La macchina del capo ha un buco nella gomma.

di giulina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi erano. ***
Capitolo 2: *** Chi sono diventati. ***
Capitolo 3: *** Pronti, partenza...VIA! ***



Capitolo 1
*** Chi erano. ***



 

La macchina del capo ha un buco nella gomma.

 


 

La macchina del capo ha un buco nella gomma,

la macchina del capo ha buco nella gomma,

la macchina del capo ha buco nella gomma,

e noi l'aggiusteremo con il chewing gum!


 

 

 

 

2 settembre 1996.

 

 

Pietro e Martina osservavano attenti le minuscole gocce di pioggia che si infrangevano sulla terra scura, che le loro scarpe fangose sfioravano appena.

Il vento riusciva a dondolare le loro altalene arrugginite, come se fosse la mano di una madre prudente.

Nell'aria umida di settembre, si sentiva il guaito di un cane e le urla di alcuni bambini che giocavano a calcio dall'altra parte del parco, utilizzando dei rami caduti come porte improvvisate.

A loro non piaceva giocare a calcio, preferivano stare ore ed ore seduti sulle altalene, sfidandosi a chi riusciva a stare più tempo in piedi sopra al seggiolino di legno consumato.

Il record era di Pietro: un minuto e venti secondi.

Li piaceva passeggiare tra gli abeti altissimi, dissotterrare vermi e cercare funghi, consapevoli che il massimo che potevano trovare fosse qualche Spugnola o un Prataiolo, se erano particolarmente fortunati.

Quel mercoledì pomeriggio non avevano voglia di fare niente.

Si limitavano ad alzare il viso verso il cielo, così che venisse accarezzato da quella lieve pioggerellina che lavava il sudore dalle loro fronti, allungando di tanto in tanto la lingua fuori dalla bocca per catturare qualche goccia.

Martina parlò mentre fissava un graffio arrossato sul palmo della mano destra.

-Pietro, dopo cosa succederà?-

-Dopo quando?-

-Dopo che me ne sarò andata-

-Ancora con questa storia?! Tu non te ne stai andando, Martina!-

Aveva sbuffato all'indirizzo della migliore amica, alzando gli occhi verdi -come l'erba calpestata sotto le suole delle sue scarpe da ginnastica- verso il cielo grigio carico di pioggia.

La bambina era rimasta in silenzio, poggiando un piede per terra per darsi una leggera spinta che l'aveva fatta dondolare dolcemente.

-Litigano spesso, troppo spesso-

-Tutti i genitori litigano-

-Non sorridono mai-

-Il Catania ha perso, è per questo che tuo padre non sorride da due giorni-

La bambina aveva accennato un sorriso, staccando una mano dalla catena arrugginita per spostarsi un ciuffo di capelli rossi che le copriva gli occhi chiari.

-E mamma? Perché non sorride?-

-Tua madre non sorride mai: è per questo che mi fa paura-

La risata di Martina era arrivata fino alle orecchie di alcune donne sedute sulle panchine, ridipinte da poco di verde, al limitare del parco; si erano girate stupite, alla ricerca di quel suono limpido e fresco.

Pietro aveva lasciato andare l'altalena e si era accucciato sulle ginocchia, fissando un punto preciso nella terra umida.

La compagna lo aveva osservato scavare con un piccolo pezzo di legno, trovato accanto alla sua scarpa, e sporcarsi le mani e le unghie di terra.

Se sua madre l'avesse visto macchiarsi la tuta nuova, gliele avrebbe dette di tutti i colori.

-Secondo me faranno quella cosa con la S.-

-Io dico di no-

-Io dico di si-

-Tina, i tuoi genitori non si stanno separand..-

-Zitto, idiota!-

Martina si era alzata in piedi e gli aveva rifilato uno scappellotto sulla testa, finendo per far impigliare il suo anello colorato, trovato per terra nel cortile della scuola, nei capelli castani del bambino.

-Ahia! Va bene, va bene. I tuoi non si stanno separa..-

-Ancora? Lo sai che non devi dire quella parola!-

-Tu sei tutta scema!-

Si era allontanato di qualche passo da lei, massaggiandosi la cute della testa con una smorfia di dolore sul volto abbronzato grazie al sole che aveva preso in spiaggia la settimana prima.

Martina si era seduta di nuovo sull'altalena; lo sguardo basso sulle ginocchia, perennemente sbucciate.

Pietro le si era avvicinato con uno sbuffo e aveva fatto specchiare i loro occhi, nei quali vi si poteva leggere tutto. Tutto.

-Anche se i tuoi dovessero fare quella cosa con la S., rimarremmo sempre amici-

-Non abiterei più qui-

-Esiste la posta, stupida Tina-

-Ma non potremmo più andare a cercare funghi-

Lui le aveva sorriso speranzoso ed aveva posato una mano sulla sua spalla.

-Tranquilla, rimarrò al tuo fianco. In qualche modo faremo-

-Si ma non troppo vicino, lo sai che odio le persone appiccicose-

 

 

Una settimana dopo, i genitori di Martina avevano firmato i fogli per la separazione davanti all'avvocato Luigi Mastrocchi, che quel giorno gli duoleva la sciatica tremendamente.

Due giorni dopo, Martina era partita insieme a sua madre per Ponte Risecchio, il paese dove abitavano i genitori della donna che non sorrideva mai.

Martina e Pietro non avrebbero più potuto cercare funghi insieme.

 

 

 

 

 

Note finali.

Non so da dove nasce questo prologo; sembra una frase fatta, lo so, ma è la verità.

Un pomeriggio apri Word e ti metti a scrivere due nomi, poi una scena a cui piano piano si aggiungono particolari, e alla fin ti ritrovi sdraiata sul letto senza riuscire a prendere sonno perché pensi cosa potrebbe succedere dopo.

Arrivati a quel punto, la storia ti ha già rapita e tu ti ritrovi a doverle dare vita su un foglio digitale.

Questa è una storia tra migliori amici, ma migliori amici come loro non si sono mai visti, a mio parere. Ma non sono io a dover giudicare!

Ho già qualche capitolo pronto ma per ora credo proprio che non aggiornerò e cercherò, innanzitutto, di finire l'altra mia storia romantica "La parete di plexiglass". Dopo, forse, mi potrò dedicare a questa e ad altre.

Spero che aspetterete il seguito ma soprattutto spero che questo breve prologo vi sia piaciuto ed abbia smosso la vostra curiosità.

Grazie in anticipo a chi darà anche solo uno sguardo.

Un bacio grande,

Giulia.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Chi sono diventati. ***


 

Grazie, un grazie immenso per il calore con cui avete accolto quest'ennesima pazzia uscita da non si sa dove.

Siete delle lettrici fantastiche, davvero.

Buona lettura,

Giulia.

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12 luglio 2011.

  

 

Pietro non era un tipo paziente.

Assolutamente no.

L'attesa lo faceva immediatamente agitare e innervosire; subito dopo subentrava l'ansia, la terribile ansia che gli faceva provare una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco anche per le cose più banali.

Quando sua madre si era rotta il polso cascando durante il corso di flamenco, che frequentava insieme a suo padre il giovedì sera, ad esempio, il ragazzo era stato costretto ad aspettare nella sala d'attesa del Pronto Soccorso quattro ore e ventitré minuti per una semplice radiografia.

Gli era venuta la tentazione di lasciare lì sua madre e tornarsene a casa da solo.

Pietro non era una persona cattiva però, quindi attese altre due ore e undici minuti seduto su una rigida sedia di plastica guardando disgustato le infermiere, che passavano per i corridoi con lunghi carrelli di metallo con sopra decine di piatti colmi di purè fumante.

Sin da bambino, Pietro era convinto che quella sostanza giallognola e flaccida fosse un qualcosa di velenoso che il suo palato non avrebbe mai dovuto assaggiare.

Si sa, ognuno ha le sue fisse.

Ancor più dello aspettare, Pietro odiava dover aspettare fermo, sigillato in macchina, con il cd di Renato Zero regalatogli da una sua ex ragazza, che veniva riprodotto in continuazione. Lo avrebbe volentieri volato dal finestrino, se solo avesse saputo come farlo uscire dal lettore cd.

Il problema era che non lo sapeva nemmeno spegnere, quell'aggeggio infernale.

Appena sentì le note de “Il triangolo no”, Pietro scese con un gemito di rabbia dall'auto, sbattendosi la portiera malandata alle spalle e camminando a passo di marcia fino ad un cancello nero di ferro battuto, ornato da dei ciclamini appassiti.

Pigiò con fin troppa forza il citofono e aspettò impaziente che qualcuno gli rispondesse.

-Chi è?-

-Basta, non ce la faccio più-

-Ti ho detto dieci minuti, ne sono passati a malapena due-

-Bugiarda! Ho ascoltato per due volte “I migliori anni della nostra vita” e dura quattro minuti e nove secondi!-

-Ascoltatela un'altra volta-

-Ti lascio qui-

-No! Pietro, ti prego, ragiona!-

-Ragionare?! Se non ti vedo qui tra un minuto me ne vado-

-Sei una bestia-

-Una bestia che conosce a memoria la discografia di Renato Zero! Non ce la faccio più, te lo ripeto-

-Sei terribile-

-Ti lascio a piedi-

-Eccomi-

Pietro si era passato una mano abbronzata sulla fronte sudata, scostandosi alcuni ciuffi castani dagli occhi socchiusi.

Quel giorno il termometro della farmacia Peretti, dello sconosciuto, piccolo comune di Lesina, in Puglia, segnava 32° gradi e per le strade del paese non si vedeva un'anima. Tutti rinchiusi in case dotate di condizionatori o nei bar con almeno una dozzina di ventilatori che permettessero di respirare almeno un po'.

Anche andare al mare sembrava essere troppo faticoso.

Pietro si arrotolò le maniche lunghe della camicia bianca sugli avambracci e salì di nuovo sull'auto, abbassando il più possibile il finestrino polveroso e scocciato con del nastro adesivo marrone in un angolo.

Lo scatto del cancello lo fece sobbalzare sul posto.

Incredibile, per una volta l'aveva ascoltato.

Un gran fracasso accompagnava l'entrata della ragazza in macchina. Uno zaino e una piccola valigia verde che venivano lanciate nella bauliera, un fastidioso ciabattio sul ghiaino, sbuffi ed imprecazioni a bassa voce ed infine un abbaiare concitato.

-Non ci siamo affatto capiti- Disse Pietro scuotendo la testa più nervoso di prima.

Afferrò con entrambe le mani il volante caldo sotto i raggi del sole, e ci appoggiò anche la fronte.

-Fallo subito scendere-

-Stai scherzando, vero?-

-Ti sembro una persona che sta scherzando?- Chiese alzando la testa, facendo intravedere una vena che pulsava sul suo collo scoperto.

-Mi sembri una persona con gravi problemi di auto controllo-

-Esatto! Per cui, prima che io commetta un omicidio, e ti assicuro che sporcare i sedili di sangue è l'ultima cosa di cui ho voglia, fai scendere quell'essere-

L'essere in questione spuntò dai sedili posteriori, alzandosi sulle zampe con un abbaio acuto. La sua lunga lingua rosa penzolava dalla bocca e un leggero strato di bava stava colando sul tappetino sotto di lui.

Pietro guardò quella scena disgustato ed impotente allo stesso tempo.

Il cucciolo di 35 kili lo fissò con i suoi occhioni dorati e si accucciò sul sedile, spargendo i suoi peli scuri su ogni superficie che sfiorava.

Pietro chiuse per un attimo gli occhi, chiari come il cielo limpido sopra di loro, e puntò il suo sguardo in quello della ragazza.

Martina gli sorrise facendo formare una tenera fossetta sulla guancia destra, si sporse dal sedile del passeggero e gli sistemò il colletto della camicia, lasciandogli una carezza sui capelli scompigliati.

-Massimo adora Renato Zero-

Era davvero arrivata l'ora di buttare quel maledetto cd.

 

 

 

 

 

 

10 luglio 2011 (..due giorni prima)

 

 

Quella strana chiamata proveniente da un numero sconosciuto era arrivata alle 12: 03 del 10 luglio, mentre Pietro, sdraiato nel suo letto a due piazze che condivideva solo con se stesso, aveva appena finito di leggere l'ultima pagina di un romanzo di Stephen King con il sorriso sulle labbra.

Un capolavoro, a suo parere.

Quando aveva risposto senza vedere il mittente, il ragazzo era sicuro che fosse l'amante della signora del terzo piano che sbagliava ogni santissima volta numero e gemeva e sospirava alla cornetta, facendogli accapponare la pelle e rizzare i peli sulle braccia.

Quella notte però, Pietro sentì la voce singhiozzante di un'anziana signora.

-Pronto?-

-P-parlo co-con il sign-nor Pietro P-pratesi?-

-Si, sono io-

Un attimo di silenzio teso e poi :-È ..è m-morto! È morto!-

Pietro aveva sentito l'aria mancare nei polmoni ed era caduto a sedere sul letto con una mano posata sulla gola improvvisamente sigillata.

Si sentiva soffocare.

-Chi?- Aveva chiesto con un filo di voce appena udibile che però era rimbombato in tutto l'appartamento deserto.

-Ca-camillo B-benci-

-Chi?!-

Camillo Sandro Benci era stato il compagno di banco di Pietro in seconda elementare alle scuole Ugo Foscolo.

Un ragazzino taciturno, che odiava la storia e, girava la voce, si mangiasse le caccole di nascosto.

A Pietro era simpatico, tutto sommato, anche se non ci aveva mai scambiato più di due parole in croce. Intorno a quel bambino lentigginoso, sembrava che ci fosse una sorta di barriera che era impossibile da superare. Intoccabile da chiunque volesse tentare di conoscerlo veramente.

A metà dell'anno, il padre si era dovuto trasferire a Genova e lui aveva dovuto seguirlo. Se ne era andato in silenzio, come tutti lo avevano sempre visto.

Da quel giorno di diciotto anni fa, Pietro non lo vide più.

E un po' gli dispiacque, se doveva essere sincero.

Quando quella donna nominò il suo nome, dopo un'attenta elaborazione di chi fosse costui, Pietro prese un grande respiro e quasi si mise a ridere.

Dopo qualche secondo la notizia arrivò davvero al suo cervello e il sorriso sparì dalle sue labbra.

Povero, povero Camillo.

L'ultima cosa che era riuscito a sentire, prima che la chiamata venisse interrotta, era stata una frase biascicata a mezza voce: “Il 14 l-luglio ci sarà il funerale ne-nella Chiesa di..di San Tommaso a Firenze. Camillo sarebbe stato fe-felice di averla v-vicino a sé-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bene, avete capito qualcosa di questo secondo capitolo? Spero proprio di si!

Allora, nella prima parte vediamo un Pietro ormai adulto che va a prendere sotto casa proprio Martina, la sua amichetta del cuore che era sparita dopo essersi trasferita a Ponte Risecchio inseguito alla separazione dei genitori.

Come avranno fatto i due migliori amici a ritrovarsi? Quando sarà successo? Bè, questo lo capirete più in là, non posso di certo svelarvi tutto ora!

Nella seconda parte del breve capitolo (questi sono capitoli di presentazione dei personaggi e quindi sono molto più brevi degli altri; piano piano saranno sempre più lunghi) c'è un flashback che riguarda la chiamata di una signora sconosciuta a Pietro che gli annuncia la morte del compagno di classe di cui si era scordato l'esistenza.

Bene, questo è il fulcro della storia.

La storia di Pietro e Martina si svolgerà soprattutto in auto, sulle autostrade dell'Italia per raggiungere Firenze dove si terrà il funerale del povero Camillo (niente di cui rattristarsi, mi raccomando). Si racconteranno, durante questo viaggio.

è una commedia, questa, quindi molti capitoli saranno allegri come questo, alternati ad altri meno felici. Ci saranno anche dei flashback, voi lo sapete che io li adoro!

Spero di essermi spiegata al meglio.

Un bacione grandissimo,

Giulia.

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Capitolo 3
*** Pronti, partenza...VIA! ***


La neve ispira, c'è poco da fare.

E mi ha ispirato anche questo capitolo che spero vi farà ridere come ho riso io scrivendolo.

Ancora tantissime grazie per le letture e le recensioni, sono ancora sopresa per la vostra accoglienza!

Buona lettura,

Giulia.

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Giù, ancora tantissime grazie <3

 

                                     

 

 

 

 

 

 

 

12 luglio 2011.

 

 

 

 A Martina piacevano i Led Zeppelin, a Pietro Francesco De Gregori.

A Martina piaceva tenere il finestrino completamente aperto così che i suoi capelli sciolti si potessero scompigliare liberamente; Pietro li teneva entrambi sigillati per paura, essendo di salute cagionevole, di prendersi il solito noioso raffreddore che durava per settimane.

Piaceva ballare, a Martina, scatenarsi sullo stretto sedile di pelle e battere sul cruscotto i piedi scalzi al ritmo della canzone che risuonava in tutto l'abitacolo.

Pietro odiava quando la ragazza si scatenava in quel modo, nemmeno fosse ad un concerto dei Metallica, ed ogni due per tre le staccava i piedi dal cruscotto e glieli faceva posare di nuovo sul tappetino.

Lei sbuffava, si appoggiava con la testa al finestrino osservando la campagna intorno a loro e appena sentiva le note di una canzone che le piaceva, ricominciava ad agitarsi come in preda ad un attacco epilettico.

Pietro non ce la faceva più.

Il povero Massimo, sdraiato sui sedili posteriori, sembrava più umano di lei. Abbaiava solo di tanto in tanto quando la macchina rallentava in prossimità dei segnalatori della velocità.

Martina aveva spiegato al ragazzo che 'Lui adora la velocità. Diventa violento quando si va piano'.

Quindi se lui non avesse guidato in stile Michael Schumacher, gli avrebbe azzannato un braccio?

I primi trenta minuti di viaggio sulla A14 Bologna-Bari erano andati più o meno così.

Pietro sentiva la camicia bianca appiccicata alla sua pelle sudata ed il volante sotto le sue dita bruciare per il sole che filtrava dentro l'auto come se non ci fosse stato un parabrezza.

La voce stonata di Martina al suo fianco, inoltre, aumentava il mal di testa che, era certo, sarebbe scoppiato da un momento all'altro.

-Quand'è il funerale?-

-Tra due giorni. Scusa, ma non hai detto che quella donna ha chiamato anche te?- Le aveva chiesto, mentre superava un'utilitaria cambiando marcia.

Pietro non era stato il solo a ricevere quella chiamata senza senso in piena notte. Era stata chiamata anche Martina ma lei non ne era rimasta scalfita più di tanto. Si era molto dispiaciuta per Camillo, quello sì.

-Sì, ma in quel momento stavo infornando i miei Cupcakes, quindi ero parecchio distratta. Lo sai che bisogna stare attenti che non si sgonfino-

-E certo. Lei ti parla di un funerale e tu cucini-

-Non stavo cucinando ma infornando, due concetti diversi-

-Sei una persona insensibile-

-Giusto, te scommetto non c'avrai dormito la notte e ti sarai dovuto prendere dodici camomille- Gli aveva risposto seccata, volgendo lo sguardo alla sua destra e incrociando le braccia sotto al seno. Martina era una persona estremamente permalosa. Soprattutto quando a criticarla era proprio Pietro.

-Due camomille, per la precisione, e poi non è colpa mia se sono una persona che si agita facilmente..-

-Tu vai nel panico, è diverso da agitarsi-

-...e scusa se non sono menefreghista come te!-

Martina si era improvvisamente girata verso di lui con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta dallo stupore per la sua affermazione.

-Io menefreghista?!-

-No, parlavo di Massimo-

-Io menefreghista, Pietro?! Tuo cugino Salvatore l'altr'anno si è fracassato il coccige sciando in Trentino e tu l'unica cosa che sei stato in grado di dirgli quando sei andato a trovarlo in ospedale è stato 'Il tuo soprannome del liceo “chiappe d'oro” mi sa che non è più valido, non è vero Sasà?'-

-Lo sai che odio mio cugino-

Le aveva risposto piccato, gettandole un'occhiata di puro astio.

Camillo, oh caro Camillo, spero ci sia spazio nella tua bara perché probabilmente avrai compagnia.

Martina si era ammutolita subito dopo per non voler peggiorare la situazione già precaria tra loro, ma non aveva mancato di fargli la linguaccia, che era stata ricambiata dal ragazzo, e alzare il dito medio nella sua direzione.

Due bambini.

Si era allora sistemata meglio sul sedile, allungando le gambe sul cruscotto ed appoggiandosi al poggiatesta del sedile. Gli occhi socchiusi che studiavano cosa la circondava come se fosse stata sconosciuta a quei luoghi.

La strada asfaltata su cui la mitica Fiat 126 rossa si stava muovendo, era deserta. Solo lei, su quel percorso di cui non si vedeva la fine.

Si trovava al centro di campi di grano sterminati, dove il nulla predominava. Chilometri e chilometri di spighe d'oro che si muovevano seguendo il vento che li sfiorava e si infiltrava fin dentro la terra secca.

Colline verdi come oasi nel deserto ed alberi come sopravvissuti coraggiosi a quel caldo afoso che ti toglieva anche la voglia di pensare coerentemente.

Stradine solitarie, quasi invisibili, tagliavano quei terreni di nessuno, come se fossero state tracciate con riga e squadra. Così precise, senza imperfezioni.

Un campo di girasoli di un giallo così forte che faceva male agli occhi. Erano tutti rivolti verso il sole come se fosse il loro grande amore, mentre pochi erano ancora chiusi in se stessi.

Martina pensò che fossero soltanto timidi.

Un Tir bianco e rosso li superò rompendo per un attimo l'attenta osservazione della ragazza.

All'improvviso, sentì la mano di Pietro sulla sua fronte che le spostava dei ciuffi di capelli rossi che le erano finiti davanti agli occhi.

Le sue mani erano fredde quasi da sembrare irreali. Martina non le aveva mai sentite calde.

Chiuse pigramente gli occhi e si lasciò rinfrescare dal suo tocco gentile.

Quello era il suo modo di chiederle scusa.

Alla radio partì l'ultimo successo di Vasco Rossi. Pietro cambiò stazione e si sintonizzò su una di grandi successi anni '60.

Quel gesto significava che pace era stata fatta.

Lui d'altronde lo sapeva bene, quanto lei odiasse Vasco Rossi.

 

 

 

 

 

 

 

23 marzo 2006.

 

 

Pietro e Martina quell'anno avevano soltanto vent'anni: i soliti problemi con l'università, lavoretti saltuari come baby sitter e un padre petulante a causa della prostata infiammata, per lei; dolce far nulla e problemi con l'università e con il gentil sesso, per lui.

Riuscivano a vedersi soltanto il sabato sera quando loro ed altri amici, conosciuti chissà quando e dove, si riunivano per qualche bevuta al solito pub nel centro.

Anche se non si vedevano spesso, Pietro e Martina erano sempre loro: dei rompicoglioni assurdi quando iniziavano a litigare e incredibilmente melensi quando facevano la pace.

Due migliori amici come loro, nessuno li aveva mai visti.

Quella famosa sera del 23 marzo era il compleanno di Martina e Pietro aveva deciso di farle una sorpresa.

Aveva indossato la camicia azzurra che aveva comprato in saldo qualche giorno prima, rasato la barba, pulito la macchina come se non fosse già stata pulita e alle sette e dodici minuti era sotto casa della ragazza.

Martina abitava da sola in un piccolo bilocale il cui affitto era pagato dal padre che non vedeva da mesi e che probabilmente si era trasferito in qualche paesino sperduto del mondo.

Era terribilmente disordinato come appartamento e Pietro non si trovava affatto a suo agio in tutta quella confusione; lui, un ragazzo così preciso e ordinato.

Le aveva dato il suo regalo di compleanno appena usciti dal portone del palazzo, davanti alla sua macchina. Lei sembrava così emozionata.

Pietro gongolava di già, sapendo la faccia stupita che avrebbe fatto lei.

E infatti la fece una faccia stupita, ma che dico, era esterrefatta!

-SEI UN EMERITO IDIOTA!!- Gli aveva urlato a due centimetri dall'orecchio rischiando di farlo diventare sordo come suo nonno Alfonso.

Lui era rimasto senza parole, completamente sbalordito. Quello era il suo modo di ringraziarlo?

-Ma.. ma, tu ami Rossi!-

-Valentino, imbecille, Valentino ROSSI!-

Gli aveva risposto mentre sbatteva un pugno sul finestrino della mitica, forse un po' meno mitica dopo quel pugno, Fiat rossa 126, inclinando il vetro che dopo pochi giorni si sfece in mille pezzi quando il ragazzo entrò in una buca.

Quella sera, Pietro aveva imparato che era molto pericoloso non ascoltare una donna, ma soprattutto, che Martina odiava Vasco Rossi.

Al concerto ci andarono ugualmente eh! Lui aveva speso ben 129 euro per quei maledetti posti vicino al palco e nessuno l'avrebbe fermato dal cantare a squarciagola 'Vita Spericolata'.

Perché a lui, dopotutto, Vasco Rossi non faceva poi così tanto schifo.

 

 

 

 

 

 

 

12 luglio 2011.

 

 

 

 -Tra quanto dovremmo arrivare?

-Sei, sette ore penso-

-La sai la strada?-

-Certo! Ci dovrebbe essere una mappa stradale proprio nei sedili poster...MASSIMO!-

Il cucciolo di 35 kg, aveva alzato la testa sentendosi chiamare in causa, con il pezzo di carta che rappresentava la regione Lazio ficcato per metà nella sua bocca.

Si poteva intravedere un pezzo delle Marche sotto la sua zampa destra e la Sicilia e Basilicata sul tappetino nero.

La Toscana, molto probabilmente, era già nel suo enorme stomaco.

Bene, erano ufficialmente nella merda.

 

 

 

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