanta scostumatezza: con lei era sempre molto cordiale, quasi servile; certo, sapeva che era solo un modo per colpirla, ma rimase ugualmente sorpresa. Stava per riprendere il cammino, quando il ragazzo la riconobbe.  –Bea, sei tu!Scusami, non ti avevo riconosciuto.-
-Non fa niente, però adesso spostati: devo passare.- rispose sbrigativa: non le andava di indugiare col fratello di Martha, men che meno dopo che l’aveva apostrofata a quel modo.
-Lascia, faccio io.-
-Non ce n’è bisogno.- disse, ma lui, come se non avesse sentito, prese la balla dal lato opposto e insieme si incamminarono verso il negozio. Suo malgrado, Beatrice decise di non protestare: era stanca e l’aiuto del ragazzo le faceva comodo. Poggiarono il carico vicino alla bottega, insieme agli altri.
-Grazie mille, Alfred.-
-Figurati. Ce ne sono altre?- le domandò vedendola tornare indietro  -Ti do una mano.-
-Non preoccuparti, sono giusto un paio. Torna alla tua occupazione.- rispose, affrettando il passo e avvicinandosi sempre più al muro, per evitare il contatto col fratello di Martha.
-Tranquilla, posso prendermi una piccola pausa.-
Beatrice aumentò il passo -odiava rimanere sola con quel ragazzo- e per la fretta inciampò. Sentì due mani ruvide che l’afferravano.
-Tutto bene?- le chiese.
-Sì, tranquillo.- rispose, cercando di allontanarsi, ma l’altro non glielo permise.  –Alfred, puoi lasciarmi adesso.- gli fece notare.
-Perché?Siamo amici, no?Può capitare che due amici si abbraccino.-
Beatrice non sapeva cosa rispondere: la verità era che lo considerava uno scocciante, antipatico, rompiscatole ma questo certo non poteva dirglielo; fortunatamente qualcuno la tolse d’impaccio.
-Alfred!- chiamò una voce, simile ad una frusta. Il ragazzo la liberò all’istante e lei fu veloce a riconquistare la distanza di sicurezza.
-C’è Philip che ti cerca, vuole parlare subito con te.- continuò Richard in tono glaciale.
-Ma…- iniziò l’altro, subito interrotto: –E’ urgente.-
Il giovane pestò un piede a terra, indispettito, le lanciò uno sguardo di rimpianto e fuggì via: non aveva il coraggio di sfidare la pazienza del priore né quella di Richard, il quale in quel momento sembrava essere piuttosto nervoso. Appena se ne fu andato, Bea emise un sospiro di sollievo e rilassò le membra tese. Il ragazzo le si avvicinò: stringeva i pugni e camminava rigido come un ciocco di legno.
-Tutto bene?- le chiese e lei annuì.
-Sicuro che non avresti preferito rimanere con quello?-
Gli lanciò uno sguardo significativo.  –Stai scherzando, spero. E’ insopportabile, è …- cercò la parola giusta –appiccicoso. Meno lo vedo e meglio è!-
Solo allora Richard sembrò finalmente rilassarsi.  –Vuole attirare la tua attenzione, poverino.-
Beatrice fece una smorfia.  –Oh, ci riesce eccome. In modo negativo, ma ci riesce.-
-Se ti trovassi un marito, ti lascerebbe in pace.-
-E chi mi prende?Chi lo passa questo guaio?- scherzò.
-Lui sarebbe pronto a passarlo.- le face notare.
-Per carità, non sia mai.-
-Scommetto che a Lorenzo sono arrivate un sacco di richieste per la tua mano.- continuò lui, studiandola di sottecchi.
-Se è così, non mi ha detto nulla, ma lui non ha voce in capitolo.-
-In che senso?-
-Sono io a dover decidere chi prendere per marito.-
-E non ti piace nessuno qui a Kingsbridge?-
Beatrice rimase in silenzio alcuni secondi: non voleva dirgli la verità, e cioè che qualcuno le interessava eccome, ma nemmeno mentirgli su tutta la linea. Scelse con cura le parole:-C’è qualcuno,- iniziò e gli occhi del ragazzo saettarono su di lei –ma non so che cosa rappresento per lui.-
-E chi è?Jack?-
Alzò un sopracciglio.  –Ti faccio presente che è un monaco e poi no, siamo solo amici.-
-E allora chi?-
-Che t’importa?- domandò, fissando gli occhi verdi in quelli castani dell’altro. Richard guardò altrove e scrollò le spalle. -Sono curioso.-
 
 
Stavano mangiando la carne che aveva portato loro James, quando Beatrice decise di affrontare l’argomento.
 -Lore per caso, ti è arrivata qualche richiesta per… - prese coraggio -per la mia mano?-
Al fratello andò storta la birra che stava bevendo e tossì più volte, quando si fu ripreso domandò:  –Perché me lo chiedi?-
Si strinse nelle spalle.  –Così. Allora, mi rispondi?-
La fissò, serio.  –Sì, qualcuna.-
-Perché non me l’hai detto?-
-Erano tutti tipi che non conosci, tranne uno: ho pensato che non fossi interessata.-
-E chi era?- chiese ed aspettò la risposta col fiato sospeso.
-Alfred.-
-Ah.- decisamente non era colui che aveva sperato  -Cosa gli hai detto?-
-Che doveva parlarne con te. L’ha fatto?-
Fece una smorfia.  –Non proprio. Ci ha provato, ma non ho nessuna intenzione di accettare.-
-Ho notato che appena può, corre da te.-
-Già, che bello.- disse con una buona dose d’ironia.
Il gemello rise. –E dai, è carino: sembra quasi un cagnolino.-
Alzandosi, Beatrice gli rivolse uno sguardo esasperato.
-Vai da Aliena?- le urlò dietro Lorenzo, ma lei era già per strada.
 Arrivò parecchio in anticipo, tanto che la porta della stanza dove di solito lavorava, era chiusa. Bussò più volte, ma da dentro non si udiva nessun suono. Rassegnata, stava per sedersi sulla soglia quando si sentì chiamare.
-Bea!-
Si voltò: Aliena era affacciata ad una finestra e le faceva segno d’avvicinarsi. Poco dopo le andò ad aprire la porta, ma non era quella del negozio bensì quella di casa.
-Entra.- la esortò.
 –Lo so che è troppo presto. Posso aspettare fuori o passare tra un po’.-
-E rischiare che arrivi in ritardo per l’ennesima volta?No, grazie.-
Con passo titubante, la seguì altre la soglia. Non era mai stata in quella casa: era accogliente anche se arredata con lo stretto indispensabile. Al centro della stanza c’era un tavolaccio di legno con ancora piatti e bicchieri, alle pareti, alcuni scaffali con numerosi libri.
-Come mai in anticipo?- chiese Richard. Era seduto al tavolo, avanti un piatto ancora mezzo pieno.
-Desiderosa di estinguere il mio debito.- rispose automaticamente ma non era più così sicura di voler abbandonare in fretta Kingsbridge.
Sulla fronte del ragazzo comparve una ruga ma sparì così in fretta, che Beatrice fu sicura di essersela immaginata.
-Vieni, siditi.- Aliena le indicò una sedia accanto alla sua. –Vuoi un po’ di dolce?-
Si accomodò, ma rimase rigida: si sentiva a disagio in un ambiente dove non era mai stata. –No, grazie.-
-Sì, lo vuole.- intervenne Richard.
-No, non è vero!Ho detto..-
-Se non lo mangi, offendi la cucina di mia sorella: mi spiace ma ti tocca. Aliena dalle una fetta.-
Si arrese ed accontentò i due ospiti: il dolce non era nulla di speciale, un rotolo farcito con marmellata, ma era gustoso. Quando ebbero finito, aiutò la ragazza a sparecchiare.
 -Bea!- chiamò Richard –Da questa parte.- la condusse verso il sottoscala dov’era una porta. Prese delle chiavi appese vicino allo stipite e l’aprì. Dentro era buio pesto ma il giovane vi entrò a passo sicuro, lei lo seguì, incerta su dove mettere i piedi.
-Rich, dove sei?-
Sentì una risatina provenire dalla sua sinistra.  –Non hai capito che posto è?-
-No e ho paura di andare a sbattere contro qualcosa quindi gentilmente, fai luce!-
Il ragazzo rise ancora ma obbedì ed aprì una finestra: sotto i suoi occhi si delinearono i familiari contorni del negozio.
-Non sapevo che ci fosse un’altra entrata.- disse, stupita.
-Questo dimostra quanto sei distratta.-
-Se mai, quanto mi impegno quando lavoro.- rispose, dirigendosi verso la cantra insieme al giovane.
Si mise all’opera ma dopo pochi minuti, fu interrotta da un’esclamazione di Richard. –Non sei proprio capace!-
-Sei bravo a criticare ma vorrei vedere te!-
-Di sicuro me la cavo meglio.-
-Certo, come no.-
-Vuoi scommettere?Potrei insegnarti.-
-D’accordo!- accettò la sfida -Vediamo che sai fare.-
-Se vinco io, dovrete accettare l’invito per domani sera.-
Il giovane, infatti, aveva più volte proposto a lei e Lorenzo di prendere parte ad una cena l’indomani, ma avevano sempre educatamente declinato l’offerta.
-Ci sto!- rispose, sicura che l’avversario avrebbe perso.
Richard le si avvicinò, pregustando già la vittoria. Le si sedette dietro e poggiò le mani sulle sue; con calma ma in modo deciso e sicuro, di chi sa bene quello che fa, le fece vedere i movimenti da compiere. Beatrice era sbalordita: erano tutti giusti!
-Come sapevi come si faceva?!-
Il ragazzo sorrise, sornione. –Sorpresa?Credo proprio d’aver  vinto.-
-Non è giusto!Hai barato!-
-No, che non l’ho fatto!E poi sei stata tu ad accettare la scommessa.-
-Ma credevo che non fossi capace: un maschio non dovrebbe saper fare queste cose!Cos’è, per caso sei una femminuccia?- lo prese in giro.
-Invece le ragazze dovrebbero saperlo fare: cos’è sei un maschiaccio?-
Bea si voltò e gli cacciò la lingua, come una bimba dispettosa, ma così facendo si rese conto di quanto fossero vicini: le loro labbra distavano solo pochi centimetri. Si voltò di scatto, rossa in viso e con il cuore che batteva più del dovuto.
-Chi ti ha insegnato?Tua sorella?- chiese, nel vano tentativo di calmarsi.
-No, un’altra donna. Proviamo di nuovo?- le propose.
-D’accordo.-
Cercò di concentrarsi sui movimenti che il giovane faceva compiere alle sue mani ma invano, era continuamente distratta dalle loro gambe che si sfioravano, dal petto e dalle braccia di lui che l’avvolgevano, quasi in un morbido abbraccio, dai capelli che le solleticavano il collo.
-Hai capito?- la domanda di Richard la colse di sorpresa ma si affrettò a rispondere:-Certo.-
-Bene, prova.- disse, lasciandole libere le mani e poggiando le proprie sulle sue gambe.
Tentò di ricordare i gesti che le aveva fatto fare solo pochi secondi prima ma non ci riuscì così fece come era solita fare.
-No, non così. Come ti ho fatto vedere io. Guarda.-
Di nuovo condusse le sue mani, Beatrice tentò di stare attenta e memorizzare i movimenti ma ci riuscì solo per poco. Questa vola, il ragazzo la guidò per più tempo e quando la lasciò sentì le mani protestare. Sapeva che adesso doveva provare da sola quindi tentò di rifare i gesti di lui ma alla fine della prova era sicura di non esserci riuscita correttamente.
-Sei distratta.- sentenziò il giovane e sapeva che diceva il vero.
Sospirò.  –Scusami.-
Quando sentì le dita di lui intorno al mento, quasi sobbalzò per la sorpresa. Richard le voltò il viso, in modo che i loro sguardi si incrociassero.
-A cosa stai pensando?-
Gli occhi di lui la scrutavano attentamente, quasi volesse leggerle nella mente. Tentò di girarsi, ma non glielo permise.
-Allora?- l’incitò.
Te!Penso te!, avrebbe voluto rispondere, ma il suo orgoglio glielo impediva e nel frattempo con gli occhi gli comunicava tutt’altro messaggio: “Ti prego non farmelo dire”. Stava per annegare completamente in quei caldi occhi nocciola, quando una voce li riscosse entrambi.
-Richard.- qualcuno bussò alla porta principale, ancora chiusa.
Si separarono all’istante, quasi avessero preso una scossa; il ragazzo si diresse verso l’uscio e l’aprì: era il priore.
-Philip.- salutarono in coro.
-Buon pomeriggio, ragazzi.-



Spazio autore
Mi scuso tantissimo per l'enorme ritardo ma spero mi perdonerete: la stesura dei capitoli richiede più tempo del previsto per cui non so con quale frequenza riuscirò ad aggiornare la storia. Spero che continuerete a seguirmi e che da lettrici silenziose, diveniate più "rumorose" : sono curiosa di sapere cosa ne pensate di questa long.
* Ho scritto che gli occhi di Richard sono castani ma non ne sono sicurissima: ho riguardato mille volte le scene in cui era in primo piano ma non sono riuscita a capire il colore esatto.

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Capitolo 5
*** La verità ***


La verità
 

Quel giorno Beatrice aveva rinunciato al consueto allenamento domenicale con il fratello, per andare alla ricerca del Guerriero. Si era alzata di buon ora, aveva preso spada e mantello  ed aveva iniziato a girovagare per le strade. Aveva chiesto se l’armigero se ne fosse già andato ma solo pochi erano stati in grado di rispondere e questi ultimi non avevano idea di dove vivesse o che aspetto avesse. Evidentemente, la festa che avevano dato poco dopo il suo arrivo non era stata davvero l’occasione per salutare il ritorno di un amico, ma piuttosto di fare baldoria. Aveva continuato a girovagare per il paese nella speranza di trovarlo; dopo tutto, un bravo soldato come lui, sarebbe dovuto essere abbastanza riconoscibile, sia per il fisico che per il portamento. Ma fino ad allora non aveva visto nessuno che corrispondesse all’immagine che di lui si era fatta e stava iniziando a perdere le speranze. Ad un tratto vide Richard in lontananza, sembrava diretto verso di lei.
-Hei.- salutò quando fu a portata d’orecchie.
-Ciao.- rispose il ragazzo, sembrava sollevato. –Finalmente ti ho trovato; ma dov’eri?-
Bea fu leggermente irritata da quella domanda: non doveva certo dargli conto di tutto quel che faceva, ma replicò ugualmente:-In giro. Tu?-
Sfuggì al suo sguardo. -Ti cercavo.-    
Non potè fare a meno di sorridere. –Perché?-
-Mi serve un buon compagno per andare a caccia, Lorenzo mi ha detto che te la cavi con l’arco.-
-“Me la cavo”? La mia mira è quasi infallibile.-
L’altro rise. –Ma che modesta. Dai vieni.- così dicendo, l’afferrò per mano ma lei si sottrasse a quella piacevole presa.
-No, oggi non posso.- rispose a malincuore.
-Cosa?Perchè?!- le domandò, quasi allarmato.
-Ho già altro da fare. Ti aiuterò un’altra volta.- pronunciò queste parole a fatica perché voleva con tutta se stessa passare la giornata con l’amico, ma si era ripromessa di trovare il Guerriero.
-Qualsiasi cosa tu debba fare non sarà più importante di me. Rimandala!-
Spalancò gli occhi e arrossì ma non solo per l’imbarazzo. –Come?!Credi di essere al primo posto nella mia lista delle priorità?- esclamò.
Richard si batté la fronte, come avesse fatto un guaio. –No, certo che no. Non volevo dire questo, mi hai frainteso.-
-Vattene.- sibilò, allontanandosi dalla parte opposta. Si sentiva una stupida. Era così evidente il suo interessamento per il fratello di Aliena?
-No!Bea, aspetta.- l’afferrò di nuovo e non le permise di fare un altro passo.
-Davvero, non volevo dire questo. E’ solo che…- gli mancarono le parole per qualche istante –che oggi non è giornata: ho litigato di brutto con mia sorella e stasera c’è la festa e serve la carne ed è già tardi e…- sospirò, fissò gli occhi nei suoi –Mi serve il tuo aiuto.- sussurrò.
Sfuggì allo sguardo del ragazzo, che le toglieva ogni volontà. Bè, in fondo anche lei, quando discuteva con Lorenzo, diventava intrattabile e diceva idiozie a tutta forza… magari per quella volta avrebbe potuto perdonarlo senza fare tante storie, avrebbe potuto cercare il soldato un’altra volta. –D’accordo. Va’ a prendere i cavalli. Ti aspetto qui.-
Richard si rilassò. –Sono al Guscio d’oro.-
-Cosa?- chiese, confusa.
-Gli animali. Li ho rimessi a posto qualche giorno dopo la nostra passeggiata notturna.-
Bea era sbalordita. Quante volte aveva cercato i cavalli nelle stalle di tutto il paese?Invece per tutto quel tempo, aveva sempre avuto Tempesta e Fulmine ad un passo da lei. –Perché me lo stai dicendo?-
L’altro fece spallucce. –Mi fido di te, so che non ne approfitterai.-
 
L’arco non lo aveva per cui, glielo prestò l’amico. Rimase sorpresa perché non era la solita arma scadente che di solito usavano i cittadini di Kingsbridge per cacciare, ma un arco di prim’ordine, dalla foggia ricca e dalla mira precisa.
-Come mai avete litigato, tu e Aliena?- domandò, mentre dalla sella del cavallo, scrutava le vie del paese.
L’altro fece una smorfia. -Non mi va di parlarne. E tu invece, chi è che stai cercando?Non fai altro che guardarti intorno.-
Sospirò, delusa. –Cerco il Guerriero, ma sembra essere sparito.-
-Sai che aspetto ha?- domandò l’altro, curioso.
-No, ma quando lo vedrò lo riconoscerò. Sai com’è, io me ne intendo di soldati, non sono mica una femminuccia come te.-
Il ragazzo scoppiò a ridere, come avesse appena fatto una battuta esilarante. –Perché lo vuoi trovare?- chiese, sempre più di buon umore.
-Niente d’importante.- rispose evasiva. Anche se Richard era suo amico, sicuramente non avrebbe preso bene la sua decisione di farsi allenare dall’armigero, del resto, nemmeno Lorenzo l’aveva fatto!
Nel frattempo, erano arrivati ai margini del bosco. –Cosa cacciamo esattamente?- domandò.
-Qualsiasi cosa andrà bene ma qui, abbondano i volatili.-
-D’accordo, mettiamoci all’opera.- spronò il cavallo e lo stesso fece il compagno.
-Ti va di fare una scommessa?- le disse.
-Di che tipo?-
-Chi abbatte più uccelli.-
-Ci sto!- rispose subito.
-Non vuoi sapere in caso di perdita quale sarà il pegno?-
-No.- fece, sicura. –Tanto vincerò!-
 
-Mi passi una fetta di carne secca?-
Bea si allungò verso le bisacce e passò un pacchetto al ragazzo, che aveva saggiamente pensato al cibo. Per un pò avevano cacciato ma con l’avvicinarsi dell’ora di pranzo, avevano iniziato a sentire un buco nello stomaco, così avevano deciso di sedersi sotto un albero e rifocillarsi. Bea aveva letteralmente ingurgitato la sua razione di cibo ed ora aspettava, impaziente, che l’altro terminasse.
-Insomma, hai finito?!-
-Cos’è, hai fretta?Guarda che non riuscirai a recuperare.- disse l’altro, riferendosi alla scommessa. Era in vantaggio di un volatile.
-Non è questo.- mentì, mentre si alzava. –E’ solo che ho da fare in paese.-
-Oh, certo.- l’assecondò l’amico. –Dai, aiutami.- le tese una mano.
Bea l’afferrò ma, anziché farsi alzare, Richard tirò giù anche lei.
-Sei un idiota!- rise, mentre gli colpiva scherzosamente un braccio.
Il ragazzo ribaltò le loro posizioni, in modo da stare sopra di lei, ma Bea glielo permise solo per pochi secondi, perché lo buttò di nuovo a terra. Presero a rotolare per una piccola discesa, ancora avvinghiati e sorridenti, fino a che un grosso tronco sbarrò loro la strada. Richard emise un gemito soffocato e la ragazza tornò seria.
-Ti sei fatto male?- chiese, spostandogli una ciocca di capelli che gli copriva gli occhi nocciola.
-No,- fece ironico –mi sono fatto bene.-
Gli diede un buffetto. –Scemo. Dico sul serio.- sussurrò, mentre gli sfiorava la guancia con i polpastrelli. In quel momento si accorse di quanto fossero vicini, talmente tanto che i loro corpi aderivano quasi completamente e i respiri si rubavano aria a vicenda. Pensò di scostarsi, ma i suoi occhi verde mare furono catturati da quelli del ragazzo e perse ogni volontà. Sentì il pollice dell’amico muoversi lentamente sul fianco mentre la distanza tra i loro visi diminuiva. Con il cuore che batteva all’impazzata, stava per chiudere gli occhi, quando si udì un forte suono, acuto e stridente, che li fece sobbalzare. Alzarono lo sguardo verso il cielo e, tra le fronde degli alberi, scorsero un grosso rapace dalle piume marroni, volare proprio sopra di loro. Bea si staccò all’istante dall’amico e corse all’impazzata verso Fulmine, dove aveva lasciato arco e faretra. Li afferrò e incoccò una freccia. Prese la mira, mentre l’uccello volava in circolo; probabilmente, aveva individuato una preda e si preparava a colpirla. Tese il legno al massimo, lasciò la corda e l’animale starnazzò al suolo.
Quattro pari, pensò trionfante.
 
Era sdraiata sul letto, il mantello stropicciato su un fianco.
-Allora, sei pronto o no?!- chiese annoiata al fratello.
Era almeno mezz’ora, infatti, che l’aspettava. Lorenzo aveva iniziato a prepararsi quando lei era ancora a caccia eppure, ancora si rifiutava di uscire. Non sapendo cosa mettere, aveva perso venti minuti ad osservare tutti i pochi indumenti di cui disponeva; una volta scelto, aveva indugiato ancora per decidere se la camicia fosse meglio dentro o fuori i pantaloni, mezzo sbottonata o chiusa. Adesso non riusciva a decidere se la riga dei capelli fosse meglio a destra o a sinistra. Per l’ennesima volta, le domandò:-Così.- spostò i crini a destra –Oppure in quest’altro modo?- li scostò dall’altro lato.
-Sinistra, e sono cento! Ora possiamo andare?- rispose esasperata.
Il gemello si guardò ancora una volta allo specchio e seguì il suo consiglio. –D’accordo.-
Uscirono nell’aria fredda della sera e, stringendosi nei mantelli, si diressero verso casa di Aliena. Nonostante vi fosse stata solo una volta, Beatrice la riconobbe subito perché attraverso le tendine si potevano scorgere numerose sagome scure che si stagliavano sulla luce gialla delle candele e si riusciva a sentire un rumoroso brusio anche da lontano. Per farsi sentire all’interno, dovettero bussare forte, ma alla fine la porta si aprì e poterono entrare. Fu Aliena ad accoglierli:-Finalmente! Credevamo non veniste più!-
-Dillo al vanesio.- rispose, indicando il fratello al suo fianco, che fece spallucce.
Mentre i due si perdevano in convenevoli, osservò la stanza che, a causa delle piccole dimensioni, sembrava pienissima. C’erano James, Jack, Alfred, Martha, Philp e tante altre persone che conosceva solo di vista. Erano tutti ben vestiti, soprattutto le ragazze che indossavano abiti con pochi ornamenti ma di bella fattura, che mettevano in mostra i seni prosperosi. Si sentì in difetto come mai le era capitato in vita sua. Prima di dirigersi verso la casa, non aveva avuto nemmeno un attimo di esitazione: aveva afferrato i soliti pantaloni e corpetto di pelle e li aveva infilati ed eccetto la spada, che portava da quella mattina, non aveva indosso nessun ornamento. Fortuna che, col mantello, nessuno poteva vedere come era vestita.
Si avvicinò a loro anche Richard. –L’attaccapanni è pieno. Dovrete posarli su, i mantelli.-
Lorenzo si levò il proprio e glielo mise tra le braccia. –Lo sistemi tu per me?- chiese, mentre già s’allontanava.
Sospirò: il gemello era proprio incorreggibile. –Andiamo.- disse all’amico –Fammi strada.-
Zigzagando tra gli invitati, la condusse per una ripida scala a chiocciola che conduceva al piano superiore, dov’erano due spoglie camere da letto.
-Di qua.- la guidò verso quella più piccola –Poggiali pure sul letto.-
Ebbe solo un attimo di esitazione, poi fece come le era stato detto e si voltò, pronta per scendere di nuovo, ma il ragazzo la stava osservando con leggera amarezza. Sentì le guance che s’arrossavano.
-Che c’è?- chiese, cercando di mostrarsi il meno infastidita possibile.
-Non ti vedrò proprio mai vestita da donna, eh?-
-Credevi che avrei messo gonna e sottana?- lo schernì, ma in fondo si sentiva imbarazzata.
-Lo speravo. Ero curioso di vederti abbigliata come una qualsiasi ragazza.- rispose l’altro, ritrovando un po’ del solito buon umore.
Bea si sedette sul piccolo comodino accanto alla branda e si osservò la punta degli stivali mentre confessava:-Non ne ho nemmeno uno.-
Ma l’amico non capì. –Di che?-
-Di “vestito da donna”, come lo chiami tu.- spiegò, con le orecchie in fiamme ma che, fortunatamente, erano coperte dai capelli.
-Cosa?!Perché?- esclamò l’altro, sbalordito.
Si alzò, risoluta, e fece spallucce. –Non ne ho mai sentito il bisogno.- fino ad ora…
Insieme scesero  al piano di sotto ma quasi tutti gli invitati chiedevano di Richard e presto Bea si ritrovò da sola. Prese un calice di birra ed iniziò ad osservare la stanza. Per essere una festa, in realtà, era un po’ strana: gli invitati, chi più chi meno, sembravano essere un po’ tristi ed accerchiavano Richard come mai era successo sino ad allora. Intravide Aliena, all’angolo opposto della stanza, in un momento in cui era sicura che nessuno la stesse osservando, asciugarsi gli occhi, quasi stesse piangendo. Un attimo dopo aveva ritrovato il solito contegno ma adesso che aveva assistito a quella scena, Bea riconobbe tanta tristezza dietro il sorriso gioviale che faceva a tutti e si domandò come avesse fatto a non accorgersene prima.
Forse è per la litigata con il fratello, pensò.
 Ad interrompere le sue congetture, arrivò Alfred. –Hei,ciao.- la salutò, con gli occhi di ghiaccio che brillavano.
-Ciao.- rispose secca; era davvero stufa della corte del ragazzo.
-Come mai tutta sola?-
Non si curò nemmeno di replicare, semplicemente, si strinse nelle spalle. L’interlocutore indesiderato, in evidente imbarazzo, si guardò intorno, alla ricerca d’un argomento di conversazione, finché non lo trovò:. –Credevo che stasera saresti rimasta tutto il tempo con Richard.-
Con quella frase riuscì ad attirare la sua attenzione. –Cosa?!- esclamò imbarazzata. –Come ti vengono in mente certe idee?-
Il ragazzo sembrò molto sorpreso, rimase qualche minuto in silenzio, poi domandò:-Significa che tra voi due non c’è niente?-
Bea sentì il viso diventare rosso come un pomodoro, mentre ripensava a quel pomeriggio, nel bosco. –Certo che no!Siamo solo amici!-
L’altro stava per porle un’altra domanda ma fu interrotto dall’arrivo di colui che era diventato l’argomento di conversazione. –Possiamo metterci a tavola ragazzi.- li informò, mettendo una mano sulla spalla di Alfred, come per dirigerlo verso il tavolo, in realtà, per allontanarlo da Beatrice. La folla li divise e in un baleno si ritrovarono lontano dal fratello di Martha.
-Di che parlavate?- chiese il moro, evidentemente irritato.
Decise di non mentirgli. –Di te.-
L’altro alzò un sopracciglio, sorpreso. –E a che proposito?-
-Mi ha domandato se tra noi c’è qualcosa.- disse, studiando ogni reazione dell’amico, che diventava sempre più attento. –Cosa gli hai detto?-
-Non ho fatto in tempo a rispondergli.- mentì, mentre si allontanava velocemente verso il tavolo, per evitare che il ragazzo potesse farle qualche domanda scomoda, ma non riuscì ad evitare –anzi, nemmeno ci provò- che si accomodasse accanto a lei. La prima parte della cena, passò tra chiacchiere e risate ma verso la metà Alfred, con una scusa, fece spostare la sorella, che era seduta al suo fianco, e prese il suo posto. Per il resto del pasto, Bea cercò di smorzare ogni tentativo di conversazione del ragazzo e di non rispondergli male quando le sue domande, a causa della birra, si facevano impertinenti. Richard non era di grande aiuto: era diventato rigido e cupo come una statua, non faceva altro che stringere e rilassare i pugni, ridicolizzare o stuzzicare il rivale. Non ne poteva più.
Ad un tratto, Alfred fu chiamato da alcuni  commensali che si trovavano al lato opposto della tavolata e dovette andare da loro per sentire quel che avevano da dirgli. Appena si fu allontanato abbastanza, Richard le prese una mano e con le labbra vicino all’orecchio, sussurrò:-Ti va di andarcene?-
Annuì con vigore. Cercando di passare il più inosservati possibile, sgattaiolarono verso l’aria gelida della sera. Bea si sentì rinascere. –Non ce la facevo più lì dentro.- o meglio, non ce la faceva più con Alfred.
Il moro sorrise, mentre la guidava lontano dalla baldoria, tra le stradine silenziose. –Per una volta siamo d’accordo.-
Notò che le teneva ancora la mano ma decise di non protestare: quella sera, probabilmente grazie alla birra che aveva bevuto, si sentiva audace. -Ancora devo capire perché avete organizzato questa festa.- disse invece.
L’altro sfuggì al suo sguardo e rimase in silenzio per vari minuti, poi rispose:-Tra un po’ parto.-
Fu come un fulmine a ciel sereno. –Cosa?Perchè… quando…- non riusciva a decidere quale domanda porre per prima ma l’amico le venne in aiuto. –Non preoccuparti, ci vorrà ancora qualche giorno per finire i preparativi.-
-Dove andrai?Tornerai?- aveva sempre pensato che gli unici che potessero partire fossero lei e Lorenzo, del resto, erano loro i forestieri; Kingsbridge e tutti i suoi abitanti, le erano sempre sembrati un dipinto che rimaneva lì, immutabile nel tempo.
Richard rise piano e strinse leggermente la presa sulla mano. –T’interessa così tanto?-
Per l’ennesima volta quella sera, arrossì e sfuggì agli occhi nocciola del ragazzo. –Non montarti la testa. E’ solo che mi hai colto di sorpresa.-
-Devo raggiungere un tipo a cui interessa la nostra lana solo che abita dalle parti del fronte e ci vorrà un po’ per tornare.-
-Le zone del fronte?!- esclamò eccitata. –Significa che vedrai i soldati di re Stefano! Dicono che ce ne siano due formidabili!Magari potrei venire anch’io con te!-
Il moro si fermò di colpo. –Il fronte è una zona pericolosa, Bea!- la rimproverò serio, la voce che risuonava alta nella quiete della sera.
-Non c’è bisogno che ti scaldi in questo modo.- s’offese e l’altro fece alcuni respiri profondi, per riprendere il controllo.
-Scusami, sono solo preoccupato.- sussurrò, carezzandole una guancia col pollice. Fissò gli occhi nei suoi. –Promettimi. Che non proverai a seguirmi.-
Avrebbe voluto rispondere con una delle sue solite frasi sarcastiche, invece sentiva un nodo in gola che le permise a stento di annuire. Il cuore accelerò i battiti mentre Richard diminuiva la distanza che li separava. Quando le labbra morbide del ragazzo entrarono a contatto con le sue, sentì che sarebbe potuta svenire da un momento all’altro. Il bacio durò poco, troppo presto il moro si scostò, quel tanto che bastava per osservarle il viso. Bea non sapeva che aspetto avesse in quel momento, ma qualsiasi cosa Richard trovò, lo spinse ad avvicinarsi nuovamente. Questa volta, mosse le labbra all’unisono col ragazzo. Ad un tratto però, il moro divenne più passionale. La bocca si muoveva avida sulla sua, con una mano le stringeva la vita, l’altra esplorava l’interno coscia, salendo sempre più su. In quel momento, le fu tutto chiaro. Il comportamento strano che il ragazzo aveva avuto per tutto il giorno, la storia che gli serviva qualcuno con cui andare a caccia. Tutto prese contorni diversi alla luce di quel che stava accadendo. Richard cercava solo qualcuno con cui divertirsi prima di partire, e lei, c’era cascata in pieno. Con tutta la forza di cui disponeva i quel momento,  lo spinse via e senza pensarci, gli mollò un pugno sul viso. Il moro si portò una mano sulla zona colpita, mentre la guardava, immobile e confuso. Sentì le lacrime salirle agli occhi, ma si voltò e corse via prima che l’altro potesse accorgersene.
 
Quella notte Bea non riuscì quasi a chiudere occhio, non faceva altro che ripensare a ciò che era successo. In un primo momento si era sentita soltanto ferita ma a poco a poco era cresciuta la collera, verso Richard, ma soprattutto verso se stessa. Col moro perché si era preso gioco di lei senza curarsi minimamente dei suoi sentimenti, con se stessa perché era stata una stupida a credere davvero che potesse provare qualcosa di serio nei suoi confronti, avrebbe dovuto capire che era solo una farsa e invece, era dovuta arrivare la sera prima per rendersene conto. Per l’ennesima volta si rigirò sotto le coperte e nella piccola stanza silenziosa, si udì chiaramente il cigolio del letto. Era stanca, gli occhi le bruciavano, avrebbe voluto dormire ma proprio non ci riusciva. Rassegnata, si alzò,afferrò la spada e il mantello e uscì nell’aria gelida del mattino. Andò nella radura dove si solito lei e Lorenzo si allenavano. Solitaria, silenziosa, proprio quello di cui aveva bisogno in quel momento. Sguainò la lama, che brillò alla luce debole del cielo antelucano, e prese a menare fendenti a destra e a manca. Non contro un nemico immaginario qualsiasi, bensì verso il fratello di Aliena. Rimase lì a tirar di spada, fino a che parte della rabbia non fu sbollita e il suo corpo stanco glielo permise, poi, decise di tornare. Avanti alla locanda incontrò James.
-Beatris, che ci fai qui?- le domandò sorpreso.
Stupendo, adesso mi tocca dar spiegazioni anche ad un ragazzino, pensò irritata.  –Ho fatto un giro.-
-Credevo che tu e Lorenzo sareste andati a salutare Richard.-
Nonostante non volesse nemmeno sentir pronunciare il nome del moro, quella frase attirò la sua attenzione. –Per quale motivo?-
-Bè, perché parte per il fronte, ovviamente!-
Aggrottò la fronte. –Ti sbagli, James. Non partiva oggi.-
-Ma sì invece!Ne sono più che sicuro. Me l’ha detto Martha.- rispose convito.
Ma a lei Richard aveva detto che ci sarebbe voluto un po’ prima di terminare i preparativi; perché mentire?Nonostante fosse sicura che il ragazzino si stesse sbagliando e non avesse nessuna voglia di vedere il moro, decise di dirigersi verso le porte del paese.
Non è per lui, cercava di convincersi,solo non ho ancora voglia di tornare al Guscio d’oro. Ma la verità era un’altra: suo malgrado provava qualcosa per Richard e, se le parole di James erano vere, voleva sapere perché le aveva mentito. In poco tempo arrivò alla periferia di Kingsbridge. La strada, ormai perfettamente illuminata dalla luce del primo mattino, era vuota eccetto per due figure solitarie: due giovani. La figura più minuta era sicuramente una ragazza a giudicare da come era vestita, mentre l’altra era un maschio, abbigliato come se fosse pronto ad andare in guerra, tra le mani, stringeva le briglie di un cavallo. Fu presa da un brutto presentimento e non poté fare a meno di mettersi a correre nonostante i muscoli stanchi. Quand’ebbe dimezzato la distanza che la separava dai due non ebbe più dubbi sull’identità della donna: si trattava di Aliena ma l’uomo, a causa dell’elmo, non poté riconoscerlo anche se, a quel punto, era convinta fosse Richard.
Perché ha un’armatura addosso?, pensò. Non sapeva nemmeno che il ragazzo fosse capace di maneggiare una spada, figurarsi possedere un intero equipaggiamento militare. Voleva forse dire che il famoso Guerriero era… no, non poteva essere. Nel frattempo, il soldato si era accorto della sua presenza ed Aliena, seguendo il suo sguardo, si era voltata. L’armigero fece il gesto di mettersi in sella, poi sembrò ripensarci e rimase dov’era. Ormai mancavano pochi metri, Beatrice era sicura che l’altezza, la postura, appartenessero al suo amico ma si rifiutò d’ammetterlo. Ansante, si fermò avanti alle due figure. Non si curò di Aliena, non abbozzò nemmeno un saluto, ma si diresse verso il militare. Immobile, senza proferire parola, la guardava con occhi nocciola così simili a quelli di Richard. Con le mani che tremavano –non per la corsa ma a Bea così piacque credere- gli sfilò l’elmo e poté chiaramente riconoscere i lineamenti del fratello di Aliena. Nell’aria fredda e immobile di quel mattino d’inverno, risuonò distintamente il rumore d’uno schiaffo. Era la seconda volta che lo colpiva in meno di dieci ore.
Il moro si massaggiò la parte colpita. –Suppongo di essermelo meritato. Di nuovo.-
La rabbia scemata con l’esercizio fisico rimontò più forte di prima. –Mi devi qualche spiegazione.- sibilò.
Sfuggì al suo sguardo di fuoco. –Immagino tu abbia ragione ma sono già in ritardo..- l’interruppe prima che potesse terminare. –Allora ti conviene sbrigarti.- disse gelida.
L’altro sospirò. –D’accordo.-
-Perché non mi hai detto che partivi oggi?-
-Dire addio ad Aliena è già abbastanza straziante senza che ci fossi anche tu.- confessò ma di quella spiegazione una parola calamitò il suo interesse.
-Addio?- ripeté.
  Il ragazzo allargò le braccia, come a dire “Guardami”. –Chi può dire che mi vedrà di nuovo?-
-Non dirlo nemmeno per scherzo!- sentì la sorella rimproverarlo ma Bea non si voltò; invece, indicò l’armatura.
-Perché non me l’hai mai detto?-
-Non credevo fosse importante.- disse sincero.
-Non dire idiozie. Sapevi che cercavo il Guerriero!- sentì la rabbia montare di nuovo.
-L’ho saputo solo ieri.- controbbattè l’altro.
Aprì e chiuse la bocca più volte ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. Aveva ragione.
-Non c’è nient’altro che vuoi chiedermi?-
Ancora turbata per ciò che aveva scoperto, si limitò a scuotere il capo.
Richard guardò per un attimo oltre la sua spalla e udì Aliena allontanarsi, poi riportò lo sguardo su di lei. –Ti chiedo scusa. Per ieri sera.- mormorò.
Finalmente ritrovò la parola. –E perché?Mi hai solo fatto capire le tue vere intenzioni. Se mai, dovresti domandarmi scusa per tutte le bugie che mi hai detto.- rispose gelida.
Lui le si avvicinò e le prese le mani tra le sue. Bea non indietreggiò ma rimase rigida. –Ho omesso il fatto che facessi parte dell’esercito di re Stefano ma, a parte questo, ti ho sempre detto la verità.-
-Mi hai fatto capire una cosa per un’altra.- fece dura ed il moro strinse di più la presa.
-No!Bea, ieri... ho esagerato, è vero ma l’ho fatto perché non sapevo se ci saremmo rivisti. Se quando fossi tornato ci saresti stata ancora o se, peggio ancora, non fossi tornato affatto.-
Le aveva detto quelle cose guardandola dritto negli occhi, con la sicurezza di chi dice la verità. No, non stava mentendo, ne era certa.
-Suppongo che chiunque al tuo posto avrebbe fatto la stessa cosa.- sussurrò.
-Questo non mi giustifica.-
Esitante, Bea gli mise le braccia al collo ma quando percepì che anche lui l’abbracciava, lo strinse con maggior energia. Tutta la rabbia e il dolore che aveva provato dalla sera prima, evaporarono in un istante lasciando spazio ad un nuovo dispiacere che le faceva pizzicare gli occhi.
-Se io ti prometto che rimarrò qui,- disse con voce tremante. –tu mi prometti che tornerai?Anche con qualche pezzo in meno va bene ma preferirei tutto intero.-
Sentì Richard stringerla con più forza, quasi con disperazione. –Te lo giuro.-
Allentò l’abbraccio, il moro doveva partire, ma quando incontrò i suoi occhi non riuscì più ad allontanarsi e gli si avvicinò di nuovo. Gli sfiorò dolcemente le labbra con le proprie. Fu un bacio delicato, al gusto di lacrime e sale, di dolore e preoccupazione ma fu il loro primo vero bacio.

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Capitolo 6
*** Senza lui ***


Senza lui
 

Chiuse gli occhi, stanca, ma continuò ad avanzare ascoltando i rumori intorno. Eccezion fatta per il suo respiro affannato, le foglie crepitanti e i rametti spezzati sotto i suoi piedi, sembrava che il silenzio regnasse sovrano, ma non era così. Un orecchio attento avrebbe potuto cogliere lo scalpiccio degli animali tra gli alberi spogli e perfino il cinguettio di qualche uccello lontano.
Nonostante le palpebre abbassate, Bea riusciva a capire ugualmente quando il pallido sole ch’era in cielo veniva liberato dalle nubi grigiastre. Si stava godendo un refolo di vento, quando un improvviso avvallamento del terreno minacciò di farla cadere e fu costretta a riaprire gli occhi. Era stanchissima, ormai i piedi strusciavano sulla terra ma non voleva fermarsi, non ancora. L’esercizio fisico, stancarsi, l’aiutavano a non pensare, ad azzerare il cervello. Trascorsero ancora alcuni minuti, ma alla fine dovette fermarsi. Facendo dei grossi respiri, con le mani sui fianchi, si avvicinò a passi lenti al piccolo lago che aveva raggiunto. Si appoggiò con la schiena ad un tronco ruvido e aspettò che la respirazione tornasse regolare, poi, accertatasi che nelle vicinanze non ci fosse nessuno, iniziò a spogliarsi. L’acqua gelida contro la pelle bollente la fece rabbrividire e fu tentata di tornare indietro; invece si costrinse ad avanzare finché l’acqua non le arrivò al mento.
Si lavò velocemente e si affrettò ad uscire. Si asciugò in fretta col mantello ed indossò i panni che aveva lasciato lì quella mattina. Tornando verso Kingsbridge, si compiacque della quiete che regnava nella sua mente.
 
Un’ora dopo raggiunse casa di Aliena. Bussò forte e dopo alcuni minuti, Lorenzo aprì la leggera porta di legno.
-Com’è andata?-
-Mh.. bene.- mugugnò –Saresti dovuto venire anche tu.-
Il ragazzo storse il naso. –Sai che odio la corsa.-
-Sarebbe più facile dire che sei un pigrone.- lo prese in giro mentre si dirigeva verso la minuscola stanza di servizio e lanciava i panni sudati in un catino di zinco.
-Bé, sì, lo ammetto. Che c’è di male?-
-Che sei diventato un chiattone!-
-Scicchezze!Il mio fisico è a posto.- protestò quello e Bea sghignazzò.
In realtà, il gemello aveva messo su giusto qualche chiletto, a causa dell’ottima cucina della padrona di casa, ma lei si divertiva a stuzzicarlo.
-Dov’è Aliena?- domandò.
-Sono qui.- rispose la mercante, comparendo in quel momento con due secchi pieni d’acqua dalla porta che dava sull’altro lato della via. Lorenzo si affrettò ad aiutarla e Beatrice le lanciò uno sguardo significativo, ma l’altra scosse leggermente il capo. Ogni volta che mancava per qualche ora, la ragazza chiedeva alla padrona se fossero arrivate lettere dal fronte, ma la risposta era quasi sempre negativa. Ormai erano mesi che non ricevevano sue notizie…
Lorenzo la strappò dalla piega pericolosa che stavano per prendere i suoi pensieri. –Ti abbiamo conservato il pranzo.-
 -Dovrebbe essere ancora caldo.- aggiunse Aliena.
Si accomodò a tavola, sollevando il piatto che copriva la tazza col brodo ed iniziò a sorseggiarlo, osservando gli altri due che si davano da fare con i piatti sporchi.
Se qualche mese prima le avessero detto che un giorno avrebbe mangiato da Aliena, si sarebbe fatta una grassa risata, e invece adesso, eccola lì. Ma dalla mercante non mangiava soltanto, quella modesta costruzione di legno era diventata la sua casa pochi giorni dopo che lui era partito. La ragazza era andata da lei dicendo che se avessero continuato ad alloggiare alla locanda non sarebbero mai riusciti a pagare il debito e che, in fondo, quella casa era grande per una persona soltanto, perciò Lorenzo e lei si erano trasferiti nell’unica stanza libera.
Inghiottì l’ultimo boccone di frutta e raggiunse Aliena nella bottega. Gli altri dipendenti erano già all’opera, ma aveva ritardato solo di pochi minuti perciò la mercante non la rimproverò e Bea si andò a posizionare accanto ad un enorme recipiente di legno con all’interno tintura verde. In quei mesi la padrona del negozio aveva finalmente capito che Beatrice e la lana non andavano affatto d’accordo perciò le aveva affidato un compito decisamente più semplice: doveva immergere i fili di tessuto nell’acqua colorata in modo tale da tingerli. Le piaceva quella nuova occupazione, la divertiva tenere le mani nella tintura, anche se a fine giornata si ritrovava gli arti colorati. Le rammentava la sua infanzia, quando, insieme agli anziani nonni, ricavava la salsa dai pomodori; in quell’occasione riempivano un grosso recipiente per sciacquare gli ortaggi raccolti ed immergeva le braccia nell’acqua fresca, per cercare quelli da scartare perché troppo maturi o, al contrario, ancora acerbi.
Le vennero alla mente quei ricordi mentre faceva girare in tondo un gruppo di fili ed il liquido verde si riempiva di increspature, fino a che non si creò un minuscolo vortice. Uno schizzo improvviso in piena faccia la fece sobbalzare. Guardò dall’altro lato del grosso catino e vide il fratello che la fissava con aria furba e divertita. Immerse la mano nella tintura e lo schizzò a sua volta, ma quello era preparato: si nascose dietro il bordo di legno del recipiente e passò al contrattacco. In breve infuriò una vera e propria lotta; infatti, al combattimento si erano aggiunti anche Marta e James, che si trovavano lì vicino, ed erano stati colpiti per sbaglio da qualche schizzo.
-Insomma, la volete smettere?!- intervenne Aliena –La tintura non viene mica regalata; io la pago!-
In un attimo si immobilizzarono tutti i combattenti e scese il silenzio. La mercante stava per continuare la sua ramanzina, ma fu distratta dall’arrivo provvidenziale di Jack che strizzò loro l’occhio mentre la donna si lamentava con lui del loro comportamento “infantile”.
Bea ridacchiò sotto i baffi e si asciugò il viso, ormai verde, sulla camicia che portava i segni di passate lotte simili a quella, tanto da sembrare quella di un pittore. Un tempo se la sarebbe presa per un rimprovero come quello, per non parlare del modo in cui li aveva definiti, ma dopo tanti mesi di convivenza aveva capito che quello era il carattere della donna. Era quasi sempre seria, ma non cattiva. I momenti in cui sul suo viso appariva un sorriso sincero erano davvero pochi e la maggior parte delle volte la causa era Jack.
Si alzò per prendere altra lana e la spada che aveva assicurata al fianco tintinnò. Aveva ripreso ad indossarla, Aliena stessa l’aveva pregata di farlo. Nelle contee lì vicino si era diffusa la voce che a Kingsbridge ci fosse una donna che vestiva come un uomo e che lavorasse nella stessa bottega dell’unica mercante d’Inghilterra, così, grazie ai moltissimi curiosi, gli incassi erano notevolmente aumentati. Beatrice, da parte sua, era stata più che felice di avere una scusa per rimettere la spada: gli abitanti del villaggio si erano abituati alla presenza sua e di Lorenzo, non li trattavano più come stranieri, erano diventati molto più espansivi e questo non era sempre un bene. Come aveva scoperto già mesi prima, molti uomini erano attratti da lei, per via della sua particolarità, e capitava che si prendessero molte più libertà di quante ne consentiva; più di una volta era stata perfino sul punto di attaccar briga, ma poi aveva sempre desistito.
-Bea abbiamo vinto la prima battaglia!- esultò James, ancora vicino al recipiente e la ragazza gli diede il cinque.
 
Una delle cose che odiava di quel villaggio e dell’Inghilterra in generale, oltre al tempo, era la lunghezza delle giornate: era ancora presto, dovevano essere passate cinque-sei ore da mezzogiorno eppure, il sole era tramontato da tempo e le uniche luci erano quelle delle fiaccole delle botteghe. Camminò a passo sempre più spedito: anche se non lo avrebbe mai ammesso, non le piaceva girare per le strade da sola quando era così buio. Svoltò un angolo ed arrivò nella piccola piazzetta di Kingsbridge. Tirò un sospiro di sollievo e rallentò: anche se in quella zona c’erano varie locande già piene di avventori, le possibilità che l’importunassero in un posto così affollato erano davvero poche. Sorpassò un gruppo di uomini rumorosi e una voce la rincorse.
-Ehi, Bea!-
Per un attimo le si annodò lo stomaco dalla paura, ma poi riconobbe la voce di Alfred; non le avrebbe fatto nulla.
 -Unisciti a noi.- le parole del ragazzo erano strascicate. Era già ubriaco.
Si voltò appena. –Vado di fretta. Magari un’altra volta.- disse, mentre aumentava di nuovo l’andatura.
Aveva appena imboccato un vicoletto –deserto, ma accorciava di parecchio il percorso- quando una mano ruvida si strinse intorno al suo polso. Si voltò di scatto e strattonò l’arto.
-Scappi sempre quando mi incontri.- disse Alfred.
-Lasciami.- gli intimò –Ho detto che sarà per la prossima volta.-
-No!- le afferrò anche l’altro braccio. –Sono stanco delle tue prossime volte.-
Le parlò così vicino che percepì chiaramente l’odore pungente dell’alcool. Le andò alla testa e la disorientò per un momento. Come in un flashback, ricordò la seconda sera trascorsa al villaggio. Camminava da sola per le vie della piccola cittadina e un ragazzo dagli occhi di ghiaccio l’aveva urtata. Solo allora realizzò che si era trattato di Alfred.
Aveva perso la cognizione di ciò che la circondava solo per un attimo. Ma bastò. Il fratello di Martha la spinse in malo modo contro il muro.
-Vuoi capirlo o no che muoio dalla voglia di averti?-
Ebbe soltanto il tempo di rivedere gli stessi occhi di quella notte, poi, le sue labbra furono prese d’assalto dal ragazzo. Si muoveva prepotente contro la sua bocca, cercando di schiuderla. Fu assalita da una miriade di emozioni –paura, vergogna, impotenza, sconforto- che si trasformarono in rabbia. Le sembrò quasi di vedere rosso. Spinse via Alfred con una forza che non credeva di avere, lo vide barcollare all’indietro e guardarla sorpreso. Poco dopo però, gli apparve un sorriso sinistro sul viso. –Lo sapevo che eri una tosta.- disse tornando verso di lei, ma Bea non lo lasciò avvicinare e gli scagliò un pugno in pieno stomaco. Il fratello di Martha barcollò di nuovo, nella piazza. A causa dell’alcool aveva difficoltà a rimanere in equilibrio e cadde all’indietro. Questa volta, quando alzò il viso verso di lei, era infuriato.
-Come ti permetti!- ruggì mentre le si scagliava contro e un pugno la colpiva alla mascella. Indietreggiò per non perdere l’equilibrio e per un attimo non vide altro che puntini neri. Solo all’ultimo momento riuscì a scorgere il secondo cazzotto in arrivo e non riuscì a schivarlo. Sentì la mano dell’altro colpirle il fianco destro. Strinse i denti dal dolore, ma non si lasciò distrarre e approfittò della vicinanza di Alfred per colpirlo a sua volta, in pieno viso. Sentì la mano scontrarsi contro il naso del maschio, che si accartocciò come fosse il guscio di un uovo. Il ragazzo indietreggiò, tenendosi una mano sulla parte lesa, ed inciampò in una pietra sulla strada. In un attimo Beatrice gli fu accanto e lo colpì con un calcio rabbioso. Adesso che aveva iniziato quella lotta, ora che aveva iniziato a dare sfogo alla rabbia repressa, non riusciva più a smettere. Gli si mise a cavalcioni e prese colpirlo al viso. Uno, due, tre pugni. Si sentì afferrare per le spalle e fu allontanata da Alfred. Dimenandosi come una furia, riuscì a liberarsi. Tornò dal suo aggressore, lo prese per la collottola e lo costrinse ad alzarsi sulle ginocchia.
-Questo!- urlò guardando uno per uno i curiosi che si erano radunati nella piazzetta. –Questo- strattonò il moro ed indicò la sua faccia insanguinata  -è quello che succede a chi mi importuna!-
Lo spinse al suolo e si diresse verso casa di Aliena. Non ci fu bisogno di farsi largo tra la folla perché al suo passaggio gli uomini e le donne, con i visi sconvolti, si scostarono.
 
Quando arrivò a casa di Aliena aveva il viso stravolto. Entrò in fretta, senza salutare nessuno, ma Lorenzo si accorse subito che qualcosa non andava.
-Cos’è successo?-
Lo scansò. –Niente.-
Il gemello tentò di fermarla. -Perché hai le mani sporche di sangue?-
Sentì un nodo alla gola. -Non è successo niente!- ripeté correndo sulle scale e barricandosi nella stanza che aveva occupato in quei mesi. Si precipitò al catino nell’angolo della camera e si lavò con foga le mani rosse. A mano a mano che strofinava, l’acqua si colorava e le lacrime scendevano copiose sul suo viso. Si accasciò contro la parete e pianse senza ritegno.
Se Richard fosse stato qui, nulla di tutto questo sarebbe successo, pensò. Le mancava tantissimo, ma la cosa peggiore da sopportare non era la lontananza. Aveva paura che da un momento all’altro arrivasse qualche messo dal fronte, temeva che pronunciasse una sola parola… morto.
Si strappò via le lacrime dagli occhi e sollevò un’asse di legno dal pavimento, sotto, c’erano dei fogli. Erano le lettere di Richard. Le aveva lette decine e decine di volte, tanto da saperle a memoria ormai, ma era come se quel semplice gesto, riuscisse ad avvicinarla a lui, anche se di poco.

Ehi, maschiaccio!Che si dice a Kingsbridge?Hai imparato finalmente a filare la lana, come una brava donna di casa?Scommetto che senza di me arrivi sempre in ritardo e fai arrabbiare Aliena…sei irrecuperabile.
Ad ogni modo, ha fatto bene a farvi trasferire da noi. Mi raccomando, tratta bene la mia stanza.
Qui al fronte si combatte giorno e notte, sono sfinito. Come se non bastasse, re Stefano è stato catturato e per un po’ nell’esercito è regnato lo scompiglio più totale. In quanto miglior cavaliere –so che non mi crederai ma è così davvero, non mi sto vantando- ho dovuto negoziare per la sua liberazione: A Matilde, in cambio, abbiamo dovuto consegnare il figlio del sovrano. Secondo i patti, Stefano non avrebbe dovuto più attaccare la legittima erede al trono ma, ovviamente, non è stato così e adesso le ostilità sono riprese. Ora devo andare, ho un consiglio di guerra che mi aspetta. Non metterti nei guai mentre io non ci sono.
                                                                                                                                                                                                                                      Rich
                                                                                                                                                                               
Ancora una volta, nel leggere la firma le si strinse il cuore. Passò alla seconda, decisamente più breve.

Mi sono sbellicato dalle risate quando mi hai detto del nodo che hai fatto per sbaglio ai fili di lana, per fortuna adesso devi solo tingerli. Avremmo dovuto assegnarti subito questo compito viste le tue innate abilità nel tessere.
Non credere che il fronte sia un bel posto -non lo è per niente- né tantomeno è emozionante. Qui si combatte per la vita o la morte e non c’è niente di eroico. Credimi.
                                                                                                                                                                                                                                                  Rich

L’ultima, era lunga appena due frasi.

Sono ancora vivo. Spero di tornare presto.
                                                               Rich


Ogni volta che guardava il terzo foglio, non poteva fare a meno di chiedersi come mai il ragazzo le avesse scritto un messaggio così breve e perché non le arrivassero sue notizie da mesi. Si era forse innamorato di qualche infermiera del fronte?Oppure era accaduto qualcosa di peggio?
Si strinse le braccia al petto e sfogò tutto il dolore e la preoccupazione che aveva tenuto dentro in quelle settimane.
Dopo un tempo che non avrebbe saputo calcolare, sentì bussare alla porta.
-Sono Lore. Posso entrare?-
Come sempre, il fratello non aspettò risposta e fece il suo ingresso nella stanza. Bea era ancora seduta sul pavimento, ma aveva messo via le lettere.
Il gemello l’affiancò. –Come stai?-
-Bene adesso.- rispose e non mentiva. Era come se il pianto l’avesse liberata, almeno in parte, da tutte le sensazioni negative, l’aveva svuotata; ora, si sentiva tranquilla.
Il ragazzo annuì. –Ti va di dirmi cos’è successo?-
Lo guardò per alcuni istanti. Aveva un po’ paura a raccontargli di Alfred. Che cos’avrebbe pensato?Molte volte lei ed il gemello avevano combattuto tra loro, ma quello era diverso…
Improvvisamente le vennero in mente tutte le conversazioni serali che avevano avuto negli ultimi tempi. Per impedirle di pensare a Richard, pur di farla parlare, Lorenzo le aveva perfino rivelato il nome della ragazza che l’aveva colpito al loro arrivo a Kingsbridge. Era stata Aliena, ma ben presto aveva capito che il suo cuore era già di un altro.
-Un monaco non è granché come nemico in amore.- gli aveva fatto notare, ma lui aveva scosso la testa.
-Il loro amore è troppo forte. E’ uno di quelli che può superare qualsiasi ostacolo. E’ indistruttibile.-
Si riscosse da quel ricordo e guardò gli occhi verdi del fratello. Meritava una risposta. E sarebbe stato dalla sua parete.
-Ho picchiato Alfred.- confessò.
Per un attimo il viso del gemello rimase immutato, poi scoppiò in una risata. Bea era sconvolta: non si aspettava di certo una reazione del genere.
Tra una risata e l’altra, Lorenzo chiese:-Sul serio?Perché?-
-E’ stato maleducato. Mi ha baciato senza permesso.-
Il ragazzo riacquistò un certo autocontrollo. –Come ha osato?Spero tu gli abbia dato una bella lezione o domani lo concerò io per le feste.-
Drizzò il busto e assunse un’aria superiore. –Ovviamente, me la sono cavata egregiamente.-
Si scambiarono un cinque, poi Beatrice si tuffò tra le sue braccia e lo strinse forte. Proprio non sapeva come avrebbe fatto senza di lui.



Spazio autore
Suppongo che molti di voi pensassero ormai che questa storia non avrebbe avuto più alcun seguito... bé, forse vi sbagliavate XD
Ammetto di averci messo secoli per aggiornare, a mia discolpa, posso dire soltanto che stavo lavorando ad un proggetto piuttosto impegnativo, perciò mi scuso mille volte con tutti i lettori e vi ringrazio per la vostra pazienza.
Un grazie speciale va a Nyala_ che nonostante tutto ha continuato a sperare in un aggiornamento e mi ha fatto sentire il suo appoggio. Grazie mille, ho molto apprezzato =)
Infine, un'ultima scusa: ho steso il cappy più veloce che ho potuto, per non farvi aspettare ancora, perciò perdonatemi se forse non sarà scritto proprio bene.
Un bacio a tutti,
Vivix =)

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Capitolo 7
*** Compromesso ***


Compromesso
 
Il mattino seguente, già tutti erano al corrente della rissa tra Beatrice ed Alfred.
Quando la ragazza aveva raccontato l’accaduto ad Aliena, con sua sorpresa, questa era stata dalla sua parte ed era parsa pure piuttosto soddisfatta –sembrava che avesse qualche conto in sospeso col moro- si era soltanto preoccupata che l’attività ne risentisse, ma non fu affatto così. I primi giorni, i curiosi si aggirarono nei pressi della bottega, tenendosi però a debita distanza. Guardavano l’italiana, alcuni con timore, altri con ammirazione o sdegno. In quei momenti, Bea avrebbe voluto tornare alla sera prima e cancellare ciò che era avvenuto, ma poi pensava che se quelle occhiate erano il prezzo da pagare perché nessuno più la importunasse, allora sarebbe stata felice di sopportarle. Col passare del tempo, i pettegoli presero coraggio e anziché aggirarsi come ladri intorno al negozio, entravano, fingevano di essere interessati alle lane mentre, invece, la studiavano di sottecchi e dopo un po’, uscivano con un pacchetto sottobraccio, tanto per non sembrare scortesi. James, che quella sera non era presente, era venuto a sapere tutto dagli avventori della locanda ed era corso da Bea per maggiori dettagli. La ragazza aveva provato a soffocare la curiosità del bimbo restando sul vago, ma non c’era stato verso e alla fine aveva dovuto vuotare il sacco. James era rimasto estasiato dal fatto che fosse riuscita ad avere la meglio su un uomo e a nulla valsero le parole di Bea, che aveva tentato invano di fargli capire che si era trattato solo di fortuna, che se Alfred non fosse stato ubriaco fradicio, non avrebbe avuto gioco così facile. Proprio dal bambino era venuta a sapere che Alfred aveva colorato la vicenda a modo suo: era stata Beatrice che, senza alcun motivo, lo aveva aggredito e lui, che era un galantuomo, non aveva reagito –non avrebbe potuto far del male ad una donna nemmeno con un fiore- così si era lasciato picchiare. Quando James le raccontò la balla, andò su tutte le furie e sarebbe andata dritto dall’aggressore se Lorenzo non l’avesse fermata. Per fortuna, il bimbo era dalla sua parte e da quel momento si impegnò a raccontare a tutti la verità.
Martha, che era amica di Bea e James, non sapeva a chi credere. Si era ritrovata a casa il fratello infuriato e con la faccia sanguinante e lì per lì aveva creduto alla sua versione dei fatti ma già il mattino seguente, aveva non pochi dubbi. Ad ogni modo, non si fece vedere per un po’ all’emporio di Aliena e quando Bea l’incrociava per caso per strada, la bimba fissava la punta delle scarpe e fingeva di non vederla.
Non ci volle molto perché iniziassero a girare voci d’ogni tipo su Bea. C’era chi diceva che era un uomo travestito da donna perché aveva disertato, altri raccontavano che fosse affetta da un morbo gravissimo che faceva comportare le femmine come maschi; infine, c’era perfino chi sosteneva che fosse una strega sfuggita all’Inquisizione italiana. I monaci iniziarono a ronzarle intorno come le api fanno coi fiori, per verificare che se si trattasse soltanto di dicerie o meno e la ragazza fu costretta a lasciare Kingsbridge.
 
-Ti ripeto che non ho nessuna voglia di andarmene!- protestò un pomeriggio.
-E io invece ti ripeto che devi farlo.- controbatté Lorenzo, il viso paonazzo.
-Non ho fatto nulla di male!Se fossi stata un uomo tutto questo non sarebbe successo.-
-Ma tu non sei un uomo, sei una donna e che ti piaccia o no, le cose sono diverse!-
Bea incrociò le braccia al petto e si voltò verso la finestra, per impedire che il biondo le vedesse gli occhi affollati di lacrime. Lo udì fare alcuni respiri profondi, sentì la sua mano sulla spalla e quando parlò, il suo tono era calmo.
-Sarà soltanto finché non si calmano le acque e non sarai da sola: andrai a stare dalla mamma di Jack.-
Si strappò le lacrime dagli occhi, con foga. Non la disturbava tanto il fatto di doversene andare, quanto piuttosto che tutto ciò fosse successo soltanto a causa del suo sesso. Ma Lorenzo aveva ragione e a lei non restava che seguire l’idea del monaco dai capelli rossi. Fece un sospiro, sconfitta. –Preparo le mie cose.-
 
Partì dal villaggio con solo una bisaccia, a metà del giorno così nessuno notò il suo allontanamento. Jack l’accompagnò nel bosco lì vicino, in un punto più nascosto degli altri.
-Su, non fare quella faccia.- le disse mentre la guidava tra gli alberi spogli.
-Non sto facendo nessuna faccia.- rispose innervosita, inerpicandosi su un cumulo di terra.
-Sì, invece.- insisté l’altro, la voce affaticata. Per via della tunica, si stava stancando il doppio.
Fece un gesto stizzito con la mano. –E’ solo che tutto questo mi fa rabbia.-
-Lo so, hai ragione, ma non preoccuparti.- la guidò verso le pendici della collina alla loro destra. -Parlerò col priore Philip; vedrai, tra qualche giorno tutto tornerà come prima. Nel frattempo, avrai buona compagnia.- disse, indicandole l’ingresso di una caverna. Sulla soglia, seduta a terra a gambe incrociate, c’era una donna: Ellen. Beatrice l’aveva già vista altre volte a Kingsbridge mentre parlava con Aliena o Jack, ma non si era mai soffermata molto sulla sua figura e quella fu la prima volta che la studiò attentamente. La madre del monaco aveva il viso selvaggio, incorniciato da lunghi capelli ribelli, tra i quali si intravedevano trecce; portava un vestito femminile ma logoro e strappato in più punti; i piedi, erano nudi. Nel vederli, la donna si alzò e abbracciò il figlio.
-E’ bello rivederti.-
-Anche per me, madre.-
Bea li osservò per alcuni secondi. L’invidiava profondamente. Lei nemmeno lo ricordava il viso di sua mamma.
Dopo poco i due si staccarono.
-Ciao, Beatrice. Jack mi ha detto ciò che è successo. Sei la benvenuta qui e mi congratulo per il tuo comportamento. Era ora che qualcuno le suonasse di santa ragione ad Alfred!-
Non riuscì a trattenere un sorriso: a quanto pareva, Aliena non era l’unica di quell’idea. Il fatto che quelle persone fossero d’accordo con lei la faceva sentire meno insicura.
Ellen li invitò ad entrare nella sua modestissima dimora: era una semplice caverna, con gli angoli occupati da stracci, carne secca, borracce e poco atro. L’arredamento era pari a zero: non una mensola né un tavolo. Jack stette con loro gran parte del pomeriggio, ma verso sera dovette lasciarle.
-Ci sarà una messa tra poco e il priore vuole che vi partecipi.- spiegò.
La madre storse la bocca, profondamente contrariata. –Per quanto mi riguarda puoi anche non mettere più piede in quell’odiosa chiesa.-
Il monaco le lanciò uno sguardo accondiscendente. –Madre, ho fatto la mia scelta. E poi, non è così male come credete.-
L’altra scosse la testa. –Fa un po’ come ti pare, ma sappi che ci sarà sempre un posto per te qui.-
Si abbracciarono di nuovo, poi le due donne rimasero a guardare il ragazzo dai capelli rossi finché la sua sagoma non scomparve tra le prime ombre della sera.
Quella mattina Ellen era andata a caccia perciò toccò loro soltanto scuoiare i conigli, sviscerarli e cuocerli. A Beatrice non piaceva particolarmente sventrare quei poveri animaletti paffuti, ma quei movimenti le portavano alla mente i giorni passati a viaggiare con Lorenzo. Ormai, sembravano appartenere ad un’altra vita. Quella sera non parlarono molto: la ragazza sentiva il bisogno di stare un po’ da sola e la madre del monaco rispettò il suo silenzio. In quel momento Bea intuì che sarebbero andate d’accordo.
Il giorno dopo si svegliò completamente ammaccata: non era più abituata a dormire su un semplice giaciglio e quando le scappò un lamento, la donna rise.
-Non tutti vivono con tutte le comodità.- le disse.
-Non è niente.- mentì –Ho già vissuto così altre volte.- chiarì in fretta: non voleva che Ellen pensasse che fosse una di quelle ragazze viziate che sanno abitare solo tra la bambagia.
-Meglio così, perché dobbiamo catturare qualche animale da mettere sotto i denti.-
-Ho lasciato l’acro al villaggio.- si scusò –Con me ho solo la spada.-
La mamma di Jack si strinse nelle spalle. –Non è necessario. Basterà piazzare qualche trappola. Certo, con un’arma del genere avremmo fatto sicuramente prima, ma il tempo qui, è l’unica cosa che non manca.-
-Quando eravamo piccoli, Lore ed io facevamo delle trappole per conigli.- ricordò ad alta voce.  –Ma era una noia mortale. Bisognava aspettare un sacco di tempo.-
Quella fece ancora spallucce. –Vieni.-
Beatrice la seguì fuori dalla caverna, tra gli alberi. Insieme iniziarono a cercare dei rametti che potessero andar bene, poi li legarono con dello spago che aveva portato la donna. L’altra estremità del filo la legarono ad un pezzetto di formaggio.
-Credevo che i conigli fossero erbivori.- osservò.
-Infatti. Questo- le indicò il pezzetto giallo –serve soltanto per attirarli.-
Posizionarono il tutto su un mucchietto di terra rialzato, si nascosero tra l’erba alta, e attesero.
Beatrice cercò di ingannare il tempo contando le nuvole, ma il cielo era completamente oscurato da un’unica grande  tenda grigiastra.
Sospirò silenziosamente. –Probabilmente pioverà anche oggi.-
Ellen non alzò nemmeno lo sguardo. –Sì.-
La ragazza si strinse le braccia al petto e poggiò il mento sulle ginocchia. Non poteva fare a meno di pensare al motivo per cui era lì. Stupide dicerie, si ripeteva, eppure, la tormentavano nel profondo. Dopo un lungo silenzio, sussurrò:-Credi che abbiano ragione?-
L’altra le lanciò un’occhiata. –Chi?- domandò, ma Bea sentì che in realtà aveva capito.
-La gente di Kingsbridege. Quelle cose che dicono…-
-No.- fece quella, laconica.
-Però non c’è nessuno come me… forse è come dicono loro. Sono strana…-
-Sei solo diversa. Al contrario di quello che vogliono far credere, non c’è nulla di male nella diversità.-
-Nessuno veste come me.- le fece notare –Nemmeno tu!-
La madre di Jack alzò un sopracciglio e la ragazza si affrettò  a spiegarsi. –Sei la persona più simile a me che abbia mai incontrato, eppure neanche tu indossi le braghe.-
-Quindi, cosa pensi?-
-Forse… - la sua voce era poco più che un sussurro -forse hanno ragione. Sono malata…?-
In quel momento due grossi conigli uscirono silenziosi dall’erba ed entrambe si misero sull’attenti. Gli animali annusarono l’aria, insicuri. Uno dei due fece qualche passo avanti, ma poi tornò indietro.
Bea pensò che se avesse avuto con sé l’acro, adesso li avrebbero già presi.
L’altro coniglio saltellò verso il formaggio, seguito, dopo qualche secondo, dal compagno. Annusarono l’esca. Il più temerario la tirò verso di sé e la trappola scattò. Le due donne corsero ad agguantare il bottino di quella mattina. Mentre Ellen affondava il pugnale nel corpo del più piccolo, disse:-Non lasciarti ingannare dalle maldicenze di quei bigotti.-
Uno dei due animali lo mangiarono a pranzo, l’altro lo conservarono per la sera. Nel pomeriggio iniziarono a cadere grosse gocce di pioggia e non poterono uscire. Ellen notò la sua insofferenza e tentò di distrarla con qualche chiacchiera.
-Mi è sembrato di capire che il priore non vede molto di buon occhio nemmeno te.-
La ragazza fece un sorriso storto. –Infatti. A parte per gli ovvi motivi,- si indicò da capo a piede –non vado mai in chiesa.- ci pensò su un attimo –Anzi, ci vado, ma solo per ammirare le sue mura. Mi piace come sta venendo ma dalla funzione più sto lontano e meglio è.-
La donna ridacchiò. –Come mai?-
Bea si voltò verso l’entrata della grotta, dove l’acqua rendeva fangosa la terra. –Mia madre è stata bruciata viva dall’Inquisizione poco dopo che sono nata.- confessò d’un fiato.
Dopo un attimo di silenzio, l’altra disse:-Anche il padre di Jack.-
Sollevò le sopracciglia. –Sul serio?Non lo sapevo.-
Quella annuì e con frasi secche e brevi, le raccontò la sua storia.
 
Piovve quasi ininterrottamente per due settimane. Anche una sera, mentre erano al lavoro per cucinare il coniglio rimasto da quella mattina, ancora pioveva. La poca luce che illuminava la foresta quel pomeriggio era scomparsa, lasciando solo ombre scure. Bea stava spellando la bestiolina con un coltellaccio che le aveva prestato Ellen, quando le sembrò d’intravedere un’ombra più scura delle altre. Si bloccò, attirando l’attenzione della donna.
-Che c’è?-
-Mi è sembrato di vedere..- si zittì perché il movimento che aveva catturato la sua attenzione si ripeté, più vicino questa volta. Impugnò più saldamente il manico di legno della lama.
-Madre.-
Tirarono entrambe un sospiro di sollievo nel riconoscere la voce di Jack.
Ellen si avvicinò all’ingresso della grotta. –Chi c’è con te?-
Ormai potevano ben distinguere le due sagome che si avvicinavano: due uomini incappucciati, uno più alto e grosso dell’altro.
-Il priore Philip.-
La tensione che aveva abbandonato Bea pochi secondi fa tornò ad invaderla. Finalmente quello stupido monaco era arrivato. Quale decisione aveva preso?
I due entrarono nell’antro e si abbassarono i cappucci scuri.
Bea strinse i pugni. Non poteva aspettare ancora. Andò dritta al punto. –Allora?-
Il viso del priore si fece ancor più serio del solito e la ragazza non riuscì a trattenersi. –Non crederà mica a quello che dicono..-iniziò infuocata, ma quello alzò una mano.
-No.- rispose, calmo –Non ci credo.-
Bea stava per riprendere la parola ma quello la fermò di nuovo. –Tuttavia. Anche se al momento le voci si sono calmate, se torni al villaggio senza che le cose cambino, in poco tempo la situazione tornerà come prima, anzi potrebbe pure peggiorare.-
-Quindi?- perché quell’uomo non andava dritto al punto?!
-Perciò ti darò la possibilità di tornare a Kingsbridge a patto che entro un mese sposi un uomo.-
Ci mise alcuni istanti per capire il significato di quelle parole. –Cosa?!-
Il viso dell’altro non fece una piega. –Hai sentito benissimo. Non dovrebbe essere un grosso problema: mi sembrava d’aver capito che le cose tra te e Richard volgessero in quella direzione.-
Si sentì arrossire violentemente e sperò che l’oscurità nascondesse il colorito improvvisamente acceso. In quella direzione?!Lei non ci aveva mai neppure pensato!
-Sono mesi che non riceviamo sue notizie.- si rincuorò nel sentire che la voce era decisa.
-Sono sicuro che tornerà.-
-E se non fosse così?- il solo pensiero la terrorizzava, ma si trattava di una possibilità. Nemmeno troppo remota, in fondo.
-Un qualsiasi altro uomo del villaggio andrà bene.-
-Non..- iniziò, ma ancora una volta quello l’interruppe.
-Questa è la mia proposta. E non è trattabile.- così dicendo, si alzò il cappuccio sulla testa rasata ed uscì tra la pioggia. Jack rivolse loro uno sguardo di scuse, poi lo seguì, lasciandole nell’aria immobile della spelonca.
Quella notte Beatrice non fece altro che pensare alle parole del monaco. La condizione che le aveva imposto le faceva una tale rabbia!Non era giusto!
Odiava i ricatti, non le erano mai piaciuti e non si sarebbe sottomessa nemmeno quella volta. Dopo averci pensato a lungo, decise che sarebbe tornata a Kingsbridge e non avrebbe sposato proprio nessuno, in barba alle parole del priore!Se non gli stava bene, allora passato un mese sarebbe partita. Anche se le faceva male il pensiero di lasciare quel posto, più di quanto fosse disposta ad ammettere. In fondo si trovava bene con Aliena, Jack, James, Ellen… Richard. L’ idea di lasciare la cittadina senza nemmeno salutarlo era intollerabile, ma il suo orgoglio le impediva di sottostare alle costrizioni di Philip.
Tornò a casa della mercante e si stabilizzò nuovamente lì, decisa ad approfittare dei giorni che le rimanevano. Le voci su di lei si erano ridotte e sperava di potersi godere quelle giornate in tranquillità, ma una mattina le toccò una sorpresa inaspettata.
Aliena era sparita da vari minuti e lei e Lorenzo ne avevano approfittato per una delle loro battaglie all’ultimo colpo di vernice. Beatrice si stava asciugando dal colorante azzurro, quando una voce tremendamente familiare le arrivò alle orecchie.
-Quando il gatto non c’è i topi ballano, eh?-


Spazio autore
Avevo sperato di metterci meno per stendere questo nuovo cappy... ovviamente mi sbagliavo xD
Mi scuco con tutti i lettori, vi prego d'essere pazienti =)
A presto (spero),
Vivix

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Capitolo 8
*** Ritorno a casa ***


Ritorno a casa
 
Sentì le membra pietrificarsi. Lentamente, perché le gambe sembravano essere diventate improvvisamente pesanti come piombo, si voltò. A pochi metri di distanza c’erano Aliena, un cavallo… e Richard. Il ragazzo indossava dei semplici vestiti da viaggio, sporchi e logori; aveva il viso stanco, ma sprizzava gioia da ogni poro. Si accorse che sembrava aspettasse una risposta.
Strinse convulsamente il panno che aveva in mano e costrinse le labbra ad articolare un suono comprensibile. –Ciao.- la sua voce suonò stranamente atona, ma almeno non tremava.
L’altro sembrò interdetto. Sbatté le palpebre. –Bé, che mi saltassi addosso forse era decisamente troppo, ma mi aspettavo che fossi un po’ più felice di rivedermi.-
-Io sono felice di rivederti.-
Il moro si avvicinò, lo sguardo imperscrutabile. –Allora non ti dispiacerà se prendo l’iniziativa.-
Prima che potesse chiedergli cosa stesse blaterando, Richard colmò la distanza che li separava, e l’abbracciò. Per un attimo restò immobile, interdetta. Poi il corpo caldo di lui, le sue braccia forti, i muscoli del torace, la risvegliarono. Lo strinse, afferrandogli la maglia di tela e affondando il volto nella camicia impolverata. Puzzava di sudore e di fatica, ma profumava anche di foresta e terra. Dopo alcuni secondi si scostò.
-Che cavolo di fine avevi fatto?!Sono mesi che non ti fai sentire!-
Vedendola tornata alla normalità, il soldato sorrise. –Volevo farti una sorpresa.-
Lei alzò le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli. –Cosa?Mi hai fatto morire di paura!-
Quello fece un mezzo sorriso e la prese per mano. –Ti preoccupi per me, allora. Che carina!-
Mentre la conduceva in casa, gli diede uno scappellotto scherzoso.
Richard salutò Lorenzo, poi un mare di compaesani iniziarono a bussare alla porta per rivedere il Guerriero che tornava dalla battaglia, ancora una volta sano e salvo. Nonostante il ragazzo fosse contrario, Aliena decise che bisognava fare una grande festa e a nulla valsero le sue proteste. In men che non si dica furono chiamati suonatori, cotte pietanze, aperti botti di birra. La via si riempì di gente e fiumi di alcool iniziarono a scorrere nei boccali di legno. Prima che potessero dirsi altro, Beatrice perse di vista l’armigero.
Durante le danze, ad un tratto, le si avvicinò il gemello. Aveva i capelli scompigliati, le gote arrossate e un grosso sorriso stampato in faccia.
-Ti stai divertendo?- gli chiese.
-Certo!Tu, no?-
-Sì.- rispose, ma avrebbe preferito di gran lunga stare sola con il soldato, magari in mezzo agli alberi o sotto le stelle.
Lorenzo le si avvicinò ancora e abbassò la voce. –Adesso che Richard è tornato, non dovremo più lasciare Kingsbridge. Ti sposerà lui!-
Il buon umore scomparve in un istante e sentì i muscoli facciali irrigidirsi. Ti sposerà lui. Non voleva che il ragazzo la prendesse in moglie a causa dello stupido ricatto del priore. Non voleva assolutamente. Mormorò qualcosa d’incomprensibile, vuotò il boccale che stringeva in mano, e scomparve nell’oscurità, lontano dalla bolgia.
 
Quella notte dormì nella stanza di Aliena, mentre Lorenzo restò con Richard. Il giorno dopo parlò con la mercante di quella situazione.
-Lore ed io dovremo trovare un’altra sistemazione. Potremmo tornare alla locanda, anche se così finiremmo subito i soldi. Tuttavia, non manca molto per saldare il nostro debito.- disse, più a se stessa che alla donna.
-Quell’oste odioso vi spelacchierebbe in pochi giorni. E’ meglio se restate qui.-
-Aliena, non possiamo più stare nella stanza di tuo fratello.- le fece notare.
L’altra alzò le spalle. –Potremmo fare come stasera, se non vi dispiace dormire sui giacigli… Lo so che non è il massimo, ma almeno non dovrete pagare nessuna stanza...-
Bea non era convinta, non voleva approfittare dell’ospitalità di Aliena, perciò rispose:-Ne parlerò con Lore e ti farò sapere.- poi si diresse verso il grosso recipiente di legno che conteneva la pittura azzurra che era rimasta dal giorno prima ed iniziò il lavoro.
 Richard si alzò tardi, nel pomeriggio –doveva essere davvero stanco- e dopo aver messo qualcosa nello stomaco, la raggiunse vicino al colorante.
-Sì.- disse –Sei decisamente più portata per questo compito.-
Lei gli fece una linguaccia, ma le labbra si piegarono all’insù. Il ragazzo si avvicinò e intinse a sua volta un lungo filo di lana nell’acqua azzurra.
Bea non riuscì più a trattenersi. –Raccontami qualcosa del fronte.-
Il viso dell’altro si tese leggermente. –Cosa vuoi sapere?-
Scosse la testa, gli occhi sognanti. –Tutto.-
L’altro l’osservò meravigliato. –Non c’è molto da dire. La mattina si combatte, il pomeriggio si combatte, la sera si combatte, la notte, se sei ancora vivo, si dorme. Poi inizia di nuovo tutto daccapo.-
Non era affatto soddisfatta di quella secca risposta. –Siete in molti nell’esercito di re Stefano?Hanno tutti armature belle come la tua?A proposito, dov’è?Non l’ho ancora vista.-
-E’ chiusa nell’armadio e, sinceramente, non la voglio vedere per un po’.-
-Se vuoi, posso farti da scudiero mentre sei qui.- disse, ma suonava più come “ti prego, fammi essere il tuo scudiero!”.
Il moro la guardò divertito e sorpreso insieme. –Se ci tieni tanto, ma non varrà come scusa per diminuire le ore di lavoro al negozio.-
Bea s’illuminò. –Certo!- adesso, non vedeva l’ora che arrivasse la pausa pranzo. –Come mai hai deciso di diventare un soldato?- chiese, e le sembrò che un’ombra oscurasse gli occhi del ragazzo, ma non se ne curò e continuò:-Sai, in questi mesi me lo sono sempre domandato. Sembri più una femminuccia che un grande armigero.- lo stuzzicò.
Lo sguardo di Richard si perse nel vuoto, la mano si strinse a pugno. Quando rispose, la voce era tesa.  –Mio padre era conte di Shiring.- esordì –Con un complotto fu ucciso e gli Hamleigh  s’impadronirono delle nostre terre. Prima che ci lasciasse, Aliena gli ha giurato che ci saremmo ripresi il titolo. E’ per questo che compiaccio re Stefano nelle battaglie.-
Seguì un lungo silenzio. Beatrice non sapeva che dire: non avrebbe mai neppure immaginato che la mercante ed il ragazzo che le faceva battere il cuore fossero conti. E sì, che nel portamento di entrambi c’era qualcosa di altero.
Ad un trattò Richard sembrò rimetterla a fuoco e piegò un angolo della bocca all’insù. –Prima ero una femminuccia, proprio come pensi tu.-
Ricambiò frettolosamente il sorriso e fuggì i suoi occhi, ancora imbarazzata. Sviò l’argomento. –Vivete nelle tende, al fronte?-
 
Il Guerriero non scherzava quando le aveva detto che il lavoro al negozio sarebbe venuto prima di quello di scudiero: non le permetteva mai di iniziare in ritardo o di finire un po’ prima e così non c’era mai tempo. Quando, invece, avevano qualche minuto, Richard la liquidava con qualche scusa. Più di una volta avevano litigato. Bea era davvero stanca di rimandare –voleva mettere le mani su quell’acciaio!- così una domenica sera non gli lascò scelta. Dopo cena, mentre Lorenzo aiutava Aliena, lo costrinse a mostrarle l’armatura.
-Allora?- domandò guardandosi intorno –Dov’è?-
L’altro sospirò e rovistò nell’armadio finché non ne trasse un grosso e pesante sacco di tela. –Prego.- disse mettendogliela ai peidi –E’ tutta tua. Divertiti a lucidare.-
Senza dire una parola, si sedette sul pavimento di legno e tirò fuori i pazzi di metallo. Un gambale, la cotta di maglia, l’elmo, gli schinieri… in poco tempo l’equipaggiamento completo del ragazzo fu sotto i suoi occhi. Sollevò lo scudo –era più pesante di quel che credeva- ne accarezzò la superficie con amore, come se si trattasse di un vecchio amico.
Il moro fece una mezza smorfia. –Che fai?-
-Niente.- afferrò lo straccio ed iniziò a lucidare.
Ad uno ad uno, tutti i pezzi dell’armatura passarono sotto le sue mani. Per ultima, prese la spada. Si trattava di un’arma ad una mano e mezza, come la sua, ma questa era più pesante e aveva la lama più larga. L’elsa, era sobria, ornata giusto da qualche parola in latino.
-Non avevo mai visto la tua daga.-
-Nemmeno io la tua. Non la portavi prima.- indicò col mento la lama che aveva assicurata al fianco. Lei non rispose così continuò:-Aliena mi ha detto cos’è successo con Alfred.- Bea alzò lo sguardo, ma non disse nulla.
-Voglio che tu sappia che finché ci sarò io, sarai al sicuro.- Richard aveva parlato guardandola dritto negli occhi, sicuro, protettivo, deciso e Bea sentì il viso infiammarsi.
Il moro fece un passo verso di lei, ma abbassò gli occhi. Ci fu un attimo di silenzio, poi, come se niente fosse successo, l’altro chiese:-Mi fai vedere la tua spada?-
Sempre osservando il pavimento, la sfilò dal fodero e gliela porse. L’osservò mentre soppesava la daga, la faceva ruotare, menava fendenti a destra e sinistra. Prima che riuscisse a fermarsi, disse:-All’accampamento ci sono molte donne?-
Quello si bloccò e volse nuovamente le iridi verso la sua figura. –Alcune. Cucinano o curano i feriti.-
-Le conosci bene?-
-Quasi tutti le conoscono.- Bea trattenne il fiato –Ma io non sono uno di quelli.- concluse e la donna sentì i battiti tornare normali.
Richard le si avvicinò porgendole l’arma. –E’ un ottimo esemplare.-
La rimise nel fodero e quando alzò la testa, erano così vicini che quasi potevano sfiorarsi. Come se non avessero mai abbandonato il discorso, il soldato disse:–Non ci ho mai nemmeno parlato, perché ne avevo un’altra nella mente.-
Il cuore iniziò a batterle così forte nel petto che temette potesse uscire da un momento all’altro. Il moro le carezzò la guancia col pollice e le parve di andare a fuoco. Quando i visi furono così vicini da rubarsi i respiri a vicenda, le palpebre le si chiusero.
Le labbra di Richard si incastrarono alla perfezione con le sue, nemmeno fossero state create apposta e, sebbene fossero screpolate, le sembrò il tocco più bello del mondo. Sentì le mani dell’armigero stringersi intorno alla sua vita e seguirle la curva della spina dorsale; una le si poggiò dietro la nuca e la spinse dolcemente ad approfondire il contatto. Con ogni percezione amplificata al massimo, si alzò sulle punte ed intrecciò le dita ai capelli castani dell’altro. Le sembrò che ogni secondo passato a contatto con lui le guarisse ferite invisibili e la facesse rifiorire. Annullò le preoccupazioni dei mesi nei quali erano stati lontani, le lacrime versate sulle lettere, l’aggressione di Alfred, il ricatto del priore…
…il ricatto del priore…
Non poteva lasciarsi andare.
Se il guerriero fosse venuto a sapere dell’accordo, avrebbe pensato che la sua era solo una tattica. Che lei non provava nulla.
Doveva evitarlo ad ogni costo.
Tentò di allontanare il viso, ma si accorse di essere pressata tra la parete e il corpo del ragazzo. Sentirlo così vicino era talmente bello che prese in considerazione l’idea di rimanere lì per sempre, ma si costrinse a poggiargli le mani sul petto e spingere leggermente. Dopo alcuni istanti, Richard le liberò la bocca.
-Ho attraversato l’inferno per questo.- le mormorò a fior di labbra.
 
Si rigirò ancora nel giaciglio improvvisato nella stanza di Aliena, ma non riusciva a riprendere sonno. Pensava e ripensava alla sera precedente. Era praticamente scappata via, senza dare a Richard alcuna spiegazione. Cosa pensava adesso?Come l’aveva presa?E lei, come avrebbe dovuto comportarsi?Erano domande assillanti che non volevano saperne di abbandonarle il cervello. Quando la mercante, dal piano sottostante, la chiamò ancora una volta perché si alzasse, decise che avrebbe fatto finta di niente, come se la loro conversazione fosse terminata parlando delle spade.
Quando constatò che nella cucina c’erano solo Lorenzo e Alinea, tirò un sospiro di sollievo, ma Richard non ci mise molto a scendere. Bea tenne accuratamente gli occhi sulla tazza che stava sciacquando mentre il ragazzo scendeva le scale.
-Buongiorno a tutti.- li salutò.
Lore e la mercante ricambiarono, ma lei sentiva la bocca sigillata. Continuò a lavare le stoviglie. Aliena andò ad aprire il negozio mentre il suo gemello affiancava Richard al tavolo.
Bea sentì il guerriero domandare:-Il pane nero è finito?- e Lorenzo rispondere:-No, l’ho visto prima. Credo che l’abbiano già posato.-
Lo sguardo del soldato si spostò su di lei, accovacciata vicino ad un catino. –Bea ci passi il pane?O, anche il miele. Sono nella credenza.-
Sentì lo sguardo infiammarsi e si alzò di scatto. –Non sono mica la tua serva!-
I due la guardarono sorpresi ma prima che potessero dire qualsiasi cosa, lei fuggì via, nel negozio.
Cosa diavolo le era preso?Perché aveva risposto in quel modo?Strinse un pugno. Stupida. Sei una stupida, pensò.
 
A metà mattina, Richard si avvicinò al recipiente dove stava lavorando.
-Dormito male stanotte?-
-Per niente.- si affrettò a rispondere –Perché avrebbe dovuto essere?-
L’altro si strinse nelle spalle. –Ti sei arrabbiata per nulla prima. Di solito si è particolarmente suscettibili quando si è stanchi.-
-Uhm, effettivamente una riduzione delle ore di lavoro non sarebbe male.-
-Ah!Ti piacerebbe!-
Perché l’armigero si comportava così?Si era aspettata che dopo l’insensata uscita di quella mattina, -per non parlare della sera prima- l’avrebbe maledetta in ogni modo, e invece il moro sembrava serenissimo.
Bea, si disse, non t’importa. Ricorda quello che ti sei ripromessa. La conversazione è finita con le spade, le spade, le spade…
-Sai perché quando sono arrivata a Kingsbridge cercavo il Guerriero?-
Richard non sembrò turbato dall’improvviso cambio d’argomento. –No.-
Smise di far oscillare il filo di lana che teneva in mano. –Volevo chiedergli di allenarmi.-
Adesso era sorpreso. –Cosa?-
-Proprio così.-
-Intendi con la spada?Vuoi imparare ad usarla?-
Fece una smorfia irritata. –So già utilizzarla. Ma voglio diventare più brava.- cercò di giustificarsi -Sai, Lore è un pigrone e allenarsi da soli non è proprio il massimo del divertimento.-
-Bea non c’è nessun bisogno di…-
Non lo lasciò terminare. –Non lo faccio perché ho paura, ma perché mi piace. Allora?Mi allenerai?- sentiva che da un momento all’altro il corpo le sarebbe scoppiato per via della tensione: finalmente, dopo mesi, il suo sogno forse stava per realizzarsi.
-Non credo che sia una buona idea.-
Sgranò gli occhi. Stava per lanciarsi in una lunga lista di imprecazioni miste a preghiere, quando il ragazzo fu chiamato dalla sorella. Le sue suppliche avrebbero dovuto aspettare.
Nei giorni che seguirono, Bea cerò di convincere il ragazzo in ogni modo, ma quando non era impegnata a implorarlo, non faceva che rispondergli male. Era consapevole che fosse la tattica peggiore che potesse scegliere, ma in realtà, non riusciva ad impedirsi di sbottare. Non ne capiva nemmeno il motivo.
Finalmente, una mattina presto riuscì a convincerlo.
-Dai sbrigati!- gli urlò.
Si trovavano in una radura nel bosco vicino Kingsbridge, dove a volte si era esercitata con Lorenzo. Finalmente Richard la raggiunse e lei sguainò la lama. Appena le sue mani toccarono l’acciaio, sentì l’adrenalina scorrerle a fiumi nelle vene; alzò il braccio e la luce si rifletté sull’arma; si sentì felice, libera. In fine, stava per dimostrare al moro quanto valeva.
-In guardia!- gridò, gli occhi che brillavano.
Pensando che non ne sapesse nulla di scherma, inizialmente il soldato si limitò a parare i colpi, ma bastarono pochi minuti perché si accorgesse che Bea sapeva quel che faceva. Dopo alcuni tentennamenti, il soldato si ritrovò a fare sul serio. Parava e attaccava senza sosta, usava ogni schema che conoscesse, cercava di anticipare le mosse dell’avversaria, ma a lungo la situazione restò invariata: erano pari. A poco a poco però, la stanchezza si fece sentire, per la ragazza più che per il moro, che invece era molto più avvezzo a quel genere d’esercizio. L’italiana fu costretta ad indietreggiare più volte, lasciò falle nella sua difesa, e per il fratello di Aliena fu facile approfittarne. Dopo pochi altri minuti, le puntò la lama alla gola.
-Ho vinto.- annunciò ansimante.
Senza ribattere, l’altra si lasciò cadere a terra. Anche se aveva perso, non riusciva proprio ad essere arrabbiata. Era stato un duello formidabile e in più adesso Richard sapeva di cosa era capace.
-Voglio la rivincita.-
Quello le lanciò un sorriso sghembo. –L’avrai, ma non adesso. Si è fatto tardi e dobbiamo andare ad aiutare Aliena:oggi iniziava la fiera.-
La ragazza non credeva alle proprie orecchie. Aveva detto “l’avrai”. Significava che il combattimento era piaciuto anche al guerriero e che accettava quest’insolita passione che aveva.
-E’ una promessa.-
Si riposarono ancora per lunghi minuti, alla fine, presero la via per il paese. Anche da così lontano, quel giorno Kingsbridge sembrava affollatissima. Le vie per arrivare alla cittadina erano affollata, e tra le case di legno si aggirava un mare di persone.
-Solo a Firenze ho visto così tanta gente tutta insieme.- commentò.
A poco a poco si avvicinarono e riuscirono a distinguere meglio i contorni delle cose. La folla non era più un’unica striscia colorata, ma si era divisa in persone che correvano da ogni parte. Beatrice aguzzò gli occhi, una strana sensazione sotto pelle. Dopo pochi secondi, Richard diede voce ai suoi timori:-C’è qualcosa che non va.-


Spazio autore
E il nuovo capitolo è pronto! =)
Incredibile, vero? XD

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Capitolo 9
*** Attacco a sorpresa ***


Attacco a sorpresa
 
All’unisono, aumentarono il passo, fino a che non si ritrovarono a correre a perdifiato. Man mano che si avvicinavano, era chiaro ciò che stava succedendo: gente che scappava da ogni parte, grida, uomini a cavallo che impugnavano spade e torce.
Kingsbridge era stata attaccata.
Sguainarono le spade e cercarono di farsi largo tra la folla. Nessuno dei due parlò, ma entrambi sapevano dove erano diretti: alla bottega, da Aliena e Lorenzo.
Beatrice veniva urtata e spinta in continuazione, più di una volta la folla che fuggiva minacciò di separarla da Richard, allora spintonava e assestava gomitate a chiunque le fosse d’ostacolo. Finalmente, sudati e col fiato mozzo, giunsero al negozio. La ragazza si precipitò al piano superiore, mentre il soldato perlustrava quello di sotto. Spalancò le uniche due porte che si trovavano nel piccolo corridoio, guardò perfino sotto i letti, ma niente, erano vuote. Scese le scale a tre a tre e ritrovò il guerriero.
-Su non ci sono.-
-Nemmeno qui.-
 -Dobbiamo trovarli!-
L’altro le si avvicinò e le strinse un braccio. –Sono sicuro che hanno trovato riparo nella cattedrale. Va’ lì anche tu e restaci finché non sarà tutto finito.-
-E tu cosa farai?- perché non andava anche lui?Lo fissò, i capelli sudati erano appiccicati alla fronte, la camicia era impolverata; e sentì un nodo allo stomaco: qualcosa le diceva che ciò che stava per sentire, non le sarebbe piaciuto.
-Resterò qui a combattere: sono uno dei pochi che sa davvero maneggiare un’arma, non posso abbandonarli.-
-Rimango anch’io.- rispose decisa -Posso dare una mano.-
-Non dire idiozie, Bea!-
Il tono che aveva usato, -un misto tra il seccato, l’arrabbiato e  il preoccupato- fu come un pugno in pieno stomaco.
Perché diceva così?Quella mattina gli aveva fatto vedere ciò di cui era capace, perché adesso le ordinava di mettersi al riparo come una ragazzina qualsiasi?
Tentò di farlo ragionare. –So usare la spada, posso…-
-Dannazzione, Bea!- le urlò in pieno viso, i lineamenti stravolti.
-Ti ho dette di andartene da qui, hai capito?- la trascinò a forza fuori dall’abitazione e la spinse in direzione della cattedrale. –Vattene!-
L’italiana sentì gli occhi affollarsi di lacrime, fece un passo indietro, più per la sorpresa che per altro. Poi un altro. E un altro ancora. Si voltò e corse via.
La vista era appannata e il petto era scosso dai singhiozzi. Correva, correva alla cieca. Non in direzione della chiesa dalle candide mura, ma lontano dall’uomo che le aveva urlato contro così forte da farla tremare di paura.
Ad un tratto si sentì afferrare per il braccio. Si voltò e vide un uomo dalla barba incolta, malamente vestito, con lo sguardo malvagio e voglioso. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, la sbatté contro un muro, una mano in mezzo alle cosce. Istintivamente, per allontanarlo, mosse il braccio destro. Si accorse di averlo trafitto con la spada, soltanto quando lo vide accasciarsi su se stesso. Gli occhi che fino a un attimo prima l’avevano terrorizzata, ora vitrei. Tirò indietro l’arto e la lama fuoriuscì dal corpo con un risucchio fastidioso.
Aveva usato la spada tante volte prima d’allora.
Ma non aveva mai ucciso.
Si stupì di non sentirsi turbata. Non provava dispiacere per quell’uomo che non si sarebbe mai più rialzato. Anzi, si sentiva sollevata. Rincuorata.
Si guardò attorno. I guerrieri a cavallo incendiavano le abitazioni, devastavano il paese, uccidevano senza pietà donne e bambini. Degli uomini afferravano ragazzine e le sbattevano a terra per fare cose indicibili. Spostò gli occhi sulla lama. Lei poteva aiutare quelle persone. Doveva farlo.  Con un urlo selvaggio, si buttò in quel mare di corpi. Agitò la spada da ogni parte, colpendo chiunque facesse parte di quella brigata che aveva invaso Kingsbridge. Improvvisamente sentì un dolore pungente esplodere dall’ avambraccio destro ed irradiarsi per tutto l’arto. Stupita, si guardò. La manica della camicia era strappata e lasciava intravedere un profondo taglio slabbrato che già iniziava a colare sangue. Spostò gli occhi sull’omaccione che gliel’aveva procurato e prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, gli mozzò la testa con un unico fendente. Ben presto si ritrovò coperta di ferite superficiali, le forze le abbandonarono le membra, i movimenti si fecero più lenti, gli arti appesantiti dai vestiti inzuppati di sangue. Improvvisamente, in mezzo alla calca le sembrò d’intravedere una figura familiare.
-Aliena!- urlò, ma la donna continuò a correre, disperata.
-Aliena, la cattedrale è dalla parte opposta!-
La mercante non sembrò sentirla e continuò per la sua via.
Abbatté il nemico che le era davanti e tentò di seguirla, ma ben presto la folla l’allontanò. Bea non si diede per vinta, pensava di sapere dove fosse diretta la sorella di Richard. Poteva andare in un unico posto, ma perché?
Dopo un tempo che le parve infinito, avvistò la bottega e con sollievo vide che Aliena era proprio lì. Ma il conforto durò poco poiché si accorse che la donna era a terra, e su di lei torreggiavano due uomini a cavallo. Quello più vicino teneva una torcia in mano e sembrava si stesse preparando a lanciarla su Aliena.
Senza che se ne rendesse conto, un urlo le sgorgò dalla gola:-No!-
Si lanciò verso il cavaliere, la spada alta sopra la testa.
Quello si voltò per la sorpresa e Bea riuscì a cogliere l’espressione di dolore che gli attraversò il viso, quando la lama gli tranciò di netto il polso. Le urla di dolore le ferirono le orecchie, ma cercò di non considerarle; invece, calciò la torcia infuocata lontano dalla mercante. Le fiamme spaventarono il cavallo dell’armigero che aveva colpito, che scappò via, e fecero allontanare l’animale dell’altro uomo.
-Stai bene?- chiese rivolta alla donna, ma senza staccare gli occhi dal guerriero dai capelli rossi che avevano di fronte.
-Sì.- la voce dell’altra era ridotta a un filo.
Bea emise un minuscolo sospiro. Nel frattempo, il cavaliere la fissava con curiosità.
-Tu devi essere la donna che si comporta come un uomo. Ho sentito parlare di te.- si sporse da cavallo –Dicono che tu abbia addirittura malmenato parecchi maschi di Kingsbridge.- disse rivolto a lei, e poi alla  commerciante:-Fate proprio un bel quadretto di strambe, eh Aliena?- sputò ai loro piedi. –Scommetto che è una puttana come te.-
Il viso della ragazza si contorse di rabbia, ma prima che anche uno solo di loro tre potesse fare qualcosa, delle urla li bloccarono.
-Bea!-
-Aliena!Beatrice!-
Per la prima volta da quando quella mattina aveva messo piede a Kingsbridge, l’italiana si sentì rassicurata. Lorenzo, accompagnato da Richard, le stava correndo incontro: adesso tutto sarebbe andato bene. I due le raggiunsero e si posero tra loro e il rosso.
-Che ci fai qui, William?- domandò il moro, la voce -rabbiosa come non l’aveva mai sentita- distillava odio da ogni sillaba.
Il cavaliere tirò un angolo della bocca all’insù. –Non lo vedi?- allargò le braccia, come a voler cingere il paese. -Sto mandando a monte la fiera, così che tutti possano venire a Shiring.-
In quel momento, sopraggiunse un altro uomo a cavallo che si rivolse a quello che aveva appena parlato. –Signore, dobbiamo ritirarci!-
William annuì, senza distogliere lo sguardo da Richard. –E direi che mi è riuscito piuttosto bene. A presto, e ricordatevi che…- si allungò dalla sella -i conti non sono ancora conclusi.- disse, poi spronò il cavallo e scomparve tra la polvere.
 
Dopo la fuga del cavaliere, Lorenzo l’aveva abbracciata strettissima per alcuni secondi, Richard le aveva lanciato un’occhiata sollevata da sopra la spalla della sorella ed ora erano in casa, seduti al tavolo, mentre la padrona cercava l’occorrente per medicare chi esibiva ferite. Mentre la mercante si dava da fare con i tagli del fratello, Beatrice si rivolse al gemello.
-Sei stato colpito?-
Quello agitò la mano. –Sono solo graffi. Il sangue ha già smesso di scorrere.-
-Dove sei stato?Ti ho cercato ovunque, ero così preoccupata!-
-Quando mi sono accorto di quello che stava succedendo, ho accompagnato Aliena alla cattedrale, poi sono tornato indietro per dare una mano. Speravo che tu e Richard sareste tornati quando tutto sarebbe finito, ma non è stato così.-
Bea scosse la testa ma non poté dire nulla perché in quel momento qualcuno bussò così forte alla porta, da farle pensare che sarebbe volata via dai cardini da un momento all’altro. Il Guerriero, che era stato appena medicato dalla commerciante, andò ad aprire. Un turbine rosso e marrone si precipitò nella stanza.
-Aliena, dov’è?-
-Jack!Sono qui. Stai bene?- la mercante gli corse incontro e nel vederla sana e salva, il frate quasi non perse i sensi per il sollievo.  Si abbracciarono e per concedere loro un po’ d’intimità, l’italiana riprese a conversare col fratello.
-Volevo andare anch’io alla cattedrale- spiegò –ma poi ho capito che qui sarei stata più d’aiuto.- esitò –Non avevo mai ucciso.-
L’altro le strinse una mano, ma la guardò serio. –Lo so.- rispose –Ma hai fatto la scelta giusta.-
Bea stava per replicare, quando fu interrotta da Jack. –Vieni anche tu, Lore?-
-Cosa?Scusa, non ho sentito.-
-C’è bisogno di scavare fosse per i morti, non possiamo lasciarli in mezzo alle vie.-
Il gemello si alzò con aria stanca. –Vengo.-
Lo vide dirigersi verso la porta insieme al monaco ed Aliena, che sembrava non riuscisse più a separarsi dal rosso.
-Io arrivo tra un attimo.- questa volta era stato Richard a parlare.
Quelli annuirono e li lasciarono soli. Senza dire una parola,il ragazzo le afferrò il braccio destro, alzò la manica della camicia ed iniziò a passarle un panno bagnato intorno alla ferita.
-Faccio da sola.- disse, ma quello aumentò la stretta sul polso e le premette la pezza sulla pelle con più vigore. Le scappò un piccolo gemito di dolore, ma quello non diminuì la pressione. Capì l’antifona e non aprì più bocca: i lineamenti del soldato erano tesi e rigidi, fiamme ardevano nei suoi occhi, che in quel momento sembravano quasi neri.
Comprese il motivo di tale stato d’animo ed evitò di parlare ma, dopo alcuni secondi di interminabile silenzio, fu l’armigero ad affrontare l’argomento.
-Ti avevo detto di metterti al riparo.- iniziò, le parole masticate, a stento riconoscibili –Che diavolo ci facevi qua?E non dire che non ti sei mossa dalla bottega perché è evidente che non è stato così.- buttò con forza il panno insanguinato per terra e prese a bendarla senza curarsi di non strattonarle l’avambraccio.
-Sono rimasta nel paese. Ho dato una mano, ho combattuto.- pronunciò l’ultimo vocabolo con orgoglio.
Richard fissò le bende e sbatté un pugno sul legno. –Dannazione, ti avevo detto di andartene!-
La ragazza sentì il sangue salirle al viso. –Non l’ho fatto, va bene?So maneggiare la spada e..-
-Maneggiare, un corno, Bea!Devi smetterla di comportarti come una stupida.-
Strinse i pugni e nel farlo, sentì una fitta lungo l’arto destro. –Non lo faccio!Chiunque fosse in grado di combattere è rimasto qui.-
-Sono rimasti gli uomini!Hai capito?Uomini!Le donne e i bambini sono corsi alla cattedrale e che ti piaccia o no, tu sei una di loro. Smettila di comportarti come se non lo fossi perché le cose stanno così e non potrai cambiarle!- la voce del ragazzo era stata un crescendo: ad ogni frase il tono si alzava di varie ottave, fino a che, alla fine si era ritrovato con la faccia violacea e una grossa vena che gli pulsava al lato del collo.
Beatrice era talmente sconvolta, da non riuscire a muoversi, aveva perfino la vista appannata.
Il moro restò di fronte a lei alcuni secondi, ansimando, poi si alzò e scomparve altre l’uscio.
Come un automa, l’italiana salì le scale che portavano al piano superiore, mentre grosse gocce salate le solcavano il viso. Senza che se ne accorgesse, perse i sensi.
 
Quando si svegliò sentiva il corpo stranamente pesante, come fosse ancora addormentato. Era poggiato e avvolto su qualcosa di morbido, sembrava quasi un letto. Attraverso le palpebre filtrava la luce che le faceva vedere tutto rosso.
Aprì gli occhi. Era nella stanza di Aliena, ma l’osservava da un’angolazione strana. Dopo alcuni secondi ne capì il motivo: si trovava sul suo letto.
Che ci faccio qui?
Ricordò dell’attacco subito dalla cittadina e di come aveva combattuto valorosamente, il litigio con Richard, la perdita di coscienza. Si guardò il braccio ferito. Le bende erano macchiate di rosso, ma il sangue non sembrava fresco.
Scese le scale che portavano al piano di sotto, ma non trovò la persona che cercava. In compenso, la porticina che dava sul negozio era aperta e ne uscivano rumori. Sospirò. Aliena era incredibile: dopo quel che era successo, si era già rimessa al lavoro.
La mercante la vide e le andò in contro.
-Bea!Ti sei svegliata.- la salutò con sollievo.
Lei annuì. –Mi devo mettere all’opera..?- in realtà, si sentiva ancora piuttosto stanca.
La negoziante scosse la testa con vigore. –No. Hai estinto il tuo debito con i soldi che Lorenzo mi ha dato ieri e, anche se così non fosse stato,  l’avrei considerato tale dopo ciò che hai fatto.- le prese una mano e la strinse tra le sue –Se non fosse stato per te, adesso non sarei qui. Ti ringrazio.-
L’italiana era sbalordita. Aliena non si era mai rivolta a lei con parole così gentili.  –Figurati.- riuscì solo a farfugliare e, dopo un attimo:-Allora non ti dispiace se vado a fare un giro.-
Quella scosse ancora il capo; un sorriso a trentadue denti stampato sul viso.  –Puoi fare tutti i giri che vuoi.-
Mentre stava per andarsene, chiese:-Lore?-
-Ieri hanno finito a notte fonda di scavare. Dorme ancora.-
 
Percorse le stradine della città apparentemente senza meta, ma in realtà si stava dirigendo verso il primo luogo del paese che aveva visto. Le vie erano semideserte e le poche persone che le percorrevano, facevano attenzione a camminare rasente ai muri e ad essere silenziosi come ombre. Le case erano malandate, in alcuni punti bruciacchiate, le ricordavano la situazione che aveva trovato quando era giunta a Kingsbridge la prima volta.
Entrò al Guscio d’Oro; all’interno la locanda le parve vuota, ma così non doveva essere perché dopo alcuni istanti un turbinio nero le corse incontro. L’abbracciò al volo, gemendo di dolore per la fitta che le attraversò il braccio.
-Beatris!Ero così preoccupato.-
Osservò il bambino. Sembrava che stesse bene. –Io ero preoccupata!Ti sei nascosto nella cattedrale insieme agli altri?-
Lui annuì. –Non ti ho vista e mi sono angosciato. Sei ferita.- non era una domanda.
L’italiana si schermì. –Per lo più sono solo graffi. Solo questa- gliel’indicò –mi fa male davvero.-
-Vieni- la prese per mano –ti porto da Jack.-
-Cosa?Perchè?-
-I monaci hanno delle ricette di roba che fa guarire più in fretta. In realtà fa schifo, puzza, ma dicono che funzioni.-
Il ragazzino la guidò sicuro per le via devastate della cittadina, fino al monastero. James chiese ad alcuni frati del loro amico –non s’intimidiva davanti a nessuno- e in breve trovarono Jack. Gli spiegò perché erano lì, poi si rivolse a lei:-Io ora devo andare o l’oste mi uccide; oggi è particolarmente nervoso.-
Lo salutò, poi si sedette al tavolaccio di legno in mezzo alla stanza ed iniziò a srotolare le bende.
Jack prese un barattolo e prese un po’ del  contenuto su una mano.
Bea storse il naso. –Accidenti, James aveva ragione. Puzza, davvero!-
Il monaco ridacchiò. –Già.- e iniziò a spalmarglielo sulla ferita. Il suo tocco, leggero e delicato, era molto diverso da quello che Richard aveva usato il giorno prima. Pensare al soldato le fece venire in mente qualcosa che voleva domandare. –Chi ha comandato l’attacco, ieri?-
L’altro non alzò lo sguardo. –Gli Hemaligh*.-
Annuì mentre il frate la bendava con stoffa pulita. –Il conte è un ragazzo dai capelli rossicci?-
-Sì.-
Come sospettava, ma se il proprietario di quella terra era il ragazzo che le aveva attaccate, perché ce l’aveva ancora con Aliena ed il fratello?In fondo, si era già impadronito della loro contea. Lo domandò allo scultore e quello sospirò. –So che hanno giurato di riprendersi ciò che era loro, ma penso che ci sia dell’altro. Qualcosa che non hanno detto a nessuno.-
-Capisco.- mormorò.
-Comunque,- fece il rosso con rinnovato spirito –dopo ciò che hai fatto per Aliena, Richard ti sposerà di sicuro!-
Si mordicchiò il labbro. –In realtà ho deciso di andarmene.- rivelò tutto d’un fiato.
-Cosa?Per quale motivo?-
-Oggi scade il mio permesso di restare nel paese e non ho intenzione di sposare Richard nemmeno se me lo chiedesse: ho capito che abbiamo idee troppo diverse su certi argomenti.- le parole che il ragazzo le aveva urlato le rimbombavano ancora nella testa. Si alzò mentre l’altro la guardava ancora sbalordito. –Ti prego di non dirlo a nessuno e salutami tu James.- gli sfiorò una mano –Addio.-
 
Quella sera comunicò la decisione al gemello. Lorenzo non ne fu contento, ma dopo alcune proteste, accettò la sua idea. Il mattino seguente raccolsero le poche cose che possedevano.
-Aliena.- la chiamò Bea. La donna si voltò e poté leggere la sorpresa nei suoi occhi nel vederli pronti per il viaggio. –Noi partiamo.- prima che potesse interromperla, aggiunse:-Abbiamo estinto il nostro debito, perciò non c’è ragione per rimanere.-
La bocca della mercante si aprì e chiuse più volte, senza che ne uscisse alcun suono. –Ma… ne siete sicuri?Ci avete pensato bene?E Richard?Non è qui, l’ho mandato a prendere della lana fuori paese, non potete non salutarlo.-
Scosse la testa. In quel momento vedere il soldato era l’ultimo dei suoi desideri. –Ci siamo trattenuti fin troppo. Ce lo saluterai tu.- mormorò un veloce addio e poi uscì, prima che l’altra potesse fermarla.
 
Riuscì a trattenere le lacrime fino a che non entrarono nella foresta, poi, grossi lucciconi salati presero a rigarle le guance.
Lorenzo le lanciò un’occhiata veloce, ma non disse nulla. Bea non gli aveva rivelato della feroce litigata che aveva avuto con Richard, probabilmente attribuiva il suo stato d’animo alla rabbia per aver dovuto cedere al ricatto del priore, ma non era così. Non l’avrebbe mai ammesso, ma in verità era ferita. Nel tempo passato a Kingsbridge si era innamorata del Guerriero e aveva più volte pensato che avrebbe potuto essere un buon compagno, anzi ne era stata sicura. Da quando era tornato dal fronte però, tutto sembrava essere precipitato. In realtà, il ragazzo non l’aveva mai compresa davvero e la sua mente era deviata dagli stereotipi come quella di tutti gli altri.
Sopraffatta dai sentimenti, prestava poca attenzione alla strada che percorrevano, per questo quando incrociarono degli uomini a cavallo, non se ne curò. Si riscosse soltanto quando la voce di uno di loro le arrivò alle orecchie.
-Io ti conosco!Sei la ragazza-uomo.-
Si voltò e i suoi occhi incontrarono un viso dalla pelle chiara, incorniciato da capelli rossi.
L’uomo che aveva aggredito Aliena.
Il  nuovo signore di Shiring.
William Hamleig.
Era circondato da altri quattro cavalieri e la stava fissando con un misto di interesse e ribrezzo.
Bea si sentì sbiancare. Con la coda dell’occhio notò Lorenzo portare la mano al fianco e l’imitò.
Il conte l’indicò. –Ne avrete sicuramente sentito parlare.- disse rivolto ai suoi scagnozzi. –E’ stata lei a tagliare la mano del nostro compagno.-
Gli sguardi degli uomini divennero feroci.
-E per questo, vi ordino di catturarla.-
Non capì subito quelle parole. Le sembrò di vedere al rilento i cavalieri che avanzavano vero di lei, Lorenzo che le si parava davanti e li affrontava. Il rumore delle spade che cozzavano l’una contro l’altra la riportò alla realtà. Sguainò la lama e andò a dar man forte al fratello. Fianco a fianco, combattevano contro i nemici al meglio delle loro possibilità, ma era una lotta impari… due contro quattro. In breve, Bea sentì le forze scemare dai tagli che le venivano inferti e si ritrovò ad ansimare. L’attenzione divisa tra due nemici, vide arrivare un colpo in ritardo e fu costretta ad una dura parata. Le lame si intrecciarono, cacciando scintille. La forza del colpo le attraversò il braccio e il dolore superò la soglia di sopportazione all’altezza del taglio ricevuto durante l’attacco di Kingsbridge. Dalle labbra le uscì un urlo strozzato e serrò gli occhi. Li riaprì appena in tempo per vedere la spada del secondo uomo che calava su di lei. Non avrebbe fatto in tempo a fermarla. Improvvisamente, un’altra daga, a lei familiare, si frappose. Lorenzo contrattaccò e riuscì ad affondare l’arma nel petto del nemico. Si voltò verso di lei, il viso sudato segnato dalla preoccupazione e dalla fatica.
-Scappa!-
Come era successo prima, dovette decifrare i suoni prima di capire cosa significassero. Scosse la testa. Non poteva abbandonarlo. Stava per riprendere ad attaccare, quando il tempo rallentò fin quasi a fermarsi. Il gemello era ancora semivoltato verso di lei, quando una scintilla argentata lo attraversò da parte a parte. Il ragazzo aprì la bocca ma Bea non sentì alcun suono. La spada fu estratta dal corpo del fratello, che prese ad afflosciarsi, a cadere da cavallo. Si precipitò verso di lui, ma non riuscì ad impedire che urtasse forte contro il terreno. Una macchia rossa già si andava allargando sul lato destro del torace. All’improvviso, fu invasa dal terrore. Premette le mani contro lo squarcio che deturpava il petto di Lorenzo, nel disperato tentativo di bloccare l’emorragia, ma sapeva che, se anche ci fosse riuscita, non sarebbe servito a nulla perché il gemello aveva un polmone perforato e anche se non l’ammetteva nemmeno con se stessa,  non c’era nulla da fare. Urlò il suo nome, gli toccò il viso.
Lorenzo già sembrava vederla solo a tratti. Quando la metteva a fuoco le diceva di andarsene, salvarsi, ma lei l’ignorava. Ad un tratto, il torace che fino a un attimo prima si abbassava e alzava freneticamente, alla disperata ricerca d’aria, si bloccò. Un'altra lama si era conficcata nel suo corpo. Gli occhi, del verde delle gemme in primavera, si adombrarono e a Bea sembrò che nello stesso istante, i suoi facessero lo stesso.
Si sentì prendere la spada di mano, ma non ne curò. Le sembrava che niente più avesse senso, non finché il cuore del fratello non avrebbe ripreso a battere. E a momenti l’avrebbe fatto, ne era sicura. Qualcuno tentò di farla alzare e allontanarla da Lorenzo ma iniziò a combattere come una furia. A mani nude contro spade, non era importante, purché non li separassero. Menò pugni e gomitate ovunque e altrettante ne ricevette. Contro ogni sua volontà, le gambe le cedettero. Si sentì afferrare per i polsi e legarglieli dietro la schiena, lo stesso con i piedi. L’issarono come un sacco e la misero su un cavallo. Nonostante avesse gli arti bloccati, continuò a dimenarsi, ma l’animale fu spinto al galoppo e il corpo del gemello si fece sempre più piccolo. Man mano, scemarono anche le sue forze e quando Lorenzo scomparve, si accasciò, vinta.

 
 
 
*** Per fortuna la fattoria dove Aliena l’aveva mandato a prendere la lana non era eccessivamente lontana da Kingsbridge e grazie alla strada deserta, era riuscito a sbrigarsi prima del previsto. Ben presto, riuscì ad intravedere il paese e spronò il cavallo ad aumentare leggermente l’andatura. Per tutta la mattinata non aveva fatto che pensare a ciò che era successo con Beatrice. Non gli capitava praticamente mai di urlare a quel modo, men che meno con le ragazze, eppure quel giorno non era riuscito a trattenersi. A farlo arrabbiare non era stato tanto il fatto che non gli avesse dato ascolto, né che aveva maneggiato la spada, quanto piuttosto il fatto che fosse ferita. La verità; infatti, era che si era preoccupato a morte nel vederla in mezzo alla mischia, proprio di fronte a quel farabutto di William per di più. Il giorno dopo la ragazza l’aveva accuratamente evitato, ma adesso era deciso a chiarire quella faccenda il prima possibile: sapeva per esperienza che spesso l’italiana fraintendeva le sue intenzioni ed era molto orgogliosa, non sarebbe mai andata a parlargli.
-Aliena!- chiamò arrivato  al negozio –Sono tornato!- sganciò la lana dalla sella mentre veniva travolto da un turbine marrone.
-Se ne sono andati, Richard!Ho provato a fermarli, ma non mi hanno dato ascolto…-
Le mise le mani sulle spalle. –Calmati. Chi se n’è andato?- la sorella sembrava parecchio in ansia.
-Lorenzo e Beatrice.- disse tutto d’un fiato.
Sbatté le palpebre, sicuro di non aver capito bene. –Cosa?-
-Hanno pagato il loro debito e hanno deciso di andarsene. Sono partiti stamattina, poco dopo di te, e sono andati verso sud-est.-
Senza dire una parola, saltò in sella e spronò l’animale al massimo. Per fortuna, dopo l’attacco praticamente nessuno era arrivato o se ne era andato dalla cittadina, perciò seguire le orme non fu eccessivamente difficile. Diverso invece, fu nel bosco, dove a causa del fogliame sulla terra, fu decisamente più complicato. Più volte si convinse d’aver preso direzioni sbagliate e tornò sui suoi passi. Nel frattempo, la sua mente era affollata da una ridda di domande. Perché avevano lasciato il villaggio?Era stato per il litigio?Bea l’avrebbe mai perdonato?Sarebbe riuscito a trovarli?I suoi sentimenti contavano così poco per la ragazza?Aveva davvero così tanto esagerato quel giorno?
Ad un tratto gli sembrò di vedere qualcosa al margine della stradina battuta e costrinse il cavallo ad un’andatura maggiore. A mano a mano che si avvicinava però, lo stomaco gli si stringeva, l’ansia l’attanagliava. Gli sembrava di riconoscere quella figura, ma non voleva crederci. Quando fu abbastanza vicino e scese dalla sella, non ci furono più dubbi. Il viso era pallido, sul petto si aprivano due grosse rose rosse, gli occhi verdi erano ancora aperti. Delicatamente, gli chiuse le palpebre, per sempre.
Strizzò gli occhi, nel tentativo di non piangere. Non poteva lasciarsi andare in quel momento, doveva ragionare. Erano stati attaccati da predoni?Lorenzo  era disteso lì… ma Bea?Bea dov’era?
Si alzò e controllò i dintorni, ma gli unici abitanti di quel luogo erano scoiattoli e roditori. Tornò dall’amico e l’issò sulla cavalcatura, stava già per andare ad ispezionare un altro posto, quando si ricordò delle orme. Nel punto dove aveva trovato l’italiano c’erano decine di zampate confuse, segno di un combattimento, più avanti, ce n’erano altre. Cinque cavalli che andavano verso di lui, quattro che si allontanavano, uno dei quali, sembrava più pesante di come era all’andata. Una piccola speranza gli si riaccese in cuore. Bea era viva!Doveva esserlo. Guardò in che direzione portasse la pista e gli si strinse lo stomaco.
Sembravano diretti a Shiring.


Spazio autore
Rieccomi qui =)
Come previsto il miracolo dell'iper velocità non si è ripetuto, ma comunque penso di aver pubblicato in tempi accettabili ;)
Enjoy! =D

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Capitolo 10
*** Prigioniera ***


Prigioniera
L’avevano portata al castello di Shiring, l’avevano letteralmente buttata e rinchiusa in una camera. Ma Bea a stento se n’era resa conto. L’avevano lasciata lì per un tempo che non avrebbe saputo definire, finché era arrivata una figura della quale non si era curata di distinguere i connotati, a curarle le ferite che si era procurata durante lo scontro. Le aveva anche poggiato un piatto con rimasugli di cibo ma l’italiana non l’aveva degnato nemmeno d’uno sguardo. Il tempo veniva scandito dal sorgere del sole e dalle visite della figura, ma in realtà non aveva per lei alcun senso. Era caduta in una sorta di trans durante il quale pareva che nulla, del mondo di fuori, potesse toccarla. In effetti, quasi non si accorgeva di ciò che la circondava, tanto era straziante il dolore che sentiva nel petto.
Una mattina la solita figura entrò nella stanza che era diventata la sua prigione. Come al solito, le poggiò di fronte, un piatto con avanzi vari; si aspettava che poi passasse a curarle le ferite; invece, si sedette all’altro capo della camera. All’inizio Beatrice non se ne curò, ma sentiva lo sguardo della presenza su di sé, penetrante. Infastidita, le lanciò un’occhiata. Fu la prima volta che si rese conto di chi fosse: una ragazzina smilza, dalla pelle chiara e i capelli color dell’oro, sarebbe stata bella se sul viso non avesse avuto segni rossi e violacei. L’italiana tornò a fissarsi le ginocchia raccolte tra le sue braccia. Chiuse gli occhi, nel tentativo vano di lenire la sofferenza, ma l’antro oscuro ch’erano le sue palpebre si accesero di colori che andarono a formare figure: un corpo su una stradina, due macchie rosse sul petto. Affondò le unghie nelle cosce, come se quel gesto potesse evitarle di vedere il viso terreo e sporco di sangue del fratello. A salvarla da quello supplizio, per fortuna, intervenne una voce.
-Sono giorni che non tocchi cibo.- il richiamo dell’altra era sottile come sembrava esserlo la sua pelle –Dovresti mangiare.-
Scosse impercettibilmente la testa. Se solo pensava al cibo, sentiva la bile salirle alla bocca.
La ragazzina fece un piccolo respiro, volse lo sguardo all’alto soffitto e poggiò la testa bionda sulla parete. Dopo un po’ disse:-Non so cosa ti abbiano fatto per spingerti a questo, ma… anch’io ci ho pensato tante volte, e ci ho provato. Morire di fame non sembra una morte troppo brutta… sempre meglio che ficcarsi una spada nel petto, comunque. Ma non ci sono mai riuscita. Di vita ho solo questa e non posso sprecarla, magari un giorno cambierà qualcosa… o forse questa è solo una bugia e la verità è che non sono abbastanza coraggiosa.- sospirò di nuovo e chiuse gli occhi.
Bea si stupì di rendersi conto che aveva ascoltato l’intero monologo della ragazzina, non prestava così tanta attenzione, da giorni ormai. Sbatté le palpebre, cercando di decifrare i suoni. Morire di fame?Pensava che volesse suicidarsi?Nel momento in cui formulò quel pensiero, ci pensò davvero. Voleva abbandonarsi al buio?Ora come ora, sembrava una possibilità allettante: era impossibile che da morti si potesse provare il dolore che sentiva in quel momento.
La piccola donna riportò l’attenzione su di lei, con curiosità questa volta. –Ho sentito strane cose su di te. Perché ti comporti da uomo?-
Ci mise alcuni istanti per capire le parole dell’ospite –dopo tutto quel tempo rinchiusa in se stessa, faticava anche a fare cose naturali come tradurre i suoni in parole di senso compiuto- poi si strinse appena nelle spalle.
Senza farsi scoraggiare, la bionda continuò:-Ne dicono di tutti i colori, perfino che si tratti di una malattia. Io non ci credo, ma spera che William ti tema al più al lungo possibile.-
Aprì la bocca per parlare, ma ne uscì solo un suono indistinto. Riprovò. –William?- la sua voce era appena un sussurro.
-Il signore di Shiring.- abbassò gli occhi –Mio marito.- mormorò.
Per la prima volta dopo giorni, oltre al dolore sentì un’altra emozione scoppiarle in petto: la rabbia. Ricordava che era per colpa sua se erano stati attaccati. Dunque era nel suo castello, forse l’assassino di suo fratello dormiva a poche stanze da lei.
La ragazzina la distolse da un’idea che le si andava formando nella testa. –Cosa ti ha fatto per ridurti così?Hai molte ferite, ma non sei stata picchiata.-
Sentì l’irrefrenabile necessità di far sapere la sua tragedia a qualcuno, in un inconsapevole grido d’aiuto. Capovolse il piatto nel vassoio. C’era una strana crema densa con pezzi di carne. Li allontanò e stese la sbobba, poi scrisse “Fratello”  e fece scivolare il vassoio per terra, fino alla moglie del colpevole. Quella fissò le lettere e Bea lesse nel suo sguardo che capì. Dopo alcuni secondi si alzò e si diresse alla porta. Quando aveva già la mano sulla maniglia, disse:-Pensi che avrebbe voluto che tu morissi?-
Quando, il giorno dopo la bionda tornò, trovò il vassoio vuoto.
 
Beatrice aveva pensato molto alle parole della ragazzina e alla fine aveva deciso che aveva ragione: Lorenzo era stato colpito per permetterle di scappare, di vivere. Se si fosse lasciata morire, il suo sacrificio sarebbe stato vano. Da quel giorno, per quanto fosse difficile, per quanto l’idea di abbandonarsi al buio fosse allettante, tornò a prendere contatto con la realtà. Ogni dì era “sveglia” qualche minuto in più. Iniziò a pensare alla sua condizione: il conte la teneva chiusa lì, senza mai farla uscire. La situazione l’inquietava, si aspettava che qualcosa di brutto accadesse da un momento all’altro e ad avvalorare i sui timori, c’erano le storie che le raccontava Elizabeth. William non aveva timore e rispetto per niente e nessuno, nemmeno per Dio, si ubriacava, ordiva inganni, uccideva, stuprava donne. A volte, attraverso le pareti, udiva le loro urla, allora si rannicchiava in un angolo e si tappava le orecchie, cercando di non sentire. Spesso, le confessò la bionda, la picchiava. Aveva pensato di scappare ma, le aveva riferito, il castello era sorvegliato, la finestra si trovava troppo in alto e in più, le era stata tolta la spada.
-Perché mi tiene chiusa qui?- le domandò un giorno e l’altra si strinse nelle spalle.
-Forse ti vede come una sorta di trofeo.- rispose, ma nei suoi occhi, lesse qualcosa di più.
 
I suoi timori si realizzarono una notte. Era tardi e stava dormendo già da ore. Fu svegliata di soprassalto dalla porta che, spalancandosi, sbatteva contro la parete. Sulla soglia c’era William, illuminato appena dalle torce del corridoio: i capelli spettinati e la faccia rossa. Negli occhi uno sguardo sfrenato. In un attimo Bea si sentì sveglissima. S’alzò dal letto e la sua mente fu bombardata da una marea di pensieri, troppi, dopo giorni di stasi. Cosa vuole?... Scappare… L’assassino di Lorenzo… Via dalla porta… Ammazzarlo…
Prima che riuscisse a muovere un muscolo, l’altro l’agguantò.
-Sarò il primo a possedere la donna-uomo!- l’alito era impregnato d’alcool.
Le tremarono le gambe. Possedere. Era dunque, arrivata la sua ora.
La scagliò sul letto e in un attimo le fu sopra. Con una mano le stringeva fortissimo un braccio, con l’altra un seno. Un gemito di dolore le dischiuse le labbra, che furono prese d’assalto dall’uomo. Premeva la bocca contro la sua, sentiva la barba graffiarle la pelle; la lingua, prepotente, invaderle la cavità orale. La mano che le stringeva il braccio la lasciò, ma il sollievo fu breve perché si spostò alla camicia, strappandola in un sol colpo. Tentò di coprirsi, ma quello gliel’impedì. Si sentì punta da mille aghi mentre le studiava ogni centimetro di pelle e le salirono le lacrime agli occhi. Nessuno aveva mai avuto quel permesso. E ora quel mostro se lo stava prendendo con la forza. Perché non provava nemmeno a combatterlo?
Una mano scese sulla pancia piatta, s’infilò nei pantaloni.
Bea sentiva gocce salate rigarle le tempie. Non era giusto.
Lorenzo non avrebbe voluto tutto ciò. E nemmeno lei. Un urlo le squarciò la gola.
–NO!-
Colpì William in pieno viso, frenando la sua corsa per la sorpresa. Cercò d’approfittarne per sfuggirgli, ma proprio quando pensava di non essere più alla sua portata, la riagguantò da dietro. Inciampò, l’alzò di peso e la ributtò sul materasso. Le si avventò contro. Le immobilizzò le gambe con le proprie e le strinse i polsi con una mano. L’altra andò alle braghe e le strattonò. Bea continuava a dibattersi, adesso, come una furia, ma i pantaloni scendevano inesorabilmente. Quando ormai il peggio sembrava inevitabile, urlò l’ultima cosa che sperava lo potesse fermare.
-Se lo fai, ti ammalerai anche tu!-
L’uomo fermò il bacino.
-Che diavolo dici?- le gridò sul viso.
-La malattia mi fa comportare come un uomo, se lo fai, somiglierai a una donna.-
-Stai mentendo!- ringhiò, ma colse nello sguardo spietato l’incertezza.
Una fiamma di speranza si accese nel suo animo. –Provaci se non mi credi.-
-Pensi che non lo farò?Posso fare quello che voglio!- le urla del conte erano sempre più rabbiose.
-Provaci e te ne pentirai. E’ la malattia.-
Il signore lanciò un urlo bestiale e la colpì in viso.
-Te la farò pagare!- gridò fuori di sé dall’ira, poi, come una furia, uscì dalla stanza reggendosi le braghe con una mano.
 
Aveva sbarrato la porta dall’interno ponendovi avanti una grossa cassettiera e si era rannicchiata sotto le coperte ma non era riuscita a chiudere occhio nemmeno per un secondo. Osservò il sole sorgere e raggiungere l’apice, poi iniziare la sua parabola discendente, ripensando a ciò che era successo quella notte. Adesso trovava che l’iniziale arrendevolezza che aveva mostrato fosse imperdonabile, ma ne capiva il motivo: l’abbandono di Lorenzo aveva fatto si che nulla le importasse più e aveva sperato che William, dopo che si fosse preso ciò che voleva, l’avrebbe uccisa. Ma aveva ricordato le parole di Elizabeth, l’avevano riscossa da quel pericoloso torpore. Anche la frase che aveva urlato un attimo prima che il conte ottenesse ciò che bramava, gliel’aveva indirettamente suggerita lei.
Improvvisamente, fu scossa da qualcuno che bussava alla porta. Si sentì attanagliare dal terrore: per tutto il giorno non si era sentito alcun suono provenire dal corridoio. Fu tentata di nascondersi sotto le lenzuola, restando il più immobile possibile per non farsi notare. Fece un grosso respiro, per prendere coraggio, poi si accostò alla porta. Bussarono ancora e questa volta sentì una voce sottile.
-Aprimi, sono io, Elizabeth.-
Poteva fidarsi?
-Non ho molto tempo..-
Spinse con una spalla la cassettiera quel tanto che bastava per aprire uno spiraglio e far passare la ragazzina. Pareva più pallida del solito e sul viso aveva nuovi segni rossi.
-Che ti ha fatto?- chiese prima che potesse frenarsi.
L’altra si spostò una ciocca dal viso. –Lo hai fatto arrabbiare molto ieri, è venuto a sfogarsi.-
Le parve che un pugno le affondasse nello stomaco. –Mi dispiace.- sussurrò.
La bionda si strinse nelle spalle. –Era parecchio ubriaco, sono riuscita a scappare. Ho rubato questi dalla cucina.- le passò un piatto colmo di avanzi. –Ho dovuto farlo di nascosto perché ha ordinato che non ti venisse dato nulla; in verità, non dovrei nemmeno essere qui.-
-Grazie.- disse semplicemente.
-Ho portato anche questi, ma credo che ti andranno grandi.- poggiò un cumulo di panni sul letto.
-Grazie.- ripeté, era davvero stupita dalla premura che le stava dimostrando.
-Come hai fatto a fermarlo?-
Masticò un pezzo di pane. –Gli ho detto che sarebbe diventato una specie di femmina.-
Adesso i suoi occhi era colmi d’invidia. –Nessuna è mai riuscita a salvarsi prima di te.-
Scese un pesante silenzio, finché Elizabeth non lo ruppe:-L’hai fatto imbestialire, vuole fartela pagare.-
-Come?-
Scosse la testa. –Non lo so, ma non sarà nulla di buono.-
 
Il giorno seguente bussarono nuovamente alla porta. Bea pensava fosse di nuovo la ragazzina, ma si sbagliava. Era una donna, quasi anziana. –Il conte vuole vederti.-
Le tremarono i polsi. –Perché?-
Si strinse nelle spalle. –Ho solo il compito di accompagnarti. Muoviti.-
-E se non vengo?- perché andare tra le braccia del lupo?
-Verrà lui a prenderti. E non ha modi molto gentili.-
Strinse i pugni. Restando rinchiusa lì non aveva possibilità di scappare, doveva uscire e quella era l’occasione giusta. Seguì la guida per un dedalo di corridoi, finché non uscirono su un cortile spoglio e impolverato. William era al centro dello spiazzo e rideva di gusto con un uomo che Bea ricordò d’aver visto il giorno dell’attacco a Kingsbridge. Rasente al muro, c’erano Elizabeth e una donna dal viso deturpato, ma a quella distanza, non riuscì a capire da cosa.
-Ecco il nostro fenomeno da baraccone!- la salutò il conte. –Hai detto che sei un uomo, giusto?E allora ti comporterai come tale.-
Un inserviente le si avvicinò con una spada in mano. Quando la riconobbe come sua, l’afferrò all’istante. Guardò il signore, dall’altro lato del cotile. Cosa voleva fare?
William sguainò la propria lama e le corse incontro, costringendola ad una serie di parate.
Non poteva crederci. Voleva sul serio che combattesse?
-Se vinco,- le disse –ti uccido. Io posso ferirti, tu non puoi toccarmi. Queste sono le regole.- ringhiò.
-Sarò io ad ammazzarti!- urlò.
Il rosso le menò un fendente. Lo parò, ma la forza del colpo fu tale da farla indietreggiare. –Non ti conviene.- fece l’altro, senza scomporsi minimamente –Se osi toccarmi, quell’uomo laggiù- indicò col mento quello con cui stava ridendo prima -ti ucciderà.-
Fu come se non avesse mai parlato. Continuò ad attaccare, con tutta l’intenzione di ferirlo, di vedere sgorgare il sangue dal suo corpo, di vederlo agonizzare ai suoi piedi mentre le chiedeva pietà e lei, implacabile, ascoltava quei rantoli, già sapendo che non avrebbe esaudito le preghiere che le venivano rivolte. Il signore di Shiring era un illuso se pensava davvero che si sarebbe sottomessa a quel ricatto, che non avrebbe colto al volo l’occasione per vendicare Lorenzo. Duellarono a lungo. William era un ottimo avversario, era dotato di grande forza bruta e molto spesso barava, perciò doveva sempre stare all’erta contro pugnali che comparivano all’improvviso o polvere buttata negli occhi. Tuttavia, era anche molto sicuro di sé e questo lo portava a lasciare scoperte molte zone della sua difesa. Beatrice coglieva al volo quelle occasioni ma quello sciagurato riusciva sempre a rimanere illeso per un soffio. Lei; invece, era piena di piccole ferite: attaccava alla cieca, guidata solo dal desiderio di spegnere la vita del conte, perciò si curava ben poco di difendersi. Presto la fatica si fece sentire per entrambi e si ritrovarono sudati e col fiato corto. Ad un tratto, il rosso si portò il polso sinistro alla fronte, per asciugarsi le gocce che gli colavano dai capelli e lasciò una grossa falla nella sua difesa. All’istante, la ragazza ne approfittò ed assestò un potente fendente al fianco del signore. Sorpreso, quello si guardò la ferita che si colorava velocemente di rosso. Lo stesso fece Bea, ma aveva nello sguardo una gioia feroce. Ammirò quel fluido scuro per interminabili istanti, poi levò il braccio.
-Questo è per mio fratello.-
Calò la lama verso il collo dell’avversario. Pregustava già la sensazione della carne debole che si lacerava sotto il filo tagliente della spada sottile.
Ma l’acciaio non toccò mai la trachea dell’avversario.
Si sentì inspiegabilmente cadere a sinistra e in un istante si trovò la punta di una daga alla gola.
Il fidato tirapiedi di William si era accorto di ciò che era successo ed era corso in aiuto del suo conte. Mentre sentiva i passi del rosso che si avvicinavano, avvertì una fitta alla gamba sinistra. L’uomo l’aveva colpita, ecco perché si era accasciata.
Il signore le assestò un calcio al fianco e istintivamente si piegò in due dal dolore, così che la lama dell’altro le ferì la pelle sottile.
-Brutta stronza!- inveì il ragazzo. –Non hai sentito le regole?Tu non potevi toccarmi!- la colpì di nuovo –Hai decretato la tua fine!- sollevò la spada, pronto per il colpo di grazia.
Bea chiuse gli occhi. Non era riuscita nel suo intento, ma almeno adesso avrebbe rivisto Lorenzo.
Il colpo però non arrivò.
-Mio signore.- fece il servitore di William –Se l’ammazzate, non potrete più giocare con lei e il divertimento sarà durato poco.-
L’altro rifletté per alcuni secondi. –Hai ragione. Occupatene tu.-
-Elizabeth,- chiamò quello -riportatela dentro e fasciatele le ferite più gravi.-
 
 
Non poteva crederci.
William non l’aveva ammazzata.
Aveva pensato che quando sarebbe arrivato il suo momento, sarebbe stata quasi felice, in questo modo avrebbe potuto raggiungere Lorenzo, ovunque fosse in quel momento; invece, aveva avuto paura. Si vergognava per quello: voleva dare l’impressione di non temere nulla, ma la verità era che la spaventavano molte cose. E la morte era una di quelle.
Tuttavia, non riusciva a rallegrarsi. Se l’aveva risparmiata c’era un motivo: voleva continuare a tormentarla; cosa si sarebbe inventato adesso?
Alcuni giorni dopo, la ragazzina bionda bussò alla porta della sua cella. La fece entrare, ma l’altra sembrava preoccupata.
-Mio marito vuole vederti di nuovo nel cortile interno.- disse tutto d’un fiato. –Temo che voglia fartela pagare per aver osato ferirlo.-
 Scosse la testa mentre la seguiva nel corridoio. –E’ pazzo se vuole affrontarmi di nuovo. Non ha capito che non mi importa nulla delle sue regole?Proverò ad ucciderlo comunque.-
Elizabeth si girò di scatto e quasi le finì addosso. Nonostante fosse più bassa di lei, in quel momento le parve statuaria. –Invece dovrebbe importartene!Non ti risparmierà una seconda volta.-
-Lo so benissimo.-
L’altra la fissò per un istante. -Non dovresti sprecare il sacrificio di tuo fratello.-
-Io cerco di vendicarlo!- esclamò, ma una stretta le aveva imprigionato il cuore.
-Tu cerchi di morire. Ti sei arresa, non penso che lui avrebbe voluto questo.-
 
Erano di nuovo faccia a faccia. Lei e William.
Beatrice era distratta: avrebbe voluto affrontare l’uomo col furore della prima volta, ma le parole della bionda continuavano a rimbombarle in testa. Nel profondo, sapeva che aveva ragione.
Digrignò i denti e assestò contro l’avversario un fendente più forte degli altri. L’idea di dover rinunciare ad un’occasione del genere la faceva impazzire, ma non aveva scelta.
Serrò le labbra. Era in netto svantaggio.
Combatté per un tempo che le parve infinito: per la prima volta in vita sua, Beatrice desiderò la fine di un duello. Il fatto di doverlo affrontare senza poterlo ferire, era un bel problema: doveva sempre calibrare la potenza dei fendenti e nel caso in cui l’altro lasciasse liberi spazi nella sua difesa, deliberatamente o per distrazione, all’ultimo doveva deviare la spada per non ferirlo. La lama nella sua mano divenne un corpo estraneo e pesantissimo, tenerla alzata le richiedeva uno sforzo immane, il corpo era pieno di ferite.
Il conte, al contrario, era perfettamente illeso e appena affaticato.
Parò un colpo più forte degli altri e l’elsa volò via dalla mano sudata.
Adesso mi colpirà, pensò.
-William!- la donna col viso deturpato ai margini del cortile, stava venendo verso di loro. –Il vescovo Waleran è arrivato, sbrigati!-
Il rosso socchiuse gli occhi. –A quanto pare, te la sei scampata anche stavolta.- disse, prima di allontanarsi verso il castello.
Bea sentì le gambe cedere per la stanchezza e crollò a terra.
 

Pochi giorni dopo, la stessa vecchia della prima volta andò nella sua stanza e pronunciò quasi le stesse parole:- Il signore vuole vederti.-
Beatrice, a quell’infelice deja-vù, tremò. Non si era ancora ripresa, le ferite si erano cicatrizzate ma erano ben lontane dal guarire completamente.
–Ti aspetta nel cortile interno.- disse, poi se ne andò senza aspettare risposta.
Convinta di ciò che sarebbe accaduto, prese in considerazione l’idea di restare lì e barricarsi nella camera, ma alla fine seguì l’ordine: finché fosse stata sua prigioniera, nascondersi non sarebbe servito a nulla.
Il rosso era in mezzo al cortile, come le altre volte, ma in quel momento –notò subito- non aveva la spada in mano.
-Combatteremo a mani nude.- annunciò –Le regole sono le stesse.-
Quasi si sentì mancare. A stento si reggeva in piedi, ed il conte pretendeva che facesse a botte?
Senza rendersene conto, scosse lentamente la testa.
Gli occhi dell’altro si incendiarono. -Ti rifiuti?-
Serrò i pugni. Il tono che aveva usato, riaccese il suo orgoglio. –No.-
Quello sorrise feroce. –Bene. Iniziamo allora.-
 
Quando viveva ancora a Firenze, per giocare o a causa di qualche litigio, aveva partecipato a scazzottate con Lorenzo e alcuni suoi amici, ma non aveva mai fatto sul serio. Soltanto quella sera contro Alfred si era impegnata davvero, ma lui era ubriaco e sopraffarlo non era stato difficile.
William se la cavava ancor meglio che con la spada: i suoi pugni erano potenti e le facevano mancare il fiato. Si ritrovò ad arretrare contro il muro, troppo concentrata a difendersi per attaccare. Un cazzotto la colpì in pieno stomaco e si piegò in due dal dolore. Il viso a pochi centimetri da quello dell’avversario, colse lo sguardo sfrenato dell’altro. Prima che potesse reagire, un altro colpo le arrivò al viso, seguito da una scarica al torace. Si raggomitolò a terra, nel tentativo di sfuggire alla furia del signore, ma quello iniziò a riempirla di calci. Il dolore le fece perdere i sensi.
                                                                                        ***
 
Aveva portato Lorenzo a Kingsbridge.
Nonostante il ragazzo non si fosse mai recato in chiesa mentre era stato al villaggio, dopo un lungo colloquio con Philip aveva avuto il permesso di seppellirlo in terra consacrata. Alla funzione parteciparono parecchi individui, più di quanti potesse aspettarsi, ma nessuno si curò del fatto che mancava la persona più importante: Beatrice.
Si sentiva dilaniato dalla preoccupazione e dal senso di colpa. Era solo colpa sua se i due italiani avevano deciso di partire, per il modo assurdo in cui aveva urlato contro la ragazza.  Pure per questo non poteva abbandonarla. Doveva salvarla ad ogni costo. Anche per Lorenzo che ora non avrebbe più potuto proteggerla. Organizzò delle squadre di uomini per setacciare il territorio. Non parlò loro della straniera –altrimenti non avrebbero mai partecipato- fece leva, invece, sul loro odio per i predoni e gli uomini di William. Controllarono ogni angolo del bosco, arrivarono perfino a Shiring, ma Bea sembrava scomparsa nel nulla. Dopo giorni passati in quel modo, iniziava a perdere le speranze. Come avrebbe fatto a trovarla senza nemmeno un indizio?Forse si era sbagliato e chi l’aveva rapita, non era andato nella contea del suo nemico, oppure era solo di passaggio. In quel momento poteva essere ovunque, poteva addirittura aver lasciato l’Inghilterra.
Ogni sera era tormentato dagli incubi. Vedeva Beatrice bianca e fredda in una pozza di sangue o costretta ad ubbidire ad un orribile uomo. Una notte, si svegliò di soprassalto, sudato e ansimante. Piegò le ginocchia e si prese la testa tra le mani, nel tentativo di evitare che la stanza girasse come una trottola. Fece dei profondi respiri per calmare il battito del cuore, ma gli sembrava di essere ancora nel sogno. Sentiva addirittura i tonfi della testa dell’italiana che rotolava a terra e che l’avevano terrorizzato mentre dormiva. Dopo alcuni secondi però, si rese conto che i tonfi c’erano davvero e provenivano dal piano di sotto: qualcuno bussava alla porta. Scese le scale strusciando la spalla contro la parete, per evitare di cadere, e andò ad aprire. Sbatté gli occhi, sicuro di avere la vista appannata. -Philip?-
-Posso entrare?- la voce del monaco era stata appena un sussurro.
Si fece da parte per lasciargli spazio.
Il priore entrò a passo incerto. Sembrava molto preoccupato e aveva profonde occhiaie sul viso; a quanto pareva, anche lui aveva problemi col sonno.
-Perché siete qui?E’ successo qualcosa?- improvvisamente, si sentì sveglissimo.
L’uomo teneva gli occhi a terra e si tormentava le mani. –Sono qui per una confessione.-
Richard inarcò le sopracciglia. Diceva sul serio?  -Ascolti, lo so che è parecchio che non vengo in chiesa, ma questo non è proprio…-
Philip scosse la testa, interrompendolo. –Sono io che devo confessarmi.-
Il Guerriero era sempre più incredulo. –Non credo di essere la persona giusta..-
-Dannazione, ragazzo, taci!- il monaco non aveva urlato, eppure l’armigero si sentì pietrificato.
-E’ già abbastanza terribile senza che tu complichi la situazione.- continuò l’altro. Fece un profondo respiro. –Sono qui per spiegarti perché Beatrice ha deciso di partire, quel giorno.-
Sentì lo stomaco stretto in una morsa e quasi dalle labbra gli uscì un gemito di dolore. Lo conosceva benissimo il motivo, non c’era bisogno che glielo raccontasse il monaco.
Prima che potesse dire qualcosa, l’uomo iniziò:-Suppongo che tu sia venuto a sapere della zuffa tra Beatrice ed Alfred..?-
Annuì perché la voce gli mancava.
Il priore sospirò. –Ciò che probabilmente non sai è che per un periodo sono stato costretto ad allontanarla dal villaggio.-
Improvvisamente tornò presente a se stesso. -Cosa?Perchè?- non sapeva nulla di quella storia.
-La gente mormorava circa la sua natura, certi sostenevano che fosse una strega e i monaci erano irrequieti.- spiegò –Dopo qualche giorno le ho permesso di fare ritorno, ma ad una condizione.-
-Quale?-
Quello chiuse gli occhi, come se il ricordo gli provocasse dolore. –Entro un mese avrebbe dovuto trovare marito, oppure abbandonare per sempre Kingsbridge.-
Richard aprì la bocca, in una muta sorpresa, ma non riuscì a proferire alcun suono.
Philip continuò:-Credevo che tu e Beatrice vi amaste e che per questo non sarebbe stato difficile mantenere fede al patto, ma evidentemente mi sbagliavo e lei, piuttosto che sottostare alle mie regole, ha preferito partire.-
Il soldato indietreggiò e crollò su una sedia, non sapeva cosa dire. Passarono alcuni secondi durante i quali cercò di metabolizzare quelle informazioni. Alla fine domandò:-Come fate ad essere sicuro che è questa la ragione per cui ha agito in quel modo?-
-Perché il giorno in cui è partita, scadeva il termine ultimo del patto.-
Il fratello di Aliena si passò le mani tra i capelli e chiuse gli occhi. Credevo che tu e Beatrice vi amaste, ma evidentemente mi sbagliavo. Quelle parole lo devastavano. Anche lui ne era stato convinto, ma da quando era tornato dal fronte, l’italiana non aveva fatto altro che allontanarlo. Si era sbagliato?
Quella possibilità era troppo spaventosa per concepirla, così finse di credere alla versione del monaco. Convogliò tutte le sue contrastanti emozioni in un solo, devastante sentimento: la rabbia. Lasciò che l’invadesse. Come una colata di lava, scorreva  veloce e bruciava tutto ciò che incontrava.
-Non ci sono parole per scusarmi.- sentì dire all’uomo –E’ solo colpa mia se quel ragazzo è morto.-
Le mani iniziarono a tremargli impercettibilmente perciò le chiuse a pugno. Il respiro divenne affannoso. –Quel ragazzo ha un nome!E mi sta dicendo che Beatrice è stata rapita per un suo stupido ricatto?- ringhiò.
Il priore chinò il capo. –Sì. Mi dispiace.-
Fu troppo. Scatto in piedi, facendo capovolgere la sedia. –Come diavolo le è venuta in mente un’idea del genere?- urlò –Come ha potuto pensare che avrebbe accettato?!-
Il monaco fece un passo indietro, sorpreso. Poi si inginocchiò ai suoi piedi. –Il mio errore è stato imperdonabile. Mi rimetto al tuo giudizio.-
L’atteggiamento calmo dell’uomo lo fece infuriare ancor di più. Lo afferrò per la tunica e lo scagliò all’altro lato della stanza. –Vecchio idiota!- lo raggiunse e lo agguantò di nuovo. Caricò il pugno, pronto a colpire. Ma una mano delicata lo fermò.
-Richard!Che stai facendo?!-
-Lasciami, Aliena. Il priore ha appena confessato di essere la causa della morte di Lorenzo e della scomparsa di Bea.- ruggì, liberandosi dalla sua presa e preparandosi a colpirlo di nuovo.
-Cosa?Che significa?- la sorella lo acciuffò una seconda volta -Richard, torna in te!-
Il pugno colpì la parete, a un soffio dal viso di Philip. Lo lasciò andare e fece alcuni passi indietro. Si premette le nocche alle tempie. –Tu non capisci. E’ colpa sua, è colpa sua.- ripeté cercando di convincere anche se stesso.
-So che non potrò riportare qui i due ragazzi e che perdonarmi è arduo,- fece il monaco, boccheggiante contro la parete. –ma se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti, non esitare a chiederlo.-
A lungo stette immobile, gli occhi strizzati, cercando di mettere ordine in quella ridda di pensieri che era diventata la sua testa. Alla fine, disse:-Voglio dei monaci per le ricerche.-
 
La conversazione di quella notte, non fece altro che aumentare i suoi tormenti. Nel profondo sentiva ancora che il vero motivo della partenza per era stato la litigata, ma adesso che sapeva dell’accordo, non poteva fare a meno di domandarsi perché Beatrice non gliel’avesse mai detto, perché non gli aveva mai proposto di sposarsi. Non lo amava?Eppure l’aveva baciato… L’impossibilità di avere una risposta lo logorava. In più c’era la preoccupazione circa le sue condizioni: era sicuro che fosse stata rapita. Di solito, le ragazze scomparse erano costrette a diventare servitrici dei loro carcerieri e questo lo rendeva ancor più irrequieto: Beatrice era il tipo di ragazza che non si piegava, al massimo, poteva spezzarsi. Ed era proprio quest’ultima eventualità che lo terrorizzava.


Era preda di quei tormenti quando, un pomeriggio, una voce lo chiamò.
-Richard!-  Aliena sembrava molto agitata. Il richiamo era teso e, nel pronunciarlo,era stato attraversato da un leggero tremito.
Scese in fretta al piano di sotto e rimase pietrificato. Cosa diavolo ci faceva lì?
-Felice di rivederti.- gli disse con voce melliflua.

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Capitolo 11
*** Finalmente, libera ***


Finalmente, libera
 
Da quando si trovava al castello, Beatrice aveva imparato a non dormire mai profondamente; perfino in quel momento, coperta di lividi violacei e ferite in via di guarigione, il suo sonno era leggero. Per questo, quando bussarono in malo modo alla porta, sobbalzò, drizzandosi all’istante. In un attimo fu perfettamente vigile.
Nessuno può entrare, sta calma, si disse.
Dalla notte in cui William aveva fatto irruzione nella stanza, non erano più stati i padroni della contea a tenerla dentro, ma era stata lei a non voler uscire.
I colpi contro il legno divennero più potenti.
-Dannazione, cosa cazzo ci hai messo qua avanti?!- il conte, come la maggior parte delle volte, era arrabbiato -Apri immediatamente!-
Non si preoccupò nemmeno di rispondere, ma l’uomo iniziò a minacciarla:-Se non apri, giuro che sfondo la porta e ti ammazzo!-
Silenziosamente, si avvicinò al mobile. –Che vuoi?- gridò di rimando.
Ci fu un secondo d’esitazione, poi rispose:-Ho una sorpresa per te.-
La ragazza percepì il sorriso che in quel momento doveva essere sulle labbra del suo aguzzino e capì che era una sporca bugia. –Non ti credo!-
L’uscio vibrò forte sotto i pugni del conte. –Ti avverto che sto perdendo la pazienza!Esci immediatamente o giuro che brucio questa dannata porta e poi ti spedisco all’altro mondo!-
L’italiana strinse i pugni. Aveva scelta?Spostò la cassettiera e l’uscio si aprì all’istante. Una grossa mano la strattonò per i capelli. –Stammi bene a sentire, strega,- le urlò a pochi centimetri dal viso -quando ti do un ordine non si discute. Hai capito bene?- la mollò senza aspettare risposta e Bea cadde a terra.
-Muoviti. Oggi facciamo una cavalcata.-
Lo fissò, sicura d’aver capito male. Il Signore sorrideva, come se ci fosse qualcosa di divertente che lei non afferrava.
-Seguimi.-
La precedette per i corridoi del palazzo. La ragazza fu convinta fino all’ultimo che sarebbero andati nel cortile, che era stato solo un brutto scherzo; invece, la portò alle scuderie. Quando riconobbe Tempesta, il cavallo di Lorenzo, gli corse incontro, ma non riuscì nemmeno a sfiorarlo. William l’aveva agguantata per il polso.
-Dove diavolo credi di andare, eh?-
-Hai detto..- provò a difendersi, ma quello l’interruppe. –Starai sul mio cavallo e se farai un solo passo falso, ti aspetta la fine del tuo amato fratellino.-
Nel sentire quelle parole, si sentì ardere il viso dalla rabbia. Provò a colpirlo, ma l’altro era pronto e scoppiò in una grassa risata. –Non è questo il periodo dei pomodori!-
Preparò un calciò, ma quello lo parò con facilità. –Né quello delle risse.- le disse –Muoviamoci, o faremo aspettare il nostro amico.-
Amico?La portavano da qualcuno?Non sapeva se fosse un fatto positivo o meno, ma si ripromise di tentare di fuggire appena ne avesse avuta l’occasione. Con suo enorme disappunto, però, questa non si presentò. William la tenne stretta a sé col braccio con cui teneva le briglie, mentre nell’altro stringeva un pugnale rivolto verso la sua gola. Affianco, cavalcava l’uomo che aveva assistito a tutti i loro duelli e grazie al quale, la prima volta, il conte l’aveva risparmiata. Per tutto il tempo, il signore ebbe un odioso sorriso stampato in volto, come se stesse pregustando qualcosa, ma lei non aveva la minima idea di cosa potesse essere. Ad un tratto, si stagliò in lontananza il profilo d’un paese. Un brivido le corse lungo la schiena.
-Che ci facciamo qui?- domandò.
L’aguzzino sorrise. –Ora vedrai.-
Si ritrovò a stringere convulsamente il pomello della sella. Non voleva che nessuno degli abitanti di Kingsbridge la vedesse in quello stato: probabilmente sarebbero stati contenti e lei non aveva nessuna intenzione di dar loro quella soddisfazione. Si tirò di più il cappuccio del lurido mantello che le aveva dato il tirapiedi del rosso.
-Voglio andarmene.- disse mentre un groppo le saliva in gola.
-Oh, non preoccuparti. Non ci fermeremo a lungo.-
Il nervosismo s’impadronì di lei man mano che riconosceva la strada: sapeva dove stavano andando. Scesero da cavallo avanti alla bottega. William le ordinò di entrare ma non si mosse, perciò l’afferrò per un polso. All’interno c’era penombra e sulle pareti si rifletteva la luce rossastra del sole che già tramontava. La padrona stava armeggiando con dei gomitoli di lana quando li sentì arrivare. Si voltò per accoglierli, un sorriso stanco sul volto, ma quando riconobbe i due uomini si ghiacciò sul posto.
-Aliena, che piacere vederti.- la salutò il conte, mellifluo.
Beatrice vide la mercante deglutire. –Che ci fai qui?-
L’altro mosse una mano, come a voler scacciare un insetto fastidioso. –Sono solo venuto a trovare tuo fratello. Sarebbe molto carino da parte tua se lo chiamassi un momento.-
La donna sembrò indecisa, poi urlò:-Richard!-
Passarono alcuni interminabili secondi, poi s’udirono dei passi per le scale, finché il ragazzo non fece il suo ingresso nella stanza. Come la sorella, s’immobilizzò per la sorpresa quando riconobbe il Signore di Shiring.
-Felice di rivederti.- lo accolse quest’ultimo.
La mano del moro volò al fianco, ma la spada non era assicurata alla cintura. –Cosa diavolo sei venuto a fare?-
–Quanto sei scortese, amico mio.- William fece un passo avanti, perfettamente a suo agio.  -Sono venuto fin qui per farti un piacere. Immagino che tu sia molto preoccupato per la scomparsa della compagna italiana…-
-Sei stato tu ad aggredirli!- il Guerriero serrò i pugni  -Lo sapevo!Dov’è Beatrice?Parla!-
Insieme al conte, si voltarono vero di lei anche i due fratelli che fino a quel momento a stento si erano accorti della presenza di una terza persona. Il Signore tese una mano verso di lei, ma pareva che i piedi fossero diventati di cemento. Lo scagnozzo le diede una spinta sulla schiena e l’altro l’agguantò. La strinse in una specie di abbraccio: con un arto le cingeva la parte anteriore della vita, mentre l’altro afferrò l’orlo del cappuccio. -Oh, ma è proprio qui.-
Strizzò gli occhi per la luce improvvisa e, quando li riaprì, entrambi i figli di Bartholomew la stavano fissando. Immaginò come doveva apparire. I capelli in disordine, la pelle bianca come un lenzuolo sulla quale spiccavano tagli rossi e lividi violacei, il viso gonfio per via dei pugni… Fissò dritto davanti a sé, senza avere il coraggio di incrociare gli sguardi degli altri due; avrebbe voluto scomparire.
Percepì vagamente Richard che avanzava lentamente verso di lei, fissò la mano tesa verso la sua pelle. Il cuore prese a batterle più forte e, sebbene non l’avrebbe mai ammesso, si ritrovò ad agognare con ogni cellula del suo corpo quel contatto leggero e delicato.
Ma non arrivò mai.
Il rosso la tirò un passo indietro. –Ah, ah.- fece rivolto all’armigero –Non si toccano le cose altrui.-
Il soldato spostò lo sguardo sull’aguzzino ed i lineamenti si trasfigurarono per via dell’odio che provava. Serrò la mascella e masticò:-Cosa le hai fatto, verme?-
Bea non poté vederlo, ma dal tono che usò, parve divertirsi un mondo. –Ci siamo solo svagati un po’. Bé…- fece una pausa studiata ad arte -diciamo che mi sono divertito più io che lei.-
Il viso dell’altro ebbe uno spasmo di pura furia, poi scattò verso di loro, ma William fece un altro passo indietro e le puntò di nuovo il pugnale alla gola. –Avvicinati e lei muore.-
Richard serrò i pugni e digrignò i denti, quasi fosse un animale selvatico.
-Sono venuto- continuò il conte –solo per informarti che è nelle mie mani, perciò, se vuoi che resti viva,- le strofinò le labbra sulla tempia ed ebbe un moto di ribrezzo -è meglio che Kingsbridge abbandoni questa dannata idea della fiera. E adesso, se permettete, noi togliamo il disturbo.-
Camminò come un gambero fino al cavallo e si misero in sella. Il Guerriero li seguì a distanza, ma non poté avvicinarsi.
Ben sapendo che era una sensazione assurda, Beatrice si sentì meglio appena il ragazzo non poté più vederla.
 
Quando arrivarono al castello era ora di cena, perciò l’italiana poté rinchiudersi nella stanza senza che nessuno la disturbasse. Nascosta dietro al letto, permise alle lacrime di prendere il sopravvento sull’autocontrollo. Il fatto che Richard l’avesse vista in quello stato la faceva sentire umiliata e in più, detestava la reazione che aveva avuto quando aveva provato a toccarla. Dopo tutto ciò che era successo a causa sua, era impensabile che lo guardasse ancora alla stessa maniera!
Dei leggeri colpi alla porta la strapparono dal dolore.
-Sono Elizabeth.-
Riprese il controllo di sé e le permise di entrare, poi riposizionò la cassettiera avanti all’uscio.
-Ti ho portato la cena.-
-Non ho fame.- rispose, sperando che l’altra non si accorgesse degli occhi rossi e gonfi.
La ragazzina le lanciò un occhiata obliqua e posò il piatto per terra.
-William ha raccontato dove siete stati.-
Le scappò una smorfia, ma la bionda non sembrò farci caso. In effetti, adesso che l’osservava meglio, sembrava di buon umore.
-Adesso che sanno dove ti trovi, troveranno un modo per aiutarti!- esclamò, infatti, eccitata.
-Non voglio l’aiuto di nessuno.-
La bionda la guardò seria. –Non fare l’idiota. In questa situazione non c’è spazio per l’orgoglio.-
-Non è questo.- mentì –Non voglio che provino a salvarmi perché moriranno. E’ quasi impossibile espugnare un castello.-
-Se tengono a te come ha detto mio marito, troveranno un modo.- disse, ma la sua sicurezza sembrò vacillare.
-Non potranno mai farcela senza un aiuto dall’interno.- ribatté, poi la scrutò a fondo. –Perché t’importa tanto?-
Gli occhi azzurri dell’altra si illuminarono. –Perché in questo modo, verrò liberata anch’io.-
Passarono alcuni giorni durante i quali nessuno la disturbò. Beatrice ne era felice: dopo l’ultima “sorpresa” del conte, si sentiva troppo svuotata per resistere alle sue torture. Non faceva altro che domandarsi cosa stesse facendo Richard in quel momento e, soprattutto, cosa pensava adesso che l’aveva vista tra le grinfie di William. Ma la tranquillità non durò a lungo perché una mattina le urla del rosso risuonarono di nuovo tra le pareti del castello. Appoggiò l’orecchio al muro, nel tentativo di capire cosa stesse succedendo. Qualcuno era scappato ma non riuscì a capire di chi si trattasse. Sentì passi pesanti risuonare nel corridoio e poi colpi contro la porta, ma questa volta si spalancò subito perché l’ultima volta che aveva fatto uscire Elizabeth aveva dimenticato di riposizionare la cassettiera al suo posto. Il Signore si diresse verso di lei e prima che potesse capire cosa stesse succedendo, le assestò un manrovescio così forte da farla crollare a terra.
-Dove diavole è andata, eh?-
-Non so di chi parli.- rispose mentre cercava di mettersi in piedi, ma l’altro l’afferrò per la gola e la sbatté al muro.
-Non fare la finta tonta!Dove cazzo è andata Elizabeth?-
Gli graffiò la mano, nel tentativo di liberarsi. Riusciva a stento respirare. –Non… lo so..-
-Smettila di mentire!- il viso stravolto dell’uomo era a pochi centimetri dal suo.
Cercò di prendere fiato. –Perché..non sarei… scappata?-
Il rosso urlò di frustrazione. La mollò all’improvviso ed uscì a grosse falcate, senza nemmeno chiudersi la porta alle spalle.
Tossì ed inspirò massaggiandosi la gola.
Dunque Elizabeth era fuggita.
Era rimasta sola.
 
Dalla finestra della stanza vide William partire con un gruppo di tirapiedi alla ricerca della moglie. Si appoggiò al muro, pensando freneticamente. Quello era il momento giusto per scappare, doveva farsi venire un’idea. Uscì di corsa dalla cella, volando attraverso i corridoi. Innumerevoli volte le sembrò di girare in tondo, tornò sui suoi passi, aprì porte, ma la verità è che non aveva idea di quale fosse la strada giusta: conosceva soltanto il percorso per dirigersi al cortile interno e di certo non era quello che cercava in quel momento. A un tratto si appoggiò contro il muro di pietra, per riprendere fiato. Si guardò intorno. Il corridoio era stranamente spoglio, privo di finestre.
Sono scesa troppo, pensò.
Stava per riprendere la corsa, quando una voce velenosa la fermò.
-Che diavolo ci fai tu qui?-
Era la donna dal viso sfigurato che a volte aveva notato mentre combatteva con William. Fece un passo indietro, incerta sul da farsi: magari l’avrebbe aiutata. Ma l’altra gridò:-Guardie!-
Si voltò di scatto e riprese la fuga ma in men che non si dica si ritrovò circondata. Gli uomini erano armati mentre lei non disponeva neanche d’un coltello, ma non le importava. Non avrebbe sprecato l’unica opportunità di scappare. Cercò di schivare i fendenti e di mettere i soldati l’uno contro l’altro, ma alla fine l’acciuffarono.
 
Di nuovo nella stanza.
Di nuovo chiusa dentro.
Sferrò l’ennesimo calcio alla porta, cercando al contempo di trattenere le lacrime. Sentiva di non riuscire più a sopportare quella situazione, stava impazzendo. Afferrò il vassoio che le aveva portato Elizabeth l’ultima volta e lo scagliò contro la parete. Ma quello andò a schiantarsi contro la finestra; il vetro si infranse in mille schegge emettendo un suono cristallino. Fissò per un momento il buco che s’era formato, quasi sorpresa che la sottile parete trasparente si fosse rotta, poi si avvicinò alla finestra, dalla quale si sentivano strani rumori. Brusii, grida di sorpresa, protesta, gioia. Si affacciò: sotto, era affollato come non l’aveva mai visto. C’erano un mare di uomini e donne che agitavano le braccia, saltavano, si inchinavano avanti a un gruppo di soldati. In testa, le sembrò d’intravedere la chioma bionda di Elizabeth insieme ad un uomo dalla fisionomia familiare. Un nodo le serrò la gola e sentì la speranza impossessarsi del suo corpo.
Gli uomini continuarono ad avanzare, fino ad arrivare dalla parte opposta alla quale erano entrati. La testa color grano si voltò verso la mora, sembrarono parlare alcuni secondi, poi scomparvero all’interno del castello. Dopo alcuni minuti, dei passi risuonarono nel corridoio seguiti dal tintinnio di una chiave inserita nella toppa. Bea sentì il cuore martellare come un tamburo nel petto e il respiro mancarle.
La porta si spalancò e ne entrarono la moglie di William e… Richard. Indossava l’armatura ma non era sporco né ferito.
Sentì la bocca schiudersi per la sorpresa. Era davvero lui, non aveva preso una svista.
Il ragazzo attraversò la stanza a passo veloce e l’avvolse tra le braccia. Per un secondo Bea rimase immobile, poi lo strinse con tutta la forza che aveva.
Dopo la perdita di Lorenzo e le torture che le aveva riservato il rosso, sentiva un assoluto bisogno di avere accanto qualcuno di familiare, qualcuno a cui, suo malgrado, sentiva di voler bene.
Dopo qualche secondo si staccò dall’acciaio freddo della divisa da combattimento. –Che ci fai qui?William..-
-Non è più un problema.- l’interruppe la bionda.
-Con l’aiuto di Elizabeth, abbiamo conquistato il castello.- spiegò il Guerriero.
Con le sopracciglia aggrottate, cercò di capire le implicazioni di quell’affermazione. –Significa che sei il nuovo signore della contea?-
-Sì, e significa che sei salva ora.-
 
Presto Richard dovette tornare dai suoi uomini per organizzare una difesa provvisoria del castello e poté tornare di nuovo da lei solo a sera inoltrata.
Il soldato si lasciò cadere pesantemente su una sedia e chiuse gli occhi per un attimo. –Sono sfinito e per fortuna non abbiamo dovuto nemmeno combattere!-
–Elizabeth ha ordinato ai cuochi di cucinare, prima.- poggiò un piatto sul tavolo  -Ti ho tenuto questo da parte.-
La guardò, negli occhi un miscuglio di emozioni che non riuscì a decifrare perché si voltò subito. –Grazie.- le disse.
Bea scosse la testa. –No. Sono io che dovrei ringraziarti: mi hai liberata.- confessò, ma senza girarsi. Mentre il ragazzo era impegnato, aveva avuto modo di guardarsi allo specchio: i capelli erano in disordine ma quel che era peggio, erano ben visibili i segni delle dita del conte sul collo e sul viso. Non voleva farglieli vedere, non voleva apparire debole, e poi, lo riteneva ancora il responsabile della scomparsa di Lorenzo.
Lo sentì alzarsi, poi percepì le sue dita leggere come una piuma sul braccio. Un tocco così diverso rispetto a quello a cui si era abituata nelle ultime settimane, da pensare quasi d’esserselo immaginato. –Non ce n’è bisogno. Ero pronto a morire in quest’impresa, ma ora l’unica cosa che importa è che tu sia salva.-
Si sentì arrossire così si spostò verso l’angolo più buio.
-Devo chiederti scusa.- continuò il moro. –La verità è che è tutta colpa mia. Non ve ne sareste andati se non ti avessi detto quelle cose.-
Restò spiazzata. Aveva immaginato che, una volta scappata da William, avrebbe potuto urlare tutto il suo odio contro Richard, accusandolo di tutto ciò che era successo. Invece, non riusciva a disprezzarlo, né era riuscita ad urlargli quelle cose. E ora lui si scusava. Si scusava e questo non faceva altro che renderla più fragile e insicura.
Cambiò argomento.  –So che adesso sarai occupato con la gestione della contea, ma io non posso più restare qui.-
Tra quelle mura si sentiva soffocare, le pareva di avere sempre il fiato di William sul collo, o che lui potesse spuntare dietro ogni angolo. Arrivare fino a sera era stato difficilissimo. -Devo andarmene…-
-Domani ti porterò da Aliena, ti sta aspettando.-
Alzò un sopracciglio mentre finalmente si voltava. –Mi aspetta?-
-Sì. Come James. E Jack e Martha.-
A quelle parole, le lacrime le invasero gli occhi.
 
La mattina dopo arrivò nelle scuderie all’orario stabilito, ma il soldato tardava e Beatrice iniziava a innervosirsi: i suoi nervi in quel periodo erano già stati messi a durissima prova e sentiva di poter esplodere da un secondo all’altro. Quando lo vide arrivare non gli diede nemmeno il tempo di aprire bocca. –Avevi detto che all’ora settima..- l’altro la bloccò alzando una mano.
-So che non ti separi quasi mai dalla tua spada così ho provato a cercarla.- le mostrò la mano che aveva tenuto nascosta dietro la schiena fino a quel momento:stringeva la sua lama. –L’ho trovata in armeria.-
L’afferrò, la strinse al petto, e parve che uno dei cocci della sua anima fosse tornato a posto.
 
L’armigero l’accompagnò a Kingsbridge, dove trovò Aliena, Jack, James e Martha pronti ad accoglierla. Furono tutti molto gentili, ma in particolare la mercante fu eccezionalmente premurosa.
Giorno dopo giorno, riprese contatto con la realtà, cercando al contempo di dimenticare le violenze patite.
Un pomeriggio era con James in riva al piccolo lago vicino al paese. Dopo una mattinata di giochi il bimbo si era addormentato sul suo grembo ed ora lei fissava l’acqua apparentemente immobile. A un tratto sentì il rumore di foglie calpestate e si girò di scatto, una mano stretta sull’elsa della spada che Richard le aveva riportato. Un uomo vestito di un saio marrone veniva verso di lei in groppa ad un asino. Allentò la presa: era Philip. Lo fissò mentre scendeva dalla sella e si sedeva affianco a lei.
-Aliena mi ha detto che ti avrei trovata qui.-
-A che cosa devo la visita?-
Il monaco si fissò le mani unite in grembo. –Sono qui per scusarmi, per quanto possa servire.-
Alzò per un attimo le sopracciglia, poi continuò a fissare l’acqua davanti a sé, imperturbabile.
-Non trovo pace da quando hai lasciato Kingsbridge. E’ solo colpa mia se tuo fratello è morto.-
Morto.
Era la prima volta che sentiva quella parola associata al suo gemello ed ebbe l’effetto di un pugno nello stomaco. Cercò di riprendere fiato, senza lasciar vedere quanto fosse afflitta. Quando fu sicura che la voce non avrebbe tremato, disse:-Siete qua per pulirvi la coscienza?-
Sentì lo sguardo dell’uomo su di sé. –No. La mia coscienza si è macchiata di un crimine che solo Dio, forse, nella sua misericordia, potrà lavar via. Sono qui perché mi sembrava giusto e se ho tardato così tanto, è perché mi mancava il coraggio d’incontrarti. -
-Vuole che la perdoni?- la sua voce era tagliente.
-Non mi aspetto che tu lo faccia.-
Non lo lasciò continuare. -E allora?Che diavolo è venuto a fare?-
Quello si fissò le mani unite. -Volevo dirti che mi dispiace. Ricattarti a quel modo è stato imperdonabile e qualsiasi cosa ti abbia detto in passato, ora non ha più valore: non c’è bisogno che sposi nessuno e puoi rimanere a Kingsbridge tutto il tempo che ti farà piacere, puoi comportarti e vestirti come vuoi. Non serve che ti metta abiti femminili, puoi indossare i tuoi soliti panni.-
Beatrice abbassò lo sguardo su di sé. Da quando era tornata da Shiring, non aveva più  messo pantaloni, anche se aveva continuato a portare la spada con sé. Aveva chiesto ad Aliena di prestarle qualche vecchia veste e lei, stranamente accondiscendente, l’aveva fatto. Aveva dovuto stringerli, perché il suo seno era parecchio più grande, ma alla fine era riuscita a darle due vestiti. Si lisciò le pieghe della gonna azzurra che indossava quel giorno.
-Non lo faccio per voi.-
L’altro sembrò sorpreso. –E per quale motivo, allora?-
Strinse le labbra e restò in silenzio così a lungo, che parve non volesse rispondere. Poi disse:-Perché tutto è successo a causa di quei panni.-
Gli occhi dell’altro si intristirono. Le mise una mano sul braccio. –Beatrice, quello che è successo è dovuto soltanto alla stupidità e alla malvagità degli uomini. I tuoi vestiti non c’entrano nulla. Anzi, la tua particolarità è un dono di Dio e dovresti conservarlo.- lentamente, con la stanchezza che trasudava da ogni gesto, il monaco tornò al suo asino, e a Kingsbridge.
Bea fissò l’acqua cristallina che aveva di fronte.
Non credeva in Dio, non ci aveva mai creduto, ma forse Philip aveva ragione. La sua peculiarità era un dono: le aveva permesso di salvarsi da Alfred, durante l’attacco al villaggio e poi da William. Senza, non sarebbe stata più la stessa.


Spazio autore
Ed eccomi di nuovo qui, ovviamente con enorme ritardo, ma penso che ormai vi siate abituati xD
La storia sta giungendo al termine (l'avreste mai detto? XD ) e credo proprio che questo sarà il penultimo capitolo. Per questo motivo mi piacerebbe che recensiste in molti: sono curiosa di sapere cosa ne pensate adesso che si avvicina il momento di salutare i nostri eroi =)

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Capitolo 12
*** Lo voglio ***


Lo voglio
 
Quando iniziò a farsi buio, svegliò James e lo riaccompagnò a casa, poi si diresse verso la bottega. Grazie a una torcia lì vicino, notò che la porta era accostata, perciò aumentò il passo. Era davvero strano: i proprietari non la lasciavano mai così…
Spalancò la porta e si precipitò all’interno, ma ciò che vide la fece pietrificare. Aliena era stretta contro la parete da Jack, e pareva che l’uno volesse fondersi all’altro, tanto erano passionali i loro baci. Quando sentirono la porta aprirsi, si voltarono: avevano i visi eccitati e le bocce rosse.
Beatrice cercò di ritrovare la voce, ma sembrava completamente scomparsa, così alla fine, semplicemente, fece marcia indietro e si richiuse la porta alle spalle.
Oh Dio…, pensò sgomenta.
Non la disturbava il fatto di aver appena beccato un monaco mentre infrangeva il proprio giuramento di castità, quanto piuttosto, il fatto d’averlo trovato mentre baciava appassionatamente la sua ospite. Era imbarazzatissima, nemmeno fosse stata lei ad essere sorpresa.
Si diresse verso la porta di casa. Per fortuna, questa era chiusa, e prendere le chiavi fu un sollievo. Salì al piano di sopra: Aliena le aveva assegnato di nuovo la camera del fratello. Ma anche appena varcata quella soglia, si fermò per la sorpresa: la stanza non era vuota.
-Oh.Ciao.- esclamò, ma vedendo che l’altro non muoveva un muscolo, si affrettò a scusarsi. –Mi dispiace, non sapevo che fossi tornato.-
Richard era nella piccola stanza, impegnato con i lacci dei gambali e la guardava come se non l’avesse mai vista. S’alzò, sbatté le palpebre. –No, figurati. S…sono arrivato da poco.- abbassò di nuovo le palpebre e fece un passo verso di lei. –Perché sei vestita così?-
Lo fissò confusa, poi capì: indossava ancora il vestito di Aliena. E lui non l’aveva mai vista con qualcosa di femminile. Si sentì arrossire e tardò a rispondere, così l’altro prese di nuovo la parola. –Se è per quello che dissi, mi dispiace. Non lo pensavo sul serio: ero preoccupato e stanco, avevo avuto paura di perderti e tu eri anche ferita…-
Capendo che si stava riferendo alla litigata, lo fermò alzando una mano.  -No,no, non è per quello.- in verità, dopo essere stata rapita da William, non ci aveva neanche pensato più molto e comunque, dopo le violenze subite, non le pareva nemmeno più questa gran cosa. Non era stato per quello che aveva chiesto ad Aliena di prestarle qualche vestito, quanto piuttosto perché le era sembrato che la colpa venisse tutta da lì. Era per quello che era stata costretta a lasciare il villaggio e per quello che William l’aveva rapita. Ma il priore le aveva fatto vedere la situazione da un altro punto di vista.  -E’ stata… solo una prova.- mentì -Ero venuta su per cambiarmi.-
Il soldato aggrottò la fronte, dubbioso. –Sei sicura?-
-Sì. Volevo soltanto vedere come stavo.-
Sembrò tranquillizzarsi un po’. –E..?-
Sollevò un angolo della bocca. –Meglio le braghe.-
A questo punto, l’armigero ridacchiò e le strizzò l’occhio, rasserenato. –Secondo me stai benissimo.- fece per uscire, ma lo fermò. –No, non andartene.- per istinto, gli aveva poggiato le mani sul torace e quando se ne accorse, le ritrasse subito. –E’ la tua stanza.- spiegò –E a me non era urgente.-
-D’accordo.- rispose, abbassando lo sguardo sulle cinghie di un bracciale, come per nascondere il viso. –In realtà, stavo per venire da te, ma poi c’è stato…- ebbe un attimo d’esitazione -un contrattempo.-
La ragazza si sentì arrossire di nuovo, perciò abbassò la testa. –Sì, credo d’averlo trovato anch’io.-
L’altro alzò le sopracciglia. –Hai incontrato Aliena e Jack?-
–Ehm…- dondolò il capo. -Più che incontrati, li ho… visti per un istante.-
Il Guerriero sembrò capire, perché sorrise. Un sorriso genuino, di come non ne vedeva da tanto tempo e il suo cuore perse un battito.
-Bé, è comprensibile.- commentò il moro, prima di dedicarsi ai lacci del secondo bracciale.
Bea sorrise a sua volta. L’allegria di Richard l’aveva contagiata. –Insomma.- disse –A me non importa se Jack infrange il suo voto, ma non credo che “comprensibile” sia proprio la parola giusta.-
Il moro la guardò di nuovo, sprizzava gioia da ogni poro. –Ma è proprio questo il punto!Jack non sta infrangendo niente. Philip è andato da lui dicendo che il patto era saltato e che poteva restare a Kingsbridge anche se sposava Aliena. Non è fantastico?Chissà cosa gli ha fatto cambiare idea…-
-Già.- rispose, ma con la mente era tornata alla conversazione al lago.
-Potresti aiutarmi un attimo?Sono una frana con la mano sinistra.-
Si riscosse; era rimasta soprapensiero per alcuni secondi. Il Guerriero le stava indicando le cinghie del bracciale destro. Sorrise. –Un Cavaliere come te, che ancora non sa levarsi l’armatura da solo?- lo prese in giro mentre scioglieva il nodo.
L’altro le fece una linguaccia. –Sai com’è. Di solito ho lo scudiero.-
Fece un sospiro teatrale mentre passava ai fianchi. –Ah, la gente viziata.-
Lo sentì ridacchiare, poi scese il silenzio.
Fu il ragazzo a romperlo.  –Sai,- disse –si sposeranno.-
Ci mise un istante  a capire che si riferiva al monaco e alla mercante. –Mi fa piacere. E’ quello che volevano.-
-Sì.- le rispose, ma era come se ci fosse dell’altro.
Scese nuovamente il silenzio. Bea cercava di sbrigarsi ma le mani erano diventate improvvisamente impacciate. Alla fine ci riuscì. –Fatto.- annunciò. Aiutò il soldato a levare la corazza, poi fece per andarsene, ma l’altro l’afferrò per il polso.
-Perché non mi hai detto della condizione di Philip?-
Sentì la gola seccarsi all’istante. –Come fai a sapere dell’accordo?-
-Me l’ha detto dopo che eri scomparsa.- la fece voltare piano. –Bea,- le strinse le braccia. -io devo saperlo.- la voce gli tremava leggermente.
-Io…non volevo che ti sentissi obbligato.- confessò d’un fiato, gli occhi fissi sul pavimento di legno.
–Obbligato?- l’armigero pareva sconcertato. -Bea, io ti amo!Non mi sarei mai sentito costretto.-
Nel sentire quelle parole, le mancò il fiato. Cercò di rispondere:-Non…non sapevo cosa fare. Avevo paura che pensassi che fossi un’approfittatrice.- ormai sentiva le guance in fiamme.
Richard scosse la testa, poi si inginocchiò. –Beatrice, vuoi sposarmi?-
La bocca le si dischiuse per la sorpresa. Avrebbe potuto dirgli che il priore aveva ritirato l’accordo, che non era più necessario, ma ormai sentiva la testa piena d’aria. Si sentì di fare sì col capo, ma era come se qualcun altro muovesse il suo corpo.
Il ragazzo si alzò e la baciò. Prima appassionatamente, dopo più piano. Quando si scostò, l’italiana pensò che era troppo presto.
 
Dormì nel letto di Aliena: la ragazza non si fece viva per l’intera nottata e Bea pensava di sapere con chi e cosa stesse facendo. La mattina dopo si svegliò tardi da un finalmente lungo sonno senza incubi. Con sua gioia, tornò ai pantaloni. Sentire il tessuto che le fasciava le gambe fu un sollievo. Mentre si vestiva e scendeva le scale, riuscì a sentire le voci di Richard e della sorella. Dunque, era tornata.
-Come diavolo ti è saltato in mente?!- lo stava aggredendo la donna.
-Non lo so. Ti giuro, è stata una reazione istintiva, mi sono completamente dimenticato.-
-Ti sei dimenticato?- la voce della mercante si fece tagliente come un rasoio. –Sei soltanto un deficiente come tutti gli altri!Non hai idea di quello che significhi!-
-No, ma non fatico a immaginarmelo!- adesso anche il ragazzo aveva alzato la voce. Riprese fiato, poi parlò più piano. –Comunque, non mi è sembrato che le desse fastidio. In verità, è rimasta immobile.-
-Certo. Probabilmente era paralizzata dal terrore!- commentò acida l’altra.
Beatrice fece il suo ingresso nella piccola cucina. Il soldato era seduto su una sedia, curvo, come se portasse sulle spalle un peso enorme; la sorella era in piedi vicino a una credenza, il viso arrabbiato. Ma appena la videro, entrambi furono abili a nascondere quei sentimenti dietro una maschera allegra. O non erano mai esistiti e aveva preso una svista?Probabilmente la seconda.
 –Chi è che è paralizzato dal terrore?- chiese comunque.
-Nessuno d’importante.- rispose Alinea, con un sorriso gentile. –Ti ho conservato la colazione.-
-Grazie.-
Le mise davanti una grossa tazza di latte e alcune fette di pane nero.
-Avrei voluto preparare un dolce, ma non ne ho avuto proprio il tempo.-
L’italiana nascose il sorriso dietro il bicchiere. Ne riusciva facilmente a immaginare il motivo.
Mentre mangiava, arrivò Jack. Non indossava più il saio, notò subito. Allora ciò che aveva detto Richard era proprio vero.
Li salutò distrattamente e si precipitò dall’innamorata, che lo strinse fra le braccia.
-Ho parlato con Philip. Sarà felice di sposarci.- si voltò vero gli altri due. –Tutti e quattro, questa domenica.-
Bea sentì il latte andarle di traverso. Tossì nel tentativo di farlo uscire dal condotto sbagliato e cercò di riprendere fiato, ma per quanto ci provasse, sembrava non riuscirci. Alla fine, riuscì a fare un grosso respiro.
-Tutti e quattro?-
L’ex monaco annuì. –Aliena ed io abbiamo pensato che vi avrebbe fatto piacere.- spiegò, poi, perché pareva che non avesse capito, aggiunse:-A te e a Richard.-
A quel punto intervenne il Guerriero. –Gli ho detto del matrimonio.- disse. –Forse non avrei dovuto.- fece, osservando il suo viso.
Beatrice si sentiva totalmente imbambolata. Si era quasi dimenticata di quel dettaglio. Era un cambiamento così enorme, che dopo tutto ciò che era successo vedeva così lontano, che la sua mente automaticamente aveva rimosso.
-Ah.- fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Il soldato si affrettò a prendere la parola. –Preferisci un altro giorno?Domenica è troppo vicino?-
A quel punto tutti la osservavano. Richard sembrava ansioso, Aliena era preoccupata, Jack pareva curioso.
Sentì le membra che velocemente si irrigidivano. Non era per niente un buon segno, doveva fare qualcosa prima che non riuscisse più a muoversi. –I…io- si schiarì la voce -No, va benissimo.-  ci fu un attimo di silenzio, poi:-Mi sono ricordata che avevo promesso a James di andare a trovarlo.-
Lasciò la colazione consumata a metà sul tavolo e fuggì dalla porta più veloce di un fulmine.
 
Matrimonio. Moglie. Sposarsi. Sesso. Marito.
Si accasciò contro il muro di una stradina, stordita da quei pensieri. Era troppo. Semplicemente troppo. Lorenzo l’aveva lasciata da poche settimane, era stata prigioniera di un sadico conte per giorni, e adesso?Le chiedevano di sposarsi?
-Sei qui.- la voce di Richard la fece sobbalzare. Si staccò dal muro all’istante, quasi si fosse scottata.
-Mi sono fermata un attimo a riposare.- mentì.
L’altro era serio e preoccupato. Aggrottò la fronte. –La locanda è dalla parte opposta.-
-Oh. Certo, è logico. Mi sono soltanto dimenticata un attimo.-
Il Guerriero fece un sospiro triste. –Bea, non devi sposarmi per forza.-
Aprì e chiuse la bocca ma non ne uscì alcun suono. Riprovò. –Ma… era quello che volevo.-
-E adesso non lo vuoi più?-
-Certo che lo voglio.-
-Allora qual è il problema?-
-Io…io…- non rovinare tutto, pensò. –Nessuno.-
Il soldato si avvicinò e le prese delicatamente una mano. –Lo vedo che c’è qualcosa che non va. Puoi dirmi qualsiasi cosa, Bea.-
Sentì un nodo stringerle la gola. Perché mi viene da piangere proprio in questo momento, dannazione? Strappò via le lacrime, ma quando Richard l’abbracciò, non riuscì più a trattenerle. Pianse senza alcun ritegno. Contro il suo petto.
Quando si fu calmata ed ebbe riacquistato il controllo di se stessa, ancora stretta a lui, mormorò:-Io voglio farlo, ma ho paura che cambi tutto.-
L’altro la staccò quel tanto che bastava per guardarla dritto negli occhi. –Ti prometto…- il suo sguardo era infuocato -Ti giuro… che non cambierà nulla.-
 
Quella settimana fu totalmente occupata dai preparativi per le nozze. In realtà, Beatrice non vi partecipò molto: le sembrava tutto surreale e non le interessava per niente la piccola festa che sarebbe seguita alla funzione.
Alla fine, arrivò anche la mattina tanto attesa e temuta.
Aliena l’aveva aiutata ad indossare un vestito; in un giorno come quello, si sarebbe sentita fuori posto senza. Era azzurro con ricami finissimi di filo d’argento, le maniche si dividevano: una parte le fasciava strette le braccia, mentre l’altra scendeva a mo di velo fino a metà gonna, la cui stoffa; invece, strusciava a terra per alcuni centimetri. Il capo era appesantito da un drappo, ma aveva fatto peste e corna affinché non dovesse indossare anche le due bende che fasciavano; invece, il viso di Aliena e che le stringevano la fronte e la mandibola. In verità, aveva protestato anche per il costo dell’abito, ma Richard le aveva spiegato che, dal momento che adesso era conte di Shiring, al matrimonio avrebbe assistito tantissima gente, tra cui, il re in persona.
Si guardò allo specchio. La ragazza riflessa era talmente bella e femminile, che non riuscì a riconoscersi. Lei non era così. Non si sentiva così. In quel momento si sentiva solo come una ragazza sperduta e impaurita, che avrebbe tanto voluto stringere il gemello tra le braccia. Sentì le lacrime salirle agli occhi, ma le ricacciò indietro.
 Al suo fianco c’era Aliena, anche lei splendida. Indossava un vestito d’un colore strano che non aveva mai visto: una sorta di rosso che virava nel porpora. Anche il suo era impreziosito da ricami, ma le maniche erano costituite da veli che lasciavano scoperta una parte delle braccia e poi si riunivano ai polsi. Il velo sul capo era dello stesso colore insolito del resto della stoffa, appena un po’ più lungo del suo. Ma c’era qualcosa, qualcosa nello sguardo altero, nel portamento sicuro ed elegante, che la facevano sembrare una vera Signora. Era chiaro che Aliena era nata per occupare quel ruolo.
 
Richard aveva avuto ragione. La cattedrale, anche se ancora incompleta, era gremita. Non solo dai cittadini del villaggio, ma anche da conti e Signori. E dal Re. Non lo aveva mai visto, non sapeva che aspetto avesse e non aveva neanche mai sentito una sua descrizione, eppure, appena lo vide lo riconobbe. E non fu per la corona che svettava sul suo capo, quanto piuttosto per l’altezzosità della schiena dritta come un fuso, per la superbia e il disprezzo nei suoi occhi.
Tutti la fissavano, soprattutto coloro che l’avevano conosciuta a Kingsbridge. La straniera che faceva a botte con gli uomini e che andava in giro con braghe e spada, improvvisamente sembrava una donna. Si sentiva osservata da mille sguardi, ma era come se uno di questi bruciasse sulla sua pelle più degli altri. Avrebbe voluto voltarsi a guardare chi fosse, ma non poteva. Riuscì giusto a dare un paio di sbirciate alla folla, ma furono inutili.
Il sermone le sembrò eterno, ma in realtà fu breve. Finalmente, arrivò il momento dell’unione di Jack e Aliena e, subito dopo, toccò a lei e Richard.
-Vuoi tu, Richard, prendere questa donna come tua legittima sposa?-
Il cuore le si fermò per istanti infiniti, durante i quali il ragazzo rispose:-Sì, lo voglio.-
-E tu, Beatrice, vuoi prendere quest’uomo come tuo legittimo sposo?-
Secondi di puro panico mentre le pareva di non riuscire ad articolare alcun suono. Riuscì nuovamente a respirare soltanto quando si sentì pronunciare:-Lo voglio.-
A quel punto, finalmente, arrivarono l’abbraccio del Guerriero, che calmò i battiti impazziti del suo cuore, ed il suo bacio, che spazzò via ogni paura.
 
Erano usciti insieme dalla chiesa, accolti da un mare di grida di giubilo, ma poi la folla li aveva separati. Ed ora era in un angolo, meno invaso dai curiosi, cercando di scorgere suo marito tra la gente.
Suo marito…
La sola parola bastava a farle venire i brividi, eppure era proprio così.
-E così stai con lui.- si voltò per capire chi avesse pronunciato quelle parole intrise di risentimento e rabbia.
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che l’aveva visto, che impiegò alcuni istanti per capire che si trattava di Alfred. Aveva i capelli neri lucidi e appiccicati alla testa; sul viso pallido spiccavano due chiazze rosse, evidente segno che a quell’ora della mattina, aveva già bevuto. Gli occhi azzurri che l’avevano sempre gelata, creavano un contrasto inquietante con le ciglia nerissime.
Stava per rispondere, quando l’altro la precedette. –Preferisci farti sbattere da lui, invece che da me.- sputò ai suoi piedi –Lo sapevo.-
Le guance le si accesero di rabbia, ma, di nuovo, prima che potesse rispondere intervenne qualcun altro. –Alfred, come ti permetti di parlarle così?Ricorda che adesso è una contessa.- lo rimproverò Martha, poi si rivolse a lei:-Devi scusarlo. E’ ubriaco, come al solito.-
-So che non è colpa tua, ma ti consiglio di tenere tuo fratello sotto controllo. Per come è ridotto, non è difficile che si metta nei guai.- rispose gelida.
La ragazzina annuì, afferrò Alfred per un braccio e lo trascinò via.
Beatrice fece un grosso respiro. Doveva mantenere la calma se non voleva rovinare quel giorno a Richard. Quello era il suo buon proposito, il suo obiettivo, ma lo dimenticò completamente appena scorse tra la folla una chioma rossastra.
William Hamleigh si dirigeva verso di lei.
L’assassino di suo fratello.
Quale occasione migliore se non quella, per ammazzarlo?In quel mare di gente, chi avrebbe potuto vederla?
Infilò la mano in una piega nascosta del vestito e ne estrasse un semplice coltello. Adesso l’uomo era a pochi passi, forse aveva perfino visto cos’aveva in mano. Le sorrise, ma era un sorriso che emanava odio e disprezzo.
-E così ci rincontriamo.- fece con finto tono amichevole.
-Che ci fai qui?- rispose rigida.
Quello mosse un braccio, indicando il resto della piazza. –E’ un luogo pubblico e sono venuto ad ascoltare una messa, da bravo cristiano.-
Strinse di più il manico del coltello. –Ho seri dubbi che finirai in paradiso.- alzò il braccio, pronta per calare la lama, ma un’altra mano la bloccò afferrandola da dietro.
-No.- Richard era comparso all’improvviso.
Cercò di liberarsi. –Lasciami!Devo ammazzarlo!-
-No.- ripeté tenendola più stretta. –Non qui, non ora. E’ pieno di gente che potrebbe vederti e c’è il re in persona. Potrebbe essere l’ultima cosa che fai.-
-Non m’importa.- disse, cocciuta, ma il ragazzo sapeva quali erano i suoi punti deboli.
-Pensi che Lorenzo avrebbe voluto questo?-
Digrignò i denti per la frustrazione e, lentamente, permise al marito di abbassarle il braccio e nascondere di nuovo il coltello nel vestito.
William li guardava trionfante. –Vedo che Richard riesce a farti ragionare.- la beffò.
Prima che potessero rispondere, arrivò qualcun altro. –Oh, eccoti qua, Richard.-
All’unisono, furono percorsi da scariche elettriche.
-Maestà.-
Quello si guardò intorno con aria schifata. -Tra questo mare di plebei non riuscivo a trovarti.-
-Lo stesso vale per me. Mi devi scusare, sire.-
Come se il Guerriero non avesse parlato, l’altro continuò:-Vedo che hai incontrato il nostro giovane Hamleigh.- ridacchiò –Richard ha conquistato la contea secondo le regole, mi spiace tanto William.-
Il rosso, con enorme sforzo, piegò appena la testa, ma ancora una volta il re parve non vedere. Si rivolse di nuovo al soldato. –Ho sentito strane cose su tua moglie, Richard, voglio sperare che tu non metta in imbarazzo la corona, o dovrò levarti il titolo.-
Il moro si irrigidì. -Quali cose, maestà?-
-Ad esempio che veste e si comporta come un uomo.-
Bea strinse i pugni: odiava il modo in cui il sovrano stava parlando di lei, come se non fosse presente, per non dire poi, di ciò che stava minacciando.
-Sire,- lo chiamò e parve sorpreso quanto lo era lei di sentirsi parlare –credi a delle stupide dicerie?I tuoi occhi, forse, non vedono più bene?Fidati di loro, maestà, e guarda tu stesso. Ti sembro forse un uomo?-
L’altro restò in silenzio per un attimo, poi, alzando il capo in gesto di stizza, disse:-Direi proprio di no, cara la mia contessa. Ma vi consiglio di imparare a parlare soltanto se interpellata.- si rivolse ancora a Richard –Avrei gradito che la cerimonia si fosse tenuta a Londra, per fortuna c’era questa cattedrale a non rendere vano il viaggio.- si voltò e, con il seguito alle spalle, camminò verso la carrozza. William gli lanciò uno sguardo, poi si volto verso gli sposi, indeciso. Alla fine, seguì il re.


Spazio autore
Come penso ormai avrete capito, questo non è l'ultimo capitolo della storia ma il penultimo. So che vi avevo preannunciato il contrario, ma scrivendo mi sono resa conto che era diventato un cappy chilometrico così l'ho diviso in due; immagino con vostro piacere XD
Sperando che vi sia piaciuto, baci
Vivix =)

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Capitolo 13
*** Vendetta ***


Vendetta
 
-Perché diavolo mi hai fermato?!-
Erano da soli, a casa, nella stanza di Richard, dove finalmente Beatrice poteva dar sfogo alla frustrazione.
-Te l’ho detto. Chiunque avrebbe potuto vederti!-
Gli stava urlando contro da quando avevano messo piede nella dimora e quella era l’ennesima volta che gli rivolgeva la stessa domanda. Il Guerriero aveva cercato di mantenere la calma, ma a quel punto gridava anche lui.
-Invece, non mi stava guardando proprio nessuno!A quest’ora l’avrei ammazzato!- si premette i pugni chiusi contro le tempie, strizzando gli occhi per impedire alle lacrime di scendere. –Tu non capisci. Lui ha ucciso Lorenzo!-
-Dannazione, Bea!Non comportarti come se fossi l’unica a volere morto quel figlio di puttana!-
Sbatté un pugno contro la parete dietro di lei e la sentì tremare. –Ah, certo. Scusami, dimenticavo che lui è quello che ha osato rubarti il tuo bel titolo. Bella stronzata!-
-Cosa credi, che sia solo per quello?Per colpa sua mio padre è stato decapitato!Il suo dannato scagnozzo mi ha tagliato via mezzo orecchio e ha stuprato te e Aliena!Credi che sia niente tutto questo?Pensi che sei l’unica a detestarlo?!Anche io avrei voluto toglierlo di mezzo, ma non potevamo!- urlò, la faccia rossa e una vena che pulsava al lato del collo. Si fermò per riprendere fiato, aveva l’affanno come se avesse corso per un chilometro.
Ma lei aveva smesso di ascoltare quando aveva pronunciato il nome della sorella. Ed ora era lì, a fissarlo imbambolata, cercando di capire se poteva essersi sbagliata, se aveva capito male.
-Lui- sussurrò –ha violentato Aliena?-
Il ragazzo chiuse gli occhi, come attraversato da uno straziante dolore. –Sì.- rispose senza fiato.
Beatrice boccheggiò. –Io… non ne avevo idea.- improvvisamente tutto il furore che l’aveva animata fino a un attimo prima, sembrò sparire.
Anche il moro si appoggiò al muro. Pareva stremato, come se potesse cadere da un momento all’altro. –E non avresti dovuto saperlo. Nessuno lo sa.-
Istintivamente, gli sfiorò una mano. –Mi dispiace, scusami.-
L’armigero sollevò le palpebre e un angolo della bocca, in un’espressione amara e infinitamente triste. –Dovresti dispiacerti solo per te…-
Lo guardò interdetta, cercando di capire perché avesse detto così. Poi ricordò ciò che aveva urlato “ha stuprato te e Aliena” e un lampo le illuminò lo sguardo. –Ma lui non mi ha mai toccato. Cioè, voleva, ma si è fermato.-
Il soldato scosse la testa. –Non c’è bisogno che tu menta…-
-E’ la verità. Davvero.-
La guardò dubbioso, ma qualcosa nei suoi occhi dovette convincerlo perché la sua espressione divenne incredula. –Ma io credevo… sei piena di lividi…- le sfiorò un punto del collo. Aliena l’aveva riempita di trucco per evitare che gli ultimi segni scuri si vedessero, ma per chi sapeva dove cercare, non era difficile individuarli.
Scosse piano la testa. –Mi faceva combattere. Con le spade, con le mani…-
Richard l’abbracciò talmente forte, che quasi non riusciva a respirare.
-Oh, grazie a Dio. Ero talmente preoccupato, terrorizzato… soprattutto dopo che ti avevo baciata. Aliena diceva che sicuramente ti era venuto in mente quando lui…- la voce gli si spense e affondò il viso nell’incavo del suo collo.
Bea gli si aggrappò sulla tunica costosa che indossava quel giorno, mentre le lacrime le solcavano le guance. –Ma avrei preferito che lo facesse, se questo avesse significato salvare Lorenzo.- sussurrò.
Il marito rafforzò la stretta.
 
***
Richard si stropicciò gli occhi ed emise un sospiro stanco: erano ore che cavalcava, ormai. Era stato con Beatrice finché non si era ripresa, poi aveva fatto l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare un marito poche ore dopo le nozze: aveva mentito. Le aveva detto di dover discutere delle questioni importanti con il re sulla gestione della contea di Shiring, così si era cambiato ed aveva spinto il cavallo ad un trotto sfrenato. Ovviamente, non c’era niente di cui discutere con Stefano, la verità era un’altra. Come aveva detto alla ragazza, anche lui odiava profondamente William Hamleigh, erano anni che voleva ucciderlo, ma fino ad allora non si era mai presentato il momento giusto. In realtà nemmeno quello era il momento giusto, anzi. Non vedeva il rosso da quando era sparito tra la folla, dietro il re, e da quell’istante erano passate ore, non aveva nessuna possibilità di ritrovarlo. Eppure, quando aveva sentito Bea pronunciare quella frase “avrei preferito che lo facesse, se questo avesse significato salvare Lorenzo”, aveva capito che non poteva permettere che quell’uomo continuasse a far del male a persone innocenti e che il momento giusto non sarebbe mai arrivato se lui non avesse fatto qualcosa per crearlo. Così, era partito in groppa al suo stallone. Non verso Shiring, dubitava fortemente che l’ex conte fosse così stupido da farsi trovare dai contadini che aveva massacrato di tasse e di lavoro fino a poche settimane prima, perciò si era diretto verso la città più vicina. Aveva vagabondato per le strade, chiesto di lui, ma era stato un buco nell’acqua. Era stato uno stupido a partire, così, senza un piano. Dopo averci riflettuto a lungo, e anche se gli costava tantissimo, decise che era inutile continuare in quel modo e tornò indietro. Lungo la strada incontrò numerosi villaggi e decise di fermarsi in un’osteria, del resto, era digiuno da quella mattina e ore si era fatta notte fonda. Scese da cavallo e legò le briglie intorno a un palo, poi spinse la porta di legno ed entrò, accogliendo con piacere il tepore che c’era all’interno. Anche se era molto tardi e si trattava di un villaggio con poche decine di case, la locanda era affollata. Per lo più i tavoli erano occupati da uomini che fumavano e bevevano birra, reggendo in mano delle carte o divertendosi ad altri giochi d’azzardo. Tra la nebbia provocata dal fumo si muovevano, sicure ed ancheggianti, cameriere prosperose e dall’aria disponibile che sembravano abituate alle grida, dovute ai litigi e all’alcool, ai fischi e agli apprezzamenti ben poco velati degli avventori. Andò verso il bancone e si lasciò cadere su uno sgabello alto; dopo qualche minuto, un omaccione, probabilmente il proprietario di quel posto, andò verso di lui. –Come posso aiutarti?- domandò, strofinando al contempo un bicchiere con uno straccio logoro.
Stava per rispondergli, quando l’altro lo precedette. –Se stai cercando una stanza, non ne abbiamo, sono tutte occupate.-
-No. Voglio solo qualcosa da mettere sotto i denti- ci pensò su un attimo –e magari una birra. Sì, anche una birra.- di solito non era il tipo che affogava i dispiaceri nell’alcool, ma forse quella volta poteva fare un’eccezione.
-I soldi li hai?-
Mise sul tavolo alcune monete. L’oste fece un grugnito d’assenso e le nascose sotto la tunica, scomparendo poi nella cucina. Dopo pochi secondi, l’uomo tornò con un piatto e un boccale. Glieli mise davanti.
-Ehi!- esclamò –Con questa non ci sfami nemmeno un bambino!- nel piatto c’era una striminzita fetta di carne dall’aria fredda e dura, con accanto due fette di pane nero.
-E’ tutto quello che c’è rimasto. Fattelo bastare.- fece brusco l’altro, prima d’allontanarsi.
Per i soldi che gli aveva dato, gli spettava molto di più che quella roba ridicola, ma ormai, lo sapeva, non li avrebbe riavuti indietro. Erano andati, tanto valeva accontentarsi. Come previsto, la carne era immangiabile, così come il pane stantio, ma aveva talmente tanta fame che non ci fece caso. Quand’ebbe finito si girò verso il locale, con un gomito appoggiato al bancone e sorseggiando la birra con l’altro braccio. I clienti giocavano, gridavano, si agitavano. Ad un tavolo iniziarono a prendersi a mazzate, tanto che dovette intervenire l’oste. –Picchiatevi fuori dalla mia locanda!- stava gridando, ma Richard non ci fece caso. La sua attenzione era stata attirata da un uomo con la chioma rossa che si era alzato e si stava dirigendo verso le scale che probabilmente portavano al piano di sopra. Spostò la testa, per vederlo meglio tra la folla, e quasi la birra gli andò di traverso. Che ci faceva William Hamleigh lì? Diede un’occhiata furtiva al padrone del posto, ancora impegnato con la zuffa, poi cercò di farsi largo tra la gente. Non poteva perdere un’occasione del genere! Spintonando, arrivò ai piedi delle scale. L’altro era già arrivato al piccolo corridoio, ma non si accorse di essere seguito.  Il conte lo vide armeggiare con la chiave ed entrare nella stanza. A quel punto uscì allo scoperto e riuscì ad infilarsi nella camera prima che la porta si richiudesse.
-Finalmente, eccoti qua. E’ tutto il giorno che ti cerco.-
William, girato verso la piccola finestra, fece un balzo e si voltò di scatto. –Richard?Che diavolo ci fai qui?-
Il ragazzo afferrò l’elsa e, con un suono stridulo, estrasse lentamente la lama. –Sono venuto per fartela pagare. Stamattina Bea non ha potuto ammazzarti, ma ora lo farò io.-
L’altro alzò le sopracciglia, apparentemente sicuro di sé. –Oh, suvvia. Ti giuro che non le ho fatto fare niente che non volesse. E, sulla mia parola, non me la sono sbattuta.-
Nella mente del Guerriero passò come un lampo l’immagine di quell’uomo odioso che muoveva i fianchi vicini a quelli di sua moglie. Strinse la spada così forte che le nocche sbiancarono. Non è successo, si disse, sta’ tranquillo.
-Non mi dire,- riprese il rosso –che sei ancora arrabbiato per quello che ho fatto a te e ad Aliena.-
Il soldato sentì i denti scricchiolare. –Pagherai per tutto ciò che hai fatto a me, Beatrice, Aliena e un mare di altre persone!-
L’ex conte sorrise, un sorriso finto. –Sono sicuro che non combatterai contro una persona indifesa.-
-Prendi la spada!- ruggì indicandola con la punta della propria daga –O giuro che ti ammazzerò comunque!-
William strinse gli occhi poi, fulmineo, estrasse l’arma e lo attaccò. L’armigero riuscì per un pelo a schivare il colpo, e quello successivo, e quello successivo ancora; ma era in difficoltà e presto si trovò ad indietreggiare.  Non voleva mettersi sulla difensiva, doveva essere lui ad attaccare! Lasciò scoperto un punto nella difesa e ne approfittò per assestargli un fendente. Il colpo andò a segno ma non quanto sperava: riuscì a prendere il braccio del rosso solo di striscio, mentre lui lo colpì profondamente alla coscia. Strinse i denti, mentre spostava il peso del corpo sull’altra gamba. In compenso almeno, era uscito da quella situazione di stallo ed ora paravano e attaccavano entrambi con la stessa frequenza. Dopo una lunga serie di colpi, l’ex conte iniziò a indietreggiare. Richard sentiva già la vittoria nelle mani; strinse di più l’elsa, ma a un tratto inciampò: l’avversario gli aveva scaraventato contro il basso tavolino ch’era nella stanza. Si ritrovò con la spada dell’altro alla gola. –Sbaglio,- lo schernì il rosso –o eri venuto per farmi fuori?A quanto pare, invece, sarò io ad ucciderti.- alzò in alto la lama, pronto per il colpo di grazia.
Ma il Guerriero ne approfittò e lo colpì al costato. Quello, per il dolore o la sorpresa, fece un passo indietro, tenendosi il fianco, ed il soldato ne approfittò per rimettersi in piedi e colpirlo di nuovo, questa volta, al braccio. L’uomo lasciò la lama mentre lui continuava a colpirlo, e colpirlo, e colpirlo.
Non avrebbe saputo dire quanti fendenti dopo si fermò.
Il nemico giaceva a terra, pieno di tagli, gli occhi spalancati e vitrei, col sangue che già formava una pozza sotto di lui. Lo aveva ammazzato.
Aveva ucciso un uomo.
Non era la prima volta che spezzava la vita di qualcuno, ma era la prima volta che non lo faceva durante una battaglia. Quella era un’infrazione della legge. Era diventato un criminale.
Un brivido di paura gli percorse la schiena mentre il panico s’insinuava in lui come un veleno. Cercando di mantenere la calma e reprimere paura e disgusto, con mani tremanti pulì la lama sulle lenzuola del piccolo letto e si guardò allo specchio. I vestiti erano schizzati di sangue e una macchia scura s’allargava all’altezza della coscia. Sempre più ansioso, rovistò fra le cose di William, cercando di non guardarne il cadavere, finché non trovò panni puliti. Si svestì, fece a striscioline la propria tunica e si bendò la ferita, poi indossò i vestiti di quello che, fino a pochi minuti prima, era il suo più acerrimo nemico. Si affacciò alla piccola finestra. Il suo cavallo era lì, dove l’aveva lasciato, poco distante da lui. Prese in considerazione l’idea di lanciarsi giù, ma in quel caso dubitava che sarebbe passato inosservato. Non gli restava altra scelta che riattraversare la sala colma di avventori. E se qualcuno avesse sentito i rumori del duello?Se avessero letto sulla sua faccia che era il colpevole? Deglutì con forza, cercando di regolarizzare il respiro, e cercò di farsi coraggio. Si tirò il cappuccio del mantello sul viso ed uscì dalla stanza con tutta la disinvoltura di cui era capace in quel momento. Con le budella contorte dolorosamente e le mani che gli tremavano, si diresse verso l’uscita, che sembrava non arrivare mai, mentre pareva che ogni persona si voltasse a guardarlo in modo accusatorio. Finalmente, uscì nell’aria gelida e partì al galoppo verso Kingsbridge.
 
***
 
 La luce del primo mattino le attraversò le palpebre, ferendole gli occhi e strappandola dagli ultimi brandelli di sogno. Guardò la stanza per un attimo. Era in camera di Richard, sdraiata su un fianco, voltata verso la finestra dalla quale proveniva il raggio che l’aveva disturbata. Doveva essere parecchio tardi a giudicare dall’angolazione del sole, ma non si mosse e; invece, abbassò di nuovo le palpebre.
Quando, il giorno prima, Richard l’aveva lasciata così, dicendo che aveva degli affari da sbrigare col re, era rimasta delusa  -anche se non l’avrebbe mai ammesso- ma era convinta che entro sera sarebbe tornato e invece… L’aveva aspettato sveglia per parecchio tempo, ma alla fine il sonno aveva preso il sopravvento.
Una delle cose che aveva temuto di più del matrimonio, era il sesso. Verso quell’aspetto –e in particolare verso la prima notte di nozze- provava sentimenti contrastanti. Sapeva che, nella concezione comune, nel concetto di “moglie” rientrava anche quello di “fare sesso” e, in realtà, c’era una parte di lei che voleva farlo. Ma, allo stesso tempo, non voleva che fosse considerato come un obbligo da assolvere solo perché sposati. Aveva atteso con timore e impazienza quella sera, non sapendo neanche lei esattamente cosa aspettarsi o come si sarebbe comportata ma, di certo, non si era immaginata di trascorrerla da sola. A quel punto, non sapeva neanche lei se sentirsi sollevata o delusa.
Scosse la testa, come per scacciare quei pensieri e, risoluta, si alzò dalla brandina. Si voltò per uscire dalla camera, ma sobbalzò per la sorpresa. Steso sul materasso, proprio affianco a dove un attimo prima c’era lei, si trovava Richard. Aveva il viso distrutto dalla stanchezza, solcato da profonde rughe. Non si era nemmeno levato i vestiti che indossava il giorno prima, tanto doveva essere stanco quand’era tornato.
Bea aggrottò le sopracciglia. Le era parso che il ragazzo fosse andato ad incontrare il re con abiti diversi da quelli, ma dopo un attimo scosse la testa. Sicuramente si stava confondendo, in fondo, anche quelli le risultavano familiari. Lo guardò ancora per un lungo istante con in testa una ridda di pensieri  -quando era tornato?non l’aveva neanche sentito mentre si adagiava accanto a lei… Che aveva fatto tutto quel tempo dal re?- combatté con l’impulso di svegliarlo e, alla fine, scese al piano di sotto.
Giù  tutto era buio e immobile: non sapeva se l’avevano fatto di proposito, ma la sera prima Aliena e Jack non erano rientrati. Pensò di spalancare le piccole finestre e fare colazione, ma in realtà non aveva fame per nulla, perciò decise di uscire a fare una cavalcata. Per le tortuose viuzze di Kingsbridge c’era un’insolita folla e in groppa al destriero, Beatrice camminava come una lumaca tra la folla. A quanto sembrava, quella mattina gli abitanti erano parecchio su di giri, correvano da una parte all’altra scambiandosi brevi battute, o si formavano capannelli di gente bisbigliante. Qualcuno batteva le mani e alzava le braccia al celo, qualcun altro proponeva di festeggiare con una bevuta. Ma festeggiare cosa, poi?Le arrivavano alle orecchie strascichi di conversazioni .
-E’ morto, è morto!-
-L’hanno trovato in una locanda.-
-Sì, a miglia da qui.-
-No, ma che dici. Era in un villaggio qui vicino.-
-Era pieno di ferite.-
-Gliele hanno suonate di santa ragione, eh?-
-Hanno fatto bene, si meritava tutto!-
-Chi è stato?-
-Nessuno lo sa. Magari si è suicidato.-
Incuriosita, decise di domandare ad una donna che correva a dare la notizia, di chi stessero parlando.
-William Hamleigh!E’ morto, è morto!-
Ci vollero alcuni secondi perché digerisse la notizia. William Hamleigh. Morto. Com’era possibile? Qualcosa si agitò nel suo animo,  un misto di gioia sfrenata, rabbia e delusione. Fece voltare il cavallo e lo spronò a tutta velocità verso la bottega, incurante se quasi travolgeva le persone. Arrivata al negozio scese dalla sella e si precipitò all’interno, su per le scale. Corse verso le ante della finestra e le spalancò, facendo riempire la stanza di luce biancastra. Sentì un mugolio alle sue spalle, segno che aveva disturbato il sonno di Richard. Si voltò verso di lui. Il ragazzo aveva una mano sugli occhi strizzati e non pareva per niente contento d’essere stato svegliato.
-Che diavolo succede?- socchiuse un occhio –Bea, chiudi quella finestra.-
Lei l’ignorò e gli si avvicinò, scuotendolo per una spalla. –Alzati, Richard!-
Il Guerriero si mise a sedere. –E’ successo qualcosa?- adesso pareva ansioso e perfettamente vigile.
-William è morto!-
-Ah.- la fissò per un istante, sbattendo le palpebre. –Come fai a saperlo?-
-Ho sentito la gente che ne parlava. Tutto il villaggio lo sa!Dicono che è stato trovato in una locanda, non molto lontano da qui, e che era conciato male. Chi può essere stato?-
Il soldato si tirò indietro, attaccandosi alla parete come se l’avesse minacciato con un pugnale. –Non ne ho la minima idea. E poi, che importa?-
Beatrice non credeva alle sue orecchie. –Come, che importa?!Ha ucciso l’assassino di Lorenzo, l’uomo che volevo eliminare io!- si alzò di scatto dal letto e si affacciò alla finestra, stringendo il davanzale con le mani. –Come diavolo si è permesso?!-
Ci fu un attimo di silenzio, poi:-Ti ha fatto un piacere, no?Se fossi stata scoperta, saresti finita al cappio.-
L’italiana strinse di più il parapetto di legno, fino a far diventare bianche le nocche. –Non mi importavano le conseguenze, volevo vendicarmi!-
S’immaginò la fronte aggrottata dell’altro mentre diceva:-Pensavo lo volessi morto per tutto ciò che ha fatto.-
-Infatti è così.- s’interruppe a lungo, cercando di fare ordine tra i propri sentimenti. Alla fine riprese, con le sopracciglia corrugate per lo sforzo:-Sono felice che sia morto… ma volevo essere io conficcargli la spada nel petto.- confessò con un filo di voce.
Dopo alcuni istanti, l’armigero disse:-Vieni qui.-
Lentamente, Bea si voltò e si sedette sul letto. Il moro le strinse la vita con un braccio e lei gli si accoccolò al fianco, sorprendendosi per prima del proprio gesto. Il ragazzo la strinse.
-Credimi, è meglio così. Questo… tizio, chiunque egli sia, ti ha evitato di commettere un omicidio. Non te lo saresti più levato dalla testa, ti avrebbe perseguitata per sempre e saresti finita all’Inferno perché uccidere a sangue freddo è peccato.-
Gli strinse delicatamente la camicia con una mano e, nonostante tutto, un angolo della bocca le si sollevò. –Credi al Paradiso e all’Inferno?-
Richard alzò lo sguardo verso il soffitto. –Non lo so.- ammise –A volte mi sembra di crederci, altre volte mi pare l’idiozia più colossale del mondo. Ma una cosa è sicura.- abbassò gli occhi su di lei –Non permetterei mai che tu fossi dannata.-
La mano che teneva la tunica si strinse e sentì le guance arrossarsi, questa volta però, non per la rabbia. –Non farlo.-
La fissò perplesso. –Cosa?-
-Non fare finta che t’importi di me chissà quanto.-
Il conte spalancò gli occhi. –Ma è così…-
-E allora- lo interruppe –perché ieri mi hai mollata qui per mezza giornata?Dovevi discutere proprio ieri col re?- lei stessa era stupita di quelle parole: era la prima a pretendere i propri spazi, perché lo aggrediva a quel modo?
-Ti giuro che se non fosse stata una questione della massima importanza, non sarei andato.-
Scosse la testa. –Scusami, non ho nessun diritto di farti la predica; è solo che da quando Lore non c’è più..- Da quando non c’è più ho paura che scompaiano tutti, avrebbe voluto dire, ma il suo orgoglio le strozzò le parole in gola.
Forse però, il soldato capì, perché la stinse forte e lei gli affondò il viso nell’incavo del collo. Sentiva con nitida chiarezza la mano del ragazzo che si muoveva lentamente su e giù lungo la schiena, più e più volte. A un tratto, si fermò dietro la nuca e girò appena il viso verso di lei. Le poggiò le labbra sulle tempie per un attimo, poi sullo zigomo, sulla guancia. Come mossa da un filo invisibile, a poco a poco anche Beatrice girò la faccia, finché le loro labbra non si incontrarono per un istante. Quando si staccarono, si spostò piano verso le labbra di lui, che s’incastrarono con le sue come fossero tessere di un mosaico. L’armigero era delicato; le baciava la bocca, gli occhi, la fronte, il mento; le mani le accarezzavano la schiena, indugiavano sulla nuca, s’intrecciavano ai capelli. Come mosso da volontà propria, il corpo della ragazza si fece più vicino a quello caldo di lui, gli agganciò le dita al collo, poi le fece scorrere tra le ciocche morbide e un po’ lunghe dei suoi capelli. Il moro guidò il corpo della moglie sul letto, finché non le fu sopra. Spostò le labbra sul lato del collo, mentre sentiva il respiro dell’italiana diventare più affannoso. Le mordicchiò il lobo mentre le mani correvano lungo il corpo sottile, indugiando ora sui fianchi, sulle cosce o sul petto. Beatrice sentiva il suo respiro veloce, ma era come se appartenesse a qualcun altro, in quel momento riusciva a percepire solo il corpo caldo del marito sul suo, e voleva che fosse più vicino, più vicino. Ora lo stringeva a sé, ora faceva scorrere le mani lungo il suo torace. Non avrebbe saputo dire come, a un tratto, il ragazzo era senza camicia e adesso, quando lo sfiorava, le correvano scariche elettriche lungo le dita. Sentiva la sua pelle morbida e sotto, lo strato duro dei muscoli che si contraevano al passaggio delle sue mani. Quando volò via anche la sua tunica, ricordò per un attimo la notte in cui William l’aveva aggredita, ma scacciò via quel pensiero: era completamente diverso. Le mani del moro erano calde e delicate sulla sua pancia, sul seno, ma, soprattutto, a differenza di quella volta, lei desiderava quel contatto; anzi, voleva che diventasse più forte e profondo. L’altro la guardò, interrogativo e un po’ preoccupato: l’aveva sentita irrigidirsi sotto di lui. Bea scosse la testa e lo strinse più forte, sentiva il corpo di lui attaccato al proprio ma sembrava non bastare mai. Percepiva con dolorosa consapevolezza le mani di Richard che indugiavano lungo il bordo dei pantaloni, che li slacciavano e li tiravano giù lentamente. La guardava esitante, chiedendole un tacito permesso. Lei non si mosse e le braghe finirono a terra. Quando anche gli ultimi strati di vestiti, furono eliminati, ormai avevano entrambi il fiatone e dalle loro bocche uscivano piccoli gemiti. Poi, finalmente, lo spazio che li divideva si azzerò totalmente.
 
Era ancora nuda, appoggiata al corpo di lui, con la testa sulla sua spalla. Teneva gli occhi chiusi e con i polpastrelli disegnava piccoli cerchi alla base del suo collo. Se ripensava a ciò che era successo, restava senza parole. Fino alla sera prima temeva la prima notte di nozze, e adesso si domandava per quale assurda ragione. Ciò che era successo… era giusto, era bello, era stupendo. Il suo corpo aveva agito per lei, zittendo, finalmente, le preoccupazioni che venivano dal cervello.
-Ehi.-
La voce sommessa di Richard le fece aprire gli occhi. Aveva i capelli arruffati ed era illuminato dalla luce del sole morente. Le si strinse lo stomaco.
-Sei sveglia?-
Sorrise appena. –Sei tu quello che si è addormentato.-
Un lampo d’allarme attraversò il viso del Guerriero e lo sentì irrigidirsi sotto di lei. –Non preoccuparti.- lo tranquillizzò –Non fa niente. Anche Lorenzo, mi raccontava che si addormentava sempre dopo.-
Lo sentì rilassarsi. –Forse è una caratteristica degli uomini.-
-Forse.- acconsentì, mentre con la mano scendeva lungo il petto. –Come ti sei ferito la gamba?- domandò indicando la coscia fasciata. –Mi era parso di sentirti lamentare, ma credevo che fosse la mia immaginazione.-
Il soldato, sotto di lei, si era contratto di nuovo. –Oh, è una… una vecchia ferita di quando abbiamo conquistato il castello.-
-Pensavo che non aveste combattuto.-
-Infatti. Mi è caduta addosso una cosa, ma niente di che.-
-La ferita deve essersi riaperta però: la fasciatura è macchiata di sangue. Ti aiuto a cambiarla.- iniziò a muoversi per alzarsi, ma il moro la trattenne.
-No. Stai qui.- la pregò.
-Ma le bende…-
-Non fa niente; sto bene. Stai qui.- ripeté e questa volta Bea si lasciò trascinare di nuovo sul letto. Gli si appoggiò di nuovo e chiuse gli occhi, concentrandosi sul pensiero che la stava tormentando prima che l’armigero si svegliasse.
Calò il silenzio e dopo alcuni minuti il Guerriero la chiamò. –Bea?-
Alzò gli occhi e lui li agganciò ai suoi. –Ti amo.- le confessò con la voce tremante.
Sentì una fitta allo stomaco e abbassò gli occhi. Cercò di trasformare in parole il pensiero sul quale si stava trastullando. Infine, sussurrò:-Ti amo.-
 
 

 
FINE

 

Spazio autore
Ed ecco l'ultimissimo capitolo, siamo arrivati alla fine di questo viaggio tormentato xD
Ringrazio tutti per il vostro supporto, lettori silenziosi, ma soprattutto quelli "parlanti".
Vi faccio un'ultima richiesta (direte, ancora un'altra?Ebbene sì, ci vuole pazienza con me XD ) mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, non solo del cappy, ma di tutta la storia in generale. Grazie in anticipo a tutti coloro che mi accontenteranno =)
Un bacio a tutti,
Vivix =)

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