Una vita insieme

di giambo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Festa alla Capsule Corporation ***
Capitolo 2: *** Incontro nei boschi ***
Capitolo 3: *** Maestra ed allievo ***
Capitolo 4: *** Incubi e deliri ***
Capitolo 5: *** Conoscere il proprio avversario ***
Capitolo 6: *** Il sapore di lui ***
Capitolo 7: *** Giuramento ***
Capitolo 8: *** L'invito ***
Capitolo 9: *** Vuoi il mio corpo? ***
Capitolo 10: *** La festa ***
Capitolo 11: *** Tu sei mio! ***
Capitolo 12: *** Pensieri ***
Capitolo 13: *** Domande, dubbi e sensi di colpa ***
Capitolo 14: *** Pazzo d'amore ***
Capitolo 15: *** La proposta ***
Capitolo 16: *** La vendetta dei morti ***
Capitolo 17: *** Chiedere consiglio ***
Capitolo 18: *** Codardo ***
Capitolo 19: *** Ingiusto ***
Capitolo 20: *** Tormenti ***
Capitolo 21: *** Io sono te ***
Capitolo 22: *** Scelta estrema ***
Capitolo 23: *** Kaioken! ***
Capitolo 24: *** La scelta di C18 ***
Capitolo 25: *** La fine di niente...l'inizio di tutto ***



Capitolo 1
*** Festa alla Capsule Corporation ***


Capitolo 1

Quel giorno la Capsule Corporation era un tripudio di colori. Bulma non si era risparmiata nel decorare la propria abitazione per quel giorno. Ma l'eccentrica quanto affascinante scienziata aveva un motivo più che valido per tutti quegli sforzi.
Il giardino all'interno dell'immensa abitazione era ricolmo di cibarie. I guerrieri Z stavano festeggiando in un clima di assoluta gioia il giorno più bello della loro amica, secondo forse solo al giorno in cui era nato suo figlio Trunks.
Un grande striscione era appeso all'ingresso del giardino. Portava su scritto, con l'elegante calligrafia di Gohan, la seguente frase.

Bulma e Vegeta oggi sposi! Congratulazioni!

Ebbene sì. Dopo anni di litigi, incomprensioni, sfuriate ma anche anni di passioni e momenti dolci, il nostro orgoglioso, arrogante, potentissimo ecc ecc principe dei sayan si era deciso a chiedere a Bulma di sposarlo. Non pensiate però che si fosse inginocchiato davanti a lei porgendogli un anello e dichiarandogli amore eterno. Anzi!
Era successo tutto una sera di un mese prima. Bulma era appena uscita dal laboratorio stanca e vogliosa solo di una doccia calda e di un letto comodo. Quando era uscita si era trovata davanti Vegeta. La scienziata si era stupita di trovarlo ad aspettarla invece di essere ad allenarsi. In quegli ultimi mesi, da quando era finito il Cell-Game, Vegeta era sembrato cambiato, maturato. Quasi che conoscere suo figlio e perdere il suo rivale lo avessero reso più umano.
“Vegeta! Cosa ci fai qua? Se è per la cena ti informo che dovrai aspettare ancora un bel po'! Ho tutte le intenzioni di farmi prima una doccia molto calda e molto lunga!”
“Non è per la cena!” gli aveva risposto lui di rimando. Il principe dei sayan sembrava nervoso. Si torceva le mani e evitava di guardarla in faccia, preferendo fissare un punto sopra la sua spalla destra.
“E allora cosa c'è?” gli domandò lei, irritata da quella nuova complicazione.
Vegeta non aveva risposto subito. Sembrava fosse preda ad una violenta lotta interiore.
“Vegetaaaaaa!!!!! Mi vuoi dire che cosa c'è? Sono stanca e se non è una cosa urgente puoi dirmela anche domani!”
“E va bene!” aveva sbottato lui di rimando. “Donna! La pazienza non sai proprio cosa è!”
“Oh certo! Tu invece ne hai una scorta immensa!” aveva ribattuto acidamente lei.
Se la donna si aspettava che Vegeta controbattesse, dando vita così ad un ennesimo litigio di un ora, fu invece delusa. Il sayan si limitò a fulminarla con un'occhiataccia e a borbottare una strana frase.
“Ti devo fare una domanda...”
“Sentiamo...” sospirò lei, esasperata dal caratteraccio del compagno che rendeva impossibile anche una sciocchezza.
Vegeta deglutì un paio di volte. Poi, facendo un profondo respiro, parlò.
“Ho sentito dire...solo di sfuggita comunque...non che me ne importi più di tanto...”
“Vegetaaaaaa!!! Muoviti a parlare! Non posso stare qui tutta la sera!”
“E va bene! Insomma! Ho sentito che qui da voi, sulla Terra, c'è l'usanza di unire le coppie che lo desiderano in una strano rituale. È forse vero?”
Bulma lo guardò sorpreso. Da quando Vegeta si interessava della loro cultura?
“Stai forse parlando del matrimonio? Chi te ne ha parlato?”
A quella domanda Vegeta era diventato rosso come un peperone. Poi, aveva borbottato un qualcosa che la scienziata interpretò come “Il moccioso del rifiuto di terza classe.”
“Te ne avrebbe parlato Gohan? E perché mai lo avrebbe fatto?”
“Beh? Sta storia è vera oppure no?” aveva ribattuto lui, ignorando la domanda della donna dai capelli azzurri.
“Beh...sì. Se una coppia si ama veramente ed è sicura che il loro amore durerà per sempre possono decidere di sposarsi.”
“Ma cos'è di preciso questo matrimonio? Cosa di preciso comporta ai due che decidono di farlo?” domandò con impazienza il principe. Sembrava tenere molto a quelle domande.
Bulma aveva sgranato gli occhi sorpresa. Ma cosa aveva quella sera Vegeta? Non sembrava neanche lui.
“Mi spieghi perché ti interessa così tanto?”
A quella domanda lui aveva incrociato le braccia al petto, nella sua tipica posa, e l'aveva squadrata con impazienza.
“Me lo vuoi dire? Oppure devo stare qua ancora per molto?”
Bulma sospirò. Massaggiandosi le tempie rispose.
“Il matrimonio è un vincolo legale che dichiara davanti alla legge che sei obbligato a prenderti cura della persona che hai deciso di sposare, dei suoi parenti e dei vostri eventuali figli. Per il resto non vi sono altri obblighi, a parte forse quello che, una volta sposato, ogni tuo avere davanti alla legge diventa proprietà anche del coniuge.”
Sentendo quelle risposte Vegeta aveva annuito un paio di volte, immerso in chissà quali pensieri. Poi si era limitato a dire “Allora ti voglio sposare.” e si era girato per tornarsene nella Gravity Room.
Bulma era rimasta paralizzata sentendo quelle parole. Quando il suo futuro marito stava girando l'angolo si era messa ad urlare.
“Brutto Scimmione orgoglioso che non sei altro! E ti ci voleva così tanto per dirlo?”
E da allora era iniziati i preparativi.

E così, dopo un mese di preparativi in cui Vegeta aveva trovato da ridire su tutto (Sul vestito, sul fatto di farlo in chiesa, sulla festa che gli avrebbe fatto perdere un giorno di allenamento, sul testimone che Vegeta voleva che fosse un sayan ma dato che Gohan era ancora minorenne si era dovuto accontentare, dopo molte discussioni con Bulma, di Crilin), il giorno del loro matrimonio era arrivato. Quella mattina c'era stata la cerimonia in una piccola chiesa fuori città, lontano dal casino e dal traffico della metropoli. E adesso erano tutti lì, a godersi quella giornata di festa senza alcun pensiero triste in mente.
Beh...quasi tutti.
“Ma che cos'ha oggi Crilin? È tutto il pomeriggio che se ne sta là, seduto a quel tavolino, zitto zitto.” Dichiarò Chichi, la cui gravidanza avanzata si stagliava nel suo elegante, anche se un po' antiquato, abito da festa.
Bulma, splendida e sensuale nel suo abito da nozze, osservò l'amico guardare il fondo del proprio bicchiere con aria così depressa che sembrava volerci affogare dentro.
“Beh...credo di saperlo. Non hai sentito cos'ha raccontato Muten?”
Chichi, sentendo il nome del vecchio maestro di arti marziali, in quel momento impegnato a ridacchiare come un ebete insieme ad Oscar e Iamko, storse il naso disgustata.
“Scusa, ma di solito preferisco evitare di stare vicino a quel vecchio maniaco. Ha le mani un po' troppo lunghe per i miei gusti.”
Bulma sorrise divertita dall'affermazione dell'amica.
“Hai perfettamente ragione! Comunque non credo che oggi proverebbe a fare qualche suo stupido scherzo. Vegeta mi ha assicurato che se prova a mettermi una sola mano addosso gli farà rimpiangere di non essere stato ucciso da Cell!”
“Sì, questo è decisamente il tipico comportamento di Vegeta” sospirò Chichi. “Ma non divaghiamo! Cosa dicevi riguardo Crilin?”
“Ah sì! Beh...fin da quando è tornato a vivere alla Kame House con Muten ha cominciato a sottoporsi ad allenamenti durissimi. Muten stesso mi ha confidato che non sa più cosa inventarsi. Crilin gli chiede sempre nuovi allenamenti sempre più difficili e duri.”
“Beh...non vedo cosa ci sia di strano in tutto questo.” osservò perplessa la moglie di Goku. “Evidentemente ha capito che davanti ad avversari del calibro di Cell è inutile, e che quindi deve migliorarsi. Soprattutto ora che il mio amato Goku non c'è più!”
“Ma non capisci? Un atteggiamento del genere me lo sarei aspettato da Vegeta, Piccolo o anche da tuo figlio Gohan. Dopotutto è pur sempre figlio di un sayan! Ma Crilin? Da quando in qua è così voglioso di uccidersi a suon di allenamenti? Qui mia cara, c'è sotto qualcosa!” concluse con aria trionfante, tipica di un investigatore che ha appena concluso un caso particolarmente difficile.
“Ah sì? E che cosa? Spero non c'entri ancora quella screanzata della sua ex! Perché giuro che stavolta la riduco in brandelli!” esclamò Chichi con uno sguardo omicida negli occhi scuri.
“No no! Stai tranquilla! Marion non c'entra nulla! O almeno credo.” si affrettò ad aggiungere la scienziata. “Comunque sono sicura che c'è di mezzo una ragazza. E credo anche di sapere chi è!” aggiunse con tono cospiratorio.
L'istinto di donna matura, avida di pettegolezzi, prese il sopravvento nella madre di Gohan. Senza perdere tempo si affrettò a domandare chi fosse questa misteriosa ragazza.
Bulma si limitò a fare un sorrisetto soddisfatto. Adorava svelare i retroscena della vita di una persona.
“Sono sicura che la conosci anche te. Ti do qualche indizio: è bella, tremendamente bella. Ma ha anche un caratteraccio, e dubito fortemente che si sia accorta dell'esistenza di Crilin.”
“Uffa Bulma! Dimmi chi è e non farla tanto lunga!”
“Si tratta di C18!”
Sentendo quel nome Chichi sgranò gli occhi indignata. La sua sete di pettegolezzi si stava spegnendo rapidamente, sostituita dall'istinto di madre e moglie ultraprotettiva.
“Cosa??? C18?! Ma Crilin ha idea di chi sia veramente quella specie di donna? È un mostro che ha provato ad uccidere mio marito e il mio adorato figlio! È solo un essere sanguinario e votato alla distruzione! Non può provare sentimenti! Come può Crilin illudersi fino al punto da poter credere che quell'essere assetato di sangue possa ricambiare dei sentimenti? Senza contare che non ha alcun gusto nel vestirsi!”
Sentire quelle parole uscire dalla bocca di Chichi riguardo il gusto di vestirsi di una persona era una specie di eresia per Bulma. La scienziata tuttavia era convinta che non fosse il caso di approfondire quell'argomento in quel momento.
“Parla piano! Vuoi che ti senta anche tuo marito dall'aldilà? Smettila di urlare come un'indemoniata. Io non credo che sia un mostro. Pensa a Vegeta! Pensavate tutti che non era altro che un assassino a sangue freddo. Un macellaio al servizio di un pazzo che voleva dominare l'universo. E adesso guardalo! Guardalo Chichi! Sarà un po' scorbutico ma sono sicuro che sarà un ottimo padre per Trunks, così come sono sicuro che, ora che Goku non c'è più, potremo contare su di lui e su Gohan per mantenere la pace.”
Chichi si tranquillizzò. Tuttavia, prima di cambiare argomento, decise di fare un'ultima osservazione.
“Comunque, penso che dovresti parlarci Bulma. Sai anche tu che non ha alcuna speranza di appagare questo suo malsano desiderio.”
La scienziata non rispose. In cuor suo però non pote fare a meno di essere d'accordo con l'amica.

Crilin osservava con occhi spenti i suoi amici divertirsi e festeggiare senza nessuna preoccupazione al mondo.
Gli dispiaceva essere così giù di tono. Sapeva che stava rovinando la festa agli amici con quel suo atteggiamento. Eppure non poteva farci niente. Non riusciva a smettere di pensare che, da qualche parte nel mondo, in quello stesso momento, lei stava vivendo la sua esistenza ormai libera e senza più alcun pericolo. Per quanto sperasse che lei non stesse soffrendo, non poteva fare a meno di pensare che, con tutta probabilità, lei ormai l'aveva dimenticato.
Il rasato si passò una mano sul volto. Sei mesi. Erano passati sei mesi da quando tutta quella assurda storia di Cell era finita. Sei mesi da quando lei gli aveva detto “Ci vediamo”. Dentro di se il terrestre si dava dello stupido. Davvero aveva pensato che una come lei si sarebbe ricordata di un essere insignificante come lui? Davvero aveva sperato che con il suo stupido comportamento, con la quale aveva rischiato che la Terra finisse distrutta e a causa del quale il suo migliore amico era morto, lei avrebbe potuto amarlo?
“Sono un idiota” pensò con un sorriso amaro sulle labbra.
Non era stata una brutta festa. Dentro di se il guerriero era felice per l'amica e lo era, diciamola tutta, anche per quell'antipatico di Vegeta. Ma in quel periodo Crilin non voleva vedere nessuno. L'unica cosa che desiderava fare era allenarsi, allenarsi e ancora allenarsi. Soltanto riducendosi al limite delle sue possibilità riusciva, per un po', a dimenticarla.
Lentamente il pomeriggio passò. Uno ad uno i guerrieri Z tornarono alle loro dimore. Quando il sole tramontò, indorando i tetti delle case della Città dell'Ovest Crilin decise che era giunto il momento di togliere il disturbo.
Aveva quasi raggiunto la porta d'uscita quando vide Bulma davanti a quest'ultima. Il rasato aveva come la sensazione che gli volesse parlare.
“Te ne vai?” domandò dolcemente l'amica, una volta che lui la ebbe raggiunta.
Crilin scosse le spalle. “Ormai si è fatto tardi. Dovrei andare. Domani mi devo svegliare presto, ho gli allenamenti lo sai.”
“Già...gli allenamenti.” mormorò pensierosa la scienziata. Indossava ancora il suo abito da nozze. Crilin dovette ammettere che in tutti quegli anni non l'aveva mai vista così bella e seducente. Se non avesse conosciuto C18 forse avrebbe un pochino invidiato Vegeta.
“Crilin...”
Sentendo nominare il suo nome in maniera così dolce, il ragazzo cominciò a preoccuparsi. Aveva come la sensazione che gli volesse dire qualcosa.
“Cosa c'è?” cercò di dare un tono allegro e spensierato alla sua voce, come se nessun pensiero lo tormentasse, ma non era sicuro di esserci riuscito.
“Crilin dovresti smetterla di allenarti in questa maniera. Cosa pensi di ottenere? Non sarà sfinendoti in inutili allenamenti che risolverai il tuo problema.” Bulma aveva usato un tono dolce e comprensivo, le sue parole però colpirono come una pugnalata l'amico. Quest'ultimo decise di non affrontare la questione con la scienziata. Sapeva già cosa gli avrebbe potuto dire e non voleva sentirlo. Decise di usare una scusa per giustificare il suo comportamento.
“Bulma...quando i cyborg attaccarono la Terra“ dire quel nome gli costò un enorme sforzo di volontà. Gli sembrava quasi di offendere C18 e suo fratello. “Sì insomma...quando la Terra fu in pericolo, io cosa ho fatto per proteggerla?”
L'amica capì dove voleva arrivare il terrestre.
“Crilin...” sussurrò “...non hai niente da rimproverarti. Hai fatto del tuo meglio.”
“Sì, è vero. Ho fatto del mio meglio. Ma cosa ho combinato? Nulla Bulma, assolutamente nulla. Se siamo qua, ancora vivi a parlare del più e del meno, il merito non è certo mio.”
Superò l'amica ed uscì. Stava per alzarsi in volo quando Bulma lo chiamò.
“Crilin!”, sentendo il suo nome il piccolo terrestre si girò.
“Sei sicuro che C18 non centra nulla con i tuoi allenamenti?”
Sentendo quelle parole i lineamenti del suo viso si fecero più duri.
“Ha tutto a che fare con i miei allenamenti.” dichiarò con voce atona.
Senza aggiungere altro si alzò in volo, dirigendosi verso la lontana Kame House.

Nello stesso momento, in una stradina malfamata della Città del Sud, C18 camminava immersa nei suoi pensieri.
I suoi occhi azzurri osservarono il sole calare lentamente oltre l'orizzonte. A quella vista il suo cattivo umore aumentò. Era passato un altro giorno, e lei non aveva ancora idea di cosa fare il giorno dopo.
Diciamolo pure. C18 era senza progetti di vita. L'androide era convinta che, se quella era la vita, allora sarebbe stato meglio che quel nanerottolo non la salvasse. Lei era diversa, un fatto questo che non sarebbe mai potuto cambiare, non poteva legarsi con gli altri esseri umani e, francamente, non lo voleva neanche. Da quello che aveva visto gli esseri umani erano soltanto una massa di deboli piagnucoloni. Le donne erano quelle che più disprezzava. Da quel punto di vista era quasi grata al Dottor Gero di averla resa ciò che era. Il solo pensiero di essere come una di quelle patetiche donnicciole le faceva venire il voltastomaco.
E gli uomini? Una massa di idioti che vedevano in una donna solo un oggetto per sfogare le proprie voglie. In quegli ultimi sei mesi alcuni avevano provato anche con lei a sfogarsi. Non avevano più potuto andare in giro a provarci. L'androide gli aveva fatti fuori senza alcun rimorso. Scarti come quelli, pensava, non meritavano di vivere. Inoltre l'unica cosa che la rendeva per un po' meno oppressa dai suoi lugubri pensieri era proprio la lotta. Sentire l'eccitazione del combattimento scorrerle nelle vene la mandava in estasi, così come vedere sostituire l'arroganza e la strafottenza dalla paura negli occhi dei suoi avversari era una gioia impareggiabile. A lungo aveva pensato se non era il caso di provare a continuare l'opera di distruzione per cui lei e suo fratello erano stati creati, ma alla fine aveva deciso di accantonare l'idea. Primo motivo fra tutti c'era il fatto che, adesso, i guerrieri Z, gli stessi che avevano fermato Cell, erano diventati più forti di lei. Non tutti, ma Gohan, Vegeta e Piccolo sì. Per quanto la cyborg non sapesse cosa farne della propria vita non aveva nessuna intenzione di perderla in quel modo così sciocco.
Il secondo motivo era il fatto che, cercando di distruggere l'umanità, avrebbe esaudito il desiderio del suo creatore. C18 avrebbe preferito strapparsi il cuore con le sue stesse mani piuttosto che obbedire agli ordini di quel pazzo.
E infine terzo e ultimo motivo, anche se non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, neppure sotto tortura, c'era il fatto che, sempre più spesso C18 quando combatteva si vedeva improvvisamente spuntare dal nulla lui. Neppure lei sapeva come, ma vedere gli occhi di lui guardarla con sguardo deluso e triste riusciva a spegnere dentro di lei qualunque istinto omicida.
Le prime volte quella sensazione l'avevano lasciata confusa, ora la irritavano terribilmente. Perché quel nano non la smetteva di perseguitarla? Perché non riusciva a toglierselo dalla mente? Possibile che ci fosse qualcosa che li legava?
“No! Non c'è niente che mi lega a lui! Io sono un cyborg! Una macchina! Non posso provare sentimenti. L'unico con cui sono legata è mio fratello! Solo lui!”
Già. Suo fratello. Chissà dove era adesso, cosa stava facendo, se era riuscito a trovare il suo scopo nella vita. La bionda si ricordava benissimo il loro ultimo incontro avvenuto due giorni dopo la fine del Cell-Game.

Avevano parlato per una notte intera, come non facevano da anni. Poi, quando l'alba era sorta, fratello e sorella si erano separati. C17 aveva infatti insistito per quella scelta. Il cyborg era convinto che dovessero cercare il loro posto nel mondo.
“Il mondo è grande 18! Possiamo farci una nuova vita. Quella che non abbiamo mai avuto.”
“E che vita potremmo mai avere?” aveva domandato in modo laconico lei. “Hai dimenticato cosa siamo? Cosa Gero ci ha fatto? Pensi veramente che possiamo farci una vita?”
Sentendo quelle parole sue fratello le aveva sorriso dolcemente.
“Noi saremo cyborg solo finché lo penseremo! Dimenticalo sorellina! dimentica Gero! Altrimenti lui continuerà a perseguitarti! Lui ormai è morto, ma noi siamo vivi, e possiamo avere tutto ciò che lui ci ha tolto quando eravamo solo due bambini.”
“Ma cosa posso fare della mia vita? Il mio unico desiderio è stare vicino a te ma tu adesso dici che dobbiamo separarci. Non capisco.” per la prima volta da quando era stata trasformata in cyborg, la ragazza fu sull'orlo delle lacrime.
C17 l'abbracciò. L'androide si abbandonò all'abbraccio del fratello. Non gliene fregava niente di mostrarsi debole davanti a lui. Suo fratello era tutto ciò che le rimaneva.
“Tutti abbiamo un posto in questo mondo. Anche tu sorellina c'è l'hai. Devi solamente trovarlo.” e, con quelle parole sussurrate all'orecchio, suo fratello l'aveva lasciata.
 
Immersa com'era nei suoi pensieri, l'androide non si era accorta di tre energumeni che l'avevano circondata. Per il momento si limitavano a guardarla con occhi lascivi e con sorrisetti strafottenti.
“Salve bambolina! Cosa ci fai tutta sola per le strade di sera? Non lo sai che alle ragazze carine come te possono capitare cose piuttosto spiacevoli?”, a parlare era stato uno dei tre, probabilmente il capo. Costui non aveva idea che, quella che lui aveva chiamato “bambolina”, l'avrebbe potuto spezzare in due come un canna di fiume.
La cyborg non gli aveva degnati minimamente. Solo quando quel colosso aveva aperto la bocca si era decisa a considerarli.
“Sparite.” aveva sibilato con voce atona.
Udendo quelle parole i tre erano scoppiati in una fragorosa risata.
“Ma come? Noi ti vogliamo aiutare e tu ci cacci via così? Non si fa così bambolina! Forse dovrei darti una lezione di buona educazione prima di riaccompagnarti a casa.”
Nel dire quelle parole il tipo aveva messo una mano sulla spalla della ragazza. Un secondo dopo venne colpito da un calcio che lo spedì contro un muro ad una velocità pazzesca. L'uomo spirò senza emettere un solo suono.
“Brutta puttana! Adesso c'è la paghi!” urlarono gli altri due, scagliandosi contro l'androide e firmando così la loro condanna a morte.
C18 comparve con velocità superiore a quella della luce dietro uno dei due uomini rimasti. Il cyborg gli prese la testa tra le mani e gli ruppe l'osso del collo come se fosse stato fatto di gesso.
Il superstite, rimasto allibito dalla devastante potenza della ragazza, cercò di darsela a gambe ma fu troppo lento. Con un nuovo scatto, la cyborg comparve davanti a lui. Aveva caricato un ki-blast con la mano sinistra, e si preparava a lanciarglielo addosso quando lo vide.
C18 si bloccò. Gli occhi azzurri spalancati. Davanti a lei non c'era più un uomo che implorava pietà. C'era invece un piccolo guerriero rasato che la fissava con sguardo triste e sconsolato, quasi avesse capito cosa stava per fare.
L'androide aprì e chiuse gli occhi un paio di volte. La visione sparì, ma il turbamento rimase.
L'uomo intanto continuava ad implorare pietà e a chiedere perdono.
C18 disperse l'energia del ki-blast. Fisso con sguardo glaciale la sua vittima.
“Vattene!” sibilò.
Senza farselo ripetere due volte, l'uomo sparì tra le tenebre. Ancora incredulo della grazia ricevuta.
Una volta sparito l'uomo la bionda sospirò. Non poteva andare avanti così. Doveva trovare una soluzione.
Rimase a pensare per parecchio tempo. Era notte fonda quando prese la sua decisione.
“Mi dispiace fratello. Ma non c'è l'ha faccio a trovare il mio scopo nella vita da sola. Ho bisogno del tuo aiuto.” pensò mentre una nuova determinazione gli invadeva le membra.
Si alzò in volo cercando di capire dove poteva essere suo fratello. Nonostante fosse un cyborg, e che quindi non emetteva un'aura, C18 aveva sempre la cognizione di dove fosse suo fratello. Era una cosa troppo profonda per essere spiegata.
“A nord.” mormorò con voce decisa. Suo fratello si trovava a nord.
Sparì nel cielo scuro della notte mentre i suoi pensieri erano rivolti tutti al fratello.
“Aspettami fratellino. Sto arrivando!”

CONTINUA

Allora? Cosa ve ne pare? Datemi un giudizio per favore! Accetto molto volentieri anche consigli e critiche (perché io per primo so che questa storia non è perfetta).
Un saluto!

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Capitolo 2
*** Incontro nei boschi ***


Capitolo 2

Gli occhi di Muten, nascosti dagli onnipresenti occhiali da sole, osservavano Crilin radunare poche cose in un fagotto e metterselo in spalla.
“E così...hai deciso di andartene. Sei proprio sicuro che sia la cosa giusta da fare?”
Erano passati tre giorni dal matrimonio di Bulma e Vegeta. In quei tre giorni Crilin aveva pensato molto a cosa fare della sua vita. Per quanto gli fosse difficile ammetterlo sapeva che Bulma aveva ragione su una cosa: non avrebbe risolto il suo problema continuando ad allenarsi. Incapace di cosa volere dalla propria vita, e desiderioso di rimanere da solo, il terrestre aveva deciso di andarsene dalla Kame House.
Crilin si sistemò meglio il leggero fagotto sulle spalle. Non era un vero e proprio addio. Quella per lui sarebbe rimasta per sempre casa sua. Per questo motivo, aveva deciso di portarsi dietro poca roba, nel caso di un suo probabile ritorno.
“Sì Maestro. Non è per cattiveria o per colpa vostra. Ma ho bisogno di stare da solo. È giunto il momento di capire cosa voglio fare della mia vita.” rispose con voce sicura. Aveva preso la sua decisione e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.
Muten lo guardò con affetto. Soltanto ora che era giunto il momento di andarsene che entrambi capirono di volersi molto bene. Muten era stato per Crilin il padre che non aveva mai avuto. Per l'anziano maestro di arti marziali Crilin rappresentava tutto ciò che lui non era mai stato. Serio, gentile, generoso, disposto a sacrificarsi per gli altri. In tutti gli anni di vita alla Kame House il suo allievo aveva preso solo il meglio da lui. E di ciò ne era fiero. Era fiero di ciò che Crilin era diventato. Anche se gli dispiaceva terribilmente vederlo andare via, Muten capiva che era giusto così. Sarebbe stato egoistico da parte sua non fargli cercare la sua strada solo per il capriccio di un vecchio.
“Spero solo che questo non sia un addio definitivo. Sappi che, per te, questa casa sarà sempre aperta.”
Sentendo queste parole, il guerriero si sentì commosso ed onorato dell'affetto che l'anziano maestro gli rivolgeva. Anche per lui era difficile quella partenza. Sperava solo di star facendo la cosa giusta.
“Grazie mille Maestro. Tornerò! Glielo prometto! E quando sarò tornato sarò una persona diversa!” esclamò con enfasi.
Muten sorrise. Accompagnò fuori dalla piccola casetta l'allievo. Il mare era calmo e liscio come l'olio. Si preannunciava una giornata calda e afosa.
“Dove andrai?” domandò con curiosità l'anziano maestro di arti marziali.
Crilin guardò il mare con sguardo triste. Da qualche parte, oltre quell'immensa distesa, c'era la donna che gli aveva stregato il cuore e la mente.
“Non lo so...non penso però troppo lontano. Ci sono molti arcipelaghi di isole deserte da queste parti. Probabilmente ne troverò una che faccia al caso mio.”
Sentendo quelle parole il vecchio aveva annuito come ad indicare che capiva.
“Beh...allora possiamo dire che resteremo vicini di casa!” fece per scherzare. Crilin sorrise alla battuta del suo maestro. Apprezzava il suo tentativo di risollevargli il morale.
Rimasero un paio di minuti ad osservare il mare in silenzio. Gli stessi ricordi invadevano le loro menti in quel momento, le stesse sensazioni attanagliavano i loro cuori.
“Beh...è ora che vai ragazzo! Si sta facendo giorno inoltrato.” osservò alla fine Muten.
Crilin annuì. Poi, con un gesto improvviso, si avvicinò al suo maestro inginocchiandosi davanti a lui in segno di profondo rispetto e sottomissione. Quindi, senza aggiungere una parola, si alzò in volo.
Muten rimase ad osservare la figura del suo allievo rimpicciolire fino a scomparire del tutto. Con un profondo sospiro si girò e rientrò in casa. Avrebbe aspettato con pazienza il ritorno del suo allievo. Ma anche con nostalgia del passato. Niente poteva far credere che, una volta, quella casa silenziosa era stata sempre piena di gente allegra e rumorosa.

Dopo circa mezzora di volo Crilin trovò l'isola che faceva al caso suo.
Era un isola di medie dimensioni. Al centro si stagliava un piccolo altipiano con un po' di vegetazione, dove una cascatella alimentava un limpido laghetto. Il resto dell'isola era solo sabbia e rocce brulle.
Crilin decise di atterrare lì. Il cibo non sarebbe stato un problema. Non se la cavava niente male con la pesca a mani nude. L'importante per lui era trovare dell'acqua. E adesso l'aveva trovata.
Dopo un rapido giro di perlustrazione, il rasato trovò una piccola grotta che lo avrebbe riparato dalle intemperie. Dopo averla esplorata per verificare che fosse deserta, il ragazzo poggiò il fagotto all'interno della caverna.
Il caldo quel giorno era soffocante. Crilin si tolse la maglia. Successivamente, guidato dall'istinto, decise di togliersi tutti i suoi indumenti ad eccezione dei pantaloni. Se doveva vivere lontano dalla civiltà era meglio farlo in maniera definitiva.
In quel momento una nuova terribile disperazione gli attanagliò il petto. Dall'ingresso della sua nuova abitazione guardò il mare desiderando ardentemente di poterla vedere almeno un'altra volta nella sua vita.
Sospirò scuotendo la testa per cercare di toglierla dalla propria mente.
“Basta con la disperazione.” pensò.
Si incamminò verso la spiaggia, deciso a cominciare una nuova sessione di allenamenti.

C18 volava nel cielo cercando una chiara traccia del fratello.
Erano passati due giorni da quando aveva deciso di andare a cercare il fratello. Aveva sempre proseguito verso nord alla ricerca di lui. Ogni posto che incontrava sulla sua strada non gli diceva niente di niente. Dentro di se sentiva che doveva proseguire ancora verso nord.
E adesso era lì, dopo due giorni e due notti continui di volo, la cyborg aveva raggiunto i folti boschi che contornavano una fredda catena montuosa alle estremità settentrionali del pianeta.
C18 osservava quel paesaggio selvaggio con curiosità ma anche con stizza. Sapeva che il posto era quello, ma la forma del territorio e la natura selvaggia non le avrebbero reso facile il compito. Anzi, avrebbe potuto metterci anche giorni per trovarlo.
La sera scese molto lentamente. L'androide stava ancora perlustrando i boschi dall'alto. Cominciava a spazientirsi. Non aveva mai avuto una grande pazienza. Nell'ora successiva il pensiero di far sparire dalla faccia del pianeta quelle montagne con i loro maledettissimi boschi le passò più di una volta nella mente.
Poi, quando la sera lentamente scemava nella notte, i suoi occhi videro un leggero filo di fumo salire dal fianco sinistro di una montagna poco distante dalla zona che stava perlustrando.
Il suo cuore prese a battere con violenza. Qualcosa le diceva che quel fuoco era stato acceso da lui.
Si diresse a velocità sostenuta verso quell'esile filo di fumo. Quindi scese a pochi metri dalla radura in cui il bivacco era stato acceso e si incamminò a passi decisi.
La prima cosa che vide entrando nella radura fu lui. Non era affatto cambiato in quei sei mesi. I suoi occhi erano freddi e distanti come al solito anche se in essi brillava una luce di divertimento che in quelli della sorella era assente, i suoi capelli erano leggermente più lunghi di come li ricordava, ma a parte questi dettagli, era lui. La sua copia al maschile. L'unico essere di cui sapeva potersi fidare.
Una seconda occhiata le rivelò che aveva cambiato vestiti. Aveva abbandonato il suo look da ragazzaccio di strada che gli aveva affibbiato il Dottor Gero, preferendo dei vestiti più adatti alla vita tra i boschi. Dei suoi vecchi abiti aveva conservato solamente il fazzoletto rosso con le iniziali del Red Ribbon.
Quando la sorella entrò nella radura C17 sollevò lo sguardo dall'oggetto che stava lucidando. La fissò con uno sguardo tra il sorpreso e il divertito. C18 non disse una parola. Si limitò a sedersi davanti al falò.
C17 smise subito la sua precedente attività. Poggiò l'oggetto alla sua destra. Era una doppietta da caccia. La sorella la guardò con curiosità.
“Guarda un po' chi si rivede. È da parecchio che non ci vediamo sorellina.” dichiarò l'androide dai capelli neri.
Un flebile sorriso increspò le labbra di lei. “Non sembri felice di rivedermi.”
“Dovrei per caso saltarti al collo piangendo di gioia? Sorellina...sarò cambiato ma non fino a questo punto!” osservò lui con una punta di divertimento nella voce.
La cyborg non rispose. Tuttavia sembrava soddisfatta della risposta del fratello.
Calò un lungo silenzio, rotto solamente dal rumore della legna che bruciava. Nessuno dei due sembrava in vena di aggiungere altro.
Poi, alla fine, fu l'androide maschio a rompere quel silenzio.
“Deduco che alla fine non sei riuscita a trovare il tuo posto nel mondo.”
C18 lo fissò con aria infastidita.
“E cosa te lo fa pensare?”
“Il fatto che sei qui.”
A quella risposta, C18 non seppe cosa dire. Si limitò a fissare la danza ipnotica delle fiamme sperando di annullarsi in quel movimento continuo e incandescente.
C17 fissò la sorella senza aggiungere altro. Lui la sua parte l'aveva fatta, adesso spettava a lei continuare l'argomento oppure decidere di lasciarlo perdere. Alla fine sua sorella decise di continuare la discussione.
“E tu? Alla fine hai trovato ciò che cercavi?”
Il fratello tirò sù la testa al cielo. Era una notte scura e priva di stelle. Nessuna luce illuminava la zona dato che la luna si sarebbe alzata più tardi.
“Non lo so. Non so se questa vita sia ciò che il destino mi riserva.” rispose con voce pensierosa. “Tuttavia, per adesso, sto bene, e tanto mi basta.”
C18 guardò il fratello. Chissà cosa gli era capitato in quegli ultimi mesi. Spinta dalla curiosità la cyborg glielo domandò. Con sua sorpresa suo fratello l'accontentò subito senza chiederle il motivo di quella improvvisa curiosità.
“Non c'è molto da dire. Ho visitato qualche città, ho osservato come la gente viveva, come si comportava, come lavorava. Devo ammetterlo: è stata una delusione. Forse se fossimo cresciuti con i nostri genitori quella vita non mi avrebbe annoiato, ma dopo quello che avevo passato l'idea di trovarmi un lavoro e mettere su famiglia non mi allettava per niente.”
C18 restò turbata da quelle parole. Era esattamente quello che aveva provato anche lei.
“Dopo aver capito che la vita di città non faceva per me, decisi di vedere come erano le campagne. Ma anche qui fu una delusione totale. Gli uomini sembra che siano riusciti a creare una società dove si può solo lavorare o soffrire. In quel mondo così antiquato e privo di vitalità mi sentivo come un pesce fuor d'acqua. Stufo della noiosità degli uomini, decisi di allontanarmi sempre di più dai centri abitati.”
La voce dell'androide era l'unico suono che si sentiva nella zona. Anche il bosco sembrava essere in ascolto.
“Mi inoltrai nelle terre selvagge, ma in ogni posto dove mi fermavo, mi pareva di essere sempre troppo vicino alla gente. Volevo trovare un posto incontaminato, un posto dove il genere umano non aveva potuto portare la sua bruttissima società.”
“E alla fine trovai queste montagne. Credimi sorellina, quando le ho viste me ne sono subito innamorato. Ero sicuro che qui avrei potuto trovare ciò che faceva per me. Ovviamente non è stato tutto come pensavo, ma mi ritengo soddisfatto. Vivo nei boschi, caccio la selvaggina vendendo le loro pelli nei paesi che si trovano sull'altro versante delle montagne. Mi diverto a cacciare. È una sfida continua. Per il resto passo il tempo ad esplorare le montagne. Hanno molti più segreti di quanti tu possa immaginare. Ormai vivo così da più di quattro mesi. E questo è tutto.” la sua voce si spense, facendo ripiombare la radura nel silenzio.
C18 guardava con invidia il fratello. Alla fine lui aveva trovato ciò che voleva. Era riuscito a trovare il suo posto nel mondo. Perché? Perché lui ci era riuscito da solo e lei no? Cosa c'era che non andava in lei?
“E tu? Cosa hai fatto di bello in questi mesi?” la domanda di C17 la fece riscuotere dai suoi pensieri.
Con voce spenta e atona raccontò ciò che aveva fatto, o meglio, ciò che non aveva fatto in quei sei mesi. Cercò di essere il più fredda e distaccata possibile, ma dentro di se le bruciava non essere riuscita a fare qualcosa come lui.
Quando ebbe finito il suo racconto C17 la fissò per circa un minuto con uno sguardo indecifrabile. Poi un sorrisetto si disegnò sulle sue labbra sottili.
“E che mi dici del piccoletto che ti ha salvata? L'hai più rivisto?”
A quella domanda C18 sentì una rabbia immensa bruciarle nelle vene. Possibile che non riusciva a dimenticarlo? Possibile che il mondo intero sembrava convinto che lei dovesse rivederlo?
“Certo che no! E poi cosa avrei dovuto fare? L'ho già ringraziato. Lui ha la sua vita e io...io devo farmene una mia.”
Sentendo quelle parole, suo fratello la guardò con uno sguardo che la irritò ancora di più. Gli occhi di suo fratello, così simili ai suoi, sembravano pieni del sentimento che C18 odiava di più al mondo: la pietà.
“Smettila di guardarmi così!” sbottò con rabbia la bionda. “Lo sai che detesto quegli sguardi. Ti sei rammollito in questi mesi mio caro 17!”
“Può darsi.” rispose lui con voce tranquilla. “Ma a te, la tua durezza, dove ti ha portato?”
Nonostante il tono di suo fratello fosse stato pacato, la cyborg sentì il desiderio di colpirlo con tutta la sua forza.
“E che cosa dovrei diventare? Un'umana inferiore che piagnucola per ogni problema che le capita? Dovrei diventare la brava mogliettina di qualcuno e fargli da mangiare e magari addirittura pulirgli la casa?! È questo che dovrei diventare 17? Sarebbe questo che tu chiami “il tuo posto nel mondo”? Beh sappi una cosa! Non lo accetterò mai mai e poi mai! Piuttosto preferisco radere al suolo ogni singola città di questo inutile pianeta! Anche se so che questo mi costerà la vita sarà sempre meglio che umiliarsi in quella disgustosa maniera!”
Mentre la sorella si sfogava C17 si limitò a guardare il fuoco, quasi non avesse il coraggio di guardarla negli occhi. Quando lei si calmò riprese a parlare come se niente fosse.
“Non credo che sia questo il tuo destino. Così come non penso che tu lo possa trovare insieme a me.”
“E cosa posso fare? Dimmelo 17! Cosa posso fare? Ho visitato ogni singolo angolo di questo dannato pianeta per cercare qualcosa che potesse farmi ritornare a vivere. Ma non l'ho trovata.”
“Forse hai cercato nei posti sbagliati.”
L'ultima affermazione di lui la irritò ancora di più. Voleva controbattere ma non le veniva nulla in mente. Furiosa con il mondo intero, prese la coperta che c'era affianco a suo fratello e ci si avvolse.
“Vado a dormire!” borbottò.
Suo fratello non protestò per quella brusca interruzione. Si limitò ad annuire e a riprendere il suo precedente lavoro da dove l'aveva lasciato.
C18 non riusciva a dormire. Le parole di suo fratello le erano rimaste impresse in mente.
“Ma a te, la tua durezza, dove ti ha portato?”
“Forse hai cercato nei posti sbagliati.”
Erano frasi che non riusciva a togliersi di mente. Possibile che suo fratello avesse ragione? Possibile che aveva cercato nei posti sbagliati e con un atteggiamento non giusto?
Vago a lungo tra le praterie dei suoi pensieri. I suoi dubbi iniziali sfumarono lentamente, il loro posto venne preso da altri pensieri, e questi ultimi vennero poi sostituiti da altri ancora. All'improvviso, nella sua mente, si stagliò l'immagine di quel piccoletto che l'aveva salvata. Era un immagine triste, quando l'aveva salutato aveva visto nei suoi occhi scuri tristezza per la sua partenza mista a speranza di poterla un giorno rivedere.
C18 scacciò via quell'immagine dalla mente con rabbia. Ma cosa le stava accadendo? Perché continuava a pensare a quel tipo? Cosa aveva di così speciale da farglielo tornare sempre in mente?
Incapace di trovare risposta a quelle domande, l'androide si alzò di scatto.
A quel gesto, C17 si limitò a fissarla perplesso.
C18 aveva uno sguardo cattivo negli occhi. Il fratello vide chiaramente la sete di sangue lampeggiare nelle iridi chiare della sorella.
Poi, all'improvviso, sua sorella lo attaccò con un violento calcio. Il cyborg lo parò senza troppe difficoltà, il suo viso non tradiva alcuna emozione.
La sorella continuò ad attaccarlo con furia. Ben presto l'adrenalina del combattimento cominciò a scorrere nelle vene di entrambi gli androidi.
Combatterono con furia per tutta la notte. I boschi erano rischiarati dalla loro furiosa lotta. Si affrontarono con una violenza incredibile, da far invidia alle bestie selvagge.
Poi, quando l'alba sorse, entrambi si fermarono. Nonostante la furia che avevano usato erano entrambi freschi e rilassati come se avessero dormito tutta la notte.
C18 squadrò il fratello con un'occhiata sprezzante. Poi, senza dire nulla, si incamminò per un sentiero che conduceva fuori dalla radura dove suo fratello aveva acceso il falò la sera prima.
C17 continuò a rimanere zitto. Prese la sua doppietta, se la mise a tracolla, e seguì la sorella inoltrandosi nel bosco.

Sinistro. Destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Destro.
Crilin interruppe la sua sequenza di pugni per asciugarsi il sudore dalla fronte con un braccio. Guardò il sole alto nel cielo illuminare inclemente la Terra. Fece una smorfia. Quel caldo cominciava a dargli il nervoso.
Non sapeva da quanto era lì su quell'isola deserta. Aveva perso il conto dei giorni da un bel po'. Sicuramente almeno un mese se non di più.
Sentì il bisogno di rinfrescarsi le spalle martoriate dai raggi del sole. Lo stare continuamente sotto il sole cocente gli aveva procurato una bella scottatura sulle spalle. Ogni volta che muoveva le braccia sentiva i muscoli della parte alta della schiena urlare dal dolore. Tuttavia non aveva smesso con gli allenamenti, quegli esercizi eseguiti sulla spiaggia di quell'isola erano l'unica maniera che aveva per non pensare.
Si diresse verso il laghetto che si trovava al centro del piccolo altopiano. Si sentì subito meglio sotto le fronde dei radi alberi che contornavano l'isola.
Una volta raggiunto lo specchio d'acqua Crilin esitò. Da un po' di tempo a quella parte aveva paura di specchiarsi nella limpida superficie del lago. Fece un profondo respiro e si avvicinò alla superficie, osservando quel volto così simile a quello che conosceva, ma al tempo stesso così diverso.
Un mese trascorso nell'isolamento più totale aveva avuto l'effetto di cambiarlo esteriormente. Senza più la rasatura quotidiana a cui si sottoponeva, gli era cresciuta una folta chioma ribelle di capelli neri. Le guance erano coperte da una rada barba che non gli donava affatto. I lineamenti del viso erano diventati più duri e sagomati, dandogli l'aria di una persona più vecchia. Gli zigomi erano diventati più sagomati, la mascella era più marcata. Il tutto era completato da un paio di profonde occhiaie che gli cerchiavano gli occhi. In poco più di un mese era sparito ogni tratto del ragazzo che era, sostituito da quella figura inquietante.
Un sorriso amaro gli increspò le labbra, dando alla sua faccia un'aria ancora più spaventosa. Dopo tutto non la trovava così lontana da come si sentiva lui. Quella faccia era lo specchio dei suoi sentimenti.
Pensò a cosa avrebbero detto i suoi amici nel vederlo in quello stato. Probabilmente si sarebbero messi a ridere o, peggio, non l'avrebbero neanche riconosciuto.
Immerse le mani nell'acqua rompendo quell'immagine. Si rinfrescò le spalle martoriate sospirando di sollievo. Quando ebbe finito di riposarsi tornò sulla spiaggia.
Osservò il mare con struggimento. Niente, non c'era nulla da fare. C18 non voleva saperne di andarsene dalla sua testa. Il ragazzo non sapeva più cosa fare. Aveva cercato di dimenticarla in ogni modo, ma era stata fatica sprecata. Quegli occhi non avrebbe potuto dimenticarli neppure dopo un secolo. Figurarsi dopo solo sette mesi!
“Devo smetterla di buttarmi giù di morale. Non mi aiuterà di certo a farmela dimenticare!” pensò con amarezza. Quella donna lo aveva totalmente soggiogato. Da quando l'aveva conosciuta non aveva più avuto un attimo di pace, soltanto quando dormiva riusciva ad avere una tregua.
Si girò di scatto cominciando a fare una serie di flessioni. Ben presto il dolore alle spalle ricominciò, ma lui lo accolse con piacere perché gli annebbiava la mente impedendogli di pensare lucidamente.
Eppure, nonostante il dolore, all'improvviso gli tornò in mente il giorno in cui l'aveva vista per l'ultima volta. Si ricordava ogni cosa: i suoi capelli biondi mossi dal vento, il suo corpo perfetto fermo in una posa di combattimento ma, allo stesso tempo, incredibilmente sensuale e i suoi occhi. Occhi freddi ma, allo stesso tempo, profondi che lo avevano catturato fin dalla prima volta in cui il destino gli aveva dato l'opportunità di specchiarcisi dentro, e quella frase a mo di saluto.
“Ci vediamo.”
“Ma quando?” pensò con disperazione il guerriero mentre continuava il suo esercizio. “Quando C18? Quando potrò avere l'immensa fortuna di poterti rivedere? Quando riavrò la possibilità di ascoltare la tua voce? Quando potrò avere l'occasione di potermi specchiare di nuovo in quei tuoi occhi così dannatamente belli?”
“Quando C18? Quando?”

CONTINUA

Dunque. Capitolo 2! in questo capitolo ho descritto il momento in cui il nostro piccolo guerriero cambia look. Passando da “Palla da biliardo” a “Capellone” xD. Scherzi a parte ditemi cosa ne pensate per favore! Ripeto che accetto anche consigli o critiche per poter migliorare la storia.
Un saluto!

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Capitolo 3
*** Maestra ed allievo ***


Capitolo 3

Il mese successivo al suo incontro con il fratello fu per C18 incredibilmente snervante e noioso.
La verità era una e una soltanto: suo fratello aveva trovato uno scopo nella sua vita, ma lei non rientrava in quello scopo. Quella vita selvaggia che tanto piaceva a C17 a lei sembrava incredibilmente noiosa.
La cosa che la irritava di più era ciò che, al contrario, piaceva di più a suo fratello: la caccia. La trovava una immensa e snervante perdita di tempo. Perché suo fratello perdeva le ore a seguire un animale a piedi? Perché provava a ucciderlo con quell'inutile arnese? Con le capacità che aveva ci avrebbe messo molto meno tempo, per non parlare della fatica risparmiata.
Per circa una settimana aveva tollerato quell'inutile passione che sembrava avere contagiato il fratello. Poi, un giorno era esplosa.
Era accaduto tutto mentre suo fratello era inginocchiato dietro un cespuglio. I suoi occhi chiari erano fissi su una giovane cerva che riposava ai margini del suo branco. Molto lentamente, e facendo attenzione a non fare il minimo rumore, l'androide aveva caricato la doppietta e aveva preso la mira.
In quel momento un raggio di energia arancione aveva colpito l'animale, uccidendolo sul colpo. Il resto del branco era scappato a gambe levate inoltrandosi nelle profondità della foresta.
C17 non aveva minimamente reagito. Non era neanche uscito dal suo nascondiglio per andare a prendere la carcassa dell'animale.
C18 era scesa nella radura. Con la sua camminata fluida ed aggraziata aveva raggiunto la carcassa dell'animale fissandola con occhi freddi ed impenetrabili. Poi, senza alcuno sforzo apparente, aveva preso l'animale per il collo e l'aveva lanciato al fratello.
“Ecco il tuo stupido animale! Era così difficile ucciderlo?!”
Nonostante la mole dell'animale, C17 prese al volo la carcassa senza problemi. Il suo volto non esprimeva disappunto o rabbia. Sembrava solo un po' infastidito.
La sorella l'aveva raggiunto e lo fissava con occhi severi. Le sue iridi erano piene di rabbia e frustrazione.
“Ti ho fatto una domanda!”
“Non capisci.” gli rispose con voce pacata il fratello. La sorella lo superò a braccia conserte.
“E tu sei uno stupido!”
C17 sorrise. Vedendo quella reazione l'irritazione della sorella aumentò. Perché diavolo prendeva tutto così alla leggera?
“Mi spieghi che divertimento c'è in quello che hai fatto? Se facessi come hai appena fatto tu non avrebbe più senso la mia permanenza in questi luoghi.”
E, senza aggiungere altro, se ne andò. Lasciando la sorella a sbollire la propria irritazione da sola.

In quel mese di convivenza tra i boschi C18 si rifiutò di partecipare a qualunque attività del fratello. Non partecipava alle sue battute di caccia né lo accompagnava a vendere le pelli degli animali uccisi nei villaggi montani. Si limitava a seguirlo silenziosamente in ogni suo spostamento.
Di notte tuttavia C18 si trasformava. La loro prima notte insieme non era stato un caso particolare. Da allora ogni notte, per un mese, i due gemelli si affrontarono in lotte dalla potenza inaudita ma che, per loro, non si trattava che di banali allenamenti.
Per C18 quelle ore erano una scarica di vita. Sentire l'adrenalina scorrerle nelle vene era una sensazione magnifica. Durante la lotta attaccava con ferocia il fratello, quasi stesse cercando di ucciderlo. In realtà il suo unico scopo era sfogarsi e non pensare. Perché a pensare le tornava solamente il cattivo umore.
C17 al contrario, riusciva a rimanere sempre calmo e rilassato anche durante gli scontri con la sorella. Se anche considerava quelle sedute di allenamento con lei inutili o fastidiose non lo dava minimamente a vedere. Si limitava a lasciare la sorella sfogarsi fino all'alba.
Forse era solo per quel motivo che l'androide non se ne era ancora andata per la sua strada. Perché in quelle ore notturne passate a combattere si sentiva incredibilmente viva. Si sentiva felice, felice di poter usare la sua immensa potenza per distruggere tutto quello che trovava sul suo percorso. Ovviamente non aveva speranze di battere il fratello, dato che possedevano entrambi lo stesso livello di combattimento, tuttavia era un modo come un altro per cercare di convincersi che, il suo posto, era accanto a lui.
Eppure, più passava il tempo, più C18 si sentiva soffocare da quel genere di vita. Dopo un po' di tempo cominciarono a spuntarle in testa strani pensieri. Possibile che fosse veramente la cosa giusta da fare? Possibile che quel nanerottolo potesse darle una mano a trovare il suo posto nel mondo?
“Certo che no! Devo smetterla di pensare a lui! Basta!”, questa era più o meno la risposta che si dava. Ma, con una puntualità inquietante, quei pensieri, dopo un po', le tornavano subdoli in mente, facendola infuriare talmente tanto che, certe volte, neppure combattere con il fratello riusciva a calmarla.
Alla fine, dopo più di un mese che seguiva C17 per quei boschi selvaggi, non c'è la fece più a stare là. Decise di andarsene.
Probabilmente C17 capì le intenzioni della sorella ma non fece nulla per fermarla. Quando, una sera, invece di attaccarlo come al solito, la sorella si avvolse in una coperta cercando di dormire, l'androide fece finta di niente.
La mattina dopo, quando si svegliò all'alba, lei non c'era più. Se ne era andata in silenzio senza dire una sola parola.
C17 osservò la coperta lasciata lì dalla sorella in silenzio. Il suo volto era una maschera impenetrabile. Poi, lentamente, come un fiore che si affaccia nel freddo mondo di fine inverno, un sorriso gli illuminò il volto.
“Buona fortuna sorellina.” mormorò.
Senza aggiungere altro raccolse le proprie cose, e si inoltrò nel bosco.

C18 aveva solamente fatto finta di dormire. Un paio di ore prima dell'alba se ne era andata silenziosamente. Aveva volato alla massima velocità verso sud cercando di allontanarsi dal fratello il più possibile prima di pentirsi del suo gesto.
Poi, ad un tratto, si fermò. Se n'era andata. Aveva capito che, restando con il fratello, non sarebbe riuscita a concludere niente nella sua vita. Ciò non significava che il suo rapporto con C17 fosse cambiato. Erano ancora legati, ma la cyborg aveva capito che, nella nuova vita del fratello, non c'era posto per lei.
“E adesso?” pensò con amarezza. “Che cosa faccio?”
Quasi subito nella sua mente prese corpo l'immagine di lui. L'androide sentì una immensa collera bruciarle le vene. Era stufa. Stufa marcia di quella storia. Avrebbe messo la parola fine a quella faccenda una volta per tutte.
“Stronzi!” urlò al cielo con tutta voce che aveva in corpo. “Immagino che sarete contenti adesso! E va bene! Andrò da lui e questa storia finirà una volta per tutte! Ma prima lasciatemi dire una cosa: andate tutti a fanculo!”
E detto questo, in uno sfogo di rabbia verso il nulla, o forse verso tutto, cercò di individuare l'aura di quel maledetto nanerottolo. La individuò quasi subito.
Con un ringhio si diresse a tutta velocità nella direzione dove si trovava Crilin. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto una volta raggiunto quel nano. Le probabilità che lo uccidesse in maniera lenta e dolorosa erano molte, ma ora come ora era l'unica cosa che poteva fare: andare da lui.

Il telefono della Kame House squillò. Il rumore acuto dell'apparecchio ruppe il silenzio che gravava sulla casa.
Muten si svegliò di soprassalto. Si era appisolato sul divano in quello che era il suo tipico pisolino delle undici. Ci mise qualche istante a comprendere la situazione. Poi, con un gemito, si alzò lentamente andando a rispondere, più che altro per far stare zitto quel maledetto aggeggio.
“Pronto?”
“Ehila Muten! Come te la passi?” dalla altra parte del telefono risuonò la voce allegra di Bulma.
“Ah, ciao Bulma. A cosa devo l'onore della tua chiamata?” fece Muten con voce a sua volta allegra. Non gli era mai andata molto a genio Bulma, a causa del suo caratteraccio. Tuttavia, dopo un mese di solitudine, anche la sua voce era ben accetta.
“Niente di particolare. Volevo sapere come tu e Crilin ve la passavate.”
Sentendo il nome del suo allievo il vecchio maestro di arti marziali sentì una fitta al cuore. Il suo allievo gli mancava terribilmente, senza di lui la Kame Huose sembrava vuota e grigia.
“Beh...non c'è la passiamo malaccio.” fece con un tono palesemente falso. Aveva promesso a Crilin di non dire niente agli altri della sua partenza. Non voleva che lo andassero a cercare.
Peccato per lui che era un pessimo attore. Bulma infatti si insospettì subito.
“Muten! È successo qualcosa a Crilin?”
“Ma...ma cosa vai a pensare?! Certo che no! Sta benissimo!” fece il l'anziano maestro in palese difficoltà. Quella donna era troppo sveglia per i suoi gusti.
“Beh visto che sta bene passamelo un attimo. Vorrei dirgli un paio di cose.” fece la scienziata non del tutto convinta dal tono usato da Muten.
“Passartelo?” fece l'eremita della tartaruga in evidente difficoltà. “Beh...ecco...non è possibile al momento! Vedi lui...si sta...si sta allenando!” Non era una vera e propria bugia. In fondo stava veramente dicendo la verità.
“E allora? Tu digli di entrare un attimo in casa! Non gli farà certo male smettere per cinque minuti!”
Sentendo quelle parole Muten rimase in silenzio. Era in trappola. Non aveva vie di fuga tranne una: dire la verità.
“Muten? Sei ancora in linea? Muten?! Ci sei sì o no?!!”
Facendo un profondo respiro l'anziano maestro raccontò ogni cosa alla scienziata. Alla fine del racconto Bulma era scandalizzata.
“Ma sei impazzito?! Perché diavolo non lo hai fermato?”
“Era un suo diritto andarsene.” ribatté con voce severa Muten. “Non è un bambino Bulma! Sa badare a se stesso. E sopratutto non devi assolutamente andarlo a cercare.”
“E perché non dovrei? Certo che andrò a cercarlo! Non ho nessuna intenzione di vederlo uccidersi per un amore infelice!”
“Se gli sei veramente amica, allora resta dove sei a prenderti cura di tuo figlio e di tuo marito!” fece con voce tonante l'anziano maestro. “Credimi Bulma! Dammi retta! Lui, in questo momento, ha solamente bisogno di restare da solo. Lasciamolo in pace.”
La scienziata rimase zitta per un minuto, poi parlò di nuovo.
“Da quanto tempo è che è partito?”
Muten sospirò. “Da più di un mese.”
“Un mese...”fece con voce triste la donna. Poi, sembrò riprendere il controllo delle proprie emozioni. “Forse hai ragione tu. Ma pensi che ritornerà?”
Gli occhi dell'anziano maestro si voltarono verso la finestra che dava sul mare. Gli pareva di poterla ancora vedere la barchetta su cui era arrivato, per la prima volta, il suo allievo alla Kame House molti anni prima.
“Non lo so Bulma. Dipende da cosa vuole fare della sua vita. Se deciderà di spegnersi in solitudine...allora noi dovremo rispettare la sua decisione.”
Bulma non rispose. A Muten gli sembrò di poterla vedere davanti a se. Una giovane donna, sposata, affascinante e con una bella famiglia. Ma in tutta quella felicità c'era un piccolo buco e quel buco si chiamava Crilin.

C18 osservava dall'alto l'isola dove Crilin si era ritirato ad allenarsi. L'androide lo poteva vedere benissimo: una piccola figura che si allenava sulla spiaggia.
La cyborg era rimasta turbata nel vederlo. All'inizio aveva pensato di aver sbagliato persona. Come era possibile che quel nano fosse diventato quella persona? Dove era finito il ragazzo sempre così di buon umore che aveva incontrato sette mesi prima?
Lo fissò con attenzione. Il viso era scavato dandogli un aria più arcigna, una folta chioma di capelli neri gli era cresciuta insieme ad una leggera barba che gli stava malissimo. Scure occhiaie gli cerchiavano gli occhi. Sembrava che per lui fossero passati dieci anni e non sette mesi.
L'androide non sapeva cosa fare. Era arrivata fin li...e adesso? Cosa doveva fare? Scendere a parlare con lui? E parlare di cosa poi?
La bionda si massaggiò le tempie cercando di decidere il da farsi. Sotto di lei sentiva i pugni di lui fendere l'aria.
Alla fine decise. Era arrivata fino a lì, tanto valeva terminare l'opera. Chissà che, una volta incontrato, lui la smettesse di perseguitarla.

Crilin si stava concentrando al massimo. Sentiva il sudore scorrere sulla schiena e sugli occhi, costringendolo a sbattere continuamente le palpebre per evitare che gli bruciassero.
Si sentiva stanchissimo. Quella notte non era riuscito a dormire. Il dolore alla schiena non gli aveva lasciato un attimo di tregua. Anche adesso sentiva i muscoli delle spalle urlare di dolore.
Il movimento continuo e ripetitivo lo cullava, lasciando la sua mente, annebbiata dal dolore e dalla disperazione alla deriva. In quel momento per il ragazzo non esisteva niente, se non il continuo susseguirsi di pugni.
Destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Destro. Sinistro.
“Ti diverti così tanto a colpire l'aria?”
Sentendo quella voce Crilin si bloccò di colpo. Non aveva dubbi. Quella era la sua voce. L'aveva sentita così tante volte durante i suoi sogni che l'avrebbe riconosciuta tra mille.
Si girò, quasi non credesse alle proprie orecchie. Dovette trattenersi per non stropicciarsi gli occhi. C18 era lì. Davanti a lui. Non era affatto cambiata in quegli ultimi sette mesi, era ancora bellissima e fredda come lui se la ricordava.
Il terrestre provò a parlare ma le parole non gli uscirono dalla bocca. Gli sembrava di avere della ruggine sulle corde vocali. Dopotutto, era più di un mese che non diceva una sola parola.
Alla fine riuscì a spiccare parola.
“Tu?” fece con un gemito roco dovuto al troppo tempo che aveva passato in silenzio.
L'androide sollevò le sopracciglia in uno sguardo sarcastico.
“E chi dovrei essere? Conosci qualche altro cyborg?”
“Cosa...cosa ci fai qui?” domandò il guerriero, ancora incredulo di quella apparizione improvvisa.
C18 scrollò le spalle. “Passavo di qua e ti ho visto.”
Crilin non era sicuro che fosse la verità. Ma in quel momento decise di lasciar perdere la questione. Gli pareva ancora troppo irreale per essere vero. C18, la sua amata C18, era venuta a trovarlo.
Calò un silenzio imbarazzante. Nessuno dei due sembrava essere disposto a continuare. Si fissavano negli occhi quasi a cercare il perché di questo loro nuovo incontro.
Alla fine fu lei a rompere quel silenzio che stava diventando per entrambi insopportabile.
“Tu invece cosa ci fai qui?”
Crilin si sentì improvvisamente in tremendo imbarazzo. Soltanto in quel momento si era ricordato delle condizioni disastrose in cui la sua faccia era ridotta. Avrebbe voluto tanto nascondersi ma, non essendo una cosa fattibile, decise di continuare a parlare come se niente fosse.
“Mi alleno.” fece con tono neutro.
Un sorrisetto di scherno comparve sulle labbra dell'androide.
“Immagino la fatica di combattere l'aria. Sarai diventato molto più forte dall'ultima volta che ci siamo visti.”
 Crilin divenne rosso dalla vergogna. Possibile che riusciva sempre a fare la figura dello stupido con lei nei paraggi? A volte il terrestre aveva come il sospetto che qualcuno da lassù c'è l'avesse a morte con lui.
Scosse le spalle, cercando di far finta di non aver notato il tono di lei.
“Avevo voglia di restare da solo. Credo che tu capisca cosa intendo dire.”
“Io non ti capisco.” fece lei con voce dura. “Io non posso capire le persone. Sono una macchina, non dimenticarlo mai.”
Le sue parole colpirono il cuore di Crilin come una pugnalata. Possibile che dicesse la verità? Possibile che lei non poteva comprendere le persone? Davvero lei era solo una macchina? Una splendida, bellissima ma pur sempre fredda macchina?
“Comunque combinerai poco stando da solo. Se vuoi veramente migliorarti dovresti trovarti qualcuno che ti insegni ciò che non sai.”
“E chi?” domando il terrestre sconsolato. “Chi potrebbe mai essere disposto ad insegnarmi ciò che non so?”
Gli occhi dell'androide lo fissavano freddi e privi di emozioni. Eppure, per un attimo, Crilin fu sicuro di vederci brillare dentro una fioca luce, così fioca che fu quasi sicuro di essersela immaginata.
“Io.”
Il terrestre spalancò gli occhi. Non credeva alle sue orecchie. Perché lo aiutava? Eppure un minuto prima lei aveva dichiarato di essere una macchina.
“Perché?” domandò tra l'incredulo e lo sbigottito.
C18 lo guardò con fastidio. Quando parlò si vedeva chiaramente che era irritata dalla domanda.
“Visto e considerato che, attualmente, non ho niente di meglio da fare. Renderti un po' meno incapace di come sei adesso potrebbe essere un buon passatempo.”
Crilin rimase per un attimo folgorato. Poi, un grande sorriso gli incorniciò la faccia. Sembrava fossero passati anni da quando aveva sorriso così spontaneamente.
“Grazie!”
“Aspetta a ringraziarmi. Bisogna innanzitutto vedere se posso insegnarti qualcosa. E, francamente, nè dubito fortemente.”
“Perché?” fece lui, deluso dalla sfiducia che l'androide aveva nei suoi confronti. “Sono sicuro che tra un mese sarò molto più forte di adesso!”
C18 lo guardò con uno scintillio negli occhi per niente rassicurante.
“Solo se sarai ancora vivo.” dichiarò con un sorriso perfido sulle labbra.
Un secondo dopo, senza alcun preavviso, si scagliò contro il terrestre. Crilin, che non si aspettava un attacco così improvviso, venne centrato in pieno stomaco dal calcio dell'androide. Il piccolo guerriero venne spedito dalla potenza dell'urto a circa un centinaio di metri di distanza.
Il terrestre rimase a terra. Il colpo gli aveva svuotato i polmoni e adesso era impegnato in una affannosa ricerca del prezioso gas.
“Beh...vuoi anche un caffè già che ci sei?”
Crilin si girò. C18 l'aveva raggiunto e lo fissava con evidente irritazione.
“Ero impreparato.” borbottò il ragazzo ferito nell'orgoglio. “Hai giocato sporco!”
Un nuovo sorriso di perfidia si fece strada tra le labbra della cyborg.
“Pensi che in battaglia i tuoi nemici ti avvisino quando decidono di attaccarti? In battaglia non esistono regole tranne una: fai fuori il tuo avversario, prima che lui faccia fuori te.”
Lentamente il terrestre si alzò. Senza dargli tempo di ripresa l'androide lo attaccò di nuovo.
I successivi cinque minuti furono per Crilin terribilmente difficili. Non riusciva a trovare la forza per attaccare C18. Era più forte di lui. Si limitava a parare e a schivare gli attacchi di lei. Quando la cyborg capì cosa stava facendo si irritò ancora di più. Con un'elegante sequenza di calci spedì il terrestre contro una roccia facendogli, per la seconda volta, uscire tutta l'aria che aveva dai polmoni.
“Forse non mi sono spiegata bene.” fece con voce minacciosa l'androide. Stava fissando sospesa in aria Crilin a braccia conserte e con un'espressione sprezzante in volto. “Io non scherzo. Se pensavi che ci sarei andata leggera con te ti sbagliavi di grosso. Vedi di impegnarti sul serio, perché la prossima volta che ti comporti in quel modo ti faccio fuori!”
Crilin, ferito nell'orgoglio dalle parole di lei, si rialzò con un ringhio. C'era un limite alla sopportazione, e lui l'aveva raggiunto. Forse era stato fin dall'inizio il piano di C18 irritarlo fino all'esasperazione.
“Adesso basta!” ringhiò sottovoce il piccolo guerriero.
Si alzò in volo lanciandosi contro l'androide.
Combatterono per tutto il giorno senza nessuna pausa. Crilin cercò di dare il massimo. Utilizzò tutte le mosse e le tecniche che conosceva per cercare di mettere in difficoltà l'androide. Fu tutta fatica sprecata. Si vedeva chiaramente che C18 non utilizzava il massimo dei suoi poteri, eppure lo teneva a bada senza alcuno sforzo.
Per C18 fu una giornata noiosa. Si limitò a mettere alla prova Crilin cercando di capire il modo in cui combatteva. Si stupì della sua debolezza. Alla cyborg bastò usare il cinquanta per cento delle sue capacità per tenerlo a bada senza troppi problemi.
Quando il sole tramontò, C18 si fermò di botto, subito imitata da Crilin.
“Basta così.”  
Il terrestre cadde riverso al suolo respirando affannosamente. Non si era mai sentito così stanco. Si sentiva tutti i muscoli tirare dai crampi. Aveva il corpo cosparso di lividi e ferite superficiali. C18 non c'era andata leggera con lui.
L'androide lo guardò con disprezzo. Al contrario di Crilin, C18 era fresca e riposata.
“Tsk...inutili umani!” fu il suo commento nel constatare lo stato pietoso in cui era ridotto il suo allievo.
“La...fai...facile...tu” ansimò il terrestre. “Vorrei...vedere...te...al mio...posto...senza generatori di...energia...illimitata!”
Un sorriso di scherno comparve sulle labbra di lei.
“E io vorrei vedere cosa avresti fatto tu al mio posto. Se avessi subito quello che ho subito io, saresti già morto da un pezzo.”
C18 diede altri cinque minuti di pausa al terrestre. Poi si mosse.
“Su forza! Andiamo!” dichiarò con voce decisa. Crilin la guardò stupito.
“E dove?”
“Alla tua isola. Pensavi veramente che avrei dormito dentro un buco nel terreno come hai fatto tu fino ad adesso?”
“Ma...ma non possiamo allenarci sull'isola del mio maestro!” fece Crilin, ancora sconvolto da quell'improvviso cambio di programma.
“Lo so anch'io! Ogni mattina torneremo qui. Quest'isola non è troppo lontana dalla tua casa. Quindi che problema c'è?”
Crilin la fissò per un minuto intero con espressione di assoluto sconcerto. Poi, lentamente, scosse la testa.
“Nessun problema.” sussurrò.
C18 annuì con la testa. Soddisfatta della risposta di lui.
Dopo aver raccolto le sue cose. Crilin si alzò in volo, subito seguito dall'androide. Maestra ed allievo si diressero verso l'isola di Muten sotto i raggi morenti del sole.

CONTINUA

Beh? Che ve ne pare? Patetico vero? Lo so ma come ho già detto non sono capace di scrivere storie d'amore. Spero che vi piaccia lo stesso. Fatemi sapere la vostra opinione mi raccomando! Ci conto!
Un saluto!

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Capitolo 4
*** Incubi e deliri ***


Capitolo 4

Crilin non stava affatto bene. Si sentiva la schiena pulsare dolorosamente ad ogni battito del suo cuore, rendendogli ogni secondo lungo un'eternità. Le ferite che l'androide gli aveva inferto gli bruciavano  terribilmente nonostante fossero piuttosto superficiali. Aveva grossi lividi violacei sparsi su tutto il corpo che gli rendevano doloroso ogni movimento, anche respirare. Il terrestre si sentiva la testa stranamente vuota e leggera, chiaro sintomo di un'influenza.
Quella mezzora per il guerriero fu una vera e propria tortura. Non era mai stato così male. Più di una volta ebbe un leggero capogiro che gli fece rischiare di cadere. Se fosse stato da solo si sarebbe fermato volentieri sul primo scoglio trovato per strada, ma davanti a C18 il suo orgoglio gli impediva di fermarsi. Nonostante stesse male, il disprezzo di lei lo avrebbe fatto stare molto peggio.
C18 non sembrò accorgersi delle condizioni disastrose in cui si trovava il suo allievo, certo poteva anche non importargliene niente. Qualunque fosse il motivo, l'androide non lo degnò di uno sguardo per tutta la durata del breve viaggio.

Quando atterrarono sulla spiaggia della Kame House Crilin fu felice di vedere che, la casa del suo maestro, era rimasta uguale. Nonostante fosse passato solo un mese da quando era partito, al terrestre gli sembrava che fossero passati anni dall'ultima volta che era stato là.
Ebbe un improvviso giramento, barcollò pesantemente cercando di rimanere in piedi. C18 lo guardò con fare sprezzante ma, con suo sommo sollievo, non disse nulla.
In quel momento, attirato dall'aura del suo allievo, Muten uscì dalla casetta. Il vecchio maestro di arti marziali rimase a bocca aperta nel vedere il suo allievo così diverso. Ma, se il suo stupore nel vederlo con barba e capelli fu grande, non fu niente in confronto a quello che provò nel vedere la figura snella ed aggraziata di C18 affianco a quella di Crilin.
“Cr-Crilin?” boccheggiò l'anziano guerriero combattuto tra la gioia di rivederlo e lo stupore nel constatare quanto era cambiato.
Un largo sorriso si fece strada tra la barba del piccolo terrestre.
“Salve Maestro! È bello vedervi in forma!”
“Ma cosa...cosa ci fai qui?! Ti credevo chissà dove ad allenarti! E lei...” Muten si zittì quando l'androide gli mandò uno sguardo che avrebbe fatto ghiacciare una bottiglia d'acqua in una giornata di sole afosa.
“Allora? Mi vuoi mostrare la mia stanza? Sono stanca e non ho alcuna voglia di stare ancora in piedi.” la voce dell'androide era fredda e gelida.
Crilin entrò all'interno della Kame House. Quando superò il suo maestro, ancora sbigottito dall'arrivo dei due, si limitò a sussurrargli all'orecchio.
“Le spiego tutto dopo.”
Muten annuì. Quando i due furono entrati in casa li seguì con lo strano presentimento che la permanenza in casa di quel demonio in gonnella sarebbe stato molto lungo.

“Ecco. Questa è la tua stanza. Spero che ti piaccia.”
C18 entrò nella camera di Crilin guardandosi intorno con vago interesse. La stanza era abbastanza grande per i suoi gusti mentre il mobilio era scarso: un letto singolo, un cassettone, un armadio con uno specchio. Una finestra che dava sul mare completava la panoramica della stanza.
Quando l'androide si girò verso la porta si stupì di vedere Crilin ancora fermo all'entrata. C18 si irritò. Cosa diavolo voleva adesso? Che gli desse la mancia?
“Beh? Cosa c'è adesso?” domandò con tono sgarbato facendo sussultare il terrestre.
“Niente. Volevo solo sapere se la stanza è di tuo gradimento.”
“Non sono affari tuoi! Fuori!” e gli sbatté con violenza la porta in faccia.
Crilin sospirò. Era diviso tra il desiderio di saltare dalla gioia per il fatto che C18 adesso abitava alla Kame House oppure quello di disperarsi a causa del comportamento della cyborg.
“Bell'inizio.” mormorò in tono sarcastico.
Diede la schiena alla sua ormai ex-stanza e discese le scale per spiegare tutta quella assurda situazione al suo adorato Maestro.

Dopo essersi levata dai piedi quel nanerottolo rompiscatole, C18 cominciò l'esplorazione del suo nuovo possesso.
Le bastò poco per capire a chi apparteneva la stanza. La scoperta che quel nano le aveva dato la sua camera le fece aumentare ancora di più il cattivo umore. Cosa diavolo sperava di ottenere comportandosi in quella maniera con lei? Che gli desse un bacino come l'altra volta? Il solo pensiero fece venire alla bionda la nausea. Non aveva mai capito del tutto il motivo per cui l'aveva baciato al loro primo incontro. Forse per prenderlo in giro. Forse per godersi lo spettacolo di vedere i suoi occhi riempirsi di terrore, terrore che successivamente si trasformò in assoluto stupore. Probabilmente non l'avrebbe mai capito.
Si sedette sul letto. Era freddo ma morbido. Improvvisamente l'androide si domandò quando era stata l'ultima volta che aveva dormito su un letto degno di quel nome. Di certo non durante la sua prigionia, nè si ricordava di averlo fatto una volta trasformata in cyborg. Doveva essere stato quando era ancora una bambina come tutte le altre. Per qualche minuto i pensieri dell'androide furono costellati dalla nostalgia per la vita che non aveva mai avuto. Una vita da essere inferiore certo, ma pur sempre una vita. La sua poteva definirsi tale? No, la sua non poteva chiamarsi vita. Il suo era un semplice brancolare nel buio a casaccio, alla ricerca di qualcosa che le desse un motivo decente per volere ancora vivere.
Scacciò quei lugubri pensieri dalla mente. Per evitare di tornarci sopra, decise di dare un'occhiata alle foto che si trovavano sul cassettone.
Le osservò a lungo senza soffermarsi su qualcuna in particolare. Conosceva a grandi linee la storia di Crilin, grazie alle informazioni che Gero le aveva inserito in memoria, tuttavia era molto curiosa di vederlo non sui campi di battaglia ma nella vita di tutti i giorni.
In tutte le foto che osservava il terrestre sembrava sempre allegro e spensierato. C'è ne erano di tutti i tipi: lui e Goku che mangiavano, Crilin con Bulma abbracciata a Iamko, Muten insieme al suo allievo, Gohan e Crilin insieme a Bulma in procinto per partire alla volta di Namecc, e molte altre ancora. In totale non dovevano però essere più di una dozzina.
Una foto in particolare attirò la sua attenzione. Sembrava fosse molto importante per quel piccoletto. L'aveva incorniciata in una cornice d'argento e l'aveva messa davanti a tutte le altre. Incuriosita, la cyborg la prese in mano.
Doveva essere stata scattata molti anni prima. Era una foto che ritraeva Muten, con indosso un elegante vestito da uomo nero insieme a Goku e Crilin quando i due erano ancora bambini. Entrambi indossavano una tunica arancione indicando così che, loro, erano allievi dell'Eremita della Tartaruga. Muten sembrava non fosse cambiato di una virgola, tranne che all'epoca doveva avere qualche ruga di meno attorno agli occhi e agli angoli della bocca.
Ma l'attenzione dell'androide fu catturata dalla figura di Goku. Doveva essere stato più o meno in quell'epoca che aveva distrutto il Red Ribbon, causando la decisione di vendicarsi di lui e dei suoi amici da parte del Dottor Gero. Gli occhi azzurri di C18 guardarono la figura sorridente del piccolo saiyan: un bambino paffutello, con un immenso sorriso sul volto ed una lunga coda marrone che gli spuntava da dietro la schiena.
Infine l'androide spostò la sua attenzione al terzo elemento della foto. Quando lo vide non riuscì a trattenere un sorriso. Crilin era così buffo! Un piccolo bambino, con la testa completamente rasata, che sorrideva al fotografo con un sorriso misto tra il felice e il soddisfatto.
Volse la fotografia. Dietro c'era scritto con una calligrafia dall'aria ufficiale la seguente scritta:
“Il Maestro Muten insieme ai suoi giovani allievi Crilin e Goku. Classificatisi rispettivamente terzo e secondo al 21° Torneo Mondiale di Arti Marziali.”
L'androide rigirò la fotografia. La soppesò un paio di volte con la mano sinistra e, infine, la rimise al suo posto.
Tornò a sedersi sul letto. Guardò il sole tramontare lentamente oltre l'orizzonte, immergendo così la stanza di una luce infuocata.
C18 si guardò le mani. Non si sentiva cambiata. Non si sentiva diversa da prima. Aveva incontrato Crilin, ci aveva parlato, aveva addirittura accettato di fargli da maestra di arti marziali. E tutto quello solo per sperare che qualcosa dentro di lei cambiasse. L'androide si diede mentalmente della stupida. Cosa aveva sperato che succedesse incontrandolo di nuovo? Che improvvisamente trovasse un motivo per vivere? E che tipo di motivo? Non sapeva neanche lei cosa voleva veramente fare della sua vita.
Strinse le mani a pugno con rabbia. Odiava tutta quella situazione. Odiava il fatto di non poter capire cosa volere dalla propria vita. Persino suo fratello ci era riuscito. Perché lei no? C18 si domandò cosa non andasse in lei. Trovò subito la risposta.
“Tutto.” pensò con un sorriso amaro.
Era un androide, e in teoria non poteva avere sentimenti. Eppure, chissà per quale motivo, in quel periodo si sentiva sempre arrabbiata, frustata e irritata verso tutto e tutti. E ciò la confondeva. Non era più un'umana, ma se provava quei sentimenti, quelle sensazioni, si poteva considerare un cyborg? E se no, cosa era lei?

“E questo è tutto.” dichiarò con voce stanca Crilin.
Si trovava nella piccola cucina della Kame House insieme a Muten. In quell'ultima ora il terrestre aveva raccontato al suo maestro gli avvenimenti di quell'ultimo mese, compreso l'incredibile incontro con C18.
Per tutta la durata del racconto Muten non disse nulla. Il vecchio maestro di arti marziali si osservò le mani rugose con espressione pensierosa. Quando il suo allievo terminò il suo racconto sillabò una sola parola.
“Perché?”
Crilin capì subito dove voleva arrivare il suo maestro. Tuttavia ci mise un po' a trovare le parole adatte a causa del dolore che gli affliggeva buona parte del corpo.
“Non ne ho idea. Quando le l'ho domandato si è limitata a dirmi che, ora come ora, non ha niente di meglio da fare.”
“Già...immagino che una come lei non abbia molti impegni.” borbottò Muten. “Comunque ragazzo ti conviene stare attento. Sai bene anche tu cosa è di preciso quella donna.”
Crilin fulminò con un'occhiataccia il suo maestro.
“No! Non lo so!” fece scontroso. “Cosa sarebbe di preciso lei?”
La sua reazione fece sorridere l'anziano maestro.
“So benissimo cosa provi nei suoi confronti. Ma penso che dovresti capire cosa di preciso ha fatto quella donna. Molti innocenti sono morti a causa sua.”
“Ma l'ha fatto perché era obbligata da quel pazzo del Dottor Gero!” rispose irato il terrestre. I suoi occhi scuri mandavano fiamme di collera e rabbia. “Non posso credere che persino lei la consideri un mostro! Voi non sapete cosa ha passato C18! Neppure io lo so di preciso! Ma da quello che ho capito la sua vita è stata talmente piena di orrori così disumani che non mi sorprende che abbia questo atteggiamento così diffidente verso il mondo. Per non parlare di quello che ha dovuto passare a causa di Cell! Io ero lì quando quel mostro disgustoso l'ha assorbita, e ho visto tutto. È un miracolo che non abbia perso il senno!”
“Questo non giustifica ciò che ha fatto. Per quanto dolore e sofferenza abbia subito, non puoi negare che lei e suo fratello si sono macchiati di atti orribili. E non sempre era il Dottor Gero ad obbligarli. Ti posso dar ragione su ciò che ha passato a causa di quel mostro di Cell, tuttavia devo ammettere che non mi piace avere una pluriomicida dalla potenza devastante sotto il mio tetto.”
Crilin non rispose. Tuttavia si poteva vedere chiaramente che non condivideva assolutamente l'idea del suo maestro. Nel vedere la sua faccia, Muten sorrise con fare paterno.
“Non credere che non capisca cosa provi. Dopotutto, sei poco più di un ragazzo ed è naturale provare certe cose alla tua età. Non ti dico di cacciarla via di casa. Ti dico soltanto di stare attento. Quella donna ha rotto entrambe le braccia a Vegeta come se fosse la cosa più naturale del mondo. E credo siano ben pochi gli esseri nell'universo che possono vantarsi di aver fatto altrettanto, o che siano ancora vivi per raccontarlo.”
Crilin continuò a stare zitto. Cercando di far uscire dal mutismo il proprio allievo, Muten decise di cambiare argomento.
“A parte il tuo incontro con C18...sei riuscito a diventare una persona diversa?”
Il terrestre sospirò. Tuttavia sembrò apprezzare il fatto di aver cambiato argomento di discussione.
“No. Credo che da quel punto di vista abbia fallito totalmente.”
“Ne sei sicuro? Cambiare non significa solo mutare atteggiamento o carattere. Cambiare significa anche ampliare i nostri orizzonti. Mutare il nostro modo di pensare. Rivedere le nostre idee e le basi su cui poggiano tutte le nostre azioni.”
“Beh...almeno su una cosa sono cambiato.” dichiarò il piccolo guerriero con un sorriso amaro.
“E su cosa?” domandò curioso Muten.
“Mi sono fatto crescere i capelli!”
A quella affermazione Muten ridacchiò.
“Eh sì! Hai proprio ragione mio caro ragazzo! Se non era per la tua aura non ti avrei neanche riconosciuto. Comunque, se mi permetti, ti consiglio di tagliarti la barba. Non ti dona molto.”
In quel momento Crilin si stava grattando una guancia barbuta. Si bloccò nel gesto mentre divenne leggermente rosso dall'imbarazzo.
“Ehm...sì. Lo penso anch'io.” borbottò impacciato.
Fece per alzarsi ma si bloccò a metà dell'azione trattenendo il respiro. Una nuova violenta ondata di dolore alla schiena lo colpì in quel momento. Il terrestre si appoggiò al tavolo per non cadere.
“Crilin!” il tono di Muten era mutato. L'anziano maestro fissava con preoccupazione il suo allievo.
“Sto...sto bene.” dichiarò Crilin passandosi una mano sulla fronte. Era bollente. “Sono solo...un po' stanco.”
Muten annuì ma non sembrava del tutto convinto.
“Vai a farti una doccia ragazzo. Io intanto ti preparo qualcosa da mangiare.”
Il piccolo guerriero annuì. Poi, molto lentamente e facendo attenzione a come si muoveva, si incamminò verso il piano di sopra della Kame House.

Quando Crilin entrò in bagno dovette appoggiarsi al lavabo per non cadere. Era scosso da brividi di freddo e una violenta nausea cominciava a salirgli.
Tremando il guerriero si toccò la fronte di nuovo. Scottava, e tanto anche. Non si era mai sentito così male.
In quel momento rigettò violentemente. Ma dalle sue labbra uscì solo amara bile. Il guerriero sputò disgustato il liquido verdastro.
Provò a rialzarsi ma, ancora una volta, la schiena lo tradì mandandogli un nuovo devastante attacco di dolore. Fu soltanto con un immenso sforzo di volontà che riuscì a tornare in piedi.
“Merda! Ma guarda te come mi sono ridotto! E solamente stando via un mese! Goku o Vegeta non si sarebbero mai ridotti nelle mie condizioni dopo quello che ho fatto. Sono un debole!” pensò mentre un nuovo conato gli bruciava la gola.
Alla fine si spogliò entrando in doccia. Accolse con infinito sollievo il getto tiepido d'acqua. La doccia riuscì a sanare in parte il suo corpo sfibrato dalla febbre e martoriato dai lividi.

Mezzora dopo, un Crilin lavato e sbarbato uscì dal bagno. I capelli invece se li era tenuti. Trovava che gli stessero abbastanza bene. Sempre meglio di quando si rasava.
La doccia era stata un vero toccasana per il terrestre. Si sentiva molto meglio. La nausea gli era passata e anche il dolore alla schiena era diminuito. Rinvigorito, il terrestre si incamminò verso la cucina da dove usciva un buon profumino di cibo.
Davanti alla camera di C18 si bloccò. L'androide non si era fatta più vedere nè sentire. Crilin non voleva darle fastidio. Tuttavia pensava che fosse giusto avvisarla che la cena era pronta.
“Mangiare non le può certo fare male.” pensò speranzoso. Facendo un profondo respiro bussò delicatamente alla porta.
Non rispose nessuno. Crilin aspettò un minuto buono. Poi, con la sensazione di star provocando un vulcano, bussò di nuovo, questa volta leggermente più forte.
All'improvviso la porta si aprì. Crilin si trovò davanti la figura aggraziata di C18 che lo fissava in cagnesco.
“Che cosa vuoi?” fece con tono scontroso.
“Niente di importante. Solo farti saper che, se vuoi favorire, la cena è pronta.”
“Sono un cyborg. Non ho bisogno né di mangiare né di bere. E ora sparisci!” e senza aspettare risposta, C18 gli sbatté la porta in faccia.
Crilin sospirò passandosi una mano sul volto. “Non cambierà mai.” pensò con disperazione.
Diede le spalle alla porta e si diresse verso la cucina.


Sentiva le urla di dolore del fratello. Le sue preghiere disperate. Le sue suppliche.
“No! Basta Dottore! La scongiuro! La prego! Farò tutto quello che vuole ma non di nuovo! Non di nuovo!”
Una risata malvagia si propagò nelle segrete del laboratorio.
“Ma come mio caro numero 17? pazienta un altro po'! Io ti renderò un essere molto speciale! Te lo prometto!
Era rinchiusa nella sua cella. Si era raggomitolata quasi a sperare di non sentire le urla disperate del fratello. Piangeva disperatamente, voleva tornare a casa, voleva che qualcuno la portasse fuori da quell'incubo terribile, voleva che quello fosse solamente un brutto sogno
“Adesso mi sveglio” pensava disperatamente. “Mi sveglio e scopro che tutto questo è solamente un brutto sogno. Che in realtà io e mio fratello siamo a casa nostra con mamma e papà.”
Sentì suo fratello cacciare un urlo terribile, disumano. Poi il silenzio.
Adesso era veramente terrorizzata. Sentiva i passi pesanti del Dottore rimbombare sul pavimento di terra. Diretti verso la sua cella.
La ragazza si raggomitolò più forte. Quasi che, così facendo, non sarebbe toccato anche a lei subire quelle terribili torture.
Sentì la porta della cella aprirsi di botto. Udì i suoi passi avvicinarsi a lei. Continuò a tenere la testa fra le gambe, sperando fino all'ultimo che la lasciasse in pace.
“Beh? Cosa stai facendo numero 18? Alzati su! Dobbiamo continuare l'esperimento.”
La ragazza scosse la testa con disperazione. Non voleva. Era stanca di soffrire. Voleva andare a casa. Voleva vedere la sua mamma e il suo papà. Voleva rivedere suo fratello.
“Piccola insolente! Non hai ancora capito che mi devi ubbidire? Non hai ancora capito chi è che comanda qua?”
Sentì una mano afferrarle i capelli. Urlò dal dolore. Le sue urla si persero nell'immensità del laboratorio, mentre il suo aguzzino la portava fuori di peso dalla cella.
“Adesso basta! Abbiamo perso fin troppo tempo! Tu devi imparare ad obbedirmi! Sono io il tuo padrone!”
Piangeva disperata. I suoi singhiozzi venivano coperti dalla risata malvagia del mostro. Era una risata fredda e crudele. Aumentava sempre più di intensità, sempre di più. Fino a coprire ogni cosa.



C18 si svegliò di soprassalto. Spalancò gli occhi tremando di terrore. Era sudata fradicia e le sue iridi chiare guizzavano da una parte all'altra della stanza cercando di capire dove si trovava.
Quando alla fine capì dove si trovava si rilassò parzialmente. Corse alla finestra spalancandola, alla ricerca disperata di aria pura.
Doveva essere notte fonda. C18 non si ricordava di essersi messa a dormire. Essendo un cyborg non ne aveva bisogno, ma evidentemente quella sera aveva dimenticato la prudenza.
La bionda appoggiò la fronte contro il vetro. Anche quella volta era successo. Da quando era finita la storia di Cell aveva scoperto che, dormendo, la sua mente le proiettava le terribili immagini di ciò che aveva dovuto passare nel laboratorio del Dottor Gero. Ogni volta gli incubi si facevano sempre più reali, e diventavano sempre più frequenti.
Fissò le stelle brillare nel cielo. Era una splendida notte. Il mare era calmo e si infrangeva tranquillamente contro la spiaggia dell'isola.
“Dannato Gero! Anche adesso che sei morto mi perseguiti? Non sei contento di avermi rovinato la vita? Non ti basta l'avermi tolto ogni cosa che poteva definirmi una persona?” pensò con amarezza fissando il cielo stellato con rabbia mista a tristezza.
Decise di scendere a bere un po' d'acqua per calmarsi. Il vecchio e il nanerottolo dovevano essere già a dormire da un bel po'. E poi, dopo l'incubo che aveva fatto, stare chiusa li dentro le era impossibile.
Uscì dalla stanza e cominciò a scendere le scale. Arrivata in fondo sentì però una risata che la bloccò.
Girando cautamente la testa, vide Crilin seduto sul divano. Aveva una bottiglia in mano e fissava il muro davanti a se con sguardo spento. Un forte odore di alcool aleggiava nella stanza.
“Sono proprio un idiota!” dichiarò rivolto al nulla il terrestre, la voce impastata dall'alcool. “Ho perso il mio migliore amico e ho rischiato che la Terra esplodesse per una donna che mi odia!”
C18 trattenne il respiro. Quel nano stava parlando di lei. Incuriosita aspettò che il terrestre continuasse.
“Solo io potevo fare una cosa così stupida!” borbottò il guerriero portandosi la bottiglia alla bocca. “Goku...amico mio...chissà cosa diresti nel vedermi ridotto in questo stato.”
Crilin scoppiò a ridere. La cyborg pensò che doveva essere uscito di senno.
“Sì, lo so già cosa avresti detto! Ti saresti messo a ridere e avresti provato a consolarmi.” improvvisamente lo sguardo del ragazzo si fece duro. “Ma io non mi merito niente! Non mi merito la tua amicizia né la tua comprensione! Non mi merito nulla! Né tanto meno mi merito che C18 perda il suo tempo con me!”
Poggiò la bottiglia con forza sul tavolo rompendola. Alzò lo sguardo al soffitto. L'androide vide che stava piangendo.
“C18...tu non puoi immaginare cosa ha significato per me rivederti oggi...ho sofferto tanto, troppo la tua mancanza...non lasciarmi C18...ti prego non lasciarmi...”
La cyborg rimase sbalordita da quelle dichiarazioni. Perché Crilin la considerava così importante? Dopotutto lei l'aveva sempre trattato male. Non che se ne pentisse, ma proprio non riusciva a capire il suo atteggiamento.
In quel momento Crilin cadde sul divano addormentato. Avendo campo libero, C18 andò in cucina a dissetarsi.
Stava tornando in camera sua quando sentì Crilin parlare.
“Goku...perdonami...”
C18 si girò stupita verso il terrestre. Crilin stava delirando nel sonno. Aveva la fronte sudata e le palpebre gli tremolavano come se stesse vivendo un terribile incubo.
“Goku...è tutta colpa mia! Colpa mia! Mia soltanto! Goku perdonami!” Crilin cominciò ad agitarsi.
“No...telecomando...C18...non c'è l'ho fatta...perdonami Bulma...è tutta colpa mia!”
La bionda sgranò gli occhi. Crilin stava probabilmente sognando di quella volta che, al posto di disattivarla, aveva distrutto il telecomando, permettendo così a Cell di assorbirla.
“No! Sta lontano da lei! Sta lontano! Scappa! Scappa!” Crilin sembrava fuori di se. Si agitava furiosamente sul divano rischiando più volte di cadere. Stava sicuramente sognando di quando quel mostro disgustoso l'aveva assorbita.
“No! C18...no! È solo colpa mia! Mia! È solo colpa mia...” Crilin cominciò a singhiozzare disperatamente nel sonno.
Il terrestre delirò per un altro paio di minuti. Poi, balbettando sempre più debolmente, si calmò, fino a zittirsi del tutto.
C18 rimase ad osservare il piccolo guerriero per un altro minuto. Poi, tornò in camera sua, a riflettere su quanto aveva appena visto e sentito.

CONTINUA

Bene. Capitolo 4. spero che vi piaccia! Aspetto come al solito i vostri commenti! Un saluto!

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Capitolo 5
*** Conoscere il proprio avversario ***


Capitolo 5

Crilin fu svegliato da un violento calcio allo stomaco che gli fece vedere le stelle.
Cadde dal divano. Nei successivi 2 minuti il piccolo guerriero si rotolò sul pavimento vomitando un fiume di imprecazioni sottovoce.
“Beh? Hai finito di lamentarti? Non ho tempo da perdere io!”
Crilin si alzò molto lentamente. Durante la notte il dolore alla schiena era diminuito. Peccato che aveva un terribile mal di testa. Chiaro segnale che la febbre era invece aumentata.
Davanti a lui C18 lo osservava a braccia conserte e con un'espressione schifata sul volto. Il terrestre la fissò corrucciato.
“Non te l'ha mai detto nessuno che esistono metodi più gentili per svegliare la gente?”
Un ghigno perfido si fece strada sulle labbra dell'androide.
“Oh...scusa tanto! La prossima volta ti darò un bacetto!” veloce come era apparso il ghigno sparì, sostituito da un espressione gelida. “Pensavo di averti detto che la mattina ci saremmo alzati presto. Evidentemente ti era sfuggito di mente. Ho pensato che fosse il caso di ricordartelo.”
Crilin guardò fuori dalla finestra. Non era ancora sorto il sole. L'orologio sulla mensola segnava le quattro e mezza del mattino.
“Ma non è neanche l'alba!” protestò il terrestre. “Dove vuoi andare in piena notte?”
“Tsk...si vede proprio che non sei abituato ad allenarti in modo serio! Io sono in piedi già da un po'. Ho avuto persino il tempo di farmi una doccia. Muoviti! Siamo già in ritardo. E ricordati che, se domani mattina a quest'ora non sei già sveglio, il calcio te lo tiro in mezzo alle gambe.” e detto questo, l'androide uscì dalla Kame House, seguita da un ancora dolorante Crilin.

Quando arrivarono sull'isola Crilin stava proprio male. La febbre doveva aver raggiunto ormai i trentanove gradi abbondanti. Tuttavia non si sarebbe mai fermato. Se avesse ammesso di stare male, con ogni probabilità, C18 se ne sarebbe andata per la sua strada. E Crilin non poteva sopportarlo. Persino morire, in confronto, sembrava una soluzione migliore.
L'androide lo guardò con il suo solito sguardo freddo e sprezzante.
“Sei pronto?” domandò.
Crilin si stupì di quella domanda. Come mai quel giorno gli aveva chiesto se era pronto? Non era stata proprio lei il giorno prima ad affermare che, in battaglia, gli avversari non avvisavano quando attaccavano?
“Ci sei?! Ti ho fatto una domanda! Rispondi!” vedendo che l'androide stava perdendo la sua scarsa pazienza, il terrestre annuì velocemente.
Un secondo dopo, venne colpito da un pugno fortissimo al mento. Il guerriero venne scagliato a diverse centinaia di metri di distanza.
Con un'aggraziata giravolta, la cyborg atterrò sulla spiaggia. Un sorriso perfido le illuminava il volto.
“Mai raccontarmi frottole piccoletto.” sussurrò con voce dolce. “Non le sopporto.”

Quella mattina fu un vero e proprio incubo per Crilin. Il dolore alla testa gli impediva di pensare con lucidità e di reagire al tempo giusto. Inoltre aveva come l'impressione che ci fosse qualcosa che non tornava. C18 sembrava usare la stessa quantità di potenza del giorno prima, eppure nessuno dei suoi attacchi questa volta riusciva ad andare a segno. Tecniche che il giorno prima avevano avuto un parziale successo adesso sembravano del tutto inefficaci. In più l'androide, pur non impegnandosi seriamente, riusciva a colpirlo sempre. Ogni volta riusciva a trovare il buco nella sua guardia che le permetteva di infliggergli un nuovo livido.
Più passava il tempo, più il terrestre perdeva lucidità di pensiero, a causa della febbre e delle ferite. Cominciò a muoversi in maniera scoordinata, senza un minimo di logica. Quando era chiaro riusciva a malapena a reggersi in piedi, C18 si fermò.
“Basta così.”
Crilin non le diede ascolto. Si lanciò di nuovo in un furioso quanto sconclusionato attacco. Irritata, l'androide lo colpì violentemente al petto facendolo schiantare al suolo.
“Ho detto basta.” sibilò minacciosa.
Crilin si rialzò molto lentamente. Scosse la testa con forza mentre si lanciava di nuovo all'attacco. Un minuto dopo era di nuovo a terra.
C18 cominciava a perdere la pazienza. Non capiva perché quell'idiota voleva proseguire a tutti i costi in quello che, ormai, non era altro che un massacro.
“Se ti dico di smetterla, devi smetterla! Se vuoi che ti insegni qualcosa devi imparare ad ubbidirmi!” improvvisamente, la cyborg si sentì terribilmente simile al Dottor Gero. Si disgustò di se stessa. Decise subito di smetterla con quelle dichiarazioni autoritarie. Se doveva farlo smettere, preferiva farlo a suon di pugni e calci.
Crilin, molto lentamente e con il respiro irregolare, si alzò di nuovo. Fissò i suoi occhi in quelli dell'androide. A differenza di quelli azzurri di C18, chiari, limpidi, impenetrabili ad ogni emozione o pensiero, quelli neri del guerriero terrestre erano ricolmi di dolore, disperazione ed orgoglio. Erano vivi.
“Non...ho...bisogno della tua pietà...posso farcela...a continuare!” dichiarò con evidente fatica a rimanere presente e lucido di pensiero.
C18 lo guardò attentamente. Non c'era irritazione o disprezzo nel suo sguardo. Quella notte l'androide aveva riflettuto molto riguardo ciò che aveva sentito. La conclusione a cui era arrivata era questa: per qualche motivo, che le sfuggiva, lei era molto importante per quel piccoletto. Quando era arrivata a questa semplice, ma carica di significati, conclusione la cyborg aveva provato un senso di smarrimento. Perché lui, nonostante il suo comportamento freddo e sprezzante nei suoi confronti, le voleva così bene? Perché gli era così attaccato? Che lei sapesse, non aveva fatto niente per meritare tutte quelle attenzioni. Non riuscendo a capire le reali intenzioni del terrestre, C18 aveva deciso di continuare a comportarsi come se nulla fosse.
Eppure, quando quella mattina l'aveva osservato in chiara difficoltà, non era riuscita a continuare a tartassarlo come se nulla fosse. Era stato qualcosa più forte di lei decidere di far finire l'allenamento a mezzogiorno.
Sospirò, esasperata da quel nanerottolo che continuava a stupirla e ad irritarla con i suoi comportamenti. Non l'avrebbe mai capito. Mai.
“Non sei in condizioni di continuare. La mia non è pietà. La pietà non rientra nemmeno tra i miei numerosi difetti.” dichiarò cercando di convincere quello zuccone del suo allievo a stare fermo.
Crilin tuttavia, non sembrò darle retta. Si lanciò di nuovo all'attacco. C18 perse veramente la pazienza.
“E va bene.” ringhiò la bionda. “L'hai voluto tu!”
Si lanciò all'attacco con ferocia. Dieci minuti dopo Crilin ansimava pesantemente a terra, riverso in una pozza di sangue. Il suo.
C18 atterrò con grazia. Fissò con rabbia il suo allievo respirare a fatica con il sangue che gli fuoriusciva dalle numerose ferite che gli aveva appena inferto.
“Te la sei cercata. Se mi avessi ascoltato adesso non ti ritroveresti in quelle condizioni.”
Crilin non rispose. Cercò disperatamente di alzarsi ma sembrava aver perso il controllo degli arti. Il ragazzo era scosso da brividi di dolore e freddo. Gli riusciva sempre più difficile rimanere cosciente. Persino il dolore alla schiena era ritornato. Incapace di far altro, il piccolo guerriero rimase a terra alla ricerca, sempre più difficile, di aria.
Poi, improvvisamente, due mani piccole e fresche lo presero e, senza troppa delicatezza, lo misero su una spalla sconosciuta. Crilin non riusciva a credere a ciò che stava accadendo.
“C18? Cosa...”
“Zitto.” dichiarò lei con voce atona. “Tu parli troppo per i miei gusti.”
Crilin tacque. Sentì l'androide alzarsi in volo. Quando cominciò a dirigersi verso la Kame House il terrestre perse conoscenza. Le ultime sensazioni che riconobbe prima di cadere nell'oblio furono una sensazione di protezione e di freschezza derivate dal contatto con la pelle morbida e fredda di lei.

Quando Muten vide atterrare C18 con in spalla Crilin accorse subito, preoccupato per il proprio allievo. Quando vide le disastrose condizioni in cui era ridotto l'anziano maestro ebbe paura che, per Crilin, fosse arrivata la fine.
“Cosa gli è successo?” domandò, visibilmente preoccupato.
C18 non lo degnò minimamente di uno sguardo. Entrò in casa seguita prontamente da Muten.
“Cosa gli è successo?!” domandò di nuovo l'anziano maestro, irritato dal mutismo dell'androide.
C18 buttò senza troppi complimenti Crilin sul divano. Fatto questo l'androide se né andò nella sua stanza.
“Dagli un senzu.” furono le sue uniche parole prima di scomparire in cima alle scale.
Muten guardò pensieroso la cyborg salire le scale. Poi, ad un tratto, si riscosse sentendo il respiro irregolare del piccolo guerriero. L'anziano maestro corse in camera sua a prendere velocemente un senzu per far rimettere in sesto il suo allievo.

C18 si sedette sul letto. Si massaggiò le tempie cercando di capire cosa diavolo le stava accadendo.
Perché l'aveva aiutato? Se l'era cercata. Era stato lui ad insistere per continuare l'allenamento. Era stato lui ad attaccarla ripetutamente ignorando i suoi ordini. La cyborg non riusciva a capire il perché del suo gesto. Avrebbe potuto lavarsene le mani lasciandolo lì a morire lentamente. In questo modo si sarebbe liberata definitivamente di quell'irritante nanerottolo. C18 pensò a lungo al motivo che l'aveva spinta a quel gesto di umanità. Gesto che non aveva mai fatto con nessun altro. Poi, improvvisamente, le tornarono in mente le parole di lui.
“Non lasciarmi C18...ti prego non lasciarmi.”
Erano parole che non riusciva a togliersi dalla mente. Essere così importante per qualcuno era una cosa nuova per lei. Suo fratello le voleva bene, ma C18 aveva visto con i suoi occhi che C17 non aveva bisogno di lei. Suo fratello poteva vivere la sua vita anche senza di lei. Evidentemente Crilin no.
L'androide sospirò, confusa dall'atteggiamento del terrestre.
“Perché? Perché sono così importante per te? Ti piace così tanto essere picchiato ed offeso? Cosa diavolo vuoi da me?” pensò con rabbia.
Sentì l'aura di lui aumentare all'improvviso, chiaro segno che doveva aver preso un senzu. C18 pensò per un attimo di rinchiudersi in camera sua per il resto del giorno, ma poi cambiò subito idea. Non voleva stare come un topo in gabbia a causa di quel nanerottolo.
Sospirando di esasperazione, e con la certezza che quell'inutile terrestre un giorno o l'altro l'avrebbe fatta diventare matta, l'androide uscì dalla propria camera dirigendosi verso il salotto della Kame House.

Quando Crilin aprì gli occhi, riconobbe subito il soffitto del salotto della Kame House. Si domandò cosa ci facesse lì. L'ultima cosa che si ricordava erano le mani di C18 che lo sollevavano dal terreno.
“Crilin! Stai bene?” la voce di Muten risuonò fuori dal suo campo visivo.
Crilin volse lo sguardo verso il suo maestro. Anche se cercava di non darlo a vedere, si vedeva che Muten era preoccupato per lui.
“S-sì.” mormorò. “Mi pare di stare bene.”
In effetti il terrestre si sentiva bene come non gli capitava da parecchi giorni. La febbre era scomparsa, insieme a tutti i lividi e alle ferite che C18 gli aveva inferto. Anche la schiena sembrava stare bene. Crilin provò cautamente a flettere le spalle. Non sentì nessun dolore. Sembrava fosse guarito del tutto.
Muten sospirò di sollievo. Tuttavia un attimo dopo si scagliò verbalmente con il suo allievo.
“Mi spieghi cosa diavolo è successo? Quando C18 ti ha portato qui ho pensato che fossi morto tanto eri conciato male.”
“Non è successo niente Maestro.” mormorò il terrestre. “Davvero. Ci stavamo solamente allenando. Era solo un allenamento.”
“Allenamento?! Questo lo chiami allenamento?! Ma ti rendi conto del rischio che hai corso? Se non mangiavi quel senzu con ogni probabilità non saresti arrivato a domani!” la voce di Muten era carica di collera. Crilin non l'aveva mai visto così arrabbiato.
In quel momento C18 scese in salotto. Maestro ed allievo si girarono entrambi a guardarla. L'androide tuttavia sembrò ignorare l'anziano maestro. Con un cenno della testa, fece segno a Crilin di seguirla fuori.
Crilin si alzò subito, felice per la ritrovata salute. Cercò di evitare lo sguardo preoccupato, ed al tempo stesso, arrabbiato di Muten. L'anziano maestro di arti marziali non sembrò gradire il fatto che il suo allievo gli fosse ormai sfuggito dalle mani a causa di quel demonio con la faccia d'angelo.

Una volta uscito di casa, Crilin si accorse con stupore che, invece che alzarsi in volo per tornare all'isola, C18 si era seduta a gambe incrociate sulla spiaggia. Con un cenno della testa la cyborg ordinò al piccolo guerriero di sedersi davanti a lei.
Crilin, perplesso da quello strano comportamento, decise di ubbidire senza fare domande. Tanto sapeva che, con il carattere che l'androide si ritrovava, l'avrebbe solamente fatta arrabbiare.
Una volta seduto C18 lo squadrò da capo a piedi, quasi a sincerarsi della sua completa guarigione. Il suo sguardo era freddo ed insensibile come al solito. Dopo quell'esame visivo l'androide finalmente parlò.
“Sei uno stupido.”
Sentendo quelle parole Crilin alzò lo sguardo verso di lei, non comprendendo cosa aveva sbagliato questa volta.
“Cosa speravi di ottenere continuando a lottare ben sapendo che non eri in condizione? E perché non mi hai avvisato che oggi stavi male? Avresti potuto morire, e per cosa? Per farmi vedere che non ti arrendi mai? Speravi di guadagnarti la mia ammirazione? Beh sappi una cosa: il tuo non è coraggio, è solo stupidita. Non serve a niente che io ti insegni ciò che conosco sulle arti marziali se tu non impari ad usare il cervello. Questa volta lascio correre, ma se d'ora in poi non mi avvisi quando stai male, puoi scordartelo il mio aiuto chiaro?”
Crilin abbassò la testa, rosso in volto per la vergogna. C18 aveva pienamente ragione. Si era comportato come un idiota. E per cosa? Solo per provare a guadagnare il rispetto di lei. Così facendo invece aveva solamente fatto la figura dello stupido. Tuttavia, nonostante i duri rimproveri di lei, non poté fare a meno di chiedersi perché lei lo avesse salvato invece di lasciarlo al suo destino.
“Perché mi hai salvato? Non mi è mai parso che io fossi importante per te.” domandò curioso, e anche un po' speranzoso, di scoprire il perché di quel gesto di umanità nei suoi confronti da parte lei.
C18 serrò i suoi occhi azzurri a due fessure. Quando parlò la sua voce era diventata minacciosa.
“Mi pare di avertelo già spiegato nanerottolo. Ora come ora io non ho niente di meglio da fare. E mi spieghi come avrei potuto insegnarti qualcosa se tu tiravi le cuoia?”
“Scusa, ma non mi pare che tu ti stia impegnando particolarmente. Fino ad adesso mi hai solo massacrato di botte.”
“Non provocarmi ragazzino!” ringhiò l'androide. I suoi occhi azzurri lampeggiavano di collera. Erano più vivi che mai. “Come pensi che dovrei insegnartele le cose? E comunque non farti strane idee su quello che ho appena fatto. Un altro motivo per cui ti ho salvato è che non volevo avere sulla coscienza un'altra morte causata dalla tua stupidità!”
Dopo quello scoppio di rabbia Crilin abbassò la testa, incapace di sostenere la collera di lei. Dopo circa un minuto di silenzio l'androide ricominciò a parlare.
“Adesso riprenderemo gli allenamenti.” lanciò un'occhiata severa al piccolo guerriero. “Spero solamente che stavolta io non debba perdere il mio tempo inutilmente.”
Crilin, sentendosi a disagio sotto quello sguardo, provò a domandare qualcosa, giusto per distrarre la cyborg dal pensiero dei suoi fallimenti.
“Non torniamo sull'isola?”
“Ora come ora non servirebbe a niente. Oggi ho notato che tu, in battaglia, non usi il muscolo più importante per un guerriero. Probabilmente è per questo che sei così incapace.”
“E quale sarebbe questo muscolo?” domandò il terrestre, ignorando l'ennesimo insulto.
“Il cervello.” fu la laconica risposta di C18. “Ti sei domandato perché oggi i tuoi colpi non andavano mai a segno mentre i miei sì? Ti sei chiesto perché oggi io riuscivo ad anticipare ogni tua mossa?”
Crilin ci pensò a lungo.
“No.” rispose alla fine. “Sinceramente non me lo sono chiesto.”
Un lieve sorriso spuntò sulle labbra della cyborg.
“Davvero? Beh, visto quello che è accaduto oggi, non mi sorprende. La risposta è una sola: io ieri ho studiato attentamente come ti muovi, il tuo modo di combattere, il tuo modo di pensare in battaglia. Tu, al contrario, ti sei gettato a capofitto nello scontro, senza pensare minimamente a ciò che io facevo. È questo il motivo per cui oggi io, pur usando lo stesso quantitativo di potenza di ieri, sono riuscita a metterti in grosse difficoltà.”
Crilin rimase a bocca aperta davanti a quella semplice verità. Era vero. Non si era mai soffermato sul modo di combattere di lei. Era stato uno sbaglio gravissimo, che in un vero scontro avrebbe potuto costargli la vita.
“In battaglia osservare ciò che fa l'avversario è di primaria importanza. Non sempre vince chi è più forte. In battaglia vince chi riesce a scoprire prima quali sono i punti deboli dell'avversario e come poterli sfruttare a proprio vantaggio.”
“Come fai a sapere tutte queste cose? E sopratutto, come pensi di insegnarmi ad osservare l'avversario?” domandò il piccolo guerriero, ormai totalmente catturato dalle parole dell'androide.
Nel sentire quelle domande il sorriso sulle labbra di C18 si fece leggermente più marcato. Sembrava quasi che si stesse divertendo a rispondere a tutte quelle domande.
“Io sono un cyborg. Sono stata progettata per essere una macchina da guerra perfetta. Queste cose sono essenziali per chi vuole diventare un guerriero degno di questo nome. Figurati se il Dottor Gero si dimenticava di inserire nella mia memoria cose così importanti per il mio scopo.” sentirla parlare così fece tristezza a Crilin. Lui non la considerava una macchina da guerra, lui non la vedeva come un cyborg. Per lui C18 era una bellissima ragazza con un passato oscuro e colmo di orrori alle spalle.
“Per la tua seconda domanda invece la mia risposta è questa: allenamento. Solo con l'allenamento riuscirai a padroneggiare l'arte di studiare il proprio avversario. È questo il segreto per diventare invincibili. Puoi essere il guerriero più potente della galassia, ma per quanto tu sia potente avrei sempre un punto debole. E prima o poi incontrerai qualcuno che capirà come sfruttare il tuo punto debole per poterti sconfiggere ed uccidere.”
“E quando cominciamo?”
“Subito. Osserva me. Cerca di non soffermarti sull'aspetto fisico, sulle cose che appaiono a prima vista. Osservami e cerca di dirmi cosa sono io realmente. Cerca di capire la mia personalità.”
“E come faccio? Non ti conosco così bene!” rispose il terrestre, sconvolto dalla richiesta di C18.
“Ne dubito. Dopo tutto quello che è successo, credo che tu possa tranquillamente dare un giudizio approssimativo su di me. Non ti chiedo di comprendere tutto, visto che è il tuo primo tentativo sarebbe terribilmente difficile, ma di comprendermi a grandi linee sì.”
C18 tacque. Si limitò ad incrociare le braccia ed ad osservare Crilin in silenzio.
Crilin era in una situazione piuttosto imbarazzante. Dover capire C18 era la cosa più difficile che l'androide gli poteva chiedere. Persino battere Cell, in confronto, sembrava una cosa più semplice da fare.
Il terrestre cercò di isolare ogni pensiero che riguardava ciò che provava nei confronti della bella cyborg. Si limitò a ricordare tutto quello che aveva visto fare a C18 da quando la conosceva, cercando di dare un senso alle azioni dell'androide.
Il tempo passava lentamente. Sulla spiaggia gli unici suoni che si udivano erano i versi dei gabbiani, e l'infrangersi delle onde sulla spiaggia.
“Allora? Quanto ti ci vuole?!” fece, all'improvviso, una spazientita C18. A quanto pareva, quel nanerottolo era più stupido di quanto immaginasse.
“Non è facile!” protestò il ragazzo.
“Ovvio che non lo è. Altrimenti chiunque potrebbe diventare un forte combattente. C'è un motivo se di guerrieri degni di questo nome c'è ne sono così pochi nell'universo. Avanti parla! Non mi aspetto che tu indovini subito ma almeno devi provare.”
Con un sospiro Crilin rispose.
“Penso che tu sia una ragazza che ha avuto una vita difficile. Hai sofferto molto, ed è per questo motivo che ora ti comporti in maniera così fredda con tutti. Infatti hai paura di soffrire ancora. Sei molto legata a tuo fratello perché è l'unico che pensi possa comprendere le tue azioni, e perché, dato che ha sofferto gli stessi orrori che hai sofferto tu, pensi che sia l'unico che ti possa capire. Ho un po' indovinato?”
C18 rimase immobile. Gli occhi della cyborg erano spalancati dallo stupore. Non poteva essere. Forse aveva sentito male. Doveva aver sentito male.
L'androide si alzò di scatto. Con passo veloce tornò verso la casa. Crilin, confuso dalla reazione di lei, cercò di fermarla.
“C18 aspetta! Ma cosa c'è? Ho per caso sbagliato qualcosa?”
C18 si fermò. Senza neanche voltarsi parlò con voce glaciale.
“Ho...ho fatto un errore. Non potevi cercare di comprendermi perché io sono una macchina.”
“Ma...”
“Per oggi l'allenamento è finito.” e detto questo, l'androide se né andò in camera sua.
Crilin osservò la porta della Kame House confuso. Aveva la sensazione di aver sbagliato qualcosa. Solo che non sapeva cosa. Sospirò esasperato, chiedendosi se sarebbe mai riuscito a stare con C18 per qualche ora senza fare una figuraccia.

C18 camminava per la sua stanza a grandi passi. Dire che era sconvolta sarebbe stato dire poco. L'androide era rimasta completamente scioccata dalla risposta del suo allievo. Crilin era riuscito a comprenderla come mai nessuno prima d'ora era riuscito a fare. Come ci fosse riuscito rimaneva un mistero.
C18 si sedette sul letto sospirando. La cosa che la spaventava di più non era tanto il fatto che lui riuscisse a capirla, era il fatto che, una parte di lei, che non credeva di avere, nello stesso momento in cui Crilin aveva pronunciato quelle parole, aveva gioito all'idea che esistesse qualcuno che poteva comprenderla. Era una sensazione totalmente nuova che la spaventava da morire. Non capiva cosa le stesse succedendo. Per quanto ci provasse, non riusciva a liberarsi di quella sensazione di benessere che le aveva infuso quella scoperta.
Improvvisamente, colpita da uno strano impulso, decise di andare ad osservarsi allo specchio. Osservò attentamente la sua figura perfetta senza riuscire a trovarci nulla di insolito o diverso, fino a quando non si guardò gli occhi. I suoi occhi erano per la prima volta illuminati di una strana luce, un misto tra stupore, paura e gioia.
“Cosa diavolo mi sta accadendo?” pensò inorridita da quella visione. Non aveva mai visto quella luce nei suoi occhi, mai nessuno era riuscito a farle provare sensazioni tanto intense. C18 non credeva neanche che fosse più possibile, per lei, provare qualcosa di così umano. Cose del genere, aveva sempre pensato, le provano gli esseri inferiori, non i cyborg.
Evidentemente si era sbagliata.

Per tutto il resto del pomeriggio Crilin si allenò in maniera molto leggera sulla spiaggia della Kame House. In parte per festeggiare la sua completa guarigione, in parte per cercare di capire cosa aveva sbagliato stavolta con C18.
Il terrestre era veramente confuso. Aveva fatto tutto quello che aveva voluto lei, le aveva ubbidito, si era impegnato, aveva fatto del suo meglio. Perché allora l'androide era sembrata così arrabbiata? Perché se ne era tornata in camera sua così velocemente? Cosa aveva fatto di male stavolta?
Quando arrivò la sera, il piccolo guerriero non era ancora riuscito a trovare una risposta a quelle domande. Sconsolato andò a farsi una doccia, deluso dai suoi due fallimenti di quel giorno.
Quando fu pronta la cena, Crilin non pensò neanche di chiamare la cyborg. Sapeva già cosa le avrebbe risposto e, francamente, non è che gli andasse molto l'idea di farsi sbattere in faccia la porta della sua ex-camera.
Tuttavia, con sua enorme sorpresa, dopo cena C18 scese in salotto. I due terrestri erano entrambi sorpresi dalla sua apparizione.
“C18? Cosa...”
“Seguimi!” il tono dell'androide non ammetteva repliche. Perplesso e confuso, Crilin la seguì sulla spiaggia.
Una volta fuori C18 andò in riva al mare. La cyborg alzò la testa verso il cielo, osservando le stelle brillare nella volta celeste.
Crilin, che l'aveva seguita in religioso silenzio, se ne stava dietro di lei, aspettando pazientemente il motivo di quella convocazione.
Per circa dieci minuti l'androide rimase zitta con lo sguardo rivolto verso l'alto. Poi, ad un tratto, parlò.
“Devo dirti una cosa.”
Crilin sussultò riscuotendosi dal torpore in cui era caduto.
“Che cosa?” domandò con voce gentile.
“Oggi...oggi ti ho mentito.” il tono di C18 era esitante. Sembrava che parlare le costasse un'immensa fatica. “Non...non era vero che tu...che tu non potevi comprendermi. Ti ho fatto credere di aver sbagliato senza motivo.” pur non dicendolo chiaramente, l'androide sembrava che volesse scusarsi. Crilin capì che, per lei, doveva essere costato tantissimo dire quelle parole. Le apprezzò moltissimo. Tuttavia rimase zitto non sapendo cosa dire.
Il suo silenzio irritò profondamente l'androide che si girò di scatto fissando arrabbiata il terrestre.
“Beh?! Dì qualcosa!”
“Non...non so cosa dire...” mormorò esitante lui. “Dannazione!” pensò subito dopo con rabbia dentro di se. Anche stavolta aveva fatto la figura dello stupido.
La sua risposta irritò ancora di più l'androide. Stizzita, la cyborg picchiò con un piede la sabbia sotto di se facendo tremare l'intera isola.
“Io sono qua ad ammettere che ho sbagliato, evento che probabilmente non si verificherà mai più, e tu mi dici che non sai cosa dire?!”
Crilin, rosso in volto per l'imbarazzo, si fissò i piedi, non osando fissare l'androide in volto.
C18 sospirò esasperata. Certo che era proprio strano quel tipo. La ragazza pensò che, chi capiva quel nanerottolo, doveva essere un genio.
“Comunque...grazie.” la voce di lui ruppe quel silenzio imbarazzante. La bionda lo fissò con uno sguardo misto tra lo scettico ed il sorpreso.
“E per cosa?”
“Per avermi salvato la vita. Per avere la pazienza di farmi da maestra di arti marziali. Per avermi detto che hai sbagliato. Per essere qui con me.” improvvisamente, il ragazzo diventò rosso mattone. Sembrava sconvolto delle parole che aveva appena pronunciato.
C18 lo guardò. Lo guardò a lungo domandandosi perché quel tipo riusciva a farle provare quella strana sensazione di benessere che, da quel pomeriggio, non l'aveva più abbandonata. Improvvisamente, per lei, Crilin non era più una persona da disprezzare. Era diventato ciò che non aveva mai cercato e che forse non si aspettava neanche di trovare. Non sapeva ancora dargli un nome, ma di certo, il piccolo guerriero, non era più uno scarto ai suoi occhi.
“Domani mattina alle 4:30. Altrimenti sai già cosa ti aspetta.”
“Sì, lo so.” fece lui esasperato. “Mi toglierai la virilità.”
Un sorriso misto tra il sincero e il divertito si affacciò sulle labbra di lei.
“Dopotutto non sei stupido come pensavo.”
E, detto questo, l'androide se ne tornò in casa, seguita prontamente dal suo allievo.

CONTINUA

Beh? Cosa ve ne pare? A me non dispiace ma, come al solito, spetta a voi lettori giudicare. Aspetto come al solito i vostri commenti!
Un saluto!

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Capitolo 6
*** Il sapore di lui ***


Capitolo 6

Passarono due settimane. Furono 15 giorni molto intensi e difficili per Crilin e C18. Terrestre e androide erano riusciti a trovare una certa intesa, ma il caratteraccio di lei, unito ai tentativi di Crilin di renderla un po' meno fredda verso tutto, fecero sì che molto spesso la cyborg si arrabbiasse con lui per cose all'apparenza futili.
Ogni giorno C18 svegliava, in maniera non proprio gentile, il terrestre alle 4:30, volando, insieme a lui, fino all'isola dove si erano rincontrati. Lì l'androide lo sottoponeva a furiosi allenamenti fino al tramonto quando tornavano alla Kame House con Crilin ubriaco di stanchezza.
Eppure i miglioramenti ci furono. Crilin apprese con velocità sorprendente. A poco a poco la cyborg aumentò il livello di difficoltà dei suoi allenamenti. Nel giro di 10 giorni i combattimenti tra di loro non erano più una noia mortale per l'androide. Ormai ci stava prendendo gusto ad allenare quel nanerottolo.
“Osserva.” gli diceva. E Crilin cercava di osservarla, di capire come si muoveva in battaglia. “Non soffermarti alle apparenze. Cerca di capire come si muove il tuo avversario. Devi riuscire a capire anche quando respira, dove muoverà gli occhi, cosa penserà di fare tra poco. Devi già sapere cosa accadrà prima che accada.” C18 era una maestra severa e con scarsissima pazienza. Eppure Crilin migliorò tantissimo, segno che gli allenamenti disumani che la cyborg gli infliggeva cominciavano a dare i loro frutti.
Ma tutto ciò aveva un prezzo. Crilin riusciva a mangiare solamente la sera a cena. Gli esercizi disumani a cui lo sottoponeva C18 gli stavano lasciando segni fin troppo evidenti. Il suo viso si fece ancora più scavato, dandogli l'aspetto dell'adulto che ancora non era. Scure occhiaie gli cerchiavano gli occhi, causate dalle scarse ore di riposo che l'androide gli concedeva. In più, ogni sera, il suo corpo era costellato di lividi che gli rendevano doloroso ogni movimento. All'inizio aveva provato a guarirli con i senzu, ma poi aveva cambiato idea e aveva deciso di tenerseli. Preferiva usare i magici fagioli per quando ci sarebbero state le vere emergenze.
Muten era preoccupato per il suo allievo. Quasi senza accorgersene, Crilin si stava uccidendo da solo. L'anziano maestro provò un paio di volte a discuterne con lui, per provare a farlo ragionare, ma il terrestre non gli dava minimamente retta. Se questo era l'unico modo che aveva per stare con C18, Crilin non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Un altro motivo di attrito tra l'anziano maestro ed il suo allievo era che Crilin insisteva per continuare a nascondere il suo ritorno ai suoi amici. Muten era contrario. Diceva che non era un comportamento corretto, ma il piccolo guerriero non aveva voluto sentire ragioni.
“Ci pensi Maestro! Cosa direbbero nel vedermi prendere lezioni da C18? Penserebbero che sono pazzo, mi direbbero di smetterla e continuerebbero a venire qua a cercare di convincermi. Io non so cosa voglio fare nella mia vita, ma so che, ora come ora, voglio continuare gli allenamenti con C18. E poi la presenza degli altri la farebbero solamente irritare. Potrebbe addirittura decidere di andarsene, e io questo non potrei sopportarlo.”
“Ma Crilin! Ti pare corretto ciò che mi chiedi di fare? E quanto pensi di poterti nascondere? Lo sai anche tu che prima o poi questa faccenda salterà fuori. E tu cosa dirai? Come pensi di poterti scusare per questo tuo atteggiamento così egoista?”
Crilin guardò con un sorriso amaro il suo maestro. Quando parlò lo fece con una voce profonda che Muten non gli aveva mai sentito usare.
“Maestro. Io non so neanche se domani sarò vivo o morto. Pensa veramente che mi interessi cosa succederà tra un mese o tra un anno? Per me conta solo il presente. E il presente è C18. La prego Maestro! Lo faccia per me! Lo so che è sbagliato ciò che sto facendo, ma non posso farci niente. Lo faccia per me Maestro. La prego!”
Sentendo quelle parole al vecchio maestro di arti marziali gli si sciolse il cuore. Pur disapprovando la scelta del suo allievo, Muten decise di tenere sotto silenzio il ritorno di Crilin agli altri componenti del gruppo Z.

Anche se non l'avrebbe ammesso neanche sotto tortura, a C18 stava cominciando a piacerle quella vita. Allenare quel nano non era noioso come aveva pensato all'inizio. Per un paio di giorni uno strano pensiero le venne in mente: forse allenare era il suo destino. Forse era per questo che aveva incontrato Crilin. Per farle uscire la sua vera vocazione. Una volta finito l'addestramento del nanerottolo perché non provare ad allenare un altra persona? Dopotutto era o non era stata creata per essere una macchina da combattimento perfetta? La lotta era l'unica cosa che conosceva fin troppo bene, così come era l'unica cosa che la rendeva veramente felice. Insegnare agli altri ciò che conosceva sul combattimento poteva essere il suo scopo nel mondo? C18 non lo sapeva, ma per un paio di giorni si cullò nell'idea di aver finalmente trovato il suo scopo nel mondo.
Ma, veloce come le era giunta, quell'idea scomparve. C18 si accorse che non aveva la stoffa per insegnare. Era troppo dura, troppo esigente e non aveva un briciolo di pazienza. Probabilmente di allievi pazienti e disposti a sopportare tutto come Crilin ne avrebbe trovati uno ogni mille persone.
La scoperta che neanche come insegnate di arti marziali avrebbe potuto trovare il suo posto nel mondo la irritò moltissimo. Per circa tre giorni fu più intrattabile del solito. Inoltre quella scoperta le aveva fatto venire una domanda, a cui non sapeva trovare risposta: se non era insegnando che avrebbe trovato il suo posto nel mondo, cosa diavolo ci stava a fare in quella casetta sul mare?

Per Crilin quelle due settimane furono strane. Il suo rapporto con C18 cresceva poco alla volta. Ormai la cyborg non lo offendeva più come ai primi giorni. Certo, ogni tanto qualche epiteto poco gentile nei suoi confronti le scappava, ma il terrestre comprese che più di tanto, da C18, non si poteva pretendere.
Inoltre, per qualche motivo che gli sfuggiva, la sera lei lo cercava spesso. Si sedeva vicino a lui sul divano in salotto, oppure andavano sulla spiaggia ad osservare le stelle. Di solito lei non diceva niente, si limitava ad osservare in silenzio la volta celeste.
Per Crilin quei silenzi erano insopportabili. Avere la piena coscienza che lei era là vicino ma che non poteva fare nulla lo uccideva. Il terrestre voleva far capire all'androide i suoi sentimenti più di ogni altra cosa al mondo, ma non riusciva a trovare il coraggio. Aveva sempre paura che lei lo respingesse.
Cominciò a parlare. Parlava di lui, della sua vita. Le parlò della sua infanzia al monastero e della sua decisione di andarsene da lì. Le parlò dei suoi allenamenti con Goku, della loro rivalità che, successivamente, era sfociata in una grande amicizia. Le parlò dei Tornei di Arti Marziali a cui aveva partecipato. Le parlò anche dei suoi scontri per proteggere la Terra. Fu molto difficile per lui narrare quelle parti della sua vita. In tutte quelle occasioni, il suo contributo era sempre stato marginale, in più era stato sconfitto ed ucciso più di una volta. Il ragazzo aveva paura che, narrando i suoi fallimenti, l'androide lo considerasse ancora di più un incapace. Preoccupazione del tutto superflua, visto che, durante tutti i suoi racconti, la bionda non diceva una sola parola. Si limitava ad ascoltare. All'inizio la cyborg era sembrata infastidita da quei racconti, anche se non aveva fatto nulla per impedirgli a lui di raccontarglieli. Tuttavia, col passare dei giorni, sembrò ascoltare con interesse maggiore.

Il motivo per cui C18 lo cercava ogni sera era principalmente uno: l'androide ormai aveva il terrore della notte. Non passava notte in cui non faceva incubi. Quegli incubi le torturavano la mente e la lasciavano per ore in uno stato di profondo terrore. La cyborg odiava quella situazione. Così come odiava il terrore che quegli incubi le lasciavano. Ma, a parte rimanere sveglia, l'androide non aveva la più pallida idea di cosa fare per far smettere al Dottor Gero di perseguitarla.
Una sera Crilin le chiese qualcosa riguardo il suo passato. C18 aveva reagito andandosene e rifiutando di parlargli per un giorno intero. Il piccolo guerriero si era scusato più e più volte, tanto che riuscì addirittura a far scappare un “Non importa” dalle labbra di lei.
Per circa un altro paio di giorni Crilin non toccò più l'argomento. Poi, una sera, glielo chiese di nuovo.

Erano seduti sulla spiaggia ad osservare le stelle. Come al solito Crilin aveva narrato qualche sua avventura passata. Tuttavia, dopo un po', il terrestre aveva posto una domanda all'androide.
“C18...perché ti sei offesa così tanto l'altra sera quanto ti ho chiesto del tuo passato?”
La bionda si era girata ad osservarlo. Come al solito il suo sguardo era impermeabile ed insensibile. Tuttavia, quando rispose, la sua voce era pacata.
“Non mi piace parlare di quello che ho passato.” dichiarò. ”Ciò che ho passato io...non lo augurerei neppure al mio peggior nemico.”
Sentendo quelle parole il terrestre si sentì di nuovo in colpa per averglielo domandato.
“Scusa C18. Io...io non sapevo che per te era così difficile parlarne. Scusami. Dimentica che te l'ho chiesto.”
“No, era un tuo diritto domandarlo.” rispose lei, la voce sempre stranamente pacata. ”Dopotutto, tu mi hai raccontato tutto sul tuo conto. Mi ero persino un po' sorpresa che tu non me l'avessi domandato prima.”
“Ah...ok. Va bene.” borbottò il ragazzo, confuso dal comportamento stranamente tranquillo dell'androide.
Calò di nuovo il silenzio tra loro. Per circa 10 minuti nessuno parlò più. Poi, ad un tratto, la cyborg si girò verso il terrestre.
“Ti andrebbe di sentire la mia storia?”
Crilin la guardò stupito. Una immensa gioia gli esplose in petto, causata dalla fiducia che C18 riponeva in lui.
“Sì. Mi piacerebbe tantissimo.” mormorò.
Un sorriso amaro affiorò sul volto di lei.
“Non sarà una bella storia.”
Crilin ridacchiò. Quando vide lo sguardo incuriosito, e un po' offeso, di lei si affrettò a spiegare il perché della sua reazione.
“Scusami. Ma il fatto è che, di storie tristi, ne ho sentite fin troppe nella mia vita.”
C18 lo guardò con un occhiata scettica, quasi non credesse alle sue parole. Poi incominciò a parlare.
Parlò di tutti gli orrori che lei e il fratello avevano dovuto subire in tutti i loro anni di prigionia. Gli narrò tutto, senza tralasciare nessun particolare. Le fu molto difficile parlare con tono distaccato, quasi che ciò che raccontava non la toccasse minimamente. Eppure ci riuscì.
Durante tutto il racconto si domandò spesso perché stava raccontando tutto a lui. Probabilmente perché era convinta, anche se non avrebbe saputo spiegarne il motivo, che lui la potesse comprendere e capire. Era una cosa magnifica parlare di quelle terribili cose con qualcuno. Quei fatti erano stati per lei come degli incubi che, per troppo tempo, le avevano martoriato l'anima. Un anima che non pensava di possedere più ma che, sorprendentemente, aveva scoperto di avere ancora.
Per tutto il tempo in cui l'androide narrò la sua terribile storia, Crilin non fiatò. Si limitava a fissare il mare in silenzio. Ad un certo punto il guerriero strinse i pugni con rabbia. Il solo pensiero della sua amata C18 trattata peggio di un cane rabbioso gli faceva venire una collera tremenda.
La sua reazione non sfuggì all'androide. Quella scoperta la colpì con violenza. Di nuovo si chiese perché lui la considerasse così importante. C18 aveva l'impressione che le sfuggisse qualcosa e ciò la irritava parecchio. Odiava non capire le cose, le dava l'idea di essere un'umana inferiore.
Quando vide il guerriero terrestre tremare di rabbia decise di domandarglielo. Era stufa di arrovellarsi con quella domanda. Era stanca di non capire quel nanerottolo. Voleva una risposta. Voleva sapere perché era diventata così importante per lui.
“Stai tremando per il freddo?” domandò con voce canzonatoria, interrompendo bruscamente il suo racconto.
Crilin sussultò. Si vergognò profondamente della figuraccia appena fatta. Diventando rosso mattone in viso, il guerriero provò ad inventare una scusa convincente.
“No...cioè...il fatto è che...è stato terribile quello che hai subito...avrei reagito così con chiunque credimi.”
“Oh sicuramente!” fece lei con tono sarcastico. “Avanti nanerottolo! Confessa!”
“Con-confessare? Ma di che cosa stai parlando?”
“Non fare finta di non capire! Lo vedo come mi guardi di nascosto. Ho capito che la stanza che mi hai dato era la tua. Cerchi sempre di comportarti in maniera gentile con me anche se io non faccio altro che picchiarti ed offenderti. Perché? Perché sono così importante per te? Cosa ti ho fatto?”
Davanti a quella sfilza di domande Crilin non seppe cosa rispondere. Il suo cervello sembrava si fosse inceppato. L'unica frase coerente a cui pensò fu questa: “Stupido! Stupido che non sei altro! Se ne è accorta! E adesso cosa faccio? Che cosa faccio?!”
C18 aspettò a braccia conserte la risposta di lui. Quando vide che il terrestre sembrava caduto in una specie di trance si irritò ancora di più.
“Allora?! Ci sei?! Ti ho fatto una domanda ed esigo una risposta!”
In quel momento un'idea semplicemente folle venne in mente a Crilin. Era talmente pazza che si stupì di averci pensato. L'unica reazione che avrebbe causato sarebbe stato la furia dell'androide. Eppure il guerriero decise,nonostante tutto, di attuarla lo stesso.
“Tanto non ho più niente da perdere.” pensò con amarezza.
Con uno scatto si avvicinò all'androide, cogliendola di sorpresa. Prima che C18 potesse reagire in qualunque modo, Crilin la baciò.

Quando appoggiò le sue labbra a quelle di lei sentì l'androide irrigidirsi subito. Eppure non reagì subito. La cyborg rimase immobile per circa un paio di secondi. Poi allontanò il terrestre da lei con una violenta manata al petto.
“Cosa cazzo stavi facendo?!” domandò con voce irata. Crilin non l'aveva mai vista così sconvolta.
“Scusa...no-non so cosa mi è preso...non vole...” prima che potesse finire la frase C18 lo afferrò per il collo portandosi il suo viso a pochi centimetri da quello di lei.
“Non provarci mai più!” ringhiò contro di lui. Le parole sembravano uscire a fatica dalla gola dell'androide. “Azzardati a farlo un'altra volta e io ti faccio fuori!”
E detto questo, la cyborg lo scagliò con violenza in acqua. Quando Crilin riemerse, sputacchiando acqua salata, C18 era già rientrata in casa.
Con l'umore sotto i tacchi, e con la convinzione che C18 lo odiasse, Crilin andò a farsi una doccia. Il terrestre si stava maledicendo mentalmente per ciò che aveva fatto. Come aveva potuto sperare che lei ricambiasse? Lei era un cyborg! Davvero si era illuso che una come lei, bellissima, fortissima e sicura di se, avrebbe potuto un giorno innamorarsi di un nano incapace come lui?
“Sono un idiota! Idiota! Idiota! Idiota!” pensò con rabbia mentre entrava nel bagno.
Eppure, per quanto si desse dello stupido, non riusciva a dimenticare la morbidezza della sue labbra. Il sapore di lei gli era rimasto addosso. Crilin si leccò le labbra con sguardo assente. Era un sapore buonissimo.

C18 era sconvolta. L'androide vagava per la sua stanza come una bestia in gabbia. Era confusa. Perché quel nanerottolo l'aveva baciata? Cosa significava quel gesto?
“Non dirmi che...” un dubbio terribile si formò nella sua mente. Era una cosa talmente assurda che faceva fatica a credere che fosse veramente accaduta. Eppure il comportamento di Crilin, unito alle sue azioni, non sembravano lasciare dubbi in proposito.
“Non può essersi innamorato di me! Io sono un cyborg! Come può essere così stupido da pensare che io ricambi ciò che lui prova per me?!” pensò con rabbia. Quell'inutile terrestre era più stupido di quanto pensasse. All'improvviso un nuovo pensiero le venne in mente.
“No! Lui non mi ama! Non può amarmi perché io sono una macchina! E le macchine non si amano! Lui è solamente attratto dal mio aspetto esteriore! È solamente un idiota come tutti gli altri che ci hanno provato con me!”, C18 era sempre andata fiera del proprio aspetto fisico. Le era sempre piaciuto vedere le sue vittime ammirarla e temerla allo stesso tempo. Ora tuttavia, la disgustava essere così bella. “Probabilmente se fossi stata bassa e brutta lui non mi avrebbe neanche salvato da Cell!” pensò con stizza.
Si umettò inconsciamente le labbra. Nel compiere quel gesto sentì il sapore di lui sulla lingua. L'androide si bloccò subito. Immobilizzata dalla sensazione che aveva in bocca. Con suo sommo orrore scoprì che quel sapore non era affatto sgradevole.
Quella scoperta scatenò la sua furia. Con un urlo disumano tirò un pugno contro la parete davanti a se sfondandola.
“No, dannazione no! Non è possibile! Non può essere! Tutto questo è assurdo! È tutta colpa tua maledetto! È colpa tua se adesso provo queste sensazioni! Perché non mi lasci in pace? Perché mi devi perseguitare e farmi soffrire così? TI ODIO!”, un nuovo pugno di rabbia seguì il primo, allargando il foro nel muro.
L'androide si accasciò contro la parete. Sfogarsi urlando a squarciagola e distruggendogli la casa non sarebbe servito a nulla. Quell'inutile nanerottolo le era entrato in mente come un chiodo fisso e, per quanto si sforzasse, non riusciva a levarselo di mente.
“Devo andarmene. Devo andarmene. Devo andarmene.” si ripeteva mentalmente come un'ossessa. Sì. Andarsene da lì era l'unica cosa possibile che poteva fare. Doveva scappare da quel maledetto nanerottolo. Doveva dimenticarlo e tornare ad essere la C18 di una volta. Il freddo e spietato androide che spargeva distruzione nel mondo.
Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a muoversi. Le sembrava di avere le gambe incollate al terreno. E poi c'era quel sapore così dannatamente buono che le impregnava la bocca e che le toglieva ogni forza.
Stizzita, la cyborg si strofinò con violenza il dorso di una mano sulle labbra, ma fu tutto inutile. Il sapore di lui sembrava non volerla abbandonare, quasi avesse paura a lasciarla sola.

Il giorno dopo Crilin si svegliò alla solita ora. Ma, con sua sorpresa, C18 non si fece vedere. Il terrestre aspettò a lungo che lei si facesse viva. Tuttavia, quando furono le sette del mattino passate, Crilin capì che, per quel giorno, la cyborg non si sarebbe fatta viva.
“Niente allenamento oggi?” domandò incuriosito Muten vedendolo preparare la colazione. Crilin si limitò a rispondere con un grugnito. Il guerriero era ancora di cattivo umore per il gesto scellerato che aveva compiuto la sera prima.

Per tre giorni consecutivi C18 non si fece vedere. L'androide rimase chiusa nella sua stanza ignorando totalmente il suo allievo. Crilin era molto preoccupato. Non voleva perderla. Avrebbe voluto entrare in quella stanza, provare a parlare con lei, scusarsi. Ma la reazione che lei aveva avuto dopo il suo bacio lo fermava ogni volta.
Tuttavia, dopo tre giorni, Crilin non ce la faceva più. Desiderava con tutto se stesso che C18 ritornasse a parlargli. Deciso a tutto, il terrestre andò in camera di lei e aprì la porta senza bussare.
Ciò che vide lo lasciò sconvolto. C18 era rannicchiata sotto la finestra. Teneva la testa sulle ginocchia e sembrava fissare il pavimento con sguardo assente. Un foro di discrete dimensioni si stagliava sulla parete alla sinistra del terrestre.
Quando Crilin entrò, la cyborg alzò la testa di scatto. Il terrestre fu incredibilmente sorpreso nel constatare che, più che rabbia, nei suoi occhi c'era tanta confusione.
Il terrestre si avvicinò lentamente a lei. C18 lo fissava in silenzio, lo sguardo confuso e triste che sembrava trafiggere il cuore del piccolo guerriero.
Arrivato davanti a lei, Crilin si accovacciò. Umano e androide si fissarono a lungo. Entrambi sembravano profondamente scossi dagli avvenimenti accaduti in quegli ultimi giorni.
“Scusa...” mormorò alla fine il terrestre, cercando di riparare al danno fatto.
Una lacrima. Una lucente lacrima scese dal occhio sinistro di lei. Crilin rimase di stucco. Non voleva farla soffrire. Lui voleva soltanto che C18 potesse vivere la sua vita felice e senza problemi. Quella lacrima fu per lui come una pugnalata al cuore.
“Non piangere.” mormorò. “Io non voglio che tu soffra.”
Un sorriso amaro apparì sulle labbra della bionda.
“Strano. Da quando ti conosco non ho fatto altro che soffrire.”
“Non era nelle mie intenzioni.” rispose il guerriero continuando a fissarla intensamente. “Io voglio che tu sia felice.” preso da un impulso improvviso, Crilin le accarezzò dolcemente una guancia.
C18 non respinse il contatto. L'androide inarcò il collo, quasi quella carezza fosse per lei motivo di indicibile piacere misto a dolore.
“Perché?” mormorò lei, lo sguardo fisso sul soffitto della stanza. “Perché fai tutto questo?”
Crilin fece un profondo respiro prima di parlare.
“Perché io ti amo.”
“Non è vero.” rispose lei, la voce spenta ed incredibilmente triste. “Tu non mi ami. Io sono una macchina. Tu sei solamente attratto dal mio aspetto esteriore.”
“No! Non è assolutamente vero!” rispose prontamente il ragazzo, inorridendo alle parole dell'androide. “Tu non sei una macchina C18! Tu sei una ragazza bellissima che ha dovuto subire orrori disumani ingiustamente! Io ti amo C18! Ti amo! Devi credermi quando lo dico! Io ti amo non solo perché sei incredibilmente bella. Io ti amo per ciò che sei. Ti amo perché sei così fredda e forte. Ti amo perché sei sempre sicura di ciò che fai, perché non hai mai avuto dubbi. Io ti amo perché tu sei tutto quello che avrei sempre voluto essere ma che non sono riuscito a diventare. Tu sei forte, sicura di te e sei bella. Terribilmente bella. Ti amo C18!”, non sapeva neanche lui dove aveva trovato il coraggio di dirle quelle parole, ma Crilin sapeva che erano la pura verità. Amava veramente C18, e non solo per il suo aspetto esteriore. L'amava perché lei era se stessa. Perché quando era con lei lui stava bene, si sentiva...completo.
Sentendo le parole del terrestre C18 lo guardò. Nei suoi occhi si leggeva dubbio, paura, speranza e dolore. Quando alla fine parlò le sue parole riempirono di gioia il terrestre.
“Io non so cosa siano i sentimenti. Per tanto tempo non ho avuto più l'occasione di provarne qualcuno. Io non so se quello che provo per te è amore o meno. Ma provo qualcosa per te. Forse col tempo capirò cosa, ma, per adesso, mi basta sapere che non sono una macchina.” per la prima volta da quando la conosceva, Crilin vide C18 fare un flebile sorriso di gioia.
Con il cuore che batteva a mille, Crilin sorrise immensamente. Lentamente, e dando l'opportunità a lei di sottrarsi se voleva, si avvicinò. C18 non lo respinse ma, anzi, le venne incontro.
Si baciarono. Fu un bacio dapprima lento, poi sempre più veloce e passionale. Le loro lingue si intrecciarono in una danza amorosa frenetica. Si baciarono per un tempo che sembrò ad entrambi infinito. Poi, quando si staccarono, si fissarono. Felici di vedere la propria gioia risplendere negli occhi dell'altro.
C18 accarezzò con dolcezza i capelli di lui. Erano morbidi. L'androide pensò che gli stavano proprio bene. La cyborg si sentiva felice come non lo era mai stata. Se quello significava essere degli umani inferiori, pensò, allora, in quel momento, avrebbe voluto esserlo anche lei.
Appoggiò con dolcezza la testa di lui sul suo petto. Crilin la lasciò fare. Il guerriero si sentiva in paradiso. Non riusciva a crederci. C18, la sua amata C18, lo stava abbracciando e coccolando.
Poi, con voce calda, l'androide lo chiamò per nome per la prima volta.
“Crilin...”
Il guerriero, riluttante, si staccò dal suo abbraccio guardandola in viso.
“Cosa c'è?” sussurrò dolcemente.
Senza smettere di accarezzargli i capelli, la cyborg gli fece una domanda.
“Crilin...stavi dicendo la verità prima? Mi ami veramente per ciò che sono e non soltanto per il mio aspetto fisico?”
Crilin la guardò con fare serio.
“Ti ho mai mentito?”
“Sempre.” fece lei con un sorriso canzonatorio sulle labbra.
Davanti a quel sorriso il piccolo guerriero l'abbracciò di nuovo, appoggiando la sua testa sul petto di lei.
“Io voglio stare con te per sempre. Non mi abbandonare per favore C18. Io, senza di te, non esisto.”
Sentendo quelle parole la bionda non rispose. Tuttavia Crilin sentì l'androide rispondere al suo abbraccio.
Rimasero in silenzio a coccolarsi per tutta la mattina. Poi, anche se era solamente mezzogiorno, si addormentarono abbracciati sul pavimento della stanza. La testa di Crilin era appoggiata contro il morbido seno di lei, l'androide lo cingeva con le braccia e, prima di addormentarsi, lo baciò con dolcezza sulla fronte.
Per la prima volta da quando era diventata un'androide, C18 non fece incubi. Il suo sonno fu immensamente calmo e pacifico. La cyborg conobbe finalmente il piacere del sonno.

CONTINUA

Mi scuso per il ritardo nel pubblicare il capitolo nuovo. La mia intenzione era quella di pubblicare questo capitolo lunedì sera. Ma, causa miei problemi più il fatto che l'ho riletto mille volte perché proprio non riuscivo a farmelo piacere, è stata slittata a stasera la data di pubblicazione. Se devo essere sincero non è che mi piaccia eccessivamente questo capitolo, poi spetta voi come al solito commentare, spero che C18 non sia sforata nell'OOC in questo capitolo e poi...oh al diavolo! Devo smetterla di farmi tutti questi problemi! Sembro mia nonna!
Dopo questa “raffinata” esclamazione vi lascio.
Un saluto!

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Capitolo 7
*** Giuramento ***


Capitolo 7

 

Nel mese successivo cambiarono molte cose nella vita di Crilin. Prima fra tutte ci fu il cambiamento di C18. Un cambiamento non molto evidente ma costante. Nonostante l'androide continuasse a mostrarsi fredda e impassibile, Crilin sapeva che, in fondo, alla cyborg non dispiaceva quello che stava accadendo.

Il terrestre aveva come l'impressione di vivere dentro un sogno. Non gli pareva possibile che C18 stesse insieme a lui. All'inizio il piccolo guerriero aveva cercato, dietro le insistenze di lei, di nascondere la faccenda al suo maestro. Ma i segni che tra lui e l'androide ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia erano così nitidi che il vecchio maestro di arti marziali cominciò ad avere qualche dubbio su ciò che facevano realmente quei due.

La prima grande novità avvenne due giorni dopo la dichiarazione di Crilin. C18, con enorme sorpresa dell'umano, decise di ridurre i loro allenamenti. Quando il terrestre le chiese il motivo di quella spiegazione la cyborg si limitò a dichiarare che era migliorato moltissimo, e che non era più necessario allenarsi tutto il giorno in quella maniera.

“Ormai le basi le hai apprese. Devi solamente perfezionarti. Ma per quello possiamo prendercela con più calma. Ovviamente non diventerai mai forte come Gohan. Tuttavia non è detto che tu, un giorno, non possa raggiungere il mio livello.”

Sentendo quelle parole gli occhi del terrestre si illuminarono di gioia.

“Davvero? Pensi veramente che potrei diventare forte come te? Evviva!”

“Aspetta a cantare vittoria!” fece l'androide con voce di ghiaccio. “Ti ci vorrà ancora molto tempo prima di poter raggiungere il mio livello. Ora come ora, a me basta usare il 70% della mia forza per sconfiggerti senza troppi problemi. Ne hai di strada da fare.”

Sentendo quelle parole, il terrestre cadde in depressione. L'idea che C18 lo potesse battere ancora con estrema facilità lo rendeva giù di tono. Quanto ci avrebbe messo per raggiungere il suo livello? Improvvisamente, il piccolo guerriero sentì dentro di se il desiderio spasmodico di allenarsi per diventare ancora più forte.

“Ma se ho ancora così tanto da imparare, perché smetteremo di allenarci tutti i giorni? Non capisco.”

“E chi ti dice che non ci alleneremo tutti i giorni?” dichiarò C18 con un ghigno sulle labbra. “D'ora in avanti ci alzeremo alla solita ora, e verremo qui come al solito. L'unica differenza sarà che i nostri scontri ci occuperanno solo mezza giornata. Ti lascio libero il pomeriggio. Te lo sei meritato nanerottolo.”

Sentendo quelle parole, Crilin sogghignò.

“Davvero? Non è che mi lasci il pomeriggio libero perché così hai più occasioni di baciarmi?”

La risposta di C18 fu piuttosto eloquente: con un calcio di inaudita potenza, l'androide colpì il terrestre allo stomaco, spedendolo dritto in mare.

Quando Crilin riemerse dall'acqua, dolorante e con una mano appoggiata sullo stomaco, l'androide si limitò a guardarlo con un sorriso perfido.

“Permalosa!” le gridò il guerriero.

“Tsk...” fu la risposta di C18 che si aggiustò una ciocca di capelli dietro un orecchio con il sorriso ancora sulle labbra.

 

E così, da quel momento in avanti, Crilin e C18 continuarono ad allenarsi sulla loro isola solo la mattina. Il guerriero era diventato veramente un altro tipo di combattente con C18 a fargli da maestra. Attento, feroce, spietato, sicuro di se e forte. Incredibilmente forte. Nessuno avrebbe riconosciuto in quella piccola furia il timido combattente rasato che era stato. C18 lo stava cambiando quasi quanto lui stava cambiando lei.

I loro duelli presero ben presto la piega di furiosi combattimenti all'ultimo sangue. Per quanto entrambi si volessero bene, quando si trovavano uno contro l'altra non c'era legame d'amore che tenesse. Per entrambi in quel momento contava solo vincere. Ovviamente era sempre la cyborg ad avere la meglio. Tuttavia, ben presto, il guerriero terrestre non fu l'unico a massaggiarsi i lividi alla fine degli allenamenti.

Un altro fase dell'addestramento che Crilin visse con orgoglio fu quando C18 gli chiese di insegnarle la tecnica del kienzan. Ovviamente il terrestre accettò con piacere di fargliela apprendere. Fu molto strano per entrambi invertire i loro ruoli di maestro ed allievo, ma quella strana situazione durò poco. Nel giro di due giorni l'androide apprese la tecnica perfettamente. Crilin guardò con incredulità la sua adorata C18 apprendere quella tecnica in un lasso di tempo così breve. Lui, per imparare ad usarla, c'aveva messo un anno intero di addestramento al Palazzo di Dio! Il piccolo guerriero si sentì un inetto.

Quando la cyborg si accorse del cattivo umore di lui, gli chiese cosa c'era che non andava. Sentendo la causa della sua depressione, un leggero sorriso di soddisfazione le apparve sulle labbra.

“Non devi meravigliarti. Io sono un cyborg. Dentro di me ci sono moltissimi circuiti che fanno di me una combattente teoricamente invincibile. È normale che tu, che sei un semplice umano, ci abbia messo molto più tempo per impararla. Comunque dovresti essere fiero di te. Una tecnica del genere non è facile da creare.”

“Hai ragione.” mormorò lui, ancora giù di tono nonostante, cosa per altro molto rara, i complimenti di lei. ”Ma il fatto è che mi sento un completo incapace. Qualunque cosa faccio o mi riesce male, o, anche se mi viene bene, ci sarà sempre qualcuno a cui verrà meglio. Onestamente non riesco a capire perché tu stai a perdere il tuo tempo con una nullità come me.”

Sentendo quelle parole la cyborg reagì in maniera sorprendente.

“Sei uno stupido.” dichiarò con voce gelida, rendendo così l'umore del terrestre ancora più depresso. “Ma forse è per questo che perdo il mio tempo con te.” un flebile sorriso increspò le labbra di lei.

Crilin, sentendo quelle parole, guardò con stupore la bionda. Un sorriso immenso illuminò il viso del piccolo guerriero. Senza smettere di sorridere, e con l'umore di nuovo alle stelle, il terrestre abbracciò la bionda.

C18 non rispose all'abbraccio. Anche se, dentro di se, l'androide dovette ammettere che non era per niente spiacevole. Ma erano sulla spiaggia della Kame House, e c'era il rischio che quell'inutile vecchio li potesse vedere. C18 non ci pensò un secondo di più.

“E spostati!” borbottò, allontanando il ragazzo da lei con una violenta manata che lo mandò a terra. “Lo sai che odio le smancerie nanerottolo!”

Crilin non si arrabbiò per la reazione dell'androide. Sapeva che non l'aveva fatto per cattiveria, semplicemente C18 si vergognava, anche se lei continuava a dichiarare che non aveva niente di cui vergognarsi, di mostrarsi, usando sue parole testuali, “Una piagnucolosa umana inferiore.”

 

Con i pomeriggi di nuovo liberi, Crilin ricominciò a dare una mano a Muten per tenere a posto la piccola casetta sul mare. C18 lo osservava in silenzio. L'androide guardava quegli scorci di vita quotidiana con noia, ma anche con interesse. Sarebbe stato quello il suo destino se Gero non l'avesse rapita e torturata per anni? Crescere, studiare, farsi una vita con degli amici ed un uomo accanto. Sarebbe stata così la sua vita? C18 non lo sapeva. Ma se una parte di lei le diceva che erano solamente inutili attività di esseri inferiori, un altra parte di lei provava un immensa nostalgia e tristezza nel vedere Crilin vivere la sua vita tranquillamente con il suo adorato maestro. Lei non aveva avuto scelta. Lei era stata obbligata ad imboccare un sentiero di crudeltà, orrore, morte ed odio. Era in momenti come questi, fatti di pace e tranquillità, che i ricordi del suo terribile passato tornavano ad affiorare con violenza. Tuttavia, per quanto dolore provasse nel vedere la tranquillità che avvolgeva quella piccola casetta, nulla riusciva a trapelare dal suo viso impenetrabile.

Un paio di volte Crilin notava la noia mista a tristezza che pervadevano l'androide. Un giorno, l'umano decise di proporle di andare in città. All'inizio C18 aveva rifiutato, dichiarando che lei non era un cagnolino da portare a spasso. Ma le continue insistenze del terrestre, che dichiarava che muoversi un po' l'avrebbe aiutata a passare il tempo, alla fine la convinsero.

In città C18 scoprì una passione pericolosa: lo shopping. Dopo la prima volta che Crilin la portò, non passò settimana senza che la cyborg lo portasse di forza in giro per i negozi della Città dell'Ovest. All'inizio Crilin aveva appoggiato di buon grado la nuova passione della bionda. Ma col tempo, notando quanto poteva essere devastante per le sue finanze il nuovo hobby di C18, il terrestre cominciò seriamente di dichiarare a Bulma che era tornato. Se la sua amica non ricominciava a prestargli soldi, avrebbe fatto molta fatica in futuro a soddisfare l'inesauribile sete di compere dell'androide.

 

Insomma, la loro storia era una normale relazione tra due persone. Con i loro alti e bassi. Ovviamente il carattere di C18 rendeva le cose sempre più complicate. La cyborg infatti, rifiutava ogni possibile comportamento dolce o anche leggermente affettuoso in presenza di Muten. Crilin all'inizio ci era rimasto un po' male, ma poi aveva capito che l'androide non era molto brava ad esternare i propri sentimenti, cosa del tutto comprensibile visto ciò che aveva dovuto passare. Per Crilin l'importante era sapere che C18 gli volesse bene.

Infatti, quando erano da soli, l'androide si trasformava. C18 se lo coccolava come una bambina farebbe con il suo bambolotto. A Crilin non dava per niente fastidio che fosse lei a prendere l'iniziativa e a condurre il loro rapporto. Non gli importava niente di cosa avrebbero potuto dirgli Iamko o Vegeta. I due infatti, con ogni probabilità, lo avrebbero denigrato o preso in giro. Ma al terrestre gli importava solamente di stare insieme a C18. Tutto il resto, compreso il suo orgoglio, poteva andare a farsi benedire.

I baci erano rari. Per qualche strana ragione la cyborg prediligeva abbracci e carezze. Certe volte Crilin la scoprì a fissare il vuoto con aria triste ed assente anche quando stavano insieme. Il piccolo guerriero era preoccupato di ciò, aveva paura che C18 non fosse realmente felice con lui e questo lo feriva. Non voleva costringerla a fare nulla contro la sua volontà. Se avesse voluto interrompere la loro relazione, lui l'avrebbe accettato, pur soffrendo immensamente.

Quando provava a chiederle se c'era qualcosa che non andava, lei si limitava a sbuffare e a dichiarare che doveva smetterla di essere oppressivo nei suoi confronti. Le sue reazioni erano sempre spropositate e la mettevano di cattivo umore per ore intere.

Per molti giorni Crilin non capì il motivo del suo strano comportamento. Poi, una notte, lo scoprì all'improvviso.

 

Si trovava in una stanza sconosciuta. Era priva di finestre e l'unica luce che c'era proveniva da una lampada al neon. Nell'aria c'era odore di muffa misto a quello dolciastro del sangue.

Un tavolo operatorio si trovava al centro della stanza. Sdraiato su di esso c'era una ragazzo. Aveva lunghi capelli neri e bellissimi occhi azzurri. Fissava il soffitto con sguardo spento e vuoto. Solo il leggero alzarsi ed abbassarsi del suo petto facevano capire che era ancora vivo. Molto probabilmente era in coma.

Un uomo si aggirava attorno al tavolo prendendo appunti su un blocchetto che teneva in mano e iniettando con una siringa, ogni tanto, qualche sostanza sconosciuta nella vena principale del collo del ragazzo. Era un uomo alto. Aveva lunghi capelli bianchi e baffi dello stesso colore. I suoi occhi erano piccoli, neri e luccicavano di una luce malvagia.

In quel momento, da una porta, entrò di scatto una ragazza. Doveva avere al massimo 18 anni. Era bellissima. Era alta e snella. I suoi capelli erano del colore dell'oro e gli occhi sembravano catturare l'essenza stessa dell'azzurro.

La ragazza si fermò all'entrata. Guardava la figura stesa sul lettino con aria sconvolta. Era pallida in volto e alcune lacrime cominciarono a rigarle le guance.

“Fratello!!!” urlò disperata, rompendo così il silenzio che opprimeva la stanza. La ragazza corse verso il ragazzo sdraiato. Una volta raggiunto lo scrollò con violenza, cercando disperatamente di svegliarlo.

“Fratello ti prego! Parlami! Sono io! Sono 18! Non lasciarmi fratello! Non lasciarmi! Ti scongiuro svegliati!” la ragazza tentò in tutte le maniere di svegliare il fratello, ma quest'ultimo rimase immobile e spento come prima.

L'uomo non tentò minimamente di fermare la ragazza. Si limitò a fissarla con uno sguardo misto tra il bramoso e il disgustato. Ad un certo punto si avvicinò a lei e le tirò un violento manrovescio.

“Adesso basta piagnucolare 18! lasciami lavorare in pace! Ma ti prego, non rattristarti, presto tu e tuo fratello diventerete due esseri molto speciali!”

A quelle parole, C18 scoppiò a piangere. Cercò di raggiungere il fratello ma l'uomo, con la sua mole, la bloccò nel suo intento mettendosi davanti a lei.

“Smettila subito di frignare! Mi fai schifo! Tornatene nella tua cella e fammi finire il mio lavoro!”

“No!” urlò la bionda con tutto il fiato che aveva in gola. “Voglio mio fratello! Lascialo! Lascialo! Sei un mostro!” con quelle parole la ragazza si buttò a capofitto contro l'uomo cercando di superarlo. Quest'ultimo reagì colpendola con un altro terribile ceffone che la fece cadere a terra. Sangue rossastro cominciò a gocciolare dal labbro spaccato della ragazza. Il suo ticchettio risuonò in maniera sorprendente nel silenzio che seguì quel colpo.

L'uomo si avvicinò alla ragazza. La prese per un braccio e la sollevò brutalmente da terra. C18 cercò di reagire graffiando con la forza della disperazione il braccio di lui. Quell'inutile gesto di ribellione scatenò la furia di Gero.

“Ora basta! Mi hai proprio stancato puttanella! È giunto il momento che qualcuno ti faccia abbassare la cresta!” e detto questo, lo scienziato la sollevò di peso e la trascinò verso un tavolo posizionato in un angolo della stanza. C18 cercò di liberarsi scalciando selvaggiamente, ma fu tutto inutile. La ragazza era in balia di quel mostro.

Gero la buttò con forza sul tavolo, facendo così rovesciare il contenuto del mobile per terra. La ragazza provò a scendere dal tavolo ma un nuovo violentissimo ceffone la colpì sul viso. Nell'aria si sentì il suono del naso di lei che si rompeva seguito, un istante dopo, da un urlo di dolore.

Gero, insensibile ai lamenti della ragazza, la voltò con forza, mettendola a schiena all'aria. La ragazza non si era arresa. Cercava di liberarsi della presa di lui, ma ogni volta l'uomo la colpiva in maniera selvaggia e brutale.

Dopo altri cinque minuti di lotta furiosa, la ragazza sembrò calmarsi, ormai sfinita. Aveva il volto tumefatto dai colpi ricevuti e grosse gocce di sangue gli scendevano dal labbro superiore e dal naso.

“Co-cosa vuoi farmi?” domandò tra i singhiozzi la ragazza. “Lasciami in pace!”

“Oh! non se ne parla neanche!” dichiarò Gero con un ghigno malvagio sul volto. I suoi occhi brillavano di una luce bramosa. “Sono stato troppo buono con te sgualdrina! È tempo che ti dia una lezione di umiltà!” detto questo, l'uomo strappò con forza la maglia di lei. C18, capendo le intenzioni del suo aguzzino, cercò disperatamente di liberarsi. I suoi tentativi fecero ridere l'uomo.

“Cosa pensi di fare? Tra un po' sarai l'essere più potente dell'universo, ma per adesso sei solo una ragazzina viziata che non ha ancora capito chi è che comanda!” quelle parole furono accompagnate da un nuovo violento ceffone.

Poco dopo, i pantaloni della ragazza fecero la fine della maglietta. C18 non reagiva più. Non ne aveva la forza. Si limitava a singhiozzare disperatamente.

Un sorriso malvagio apparve sulle labbra dello scienziato. L'uomo si avvicinò all'orecchio della ragazza.

“Non sai quanto ho desiderato il tuo corpo mia cara 18.” le sussurrò malignamente all'orecchio. “Fin da quando ti ho rapita capì che saresti diventata una bellissima donna. Lo si poteva vedere facilmente. Eri una bimba proprio graziosa lo sai? E adesso sei anche meglio!”

“Lasciami maledetto! Lasciami!” le urla disperate di lei ebbero solamente l'effetto di accrescere l'eccitazione dell'uomo. Con una risata divertita Gero le strappò le mutandine, lasciandola totalmente nuda. La ragazza provò a liberarsi per l'ennesima volta dalla presa di lui, ma il suo tentativo non ebbe successo. Lacrime di disperazione continuavano a solcarle le guance. Le sue urla di aiuto echeggiavano, inascoltate, all'interno del laboratorio.

“Fratello aiutami! Aiuto! Che qualcuno mi aiuti!”

Le sue urla vennero stroncate di colpo quando Gero la privò della sua purezza. Un urlo roco di dolore uscì dalle labbra della ragazza. I suoi occhi azzurri erano spalancati verso il nulla.

Gero le sussurrò di nuovo all'orecchio. La sua voce vibrava di piacere e malvagità.

“Ricordati di questo momento mia cara 18. Perché sarà l'ultima cosa che tu potrai vivere come essere umano!” e con una risata malvagia, lo scienziato continuò la sua opera di distruzione dell'intimità della ragazza. C18 non aveva più le forze per opporsi. Subiva in silenzio quell'ennesima umiliazione. I suoi occhi erano vuoti e freddi, privi di qualunque emozione.

Fu allora che Crilin urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva. La sua rabbia era immensa. Urlò fino a perdere la voce. Poi, improvvisamente, tutto divenne nero.

 

“No! C18!”

Crilin si alzò di colpo. I suoi occhi erano spalancati verso il nulla. Il ragazzo ci mise qualche istante a capire che si trovava sul divano della Kame House. Leggermente calmatosi, il terrestre si sdraiò di nuovo.

Si passò una mano sul volto. Era stato solamente un sogno, ma era così reale! Crilin non riusciva a capire. Non aveva mai fatto sogni del genere. In cuor suo il piccolo guerriero sentiva che, ciò che aveva sognato, era tutto vero. Le immagini erano fin troppo reali per essere stato solamente un incubo.

Quelle visioni gli tornavano continuamente in mente. Il cuore di Crilin si riempì di collera, ma anche di dubbi. Quelle terribili azioni erano veramente successe? C18 non gli aveva mai raccontato di specifico tutti gli orrori che aveva dovuto subire, e Crilin aveva evitato accuratamente di chiederle spiegazioni. In cuor suo il terrestre si era spesso provato ad immaginare quali fossero le torture che la sua adorata C18 aveva dovuto patire in tanti anni. Ma che tra di essi ci fosse anche lo stupro beh...a questo, onestamente, Crilin non ci aveva mai pensato. Aveva sempre creduto che persino un uomo come Gero avesse avuto un limite impostogli dalla sua coscienza. Molto probabilmente si era sbagliato.

Roso com'era dai dubbi e dalla rabbia, il guerriero non riusciva proprio a riprendere sonno. Alla fine rinunciò. Smanioso di muoversi, Crilin si rivestì velocemente e uscì di casa. Una volta uscito si alzò in volo diretto all'isola dove si allenava con C18.

 

C18 si svegliò di soprassalto. L'androide era sudata fradicia e i suoi occhi guizzavano da una parte all'altra della stanza, cercando qualcosa a cui aggrapparsi.

Quando, alla fine, comprese che quello che aveva passato era soltanto un incubo, l'androide sospirò pesantemente.

Poggiò la testa sul cuscino. Di nuovo. Era successo di nuovo. Dopo più di un mese i suoi incubi erano tornati a perseguitarla, e con il peggiore di tutti per giunta.

La cyborg serrò la mascella dalla rabbia. Quel ricordo le scatenava ancora, dentro di lei, una furia immensa. Il ricordo della sua più grande umiliazione le bruciava terribilmente. C18 era sicura che Gero l'avesse fatto apposta a tenerle quel ricordo. Sembrava quasi che lo scienziato avesse voluto ricordarle, in quel modo, chi era che comandava. Pazzo! Quel folle non sapeva che, così facendo, aveva firmato la sua condanna a morte. C18 aveva sognato a lungo il momento della vendetta. Ma quando arrivò la cyborg non si sentì del tutto soddisfatta. Gero era morto in modo troppo indolore per i suoi gusti. Giustizia avrebbe voluto che subisse tutto quello che aveva fatto subire a lei e a suo fratello.

All'improvviso sentì un aura gigantesca espandersi da una discreta distanza dalla Kame House. La bionda si accorse, con un sussulto, che era l'aura di Crilin.

C18 rimase perplessa da quella notizia. Perché Crilin se ne era uscito in piena notte? Non era da lui fare certe cose. Decisa a capire lo strano comportamento del suo ragazzo, e desiderosa di dimenticare il suo incubo, l'androide si alzò ed uscì dalla casetta. Una volta uscita si alzò in volo, usando come indicazioni l'aura del piccolo guerriero.

 

Quando Crilin atterrò sulla spiaggia dell'isola si sentiva ancora pieno di rabbia. Incapace di trovare quiete, il terrestre alzò lo sguardo verso il cielo dove le stelle brillavano, fredde ed indifferenti, nella volta celeste.

Per l'ennesima volta le immagini di quel maledettissimo sogno vennero a perseguitarlo. Una collera immensa lo invase. Per la prima volta, Crilin capì come si doveva sentire Goku quando si trasformava in Super Sayan.

Con un urlo disumano, il piccolo guerriero lasciò libera la sua collera, aumentando la sua aura al massimo. Un immenso cratere si spalancò sotto di lui, subito riempito dal mare, mentre Crilin urlava di collera e frustrazione fino a farsi male alla gola.

“Maledetto! Sei un lurido bastardo! Vorrei tanto che tu fossi ancora vivo Gero! Perché così potrei strapparti quel tuo cuore immondo con le mie stesse mani!!!!”

Crilin si accasciò su ciò che restava della spiaggia con rabbia. Sapeva che ciò che aveva visto era vero, e non poteva tollerare tutto ciò. Dove era lui quando C18 invocava aiuto? Cosa stava facendo? Perché non era andato a salvarla, sottraendola dal suo destino di morte e dolore?

“Aiuto! Che qualcuno mi aiuti!”

Quelle parole gli rimbombavano nella mente con una violenza inaudita. Disperato da quel urlo di dolore e disperazione, Crilin si portò le mani alle orecchie, in un inutile tentativo di scacciarle via. I suoi pensieri erano pieni di disperazione e di rimorso.

“C18...amore mio...quanto hai sofferto...quanto hai dovuto sopportare...tu che sei la più bella creatura dell'universo! Tutto quello che madre natura ti ha concesso te l'ho ha tolto il fato.” lacrime calde cominciarono a scendergli dagli occhi. Il pensiero che la sua adorata C18 aveva dovuto soffrire in quel modo barbaro e crudele senza che lui potesse fare nulla per impedirlo, gli trafiggeva il cuore con una violenza inaudita. Preso dalla disperazione, il ragazzo pronunciò un giuramento terribilmente vincolante.

“Non permetterò che tu soffra ancora! Tu non soffrirai mai più C18! Mai più! Te l'ho giuro sulla mia stessa anima! Possa bruciare all'inferno per l'eternità se non dovessi mantenere questa promessa!”

“Cosa stai facendo?”

Crilin sussultò. Dietro a lui C18 era atterrata e lo guardava con occhio critico.

“Perché sei alzato a quest'ora? È tardi, e tu dovresti essere a letto.”

Crilin cercò di fare un sorriso, ma non ci riuscì. Sembrava che i suoi muscoli facciali avessero dimenticato come si faceva.

“Da quando ti preoccupi per me?”

C18 lo fissò con sguardo gelido.

“Sei tu che ci rimetti. Non pensare che oggi ci andrò leggera solo perché hai deciso di fare una passeggiata al chiaro di luna.”

Crilin si passò una mano sul volto. Passeggiata al chiaro di luna? Magari! Almeno non avrebbe avuto il petto oppresso da quel terribile senso di colpa.

C18 sembrò capire lo stato d'animo del terrestre. La cyborg si avvicinò. La sua espressione gelida era sparita, sostituita da un'espressione di leggera curiosità.

“Che cos'hai?” gli domandò con voce neutra.

Crilin sospirò. Era combattuto se dirglielo oppure no. Il terrestre aveva paura che l'androide si arrabbiasse per la sua reazione. Dopotutto, poteva essere solamente un semplice incubo. Ma lo era davvero? No, Crilin era sicuro di no. Così come era sicuro che doveva dirglielo a tutti i costi.

“C18 io...io devo dirti una cosa.”

L'androide lo fissò con curiosità.

“Cosa?”

Crilin deglutì. Improvvisamente sembrava terribilmente difficile, per il guerriero, mettere in funzione le corde vocali.

“Il fatto è che...” non riusciva a trovare le parole. Come poteva raccontarle, in due parole messe in croce, la terribile scena a cui aveva appena assistito?

Vedendo che il terrestre non spiccava parola, C18 cominciò a spazientirsi.

“Crilin! Muoviti dai! Non ho voglia di stare in piedi tutta la notte solo perché tu non riesci a spiccare due parole!”

Crilin sospirò, cercando di calmarsi e di rilassare i muscoli. Improvvisamente, le parole cominciarono ad uscirgli con facilità disarmante.

“Vedi C18...il fatto è che ho...io ho visto una cosa...e vorrei raccontartela...lo so che può sembrare una sciocchezza...ma io sento il bisogno di raccontartela.”

Crilin le raccontò ogni cosa. Alla fine del suo racconto la cyborg aveva gli occhi spalancati dallo stupore. Crilin, interpretando male la sua reazione, cercò subito di scusarsi.

“Sì...lo so che era solo un sogno. Forse non avrei dovuto dirti nulla. Specialmente visto di cosa si trattava! Scusami! Dimentica ciò che ti ho detto!”

“Non era un sogno!” lo interruppe C18. La sua faccia era impassibile ma si poteva vedere chiaramente che parlare di quella cosa le costava una fatica immensa. “Tutto quello che hai visto è successo veramente.”

Crilin spalancò gli occhi dalla sorpresa. Da quando sognava i ricordi delle altre persone?

“Ma come...”

“Gero mi ha tolto tutto quello che poteva definirmi una persona.” continuò la cyborg senza dargli ascolto. Sembrava più facile per lei continuare a parlare una volta iniziato il discorso. “Mi ha tolto la famiglia. Il mio futuro. La gioia. La libertà. L'amore. Alla fine decise di togliermi anche la cosa che, per una ragazza, è la più sacra in assoluto. Quella cosa che bisognerebbe donare solamente alla persona che si ama.” la voce dell'androide era carica di rabbia. Crilin non l'aveva mai vista così furiosa.

“Quando ebbe finito la sua opera di distruzione ero esattamente come lui voleva che fossi: una merda. L'unica cosa che non mi ha tolto è stato mio fratello, ma l'ha fatto solamente perché gli serviva vivo. Altrimenti non ci avrebbe pensato due volte a togliermi anche lui.”

Crilin rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire. Il terrestre si limitava a fissare la sabbia sotto di se con sguardo assente. Ma la sua attenzione era, in realtà, tutta diretta verso l'androide.

“Quando fu il mio momento di essere trasformata in cyborg, sono stata quasi felice. Ho accolto con gioia la possibilità di smettere di soffrire, la possibilità di non essere più un essere umano. Perché avrei dovuto continuare ad esserlo? In tutta la mia vita avevo sofferto e basta. Ero stanca di farlo. Volevo privarmi di quel dolore a tutti i costi. E se, per liberarmene avrei dovuto diventare un robot, allora ben venga!”

C18 sospirò scuotendo la sua chioma dorata. Quando riprese a parlare la sua voce era cambiata. Più che rabbia, adesso la voce della cyborg esprimeva amarezza.

“Poi sei arrivato tu.” Crilin sollevò lo sguardo. Fu incredibilmente sorpreso di vedere un flebile sorriso illuminare il volto di lei. “All'inizio tu per me eri solamente un nemico da eliminare. Eppure non ci riuscì. La prima volta che ci siamo visti avrei potuto farti fuori, avrei dovuto. Era la mia missione. Eppure, inspiegabilmente, non lo feci. All'inizio non sapevo spiegarmelo quel piccolo gesto di pietà, non era da me risparmiare qualcuno. Ma ora so perché l'ho fatto. Ora ho capito perché decisi, nonostante tutto, di lasciarti in vita.”

Crilin aspettò con il fiato sospeso che lei continuasse a parlare. Di nuovo quel leggero sorriso che tanto amava spuntò sulle labbra di lei.

“Tu Crilin sei stato la mia ancora di salvezza. Quando ti vidi la prima volta, qualcosa dentro di me mi impedì di farti del male. Non capivo il motivo, così come non capivo perché non riuscivo a smettere di pensare a te. Ora so che tu eri l'unico che poteva salvarmi. Tu mi hai fatto tornare alla vita. Mi hai dato il tuo amore, la tua stanza, il tuo affetto senza chiedermi nulla in cambio. Tu mi hai cambiata. E nonostante non mi piaccia eccessivamente la nuova me, devo ammettere che non mi dispiace neanche troppo.”

Crilin abbassò lo sguardo con il viso in fiamme. Le parole di lei lo avevano messo in imbarazzo. Rimase stupito quando l'androide lo abbracciò e lo spinse a terra.

“C18 cosa...?”

“Shhhh” fece lei. L'androide lo guardò con uno sguardo decisamente vivo. “Tu parli troppo. Te l'ho sempre detto.”

Detto questo, la cyborg cominciò a baciarlo. La ragazza lo baciò sul collo, soffermandosi sul lobo dell'orecchio sinistro, per poi scendere lentamente. Con un gesto deciso li tolse la maglia. Le sue labbra cominciarono a percorrere i pettorali del terrestre per poi proseguire sugli addominali, scopiti da anni di massacranti allenamenti. Quello stesso corpo che per giorni aveva picchiato con ferocia selvaggia, adesso lo stava baciando con infinita delicatezza.

Ad un certo punto sentì le braccia di lui stringerla. C18 ebbe per un attimo il dubbio di essersi spinta troppo oltre con il suo gioco. Non voleva concedersi a Crilin. Non quella sera. Non dopo tutto quello che era accaduto quella notte. Ma subito dopo capì di essersi sbagliata. Crilin non avrebbe mai e poi mai provato a farle fare qualcosa contro la sua volontà. Il ragazzo la capiva come nessun altro era capace di fare. Il terrestre era troppo dolce e sensibile per poter anche minimamente pensare al sesso in un momento come quello. L'androide sentì le mani di lui percorrerle la schiena con delicatezza, soffermandosi sulla curva creata dalla colonna vertebrale di lei, quando arrivarono all'attaccatura dei capelli, Crilin la spinse delicatamente contro la sua bocca. C18 ricambiò subito il bacio. Quando si staccarono l'androide gli prese il viso tra le mani guardandolo con affetto.

“Crilin...per tanti giorni tu mi hai chiesto se stavo male. Ora sai cosa mi pesa nell'anima. Ma sappi anche che ciò non cambia minimamente i miei sentimenti nei tuoi confronti. Tu sei l'unica persona con cui voglio stare.”

Sentendo quelle parole il guerriero la strinse contro il suo petto. Per la prima volta nella sua vita, C18 si sentì al sicuro. Una grande calma le scese nel cuore mentre l'odore della pelle di lui le invadeva le narici.

Quella notte i due si addormentarono insieme. Il sole sorse ma il loro sonno non terminò. Per una volta, gli allenamenti potevano aspettare.

 

CONTINUA

 

Beh...salve! Scusate se questo capitolo è un po' troppo lungo. Spero però che vi piaccia come i precedenti!

Non ho la più pallida idea di come mi sia venuta in mente l'idea per questo capitolo. Fatto sta che ho voluto provare a descrivere un po' meglio ciò che C18 ha dovuto subire prima di essere trasformata in cyborg (anche se ho cercato di restare sul vago per ovvie ragioni di rating).

Di questo capitolo mi è piaciuto descrivere le sensazioni che Crilin prova nel ripensare a ciò che ha dovuto passare la sua adorata C18. Rabbia, senso di colpa per non averla potuta salvare, odio nei confronti di Gero. Spero di essere stato abbastanza preciso nel descrivere i sentimenti del piccolo terrestre. Così come spero che C18 non sia sforata nell'OOC.

Ci risiamo! Mi faccio sempre troppi problemi quando si tratta di pubblicare i capitoli di questa storia. Davvero non so cosa mi stia accadendo. Che mia nonna stia cercando di prendere il possesso del mio corpo giovane e fresco? O.O

Ok...la smetto subito di farmi pippe mentali senza senso e vi saluto.

Un saluto!

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Capitolo 8
*** L'invito ***


Capitolo 8

 

“Eh????? Stai...stai dicendo sul serio Crilin???!!”

Muten fissava stralunato il suo allievo. Crilin era seduto sul divano della Kame House assieme a C18. Il terrestre teneva lo sguardo fisso a terra e si vedeva che era piuttosto imbarazzato. La cyborg, al contrario, era tranquilla e gelida come sempre.

Muten si sistemò gli occhiali da sole per prendere tempo. La notizia che aveva appena ricevuto l'aveva sorpreso. Il vecchio maestro di arti marziali pensò che, adesso, le aveva viste proprio tutte nella sua lunga vita.

“Ripeti un attimo ragazzo. Temo di non aver sentito bene.”

Crilin fece per aprire bocca, tuttavia fu anticipato da C18. L'androide era piuttosto seccata da quella faccenda che considerava un inutile perdita di tempo. Decisa a finire quella buffonata il prima possibile, la cyborg rispose in maniera non proprio gentile.

“Sei forse sordo per caso? Hai sentito benissimo. Il tuo allievo ed io stiamo insieme. Ti ci vuole tanto per capire un concetto così semplice?”

“C18!”, Crilin sembrò scandalizzato dall'atteggiamento assunto dalla cyborg. Ma alla bionda bastò una semplice occhiata per zittire il terrestre. Senza aggiungere altro, l'androide se ne andò in camera sua.

Quando sentì il rumore della porta chiudersi, Crilin sospirò e fece un sorriso di scuse al suo maestro. Quest'ultimo sembrava ancora piuttosto scosso dalla notizia appena ricevuta.

“La scusi Maestro. Diciamo che stamattina non è di buon umore.”

“Eh cosa? Ah sì! Sicuro! Nessun problema!” borbottò L'eremita della Tartaruga in tono distratto.

Calò nella stanza un silenzio piuttosto imbarazzante. Maestro ed allievo sembravano piuttosto riluttanti ad approfondire l'argomento. Alla fine fu Muten a riprendere il discorso da dove era stato interrotto.

“Beh...congratulazioni figliolo! Ho sempre sperato che ti decidessi di mettere su famiglia, ma devo dire che stavolta mi hai sorpreso.”

“F-famiglia??!” domandò sbigottito il piccolo guerriero. Un'espressione di puro terrore si dipinse sul suo volto.

“Beh? Perché no? Si vede lontano un miglio che ti piace da morire! Dovresti cominciare a farci qualche pensierino lo sai?”

Crilin non rispose. Sembrava caduto in una specie di trance. Il terrestre guardava sconvolto la parete davanti a se, ignorando totalmente tutto il resto. Muten, accorgendosi che il suo allievo era mentalmente andato in tilt, decise di svegliarlo.

“Oh?! Ci sei ancora?! Crilin svegliati!”

Crilin sussultò. Guardò con faccia stupita il suo maestro. Muten lo osservava sempre più perplesso.

“Crilin cosa c'è? Si può sapere cosa ti ha sconvolto?”

“N-niente.” balbettò il terrestre. “Va tutto bene.”

Muten non sembrava molto sicuro, tuttavia decise di non insistere. Crilin sospirò di sollievo, anche se, un pensiero andò a formarsi nella sua mente.

“Dopotutto...perché no?”

 

I mesi passavano. Ormai C18 si era ambientata perfettamente nella vita della Kame House. All'androide quella vita non dispiaceva. Era piacevole vivere in quella piccola oasi di pace. Era piacevole essere coccolata e trattata come una regina da Crilin. La cyborg si sentiva in pace con se stessa come mai prima d'ora le era capitato.

Il suo interesse per la vita di tutti i giorni aumentò. Osservava Crilin eseguire le faccende di casa con una curiosità che non le apparteneva. Arrivò addirittura a chiedergli di insegnarle un paio di piccoli lavoretti casalinghi. All'inizio Crilin era rimasto sbigottito da quella richiesta. Non aveva mai pensato che a C18 potesse interessarle imparare attività di quel genere. Nonostante la gioia per il cambiamento della sua ragazza, il terrestre si era rifiutato. Non voleva che C18 facesse quei lavori. Per lui sarebbe stato un indicibile disonore vederla abbassarsi a fare quelle semplici faccende domestiche. Ma la sua resistenza durò poco. C18 infatti aveva l'incredibile capacità di persuadere con le buone o con le cattive, più con le seconde che con le prime, le persone a fare quello che diceva lei. Ormai la cyborg aveva preso pieno possesso della vita della Kame House. Era lei che comandava. Crilin e Muten non avevano potuto far altro che accettare la nuova, incredibile, situazione che si era andata a creare.

 

I loro allenamenti continuarono come al solito. In quei mesi Crilin ebbe un ulteriore miglioramento. Ormai C18 per batterlo doveva affrontarlo al massimo della sua forza. I loro allenamenti erano diventati ormai, veri e propri scontri all'ultimo sangue.

Nonostante i suoi miglioramenti, il terrestre non era ancora riuscito a battere l'androide. Ci era andato vicino un paio di volte, ma C18 era una guerriera troppo esperta per farsi prendere dal panico in situazioni di difficoltà. Ogni volta che il piccolo guerriero era sicuro di avere la vittoria in pugno, l'androide tirava fuori un'abilità a combattere sensazionale. Contro una potenza di questo genere, Crilin era ancora impotente.

La loro vita continuò tranquillamente per altri tre mesi. Alzarsi all'alba, andare a combattere per tutta la mattina sulla loro isola, e decidere di giorno in giorno cosa fare nel pomeriggio. Crilin aveva come la sensazione di vivere dentro un sogno. Non sentiva minimamente la lontananza dei suoi amici, anche se, ogni tanto, i sensi di colpa per la morte di Goku tornavano violenti. Ma al piccolo guerriero bastava vedere C18 perché essi scomparissero. Per lei, Crilin avrebbe dato tutto quello che possedeva, anima compresa.

Ma, come in tutti i sogni, arriva sempre il momento del risveglio alla realtà. E non sempre è piacevole.

 

Era una mattina come tante altre alla Kame House. Muten si stava crogiolando sotto il sole, leggendo l'ultimo numero della sua personale rivista di fitness femminile. Ormai erano passati quattro mesi da quando C18 era venuta ad abitare alla Kame House. Così come era passato quasi un anno dalla fine del Cell-Game. La vita aveva ripreso il suo normale ritmo. Tutto sembrava andare bene.

Sembrava.

In quel momento un rumore improvviso ruppe la pace della piccola isola. Muten alzò, a malincuore, gli occhi dalla propria rivista per poter individuare la causa di quel rumore. Ciò che vide lo lasciò esterrefatto.

Un piccolo elicottero si avvicinava al Kame House. Era di colore blu scuro. I raggi del sole si infrangevano sulle sue parti metalliche dandogli l'aspetto di una palla infuocata. Sulla sua fiancata sinistra si poteva notare, in controluce, lo stemma della Capsule Corporation.

Quando l'elicottero atterrò, lo sportello si aprì. Da esso scesero, con grande sorpresa di Muten, Bulma, Iamko e Gohan.

Tutti e tre erano cambiati in quegli ultimi sei mesi. Bulma si era tagliata i capelli. La scienziata aveva adesso l'aspetto della donna matura che ormai era diventata. Sembrava che, con quel taglio, avesse deciso di ammettere che il tempo passa per tutti, lei compresa.

Iamko invece sembrava essere sempre il solito, anche se pure lui aveva cambiato acconciatura di capelli. Dal corto taglio a spazzola che aveva, il terrestre si era fatto crescere leggermente i capelli, lasciandoli lisci e lucenti. L'effetto non era sgradevole.

Gohan invece era rimasto uguale. A parte qualche centimetro in più di altezza, il piccolo sayan era rimasto il solito allegro ragazzino di sempre.

“Ehila Muten! Come ti va la vita?” esclamò allegramente Iamko salutando l'anziano maestro di arti marziali con una mano.

“Ma...ma cosa ci fate voi qui?” domandò L'eremita della Tartaruga ancora scosso da quell'improvviso arrivo.

Bulma si fece avanti con passo deciso. La scienziata aveva uno sguardo combattivo che preoccupò non poco l'anziano maestro.

“Te lo dico io perché siamo qua! Siamo venuti a riprenderci il nostro amico! Dov'è Crilin? Tu lo sai di sicuro dove si trova, quindi diccelo! Non ho alcuna intenzione di lasciarlo marcire in qualche angolo sperduto della Terra mentre si festeggia la nascita del secondogenito del suo migliore amico!”

Muten rimase sbalordito da quella notizia. Il vecchio eremita guardò Gohan in cerca di conferma. Quando quest'ultimo annuì con un sorriso raggiante, una grande gioia invase il cuore dell'anziano maestro.

“Ma...ma è fantastico! È un maschio o una femmina? E come si chiama?”

“Si chiama Goten.” rispose Gohan con evidente gioia nella voce. “Ed è uguale a papà! Sono come due gocce d'acqua!”

Muten aprì la bocca dallo stupore. Gli occhi dell'eremita si fecero lucidi dalla gioia.

“Sono...sono commosso! È...è veramente bellissimo!”

“Vorrai dire che sarebbe bellissimo!” dichiarò Bulma. La scienziata aveva un'espressione torva in volto. “Dicci dove si trova Crilin! Tu lo sai! Non puoi non saperlo! Quindi sputa il rospo!”

Muten esitò. In quel momento Crilin era ad allenarsi con C18. L'anziano maestro non era sicuro che dire la verità fosse la cosa più giusta da fare. Ma,alla fine, decise di raccontare tutto. Era tempo che Crilin uscisse dall'isolamento che si era creato attorno a se.

Annuì con fare sciocco per un paio di volte, quasi stesse cercando di riordinare i propri pensieri, quindi parlò.

“Crilin si sta allenando in un isola che non dista eccessivamente da qui. Se continuate ad andare verso est per circa un ora, dovreste riuscire a vederla subito. La si può notare per l'altopiano che si staglia al centro.”

Bulma e gli altri non chiesero ulteriori spiegazioni. Senza perdere tempo, la scienziata salì sul veicolo e lo accese, subito seguita dagli altri due. Meno di un minuto dopo, i tre amici erano già un puntino all'orizzonte.

Muten li osservò in silenzio fino a quando non scomparvero dalla sua vista. A quel punto l'anziano maestro di arti marziali ridacchiò.

“Oh! Cosa darei per poter vedere le loro facce quando lo raggiungeranno!”

E, continuando a ridacchiare, l'eremita ritornò alle sue letture altamente “istruttive”.

 

Crilin schivò velocemente di lato un pugno. Un istante dopo un calcio violentissimo lo centrò in pieno petto. Tuttavia, un secondo dopo, la sua immagine colpita scomparve, lasciando al suo posto solamente l'aria.

C18 sorrise. Il suo allievo aveva imparato piuttosto bene. L'androide si stava divertendo un mondo quel giorno ha combattere con lui. Il terrestre non l'aveva mai messa in difficoltà come in quel momento.

“Sei in gamba.” dichiarò rivolta al nulla. Un istante dopo un calcio puntò alla sua testa ma fu parato senza troppi problemi.

“Però sei ancora troppo prevedibile!” con uno scatto, la cyborg si girò e scagliò una raffica di ki-blast dove, secondo i suoi calcoli, si sarebbe dovuto trovare Crilin. Fu sorpresa di vedere che, il suo colpo, si diresse verso il mare senza incontrare nessun corpo a bloccare la sua corsa.

Un istante dopo un pugno violentissimo la colpì alla bocca dello stomaco. C18 accusò pesantemente il colpo. Un urlo, strozzato a fatica, le uscì dalle labbra, insieme ad un rivolo di sangue che colò con lentezza dall'angolo sinistro della sua bocca.

Crilin sorrise.

Un istante dopo l'androide si allontanò dal terrestre. Nonostante cercasse di non darlo a vedere, la cyborg era piuttosto sorpresa del colpo ricevuto.

“Non male.” si limitò a dichiarare con voce neutra pulendosi il rivolo di sangue. Doveva stare più attenta. Crilin era diventato più forte di quello che immaginava.

Il sorriso sulle labbra del piccolo guerriero si allungò.

“Ho avuto una buona maestra.”

C18 ricambiò con un ghigno feroce. Un istante dopo i due fidanzati si scontrarono di nuovo con violenza inaudita.

 

“Credete che riusciremo a convincerlo a tornare?”

La domanda di Iamko ruppe il silenzio che c'era all'interno dell'elicottero. Bulma, nonostante fosse impegnata a guidare l'elicottero, dichiarò subito con voce sicura.

“Certo! Perché pensi che ti abbia portato con me insieme a Gohan? Nel caso quello zuccone opponesse resistenza voi due lo caricherete di forza sull'elicottero. Non ho alcuna voglia di perdere un amico a causa di una stupida storia d'amore!”

“Scusa Bulma, ma non so se sia la cosa giusta da fare.” obbiettò il piccolo sayan.

“Sono d'accordo con Gohan. Come pensi che la prenderà Crilin? Come minimo ci odierà a morte.”

Le loro obbiezioni ebbero come effetto quello di scatenare l'irascibile scienziata. Sentendo quelle parole infatti, Bulma li aggredì con una violenza da far invidia ad un super sayan.

“E allora cosa dovremmo fare?! Dovremmo lasciare perdere e permettere a Crilin di rovinarsi l'esistenza a causa di un maledetto rottame ambulante?!! Crilin è mio amico, ed è stato come un fratello per Goku. Se lui non dovesse venire a sapere della nascita di tuo fratello Gohan, io non me lo perdonerei mai! Quindi non voglio sentire scuse chiaro?!”

“Aspetta!” fece Iamko all'improvviso, interropendo così la sfuriata dell'amica. Bulma, furiosa per essere stata interrotta, cominciò a perdere il controllo di se.

“Come osi interrompermi!!!! Io parlo di cose serie e tu mi dici di aspettare?!!! E che cosa poi?!”

“Bulma!!!” la voce di Gohan risuonò violentemente all'interno del veicolo. La scienziata, vedendo la faccia seria e concentrata del ragazzo, si zittì di colpo.

“Cosa succede? Avete sentito qualcosa?!”

Terrestre e sayan annuirono contemporaneamente. Tuttavia erano entrambi piuttosto perplessi.

“Ma non ha senso!” esclamò all'improvviso l'ex-fidanzato di Bulma.

“Che cosa non ha senso?” domandò subito quest'ultima. La sua rabbia era sparita subito appena aveva avuto sentore che qualcosa di strano stava accadendo.

“Io sto sentendo un aura gigantesca. Ma non può essere la sua! È troppo grande!”

“Sì, la sto sentendo anch'io.” fece Gohah. In quel momento il ragazzino sembrava dimostrare molti più anni di quelli che aveva. “Ho quasi paura. Vorrei sapere cosa diavolo sta accadendo.”

“R-ragazzi piantatela con gli scherzi! Si può sapere di chi diavolo state parlando?” domandò Bulma innervosita e, anche se non l'avrebbe mai ammesso, piuttosto impaurita.

“Bulma.” la voce di Gohan era molto profonda. Nessuno in quel momento avrebbe detto che aveva solamente 12 anni. “L'aura che stiamo sentendo...è quella di Crilin.”

Gli occhi azzurri della scienziata si spalancarono di colpo. La sua faccia esprimeva paura e preoccupazione allo stesso tempo.

“Crilin?” dichiarò con un sussurro roco. “Ma questo cosa significa?”

“Guarda Bulma!”, la voce di Iamko era eccitata. Il guerriero stava indicando un punto davanti a loro. “Là c'è un isola! È da li che proviene l'aura di Crilin!”

Gli altri si girarono verso il punto indicato da Iamko. Il terrestre aveva visto giusto. Davanti a loro c'era un isola. Sembrava si stesse svolgendo un terribile combattimento. La terra tremava e si poteva sentire anche da quella distanza il rumore dei colpi.

I tre amici si scambiarono un'occhiata d'intesa. Tuttavia, per quanto fossero pronti a tutto, non lo furono per l'incredibile spettacolo che si presentò davanti ai loro occhi.

 

La prima cosa che videro fu C18. I tre amici non credettero ai loro occhi. Cosa ci faceva là l'androide? Ma, se il loro stupore nel vedere la bella cyborg fu grande, quando videro il suo compagno di allenamenti rimasero a bocca aperta.

“Ma...ma quello chi diavolo è?!” chiese Iamko con gli occhi spalancati.

“Ma è Crilin!!!!” esclamò Gohan, felice di poter rivedere il suo caro amico.

“Cosa????!!!! Non...non è possibile!!” dichiarò Bulma con grande stupore.

In effetti la figura che stava combattendo con C18 era piuttosto diversa dal Crilin che conoscevano. Innanzitutto questo ragazzo aveva i capelli, inoltre i suoi lineamenti del viso erano più marcati di quelli del piccolo terrestre, questo significava che doveva avere molti più anni di Crilin. E infine, quel combattente riusciva a tenere testa a C18. E Crilin non sarebbe riuscito mai riuscito a tenere testa all'androide.

Improvvisamente, la cyborg sembrò essere in difficoltà. Incalzata dai colpi del terrestre, C18 portò una mano sopra la testa. Immediatamente si formò un cerchio di energia rotante color viola. Tuttavia la sua mossa fu inefficace. Il piccolo combattente riuscì a rompere la lama rotante con estrema facilità.

“Dai! Impegnati di più!” esclamò sorridendo. “Così mi annoio!”

Se i tre amici pensavano che l'androide si infuriasse rimasero delusi. A quella provocazione infatti, C18 sorrise. Fu un sorriso incredibilmente dolce e tenero. Così tenero che i tre compagni cominciarono a dubitare che quella donna fosse veramente C18.

Poi, improvvisamente e senza smettere di sorridere, l'androide scomparve. Un istante dopo il terrestre fu colpito al petto da un pugno potentissimo. Il guerriero sembrò accusare il colpo. Senza perdere tempo, C18 lo colpì ripetutamente con violenza inaudita, fino al colpo di grazia. Il piccolo combattente cadde al suolo senza più rialzarsi.

C18 osservò la figura a terra con espressione neutra. L'androide aveva portato le braccia al petto e fissava, con impazienza crescente, il corpo immobile del suo avversario.

“Cosa diavolo stai aspettando?!” domandò all'improvviso. “Alzati su!”

Niente. Nessun movimento. Sembrava che il combattente fosse svenuto o, peggio, morto.

“Ma cosa diavolo sta combinando quel nanerottolo?” borbottò la cyborg scendendo giù a controllare le condizioni di Crilin. “Se questo è uno scherzo giuro che gliela faccio pagare molto cara!”

Una volta arrivata vicino al corpo immobile del suo compagno, C18 si inginocchiò per controllarne le condizioni. Fu allora che Crilin si mosse.

Con un balzo improvviso, il terrestre si alzò, cadendo addosso a C18. Il suo peso fu sufficiente a sbilanciare la bionda che, sorpresa dalla mossa di lui, cadde a terra con il ragazzo sopra di lei.

“Presa!” esclamò il piccolo guerriero con gioia.

C18 serrò gli occhi. L'androide sembrava piuttosto arrabbiata.

“Cosa diavolo stai...” prima che la cyborg potesse finire di parlare, Crilin la baciò.

Tre paia di occhi, grandi come piattini da thè, osservarono l'androide rimanere immobile per un attimo. Poi, contrariamente ad ogni loro aspettativa, C18 ricambiò il bacio del terrestre. Quando si staccarono l'androide lo guardò con finta rabbia.

“Comunque hai giocato sporco!”

Crilin, sentendo quelle parole, sorrise.

“In battaglia non esistono regole!” dichiarò, copiando le parole di lei.

“Ah sì?” con uno scatto improvviso C18 invertì le posizioni. Ora era lei sopra di lui. Lo sguardo dell'androide era indecifrabile, ma Crilin ci vide la luce più bella del mondo. Quella della vita.

C18 cominciò a baciarlo. I loro baci si fecero più intensi e passionali. L'androide, ad un certo punto, gli tolse la maglia e cominciò a baciarli i pettorali. Crilin sospirava di piacere. Le sue mani cominciarono a tirare su delicatamente la maglietta di lei. C18 non reagì. Si limitò a continuare la sua precedente attività senza degnarlo di uno sguardo. Chiaro segno che aveva via libera.

I due erano pieni di passione. Lo volevano. Desideravano entrambi unirsi. Poi, ad un tratto, una voce si mise in mezzo.

“Crilin?! Cosa stai facendo?!”

Crilin e C18 si girarono di scatto. Davanti a loro c'erano Iamko, Bulma e Gohan che li fissavano con un immenso stupore stampato in faccia.

Immediatamente C18 si staccò dal terrestre. Per la prima volta da quando la conosceva, Crilin vide un leggero colore rosato imporporarle il viso. Senza dire una sola parola, l'androide si allontanò a grandi passi.

Tuttavia, una volta nascosta da un grande masso, la cyborg si fermò, mettendosi in ascolto. Tanto odiava essere spiata da qualcuno, tanto meno si faceva scrupoli nel farlo.

 

Crilin si rimise la maglia senza dire una parola. Onestamente non aveva la più pallida idea di cosa dire. Cosa avrebbe potuto dire poi? Quello che aveva appena fatto valeva più di mille parole.

I suoi tre amici si limitarono ad osservarlo in silenzio. Sembravano molto scossi nel vedere quanto era cambiato in quei mesi.

Passò un minuto. Poi cinque. Nessuno aveva ancora detto una sola parola. Il rumore della risacca del mare si notava con straordinaria intensità.

Poi, stanco di quel silenzio carico di tensione, Crilin parlò.

“Salve ragazzi!” dichiarò, cercando di dare alla sua voce un tono allegro. Inutile dire che fallì miseramente. Si vedeva lontano un miglio che era piuttosto imbarazzato.

Bulma parlò. La faccia della scienziata era rimasta fino a quel momento indecifrabile. Tuttavia, quando cominciò a parlare, il terrestre notò che l'amica era in preda ad una terribile collera.

“Salve ragazzi? È questo tutto quello che hai da dire? Dopo sei mesi, in cui te ne sei fregato altamente dei tuoi amici, il massimo che riesci a dire è salve ragazzi?!”

Crilin non rispose. Il guerriero sembrava profondamente immerso a studiare i lacci delle sue scarpe.

“Da quanto tempo va avanti questa storia?”

Crilin sollevò di scatto la testa. A parlare era stata di nuovo Bulma. La scienziata lo osservava con un espressione gelida in volto.

“Cosa?”

“Ti ho chiesto, da quanto va avanti questa storia?!”

Crilin provò a deglutire ma non ci riuscì. Al terrestre gli si era improvvisamente seccata la gola. Un terribile, schiacciante macigno cominciò a schiacciargli il petto. Il guerriero sapeva di cosa si trattava: erano i sensi di colpa. Li aveva dimenticati, abbandonati. Da quando aveva incontrato C18, il resto del mondo era scomparso.

“Da quattro mesi ormai.” sussurrò.

“Quattro mesi?! Quattro mesi in cui noi ci siamo preoccupati per te mentre tu eri a spassartela con la tua biondina metallica? Bell'amico che sei!”

“Ora basta!” dichiarò Crilin. Il suo viso era trasfigurato dalla rabbia. “Non osare chiamarla ancora in quel modo! E comunque non è andata come pensi tu! Voi...voi non sapete...non sapete nulla!”

“Oh davvero?” domandò in tono sarcastico Iamko. Il terrestre sembrava disgustato dal comportamento dell'amico. “Noi non sappiamo nulla? Mi sa che sei tu quello che non ha ben chiara la situazione!”

Crilin fulminò l'amico con un occhiataccia. Il guerriero sentì dentro di se crescere una collera tremenda. Potevano offenderlo, accusarlo, dargli anche dell'idiota. Ma non dovevano assolutamente permettersi di offendere C18. Questo il terrestre non glielo avrebbe permesso mai e poi mai.

“Cosa intendi? Spiegati!” sibilò con tono minaccioso.

Iamko si posizionò a gambe larghe davanti al piccolo guerriero. Il suo bel volto era trasfigurato da un ghigno.

“Scusami Crilin, mi dispiace dirlo, ma sei proprio un idiota! Cosa pensi di fare con una come lei? Hai presente cosa è?”

“Lo so benissimo! Non c'è bisogno che tu me lo dica!” dichiarò rabbiosamente il terrestre.

“Mi sa che invece il suo viso da bambola ti abbia confuso un po' le idee amico! Perché è questo che è lei: solamente una bambola! Graziosa finché vuoi ma pur sempre una bambola. Non mi credi? Aspetta di aprirle le gambe e poi vedrai che bella sorp...”

Iamko non pote finire la frase. C18, che infuriata stava per uscire per uccidere quel maledetto insolente, sentì dal suo nascondiglio la mascella del terrestre scricchiolare in maniera sinistra. Subito dopo un boato fece capire all'androide che quell'idiota era andato a sbattere contro la parete dell'altopiano.

Un flebile sorriso di perfidia si disegnò sulle labbra della bionda. Sapeva chi era stato a spaccare la faccia a Iamko al posto suo.

Sentendo definire la sua adorata C18 una bambola Crilin non ci aveva pensato due volte. Accecato dalla rabbia, il piccolo guerriero era scattato in avanti, cogliendo di sorpresa tutti. Il suo pugno colpì con terrificante potenza la mascella dell'amico.

“Crilin!!! Ma sei impazzito?!” domandò isterica Bulma.

Crilin tremava dalla rabbia. I suoi pensieri andavano al sogno che aveva fatto, su ciò che C18 gli aveva raccontato del suo passato. Come avevano osato offenderla in quel modo? Cosa ne sapevano quegli stupidi?

“Non. Osare. Mai. Più!!” ringhiò a fatica. Era talmente furioso che faceva fatica a muovere la mascella. “Voi. Non. Sapete. Niente! Niente!!”

Gohan, che fino a quel momento era stato zitto, decise di intervenire. Il piccolo sayan si avvicinò all'amico e gli posò una mano sulla spalla. A quel semplice contatto Crilin si tranquillizzò parzialmente. Il terrestre aveva ancora il respiro affannoso per la rabbia, ma almeno aveva smesso di tremare.

“Lascia stare Crilin! Non siamo venuti qui per litigare o per accusarti. Ti stavamo cercando per un motivo ben preciso.”

“E per cosa?” domandò il terrestre con voce neutra. Sembrava si fosse totalmente tranquillizzato. Ma dai suoi occhi si poteva capire che era ancora molto arrabbiato.

Un grande sorriso si disegnò sul volto del ragazzino.

“Ho un fratellino Crilin!”

Crilin lo guardò. La sua rabbia fu sostituita da un grandissimo stupore misto a gioia.

“Vuoi dire che è...è nato?” domandò con voce strozzata.

Gohan annuì. Si vedeva chiaramente che il piccolo sayan era al settimo cielo per la gioia.

“Si chiama Goten! È la sai una cosa? La mamma mi ha detto che è uguale identico a papà!”

“G-Gohan...” lacrime di gioia cominciarono a solcare gli occhi del terrestre. Era un miracolo. Il grande miracolo della vita. Preso da una gioia immensa, il piccolo guerriero abbracciò l'amico con forza.

“Ehi! Fai piano! Accidenti! Sei diventato parecchio più forte dall'ultima volta che ci siamo visti!”

Crilin annuì. Il sorriso sempre stampato sul volto.

“Tutto merito di C18. Credimi Gohan quando ti dico che è una combattente incredibile! Ho imparato un sacco di cose da lei in questi ultimi mesi!”

Gohan guardò con tenerezza l'amico. Sembrava proprio felice. Doveva essere molto importante per lui C18. Rendendosi conto che il piccolo guerriero si stava dilungando in tutti i suoi progressi, il sayan decise di interromperlo prima che ingranasse la quarta.

“Scusa Crilin se ti interrompo, ma siamo di fretta. Perché non me lo racconti stasera con calma? Sarò felice di ascoltarti.”

“S-stasera?” il sorriso del terrestre si attenuò. “Ma di cosa stai parlando?”

“Stasera si festeggerà a casa mia la nascita del fratello di Gohan.” dichiarò Bulma. La scienziata era appena andata a recuperare Iamko. Il terrestre era svenuto. Decisamente, era fuori allenamento.

“E ovviamente tu e C18 siete invitati.” concluse Gohan.

Crilin esitò. Al terrestre non gli sarebbe dispiaciuto rivedere i suoi amici. Tuttavia non era sicuro che C18 avesse voglia di andarci. Capendo il dubbio che lo tormentava, Bulma aggiunse.

“Senti...capisco che forse alla tua biondina non vada molto a genio di venire da noi. Penso tuttavia che dovresti venire. Manchi a tutti Crilin! E poi si tratta del figlio del tuo migliore amico. Non puoi non venire!”

Sentendo parlare di Goku, Crilin si incupì. I suoi sensi di colpa tornarono con violenza inaudita. Sopraffatto da essi, il terrestre diede il suo assenso a venire.

Un grande sorriso si stampò sulle facce dei suoi amici.

“Grazie! Ti aspettiamo alle 8.00 in punto! E vestiti bene mi raccomando!”e con quella frase di Bulma, il piccolo gruppo si congedò. Caricato sull'elicottero il povero Iamko, il piccolo sayan e la scienziata si alzarono in volo, dirigendosi verso la lontana Città dell'Ovest.

Una volta spariti all'orizzonte, Crilin sospirò, passandosi una mano sul volto. In un certo senso era felice che se ne fossero andati. Era stato strano, e anche piuttosto imbarazzante, rivedere i suoi amici dopo così tanti mesi di lontananza.

In quel momento C18 uscì da dove si era nascosta fino a quel momento. Quando la vide un sorriso amaro si disegnò sul volto del piccolo guerriero.

“Hai sentito tutto, non è vero?” chiese con tono dolce.

La cyborg non rispose. A passi decisi si diresse verso la spiaggia. Una volta arrivata, l'androide si sedette, stringendosi le ginocchia al petto, e cominciando a fissare il mare con sguardo vuoto.

Crilin la seguì. Una volta arrivato dietro di lei, il terrestre l'abbracciò cercando di trasmettere tutto l'amore e l'ammirazione che provava nei suoi confronti in quel gesto.

C18 non lo respinse, anche se non lo ricambiò neanche. L'androide rimase in silenzio per parecchio tempo. Poi, alla fine, si decise a parlare.

“Io non vengo.”

Crilin sospirò. Se lo aspettava quel rifiuto.

“Perché?” mormorò dolcemente.

“Perché sì!” la cyborg sembrava furiosa. Il terrestre capì che, fino a quel momento, la bionda aveva cercato di trattenersi dal distruggere tutto per sfogare la sua rabbia. Nonostante ciò, il terrestre non si diede per vinto.

L'abbracciò più forte. La reazione dell'androide non si fece attendere. Con un gesto secco, C18 si liberò.

“E lasciami!” borbottò infastidita.

Crilin sorrise. Nonostante il suo caratteraccio, il piccolo guerriero sapeva che all'androide non le dispiacevano le sue coccole. Non vinto, il terrestre si riavvicinò a lei.

“Fallo per me.” sussurrò cominciando a baciarle con dolcezza l'incavo morbido del suo collo.

Sotto il tocco delle sue labbra, la cyborg sembrò sciogliersi. La bionda inarcò il collo, trattenendo a stento un sospiro.

“Comunque la risposta rimane no!” fece con voce dura.

“Sicura?” mormorò il terrestre continuando a baciarla con dolcezza.

“Assolutamente!” rispose lei. Ma il suo tono era già meno sicuro di prima.

“E dai.” proseguì lui con voce dolce. I suoi baci cominciarono a farsi più arditi. Le sue labbra cominciarono a salire il collo di lei, in una ricerca lenta ma costante delle labbra dell'androide.

“Ti porto a negozi.” dichiarò lui. “Dopotutto, dobbiamo vestirci bene no?”

Sentendo quelle parole, la cyborg si girò di scatto. Nei suoi occhi azzurri il terrestre vide brillare una scintilla piuttosto inquietante.

Con un gesto secco, l'androide si liberò di Crilin, ponendo così fine ai suoi baci. Subito dopo C18 si alzò in piedi.

Crilin la fissò con sguardo incuriosito e perplesso. Il terrestre non aveva la più pallida idea di cosa passasse in quel momento per la testa della cyborg.

Senza dire una sola parola, l'androide si alzò in volo. Crilin sorrise vedendo che, la direzione presa da lei, era quella della Città dell'Ovest.

“Aspettami!” fece con tono divertito. Il piccolo guerriero era stupito. Era riuscito a spuntarla con la cyborg. Una cosa che non accadeva tutti i giorni.

Forse C18 stava veramente cambiando.

 

CONTINUA

 

Beh...stavolta non so cosa dire. Alleluia! Direte voi. Comunque devo dire (Sennò che gusto c'è ha commentare a fine capitolo?) che, se c'è una cosa che non mi piace di questo capitolo, è il fatto di aver fatto fare a Iamko la figura di quello che se le prende e basta! Poveretto. Un po' mi fa pena!

Aspetto, come al solito, i vostri commenti e, perché no!, anche dei consigli!

Un saluto!

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Capitolo 9
*** Vuoi il mio corpo? ***


Capitolo 9

 

Con un fruscio appena percettibile la tenda che nascondeva il camerino si aprì. Da esso ne uscì la figura aggraziata di C18. La cyborg si mise davanti ad un ragazzo bassetto con le braccia ai fianchi ed una faccia che non prometteva niente di buono.

“Allora?”

Appena la vide uscire dal camerino, Crilin strabuzzò gli occhi. Il terrestre divenne rosso come un peperone mentre cercava, con scarsi risultati, di mantenere un espressione neutra. Poi, pur sapendo che la sua vita era in grave pericolo, non c'è la fece più. Il piccolo guerriero scoppiò in una immensa risata.

Gli occhi dell'androide si strinsero fino a diventare due fessure di ghiaccio. Una vena cominciò a pulsare pericolosamente sulla tempia sinistra della cyborg.

“Cosa diavolo hai da ridere brutto idiota?!”

Crilin riuscì, pur con uno sforzo immenso, a calmarsi. Il terrestre aveva le lacrime agli occhi. Lo spettacolo che si trovava davanti era talmente incredibile, oltre che impossibile, che neppure nei suoi sogni più arditi e strani ci aveva mai pensato.

“Niente.” dichiarò ancora scosso da risatine. “Ti manca solo uno zainetto e ti potrebbero prendere per un'affascinante studentessa universitaria!”

La sua battuta gli costò una gruccia in testa. Il colpo ricevuto fu piuttosto doloroso, considerando chi l'aveva lanciata. Dopo aver avuto la soddisfazione di vedere quel nanerottolo contorcersi dal dolore a terra, C18 fece dietrofront e rientrò nel camerino.

Crilin si rialzò continuando a ridacchiare. La visione a cui aveva appena assistito era valsa pienamente una gruccia lanciata a 200 Km/h in testa. C18 infatti, era uscita dal camerino con indosso un jeans scuro a vita bassa, un paio di scarpe da ginnastica bianche ed una elegante camicetta bianca da donna. Era stato Crilin a consigliarli di provare quei vestiti e l'androide, stranamente, gli aveva dato retta. Nonostante l'effetto non fosse stato sgradevole, il terrestre aveva dei forti dubbi sul fatto che C18 decidesse alla fine di comprali, a spese sue ovviamente.

 

Erano più di tre ore che visitavano negozi d'abbigliamento. Crilin ormai aveva perso il conto, ma era quasi sicuro che quello fosse l'undicesimo negozio. La vista dei vestiti stava cominciando a dargli la nausea. Vestiti! Nulla in quel momento poteva interessarli di meno. Persino guardare i programmi di fitness di Muten sarebbe stato più interessante.

Ma C18 aveva un'idea diversa sull'argomento, e al piccolo guerriero non restava altro che armarsi di pazienza ed aspettare che la bionda esaurisse la sua voglia di compere, oppure che i negozi chiudessero. Onestamente, il terrestre credeva più probabile che si realizzasse prima la seconda ipotesi.

C18 aveva provato vestiti di ogni tipo: vestiti semplici e raffinati. Da uomo e da donna. Da indossare nella vita di tutti i giorni e quelli che invece sono solamente per le occasioni importanti. L'androide sembrava una bambina che doveva scegliere un nuovo giocattolo. Non era mai sicura di nulla e cambiava spesso idea su due piedi. Sembrava che trovasse piacere solamente nel provarlo un vestito. Subito dopo, agli occhi della cyborg, esso perdeva di importanza.

L'unica cosa che non aveva neanche degnato di uno sguardo erano le gonne. L'androide le trovava semplicemente orrende, oltre che scomodissime per combattere. Inoltre le davano l'idea di una femminuccia piagnucolosa come quelle che tanto disprezzava e odiava.

C18 preferiva decisamente i pantaloni. Che fossero da maschio o da femmina poco importava. A lei bastava che fossero comodi e che le piacessero. Lo stesso discorso valeva per le magliette e le camicie. Quando si trattava di vestiti, l'androide non degnava minimamente il sesso per cui erano stati fatti.

 

Per Crilin la faccenda era un po' diversa. Il terrestre non dava molta importanza a ciò che indossava non essendo mai stato, a differenza del suo amico Iamko, un grande appassionato della moda. Peccato che C18 non era della stessa opinione. L'androide costringeva il terrestre a provare solo quello che piaceva a lei, per poi però trovarli sempre qualcosa che non andava. Per Crilin quelle prove d'abito erano incredibilmente snervanti, oltre che imbarazzanti. Al piccolo guerriero infatti non gli piaceva molto essere giudicato continuamente da quegli occhi azzurri così dannatamente belli, ma allo stesso tempo così freddi e spietati.

 

Quando l'androide decise di terminare il saccheggio di quel negozio, Crilin tirò un sospiro di sollievo. Ormai erano le sei passate. A quell'ora C18 avrebbe avuto tempo solamente per un altro negozio. Poi, finalmente, anche lei sarebbe stata costretta a smettere di comprare vestiti, a spese sue ovviamente.

Il terrestre si diresse alla cassa insieme all'androide. C18 era tranquilla e gelida come al solito. Sembrava che passare giornate intere in giro per la città non la sfiancasse minimamente. Crilin, al contrario, era distrutto sia fisicamente che mentalmente. Sbuffò dalla fatica a causa dell'enorme cumulo di vestiti che era costretto a portare, il terrestre voleva soltanto tornare alla Kame House per potersi godere un po' di pace prima di doversi immergere nel caos della festa a casa di Bulma.

“Crilin?”

Immerso com'era nei suoi pensieri, il piccolo guerriero ci mise un paio di secondi ad afferrare il concetto che qualcuno l'aveva chiamato. Era una voce dolce e morbida. Una voce che aveva già sentito in passato.

Quando si girò verso la fonte di quella voce, il terrestre rimase a bocca aperta dallo stupore. Una ragazza lo stava fissando con sguardo incuriosito. Aveva lunghi e lucenti capelli azzurri, occhi dello stesso colore ed un corpo snello dove la prima cosa che saltava all'occhio era il seno prosperoso.

La ragazza lo fissò con uno sguardo curioso, come quello di una bambina, poi un grande sorriso gli si aprì sul suo bel viso.

“Crilin! Sei proprio tu!”

Il terrestre rimase immobile. Un'espressione di puro stupore dipinta sul volto.

“M-Marion?” domandò con voce strozzata.

“Crilin!” la ragazza corse a salutare il suo ex-fidanzato. Una volta raggiunto Marion l'abbracciò un attimo per poi staccarsi subito. L'azzurra osservava il piccolo guerriero con un espressione dolce in volto.

“Sei proprio tu Crilin. Non l'avrei mai detto che un giorno ti avrei incontrato di nuovo! Mi sei mancato lo sai?”

“Ah...” fu tutto quello che il piccolo guerriero riuscì a dire. Il terrestre sembrava incapace di muoversi. Si limitava a fissare la ragazza con un'espressione terrorizzata mista allo stupore.

C18 rimase gelida e controllata come sempre. L'androide non si scompose minimamente neanche quando quella sconosciuta dalla voce da gallina abbracciò il suo ragazzo. Ma se esteriormente la cyborg sembrava tranquilla come sempre, dentro di se ruggiva di irritazione. Ma cosa diavolo stava diventando quella giornata? L'incontro con le persone deficienti ed inutili?

Intanto Marion, ignara di essersi appena guadagnata l'odio di C18 per aver osato interrompere il suo shopping, continuò a parlare con il suo ex-fidanzato come se niente fosse.

“Mi spieghi cosa ci fai qui? Non mi ricordavo che a te piacesse molto fare compere.”

“Beh...ecco...” il terrestre non sapeva come comportarsi. Cosa poteva dire ad una ragazza che non vedeva da quasi quattro anni? In quel lasso di tempo lui era cambiato così tanto! E ci sarebbero state così tante cose da dire! Ma il piccolo guerriero, in quel momento, non aveva proprio voglia di raccontare quello che aveva fatto in quegli ultimi quattro anni. L'unica cosa che desiderava era di essere lasciato in pace per un'oretta.

In quel momento, Marion si accorse dello sguardo, non propriamente amichevole, che C18 gli stava mandando. Non sapendo con chi aveva a che fare, l'azzurra fece un sorriso di saluto che fu ignorato spudoratamente. Infastidita dal comportamento maleducato dell'androide, Marion cercò di chiedere chiarimenti a Crilin.

“Crilin...chi è la tua amica? Me la presenti?”

“Beh...ecco...lei è...” Crilin cadde nel panico più totale. Come avrebbe fatto a presentare C18 a Marion senza scatenare l'ira dell'irascibile cyborg? Quelle due erano quanto di più diverso potesse esistere nell'universo! Improvvisamente, proprio quando il terrestre stava per desiderare un morte veloce piuttosto che quella situazione terribilmente imbarazzante, C18 venne in suo aiuto.

“Ti aspetto fuori.” e, con quelle parole e senza degnare di uno sguardo l'azzurra, l'androide uscì dal negozio con la sua solita camminata decisa ma aggraziata allo stesso tempo.

Una volta che l'androide uscì, Crilin sospirò. Marion, al contrario, sembrava profondamente offesa.

“Che gran maleducata! Ma si può sapere chi si crede di essere quella la?”

“Lascia stare Marion. È fatta un po' a modo suo.”

Le parole di Crilin calmarono la ragazza. Marion sorrise dolcemente al piccolo guerriero. Davanti a quel sorriso Crilin scoprì di non provare assolutamente nulla, se non imbarazzo. In quel momento capì che, con Marion, non avrebbe potuto fare nulla di più di quello che aveva già fatto.

“Senti Crilin...posso parlarti in privato? Ti rubo solo dieci minuti promesso!”

Davanti a quella domanda Crilin si incupì. E adesso cosa voleva Marion da lui? Non gli era bastato farlo soffrire enormemente quando si erano lasciati? Non gli era bastato farlo sentire un completo idiota?

Sospirò di esasperazione. Era troppo buono per poter rifiutare quella richiesta. Sperava solo che sarebbero stati dieci minuti di numero.

“Va bene. Aspetta che pago qua e poi andiamo.”

Un sorriso di gioia si dipinse sulle labbra dell'affascinante ragazza.

“Grazie! Qui a fianco c'è un bar. Perché non andiamo a prenderci qualcosa? Preferirei parlarti stando seduta.”

 

C18 non sembrò scomporsi minimamente quando Crilin la informò che si sarebbe assentato per circa dieci minuti con quella gallina. L'androide si limitò a fare un freddo cenno col capo. Tuttavia i suoi occhi azzurri non persero di vista neanche per un istante il terrestre. Quando fu certa che Crilin e la gallina non si sarebbero accorti di esseri seguiti, C18 cominciò a braccarli da vicino, stando ben attenta di non farsi scoprire, con la sua camminata fluida e decisa al tempo stesso.

 

Una borsa di ghiaccio fu premuta contro la mascella arrossata dal violento colpo ricevuto. Sentendo il freddo oggetto a contatto con la parte lesa, Iamko fece una smorfia di dolore.

“Ahio! Fai piano!”

Davanti a quell'ennesima dimostrazione di insofferenza, Bulma cominciò a perdere le staffe.

“E smettila di fare il bambino! Piuttosto, che questo ti serva di lezione in futuro! Quando imparerai a tenere la bocca chiusa?”

“E che cosa diavolo ne sapevo che se la sarebbe presa così tanto?” dichiarò inferocito il terrestre. Una nuova ondata di dolore venne accompagnata da una smorfia da parte del guerriero. “Mica pensavo che avrebbe reagito così!”

“Dovresti ritenerti fortunato invece.” mormorò Gohan. “Se al posto di Crilin ci fosse stata C18, dubito che adesso saresti ancora in vita.”

Si trovavano nel salotto della Capsule Corporation. Erano appena tornati da quella che la scienziata aveva definito “Missione di recupero.”, e ora si stavano dedicando all'ingrato compito di curare la mascella del povero Iamko.

“Cambiando argomento Bulma. Pensi che alla fine verranno Crilin e C18?” domandò Gohan. Sentendo quella domanda la scienziata si fece pensierosa.

“Non lo so.” ammise alla fine. “Bisognerà vedere se quella donna deciderà, per una volta, di mettere da parte l'orgoglio oppure no.”

“Beh...nel caso venisse spero solo che la mamma non si arrabbi! Lo sai anche te Bulma che cosa ne pensa di C18.”

“Già.” mormorò la scienziata mentre spostava la borsa del ghiaccio su un angolatura migliore della mascella di Iamko. “Certe volte tua madre ha proprio un caratteraccio! Speriamo che stavolta decida di stare tranquilla! Altrimenti la situazione rischierà di diventare ancora più difficile da gestire!”

Il piccolo sayan annuì. Non poteva far altro che trovarsi d'accordo con l'amica.

“Speriamo!” mormorò dubbioso.

 

C18 si appoggiò ad un muro poco distante dal bar dove Crilin e Marion erano andati a parlare. La cyborg poteva ritenersi soddisfatta. Non solo aveva trovato un posto di osservazione semplicemente perfetto, ma da lì non era neanche troppo lontana per poter sentire ciò che i due ex avevano da dirsi. Tendendo molto bene le orecchie, l'androide si mise in paziente attesa.

Dopo aver ordinato, a carico di Crilin ovviamente, tra i due ex cadde un silenzio imbarazzante. Sembrava che entrambi fossero piuttosto restii a cominciare il discorso. Alla fine fu la ragazza a cominciare.

“Crilin.” mormorò. Non sembrava volesse richiamare l'attenzione del terrestre. L'azzurra guardava pensosa il suo ex. Davanti a quello sguardo Crilin fece un sorriso triste.

“Il mio nome è quello. Credevo lo sapessi già.”

Marion continuò ad osservarlo con curiosità.

“Ti sei fatto crescere i capelli.” osservò con voce neutra.

Il piccolo guerriero si passò una mano tra quest'ultimi, arruffandoli ulteriormente.

“Già...è una storia un po' lunga.”

“Ti preferivo rasato. Avevi più l'aria da cucciolo che mi piaceva tanto. Così sembri più...più vecchio.”

Crilin fece un sospiro. Quella discussione sembrava lo stesse prostrando.

“Ho dovuto crescere. Mi sono successe tante cose in questi ultimi quattro anni. E non tutte sono state piacevoli.”

“Tra queste c'è anche il fidanzarsi con una biondina piuttosto scorbutica?” fece con voce divertita l'azzurra. Sentendo quella domanda, il terrestre diventò rosso come un pomodoro.

“No...cioè sì...però...” vedendo lo stato d'animo del suo ex, Marion sorrise, persa in chissà quali ricordi.

“Forse sei cambiato nell'aspetto. Ma in fondo resti sempre quel timido ragazzo che riusciva a scaldarmi il cuore con la sua bontà.”

Sentendo quelle parole Crilin sembrò rattristarsi. Gli occhi neri del piccolo guerriero sembravano persi in ricordi lontani. Il terrestre scosse la testa.

“No. Non sono più il Crilin che tu conoscevi Marion. Sono cambiato e forse è stato giusto così. Non sono più il ragazzo che voleva farti felice ad ogni costo. Sono diventato un altro e...e non credo che ti piacerebbe ciò che sono adesso.”

Marion sembrava voler ribattere, ma l'arrivo del cameriere con le ordinazioni bloccò la ragazza. Quando l'uomo se ne andò cadde di nuovo il silenzio tra i due.

 

C18 aveva ascoltato fino a quel momento con estrema attenzione. Da quello che era riuscita a capire, quell'oca era stata un'ex di Crilin. La notizia le fece nascere dentro di se una collera tremenda. Perché Crilin non gliene aveva mai parlato? Lei gli aveva detto tutto del suo passato. Non gli aveva nascosto nulla. E credeva che così fosse stato anche per lui. A quanto pare si era sbagliata. Rimuginando pensieri di vendetta nei confronti del piccolo guerriero, l'androide continuò ad ascoltare.

 

Nel frattempo, Marion e Crilin continuavano a rimanere in silenzio. Entrambi sembravano immersi profondamente nei loro pensieri. Tra i due fu Marion a riscuotersi per prima dal suo torpore. All'improvviso, l'azzurra ricominciò a parlare.

“Sai...ho avuto diversi ragazzi dopo che ci siamo lasciati. Ma, se devo essere sincera, nessuno di loro è riuscito a farmi stare bene come quando stavo con te.”

“Marion...”il tono del terrestre era duro. “Sono quasi quattro anni che non ci vediamo. Ormai è passato troppo tempo per poter pensare di tornare insieme. Ammetto che c'è stato un periodo in cui mi sei mancata molto. Ma ormai quel periodo è passato. Io sto con un'altra. Sono riuscito, nonostante tutto, ad andare avanti. Se ci sono riuscito io, non vedo perché tu non dovresti riuscirci.”

Sentendo quelle parole gli occhi della ragazza divennero lucidi. Nonostante ciò, la sua voce rimase ferma.

“Hai ragione. Ormai quello che è stato è stato. Eppure una parte di me ha continuato a sperare di poterti rivedere un giorno. Perché, se c'è stato un ragazzo che ha lasciato un segno nella mia vita, quello sei stato di sicuro tu. Tu sei l'unico ragazzo che avrei voluto sposare.” nonostante tutto, alla fine del suo discorso, a Marion la voce tremò leggermente.

Sentendo quelle parole il volto di Crilin si fece più duro. L'espressione del terrestre era veramente indecifrabile. Poi, ad un tratto, si alzò. Marion, vedendolo con il chiaro intento di andarsene, decise di fargli un ultima domanda.

“Aspetta!”

Sentendo una nota disperata nella voce dell'azzurra, Crilin si voltò osservandola sorpreso. Non aveva mai sentito parlare Marion in quel modo.

Vedendo che il terrestre si era fermato, Marion parlò. Per la prima volta capì veramente quanto fosse stato grande l'errore di lasciarlo.

“Perché? Perché lei sì e io no? Cosa ha in più rispetto a me? La trovi per caso più bella? È solamente per il suo aspetto fisico? La trovi più affascinante di me è così?”

Davanti a quella sfilza di domande Crilin non sapeva cosa dire. Finalmente il piccolo guerriero comprese il dolore di Marion. Nonostante tutto, la ragazza lo aveva amato molto. Ed il pensiero di averlo ritrovato, ma insieme ad un'altra, l'aveva ferita profondamente.

Preso dalla pietà per quella che un tempo era stata la sua ragazza, il piccolo guerriero gli si avvicinò. Una volta arrivato vicino a lei gli sorrise. Davanti a quel sorriso sincero, Marion sentì la sua tristezza diradarsi come fumo al vento.

“Mi dispiace Marion.” mormorò il terrestre con voce dolce. “Mi dispiace che tu soffra così tanto per causa mia.”

Un sorriso amaro spuntò sulle labbra dell'azzurra.

“Tanto tra dieci minuti mi avrai già dimenticato grazie a lei!” dichiarò con rabbia.

“No, ti sbagli.” fece il ragazzo con voce seria. “Io non ti dimenticherò perché non provo nei tuoi confronti odio, ma neanche amore. È finita Marion. Devi accettarlo. Crogiolarti nel tuo dolore non ti aiuterà a superare tutto ciò.”

“Belle parole. Ma non mi hai ancora detto cosa ha più di me!”

“Pensi veramente che saperlo ti farà sentire meglio?” domandò con voce dura il terrestre. Quando vide che la ragazza non sapeva come rispondere sospirò pesantemente scuotendo la testa.

“Non lo so. Non so cosa ha più di te. Ma so che ne sono innamorato e tanto basta. Non ci si può innamorare a comando Marion! È...è successo. E io devo accettare ciò che la vita mi ha riservato.”

“E lei? Ti ama?”

Un sorriso triste comparve sul volto di Crilin.

“Non lo so. Io però non smetto mai di sperarlo.” e, con queste parole, il ragazzo si girò e se ne andò.

“La abbandonerai!” gli urlò dietro Marion. “Un giorno ti stuferai di lei esattamente come ti sei stufato di me! E allora ti guadagnerai anche il suo odio!”

Stranamente, il terrestre non rispose a quelle accuse. Continuò imperterrito a camminare in mezzo alla folla. Alla fine scomparve, lasciando sola Marion con il suo dolore ed i suoi dubbi.

 

C18 aveva assistito a tutta la scena. La cyborg era molto perplessa. Non capiva. Perché Crilin non gli aveva mai parlato che aveva avuto altre ragazze prima di lei? Credeva che si sarebbe offesa? E per cosa poi? A differenza di lei, che di possibilità di avere delle storie erano state sotto lo zero, non ci sarebbe stato nulla di male se Crilin ne avesse avute prima di allora. Sarebbe stato il corso naturale delle cose.

E allora perché? Perché glielo aveva tenuto nascosto? Perché era stato zitto?

Un terribile dubbio cominciò a delinearsi nella mente della bionda.

“Non me l'ha detto perché non voleva farmi sapere che è un bastardo!” pensò con rabbia. Sì, la cyborg ne era sicura. Crilin gli aveva sempre mentito. Non l'amava. Non era mai stato neanche per un secondo innamorato di lei. Aveva fatto solamente finta di capirla. In realtà lui voleva solamente portarsela a letto. Era esattamente uno schifoso bastardo come tutti gli altri.

“Sono una stupida! L'ho baciato! L'ho abbracciato! Gli ho detto che volevo stare insieme a lui per sempre! Sono caduta nel suo trabocchetto come una deficiente!” i pensieri dell'androide traboccavano di rabbia ed amarezza. Crilin era un bastardo come tutti gli altri. Ma il piccolo guerriero era molto più astuto. Era un bravo attore. Con parole dolci e subdole, gli aveva fatto abbassare la guardia. Quella mattina era quasi riuscito nel suo intento. Per un attimo la cyborg ringraziò quei tre umani inferiori che l'avevano salvata involontariamente.

C18 lo vide camminare per strada. La stava cercando. Un ringhio di rabbia gli uscì dalla sua gola. Gliela avrebbe fatta pagare, e cara! Ma per farlo voleva una conferma. Gli avrebbe fatto ammettere che non era altro che un maledetto bastardo. Poi, lo avrebbe ucciso senza pietà.

Piena di rabbia, e decisa a vendicarsi ad ogni costo, l'androide si incamminò a passi decisi verso il terrestre che, ignaro di tutto, la cercava tra la folla con apprensione crescente.

 

Quando Crilin la vide spuntare tra la folla un sorriso stanco gli illuminò il volto.

“Eccoti finalmente! Mi stavo cominciando a preoccupare.”

“Seguimi!” fece con voce dura la cyborg. Perplesso da quel comportamento, il terrestre la seguì.

C18 camminava velocemente tra la folla, rendendo difficoltoso per Crilin seguirla. Il ragazzo teneva ancora in mano i vestiti che C18 aveva deciso di comprare. Sbuffando di fatica, e cominciando ad irritarsi per quella marcia forzata, il piccolo guerriero provò a chiedere spiegazioni.

“Ma mi puoi spiegare dove stiamo andando?”

“Zitto!” ringhiò la bionda. Sentendo il tono di lei, Crilin tacque.

Ad un tratto, C18 svoltò in un vicoletto, subito seguita dal terrestre. Una volta che fu sicura che erano da soli, l'androide si girò verso il ragazzo e lo fissò con sguardo freddo ed inespressivo. Davanti a quello sguardo, Crilin non poté fare a meno di provare un brivido di paura.

C18 continuò a rimanere in silenzio e Crilin, capendo che, per qualche ragione a lui ignota, la sua ragazza era furiosa, decise di seguire l'esempio di lei.

Poi, ad un certo punto, la cyborg parlò.

“Dimmi Crilin. Secondo te, io ho un bel corpo?”

“Eh??” il terrestre rimase semplicemente sbigottito da quella domanda. Da quando C18 gli faceva domande sul suo aspetto fisico?

Vedendo il piccolo guerriero confuso dalla sua domanda, C18 cominciò ad arrabbiarsi. A quanto sembrava, quel piccolo bastardo non voleva ammettere le proprio colpe. Peggio per lui. Gliele avrebbe estorte con la forza.

La bionda fece una faccia provocante, con una mano prese a toccarsi dolcemente il seno.

“Dai...lo so che ti piaccio...secondo te chi è più affascinante? Io o la tua amichetta di prima?” domandò con voce falsamente dolce.

“Ma cosa...cosa...” Crilin sembrò cadere nel panico. Osservava l'androide confuso. Sembrava non riuscisse più a muoversi.

“Avanti...non essere timido...” proseguì C18, sempre con un tono velenosamente dolce. La mano della cyborg cominciò a scendere con lentezza verso il suo pube. Fece un passo verso il terrestre e rimase stupita nel vederlo indietreggiare. Invece di avere l'espressione bramosa che la bionda si aspettava di vederli comparire in volto, Crilin sembrava semplicemente terrorizzato.

C18 si infuriò. Cosa significava quell'espressione di terrore? Perché non vedeva brillare negli occhi di lui il desiderio carnale? L'unica vera forza che consente ad un uomo di stare con una donna?

La rabbia dell'androide esplose con violenza. Era stanca di essere presa in giro da quel nanerottolo. Voleva avere delle risposte. Voleva la verità.

E l'avrebbe ottenuta. Ad ogni costo!

La sua espressione provocante sparì, sostituita da una gelida. Con un balzo afferrò il terrestre per la gola e lo sbatté con violenza contro il muro.

“C18?! Cosa...”

“ORA BASTA!” ruggì la cyborg. Crilin non l'aveva mai vista così furiosa. La fronte, di solito liscia, di lei era costellata da nervi e venette pulsanti. Nei suoi occhi c'era una luce assassina che fece venire i brividi al terrestre. Quando l'androide riprese ha parlare lo fece con un tono carico di rabbia.

“Mi hai veramente stufata con la tua falsa innocenza nanerottolo! Cosa credevi, che io fossi una stupida? L'ho capito benissimo che il tuo vero obbiettivo è quello di portarmi a letto! Sei un bastardo!”

“No! Non è vero! Non...” Crilin non riuscì a continuare. La voce gli si bloccò in gola quando la bionda aumentò la pressione sul suo collo.

“Basta!” sibilò furibonda. I suoi occhi sembravano rossi da quanta collera ci bruciava dentro. “Mi hai stancata con tutte le tue stronzate! Ammettilo!”

“C-cosa?” domandò con voce terrorizzata il ragazzo.

Un sorriso feroce si disegnò sulle labbra della cyborg.

“Voglio che tu l'ammetta! Ammettilo! Ti ho fatto una domanda prima! E adesso esigo una risposta!”

“C18...” il tono del ragazzo esprimeva paura allo stato puro. I suoi occhi, quegli stessi occhi che per mesi l'androide aveva osservato con affetto, erano pieni di dolore, paura e tanta, tanta confusione. Davanti a quello sguardo l'ira dell'androide raggiunse il suo picco massimo.

“VOGLIO UNA RISPOSTA!” urlò ormai sull'orlo di una crisi isterica. “AVANTI DILLO! DILLO CHE MI VORRESTI SCOPARE! DILLO CHE è SEMPRE STATO QUESTO IL TUO VERO OBBIETTIVO! DILLO CHE DESIDERI IL MIO CORPO! DILLO!!!!”

“C18...io...” Crilin sembrava aver perso la voce. L'unica cosa che riusciva a dire era il nome dei lei. Davanti a quella reticenza C18 perse definitivamente il controllo.

Aumentò la presa sulla gola del piccolo guerriero. Un urlo strozzato uscì dalle labbra di lui. Il muro dietro il ragazzo cominciò a creparsi sotto l'immensa pressione esercitata dalla cyborg.

“Risposta errata!” sibilò con rabbia. “Ti do un ultima possibilità prima di farti fuori! Desideri il mio corpo? Vorresti scoparmi? RISPONDI!”

“NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”

Alla fine Crilin era riuscito a parlare, a tirare fuori di bocca quel monosillabo che, mai come in quel momento, aveva desiderato dire.

Sentendo quella risposta, la rabbia di C18 sparì, sostituita da una profonda confusione. L'androide non riusciva a credere alle proprie orecchie. Stavolta Crilin non aveva mentito. Glielo aveva letto negli occhi che credeva con ogni fibra del suo essere a quella risposta che aveva appena dato. Ma allora cosa voleva Crilin da lei? Possibile che fosse veramente amore il suo?

Improvvisamente, la cyborg si sentì le mani deboli. Mollò la presa sul collo del terrestre. Crilin cadde a terra tossendo violentemente. Mentre il piccolo guerriero cercava di riprendersi, C18 lo osservò con sguardo vuoto. Mille domande si agitavano nella sua testa, e a nessuna riusciva a trovare una risposta.

Alla fine, dopo aver sputato fuori un grumo di sangue, Crilin si alzò. C18 si aspettava di vedere rabbia nei suoi occhi. Invece ciò che trovò fu un'immensa tristezza.

Tra i due cadde un silenzio imbarazzante, rotto solamente dai rumori della città.

“Perché mi hai fatto questa domanda?” mormorò lui all'improvviso.

C18 non seppe cosa rispondere. La cyborg si passò una mano sul volto sospirando. Era stanca. Infinitamente stanca. Stanca di ogni cosa. Avrebbe tanto desiderato poter trovare la pace. Lo voleva più di ogni altra cosa.

“Prima ti ho visto con...con quella.” dichiarò. Il suo tono non era freddo e pacato come al solito. Crilin notò infatti una nota di stanchezza che mai prima di allora aveva sentito nella voce dell'androide.

“Ho capito. Ti sarai domandata perché non ti ho mai parlato di Marion. Giusto?”

C18 non aveva più la forza neanche di parlare. Si limitò ad annuire in silenzio.

Crilin sospirò di esasperazione. Anche il terrestre si sentiva stanco. Schiacciato da troppi pesi. Il piccolo guerriero ormai non si ricordava neanche più cosa era vivere in pace. Nonostante la Terra era al sicuro da ogni pericolo, lui si sentiva ancora fuori posto. Credeva che con C18 sarebbe riuscito a stare bene, a ritrovare quella pace interiore che ormai da troppo tempo non aveva più. E ci era riuscito, in parte. Ma il terrestre sentiva che gli mancava ancora qualcosa. Forse Goku? Crilin si sarebbe sentito di sicuro molto meglio con il suo caro amico ancora in vita. Ma il terrestre non era sicuro che il sayan fosse la medicina al male della sua anima.

“Vedi C18. Una volta io ero molto diverso da come sono adesso.” mormorò con voce neutra. Parlare gli era veramente difficile in quel momento, ma per C18 il piccolo guerriero avrebbe sofferto le peggiori pene dell'inferno senza pensarci due volte.

“Quando io stavo con Marion, desideravo farla felice ad ogni costo. Volevo essere un ragazzo forte, sicuro di se, uno che una ragazza ci starebbe insieme con orgoglio.” il terrestre scosse la testa. A distanza di anni, il suo comportamento gli sembrava incredibilmente stupido. “Io volevo essere ciò che non potevo essere.”

“All'inizio feci finta di nulla. Cercai in tutti i modi di diventare quello che mi ero prefissato. Volevo fare felice Marion. Lo desideravo con tutto me stesso. Ad un certo punto decisi che gli avrei chiesto di sposarmi.”

“Ma poi, con il tempo, capì che ciò che desideravo era impossibile. Marion mi voleva bene. Ma lei in realtà amava un ombra di me. Non conosceva il vero Crilin, o forse faceva finta di non conoscerlo. Quando compresi che non avrei mai potuto renderla felice decisi di lasciarla.”

C18 sembrava non stesse neanche ascoltando. Si limitava a fissare il ragazzo con sguardo vuoto ed inespressivo.

“Ti chiederai perché non ti ho mai raccontato di lei? Beh, ad essere sincero, non è che sia una pagina della mia vita che mi piace ricordare. Avrei preferito cancellarla, anche perché da quando ti conosco tutte le donne di questo mondo sono sparite per me, ma, evidentemente, il destino non era dello stesso parer...”

Crilin non poté finire la frase. C18 all'improvviso lo aveva abbracciato. La cyborg appoggiò la sua testa sulla spalla di lui cominciando a baciarli il collo con dolcezza.

“Non mi interessa un bel niente del perché l'hai lasciata.” dichiarò ad un tratto l'androide ad un ancora basito Crilin.

“E allora perché hai reagito in quel modo prima?” domandò curioso.

“Perché ho visto quella ragazza soffrire e ho pensato che, un giorno, sarebbe toccato a me essere al suo posto a causa tua. Volevo sapere se tu mi amavi veramente oppure no.”

Crilin sbuffò. “Una domanda fatta in maniera civile ti pareva troppo eccessivo?”

C18 si staccò da lui. L'androide lo guardava con uno sguardo di finta offesa.

“Volevo essere sicura della sincerità della tua risposta.”

“E allora? Secondo te qual è la risposta?” domandò un ormai divertito Crilin.

Un tiepido sorriso spuntò sulle labbra dell'androide.

“Diciamo che posso ritenermi soddisfatta.” dichiarò con voce dolce.

Crilin sorrise. Il suo sorriso non sparì neanche quando abbracciò di nuovo la donna della sua vita, riempiendosi i polmoni del dolce profumo della sua pelle.

Il piccolo guerriero ne era sicuro. Non avrebbe commesso gli stessi errori che aveva fatto con Marion. Questa volta, la storia sarebbe stata diversa.

 

 

CONTINUA

 

Ho voluto provare ad immaginarmi un ipotetico incontro tra Crilin, ormai fidanzato con C18, e Marion. A differenza di molti altri scrittori del sito, io ho preferito descrivere Marion non come una gallina senza un grammo di cervello in testa, ma come una giovane donna un po' ingenua che amava ancora profondamente il piccolo terrestre. Spero però di non essere sforato nell'OOC con questa descrizione. Tuttavia, a mia difesa, posso dire che nell'anime, Marion, dopo che Crilin la lascia, gli dichiara che lo avrebbe spostato volentieri. Ho provato ad usare come spunto quella frase per descrivere il personaggio di Marion in questo capitolo.

La furia di C18...beh, devo ammettere che è stata un'altra idea improvvisa. Ho pensato che l'androide, vedendo Crilin far soffrire Marion, avrebbe pensato che, un giorno, avrebbe fatto la sua stessa fine. E da lì è nata la descrizione della sceneggiata dell'androide.

Ovviamente il litigio è finito nel miglior modo possibile, ma ho pensato che il loro rapporto, soprattutto all'inizio, non possa essere sempre stato rose e fiori, ma credo che un paio di litigi li abbiano avuti anche loro anche se poi sono riusciti a superarli (della serie: ciò che non uccide ci fortifica).

Bene. Dopo questa “interessante” descrizione (che non è fregata a nessuno) vi lascio liberi. Fine della lezione ragazzi!

DRINNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNN

C'è la ricreazione! :)

Un saluto!

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Capitolo 10
*** La festa ***


Capitolo 10

 

Crilin si tirò su, per la centesima volta, i jeans che indossava. Il terrestre stava maledicendosi profondamente per essersi dimenticato di mettersi la cintura.

Al suo fianco C18 osservava il piccolo guerriero mettersi a posto i pantaloni mentre cercava di trattenere le imprecazioni. L'androide sembrava profondamente irritata da quel comportamento.

“La vuoi piantare di agitarti?!” domandò con evidente fastidio nella voce.

“Se tu mi avessi comprato un pantalone della mia taglia, adesso non sarei qui ad agitarmi come un idiota!” borbottò il terrestre, irritato dall'insofferenza della bionda.

A quella accusa la cyborg si limitò a fulminarlo con un'occhiataccia delle sue.

“Non è colpa mia se a te non sta bene niente.”

“Grazie per il complimento!” rispose sarcasticamente il ragazzo mentre cercava un modo per non rimanere in mutande in mezzo alla strada.

Si trovavano davanti all'ingresso della Capsule Corporation. Nonostante fossero in leggero ritardo, Crilin non era eccessivamente preoccupato. Piuttosto c'era il fatto che non aveva alcuna voglia di andare a quella festa. In quel momento, il terrestre avrebbe voluto, più di ogni altra cosa, starsene a dormicchiare sul divano della Kame House sotto le coperte.

Sospirò di esasperazione mentre rinunciava a tirarsi su i pantaloni. Se quei stramaledettissimi jeans volevano stare bassi da far schifo, beh che ci stessero! E al diavolo le taglie ed i vestiti!

“Allora...facciamo così: entriamo, salutiamo, cerchiamo di essere gentili e tra un paio di ore togliamo il disturbo. Ok?”

Sentendo quelle parole, C18 si girò di scatto. I suoi occhi azzurri brillavano di rabbia.

“Avevi detto un'ora!”

“Beh...ecco...non possiamo stare lì solo un'oretta...non sarebbe molto gentile!”

L'androide si avvicinò al terrestre, il suo viso sfiorò di pochi centimetri quello di Crilin.

“Un'ora!” ringhiò la bionda con un tono che non ammetteva repliche. Ma il piccolo guerriero non aveva voglia di fare la figura del maleducato davanti ai suoi amici.

“Un'ora e tre quarti?” propose speranzoso.

Sentendo quella proposta, la cyborg strinse i suoi occhi fino a farli diventare due fessure di ghiaccio.

“Un'ora.” ripeté con un tono da far venire i brividi. Crilin non poté far altro che accettare.

“E va bene! Vada per un'ora!”

Detto questo, il ragazzo si incamminò verso la porta della casa di Bulma, seguito a ruota da una C18 che desiderava essere, in quel momento, da tutt'altra parte.

 

Crilin suonò il campanello. Dopo circa un minuto di attesa, la porta venne aperta da una donna con dei vaporosi capelli biondi. C18 fissò inorridita l'acconciatura della sconosciuta. Dentro di se, l'androide pensò che avrebbe preferito raparsi a zero piuttosto che far subire ai propri capelli lo stesso terribile destino.

La donna osservò i due arrivati con attenzione. Aveva un sorriso sciocco sul viso che gli dava l'aria di una persona perennemente con la testa tra le nuvole.

“Salve ragazzi! Siete per caso amici di Bulma?”

In quel momento Crilin si ricordò che era dal matrimonio tra Bulma e Vegeta che non vedeva la madre della scienziata. Un sorriso divertito gli apparve sul volto. Doveva essere cambiato proprio tanto per non farsi riconoscere da Bunny Brief.

“Signora Brief...sono Crilin. Si ricorda di me?”

“Crilin? Oh ma che bella sorpresa! Quanto sei cambiato! Certo che sei diventato proprio un bel ragazzo!”

“Troppo buona Signora...” mormorò il terrestre rosso in viso dall'imbarazzo. In quel momento Bunny Brief si accorse della presenza silenziosa di C18.

“E questa bellissima ragazza chi è? È la tua fidanzata?”

“F-fidanzata?” balbettò il piccolo guerriero in preda al panico. Il rossore sul suo viso aveva raggiunto il suo livello massimo. Sembrava che dovesse scoppiare da un momento all'altro. Per qualche strano motivo, C18 trovò la scena divertente. Tuttavia, la sua faccia rimase impenetrabile.

“Sì, fidanzata caro...ho detto proprio così.” replicò serafica Bunny. “Lo sai che quella maglietta ti sta proprio bene cara? Sono sicura che Crilin te la staccherebbe a morsi!”

“B-Bulma!!!!” Crilin urlò con disperazione il nome dell'amica, sperava con tutto se stesso che Bunny Brief sparisse prima che, con le sue piccanti insinuazioni, facesse esplodere l'irascibile androide.

Sentendo l'urlo disperato dell'amico, Bulma accorse subito. Quando vide chi era stato a richiamarla, la scienziata si aprì in un grande sorriso.

“Crilin! Sono felice che tu sia venuto! Mamma tornatene subito di la! Lasciali pure a me.” aggiunse alla madre. “Avanti! Entrate pure!”

Superata la madre di Bulma, che serafica come al solito se ne andò via senza degnare più di uno sguardo i due nuovi arrivati, Crilin e C18 entrarono all'interno della Capsule Corporation. Vedendo l'androide Bulma la salutò cortesemente e con un grande sorriso. C18 gli passò davanti senza degnarla di un solo sguardo.

Alla scienziata si gelò il sorriso sulle labbra. Crilin, capendo al volo la situazione, cercò di calmare le acque.

“Scusala Bulma. Il fatto è che non è di buon umore stasera!”

“Non mi ha neanche degnata di uno sguardo.” mormorò rabbiosamente la madre di Trunks. “Ma chi si crede di essere quella brutta smorfiosa?!”

“Bulma...” il volume della voce di Crilin era basso, ma si poteva distinguere lo stesso un tono di supplica. “Bulma...ti prego! Lascia stare! Lei è fatta...è fatta un po' a modo suo. Non voleva offenderti!”

La scienziata sembrò tranquillizzarsi, almeno in parte. Subito dopo superò l'androide facendo strada ai due nuovi ospiti.

Crilin sorrise. Mentalmente il terrestre si ricordò di regalare un mazzo di fiori grande come la Capsule Corporation all'amica. Bulma era proprio una donna unica nel suo genere.

Il giardino interno della grande abitazione era pieno di gente. I guerrieri Z festeggiavano la nascita del figlio di Goku con gioia e spensieratezza. Al centro della festa c'era Chichi. La donna sembrava ancora provata dal recente parto. Aveva il viso leggermente sciupato ed il seno gonfio dall'allattamento. Nonostante ciò, la moglie di Goku sembrava una regina da quanta gioia sprizzava. Teneva tra le braccia un piccolo fagotto da cui uscivano due braccine che si muovevano senza alcuna coordinazione. Una lunga coda marrone si agitava da una piega del fagotto.

Tuttavia, quando i due fidanzati entrarono, calò il silenzio. Ad eccezione di Iamko, Bulma, Gohan e Muten, gli altri erano all'oscuro di tutto quello che era successo a Crilin in quegli ultimi cinque mesi. Difficile dire cosa li sorprese di più. Se il cambiamento del loro amico, oppure la presenza dell'aggraziata figura di C18 al suo fianco.

Umano e cyborg si avvicinarono al madre di Gohan. Vedendo l'androide entrare, Chichi strinse i suoi occhi scuri fino a farli diventare due fessure. Ogni gioia era sparita dal suo volto, sostituita da sorpresa e rabbia.

Bulma, intuendo subito la probabile reazione dell'amica, si avvicinò alla donna. La scienziata gli poggiò una mano sulla spalla e cominciò a parlarle velocemente all'orecchio.

“Chichi non fare pazzie! Loro sono qua perché li ho invitati io!”

“Cosa...cosa ci fa quel mostro qui?! Non voglio vederlo!” sibilò furiosa la mora dirigendo uno sguardo carico d'odio verso l'androide.

“Chichi!” il tono di Bulma si fece minaccioso. “Smettila di fare la bambina! Non ti fa niente! E comunque cosa penserebbe di te Goku vedendo come tratti la fidanzata del suo migliore amico?”

Sentendo il nome del suo adorato marito, Chichi sembrò calmarsi. Il suo viso divenne una maschera impenetrabile. Quando Crilin e C18 arrivarono davanti a lei, il suo volto non esprimeva più niente. Sembrava una maschera di granito.

“Ciao Chichi!” esclamò con tono allegro il terrestre.

“Ciao.” fece con tono neutro la donna. “Vedo che sei cambiato parecchio in questi ultimi mesi.”

“Beh...in effetti mi sono successe parecchie cose.” dichiarò con tono leggermente divertito il piccolo guerriero. Con una mano prese ad arruffarsi i capelli in un gesto ormai abituale.

C18 continuò a stare zitta. All'androide non era sfuggita l'occhiataccia carica di odio che la mora gli aveva indirizzato poco fa. Ma alla bionda la cosa non la toccava più di tanto.

“Cosa pensi? Che voglia rapirti il tuo marmocchio? A me non me ne frega nulla di te, mettitelo bene in testa!” furono i pensieri della cyborg nel vedere l'ostilità, non troppo mascherata, di Chichi nei suoi confronti.

“Allora! È questo qui il piccolo Goten?” continuò il terrestre, ignaro dei pensieri che frullavano in testa alla sua fidanzata.

Sentendo parlare del suo bambino, la moglie di Goku sembrò sciogliersi. Abbassò con dolcezza il fagotto all'altezza del piccolo guerriero. Crilin guardò dentro con curiosità. Rimase stupito nel vedere il secondogenito del suo migliore amico. Il piccolo Goten era il ritratto di suo padre. Un bambino sano e forte che agitava con gioia le braccine in aria ridendo apertamente.

C18 osservò con scarso interesse il contenuto del fagotto tenuto in mano da Chichi. Il bambino non gli pareva niente di che. Era esattamente la copia del padre. Quello stesso sayan che avrebbe dovuto uccidere per vendicare la distruzione del Red Ribbon.

Quando il bambino si accorse di essere osservato, smise subito di agitarsi. I suoi occhioni, neri come tutti quelli dei veri sayan, si soffermarono in particolare sulla chioma dorata dell'androide. Appena abbassò lo sguardo sul volto inespressivo di C18, il bambino cominciò a ridere. Alzò le braccine, quasi volesse che la cyborg lo prendesse in braccio. Lo sguardo dell'androide, un misto tra il sorpreso e lo scettico, fu la sua unica reazione davanti a quello strano spettacolo.

“E adesso cosa vuoi mostriciattolo?” pensò nel vedere il bambino mandarle un sorriso.

Osservando la strana scena Crilin ridacchiò.

“A quanto pare, tu gli piaci.” fece con voce divertita. L'occhiataccia che la bionda gli rifilò fu una risposta sufficientemente chiara di cosa ne pensasse di quella situazione.

Davanti alla reazione del figlio Chichi serrò le labbra fino a farle diventare due linee sottilissime. Tuttavia, la donna non sembrò particolarmente arrabbiata.

Dopo che Crilin ebbe fatto i migliori auguri alla moglie del suo amico, C18 e il terrestre si allontanarono diretti verso un tavolinetto situato in un angolo del grande giardino. Entrambi erano profondamente a disagio. Il loro arrivo non era passato inosservato.

“Ci stanno osservando tutti.” mormorò il terrestre.

“Senti...” per la prima volta da quando era entrata nella casa di Bulma, C18 parlò. “Vai pure dai tuoi amichetti. Io ti aspetto seduta qua.”

“Stai scherzando?! Io non ti lascio qui sola!” protestò il piccolo guerriero. L'androide si irritò sentendo le sue parole.

“Non sono un'umana inferiore, mettitelo bene in testa!” sbottò con rabbia. “E adesso sparisci! Vedrai che tra cinque minuti avranno già smesso di fissarmi.”

Crilin non era particolarmente convinto di ciò, ma lo sguardo che la cyborg gli indirizzò fu sufficiente. Sospirando di esasperazione, il terrestre si allontanò, dirigendosi verso Iamko e Tensing.

C18 si sedette sullo sgabello con un unico, fluido movimento. Una volta trovata una posizione accettabile, quella dannata seggiolina era scomodissima oltre che fredda come il ghiaccio, l'androide si mise ad osservare con scarso interesse le persone che gli passavano davanti.

“E adesso mettiamoci in attesa.” pensò con rabbia. Un'ora non le era mai parsa così lunga.

 

Quando Crilin raggiunse Iamko calò subito un silenzio imbarazzante tra i due. Entrambi i guerrieri sembravano incapaci di affrontare la questione. Poi, ad un tratto, l'ex fidanzato di Bulma parlò.

“Senti Crilin...” borbottò con fare impacciato. “Riguardo quello che è successo stamattina...beh...lo so che non ho scusanti...però...cioè io volevo dirti...sì insomma...scusami.”

Crilin dentro di se si divertì un mondo nel vedere l'amico così impacciato. Il piccolo guerriero si era pentito della sua sconsiderata azione un minuto dopo averla commessa. Sapeva che Iamko non l'aveva detto con cattiveria. Se aveva rivolto quelle offese alla sua ragazza, era perché, in fondo, non la conosceva bene. Crilin stesso la prima volta che l'aveva vista aveva pensato le stesse identiche cose. Diciamo che gli eventi futuri gli avevano fatto cambiare drasticamente idea.

“Non c'è bisogno che ti scusi amico mio. Anche io ho sbagliato a colpirti. Mi sono comportato malissimo. Scusami.”

“E di cosa?” fece Iamko, sorpreso da quella risposta. “Dopo quello che avevo detto mi sarei meritato non uno ma almeno due pugni in faccia!”

Crilin stava per ribattere quando Tensing bloccò bruscamente sul nascere quello scambio di scuse e complimenti.

“Sentite. Lasciamo perdere ok? Diciamo che avete sbagliato entrambi. Dai Crilin raccontaci un po' di te! Sono mesi che non sento tue notizie.”

Crilin sorrise. Il pensiero di aver ritrovato i suoi vecchi amici lo aveva messo, improvvisamente, di buon umore.

“D'accordo. Se è questo che volete...”

 

C18 sbuffò. Il suo sguardo glaciale si diresse sull'orologio che si trovava all'angolo della stanza. Rimase allibita, oltre che infuriata, quando scoprì che era seduta su quella dannatissima seggiola da solamente venti minuti. Venti fottutissimi minuti.

Sospirò esasperata. Ma quando ci metteva il tempo a passare? Forse l'orologio era rotto. Non era possibile che fosse seduta su quel blocco di ghiaccio da solo venti minuti. Ci doveva essere un errore.

“Ciao!”

L'androide ci mise un paio di secondi a comprendere che quella voce, ed era una voce che conosceva, era diretta verso di lei.

Girò lentamente la testa cercando di stamparsi in faccia la sua espressione più glaciale. Non aveva alcuna voglia di chiacchierare. L'unico suo desiderio era quello di andarsene a dormire. Quella giornata era stata un vero e proprio inferno.

Gohan sorrise nel vedere la faccia della bionda. Si sedette al suo stesso tavolino, ignorando spudoratamente lo sguardo assassino che la cyborg gli rivolse.

“Come mai non sorridi mai? Sono sicuro che ti sentiresti meglio se, ogni tanto, la smettessi di fare quella faccia.”

C18 rimase semplicemente allibita. Ma chi si credeva di essere quel nanerottolo per venire li e sparare sentenze su di lei?

“Non sono affari tuoi!” ringhiò con rabbia. “E adesso sparisci!”

Gohan disobbedì all'ordine che l'androide gli aveva dato. Nonostante disobbedire ad un adulto fosse contro ogni suo principio, al piccolo sayan gli si stringeva il cuore nel vedere C18 tutta sola. Nonostante avesse cercato di uccidere suo padre, aveva sempre provato un moto spontaneo di simpatia per quella donna. Forse erano i primi ormoni adolescenziali, forse era semplicemente nel suo carattere provare simpatia per tutti. Dopotutto, era solamente un bambino di cinque anni quando era riuscito a sciogliere il cuore di ghiaccio di un truce guerriero namecciano. Perché, ora che era cresciuto ed era diventato, suo malgrado, il guerriero più forte dell'universo, non avrebbe dovuto riuscire a fare lo stesso con C18? Sotto molti aspetti Piccolo e la cyborg si assomigliavano. Erano entrambi molto orgogliosi e schivi. Ed entrambi rivelavano con difficoltà i propri sentimenti. Comunque su una cosa C18 differiva dal suo amico namecciano: l'androide aveva un carattere molto ma molto più complesso di quello del suo amico Piccolo. Non sapeva cosa lo spingeva ad arrivare a questa conclusione, ma ne era sicuro.

“Forse perché è una donna.” pensò con un sorriso. Suo padre gli aveva sempre detto che le donne, ed in particolare sua madre, erano imprevedibili ed avevano un carattere molto ma molto complicato.

Vedendo che Gohan non si decideva ad andarsene, C18 si irritò ancora di più. Ad un tratto si domandò perché non era già scattata a picchiarlo selvaggiamente. Forse perché era più forte di lei? No, non era per quello. Il fatto era che quel ragazzino la irritava ma, allo stesso tempo, la sua bontà d'animo le toglieva ogni forza di fargli del male. Dopotutto, se adesso lei era là, lo doveva solamente a lui.

“Cos'è sei sordo?” domandò acidamente. “Ti ho detto di sparire!”

Il sorriso sul volto del ragazzino si allargò. Sembrava divertirsi nel vedere l'androide arrabbiarsi.

“Non mi va di lasciarti da sola.”

Sentendo quelle parole un ghigno si dipinse sulle labbra sottili di lei.

“Non sono una femminuccia piagnucolosa come quelle che conosci. Stai tranquillo che non piangerò nel rimanere da sola.”

Gohan non smise di sorridere. Davanti a quella faccia così allegra, C18 sentì fortissimo l'impulso di colpirlo.

“Perché non parliamo un po'? Così non ti annoierai.”

“Io non voglio parlare.” sibilò con evidente irritazione l'androide. “Non mi sto annoiando, non ho alcuna voglia di perdere il mio tempo con te, e se adesso non te ne vai tua madre rimarrà priva del suo adorato primogenito!”

Gohan rise. Era una risata allegra e genuina. Sentendo quel suono argentino C18 rimase confusa. Perché quel ragazzino rideva? La stava prendendo in giro per caso?

“Beh? Adesso cosa diavolo hai da ridere?”

“Niente. Ma c'è il fatto che, più cerchi di mandarmi via, e più ti trovo simpatica.”

La cyborg sospirò. Fantastico. Adesso, oltre a Crilin, aveva anche quel marmocchio che le rompeva le scatole. Non poteva certo dire che aveva fortuna. Più lei voleva essere lasciata in pace, più la gente la cercava. Sembrava una specie di maledizione.

“Senti...non ho voglia di parlare. Quindi, prima che ti faccia molto male, vedi di levarti dai piedi!”

Sentendo quelle parole Gohan continuò a sorridere. Il ragazzino trovava quella donna, nonostante tutto, incredibilmente buffa.

“D'accordo. Visto che non vuoi parlare tu, lo farò io.” e detto ciò, il piccolo sayan cominciò a parlare. Gli narrò della sua vita sui monti Paoz, del fatto che gli mancasse il suo papà, di come si sentisse in colpa per la sua morte. All'inizio l'androide lo ascoltò con scarso interesse. Tuttavia, col passare del tempo e quasi senza accorgersene, la sua attenzione nei confronti di quel marmocchio aumentò.

Il tempo passava. Mentre Gohan narrava una dietro l'altra tutte le incredibili avventure che aveva avuto nella sua breve vita, C18 si accorse che, impegnata com'era nell'ascoltare quel ragazzino, non si era accorta che era passata un'ora e mezza. Un flebile sorriso gli increspò le labbra. Dopotutto, non era poi così pesante e noioso lo stare seduti ad ascoltarlo.

“GOHAN?! COSA DIAVOLO STAI FACENDO?!”

Un urlo, ma sarebbe più corretto chiamarlo ruggito, sovrastò il chiacchiericcio della festa. Appena Gohan lo udì si fece pallido in volto. Per la prima volta da quando lo conosceva, C18 lo vide spaventato. Curiosa di scoprire chi poteva far reagire in quel modo quel buffo ragazzino, l'androide girò la testa verso la fonte di quell'urlo belluino. Quando vide chi era stato, sulla sua faccia si dipinse la sua espressione più glaciale.

Chichi osservava il proprio primogenito con sguardo sconvolto. Sul suo volto si potevano leggere chiaramente rabbia e sorpresa.

Tra i presenti calò il silenzio. Crilin osservava preoccupato la moglie del suo migliore amico. La sua faccia non faceva presagire nulla di buono.

La donna si avvicinò al tavolino dove Gohan e C18 erano seduti a passo di marcia. Quando si avvicinò il suo volto, di solito piacevole, sembrava quello di una tigre.

“Cosa stai facendo?!” ringhiò nei confronti di suo figlio.

“Mamma...” mormorò il ragazzino. “Non sto facendo nulla di male...sul serio! Stavamo solamente parlando.”

“Non mi interessa!” urlò la donna con tono vagamente isterico. “Non voglio che tu ti avvicini a lei! Hai capito?”

Gli occhi di C18 si strinsero fino a diventare due fessure di ghiaccio. L'androide stava cominciando a perdere la pazienza.

“Non c'è bisogno che ti agiti tanto.” esordì con voce glaciale alzandosi. “Non ho intenzione di uccidere il tuo adorato bambino.”

Lo sguardo della mora si fece carico di diffidenza.

“Se pensi che io ti creda ti sbagli di grosso! Non mi interessa cosa ne pensano Crilin o Bulma di te! Tanto tu sei solamente un mostro assetato di sangue!”

“Chichi!” all'improvviso la voce della madre di Trunks si udì distintamente. La donna coi capelli azzurri fece per avvicinarsi ma un cenno della cyborg la fermò.

“Lasciala parlare!” fece l'androide. Nonostante avesse un espressione tranquilla, si notava chiaramente che la bionda era molto arrabbiata. “Tanto è inutile che fai finta di proteggermi! Pensate che non me ne sia accorta? Lo vedo come mi guardate. Lo so che mi odiate e mi considerate una solamente un robot assetato di sangue!”

Davanti a quelle parole nessuno ebbe il coraggio di proferire parola. Crilin osservava con orrore crescente la situazione degenerare.

“No! No! Ditemi che è solo un incubo! Vi prego ditemelo!”

“Ma c'è una cosa che voglio dirvi prima di andarmene.” continuò con voce glaciale l'androide. “A me, di voi, non me ne frega un bel niente. L'unica persona che avrei dovuto uccidere è già morta. Se stasera sono qui è perché mi avete invitata voi. Ma ciò non toglie che non ho alcuna intenzione di essere offesa senza reagire!”

“Offesa?!” dichiarò con tono cattivo la madre di Gohan. “Offesa?! No, non ti sto offendendo! Io sto dicendo la verità! Sei un mostro! E non sono solo io che lo pensa qui!”

“Adesso basta!” all'improvviso, Crilin decise di intervenire. Tuttavia, bastò un'occhiata di C18 per bloccarlo subito.

“Impicciati degli affari tuoi!” ringhiò la bionda. In quel momento la moglie di Goku tornò a parlare.

“Ma guardati! Tratti male anche l'unica persona che vorrebbe difenderti! E tu saresti un essere umano? Una donna? Lasciatelo dire chiaro e tondo cosa sei veramente: sei solamente un tro...”

Fu un attimo. Un istante prima che successe Crilin capì. Prima ancora di pensare alle conseguenze del suo gesto, decise di intervenire.

Con uno scatto, il piccolo guerriero si mise davanti a Chichi a braccia aperte. Un istante dopo, una violenta ginocchiata lo spedì contro il muro.

C18 strinse la mani fino a conficcarsi le unghie nella carne. I suoi occhi dardeggiavano di ira. Scintille azzurre di energia si sprigionavano dalle sue mani. Tutti erano convinti che la sua collera sarebbe esplosa con violenza. Invece, contro ogni loro aspettativa, l'androide se ne andò dalla Capsule Corporation a grandi passi distruggendo ogni porta che incontrava sul suo cammino.

Crilin si rialzò lentamente. Aveva il fiato mozzo per il colpo ricevuto.

“Crilin...” Iamko fece per avvicinarsi, ma il terrestre lo fermò con un'occhiataccia.

“Siete...degli idioti!” ringhiò.

La sua voce si disperse lentamente nella sala. Nessuno sembrava voler controbattere alle sue parole.

Crilin si appoggiò con evidente fatica alla parete. Dentro di se il piccolo guerriero si malediceva per aver voluto portare C18 a quella dannatissima festa.

“Crilin...” questa volta a parlare fu Bulma. La scienziata sembrava profondamente dispiaciuta da quello che era successo. Ma Crilin era troppo infuriato per notarlo.

“Andate...tutti...all'inferno!” e, con queste parole, il piccolo guerriero corse fuori dalla sala.

“Crilin aspetta!” Iamko fece per seguirlo, ma Muten lo bloccò subito.

“Lascialo stare.” mormorò l'anziano maestro di arti marziali. “Ha bisogno di stare da solo.”

Il guerriero annuì. Come al solito, Muten aveva ragione.

In quel momento, l'attenzione di tutti si spostò verso Chichi. La donna era rimasta immobile. Sembrava incredibilmente confusa.

“Chichi...” Bulma chiamò l'amica con tono severo. Davanti a tutte quelle facce accusatorie, la moglie di Goku provò, per la prima volta in vita sua, dei sensi di colpa.

“Forse...forse ho esagerato.” mormorò.

 

Crilin volava con tutta la velocità di cui era capace. Voleva trovare C18. Voleva abbracciarla. Voleva farle capire che, le parole di Chichi, erano solo delle stupide bugie.

Ma non era facile. L'androide sembrava sparita nel nulla. Il fatto che non possedesse un'aura non aiutava di certo il piccolo guerriero.

Ad un certo punto si fermò. Era inutile volare a casaccio senza alcuna meta precisa. Doveva cercare di ragionare per capire dove la sua adorata C18 avrebbe potuto decidere di andare.

“Pensa Crilin! Pensa! Dove potrebbe decidere di andare? Alla Kame House? No. Quello è sicuramente l'ultimo posto dove cercarla. Ma allora dove? Dove?”

All'improvviso, un idea gli venne in mente. Gli pareva alquanto improbabile che C18 andasse là. Ma, per qualche oscura ragione, il piccolo guerriero era sicuro che l'androide fosse volata fino a quel posto.

Stranamente rinfrancato da quella sensazione, il terrestre ricominciò a volare verso la sua nuova meta.

 

CONTINUA

 

Fantastico! Veramente fantastico! Questo week-end è stato incredibilmente fortunato per me. Mi sono incrinato una costola cadendo dalla bici a causa del ghiaccio, ho 38 e mezzo di febbre ed un mal di gola da far schifo! Eppure, nonostante tutto, sono ancora vivo!

Ordunque, cosa ne pensate di questo capitolo? A me mi pare patetico, anche considerando che metà l'ho scritto mezzo rincoglionito dalla febbre. Ma, come al solito, spetta a voi spensierati (ma anche no) lettori giudicarlo!

Bene bene! Attualmente sto già lavorando al prossimo capitolo e vi posso dire che non è per niente semplice da scrivere! Spero vivamente di poterlo pubblicare entro venerdì (Se sarò ancora vivo).

Ok...adesso basta scassarvi i cosiddetti. Mi dileguo.

Un saluto!

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Capitolo 11
*** Tu sei mio! ***


Capitolo 11

 

Appena Crilin arrivò a destinazione, una valanga di ricordi recenti lo sommerse. Quella era la loro isola. Era là che si erano rivisti dopo sette mesi. Era là che si erano allenati per tanto tempo. Era là che lui aveva pronunciato il suo giuramento. Quello stesso giuramento che, adesso, sembrava non essere riuscito a mantenere. Era là che era iniziato tutto.

Il piccolo guerriero cominciò a cercare la sua adorata C18. Dopo circa cinque minuti scoprì di non essersi sbagliato. La cyborg era seduta sulla spiaggia. Teneva le ginocchia strette al petto e fissava il mare con sguardo vuoto.

Quando Crilin atterrò, l'androide si girò a guardarlo. Nel vedere i suoi occhi il terrestre si sentì morire. Gli occhi di lei erano spenti, freddi, privi di qualunque sentimento. La sua faccia non esprimeva assolutamente nulla. Era come se, per la cyborg, quell'anno di vita non fosse mai trascorso, come se si fosse svegliata solo in quel momento dal suo lungo sonno artificiale all'interno della capsula criogena del Dottor Gero.

In quel momento, Crilin si trovava a circa tre metri di distanza da lei. Quando il terrestre provò a fare un solo passo nella sua direzione, l'androide strinse gli occhi fino a farli diventare due fessure. Il piccolo guerriero capì subito. Se avesse provato ad avvicinarsi ancora, C18 non ci avrebbe pensato due volte ad ucciderlo violentemente.

Appena lo vide fermo, C18 smise subito di guardarlo. L'androide tornò a fissare il mare con sguardo atono come se niente fosse.

Per Crilin tutto ciò era una vera e propria tortura. In quel momento, l'unica cosa che desiderava era poter stringere fra le sue braccia la sua adorata C18. Ma avrebbe aspettato. Per lei, avrebbe fatto ogni cosa.

Il terrestre si inginocchiò, chiuse gli occhi e si portò le mani al petto. Avrebbe aspettato là fino a quando la cyborg non avesse deciso di parlargli.

Passarono dieci minuti. Poi venti. Mezz'ora. Poi un'ora. Le mani del piccolo guerriero si intorpidirono, le sue ginocchia cominciavano a protestare per il lungo sforzo a cui le stava sottoponendo, i muscoli della schiena gli bruciavano. Ma a Crilin tutto questo non gli interessava. Avrebbe aspettato. Anche se ciò comportava diventare pietra e poi polvere. Mai come in quel momento, la sua vita gli pareva futile rispetto a quella della sua adorata C18.

Alla fine, dopo più di un'ora di attesa, l'androide decise di parlare.

“Vattene.”

Crilin aprì gli occhi, sorpreso ed addolorato nel sentire il tono freddo e distaccato di lei. Il terrestre vide che, adesso, la cyborg lo stava fissando.

Scosse la testa. Non se ne sarebbe andato. Non l'avrebbe abbandonata. Aveva fatto un giuramento e l'avrebbe mantenuto.

Vedendo la risposta di lui, C18 tornò a fissare il mare. Non sembrava né arrabbiata né irritata dal rifiuto del terrestre. Sembrava essere tornata il cinico e freddo cyborg di una volta.

“Perché?”

Il piccolo guerriero ci mise un istante a comprendere che C18 aveva ripreso a parlare. Era stato, più che una domanda, un sussurro. Un leggero e flebile sospiro.

“Che cosa?” domandò con voce roca, causata dal lungo silenzio che si era imposto.

L'androide non rispose subito. Continuava ad osservare il continuo ed infinito scontro tra le onde del mare e la terra.

“Perché? Perché non mi lasci in pace? Perché continui a rovinarti la vita per me? Perché sei così testardo? Cosa ti spinge ad avere così poca considerazione della tua vita?”

Crilin sorrise. Si era posto quelle stesse domande molte volte. E ogni volta aveva trovato le proprie risposte in una sola, semplice frase.

“Perché ti amo.” mormorò con voce dolce.

Sentendo quella risposta C18 non reagì. Continuò a rimanere immobile ad osservare l'oceano.

“L'amore...” mormorò con tono neutro. “Il sentimento più stupido che voi umani possiate provare!”

“Perché dici così?” domandò dolcemente il terrestre. “Innamorarmi di te è stata la cosa più bella che mi potesse capitare.”

“Basta!” dichiarò ad un tratto l'androide con violenza. Il freddo autocontrollo che si era imposto si stava sbriciolando velocemente. “Smettila di dire stronzate!”

Crilin sorrise. Ma il suo era un sorriso triste.

“Perché fai così? Non ti è forse piaciuta la vita che facevamo amore mio? Veramente questi mesi ti sono sembrati una stronzata?”

“Sei...sei un idiota!” urlò con voce irata la bionda. I suoi occhi fissavano il mare con infinita tristezza. Del suo comportamento freddo non era rimasta traccia. “E la sai una cosa? Se tu sei un idiota, io sono una cretina! Mi sono illusa! Ho dato retta...ho dato retta alle tue stupide, inutili e folli parole! Ho commesso l'errore più grande che potevo fare!”

Crilin osservava in silenzio lo sfogo della cyborg. Dentro di se il piccolo guerriero si sentiva stanco. Stanco e triste. Stanco di tutto. Ma voleva stare insieme a C18. Lo voleva con tutto se stesso. E se, per esaudire il suo desiderio, doveva stare inginocchiato a martoriarsi le ginocchia, allora lo avrebbe fatto.

“Di quale errore stai parlando?”

C18 girò la testa e lo fissò. Crilin rimase, come al solito, semplicemente incantato dalla bellezza e dalla profondità dei suoi occhi. L'unica nota che stonava in quei due gioielli della natura era la tristezza che ci albergava dentro. Li rendeva come opachi. Al terrestre piangeva il cuore nel vedere quella luce triste brillare in quei due bellissimi zaffiri.

“Io...io mi sono affezionata a qualcuno...” mormorò in un sussurro appena percettibile l'androide. “Mi sono dimenticata quello che non avrei mai dovuto dimenticarmi.”

“E cioè?”

“Io sono un cyborg.” dichiarò C18. “Un cyborg! Sono una macchina. Non avrei mai dovuto darti retta. Mi sono illusa. Mi hai illusa.” il tono della voce dell'androide era carico di amarezza.

“Io non ti ho illusa.” mormorò con dolcezza il terrestre. “Tutto quello che ti ho detto...tutto quello che ho fatto...sono stati tutti gesti spontanei, venuti dal cuore. Devi credermi amore mio. Io ti amo. Non mi interessa cosa dicono gli altri. Per me, la gioia più grande del mondo, è stata vivere questi mesi con te. Essere picchiato ed offeso da te non mi ha pesato minimamente. I tuoi baci, le tue carezze, i tuoi abbracci...sono stati...bellissimi. Dimentica ciò che hai sentito stasera C18. Dimenticalo. Ti fidi di me? Ti ho mai mentito?”

“Sei uno stupido.” mormorò con tristezza l'androide. “Tu non capisci. Ti rifiuti di capire.”

“Che cosa?”

Stizzita, la cyborg pestò un pugno per terra. Il suo colpo fece tremare l'intera isola.

“Dannazione Crilin! Guardami! Vedi cosa posso fare? Vedi cosa sono realmente? Io non sono e non posso essere una ragazza normale. Io sono un androide. UN ANDROIDE CAPISCI?! Io sono un essere votato alla guerra. Un essere che, dalla vita, può ricevere solo morte e odio.” il suo sguardo, da irritato, si fece triste. “Io sono un mostro.”

Quelle ultime parole colpirono Crilin con la violenza di un calcio di Cell. Mai C18 aveva pensato a se stessa come ad un mostro. Mai la cyborg si era vista come un essere ripugnante. Il suo disprezzo era sempre stato diretto contro gli esseri umani. Quegli stessi umani di cui, una volta, lei aveva fatto parte. Ma ora, per la prima volta nella sua vita, C18 era disgustata della propria condizione di androide.

Il terrestre non poteva più sopportare tutto quello. Con un gesto deciso, il piccolo guerriero si alzò. Rimase un attimo immobile, mentre le sue ginocchia protestavano per quell'immobilismo forzato a cui le aveva sottoposte. Poi, a passi incerti, si diresse verso la cyborg.

C18 lo vide avvicinarsi con irritazione. Tuttavia, non fece niente per bloccarlo.

Una volta arrivato al fianco dell'androide, Crilin prese un profondo respiro, assaporando l'aria piena di salsedine, prima di parlare.

“Se sei un mostro come dici, allora perché mi hai risparmiato la prima volta che ci siamo visti? Perché sei venuta da me dopo sette mesi che non ci vedevamo? Perché mi hai salvato la vita quando stavo agonizzando su questa stessa isola? Perché mi hai baciato ed abbracciato per mesi? Perché?”

Sentendo quelle domande, C18 si mise le mani nei capelli. Non lo sapeva. Non sapeva più niente ormai. Da quando era tornata in vita come androide, tutte le sue certezze erano crollate come un castello di carte sotto un soffio di vento.

“Non lo so dannazione! Non lo so! Io...io non lo so...non so più niente ormai! NIENTE!”

Ad un tratto, Crilin l'abbracciò. Sentendosi stringere da quelle braccia calde e forti, la cyborg si sentì al sicuro. All'improvviso, tutti i suoi dubbi, tutto il suo dolore sparirono. In quel momento a C18 non le importava niente di essere un cyborg. Non le importava niente di essere un mostro. In quell'istante, tutto quello che le importava, era che, quelle braccia, quelle calde braccia, non l'abbandonassero.

Affondò con forza la testa nel petto caldo e muscoloso di lui. Cercando, in quel calore, la risposta a tutti i suoi problemi.

Crilin la coccolò con dolcezza. Il terrestre si sentiva felice. Felice in una maniera quasi dolorosa. Nonostante tutto quello che era successo, il suo legame con C18 non si era rotto. Ormai il piccolo guerriero ne era convinto: quella donna, quella splendida, affascinante, insopportabile donna, non l'avrebbe abbandonata. Mai.

Le diede un leggero bacio sulla testa, godendo della morbidezza dei suoi capelli profumati. Non era un profumo come quelli che usavano di solito le donne. Era un odore forte e dolce allo stesso tempo. Esattamente come la donna che stringeva tra le sue braccia.

“Torniamo a casa.” mormorò dolcemente. “Sarai stanca.”

Anche se non la poteva vedere in faccia, Crilin sentì le sue morbide labbra distendersi in quel flebile sorriso che tanto amava.

“Io non sono mai stanca nanerottolo. Mettitelo bene in testa.”

Crilin sorride. Finalmente C18 era tornata ad essere la sua adorata ragazza. Quella donna scorbutica ed autoritaria che gli aveva rapito il cuore.

La prese dolcemente in braccio. Era la prima volta che compieva quel gesto nei suoi confronti. Si sorprese nel constatare quanto leggera fosse quella donna dal carattere d'acciaio.

C18 lo lasciò fare. L'androide continuò a tenere premuto il viso contro il petto di lui. In quel momento, tutto ciò che le importava, era che Crilin non la lasciasse.

Il piccolo guerriero si alzò in volo. Una volta raggiunta la quota d'altezza necessaria per volare senza troppi problemi, il terrestre si diresse verso la Kame House.

 

Una volta arrivato, Crilin scoprì che Muten non era ancora rientrato. Il piccolo guerriero aggrottò le sopracciglia ma non approfondì ulteriormente quella scoperta. Era già successo in passato che l'anziano maestro passasse una notte alla Capsule Corporation. Probabilmente era andata così anche questa volta.

Dopo essersi tolto le scarpe, ed averle tolte con dolcezza anche all'androide, Crilin salì le scale le Kame House. C18 non aveva detto una sola parola da quando erano andati via dall'isola. Il terrestre sperava che si fosse addormentata. Era stata una giornata pesante per entrambi. In quel momento, il sonno sarebbe stato la loro medicina migliore.

Una volta entrato nella camera dell'androide, Crilin la mise con immensa delicatezza sul letto. Fu sorpreso di constatare che era ancora sveglia. La cyborg lo fissava con uno sguardo a metà tra il triste ed il pacifico.

Il piccolo guerriero sorrise con dolcezza. Si avvicinò all'androide e le diede un soffice bacio sulla fronte.

“Buonanotte, amore mio.” mormorò.

E, detto questo, fece per andarsene.

 

C18 osservò Crilin girarle le spalle. Nello stesso istante una grande paura, una paura che non aveva mai provato in vita sua, le attanagliò con violenza il petto. Dopo un istante, l'androide capì che aveva paura di stare da sola.

Cosa avrebbe dovuto fare? Permettere a Crilin di andarsene? Rimanere da sola con la sua sofferenza ed i suoi incubi?

No! Non l'avrebbe accettato! Non voleva più stare da sola! Non voleva più essere perseguitata dai suoi incubi! Non voleva più sentire la solitudine opprimerle il petto come un guanto d'acciaio!

In un istante, C18 decise. Non sarebbe più stata da sola. Mai più.

Con un gesto improvviso, l'androide afferrò Crilin per il colletto della maglietta e lo buttò con forza sul letto. Subito dopo, la bionda salì sopra di lui.

Crilin rimase totalmente sbigottito. Non capiva. Non riusciva a comprendere cosa voleva fare la cyborg.

“C18? Cosa...”

“Shhhh...” C18 gli poggiò un dito sulle labbra, zittendolo all'istante. “Quante volte devo dirtelo che tu parli troppo per i miei gusti?”

E, dette queste parole, l'androide lo baciò. Non fu un bacio dolce. Era un bacio violento e passionale. Un bacio in cui, la cyborg, sfogò tutto il suo dolore e la sua tristezza. Ma, in quel bacio, riuscì anche a metterci tutta la gioia che provava nel stare con quell'uomo.

Crilin non rispose subito al bacio. Il terrestre pareva ancora sorpreso dal comportamento della bionda. Poi, ad un tratto, con un colpo di reni, il piccolo guerriero capovolse le posizioni. C18 inarcò un sopracciglio davanti all'intraprendenza del suo compagno. Tuttavia, l'androide preferì, per una volta, lasciare a Crilin l'iniziativa.

Il guerriero cominciò a baciarle con dolcezza il collo. Sotto il tocco dolce e morbido della sue labbra, C18 cominciò a provare un forte calore nella zona del basso ventre. Era una sensazione nuova e sconosciuta, che la confondeva. Ma era piacevole e, per questo, la cyborg decise di abbandonarsi ad essa. La bionda si sentiva viva come non mai.

Con un gesto violento, strappò totalmente la maglia al terrestre, cominciando ad accarezzargli i muscoli caldi e compatti della schiena.

Sentì le mani callose, come quelle di un vero guerriero, di lui toglierle delicatamente la maglietta e il reggiseno, lasciando così libero il suo seno bianco e perfetto. Sentì la bocca di lui scendere lentamente verso il basso. Le labbra di Crilin assaporarono con delicatezza la spalla destra di lei per poi scendere, con lentezza, verso il suo morbido seno. Sotto il continuo tocco della bocca di lui, l'androide cominciò a mordersi le labbra, in un disperato tentativo di trattenere i sospiri di piacere che premevano di uscire.

Dopo aver dedicato parecchio tempo al seno, Crilin continuò a scendere. Baciò ed assaporò la morbida pancia piatta di lei. Sentì gli addominali della cyborg contrarsi involontariamente sotto il tocco delle sue labbra. Poi, ad un tratto, il guerriero le sbottonò i jeans e la liberò definitivamente dell'impaccio dei vestiti, lasciandola totalmente nuda.

Il terrestre assaporò, con le mani e con la bocca, la morbidezza delle sue gambe. Gambe perfette. Gambe morbide. Bianche. Lisce. Prive di qualunque difetto. Gambe di una dea.

Ad un tratto, però, Crilin risalì con la bocca le gambe di lei, continuando ad assaporarne la morbidezza e la dolcezza della pelle, fino ad arrivare al punto più intimo dell'androide. C18 all'inizio non capì le intenzioni del compagno. Ma, quando il terrestre cominciò ciò che si era prefissato di fare, non poté fare a meno di spalancare gli occhi dalla sorpresa.

Perché le sensazioni che stava provando, quelle sensazioni che Crilin le stava regalando, erano belle. Troppo belle. Spaventosamente belle. C18 non si sentiva più se stessa. Le pareva di essere stata catapultata nel corpo di un'altra.

Alla fine di tutto, la cyborg inarcò la schiena e, nonostante tutti i suoi tentativi, non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sospiro. Per la prima volta nella sua vita, l'androide conosceva le gioie dell'amore carnale.

Crilin risalì il corpo di lei dolcemente, continuando con a sua opera di baci e carezze. Quando arrivò all'altezza dello sguardo di lei rimase piacevolmente sorpreso. Gli occhi della bionda erano vivi. Risplendevano di un'immensa gioia mista a piacere. In quel istante, il terrestre rimase ammaliato dai suoi occhi. Erano più belli che mai.

L'androide lo baciò. Crilin stavolta ricambiò il bacio. Mentre le loro lingue si incrociavano, in una danza amorosa senza fine, le mani della cyborg continuavano ad accarezzargli la schiena muscolosa. Scendendo, l'androide lo privò dei pantaloni e dei boxer sentendo, sotto le proprie mani, i glutei compatti del terrestre contrarsi. C18 continuò ad accarezzare quel corpo caldo e muscoloso. Era un corpo piccolo, ma perfetto. Ogni singolo muscolo era stato allenato e sviluppato al massimo da anni di allenamenti massacranti ed inumani. Era una macchina biologica perfetta.

Risalendo con le mani, l'androide cominciò ad accarezzargli il volto. Sentiva sul proprio viso il respiro caldo di lui. Nonostante la situazione si stesse facendo decisamente bollente, il respiro del piccolo guerriero era calmo e rilassato. C18 lo guardò con uno sguardo duro e deciso.

“Tu sei mio.” dichiarò con voce dura. “Mio capito? Mio soltanto! Tu mi appartieni! Nessuno ti porterà via da me. Non mi lascerai mai.”

Sentendo quelle parole, Crilin l'abbracciò. Godendo del profumo della sua chioma dorata.

“No amore mio.” mormorò. “Non ti lascerò.”

Quella notte umano ed androide divennero una cosa sola. Quella notte non esisteva Crilin né esisteva C18. Quella notte, esisteva solamente un'unica volontà.

 

Correva. Correva disperatamente. Correva anche se aveva i polmoni in fiamme. Correva anche se si sentiva le gambe tremare dallo sforzo. Ma tutto ciò non aveva importanza. Non poteva fermarsi. Doveva trovarlo, ad ogni costo.

Il corridoio che stava percorrendo era buio ma la ragazza lo aveva già percorso altre volte. Ormai conosceva quel maledetto posto come le sue tasche. Ci viveva da quando era una bambina. Sempre se si poteva definire vita quella a cui era sottoposta.

Ad un certo punto, la ragazza si sentì le guance bagnate. Si portò una mano al viso. Erano lacrime. Era stanca di tutto quello. Era stanca di quell'inferno che la gente osava chiamare vita. Quanto ancora sarebbe continuato? Quanto ancora avrebbe dovuto arrancare in quella merda prima di potersi liberare di quell'incubo?

Alla fine, dopo un tempo che le parve interminabile, arrivò davanti ad una porta. Un brivido le percorse la schiena. Lo sentiva. Sapeva. Sapeva che, entrando in quella stanza, avrebbe dovuto affrontare l'orrore peggiore di tutti. Eppure, nonostante la sua mente le urlasse di scappare, la ragazza aprì la porta di scatto.

La stanza in cui si trovava era priva di finestre. L'unica luce proveniva da una lampada al neon. L'aria era pregna dell'odore di muffa misto a quello di sangue.

In mezzo alla sala si trovava un tavolo operatorio. Sdraiato sopra c'era lui.

Fratello!”

C18 corse disperata verso il fratello. Cercò disperatamente di svegliarlo, di riportarlo alla vita.

Fratello ti prego! Parlami! Sono io! Sono 18! Non lasciarmi fratello! Non lasciarmi! Ti scongiuro svegliati!” La ragazza aveva paura. Era terrorizzata. Non voleva perdere il fratello. Non voleva e non poteva. C17 era tutto ciò che la legava alla vita. Senza di lui, la ragazza non era nulla.

Ad un tratto, sentì un violento schiaffo colpirla sul volto. Cadendo a terra C18 vide, con la coda dell'occhio, il suo mostro. Il suo aguzzino. L'uomo che odiava con tutta se stessa.

Adesso basta piagnucolare 18! lasciami lavorare in pace! Ma ti prego, non rattristarti. Presto tu e tuo fratello diventerete due esseri molto speciali!”

Eccole di nuovo quelle parole. Quelle fottutissime, maledette parole. Ma chi voleva diventare un essere speciale? Un cyborg? Lei voleva fare una vita come tutti gli altri, era forse chiedere troppo?

Piena di rabbia ed odio verso il suo carceriere, la ragazza scattò verso suo fratello. Non le interessavano le parole di lui. Non le interessava un cazzo in quel momento. L'unica cosa che voleva era prendere suo fratello ed andarsene via da quel posto.

Ma il mostro era troppo forte per lei. Le si parò davanti. La bloccò. Le impedì di raggiungere l'unica cosa al mondo a cui teneva davvero.

Smettila subito di frignare! Mi fai schifo! Tornatene nella tua cella e fammi finire il mio lavoro!”

No!” urlò con tutta la forza che aveva. “Voglio mio fratello! Lascialo! Lascialo! Sei un mostro!”

Ma la sua rabbia, la sua ribellione erano inutili. L'uomo era troppo forte per lei. La picchiò, la buttò a terra. Cercò di spezzare la sua volontà. Quando vide che, i suoi tentativi, fallivano miseramente, la sua ira esplose con violenza.

Ora basta! Mi hai proprio stancato puttanella! È giunto il momento che qualcuno ti faccia abbassare la cresta!”

Dopo aver pronunciato quelle terribili parole, l'uomo la prese di forza. C18 scalciò per liberarsi. Lottò disperatamente per impedire che quell'uomo schifoso potesse esaudire il suo nuovo, crudele desiderio.

Perché la ragazza sapeva. Aveva già visto questa scena. Aveva già vissuto questi orrori. Sapeva cosa le sarebbe capitato e non poteva sopportarlo.

Poi, ad un tratto, sparì tutto. Il mostro. La stanza. Suo fratello. La fioca luce del neon. L'odore disgustoso del sangue misto a quello della muffa. Sparì tutto. La ragazza rimase sola in un buio caldo e confortevole.

Ad un certo punto, due braccia calde e forti la strinsero in un abbraccio rassicurante. C18 affondò la faccia sul petto dello sconosciuto. Per qualche oscura ragione, si fidava di lui. Sapeva che non le avrebbe fatto alcun male.

Ma la disperazione era troppo grande. Aveva perso suo fratello. E poi la ragazza sentiva, nel profondo del suo cuore, che quello era solo un sogno. Che nella realtà nessuno l'aveva salvata dal mostro. Nessuno aveva impedito a quell'uomo di distruggerla. Di farle del male. Disperata, C18 scoppiò a piangere.

Non piangere.” una voce sconosciuta, eppure stranamente familiare, rimbombò nel buio. La ragazza sentì una mano calda accarezzarle dolcemente la testa.

S-sono s-stanca!” singhiozzò con disperazione. “P-perché tutto questo? Co-cosa ho fatto di male? Sono stata per caso una bambina cattiva? I-i-i miei genitori erano arrabbiati con me per qual-qual-qualc...” un violento singhiozzo le impedì di continuare.

No C18. No.” mormorò con dolcezza il suo salvatore. “Tu sei stata una bambina buonissima. Non è stata colpa tua tutto questo.”

E allora perché? PERCHE A ME TUTTO QUESTO?! PERCHE??!!” la ragazza urlò con rabbia quella domanda. Quella terribile domanda.

Lo sconosciuto tacque. Anche se continuò a tenerla stretta al suo petto. Poi, ad un tratto, cominciò a parlare.

Non ho risposte da darti C18.” mormorò con il suo tono dolce e calmo. “Io non so leggere le vie del destino e del fato. Ma ricordati sempre di una cosa: c'è sempre speranza. C'è sempre la possibilità di poter raggiungere la felicità e la pace. Anche nei momenti peggiori. Per trovarle, basta solamente non arrendersi mai.”

Stranamente, quelle parole riuscirono a tranquillizzarla. Una grande pace le scese nell'animo. Era una sensazione bellissima. Una sensazione che da anni non riusciva più a provare. All'improvviso la ragazza si domandò chi fosse quello strano individuo che riusciva a farla stare così bene.

Chi sei?” anche se non poteva vederlo in volto, C18 lo sentì sorridere dinanzi a questa domanda.

Sono colui che ti ha salvata.” il suo tono si era fatto, all'improvviso, più flebile. Quasi si stesse allontanando da lei. “Sono il tuo salvatore. Colui che ti ha donato la pace senza chiederti nulla in cambio.”

Voglio vederti.” dichiarò con voce allarmata la ragazza. Sentiva che si stava allontanando da lei. Aveva paura. Non voleva essere lasciata di nuovo sola.

Davvero lo desideri C18?” mormorò il tizio con voce flebile.

Sì! Non lasciarmi da sola! Non lasciarmi!” la voce di C18 si era fatta disperata. La sua era diventata, ad un tratto, una vera e propria supplica.

L'uomo sorrise. Ad un tratto la sua voce si fece incorporea, non proveniva più da una fonte ben precisa. Sembrava che fosse entrata dentro di lei.

Se vuoi vedermi. Se vuoi vedere veramente chi ti ha salvato...allora dovrai svegliarti.”

Svegliati Juu-chan. È tempo che tu torni alla vita.”

 

Svegliati Juu-chan...svegliati.

 

Gli occhi di C18 si aprirono all'improvviso. Accecata dalla luce del sole, l'androide si riparò il volto con il dorso di una mano.

La cyborg si sentiva confusa. Aveva fatto un sogno veramente strano. Era cominciato tutto con il suo solito incubo. Ma poi, ad un tratto, tutto era sparito. C18 si era ritrovata al buio con uno sconosciuto che le aveva rivolto delle strane parole. In più, quel tizio l'aveva chiamata con un nome curioso. Juu...Juu qualcosa.

Che sogno stupido!” borbottò assonnata. “Solo io potevo sognare un idiota che non conosce neanche il mio nome.”

La bionda si alzò dalla posizione in cui si trovava quando, ad un tratto, l'androide si accorse di un braccio sconosciuto appoggiato sulle sue spalle. Nello stesso istante, la cyborg notò che, il punto dove appoggiava la testa, non era il cuscino.

Sconvolta, l'androide si alzò di scatto, girandosi per vedere chi era lo sconosciuto con cui aveva dormito abbracciata. Quando notò chi era, i ricordi di quella notte, quella pazza, assurda, folle notte, le tornarono con chiarezza disarmante.

Crilin dormiva sul letto. La cyborg lo osservò con attenzione. Aveva il volto tranquillo, il respiro regolare, i lineamenti distesi. Il terrestre sembrava veramente in pace.

C18 continuò ad osservarlo. Era cambiato veramente tanto in quell'ultimo anno. La prima volta che l'aveva visto le era parso un ragazzino imbranato ed incapace. A distanza di un anno, non poteva certo dare lo stesso giudizio. Crilin era cambiato. Non solo nell'aspetto ma anche nel carattere. Era diventato più maturo, più consapevole della vita. Era come se, la morte del suo migliore amico, avesse spento definitivamente la parte immatura che c'era in lui.

Gli occhi azzurri di C18 si soffermarono sul volto del guerriero. La mascella decisa, gli zigomi marcati, le guance scavate. Tutto ciò gli dava un aria strana, aliena. Quasi che, quel volto, non fosse suo.

Presa da un impulso strano, l'androide appoggiò un dito sulla fronte del ragazzo, ma che ormai era giusto chiamare uomo. Distrattamente, ma stando bene attenta a non svegliarlo, la bionda cominciò a passare col dito per tutto il volto del guerriero, scendendo successivamente verso il collo. Ascoltò con attenzione la giugulare del terrestre battere sotto il suo polpastrello, nel suo incessante lavoro di trasporto. Successivamente, la cyborg arrivò al petto. Lì il suo dito sentì i muscoli compatti di lui distendersi e contrarsi a causa del respiro calmo del terrestre. Continuando a zigzagare, senza un meta precisa, sul corpo di Crilin, C18 si accorse, con un attimo di ritardo, di essere andata ad esplorare là dove non avrebbe dovuto.

Allontanò la mano di scatto mentre, nello stesso istante, diventava rossa in volto.

Ma cosa diavolo sto combinando?” pensò con stupore. Non era da lei tutta quella passione morbosa e un pochino perversa. Ma l'androide dovette ammettere che, non era da lei, neanche portare di forza un nanerottolo a letto e passarci tutta la notte assieme ad amoreggiare.

Il pensiero di quella notte la fece sorridere. Tutto quello che aveva fatto le pareva ancora troppo irreale. Le sembrava impossibile aver commesso quei gesti.

Cosa diavolo ho combinato con te stanotte.” mormorò, guardando con affetto il terrestre. Aveva passato tutta la notte a fare l'amore con un piccoletto dall'aspetto innocuo, ma che, in realtà, era piuttosto famelico, oltre che molto prestante.

In quel momento, il sonno di Crilin ebbe fine. Il terrestre aprì lentamente gli occhi. Quando vide l'androide al suo fianco, totalmente nuda, che lo fissava, il piccolo guerriero prese un colpo.

C18?! Cosa diavolo...” Crilin fece per alzarsi, ma una manata della bionda lo spedì dritto disteso sul letto.

Stai calmo!” fece lei con voce glaciale. Nonostante apparisse seria, l'androide si divertì un mondo nel vedere il guerriero ricordarsi della notte appena trascorsa. Stupore e sorpresa regnavano sovrani sulla faccia di Crilin.

Alla fine, dopo circa un paio di minuti, il terrestre si calmò. Da agitato che era, divenne leggermente divertito.

Scusami.” fece ridacchiando leggermente. “Ma il fatto è, che non avrei mai immaginato, un giorno, di vivere una simile scena.”

C18 non rispose. L'androide continuò a fissarlo in silenzio.

Cadde un silenzio imbarazzante. Il terrestre cominciava a sentirsi a disagio sotto lo sguardo di lei. Alla fine, decise di porle una domanda che da tempo voleva fare alla cyborg.

C18...” prima che potesse continuare, l'androide interruppe il terrestre con un gesto deciso.

Prima che tu me lo domandi, perché so che me lo domanderai, te lo dico subito: non sei stato patetico, ma anzi...sei stato...ehm...bravo.”

Ah sì? Beh...ecco...d'accordo...grazie...”borbottò, rosso in volto per l'imbarazzo, il terrestre.

Nella stanza ritornò il silenzio. Tuttavia, dopo circa un minuto, Crilin lo ruppe di nuovo.

Comunque non volevo domandarti questo.” dichiarò imbarazzato. “Ti ricordi il giorno in cui ci siamo baciati per la prima volta?”

C18 inarcò un sopracciglio davanti a quella domanda.

Sì, perché?”

Beh...all'epoca tu mi dicesti che provavi qualcosa per me ma non sapevi se era amore.” continuò lentamente il guerriero. “Adesso...dopo...beh dopo tutto quello che è successo...pensi di sapere cosa provi per me?”

La cyborg non rispose subito. La domanda che Crilin le aveva posto non era affato semplice. Tuttavia, l'androide era sicura di una cosa: con Crilin stava bene. Nonostante fosse goffo e un po' imbranato, il guerriero la trattava come nessuno aveva mai fatto. C18 non sapeva se quello che provava per lui fosse amore. Non avendo mai provato quel sentimento, l'androide non poteva sapere cosa fosse di preciso l'amore. Ma voleva bene a Crilin, ci teneva a lui. E il pensiero di perderlo la rendeva cupa e di cattivo umore. Improvvisamente, C18 seppe cosa rispondere.

Sei uno stupido.” esordì con voce glaciale. “Pensi che, se io non ti amassi, quello che è successo stanotte sarebbe accaduto?”

Davanti a quella risposta, Crilin guardò la cyborg con speranza.

Quindi è un...sì?”

Sei proprio stupido.” fece divertita l'androide. “Ce ne metti di tempo per capire le cose.”

Crilin, al settimo cielo per la gioia, sorrise. All'improvviso, il terrestre abbracciò la cyborg con forza.

Non sai quanto mi rende felice la tua risposta!” dichiarò con la testa appoggiata sulla spalla destra di lei. “Anche io ti amo...mia adorata Juu-chan!”

Sentendo quel nome, l'androide scostò Crilin con forza. La cyborg era sorpresa. Quello era il nome con cui l'aveva chiamata il tizio del suo sogno.

Come mi hai chiamato?” domandò con stupore. Non riusciva a crederci che Crilin l'avesse veramente pronunciato.

Il guerriero si grattò la nuca imbarazzato. All'improvviso, tutta la gioia di Crilin sembrò sparire. Sostituita da timore e preoccupazione.

Beh...ecco...era da un po' di tempo che ci pensavo...insomma...non è un offesa! Ci mancherebbe! Però a me il nome C18 mi è sempre parso un po' freddo. Così...così ho pensato...sì insomma ho pensato...”

A Juu-chan.” concluse l'androide con voce atona al suo posto.

Esattamente.”borbottò imbarazzato il terrestre. Successivamente, l'uomo guardò con speranza la cyborg.

Ti va bene...sì insomma...non ti offendi se ti chiamo così?”

C18 ci pensò su un attimo. In quel momento capì l'identità dell'uomo del suo sogno. In quell'istante, la bionda scoprì chi era il suo salvatore.

Va bene. Se ci tieni così tanto.” dichiarò con apparente indifferenza. Nonostante quel nome in realtà le piacesse, aveva pur sempre una reputazione da difendere.

Sentendo quelle parole, Crilin ritornò ad abbracciarla con gioia. Spinta da un impulso irrefrenabile, C18 cominciò ad accarezzare la schiena del guerriero, assaporando così i muscoli compatti di quel corpo.

Tuttavia, il suo gesto, scatenò in qualche modo la sorpresa di Crilin. Quest'ultimo infatti si staccò dall'androide subito dopo che lei aveva incominciato ad accarezzarlo. Davanti a quell'azione inusuale, C18 inarcò un sopracciglio in segno di disappunto.

E adesso cosa c'è?”

Juu-chan...le tue mani...”

Cosa hanno le mie mani?!” sbottò offesa la cyborg.

Sono...calde.” dichiarò con stupore il terrestre.

C18 spalancò gli occhi dalla sorpresa. Non del tutto convinta che ciò che diceva il guerriero fosse vero, l'androide si portò le mani al viso. Ciò che sentì la lasciò basita.

Aveva sempre avuto le mani gelide. Da quando si era risvegliata sotto forma di cyborg, il suo corpo era sempre stato freddo, gelido. Nonostante avesse provato molte volte a riscaldarsi, la sua pelle era sempre rimasta, apparentemente, morta.

Eppure, adesso, ciò che sentiva non lasciava spazio a dubbi. Le sue mani erano tiepide. Stupita di tale cambiamento, la cyborg prese a palparsi il corpo. Ciò che sentì la lasciò senza fiato. Il suo corpo, quello splendido ma gelido corpo, era tiepido, caldo, vivo.

Nel frattempo, mentre C18 era presa ad assaporare quella nuova vita che le scorreva nelle membra, Crilin si alzò dal letto. Una volta in piedi, il terrestre si stiracchiò, flettendo tutti i muscoli del corpo.

Davanti a quella statua greca vivente in miniatura, C18 sentì un leggero rossore imporporarle le guance. Stupita, la cyborg si accorse di desiderare ancora quel corpo.

Questa scoperta la lasciò irritata. Tutto ciò era sbagliato. Era lei che doveva suscitare il desiderio del compagno. Era lei che doveva comandare il loro rapporto. Non l'incontrario. Furiosa per quella scoperta, la bionda decise di riportare subito le cose alla loro normalità.

L'androide si alzò e abbracciò da dietro il terrestre, cominciando a baciargli il collo. Le sue mani presero ad accarezzargli il petto. Le sue intenzioni non erano difficili da intuire. Crilin, tuttavia, non sembrava entusiasta di ripetere subito l'esperienza di quella notte.

Juu-chan no, non mi va.” protestò con una nota di divertimento nella voce. “Ho fame e vorrei fare colazione. Lasciami dai.”

Sentendo quelle parole, C18 smise subito di baciarlo. Tuttavia, la cyborg non lo lasciò.

A quanto pare non mi sono spiegata bene.” dichiarò con voce carica di rabbia. “Hai la memoria corta nanerottolo.”

Dopo aver detto quelle parole, l'androide lo buttò di forza sul letto. Subito dopo, C18 salì sopra di lui, tenendolo inchiodato al materasso con una mano stretta sul suo collo.

Crilin riuscì solamente a deglutire. Gli occhi di C18 erano carichi di rabbia. Il viso dell'androide era trasfigurato dalla collera. La situazione sarebbe stata buffa se non fosse stato che era lui che rischiava la vita. Erano entrambi nudi, una sopra l'altro. Ed entrambi avevano l'odore dell'altro addosso. Eppure, nonostante ciò, la cyborg stava per ucciderlo.

C18 portò il suo viso a pochi centimetri da quello di Crilin. Il suo volto esprimeva una violenta rabbia.

Tu sei mio!” gli ringhiò contro. “Mio capito? Mio soltanto! Tu mi appartieni!” gli occhi della bionda si strinsero fino a diventare due fessure di ghiaccio. “Non osare mai più.”

Dopo aver dichiarato quelle parole, C18 lo baciò con rabbia. Forzò le labbra del terrestre con cattiveria, incrociando di prepotenza la sua lingua con quella di lui. L'androide lasciò libero il collo del guerriero solamente per poter cominciare ad accarezzargli il petto.

Crilin all'inizio rimase semplicemente sconcertato dall'atteggiamento dell'androide. Ma poi, non avendo altra scelta, rispose ai baci e alle carezze della bionda. L'eccitazione gli stava ritornando prepotentemente addosso, e lui non poteva far altro che cercare di soddisfarla.

Quella mattina, umano e androide tornarono ad essere una cosa sola.

 

CONTINUA

 

Salve a tutti! Sì, lo so che questo capitolo è mostruosamente lungo. Spero tuttavia che vi piaccia lo stesso! Ora, avrei un paio di cose da dire. Sì, so anche che voi, in questo momento, vorreste solamente che il capitolo finisse per poter finalmente, andare su altre storie. Eppure, miei adorati lettori, sono costretto a scrivere queste note post-capitolo lo stesso. Quindi, orecchie (ma sarebbe più giusto dire occhi) aperte!

La prima cosa che voglio dire è questa: il nome di Juu-chan non è assolutamente una mia invenzione. Il nome di Juu-chan lo scoprì, per caso, leggendo un fanmanga dedicato a C18. Successivamente, lo stesso nome lo scoprì anche in altri manga dedicati alla cyborg così come lo notai in alcune fiction di Dragon ball.

All'inizio non capì perché, questi scrittori, facevano chiamare così C18 da parte di Crilin (è sempre e solo Crilin che la chiama in questo modo). Incuriosito, decisi di fare una specie di piccola ricerca. Fu così che scopri che, il nome di Juu-chan, sarebbe un'abbreviazione di Juuhachigou che, in giapponese, significa letteralmente, diciotto.

L'idea mi piacque. Così tanto che ho deciso di inserire questo nome nella mia storia. Ora, ciò non significa che, d'ora in avanti, C18 verrà chiamata Juu-chan da tutti. Sarà solamente un nomignolo scherzoso con cui, ogni tanto, Crilin la chiamerà (Anche perché vorrei vedere chi riuscirebbe a chiamarla Juu-chan e a rimanere vivo! xD)

Spero che la mia idea vi piaccia. Per commenti e giudizi io ci sono sempre!

Forse lo avrete notato che in questa storia ho dedicato un paio di righe sull'abilità a letto di Crilin. Beh...vi chiedo perdono ma non c'è l'ho fatta a resistere! In quasi tutte le storie che ho letto, Crilin fa sempre la parte dello sfigato. Basso ,senza naso, brutto (che secondo me non lo è per niente. Cazzo! È due anni che vado in palestra e cinque anni che pratico arti marziali e dei muscoli come quelli del nanerottolo io me li sogno! Avercelo quel fisico!), incapace. Mi ha fatto un po' pena il nanerottolo, così ho deciso di rendergli giustizia. In fondo, cosa ne sappiamo noi? Potrebbe benissimo darsi che Crilin ha un talento nato sotto le coperte! Io ho deciso di pensarla così. Spero che voi ragazze decidiate di rivalutarlo. In fondo, Vegeta e Goku non sono molto meglio di lui (solo se si fa crescere i capelli perché rasato Crilin fa veramente cagare i polli!).

Ok...anche questo capitolo è finito Era ora! By tutti aspetto con ansia i vostri giudizi ed i vostri commenti!

Un saluto!

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Capitolo 12
*** Pensieri ***


Capitolo 12

 

Gli occhi gelidi di C18 osservavano severi il mobile che aveva davanti.

Dietro di lei attendevano, speranzosi, due uomini. Uno era basso ma con un fisico asciutto. La sua espressione era piuttosto buffa. Un misto tra il divertito, l'esasperato e lo speranzoso.

L'altro era più alto ma aveva un fisico leggermente in sovrappeso. Era vestito con un elegante frac e aveva i capelli impomatati di gel. L'uomo in questione fissò speranzoso l'androide.

“Allora signora...che ne pensa? È, per caso, di suo gradimento?”

La risposta di C18 fu inequivocabile. Con un aggraziato movimento, la cyborg superò il mobile in questione, senza più degnarlo di uno sguardo.

Crilin sospirò esasperato. L'altro uomo, al contrario, non sembrò minimamente irritato dall'ennesimo rifiuto della bionda. Sembrava che tutto questo lo stesse divertendo.

“Mi scusi.” fece Crilin con un sorriso stanco di scusa al commesso. “Ma lei...beh, lei è fatta un po' a modo suo.”

“Nessun problema signore! Veramente nessun problema! Mi sono sempre piaciute le sfide, e vedrà che, alla fine, troveremo qualcosa che vada bene anche per la sua signora! E poi, apprezzo molto chi sta zitto quando non c'è niente da dire. Deve credermi signore! Certe volte arrivano qui delle vere e proprie galline che non fanno altro che farmi venire il mal di testa con le loro chiacchiere! E comunque, la sua signora è così bella, che le si può perdonare tutto!”

Crilin sorrise. Sapeva che l'androide, da davanti, stava sentendo ogni loro parola. Probabilmente, i complimenti del commesso, l'avrebbero divertita e, forse, ammorbidita.

“Comunque, non è la mia signora.” dichiarò il terrestre con una punta di divertimento nella voce. L'uomo al suo fianco si girò di scatto a guardarlo. I suoi occhi verdi erano spalancati dallo stupore.

“Davvero? Strano. Eppure avrei giurato che eravate una coppia.”

Sentire quella frase rese Crilin un pochino timoroso. Sapeva che a C18 non piaceva apparire. Era convinto che l'androide, una volta usciti da quel negozio, si sarebbe comportata in maniera gelida e distaccata.

“Beh...in realtà siamo solo fidanzati.”

Il commesso emise un flebile fischio.

“Ahhhh...ora ho capito. E state forse facendo il grande passo? Cioè...di solito le coppie che vengono a comprare un letto matrimoniale lo fanno quando il loro matrimonio è alle porte.”

“M-matrimonio?!” balbettò il piccolo guerriero rosso in volto dall'imbarazzo. Sentire quella parola lo mandò nel panico. Non aveva mai e poi mai pensato a sposarsi con C18. Era una cosa troppo...troppo estrema. In fondo, stavano insieme da pochi mesi. Il matrimonio era un passo troppo grande per poterci pensare in quel momento. Eppure, il semplice fatto che il commesso avesse pronunciato quella parola, lo mandò nel panico.

Il commesso fissò quello strano uomo che era diventato tutto rosso. Tuttavia, prima che potesse concepire un solo pensiero coerente, C18 aiutò il proprio compagno.

“Ehi tu!” con un fruscio, l'androide si girò e si posizionò davanti al commesso. Quest'ultimo non poté fare a meno di provare un brivido di paura davanti a quello sguardo gelido.

“Ha finito di parlare? Sono qui per comprare, non per stare ad ascoltare le sue sciocchezze!”

“Eh...sì...certo. Ha ragione.” borbottò l'uomo in evidente difficoltà. Nonostante il tono usato dalla cyborg fosse stato di una maleducazione incredibile, davanti a quello sguardo, il commesso non poté fare altro che dargli ragione.

“Se vuole seguirmi signora. Sono sicuro che, il prossimo modello, sarà di suo gradimento!”

 

Due ore dopo, C18 e Crilin uscirono dal negozio. Alla fine, dopo aver visto probabilmente, tutti i letti in vendita, l'androide aveva fatto la sua scelta. Dopo aver pagato e messo il loro nuovo acquisto all'interno della sua capsula, la giovane coppia decise di fare una girata per il centro cittadino.

Erano passati tre giorni dalla festa per la nascita di Goten. Tre giorni da quando Crilin e C18 aveva scoperto le gioie dell'amore carnale. Nonostante tutto quello che era successo in quella assurda notte, il terrestre aveva continuato a dormire sul divano. Almeno fino a quella mattina quando C18, al posto di allenarlo sulla loro isola, l'aveva portato di forza in città a comprare un letto per entrambi.

Crilin era rimasto incredibilmente sorpreso da quel gesto. Con quell'azione infatti, C18 aveva chiaramente manifestato la volontà di averlo affianco anche durante la notte. Per il terrestre, quel gesto, quel piccolo e, apparentemente insignificante gesto, era il regalo più bello del mondo.

“Allora Juu-chan. Dove ti andrebbe andare?” domandò il guerriero, passeggiando sotto braccio, con la bionda, per le vie del centro.

C18 non rispose. L'androide era troppo impegnata ad assaporare il suo nuovo nome. Juu-chan. Le piaceva. Era forte ed orgoglioso come lei. Ma, allo stesso tempo, suonava dolce alle sue orecchie. Juu-chan. Sì. Le piaceva quel nome.

Immersa com'era nei suoi pensieri, la cyborg non si accorse degli sguardi che suscitava tra la gente. In fondo, vedere due persone così diverse camminare a braccetto per il centro, era uno spettacolo curioso: lui basso, con gli occhi e i capelli neri come il carbone, ed un sorriso sulla faccia abbronzata. Lei alta e snella, con gli occhi azzurri e i capelli biondi, ed un'espressione gelida sul volto pallido. Erano gli esatti opposti del genere umano. Così diversi in tutto, che faceva quasi tenerezza vederli insieme.

Crilin nel frattempo, vedendo la bionda immersa nei suoi pensieri, decise di prendere in mano la situazione. I suoi occhi caddero su una pizzeria d'asporto. Un sorriso divertito gli apparì sul volto.

“Ti porto in un posto.” dichiarò all'androide. C18, ancora immersa nei suoi pensieri, lo seguì senza protestare.

Tuttavia, una volta dentro il locale scelto da Crilin, l'androide non poté fare a meno di sbattere gli occhi, perplessa da quella scelta. Crilin aveva già mangiato quella mattina, possibile che avesse già fame?

Il terrestre, nel frattempo, aveva ordinato una semplice pizza margherita. La cyborg inarcò un sopracciglio, in un chiaro segno di disappunto, davanti alla golosità del proprio compagno. Vedendo la sua faccia, il piccolo guerriero sorrise.

“Scusami Juu, ma la tentazione è stata troppo forte.”

C18 non rispose. L'androide era infatti impegnata ad assaporare con l'olfatto l'odore che albergava nel locale. Era un odore di cibo buono. Stupita, la bionda si accorse che, quell'odore, le faceva venire l'acquolina in bocca.

Come era possibile? Lei era un cyborg. Non aveva bisogno di bere né di mangiare. Come mai l'odore del cibo, che fino a quel momento le era stato del tutto indifferente, le scatenava quella reazione così...così umana in lei?

Possibile? Possibile che fosse un'altra conseguenza di quella notte? Possibile che, semplicemente facendo sesso con il suo ragazzo, fosse cambiata così tanto?

Non è che avesse fame, il suo stomaco era quieto e tranquillo come al solito. Semplicemente, le sue ghiandole salivari avevano cominciato a lavorare più del solito. Chiara dimostrazione che, i suoi circuiti, avevano voglia di assaggiare un po' di cibo.

Una volta usciti dal negozio, Crilin la portò a sedere su una panchina vicino ad una fontanella. Quando si furono seduti, il terrestre aprì il cartone del suo ultimo acquisto. Immediatamente, un profumino delizioso si spanse per le vicinanze.

C18 osservò il proprio compagno mangiare con gusto una fetta di pizza. Quel cibo era strano. Non aveva mai visto un alimento come quello. Tuttavia, a vedere la faccia del guerriero, sembrava buono.

Crilin, nel frattempo, notò la faccia della cyborg nell'osservare la pizza. Con un sorriso, il terrestre gliene offrì una fetta.

“Ne vuoi un po?”

Sentendo quella domanda, l'androide si incupì. Cosa pensava che fosse diventata? Una femminuccia che mangiava insieme al suo fidanzato? Lei era un cyborg! Certe cose non facevano per lei.

“No!” ringhiò in risposta al proprio compagno. Quest'ultimo, tuttavia, non s'arrese.

“E dai...lo so che ti va...l'ho visto da come la guardavi prima.”

“E allora?” sbottò irritata la bionda. “Io non ho bisogno di mangiare! Sono un cyborg! Avanti! Mangia ed andiamocene!”

Se C18 credeva di averlo zittito si sbagliava di grosso. All'improvviso, l'androide si trovò una fetta di pizza davanti agli occhi.

“Ma cosa diavolo...”

“E dai...” Crilin gli agitò il trancio di pizza sotto gli occhi. “Apri la bocca!”

Gli occhi della cyborg si strinsero fino a diventare due fessure di ghiaccio. Con una mano, la bionda afferrò l'uomo per i capelli e gli mise la faccia dentro il cartone della pizza.

Quando Crilin si rialzò, sporco di pomodoro e mozzarella, C18 si era già allontanata.

“Permalosa!” gli gridò dietro il terrestre.

Eppure, mentre si ripuliva come poteva con un fazzoletto, il piccolo guerriero non poté fare a meno di ridacchiare. Adorava quando C18 faceva così. In fondo, era proprio per quel carattere freddo ed insopportabile che se ne era perdutamente innamorato.

 

Crilin si asciugò il sudore che gli colava dalla fronte con un braccio.

Il terrestre osservò con soddisfazione la sua vecchia camera. Nonostante fosse convinto che avrebbe potuto fare di meglio, il piccolo guerriero era comunque sicuro che a C18 sarebbe piaciuta.

La sua stanza aveva cambiato in maniera drastica il proprio arredamento. Dove prima c'era un piccolo letto, adesso troneggiava un grande letto a due piazze. Il letto era semplice. Privo di qualunque ornamento. Un ulteriore conferma del fatto che, all'androide, non piacevano le cose appariscenti.

Ma il nuovo letto non era l'unica novità. Se prima, nella stanza, c'era solamente un piccolo armadio, adesso, nella parete di sinistra, si potevano osservare tre grossi armadi di legno massiccio nuovi di zecca. Di questi tre, uno era già pieno fino a scoppiare del guardaroba dell'androide. C18 non aveva certo perso tempo nel farsi un guardaroba personale di dimensioni mostruose.

In quel momento, dalla porta, entrò la figura di Muten. Con la sua tipica camminata leggermente ondeggiante, il vecchio maestro di arti marziali si avvicinò al terrestre. Osservando, nel frattempo, i cambiamenti avvenuti all'arredamento.

Una volta arrivato al fianco del suo allievo, Muten espresse il proprio giudizio.

“Niente male figliolo. Considerando il fatto che hai fatto tutto da solo. Proprio niente male.”

Un grande sorriso spuntò sulla faccia di Crilin. Il terrestre sentì dentro di se una sensazione che raramente aveva provato: l'orgoglio.

“Grazie Maestro.” dichiarò allegramente. “Spero solo che piaccia anche a C18.”

Muten ridacchiò.

“Beh, anche se non le andasse a genio, puoi sempre convincerla tu stanotte!”

“Maestro!” esclamò il piccolo guerriero arrossendo per l'imbarazzo.

“Stavo scherzando!” si affrettò a dichiarare l'anziano maestro. “Dovresti prendere le cose più alla leggera Crilin. Dico sul serio.”

Crilin si limitò a borbottare che, con C18 come ragazza, prendere le cose alla leggera rischiava di diventare dannoso per la sua salute fisica.

 

Passarono tre settimane. C18 fu costretta ad ammettere, con se stessa, che il periodo che stava vivendo era il più bello della sua vita.

Vivere nella pace della Kame House era un balsamo per la sua anima. La cyborg non aveva mai provato veramente il significato della parola pace. Ma ora, immersa in quella tranquillità, l'androide poteva dichiarare di averla incontrata.

Ma tutto questo non avrebbe avuto nessun senso senza di lui. Crilin era l'emblema del fidanzato perfetto. Faceva tutto quello che diceva. Obbediva ad ogni suo ordine. Non si lamentava mai. Ma, allo stesso tempo, riusciva a scaldarle il cuore con la sua tenerezza ed il suo amore.

Le loro giornate passavano lente e piacevoli. Alla mattina, terrestre ed androide andavano fino alla loro isola per allenarsi. Successivamente, i due fidanzati tornavano per l'ora di pranzo alla Kame House. I loro pomeriggi, invece, erano dedicati a ciò che, in quel momento, garbava di più alla cyborg. Crilin non si lamentava mai delle scelte dell'androide. Al piccolo guerriero bastava starle vicino.

Ma era la notte il momento preferito di entrambi. Quando C18 pensava a ciò che faceva con Crilin la notte, non riusciva a trattenere un sorriso.

Crilin era l'amante ideale per lei. La cyborg, infatti, anche in quei momenti voleva comandare. Avere sotto controllo la situazione. Crilin non protestava. Ogni gesto che il piccolo guerriero compiva aveva l'unico scopo di procurare piacere alla bionda. E poi era dolce. Infinitamente dolce. Il terrestre non si faceva mai prendere dalla passione o dal piacere. Cercava sempre di rimanere lucido, in modo da poter assecondare, anche in quei momenti, i desideri della sua amata.

E C18 lo sapeva. Vedeva tutto l'amore che quel piccolo uomo le donava. Sentiva in ogni gesto di lui tutta l'adorazione che provava nei suoi confronti. In quei momenti, l'androide si sentiva quasi felice.

Quasi.

Perché, nonostante tutto, nonostante tutto l'amore e l'affetto che Crilin le donava. C18 non poteva dimentica cosa era.

Un cyborg. Un essere pluriomicida. Un'assassina con le mani sporche del sangue di migliaia di innocenti.

Sì. C18 poteva sembrare felice. Poteva provare un senso di benessere. Poteva credere che, stando con Crilin, sarebbe stata bene ed in pace. Quella pace che per tutta la sua vita aveva cercato e sperato.

Ma, dentro di se, l'androide non riusciva, e non poteva, dimenticare cosa era veramente.

 

“Juu?”

“Che vuoi?”

“Posso farti una domanda?”

C18 girò lentamente la testa. I suoi occhi azzurri osservarono Crilin che, a torso nudo e con le braccia incrociate dietro la nuca, osservava il soffitto della loro stanza.

Avevano appena finito di fare l'amore. Di solito, subito dopo, il terrestre si addormentava abbracciato a lei. In quei momenti, C18 provava un'infinita tenerezza per quell'umano. Crilin l'adorava. La considerava la persona più bella e perfetta del mondo. La cyborg sapeva che non era così. Così come sapeva che, illudendo il terrestre del contrario, faceva un grosso torto a quella persona a cui, nonostante tutto, voleva bene.

Certe volte, durante la notte, l'androide poteva sentire il piccolo guerriero bisbigliare nel sonno. Il terrestre mormorava frasi sconnesse riguardanti il suo amico Goku. In quei momenti, la cyborg capiva che non era l'unica ad avere pesi sull'anima.

Allora, presa dalla tenerezza, la bionda lo abbracciava. Cercando, con le sue braccia, di regalargli il sonno pacifico che si meritava. Non sempre funzionava. Ma, la maggior parte della volte, Crilin, dopo un po' di tempo, smetteva di lamentarsi nel sonno. Tornando così a dormire in maniera pacifica.

“Cosa c'è adesso?” borbottò, cercando di scacciare dalla mente i pensieri a cui si era abbandonata.

Crilin si puntellò sui gomiti. In quel momento, il terrestre la stava fissando con intensità.

“Sai...era da un po' che me lo chiedevo...come mai porti sempre quegli orecchini d'oro?”

C18 si incupì davanti alla domanda del piccolo guerriero. Gli aveva fatto tornare alla mente cattivi ricordi. Crilin, vedendo la sua reazione, cercò subito di rimediare.

“Scusami! Non volevo darti fastidio! Non devi rispondermi per forza! Non fa niente Juu. Davvero!”

“Piantala.” fece lei con voce glaciale. Il piccolo guerriero tacque subito.

C18 si accarezzò l'orecchino che portava al lobo destro. Sentire il freddo metallo sotto i suoi polpastrelli le fece tornare il cattivo umore.

“Come mai questa domanda? Per caso non ti piacciono?” domandò l'androide con voce sarcastica.

“C-certo che no!” si affrettò a dichiarare l'uomo. Dentro di se, il terrestre stava cominciando a maledirsi per averle fatto quella domanda. “Ma pensavo che, voi donne, ogni tanto vi togliete gli orecchini.”

“Io non sono una donna!” sbottò piccata la cyborg.

Davanti a quella reazione, Crilin sorrise. Successivamente, il piccolo guerriero, l'abbracciò. Assaporando così, il dolce profumo della pelle di lei.

“Lo so che non sei una donna.” mormorò l'uomo. “Tu, infatti, sei una dea. Una splendida e bellissima dea!”

Sentendo quelle parole, C18 sorrise. Ma il suo era un sorriso amaro. Lei una dea? Crilin era proprio un illuso! Di lei si poteva dire tutto, ma che fosse una dea, no. Decisamente no.

“Sei uno stupido.” dichiarò con voce glaciale. “Se fossi una dea non starei certo perdendo tempo con te.”

“E perché?” domandò ingenuamente il terrestre continuando tuttavia la sua opera di coccole.

La cyborg cominciò ad accarezzargli la schiena. Assaporando così, per l'ennesima volta, i muscoli caldi e compatti di lui.

“Perché, se fossi una dea, non sarei così stupida da perdere il mio tempo con te.”

“Allora sono felice di essermi sbagliato!” esclamò allegramente il guerriero.

C18 sorrise. E, questa volta, il suo fu un sorriso felice.

Successivamente, l'androide convinse Crilin a rifarlo un'altra volta.

 

“Comunque non mi hai ancora risposto.”

C18 sbuffò irritata. Quella notte, Crilin aveva deciso di non dormire.

Con un sospiro di esasperazione, la cyborg si mise seduta a gambe incrociate. Subito dopo, afferrò il terrestre per i capelli e se lo portò sulle gambe.

“Juu! Cosa stai facendo?!”

“Beh...se devo proprio parlare, almeno fammi trovare un modo per tenere occupate le mani!” dichiarò l'androide con una punta di divertimento nella voce. Crilin adesso aveva la testa appoggiata sulle gambe lisce e morbide della bionda. Cominciando ad accarezzargli i morbidi capelli neri, C18 iniziò il suo racconto.

“Tu mi domandi perché porto sempre questi orecchini.” dichiarò con voce atona la cyborg. “Beh, se li porto, è solamente per colpa del Dottor Gero.”

Sentendo quel nome, il piccolo guerriero si irrigidì. Gero. Ancora quel mostro! Quanto lo odiava! Se c'era una persona che Crilin avrebbe ucciso volentieri, quella era di sicuro il Dottor Gero.

“Gero non era uno stupido. Sapeva che gli androidi che costruiva sarebbero stati potenzialmente pericolosi anche per lui.” un sorriso perfido illuminò le labbra della bionda. “Diciamo che io e mio fratello ne siamo la prova vivente.”

“Comunque sia, Gero aveva preso le sue precauzioni. Aveva costruito il famoso telecomando di disattivazione. Quello stesso telecomando che tu hai distrutto.”

Crilin si limitò ad annuire. Si ricordava perfettamente quel maledetto apparecchio che l'aveva spinto al gesto più difficile della sua vita. Il terrestre tuttavia, non si era mai pentito di aver commesso quell'azione.

“Ma costruire il telecomando non basta per disattivare noi cyborg.” continuò con voce atona C18. “Serve anche un microchip che permetta agli impulsi lanciati dal telecomando di disattivare i nostri circuiti.”

Crilin spalancò gli occhi. Il piccolo guerriero cominciò a capire.

“Vuoi dire che...”

“Sì. I microchip per la disattivazione si trovano in questi orecchini.” dichiarò l'androide. “Gero me li mise quando era appena una bambina. Sono fissati alla carne attraverso una complicata serratura elettronica. L'unico modo per togliermeli sarebbe quello di strapparmi le orecchie.” gli occhi della cyborg divennero due fessure di ghiaccio mentre la sua voce risuonava piena di rabbia. “Per lui, noi non eravamo esseri umani. Eravamo delle bestie. E come tali ci ha marcati. Solo che, al posto di un collare, ci ha messo questi orecchini.”

Crilin si alzò. Il terrestre fissò con rabbia l'androide. Ancora una volta, il piccolo guerriero si stupì di tutto il male che Gero le aveva fatto. Sembrava che non ci fosse fine alla malvagità di quell'uomo.

“Non ti danno fastidio?” mormorò dolcemente.

C18 scrollò le spalle.

“A te da fastidio avere cinque dita? Oppure due occhi? Ormai fanno parte di me. Sono una componente essenziale del mio corpo. E comunque hanno la loro utilità.”

“E quale sarebbe?” domandò curioso il guerriero.

Un sorriso amaro spuntò sulle labbra di lei.

“Mi ricordano chi sono.” mormorò con voce triste. “Mi impediscono di dimenticarmi chi sono e da dove vengo.”

Davanti a tutto quell'amarezza, il cuore dell'uomo si sciolse. Abbracciò l'androide. Successivamente, Crilin cominciò a baciarle il collo con dolcezza.

“Mi dispiace.” mormorò tristemente il terrestre. “Davvero Juu. Mi dispiace tanto.”

“E di cosa?” domandò stupida la cyborg.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto passare tutto questo. Mi dispiace che tu abbia perso tutto quello che avevi nella tua vita a causa di quel mostro. Mi dispiace che il mio amore non basti a farti dimenticare le crudeltà che hai dovuto subire!”

Davanti a quelle parole, C18 rimase incantata. Incapace di trovare qualcosa da dire. Non avrebbe mai pensato che Crilin soffrisse così tanto per lei. L'androide rimase piacevolmente colpita nell'apprendere quella notizia. Crilin era veramente la persona più sensibile e buona che avesse mai incontrato.

Nel frattempo, il piccolo guerriero la baciò. Cercando, con quel bacio, di far dimenticare alla sua adorata Juu-chan, gli orrori che aveva dovuto subire. La cyborg rispose al bacio. Felice di poter sapere che lui, il suo uomo, ci sarebbe sempre stato per lei.

Eppure, nonostante tutto, nonostante desiderasse stare insieme a lui, C18 non poté fare a meno di provare un moto di tristezza. Era disgustata di se stessa.

“Mi dispiace.” pensò con amarezza mentre osservava il terrestre dormire abbracciato a lei. “Mi dispiace tanto Crilin. Tu mi consideri una persona magnifica. Un dea! Mentre io sono solamente una sottospecie di donna che non ha fatto altro che uccidere nella sua vita.”

La sua mano cominciò ad accarezzare i capelli di lui. Ancora una volta, la cyborg fu stupita della morbidezza di quella chioma nera come il carbone.

“Certe volte mi chiedo cosa ci trovi in me.” continuò l'androide. “Lo so che sono bella, ma tu mi hai sempre detto che non è per quello che sei innamorato di me. Ma allora perché? Perché mi ami così tanto? Perché hai fatto tutti questi sacrifici per me? Per me, che non ho fatto altro che sfruttarti, picchiarti ed offenderti! Certo che sei proprio strano!”

La sua mano percorse con delicatezza i lineamenti del volto dell'uomo. Quegli stessi lineamenti che, ormai, conosceva come le sue tasche.

“Lo so che non mi sentirai mai dire queste parole.” continuò a pensare la bionda. “Anche perché io non posso mostrarmi debole davanti a te. Tu hai bisogno che io sia forte e sicura. E io lo sarò. Te lo prometto Crilin. Io sarò forte e sicura. Anche se io, in realtà, non lo sarò mai dentro di me. Ma tu lo meriti. Meriti di avere qualcuno che ti protegga. Qualcuno che ti impedisca, con il cuore buono ed ingenuo che ti ritrovi, di metterti nei pasticci.”

Alla fine, l'androide decise di dormire. Mentre cominciava a sentire il sonno artificiale calare sui suoi circuiti, alla cyborg venne in mente un ultimo pensiero.

“Ma forse ti sei già cacciato nei guai. Innamorandoti di me.”

C18 chiuse gli occhi. L'ultima cosa che sentì prima di cadere nel suo sonno cibernetico fu il peso della testa di Crilin che le premeva sul suo seno. Eppure, all'androide, quel peso pareva la cosa più bella del mondo.

Perché le ricordava che non era più sola.

 

CONTINUA

 

Ok...lo ammetto. Questo capitolo è un po' corto. Tuttavia il tempo che ho non è moltissimo in questo periodo. Spero solamente che vi possa piacere.

Comunque non so...ma a me C18 mi pare un po' OOC. Non saprei. Voi che ne dite? Aspetto commenti e giudizi!

Un saluto!

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Capitolo 13
*** Domande, dubbi e sensi di colpa ***


Capitolo 13

 

“C18! C18! Dai apri la porta!”

Niente. Nessuna risposta. La porta del bagno rimase chiusa come prima.

Crilin sospirò di esasperazione passandosi una mano sul volto. Il terrestre si chiese cosa diavolo le era preso alla sua ragazza.

Era passato un anno da quando C18 era venuta a vivere alla Kame House. Un anno in cui, sia la cyborg che il terrestre, erano cambiati moltissimo. Ormai nessuno avrebbe scambiato la scorbutica fidanzata del piccolo guerriero con l'androide freddo e cinico che aveva sconfitto Vegeta. Crilin stesso era cambiato. Passando dall'essere un guerriero timido ed impacciato ad un uomo. Ovviamente era rimasto, fondamentalmente, un imbranato. Ma rispetto ad un anno e mezzo prima, il terrestre era maturato veramente tanto.

La sua relazione con la cyborg stava andando a gonfie vele. Ormai, anche i suoi amici avevano accettato il fatto che lui, il piccolo e goffo Crilin, stesse con lei, la fredda e spietata C18. Perfino Chichi aveva smesso di andare in escandescenza quando vedeva l'androide.

Insomma, sembrava che tutto stesse andando per il meglio.

Sembrava.

Da circa quattro settimane C18 aveva ripreso alcune “vecchie” abitudini. Era ritornata ad essere intrattabile, scontrosa e di pessimo umore. Una sera, senza alcun motivo apparente, aveva buttato fuori dalla loro camera il terrestre, obbligandolo a ritornare a dormire sul divano.

Crilin non si era lamentato. Aveva provato a scoprire la causa del pessimo umore della bionda. Ma, l'unica risposta che aveva ottenuto, era stato un ki-blast accompagnato dalle seguenti parole.

“Non rompermi i coglioni! Non sono obbligata a raccontarti tutto quello che mi succede! Impara a farti gli affaracci tuoi, nanerottolo!”

Dopo quella risposta, il terrestre aveva capito che non era il caso di insistere. Decise di limitarsi a sopportare l'androide fino a quando non le fosse passata la luna storta. Tuttavia, dopo più di un mese che quella storia andava avanti, il piccolo guerriero aveva cominciato a preoccuparsi seriamente. Non capiva perché C18, nonostante fosse ovvio che avesse un problema, non decidesse di parlarne con lui.

Crilin sospirò. Ma perché? Perché? Perché con quella donna doveva essere tutto così complicato?

Preso dalla disperazione, l'uomo bussò per l'ennesima volta. Ormai era più di due ore che C18 era chiusa in bagno. Anche quella era una faccenda strana. Da un certo periodo di tempo, più o meno da quando era ritornata la C18 di una volta, l'androide aveva cominciato a chiudersi in bagno per lunghi periodi di tempo. Onestamente, Crilin credeva che, i circuiti della cyborg, si fossero fusi.

“Avanti! C18 aprì! Non puoi rimanere chiusa in bagno per tutto il giorno!”

Il silenzio fu l'unica risposta che ebbe. Preso dalla disperazione, il terrestre cominciò a fare minacce.

“Guarda che, se non aprì subito la porta, io la sfondo!”

Era pericoloso. Sapeva che, minacciando C18, avrebbe seriamente rischiato di perdere la vita. Eppure, pur di cercare di aiutare l'androide, Crilin era disposto a morire per mano della donna che amava.

Tuttavia, la sua minaccia, non fu mai messa in pratica.

All'improvviso, la porta del bagno si aprì.

 

C18 si osservava allo specchio senza, in realtà, vedersi.

La cyborg sentiva che, fuori dal bagno, Crilin cercava in ogni modo di farla uscire dal suo isolamento. Quel comportamento la stava irritando terribilmente.

“Zitto! Stai zitto! Zitto! Zitto! Zitto!!!” pensò con rabbia. Non aveva mai provato un odio così intenso verso Crilin né, onestamente, pensava che l'avrebbe mai provato.

Eppure, adesso, l'androide lo odiava con tutta se stessa.

C18 si portò le mani alle tempie cercando, in quel modo, un inutile sollievo all'emicrania che la stava torturando.

Già. Anche l'emicrania che la stava facendo impazzire era colpa sua. Lei era un cyborg! Non si poteva ammalare. Eppure, a causa di Crilin, adesso i suoi circuiti le stavano mandando un intenso dolore alle tempie.

All'improvviso, la cyborg sentì un conato acido bruciarle la gola. Prima ancora che il suo cervello le potesse dare la coscienza di ciò che stava accadendo, la bionda rigettò violentemente sul lavabo del bagno.

Si asciugò le labbra con il dorso della mano destra. Mentre, nel suo cervello, cominciò a prendere corpo l'idea di uccidere violentemente la causa di quei disturbi.

“Maledetto! Cretino! È solo colpa tua se adesso sono in queste pietose condizioni! Idiota! Sei solamente un idiota!”

In quel momento, un violento senso di nausea, accompagnato da un nuovo conato, pose fine alla sua invettiva mentale nei confronti di Crilin.

Quando si fu ripresa, la bionda fu invasa da una rabbia immensa.

Com'era possibile? Lei era un cyborg! Come aveva fatto a ridursi in quelle condizioni?

C18 si sfiorò la pancia piatta. Non le pareva ancora possibile.

Provava rabbia. E tanta. Ma, soprattutto, provava una grande incredulità.

Non aveva mai preso precauzioni mentre faceva l'amore con Crilin. La cyborg aveva sempre pensato di essere sterile. Infatti, nonostante ogni mese l'androide avesse il ciclo, la scarsa conoscenza dell'anatomia umana che possedeva, le aveva sempre fatto credere di non poter rimanere incinta.

Perché, onestamente, il solo pensiero di rimanere incinta era assurdo per C18. Lei era un androide! Non una donnicciola piagnucolosa! Le pareva impossibile che, dopo tutto quello che il suo corpo aveva dovuto subire a causa del Dottor Gero, lei potesse ancora essere in grado di riprodursi.

Eppure, nonostante tutti i suoi ragionamenti, nonostante tutta la logica che c'era in quei pensieri, le sue convinzioni erano andate in frantumi.

Era incinta.

L'androide aveva cominciato ad insospettirsi quando il ciclo aveva smesso di arrivare. Temendo un guasto nei suoi circuiti, la cyborg aveva cominciato a preoccuparsi.

Poi, dopo un po' di tempo, aveva cominciato a subire quelle terribili emicranie, a cui si erano subito aggiunte le nausee e i conati di vomito.

Anche per una poco esperta di medicina come lei non ci era voluto molto a capire cosa stava succedendo. L'androide aveva capito che, all'interno del suo corpo, non tutto stava andando come doveva andare.

All'inizio aveva pensato di rivolgersi ad un dottore, ma poi l'idea le era parsa assurda. Quale medico avrebbe potuto, anche solo vagamente, comprendere cos'era di preciso lei?

Eppure, con il passare del tempo, la situazione non era migliorata affatto. Anzi, era addirittura peggiorata.

Alla fine, C18 aveva deciso di rivolgersi all'unica persona, a parte Crilin, per cui nutriva un minimo di fiducia: Bulma.

La cyborg aveva deciso di andare di notte a trovare la scienziata. Infatti, se ci fosse andata di giorno, avrebbe scatenato la curiosità di Crilin. E la bionda non aveva nessuna intenzione di mettere il terrestre al corrente dei suoi problemi fisici. Non poteva mostrarsi debole davanti a lui. Era una questione d'orgoglio.

Quando Bulma, infuriata per essere stata svegliata all'una di notte, era andata ad aprire, era rimasta piuttosto sorpresa di vedersi la bionda davanti.

“Ho un problema.” aveva detto, a mo di saluto, l'androide.

Bulma l'aveva osservata per circa un minuto con un'espressione indecifrabile in volto. Poi, la scienziata, si era limitata a spostarsi.

“Entra.”

C18 spiegò velocemente la situazione alla donna. Bulma era piuttosto scettica che, la causa dei disturbi dell'androide, fosse da ricercare nelle sue componenti meccaniche.

“A me pare tutto piuttosto strano.” osservò la madre di Trunks. “Queste sono cose per cui bisognerebbe andare da un medico, non da un'esperta di elettronica!”

C18 aveva osservato con disprezzo l'azzurra.

“Senti.” aveva detto l'androide con voce irritata. “Io sono un cyborg. Non mi sono mai ammalata. Non posso capisci? Il mio sistema immunitario è cibernetico. È un complesso sistema difensivo, controllato dal mio cervello, infallibile. Se, ora come ora, non mi sento bene, la colpa va ricercata nei miei circuiti! Qui, un medico, non potrebbe fare un bel niente!”

“Ok! Non c'è bisogno di scaldarsi tanto!”

C18 fissò con rabbia la scienziata.

“Sai benissimo che non chiederei mai aiuto a nessuno.” dichiarò la bionda. “Ma questa cosa, questo problema, non posso risolverlo da sola.” i suoi occhi azzurri si incrociarono con quelli blu scuro di Bulma. “Ho bisogno del tuo aiuto.”

La madre di Trunks sospirò cominciando, nello stesso istante, a massaggiarsi le tempie.

“Cosa devo fare?”

 

E così era iniziata la visita. Dopo aver narcotizzato la cyborg, Bulma aveva cominciato, seguendo il progetto dell'androide numero 17 rubato tempo prima al Dottor Gero, a controllare il funzionamento della parti meccaniche della bionda. Non era un lavoro semplice. Alla scienziata sarebbe bastato essere leggermente imprecisa nel collegare due fili e avrebbe mandato in corto circuito l'intero sistema cibernetico dell'androide. Rendendo così impossibile il suo risveglio.

Alla fine, dopo più di quattro ore di lavoro, l'azzurra aveva finito.

“Allora?” domandò, una volta sveglia, C18 mentre si rivestiva.

Bulma sospirò di stanchezza. Era stata sveglia tutta la notte e grosse occhiaie violacee stavano cominciando ad apparire sotto i suoi occhi.

“Vieni con me in cucina che mi preparo un caffè.”

Una volta preparata la bevanda, Bulma si sedette al tavolo di cucina della Capsule Corporaton. Immediatamente, la cyborg si era seduta davanti a lei.

“Allora? Parla!”

“Mamma mia! Non conosci il significato della parola pazienza?” protestò piccata la scienziata.

Gli occhi di C18 si strinsero fino a diventare due fessure di ghiaccio. Una vena cominciò a pulsare pericolosamente sulla sua fronte.

“Voglio una risposta! Non mi sono fatta narcotizzare solamente per passare il tempo!” sibilò, con evidente nervosismo, l'androide.

Bulma la guardò con un'espressione strana in volto. Poi, alla fine, parlò.

“Non hai nessun problema.” tuttavia, dopo un paio di secondi, la donna aggiunse. “Niente che io possa aiutarti a risolvere.”

La cyborg l'aveva osservata perplessa.

“Cosa intendi dire?”

Bulma osservò per un intero minuto la propria tazza, piena di un fumante liquido scuro. Poi, alla fine, la scienziata si limitò a dire due semplici parole.

“Sei incinta.”

C18 rimase pietrificata. Spalancò gli occhi mentre, dentro di se, cominciò a sentire una sensazione di smarrimento.

“Come hai detto?”

Bulma la fissò sorpresa. La donna non si sarebbe mai aspettata di vedere C18 in quello stato confusionale.

“Ho detto che sei incinta.” ripeté pazientemente l'azzurra. “Significa che aspetti un bambino.”

“Lo so cosa vuol dire!” ribatté irritata la cyborg.

Nella cucina cadde il silenzio. C18 stava cercando di accettare l'enormità della notizia appena ricevuta.

“Ne sei sicura?” domandò con voce irriconoscibile.

Bulma sospirò scuotendo, nello stesso istante, la sua chioma azzurra.

“Non sono un medico. Quindi non possono esserne sicura.” dichiarò con voce incolore la donna. “Ma, personalmente, ho pochi dubbi in proposito. Ho analizzato un campione del tuo sangue e ho riscontrato una quantità incredibilmente alta di ormoni femminili. In più, non ho potuto ispezionarti la zona del ventre a causa del fatto che avresti perso una quantità letale di sangue. E questo può accadere solo ad una donna incinta. Ascoltando la tua storia, e osservando questi fattori, la conclusione non può che essere una soltanto.”

“Balle!” ringhiò furiosa la bionda. Le vene che pulsavano sulla sua fronte non si contavano più. “Sono tutte stronzate! Io sono un cyborg! Una macchina! Non posso riprodurmi! Io non sono una donna!!!”

Bulma non sembrò minimamente preoccupata dalla reazione della cyborg. Anzi, sembrava leggermente divertita.

“Eppure, se sei una macchina come dici, mi spieghi come riesci a fare sesso con Crilin?”

“E...e questo cosa diavolo centra?!” rispose l'androide, diventando, nel frattempo, rossa in volto.

Davanti all'imbarazzo di C18, la scienziata sorrise.

“Tu sei incinta.” fece con voce divertita la donna. “Sei libera di non crederci C18 ma, con il passare del tempo, le cose diventeranno sempre peggio. Tra qualche mese te ne accorgerai anche tu del fatto che ora, dentro di te, c'è una vita.”

C18 sospirò. Improvvisamente, tutta la rabbia della cyborg, sembrò sparire come fumo al vento.

Nella cucina tornò a regnare il silenzio. Bulma si limitava a sorseggiare il suo caffè. C18, al contrario, osservava, senza in realtà vederlo, il tavolo di legno sotto di se.

“Ma non ha senso!” esclamò, ad un tratto, l'androide. Bulma la guardò perplessa.

“Io...io non posso rimanere incinta!” spiegò con irritazione la bionda. “Dopo tutto quello che ho passato, dopo tutto quello il mio corpo ha subito, come posso esserlo? Qui non si tratta di fare sesso! Qui si tratta di riprodursi! Io, per quanto simile ad un essere umano posso essere, non lo sono! Come...come diavolo è potuto accadere tutto questo?!”

Bulma ridacchiò. Tuttavia, la sua risata si interruppe subito vedendo l'occhiataccia che la cyborg le rivolse. Con un sospiro, la madre di Trunks rispose.

“Scusami. Ma il fatto è che mi pare strano che tu non conosca di preciso la composizione del tuo corpo.”

“In che senso?”

“Nel senso che, il tuo corpo, è composto da parti meccaniche e cibernetiche solo per una parte. Ovvero, per tutto ciò che riguarda il sistema nervoso. Ma tu, per il resto, sei esattamente una donna come tutte le altre.”

Davanti a quella risposta, C18 era rimasta in silenzio. Poi, continuando a rimanere zitta, l'androide si era alzata ed era uscita. Proprio mentre, nello stesso istante, la luce dell'alba cominciava ad illuminare i tetti della Città dell'Ovest.

 

Erano passati tre giorni da quando aveva saputo da Bulma di essere incinta. Ma per l'androide, quei tre giorni, erano stati un vero inferno.

La cyborg aveva passato quei giorni con la mente in subbuglio. Piena di domande e dubbi.

Lei...che diventava madre? Ma si era mai vista una cosa più assurda? Come poteva un'assassina diventare mamma? Come poteva guardare in faccia suo figlio senza sentirsi un verme? Come poteva accettare che una persona la considerasse la migliore del mondo quando, in realtà, non era neanche una persona?

Ma non erano solo quelle domande che le rodevano come un tarlo il cervello. L'androide era profondamente disgustata di se stessa.

Perché lei, C18, la fredda e spietata cyborg, si era fatta mettere incinta come una donnicciola qualunque.

Il suo orgoglio era in frantumi. Ma poi, come se questo non bastasse, c'era anche il fatto della gravidanza che la rendeva di pessimo umore.

Perché l'idea di dover sopportare quei dolori per nove mesi le risultava inaccettabile. Lei era un androide! Non poteva rendersi debole in maniera così ridicola! Senza contare che non avrebbe più potuto combattere. Lei esisteva per la lotta! Non poteva non combattere! Per non parlare poi del pancione! La bionda rabbrividiva al solo pensiero di dover indossare quegli orrendi abiti sformati che indossavano, di solito, le donne in gravidanza.

C18 non poteva rimanere incinta. Era contro tutti i suoi principi.

Eppure lo era.

E la colpa era solamente di quel nanerottolo maledetto.

“Guarda che, se non aprì subito la porta, io la sfondo!”

C18 si accorse che Crilin era ancora fuori dalla porta. Il terrestre la stava minacciando. Minacciando lei! C18!

Un ringhio di pura collera le uscì dalla gola.

Con uno scatto, l'androide andò ad aprire la porta.

 

Quando Crilin se la trovò davanti, rimase imbambolato come un idiota.

C18 lo fissava con uno sguardo da mettere i brividi. Gli occhi azzurri dell'androide erano pieni di rabbia ed odio. La sua faccia era trasfigurata dalla collera. Era mesi che Crilin non la vedeva così infuriata.

“Allora?! Che cazzo vuoi?!”

Crilin deglutì. Improvvisamente, il terrestre provò una tremenda fitta di terrore.

“V-volevo solo s-sapere come stavi Juu.” dichiarò balbettando leggermente. “N-non volevo essere scortese. Davvero!”

Il tono cortese e sottomesso del terrestre, unito al fatto che l'aveva chiamata con il suo nuovo nome, fecero perdere la pazienza all'androide.

“Sei un idiota!” ruggì, facendo così sobbalzare il piccolo guerriero. “Un cretino! Un...un lurido, schifoso, inutile umano!”

Per quanto l'ultima offesa della cyborg non fosse propriamente un'offesa, Crilin si intristì. Cosa aveva fatto per meritarsi tutto quell'odio?

“Juu...cosa c'è che non va?”

C18 scoppiò a ridere. Ma la sua era una risata isterica, folle che, il terrestre, non le aveva mai sentito fare.

“Cosa c'è che non va? Mi chiedi cosa c'è che non va?!” dichiarò la bionda ormai isterica. “Sono incinta idiota! Incinta!”

Crilin ci mise qualche secondo a comprendere le ultime parole della cyborg. Il piccolo guerriero rimase, semplicemente, pietrificato mentre il sangue defluiva pericolosamente dalla sua faccia, facendo assomigliare il suo viso ad un cencio lavato.

Nel frattempo, C18 sembrò essersi calmata. L'androide si portò le mani ai fianchi, osservando il terrestre con disprezzo.

“Beh? Hai qualcosa da dire?!”

Crilin rimase muto. L'uomo continuava a fissare la bionda con un espressione di profondo stupore.

Disgustata dalla reazione del guerriero, C18 se né andò via dalla Kame House senza aggiungere una sola parola.

 

“Sono incinta idiota! Incinta!”

Crilin osservava il tramonto dalla spiaggia della Kame House. Le parole che C18 gli aveva urlato qualche ora prima gli rimbombavano nella mente.

Il piccolo guerriero si mise le mani sul volto mentre, dentro di se, regnavano sovrani lo stupore e la paura.

“Come diavolo è potuto accadere?” pensò, per la milionesima volta, il terrestre.

Non aveva mai e poi mai pensato di diventare padre. C18, infatti, gli aveva sempre detto che era sterile. Il piccolo guerriero ricordava benissimo le parole dell'androide.

 

“Non sei preoccupata del fatto che lo facciamo così spesso?”

“E perché dovrei? Se ho voglia lo faccio, altrimenti no!”

“Non è per quello. Cioè...cosa accadrebbe se...sì insomma...se poi capitasse che aspetti un bambino?”

“Impossibile. Io sono sterile. Sono un'androide. Non posso avere figli. Mettitelo bene in testa se vuoi vivere insieme a me! Ti conviene rassegnarti al fatto che non avrai neanche un mostriciattolo! Non da me almeno.”

“Non mi interessa.”

“Davvero?”

“Sì. L'unica cosa che voglio è stare insieme a te. Tutto il resto non è importante.”

C18 sorrise. Successivamente, le labbra morbide e sottili di lei andarono ad unirsi con quelle di Crilin.

 

Com'era stato possibile? La cyborg aveva detto che era sterile! Possibile che si fosse sbagliata? Possibile che, in fondo, fosse una donna come tutte le altre?

Crilin si passò una mano tra i capelli. Nonostante diventare padre fosse un suo vecchio sogno, quella notizia non gli procurava nessuna gioia.

Come avrebbe potuto essere un buon padre? Come avrebbe potuto suo figlio camminare a testa alta tra la gente con un inetto come lui a fargli da genitore? Lui era un idiota! Non sapeva neanche badare a se stesso! Come diavolo avrebbe fatto a crescere un figlio?

No. Crilin non voleva diventare genitore. C'era stato un periodo della sua vita in cui, un figlio, lo aveva desiderato moltissimo. Era stato quando stava ancora con Marion. Avere un figlio con l'azzurra gli sarebbe piaciuto tantissimo. Ma poi lui e Marion si erano lasciati. E il suo sogno era rimasto tale.

Poi era arrivata l'avventura di Cell. E Crilin, in quella terribile avventura in cui, per colpa sua, era morto il suo migliore amico, aveva capito di non essere maturato affatto. Era ancora un bamboccio immaturo e troppo ingenuo. Aveva pensato che, non disattivando C18, la bionda si sarebbe innamorata di lui. Invece la cyborg era stata assorbita da Cell, Goku era morto, e se C18 si era salvata, il merito non andava certo a lui.

Ok, alla fine lui e C18 si erano messi insieme. E la loro relazione ormai durava da parecchio. Ma, onestamente, quando aveva scoperto che C18 era sterile, Crilin si era sentito sollevato. Dubitava che lui e la cyborg, con tutto quello che avevano passato, sarebbero potuti essere due buoni genitori.

Eppure adesso lo sarebbero diventati.

C18 era incinta.

Ed era solamente colpa sua.

Crilin avrebbe voluto piangere se solo né avesse avuto la forza. Ma il terrestre si sentiva svuotato. Incapace di fare qualunque cosa. Quando l'androide era andata via dalla Kame House, il piccolo guerriero non aveva avuto il coraggio di seguirla. Per quale motivo farlo? Perché avrebbe dovuto provare a tranquillizzare la cyborg quando, lui per primo, era terrorizzato?

In quel momento, Muten raggiunse il suo allievo sulla spiaggia. L'anziano maestro aveva visto C18 andarsene infuriata e, quando aveva visto che Crilin non la seguiva, si era preoccupato parecchio. Muten sapeva che, ultimamente, tra il terrestre e l'androide le cose non andavano molto bene. Deciso a sapere che cosa era veramente successo, l'anziano maestro aveva deciso di provare a parlare con il suo allievo.

“Non vieni Crilin? La cena è pronta.”

“Non ho fame.” borbottò di cattivo umore il piccolo guerriero.

Muten sospirò. Mentre il sole continuava la sua parabola calante, il vecchio maestro decise di fare la domanda che, fin da quando aveva raggiunto il suo allievo sulla spiaggia, si era prefissato di fare.

“Dove è andata C18?”

Sentendo quella domanda, gli occhi scuri di Crilin, di solito sempre allegri e vivaci, divennero di colpo spenti e grigi come quelli di un vecchio.

“No-non lo so...” sussurrò l'uomo con voce rotta. “Io...io...non ho potuto fare niente per fermarla.” il guerriero girò la testa verso il suo maestro. “Mi dispiace. È solo colpa mia.”

“Colpa? Ma di che cosa stai parlando?” domando confuso l'anziano guerriero.

Crilin deglutì. Per circa un minuto l'unico rumore che si sentì fu quello delle onde che si infrangevano sulla spiaggia. Poi, con un sussurro roco, Crilin parlò.

“C18 è incinta.”

Muten spalancò gli occhi. Dentro di se, il maestro di arti marziali, provò una grande gioia mista a stupore.

“Ma...ma è una notizia fantastica!”

Crilin fissò inorridito il suo maestro. Come faceva a dire che era fantastico tutto ciò? Possibile che non capisse? Che non riuscisse a capire che, per uno come lui, avere un figlio era la peggiore delle sciagure possibili?

“Ma perché C18 se ne è andata? E mi spieghi perché diavolo hai quel muso lungo? Dovresti festeggiare! Non piangerti addosso!”

“E MI SPIEGA CHE COSA CAZZO DOVREI FESTEGGIARE?????!!!!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola il terrestre. Muten lo fissò stravolto. L'anziano maestro non capiva perché Crilin si stesse tormentando così davanti a quella magnifica notizia.

Il piccolo guerriero si alzò di scatto. Aveva il fiato corto. Quando ricominciò a parlare la sua voce era rotta dalla rabbia e dalla paura.

“Io non posso diventare padre! Io sono un idiota! Un inetto! Io non dovrei neanche stare con una come C18! Non capisce che, uno come me, sarebbe il padre peggiore del mondo? Non capisce che questo figlio sarà condannato ad una vita orribile per una colpa non sua? Per il semplice fatto che io ho fatto qualcosa che non avrei dovuto neanche sognarmi di fare!!!!”

Una volta urlate queste parole, Crilin aumentò la sua aura al massimo. Un aura trasparente si formò attorno al suo corpo. Subito dopo, il guerriero si alzò in volo. Dopo neanche un minuto, la sua figura si era già immersa tra le nuvole infuocate.

Muten rimase sconvolto. L'anziano maestro finalmente comprese il perché dell'atteggiamento di Crilin. Il suo allievo aveva paura. Una bruciante e terribile paura.

 

Nel frattempo, Crilin volava nel cielo alla massima velocità possibile. Il suo volto era trasfigurato da una smorfia di dolore e disperazione.

“Che cosa ho fatto?” pensò. I sensi di colpa stavano salendo violenti e decisi. “Che cosa diavolo ho fatto?”

“Ho condannato un essere umano ad una vita terribile. Ho obbligato Juu-chan a fare una cosa che non voleva. Sono un idiota! Che cosa ho fatto?”

Il terrestre si mise la testa tra le mani. Una lacrima gli scese dall'occhio destro mentre i sensi di colpa gli schiacciavano il petto come un macigno.

“Dio...perdonami.”

 

CONTINUA

 

Salve a tutti! Ecco un altro capitolo che spero vi piaccia!

Ho provato ad immaginare la reazione di Crilin e C18 davanti alla notizia che avrebbero avuto un figlio. Io non credo che, almeno all'inizio, i due siano stati felicissimi della notizia. Questa, ovviamente, è solo una mia idea. Tuttavia ho voluto provare lo stesso a descriverli così. Spero che vi possa piacere! Aspetto come al solito giudizi e commenti.

Un saluto!

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Capitolo 14
*** Pazzo d'amore ***


Capitolo 14

 

C18 osservava il mare infrangersi sulla spiaggia.

Dopo che era andata via dalla Kame House, la cyborg aveva volato a lungo senza una meta precisa. Desiderosa solamente di allontanarsi da Crilin.

Alla fine, quando il sole aveva cominciato a tramontare, l'androide si era diretta verso l'isola dove, per mesi, aveva allenato il terrestre.

Ed adesso era là. Seduta sulla spiaggia ad osservare il sole morente che indorava le instancabili onde dell'oceano.

La bionda sospirò per la centesima volta. Era confusa. Si sentiva come divisa a metà. Contesa e combattuta tra il suo essere cyborg e la sua appartenenza alla razza umana.

Non potendo fare altro, C18 aveva passato quelle ultime ore a pensare. E pensando, molte cose che credeva certe, le erano parse, ad un tratto, dubbiose ed insicure.

Che fosse incinta era ormai un dato di fatto. Poteva odiare chi l'aveva messa in quella situazione. Poteva sfogarsi distruggendo ogni cosa ed urlando con tutto il fiato che aveva. Ma le cose non sarebbero cambiate. Lei era incinta. Dentro di lei c'era ora una piccola vita che si stava lentamente sviluppando. Non poteva tornare indietro. Le cose non potevano cambiare.

C18 si mise la testa tra le ginocchia. Osservò la sabbia leggermente umida sotto di se mentre l'odore di salsedine, divenuto per lei ormai familiare, le invadeva i polmoni con il suo effetto balsamico.

Era confusa. Non capiva. Per tutta la sua vita aveva desiderato liberarsi di quell'incubo che era stato il Dottor Gero. Per tutta la vita aveva dovuto subire un'atrocità dietro l'altra. Incapace di ribellarsi. Incapace di porre fine alla malvagità di quel mostro. Incapace di proteggere suo fratello e lei dal destino orribile a cui lo scienziato gli aveva condannati. Quando, alla fine, erano riusciti a ribellarsi e a porre fine alle pazzie di Gero era stato troppo tardi. Non potevano più tornare indietro. Ormai erano diventati delle macchine. Dei robot crudeli e, almeno in teoria, incapaci di provare dei sentimenti.

C18 si incupì. Pensare a suo fratello le aveva fatto tornare in mente quel poco che Gero le aveva lasciato in memoria del suo passato. L'esistenza di merda che aveva vissuto dentro il laboratorio dello scienziato non l'avrebbe augurata a nessuno. Ogni giorno uguale all'altro. Buio, freddo, incapace di farle provare la gioia di essere viva. Ogni giorno passato sperando che il mostro non fosse di cattivo umore. Ogni giorno passato vicino al fratello sperando che, almeno lui, non glielo portassero via. In quei cunicoli sotto la montagna non esisteva il passato né il futuro. Esisteva solamente un terribile, devastante presente.

Le pareva impossibile che avesse passato dentro quell'orribile posto quasi tutta la sua vita da umana. Non aveva mai saputo quanti anni aveva quando Gero l'aveva tramutata in un androide. Diciotto? Venti? Venticinque? Non lo sapeva. Aveva visto raramente la luce del sole. Cosa importavano gli anni la dentro? Ogni giorno era uguale all'altro. Sapeva solamente che aveva avuto circa sei anni quando i suoi genitori erano stati uccisi e lei aveva cominciato a conoscere il significato della parola paura.

Sì. C18 aveva avuto paura. Non possedeva più i ricordi precisi, ma la cyborg sentiva ancora sulla sua pelle la cintura di Gero che la percuoteva. Riusciva ancora a sentire le risate fredde e malvagie di quel mostro. Riusciva ancora a sentire le sue mani che la picchiavano. Che la sbattevano contro un tavolo freddo e duro. Che le violentavano la sua intimità.

“Basta!”

C18 scosse la testa con forza. Doveva smetterla di pensare a quel periodo della sua vita. Ormai era libera, Gero era morto e lei aveva avuto la sua vendetta.

Eppure, per quanti sforzi faceva, l'androide non riusciva a smettere di pensare alla sua vita. Le sembrava di viverla in terza persona. Come se fosse solamente uno spettatore che guarda un film.

Ricordò con indifferenza la sua battaglia contro Vegeta. Per lei quello scontro era stato solamente un modo come un altro per sfogarsi. Per divertirsi. Per assaporare la sensazione di essere libera.

Poi era arrivato lui. Quel piccoletto goffo e strano che aveva riempito a lei e suo fratello di discorsi sulla carità e sui diritti degli uomini.

 

“Non bisogna assolutamente giocare con le vite degli esseri umani! È una cosa terribile!”

 

C18 ricordava ancora la sensazione di fastidio che le aveva procurato lo stare ad ascoltare Crilin. Alla fine, stufa di vederlo così sicuro delle sue idee, aveva deciso di prenderlo in giro. Di illuderlo. Di metterlo in difficoltà.

La bionda si ricordava ancora la sensazione di baciargli la guancia. Il sentire la pelle calda e morbida del terrestre sotto le sue labbra. Così come si ricordava benissimo le parole che gli aveva rivolto.

 

“Vai...cucciolone!”

 

Chi l'avrebbe mai detto? Chi avrebbe mai scommesso che, dopo pochi mesi, si sarebbe messa insieme a quel microbo?

C18 si ricordava perfettamente quei giorni. Dopotutto, era passato solamente un anno e mezzo da quando si era messa in viaggio verso la casa di Goku con suo fratello ed il silenzioso C16. La bionda fece una smorfia nel pensare a quel periodo. Quanto erano stati stupidi! Arroganti. Strafottenti. Convinti che nessuno potesse fermarli. In una parola: incoscienti.

Erano stati veramente dei pazzi! Mentre loro si divertivano, seminando morte e distruzione ovunque, Cell aveva cominciato a dare loro la caccia.

Pensare a Cell le fece aumentare all'improvviso i battiti del suo cuore. L'androide rabbrividì nel ricordare la sensazione di venire assorbita dal quell'orrendo mostro. Era finita dentro il ventre di quell'essere rivoltante. Era buio. Terribilmente buio. Dopo un po' aveva cominciato a sentire un liquido caldo e viscoso ricoprirla del tutto. Impedendole così di respirare anche quel poco di aria puzzolente che aleggiava in quel posto orrendo. A poco a poco aveva sentito le forze abbandonarla in una maniera spaventosa. Fino a quando aveva perso i sensi. Da quel momento in avanti era vissuta in un limbo orribile. Popolato dai suoi incubi peggiori. Era stato terribile. Perché lei non era più né un cyborg né un essere umano. Non era nessuno. Lei faceva parte di un corpo estraneo alla sua coscienza. In cui tutto le veniva tolto, e niente le veniva dato.

C18 spalancò gli occhi. Sudore freddo aveva cominciato a scorrerle sulla schiena. Ricordare quei terribili giorni la metteva in uno stato di paura che raramente aveva provato.

Fu in quel momento che cominciò a sentire la mancanza di Crilin. Lui l'avrebbe consolata. L'avrebbe capita. L'avrebbe abbracciata. Scacciando, in quel modo, i suoi incubi.

Il pensiero del terrestre la fece tornare prepotentemente al presente. Per un po' era riuscita a dimenticare tutti i suoi problemi, lasciandosi trasportare dai ricordi. Ma adesso, doveva trovare una soluzione al suo problema.

Era il pensiero di Crilin che la metteva più in difficoltà. Non riusciva più a capire. Cosa era lei? Un androide o una donna? Ma soprattutto, cosa voleva essere lei?

Se qualcuno le avesse fatto questa domanda un anno prima, probabilmente si sarebbe messa a ridere, dopo aver ucciso il tizio che aveva osato compararla ad una donna ovviamente.

Ma adesso...C18 non era più sicura della risposta da dare.

Ovviamente continuava a disprezzare profondamente le donne. Le considerava degli esseri deboli e piagnucolosi. Le pareva impossibile che gli uomini potessero controllare la società umana senza che, tra il mondo femminile, nessuno protestasse. In una parola, la cyborg le considerava delle codarde.

Ma da quando stava con Crilin, da quando aveva cominciato a conoscerlo ed a viverci insieme, la bionda aveva provato delle sensazioni nuove, strane. Umane.

Perché quando Crilin l'abbracciava, quando il terrestre la baciava, quando appoggiava la testa sul petto di lui, C18 provava un senso di protezione e sicurezza che era radicato profondamente nel genere femminile. E se lei provava quelle sensazioni, se lei desiderava essere coccolata ed abbracciata, forse non poteva continuare, in buona fede, a dichiarare che non era una donna.

La cyborg fu costretta ad ammettere, con se stessa, che ormai si era assuefatta a Crilin. Che stargli vicino era diventato un bisogno fisico. Senza rendersene conto, il terrestre era diventato, per lei, una droga. Una dolcissima droga di cui non poteva più fare a meno.

C18 si accorse, con sua enorme sorpresa, di stare male. Stava male lontana da Crilin. Le mancava la sua voce allegra e squillante. Gli sguardi di adorazione che gli rivolgeva continuamente. I suoi abbracci e le sue carezze. Le mancava la sensazione del corpo caldo e muscoloso di lui. Le mancava la sensazione di piacere che provava quando faceva l'amore con lui. Le mancava terribilmente sentire il fiato caldo del piccolo guerriero sul suo viso. I suoi respiri rochi. Le sue parole dolci.

Era buffo. Lei, una cyborg dalla forza immensa e dai poteri incredibili, si faceva stringere ed abbracciare da un terrestre molto più debole. Se soltanto avesse voluto, C18 avrebbe potuto ucciderlo con il minimo sforzo. Per quanto fosse migliorato nella lotta, l'androide rimaneva molto più forte del piccolo guerriero.

Ma lei non avrebbe mai e poi mai potuto fargli del male. Perché Crilin l'aveva salvata. L'aveva fatta ritornare alla vita. Aveva sciolto il blocco di ghiaccio che soffocava il suo cuore.

E lei lo voleva. Lo desiderava. Ancora. E ancora.

C18 sospirò esasperata.

Era veramente innamorata.

Quando l'androide arrivò a quella considerazione, si sentì leggermente meglio. Accettare il fatto che lei, C18, era capace di innamorarsi, le fece accettare anche il fatto che potesse diventare mamma.

Mamma. Che strana parola. L'aveva pronunciata così poche volte nella sua vita. Sarebbe stato strano sentire qualcuno che la chiamava in quel modo.

Un sorriso amaro le illuminò le labbra.

“Sarò capace di accettare tutte le conseguenze che questo marmocchio comporterà? Riuscirò a non farmi odiare da lui? Sarò capace di crescere un figlio?”

Domande del genere sarebbe parse strane ad un'altra persona. Ma per la bionda erano di una importanza vitale. Tuttavia, nonostante avesse accettato di poter provare sentimenti, la cyborg non riuscì a trovare la risposta ai suoi dubbi.

Rimase seduta là per tutta la notte. Immersa nei suoi pensieri. Sola all'apparenza, ma, in realtà, no. Perché ora c'era una piccola vita dentro di lei che non l'avrebbe mai lasciata sola. Una piccola vita che aveva scombussolato totalmente la sua nuova esistenza.

Ma C18 non sapeva che, quello, era solamente l'inizio.

 

Iamko si sedette a tavola con un sospiro di soddisfazione.

Era stata una giornata veramente pesante per il guerriero. Dopo la sua ennesima scappatella con un'altra, Alex lo aveva insultato pubblicamente davanti a tutti. Iamko aveva provato a scusarsi. Ma la sua ragazza si era limitata a picchiarlo in un punto piuttosto “intimo”. Dopo aver avuto la soddisfazione di veder rotolare per terra il guerriero, Alex se ne era andata di gran carriera.

Ma adesso, il terrestre poteva finalmente godersi il meritato riposo sia fisico che mentale che il suo corpo richiedeva. Il guerriero annusò con gioia l'odorino che si sprigionava dal suo stufato. Stava per gustarsi la prima cucchiaiata di quella squisitezza, quando qualcuno bussò alla porta.

Maledicendo profondamente ogni divinità esistente, il guerriero era andato ad aprire la porta solamente per trovarsi davanti il suo amico Crilin.

“Ciao” fece il piccolo guerriero con un sorriso stanco in volto. “C'è posto per uno sfigato da te?”

Iamko lo guardò con fare indecifrabile. Poi, dopo circa un minuto, il terrestre si spostò.

“Entra sciagurato.”

 

“Allora fammi indovinare...” fece l'ex fidanzato di Bulma mentre si risiedeva a tavola con un sospiro. “La tua adorabile fidanzatina ti ha buttato fuori di casa. Giusto?”

Crilin si sedette davanti all'amico. Con un sospiro, il piccolo guerriero fece segno di no con la testa.

“No. Se ne è andata lei.”

Iamko rimase con il boccone di stufato fermo a mezz'aria. Un profondo stupore andò ad incorniciargli il volto.

“Ma allora...tu cosa diavolo ci fai qui?”

Crilin rimase in silenzio. Tuttavia la sua faccia la diceva lunga su come si sentisse. All'improvviso, un pensiero colpì Iamko con la violenza di un fulmine.

“Vi siete lasciati?”

Crilin fece per aprire bocca per rispondere, quando Iamko cominciò ad andare di matto.

“Sì!!!” cominciò ad esultare il terrestre. “Finalmente ti sei accorto che quella vipera si limitava a sfruttarti! Complimenti amico! Bentornato in libertà!

“Iamko...” Crilin provò di nuovo a parlare. Ma l'amico non lo stava più ad ascoltare. Il terrestre si alzò e cominciò a frugare nel frigo.

“Ma dove diavolo si è andata a cacciarsi...” borbottò il guerriero. “Eppure credevo di averla messa qui!”

“Cosa diavolo stai combinando?” domandò l'allievo di Muten.

Quando Iamko si girò, la risposta fu chiara. Il terrestre teneva in mano una bottiglia di champagne e due bicchieri di cristallo nell'altra.

“Dobbiamo festeggiare!” urlò con tutto il fiato che aveva. Subito dopo, davanti ad un allibito Crilin, il guerriero aprì la bottiglia e cominciò a versare il vino dolce e frizzante nei due bicchieri.

“Sai lo tenevo da parte per le grandi occasioni.” dichiarò con un sorriso il terrestre. “E quale occasione migliore ci può essere che festeggiare il tuo ritorno in libertà?”

“Iamko...” Crilin tentò per l'ennesima volta di parlare, ma anche questa volta l'amico non lo degnò minimamente. Dopo aver infilato di forza un bicchiere in mano al piccolo guerriero, Iamko alzò il proprio in aria.

“Alla tua nuova libertà!”

“IAMKO!!!!!!!!!!” Crilin urlò con tutto il fiato che aveva in corpo il nome dell'amico. Quest'ultimo, alla fine, si degnò di ascoltarlo.

“Cosa c'è amico? Per caso lo champagne non ti piace?”

“C'è che è da mezz'ora. MEZZ'ORA! Che sto provando a dirti che io e C18 NON ci siamo lasciati!”

Tutta l'allegria di Iamko sparì di colpo. Il terrestre parve afflosciarsi su se stesso mentre il sorriso gli spariva dal volto.

“Accidenti! E io che, per un momento, ci avevo sperato sul serio!”

Crilin fece un sorriso divertito.

“Ah beh...sarà per un'altra volta.”

“Puoi contarci!” Iamko alzò il proprio bicchiere subito imitato dall'amico.

Per circa dieci minuti i due amici fecero onore allo champagne di Iamko. Poi, quando ormai erano giunti al terzo bicchiere, quest'ultimo chiese all'amico il perché di quella visita serale.

Davanti a quella domanda Crilin, che fino a quel momento era sembrato finalmente sereno, tornò di nuovo di cattivo umore.

Il piccolo guerriero sospirò. Poi, con un sussurro roco, informò l'amico delle condizioni di C18. Iamko, che in quel momento stava bevendo, rischiò di soffocarsi con il vino.

“C-come hai d-detto?” riuscì ad ansimare il terrestre con le lacrime agli occhi.

Crilin borbottò qualcosa di incomprensibile nei confronti dell'amico.

Nella cucina cadde il silenzio, rotto solamente dal ticchettio di un orologio. Nessuno dei due guerrieri sembrava disposto a romperlo. Iamko si limitava a sorseggiare lo champagne. Crilin invece si fissava le mani, appoggiate sul tavolo, con sguardo spento.

Alla fine, dopo circa dieci minuti di silenzio, Iamko parlò.

“Beh...è una bella sorpresa. Ma mi spieghi perché hai quel muso? Eppure, da quanto mi ricordo, diventare padre è un tuo vecchio sogno.”

“Era un mio vecchio sogno.” lo corresse il piccolo guerriero. “Ora come ora, per me, questo figlio è la peggiore delle sciagure!”

“E perché?” domandò il terrestre, sbalordito dall'atteggiamento di Crilin.

Il futuro padre continuò ad osservarsi le mani in silenzio. Poi, ad un tratto, porse una domanda all'amico.

“Rispondimi con sincerità Iamko.” fece con tono carico di amarezza il terrestre. “Secondo te, io, dopo tutto quello che ho fatto nella mia vita, potrei essere un buon padre?”

Iamko osservò l'amico con un'espressione indecifrabile in volto. Poi, con un sorriso bonario, rispose con un semplice monosillabo.

“Sì.”

Crilin alzò gli occhi sbalordito. Davanti alla sua faccia, Iamko rise di gusto.

“Crilin...non hai proprio un briciolo di autostima! Tu non potresti mai essere un cattivo genitore! Sei buono, sensibile e gentile. Hai una pazienza ed una bontà d'animo immensa! Quale bambino non adorerebbe un padre così?”

“Ma...no...non capisci!” balbettò confuso il piccolo guerriero. “Io...io sono un incapace! Non so badare neanche a me stesso! Come potrò accudire e crescere un figlio?!”

“Ce la farai.” fece con voce dolce l'amico. “Ce la farai Crilin. Fidati. Sarai un ottimo padre.”

Nella cucina cadde di nuovo il silenzio. Crilin cominciò a bere il proprio champagne. Il terrestre sembrava leggermente sollevato. Iamko, al contrario, pareva perplesso.

“E C18 cosa ha detto?” domandò ad un tratto il guerriero. “Quel demonio in gonnella è sembrata contenta di diventare mamma?”

Davanti a quella domanda Crilin scoppiò a ridere. Ma la sua era una risata amara.

“Se l'ha presa bene?!” dichiarò con sarcasmo. “A momenti mi ammazzava! Se ne è andata dalla Kame House come una furia dopo avermi detto che era incinta.”

“E tu cosa hai fatto?” domandò l'amico, stupito dal comportamento dell'androide.

Crilin osservò con amarezza il contenuto del suo bicchiere. Poi, con un sospiro, rispose.

“Niente Iamko.” mormorò con voce rauca. “Non ho fatto un bel niente.”

“CHE COSA?!”

L'urlo del guerriero echeggiò con violenza nella stanza. Crilin sobbalzò. Il piccolo guerriero si domandò cosa diavolo gli era preso al suo amico.

“E adesso cosa c'è?” borbottò, perplesso dalla reazione dell'ex di Bulma.

Iamko aveva una faccia a metà tra il disperato ed il compassionevole.

“Crilin...tu con le donne resterai sempre un disastro! Non capisci che, per C18, questo bambino è un trauma? Non capisci che lei non si sarebbe mai aspettata di diventare madre? Dovevi restarle vicino! Non andartene a zonzo per la Città dell'Ovest!”

“Ma...ma cosa avrei dovuto fare?” balbettò il terrestre. “Tu non la conosci! Se avessi provato a seguirla, mi avrebbe ucciso immediatamente!”

“Perché era sconvolta razza di zuccone! È per questo che ha reagito in quel modo!”

“Ma perché fare cosi?! Perché mettersi ad urlare e scappare di casa in questo modo?! Non avrebbe potuto dirmelo in faccia quello che pensava?”

Iamko sospirò. In quel momento, il guerriero sorrise. Ma il suo fu un sorriso amaro.

“Amico mio. Con le donne non è mai facile! Loro non si comportano mai in maniera ragionevole! Credevo che tu, ormai, l'avessi capito!”

Crilin impallidì di botto. Come aveva potuto? Come aveva potuto essere così egoista? Preso com'era dalle proprie paure, il terrestre aveva totalmente ignorato quello che provava la sua adorata Juu-chan. Anche lei era preoccupata e sconvolta. Anche lei aveva paura. Lui avrebbe dovuto starle vicino! Iamko aveva perfettamente ragione. Si era comportato come un idiota.

“E tu lo sapevi!” gli gridò una voce dentro la sua testa. “Avevi visto che Juu stava male! Sentivi che c'era qualcosa che non andava! Ed invece di starle vicino, sei scappato! Sei un codardo!”

“Crilin? Va tutto bene?” domandò Iamko, preoccupato dall'espressione sconvolta dipinta sul volto dell'amico.

“Sì...” dichiarò con voce atona il terrestre. “Va...va tutto bene.”

Dopo aver detto queste parole, Crilin afferrò la bottiglia mezza piena di champagne e la svuotò con un sorso solo. Dopo di ciò, senza dire una parola, il piccolo guerriero uscì dalla casa dell'amico.

Iamko si ritrovò solo in casa con la bottiglia del suo champagne migliore vuota, ed un immensa perplessità.

“Per me quello è pazzo.” borbottò, ritornando al suo stufato ormai freddo. “L'ho sempre detto che quel demonio lo sta rovinando!”

 

Crilin camminava per le vie della città. Aveva la mente totalmente vuota. Non riusciva a pensare a niente. Tranne che ad una cosa: Juu-chan.

Il terrestre si sentiva incredibilmente lucido ma, allo stesso tempo, distratto. I suoi occhi notavano dettagli microscopici e particolari nelle cose che, qualche ora prima, non avrebbe degnato neanche di un'occhiata. Ma, allo stesso tempo, il piccolo guerriero sembrava indifferente a tutto quello che lo circondava. Indifferente a dove stesse andando. Indifferente a chi gli passava intorno. Indifferente a cosa succedeva attorno a se.

Entrò in un bar. Bevve, senza rendersene conto, quattro bicchieri di saké e due bottiglie di birra. Pagò ed uscì senza che l'alcool avesse avuto un minimo effetto su di lui.

Continuò a vagare per tutta la sera passando da un bar all'altro. Indifferente a ciò che beveva. Perché la sua mente era, in quel momento, concentrata solamente su cosa doveva fare.

Doveva trovare Juu-chan. Doveva trovarla ad ogni costo. Lasciarla andare via era stato l'errore più grande che potesse fare. L'avrebbe trovata! Avrebbe rimediato alla sua stupidità. Alla sua codardia. Al suo egoismo. L'avrebbe trovata e non l'avrebbe abbandonata mai più.

Ma, una volta trovata, che fare?

Crilin si passò una mano sulla faccia. Era arrivato ad un vicolo cieco. Da qualunque parte si girasse per provare a risolvere quel problema, si trovava sempre un muro insuperabile.

Cosa avrebbe fatto una volta trovata Juu-chan? Cosa avrebbe potuto fare per farsi perdonare? Per farsi perdonare la sua codardia, la sua fuga?

Improvvisamente, il terrestre ricordò le parole che, la cyborg, gli aveva rivolto la prima volta che avevano fatto l'amore.

 

“Tu sei mio. Mi appartieni!...Non mi lascerai mai.”

 

Nel ricordare quelle parole Crilin si sentì morire. L'aveva abbandonata. L'aveva lasciata. L'aveva lasciata sola in balia dei suoi dubbi, delle sue paure e dei suoi incubi.

Aveva infranto il suo giuramento. Aveva permesso al dolore ed alla disperazione di impadronirsi di nuovo del cuore della cyborg.

Crilin sospirò. Si portò la bottiglia di birra alla bocca solo per sentirsi peggio. Il colore ambrato della bevanda gli ricordava la chioma dorata di Juu-chan.

La notte avanzò. Uno alla volta, i locali chiusero. La gente andò a dormire. Le strade cominciarono a svuotarsi. Verso le tre di notte, solo una persona continuava a vagare per le vie cittadine.

Crilin camminava senza una meta precisa. Non gli importava dove stava andando. Non gliene fregava nulla. In quel momento, al terrestre, importava solo di Juu-chan e di suo figlio.

Già. Suo figlio. Forse Iamko aveva ragione? Forse avrebbe potuto, nonostante tutto, essere un buon padre? Ma, se sì, come? L'aveva abbandonato prima ancora che nascesse!

Disperato, il terrestre alzò gli occhi al cielo. Le stelle si rispecchiavano con indifferenza sui suoi occhi scuri.

“Goku...amico mio.” mormorò con voce roca. “Quanto mi manchi! Tu riusciresti a dirmi cosa devo fare. Tu avresti la soluzione pronta. Tu mi potresti consigliare. Sei sempre stato un ottimo padre. Forse un po' assente, ma se Gohan è cresciuto così, molto del merito va a te. Goku. Cosa devo fare? Dimmelo! Che cosa devo fare?!”

Ma, davanti al suo disperato grido di aiuto, non arrivò nessuna risposta. La notte rimase buia e silenziosa come prima.

Crilin abbassò la testa deluso. Con il cuore gonfio di tristezza e disperazione, il terrestre riprese il suo tormentato vagabondare.

Puzzava di alcool; eppure si sentiva incredibilmente lucido. Davanti ai suoi occhi, ogni cosa era chiara e nitida in maniera persino dolorosa. Il frusciò della sua maglietta rossa. Il rumore sordo dei suoi stivali sul selciato. L'allungarsi e il restringersi ritmico della sua ombra quando passava davanti ai lampioni. Il suono, breve e regolare, del suo respiro.

La notte cominciò a farsi vecchia. Ma Crilin non si fermò. Fece tre volte il giro della città a piedi senza rendersene conto. Il terrestre avanzava nel buio della notte come un'anima errante e disperata.

Il piccolo guerriero si ricordò per sempre di quella notte. Quello che provò in quell'immensa, lunghissima ed estenuante notte. La notte in cui, alla fine, decise di compiere il gesto più folle della sua vita. La notte in cui, la sua vita, cambiò radicalmente. Mai il terrestre dimenticò quella notte. Fino alla fine dei suoi giorni, Crilin ricordò ogni minimo istante di quell'immensa marcia solitaria. In bilico tra luce ed ombra. Tra ragione e follia. Tra speranza e disperazione.

 

L'alba spuntò. Era pallida e la sua luce si fece strada a rilento tra le vie della città. Quasi che, la notte, fosse riluttante a lasciare il posto al giorno.

Crilin osservò lo spettacolo seduto su una panchina di un parco. Il terrestre salutò con uno sguardo duro e deciso l'arrivo del nuovo giorno. I suoi occhi scuri vagarono sulla natura civilizzata che lo circondava. Osservò con attenzione la rugiada dei fili d'erba cominciare a sciogliersi. La luce bianca del nuovo giorno andò ad infrangersi sulle poche gocce sopravvissute, creando così un gioco di luci bellissimo.

Crilin si fissò le mani strette a pugno. Aveva deciso cosa fare. Aveva capito cosa doveva fare. Ma, nonostante avesse passato tutta la notte a pensarci ed a prepararsi per quello, il piccolo guerriero non riusciva a trovare la forza per alzarsi.

Perché, nonostante tutto, nonostante tutto l'amore che provava per Juu-chan, la disperazione era troppo forte. All'improvviso, il suo gesto gli parve inutile ed assurdo.

“Ma chi voglio prendere in giro?” mormorò con amarezza. “Non funzionerà mai!”

Il terrestre pensò di abbandonare tutto. Lasciarsi tutto alle spalle. Forse era meglio lasciare perdere. In fondo, il suo amore aveva solamente procurato dolore nella vita dell'androide. Era per colpa sua se Juu-chan era stata assorbita da Cell. Era colpa sua se, la notte, la cyborg urlava nel sonno in preda agli incubi. Era colpa sua se l'androide sarebbe diventata, contro la sua volontà, madre.

La disperazione tornò a prendere forza all'interno del suo cuore. Il terrestre non aveva più la forza di respingerla. Era stato tutto inutile! Il suo amore. I suoi sacrifici. Il suo affetto. Erano serviti solamente a far stare peggio la donna che amava con tutto se stesso. Disperato, Crilin abbassò la testa verso il terreno, in segno di sconfitta.

Il sole continuava ad alzarsi. La città stava lentamente cominciando a risvegliarsi. Entro un ora al massimo, il solito caos cittadino avrebbe soffocato le vie della Città dell'Ovest.

E Crilin rimaneva là. Immobile. Sconfitto. Distrutto. Amareggiato. Senza speranza.

All'improvviso, un grande calore invase il cuore del terrestre. I cattivi pensieri e le terribili sensazioni che, fino a quel momento, avevano tormentato il piccolo guerriero, vennero spazzate via come fumo al vento. Sorpreso, Crilin alzò la testa.

“Ma cosa...”

“Non arrenderti!”

Crilin sobbalzò. Spalancò i suoi occhi scuri, mentre sudore gelido cominciò a scorrergli lungo la schiena. Il cuore del piccolo guerriero pompava violentemente da un punto imprecisato del suo collo. Lacrime calde cominciarono a scendergli dagli occhi. Conosceva quella voce. Era una voce allegra e spensierata. Una voce che, per tutta la sua vita, l'aveva sempre accompagnato. Una voce che, ultimamente, aveva sentito solo nei suoi incubi.

“Goku?! Co-com'è possibile?!”

“Non arrenderti Crilin!” dichiarò con forza la voce del salvatore dell'universo. “Se vuoi trovare la felicità, devi crederci! Fino in fondo! Tu hai un grande cuore amico mio! Sarai felice, vedrai!”

“Cosa vuoi dire Goku? Cosa vuoi dire?! Non abbandonarmi Goku! Non abbandonarmi! GOKU!!!” Crilin urlò con disperazione il nome dell'amico. Gli mancava. Poterlo sentire per poi perderlo di nuovo, fu la più terribile delle torture per il terrestre.

Ma il silenzio ormai regnava sovrano. Gli unici rumori che si sentivano, erano quelli della città che si stava svegliando. Il suo amico era tornato nel posto che spettava ai morti. Quello che il sayan aveva fatto era stato un gesto contro le regole che controllavano il regno dei vivi e quello dei morti. Ma davanti alla richiesta disperata d'aiuto del suo migliore amico, il cuore di Goku si era sciolto. Aveva deciso di seguire il suo amico nei suoi vagabondaggi. Aveva osservato da lontano il tormentato arrancare del piccolo guerriero. Alla fine, quando la disperazione e lo sconforto avevano vinto le ultime resistenze di Crilin, il sayan aveva deciso di intervenire. Ma ora, per lui, era tempo di tornare nel posto a cui apparteneva.

Ma il suo intervento non era stato vano.

Crilin abbassò lentamente la testa sul petto. Dentro di lui si stava formando una determinazione forte. Spaventosamente forte. Mai, in tutta la sua vita, si era sentito così deciso.

All'improvviso, l'alcool cominciò a fare effetto. Il terrestre se lo sentiva scorrere forte e caldo nelle vene. Dandogli una sensazione bellissima di follia.

Ad un tratto, il piccolo guerriero scoppiò a ridere. Rise come non faceva da tempo. Rise fino ad avere le lacrime agli occhi. Rise fino a rimanere senza aria nei polmoni. Rise fino ad avere i muscoli dell'addome indolenziti. Preso dall'euforia, il terrestre alzò le braccia verso il cielo.

“Guardami Goku!” urlò a squarciagola verso il cielo. “Guardami! Sto per fare la più grande follia della mia vita! E ne sono felice! Ed è tutto merito tuo!”

Successivamente, il terrestre abbassò lo sguardo. Non c'era un minuto da perdere. Doveva arrivare dall'altra parte della città, nel minor tempo possibile.

Crilin Scattò. Corse fuori dal parco come un fulmine. Immergendosi nel caos cittadino.

Dall'alto del mondo dei morti, Goku sorrise.

 

Correva. Correva con tutta la forza che le sue gambe gli potevano dare. Il vento gli fischiava nelle orecchie. Correva con la follia nel cervello e la gioia nel cuore.

Avrebbe potuto volare per arrivare prima. Ma, in quel momento, Crilin non voleva usare i suoi poteri. Voleva essere un uomo normalissimo. Voleva sfogare tutta l'immensa energia che sentiva bruciargli nelle vene. Voleva sudare. Ansimare. Soffrire. Sentire i crampi tormentargli i muscoli delle gambe. Il sudore scorrergli lungo la schiena. Voleva sentirsi le gambe diventare pesanti ed indolenzite.

Voleva soffrire. Voleva sentire dolore.

Perché ogni goccia di sudore che versava, ogni grammo di dolore che provava, lo rendevano immensamente felice.

Perché lo stava facendo per lei.

Il vento gli scompigliava la sua chioma nera. Urtava la gente senza curarsene minimamente. Attraversava le strade a casaccio. Nei punti dove gli era più congeniale. Zigzagando con agilità tra le macchine che sfrecciavano nel traffico mattutino.

Crilin si sentiva strano. Si sentiva diverso. Gli pareva di essere Goku. Era Goku quello che faceva le pazzie senza pensarci un attimo. Era il sayan quello che agiva d'istinto, senza pensare. Era il padre di Gohan quello che faceva le cose più assurde ed improbabili senza motivo.

Esattamente quello che stava facendo lui in quel momento.

Ad un tratto, Crilin rise. Rise di gusto mentre correva furiosamente tra le vie della città. Non gliene fregava niente delle occhiate scandalizzate dei passanti. Non gliene fregava nulla che, il suo gesto, avrebbe potuto non andare a buon fine. In quel momento, la mente del terrestre era libera. Libera e felice.

Perché lui era pazzo.

Pazzo d'amore.

Mentre correva attraverso l'infinito dedalo di vie della Città dell'Ovest, i pensieri di Crilin erano rivolti totalmente alla persona che amava con tutto se stesso.

“Sto arrivando Juu-chan!” pensò con gioia. “Sto arrivando. Ed aggiusterò tutto! Ho commesso molti errori con te. Io non volevo. Il mio cuore piange nel vederti infelice. Ma riparerò a tutto! Riuscirò a farti felice, vedrai! Perché tu sei tutto quello che mi mantiene in vita. Senza di te, mia adorata Juu-chan, io non esisto.”

Il terrestre aumentò furiosamente il ritmo della propria corsa. Un immenso furore gli bruciava dentro. Le sue gambe si muovevano con velocità inumana sul selciato del marciapiede.

“Sto arrivando amore mio! Io e te...non ci separeremo mai!”

“Perché io ti appartengo Juu-chan.”

“Ti appartengo. Sono tuo. Ora e per sempre.”

Crilin alzò gli occhi al cielo. Dai suoi occhi scendevano lacrime. Ma erano lacrime di gioia.

“Juu-chan...io...sono tuo.”

 

CONTINUA

 

Ehila! Salve a tutti! Spero che questo capitolo vi piaccia!

Gli ultimi capitoli mi erano parsi un po' corti. Così ho deciso di farne uno un po' più lungo. Spero che ciò non vi dispiaccia!

Attendo con impazienza i vostri giudizi!

Ringrazio tutti quelli che seguono questa storia. Tutti quelli che la recensiscono. E tutti quelli che si limitano a leggerla. Grazie! Grazie a tutti! Mi fa veramente piacere vedere che, questa storia, sia piuttosto seguita.

Un saluto!

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Capitolo 15
*** La proposta ***


Capitolo 15

 

Quella mattina, Bulma si svegliò di ottimo umore.

Era raro che la scienziata fosse di buon umore la mattina. Di solito la donna era in preda a continue crisi di sonno arretrato che cercava di contrastare con fiumi di caffè. Il risultato era che, la scienziata, diventava intrattabile per tutta la mattina.

Ma quella mattina, Bulma era, inspiegabilmente, di ottimo umore.

Quando la donna si svegliò, la prima cosa che gli venne in mente fu suo marito. Il ricordo della loro ultima, infuocata notte la faceva sorridere. Stando attenta a non svegliare Vegeta, ancora immerso nei suoi sogni, la donna si alzò, prese la propria vestaglia e scese in cucina.

Una volta in cucina, l'azzurra si preparò il primo caffè della giornata. Mentre aspettava che la bevanda fosse pronta, Bulma decise di osservare il traffico dalla finestra della stanza.

Erano le sei e mezzo di una normalissima mattina. Tutto stava andando come, in teoria, doveva andare.

In teoria.

Infatti, quando Bulma aveva appena cominciato a sorseggiare il suo caffè, qualcuno cominciò a bussare alla porta.

La donna rimase sorpresa. Non aspettava nessuno a quell'ora del mattino. I suoi non erano gente mattiniera. Quindi, chi diavolo poteva essere?

Il bussare alla porta continuò. Era un martellare violento e continuo. La scienziata accorse alla porta, più per paura che gliela sfondassero che per curiosità.

Quando aprì, Bulma rimase di sasso. Davanti a lei c'era Crilin. Ma il terrestre sembrava stravolto: era sudato, aveva il fiatone come se avesse corso, la sua maglietta era zuppa di sudore e si riusciva facilmente a notare gli addominali del piccolo guerriero dalla stoffa bagnata. Aveva i capelli arruffati e due profonde occhiaie viola. In più, come se il suo aspetto non fosse già di per se orribile, Crilin puzzava in maniera disgustosa di sudore ed alcool.

“Crilin! Cosa diavolo ti è successo?!”

Il terrestre era appoggiato allo stipite della porta e sembrò metterci qualche secondo a trovare il fiato per parlare. Quando lo fece, lasciò di sasso Bulma.

“Bulma...mi puoi...prestare...100.000 zeni?”

La donna rimase allibita. Tuttavia, Crilin la incalzò subito. Pareva che avesse una fretta incredibile.

“E' una cosa urgente! Mi servono subito!”

“Crilin! Ma ti sei visto?! Sei ridotto malissimo! Entra un attimo che mi racconti le cose con calma.”

“Non c'è tempo!” urlò il piccolo guerriero fuori di se. Davanti alla sua reazione, la donna rimase piuttosto sorpresa.

“Crilin sei impazzito?!”

“Sì!” rispose il terrestre. “E sto per fare una follia. Ma per farla ho bisogno del tuo aiuto.”

“E che cosa sarebbe?”

“Voglio chiedere a C18 di sposarmi!” dichiarò il piccolo guerriero con gli occhi che brillavano.

Bulma rimase pietrificata. Non capiva. Crilin e C18 ormai stavano insieme da parecchio e, da quello che sapeva, non avevano problemi. Come mai, all'improvviso, Crilin veniva a casa sua ridotto in condizione pietose a chiederle soldi e dichiarando che voleva sposare la cyborg? La donna non riusciva a trovare una risposta a questa sua domanda quando, ad un tratto, si ricordò della visita dell'androide alla Capsule Corporation.

“Te l'ha detto.”

“Eh?” fece Crilin, perplesso dalla frase dell'amica.

“C18 ti ha detto che aspetta un bambino.” fece Bulma con voce dolce. “Non è forse così?”

Il piccolo guerriero, sentendo quella frase, sembrò recuperare, all'improvviso, tutta la calma e la tranquillità di sempre.

“Sì.” dichiarò con voce roca. “Mi ha detto tutto.”

Bulma sospirò. Sapeva già come doveva essere andata a finire. Conoscendo il pessimo carattere della cyborg, era probabile che avessero litigato. Non c'era altra spiegazione al gesto di Crilin.

“Vieni dentro.” dichiarò la donna.

“Ma...” Crilin sembrò voler dire qualcosa, ma la scienziata lo bloccò.

“Sei ridotto ad uno straccio.” fece l'azzurra con voce seria. Tuttavia, subito dopo, le sue labbra si aprirono in un sorriso. “Vuoi fare brutta figura davanti a C18? Guarda che noi donne, a queste cose, ci teniamo!”

Sentendo quelle parole, il terrestre spalancò la bocca dallo stupore. Poi, le sue labbra, si aprirono in un grande sorriso.

“Grazie Bulma!”

“Invece di ringraziarmi, fila a farti una doccia!” lo sgridò la donna. “Se ti presenti davanti a C18 conciato così, scommetto che scapperà a gambe levate da quanto puzzi!”

Crilin rise. Dopo di ciò, il piccolo guerriero entrò dentro alla casa dell'amica.

 

Un'ora dopo, un Crilin lavato e decisamente più lucido, uscì dalla Capsule Corporation. Bulma lo seguì fuori. La donna gli aveva lavato, in quell'ultima ora, i suoi abiti. Rendendoli, in questo modo, indossabili.

Crilin inspirò la frizzante aria mattutina. Era tempo di andare. Doveva farsi avanti e compiere il gesto più folle, ma bello, della sua vita.

“Tieni.” Bulma consegnò al piccolo guerriero un assegno firmato. “Sono 200.000 zeni. Dovrebbero bastare.”

Il terrestre prese delicatamente il foglio di carta che l'amica gli porgeva. Sembrava che avesse paura di romperlo. I suoi occhi, davanti all'ennesimo gesto di generosità della scienziata nei suoi confronti, si riempirono di lacrime.

“Bulma...grazie.” non sapeva neanche cosa dire. Quale parola poteva racchiudere tutto l'affetto che li legava? Quali parole potevano spiegare i gesti di due persone che erano cresciute insieme?

Bulma sembrò compiaciuta della commozione del terrestre. Tuttavia, la donna riuscì a mantenere il suo solito atteggiamento pratico e privo di frivolezze.

“Vedi di fare una buona scelta. Abbi buon gusto!”

Crilin rise. Subito dopo, il piccolo guerriero abbracciò la donna. La scienziata fu sorpresa di quel gesto spontaneo. Tuttavia, subito dopo, decise di ricambiarlo.

Dopo circa cinque minuti che si abbracciarono, Bulma si scostò dolcemente.

“Vai.” gli sussurrò, accarezzandoli i capelli neri. “Ti auguro che tu possa farcela. Se c'è una persona che si merita di essere felice, quella sei di sicuro tu.”

Crilin sorrise. Davanti al sorriso ingenuo e spontaneo dell'amico, la donna, presa da un impulso improvviso, gli diede un bacio sulla fronte. Subito dopo, quasi si vergognasse del gesto appena compiuto, Bulma si ritrasse e rientrò in casa.

Crilin rimase fermo per un paio di minuti con l'assegno in mano. Il terrestre era piuttosto sorpreso dal gesto dell'amica. Ma poi, il pensiero di C18, lo fece smuovere dall'apatia che lo aveva preso.

“Arrivo Juu-chan!” pensò con gioia.

Subito dopo, il piccolo guerriero uscì dal cancello della Capsule Corporation, dirigendosi di corsa verso il centro cittadino.

 

C18 osservò il sole alzarsi alto nel cielo.

Le iridi chiare della cyborg si illuminarono appena videro l'astro infuocato comparire oltre l'orizzonte. Amava l'alba. C'era qualcosa di triste e malinconico in quello spettacolo. Ma forse era per quello che l'androide la trovava così splendida.

“E tu?” domandò, con un flebile sorriso, l'androide toccandosi il ventre. “A te cosa piace?”

C18 si sentiva strana. Quella notte si era addormentata e, stranamente, invece di fare incubi, era caduta in un sonno lungo e pacifico. Quando si era risvegliata, la bionda si era sentita di ottimo umore.

C18 aspirò l'aria di mare con forza. Una strana allegria si era insediata nel suo cuore. Non capiva. Era come se, accettando i propri sentimenti nei confronti di Crilin, una parte di lei rimasta, fino a quel momento, nascosta fosse uscita improvvisamente. C18 era un po' preoccupata. Non era da lei essere così allegra. Le pareva di essere in colpa a sentirsi così felice.

“Mah...forse è una giornata strana. Oggi non sono io.” pensò mentre le sue labbra, non la smettevano di arcuarsi in un flebile sorriso. Anche i dolori e le nausee erano spariti, aumentando, in questo modo, il suo buon umore.

La cyborg continuò a rimanere seduta sulla spiaggia ad osservare la lenta ascesa del sole. Il giorno avanzava. Doveva decidere che cosa fare.

La sua allegria sparì pensando a cosa fare. Nonostante Crilin le mancasse, il suo orgoglio le diceva che non poteva, dopo quello che era accaduto il giorno prima, tornare alla Kame House come se niente fosse. E poi, la cyborg non era sicura di cosa Crilin avesse deciso di fare. Quando gli aveva detto, in maniera non esattamente affettuosa, che sarebbe diventato padre, il terrestre era diventato bianco come un cencio. La bionda aveva visto chiaramente nei suoi occhi scuri il terrore prendere corpo con violenza dentro di lui. In quell'istante, C18 capì che Crilin, con la sua scarsa autostima e la sua timidezza, molto probabilmente, si era fatto prendere dal panico.

“Spero solo che quell'idiota non abbia commesso qualche cazzata.” pensò. Anche se, conoscendolo, l'androide era sicura che, qualche cazzata, Crilin l'avrebbe fatta.

La mattina avanzava lentamente. La bionda continuò a rimanere seduta sulla spiaggia. In quel momento, per lei, il mondo non esisteva. C'erano solamente lei, e quel minuscolo esserino dentro la sua pancia.

Già. Suo figlio. Che strano pensare a quelle parole. Suo figlio. Il suo bambino. Quella creatura che, nonostante tutto l'odio, la crudeltà e gli orrori che aveva vissuto nella sua vita, era riuscito a metterla nelle stesse condizioni di tantissime altre donne.

Alcuni dubbi della sera precedente tornarono ad assalirla. C18 non sapeva come doveva comportarsi. Cosa faceva una donna dopo che scopriva che aspettava un bambino? Lei non era mai stata a contatto con cose di questo genere. Certo, aveva ucciso molte madri che, disperate, cercavano di difendere i propri figli da lei. Gesto inutile visto che, dopo averle fatte fuori, l'androide mandava i figli a raggiungerle nell'aldilà.

A quei tempi non capiva il gesto di quelle donne. Perché non scappavano da lei? Perché la privavano del piacere della caccia? Cosa le spingeva a rimanere ferme ad infastidirla con le loro urla disumane di dolore e le loro inutili richieste di pietà? Alla cyborg le sembrava di poterle vedere davanti a lei che la guardavano severe e senza pietà. All'improvviso, un ricordo si affacciò nella sua mente. Un ricordo di un passato buio e terribile. Un passato in cui era lei il mostro.

 

Il mio bambino! Ha solo un anno vi prego! Uccidete me! Fate ciò che volete di me! Ma vi scongiuro non fategli del male!”

C18 osservò con disgusto quella donna strisciare ai suoi piedi. Non era vecchia. Doveva avere, al massimo, una trentina d'anni. Ma il dolore, misto allo sporco e al sangue che le rigavano il viso, la invecchiavano parecchio. Teneva in mano un fagotto che stringeva al petto con disperazione.

La bionda spostò le sue iridi chiare da quello spettacolo penoso. Alla sua sinistra, C17 osservava impassibile quella scena.

Tu che dici sorellina?” mormorò il moro con voce vellutata. “In fondo, dobbiamo solamente non ucciderlo.”

E perché non dovrei farlo fuori?” domandò con voce irritata la cyborg. “Lo sai che odio gli umani! Non li sopporto! Sono solamente degli inutili esseri inferiori! Dammi una buona ragione per non farlo!”

C17 spostò i suoi occhi chiari dalla donna che, disperata, continuava a chiedere pietà per il figlio, alla sorella.

L'hai sentita no? Puoi sempre divertirti con lei.”

Un ghigno spuntò sulle labbra sottili della bionda. Una inquietante sete di sangue brillava nelle sue iridi chiare.

Non mi provocare!” dichiarò con voce una voce da mettere i brividi. “E poi, questa patetica donnicciola, non durerebbe neanche cinque minuti!”

Il moro non disse più nulla. Soddisfatta dall'atteggiamento del fratello, C18 caricò un ki-blast viola nella mano sinistra. A quella vista, la donna cominciò ad urlare.

NO! VI SCONGIURO! NON FATELO! VI PREGO!”

Sentendo quelle parole, C18 aumentò la potenza del suo ki-blast. La luce violacea di quest'ultimo le illuminava il viso, dando ai suoi lineamenti perfetti, una parvenza demoniaca.

Buon viaggio!” fece sghignazzando.

Subito dopo, un ultimo, terribile urlo di dolore risuonò tra le rovine della città.

 

C18 spalancò i suoi occhi azzurri. Quel ricordo era stato incredibilmente reale. Gli pareva di sentire ancora l'energia del ki-blast riscaldarle la mano. Davanti a lei non c'era più il mare. C'erano le sue vittime, che la guardavano severe e tristi in volto.

No! Non guardatemi così! Non è colpa mia! Sono cambiata! Io...io...” i suoi pensieri si fecero confusi. Non era vero. Non era vero che la colpa non era sua. Era stata lei e lei soltanto a condannarli.

Perché lei poteva risparmiarli se voleva. Avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto permetterli di vivere la loro vita. Permetterli di provare gioia, tristezza, amore, speranza.

Ma lei non l'aveva fatto. Non li aveva risparmiati. Gonfia di odio e di rabbia verso tutti e tutto, la cyborg aveva seminato morte e distruzione in maniera incontrollata. Se si concentrava, C18 poteva ancora sentire la sua voce parlare a suo fratello.

 

Devono morire tutti! Tutti! Questi schifosi bastardi pagheranno con il sangue tutto quello che abbiamo dovuto subire!”

 

Già. Le sue parole crudeli. Il suo odio disumano verso gente che non le aveva mai fatto nulla. Il suo sadismo immenso nei confronti di quelle persone: donne, vecchi, bambini. Con lei non si salvava nessuno. Aveva cominciato ad adorare l'odore del sangue. Lo desiderava sempre di più. Era diventata una droga per lei quel liquido. Lo beveva con avidità dalla sue vittime. Si macchiava le sue labbra sottili con quel liquido rossastro. Sentiva con gioia il suo sapore ferroso bruciarle la gola. Lo sentiva scendere ancora più in giù, sempre di più. Fino a macchiarle l'anima.

Era diventata un mostro. Se all'inizio distruggere ed uccidere per lei era solo un modo per vendicarsi di tutto quello che Gero le aveva fatto, col tempo era diventata una droga. Aveva cominciato a spingere suo fratello a fare cose sempre più crudeli e sregolate. Era giunta persino a provare il cannibalismo. Aveva riso mentre assaggiava la carne di un suo simile. Aveva riso mentre beveva il sangue di un uomo che, se non avesse saputo che era morto anni prima, avrebbe potuto essere suo padre. Era diventata talmente folle e crudele che persino Gero si era spaventato. Preoccupato nel constatare che i due androidi stavano sfuggendo al suo controllo, lo scienziato li aveva subito disattivati. Cercando, successivamente, di renderli più obbedienti ai suoi ordini. Impresa che però era fallita. Troppo grande era l'odio che i due gemelli provavano per lui. Quando Gero se ne accorse, fu troppo tardi. Ormai lui era spacciato. C17 l'aveva ucciso. Per lui, non c'era altro che l'inferno ad attenderlo.

Risvegliandosi per la seconda volta, C18 era cambiata. L'odio e la folle crudeltà che l'avevano dominata precedentemente si erano spente come un incendio violento che lascia dietro di se solo cenere e rovine fumanti. Al loro posto era comparso un immenso disprezzo verso tutto. Disprezzo a cui si erano aggiunte, dopo l'esperienza terrificante di Cell, nuove sensazione che non provava da tanto tempo: paura, terrore, disperazione, confusione e rabbia. Tanta rabbia. Rabbia nel non capirsi. Rabbia nel non riuscire a comprendere l'atteggiamento degli altri. Rabbia nel vedere Crilin cambiarla. Rabbia nel non riuscire, nonostante tutto, ad accettare quello che era diventata.

Sì, era una verità che la cyborg non poteva negare. Crilin era riuscito a cambiarla. Era riuscito, con il suo immenso amore, la sua allegria mista a tristezza, con la sua generosità, la sua ingenuità, la sua pazienza, i suoi sacrifici, a renderla più umana. Un'ombra del mostro che era stata. Ma quell'ombra esisteva. Non poteva cancellarla. E adesso, quel sangue, quell'immenso fiume di sangue innocente che le macchiava l'anima, non voleva lasciarla in pace. L'avrebbe tormentata e perseguitata. Per sempre.

All'improvviso, i pensieri dell'androide andarono ai suoi genitori. Chissà cosa avrebbero pensato nel vederla in quel momento. Sotto un certo aspetto, C18 era felice che fossero morti. La cyborg non avrebbe retto l'immenso disgusto dipingersi sui loro volti. Volti che non ricordava neanche più. A chi assomigliava lei? A sua madre? Oppure a suo padre? O magari a qualche lontano parente? Non l'avrebbe mai saputo.

Il sole continuava a salire. L'aria diventava tiepida. La giornata avanzava e il buon umore dell'androide era sparito come fumo al vento.

C18 pensava. Teneva il mento appoggiato sulle ginocchia e pensava. Pensava ai suoi genitori. Che persone erano? Da quel punto di vista la sua memoria artificiale era vuota. Non ricordava niente. Gero non le aveva concesso neanche il più piccolo ricordo di loro.

Eppure, nonostante non ricordasse niente di loro, la bionda riusciva ancora a sentire il tepore che le regalavano i ricordi dei suoi genitori. Accadeva nelle notti fredde e disperate quando suo fratello non riusciva ad addormentarsi, quando il loro dolore era immenso, quando lo scienziato era di cattivo umore, allora C18, cercando di trattenere le lacrime che le scendevano copiose dai suoi occhi chiari, cantava dolcemente una ninna-nanna che sua madre le cantava quando, da bambina, faceva dei brutti sogni. Con un sussulto, la cyborg si accorse di ricordarsela ancora.

 

A come armatura,

B come bravura,

C come canaglia che con me viene in questura.

 

D come diamante,

E come elefante,

F quel furfante che in galera manderò.

 

Per G c'è tanta gente,

per H non c'è niente,

Immediatamente alla L passerò.

 

L l'animale,

M meno male,

N è natale e tanti doni io avrò.

 

O come l'orco,

P come pinocchio,

Q quel bel ranocchio che per cena mangerò.

 

R come rosa,

S come sole,

T come tutto il bene che io ti voglio e ti darò.

 

Ora tutte le parole,

sono raccontate,

immediatamente a letto io andrò.

 

Sotto le coperte,

tutte le parole,

fanno capriole ed un bel sogno io farò.

 

C18 si riscosse da quei pensieri. Sentiva dentro la testa la melodia di quella sciocca filastrocca. Una grande tristezza la invase. Un giorno, anche lei avrebbe visto il suo bambino avere paura del buio. L'avrebbe visto cercarla con speranza che lei, la sua mamma, la persona più bella e buona del mondo, lo consolasse e gli raccontasse una favola o gli cantasse una ninna-nanna per rasserenarlo. Ma lei era capace di questo? Sarebbe stata in grado di farlo?

La bionda sospirò. Domande, domande ed ancora domande a cui lei non sapeva rispondere. All'improvviso, un altro pensiero la colpì: come aveva fatto a ricordarsi di quella ridicola filastrocca? Lei non poteva averla memorizzata nei circuiti. Gero non avrebbe mai e poi mai lasciato dentro di lei un ricordo così umano e sentimentale.

Possibile? Possibile che esistesse qualcosa che fosse più grande e forte della memoria? Una forza che non conosceva né barriere né limitazioni. Una forza che esisteva sempre e comunque. Qualsiasi cosa avrebbe fatto, quella forza non l'avrebbe mai abbandonata.

L'amore di una madre per il proprio figlio.

Sì. In quel momento, C18 capì. Comprese che, i suoi genitori, non erano mai scomparsi. Non nel vero senso della parola. Erano rimasti sempre accanto a lei e a C17. Cercando, nel possibile, di alleviare le loro sofferenze.

La cyborg si sentì gli occhi pizzicare. Tuttavia, non cedette al piacere di piangere. Lei era forte. Non era una donnicciola debole e piagnucolosa. Lei era forte, ma lo era anche grazie ai suoi genitori che, dall'alto dei cieli, vegliavano su di lei e su suo fratello.

C18 comprese una cosa importante: non avrebbe mai abbandonato suo figlio. Non avrebbe permesso a nessuno di portaglielo via, di farlo soffrire. Avrebbe impedito con tutta se stessa che il suo bambino soffrisse quello che aveva sofferto lei. Che subisse quello che aveva subito lei. Che diventasse quello che era diventato lei.

Un sorriso amaro si affacciò sul suo volto.

Non posso salvarmi, né posso riparare tutto il male che ho fatto. Ma una vita, questa piccola vita...sì, la posso salvare!”

E con quella nuova consapevolezza, la cyborg tornò ad osservare l'infrangersi delle onde sulla piccola spiaggia. Dentro di lei era nata una nuova forza. La forza di una madre. La forza di impedire che, qualcuno, potesse fare del male a suo figlio.

 

Crilin atterrò sull'isola un'ora dopo. Come al solito, il terrestre era riuscito ad individuare l'androide grazie al cuore. La consapevolezza di poter sempre sapere dove lei fosse, gli regalava un forte calore nel petto.

C18 non lo degnò di uno sguardo. L'androide fissava il mare con sguardo pensieroso. Sembrava che non si fosse accorta dell'arrivo del terrestre.

Il piccolo guerriero si era immaginato molte volte, in quell'ultima ora, cosa fare una volta averla trovata. Tuttavia, in quel momento, l'unica cosa che Crilin riuscì a fare era osservarla. In silenzio. Più il tempo passava, più l'umano la trovava bella. Ogni piccolo particolare di C18 era perfetto. Il pallore della sua pelle era esaltato dalla sua chioma dorata. La sua figura era snella e sottile. Le sue labbra sottili erano prive di imperfezioni. Il terrestre si perse nell'osservare il profilo dell'androide. Ma ciò che più lo aveva sempre colpito di lei erano gli occhi. Occhi profondi. Due splendidi zaffiri che racchiudevano una storia crudele, violenta e spietata. Ma forse era per quello che Crilin li trovava così incredibilmente affascinanti.

Il silenzio continuava a regnare sovrano, rotto solamente dal rumore del vento e della risacca. La cyborg osservava, da seduta, il mare mentre Crilin, in piedi, si perdeva negli abissi gelati dei suoi occhi.

Improvvisamente, dopo circa venti minuti di silenzio, il piccolo guerriero parlò.

Juu-chan...” più che parlare, il suo era stato un flebile sospiro. Un delicato suono che, una volta uscito dalle sue labbra, si disperse nel vento.

Ma C18 lo aveva sentito. Con uno scatto inumano della testa, l'androide si voltò a guardarlo. Crilin rimase turbato nel vederla. Sembrava cambiata. I suoi occhi erano pieni di dolore, tristezza ma anche di una profonda determinazione. Il suo cuore si riempì di domande e dubbi. Cosa le era accaduto in quella notte?

La cyborg lo squadrò. Non sembrava cambiato. Non nell'aspetto almeno. Ma l'androide vide negli occhi scuri di Crilin una luce strana. Un misto tra dolore, gioia e feroce determinazione. Quella vista la turbò. Non era da Crilin essere così sicuro di se. Cosa gli era successo?

Nel frattempo, Crilin, vedendo che la cyborg non sembrava disposta a parlare, decise di cominciare lui.

Ci siamo.” pensò.

Prese un profondo respiro. Poi, il piccolo guerriero cominciò a parlare.

Juu...io...” le parole non sembravano volere uscire dalla sua bocca. Ma Crilin era troppo concentrato per farsi prendere dalla tensione. Con un violento scatto, le sue labbra cominciarono a muoversi da sole, quasi possedessero una volontà propria.

Juu-chan...lo sai che non sono molto bravo con le parole.” esordì con voce sicura. “Anzi, se devo essere sincero, non sono bravo proprio in un bel niente!” fece con tono amaro. “Ma io...devo parlarti. Odiami se vuoi, ma io ti parlerò. Ti chiedo solamente di ascoltarmi. Poi, se lo vorrai, potrai uccidermi. Io non fuggirò né ti impedirò di farlo. Se tu deciderai che il mio tempo qui sulla Terra è finito, allora così sarà.”

Davanti a quelle parole, la bionda non disse assolutamente nulla. Il suo volto rimase impassibile. I suoi occhi continuavano a fissarlo. Prendendo il silenzio di lei per una risposta affermativa, Crilin ricominciò a parlare.

Vedi Juu...io ti amo. Ti amo tanto. Io...io ormai non posso vivere senza di te. Tu sei la mia forza. Sei quel sostegno che mi permette di poter affrontare ogni giorno, indipendentemente dal fatto che sei arrabbiata o felice, che mi odi o che mi ami. Perché il solo fatto che mi sei vicina, mi da forza. Mi permette di vivere.”

C18, davanti a quelle parole, sembrò non reagire. Tuttavia, il terrestre notò una flebile luce accendersi negli occhi azzurri della cyborg.

Per te, io ho dato tutto quello che avevo.” continuò il piccolo guerriero. “E l'ho fatto senza rimorsi. Io darei tutto quello che ho una seconda volta, anima compresa, solamente per poterti vedere felice.”

Gli occhi della bionda erano diventati magnetici. Si erano attaccati a quelli neri di Crilin e non sembravano volersi staccare. Ormai, per il terrestre, non esisteva più nulla al mondo. C'erano solamente lui e Juu-chan. Continuando a fissarla negli occhi, il piccolo guerriero proseguì.

Eppure...più ci penso, e più credo che, il mio amore ti ha solo procurato dolore Juu.” dichiarò con tono amaro. “E' colpa mia se Cell ti ha assorbita. È colpa mia se hai dovuto passare dei momenti orribili dentro il ventre di quel mostro. È colpa mia se urli nel sonno ogni notte. È colpa mia se dovrai diventare madre. Tutto questo è solo colpa mia! A causa mia, il mio migliore amico è morto! Sua moglie è priva di un marito su cui appoggiarsi! Gohan crescerà senza più poterlo vedere! E Goten, quel piccolo bambino, quella creatura così simile a lui, sarà condannato a non poterlo mai conoscere. Tutto quello che saprà di lui sarà soltanto un'ombra! L'ombra di ciò che Goku è veramente stato.” lacrime calde cominciarono a scendergli dagli occhi. Il dolore per la morte del suo amico era ancora là, feroce ed implacabile che gli schiacciava il petto con violenza. Preso dalla disperazione e dal dolore, Crilin continuò a parlare con il cuore in mano.

Juu...tutto questo, tutto questo dolore che da più di un anno mi porto dentro di me, l'ho fatto solamente per te. E non me né pento! Ma sapere che, nonostante tutta la mia buona volontà e tutto il mio amore, tu hai dovuto soffrire molto, mi riempe di dolore e disperazione!”

All'improvviso, Crilin si gettò a terra. Poggiando la fronte sulla sabbia umida, il terrestre pronunciò le seguenti parole.

Ti chiedo scusa Juu! Perdonami! Ti chiedo perdono per tutto! Sono un idiota! Un inetto! Un incapace! Ma ti amo! Ti amo alla follia Juu! Per questo, pur sapendo che non me la merito, ti chiedo una seconda possibilità. Perché, senza di te, io non posso più vivere!”

Davanti a quelle parole così disperate, ma così piene di amore, C18 si mosse.

Con un movimento fluido, l'androide si alzò. Tuttavia, quando si avvicinò al terrestre, Crilin continuò a tenere la fronte premuta contro il terreno.

Alzati.” fece con voce glaciale la bionda. Subito dopo, il terrestre sollevò la testa osservando speranzoso la cyborg.

C18 lo guardò negli occhi. Lo fissò a lungo. Tanto a lungo che il piccolo guerriero si perse totalmente nelle profondità dei suoi occhi azzurri.

Poi, con un sospiro, la bionda parlò.

Quando imparerai a non caricarti di colpe non tue? Quando imparerai a smetterla di angosciarti con problemi che non esistono?” subito dopo, la cyborg gli porse, con sommo stupore dell'umano, una mano. Sulle sue labbra ora c'era un flebile sorriso. “Tu non devi chiedermi scusa per un bel niente nanerottolo.”

Crilin, al settimo cielo per la gioia, si alzò di scatto. Ma poi, invece di abbracciare l'androide, il terrestre cominciò, con sorpresa della bionda, a frugarsi in maniera frenetica nelle tasche dei pantaloni. Alla fine, quando ebbe finito la sua frettolosa ricerca, il terrestre si inginocchiò davanti all'androide.

Cosa diavolo stai facendo?” domandò, con un'espressione di perplessità in volto, la bionda. La risposta di Crilin non si fece attendere.

Juu-chan. Amore della mia vita, unico motivo per cui il mio cuore batte ancora, unica ragione della mia esistenza...mi vuoi sposare?” subito dopo aver pronunciato quelle parole, Crilin rivelò il risultato della sua ricerca: nella mano sinistra del terrestre c'era una scatoletta di velluto blu scuro al cui interno, si trovava, un anello d'argento con incastonati al centro cinque piccoli zaffiri di colore blu scuro.

Sentendo quelle parole, e vedendo l'anello, C18 spalancò gli occhi dalla stupore. All'improvviso, tutta l'aria uscì violentemente dai suoi polmoni. Era attonita. Non riusciva a crederci. Non poteva crederci. Crilin non poteva essere così folle da volerla sposare.

Tu...tu vuoi sposarmi?” domandò con un filo di voce.

Sì Juu-chan. Tu sei l'unica donna con la quale io voglio vivere. L'unica con la quale io posso stare bene. L'unica donna che io amo.” la voce di Crilin era, in quel momento, incredibilmente profonda. Gli occhi del terrestre non smettevano di fissare quelli spalancati dallo stupore di C18.

Tu sei pazzo!” dichiarò la cyborg.

Sì.” replicò calmo il terrestre. “Pazzo di te.”

C18 si sentì le gambe molli. Com'era possibile? Lei, un mostro disumano, che si sposava? Che diventava madre? Che viveva come una qualunque donna? Era assurdo! Era impossibile! Era ...era tremendamente allettante.

Sì, C18 era stanca. Era stanca della guerra e dell'odio. Era stanca del dolore e della morte. Era stanca del terrore e degli orrori disumani. La cyborg era stanca di tutto questo. Voleva la pace. La desiderava. La bramava con tutta se stessa. E se, per poterla avere, avrebbe dovuto sposare Crilin, allora l'avrebbe fatto.

Crilin continuava in ginocchio ad osservarla. Il terrestre aspettava con cuore sereno il gesto che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Solamente all'androide spettava decidere se in senso positivo o negativo.

Allora...cosa ne pensi?” chiese il piccolo guerriero.

C18 lo osservò impassibile. L'androide era riuscita a nascondere velocemente il suo stupore. Adesso, la sua faccia era tornata ad essere una maschera impassibile.

Ma in quella maschera comparve ben presto un flebile sorriso.

Solo ad una condizione.”

Crilin, con il cuore che esplodeva di gioia, allargò le braccia.

Qualunque cosa!” esclamò mentre suoi occhi scuri brillavano di una luce immensa.

Il sorriso sulle labbra della cyborg si allargò. Quando parlò, i suoi occhi brillavano. Ma per Crilin, quella luce, era indecifrabile.

Lo sai che, per me, queste cose sono solo delle stupide pagliacciate. Tuttavia, dato che, per te, questa cosa dello sposarsi sembra così importante, ho deciso di accontentarti. Ma, se dobbiamo proprio farla questa buffonata, la faremo entro un mese o al massimo due. Altrimenti, se ne riparla tra un anno. Sono stata chiara?”

Crilin la fissò perplesso. Per quanto fosse felice della risposta affermativa di lei, il piccolo guerriero non riusciva a capire il perché di quella condizione.

Ok Juu. Se vuoi che lo facciamo tra un mese, lo faremo. Ma perché, sennò, dovremmo rimandarlo di un anno?”

L'androide serrò i suoi occhi chiari. Quando parlò, la sua voce risuonava minacciosa.

Non ho alcuna intenzione di farmi vedere da tutti con quegli orrendi abiti sformati che, per colpa tua, tra qualche mese sarò obbligata ad indossare! Chiaro?!”

Sentendo quelle parole, Crilin rise. Rise felice e beato. Il suo cuore stava esplodendo di gioia, amore e felicità. Ad un tratto, il terrestre fece un salto in aria. Lanciando, nello stesso istante, un urlo liberatorio di gioia.

Guardami Goku!” fece con il viso rivolto verso il cielo. “MI SPOSO!”

Scendi subito, idiota!” fece con tono severo la cyborg. Ma dentro di se, l'androide era intenerita dalla gioia fanciullesca del piccolo guerriero.

Sentendo il rimprovero della bionda, Crilin scese subito. Quando atterrò davanti all'androide, le sue labbra erano distese in un immenso sorriso.

C18 lo guardò arcuando un sopracciglio. Non sapeva perché ma, in quel momento, trovava Crilin semplicemente...bello. Era bello nella sua ingenuità. Era bello vederlo felice e pieno di vitalità. In cuor suo, la cyborg non aveva mai capito il motivo per cui Crilin aveva così poca autostima. Lei lo trovava, pur considerandolo un po' tardo in certe questioni, semplicemente perfetto.

Ad un tratto, C18 sentì prepotentemente il desiderio di stargli vicino. L'androide era sconvolta da quella sensazione. Va bene che era da parecchio che non lo facevano, ma così...le sembrava di essere un po' troppo perversa! Tuttavia, decise di assecondare i desideri del proprio corpo. In fondo, era tanto che non stringeva Crilin tra le sue braccia. Voleva sentire il calore del suo corpo. Quel calore che aveva sciolto la sua corazza fatta di disprezzo ed odio verso il mondo.

Con un gesto deciso, la bionda diede una manata a Crilin. Il terrestre, sorpreso, cadde pesantemente a terra. Tuttavia, la sua caduta fu attutita dal soffice strato di sabbia della spiaggia.

Juu! Cosa...”

Le parole del piccolo guerriero si bloccarono di colpo. C18 era salita sopra di lui. Le iridi chiare della cyborg risplendevano di una luce piuttosto inquietante.

Con un flebile sorriso, l'androide cominciò a togliergli la maglietta.

Sai nanerottolo...è da parecchio che non lo facciamo.” dichiarò con voce morbida.

Juu...ma...ma non credi che, forse, non...non sarebbe il caso?”

Sentendo quelle parole, la bionda strinse i suoi occhi fino a farli diventare due fessure di ghiaccio. Quando parlò, la sua voce era mutata. Da morbida, era diventata glaciale.

Vuoi forse mettere in discussione una mia decisione?” sibilò con fare minaccioso.

Beh...no. Però...cerca di capire...il bambino...”

Il marmocchio sta bene.” fece la cyborg. Subito dopo, C18 cominciò a baciargli il collo. Il terrestre cominciò a perdere il controllo. Quelle labbra gli erano mancate da morire. Ad un tratto, sentì la lingua, calda e bagnata di lei, leccargli la pelle. Il piccolo guerriero ebbe un brivido di piacere.

Juu...cosa stai facendo? Non è da te comportarti così!”

Stai zitto.” dichiarò lei continuando la sua opera. “Ho voglia di divertirmi.” fece successivamente.

A poco a poco, i baci della bionda si fecero sempre più vicini alle labbra di lui. Quando le sfiorò, C18 mormorò una frase che fece impazzire Crilin.

Ti voglio.”

Il terrestre la strinse a se. Le loro labbra si incontrarono. Prima con dolcezza, poi con passione sempre crescente. Le loro lingue cominciarono ad incrociarsi furiosamente. I vestiti divennero, ben presto, un impaccio insopportabile.

Quando Crilin ebbe spogliato la cyborg, rimase, come sempre, semplicemente incantato da quel corpo splendido e sensuale. Le sue labbra andarono ad assaggiare la pelle morbida e profumata del seno di lei. La sua lingua accarezzò dolcemente l'aureola rosata dei suoi capezzoli. La bionda sembrò gradire quei baci. I suoi mugolii di piacere risuonavano nella spiaggia deserta.

Quando C18 lo fece entrare dentro di lei, la bionda appoggiò la propria fronte contro quella di Crilin. La sua chioma dorata nascose al terrestre tutto il mondo. Crilin aspirò con lentezza l'odore della sua setosa chioma. In quel momento, per il piccolo guerriero, non esisteva più nulla. Esisteva solo lui e Juu-chan.

Juu...” fece con un sospiro roco. La cyborg aveva cominciato a muovere il bacino, donandogli una sensazione di piacere celestiale.

Juu...ti amo da impazzire!”

Sentendo quelle parole, la bionda lo baciò con dolcezza. Assaporò le labbra di lui, mordicchiandole delicatamente.

Sei uno stupido.” fece con voce calda. I suoi occhi brillavano di piacere misto a gioia. “Il mio stupido.”

Fecero l'amore. Lo fecero con una passione che era sconosciuta ad entrambi. La sabbia umida raffreddava i loro corpi resi bollenti dalla passione. Le loro labbra si incontravano continuamente. Sembrava che, senza quel contatto, non potessero vivere. Le loro carezze, i loro abbracci, i loro baci, la loro passione. Quell'amplesso inaspettato, ma incredibilmente piacevole, riuscì a cancellare un mese di litigi ed incomprensioni. Un mese in cui sembrava che la loro storia fosse ormai giunta alla fine.

Ma su quella spiaggia, entrambi capirono che invece, la loro storia, sarebbe andata avanti.

Per sempre.

 

CONTINUA

 

Ave popolo! Devo dire che sono rimasto incredibilmente sorpreso dall'improvviso aumento dei lettori di questa storia. Non mi immaginavo tutto questo successo. Devo dire che, così facendo, mi riempite di responsabilità!

Comunque devo dire un paio di cosette: come forse avrete notato, ho deciso di aumentare il rating della storia da giallo ad arancione. Chiedo scusa ma mi sono accorto che, in alcuni capitoli, avrei sforato il rating. Comunque state tranquilli! Non lo porterò di certo a rosso!

Seconda cosa: ho deciso di fare una seconda introspezione dei pensieri di C18. Perdonatemi ma mi piace troppo descrivere pensieri ed emozioni dei personaggi. Spero di non avervi annoiato. Comunque, in questa storia, basandomi anche da quello che ho capito dal manga (ma di me non c'è da fidarsi. Potrei anche aver preso fischi per fiaschi), ho deciso di immaginare che C18 e suo fratello siano stati attivati già una volta prima di affrontare i guerrieri Z. La prima volta i due androidi erano molto simili di carattere a quelli della dimensione futura di Mirai Trunks. Tuttavia Gero, spaventato dalla ribellione dei due cyborg, decise di disattivarli per per poterli rendere più obbedienti. Ritengo che sia per questo motivo che i due cyborg, quando furono attivati per combattere Vegeta, avessero un carattere più umano. Inoltre, ho immaginato che Gero li avesse ulteriormente potenziati. Ecco spiegato il motivo, a mio modesto parere, del perché fossero più forti di quelli del futuro.

Riguardo alla filastrocca, beh...chiedo scusa se sembrerà patetica. Non chiedetemi come mi sia venuta in mente l'idea della filastrocca perché non lo so! Tutto quello che vi posso dire è che, quella canzoncina, è un misto tra una storiella che mi cantavano da piccolo a me, e un po' frutto della mia mente. Lo so che è terribilmente sdolcinata! Ma che volete farci? Mi è venuta l'idea e lo buttata giù. Perdonatemi se potete!

Quarta ed ultima cosa: la proposta di Crilin. Lo so che la sua dichiarazione è simile a quella delle favolette d'amore. Ma ho pensato che il terrestre, con la sua immensa ingenuità e la sua bontà d'animo, fosse capacissimo di farlo. E poi, francamente, non sono riuscito ad immaginare Crilin che chiede a C18 di sposarlo in maniera diversa.

Ok...anche questo capitolo è finito. Spero che vi sia piaciuto. Aspetto con ansia commenti, giudizi e consigli! Anche quest'ultimi sono ben accetti :)

Un saluto!

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Capitolo 16
*** La vendetta dei morti ***


Capitolo 16

 

Gli occhi azzurri di C18 si strinsero fino a diventare due fessure di ghiaccio. Una vena pulsava pericolosamente sulla tempia sinistra della cyborg. Un ringhio rabbioso uscì dalla sua gola.

“Te lo puoi scordare!”

Crilin sospirò. Certe volte C18 si comportava proprio come una bambina.

“Dai Juu...ti scongiuro!”

“No!” ringhiò l'androide.

Si trovavano nella cucina della Kame House. Erano passati due giorni dalla loro riconciliazione. Da allora, il loro legame si era fortificato. Tuttavia, in quel momento, un nuovo, devastante litigio era alle porte.

E il motivo era tra i più stupidi.

“Juu...” fece Crilin con tono esasperato. “Quante volte devo dirtelo che devi farlo?”

“Devo? Io non devo fare proprio un bel niente!” dichiarò l'androide con tono sprezzante.

“Ma tu devi cominciare a mangiare!” disse il terrestre ormai sull'orlo di una crisi di nervi.

Davanti alle parole del compagno, la bionda socchiuse pericolosamente i propri occhi. Quando parlò, la sua voce aveva un tono da far venire i brividi.

“Io sono un cyborg!” sputò l'androide. “Io non ho bisogno di questa...questa schifezza!” concluse con tono schifato osservando il piatto di stufato che si trovava davanti a lei.

“Tu forse no.” fece il piccolo guerriero. “Ma lui sì!” dichiarò indicando la pancia della cybrog. “Quindi poche storie e mangia!”

Sprizzando rabbia da tutti i pori, e fulminando il proprio compagno con un'occhiataccia da far venire i brividi, C18 afferrò con la grazia di un tirannosauro il cucchiaio che si trovava vicino al piatto. La bionda lo immerse con deliberata lentezza all'interno di quest'ultimo. Poi, una volta averlo tirato fuori, l'androide osservò con disgusto il contenuto della posata. Alla fine, con un sospiro di esasperazione, si mise il boccone in bocca.

Il primo impulso che venne alla cyborg fu quello di sputare il boccone caldo in faccia a Crilin. La sensazione della carne calda e speziata sulla sua lingua le fece venire un conato involontario. Alla fine, con un grande sforzo di volontà, cominciò a masticare lentamente il pezzo di carne. Assaporò con curiosità le spezie. Se all'inizio quei sapori sconosciuti le avevano fatto venire il voltastomaco, in un secondo momento, l'androide fu costretta ad ammettere che non era spiacevole avere la bocca piena di quel gusto. Alla fine, dopo aver masticato a lungo assaporando quei nuovi sapori a lei sconosciuti, la bionda inghiottì.

Crilin, che aveva osservato tutta l'operazione con molta attenzione, porse una domanda alla cyborg.

“Allora? Ti piace?” domandò con fare premuroso.

C18 non rispose. Tuttavia, la cyborg immerse di nuovo il cucchiaio dentro il piatto per prendere un nuovo boccone di stufato.

Davanti a quella reazione, Crilin sorrise.

 

Da allora, C18 divenne una presenza costante alla tavola della Kame House. Nonostante fosse una presenza silenziosa, non era difficile notarla. Se all'inizio Muten e Crilin furono leggermente in soggezione con la presenza della cyborg anche a tavola, col tempo si abituarono.

Intimamente Crilin adorava vedere l'androide mangiare. C18 aveva una grazia innata anche nel fare una cosa comune come mangiare. Non era una golosa. Anzi, ad essere onesti, C18 mangiava molto poco. Ma Crilin non se la prendeva. Il terrestre capiva che la cyborg aveva bisogno di tempo per abituarsi a quella nuova esigenza del suo fisico.

L'ignoranza di C18 in materia di cucina creò un paio di episodi piuttosto imbarazzanti. La bionda non sapeva come si dovevano mangiare determinate pietanze né aveva idea delle più comuni regole che si dovevano rispettare a tavola. Per evitare che la cyborg mangiasse come un animale, Crilin fu costretto a fare all'androide un corso intensivo sulle regole che si devono tenere a tavola. Corso che C18, in maniera molto raffinata, definì “La più grande raccolta di stronzate che voi umani potevate creare.”

Ovviamente, con il passare del tempo, la bionda cominciò ad avere i propri gusti in materia di cibo. La cyborg non amava particolarmente i dolci, al contrario, sviluppò una passione per i cibi piccanti. Preferiva gli spaghetti al riso nonostante, all'inizio, fu tentata dall'idea di incenerire Crilin per aver osato obbligarla a mangiarli. L'androide trovava quei vermi di grano terribilmente sfuggenti. La prima volta che gli aveva mangiati, aveva perso oltre mezz'ora per finire la propria porzione.

Le zuppe non erano tra i suoi cibi preferiti. Non aveva gusti particolari in fatto di frutta. Al contrario, C18 provava una profonda avversione per alcune verdure. Il sapore amaro che molte di esse possedevano la facevano sputare dal disgusto per provare a togliersi quel sapore orrendo dalla bocca. Crilin trovava il suo comportamento piuttosto infantile.

“Ti fanno bene.” dichiarava con un sospiro di esasperazione quando C18 si rifiutava di mangiare determinate pietanze. “Davvero Juu, dovresti fare un piccolo sforzo. Solo un paio di bocconi!”

“Te lo puoi scordare!” ringhiava la bionda con un tono da far venire i brividi. “Io, queste schifezze, mi rifiuto di toccarle!”

Era inutile insistere. Quando si metteva, C18 diventava peggio di una bambina. Ormai il terrestre si era rassegnato a tutto quello. Se la cyborg non voleva mangiare un determinato piatto, non l'avrebbe fatto. Discutere avrebbe solamente dato vita a litigi violenti e inutili che nessuno dei due desiderava che accadessero.

 

Mentre C18 scopriva, con molta diffidenza e parecchio scetticismo a riguardo, il mondo del cibo, i preparativi del matrimonio erano cominciati.

La prima cosa che Crilin aveva fatto era stata quella di comunicare a tutti la novità. Ovviamente i guerrieri Z erano tutti invitati. Ma per stilare la lista degli invitati c'era tempo. Ora bisognava dedicarsi alle cose principali dell'evento. E non era un lavoro da poco.

Sia Crilin che C18 non avevano la più pallida idea di come si organizzava un matrimonio. Per questo, tre giorni dopo la loro riconciliazione, il piccolo guerriero andò da Bulma per chiederle una mano a preparare l'evento. Tuttavia, la scienziata era parsa, all'inizio, parecchio titubante.

“Non so Crilin...” fece la scienziata dubbiosa. “Lo sai che ho sempre da fare qui all'azienda. Non so proprio se riesco a liberarmi.”

Crilin incassò la risposta dell'amica senza troppi problemi. Quando parlò, il terrestre lo fece con una voce profonda che Bulma raramente gli aveva visto usare.

“Bulma, lo so che tu hai i tuoi impegni. Così come so che aiutarmi sarebbe, per te, incredibilmente problematico.” fece il piccolo guerriero guardando l'azzurra dritta negli occhi. “Tuttavia, io mi sento in dovere di chiederti lo stesso aiuto. Lo sai che amo con tutto me stesso C18. Voglio darle una vita Bulma. La vita che non ha mai potuto avere. E voglio donargliela a partire dal matrimonio migliore del mondo. Ti scongiuro Bulma! Aiutami!”

“Crilin...” Bulma era titubante. Non era per cattiveria che esitava ad aiutare l'amico. In cuor suo, la scienziata era preoccupata per un'altra faccenda molto grave che riguardava il terrestre. Tuttavia, pur sapendo l'importanza di dover dire a Crilin cosa la angosciava, la donna non ci riusciva. Era più forte di lei.

Nel frattempo Crilin continuava a fissare l'azzurra con speranza. Davanti a quello sguardo così pieno di fiducia e d'amore, Bulma capitolò.

“E va bene.” sospirò. “Facciamo questo matrimonio.”

Davanti a quelle parole, il terrestre sorrise.

“Grazie!”

Bulma si limitò ad annuire. Stranamente, il sorriso del suo amico le fece aumentare quella sensazione dolorosa che sentiva dentro di se.

 

Passò una settimana. Per C18, quel periodo fu snervante ed incredibilmente noioso.

Il problema principale era il bambino. Nonostante fosse appena all'inizio della sua gravidanza, i dolori e le nausee, accompagnate dai soliti devastanti mal di testa, non la smettevano di tormentarla. I dolori avrebbe anche potuto provare ad ignorarli, se non fosse che non aveva la più pallida idea di come fare.

Crilin era sempre via. Occupato ad organizzare quella ridicola faccenda del matrimonio. C18 era profondamente infastidita da quella storia. Nonostante sapesse che Crilin lo faceva solo per amore, la cyborg non tollerava di venire lasciata all'oscuro di tutto. In più, senza il terrestre, la Kame House era incredibilmente vuota e noiosa. Certe volte la bionda, tra il tempo che non passava mai e i dolori della gravidanza, credeva di impazzire. Si limitava ad osservare il mare dalla finestra del salotto cercando di ignorare i dolori che il suo corpo le inviava.

Era noioso. Molto noioso. In più, come se la gravidanza non fosse già una fonte sufficiente di problemi, l'androide aveva ricominciato ad avere il terrore della notte.

Infatti, in quel periodo, i suoi incubi erano tornati a perseguitarla con una violenza ed una puntualità agghiacciante. Ormai non passava notte che non sognava i due esseri che odiava con tutta se stessa: Gero e Cell.

C18 era ossessionata da quei due schifosi esseri. Tuttavia, se Gero poteva dire di conoscerlo e di poterlo, in un certo senso, controllare nei suoi incubi, con Cell era diverso.

Ogni notte vedeva e sentiva le risate disgustose di quell'essere rivoltante. Ogni notte sentiva la sua coda aprirsi con un suono orribile, pronta per fagocitarla una seconda vota. Ogni notte poteva sentire i suoi passi pesanti che si avvicinavano inesorabilmente a lei. Il terrore che provava era qualcosa di difficile da controllare, persino per una come lei che, le emozioni, aveva imparato da tempo a nasconderle ai più. Solamente Crilin riusciva a capire veramente cosa provava. Era un altro dei motivi con cui il terrestre riusciva a stupire la cyborg.

C18 non capiva. Non riusciva a capire. Perché continuavano a perseguitarla? Perché non la lasciavano in pace? All'inizio l'androide credeva che fosse per colpa sua. Che, non riuscendo a trovare il suo scopo nel mondo, il suo passato continuasse a perseguitarla. D'altronde, se non si ha un futuro, cosa resta ad una persona se non il passato?

Ma adesso...adesso era diverso. Lei era cambiata. Era riuscita, dopo tanto tempo, a provare di nuovo emozioni e sentimenti. Era riuscita ad accettare il fatto di poter amare una persona. Era riuscita, grazie a Crilin, a diventare una donna. Sarebbe diventata madre e presto si sarebbe sposata. Non era questo, in fondo, quello che facevano quasi tutte le donne?

Ma lei era veramente una donna? Si poteva definire una donna solamente per il fatto che sarebbe diventata madre? Forse sì.

O forse no.

 

Correva. Correva disperatamente. Correva con tutta la forza che aveva. Sentiva il suo cuore battere violentemente. Era buio. Terribilmente buio intorno a lei. Eppure, nonostante all'apparenza fosse sola, sapeva che, dietro di lei, Lui la stava cacciando. La cyborg poteva sentire i suoi passi pesanti tenerle dietro senza troppi problemi. Sinistro. Destro. Sinistro. Destro. Instancabile. Inarrestabile. Lui non avrebbe mai smesso di cacciarla fino a quando non sarebbe stata sua.

Il terrore che provava era devastante. Lo sentiva fortissimo dentro il suo petto. Era come un macigno che la rallentava e che faceva il gioco di Lui. Nonostante tutti i suoi sforzi per mantenere il controllo, non riusciva a fare a meno di provare paura allo stato puro.

Provò ad aumentare la velocità della sua corsa, ma fu tutto inutile. Lui era sempre dietro di lei che la seguiva come un predatore fa con la sua preda.

Ad un tratto, davanti a lei comparve un cancello. Era grosso e molto alto. L'acciaio brunito di cui era forgiato brillava fortissimo nel buio, accecando, in questo modo, gli occhi chiari dell'androide. Tuttavia, la sua vista rincuorò C18. Forse poteva salvarsi. Bastava che scavalcasse quel cancello e sarebbe stata al sicuro. Lui non avrebbe mai potuto prenderla lì dentro. Non sapeva il perché di quella sicurezza, ma era sicura che, una volta oltrepassato il cancello, sarebbe stata protetta da quel mostro e dai suoi disgustosi propositi.

Aumentò la sua corsa, chiedendo alle sue gambe, stranamente stanche, un ulteriore sforzo. Tuttavia, quando arrivò al cancello, lo trovò chiuso. Provò ad aprirlo con tutte le sue forze. Provò a romperlo, a scavalcarlo, arrivò addirittura ad urlare con tutte le sue forze, sbattendo violentemente contro il cancello.

Apriti fottuto bastardo! Apriti!”

Ma tutti i suoi sforzi si rivelarono vani.

Il sudore scorreva copioso sulla fronte dell'androide. I passi del mostro erano sempre più vicini. Presa dal panico, C18 ricominciò a scuotere con la forza della disperazione il cancello. Perché? Perché non si apriva? Perché non riusciva a mettersi in salvo? Cosa cazzo doveva fare per superarlo?

Ad un tratto, una voce ruppe il silenzio che gravava sul posto. Persino i passi dietro di lei sembrarono fermarsi davanti a quella voce.

Guardate! Vuole salvarsi!”

Davvero? Ma l'avete vista? Trema come un coniglio!” aggiunse una seconda voce.

Dov'è finita la tua arroganza androide?!”

Scommetto che se la sta facendo sotto!”

Vuoi la mammina? Mamma! Ho tanta paura!” sghignazzò la prima voce in tono sarcastico.

C18 non capiva. Un coro di voci aveva cominciato a risuonare nel buio. Erano voci arroganti, fastidiose, divertite. Si divertivano di lei. La prendevano in giro. Prendevano in giro lei! C18!

Dove siete?! Fatevi avanti luridi bastardi!” urlò mentre girava continuamente la testa per cercare a di individuarli. Ma non c'era niente attorno a lei. Solo quel fottuto cancello che non voleva saperne di aprirsi.

Come sarebbe a dire fatevi avanti? Noi siamo qua.”

E comunque non puoi più farci niente. Ormai quello che potevi farci l'hai fatto.”

C18 roteava i suoi occhi chiari con ferocia, cercando di capire dove si nascondessero i proprietari di quelle voci.

Chi siete?” domandò con voce carica di rabbia. “Fatevi vedere!” urlò.

Lo desideri davvero?” mormorò con tono suadente una voce.

Io non lo farei se fossi in te.” aggiunse velenoso un altro.

Ma, se proprio insisti, ti accontentiamo.” dichiarò, maligna, la voce che sembrava comandare tutte le altre.

Subito dopo, dietro il cancello, piovve una grande nube bianca. Il vapore che fluì da essa cominciò a spargersi in maniera incontrollata. Poi, molto lentamente, il fumo cominciò a prendere consistenza. Prima le gambe, poi il busto, le braccia ed, infine, la testa.

La cyborg spalancò i suoi occhi azzurri. Era allibita. Non poteva essere. Davanti a lei c'era un'enorme folla di persone di tutte le eta e di qualunque sesso. Donne, uomini, bambini, vecchi. Tutti con una faccia tra il serio e il divertito. La fissavano sghignazzando apertamente. Alcuni bambini, con stampati sui loro visini dei ghigni poco adatti alla loro età, la indicavano con un dito urlando a squarciagola.

Guarda mamma! C'è il mostro!” dichiarò una bambina con i capelli mori racchiusi in due codine.

Ma tanto adesso non può più farci niente!” fece un bambino di circa dieci anni con voce spavalda.

Sei una strega! Hai ucciso la mia mamma ed il mio papà! Ma adesso avrai la tua punizione!” urlò un ragazzina che aveva l'età del maschietto di prima.

C18 si sistemò una ciocca bionda di capelli con una mano tremante. Non poteva essere. Non potevano essere loro. L'androide pregava con tutta se stessa che non fossero loro ma, purtroppo per lei, non c'erano dubbi. Quelle erano le sue vittime. Le persone che, senza alcune pietà e con una ferocia disumana, aveva ucciso durante la sua prima vita d'androide.

In quel momento, i passi dietro di lei ripresero ad avanzare. La cyborg tremò. Tremava di paura. Aveva una fottuta paura di quei passi. I suoi occhi osservavano le sbarre che la separavano dalla sicurezza. Con un gesto disperato, C18 riprese a scuoterle con tutta la sua forza. Fu tutto inutile.

I fantasmi, da dietro le sbarre, ridevano dei suoi tentativi. Più lei si sforzava ad entrare, più le sue vittime ridevano di lei.

Ma come?! Con tutta la tua forza non riesci a rompere un semplice cancello? Così ci deludi!” sghignazzò un vecchietto sdentato. C18 si ricordava di lui. L'aveva ucciso facendolo dissanguare lentamente dopo avergli strappato le gambe. Era stata un'agonia lunga e dolorosa. La bionda si ricordava ancora le urla disperate di dolore dell'uomo.

Veramente pensavi di poterti salvare?” domandò una giovane donna. Era una bella ragazza. I suoi capelli erano del colore dell'ebano. I suoi occhi scuri brillavano di gioia maligna. “Hai distrutto le nostre vite. Ci hai tolto speranze, sogni, illusioni, amori, gioie, dolori e tristezze! Ci hai impedito di vivere! E senza nessun motivo! Noi non ti avevamo fatto niente! Niente! Non era colpa nostra se eri diventata un cyborg. Perché prendertela con noi? Perché infliggerci tutto questo dolore?”

C18 continuava a scuotere con disperazione crescente il cancello. I passi dietro di lei erano sempre più vicini.

Vi prego...” implorava con gli occhi lucidi. “Aiutatemi. Sono cambiata. Io...io non volevo...vi prego...”

E' troppo tardi.” fece la giovane donna di prima. “Vai! Voltati e affronta il tuo destino. Cosa credevi, che avresti potuto farti una tua vita dopo averne distrutte così tante? I morti non perdonano!”

NO!” urlò l'androide con tutto il fiato che aveva in corpo. “IO SONO CAMBIATA! SONO CAMBIATA! AIUTATEMI! VI SUPPLICO!”

La donna fissò C18 dritta negli occhi. Gli occhi della cyborg erano ricolmi di terrore, disperazione, paura, sensi di colpa. Al contrario, gli occhi della donna, erano vuoti. Un morto non poteva provare più nulla.

Vai.” dichiarò la donna con voce fredda. “E' questo il tuo posto. È questo il tuo destino C18. Dopotutto, i mostri stanno con i mostri.”

E, dette queste parole, gli spiriti sparirono. Anche il cancello scomparve. Davanti agli occhi terrificati di C18, calò un'oscurità totale.

No...” sussurrò. “NO! NON SONO UN MOSTRO! NON POSSO ESSERLO!” urlò fino a farsi male alla gola. Subito dopo aver urlato, la cyborg sentì il sangue bruciarle la gola.

Qualche problema bellezza?”

C18 si girò di scatto. Le sue pupille si ingrandirono. Un sudore gelido cominciò a scorrerle lungo la schiena. Le gambe e le braccia erano scosse da brividi di terrore. Un'ondata di paura allo stato puro invase il cuore dell'androide.

Cell era davanti a lei. L'androide camminava sicuro di se. Le sue labbra erano incurvate in un ghigno di vittoria. I suoi occhi fissavano famelici la cyborg. La coda del mostro era già sollevata per colpire.

C18 fece un passo indietro ma scoprì, con suo profondo orrore, che non poteva più indietreggiare. Era come se, dietro di lei, fosse comparso un muro di tenebre insuperabile.

Era in trappola.

Aiuto...” mormorò la bionda. Non rispose nessuno.

QUALCUNO MI AIUTI!” urlò con tutto il fiato che aveva.

Anche noi abbiamo invocato aiuto davanti a te.” dichiarò il fantasma della giovane di prima comparendo, all'improvviso, davanti a lei. “Ti abbiamo supplicato. Ti abbiamo pregato di risparmiarci. Di avere pietà almeno dei nostri figli. Abbiamo cercato in tutti i modi di smuovere ciò che restava di umano dentro di te. Abbiamo forse avuto pietà? Abbiamo forse avuto salva la vita? Hai forse risparmiato i nostri figli?! RISPONDI!”

C18 non rispose. I suoi occhi fissavano con terrore la figura di Cell che si avvicinava.

Un ghigno illumino le labbra esangui della morta. I suoi occhi spenti si illuminarono, per un istante, di una gioia maligna nel vedere il suo carnefice tremare di paura.

Già...proprio come immaginavo.” mormorò con voce maligna. “Non hai neanche il coraggio di affrontare il tuo destino. È facile stare dalla parte dei più forti. È facile uccidere come se niente fosse centinaia di persone. Ma a morire? Ad accettare il proprio destino? Sei una codarda! Non meriti neanche che io perda altro tempo con te.” successivamente, il fantasma si rivolse a Cell. “Vendicaci! Falle provare tutto l'orrore e il dolore che abbiamo provato noi! Deve pagare cara tutta la sua crudeltà! Vendicaci!”

Il ghigno sulle labbra di Cell si accentuò. Con un rumore disgustoso, il pungiglione della sua coda si aprì, pronto per fagocitare la cyborg.

Allora bellezza, sei pronta per tornare da me? Ti sono mancato? Cosa speravi di fare fuggendo in quel modo? Il tuo destino è questo! L'unico motivo per cui sei stata creata è quello di farmi completare la mia trasformazione!”

No!” urlò con rabbia l'androide. Nonostante tremasse di paura, C18 non si sarebbe arresa. Avrebbe combattuto fino alla fine.

Cell ridacchiò. Ormai il mostro era a pochi metri dalla bionda. La sua coda scattava nervosa, impaziente di fagocitare l'androide.

Sei rivoltante!” con un urlo di disperazione, la cyborg partì all'attacco.

Cell non si scompose. L'androide si limitò a schivare i pugni furiosi della bionda. Poi, al momento giusto, la sua coda colpì spietata.

C18 provò a divincolarsi ma era tutto inutile. L'androide sentiva i muscoli, caldi e scivolosi, della coda del mostro spingerla verso l'interno di quel corpo disgustoso. Urlò. Urlò con tutta la suo forza. Provò in ogni maniera a liberarsi. Sentiva il fantasma della giovane ridere sguaiatamente. I muscoli di Cell si muovevano in maniera frenetica, ansiosi di assorbirla una volta per tutte.

NO!” urlò C18 con le lacrime agli occhi. “LASCIAMI! VAI VIA! VIA!!”

Ma ormai era troppo tardi. Non poteva più scappare. Doveva pagare per le sue colpe. Doveva pagare per il male che aveva commesso.

Perché lei era un mostro.

Poi, tutto diventò buio. In cuor suo, la cyborg sperò di essere morta.

 

Crilin fu svegliato da un dolore lancinante al fianco che gli fece uscire l'aria dai polmoni.

Cadde dal letto. Successivamente, il terrestre si alzò con un gemito cercando di capire cosa era successo. Quando i suoi occhi si abituarono all'oscurità che opprimeva la stanza, il piccolo guerriero capì tutto.

C18 si agitava furiosamente nel letto. La cyborg aveva la fronte coperta di sudore. Le sue palpebre tremavano. Dalle sue labbra uscivano frasi sconnesse. Probabilmente, immersa totalmente nei suoi deliri, aveva colpito involontariamente il compagno.

Crilin cercò subito di calmarla ma la faccenda era più difficile del previsto. Con la sua immensa forza, C18 avrebbe potuto ucciderlo con un movimento incontrollato senza neanche accorgersene. Il piccolo guerriero saltò sopra l'androide cercando di tenerle fermi i polsi.

Juu! Svegliati Juu! Svegliati!”

SEI RIVOLTANTE!” urlò la cyborg immersa nel suo incubo. All'improvviso, la bionda cominciò a fare respiri lunghi e rochi. Sembrava le mancasse il fiato. Cercando di mantenere la calma, Crilin cominciò a schiaffeggiarla sulle guance.

Forza Juu! Reagisci! Svegliati!”

NO!! VAI VIA! VIA!!!” C18 sembrava totalmente fuori di se. I suoi movimenti ripresero forza. Poi, con un urlo disumano, la cyborg si svegliò di colpo tirandosi su e facendo cadere, in questo modo, il terrestre dal letto.

Quando Crilin si rialzò, sbuffando dalla fatica, rimase esterrefatto. C18 sembrava fuori di se. Aveva gli occhi rovesciati all'insù ed era sudata fradicia. La bionda aveva il respiro pesante come se avesse il fiatone. Stringeva con forza l'orlo del lenzuolo quasi avesse paura che, se l'avesse lasciato, sarebbe precipitata di nuovo in qualche incubo angosciante.

Crilin le si avvicinò lentamente. Quando fu al suo fianco, il terrestre si accorse che tremava. Rimase sorpreso da questo atteggiamento. Non l'aveva mai vista tremare. Il sogno che aveva fatto doveva essere veramente terribile per provocare in lei una simile reazione.

Juu...” Crilin le appoggiò cautamente una mano sulla testa per accarezzarla. La cyborg lo scacciò via con stizza. Tuttavia, il piccolo guerriero non si arrese.

Juu...era solo un incubo. Va tutto bene. È tutto finito.”

NO! NON VA BENE NIENTE! NON VA BENE UN CAZZO!”

L'urlo disperato di C18 ebbe l'effetto di zittire Crilin. Quando parlò di nuovo, la cyborg lo fece con una voce che non sembrava neanche la sua.

Io...io sono stanca! Stanca! Ogni notte, ogni fottuta notte, vedo le loro facce, ascolto i loro lamenti. Vedo le persone che ho ucciso io! Capisci?! IO!” all'improvviso, una lacrima riuscì a farsi strada negli occhi dell'androide. “Non ce la faccio più! Basta! Basta! Lasciatemi in pace! Lasciatemi in pace...”

Colpito dalla disperazione della bionda, Crilin l'abbracciò. C18 si abbandonò a quell'abbraccio caldo e rassicurante. A poco a poco, il tremito che scuoteva le membra dell'androide scomparve. Il respiro della cyborg si fece più regolare. Le sue braccia, che prima avevano stretto Crilin in un abbraccio fortissimo e disperato, lo lasciarono. Poco dopo, quando C18 parlò di nuovo, lo fece con il suo tono di voce abituale.

Crilin...”

Shhh...” il terrestre aveva cominciato a coccolarla con delicatezza quasi fosse fatta di porcellana. “E' tutto finito Juu. Tutto finito.”

Non dire niente a nessuno. Hai capito?.” disse l'androide. Sentendo quelle parole, il piccolo guerriero sorrise.

Una lacrima non significa piangere. Non devi vergognartene Juu.”

Tu non dirlo e basta!” fece con tono duro l'androide. “Altrimenti ti uccido.”

Crilin aspirò con forza l'odore dolce della chioma dorata di lei. La sua mano passò sulla stoffa, bagnata di sudore, della camicia da notte di C18. La cyborg indossava una camicia nera che esaltava la sua pelle pallida e i suoi capelli biondi. In quel momento però, il tessuto era zuppo di sudore.

Va bene amore.” mormorò il terrestre. “Sarà il nostro piccolo segreto.”

Ti conviene.” con un movimento fluido, C18 si alzò dal letto. Senza dire una parola, l'androide andò in bagno per togliersi il sudore. C18 sembrava essere tornata se stessa. Crilin, dentro di se, era felice. Quando la cyborg si comportava con quel fare scorbutico, significava che stava bene.

 

La mattina dopo entrambi si comportarono come se non fosse accaduto niente. Tuttavia, col passare dei giorni, Crilin si accorse di un cambiamento nell'atteggiamento di C18. La cyborg aveva cominciato a manifestare un attaccamento morboso nei suoi confronti. La bionda, infatti, cercava di non perderlo mai di vista. Rimaneva sempre al fianco del compagno, in qualunque situazione. Solamente quando il piccolo guerriero doveva andare via per organizzare insieme a Bulma il matrimonio, C18 si decideva, anche se riluttante, a lasciarlo andare.

Non è che si comportasse in maniera diversa dal solito. Semplicemente, l'androide voleva stare vicino al terrestre. Per il resto, rimaneva la solita musona e scorbutica di sempre.

A Crilin tutto questo non pesava. Il piccolo guerriero aveva capito che, quel modo di fare così possessivo e autoritario, era il modo con cui C18 manifestava l'amore che provava nei suoi confronti. E questo, per il terrestre, era la cosa più bella del mondo.

Tre giorni dopo l'incubo di C18, Crilin tornò alla Kame House prima del solito. Da qualche tempo infatti, Bulma era sempre con la testa fra le nuvole. Il terrestre aveva anche scoperto un paio di volte l'amica fissarlo di sottecchi con fare ansioso ed apprensivo. Per qualche strana ragione, l'ansia della scienziata lo preoccupava.

Quando l'umano entrò in salotto rimase sorpreso di ciò che vide: C18 era seduta a gambe incrociate sul divano. Ma la cosa che colpì subito il piccolo guerriero furono gli abiti che la bionda indossava: C18 indossava un jeans scuro, una maglietta a maniche corte bianca con sopra un gilè nero. Un filo di perle le ornava il collo bianco e morbido. Le mani della bionda erano coperte da morbidi guanti di pelle nera. Un braccialetto d'oro al polso sinistro ed una catenella dello stesso metallo agganciata ai pantaloni completava l'abbigliamento della bionda

Appena la vide, Crilin pensò di essere tornato indietro nel tempo. Quelli erano gli abiti che la cyborg indossava quando Cell l'aveva assorbita. Il piccolo guerriero fu sorpreso di vederla indossare proprio quei vestiti. Non credeva che li avesse conservati.

Ciao.” fece con voce dolce l'umano andandosi a sedere accanto a lei sul divano.

Appena la salutò, l'androide girò di scatto la testa. I suoi occhi azzurri, fino a quel momento pieni di una luce malinconica e triste, si illuminarono fiocamente. Quasi che, avendo vicino il piccolo guerriero, la sua tristezza si attenuasse.

Tuttavia, dopo aver squadrato il terrestre, ed essersi accorta che stava bene, la bionda tornò a fissare il vuoto davanti a se. Con una mano la cyborg giocherellava con il filo di perle che le adornava il collo. Crilin la guardò in silenzio per qualche minuto. Faceva sempre fatica a credere veramente che una donna del genere volesse sposare un tipo come lui.

Come mai hai indossato questi abiti?” le domandò curioso.

C18 non rispose subito. Anzi sembrava che neanche avesse sentito la domanda del compagno. Poi, dopo circa un minuto e senza smettere di giocherellare con le perle, l'androide rispose.

Mi andava di indossarli.” subito dopo, la bionda si girò e puntò i suoi occhi azzurri in quelli neri del terrestre. “Perché? Non ti piacciono?”

Crilin sorrise. Subito dopo, l'umano cinse la vita sottile della bionda con il braccio destro.

Sono bellissimi.” mormorò con voce dolce. “Come te.”

La bionda inarcò un sopracciglio osservando scettica il piccolo guerriero. Crilin adorava quando si atteggiava in quel modo. Si divertiva un mondo a coccolarla quando lei non ne aveva voglia. Di solito, quando terrestre ed androide si atteggiavano in quel modo, era il preludio di una sfida in cui, stranamente, ad averla spesso vinta era il terrestre.

Tuttavia, quella volta C18 non aveva voglia di giocare. La cyborg continuò a fissare il compagno per qualche minuto. Poi, la bionda tornò a fissare il nulla davanti a se. Preoccupato da quell'insolito atteggiamento, Crilin le si avvicinò ancora di più.

Cosa c'è tesoro?” mormorò con dolcezza. Con una mano l'umano aveva cominciato ad accarezzare i lucenti capelli dorati dell'androide.

C18 sembrò gradire quelle carezze. La cyborg, infatti, si accucciò contro il petto dell'umano. Quando parlò, la sua voce esprimeva una grande stanchezza.

La sento.” disse con voce bassa.

Che cosa senti Juu?” domandò il guerriero continuando a coccolare la sua amata.

Sento la paura. Questi abiti ne sono pregni.” rispose la bionda. “E' tanta. Troppa. Mi ricorda Lui.”

Sentendola parlare in quel modo, Crilin la strinse con forza a se. Cercò, con quel gesto, di far rasserenare la cyborg.

Lui è morto Juu.” disse con voce sicura. “Non può più farti nulla.”

Tu dici?” mormorò l'androide. “Eppure, ogni notte me lo sogno. Lui e le persone che ho ucciso. Chiedono a Lui di vendicarle. Di farmi soffrire. Dicono che sono un mostro.” il tono di C18 era carico di amarezza.

Sentendola parlare in questo modo, Crilin pianse silenziosamente. Era solamente colpa sua. Se solo fosse stato più forte! Allora la sua adorata Juu-chan non avrebbe sofferto così tanto. Cercando di soffocare i sensi di colpa, il piccolo guerriero la baciò sulla fronte.

Non pensarci.” dichiarò. “Non pensarci Juu. Tu non sei un mostro. Tu sei la donna più bella e buona del mondo. Tutto il resto, sono solamente cazzate.”

Udendo queste parole, C18 sorrise, ma il suo fu un sorriso amaro. Lei la donna più bella e buona del mondo? Solamente uno stupido come Crilin lo poteva pensare. Eppure, in quel momento, la cyborg decise di credere alle parole dell'umano. In fondo, cosa le costava illudersi per un momento? Non voleva rovinare quell'istante con il suo passato. In quel momento, per lei, esisteva solamente il presente.

Ho sonno.” disse la bionda. Successivamente, la cyborg abbracciò il compagno facendolo distendere. Ora C18 aveva la testa appoggiata sull'incavo del collo dell'umano. Le sue braccia erano strette sul collo di lui. Il suo bacino era appoggiato su quello del piccolo guerriero. Tuttavia, questo contatto intimo, non scatenava nessuna passione in entrambi.

Crilin si fece abbracciare e distendere sul divano dalla bionda. Il terrestre abbracciò a sua volta la sua amata Juu-chan. Poco dopo, con sua enorme gioia, l'umano sentì il respiro di C18 farsi più lento e pesante. Si era addormentata. Crilin appoggiò la fronte a quella dell'androide e, con il cuore pieno di gioia, si addormentò anche lui.

 

Quella sera, quando Muten ritornò dal suo giro in città. Scoprì, con sua grande sorpresa, C18 che dormiva abbracciata a Crilin sul divano. Il terrestre era sveglio e, con una mano, accarezzava dolcemente la schiena della bionda.

Non appena vide il suo maestro, il piccolo guerriero sorrise portandosi, allo stesso tempo, un dito sulle labbra.

Dorme.” sussurrò.

Muten annuì. Il vecchio maestro di arti marziali sorrideva, ma il suo sorriso era nascosto dalla folta barba bianca.

Ti porto una coperta.” disse.

Quando Muten ebbe portato quello che aveva promesso, il terrestre si sistemò un po' meglio cercando, in questo modo, una posizione più comoda. Nel fare ciò, l'umano si distaccò leggermente da C18. Immediatamente, sul viso della cyborg, comparve un'espressione corrucciata. Con un gesto impulsivo, l'androide si strinse più forte al piccolo guerriero. Avendo ottenuto ciò, un'espressione rilassata comparve sul volto della bionda.

Crilin sorrise davanti a quell'atteggiamento. Il suo cuore si riempì di tenerezza nell'osservare la sua Juu-chan immersa in un sonno finalmente tranquillo. La cyborg aveva dipinta sul volto un'espressione di pace che non le aveva mai visto. Ad un tratto, C18 mormorò qualcosa nel sonno.

Crilin...”

Sentendo il proprio nome uscire dalle labbra di Juu-chan, il terrestre sorrise.

Sogna.” pensò accarezzando la chioma dorata dell'androide. “Chissà cosa sta sognando.” si domandò curioso.

Tuttavia, di una cosa era certo il piccolo guerriero: a vedere il bellissimo viso della bionda, doveva essere proprio un bel sogno. E di questo ne era felice.

Ti amo Juu.” pensò continuando a coccolare la cyborg. “E voglio che tu sia felice.”

Crilin...”

 

CONTINUA

 

Buon giorno a tutti! Sì lo so, sono in terribile ritardo ad aggiornare questa volta. Mi dispiace ma, a causa di una orribile cosa chiamata maturità, d'ora in avanti il tempo di aggiornamento si allungherà. Cercate di portare pazienza. Non andrò a divertirmi, promesso!

Alloooora...cosa posso dire di questo capitolo? Cavolo! Sono già al capitolo 16 e non si sono ancora sposati! Sapete, quando ho cominciato a scrivere questa storia pensavo di fare, al massimo, una ventina di capitoli. Devo dire che si è allungata parecchio! Spero che non vi dispiaccia!

In questo capitolo C18 non mi piace. Non so cosa farci, ma proprio non riesco a togliermi dalla mente che sia mostruosamente OOC. Ero molto indeciso se metterlo o meno questo capitolo ma, alla fine, ho deciso di pubblicarlo. E pazienza se riceverò qualche critica negativa. In fondo, ricevere critiche negative fa migliorare.

Spero che abbiate notato lo strano comportamento di Bulma, ma se non l'avete fatto, ve lo dico io. Attenti! Nel prossimo capitolo Bulma avrà una parte importante e si capirà il motivo che la turba.

Bene, anche questo capitolo è finito. Aspetto con ansia i vostri giudizi e commenti. Vi ringrazio in anticipo. Così come ringrazio tutti quelli che seguono questa storia e la leggono. Grazie!

Un saluto!

P.S. Visto che non l'ho descritto fisicamente, vi dico che il Cell degli incubi di C18 è quello che ha assorbito solamente C17.

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Capitolo 17
*** Chiedere consiglio ***


Capitolo 17

 

Il sole illuminava con forza il tetto della Kame House. Il calore che emanava l'astro infuocato aveva dell'incredibile. L'aria tremolava come se fosse fatta di vetro liquido. Il caldo era afoso e si appiccicava fastidiosamente sulla pelle.

Crilin si trovava sulla spiaggia della piccola isola. Il terrestre osservava con un misto di nostalgia e tristezza la casa davanti a se. Sentiva. La sentiva. Sentiva dentro di se una sensazione ormai diventata, per lui, terribilmente familiare. Un immenso macigno composto da dolore, disperazione e sensi di colpa gli gravava nel petto, rendendogli difficile persino respirare.

All'improvviso, la porta della Kame House si aprì di colpo. Ne uscì, correndo, una figura minuta, subito seguita da un'altra altrettanto bassa. Appena le vide, Crilin sussultò sorpreso. Non capiva. Com'era possibile tutto quello? Lui era morto!

Dai Crilin! Ridammi il mio bastone!”

Prima devi prendermi! Sei lento Goku!”

Sei cattivo! Sei stato disonesto! Mi avevi promesso che non mi ingannavi più!”

Sei un ingenuo Goku! Quanto imparerai a non fidarti di me?”

Un ragazzino rasato correva intorno alla casa. Indossava una tunica da monaco e teneva nella mano sinistra, a mo' di trofeo, un bastone chiuso da una guaina di pelle nera. Un altro bambino lo stava inseguendo. Indossava una tunica azzurra tenuta su da una cintura bianca. Aveva i capelli neri come il carbone. In fondo alla schiena, una lunga coda pelosa gli sbucava da un buco dei pantaloni.

Crilin continuò ad osservare se stesso e Goku rincorrersi per circa un quarto d'ora. Poi, entrambi sfiniti, i due ragazzini si distesero pancia all'aria sulla spiaggia cercando di riprendere fiato.

Tieni.”

Goku si girò verso Crilin. I suoi occhi neri si illuminarono di gioia quando vide l'altro, rosso in volto e con lo sguardo rivolto verso terra, ridargli il suo amato bastone.

Grazie Crilin! Sei un amico!”

Io amico tuo? Non dire stupidaggini! Io e te siamo rivali! E un giorno ti batterò Goku!”

Non ci riuscirai mai!” fece il piccolo sayan con voce sicura. Davanti a quell'atteggiamento, il piccolo rasato si alzò in tutta la sua piccola statura.

E invece sì! Io ti batterò! E diventerò il più grande maestro di arti marziali del mondo!”

Eh eh! Allora perché non cominci col batterti con me?”

Vuoi sfidarmi? Non ti conviene! Potrei farti molto male!”

Basta chiacchiere! Forza fatti sotto!”

E detto questo, i due bambini cominciarono ad affrontarsi.

Crilin li osservò a lungo. Poi, ad un tratto, qualcosa dentro di lui si ruppe. Lacrime calde cominciarono a bagnargli le guance. Si odiava. Odiava se stesso. Odiava non aver potuto apprezzare meglio quei momenti passati insieme al suo amico. Odiava non aver mai potuto dirgli quanto l'aveva amato. Quanto gli aveva voluto bene. Odiava non aver mai potuto dirgli che incontrarlo, era stata la cosa migliore che gli potesse capitare.

 

Sasso! Forbice! Carta!”

Ehehehe! Cosa credi di fare con quella ridicola mossa? Con me, certi trucchetti, non funzionano!”

 

Poterlo toccare ancora una volta. Poterlo abbracciare. Poterlo affrontare in un'ultima sfida. Potergli dire quanto gli dispiaceva aver causato la sua morte.

Sarebbe stato bello. Forse troppo.

In quel momento, il dolore lo sopraffece. Mentre i due ragazzini continuavano a giocare, a ridere ed a scherzare, Crilin si accasciò a terra scoppiando in un pianto disperato. Il macigno dentro il suo petto era diventato pesantissimo. Le lacrime uscivano copiose dai suoi occhi scuri. Singhiozzi disperati gli uscivano dalla gola e gli scuotevano il busto. In quel momento, il piccolo guerriero desiderava ardentemente la morte.

 

Urca Crilin! Sei proprio bravo!”

Crilin cercò, con scarsi risultati, di nascondere l'orgoglio che la frase dell'amico aveva scatenato dentro di se.

Grazie Goku. Ma non c'era bisogno che lo dicessi. Lo so anch'io che, tra noi due, il più forte sono io!”

Goku si rialzò con un sorriso. Il piccolo sayan era contento per l'amico. Vedere Crilin felice, lo rendeva felice.

Eh già! Ma aspetta a cantare vittoria! Un giorno ti supererò!”

Tsk! Scommetto che non ci riuscirai mai!”

 

Crilin alzò la testa. Con la vista appannata dalle lacrime, il terrestre vide i due ragazzini cominciare a chiacchierare con entusiasmo del Torneo Tenkaichi a cui avrebbero partecipato di lì a poco. Sentirli parlare così rilassati e tranquilli era una tortura per lui.

 

Non vedo l'ora che cominci il torneo! Pensa Goku! Quest'anno il torneo si terrà nella Città dell'Ovest! Una delle più grandi metropoli del mondo! Sarà emozionante visitarla!”

Urca!...ma Crilin...che cos'è una metropoli?”

Certo che sei proprio un ignorante Goku! Una metropoli è una grande città in cui ci sono un sacco di cose bellissime.”

Tu ci sei già stato in una metropoli?”

Ehm...beh...no.”

E come fai a sapere tutte queste cose?”

Perché io, a differenza di te, leggo! Un grande maestro di arti marziali deve essere sempre aggiornato su tutto!”

E dimmi: nelle metropoli ci sono anche cose da mangiare?”

Ovvio! Un sacco di cose da mangiare. Una più buona dell'altra!”

DAVVERO?! EVVIVA! E quand'è che partiamo? Eh? Quand'è?”

POSSIBILE CHE TU SAI PENSARE SOLO AL CIBO?!”

 

Era proprio una strana scena. Da una parte due bambini che chiacchieravano spensierati, dall'altra un uomo che li osservava con il viso sporco di terra mista a lacrime. Il viso di quest'ultimo era una maschera di dolore e disperazione allo stato puro. Tetri pensieri tornarono a tormentargli l'animo e la mente quando vide Goku ridere mentre il Crilin bambino, offeso dal fatto che l'altro lo stava prendendo in giro, gonfiava il petto come un tacchino.

Perché?” pensò Crilin con disperazione. “Perché non ti ho abbracciato in quell'istante Goku? Perché non ti ho mai detto quanto bene ti volevo? Perché sono stato così stupido?“ le lacrime ripresero a scorrere come un torrente primaverile lungo le sue guance. Tutto quello che desiderava in quel momento era poterlo toccare. Vedere. Sentire. Sentire la sua risata allegra e spensierata. Vederlo giocare con suo figlio Gohan. Sentirlo chiedere a sua moglie quando era pronta la cena.

Goku...perdonami.” mormorò con voce rotta mentre, davanti a lui, i due bambini rientravano in casa per la cena, richiamati dalla voce allegra e gioviale di Lunch. “Sono stato un pessimo amico. Non meritavo la tua amicizia.”

Poi, davanti ai suoi occhi, tutto divenne buio.

 

Un vento freddo soffiava con forza sull'altopiano. Era una forza instancabile ed indomabile. Nugoli di polvere rossa si sollevavano al suo passaggio, roteando impazziti per aria. L'aria era carica di tensione ed elettricità come se qualcosa di terribile stesse per accadere.

Crilin si guardò intorno perplesso. Non capiva. Come ci era arrivato lui in quel posto? Al terrestre quel paesaggio era familiare ma, allo stesso tempo, gli pareva nuovo. Il vento gli scompigliava i suoi capelli neri che si agitavano, impazziti, in tutte le direzioni.

Il terrestre si guardò attorno, curioso di capire dove fosse finito, quando, ad un tratto, lo vide. I suoi occhi scuri si spalancarono dallo stupore.

Davanti a lui, sdraiato per terra, c'era un ragazzino. Doveva avere al massimo undici o dodici anni. Aveva una folta chioma bionda. La sua tunica viola era strappata e molte ferite spiccavano sul suo corpo minuto ma muscoloso. Tremava. Il ragazzino tremava e singhiozzava. La terra sotto di lui era bagnata dalle sue lacrime.

Davanti a lui c'era un uomo. Come il ragazzino anche lui aveva una folta chioma bionda. Indossava una tunica da combattimento arancione strappata in più punti. Il viso era stanco e provato dalla fatica. Un sorriso triste ma sereno gli illuminava il volto. Ma ciò che colpiva di più dell'uomo erano gli occhi: due splendidi occhi color acquamarina in cui si poteva leggerci dentro rassegnazione al proprio destino, orgoglio per il valore dimostrato dal figlio e pace. Una pace triste ma giusta. Una pace che si era scelto e di cui non si pentiva. Appena lo vide, Crilin cercò di toccarlo con una mano.

Goku...” mormorò con voce roca.

Il sayan, che fino a quel momento aveva osservato il figlio singhiozzante ai suoi piedi, distolse lo sguardo dirigendolo verso il terrestre. Appena lo vide, il sorriso stanco sul suo volto si accentuò.

Addio Crilin. Abbi cura di te.”

NO GOKU! NON MI LASCIARE! NON MI LASCIARE! IO HO BISOGNO DI TE!” l'urlo del piccolo guerriero risuonò nell'altopiano roccioso con violenza. Lacrime calde ricominciarono a scendergli dagli occhi, appannando così la sua visuale.

Davanti alla disperazione dell'amico, Goku non disse nulla. Senza smettere di sorridere, il sayan si portò due dita della mano destra alla fronte. Disperato, Crilin tentò di raggiungerlo in un ultimo tentativo di fermarlo, ma una voce lo bloccò.

Crilin...”

Sentendo quella voce, il terrestre si girò di scatto. C18 era dietro di lui. La bionda lo fissava con sguardo spento e triste. Vedere la cyborg fu per lui un colpo durissimo.

Juu...” mormorò con voce roca.

C18 lo guardò ancora una volta. L'umano si sentì perforare l'anima dagli occhi di lei. Lo sguardo azzurro dell'androide era incredibilmente triste. Poi, con un aggraziato movimento, la cyborg si girò e scomparve. Un dolore immenso risalì dalle profondità dell'animo dell'uomo a quella vista. Un dolore che lo vinse con una facilità disarmante. Preso dalla disperazione, e senza più un briciolo di forza in corpo, Crilin cadde in ginocchio.

Nel frattempo Gohan, vedendo il padre andarsene, alzò la testa. I suoi occhi azzurri erano ricolmi di un bruciante senso di colpa. Il dolore e la disperazione regnavano sovrani sul volto sporco di sangue, terra e lacrime del giovane sayan.

Papà...t-ti prego...” balbettò il giovane. “Non lasciarmi...ti supplico!”

Senza smettere di sorridere, Goku si chinò ed accarezzo una guancia del figlio. Nel fare questo, il super sayan scomparve. Appena sparì, Gohan urlò al mondo tutto il suo dolore.

PAPAAAAAAAA!!!!!”

Ma davanti al giovane super sayan non c'era più nulla. Solo un deserto rosso e crudele. Un luogo freddo ed ostile. Estraneo al concetto stesso di vita. Disperato, Gohan ricominciò a piangere.

Perché?!” urlò disperato verso il cielo azzurro e crudele. “Perché devo pagare così caro le mie colpe?! Ditemelo! PERCHE'??!!”

Crilin sentiva urlare il suo giovane amico. Ognuno di quegli urli disperati e straziati dal dolore erano una pugnalata al suo cuore. Gohan aveva delle colpe certo. Ma se lui avesse avuto più coraggio, il piccolo sayan non avrebbe avuto occasione di sbagliare. La colpa primordiale era sua. Tutto il resto, era solo una conseguenza di quel gesto folle ed assurdo.

 

PAPA'!!!! TI PREGO!!! TORNA! NON ABBANDONARMI! TI SCONGIURO!!! FARO' IL BRAVO BAMBINO! TI UBBIDIRO'! NON CADRO' PIU' NELL'ERRORE DI FARE L'ARROGANTE! MA TI SCONGIURO, RITORNA! IO NON POSSO VIVERE SENZA DI TE!!!”

 

Quanta disperazione c'era in quelle parole! Le promesse di un essere disperato. Le parole di uno che aveva perso tutto e che non aveva più nulla in mano.

 

PERCHE' PAPA'?! PERCHE?!!! PERCHE MI PUNISCI IN QUESTO MODO?! HO SBAGLIATO E' VERO. MA NON LO FARO' PIU'! TE LO PROMETTO! TORNA PAPA'! TORNA!”

 

Aveva distrutto intere famiglie solo per l'egoistico desiderio di costruirsene una sua. Era giusto? Era corretto? Meritava di vivere dopo tutto quello che aveva fatto e commesso?

 

Papà...” ormai Gohan non aveva più la forza di urlare. Disperato, il ragazzino si accasciò di nuovo al suolo scoppiando in un pianto furioso e privo di qualunque conforto. Con i singhiozzi disperati dell'amico che gli rimbombavano nel cervello, Crilin si accasciò al suolo, desideroso solamente di morire. Davanti a lui comparve un buio famelico che lo divorò con voracità. Disperato e privo di qualunque voglia di vivere, il piccolo guerriero accolse con gioia quell'oblio. E dopo, fu solo ombra.

 

Crilin si svegliò di soprassalto in un bagno di sudore. Il terrestre ci mise qualche istante a capire che, quello che stava osservando, era il soffitto della sua stanza. Con un sospiro esasperato, il piccolo guerriero ricadde sul cuscino.

Doveva essere ancora notte fonda. Il silenzio nella stanza era assoluto, rotto solamente dal respiro, calmo e regolare, della cyborg al suo fianco. Turbato, e per niente attratto dall'idea di tornare a dormire, Crilin cominciò ad accarezzarsi il mento fissando con occhio spento il soffitto.

La sensazione che durante il sogno aveva sentito non se l'era immaginata. Quel macigno c'era. Esisteva. Gli appesantiva il petto schiacciandolo contro il materasso. Il terrestre sospirò. Era stanco. Tanto stanco. Poteva un persona essere stanca della vita ad appena trentuno anni? Evidentemente sì.

In quel momento, l'occhio del piccolo guerriero cadde alla sua sinistra. Non appena vide la bionda dormire abbracciata a lui, parte di quel macigno si dissolse, lasciandolo più libero e lucido di mente.

C18 dormiva abbracciata al compagno. Era un'abitudine che la cyborg aveva adottato da quando aveva scoperto che, dormendo vicino all'umano, i suoi incubi sparivano. Il morboso attaccamento che l'androide aveva cominciato a manifestare nei confronti del piccolo guerriero aveva un che di maniacale.

Crilin osservò a lungo quel volto così vicino al suo. Il terrestre guardò ed osservò i lineamenti perfetti di colei che amava alla follia.

C18 aveva un viso particolare. La mascella e gli zigomi della bionda erano più accentuati rispetto ad un normale viso femminile. Questo le dava un'aria più torva eppure, al tempo stesso, incredibilmente sensuale.

Il corpo magro e nervoso coperto, in quel momento, solo da una camicia da notte nera, era schiacciato contro quello dell'uomo. Crilin ormai conosceva molto bene quel corpo di una bellezza ammaliante. La pancia, morbida e piatta, della cyborg, era uno spettacolo della natura. Le gambe, snelle, lisce e di una morbidezza inumana, avevano la capacità di stregare qualsiasi uomo. Il seno, nonostante non fosse molto abbondante, era perfetto. Il pallore della sua pelle, un candore comparabile soltanto a quello della neve, veniva esaltato dalla sua chioma bionda. Poche donne nel mondo potevano competere con C18 in fatto di bellezza.

Ovviamente ciò che affascinava di più Crilin erano gli occhi: zaffiri lucenti in cui lui aveva l'immenso privilegio di potersi perdere. Due pozzi gelidi in cui il piccolo guerriero desiderava ardentemente poterci affondare e non riemergerne mai più.

Ammaliato, come ogni volta, dalla bellezza che emanava l'androide, l'umano cominciò ad accarezzarle delicatamente il volto, stando ben attento a non svegliarla. La cyborg aveva dipinta sul volto un'espressione di pace che raramente Crilin le aveva visto. Gli faceva peccato svegliarla. In quel momento, C18 era in pace e sarebbe stato un sacrilegio, per lui, disturbarla.

Quant'è bella.” pensò scostandole dolcemente i capelli dal volto.

Vedere C18 l'aveva, in un primo momento, calmato. Tuttavia, più la guardava dormire abbracciata a lui, più sentiva quel macigno ritornare a pesargli. Crilin sospirò. Il terrestre ormai si era rassegnato a portare quel peso per il resto dei suoi giorni. Ma non era facile. No, non era facile dover sentire sulle proprie spalle la responsabilità di tutti quei morti. Morti che, in fondo, aveva ucciso lui. Cell poteva essere stato l'arma, ma chi gli aveva permesso di agire era stato soltanto lui.

 

PAPA'!!!! TI PREGO!!! TORNA! NON ABBANDONARMI! TI SCONGIURO!!!”

 

Le urla disperate di Gohan gli risuonavano violentemente nel cervello. Erano urla ricolme di un dolore così devastante da fare paura. La morte sarebbe stata una sorte preferibile in confronto.

 

FARO' IL BRAVO BAMBINO! TI UBBIDIRO'! NON CADRO' PIU' NELL'ERRORE DI FARE L'ARROGANTE! MA TI SCONGIURO, RITORNA! IO NON POSSO VIVERE SENZA DI TE!!!”

 

Crilin si mise le mani alle orecchie. Non ce la faceva più. Quelle urla lo perseguitavano ogni notte. Era stanco. Stanco di tutto. Odio, amore, rabbia, dolore, disperazione, sensi di colpa. Un misto di tutto questo gli si agitava nel petto. E da lì, questo veleno si diffondeva in tutto il suo corpo. Gli corrodeva le vene, gli fiaccava lo spirito, gli annebbiava la mente. Certe volte il piccolo guerriero aveva pensato al suicidio. In fondo, cosa ci voleva? Un ki-blast dritto al cuore e tutto sarebbe finito no? Avrebbe potuto pagare finalmente per tutti i suoi errori e sentirsi di nuovo in pace. Una pace che ormai da troppo tempo non riusciva più a trovare.

Sì, Crilin era stato tentato dal suicidio. Ma non poteva andarsene. Non ora. Non adesso che aveva due persone di cui occuparsi. C18 aveva bisogno di lui, e così anche suo figlio. Non poteva scappare in quel modo vergognoso davanti ai suoi doveri.

Aveva scelto una strada. E adesso doveva percorrerla fino in fondo. Non poteva tornare indietro. Non esistevano scorciatoie. Solo un'impervia salita in mezzo ad una fitta tenebra.

Ehi stupido.”

Una voce calda e morbida risuonò alla sua sinistra. Crilin si riscosse. Il terrestre era così immerso nei suoi pensieri che non si era accorto che C18 si era svegliata. La cyborg lo stava fissando con una certa insistenza in volto. Il suo viso era impenetrabile. Era impossibile, per il piccolo guerriero, capire a cosa stesse pensando l'androide in quel momento.

Ciao Juu.” fece con un sorriso stanco. Subito dopo, Crilin le diede un bacio sulla fronte.

Scusa se ti ho svegliata. Non volevo.”

C18 continuò ad osservarlo in silenzio. I suoi occhi azzurri erano puntati su quelli neri del terrestre. Beandosi di quel bellissimo viso, Crilin continuò ad accarezzarle con delicatezza il volto.

Cos'hai?”

Il piccolo guerriero sussultò. La domanda della cyborg l'aveva colpito. Era incredibile come l'androide avesse imparato a capirlo ma in fondo, conoscendola, era normale: C18 odiava non capire le cose. E visto che doveva vivere a stretto contatto con lui, la bionda aveva cominciato a studiarlo in maniera approfondita. Tuttavia, il fatto che lei avesse imparato a leggergli dentro il cuore e l'anima, lo turbava non poco.

Niente. Sto bene amore.” rispose con un sorriso falsissimo.

La reazione della cyborg a quella risposta non si fece attendere. Con un colpo di reni, C18 salì sopra il terrestre portando il suo volto ad un soffio da quello di lui.

Bugiardo.” sussurrò con un tono da mettere i brividi. I suoi occhi azzurri luccicavano di un bagliore metallico piuttosto inquietante. “Lo sai che odio le bugie nanerottolo.”

Juu io...” Crilin non pote aggiungere altro perché, ad un tratto, la bionda lo baciò interrompendo così, le sue inutili giustificazioni.

Fu un bacio lungo, passionale, travolgente. C18 gli strappò la maglietta cominciando, nello stesso istante, a scendere lentamente. La lingua dell'androide scorreva, calda e bagnata, sul collo e sulla clavicola del piccolo guerriero causando, in lui, una violenta eccitazione.

Crilin la lasciò fare. Tanto era inutile opporsi. C18 avrebbe ottenuto da lui lo stesso quello che voleva. E poi, in questo modo, evitava di pensare. In quel momento la sua mente si era rivoltata contro di lui e l'unica cosa che poteva fare per evitare la pazzia era lasciare che, a guidarlo, fosse il suo istinto.

Nel frattempo, la bionda era arrivata ai pettorali del compagno. La cyborg cominciò a baciargli un capezzolo con fare ossessivo facendo aumentare ancora di più l'eccitazione di lui. Il terrestre provò a staccarla per poterla baciare ma C18 conficcò i denti nella carne di lui. Quando Crilin guardò in basso e vide lo sguardo della compagna rabbrividì. In quel momento comprese che, per l'androide, anche fare l'amore era una questione d'orgoglio e per nessun motivo al mondo si sarebbe fatta comandare da lui. Era lei che comandava. Era lei che decideva. Lui non aveva alcun diritto. In quel momento, lui era un burattino nelle mani della bionda. Cosa che, visto lo stato in cui si trovava, gli andava più che bene.

Nel frattempo C18, vedendo l'arrendevolezza del compagno, riprese la sua attività. Succhiò e leccò con forza quel lembo di pelle causando un piacere sempre maggiore al terrestre. Ad un certo punto, notando i sospiri di piacere sempre più frequenti del compagno, C18 lo denudò totalmente risalendo con la bocca, nello stesso tempo, il suo corpo. Nello stesso istante Crilin, ormai totalmente abbandonato al suo istinto, cominciò a toccare, all'inizio piano, poi sempre con forza maggiore, l'androide. La bionda cominciò a mugolare di piacere. Ansimava, gemeva, tirava la testa all'indietro. Si aggrappava alla schiena del terrestre graffiandolo con forza sempre maggiore. Ad un tratto, senza rendersene conto, Crilin le fece raggiungere l'orgasmo. C18 tremò tutta dal piacere inarcando la schiena e lasciandosi sfuggire dalle labbra un flebile gemito. Presa dal piacere crescente, la cyborg si tolse la camicia rimanendo nuda davanti al compagno. Subito dopo, Crilin si avventò sul seno di lei, assaporandone con la lingua la morbidezza ed il sapore.

A quel punto C18, senza alcun preavviso, lo fece entrare dentro di lei. Un gemito roco uscì dalle labbra del piccolo guerriero a quel contatto. Vampate di calore partivano da quel punto diffondendosi, con forza crescente, in tutto il suo corpo. Gli annebbiavano la mente, gli facevano ribollire il sangue come magma incandescente, si mischiavano alla sensazione di prima portandolo a desiderare sempre di più che quel contatto non finisse mai. La cyborg intanto, mentre si muoveva con il bacino in maniera sempre più frenetica, cominciò a morderlo sul collo e sulle spalle. Le unghie di lei si conficcavano con forza nella sua schiena lasciandogli solchi profondi e insanguinati. A Crilin non dispiaceva quel dolore. Lo voleva. Lo desiderava. Sapeva di meritarselo anche in quei momenti così intimi. Era un modo come un altro per non dimenticarsi di tutto quello che aveva commesso per arrivare a quell'istante di puro piacere. Un modo sadico e perverso di pagare le sue colpe.

Il calore dentro di lui aumentava sempre di più. Presto sarebbe uscito. Rendendosene conto, la bionda lo morse con forza aprendogli un ennesimo solco insanguinato vicino alla clavicola.

Non osare!” gli ringhiò con tono duro. Il terrestre capì che avrebbe dovuto aspettare per liberarsi di quel calore.

Da quel momento in avanti ogni istante divenne lungo come un'eternità per l'umano. Il calore cresceva. Premeva per uscire. Ma lui non poteva. Doveva resistere anche se, ad ogni secondo che passava, diventava sempre più difficile. Dolore e piacere ormai si erano mescolati in maniera indissolubile, dominando totalmente la mente del piccolo guerriero.

Poi, ad un tratto, C18 cominciò ad ansimare con violenza. I movimenti della cyborg divennero frenetici ed irregolari. Infine, con un lungo sospiro di piacere, la bionda ebbe il suo secondo orgasmo.

Ora puoi.” disse, con la voce resa roca dal piacere, l'androide. Pochi istanti dopo, la cyborg sentì un immenso calore dentro di se. Con un sospiro, Crilin aveva raggiunto infine l'orgasmo. Quando gli ultimi residui di piacere scomparvero, il terrestre si sentì svuotato da ogni energia. Quell'amplesso improvviso l'aveva sfiancato in una maniera incredibile. I tagli, morsi e graffi che C18 gli aveva inflitto bruciavano come fuoco. Un bruciore che, lentamente, scemò fino a diventare un dolore sordo e pulsante.

Nel frattempo C18, dopo essersi ripresa dall'amplesso, scese dal petto del guerriero. Tuttavia, subito dopo, la bionda lo afferrò e lo abbracciò portandosi la testa di lui contro il suo seno.

Ma...cosa...”

Stai meglio adesso?” domandò con voce neutra l'androide. La domanda di lei lasciò Crilin a bocca aperta. L'aveva fatto per lui. La cyborg aveva capito subito che il suo compagno non stava bene. Che la sua mente gli si era rivoltata contro. E così, per cercare di aiutarlo a sfogarsi e a smaltire le tossine che gli avvelenavano l'anima ed il corpo, C18 l'aveva trascinato in un amplesso furioso e selvaggio. Quando comprese che cosa di preciso la sua Juu-chan aveva fatto per lui, il terrestre sentì una sensazione di profonda gratitudine per la persona che amava con tutto se stesso.

Sì...” mormorò con voce flebile.

Bene.” fece con voce dura e fredda la bionda. “Dormi ora.”

E Crilin, ubbidendo come fa un bambino con la sua mamma, chiuse gli occhi. Un sonno pacifico e profondo lo avvolse mentre, con fare dolce ma autoritario allo stesso tempo, C18 lo coccolava e lo accarezzava in silenzio.

 

Bulma era preoccupata.

Più i giorni passavano, più quella sensazione angosciante la tormentava. Se in un primo momento, il matrimonio tra Crilin e C18 era stato, per lei, una bellissima notizia, ora invece, era fonte di problemi molto gravi.

Come aveva fatto ad non accorgersene prima? E sì che lei era un'esperta in quel campo! Come aveva potuto illudere così il suo amico? E come poteva continuare a farlo?

Organizzare il matrimonio insieme a Crilin era, per la madre di Trunks, incredibilmente stressante. Oltre al fatto che il piccolo guerriero era più d'intralcio che d'aiuto, c'era anche quel problema che non aveva idea di come poter risolvere. Bulma si scervellò giorni e notti intere alla ricerca di una soluzione ma, con sua enorme stizza, non gliene venne in mente nessuna. Alla fine, non sapendo più dove sbattere la testa, la donna decise di interpellare suo padre.

Andò da lui una sera dopo cena. Dopo aver messo a letto il piccolo Trunks, impresa molto difficile tenendo conto che il bambino non aveva nessuna voglia di starsene fermo a dormire, la donna andò a trovare il padre nel suo laboratorio.

Il laboratorio del Dottor Brief era un grande locale male illuminato da qualche lampada al neon. Un'aria viziata, causata dalla passione per il fumo dell'uomo, aleggiava nella stanza. Il vecchio scienziato era seduto davanti ad un tavolo quadrato a leggere qualche appunto. La donna, entrando, non poté fare a meno di fermarsi ad osservarlo. L'uomo era così concentrato da non accorgersi dell'arrivo della figlia. Bulma lo guardò con affetto. Nonostante gli anni passassero anche per lui, all'azzurra sembrava che rimanesse sempre uguale. I baffi bianchi che gli davano un'aria così buffa. L'immancabile sigaretta accesa tra le labbra. La voce gentile ma resa roca dal fumo. Le delicate rughe che gli contornavano gli occhi e la bocca e che lo facevano assomigliare più ad un simpatico nonno che ad una delle più grandi menti scientifiche del pianeta. I capelli, ormai ingrigiti, gli nascondevano in parte gli occhi neri come il carbone. Occhi che, nonostante l'età e il passaggio dell'azienda alla figlia, erano più vivi che mai.

Il padre di Bulma aveva da tempo smesso di occuparsi dell'azienda di famiglia. Lo scienziato si era reso conto di far sempre più fatica a tenere il passo con la concorrenza nel campo delle tecnologie. Così, per evitare danni alla Capsule Corporation, l'uomo aveva deciso di ritirarsi lasciando tutto nelle mani della figlia. Quest'ultima era riuscita benissimo nell'impresa di mantenere l'azienda ai vertici del mercato mondiale. Si era anche costruita un proprio laboratorio, più piccolo, in un altra ala della casa di famiglia, lasciando, in questo modo, al padre il vecchio. Il Dottor Brief, infatti, nonostante l'età, continuava a passare la maggior parte del suo tempo a progettare anche se, ormai, lo considerava più un hobby che un lavoro.

Bulma, cosa fai ferma sulla soglia? Entra dai!”

Bulma sussultò. Non credeva che il padre si fosse accorto di lei.

Ciao papà.” fece con voce dolce la donna. Amava molto suo padre. La mente della donna tornò indietro nel tempo. Ricordi, immagini e sensazioni di quando era solamente una bambina capricciosa e dispotica che giocava con il padre la invasero. La scienziata si ricordava ancora di quando suo padre la portava al parco giochi oppure alle fiere che si tenevano in città, sacrificando, in questo modo, tempo al lavoro e ai guadagni. Il dottor Brief era riuscito nell'incredibile impresa di conciliare la famiglia con un lavoro di successo. Un impresa che, agli occhi dell'azzurra, valeva più di tutte quelle compiute da Goku e da Vegeta.

Allora tesoro, a quale onore devo questa visita?” chiese il vecchio scienziato. Nello stesso istante, il suo inseparabile compagno, un gattino nero aggrappato alla sua spalla destra, puntò i suoi grandi occhi sul volto di Bulma emettendo un debole miagolio.

Ti devo domandare una cosa.” con un gesto deciso, Bulma aprì, davanti agli occhi del padre, un progetto. Il foglio era piuttosto logoro e macchiato ma il contenuto era ancora perfettamente leggibile.

Te lo ricordi?”

Il Dottor Brief appoggiò il progetto sul tavolo sotto il riflettore della luce. Cominciò a studiarlo sfiorando, nello stesso istante, la carta con le sue dita callose. Dopo un paio di minuti passati a borbottare tra se e se lo scienziato rispose alla figlia.

Non è un progetto del Dottor Gero?”

Bulma sorrise.

Esattamente.” rispose la donna. “Adesso devo farti una domanda ma prima seguimi nel mio ragionamento papà.”

Ti ascolto cara.” fece con voce tranquilla il padre. Il fumo della sua sigaretta si alzava in contorte spirali che davano alla sua faccia un'aria inquietante.

Dunque! Questo è il progetto per la creazione di un cyborg a base umana giusto?”

Giustissimo tesoro.” rispose con voce leggermente annoiata lo scienziato.

Ma che cosa rende questo androide diverso da un essere umano?” non era una domanda. Bulma stava solamente cercando di spiegare al padre dove voleva andare a parare. Mentre si sistemava una ciocca azzurra di capelli, la donna proseguì.

La risposta, come ben sai papà, è semplice: il sistema nervoso. Il cyborg possiede un sistema nervoso totalmente artificiale. E con sistema nervoso, ovviamente, non intendo solo il cervello, ma anche i nervi, il tronco cerebrale, il midollo spinale. Tutto quello, insomma, che si intende comunemente con il termine sistema nervoso. Mi segui?”

Sì.”

Tuttavia, come forse noterai anche tu, questo fatto ci porta ad una domanda piuttosto scabrosa: da dove la prende la sua energia per funzionare questo sistema nervoso artificiale?”

La domanda della donna cadde nel silenzio. Il Dottor Brief aspettava, paziente, che la figlia continuasse il suo discorso. Davanti al silenzio del padre, Bulma riprese a parlare.

Credo che tu sappia anche in questo caso la risposta papà. Tuttavia, penso sia indispensabile approfondire questo concetto. Il nostro corpo, il corpo di tutti gli esseri viventi, ha bisogno di energia per funzionare, per poter vivere. E quest'energia noi la ricaviamo grazie all'alimentazione e a speciale reazioni chimiche che avvengono all'interno delle nostre cellule. Sbaglio per caso?”

Non avrei saputo spiegare meglio il concetto.” dichiarò il padre continuando ad osservare la figlia da seduto. Davanti al complimento del padre, Bulma sorrise. Tuttavia, subito dopo, il sorriso sparì dalle labbra della scienziata lasciando il posto ad un'espressione corrucciata.

Fin qui, nessun dubbio. Sono tutte cose elementari da conoscere. Cose che sono l'ossatura della biologia e della chimica organica. Ma per i cyborg la faccenda è diversa. Indubbiamente la parte che è rimasta umana di loro rispetta queste regole. Ma la loro parte meccanica? La loro parte artificiale? Da dove la prende l'energia per funzionare?” la donna fissava il progetto con ferocia, quasi che gli stesse facendo uno sgarbo. Quando riprese a parlare, Bulma batté un pugno sul tavolo per dare enfasi al proprio discorso.

Tutte le macchine, anche le più sofisticate ed ecologiche, hanno bisogno di energia. Questa è una cosa che noi, per quanto possiamo studiare e sviluppare la tecnologia, non possiamo cambiare. Quindi, per tornare alla mia domanda di partenza, che cosa fa funzionare questo sistema nervoso?” l'azzurra spostò i suoi occhi blu dai fogli del progetto al viso del padre. “Mi piacerebbe avere il tuo parere.”

Con un sospiro, il vecchio Brief si alzò dalla sua sedia andando vicino alla figlia. Da lì, l'anziano scienziato osservò il progetto per circa un minuto. Poi, la sua voce roca e gentile risuonò all'interno del laboratorio.

Mi pare ovvio tesoro: la fonte è il loro generatore di energia.”

Bulma sorrise.

Giusto! E sapresti indicarmi dove si trova?”

Come mai tutte queste domande a quest'ora? Da quando sei diventata un'appassionata di cyborg?”

Papà! Rispondi! Non è da te fare domande di questo genere!”

Sospirando, e chiedendosi cosa accidenti passasse nella testa della figlia, il Dottor Brief studiò il progetto che aveva davanti a se. I suoi occhi neri scorrevano veloci avanti ed indietro mentre leggeva dati, cifre e numeri scritti dal Dottor Gero. Alla fine, il padre della donna, rispose indicando un punto vicino alla testa del disegno fatto sul progetto.

Beh, come puoi notare, qui c'è una parte del generatore. Proprio di fianco al cervelletto . Credo di non sbagliare quando affermo che abbia il compito di accumulare energia sfruttando la corrente che si crea con gli impulsi nervosi che il cervello dell'androide riceve o invia.”

Giusto papà. E dove si trova l'altra parte?”

L'uomo sorrise alla figlia. Subito dopo, indico un punto vicino al cuore della figura disegnata.

Sono quasi sicuro che si trovi qui. Vicino al cuore. Riceve l'energia creata dall'altra metà e la invia in tutto il corpo. Questo permette al cyborg di disporre di poteri incredibili quali una forza sovrumana, la capacità di levitare, dei sensi incredibilmente più sviluppati come udito od olfatto, un agilità ed una velocità vietate ai comuni esseri umani ed, infine, la possibilità di creare condensazioni di energia al di fuori del corpo e di usarla a proprio piacimento, in una parola: i ki-blast.”

Davanti alla risposta del padre, Bulma non reagì in nessun modo. La donna fissava con aria impassibile il progetto. Sembrava fosse diventata una statua di sale.

E adesso papà, voglio farti un'ultima domanda.” fece con voce roca l'azzurra.

Il padre la fissò incuriosito. Non era da Bulma tutta quella serietà mista a tristezza. Tuttavia, la domanda che le pose la figlia non gli permise di riflettere sullo strano comportamento di quest'ultima.

Se il generatore venisse disattivato, se venisse tolto o distrutto, cosa accadrebbe all'androide?”

Il Dottor Brief lanciò un'occhiata strana alla figlia ma, con somma sorpresa di quest'ultima, non disse nulla. Si limitò a rispondere alla domanda con voce monocorde.

Se il generatore venisse distrutto o disattivato, il sistema nervoso dell'androide smetterebbe di funzionare dato che non avrebbe più l'energia necessaria per svolgere le sue funzioni. In questo modo il cyborg smetterebbe di vivere poiché il sistema che governa il suo corpo si disattiverebbe. A quel punto, l'androide diventerebbe solamente un rottame da buttar via.”

Bulma ascoltò la risposta del padre impassibile. Quando quest'ultimo finì di parlare, la donna esplose.

Cazzo!” urlò sbattendo con forza i pugni sul tavolo. Il vecchio Brief osservò impassibile la reazione della figlia.

Ho risposto alle tue domande tesoro?”

Solo un'altra.” fece Bulma con voce stanca.

Ma certo cara.”

Con un sospiro, la scienziata chiese al padre la domanda con cui, per intere notti, si era scervellata invano.

Dimmi la verità papà. Il generatore ad energia infinita rende i cyborg immortali?”

Il padre si grattò pensieroso il mento mentre cercava le parole giuste con cui rispondere alla domanda della figlia.

Beh...credo proprio di sì. L'energia che il generatore crea alimenta tutte le funzioni del corpo dell'androide. Anche quelle che, in teoria, potrebbero svolgersi da sole come, per esempio, l'alimentazione. E per questo che non hanno bisogno né di mangiare né di bere. Inoltre, il flusso di energia costante permette un continuo rigenerarsi delle cellule staminali ed una produzione degli ormoni continua. In questo modo, un cyborg femmina può continuare a rimanere eternamente fertile oltre a mantenere un livello di età ormonale costante.”

La risposta del padre lasciò la figlia di sasso. L'azzurra fissava, senza in realtà vederlo, il progetto davanti a se mentre il padre concluse il suo discorso.

Comunque, se ci pensi, è anche abbastanza logico che i cyborg a base umana siano immortali. Nonostante possano pensare di loro iniziativa e provare emozioni esattamente come noi umani, essi non lo sono. In linea teorica, essi dovrebbero essere delle macchine. Senza pensieri o emozioni. E si sa, che le macchine non hanno età. Possono rompersi, rovinarsi o essere distrutte. Ma se niente di tutto questo le colpirà, esse continueranno ad esistere in eterno.”

Già.” dichiarò la donna con voce tombale. “Suona come una maledizione ed una benedizione allo stesso tempo.”

Bulma. Essere immortali non è bello come molti pensano. Essere immortali significa sottrarsi al volere della più grande forza che esiste nell'universo: il tempo. E questo ti punisce. Forse all'inizio non sentirai la sua mancanza. Ma prima o poi ti affezionerai a qualcuno e non potrai, nonostante tutto, vivere veramente felice con quella persona. Perché avrai sempre la consapevolezza che un giorno quella persona morirà e tu non potrai raggiungerla per stare con lei per sempre. Io sono vecchio. La mia vita è alle mie spalle. Ormai devo scrivere solo le ultime pagine del libro della mia vita. Eppure non sono triste perché so' che, un giorno, potrò rivedere te e tua madre. La morte non è così brutta come tutti la dipingono. Certe volte, mi viene da pensare a lei come ad un'amica di cui attendo con ansia la visita.”

Bulma guardò suo padre stupita. Non avrebbe mai pensato che il suo adorato papà pensasse di già alla morte. Il solo pensiero di perderlo la riempì di una tristezza immensa. All'improvviso, presa da un impulso improvviso, l'azzurra l'abbracciò.

Tu non morirai.” gli sussurrò all'orecchio. Le sue narici erano piene dell'odore di suo padre. Un odore di fumo misto a crema da barba. Un odore che aveva imparato ad amare fin da quando era bambina.

Il Dottor Brief sorrise. Ricambiò l'abbraccio della figlia dandole, contemporaneamente, un bacio sulla guancia.

Prima o poi accadrà.” le sussurrò all'orecchio. “Ma, come ti ho già detto, un giorno ci rivedremo.”

Bulma strinse con più forza suo padre. Era vero. Quello che il vecchio Brief aveva detto era vero. La morte non era così terribile come sembrava. Un giorno avrebbe rivisto tutte le persone a lei care che il tempo le avrebbe portato via.

Ma Crilin, il suo caro amico, non avrebbe potuto giovarsi dello stesso privilegio. Quando sarebbe morto, avrebbe perso per sempre una persona. La più cara.

Devo dirglielo.” pensò la donna con tristezza. “Ho sbagliato ad illuderlo.”

E con questi pensieri, la donna si lasciò coccolare dal padre come quando era una bambina. Una bambina dispotica ed arrogante. Una bambina che non concepiva il concetto della morte. Una bambina che credeva che, le persone a cui voleva bene, sarebbero vissute per sempre insieme a lei.

Non poteva sapere però che un giorno avrebbe ringraziato il fatto che le persone fossero mortali.

Dannazione Crilin!” pensò stizzita. “In che razza di guaio ti sei andato a cacciare?”

 

CONTINUA

 

Salve a tutti! Perdonate il ritardo ma, come avevo già spiegato, il mio tempo libero si assottiglia sempre di più con l'avvicinarsi della maturità (quanto la sto odiando...)

Dunque, da cosa comincio? Alla fine, come Nami San aveva ipotizzato, è il generatore di energia infinita a preoccupare Bulma. L'immortalità dell'androide è certamente un problema spinoso che questa coppia ha dovuto affrontare. L'idea mi è venuta qualche tempo fa rivedendo la puntata del GT in cui C17 fa fuori Crilin. In quel momento, vedendo la differenza d'età tra l'umano e C18, ho pensato: come avranno fatto a superare questo problema? Ritengo sia una cosa che hanno affrontato all'inizio della loro vita insieme. Anche perché non penso che non sapessero dell'immortalità di C18.

Volete sapere come reagiranno al problema e quale soluzione prenderanno? Sulla reazione di Crilin ho già le idee chiare. Mentre su C18 e sulla soluzione ho l'idea ma devo svilupparla bene. Cercate di portare pazienza! Nonostante tutto, mi sto impegnando per rendere questa storia decente.

Passiamo ad analizzare e spiegare la storia: la prima parte descrive, come avete potuto leggere, gli incubi di Crilin. Visto che nel capitolo scorso è toccato a C18 sorbirseli, ho pensato che, per par condicio, ora toccasse al tappetto (della serie, un incubo a ciascuno, non fa male a nessuno xD).

Sull'amplesso lo so: sono stato un po' troppo descrittivo (perdonatemi xD) ma, avendo il rating arancione a disposizione, ho voluto provare ad essere...un po' più “spinto” nel descrivere i loro momenti intimi. Comunque, se la cosa vi può consolare, nei prossimi capitoli non ci saranno scene “hot” (se possiamo definirle così) visto anche l'avanzare della gravidanza della bionda.

Se qualcuno l'ha notato ho detto che Crilin ha trentuno anni. Tutto questo deriva da un piccolo calcolo: mi sono informato e ho saputo che quando Crilin partecipa al Cell-Game ha esattamente trent'anni. Visto che è passato un anno e mezzo abbondante, e che non sappiamo quando il nanerottolo compie gli anni, ho voluto approssimare per difetto.

Nella seconda parte, invece, oltre a “svelare” l'ansia di Bulma, ho voluto descrivere anche il suo rapporto con il padre. Un rapporto ignorato dai più. Penso che Bulma fosse molto legata al padre visto che, oltre ad essere una persona molto simpatica e gentile, il vecchio Dottor Brief è stato colui che le ha insegnato tutto quello che c'è da sapere sulle tecnologie. Se l'azzurra è una delle più grandi menti scientifiche del mondo, lo deve soprattutto al padre.

C'è altro da aggiungere? No, non penso. Ho detto tutto. Spero che il capitolo vi possa piacere! Attendo, come sempre, con ansia i vostri commenti e giudizi!

Un saluto!

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Capitolo 18
*** Codardo ***


Capitolo 18

Il mare si infrangeva con calma sulla piccola spiaggia dell'isola. Il rumore dello sciabordio delle onde era un suono adatto per addormentarsi lentamente in pace. Il canto dei grilli di sottofondo completava lo scenario di una notte splendida. Una delle ultime prima del freddo inverno.
Crilin era in piedi sulla spiaggia. Il terrestre fissava con occhio spento la porta davanti a se. Dentro di se, il piccolo guerriero, sentì di odiare quella tranquillità, quella pace così profonda. Perché il mondo sembrava così tranquillo e pacifico? Perché le rocce non piangevano e il mare non si tingeva di rosso? Fosse stato per lui, in quel momento, avrebbe preferito che la Terra esplodesse. Almeno tutti avrebbero provato quello che sentiva dentro l'anima.
Con la mano destra, l'umano si toccò una guancia. I suoi polpastrelli toccarono sottili rigature salate. Resti di un pianto furioso e disperato.
“Sono uno stupido.” pensò con amarezza. “C18 ha sempre avuto ragione nel darmi dell'idiota. Del resto, chi avrebbe commesso la marea di cazzate che ho fatto io in quest'ultimo anno?” Crilin si sentiva svuotato di tutto. Anche il sentimento d'amore per la cyborg sembrava essere sparito. Ormai non riusciva neanche a pensare il nome che le aveva regalato, figuriamoci a pronunciarlo!
Eppure era stato così strano, così irreale quello che aveva vissuto in quelle ultime ore. Intimamente, il terrestre sperava che tutto quello fosse solamente un incubo. Che tutto ciò che stesse provando fosse solamente un sogno terribile come tanti altri che aveva fatto ultimamente.
“Adesso mi sveglio.” pensò con disperazione. “Mi sveglio e tutto andrà bene...niente di tutto questo è mai accaduto.”
Purtroppo per lui, tutto quello che aveva vissuto in quelle ore era tutto vero. Tutto maledettamente vero.
 

 

Crilin atterrò sul morbido prato, illuminato dalla luce del sole morente, della Capsule Corporation con calma. Il terrestre era pensieroso. Da circa due giorni Bulma non si era fatta più vedere. Il piccolo guerriero non l'aveva cercata, convinta che il lavoro dell'azienda di famiglia le avesse impedito di aiutarlo nei preparativi del matrimonio. Così, quando la scienziata l'aveva chiamato per chiedergli di passare da lei al tramonto di quello stesso giorno, l'umano era rimasto parecchio perplesso. Anche se, l'esperienza, gli suggeriva che, da Bulma, ci si bisognava aspettare questo e altro.

Con un sospiro, Crilin si avvicinò alla porta della casa dell'azzurra. Il rumore prodotto dai suoi stivali veniva attutito dal morbido tappeto d'erba che si stendeva ai suoi piedi. Frutto delle fatiche della madre della scienziata.

Quando arrivò alla porta, Crilin bussò con forza sapendo che, a causa dell'immensità di quella costruzione, il rumore si sarebbe sentito appena in tutto l'edificio.

Dopo circa un minuto di attesa, la porta si aprì. Ad aprire era stata la madre di Bulma. La signora Brief, sorridente come sempre e con l'aria di una persona distratta e svagata, accolse il piccolo guerriero con il suo solito fare cortese.

Ah, sei tu Crilin! Che piacere vederti caro!”

Giorno signora Brief.” fece il terrestre leggermente imbarazzato. Il piccolo guerriero si sentiva sempre a disagio davanti alla madre dell'amica. Non sapeva mai come comportarsi con lei né come rispondere alle sue continue insinuazioni piccanti.

Che cosa ti porta qui da noi, tesoro?”

Beh...ecco...dovrei parlare con Bulma. Ovviamente se ha tempo.”

Bulma? Sì, dovrebbe essere libera. Mi pareva che fosse in cucina. Quella ragazza! Lavora troppo secondo me e così facendo trascura suo marito. Io, se fossi in lei, non lo tratterei così male. Se Vegeta la lasciasse sarebbe un enorme spreco. Non capita mica tutti i giorni di sposarsi un fusto così!”

Capisco Signora Brief, ma sa, devo proprio parlare in modo urgente con sua figlia!”esclamò il terrestre cercando, in questo modo, di porre fine al monologo di Bunny Brief su quanto fosse affascinante il principe dei sayan.

Una volta liberatosi della madre, Crilin cercò la figlia. Il piccolo guerriero si diresse con fare sicuro in cucina dove vide, con sua grande sorpresa, Bulma alle prese con suo figlio.

La scienziata stava cercando, senza molto successo, di far mangiare il figlio di Vegeta. Il piccolo Trunks cercava in tutti i modi di evitare il cucchiaio, pieno di pappa, che la madre gli porgeva. Tuttavia, nonostante il piccolo sayan si mostrasse cocciuto e testardo come il padre, alla fine era sempre Bulma ad averla vinta. Con fare soddisfatto, la donna osservava suo figlio arrendersi ed ingoiare la sostanza giallognola che aveva il compito di fungergli da cena. Tuttavia, Trunks, non si arrendeva e riprovava la volta dopo ad evitare di mangiare la sua pappa che, dentro di se, il bambino trovava disgustosa.

Crilin osservò il piccolo scorcio famigliare appoggiato allo stipite della porta della cucina. Dentro di se, il terrestre, era piacevolmente sorpreso dal comportamento dell'amica. Abituato a vederla sempre in occasioni di lavoro o in piacevoli rimpatriate, dove Bulma mostrava apertamente il suo pessimo carattere, vederla così dolce, gentile e paziente con suo figlio fu una piacevole sorpresa.

Immediatamente, la mente del piccolo guerriero andò a C18. Vedendo quanto era cambiata la sua amica diventando madre, Crilin non poté fare a meno di chiedersi se anche la cyborg si sarebbe ulteriormente addolcita quando il loro bambino sarebbe nato.

Ne dubito.” pensò con un sorriso. “Sarà un miracolo se non lo strozzerà quando si metterà ad urlare e piangere la notte o quando farà i capricci.”

La scienziata si accorse dell'arrivo del piccolo guerriero solamente dopo aver finito di dar da mangiare a suo figlio. Nel vedere il terrestre, il volto dell'azzurra, che fino a quel momento era stato rilassato, parve contrarsi. Sulla fronte liscia della scienziata andò a formarsi una sottile ruga mentre le sue labbra carnose diventarono una linea sottile.

Ciao Crilin. Come mai da queste parti?”

Mah...veramente mi hai chiesto tu di venire.”

Davvero?” mormorò pensierosa Bulma. Per circa un minuto la donna si immerse profondamente nei suoi pensieri. Poi, ad un tratto, il suo viso si illuminò.

Già! È vero! Scusami ma questo è un periodo molto intenso per me.”

Crilin sorrise. Un sorriso piccolo ma sincero. Un sorriso che, per la donna, valeva più di mille parole.

Ti dispiace se vado un attimo a mettere giù Trunks? Non sembra, ma pesa un accidente!”

Certo, vai pure.”

Bulma annuì. La scienziata superò l'amico cercando di radunare tutto il coraggio che aveva in corpo. Quello di mettere a dormire il bambino era solo una scusa per guadagnare tempo. Un modo per cercare la forza per dire ad uno dei suoi migliori amici che, la sua storia d'amore, era senza speranza.

 

Quando l'azzurra ritornò, vide Crilin seduto davanti al tavolo che c'era all'interno della stanza. Il terrestre sembrava profondamente immerso nei suoi pensieri. Con un movimento aggraziato, la scienziata andò a sedersi di fronte a lui.

Notando che il piccolo guerriero non sembrava essersi accorto della sua presenza, Bulma iniziò ad osservarlo. Solo in quel momento la donna si accorse di quanto fosse cambiato esteriormente in quell'ultimo anno. I suoi occhi azzurri si soffermarono sui lineamenti marcati di lui. Il volto del terrestre era illuminato dai raggi rosso scuro che entravano dalla finestra della stanza. La luce dell'astro morente creava un gioco di ombre sul viso del piccolo guerriero, dandogli, in questo modo, un'aria leggermente sciupata. Tuttavia, l'effetto non era sgradevole.

Com'è strano.” pensò l'azzurra. “Non sembra neanche lui.”

In quell'istante, Crilin uscì dal torpore in cui era caduto. Con un leggero sobbalzo, il terrestre si riscosse e diresse la sua attenzione verso la scienziata.

Scusa. Era un po' sovrappensiero.”

Bulma sorrise. Un piccolo sorriso divertito che mise in leggero imbarazzo l'amico.

A cosa stavi pensando?”

Gli occhi scuri di Crilin si diresse verso la finestra. Da lì, l'umano poteva osservare il caotico traffico di fine giornata che attanagliava la Città dell'Ovest.

Pensavo a tutte le volte che sono venuto in questa casa.” mormorò con voce triste. Davanti a quella risposta Bulma tornò ad osservarlo. L'espressione triste e pensierosa che l'amico aveva la preoccupò. Non era da Crilin avere quell'espressione. Era cambiato tanto, forse troppo da quando il torneo di Cell era finito.

La donna sospirò. L'amico non sembrava dell'umore giusto per ricevere quella notizia, ma forse il momento giusto non sarebbe mai arrivato. Ragion per cui, radunando tutta la determinazione che aveva, Bulma cominciò a parlare.

Crilin...devo parlarti.”

Il terrestre, sentendo il tono dell'amica, la osservò perplesso.

C'è qualche problema?”

Bulma non rispose subito. La donna si alzò e andò ad osservare la vita della città dalla finestra della stanza.

Stavo pensando ad una cosa.” mormorò con tono preoccupato.

Crilin si alzò e si avvicinò a lei. Una volta vicino a lei, il piccolo guerriero, con un leggero sorriso in volto, le prese una mano e la strinse con dolcezza.

A cosa?” dichiarò con voce dolce.

Bulma continuò ad osservare fuori dalla finestra. L'espressione del viso della donna era indecifrabile: sembrava pensierosa ma, allo stesso tempo, molto preoccupata. Quando alla fine parlò, le sue parole raggelarono il terrestre.

Stavo pensando che, forse, questo matrimonio non sarebbe il caso di farlo.”

Crilin rimase perplesso. Mentre la sua temperatura interna precipitava di botto, il piccolo guerriero cercò di mantenere la calma e la lucidità necessaria. Il suo primo istinto fu quello di urlarle addosso che si sbagliava e che era una stupida. Tuttavia, forse non sarebbe stata la cosa migliore da fare. L'azzurra non era una stupida. Se diceva così, significava che c'era sotto qualcosa.

Cercando di mantenere la calma, l'uomo chiuse gli occhi e cercò di controllare le proprie emozioni. Poi, quando fu sicuro di poter ragionare in maniera lucida, parlò.

Perché dici così?”

Bulma si girò a guardarlo. Lentamente, e senza mai lasciare la mano dell'amico, la donna si abbassò fino a poterlo guardare negli occhi. Quando rispose alla sua domanda, l'azzurra lo fece con voce dolce, troppo dolce per non far aumentare la preoccupazione del piccolo guerriero.

Tu sai cosa è di preciso 18, vero?”

Crilin fissò l'amica con uno sguardo perplesso. Non capiva. Non riusciva a capire cosa volesse intendere con quella frase la scienziata. Cosa voleva dire con quella domanda? Possibile che la considerasse ancora un robot freddo e spietato? Possibile che dubitasse ancora di lei?

Certo che lo so!” ribatté con voce dura. “E' una donna. La mia donna!”

Sentendo quelle parole, l'azzurra cominciò a perdere la pazienza. Prese per il colletto della maglia il terrestre e cominciò a scuoterlo con forza.

Crilin! Smettila di illuderti! Smettila di negare l'evidenza! 18 sarà pure in grado di provare sentimenti e sensazioni, ma tu non puoi negare il fatto che lei sia immortale!”

L'ultima parola che uscì dalle labbra di Bulma ebbe, su Crilin, l'effetto di un pugno allo stomaco. Il terrestre spalancò gli occhi mentre, dentro di lui, una sensazione fredda come il ghiaccio cominciò ad invaderlo con la violenza di una valanga.

C-cosa hai detto? L-l-lei s-sarebbe c-c-cosa?” balbettò confuso e spaventato allo stesso tempo.

Non può essere!” pensò contemporaneamente. “Deve esserci un errore, un equivoco. Un...un qualcosa! Lei non può essere immortale. Lei...lei è...lei è una donna...una...” i suoi aggrovigliati pensieri furono interrotti dalla voce della scienziata.

Sì, lei è immortale.” dichiarò con voce calma e monocorde. Improvvisamente, per la scienziata, parlare era diventato incredibilmente facile. “Non ci sono dubbi su questo.”

Ti sbagli!” esclamò il piccolo guerriero con voce carica di rabbia. La sua mente si rifiutava di accettare quel fatto con tutte le eventuali conseguenze. “Lei è una donna maledizione! Una donna!”

Davanti a quella reazione, Bulma perse del tutto la pazienza. Con uno scatto impulsivo, la donna schiaffeggiò l'amico con forza.

E allora continua pure ad illuderti! Ma vedremo se, tra qualche anno, continuerai a considerarla una donna! Lei è un cyborg, Crilin! Un cyborg! Dentro il suo corpo esiste un generatore ad energia infinita che la rende attiva e le permettere di vivere. Ma quel generatore permette anche al suo corpo di non deteriorarsi con il passare del tempo, rendendola eternamente giovane.”

Davanti a quella spiegazione, Crilin rimase impassibile. L'espressione del suo viso era indecifrabile. Solo i suoi occhi scuri tradivano le violente emozioni che, in quel momento, lo stavano distruggendo. Ad un tratto, il piccolo guerriero serrò i pugni con tanta forza da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani. Sangue rosso cominciò a gocciolargli dalle nocche mentre il suo corpo era scosso da brividi di rabbia sempre più violenti.

Vedendo l'amico sconvolto, la donna si calmò. Dentro di se si maledì per essere stata così impulsiva. Avrebbe dovuto metterlo al corrente di tutto con più tatto. Ma forse, era stato meglio così.

Crilin...” l'azzurra provò a mettergli una mano sulla spalla, ma lui, con uno scatto improvviso, cominciò a correre fuori dall'abitazione.

CRILIN! MALEDIZIONE ASPETTA!” urlò con forza Bulma.

Ma Crilin non la poteva più sentire. Il terrestre corse via dalla Capsule Corporation. Lasciando, dietro di se, una scia argentata.

 

Correva. Correva disperato per le vie della città. Non gli interessava dove stesse andando. Non gli interessava gli sguardi curiosi dei passanti. Tutto quello che gli interessava, al terrestre, erano le parole di Bulma. Gli rimbombavano nel cervello con una violenza inaudita.

 

Lei è immortale.

 

Sentiva le lacrime scorrergli sulle guance. I suoi passi diventavano sempre più frenetici e disperati con il passare del tempo.

 

Lei non morirà. Non morirà mai. Vivrà in eterno.

 

Perché? Perché quel dolore a lui? Perché il destino l'aveva illuso per poi mostrargli, in tutta la sua agghiacciante crudeltà, come stavano le cose? Perché non ci aveva pensato prima?

 

Sei uno stupido. Un idiota. Un cretino. Ti sei illuso, ti sei sforzato tanto e per cosa? Per niente. Tu morirai. E quando questo accadrà, lei ti dimenticherà e si sceglierà un nuovo compagno. Di te non resterà nulla, neanche il ricordo.

 

Quelle parole gli avvelenavano il cervello con una potenza incredibile. La sua mente si stava rivoltando contro di lui.

 

Il suo odore, il sapore della sua pelle, il suo sguardo, il suono della sua voce, la morbidezza delle sue labbra, l'affetto che le sue braccia gli avevano regalato.

 

Crilin non riusciva a credere che, tutto questo, quando sarebbe arrivata la sua ora, sarebbe scomparso, finito. Si rifiutava di accettarlo, di arrendersi all'evidenza. Al fatto che, lei, per quanto simile ad una donna fosse, non lo era. Lei era una macchina. Una splendida, bellissima macchina ma, come tutte le macchine, immortale ed eterna.

Non voglio perderla.” pensò con disperazione mentre continuava a correre a casaccio per le vie della metropoli. “Non posso perderla! Senza di lei non posso più vivere! Io ho bisogno di lei! Ne ho un disperato bisogno!”

il rumore delle macchine si affievolì, fino a cessare del tutto. Ora era solo. Correva in strane vie da solo. Una terribile solitudine cominciò a pesargli nel petto. Una solitudine che, un giorno, lo avrebbe sopraffatto definitivamente.

 

Silenzio. C'era silenzio. Un silenzio immenso e profondo. Un silenzio che gli opprimeva la mente e il cuore.

Crilin era seduto in una panchina di un parco pubblico. La stessa dove, qualche settimana prima, Goku l'aveva spronato a non arrendersi alla disperazione. Tuttavia, in quel momento, neanche il sayan avrebbe potuto aiutarlo. Doveva fare una scelta. Una terribile scelta. In quel momento però, il piccolo guerriero, non aveva né il coraggio, né la forza per farla.

Il terrestre teneva il volto rivolto verso il basso. Le spalle curve, le braccia appoggiate sulle cosce. I capelli neri gli nascondevano il volto e gli occhi chiusi ermeticamente.

Passarono cinque minuti, poi dieci, un quarto d'ora. La sera scivolò dolcemente, il buio si infittì, le stelle cominciarono a spuntare nella volta celeste. La loro fredda luce iniziò ad illuminare debolmente il terreno.

Ad un tratto, l'orologio di una torre vicina al parco, batté le undici. Il silenzio nel parco era assoluto, rotto solamente dai rumori serali della città. Tuttavia, a poco a poco, questi rumori scemarono, fino a cessare del tutto.

Fu solamente quando l'orologio segnò mezzanotte che Crilin si mosse. Il terrestre si alzò lentamente, facendo una smorfia nel sentire i muscoli della schiena e delle spalle indolenziti. I suoi occhi neri vagarono freddi attorno a lui, osservando con distacco la natura civilizzata che lo circondava.

In quel momento, spinto da un impulso improvviso, l'umano si alzò di scatto volgendo, contemporaneamente, il volto, stranamente inespressivo, verso l'alto.

Rimase per qualche minuto immobile, inespressivo. Poi, ad un tratto, un leggero venticello si alzò. Portando, alle sue orecchie, parole terribili e crudeli.

Lei è immortale...non morirà mai...”

Sentendo quelle parole, quelle flebili, devastanti parole. Crilin, infine, reagì.

Maledizione...” sibilò con voce inespressiva.

Maledizione!” la sua voce aveva acquistato rabbia ed era aumentata di tono. Poi, dopo qualche secondo, la sua rabbia esplose con violenza.

MALEDIZIONE!!!!!!” un urlò immenso, come quello di una bestia assettata di rabbia e dolore, uscì dalle sue labbra. Contemporaneamente, il terrestre sfogò parte della sua collera creando, con la sua energia spirituale, un cratere di notevoli dimensioni attorno a se.

L'umano sembrava aver perso definitamente il controllo. Tutta la rabbia, il dolore, il senso di ingiustizia e di impotenza che fino a quel momento si era tenuto dentro di se, uscirono con la violenza di un uragano, travolgendo il raziocinio, la ragione e l'autocontrollo come le foglie che vengono strappate da un albero in autunno.

PERCHE'?!” urlo mentre un aura trasparente lo avvolgeva da capo a piedi facendo tremare la terra attorno a se. Scosse elettriche, di un colore azzurrognolo, cominciarono a crepitare attorno al suo corpo. “PERCHE' TUTTO QUESTO?!! NON E' GIUSTO MALEDIZIONE! NON E' GIUSTO!!!”

Poi, ad un tratto, la furia del piccolo guerriero sparì. L'aura incolore di dissolse, la terra smise di tremare, le scosse elettriche sparirono. Infine, il terrestre, cadde in ginocchio.

Si sentiva distrutto, finito. Quell'ultimo colpo di un destino maledetto e mai generoso con lui lo avevano sconfitto. Non aveva la più la forza di rialzarsi. Quella forza che, dopo ogni sconfitta, lo aveva fatto rialzare e ripartire più convinto e deciso di prima. Ora non c'è l'aveva più. Era sparita, scomparsa. L'aveva abbandonato e lasciato in balia del dolore e della disperazione.

Lacrime amare cominciarono a scendergli dalle guance. E adesso? Cosa avrebbe fatto? Come poteva tornare a vivere con lei dopo aver appreso che, un giorno, l'avrebbe persa per sempre?

Non lo sapeva. Non sapeva più cosa fare. Una rabbia bruciante gli scorreva nelle vene. Una rabbia rivolta contro tutto e tutti ma, soprattutto, contro se stesso.

Sì, Crilin si odiava. Si odiava perché anche questa volta, come in tutta la sua vita del resto, sarebbe stato un peso. Sarebbe invecchiato con affianco una donna bellissima ed eternamente giovane. Sarebbe diventato un fastidio per la cyborg. Un inutile peso che l'androide avrebbe dovuto sopportare.

Le sue dita cominciarono ad artigliare il terreno sotto di se. Le lacrime continuavano ad uscire incontrollate. Il piccolo guerriero non provava neanche a fermarle. Per quale motivo avrebbe dovuto farlo? A cosa sarebbe servito cercare di frenare la disperazione che lo attanagliava?

A niente.” pensò. “Avrei dovuto abbandonarmi ad essa tanto tempo fa. Cosa ho fatto nella mia vita? Cosa ho concluso in tutti questi anni? Niente! Niente niente niente e ancora niente! Maledizione, NIENTE!”

Le sue dita continuavano ad artigliare la terra sotto di se. Non capiva, non riusciva a capire perché il destino lo perseguitasse in quel modo. Perché non riusciva mai a concludere qualcosa di buono?

Non è giusto.” mormorò con voce rotta. “Non è giusto...” all'improvviso, Crilin esplose in un pianto furioso e disperato.

Cadde a terra. Mentre le sue lacrime bagnavano il suolo sotto di se, un solo pensiero riusciva a farsi strada nella sua mente annebbiata da dolore, rabbia e disperazione.

Non è giusto. Non è giusto. Non è giusto. Non è giusto. Non è giusto...” come un mantra ossessivo e malsano, il terrestre non pensava ad altro mentre i suoi singhiozzi risuonavano nel silenzio del parco.

Non è giusto.”

No, non era giusto. Tuttavia, quella terribile ingiustizia, era la pura e crudele verità.

 

 

Crilin osservava la porta della Kame House con uno sguardo inespressivo. Quelle ultime ore l'avevano svuotato. Il piccolo guerriero non aveva la più pallida idea di come avesse fatto a trovare la forza di tornare sull'isola. Di dover rivedere C18 dopo quella terrificante notizia comunicatagli da Bulma.

Sospirò. Aveva paura. Una fottuta, maledettissima, bruciante paura aveva cominciato ad afferrargli lo stomaco. Adesso sarebbe dovuto entrare ed affrontare l'argomento con la cyborg. Non poteva non farlo. Non poteva vivere tranquillamente con quel peso sul petto. Doveva parlarle, spiegarle la faccenda, dirle che, un giorno, loro due non si sarebbero più visti.

Il piccolo guerriero inghiottì un groppo di saliva. Il liquido fu un sollievo per le pareti della sua gola, bruciate dalle sue urla disperate. Poi, con un profondo respiro, l'uomo avanzò.

Furono i passi più difficili della sua vita. Gli pareva di avere un quintale di piombo per gamba. Ogni passo compiuto era una tortura psicologica. Una parte di lui voleva entrare e affrontare la questione con la cyborg, l'altra parte voleva fuggire da quel luogo a gambe levate. Alla fine, dopo un'aspra lotta interiore, ad avere la meglio fu la sua parte più coraggiosa. Quando arrivò davanti alla porta, il terrestre prese un profondo respirò, cercò di placare le violente emozioni che ancora lo stavano attanagliando ed, infine, entrò.

La piccola casa era immersa nel buio e nel silenzio. La luce della luna, che filtrava dalla porta aperta, illuminò il salotto fino a quando non chiuse la porta dietro di se, facendo cadere, in questo modo, la casa nell'oscurità più totale.

Crilin fece qualche timido passo. Il terrestre cercò di muoversi il più silenzioso possibile. Tuttavia, una volta arrivato al divano, il piccolo guerriero si sedette. Non voleva disturbare la bionda. La sua parte più codarda gli suggeriva di aspettare la mattina. In fondo, cosa c'era di male a parlarle il giorno dopo? Nulla no?

Peccato che le sue speranze vennero infrante.

Dove sei stato?”

Una voce fredda e monocorde ruppe il silenzio che gravava sulla casa. Sentendo quella voce, a Crilin gli si gelò il sangue. Molto lentamente, il terrestre voltò la testa.

C18 lo osservava severa dalle scale. La bionda era vestita di tutto punto e aveva un'espressione torva che non prometteva nulla di buono.

Allora?” la sua voce esprimeva fastidio e disappunto in egual misura. Incapace di trovare le parole, il piccolo guerriero si limitò a fissarla in silenzio.

Vedendo il compagno non rispondere, l'androide scese le scale ed andò a sedersi vicino a lui. Tuttavia, quando lo vide da vicino, la sua espressione mutò. Da torva, divenne perplessa.

Cos'hai?” domandò. Alla bionda non era sfuggito le sottili rigature di lacrime seccate, né la disperazione che i suoi occhi scuri esprimevano.

Sentendo quella domanda fatidica, Crilin strinse i pugni. Il terrestre provò a parlare, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. Non ci riusciva. Nonostante sapesse l'importanza di dirlo a C18, l'uomo non riusciva a trovare il coraggio necessario per pronunciare le parole fatidiche. Ad un tratto, sfiancato da tutte le violente emozioni che lo tormentavano, il piccolo guerriero ricominciò a piangere.

Vedendo il compagno cominciare a piangere, la cyborg rimase perplessa. Non capiva il perché Crilin si comportasse così. Il motivo per cui era così sconvolto. Tuttavia, vedendolo così disperato, il cuore dell'androide si ammorbidì. La bionda lo abbracciò, cominciando a coccolarlo e a consolarlo.

Perché piangi stupido?” mormorò con voce dolce mentre, con una mano, assaporava la morbidezza dei capelli di lui.

Sentendo la cyborg abbracciarlo, il terrestre, nonostante tutto quello che aveva appreso quel giorno, non riuscì a fare a meno di abbandonarsi contro quel corpo splendido e perfetto. Quel corpo capace di superare anche le barriere del tempo.

Ho paura.” bisbigliò alla fine. “Ho tanta paura.”

Sentendo quelle parole, C18 lo strinse a se con il braccio sinistro mentre, con la mano destra, la cyborg afferrò il viso del terrestre e lo portò ad un soffio da suo.

Paura? E di cosa?” mormorò.

Crilin inghiottì un grumo di saliva. Era arrivato. Il momento in cui pronunciare quella terribile parole era arrivato. Eppure, nonostante sapesse l'importanza di dirlo alla donna della sua vita, tacque.

Ho paura di perderti.” sussurrò. Non era un bugia, ma non era neanche la verità che l'androide aveva il diritto di sapere.

C18 accolse quella dichiarazione con perplessità. Non era da Crilin comportarsi in quel modo. Tuttavia, la bionda gli parlò con fare rassicurante, cercando, in questo modo, di tranquillizzarlo.

Tu sei mio.” gli sussurrò all'orecchio con voce dolce. “Mi appartieni, sei una mia proprietà. Ed io non ho l'abitudine a gettare via ciò che mi appartiene.” dopo aver pronunciato quelle parole, C18 lo baciò.

Crilin ricambiò il bacio sperando, in quel modo, di dimenticare tutto. Di potersi abbandonare alla bellissima sensazione che la cyborg gli regalava ogni volta che lo baciava. Eppure, nonostante tutto, il terrestre non riuscì a fare a meno di pensare a quello che era appena diventato.

Sono un codardo.” pensò con amarezza.

La notte passò. C18 e Crilin si addormentarono sul divano abbracciati. Ma la mattina dopo, con sommo orrore del piccolo guerriero, tutto era rimasto uguale dentro di lui. Rabbia, dolore, disperazione e disprezzo per la sua codardia erano ancora là. A tormentarlo ogni volta che vedeva la bionda o che sentiva la sua voce risuonare per casa.

Si passò una mano sul volto. Doveva parlare. Non poteva tenersi tutto dentro e, francamente, neanche lo voleva.

Ma come poteva dirlo alla cyborg? Come poteva spiegarle tutto?

Non lo sapeva.

Ma, nonostante tutto, un modo doveva trovarlo perché, anche se fosse stato zitto, ci avrebbe pensato il tempo a dire a C18 il terribile destino a cui era stata condannata.

 

CONTINUA

 

Ciao a tutti! Sì, so benissimo che sono in un ritardo mostruoso ma, la settimana scorsa, ho avuto un'idea per un'altra long. Da adesso in poi, anche se so' che mi odierete, scriverò un capitolo di quella long, e un capitolo di questa.

Non ho molto tempo, quindi vi dico solo poche cose.

Uno, questo capitolo non mi piace molto. Ho avuto una settimana piuttosto travagliata e, a causa di ciò, non sono riuscito a scriverlo in modo continuo. Ragion per cui, probabilmente, la lettura non sarà scorrevole. Vi chiedo scusa ma, attualmente, sono preso con le bombe!

Due, il Crilin che ho descritto in questo capitolo non sembra molto IC lo ammetto. Tuttavia penso che non abbia fatto i salti di gioia nel sapere che, un giorno, avrebbe dovuto abbandonare per sempre la sua adorata Juu-chan.

Tre, Chiunque volesse andare a dare uno sguardo alla mia nuova long che ho appena iniziato ne sarei felicissimo. Mi va bene qualunque commento o giudizio (anche della serie: Fai schifo! Braccia rubate all'agricoltura! ecc ecc..)

E dopo questa piccolo annuncio di pubblicità occulta (che poi tanto occulta non è...) vi lascio con un disegno trovato in internet tempo fa che, secondo la mia modesta opinione, ritrae benissimo il Crilin che ho descritto nel parco. Spero che vi piaccia, mi piacerebbe molto se poteste dare un giudizio anche su questa immagine. :)

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Un saluto! E buona Pasqua a tutti :)

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Capitolo 19
*** Ingiusto ***


Capitolo 19

 

C18 era furiosa. La mascella della cyborg era serrata dalla rabbia, una vena pulsava pericolosamente sulla sua tempia sinistra, nei suoi occhi azzurri si poteva leggere una rabbia ed una collera tremenda.

La bionda era infuriata e, nello stesso tempo, preoccupata per un motivo solo: Crilin. Non lo capiva più. Non riusciva più a comprenderlo. Il terrestre era tornato ad essere, per lei, un vero e proprio rebus di cui, al momento, le sfuggiva la chiave per risolverlo.

Da tre giorni Crilin era cambiato totalmente. Il piccolo guerriero era diventato un altro: cupo, teso, taciturno. Il terrestre si comportava come se un enorme peso gli gravasse sulle spalle. Ma la cosa che più confondeva C18 era che Crilin, di solito sempre affettuoso e desideroso di starle vicino, sembrava che facesse di tutto per evitarla.

L'androide sbuffò, esasperata, mentre cercava di capire cosa diavolo stesse passando per la testa del suo uomo. Nervosa, la bionda giocherellava con una pietra blu che portava al collo. Le sue dita accarezzavano la superficie calda del gioiello. Era una pietra molto particolare: era liscia e priva di qualunque imperfezione. Aveva una forma a goccia ed era di un colore blu scuro, come quello delle profondità marine. Due piccoli forellini sulla parte più sottile della pietra accoglievano un filo di seta nero che andava a circondare il collo di C18.

Era stato Crilin a regalarle quella strana pietra. Era accaduto circa un paio di mesi prima che scoprisse di essere incinta, quando la sua relazione con il terrestre era ancora serena e priva di qualunque problema.

 

C18 percorreva nervosa il salotto della Kame House. La stanza era illuminata dalla luce arancione del tramonto. Il sole morente illuminava il volto della bionda donandole un aspetto inquietante.

La cyborg era furiosa. Era tutto il giorno che Crilin era scomparso senza dirle nulla. Quando si era alzata all'alba, il piccolo guerriero era già andato via in silenzio. L'androide ribolliva di collera. Come aveva osato fare qualcosa senza avere il suo permesso? Come aveva potuto andare via tutto il giorno senza avvisarla?

Gliela avrebbe fatta pagare per aver osato disubbidirle! Lui era suo! Non poteva fare niente senza prima informarla! Questa volta non l'avrebbe passata liscia! Lo avrebbe picchiato a sangue e tenuto a dormire sul divano per almeno un mese! E ancora sarebbe stato poco per il suo orgoglio!

Mentre C18 camminava nervosamente per il salotto digrignando i denti e formulando feroci pensieri di vendetta, Crilin atterrò sulla spiaggia dell'isola con un enorme sorriso stampato sul volto. Il terrestre sembrava davvero di buon umore ed entrò in casa fischiettando un allegro motivetto. Tuttavia, appena vide la cyborg, il suo sorriso si spense all'istante.

Quando l'androide notò il piccolo guerriero, i suoi occhi azzurri si strinsero fino a diventare due fessure di ghiaccio. Una vena pulsava sulla sua tempia sinistra, fenomeno che l'umano aveva imparato temere dato che significava che la bionda era sul punto di perdere del tutto lo scarso autocontrollo che possedeva, la sua mascella era talmente serrata che, nel silenzio della casa, si udì distintamente i suoi denti scricchiolare.

Crilin osservò, in silenzio, per circa mezzo minuto C18 che cercava di trattenersi dall'ucciderlo all'istante. Il terrestre sentì una paura fredda come il ghiaccio assalirlo al petto. Non aveva considerato il fatto che, sparendo senza dare notizia per un giorno intero, la cyborg si sarebbe arrabbiata, e tanto anche.

Juu...” il piccolo guerriero provò a parlare, ma l'androide lo interruppe.

Ti do' dieci secondi per dirmi dove sei stato, poi ti ucciderò.” dichiarò con voce fredda, ma carica di collera, la bionda.

Crilin sospirò. Poi, senza dire nulla, si mise una mano nella tasca della giacca e tirò fuori un piccolo pacchetto chiuso in maniera grossolana. Dopodiché, continuando a rimanere in silenzio, il terrestre consegnò il pacchetto a C18.

Perplessa da quello strano comportamento, la cyborg sollevò un sottile sopracciglio squadrando il pacchetto con aria scettica.

E questo cosa diavolo significa?” domandò con voce fredda.

Aprilo.” fu l'unica risposta che ricevette dal compagno. Il piccolo guerriero sapeva per esperienza che, con l'androide, troppe parole erano inutili.

Ancora perplessa, ma non più in collera, la bionda soppesò pensosa il pacchetto un paio di volte con la mano sinistra. Era piuttosto leggero. La carta da pacchi che lo richiudeva era piuttosto logora e lo spago era consumato. Non era certo una confezione che attirasse l'occhio. Alla fine, con un sospiro di esasperazione, C18 cominciò a sciogliere lo spago.

Visto che non ho altra scelta per capire cosa diavolo ti passi in quella testa, vedrò di aprire questa schifezza che penso tu chiameresti pacco.” dichiarò con voce fredda mentre le sue dita scioglievano la confezione. Appena la logora carta cadde a terra, la cyborg spalancò gli occhi dalla sorpresa.

Una pietra scintillava sulla sua mano sinistra. Era di un blu cupo e scuro che, sotto i raggi dell'astro morente che illuminava la stanza, sembrava essere viola. Era totalmente liscia ed era a forma di goccia. Verso la punta, da due piccoli forellini, usciva un sottile filo di seta nera.

La bionda era ammutolita. Non era la prima volta che Crilin le regalava dei gioielli, ma di così particolari, e di così belli, era la prima volta in assoluto. Tuttavia, anche se il gioiello le piaceva moltissimo, l'androide rimase totalmente impassibile.

Fraintendendo il suo gesto, Crilin si mortificò. Vedendo la bionda impassibile, il terrestre era convinto che non apprezzasse il suo regalo. Tuttavia, il piccolo guerriero riuscì a trovare la forza di parlare.

Ti piace?” domandò con voce gentile, anche se rassegnata.

C18 non rispose. Tutto quello che la cyborg si limitò a fare fu quello di continuare ad osservare la pietra che teneva in mano. Poi, lentamente e senza cambiare espressione, l'androide rivolse i suoi occhi verso l'umano.

E' una pietra che trovai anni fa in fondo al mare.” si affrettò a spiegare quest'ultimo. “Durante un'immersione la trovai e la presi. Non pensai mai di farne qualcosa almeno fino a qualche giorno fa. Credevo che sarebbe stato un regalo originale. Penso che ti stia molto bene Juu. Comunque scusami. Avrei dovuto capirlo subito che non ti sarebbe piaciuta.”

Davanti a quell'inutile spiegazione, C18 continuò a rimanere impassibile. Poi, all'improvviso, la cyborg allargò il filo si seta e si infilò il gioiello. Dopodiché, la bionda salì le scale e andò nella loro camera senza dire nulla.

Tuttavia, mentre saliva, all'androide non sfuggì il sorriso di gioia del piccolo guerriero.

 

Da allora l'aveva sempre portata al collo. Non se ne separava quasi mai. Le piaceva quella pietra. Era semplice, ma bella. Esattamente come lui. Tuttavia, in quel momento, pensare a lui le faceva venire solamente un immenso nervoso.

La cyborg imprecò sonoramente per sfogarsi un po'. Si sentiva presa in giro. Dopo tutto quel tempo che lui aveva speso per renderla di nuovo una donna, adesso la ignorava e cercava di evitarla. Perché, dannazione, perché? Perché cercava di evitarla? Cosa aveva fatto? Cosa era successo? Cosa l'aveva indotto a cambiare, in modo così radicale, il suo comportamento?

Domande che, da un paio di giorni a quella parte, la tormentavano come una sottile e perfida tortura mentale.

L'androide era seriamente tentata di distruggere tutto e di ucciderlo lentamente. Tuttavia, una parte di lei, le suggeriva che non era quello il modo più adatto per scoprire le cause di quella situazione. A poco a poco, la bionda si rilassò sia mentalmente che fisicamente. Dopo circa cinque minuti, C18 era riuscita a confinare la propria rabbia e, in quel momento, si preparava a riflettere in maniera lucida e fredda.

La prima cosa che cercò di capire fu quando, precisamente, Crilin era cambiato. La cyborg non ci mise molto a ricordarsi della notte in cui il terrestre, dopo essere tornato a notte fonda ed essersi rifiutato di dire dove era stato, si era messo a piangere sussurrandole parole confuse e prive di senso.

 

Ho paura di perderti.”

 

La bionda non riusciva a capire il significato di quelle parole. Perché avrebbe dovuto avere paura di perderla? Lei non aveva nessuna intenzione di lasciarlo. Era suo, gli apparteneva, tra poco si sarebbero sposati, aveva addirittura il figlio di lui dentro il suo grembo. Perché lei avrebbe dovuto abbandonarlo? Perché avrebbe dovuto rovinare tutto quello che si era conquistata con tanta fatica e con grandi sacrifici?

 

Era tornato a notte fonde. Si era rifiutato di spiegare dove era stato. Aveva detto che aveva paura di perderla.

 

In quel momento, dentro la sua mente, prese forma un'idea folle e assolutamente pazza. Non era possibile. Era pura follia anche solo immaginare che Crilin avesse commesso un tale scempio. Eppure, l'androide non poteva negare che gli ultimi eventi fossero molto sospetti.

No! C18 su questo era sicura. Crilin era un ingenuo, su questo non aveva nessun dubbio, ma era anche l'unica persona che conosceva che credeva nel vero amore. Il piccolo guerriero non aveva mai fatto mistero che, secondo lui, il vero amore, quello dei gesti, quello dello spirito e non della carne, esisteva. Il terrestre ci aveva sempre creduto e aveva fatto di tutto per poterlo, un giorno, trovare. Fino a quando non aveva trovato lei.

Ma nonostante tutto, nonostante lei continuava a convincersi che lo conosceva e che non era capace di abbassarsi a tanto, l'idea, quella schifosa, infida idea, continuava a tormentarla. La bionda combatté a lungo contro di essa ma, alla fine, fu costretta ad arrendersi a quest'ultima. Permettendole di formulare un terribile pensiero all'interno della sua mente.

E se l'avesse tradita?

Appena quel pensiero si insinuò nella sua mente, C18 fu tentata di uccidere Crilin e, allo stesso tempo, di mettersi a ridere per l'assurdità di ciò che aveva appena pensato.

L'idea che Crilin l'avesse tradita era troppo assurda, troppo folle, troppo spinta ai limiti del possibile, era...troppo.

Ma, e qui l'androide odiò la propria mente, perché allora aveva cominciato a comportarsi in maniera così strana? Cosa diavolo stava accadendo che lei non sapeva?

La bionda si sdraiò sul divano dove era seduta sbuffando esasperata. Si sentiva esausta mentalmente. Non ce l'ha faceva più a risolvere problemi. Problemi problemi e ancora problemi. Sembrava che una vita normale fosse molto più complicata di quello che pensava. Ogni volta che riusciva a risolverne uno, subito se ne affacciava un altro. L'androide trovava tutto ciò incredibilmente fastidioso.

Sospirò. I suoi occhi azzurri fissavano, annoiati, il soffitto del salotto. Aveva bisogno di rilassarsi. Per un attimo la cyborg pensò di andare a fare un giro in città, ma poi le venne in mente che, senza il suo nanerottolo, non sarebbe stato per niente divertente.

C18 non riusciva a rilassarsi. Si rigirava sul divano senza riuscire trovare una posizione che le potesse conciliare il sonno. Si sentiva agitata, inquieta, nervosa. Una tensione sottile, ma terribilmente fastidiosa, la attanagliava il corpo e la mente. Più passava il tempo, più la bionda si infuriava. Sapeva il perché di quell'agitazione. Le cause che la rendevano così nervosa e tesa. Anzi, la causa.

Crilin.

Il terrestre era diventato una droga per lei. Una dolcissima droga di cui non voleva assolutamente privarsi. Lo voleva. Lo desiderava. Odiava il fatto che lui fosse lontano da lei. Lui era suo, gli apparteneva, eppure, in quegli ultimi giorni, il terrestre si era allontanato da lei di sua spontanea volontà.

Perché?

Era questa la domanda chiave. La soluzione di quell'intricatissimo e misterioso puzzle che l'androide non riusciva a risolvere.

Alla fine, dopo aver mandato al diavolo il mondo intero, C18 riuscì a dormire. Lentamente i suoi occhi cerulei si chiusero mentre i sui circuiti rallentarono le loro operazioni. Infine, la cyborg cadde in un sonno leggero ed inquieto.

 

Muten si stava concentrando come non faceva da anni.

L'anziano maestro di arti marziali era seduto a gambe incrociate sulla spiaggia della Kame House. Si era tolto dalla schiena il guscio che usava come peso per mantenersi in forma. Gli occhiali da sole era appoggiati sul soffice strato di sabbia alla sua sinistra. L'eremita stava meditando con una concentrazione ed una intensità straordinaria. Era da prima di allenare Crilin e Goku che non si immergeva così a fondo nell'arte di modellare e plasmare il mondo con il pensiero.

La mente di Muten vagava, leggera come una carezza, sul pelo dell'acqua. Poi si immerse nelle profondità marine, percependo la vitalità mostruosa del mare. In quel momento, l'anziano maestro comprese una cosa che già sapeva: il mare era un essere diverso da tutti gli altri che popolavano la Terra. Era un'entità formata da miliardi di esseri, dal piccolo plancton alle gigantesche creature che vivevano nei suoi abissi più cupi e profondi. Il mare era orgoglioso, potente, buono, ma anche capriccioso. Un attimo sorrideva benevolo al marinaio che osava solcarlo, un secondo dopo lo osservava irato, pronto a scatenare tutta la sua immensa collera contro di lui.

Davanti a quella verità, Muten rimase, come sempre, commosso. Amava il mare. Era una presenza di cui non poteva più fare a meno. Da giovane aveva viaggiato a lungo per perfezionarsi in quello che era il suo più grande talento: la lotta. Ma quando aveva ascoltato il ruggito del mare per la prima volta esso l'aveva stregato. Ne era rimasto perdutamente innamorato. In seguito, i suoi viaggi si erano fatti, anche a causa dell'avanzare dell'età, sempre più brevi, finché non erano cessati del tutto. Quando aveva scelto di vivere in quell'isola così lontana da tutto, l'aveva fatto solo per lui. In tutta la sua vita aveva visto, osservato, studiato e amato il mare con una passione difficile da trovare nelle altre persone. Non poteva certo dire di conoscerlo bene, anche con una vita lunga il doppio della sua sarebbe stato impossibile, ma lo rispettava e il mare rispettava lui, o almeno, lo sperava.

In quel momento, la sua mente percepì l'aura del suo allievo. Crilin stava facendo un'immersione marina tra i banchi di sabbia che si trovavano nei pressi dell'isola della Kame House.

Nel percepire l'aura del terrestre, la mente dell'anziano maestro si inquietò. Erano giorni che Crilin si comportava in modo strano. Era diventato ancora più cupo e taciturno del solito, ma la cosa che aveva colpito di più Muten era che il terrestre sembrava che facesse di tutto per evitare C18. Quando la bionda cercava di avvicinarsi all'umano, quest'ultimo le rivolgeva un'occhiata terrorizzata e subito si inventava una scusa per allontanarsi.

La cosa era strana. Crilin adorava la cyborg e cercava sempre di stare insieme a lei. Come mai, all'improvviso, sembrava avere paura di quest'ultima?

Era una domanda a cui era difficile dare una risposta, questo Muten lo sapeva. Eppure, era proprio per cercare una risposta e, possibilmente, una soluzione che l'Eremita si era messo a meditare. Da troppo tempo non riusciva a capire più il suo allievo. Era tempo di riordinare i pensieri.

Una leggera brezza cominciò a soffiare dal mare, portando con se l'odore forte delle salsedine. Con quel rassicurante odore che gli riempiva le narici, l'anziano maestro ritornò ad immergersi nei profondi meandri della sua mente.

 

Crilin credeva di essersi immerso dentro un sogno.

L'acqua tiepida e trasparente del mare lo circondava come una confortante coperta. Attraverso le lenti della maschera, il piccolo guerriero vedeva un mondo azzurro e silente dentro il quale si trovava stranamente a suo agio.

Con una spinta poderosa delle pinne, il terrestre si avvicinò al fondale. Una volta arrivato, stando attento a dove metteva le mani, Crilin cominciò a sollevare la sabbia per cercare qualche curiosità di quel mondo così diverso dal suo.

Tuttavia, dopo circa una decina di minuti, il piccolo guerriero era ancora a mani vuote. Sentendo che i suoi polmoni cominciavano ad avere sete d'aria, il terrestre riemerse aspirando a grandi boccate la fredda aria del primo pomeriggio.

Crilin rabbrividì. Fuori dall'acqua era piuttosto freddo. Dopo essersi riempito i polmoni d'aria, il piccolo guerriero tornò ad immergersi nelle calde acque del mare cominciando ad ispezionare un'altra zona.

Il terrestre continuò la sua ricerca per tutto il pomeriggio. All'umano piaceva moltissimo fare quelle immersioni. Erano rilassanti e, al tempo stesso, divertenti. Inoltre, tenendo la mente occupata nella ricerca di conchiglie, pesci particolare o oltre stranezze di quel mondo bellissimo, evitava di pensare ai suoi problemi.

Banchi di pesci colorati gli giravano intorno, osservandolo con curiosità attraverso i loro freddi occhi. Crilin si avvicinò ad un banco di alghe. La punta delle piante gli accarezzavano il ventre come una fredda e viscida carezza che, tuttavia, non trovava spiacevole. I raggi del sole creavano giochi di luce sotto il pelo dell'acqua bellissimi. Immerso nella pace e nel silenzio di quel posto, Crilin aveva come l'impressione di essere finito su un altro pianeta.

Tuttavia, quando il sole cominciò a tramontare, il piccolo guerriero fu costretto a terminare il proprio bagno. Quando uscì dall'acqua fu sorpreso di constatare la posizione del sole. Era stato in acqua per più di cinque ore senza neanche accorgersene.

Il terrestre sospiro. Non aveva molta voglia di tornare alla Kame House. Una volta sorpassata la soglia della piccola casa, i suoi problemi sarebbero tornati a tormentarlo.

“Coraggio Crilin...devi farti coraggio. Scappare dai problemi non serve a niente.” pensò nel disperato tentativo di rincuorarsi. Impresa che non era per niente facile. La consapevolezza di perdere per sempre la sua futura moglie un giorno lo riempiva di una tristezza incredibile.

Con il cuore pesante, il piccolo guerriero entrò tenendo le pinne e la maschera nella mano destra. Una volta entrato, Crilin sentì Muten preparare la cena in cucina mentre C18 dormiva sul divano. Attratto in maniera inesorabile dalla cyborg, il terrestre si avvicinò a lei con circospezione. Una volta arrivato davanti, l'uomo osservò a lungo i lineamenti perfetti della bionda. Sembrava tranquilla. Tuttavia, al suo occhio attento, non sfuggì una certa tensione nei suoi lineamenti. Era come se l'androide fosse pronta a scattare in qualsiasi momento.

Crilin sospirò. Vedere C18 gli riempiva il cuore di una marea di sensazioni diverse e contrastanti tra di loro. Dolore, amore, disperazione, sensi di colpa. Un mix devastante che, certe volte, riusciva a portarlo sull'orlo della follia.

Erano passati tre giorni da quando Bulma gli aveva parlato. La notizia che la scienziata gli aveva comunicato lo aveva totalmente annientato. Si sentiva distrutto dentro. Privo di quella forza di volontà che lo aveva animato fin da quando era un bambino. Quella forza che lo aveva sorretto in ogni allenamento inumano che aveva fatto. Quella forza che gli aveva dato il coraggio di affrontare i più temibili combattenti dell'universo. Quella forza che lo aveva reso Crilin.

Ma lui non era più Crilin. O, almeno, non quello che tutti erano abituati a conoscere.

Il fatto era che lui era cambiato, era diverso. Era privo di quell'innato ottimismo con cui aveva cercato di mantenere il sangue freddo anche nelle situazioni più pericolose e disperate. Privo di quella gioia di vivere che lo aveva sempre contraddistinto. Era diventato un'altra persona. Cupo, taciturno, solitario. Si sorprendeva lui stesso di quel cambiamento così radicale. Davvero quello era lui? Davvero quella persona così tormentata e disperata e quel ragazzo così allegro e buono erano la stessa persona? Gli sembrava di essere diventato un intruso dentro il suo stesso corpo. Gli pareva di non aver più nessun controllo di esso. Era come un osservatore esterno che vedeva muoversi ed agire quella macchina di carne, ossa e sangue senza poter minimamente intervenire.

Con un sospiro, il terrestre scosse la testa, disseminando goccioline di acqua salata per il salotto. Doveva smetterla di lasciarsi andare a pensieri così cupi e lugubri. Crogiolarsi nell'autocommiserazione non gli sarebbe servito a nulla. Doveva reagire. Doveva trovare una soluzione ad ogni costo perché, di quel passo, avrebbe solamente distrutto tutto quello che si era costruito con tanta fatica. Crilin si era accorto che C18 si stava insospettendo per il suo comportamento. La cyborg non era una stupida. Prima o poi, avrebbe scoperto come stavano le cose e, a quel punto, il suo precedente silenzio avrebbe solo peggiorato le cose.

“Devo parlarle.” pensò. Ma subito dopo, la parte più codarda di lui, aggiunse. “Non adesso.”

Il terrestre si girò, con l'intenzione di andare a farsi una doccia, tuttavia aveva appena fatto una decina di passi che una voce lo bloccò subito.

“Dove stai andando?”

Il piccolo guerriero girò la testa di scatto. Il suo cuore stava battendo ad un ritmo doppio del normale. Ciò che vide gli gelò il sangue nelle vene.

C18 lo stava osservando. Fino a quel momento la bionda aveva solo finto di dormire. Tuttavia, la cosa che terrorizzava di più l'uomo, era la sua espressione. Un'espressione che conosceva molto bene.

Era arrivato il momento di parlare.

 

Era da un paio d'ore che C18 si era svegliata. Tuttavia, la cyborg non aveva nessuna voglia di alzarsi, anche se l'idea di tornare a dormire non le garbava affatto. Alla fine, l'androide trovò un compromesso con se stessa cadendo in quella specie di dormiveglia in cui l'aveva trovata Crilin.

Il tempo passava. La mente della bionda era caduta in una sorta di limbo in cui i suoi pensieri prendevano importanza per un istante per poi cadere nell'oblio. All'androide quella situazione andava più che bene. Era stufa di pensare e lambiccarsi il cervello per provare a risolvere i problemi della sua nuova vita.

Ad un tratto, la cyborg percepì Crilin entrare in casa. Il terrestre andò davanti al divano e rimase fermo per diversi minuti. La bionda non capì il motivo di quel gesto, ma la presenza dell'umano lì vicino a lei fece riemergere tutti i dubbi che da giorni la torturavano. Una situazione insopportabile a cui volle subito porre fine.

“Dove stai andando?”

Aveva agito d'istinto. Si era sollevata di scatto e si era avvicinata al piccolo guerriero osservando, incredula, il terrore prendere possesso di lui.

“A farmi una doccia.” dichiarò con voce nervosa il terrestre. C18 riusciva a sentire la paura di lui crescere sempre di più. Era una forza immensa. Talmente grande che si stupì nel constatare che Crilin aveva ancora un minimo di autocontrollo.

“Dobbiamo parlare.” fece lei con voce cattiva. Non riusciva più a sopportare tutto quello. Lui era là, a poco più di un metro da lei. Riusciva a sentire il suo odore. Vedeva ogni singola goccia d'acqua scorrere sul suo corpo. La tentazione di toccarlo, abbracciarlo, fargli del male, rimarcare per l'ennesima volta che quella era roba sua era forte. Tanto forte. Terribilmente forte.

“Possiamo farlo più tardi? Adesso sono piuttosto stanco.” le parole, fredde e vuote di lui, furono la goccia che fece traboccare il vaso. In quell'istante, C18 non ci vide più. Tutta l'irritazione e la rabbia che da tre giorni si teneva dentro uscirono con una violenza inaudita.

Con uno scatto, l'androide afferrò il piccolo guerriero per la gola, sbattendolo con violenza sul muro dietro di lui. Crilin non oppose nessuna resistenza. Il terrestre sembrava sorpreso dallo scatto della bionda.

“Forse non mi sono spiegata bene...” ringhiò C18. I suoi occhi azzurri brillavano di una luce rabbiosa. La sua voce era carica di collera. “Se io ti dico che dobbiamo parlare, parliamo adesso! Io non ho nessuna intenzione di rimandare la cosa! Quindi tu adesso parli!”

“P-parlare?” esalò l'uomo con difficoltà. La mano dell'androide sembrava fatta d'acciaio. Le sue dita gli serravano così forte la gola che faceva fatica a respirare. Gli occhi scuri del piccolo guerriero erano pieni di paura.

“Sì, parlare!” dichiarò C18 con rabbia. “Perché mi eviti? Perché fuggi da me come se avessi paura? Come se mi temessi? Cosa cazzo sta succedendo che io non so?”

Crilin deglutì ma non rispose. I suoi occhi neri erano ricolmi paura. Una bruciante, terribile paura. Il piccolo guerriero tentò di liberarsi dalla presa della cyborg. Tuttavia, l'unico effetto che il suo gesto ebbe, fu quello di far perdere la pazienza all'androide.

“Smettila!” urlò la bionda. “Perché mi eviti?! Cosa ti ho fatto?! VOGLIO UNA RISPOSTA!!”

Davanti alla reazione furibonda di C18, Crilin, infine, rispose.

“Ho paura di perderti.” dichiarò con voce fioca.

“Ma perché dovresti perdermi? Idiota! Io non ho nessuna intenzione di lasciarti! Tu sei mio, capisci? MIO!”

“E per quanto lo sarò?”

Quella domanda lasciò la bionda totalmente esterrefatta. I suoi occhi cerulei si spalancarono dallo stupore mentre cercava di comprendere i significati che la domanda del compagno nascondeva.

“Cosa intendi dire?”

Crilin sospirò. Il terrestre cercò nuovamente di liberarsi dalla presa di lei. C18 questa volta lo lasciò andare. Il piccolo guerriero sembrava fosse cambiato. Da terrorizzato che era, era diventato improvvisamente rassegnato. L'umano si passò una mano sui capelli bagnati mentre, con voce triste, continuò a parlare.

“Io temo di perderti Juu. È per questo che, in questi giorni, ho cercato di starti lontano. Infatti, per quanto mi fosse difficile e doloroso comportarmi in questo modo nei tuoi confronti, lo era molto di più fare finta di nulla. Ora capisco che ho sbagliato a comportarmi così. A causa della mia stupidità, tu hai creduto che io avessi paura di te o che non ti amassi più. Non è affatto vero Juu. Io ti amo da impazzire, ti amo con tutto me stesso. Ma è proprio a causa di questo mio amore nei tuoi confronti che io soffro da impazzire.”

“Ma perché stai soffrendo?” domandò irritata, anche se leggermente sollevata, la cyborg. “Cosa diavolo è successo che io non so'?”

Crilin la guardò con affetto, un affetto triste ma immenso. Uno sguardo che colpì con la violenza di un pugno allo stomaco l'androide. Quando ricominciò a parlare, il terrestre pronunciò parole pesanti come macigni.

“Io ho paura di perderti perché io sono un essere umano mentre tu, nonostante io abbia sempre detto il contrario, non lo sei. Tu sei immortale Juu. È il tuo generatore ad energia infinita, lo stesso che ti permette di vivere, che ti rende capace di non invecchiare e di poter vivere continuamente. E questo significa che io, un giorno, morirò e noi due non ci rivedremo mai più. Tu continuerai a vivere, per l'eternità. Ed io, col tempo, diventerò per te solamente un ricordo. Fino al giorno in cui tu mi dimenticherai, per sempre.”

Le parole di Crilin colpirono con una violenza immensa la cyborg. C18 spalancò i suoi occhi azzurri mentre le sue mani cominciarono a tremare. Non era possibile. Davvero lei era immortale? Davvero lei non poteva invecchiare? Gero lo sapeva? Rientrava nel suo piano renderla eterna? E se sì, perché? Perché condannarla a quello schifo di esistenza in eterno?

Si sentiva distrutta. I suoi polmoni si svuotarono d'aria mentre si sentì una scarica di debolezza estrema attraversarle tutto il suo corpo. Non era giusto. Proprio ora che aveva accettato di essere una persona, proprio adesso che stava tornando a sentirsi una donna. Quella notizia aveva distrutto tutte le sue speranze di vivere una vita normale. Lei era immortale, esattamente come una macchina. Lei non meritava di essere chiamata persona perché solo le macchine erano eterne. Il solo pensiero di tornare ad accettare quella condizione le era impossibile. Non voleva rinunciare a quella vita. Non voleva!

In quel momento, la cyborg si accorse che Crilin la stava osservando. Lo sguardo del terrestre era incredibilmente triste. C18 in quel momento lo odiò. Odiò il fatto che lui poteva essere umano. Odiava il fatto che lui poteva un giorno morire. Odiava il fatto che lui poteva farsi una vita normale. Non le interessava minimamente il fatto che anche lui stava soffrendo immensamente per quella situazione. L'androide sentiva fortissimo il bisogno di sfogarsi. Di scaricare su qualcuno quell'immensa ingiustizia che le era capitata.

“E' ti dispiace eh? Ti dispiace il fatto che non potrai più scoparmi un giorno, vero?!” gli ringhiò contro con voce cattiva, lasciando il terrestre totalmente sbigottito.

“Ma...ma cosa diavolo...”

“Non provare a negare!” dichiarò con voce carica di rabbia l'androide. “Guarda che l'ho capito cosa intendevi con quel discorsetto. Pensi veramente che io potrei dimenticarti così da un giorno all'altro? Cos'è hai paura che ti rimpiazzi? Che ti sostituisca? È questo che pensi di me? Che sono una puttana? Ma certo! Una puttana! Anzi no, la TUA personale puttana! L'unica così cogliona da perdere tempo con un idiota come te!”

“Questo non é affatto vero! Sai benissimo che io non sono tipo da dare importanza a certe cose! Juu...tu...tu non sei in te!” dichiarò il terrestre cercando di calmarla. Ma C18 era troppo furiosa con il mondo intero per poter ragionare in maniera lucida.

“Oh, certo come no!” fece con tono sarcastico. “Ma mi credi una stupida? Una deficiente? Adesso io dovrei credere al fatto che tu, anche se io fossi stata un cesso, mi avresti salvata e corteggiata? Sei solamente un stronzo! Un idiota! Anzi no, l'idiota sono io che mi sono fatta mettere incinta da un imbecille come te!” dopo quell'ultimo grido carico di rabbia, la cyborg uscì dalla Kame House a grandi passi.

“Juu! Maledizione, aspetta un secondo!”

Crilin provò a fermarla, ma ad un tratto, l'androide sparì dalla sua vista. Un istante dopo, un braccio gli circondò le spalle mentre sentiva una voce velenosa sussurragli all'orecchio.

“Non osare...” sussurrò la bionda. “Potrei anche ucciderti. Sai che lo farei. Prova a farlo e ti ucciderò.”

Crilin deglutì e rimase immobile. Tuttavia, quando non sentì più la presenza del braccio di C18 attorno alle sue spalle, il terrestre corse subito fuori dalla Kame House. In ritardo però. Della cyborg non c'era la benché minima minima traccia.

 

CONTINUA

 

Ehm...so benissimo che sono in arci ritardo ma la mia ragazza mi ha mollato e, francamente, non è che quando la tua ragazza ti lascia sei entusiasta di metterti a scrivere di una coppia che si ama alla follia. Comunque, alla fine, sono qui. A pubblicare il capitolo numero 19.

Dunque, vi avverto subito. Secondo me, questo capitolo, è lontano mille miglia da quelli che scrivevo fin a un mese fa. Non so perché, ma secondo me, più passa il tempo, peggio scrivo. Boh, sarà l'acool che ho usato in dosi massicce per smaltire la delusione amorosa (nelle ultime due settimane mi sono ubriacato ben 3 volte! Forse la dovrei smettere di andare alle serate a casa di amici il sabato sera...) in ogni caso, quella tr...ehm, volevo dire quella cattiva della mia ex è già archiviata (attualmente mi sto già vedendo con un'altra xD) quindi vi avviso che, nonostante la maturità sia alle porte, sono di nuovo in forma per continuare questa storia (che ormai la finirei anche se non avessi più voglia. Cavolo dopo tutta la fatica per arrivare al capitolo 19 mi seccherebbe buttare tutto alle ortiche!)

Vabbè, vi lascio! Lasciatemi un commentino please! Dopo quello che ho passato, una bella recensione (anche negativa mi va benissimo) sarebbe il miglior regalo che potreste farmi :)

Un saluto!

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Capitolo 20
*** Tormenti ***


Allora, so di essere in mega ritardo nell'aggiornare, ma i motivi li conoscete già tutti (maturità, studio eccetra eccetra). Quello che vorrei dirvi sono solo pochi punti importanti:

 

Punto numero uno: Questo capitolo, anche se non è un granché, è dedicato a SeaLight. In questo modo spero di farmi perdonare per tutte le promesse non mantenute sul fatto di recensire la sua bellissima raccolta su pairing Lunch/Tenshinhan (che consiglio a tutti di andare a leggere perché è davvero molto bella). Quindi, questo capitolo è dedicato a te SeaLight, con la speranza che sia abbastanza decente da meritarmi il perdono. Colgo questa occasione per farti tanti complimenti. Sei davvero brava come scrittrice! Io, alla tua età, sapevo a malapena scribacchiare qualche tema decente a scuola.

 

Punto numero due: in questo capitolo parlerò anche di un altro personaggio che non sono abituato a descrivere. Quindi, dichiaro subito che non so cosa ne sia uscito. Non vi dico il nome per non rovinarvi la sorpresa, ma spero che apprezzerete lo stesso il mio sforzo.

 

Punto numero tre: Siccome ormai ho forti dubbi di essere un appassionato di sadomaso, ho deciso di iniziare una terza long con Crilin protagonista. La storia si intitola “Ossessione” ed è ambientata in un universo parallelo in cui Baby ha sconfitto su Plant Goku, ed ha creato una società perfetta tra gli Tsufuru. Se andate a darle un'occhiata mi fareste solo che felice.

 

Bene, ho detto tutto. Spero che questo capitolo vi possa piacere al pari degli altri. Ringrazio in anticipo chiunque lo leggerà. :)

Un saluto! E buona lettura!

 

Capitolo 20

 

Crilin si portò la bottiglia di liquore alle labbra, finendola in un sorso solo. Successivamente, il terrestre la poggiò con forza sul tavolo ingombro di altre bottiglie simili, ormai vuote.

La luce che illuminava la cucina della Kame House era bassa. Una debole illuminazione che lasciava la stanza nella penombra. Tuttavia, gli occhi irritati del piccolo guerriero, mal sopportavano anche quel debole chiarore. Ragion per cui, l'ormai ubriaco Crilin, decise di risolvere la situazione a modo suo.

“Fanculo!” borbottò mentre, dalla sua mano sinistra, partiva un ki-blast giallo che distrusse totalmente la lampada. Subito dopo, l'intera stanza cadde in un buio fresco e silenzioso.

Crilin era distrutto. Tutto quello che l'aveva sempre caratterizzato era sparito del tutto. Un odio immenso, alimentato dall'alcool, aveva cominciato a dominargli il cuore. Un odio diretto verso tutto e tutti. Odiava tutto. Quel mondo crudele e spietato. Quel fottuto destino che si divertiva a distruggere ogni suo sogno o obbiettivo. Quegli dei a cui, da piccolo, si era votato anima e corpo.

“Puah! Gli dei...” le sue parole erano talmente pregne di disprezzo ed odio che sembrava stesse sputando più che parlando. “Sono...solo...una lurida massa di bastardi. Una schifosa congrega di fottuti figli di puttana che si divertono a distruggere ogni nostra speranza!” il piccolo guerriero concluse il suo discorso, rivolto al nulla, battendo un pugno sul tavolo.

In quel momento, Muten entrò dentro la stanza. L'anziano maestro aveva ascoltato il litigio tra il suo allievo e C18. Dopo che la cyborg se ne era andata dalla Kame House, Crilin si era chiuso in cucina, scolandosi, una dopo l'altra, tutte le bottiglie di liquore che c'erano in casa.

L'anziano maestro osservò, attraverso le lenti scure dei suoi occhiali, il pietoso stato in cui versava il suo allievo. Il suo volto era impassibile. Tuttavia, una forte preoccupazione traspariva dai lineamenti del suo volto.

“Sono le undici Crilin...” mormorò dolcemente Muten. “Non pensi che sia il caso di smetterla di bere?”

Davanti a quella risposta, l'uomo si girò di scatto. Sembrò mettere a fuoco a fatica la figura del suo maestro. Successivamente, quando parlò, il suo tono di voce era basso e carico di collera.

“Smettere eh?! E cosa faccio?! Cosa cazzo mi resta di fare in questa vita di merda?!”

Muten si avvicinò al suo allievo. Il suo cuore piangeva nel vedere colui che considerava come un figlio ridotto in quello stato disgustoso. Crilin era sudato fradicio. I suoi vestiti emanavano un puzzo di alcool stantio mentre i suoi occhi erano arrossati dalla recente sbornia.

“Crilin...lo so che può sembrare banale, ma devi farti forza! Piangerti addosso non ti servirà a niente!”

Sentendo quelle parole, il terrestre serrò i pugni così forte da conficcarsi le unghie nelle mani.

“Devo farmi forza eh?” mormorò con voce velenosamente dolce. “Devo farmi forza...ma vede Maestro, lei forse non ha capito una cosa. IO SONO STUFO DI DOVER MANGIARE MERDA SENZA FAR NIENTE!!!”

Con uno scatto, il piccolo guerriero si alzò. Rovesciando il tavolo e le bottiglie adagiate sopra di esso. Il rumore del vetro infranto echeggiò in tutta la piccola casa con la sua nota acuta ed argentina.

“SONO STUFO!” urlò a pieni polmoni l'umano. Successivamente, Crilin prese a sfasciare la cucina a pugni.

“SONO STANCO! MI SONO STUFATO DI TUTTO!!! 'NON IMPORTA CRILIN, VEDRAI, DEVI FARTI FORZA. PASSA TUTTO CON IL TEMPO'. NON PASSA UN CAZZO! HA CAPITO?! IO HO ANCORA QUI DENTRO TUTTO QUELLO CHE HO DOVUTO PASSARE IN QUESTI ANNI! TUTTI I SACRIFICI CHE HO FATTO PER QUESTO PIANETA DI MERDA!”

Durante il suo sfogo, il terrestre prese a distruggere, con furia animalesca, tutto quello che gli capitava sotto mano. Infranse interi servizi di piatti e bicchieri. Divelse credenze. Distrusse a suon di pugni gli elettrodomestici. Ridusse il piano cucina ad un ammasso contorto di ferraglia. Muten continuò a rimanere muto ed impassibile davanti alla furia cil eca del suo allievo.

“MI SONO ROTTO OGNI SINGOLO OSSO PER ALLENARMI E DIVENTARE PIU' FORTE! E' SERVITO A QUALCOSA? SONO MORTO DUE VOLTE PER QUESTO FOTTUTO PIANETA! SONO STATI SACRIFICI UTILI? HO COMBATTUTO OGNI SINGOLO, FOTTUTO PAZZO CHE VOLEVA CONQUISTARE O DISTRUGGERE L'UNIVERSO! HO SEMPRE FATTO TUTTO QUELLO CHE DOVEVO FARE! NON MI SONO MAI TIRATO INDIETRO! MAI! AVREI POTUTO FARLO PARECCHIE VOLTE, MA HO SEMPRE FATTO QUELLO CHE DOVEVO FARE! E ADESSO, QUANDO L'UNICO MIO DESIDERIO E' QUELLO DI POTER VIVERE IN PACE CON LA DONNA CHE AMO, QUANDO L'UNICA COSA CHE VOGLIO E' LA STESSA DI MILIARDI DI PERSONE, QUESTA MI VIENE NEGATA!! E ALLORA SA COSA LE DICO? CHE SIA MALEDETTO! CHE SIA MALEDETTO LEI, IO, L'UNIVERSO INTERO E GLI DEI! CHE QUEI LURIDI FIGLI DI PUTTANA BRUCINO TRA LE FIAMME DELL'INFERNO! CHE POSSANO SOFFOCARE CON LA LORO STESSA MERDA! CHE MUOIANO! CHE MUOIANO TUTTI!!!!”

Quando la stanza fu totalmente distrutta, Crilin si fermò di colpo. Il terrestre rimase fermo ed ansante in mezzo alle rovine di quella che era stata, fino a cinque minuti prima, la cucina della Kame House. Solo allora, quando ormai il piccolo guerriero era rimasto senza fiato, Muten parlò.

“Ti senti meglio? Pensi che distruggendo tutto il tuo dolore passerà?”

Sentendo quelle parole, l'umano perse il controllo di se stesso. Con un urlo disumano, infatti, Crilin si avventò contro suo maestro. L'uomo afferrò l'anziano guerriero per il colletto della maglia e se lo portò ad un centimetro dal suo volto.

“E ALLORA COSA DEVO FARE?! COSA CAZZO DEVO FARE?! ME LO DICA!!!”

Muten rimase immobile per un minuto intero. I suoi saggi occhi si incrociarono con quelli folli del suo allievo. Poi, lentamente, l'anziano maestro accarezzò dolcemente la guancia sinistra del terrestre.

“Crilin...basta con la disperazione e l'odio. Non capisci che esse ti porteranno solo verso il baratro della follia?”

Davanti a quelle parole, il piccolo guerriero sembrò folgorato. Per qualche secondo rimase immobile. Poi, improvvisamente, scoppiò in un pianto disperato.

“Non lo so Maestro...non lo so...io non so più niente ormai, niente!” disperato, Crilin affondò la faccia contro il petto del suo adorato maestro cercando, in quel dolce calore, la risposta al suo dolore ed alla sua disperazione.

 

“Mi dispiace infinitamente per aver distrutto la sua cucina Maestro.” borbottò il terrestre imbarazzato.

“Oh, non importa!” fece Muten con tono noncurante. “Non mi era mai piaciuto quel modello. Mi hai dato l'occasione giusta per prenderne una nuova.”

Crilin fece un sorriso amaro. Il piccolo guerriero apprezzò molto il tentativo di minimizzare la gravità delle sue azioni da parte del suo maestro.

Erano seduti sulle uniche due sedie che erano scampate alla furia del terrestre. Il piccolo guerriero era lucidissimo. Ogni traccia del disgustoso stato in cui Muten l'aveva trovato era sparito. Sembrava che piangere avesse avuto l'effetto di schiarirgli la mente ed il cuore.

Crilin era profondamente imbarazzato per quello che aveva commesso. Il terrestre teneva lo sguardo basso, incapace di guardare in faccia il suo maestro. Tuttavia, con suo immenso sollievo, fu quest'ultimo a tirare fuori la questione.

“Come ti senti?”

“Malissimo.” rispose, con un borbottio, il guerriero più giovane.

Le labbra di Muten, nascoste dalla folta barba bianca, si incurvarono in un flebile sorriso. L'anziano maestro si chinò e prese da terra una scheggia di vetro cominciando ad osservarla. Quest'ultima possedeva una forma che ricordava vagamente la punta di una lancia. Aveva dei bordi seghettati ed irregolari che donavano, all'oggetto, un aspetto vagamente irregolare. Muten la osservò a lungo. Poi, lentamente, ricominciò a parlare.

“Sai Crilin, fino a ieri io ho sempre pensato che, nonostante fossi mio allievo da quando eri un ragazzino, tu non avessi preso niente del mio carattere.” quelle parole fecero alzare lo sguardo a Crilin che, incuriosito dalle strane ed emblematiche parole dell'anziano guerriero, posò i suoi occhi scuri sulla figura tranquilla di Muten che, con voce pacata, continuò a parlare.

“Invece tu stasera hai fatto esattamente quello che io, quando avevo la tua età, ho sempre desiderato poter fare: urlare con tutta la mia forza che il mondo è ingiusto e che non ha senso sacrificarsi continuamente per esso.” l'anziano maestro fece cadere, con lentezza, la scheggia dalle sue mani. Quest'ultima andò ad infrangersi sul pavimento, facendo risuonare, nella silenziosa casetta, una debole nota argentina.

“Ma vedi, devi capire che urlare e distruggere tutto non ti servirà a risolvere i tuoi problemi. Lo so che per te, in questo momento, è difficile da capire, ma l'unico modo che hai per risolvere i tuoi problemi è innanzitutto mantenere la calma. Tu hai avuto una vita dura e difficile Crilin. Una vita povera di soddisfazioni, ma non sei l'unico a questo mondo che soffre. Devi capire che tu non sei tu l'eccezione, ma Goku. Tu sei, purtroppo per l'umanità, la regola.”

Il terrestre accolse silenziosamente quelle parole. In cuor suo, il piccolo guerriero sapeva che il suo maestro aveva ragione. Aveva sbagliato a farsi trasportare dall'ira e dalla rabbia.

Sospirò. Radunò tutto il suo sangue freddo mentre, dentro di lui, esaminava ed osservava con estrema lentezza tutti i mezzi a sua disposizione per risolvere il suo problema.

“Pensa Crilin, pensa! Deve esserci una soluzione, un...un rimedio, un qualcosa!”

Ma nulla. Dopo aver esaminato a lungo ogni aspetto della questione, con calma e sangue freddo come gli aveva consigliato Muten, il terrestre si ritrovò ancora a mani vuote. Incapace di sopportare ancora quella situazione, il piccolo guerriero si alzò di scatto, dirigendosi successivamente verso la porta.

“Dove vai?” gli domandò Muten.

Crilin si fermò sulla soglia della cucina. Il terrestre stava fissando il pavimento mentre serrava i pugni in maniera così violenta che si conficcò le unghie nei palmi delle mani.

“A cercare una risposta.” dichiarò con un ringhio.

E detto questo, il piccolo guerriero uscì dalla stanza.

 

Silenzio. C'era silenzio. Un silenzio denso e pesante. Un silenzio carico di odio, dolore e rabbia. Un silenzio che veniva ancora più enfatizzato dall'aria pesante e dall'odore di sudore e sangue che impregnavano la stanza.

All'improvviso, il silenzio fu rotto dal sibilo di un pugno che fendeva l'aria. Successivamente, ne seguì un altro.

E un altro.

E un altro.

Vegeta si stava impegnando al massimo nei suoi allenamenti. Il sudore scorreva a fiotti dai pori della sua pelle. Ricoprendo il suo corpo mascolino sotto una patina scintillante che gli appiccicava la battle-suit alla pelle. I muscoli del principe dei saiyan erano gonfi e tesi dallo sforzo. Grosse vene risaltavano sulle spalle del guerriero mentre i crampi tormentavano senza tregua lo stoico principe.

Ad un tratto, il braccio del guerriero ebbe un cedimento, rendendo il movimento, fin lì preciso, fluido e letale, goffo e scoordinato. Vegeta digrignò i denti dalla rabbia. Il suo fisico non poteva abbandonarlo in quel modo, non poteva, maledizione!

Vegeta ignorò il segno di cedimento che il suo corpo aveva avuto, continuando, imperterrito, ad allenarsi con la massima intensità possibile. La gravita a cui si stava sottoponendo era circa settecento volte superiore a quella terrestre e ciò richiedeva, da parte del suo fisico, un sforzo continuo e sovrumano.

Tuttavia, quando anche il polpaccio destro lo tradì, non riuscì a trattenere la propria irritazione per quel contrattempo.

“Merda!” ringhiò a fior di labbra. Anche se la sua mente era ancora assetata di sudore, sangue ed allenamento, il suo corpo era allo stremo delle forze. Borbottando imprecazioni nella sua lingua natia, Vegeta andò ad abbassare la gravità al livello di quella del pianeta Terra. Successivamente, senza smettere di ringhiare, il saiyan uscì dalla Gravity Room per andare a farsi una doccia.

Durante il tragitto nei corridoio deserti della Capsule Corporation, il principe tentò in tutti i modi di trattenersi, di controllarsi. Strinse i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi della mani, digrignò i denti serrando la mascella, contrasse, nonostante il durissimo allenamento appena svolto, tutti i muscoli del corpo in un unico, feroce tentativo di controllare la propria mente e le proprie emozioni.

“Non ora, luride figlie di puttana! Non ora! Non osate! Non dovete osare!” pensò con la forza della disperazione mentre l'unico rumore che avvertiva era quello ovattato dei suoi stivali sul pavimento della casa.

Tuttavia, quando fu sotto il getto d'acqua calda della doccia, le due immagini che da più di un anno lo tormentavano, riuscirono a prendere il controllo della sua mente.

 

Kakaroth che, sorridente come sempre, gli salvava la vita.

 

Trunks, suo figlio, quel ragazzo che aveva sempre voluto conoscere suo padre che, agonizzante, sputava un fiotto di sangue nero come la morte prima di esalare l'ultimo respiro.

 

Vegeta chiuse gli occhi. Assaporò il getto di acqua calda mentre, dentro di lui, ribolliva ciò che rimaneva del suo orgoglio.

Certe volte, durante la notte, si svegliava di soprassalto vedendosi davanti suo figlio e Kakaroth. Allora, incapace di trovare di nuovo quiete, il principe usciva dalla Capsule Corporation e vagava a zonzo per la Città dell'Ovest per il resto della notte.

Vegeta non riusciva a darsi pace. Qual era ormai il suo scopo nella vita? Era arrivato ad un punto morto. Tutto ciò che aveva sempre sognato fin da quando era un ragazzino si era avverato. La morte di Freezer, diventare un super saiyan, diventare libero di poter decidere il proprio destino. Ci era riuscito. Aveva realizzato tutti i suoi sogni e raggiunto tutti gli obbiettivi che si era posto molti anni prima.

Eppure, ora che li aveva completati, non era felice. Non si sentiva soddisfatto e realizzato come aveva sempre pensato che sarebbe stato. Anzi, si sentiva grigio e vuoto. Privo di un nuovo scopo.

Il principe dei saiyan strinse i pugni con rabbia mentre una collera cieca affiorava violentemente dentro di lui. Kakaroth! Era tutta colpa di Kakaroth! Da quando aveva conosciuto quell'infimo saiyan di terza classe, la sua vita era stata solamente un fallimento dietro l'altro.

Digrignò i denti. Era stanco. Stanco di quella situazione. Quella vita non era quella che aveva sempre sognato. Si era ridotto a fare da marito ad una misera terrestre e la cosa, francamente, lo irritava moltissimo. Eppure, nonostante tutto, nonostante il suo orgoglio, o meglio ciò che ne restava, gli urlasse che quella non era la vita del grande Vegeta, lui rimaneva là. A sfinirsi in allenamenti inutili e disumani. Per provare a superare un rivale che non c'era più.

Uscì dalla doccia. Si allacciò un asciugamano alla vita mentre, noncurante dell'ora tarda, uscì dal bagno infischiandosene di non provocare rumore. Se anche quel moccioso si fosse svegliato, ci avrebbe pensato sua madre. Lui non aveva tempo da perdere con quel moccioso petulante di suo figlio.

Suo figlio. Probabilmente era iniziato tutto con l'arrivo di quello sporco mezzosangue dal futuro. Era stato in quel momento che aveva deciso di rimanere a vivere da Bulma. Non aveva potuto tollerare che ci fossero due super saiyan in circolazione. Diventarlo non era più un sogno, era una questione di principio. E Bulma, con il suo intelletto, lo poteva aiutare.

Dal vivere sotto lo stesso tetto e condividere il letto di notte il passo era stato breve. La scienziata infatti, noncurante del fatto di avere un saiyan in astinenza sotto il suo tetto, aveva continuato a litigare con lui ed a vestirsi in maniera provocante. Finché Vegeta, stufo di quella situazione, se l'era scopata di forza. Un gesto che Bulma, dopo la rabbia e lo stupore iniziale, aveva accettato.

E lì, proprio quando Vegeta era convinto di aver vinto, in realtà aveva cominciato a distruggersi da solo.

Bulma era diventata una droga per lui. Per quanto si sforzasse, per quanto cercasse di vederla sempre e solo come un oggetto per soddisfare le sue voglie, il principe non aveva potuto fare a meno di cominciare vedere la scienziata come una cosa di sua proprietà. Era diventato geloso, possessivo, ossessionato da lei. Da una donna. Una donna che aveva cominciato ad amarlo con passione sempre crescente.

E poi era arrivato lui, Trunks. Quel figlio assolutamente non voluto che era entrato, nonostante avesse cercato in ogni modo di impedire a Bulma di farlo, prepotentemente nella sua vita. Era diventato padre, padre di un figlio che nelle sue vene, per metà, scorreva il sangue di una delle razza che odiava e disprezzava di più in assoluto.

Mentre si asciugava e si rivestiva con degli abiti puliti, il principe continuò a pensare a cosa fare. Cosa gli rimaneva da fare? Rimanere per allenarsi? E per cosa? Quale motivo lo spingeva a sfinirsi ogni giorno in quella stanza gravitazionale? Ma anche se non avesse voluto rimanere sulla Terra, che cosa fare? Dove andare? Freezer era morto, il suo impero si era dissolto, tutto quello che lo legava alla sua vecchia vita da mercenario era sparito. Cosa gli rimaneva?

Domande, domande ed ancora domande che gli riempivano la mente di dubbi e il cuore di rabbia.

Mentre si preparava, seppur controvoglia, ad andare a letto, per cercare di accantonare per qualche ora i suoi problemi, il saiyan sentì, all'improvviso, un'aura familiare. Appena la percepì, la sua irritazione crebbe a dismisura.

“E questo cosa diavolo vuole?!” pensò digrignando i denti.

Il guerriero rimase immobile mentre sentiva avvicinarsi, a passi tranquilli, l'indesiderato visitatore.

“Che cosa vuoi?” domandò rimanendo impassibile. Immediatamente, i passi dell'altro cessarono.

“Sapevo che ti avrei trovato ancora in piedi.”

“Senti, se stai cercando Bulma dovrai aspettare domani. Ora sparisci.” dichiarò cominciando ad allontanarsi.

Tuttavia, dopo aver percorso appena due passi, il saiyan si ritrovò davanti l'altro. Davanti a quella mossa, l'irritazione del principe crebbe ancora di più.

“Vuoi morire?” domandò con un ringhio di pura collera. Non aveva nessuna intenzione di sopportare un solo secondo di più quell'infimo individuo.

“Non credere di farmi paura. In quest'ultimo periodo, sono passato attraverso esperienze molto peggiori della morte. Non la temo.”

“Tsk! Fa un po' come ti pare! Io non ho tempo da perdere con te!” dichiarò il guerriero superando il visitatore.

“Vegeta...ti prego aspetta. Io ho bisogno di parlarti.”

Il saiyan si fermò un attimo. L'aveva supplicato. Non si sarebbe mai aspettato che uno come lui lo supplicasse. Rimase immobile per alcuni secondi. Secondi che passarono lenti e densi di dubbi per entrambi i guerrieri. Alla fine, con un ringhio di esasperazione, Vegeta si diresse verso l'uscita della Capsule Corporation.

“Tsk! Se devi proprio disturbarmi fallo fuori di qui! E soprattutto fallo in fretta!”

Crilin sorrise. Un sorriso che sembrò ringiovanirlo di parecchi anni. Era sicuro che Vegeta lo avrebbe aiutato.

 

“Allora?! Che cosa vuoi?!”

Crilin buttò la testa indietro, osservando le fredde e pallide stelle bucare lo spesso manto della notte. Per un attimo, il terrestre assaporò i rumori, pieni di vita, che lo circondavano. Tuttavia, Vegeta lo riportò bruscamente alla realtà.

“Beh?! Ti vuoi decidere a dirmi perché mi hai portato qui?!”

Erano seduto ad un tavolino all'aperto di uno dei tanti bar notturni che affollavano la Città dell'Ovest. Era appena mezzanotte, e la metropoli brulicava di gente, specialmente giovani, che volevano godersi i piaceri notturni che la città offriva loro.

Il terrestre osservò, con una punta di divertimento, che il saiyan sembrava a disagio in mezzo a tutta quella folla. Si guardava spesso intorno con un'espressione di irritazione stampata sul volto, mentre dalle sue labbra uscivano fioche imprecazioni borbottate nella sua lingua natia.

“Non sembri molto a tuo agio qui in mezzo alla gente.”

“Tsk! Figurati! Sai quello che mi importa di questi moscerini!” dichiarò con fare sprezzante il principe. “Comunque ti conviene parlare in fretta. Sai, la tentazione di farti fuori non mi è ancora passata.” concluse il guerriero con un ghigno feroce stampato sulle sue labbra sottili.

Crilin continuò a sorridere tranquillamente. Non sapeva spiegarsene il motivo, ma la vicinanza con Vegeta lo tranquillizzava. Il saiyan era un individuo scontroso e dal carattere irascibile, non proprio il tipo di persona ideale da frequentare, eppure, lui e Vegeta avevano una cosa in comune. Una perdita che colpiva entrambi in una maniera diversa rispetto a tutti gli altri.

Goku.

Il saiyan aveva significato, per loro due, molto più di un semplice amico e rivale. Aveva significato tutto. Per entrambi, il loro obbiettivo era stato quello di raggiungere Goku. E se Crilin poteva ammettere, in tutta onestà, che forse il suo era solo un vecchio desiderio infantile, per Vegeta, battere Goku, era stato molto più che un semplice obbiettivo. Era stata un'ossessione, una droga. Un mantra che aveva tormentato la mente del principe per cinque lunghi anni.

"Sai Vegeta, ho deciso di rivolgermi a te per un motivo semplice.” iniziò il piccolo guerriero, osservando in faccia il suo stoico compagno. I loro occhi, entrambi neri e profondi, si incrociarono trovando, con profonda sorpresa, nello sguardo dell'altro le stesse emozioni che tormentavano loro: dubbio, odio, paura, disperazione e rabbia.

“E il motivo è questo.” proseguì l'uomo con voce tranquilla. “A te non importa niente di me. Non ti importa che io viva o muoia, che sia felice o disperato. Per te, io non sono nulla.”

Vegeta accolse impassibile quelle parole. Il volto del saiyan era una maschera di granito impenetrabile, il muscoli erano rigidi e tesi, le braccia erano tenuto conserte davanti al petto. Nulla di quello che il terrestre aveva detto sembrava averlo toccato.

“Quindi, sono sicuro che tu, quando io ti domanderò qualcosa, non mi mentirai perché a te, farmi soffrire o meno, non ti cambia nulla.”

Silenzio. Vegeta continuò a rimanere impassibile mentre osservava, con occhio assente, la gente che passeggiava sui marciapiedi illuminati dalla luce artificiale dei lampioni.

“E sentiamo, quale sarebbe questa domanda così terribile?” domandò ad un tratto con tono sarcastico.

Crilin lo osservò con un'espressione strana dipinta sul volto.

“Se Bulma fosse immortale, tu vivresti lo stesso con lei come se nulla fosse?”

Davanti a quella domanda, perfino lo stoico principe non riuscì a nascondere le sue emozioni. Il guerriero inarcò il sopracciglio sinistro, mentre rivolgeva un'occhiata perplessa al terrestre. Davanti a quell'occhiata, il piccolo guerriero rimase zitto. Si limitò ad osservarsi i lacci degli stivali mentre, con ansia e timore allo stesso tempo, attendeva la risposta del saiyan.

“E' per il rottame che tu ti ostini a chiamare donna?”

Davanti a quella domanda, Crilin si sorprese di non provare rabbia od odio nei confronti di Vegeta. Ciò che provava nel suo cuore era solo una grande tristezza.

“Già, proprio lei.” dichiarò con un sorriso amaro.

Dopo aver avuto conferma dal terrestre, il principe dei saiyan non rispose subito. Vegeta indirizzò il suo bruciante sguardo in direzione delle stelle. Rimase a lungo ad osservare i lontani globi infuocati che, durante la sua vecchia vita, aveva a lungo attraversato. Erano così lontani quegli astri! Lontani...come Kakaroth. Ormai solo un'ombra della sua mente. Uno spettro indecifrabile che continuava a rodergli lo spirito come un tarlo.

“Dove sei Kakaroth? Dove sei?” pensò mentre un senso di frustrazione crescente si impadroniva della sua mente.

Sapeva già la risposta. Kakaroth era andato in un posto che lui non poteva raggiungere. Non lo avrebbe mai più rivisto. Non avrebbe più potuto affrontarlo per quella rivincita che per anni aveva desiderato con tutto sè stesso. Non avrebbe più potuto avere un rivale degno di questo nome.

Lentamente, il suo sguardo cadde sull'uomo che aveva seduto davanti a sè. Davanti alla figura di Crilin, Vegeta si domandò cosa spingeva quel misero guerriero a voler vivere a tutti i costi con un essere così vuoto come un androide. Non lo capiva. Non che gli importasse qualcosa, ma non riusciva a capire quali erano i motivi che determinavano le azioni del terrestre.

“Non ho risposte da darti. Ma se sei convinto di tenere a lei, allora dovresti goderti il tempo che il destino ti ha dato con lei.” dichiarò con voce monocorde. Subito dopo, desideroso di rimanere da solo, il principe dei saiyan si alzò e se ne andò, scomparendo in breve tempo tra la folla.

Crilin rimase immobile. I suoi occhi scuri osservarono, fino a quando non la perse di vista, la figura del principe dei saiyan. All'improvviso, la mente del terrestre fu invasa da una marea di ricordi. Gli scontri con Napa e Vegeta la prima volta che il principe era atterrato sulla Terra, l'incontro, assieme a Gohan, su Namek, la loro improbabile alleanza per sconfiggere la squadra Ginew e, successivamente, per resistere a Freezer, gli scontri con i cyborg e Cell. Ricordi di anni di scontri ed incomprensioni, di flebili alleanze e contrasti. Anni duri e difficili, anni in cui era complicato capire di chi potevi fidarti e di chi no, eppure, il terrestre si accorse, in quel momento, che Vegeta, nonostante avesse sempre detto di essere un tipo senza alcuna morale, raramente gli aveva traditi, forse solo durante lo scontro con Cell, ma per il resto, dopo il loro primo scontro, Vegeta era sempre stato un valido alleato. Un guerriero su cui, anche se a malincuore, Crilin e i suoi compagni avevano potuto contare.

“Vegeta...” pensò con un moto di affetto per il burbero, e scontroso, principe dei saiyan. “Grazie di cuore. Per tutto.”

Successivamente, il piccolo guerriero si alzò. Si mischiò tra la folla, dirigendosi nella direzione opposta rispetto a quella presa dal padre di Trunks. Forse, anzi probabilmente, non aveva risolto i suoi problemi. Eppure, per qualche motivo a lui sconosciuto, l'uomo si sentiva più motivato. Era convinto che sarebbe riuscito a superare anche quella prova.

“Muten aveva ragione.” pensò con un sorriso. “Basta con la disperazione! È tempo che io reagisca!”

E, rinvigorito da questo incoraggiante pensiero, il terrestre si mischiò tra la folla notturna.

 

Camminava tra le strade deserte della notte. I suoi passi erano pesanti e rumorosi. Un rumore che gli sembrava lo scandire di tutto il tempo che stava buttando via in inutili e stupidi pensieri.

Era da più di due ore che Vegeta camminava, senza meta, per le strade della metropoli. Mani in tasca, e sguardo truce, il principe dei sayan aveva pensato a lungo a cosa fare. Arrivando alla conclusione che non poteva permettersi di rimuginare all'infinito su quei problemi.

All'improvviso, il guerriero si ritrovò davanti alla maestosa costruzione della Capsule Corporation. Davanti a quell'edificio, che doveva ammettere che era diventato la sua nuova casa, Vegeta, nonostante tutto quello che si era detto, rimase a pensare a lungo.

Penso alla sua vecchia vita da mercenario, pensò a Kakaroth, pensò a tutte le volte che era stato sconfitto in quei ultimi tempi.

Una grande rabbia prese corpo dentro di lui. Una rabbia feroce e letale. Una furia antica come la sua razza. Una collera che un giorno, e di questo ne era sicuro, avrebbe sfogato contro il suo rivale di sempre. L'essere che odiava con tutto se stesso.

“Kakaroth!” pensò con rabbia, mentre digrignava i denti e si conficcava le unghie nei palmi delle mani. “Ti conviene allenarti a dovere nell'aldilà! Perché io un giorno ti affronterò di nuovo! E quando arriverà quel giorno, assaggerai di nuovo la morte per mano mia!”

Sì, ne era certo. Un giorno avrebbe avuto la sua vendetta. Fino a quel giorno, che tutti pensassero pure che era cambiato, che era diventato un debole padre di famiglia. Lui avrebbe pazientato.

Perché, quando il giorno della sua vendetta sarebbe arrivato, l'universo intero sarebbe annegato in un bagno di sangue.

E lui ne avrebbe gioito.

 

CONTINUA

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Capitolo 21
*** Io sono te ***


Bene bene, rieccomi qui con un nuovo capitolo. Dunque visto il fatto che non mi hanno ammesso alla maturità perché non avevo con il sei fisica che è in seconda prova (ma hanno ammesso un mio compagno che aveva 4 in italiano ed inglese -.-) ho avuto più tempo per scrivere. Questo sarà, probabilmente, un capitolo più cupo, causato dal mio pessimo umore, con momenti anche forse un po' forti e scritto in una maniera leggermente diversa dal solito (avevo voglia di sperimentare xD). Spero che vi possa piacere comunque.

Riguardo le altre storie ci sto lavorando, ma ho preferito andare avanti con questa per chiudere un pezzo importante di questa long. Spero che mi perdonerete il ritardo.

Buona lettura!

 

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Capitolo 21

 

Che cos'è la vita?

La vita è la gioia di vivere.

La vita è luce.

La vita ti permette di vedere, assaporare e provare un infinità di emozioni, suoni, esperienze.

La vita è dunque la fonte della felicità?

No, sono tutte stronzate.

La vita è solo un cammino buio e carico di amarezza e dolore.

 

La sera era tranquilla. Una bellissima notte di fine estate carica di rumori ed odori tipici di quel periodo. Il frinire dei grilli era un delicato rumore di sottofondo che placava l'animo più turbolento. Il vento, carico di odori di una stagione ormai finita, sussurrava dolci parole tra gli alberi. Parole gentili e sagge che gli uomini non erano più in grado di capire.

In questo silenzio, in questa quiete così profonda, all'improvviso, si udì un rumore.

Il grido di rabbia di una donna.

C18 sfogò la propria collera urlando a squarciagola e prendendo a pugni ogni albero che si trovava davanti a lei. I suoi pugni, all'apparenza così delicati e piccoli, si conficcavano con profondità all'interno del tronco, creando una ferita che la pianta si sarebbe portata dietro fino alla fine dei suoi lunghi e pacifici giorni.

Erano ore che se ne era andata dalla Kame House e C18 era fuori di sé. Non sapeva dov'era, che ore erano, l'androide non avrebbe saputo dire se erano passate solo poche ore oppure una settimana da quando aveva urlato tutta la sua collera e la sua frustrazione contro Crilin. Tutto quello che la bionda sapeva era che provava un odio profondo contro tutto e tutti. Un odio immenso e bruciante che le divorava il cuore e la mente. Un sentimento così profondo e genuino che quasi era contenta di provarlo. Erano anni che non si sentiva così viva, così furiosa, così terribilmente umana.

Ad un tratto, resa ceca dalla sua collera, la cyborg conficcò un pugno troppo in profondità. Tentò diverse volte, irritandosi sempre di più, di liberarsi, ma il legno del tronco non voleva saperne di cedere alla sua pressione. Alla fine, con un urlo bestiale, la bionda perse totalmente il controllo di se. L'androide creò un enorme sfera di energia viola che formò un cratere di proporzioni immense. Ogni forma di vita, ad eccezione di lei, era stata spazzata via dalla sua immensa collera.

Con il respiro affannoso, C18 si guardò le mani. I suoi occhi cerulei osservarono ciò che aveva in mano.

Cenere. Grigia e soffice cenere le imbrattavano le bianche mani. Cenere che prima era stata una materia pulsante di vita. L'ennesimo, inutile omicidio che aveva commesso con le sue mani sporche di sangue.

Strinse i pugni con rabbia, facendo cadere a terra i resti di quello che era stato un bellissimo e maestoso albero. Non l'aveva deciso lei. Non l'aveva voluto lei tutto questo. Non aveva deciso lei di diventare un omicida, uno sterminatore di anime, un demonio assetato di sangue.

Si conficcò le unghie nei palmi della mani, assaporando quel dolce dolore che proveniva da quel gesto, quasi sperando di poter, in quel modo, pagare per le sue colpe.

“Non l'ho deciso io tutto questo.” dichiarò rivolta al nulla. “NON L'HO DECISO IO!!”

A poco a poco, l'eco della sua voce si affievolì, fino a scomparire del tutto. Poi, dopo, ci fu solo il vento che accarezzava la terra arsa e brulla.

E lei era lì. Sola, immortale, incapace di poter accettare quella condizione che le impediva di poter almeno fingere di essere una persona.

 

Cosa spinge le persone a vivere?

Cosa spinge una persona a scappare dalla morte?

La paura. La paura dell'ignoto. Il terrore di dover affrontare qualcosa di peggiore.

Ma per chi la morte l'ha vissuta, sa che è molto meglio della vita.

Eppure, anche per costoro che non la temono, arriverà il giorno in cui vorranno continuare a vivere.

 

Osservava una giovane madre che, nonostante fosse stanca dalla lunga giornata di lavoro, cercava di far addormentare il suo bambino che piangeva a squarciagola in collo a lei..

No, non fare così tesoro. Dai chiudi gli occhietti amore mio, chiudi gli occhietti...” la donna, una bella mora sui trent'anni, cominciò, per cercare di calmare suo figlio, a cantare una dolce ninna-nanna. Una lenta melodia che si sparse con dolcezza nelle vicinanze.

C18 osservava, stringendosi le ginocchia al petto, la giovane madre da un albero poco distante da quest'ultima. Grazie al suo sviluppatissimo udito di cyborg, all'androide sembrava che la donna stesse cantando al suo fianco. Era una melodia che non conosceva ma che, stranamente, la tranquillizzava.

La odiò per questo.

Odiava quella donna perché avrebbe potuto invecchiare come chiunque, vedere la crescita del suo bambino. Ricordare, con un filo di tristezza, i momenti che stava vivendo in quel preciso istante. Quando suo figlio sarebbe diventato un uomo e lei un'anziana donna che aspetta solo la visita della morte.

Ma lei no. Lei non avrebbe avuto quel dono. Lei non avrebbe potuto invecchiare. Lei sarebbe rimasta sempre giovane, sempre perfetta, sempre affascinante, sempre seducente, sempre fertile. Sarebbe rimasta una giovane donna maturata da poco per sempre, anche quando suo figlio sarebbe diventato un vecchio alla fine dei suoi anni.

Che razza di essere era? Quale persona avrebbe potuto accettare di avere una madre così?

Sono un mostro.” pensò con un filo di tristezza. Era da tempo che non pensava più a cosa significava di preciso essere un androide. A Crilin non era mai importato nulla di tutto ciò. Per il terrestre, lei era sempre stata una giovane donna con un passato terribile alle spalle.

Le labbra di C18 si piegarono in un sorriso amaro nel ricordare le parole che le diceva sempre il piccolo guerriero.

 

Non mi pare proprio che tu sei un robot. Io non vedo acciaio, circuiti o freddi specchi. Quello che io vedo e sento sono dolce carne calda, bollente sangue e profondi occhi azzurri.”

 

Prese il gioiello che lui gli aveva donato qualche mese fa. Lo osservò e lo soppesò a lungo, ricordando tutti i momenti passati insieme.

Stupido.” pensò con profonda amarezza. “Sei solo uno stupido.”

Strinse forte la mano fino a quando non sentì la pietra frantumarsi. A quel punto, l'aprì. Permettendo al vento di portare via ciò che restava del piccolo oggetto.

Sotto un certo aspetto, quella situazione era buffa. Lei, che per anni aveva disprezzato gli umani considerandoli solamente degli esseri inferiori, adesso li invidiava con tutta se stessa.

La giovane madre stava ancora cercando di far addormentare il suo bambino. Incapace di sopportare un secondo di più quella visione, C18 contrasse i muscoli delle cosce e fece un silenzioso balzo nelle tenebre. Passò davanti alla donna come una silenziosa ombra. Una tenebra nella tenebra. Uno spettro che popola gli incubi più nascosti della sua razza.

Dopo poco tempo, la bionda non riuscì più a sentire il dolce e lento canto della madre. Il suo turbamento, tuttavia, durò molto più tempo.

 

Si può arrivare a desiderare la morte?

Si può odiare la vita?

Ovviamente sì, tante persone lo fanno. Gente che non ha più nulla in cui credere, o che non vuole più avere a che fare con questa esistenza.

Ma cosa li spinge a questo gesto estremo? Convinzioni? Certezze?

Solo una.

Che, qualunque cosa ci sia dopo la vita, per quanto possa essere dolorosa o terribile, vale la pena di provare a vedere cos'è.

 

Cos'era lei?

Un mostro? Un robot? Un demone?

Cosa diavolo era lei? Quale mostruosa creatura era diventata contro la sua volontà?

Non lo sapeva. Da tempo aveva smesso di capire, di comprendere il suo corpo, quell'involucro all'apparenza indistruttibile in cui le sembrava di essere una perfetta estranea.

La cyborg osservava, senza in realtà vederli veramente, un gruppo di giovani che chiacchieravano allegramente seduti ad un tavolino all'aperto di un bar. Sembravano felici, rilassati, privi di qualunque preoccupazione.

C18 passò molto tempo ad osservarli. Il suo volto era impassibile, ma nei suoi occhi cerulei si poteva leggere un fortissimo disgusto.

No, lei non era più un'umana. Non aveva niente da condividere con quegli esseri così frivoli e rilassati. Lei era diversa, era una creatura totalmente diversa. Un ibrido che solo una mente malata come quella del Dottor Gero aveva potuto immaginare.

Ma allora lei cos'era? Come diavolo le restava da fare in quella vita maledetta?

Possibile che non esistesse più niente per lei? Possibile che, ora che Goku era morto, l'unico suo compito era quello di disattivarsi?

Rimase terrorizzata alla sua prima reazione per quel pensiero.

Un tempo l'idea di spegnersi non l'avrebbe mai e poi mai contemplata, ma adesso le cose erano cambiate. Quel pensiero non la disgustava più come un tempo.

Già...spegnersi. Dire addio a tutto. Dire basta una volta per tutte a quel destino maledetto. Smetterla di illudersi, smetterla con le speranze, smetterla con tutto.

Era allettante.

Eppure, una piccola parte di lei, non era del tutto sicura che quella fosse veramente la cosa giusta da fare. Infatti, nel profondo di se, l'androide non voleva smettere con quella vita. Non voleva abbandonarla.

La bionda sbuffò irritata. Perché non riusciva a prendere una decisione definitiva? Cosa le era accaduto? Che fine aveva fatto la C18 che decideva senza indugio, senza mai avere un rimorso o un ripensamento?

Forse non riusciva a prendere una decisione perché continuava ad illudersi. Perché, in fondo, lei ci credeva ancora nella possibilità di vivere una vita normale.

Un sogno? Una follia? Una pia illusione?

Oppure una speranza concreta?

 

Silenzio. C'era un silenzio di morte. Un vento freddo sibilava silenziosamente tra le rovine e le macerie degli edifici. Le sue fredde dita artigliavano la sua pelle, facendola rabbrividire dal freddo.

C18 si guardò intorno perplessa. Non capiva. Come ci era arrivata lei in quel posto? Il luogo le era vagamente famigliare ma, per qualche oscura ragione, non riusciva a ricordarsi quando di preciso aveva visitato quei luoghi.

Perplessa, ma non preoccupata, la cyborg cominciò ad incamminarsi lentamente per le vie deserte della cittadina. Più andava avanti, più i suoi occhi cerulei notavano come gli edifici fossero stati vittima di una potenza fuori dal comune. Il vento si intrufolava tra le brecce e le crepe degli edifici, eppure, per qualche ignoto motivo, la città era preda del silenzio più totale. Un silenzio irrealistico. Persino i suoi passi sul selciato spaccato erano insonorizzati.

Più si inoltrava tra le rovine della metropoli, più C18 notava con quanta furia e ferocia era stata distrutta. Era stata una furia ceca e terribile quella che si era abbattuta sulla metropoli. Una furia sconosciuta al genere umano. Eppure, per qualche motivo, quel luogo, quella distruzione, quella ferocia non le erano del tutto sconosciute. Le aveva già viste ed incontrate nel suo passato. Dove e quando però, erano enigmi a cui non sapeva ancora dare una risposta.

Ad un tratto, la bionda si bloccò di colpo. Il suo viso rimase impassibile, ma l'androide tese tutti i sensi e i muscoli all'istante.

Davanti a lei si trovavano uno stuolo di cadaveri. Uomini, donne, vecchi e bambini. Una moltitudine di corpi sfregiati e mutilati. Ovunque volgesse il suo sguardo, vedeva solamente espressioni di dolore e di indicibile sofferenza. In quel momento, davanti a quei corpi ormai privi di vita, la bionda capì.

Sapeva perché si ricordava di quel posto.

Sapeva perché tutta quella furia non le era sconosciuta.

Perché quel massacro, quella furia distruttrice, l'aveva generata lei.

Le sue labbra sottili andarono ad incurvarsi in un sorriso amaro.

Era questo dunque? Era questo che doveva vedere? Le sue vittime? Doveva ripetere l'esperienza di rivedere coloro che aveva ucciso?

Continuò ad avanzare tra le pile di cadaveri, incurante della morte che la circondava. Il sorriso amaro sempre sulle labbra. Tuttavia, con il passare dei minuti, il sorriso sparì, lasciando spazio ad un'espressione nervosa. C'era qualcosa di strano, di anormale in quel luogo. Primo fra tutti la totale assenza di odori e rumori. C18 non riusciva, nonostante i suoi sensi sviluppatissimi, a percepire il mino odore o rumore tipico di un luogo dove si è appena compiuta una strage. Non sentiva l'odore metallico del sangue, né quello dolciastro della carne in decomposizione, non riusciva a sentire il rumore dei vermi che si scavavano una strada all'interno dei cadaveri. Non udiva nulla. Solo un inquietante silenzio.

Ad un tratto, la cyborg vide un corpo infilzato su un sostegno d'acciaio sporgente di un edificio. Guardandosi attorno, C18 comprese di essersi addentrata, senza rendersene conto, in una grande piazza. Quest'ultima aveva una forma quadrata, con nicchie vuote agli angoli dove, probabilmente, erano state occupate in passato da delle statue. Il selciato era spaccato e rotto in più punti, ma le pietre che lo componevano erano piccole tessere di un mosaico che raffigurava una scena confusa, quasi impossibile da capire visto il fatto che molte tessere erano state distrutte dalla forza che aveva colpito quella città.

Perplessa, l'androide alzò le iridi chiare verso l'alto, riprendendo a fissare la figura appesa al sostegno. Avendo il sole negli occhi, la bionda non riusciva a vederne il volto. Tuttavia, all'improvviso, una nuvola coprì l'astro, permettendole di vedere in faccia l'ennesimo cadavere.

Rimase pietrificata.

Non poteva essere vero.

Non poteva essere lui.

Lei non poteva averlo ucciso.

Rimase immobile, con gli occhi spalancati verso il vuoto mentre le sue mani tremavano dall'orrore e dal terrore.

Sangue scuro gocciolava dal corpo senza vita di Crilin, formando un'orrenda pozza sotto il suo suo corpo. I suoi occhi scuri erano vuoti, sulla sua faccia c'era dipinta un'espressione di dolore terribile. Doveva aver sofferto molto prima di essere finito.

No...” sussurrò la bionda. Era attonita. Come aveva potuto ucciderlo? Come aveva potuto ripagarlo in quel modo da tutto quello che lui aveva fatto per lei?

Un lacrima scese dal suo occhio sinistro, una perla liquida che percorse lentamente l'ovale perfetto del suo viso, fino a raggiungere il selciato sporco di sangue.

Ad un tratto, il silenzio fu rotto da una risata. Era una risata derisoria, fredda e crudele.

Oh, poverina! La bambina ha perso il suo principe azzurro!”

C18 girò la testa alla sua sinistra. Ciò che vide la lasciò semplicemente senza fiato.

Nella zona della piazza alla sinistra della bionda, c'era una pila, alta parecchi metri, di cadaveri. Era una montagna orripilante. Un disgustoso monumento in onore di quella strage. Seduta sulla pila, c'era una donna.

Era una donna piuttosto giovane. Era alta e magra, con lucenti capelli biondi che le arrivavano fino alle spalle. Aveva due freddi occhi cerulei che, in quel momento, fissavano beffardi la figura di C18. Indossava un giubbotto di jeans, una gonna dello stesso materiale, stivali di pelle marroni, una maglietta nera con le maniche a righe e, sotto la gonna, delle calze nere. Un segno spiccava sul giubbotto della donna, un segno che C18 conosceva molto bene.

Era quello del Red Ribbon.

La donna seduta sulla pila di cadaveri rise di gusto nell'osservare l'espressione di profondo stupore che albergava nella faccia della bionda.

Cos'è, adesso non riesci neanche a riconoscermi? Eppure siamo state amiche per tanto tempo. Mi rincresce che tu non ti ricordi più di me.”

Chi diavolo sei?” sibilò tesa l'androide.

Mi domandi chi sono?” ripeté l'altra, le labbra sottili incurvate in un sorriso malvagio. “Mi deludi mia cara 18, credevo che tu ti ricordassi della tua unica amica. Mi sono sbagliata.”

Io non ho amici!” ringhiò la bionda con rabbia. “Chi sei?! Cosa cazzo hai fatto a Crilin?!”

A quella domanda, l'espressione di divertimento sparì dalla faccia della donna, sostituita da una più seria. Con un balzo, la bionda scese dall'orribile altura da cui aveva dominato la visuale fino a quel momento, atterrando proprio davanti a C18.

Vuoi sapere che cosa gli ho fatto?” domandò con voce seria la bionda. “Ho fatto quello che avresti dovuto fare tu molto tempo fa!”

Ti sbagli!” ribatté, furiosa, la cyborg. “Io non dovevo ucciderlo. Lui mi amava! Era l'unica persona che vedeva in me qualcosa di più di un semplice oggetto!”

Oh, sicuro!” fece con voce velenosa l'altra. Un sorriso di derisione era tornato ad aleggiare sul suo volto. “Che delusione! Credevo che l'esperienza con Gero ti avesse fatto capire che, per gli uomini, le donne, sono solo oggetti per soddisfare le loro voglie. Alcuni lo possono negare, altri cercano di far vedere che non è così.” Improvvisamente, l'espressione sul suo volto divenne torva. “Ma tutti gli uomini, nessuno escluso, desiderano nella donna solo il suo corpo. Perché pensi che il tuo caro Crilin ti abbia salvato? Perché pensi che abbia chiesto quel desiderio per te e per tuo fratello? Perché sei stata gentile con lui?” una risata fredda e crudele accompagnò la domanda retorica della donna. Sentendo quella risata, C18 perse il controllo.

Adesso basta!” sibilò, portando le mani davanti al petto. Immediatamente, un ki-blast violaceo si formò tra i suoi palmi. Subito dopo, la bionda lo lanciò contro la donna davanti a se che, tranquilla, lo incassò sorridendo.

Una nuvola di polvere si alzò dall'impatto tra la bionda e la sfera di energia. Pezzetti di selciato volarono in tutte le direzioni, mentre una grossa nube di polvere oscurò la visuale dell'androide per qualche minuto.

All'improvviso, quando il fumo cominciò a diradarsi, la cyborg incassò un pugno, dalla potenza devastante, all'altezza dello stomaco. Sorpresa dal colpo, alla bionda le si mozzò il fiato mentre sentiva una risata provenire vicino al suo orecchio destro.

Cosa pensavi di fare?” domandò divertita l'altra. “Adesso pensi davvero di potermi battere?”

C-chi diavolo sei tu?” domandò C18, trattenendo a stento un urlo di dolore. Neanche Cell era riuscito a farle così tanto male con un semplice pugno.

Alla domanda della cyborg, l'altra conficcò con più forza il pugno nell'addome dell'androide, causando una nuova ondata di dolore in quest'ultima.

Io sono te!” sibilò con rabbia la bionda. Subito dopo, C18 fu scagliata, a causa di un ki-blast, contro un muro di un edificio dietro di lei.

La bionda accusò il colpo. Intontita dal dolore, C18 ci mise qualche istante a comprendere dove si trovava. In quei frangenti, l'altra combattente ne approfittò bloccandole le braccia, le gambe ed il collo attraverso l'uso di alcuni cerchi energetici. L'androide tentò in tutti i modi di liberarsi ma, anche quando usò tutta la sua forza, non riuscì a romperli.

Impotente, la cyborg non poté fare altro che osservare la sua rivale avvicinarsi a lei. Fu in quei momenti che comprese come doveva apparire lei nei suoi giorni peggiori e folli. Una splendida macchina di morte. Un'assassina fredda, sadica, crudele e, soprattutto, inarrestabile.

Quando la bionda arrivò davanti alla sua prigioniera si limitò ad osservarla per qualche minuto con uno sguardo disgustato. Poi, lentamente, la schiaffeggiò, con violenza, in viso.

Mi fai schifo!” dichiarò con tono disgustato la donna. “Guardati! Guardati come sei ridotta! Tutto quello che ho fatto per noi, tutto quello che ho fatto per te, l'hai buttato via!” il suo tono di voce, da disgustato, passò ad iroso. I suoi bei lineamenti erano deformati dalla rabbia.

Chi ti ha salvato dalla pazzia nel laboratorio di Gero? Chi ti ha permesso di sopravvivere in quel buco dimenticato dagli dei? Chi ti ha dato l'opportunità di vendicarti di tutti i torti subiti? Chi ti ha dato l'occasione di diventare un essere superiore, la regina della morte, la dea della crudeltà?”

Mentre parlava, la donna cominciò ad accarezzare in volto la cyborg. Per tutta risposta quest'ultima sputò in faccia all'avversaria.

La bionda incassò il colpo sorridendo.

E adesso pure questo...” mormorò maligna. “Tu pensi di essere nel giusto, di aver imboccato la strada giusta dopo anni di tormenti, ma la verità, mia cara 18, è che di giusto a questo mondo non c'è nulla. Io ti avevo dato l'opportunità di cambiare questo mondo, di plasmarlo al tuo volere, al volere nostro e di tuo fratello. Ma tu hai scelto la strada della debolezza, preferendo essere la puttana di un misero essere inferiore, piuttosto che una crudele regina.”

A quelle parole, C18 si limitò a rispondere con un ringhio. Successivamente, l'androide sputò di nuovo contro il volto dell'altra combattente.

L'altra donna, reagì schiaffeggiandola con forza. Successivamente, essa prese il volto di C18 tra le mani.

Non ti conviene provocarmi.” sibilò. “Vedremo se avrai ancora voglia di sputarmi in faccia dopo il trattamento che ho in serbo per te.” dette queste parole, la bionda tolse i pantaloni e le mutande alla cyborg, lasciandola totalmente nuda dalla vita in giù.

Che cosa diavolo stai facendo?!” per la prima volta, C18 sembrò spaventata.

Cos'è, credevi che ti avrei picchiata? Le puttane come te non si meritano certi privilegi.” dichiarò con voce velenosa la sua avversaria. Successivamente, essa violentò, con due dita, l'intimità dell'androide. Un urlò strozzato uscì dalla gola di quest'ultima.

Vuoi essere una puttana? Eccoti accontentata!” dichiarò ridendo la sua rivale che cominciò a masturbare la bionda.

Passarono cinque minuti, cinque minuti di puro inferno per C18 che, disperata, tentò in ogni maniera di liberarsi. Tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi, l'androide non poté far altro che subire la violenza della rivale in silenzio.

Eppure, nonostante quel contatto la rivoltasse, il suo corpo reagì al tocco della sua avversaria. A poco a poco, l'eccitazione salì dentro di lei, fino a portarla ad un orgasmo incredibilmente lungo, che la lasciò senza fiato.

A quei segni, la donna rise, il riso di chi sa di aver la vittoria in pugno.

Guardate! La bella ed orgogliosa C18 che gode come una cagna sotto il tocco di colei che dovrebbe odiare di più.” avvicinò il proprio volto a quello sudato della rivale che, impotente, si limitava a guardarla con uno sguardo di puro odio. La sua avversaria sorrise davanti a quell'espressione.

E' inutile che fai quella faccia.” dichiarò con tono dolce. “Lo so che ti è piaciuto. Ammettilo. Ho la mano bagnata dei tuoi umori.”

Sei rivoltante!” urlò con tono schifato la cyborg. “Mi fai schifo! Sei solo un essere spregevole! Se c'è una puttana qui, quella sei tu!” queste parole furono accompagnate dall'ennesimo sputo in faccia.

L'altra combattente accolse la reazione di C18 con fare impassibile. Tuttavia, nei suoi freddi occhi, c'era una luce da far rabbrividire.

Come desideri.” dichiarò con voce dolce. Troppo dolce. “Non volevo arrivare a questo, ma se proprio insisti, non c'è problema.”

Nella piazza, ci furono alcuni secondi carichi di un silenzio denso e cupo.

Uccidere il tuo marmocchio ti farà abbassare la cresta.”

A quella notizia, C18 spalancò gli occhi cerulei, terrorizzata.

Non può farlo veramente.” pensò mentre sentiva la gelida morsa della paura attanagliarle il cuore.

Davanti a quell'espressione terrorizzata, le labbra sottili della donna si incurvarono in un sorriso crudele.

Sarà uno spasso vedere la tua faccia mentre farò questo lavoretto.” sussurrò divertita.

Disperata, la cyborg cercò, inutilmente, di liberarsi per l'ennesima volta.

Sempre con le labbra sottili incurvate in un sorriso crudele, la bionda violentò con due dita di nuovo l'intimità dell'androide che, a quel contatto, raddoppiò gli sforzi per liberarsi.

Rilassati.” fece con voce divertita la donna. “Non voglio mica ucciderti.”

Rise di gusto nel vedere l'espressione di puro terrore dell'altra.

Dì ciao ciao al tuo bambino.” dichiarò con un ghigno crudele stampato sul volto ad una C18 disperata e terrorizzata allo stesso tempo.

E poi arrivò.

Un dolore atroce partì dal ventre della cyborg, mandandole in tilt i circuiti. Il dolore si propagò in tutto il corpo ad una velocità pazzesca, facendole perdere il controllo di se.

Urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva. Urlò dal dolore, dalla disperazione e dalla rabbia per la sua impotenza. Un liquido caldo e denso le usciva a fiotti dalle gambe, formando una pozza scura sui suoi piedi. La bionda sapeva che era sangue.

Inarcò il collo, urlando al cielo tutto il suo dolore, mentre la sua rivale se la rideva di gusto, urlò mentre sentiva il corpo dentro di lei agitarsi per l'ultima volta, prima di spegnersi definitivamente. Subito dopo, una nuova devastante ondata di dolore la sommerse, facendole perdere i sensi.

Precipitò in un abisso rosso, con le sue urla di disperazione e la risata di derisione della sua rivale che le rimbombavano nelle orecchie.

Poi, tutto fu buio.

 

C18 si svegliò di scattò, ritrovandosi a fissare un soffitto sconosciuto totalmente bagnata di sudore. Aveva gli occhi spalancati, il respiro affannoso ed una folle paura nel petto.

Rimase immobile per qualche istante, cercando di riprendere il controllo di se stessa. Poi, all'improvviso, quando i ricordi del sogno tornarono di prepotenza, l'androide si mise, di scatto, una mano sul ventre, quasi per accertarsi che il bambino stesse bene.

Prese un profondo respiro. Aveva i nervi a fior di pelle. Era passato parecchio tempo dal suo ultimo incubo, ma quello che aveva appena vissuto era diverso da tutti gli altri. Qui il nemico non era Cell, Gero o le sue vittime o qualche altra mostruosa creatura che popolava la sua mente.

Qui il nemico era lei stessa.

Si alzò di scatto dal letto, incapace di restare un secondo di più seduta. Attraversò velocemente la squallida camera da letto di un hotel di periferia dove si era fermata quella notte, dirigendosi verso il polveroso specchio appeso ad una parete.

Si specchiò con leggero timore. Osservò la sua figura perfetta con un certo ribrezzo. Si faceva schifo. Odiava quell'eterna bellezza, quell'eterna vita che il fato le aveva costretto ad accettare. In quel momento, la bionda avrebbe volentieri preferito spegnersi che continuare con la consapevolezza di dover vivere per sempre.

Spegnersi...lasciare quella vita...decidere il proprio destino.

Spalancò i suoi occhi cerulei, mentre una nuova consapevolezza prese corpo dentro di lei. Una consapevolezza incredibile, dura ma, allo stesso tempo, dolcissima. C18 l'assaggiò con molta lentezza quell'inebriante idea che aveva appena avuto. La soluzione a tutti i suoi problemi.

All'improvviso, vide nello specchio lei, la sua rivale, il suo carnefice. La vide sorridere maligna, soddisfatta, sicura di poterla dominare.

C18 ruppe il vetro dello specchio con un pugno.

Accolse con piacere il rumore argentino del vetro frantumato. Sentiva i frammenti dello specchio attraversarla senza ferirla minimamente mentre dentro di se si sentiva piena di rabbia, collera e determinazione.

Stronza!” sibilò, socchiudendo pericolosamente gli occhi cerulei. “Ora ti faccio vedere io!”

 

CONTINUA

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Capitolo 22
*** Scelta estrema ***


Capitolo 22

Crilin osservò, con occhio attento, un branco di cervi che si stava riposando in una delle tanti vallate dei monti Paoz. Il suo obbiettivo era una giovane femmina con una ferita abbastanza grave ad una zampa. Era strano che non fosse già finita preda di qualche orso o lupo, ma per il terrestre era meglio così. Gli avrebbe risparmiato la fatica di cacciare un esemplare sano e nel pieno delle forze.

“Stai attento. Tra pochi minuti avremo il vento a sfavore, e sarà allora che dovremo colpire.” La voce di Gohan risuonò vivida e chiara dentro la sua mente.

“Sei sicuro?” rispose il piccolo guerriero usando, a sua volta, la telepatia.

“In questo periodo dell’anno, a quest’ora, il vento soffia sempre da est.”

Crilin annuì ed interruppe il contatto. Si preparò a scattare stiracchiandosi silenziosamente le gambe contratte da ore. Presto avrebbe dovuto essere il più veloce possibile. Un brivido involontario lo scosse in tutto il corpo. L’autunno era già arrivato su quelle montagne.

Era mattina presto. Il sole si stava alzando lentamente sopra le cime dei monti Paoz. Una leggera nebbiolina aleggiava ancora in alcune conche profonde che ornavano la selvaggia catena di monti, mentre il verde cupo dei boschi veniva illuminato dalla pallida luce del sole di fine settembre.

In quel momento, una leggera brezza cominciò a soffiare alle spalle di Crilin, facendo muovere il leggero strato di nebbia che aleggiava nella vallata. Immediatamente, il terrestre si preparò a scattare.

Appena la brezza arrivò ad accarezzare il manto dei cervi, quest’ultimi si agitarono. Percependo l’odore del terrestre come l’odore di un possibile pericolo, il branco scattò in piedi, pronto a scappare appena si fosse manifestato il pericolo.

“ORA!” urlò telepaticamente Gohan.

Subito dopo, Crilin scese dall’albero da dove aveva aspettato per tutto quel momento, e si diresse velocemente verso il branco. Quest’ultimo, appena ebbe notato il piccolo guerriero, scappò dalla parte opposta. La femmina che interessava ai due amici era in fondo al branco dato che, a causa della ferita, faceva fatica a reggere il ritmo dei suoi simili.

Crilin non forzò l’andatura, limitandosi a tenersi vicino al branco e a spingerli verso l’imboccatura della valle. Infatti, quando i cervi cominciarono ad emergere dal folto del bosco, Gohan uscì allo scoperto. Con una rapida mossa, il giovane si diresse verso la preda che avevano localizzato la sera precedente e la immobilizzò, senza sforzo apparente, con le braccia.

Terrorizzata, la giovane femmina tentò di liberarsi con tutte le proprie forze dalla presa del ragazzo, fallendo ogni volta. Dal canto suo Gohan, una volta aver bloccato l’animale con il braccio sinistro, prese con l’altra mano il collo dell’animale e lo ruppe con uno schiocco secco. Quasi subito l'animale smise di lamentarsi e di agitarsi, mentre la vita fuggiva velocemente dai suoi scuri occhi liquidi.

Solo allora Crilin raggiunse l’amico. Nonostante anche lui da giovane aveva cacciato spesso per sopravvivere, negli ultimi anni, forse anche perché era stato viziato da quel punto di vista, non provava più gusto ad uccidere gli animali di mano propria. Non criticava le persone che lo facevano per sopravvivere. Solo che, ora che aveva una casa dove abitare, non si sentiva più giustificato a macchiarsi le mani con il sangue di quegli animali.

“Sempre così veloce ad ucciderli? Scommetto che è stato tuo padre a suggerirti di rompere subito l’osso del collo per farli fuori. Lui era un vero esperto di caccia da giovane.” Dichiarò il terrestre avvicinandosi all’amico.

“Beh…sì, è stato lui a dirmi tutto su come cacciare gli animali.” Disse il giovane saiyan mentre si caricava la carcassa sulle spalle. “Anche se, ad essere sincero, lui mi ha fatto solo delle spiegazioni teoriche. La pratica l’ho dovuta fare da solo nel deserto in cui mi aveva abbandonato Piccolo.”

“Immaginavo che fosse andata così. Goku non è mai stato un bravo maestro. Era in gamba, ma agiva quasi sempre di istinto, e non sapeva spiegarti il perché di una sua determinata azione quando cacciava. Agiva e basta.”

“Sì, lo sospettavo.”disse con tono pensieroso il ragazzo mentre cominciava ad imboccare un piccolo viottolo per uscire dalla valle.

“Torniamo a piedi, così arriviamo giusti per la colazione.” Spiegò al compagno. Crilin annuì.

Le prime miglia furono percorse in silenzio, ognuno immerso profondamente nei propri pensieri. In quel momento, per entrambi, il silenzio e la quiete erano dei balsami purificanti per le loro menti. Nel frattempo, camminando di buon passo, l’ambiente attorno a loro cambiò velocemente. Lo stretto viottolo che stavano seguendo si arrampicava sinuoso lungo il fianco occidentale della valle, rendendoli così esposti ai pallidi raggi solare. Una volta arrivati in cima, i due amici continuarono a seguire lo stesso tracciato, che deviava in maniera netta verso sud. In quella direzione, se si aguzzava lo sguardo, era possibile notare in lontananza un piccolo altopiano circondato da due irte montagne boscose. Su quel piccolo spiazzo di terreno piano sorgeva la casa che Goku aveva ereditato da suo nonno anni prima.

“Crilin.” Disse ad un tratto il giovane saiyan, rompendo la pace e il silenzio che li circondava.

“Che c’è?”

“Parlami di papà.” Disse a bruciapelo Gohan.

A quella richiesta, l’uomo volse lo sguardo verso l’amico più giovane. Il volto di Gohan era una maschera di pietra. I suoi lineamenti sembravano mostrare più anni di quelli che aveva veramente. Dopo averlo osservato in silenzio per circa un minuto, Crilin parlò di nuovo.

“Che cosa vuoi sapere? Credevo che sapessi ormai tutto di lui.”

“No, e tu sai bene che era impossibile capirlo e comprenderlo del tutto.” Rispose il ragazzo mentre si sistemava meglio il carico sulle spalle. “Però era da parecchio che volevo sapere una cosa su di lui.”

“Sentiamo.” Disse il terrestre con un sorriso.

Il saiyan non parlò subito. Continuarono a camminare in silenzio per qualche minuto, attraverso un piccolo boschetto di larici che cresceva sulle sponde di un ruscello. Quest’ultimo veniva costeggiato dal sentiero che seguivano i due amici per circa tre miglia. Successivamente, il sentiero si inerpicava verso una grossa vetta verso est, mentre il torrente continuava il suo tragitto verso sud fino a costeggiare la casa di Goku.

Fu solamente quando abbandonarono il sentiero, inerpicandosi tra le erbe secche e i rovi, che il ragazzo parlò.

“Come era da piccolo papà?”

Crilin fu leggermente sorpreso da quella domanda, ma, in fondo, se l’aspettava. Da quando suo padre era morto, Gohan aveva iniziato ad avere una morbosa curiosità sul passato di Goku, quasi volesse confrontarsi continuamente con lui. Il terrestre sapeva già cosa rispondere. Tuttavia, non era sicuro che la verità, in quel periodo tormentato della vita di Gohan, fosse la cosa migliore per il suo amico.

“Beh…è difficile rispondere con chiarezza ad una domanda del genere.” Cominciò il piccolo guerriero mentre aggirava un grosso cespuglio di rovi. “Devi capire che io, per lunghi tratti della mia giovinezza, non sono stato a contatto con tuo padre. In effetti, solo lui saprebbe dirti cosa ha fatto di preciso durante i suoi vagabondaggi in gioventù.”

Per tutta risposta, il giovane scrollò le spalle.

“Dimmi quello che sai.” Fu la sua lapidaria replica.

A quelle parole, il terrestre cominciò a riflettere seriamente sulla domanda, accarezzandosi il mento coperto da una leggera peluria. Era da un paio di giorni che non si rasava, e gli effetti visivi si erano già manifestati.

“Tuo padre era un ragazzino incredibile.” Iniziò poi con lentezza. “Era sempre in viaggio per scoprire nuovi posti, e per diventare più forte. L’unico periodo della sua giovinezza in cui non viaggiò fu quando trascorse un anno di allenamento insieme a me dal maestro Muten.”

Sentendo quel nome, Gohan ridacchiò.

“Muten? Quel buffo vecchietto diede lezioni a mio padre?”

“Oh, sì. Era il migliore nel campo delle arti marziali all’epoca. E anche quando Goku ed io terminammo l’allenamento con Muten, quest’ultimo era ancora più forte di noi. Ci sarebbero voluti altri tre anni prima che tuo padre lo superasse. Io, invece, ci avrei messo un po’ di più.” Dichiarò il terrestre.

“In ogni caso, dopo quell’anno di allenamento, io vidi tuo padre di rado. Soprattutto durante i Tornei Tenkaichi a cui partecipavamo. Per il resto, Goku era un mistero per tutti. Scompariva per anni per poi tornare all’improvviso più forte di prima. E prima che noi potessimo abituarci al suo ritorno, lui era già partito per un nuovo viaggio di allenamento. Successivamente, dopo aver viaggiato attorno al mondo per tre anni, tuo padre ebbe l’onore di essere allenato dal Supremo dell’epoca, per via del fatto che aveva sconfitto il padre di Piccolo. Io e gli altri tentammo anche noi di seguire le sue orme, di provare a diventare forti quanto lui.” Un piccolo sorriso cominciò ad aleggiare sulle labbra del piccolo guerriero. Parlare di quei tempi così lontani lo riempiva di nostalgia. “Ma tuo padre aveva veramente una marcia in più. All’epoca si pensava fosse solamente un ragazzo straordinariamente dotato per le arti marziali, solamente quando tuo zio Radish atterrò sulla Terra si comprese da dove provenisse tutto il suo talento nella lotta.”

Gohan ascoltava con grande attenzione il racconto di Crilin. Dagli occhi scuri del ragazzo, il terrestre poteva notare un grande, grandissimo desiderio di poter riabbracciare il padre. Un desiderio così potente che il piccolo guerriero si sorprese che il giovane saiyan potesse controllarlo come se niente fosse.

“Era un brav’uomo.” Dichiarò con tono solenne, ad un tratto, il ragazzo, interrompendo così il racconto dell’amico.

Crilin rimase spiazzato da quel commento. Tuttavia, dopo qualche secondo, al terrestre non rimase che ammettere che Gohan aveva ragione.

“Sì.” Dichiarò mettendo una mano sulla spalla del ragazzo. “Era un brav’uomo.”

Tra i due tornò il silenzio, rotto solamente dal dolce mormorio delle acque del torrente. Entrambi stavano pensando. Tuttavia, anche se non parlarono più fino a destinazione, entrambi sapevano che, tutti e due, rivolgevano i loro pensieri alla stessa persona.

 

Quando arrivarono sul piccolo altopiano dove sorgeva la casa di Goku, il sole si era già alzato del tutto, illuminando di luce le acque azzurre del fiume. La casa dove Gohan e sua madre, insieme al fratellino Goten, vivevano era una casupola a due piani dalla forma circolare. Era tinteggiata di bianco, con un’aggraziata linea orizzontale rossa a dare vivacità all’intonaco. Dietro la casa si trovava un piccolo orticello di verdure coltivato con amorevole cura da Gohan. Qualche metro più a destra, sulle rive del fiume, sorgeva un’antica costruzione di legno ormai scurito dal passare degli anni. Era l’abitazione dove era vissuto il nonno adottivo di Goku. Quando era tornato a vivere sui monti Paoz insieme alla moglie, il saiyan aveva costruito una casa nuova, moderna e più grande. Tuttavia, si era rifiutato di abbattere la casa dove era cresciuto e se ne era preso cura con profonda dedizione durante gli anni in cui era vissuto su quell’altopiano. Compito che, dopo la sua morte, era passato al figlio maggiore Gohan.

Mentre i due amici attraversavano il morbido tappeto d’erba che si estendeva davanti alla costruzione, i due amici videro un sottile filo di fumo alzarsi dal caminetto, segno che Chichi si era già svegliata.

“Tua madre si sarà preoccupata dal nostro ritardo.” Osservò Crilin, riparandosi gli occhi dalla luce emessa dall’astro solare con una mano.

“Sì, temo proprio che ci farà una ramanzina con i fiocchi.” Dichiarò sospirando il giovane. Conosceva troppo bene sua madre per sperare di evitare una terribile sgridata.

“Stai tranquillo! Dirò che è tutta colpa mia. Tanto, entro stasera io torno alla Kame House, mentre tu ci devi vivere tutti i giorni con Chichi.” Disse il piccolo guerriero dando un pacca sulla spalla del suo giovane amico

“Cosa?! Te ne vai di già?! Speravo che rimanessi almeno un altro paio di giorni!” esclamò costernato Gohan.

“Mi dispiace.” Dichiarò sospirando il terrestre. “Ma ho lasciato da solo Muten per troppo tempo. E poi, sono sicuro che tua madre sarebbe d’accordo. Durante questo finesettimana in cui sono stato vostro ospite hai studiato pochissimo.”

“Già, hai ragione.” Dichiarò con tono mogio il ragazzo. “La mamma non mi permetterà di saltare altri giorni di studio.”

Crilin non disse nulla. Si limitò a sorridere con fare comprensivo nei confronti del giovane saiyan. Sotto un certo aspetto, era triste per la sua imminente partenza, ma dall’altro, il piccolo guerriero aveva voglia di rivedere il suo adorato maestro.

Dopo la sua breve chiacchierata con Vegeta, il terrestre aveva pensato a lungo su come risolvere ed affrontare quel nuovo ostacolo che si era messo tra lui e la sua adorata Juu-chan. Alla fine, dopo un’attenta riflessione, Crilin era arrivato alla conclusione che, nelle condizioni in cui si trovavano, toccava a lei fare la prima mossa. Lui avrebbe dovuto aspettare pazientemente il momento in cui C18 si sarebbe fatto di nuovo viva. Non sapeva se ciò avrebbe significato aspettare giorni, settimane o addirittura anni, ma lui non avrebbe messo nessuna pressione o fretta alla cyborg. Quella era una decisione che spettava solamente a lei.

Nel frattempo, per distrarsi, il piccolo guerriero era andato a trovare il suo giovane amico per un fine settimana. Se Gohan era stato entusiasta della prospettiva di passare tre giorni insieme al suo carissimo amico, Chichi era stata meno disposta a distogliere il suo primogenito dagli studi. Tuttavia, alla fine, la donna, che dalla morte del suo adorato marito si era molto addolcita, aveva ammesso che qualche giorno di svago non avrebbe fatto male a Gohan.

Quando i due amici entrarono in casa, un invitante odorino di pane appena sfornato, proveniente dalla cucina, li accolse. Lasciando la carcassa fuori casa, se ne sarebbe occupato Crilin più tardi, Gohan ed il terrestre entrarono silenziosamente nella cucina della piccola casa, per evitare di svegliare il piccolo Goten.

“Buongiorno Chichi.” Esordì educatamente il piccolo guerriero.

“Ciao mamma.” Fece a sua volta il ragazzo.

Chichi non rispose subito. La mora era intenta a preparare la colazione. Di costituzione minuta, Chichi era una bella donna mora che aveva passato da un po' la trentina. Il viso grazioso, un corpo ancora piacente, e dei lucenti capelli neri, raccolti però in una crocchia, le davano un’aria di semplice bellezza molto rara da trovare nelle donne. Tuttavia Chichi, fedelissima al marito defunto e decisa a far completare gli studi al primogenito, non si era mai dedicata alla ricerca di un nuovo compagno né, e questo attenuava la sua bellezza naturale, si era preoccupata di curare il suo aspetto che, con il passare degli anni, tendeva a sciuparsi, anche se molto lentamente.

“Ciao Gohan. Come mai così in ritardo?” domandò all’improvviso la donna senza però interrompere la sua attività.”

“Scusaci mamma, ma era una così bella giornata che abbiamo deciso di fare una passeggiata.” Rispose il ragazzo sedendosi a tavola, imitato subito da Crilin. Sorprendentemente, la donna non aggiunse altro. I due amici si scambiarono un'occhiata sorpresa. Non era da Chichi passare sopra un ritardo o ad una disobbedienza. Per il resto della colazione, che nonostante fosse molto abbondante si svolse in religioso silenzio, terrestre e saiyan si lambiccarono il cervello nel tentativo di capire il perché della docilità della donna. Tuttavia, quando gli ultimi bocconi furono fatti sparire, Chichi agì.

“Bene Gohan.” esordì con tono dolce ma fermo. “Adesso tu andrai a studiare per il resto della mattinata.”

“Ma...mamma...stasera Crilin torna a casa sua...non potrei recuperare domani?” obbiettò timidamente il ragazzo.

“Non se ne parla neanche! Ti sei distratto abbastanza in questi giorni.”

“E Crilin? È un ospite. Non posso lasciarlo da solo tutto questo tempo.”

“Tu non ti preoccupare.” tagliò corto la donna. “Vedrai che gli troveremo da fare qualcosa per questa mattina.”

A questo punto, il giovane saiyan non trovò più alcuna scusa per evitare i suoi pesantissimi libri scolastici. Sospirando, Gohan uscì dalla cucina e se ne andò in camera sua.

“Scusa.” borbottò mogio quando passò affianco all'amico. Per tutta risposta, Crilin sorrise con fare amichevole.

“Non importa.” sussurrò. “Vedrai che sopravvivrò.”

leggermente rincuorato, il moro uscì chiudendosi dolcemente la porta alle spalle.

 

Appena il ragazzino uscì, Chichi decise di mettere le carte in tavola.

“Molto bene.” dichiarò con tono sicuro. “Ora che Gohan è andato in camera sua a studiare puoi parlare liberamente.”

“In che senso parlare liberamente?” domandò perplesso l'uomo.

“Non fare il finto tonto con me.” disse seccamente la mora che, nel frattempo, cominciò a lavare i piatti usati per la colazione. “E' inutile e, oltre tutto, non ti conviene.”

“Mah! Scusami Chichi ma io non ti seguo proprio.” obbiettò confuso il piccolo guerriero. Per tutta risposta, una vena cominciò a pulsare sulla tempia destra della donna. Un segno che Goku, in passato, aveva imparato a temere.

Con uno scatto di rabbia, la donna ruppe con una mano un piatto. Mentre il rumore argentino della ceramica rotta si diffondeva nella cucina, la mora si avvicinò al terrestre con uno sguardo minaccioso.

“Adesso basta sceneggiate!” dichiarò Chichi con decisione. “Non credere di potermi fregare in maniera così banale. Quindi ora voglio una risposta.”

“Ma di che cosa stai parlando Chichi?” chiese sempre più perplesso l'uomo.

La donna si avvicinò a Crilin con fare deciso. Sotto quello sguardo fiero e deciso, il terrestre si fece piccolo piccolo.

“Perché sei venuto qui? So benissimo che C18 non ti permetterebbe mai di assentarti per tutto questo tempo da lei. Non ho voluto parlarne davanti a Gohan. In fondo, lui è ancora piccolo e non capirebbe. Ma ora io esigo una spiegazione. Credo di meritarmela visto che ti ho ospitato in casa mia in questi giorni.”

“Ah....” Crilin rimase spiazzato da quella domanda. Non credeva che Chichi potesse essere così perspicace ed intuitiva. Ma, ad onor del vero, Goku aveva sempre definito sua moglie una donna straordinaria in tutti i sensi. E ora lui ne aveva avuto la prova.

“Beh...ecco...è una storia piuttosto lunga.” dichiarò esitante. Non aveva molta voglia di raccontarla, e sperava di poter convincere Chichi a non insistere. Tuttavia, la donna liquidò la sua timida resistenza con un cenno veloce della mano.

“Abbiamo tutta la mattina.” replicò. “Gohan dovrà studiare e Goten ha già mangiato un paio di ore fa. Non si sveglierà prima di pranzo. Quindi ora parla!”

Non avendo più scuse da usare Crilin cominciò, seppure di controvoglia, a raccontare tutto quello che era accaduto in quegli ultimi giorni.

Le raccontò tutto. Della rivelazione di Bulma, dalla sua reazione all'immortalità di C18 ai giorni passati senza trovare il coraggio di rivelare tutto alla cyborg, della tremenda sfuriata con la bionda in cui era emerso tutto e della sua successiva fuga. Non tralasciò neppure la sua sfuriata con Muten né del suo incontro con Vegeta.

Fu strano per lui parlarne con una persona che, in fondo, conosceva molto poco. Mentre il suo racconto procedeva, la sua mente vagò verso pensieri strani. Pensò al fatto che, nonostante potesse dire di conoscere benissimo suo marito e suo figlio, sapeva poco o niente del carattere e di Chichi come persona in sé. Ad un tratto, verso la fine della sua storia, Crilin ricordò con divertimento di quanto aveva invidiato Goku quando Chichi gli aveva chiesto di sposarla sul ring del 23° Torneo Tenkaichi. In quel momento, per il piccolo guerriero, quegli eventi parevano lontani anni luce. Quasi fossero avvenuti in una vita precedente a quella che stava vivendo.

Chichi ascoltò in silenzio la storia del moro. Mentre il racconto di Crilin proseguiva, la donna finì di rigovernare la cucina. Successivamente, si mise seduta di fronte all'uomo ad ascoltare quel racconto sempre più assurdo ed incredibile.

Alla fine, quando il terrestre terminò la sua storia, nella piccola cucina calò il silenzio. Crilin non si sentiva per niente a suo agio visto che era da più di mezzora che Chichi non la smetteva di fissarlo con un'espressione indecifrabile.

“Beh? Ora sei soddisfatta?” domandò scontroso il piccolo guerriero. Non gli piaceva quello sguardo indagatore.

La madre di Gohan non sembrò farci caso alle parole scortesi del suo ospite. Tutto quello che fece fu di alzarsi e di mettersi a cucinare per il pranzo.

“Ehi! Ma come? Non...non dici niente?” domandò perplesso Crilin.

“Non sono affari miei.” rispose semplicemente la donna. “A me interessava il motivo di questa tua visita. Il resto non sono cose che mi riguardano.”

“Ah...” borbottò l'uomo fra i denti. Dentro di se il moro era parecchio irritato. Aveva penato tanto per raccontare quella pagina cupa e difficile della sua vita solo per poi sentirsi dire che erano problemi suoi. Non era proprio la frase che uno nella sua situazione avrebbe voluto sentirsi dire.

Nella cucina cadde di nuovo un silenzio dato che nessuno dei due aveva voglia di parlare ancora. Ma, alla fine, la curiosità di Crilin ebbe il sopravvento.

“Tu che cosa faresti?” domandò senza osare guardarla negli occhi, mentre si mangiava le parole dalla fretta.

“Che domanda sciocca.” osservò serafica la donna mentre rovistava nella mensola. “Mi pare ovvio: vivrei con l'uomo che amo godendomi il tempo che la vita mi ha donato.”

Nonostante si fosse aspettato quella risposta, Crilin fu deluso. Possibile che nessuno sembrava capire quello che provava dentro di se?

“E quando arriverebbe la tua ora? Non pensi che sarebbe insopportabile per te abbandonare la persona che ami?”

Sentendo quelle parole, Chichi interruppe la sua ricerca per rivolgere il proprio sguardo verso il miglior amico di suo marito. Davanti allo sguardo della donna al piccolo guerriero gli si rizzarono i peli sulle braccia. Quello che leggeva nei brucianti occhi scuri di Chichi era quello che aveva visto centinaia di volte sfavillare nelle iridi chiare di C18. Forza, orgoglio ed amore. Ma soprattutto la volgia fortissima di non arrendersi all'ineluttabile.

“No! Perché anche se non potremo vederci più, saprei che lui mi ama ancora. È questo il vero amore! Un sentimento più forte di qualunque guerriero che niente e nessuno può spezzare!”

Sentendo la moglie del suo migliore amico parlare con tanta enfasi Crilin provò, dentro di se, una sensazione strana. Un misto tra la gioia ed il dolore. Gioia perché era contento, che il suo amico Goku, avesse una moglie tanto devota suoi confronti. Triste perché, per quanto le parole di Chichi fossero vere, dentro di lui sapeva che non sarebbero bastate quelle poche frasi a far tornare tra lui e la bella cyborg tutto come prima di quella terribile rivelazione. Era molto più probabile che C18 lo picchiasse con ferocia, dichiarando che erano tutte stronzate.

No. serviva un'azione concreta per risolvere quel problema, per poter far ritornare tutto alla normalità. L'unico problema era che, a prima vista, era impossibile rendere C18 un essere umano in tutto e non solo nell'aspetto.

 

Il pallido sole che aveva illuminato i monti Paoz per tutta la mattina fu ben presto coperto da nuvole cupe, grigie e dense. Nel primo pomeriggio una pioggia fine cominciò a cadere sugli altopiani della zona, per poi trasformarsi, nel giro di un paio d'ore, in un forte acquazzone autunnale.

A causa del maltempo, Crilin e Gohan passarono il pomeriggio in casa a chiacchierare del più e del meno ed a badare al piccolo Goten. Chichi aveva deciso di approfittare del maltempo per restringere un paio di pantaloni di suo marito per Gohan. Nonostante Goku fosse morto, la donna non aveva buttato via nessuno dei suoi oggetti personali, ma a causa delle ristrettezze economiche in cui viveva con i suoi figli molto spesso era obbligata ad adattare i vecchi vestiti di suo marito per Gohan.

Tuttavia, a parte il brutto tempo, Gohan si divertì moltissimo a vedere l'amico Crilin alle prese con il suo fratellino. Goten infatti trovava di suo gradimento i capelli del piccolo guerriero e non sembrava avesse molta voglia di mollarli.

“Dai piccolo, mollami i capelli per favore. Li ho da troppo poco tempo per permetterti di strapparmeli tutti!” borbottò il terrestre mentre cercava di cavarsi dalla testa il bambino. Quest'ultimo, per tutta risposta, tirò con tutta la sua forza la ciocca nera a cui si era aggrappato. Si sentì il gemito di dolore di Crilin e successivamente, si vide Goten battere le manine tutto contento per il suo nuovo trofeo di guerra.

Fu solamente l'affetto profondo che lo legava al terrestre che impedì a Gohan di scoppiare a ridere.

“Gli piaci.” disse una volta sicuro di poter trattenere le risate. “E anche parecchio da quello che vedo. Non ho mai visto Goten così allegro.”

“I miei capelli un po' meno.” borbottò cupo il moro mentre tentava di tenere distante dalla propria capigliatura il piccolo saiyan.

“Potresti fargli da zio.” aggiunse l'altro mentre osservava Goten piagnucolare. Il bambino sembrava triste dal momento che non riusciva ad afferrare di nuovo il suo nuovo gioco, ovvero i capelli di Crilin.

Quest'ultimo non rispose all'amico, dato che sembrava particolarmente impegnato a tenere lontano il bambino dai suoi capelli. Tuttavia, alla fine, fu costretto ad arrendersi e a permettere a Goten, per la gioia di quest'ultimo, di giocare con la sua capigliatura.

 

Verso sera la pioggia perse d'intensità, fino a cessare del tutto. Un freddo vento da nord si sollevò, stracciando il manto di nubi, ed illuminando con gli ultimi raggi della giornata le cime dei monti Paoz.

Crilin aspirò con forza l'odore di bagnato che aleggiava ancora nell'aria. La serata era fresca, ma non fredda. Sopra di lui le nuvole, imporporate dai raggi dell'astro morente, creavano un gioco di figure mozzafiato. Cattedrali con pinnacoli immensi ornate da figure di gargoyle ed altre statue fantastiche, mostri terribili che combattevano con ferocia immensa tra di loro, il tutto contornato da gigantesche figure astratte composte di pura fantasia.

Era ora di andare. Dopo aver salutato con gentilezza Chichi, e aver salutato con affetto il piccolo Goten, Crilin si trovava sullo spiazzo erboso davanti alla casa di Goku insieme a Gohan.

All'inizio i due amici non parlarono, limitandosi a godersi i rumori e gli odori della serata settembrina. Una grande pace regnava su quel piccolo altipiano sperduto in mezzo alle montagne. Una pace che entrava dolcemente nell'anima dei due guerrieri, lenendo in parte i loro dolori e i loro sensi di colpa.

Tuttavia, alla fine, Gohan si riscosse e ruppe il silenzio che aleggiava nella vallata.

“Salutami C18 quando la vedrai.” disse con tono serio mentre continuava a fissare imperterrito il bosco che si estendeva a fondovalle.

Crilin si limitò ad annuire, pur sapendo che, probabilmente, sarebbe passato parecchio prima che potesse mantenere quella promessa.

Non si dissero altro. Ormai si conoscevano da tanto tempo, e tra di loro non servivano più le parole. Si limitarono ad abbracciarsi con forza, per poi staccarsi quasi subito in preda all'imbarazzo.

“Ok...a-allora io vado.” borbottò il piccolo guerriero. Gohan si limitò ad annuire rosso in volto.

Crilin si alzò lentamente in volo. Poi, una volta raggiunta la quota ideale per volare senza provare troppo freddo, il moro si diresse con grande velocità verso la lontana Kame House.

Gohan rimase ad osservare il suo amico fino a quando non scomparì del tutto dalla sua vista. Solamente allora il giovane saiyan si permise di sospirare con nostalgia. Quei giorni erano stati bellissimi, oltre che inaspettati. Tuttavia, adesso, sarebbe tornato alla sua vita di tutti i giorni.

“Mettiamoci al lavoro.” disse sotto voce mentre rientrava in casa per aiutare sua madre.

 

Crilin era inquieto.

Mentre il vento gelido gli scompigliava i capelli, il terrestre vagò con il pensiero. Volare non era un'attività impegnativa e fu così che, quasi senza accorgersene, il piccolo guerriero si trovò con almeno un'ora di tempo per riordinare i propri pensieri.

La domanda che più gli rimbalzava nel cervello era che cosa fare. Infatti, anche se si era ripetuto mille volte che doveva essere C18 a fare la prima mossa, dentro di lui il terrestre si sentiva malissimo. Si sentiva come se fosse in astinenza da qualcosa, un qualcosa di tossico che la presenza del suo amico Gohan aveva solo coperto, ma non sanato.

Fu in quel momento che Crilin comprese. Che capì che non era il momento di tornare alla Kame House.

C18 gli mancava tanto. Troppo. Desiderava con tutte le sue forze sentire la sua voce calda e armoniosa, assaporare le sue labbra morbide e dolci, sentire sotto le sue mani la sua pelle fresca e levigata. La cyborg era diventata una droga. Un bisogno fisico che gli rodeva come un cancro il fisico e la mente. Il piccolo guerriero rimase sconvolto dall'intensità con cui quell'insolito malessere si fece vivo dentro di lui. Un malessere che, nella silenziosa e tranquilla casetta della Kame House dove aveva passato tanti momenti piacevoli insieme all'androide, si sarebbe di sicuro aggravato. Portandolo fino alla pazzia.

Crilin, all'improvviso, si fermò di colpo. Era indeciso, roso dai dubbi, dal dolore e dalle ferite che si erano aperte nel suo cuore durante la sfuriata che aveva avuto con C18. Erano ferite profonde, che non avevano smesso di sanguinare dentro di lui, stillandogli dolore e tristezza dalla sua anima.

Si morse le labbra. Doveva decidere! Subito! Non poteva rimanere là in mezzo al nulla per sempre. Doveva decidere se tornare dal suo maestro ad aspettare il ritorno di C18, oppure optare per qualcosa di più estremo.

Il tempo passava. Il sole terminò la sua parabola discendente mentre le prime stelle cominciavano a bucare lo scuro manto della notte. Il vento, da nord, cominciò a soffiare da est, portando con se una tiepida brezza proveniente dall'oceano.

Crilin non sapeva che cosa fare. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare, ovvero tornare alla Kame House, ma il terrestre, dentro di se, si sentiva il cuore compresso in una morsa d'acciaio al pensiero di vagare per le stanze silenziose della casa del suo maestro. Senza di lei, anche quel posto solare e pacifico diventava tetro e cupo ai suoi occhi.

Alla fine, vinto dal dolore, Crilin decise. Con un gesto deciso si diresse, con la massima velocità possibile, verso nord.

Se Bulma o qualcuno altro dei guerrieri Z l'avesse visto in quei momenti, probabilmente non l'avrebbe riconosciuto. I suoi occhi scuri erano pieni di feroce determinazione mentre il suo volto era una maschera inespressiva che non lasciava trasparire niente di quello che provava in quel momento.

Continuò a volare senza sosta verso nord per tutta la notte. La temperatura cominciò a scendere con regolarità, il tempo, da sereno, si fece sempre più brutto, tanto che cominciò a cadere qualche fiocco. Sotto di lui scorreva veloce la selvaggia catena dei Monti Paoz ma, dopo mezzanotte, quest'ultima lasciò il posto ad imponenti picchi isolati l'uno dall'altro incappucciati da nevi eterne. Il freddo si fece sempre più intenso ed il terrestre rabbrividì dentro i suoi abiti troppo leggeri per quelle zone. Tuttavia, ben presto, Crilin lo ignorò. Se tutto andava come pensava si sarebbe dovuto abituare a quel clima rigido.

Alla fine, quando i primi raggi del sole cominciarono ad illuminare le vette dei ghiacciai, il piccolo guerriero atterrò in una piccola valle, caratterizzata da un forma stranamente circolare. Il moro dedusse che, in epoche remote, in quel punto sorgeva un lago di origine vulcanica. Piccoli boschetti di alberi sempreverde, appesantiti nei rami da spessi cumuli di neve, abbellivano i margini della valle. Mentre, proprio nel centro, si poteva individuare, nascosto da uno spesso strato di neve, un grosso masso corroso, nel corso dei secoli, dalle forze della natura.

Un volta atterrato, Crilin fece un giro di esplorazione della piccola valle, per familiarizzare con l'ambiente circostante. Cercò di memorizzare il maggior numero di particolari possibili. Dagli anfratti lungo le pareti occidentali della valle, al grosso spuntone di ghiaccio che dominava il lato meridionale di quest'ultima. Alla fine, una volta terminato il suo giro di perlustrazione, il piccolo guerriero tornò affianco al masso centrale.

Stette ad ascoltare il vento che strideva tra le rocce per qualche secondo. Tuttavia, a parte questo rumore, il silenzio era pressoché totale in quella piccola conca sperduta in mezzo ai monti. Faceva molto freddo, anche grazie al fatto che il sole illuminava quel luogo solo per poche ore al giorno. Eppure, per qualche strano motivo, quel freddo non dava fastidio al moro. Anzi, lo rinvigoriva.

Aveva fame, sete e sonno. Ma sapeva che nessuno di quei suoi fabbisogni sarebbe stato soddisfatto nei giorni successivi.

Rimase fermo ad ascoltare l'ululato del vento ancora per qualche minuto. Poi, con uno scatto improvviso, Crilin si tolse tutti gli indumenti che aveva addosso ad eccezione dei pantaloni. Il freddo lo assalì con la forza di un pugno allo stomaco ma il terrestre, sentendo quella sensazione, increspò le labbra in un sorriso inquietante.

Batté lo stivale sotto di se, per saggiare la compattezza della neve. Comprese che non era uno strato molto spesso, e che si sarebbe sciolto in fretta se usava i ki-blast ripetutamente.

Dopo aver appreso anche quest'ultima informazione, Crilin fece un profondo respiro, radunando tutta la propria concentrazione.

Era pronto per il passo estremo.

Distruggersi.

CONTINUA

E finalmente, dopo oltre cinque mesi, aggiorno questa storia! Per prima cosa vorrei scusarmi ma, in questi mesi, ho avuto periodi complicati in cui mi era difficile trovare la passione che desidero avere quando mi metto a scrivere. Tuttavia, ora che il peggio possiamo dire che è passato, cercherò di essere molto ma molto più breve nell'aggiornare. Spero di poter mantenere la promessa :)

Seconda cosa: Anche se con questo capitolo non si va molto avanti con la storia, vi prometto che con il prossimo si risolverò il problema dell'immortalità di C18. Dopo (finalmente potrei dire) inizierà la parte della storia che più di ogni altra volevo scrivere. Ovvero il periodo dell'infanzia di Marron prima dello scontro con Majin bu.

Non so cos'altro dire. Spero che vogliate lasciare un commento, anche critico ovviamente se pensate che sia giusto farmi notare qualche errore. In ogni caso io le accetto molto volentieri dato che reputo ogni consiglio, critica o correzione un modo per migliorarmi.

Un saluto!

P.S: Non so se vi può interessare, ma ho scritto due one-shot su questa coppia ultimamente (“Sotto lo sguardo del mare” e “Se mi provochi ti distruggo”). Se vi va potete andare a dare un'occhiata ad entrambe :)

E dopo questo piccolo spazio di pubblicità (non tanto) occulta ho proprio finito.

 

 

 

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Capitolo 23
*** Kaioken! ***


Buonasera! Dopo mesi di silenzi torno con questo capitolo lunghissimo che, all'inizio, doveva essere la conclusione di questa parte della storia ma che, in realtà, mi obbliga a rinviare di un capitolo la fine della faccenda dell'immortalità di C18. Lo so che è noioso, e che ormai vi sarete stancati di me e delle mie divagazioni che non portano a nulla. Ma spero che apprezzerete lo stesso i miei sforzi nel rendere i miei deliri leggibili.

E' stato un capitolo lungo, duro, difficile. Ci ho passato settimane sopra, limandolo, correggendolo e cambiandolo più volte. E, alla fine, è uscito questo. Non ho idea di cosa ne sia uscito. Spero però che vi piacerà. Come al solito, ricordo a tutti che le recensioni, anche critiche, le accetto con molto piacere.

Buona lettura!

 

Capitolo 23

 

Bulma sorseggiò con lentezza la propria tazza di tè, assaporando il delicato gusto che le invadeva il palato. Si godette per qualche istante, ad occhi chiusi, il rinfrancante calore della bevanda che, lentamente, le invadeva il petto. Una volta che fu sicura di aver assaporato ogni piccolo frammento di quel momento così rilassante, la scienziata aprì gli occhi con un mezzo sorriso stampato sulle labbra.

Quello che vide la deluse profondamente. Dopo aver provato un piccola sensazione di rilassamento, ciò che la donna avrebbe voluto vedere sarebbe stato suo figlio Trunks, oppure gli occhi brucianti di Vegeta. Di sicuro, e di questo Bulma ne era convintissima, non avrebbe voluto vedere Muten che osservava, con occhio critico, la sua nuova cucina.

Sospirò. Era un peccato aver sprecato quel piccolo momento di piacere con quella visione non certo tra le sue preferite. Tuttavia, dato che in quel momento Muten non stava cercando di compiere gesti moralmente discutibili, l'azzurra decise di lasciar perdere. Si stampò invece il suo sorriso più gentile, risultato di anni di presenze forzate ai ricevimenti dell'alta società della sua città, e decise di fare come se niente fosse.

“Allora? Ti piace?” domandò con voce gentile.

Muten annuì visibilmente soddisfatto.

“Non è affatto male.” dichiarò. “Dubito che avrei potuto permettermi un modello così costoso con le mie magre finanze. Grazie mille Bulma.”

“Non devi ringraziarmi.” rispose l'altra assaporando un nuovo sorso di tè. “E' un modello piuttosto vecchio che ho trovato per caso nel magazzino di casa mia. Non mi costa niente regalartela. Anzi, così facendo, mi liberi solo un po' di posto in casa.”

L'anziano maestro di arti marziali non rispose visto che, in quel momento, era profondamente impegnato ad esplorare la capienza della sua nuova dispensa. Mentre aspettava che il vecchio guerriero esaurisse la sua curiosità, Bulma cominciò a divagare un po' con il pensiero.

Le era sempre piaciuto quel posto. Quando era più giovane, e libera dagli asfissianti impegni di lavoro, la donna approfittava di ogni momento libero a sua disposizione per andare su quell'isolotto sperduto in mezzo al mare, godendosi in tal modo giornate rilassanti su quella piccola e confortevole spiaggia.

Eppure, Bulma sentiva che quella casa era cambiata rispetto ai suoi spensierati anni giovanili. Era più tetra, più cupa e anche molto più silenziosa. Senza gli schiamazzi di Goku e Crilin, senza le battutine di Yamcha e senza gli urli rabbiosi di Lunch quella casa sembrava molto più triste. Le orecchie della scienziata ormai sentivano solo l'incessante infrangersi delle onde sulla battigia e il malinconico verso dei gabbiani a rompere il silenzio dell'isola.

Sospirò, provando, all'improvviso, una forte nostalgia per la sua adolescenza. Non era per l'età in se che provava quel sentimento, quanto piuttosto per la sensazione che, con il passare degli anni, molto era stato sprecato e perduto. Troppo. Le pareva di vivere in un mondo più grigio e vuoto tanta era la sua nostalgia. Forse era perché le mancava Goku. Il saiyan era sempre stato un vero e proprio raggio di luce nella sua vita quotidiana. Quando c'era lui, Bulma era sicura che qualcosa di inaspettato sarebbe sempre accaduto. Eppure non era solo il suo migliore amico a mancarle. In un modo o nell'altro, le mancavano tutti i suoi amici. Erano cresciuti, diventati adulti come lei, e il tempo delle follie e dei divertimenti giovanili era scomparso per sempre.

“A cosa pensi?”

Bulma trasalì nel sentire la voce di Muten. Si era talmente immersa nei suoi pensieri nostalgici, da non accorgersi che l'anziano maestro la stava osservando in silenzio da qualche minuto.

“Niente. Ho solo un po' di nostalgia.”

“Nostalgia? Non è da te avere certi pensieri.”

“Eppure li ho.” ribatté seccamente la donna.

“Come mai?”

La domanda di Muten la colse leggermente impreparata. Non sapeva neanche lei che cosa dire per giustificare quel sentimento di vuoto e struggimento per il passato che si era insinuato dentro di lei. In fondo, era una bella donna, con un lavoro che adorava, una famiglia che amava e tutti gli agi che la vita poteva concederle. Eppure, in quel momento, non era felice.

“Non lo so.” rispose alla fine. “E' solo che vedere questa casa così silenziosa e vuota mi ha fatto venire voglia di tornare ragazzina.”

“A tutti capita di voler tornare indietro.” disse l'anziano maestro con voce conciliante. “E' una cosa naturale. Le nostre vite appaiono più belle nella nostra mente che nella realtà.”

La scienziata comprese cosa intendeva: Una cosa non la si rimpiange finché non è scomparsa.

Volse gli occhi verso la finestra. Le iridi color blu marino della donna si soffermarono sulla sabbia dorata che veniva sollevata dalla leggera brezza marina. Il sole illuminava la superficie del mare con intensità, creando giochi di luce accecanti sui cavalloni delle onde. Era una bellissima giornata di fine estate, ma alla scienziata sembrava che un ombra gravasse su quel paesaggio che, ai suoi occhi, era troppo silenzioso e desolato.

Scosse la testa. Non era da lei essere così cupa e malinconica. Doveva essere la mancanza di tutti i suoi più cari amici che le appiccicava quella pellicola di depressione addosso. Con amarezza la donna si accorse che, uno dopo l'altro, i suoi amici si erano staccati sempre di più da lei. Yamcha a cui lei, pur con tutti i suoi difetti, voleva ancora molto bene, si era fatto una vita per conto proprio. Veniva di rado alla Capsule Corporation a causa del suo astio nei confronti di Vegeta. Goku era nell'aldilà ad allenarsi ed a divertirsi. Dimostrando ancora una volta di essere una persona priva di qualunque senso di responsabilità. Il saiyan era quello che le mancava di più. Goku per Bulma era stato tanto, forse troppo. Era un qualcosa di indefinito che l'aveva accompagnata in tutti gli anni più importanti della sua vita. Non era stato un amante, questo mai. Ma definirlo un amico, od un fratello, sarebbe stato probabilmente riduttivo.

E poi c'era Crilin.

La donna dovette ammettere che con lui non ci capiva più niente. Da quando il terrestre aveva conosciuto C18 sembrava si fosse trasformato. Cupo, serio, taciturno, restio a restare in compagnia degli altri. In quegli ultimi due anni il piccolo guerriero sembrava che avesse preso parte del carattere della bella cyborg. Era diventato una persona diversa. E Bulma non era sicura che il nuovo Crilin le piacesse. Lei se lo ricordava come un giovane sempre allegro e pronto a scherzare. Non era stato un irresponsabile come Goku. Questo mai. Per il terrestre la vita era stata, fin da quando era un bambino, una cosa seria. Da non prendere alla leggera come faceva il suo migliore amico. Crescendo questo senso di responsabilità verso il prossimo non l'aveva abbandonato. Rendendolo, oltre ad un buon guerriero, anche una buona persona.

Eppure ora sembrava che il suo forte senso del dovere (che non gli aveva mai impedito di essere pronto a farsi una risata e a godersi la vita) lo stessero schiacciando. Bulma sapeva cosa c'era che turbava profondamente Crilin. Il perché non era riuscito più a trovare pace dentro di sé. Il terrestre si giudicava responsabile della morte di Goku. E questo non gli dava requie. A peggiorare le cose si era messo quell'amore malsano e cupo per C18, che rendeva tutto terribilmente più complesso per lui. Una parte del piccolo guerriero desiderava con tutte le forze vivere assieme alla bella cyborg, l'altra parte però non avrebbe mai smesso di rinfacciargli a quale prezzo aveva ottenuto la donna che amava.

“Ti manca non è vero?” domandò Muten a voce bassa, quasi che le avesse letto nella mente.

“Sì.” ammise la scienziata mentre passava il polpastrello dell'indice sul bordo della sua tazza. “Mi sento in colpa per quello che gli ho detto. Lui non desiderava altro che sposarsi e mettere su famiglia con la donna che ama, ma, a causa mia, ora sa che ciò non sarà possibile.”

“Non devi sentirti in colpa.” ribatté l'anziano maestro. “L'avrebbe scoperto comunque. Tanto vale che l'abbia saputo ora piuttosto che quando sarà vecchio.”

L'azzurra scosse la testa. Muten non capiva.

“Non è solo per questo che lui ora è furioso. Io lo conosco. Lui non si è ancora perdonato il fatto di aver salvato C18, causando involontariamente la morte di Goku. Ha un forte senso dell'onore e delle responsabilità. E questo lo sai anche tu. In questi due anni era riuscito a giustificare quel gesto per donare a C18 una vita migliore. Una vita priva di morte, dolore e disperazione. Ma ora...”

“Ora cosa?”

“Ora che sa che la donna che ama non può invecchiare, cosa credi che provi dentro di se?” domandò con voce cupa Bulma. “Si sentirà un fallito. Un inetto. Penserà che ha condannato a morte il suo migliore amico e causato tanta sofferenza per niente. Si sentirà un mostro.”

“Non puoi essere certa che sia così.”

“Lo conosco, Muten.” dichiarò seccamente la donna. “Lo conosco da tanti, tantissimi anni. Siamo cresciuti insieme. Tu puoi essere stato il suo maestro, ma ti ricordo che con lui ho viaggiato fino a Namecc, e quando condividi simili esperienze con un persona, impari a conoscerla a fondo.”

Nella stanza cadde un silenzio teso. Rotto solamente dallo sciabordio delle onde e dal lamentoso richiamo dei gabbiani. Bulma ora aveva ripreso ad assaporare la sua tazza di tè. Si sentiva stanca e, per la prima volta, ripensando a tutte le avventure a cui aveva partecipato, anche vecchia. Muten, invece, era serio e silenzioso mentre, dietro le lenti dei suoi occhiali da sole, i suoi occhi scrutavano il mare dalla finestra.

“Pensi che tornerà?” mormorò alla fine.

La donna appoggiò la tazza al tavolo. Con un guizzo, pari al rapido colpo di coda di un pesce, la sua mente le proiettò la chiamata che, due anni prima, aveva mandato a Muten. Anche in quel caso Crilin era scomparso, ma in quella situazione era stata lei a chiedere conforto e consiglio all'anziano maestro.

E lui le aveva detto che Crilin sapeva cavarsela.

“Forse.” dichiarò lentamente, mentre le sue unghie curate grattavano via una piccola scheggia sporgente dal tavolo. “E' un uomo ormai. Sono sicura che non corre pericoli, per adesso. Ma in quanto a tornare...beh, questo è un mistero. Nessuno può sapere che cosa gli passi per la testa in questo momento. Ergo, nessuno può rispondere alla tua domanda.”

Muten strinse le mani a pugno mentre, con un mormorio indefinibile, si immerse nei suoi pensieri. Rimase concentrato ed immobile per parecchi minuti, indifferente a tutto ciò che lo circondava. Poi, con grande sorpresa della scienziata, il vecchio guerriero scosse la testa.

“Ti sbagli.”

“Mi capita raramente.”

“Ma può succedere.” ribatté pacato l'anziano maestro. Rimase in silenzio per qualche istante. Poi, quando l'azzurra gli stava per chiedere il motivo per cui si sbagliava, egli pronunciò una sola parola.

“C18.”

Bulma rimase, sul momento, spiazzata. Non aveva considerato la cyborg. Presa com'era a pensare al dolore del suo amico Crilin, la donna aveva trascurato totalmente l'androide. Con un sorriso amaro, la scienziata pensò che era una grave errore trascurare la bionda. In qualunque situazione ci si trovasse, trascurarla era uno di quegli errori che, spesso, li paghi con la vita.

Ricominciò a ragionare a mente fredda sulla cyborg. Non le era mai andata a genio C18. Il suo modo di fare era troppo scontroso ed aggressivo per poter provare simpatia per lei. Riconosceva la sua bellezza, così come riconosceva le sue abilità in combattimento, ma se non fosse stato per il fatto che stava con Crilin, Bulma l'avrebbe detestata senza troppi problemi.

Eppure, la donna si rese conto che era C18 la chiave per risolvere quel problema. Non Crilin, non lei, ma C18. In quell'istante, la scienziata si rese conto che esisteva una soluzione, un metodo per impedire un destino crudele e vuoto all'androide. Ma solo quest'ultima poteva scegliere se compiere o meno quel gesto. Ne avrebbe avuto il coraggio? Bulma non la considerava una codarda, ma quello a cui stava pensando era una mossa veramente estrema e che richiedeva un gran coraggio. Sarebbero bastati i suoi sentimenti per Crilin a darle la forza? Erano domande a cui, purtroppo, non sapeva dare una risposta.

Ma C18 era forte, spietata e, soprattutto, estremamente possessiva ed egoista con Crilin. Il terrestre per lei era qualcosa di più di un semplice compagno, era tutto. E lei, pur non ammettendolo mai, aveva bisogno di lui. Era lampante.

In quell'istante Bulma si accorse, con sua enorme sorpresa, che C18 le piaceva. Nonostante appena qualche minuto prima aveva pensato che la detestava, la scienziata si accorse che, più che disprezzo od antipatia, ciò che provava nei confronti della cyborg era una riluttante ammirazione. Poteva essere scontrosa ed aggressiva ai limiti della maleducazione, ma non poteva negare le sue qualità. Era intelligente, forte di carattere e poco propensa al dialogo. Tutte qualità che a lei piaceva trovare in una donna.

“Forse hai ragione.” dichiarò con tono pensieroso l'azzurra. “Se lei troverà il coraggio, allora per lei e Crilin esiste una possibilità di vivere la loro vita.”

“Trovare il coraggio?” Muten le rivolse uno sguardo perplesso.

“Sì, hai sentito bene. Solo se lei avrà la forza necessaria per agire, loro due potranno tornare a vivere qui con te.” e, di colpo, mentre pronunciava quelle parole, Bulma ebbe la netta sensazione che C18 l'avrebbe fatto. Non sapeva spiegarsi il motivo di quella sicurezza, ma si sentì rinfrancata.

“Ne sei sicura?”

“Torneranno.” dichiaro sicura di sé la donna mentre, improvvisamente, un sorriso spunto sulle sue labbra carnose. “Puoi starne certo, torneranno.”

Vedendola così sicura, Muten non seppe cosa dire. Raramente Bulma sbagliava, quindi poteva darsi che avesse ragione anche questa volta.

Sospirò, rivolse il suo sguardo verso il mare, e rimase in silenzio mentre, davanti a lui, Bulma sorseggiava il suo tè con aria rilassata ed un sorriso radioso sulle labbra.

 

 

Ghiaccio. Un fottuto ghiaccio che lo ricopriva dappertutto. Sui capelli, sulle labbra, sul petto, sulle braghe di tela ormai inzuppate di sangue e neve. Un maledetto ghiaccio che gli ricopriva con malizia ogni ferita sul corpo, che gli infettava le abrasioni, gli avvelenava il sangue, gli creava un senso di infido torpore che gli annebbiava ciò che rimaneva del suo cervello. Una sorta di ulteriore nemico che lo costringeva ad una duplice lotta.

Inspirò con forza l’aria gelida tentando, in questo modo, di schiarirsi le idee. Ci riuscì. Ma ricevette anche una scarica di dolore lancinante dalle sue vie respiratorie gravemente infiammate. L’aria penetrava come un coltello affilato nei suoi polmoni ogni volta che respirava, ferendo e distruggendo i suoi alveoli polmonari.

Attorno a lui c’erano degli alberi. Silenziosi guardiani vegetali della montagna. Esseri privi di qualunque sentimento che vivevano la loro lenta e maestosa vita nell’indifferenza. Nascondendo, con i loro rami carichi di un biancore languido, accecante ed infido, amici ed nemici.

Specialmente nemici.

“Dove sei” pensò con un senso di frustrazione crescente Crilin mentre le sue iridi scure osservavano con circospezione la zona attorno a se. “Dove diavolo sei, maledetto figlio di puttana?”

Il silenzio che gravava sulla valle era assoluto. Ogni minimo movimento, o rumore, veniva sentito distintamente dal piccolo guerriero. La neve attorno a lui ovattava ogni suono come una fredda coperta chiara. Mettendolo in condizioni di percepire qualunque rumore.

Rimase immobile, in una posizione di difesa, per circa altri dieci minuti. I suoi muscoli tremavano dal freddo e dalla fatica di rimanere contratti per lungo tempo. I suoi occhi scattavano da una parte all’altra del suo campo visivo in continuazione. Dando vita ad un movimento ossessivo e continuo. Più il tempo passava, e più il piccolo guerriero si sentiva sul punto di esplodere dalla rabbia. Non capiva. Perché non si faceva avanti? Cosa diavolo stava tramando a sua insaputa?

E poi, all’improvviso, lo sentì dietro di lui.

Fu un fruscio leggero e quasi impercettibile a fargli capire che lo stava attaccando da dietro le spalle. Sentì il pugno di lui fendere l’aria gelata per colpirlo nel centro della schiena. Il terrestre cercò di girarsi per tentare di pararlo, ma fu troppo lento. I suoi muscoli si erano intorpiditi nella lunga attesa e non reagirono con sufficiente velocità. L’unico effetto che ottenne fu quello di ricevere il pugno del suo avversario in pieno petto invece che sulla schiena.

Accusò il colpo. La potenza del pugno del suo avversario era tale che indietreggiò per parecchi metri prima di riuscire ad assorbire la potenza ricevuta. Tuttavia, nel frattempo, il suo nemico si era portato nuovamente alle sue spalle, colpendolo con una potente ginocchiata sulle scapole. Prima ancora di potersene rendere conto, Crilin vomitò un fiotto di denso sangue nero dalle labbra ormai spaccate dal freddo.

Barcollò in avanti, la vista annebbiata dal dolore. Senza alcuna pietà per il terrestre, l’altro combattente lo colpì con un violentissimo calcio, facendolo uscire dalla fitta boscaglia. Con un tonfo attutito dallo spesso manto di neve, Crilin atterrò con malagrazia al centro della piccola valle.

Il moro rimase fermò immobile per alcuni minuti, nel tentativo di riprendere la necessaria lucidità mentale. Impresa resa complicata dalle condizioni in cui si ritrovava. Le ferite, per lo più superficiali, che gli ricoprivano il torso avevano imbrattato il candido manto di neve attorno a lui di un colore rosato. ma il suo problema peggiore era il freddo. Le basse temperature rendevano un inferno doloroso anche un’azione essenziale come respirare. Nel frattempo, il ghiaccio aveva cominciato ad infettare le sue ferite più vecchie, creando croste rosso scuro con i bordi colorati di un malsano giallo sporco.

Con un ringhio di rabbia, il terrestre si puntellò sui gomiti, cercando di rialzarsi. Imprecò sonoramente quando notò la fatica che compiva anche solo per rimettersi in piedi. Ad aggravare la situazione ci pensò la sua mente che, con infido tempismo, gli inviò un immagine del volto sorridente di lei.

Digrignò i denti. Tentò con la forza della disperazione di scacciarla via dalla sua testa ma non ci riuscì. Alla fine, esasperato, il piccolo guerriero si conficcò le unghie nelle ultime ferite che aveva ricevuto. La scarica di dolore che seguì ebbe l’incredibile effetto di ridonargli lucidità mentale e forza sufficiente a rialzarsi.

Quando si alzò, Crilin si girò lentamente, puntando i propri occhi scuri nelle iridi altrettanto nere del suo avversario che, immobile, aveva aspettato che lui si rialzasse. Nonostante fossero ormai al terzo giorno di lotta, il terrestre ebbe un brivido involontario nell’osservare il suo nemico. Non era mai stato allenato ad affrontare avversari di questo genere.

Crilin ci aveva impiegato un giorno ed una notte per crearlo. E in quelle ore aveva patito l’inferno. All’inizio si era morso le labbra a sangue pur di non urlare, ma alla fine il dolore l’aveva vinto. Si era messo a gridare disperato dal dolore. Aveva invocato pietà, si era conficcato le unghie nella carne con forza, aveva urlato fino a ferirsi le pareti interne della gola, era arrivato addirittura al punto di invocare la morte. Convinto che fosse l’unica capace di porre fine a quell’orrenda tortura a cui si era volontariamente sottoposto.

Ma non si era arreso. Nonostante tutto, il piccolo guerriero non si era piegato alle richieste del suo corpo. Un corpo che si ribellava a quell’atto contro natura a cui lo stava sottoponendo. Ma, alla fine, aveva vinto lui. Creando quel guerriero contro cui stava combattendo.

Era stato il vecchio Dio ad insegnargli, durante l’anno in cui si era allenato nel suo palazzo, l’arte di creare delle copie. Non semplici illusione create dalla dispersione della propria energia spirituale, ma esseri di carne, nervi ed ossa capaci di obbedire ad ogni comando del suo creatore. Esseri della stessa potenza di colui che li creava. Potenziali assassini privi di qualunque volontà ed anima.

Non era una tecnica che l’anziano namecciano aveva rivelato ai combattenti Z a cuor leggero. Neppure Goku aveva mai saputo nulla di questa mossa così immorale. Ma con l’avvicinarsi dei saiyan alla Terra, il saggio Dio aveva deciso di insegnare a quei combattenti dal cuore nobile e puro tutto quello che poteva aiutarli in quella difficilissima impresa.

Ma tutto questo aveva un prezzo, e anche molto alto.

 

La possibilità di creare delle copie di pari potenza e totalmente sottomesse alla volontà del loro creatore è un’arte immorale e contro natura. Colui che compie questi atti abominevoli perde parte della propria anima, accorciandosi, così facendo, la propria vita. Non vi rivelo tale malvagità a cuor leggero, ma sono sicuro che voi saprete farne tesoro.”

 

Le parole dell’anziano namecciano risuonavano ancora nella mente di Crilin. A quell’epoca, quando era ancora convinto di essere guidato da saldi principi morali e di poter difendere il proprio pianeta dai nemici che ne minacciavano la pace, il terrestre era rimasto inorridito nel apprendere quale atto contro natura bisognava compiere per ottenere quelle copie. Era convinto che, pur apprendendola, non avrebbe mai usato quella tecnica dato che era contro tutti i suoi principi morali.

Ripensando a quei momenti, al moro veniva da ridere ora. Un riso amaro dettato dal fatto che, con il passare degli anni, aveva capito che i suoi tanto amati principi erano solamente un mucchio di stronzate. Parole vuote ed inutili che sembravano anche offensive se venivano confrontate con la cruda realtà.

Aveva scelto di compiere quell’atto contro natura perché aveva bisogno di risposte. Da troppo tempo si permetteva il lusso di rimandare quell’arduo compito, lasciandosi cullare dalle sue stupide paure. Da quando aveva conosciuto C18 nella sua vita si era scavato un solco profondo. Niente era più come prima, ma lui non riusciva a rendersene conto. Aveva bisogno di risposte, di capire, di comprendere cosa diavolo c’era che non andava in lui. Il perché non riusciva a lasciarsi il passato alle spalle, il perché falliva in tutto quello che faceva, il perché non riusciva a rendere felice la donna che amava.

Doveva trovare una risposta a queste domande. Ma per prima cosa doveva conoscere se stesso. Analizzare ogni azione che il suo subconscio compiva quando era totalmente libero dai legacci della mente e della ragione. Doveva analizzare la sua parte più primitiva e bestiale. Capire quali istinti selvaggi lo portavano verso quei crudeli fallimenti e correggerli immediatamente.

Era stato per questo che aveva costretto il suo corpo a quella duplicazione anormale, a quella mitosi contro natura che solo chi conosceva perfettamente il proprio corpo, fino all’ultima cellula, poteva fare. Anni di meditazione e di allenamento tornavano finalmente utili anche per soddisfare la sua immorale curiosità.

Certo, sapeva che tutto questo gli avrebbe accorciato la vita. Ma in quei frangenti, al piccolo guerriero, non gliene fregava assolutamente nulla. A che pro vivere ancora per moltissimi anni con l’amaro sapore della sconfitta ad inacidirgli il palato? Mille volte meglio vivere qualche anno di meno, se ciò gli permetteva di cambiare una volta per tutte il proprio fato.

Tuttavia, in quei due giorni di furioso combattimento, Crilin aveva sentito montare la frustrazione dentro di se. Non era riuscito a comprende nulla di quello che gli interessava dalla sua copia. Tutto quello a cui era arrivato era stato una lunga e logorante serie di scaramucce vinte in egual misura da ambo le parti, facendogli perdere ciò che restava della sua pazienza, riducendolo ad un fascio continuo di nervi tesissimi.

Quando il terrestre partì all’attacco di nuovo, provò la stessa identica situazione delle volte precedenti.

Pugno. Parata. Parata. Calcio. Contrattacco. Pugno. Una sequenza infinita e ripetitiva che gli rendeva sempre più difficile mantenere alta la concentrazione. In quei momenti, Crilin si domandò se quello che stava facendo fosse la cosa giusta. Se fosse quello il percorso corretto per migliorarsi e correggersi.

Si fermò, irritato per la parità continua che regnava tra lui e il suo doppione. Non riusciva a capirlo, a comprendere qualcosa di nuovo. Ogni movimento gli era noto. Non c’era nulla da apprendere o da scoprire in quella copia. In quei frangenti, la mente del moro formulò una sgradevole domanda.

Possibile che non ci fosse rimedio? Possibile che lui fosse un fallito per natura?

Il solo pensiero lo riempì di un’immensa furia.

Con un ringhio, il piccolo guerriero si portò le mani al fianco destro, dove raccolse tutta la sua energia spirituale. Dopo qualche secondo, una luce azzurrognola cominciò a luccicare dai palmi delle sue mani. Vedendo che il suo avversario lo stava imitando, la sua ira crebbe a dismisura.

“Kamehameha!” ringhiò a denti stretti. La rabbia gli rendeva difficile sciogliere i muscoli facciali per parlare con voce chiara.

Una luce accecante illuminò la valle mentre dalle mani dei due guerrieri partivano due fasci di luce azzurra. Le due onde si scontrarono a metà strada, creando una luminosa cupola di luce. Fasci di energia bianca sprizzavano violentemente da quest'ultima, bruciando tutto quello che incontravano. L'aria si fece, da fredda, bollente, mentre la terra vibrava violentemente a causa dell'energia in eccesso che cadeva al suolo.

La situazione rimase in parità per circa un minuto. Un minuto lunghissimo in cui entrambi i contendenti cercarono di fare il massimo sforzo per vincere la resistenza dell'avversario. La tensione all'interno della cupola si fece sempre maggiore. La sua instabilità cresceva in maniera vertiginosa con il passare dei secondi. E, alla fine, la sfera di energia esplose. Creando un'onda d'urto violentissima che spazzò il terreno attorno per parecchi metri.

Crilin fu investito dallo spostamento d'aria in pieno petto. Mentre una fortissima luce bianca, creatasi dall'esplosione, lo accecò temporaneamente, il piccolo guerriero sentì le sue costole incrinarsi pericolosamente mentre il colpo d'aria lo spedì lontano dal luogo dello scontro. Sbatté più volte contro rocce invisibili, ricoprendosi il corpo di tagli e abrasioni. Urlò dal dolore e dalla disperazione, convinto che quella fosse la sua morte mentre davanti a lui era tutto nero.

Poi, dopo aver colpito violentemente una roccia con la fronte, tutto divenne buio.

 

Quando Crilin rinvenne, la prima cosa che notò fu una lucente stalattite che svettava sopra di lui. Ci mise qualche minuto a comprendere cosa aveva davanti agli occhi dato che un leggero velo di nebbia gli offuscava lo sguardo, rendendogli poco lucida la mente. Quando riuscì finalmente a riprendere pieno possesso delle sue abilità visive, il piccolo guerriero si mise ad osservare con attenzione la formazione rocciosa che pendeva sopra di lui. Era piccola, non più lunga di una ventina di centimetri, e di un colore giallastro che rivelava la presenza di minerali di zolfo all'interno. Tuttavia, verso la punta, la stalattite era di un colore trasparente che, quando la luce la oltrepassava, creava giochi di luce di una bellezza incredibile.

Il terrestre provò ad alzarsi, ma appena fu seduto la vista gli si appannò, mentre un feroce mal di testa lo aggrediva con violenza. Non vomitò solamente perché era a digiuno da giorni. Rapidamente, il piccolo guerriero si mise di nuovo supino.

I ricordi di quello che era avvenuto nella radura gli tornarono poco alla volta. Rammentò la sua visita alla casa di Gohan, i suoi dubbi sull'aspettare C18 alla Kame House, il suo tentativo di studiare le proprie debolezze creando una copia di se; l'ultima cosa che la sua memoria riusciva a riportare alla luce era quando aveva lanciato la sua Kamehameha contro il suo avversario. Poi più nulla.

“Devo essere stato trasportato via dall'urto dell'esplosione che si deve essere creata subito dopo.” pensò. Ma la cosa non gli dava alcun sollievo. Si sentiva debole, stanco e dolorante dappertutto. Fece una smorfia di disgusto. Un tempo non si sarebbe fatto mettere fuori combattimento in quella maniera. Gli ultimi tempi passati senza più allenarsi lo avevano indebolito più di quanto credesse.

Mentre aspettava che il mal di testa la smettesse di tormentarlo, il terrestre decise di dare un'occhiata più attenta al soffitto che svettava sopra di lui. La stalattite che aveva notato appena era rinvenuto pendeva da un soffitto basso, rozzo ed irregolare di roccia dura, di chiara origine naturale. Doveva essere una grotta, ma Crilin aveva appena finito di formulare, dentro la sua mente, tutto ciò, che l'incoscienza lo accolse di nuovo tra le sue oscure braccia.

 

Quando si risvegliò sentì subito di stare meglio. Il mal di testa era sparito, così come buona parte del dolore derivatogli dalle ferite. La fame gli attanagliava lo stomaco, ma quello era un fastidio a cui era abituato.

Un sorriso feroce gli deformò le labbra. Poteva essersi rammollito, ma restava pur sempre un guerriero. In poche ore il suo fisico aveva superato un trauma che avrebbe messo fuori gioco una persona comune per parecchi giorni.

Si rialzò. Accolse con sollievo il fatto che non ebbe problemi nel compiere quel gesto. Nausee e mal di testa se li era lasciati finalmente alle spalle. Finalmente ristabilito, il terrestre poté osservare meglio l'ambiente che lo circondava.

Quella che gli era sembrata a prima vista una grotta risultò essere solamente una profonda rientranza della roccia. Ora che stava meglio, il piccolo guerriero notò numerosi altri particolari che prima gli erano sfuggiti: il soffitto era basso, tanto che persino lui doveva stare attento a non sbattere la testa. L'aria era stranamente tiepida, ma ciò era derivato dal fatto che l'ingresso era parzialmente ostruito da un soffice cumulo di neve. Nel vedere quello sbarramento Crilin ebbe un fremito di paura. Aveva rischiato di morire assiderato nel più stupido dei modi.

Uscì. Ci mise poco a smuovere la neve, friabile com'era. Appena fuori, il gelo montano colpì con violenza il suo petto nudo. Il terrestre batté i denti dal freddo mentre tentava di riscaldarsi sfregandosi con le mani il torso e le braccia. I suoi muscoli si erano raffreddati durante il periodo in cui era stato incosciente, e ciò lo rendeva lento e goffo nei movimenti. Tuttavia, il vento freddo che spirava da nord-est ebbe la capacità di schiarirgli del tutto la mente.

Inspirò a pieni polmoni l'aria della montagna, ma se ne pentì subito dopo. Le sue vie erano ancora fortemente irritate, e questo lo fece piegare in due dal dolore. Solamente dopo qualche secondo riuscì a guardarsi intorno.

L'esplosione tra i due colpi energetici lo avevano spedito piuttosto lontano. Si trovava sul fianco sinistro di una montagna. Vicino alla radura dove si era scontrato con la sua copia. La posizione del sole nel cielo gli fece capire che era stato fuori combattimento per non più di mezza giornata. Crilin sentì, nonostante non potesse avvertirne l'aura, che il suo doppione si era rimesso in moto come lui. La sua mente ritornò velocemente alla sfida interrotta.

Una copia creata nella maniera utilizzata dal terrestre poteva venire distrutta solamente in due modi: o mettendo fuori gioco il suo creatore, o facendola consumare tutte le energie a sua disposizione. Essendo intimamente legati, nelle ore in cui Crilin era stato incosciente lo era stato anche il suo doppione. Tuttavia, ora che il suo creatore si era ripreso, anche la copia si sarebbe rimessa subito in moto. Occorreva dunque trovare una soluzione per porre fine allo stallo che si era creato.

La prima cosa che il piccolo guerriero fece fu azzerare la sua aura. Aveva bisogno di pensare e non voleva che la sua copia lo rintracciasse subito, riportandolo quindi a riprendere il combattimento.

Il vento aveva preso a soffiare con forza sul fianco della montagna, portando con se qualche fiocco di neve. Era un pomeriggio plumbeo e grigio, grosse nuvole si accalcavano sopra di lui, mentre il lamento lugubre del vento gli fischiava nelle orecchie. Nonostante fosse appena metà settembre, tra quei freddi picchi l'inverno era già arrivato.

Crilin sospirò. Quel luogo così freddo, solenne e severo gli ricordava con forza C18. Ma in quel momento il terrestre non aveva voglia di pensare alla cyborg. Doveva concentrarsi su se stesso, su quel combattimento, su come poteva cambiare e migliorarsi come persona e come uomo. Dopo essere riuscito, seppur con fatica, a scacciare l'androide dalla sua mente, il piccolo guerriero cominciò a riordinare i suoi pensieri attentamente. Quasi fosse un artigiano che riponeva ed ispezionava i suoi strumenti di lavoro.

La prima conclusione a cui arrivò fu che non aveva alcun senso combattere con le sue normali tecniche di combattimento. Nonostante avesse ancora qualche asso nelle manica, e tra di essi c'era il kienzan, Crilin era convinto che non avrebbero funzionato. Il suo avversario era se stesso. Nessuna delle sue tecniche avrebbe avuto successo per il semplice motivo che il suo doppione le conosceva bene, troppo bene. E sapeva di conseguenza come neutralizzarle.

Avrebbe dovuto improvvisare. Un'arte, questa, che gli era sempre venuta bene in combattimento. Ma in quel momento il suo cervello doveva essersi arrugginito dato che, dopo più di venti minuti in cui rimase fermo a pensare, non gli venne in mente nulla. Tutto quello che gli passava per la testa erano i soliti lugubri pensieri. La rabbia prese corpo di nuovo in lui. Tanto che, dopo un po', preso dalla stizza si mise ad imprecare sonoramente. Mentre ascoltava l'eco che gli faceva sentire, sempre più fioche, le sue maledizioni, al piccolo guerriero venne in mente il suo caro amico Goku e al fatto che, così come la sua voce si disperdeva tra e rocce, anche il saiyan e lui si erano allontanati nel corso degli anni. Il suo pensiero vagò, leggero ed impalpabile, tra i meandri della sua mente. Quasi fosse un tentacolo che si insinuava lentamente ma inesorabilmente. Il piccolo guerriero ripensò a tutti i bei momenti passati assieme al saiyan e di come questi, ormai, erano solamente un lontano ricordo da custodire con cura. In quegli istanti la sua mente riportò alla luce una lenta marea di ricordi di quella persona così buona, generosa e giusta. Ogni parola, ogni gesto che Goku aveva compiuto in tutti quegli anni in cui si conoscevano divennero nitide e chiare dentro di lui.

E di colpo tutto fu chiaro.

 

Come fai?”

A fare cosa?”

A fare quella mossa strana...quella in cui una strana aura rossa ti circonda.”

Goku, immerso nella piacevole operazione di svuotare l'ennesimo piatto colmo di cibo, voltò lentamente il volto verso il suo amico. Perplesso da quella domanda. Dall'altra parte del tavolo, Crilin assunse un'aria imbarazzata mentre si grattava impacciato la pelata.

Stai parlando del Kaioken?”

Non so come si chiama.” dichiaro il terrestre mentre con una mano giocherellava con una scaglia di pane. “Ma intendo quella tecnica in cui ti circondi di un'aura rossa come il sangue, diventando velocissimo e incredibilmente potente.”

Sul volto sporco di sugo del saiyan comparve un sorriso.

Si chiama Kaioken Crilin. E' una mossa che ho appreso da re Kaio nell'aldilà.”

Ma come funziona? Sì, insomma...come fai a diventare all'improvviso molto più veloce e potente del normale? È questo che non comprendo.”

Goku cominciò a rimuginare alla domanda che l'amico gli aveva posto. Conosceva la risposta, solo che non sapeva come esprimere il pensiero a parole. E sì che quando gliela aveva spiegato re Kaio quest'ultimo non aveva fatto tanta difficoltà a spiegare il concetto. Ma parlare non era mai stato il punto forte del saiyan. Per i successivi dieci minuti, Goku continuò a riflettere su come trovare le parole adatte, mentre Crilin lo osservava in silenzio. Perplesso dalle difficoltà dell'amico nel spiegare una cosa che sapeva benissimo.

Non so bene come spiegartelo.” dichiarò infine, pur con qualche esitazione, Goku. “Per fare il Kaioken tu devi metterti in contatto con le forze che pulsano attorno a te. È attingendo a quelle forze che io posso aumentare tutte le mie capacità di combattimento.”

Di quali forze stai parlando?”

Delle forze del mondo che ci circonda.”

Crilin scosse la testa. Non riusciva a comprendere.

Non capisco Goku. Quali sono queste forze? Dove sono? E, soprattutto, da chi sono compiute tali forze.”

Come pensi che facciano i venti a soffiare? I mari a muoversi? I vulcani ad eruttare? Ogni minimo evento che accade attorno a noi è compiuto da una forza, e tali forze permeano l'aria attorno a noi in ogni istante. Ci circondano, ci comprimono, ci obbligano a consumare energie per fare qualsiasi cosa, anche respirare.”

Ma come fai ad usarle? Insomma, non sono un novellino nella meditazione, ma io queste forze non le ho mai percepite.”

Goku sorrise. Un sorriso allegro e fanciullesco che era caratteristico della sua persona. Stava cominciando a divertirsi a fare la parte del maestro.

Tu parti con l'idea di riuscire a percepire solo le forze degli esseri viventi che ci circondano. Ma essi non sono gli unici che possiedono energia. Quando io uso la Genkidama pensi che faccia ricorso solo alle forze degli animali e delle piante? Se così fosse, combinerei poco o nulla. Pensa solo a quanta energia può donarti una stella del calibro del Sole! Eppure esso non è un essere vivente.”

Crilin rimase in silenzio. Pensieroso davanti alle parole dell'amico. Di solito, tra i due, era il terrestre quello che sapeva sempre tutto. Perciò, sotto un certo aspetto, era una situazione nuova per lui ricevere lezioni da parte di Goku. D'altro canto quest'ultimo riprese a mangiare, convinto di aver risposto alla domanda dell'amico.

Ma qual è allora la differenza tra il Kaioken e la Genkidama?” domandò all'improvviso il terrestre. “In fondo, tu hai detto che per usare entrambi ti servi delle forze che ti circondano. Ma allora cosa cambia tra l'usare una mossa al posto dell'altra?”

C'è una differenza” rispose il saiyan con un sospiro mentre, a malincuore, interrompeva per la seconda volta il proprio pasto. “Nell'usare la Genkidama tu ti limiti a chiedere al mondo che ti circonda di donarti parte della sua energia. Il Kaioken è diverso. In quel caso tu avvii un legame telepatico con le forze che ti circondano e le sfrutti per i tuoi scopi.”

Mi piacerebbe un giorno impararla.” dichiarò il piccolo guerriero con un sorriso.

E' pericoloso” dichiarò Goku con un'espressione improvvisamente seria. “Devi saperti destreggiare perfettamente con la mente mentre combatti dato che, se interrompi il contatto, le forze che tu sfruttavi ti abbandoneranno subito. Inoltre devi saper preparare il tuo fisico a riceverle. Le forze che tu intendi sfruttare sono gigantesche ed immense. Se non stai attento, esse ti consumeranno dall'interno. Uccidendoti in pochi istanti.”

Allora potresti insegnarmelo tu!” fece il terrestre mentre sorseggiava la propria birra. “Sono sicuro che potrei diventare forte quanto te se sapessi usare questo Kaioken!”

Chissà!” disse Goku con un grande sorriso.

 

Crilin rimase immobile per parecchi secondi. Frastornato dall'intensità con cui quel ricordo era ritornato a galla dalle profondità della sua mente. Il ricordo del suo amico morto lo colpì per l'ennesima volta con una violenza inaudita. Mentre sentiva i sensi di colpa che, in modo ormai per lui familiare, ruggivano con rabbia dentro di lui. Graffiandoli l'anima ed il cuore.

Scosse la testa con forza, nel tentativo di liberarsi dalla quella morsa strangolante che era il suo senso di responsabilità. Tenne chiusi gli occhi con forza, mentre cercava di appiattire il turbolento rimescolamento di emozioni e sensazioni che lo privavano della necessaria lucidità di pensiero. Una volta che fu sicuro di potersi controllare, il terrestre aprì gli occhi. Riflettendo su quello che aveva appena rimembrato.

La prima cosa che formulò dentro di lui fu darsi dell'idiota. Si domandò perché, nel periodo di pace di tre anni prima dell'arrivo dei cyborg, non avesse chiesto a Goku di insegnarli ad usare il Kaioken. Sarebbe stato talmente facile rendersi utile nelle battaglie successive se avesse imparato quella potente mossa! Invece non l'aveva fatto. Però la spiegazione del suo amico gli risuonava chiara e limpida in mente.

 

Devi metterti in contatto con le forze che pulsano attorno a te.”

 

Ma cosa significava mettersi in contatto? Avrebbe dovuto mettersi alla ricerca di tali forze con la mente? Goku ci aveva messo un anno per imparare a farlo, e lui non aveva tutto questo tempo. Era anche vero, però, che, in quel momento, lui era molto più forte del saiyan quando andò da re Kaio. Quindi esisteva la remota possibilità che potesse diventare un autodidatta.

Sospirò. Chiuse gli occhi e, con circospezione, allargò il proprio raggio mentale. Cominciando ad entrare in sintonia con il mondo circostante. Ciò che percepì all'inizio gli fu subito familiare: il lento metabolismo degli animali in letargo, le pulsazioni antiche e possenti degli alberi, il brulicare degli insetti nel sottosuolo. Il terrestre riuscì persino, pur con fatica, a captare la presenza di insediamenti umani a parecchie miglia di distanza. Non potendo usare la propria energia spirituale, il piccolo guerriero faceva una gran fatica a usare le sue capacità telepatiche. Dopo dieci minuti di pigre ricerche, il moro non aveva ancora concluso nulla.

 

Ma dove diavolo sono queste maledettissime forze?!”

 

Sempre più irritato, Crilin continuò le sue ricerche telepatiche, mentre il gelo montano lo faceva rabbrividire continuamente. Ad un certo punto, un violento attacco di tosse lo costrinse ad interrompere le sue ricerche per qualche minuto. Dalle sue labbra uscì sangue vermiglio. Ignorando totalmente il suo stato di salute, il terrestre provò e provò di nuovo. Fino a quando, infuriato, non lanciò un urlo di rabbia e frustrazione verso il cielo.

Dove siete?! Se esiste veramente qualche fottuta potenza nascosta, beh che si riveli!” vedendo che solo l'eco rispondeva alla sua collera, il terrestre perse definitivamente le staffe “STRONZI!”

Il dolore che le sue vie respiratorie gli inviarono ebbero il merito di riportarlo a ragionare. Calma. Ci voleva calma e una notevole dose di pazienza. Non poteva pretendere di imparare subito tutto. Doveva concentrarsi e non farsi prendere dalla rabbia.

Ricominciò. Usando, questa volta, anche parte della sua energia spirituale. Pur rischiando in questo modo di essere individuato, i risultati furono confortanti. La sua capacità percettiva era decisamente aumentata. A poco a poco, mentre continuava a sforzarsi di pazientare e di trattenere le proprie emozioni, il piccolo guerriero si immerse sempre di più nella meditazione. Isolandosi dal resto del mondo. A differenza di prima, in cui si era concentrato solamente su una fonte energetica alla volta, questa volta spaziò con il pensiero in modo circolare. La quantità di informazioni a cui arrivò all'inizio furono sconvolgenti: una quantità immensa di percezioni, odori e sensazioni delle creature che accarezzava con il pensiero gli invasero la mente. Tuttavia, nel giro di qualche minuto, Crilin riuscì a mettere ordine in quel flusso caotico.

Districandosi nella natura selvaggia ed impervia di quelle montagne, il terrestre cominciò a essere preso dallo sconforto. Non era ancora riuscito a trovare niente. Stava per rinunciare quando, all'improvviso, sentì un'energia lenta e possente alimentare il vento. Era un soffio leggero, come una spirale di fumo, all'interno della sua mente. Ma Crilin esultò dentro di lui. Ci era riuscito. Aveva finalmente cominciato ad individuare le forze di cui gli aveva parlato Goku.

A poco a poco, il moro riuscì ad individuare ed a localizzare meglio le forze che alimentavano l'aria. Rimase stupito da quanto intense fossero. Pur non potendolo precisare con chiarezza, quello che percepiva erano energia potentissime. Non strabilianti, ma comunque sufficienti per annientare, senza troppi problemi, avversari del calibro di Radish e Nappa.

Studiando a fondo l'energia del vento, Crilin riuscì, poco alla volta, a individuare moltissime forze ed energie che, fino a quel momento, aveva totalmente ignorato. Percepì l'energia frizzante e vigorosa dei torrenti montani, il cupo e possente oceano che si infrangeva orgoglioso contro la terraferma con una potenza che non sarebbe mai riuscito ad eguagliare. Percepì anche, lontano e distante, l'immenso potere del Sole, e di come i suoi raggi fornissero energia a moltissimi esseri viventi con il loro calore. Il conoscere così poco del mondo che lo circondava lo turbò. Quelle forze, quelle energie erano attorno a lui. Dappertutto. Proprio come gli aveva detto il suo amico Goku.

Ad un tratto, il terrestre percepì una potenza spaventosa. Era immensa, infinita, grandissima. Talmente grande che, all'inizio, Crilin pensò che si trattasse di un nuovo nemico. Solo dopo una più attenta occhiata attraverso il suo occhi interiore, il moro comprese che quella forza proveniva dall'interno del pianeta. Era una potenza latente, quasi sonnacchiosa. Ma pronta ad esplodere senza alcun preavviso. Davanti a tanta potenza, il piccolo guerriero rimase esterrefatto. Tuttavia, per quanto riuscisse ora a percepirle, egli non aveva idea di come mettersi in contatto con tali energie. Erano talmente smisurate e potenti che provare ad incanalarle dentro il suo corpo sarebbe stato come riversare uno tsunami dentro un secchio.

Improvvisamente, la sua mente percepì uno spostamento d'aria vicino a lui. Imprecò. A furia di allungare il suo raggio mentale aveva attirato l'attenzione della sua copia che, ora che l'aveva individuato, si preparava a tornale all'assalto.

Precipitosamente, il moro tentò di mettersi in contatto con tali forze. Fu tutto inutile. Appena tentava di avviare un collegamento mentale con queste, esse gli sfuggivano. Quasi fossero delle lucide palle di vetro unte d'olio. Il tempo passava, ed ormai sarebbe bastato poco prima che il suo avversario lo localizzasse. Tuttavia, più si faceva prendere dall'ansia, più il controllo di tali forze gli sfuggiva. Alla fine, esasperato, il terrestre provò a lanciarsi mentalmente contro di esse con la violenza di un toro imbufalito. L'unico effetto che ottenne fu di scontrarsi contro una barriera mentale solida, liscia e, all'apparenza, impenetrabile.

All'improvviso, un ki-blast lanciato contro di lui interruppe bruscamente il suo contatto telepatico. Subito dopo, Crilin aprì gli occhi, rimanendo accecato parzialmente dal riverbero del sole sulla neve. Subito dopo, un pugno andò a conficcarsi con violenza nel suo addome. Colto di sorpresa, il piccolo guerriero si limitò a strabuzzare gli occhi, mentre la violenza del colpo lo spediva a qualche decina di metri di distanza.

Si rialzò lentamente. Era pieno di rabbia e delusione. Ci era andato vicinissimo a raggiungere il suo obbiettivo! E ora, invece, avrebbe dovuto lasciar perdere tutto per colpa del suo doppione.

Se lo poteva scordare. Lui avrebbe imparato ad usare quella tecnica. Fosse anche dovuto perire su quel picco solitario.

Osservò la sua copia. Vide il suo volto inespressivo e rimase, come al solito, turbato da esso. Le loro ombra, identiche, si slanciavano sul manto nevoso alla loro sinistra, mentre i pallidi raggi dell'astro infuocato illuminavano i loro volti sporchi, stanchi ed insanguinati.

Fu quel riverbero a fargli venire in mente un'idea.

Non era nuova dato che l'aveva attuata diverse volte in vita sua. E, sicuramente, il suo avversario avrebbe provato ad anticiparla. Ma il terrestre era sicuro che, quando si sarebbe accorto di ciò, sarebbe stato troppo tardi.

Scattò verso l'alto, subito seguito dal suo avversario. Mentre si dirigeva verso nord, Crilin radunò parte della sua energia spirituale nelle mani. Quando le sentì sufficientemente calde, il terrestre decise di attuare il suo piano.

Kienzan!”

Subito dopo, sui palmi delle sue mani si formarono due cerchi energetici rotanti di color dell'oro. Senza neanche guardarsi dietro, il moro lanciò i due cerchi, con la speranza che il suo avversario si comportasse di conseguenza.

Funzionò.

Il suo avversario, per evitare i cerchi, fece uno scatto repentino verso sinistra. In questo modo, tuttavia, esso si trovò con il sole negli occhi. Il piccolo guerriero non si fece sfuggire l'occasione. Con uno scatto repentino, si portò davanti al suo avversario, portandosi le mani sul volto.

Taiyoken!”

Una luce accecante illuminò la zona, privando ogni oggetto delle proprie ombre e rendendoli, per qualche istante, privi di volume e profondità. Quando tutto finì, Crilin aveva ottenuto il suo scopo.

Il suo avversario, infatti, era rimasto accecato dalla mossa del terrestre. Pur senza pronunciare una sola parola, la copia del piccolo guerriero si portò le mani al volto. Approfittando di quella pausa, Crilin si precipitò al suolo dove ricominciò subito a ricollegarsi con le forze che aveva captato prima. Cercò di non pensare al trucco da lui appena usato dato che gli riportava alla mente brutti ricordi. Era stata quella mossa a permettere a Cell di assorbire C18. E questo lui non l'avrebbe mai potuto dimenticare dato che aveva visto tutto con i suoi occhi.

Appena riuscì a percepire le forze, il terrestre tentò di sfruttare tali forze ma, come prima, si trovò davanti a quella viscida barriera. Cercò più e più volte di sfondarla, ma i suoi risultati furono deludenti. Con il passare dei minuti si fece sempre più teso. Il tempo a sua disposizione stava scadendo. Presto la sua copia si sarebbe ripresa, e lui non avrebbe più avuto occasioni per tentare quella mossa. Provò più volte, in maniera sempre più violenta ed aggressiva, ma l'unico risultato che ottenne fu quello di irrigidire, se possibile, ancora di più la barriera.

Era finita. Doveva rassegnarsi. Non aveva abbastanza conoscenze per attuare il Kaioken. Evidentemente esisteva un metodo particolare che Goku non gli aveva spiegato. Stava per abbandonare del tutto il legame telepatico con quelle forze quando, all'improvviso, una voce risuonò dentro di lui.

Ti stai già arrendendo?”

Crilin rimase immobile. Fulminato da quella voce. Non l'aveva mai sentita, eppure gli pareva di conoscerla da una vita. Era una voce dolce, ma dal chiaro timbro maschile. Una voce carica di saggezza e comprensione, ma anche di potere. La voce, in definitiva, di un essere superiore.

Chi...chi siete?” domandò con tono esitante il piccolo guerriero.

La domanda giusta non è chi sono io” fece la voce. “Ma piuttosto, chi sei tu.”

Non lo sapete?”

So solo che stai tentando di usare il Kaioken. È per questo che ti ho notato. Altrimenti, credo che ti avrei ignorato. Sperduto in quell'angolo della Terra come sei, non ti avrei certo percepito con facilità.”

Ma si può sapere cosa volete? Insomma, se mi avete contattato ci sarà pur un motivo.” dichiarò il terrestre. L'ansia cresceva dentro di lui con il lento passare dei secondi.

Te l'ho già detto. Questa non è la domanda adatta a questo contesto.”

Potreste rispondere lo stesso. Non le pare?”

Beh...sì. Suppongo che abbiate ragione. Ebbene io sono re Kaio. Colui che ha inventato la tecnica che ti ostini a voler usare.”

Crilin rimase letteralmente a bocca aperta. Re Kaio! Stava parlando con il grande re Kaio e non se ne era neppure accorto! Tuttavia, la fretta che dominava il moro in quel momento, ebbe la meglio sulla sorpresa e l'incredulità.

Quindi lei può dirmi dove sbaglio?!”

Beh...sì. Direi che potrei anche dirtelo. Tuttavia, non credo che sia una buona cosa che tu lo sappia.”

E perché?”

Perché quello che stai facendo è sbagliato. Io ho letto il tuo cuore. Ho visto il tuo dolore, la tua rabbia e ho compreso che cosa ti angoscia. E credimi figliolo, non è questa la strada giusta.”

Non mi interessa se questo è giusto o meno! Mi dica dove sbaglio!”

...”

La scongiuro! Me lo dica!” urlò disperato il piccolo guerriero con il cuore pieno di ansia e frustrazione.

E va bene! Te lo dirò! Quello che hai fatto fino ad adesso è giusto nel concetto, ma sbagliato nell'approccio.”

E cioè?”

Tu ti rivolgi alle forze che ti circondano con rabbia e disperazione. Dentro al tuo cuore tu hai un violento desiderio di morte. E ciò spaventa le forze a cui tu stai chiedendo aiuto. Esse rappresentano tutto quello da cui tu rifuggi: la vita, la gioia, la pace. È per questo che non riesci a metterti in contatto con loro.”

Mi dica come posso fare allora.”

Svuota la mente. Annulla il tuo cuore. Abbandona il dolore che ti porti appresso da tanto, troppo tempo. Solo allora potrai entrare in simbiosi con tali forze, e diventare un tutt'uno con loro.”

Subito dopo, la voce di re Kaio lo abbandonò. Lasciandolo di nuovo solo con i suoi pensieri e le sue ansie.

Doveva abbandonare tutto quello che aveva provato in quegli ultimi anni.

Aveva pochi minuti per farlo.

E non sapeva da dove cominciare.

Decise di provarci. Non era facile, lo sapeva. Ma se voleva dominare quella tecnica, doveva lasciarsi alle spalle definitivamente il suo dolore per la morte di Goku, insieme ai suoi sensi di colpa.

Lentamente, Crilin svutò la sua mente. Abbandonò, sia pure con difficoltà, dolore e rabbia. Si liberò dei sensi di colpa. Sapeva che non poteva, in così poco tempo, liberarsene totalmente. Sperò, tuttavia, che il suo gesto venisse apprezzato a chi stava per chiedere aiuto.

E l'aiuto arrivò.

Appena ebbe liberato la sua mente dall'ultima traccia di rabbia, il muro che prima circondava le forze della natura scomparve. Lasciando al suo posto un fiotto densissimo di energia pura che, lentamente ma inesorabilmente, gli riempì il corpo. Trattenne il respiro. L'energia dentro di lui era tanta. Troppa. Gli faceva bruciare i muscoli di energia. Gli aumentava i battiti del cuore ad una velocità che non riteneva possibile raggiungere. Il sudore scorreva a fiumi sul suo corpo tremante di energia, trasformandolo in una statua di bronzo.

Il suo avversario, avendo ormai riacquistato la vista, si lanciò contro di lui a tutta velocità.

Ma Crilin era pronto questa volta.

E fu in quell'istante che, per la prima volta, pronunciò una parola che gli rotolò sulla lingua con familiarità. Quasi fosse stata la prima parola che avesse imparato a dire.

Kaioken!”

 

CONTINUA

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Capitolo 24
*** La scelta di C18 ***


Capitolo 24

 

Si muoveva silenziosamente tra la neve, un'ombra nera in un mondo ammantato di bianco. Un vento freddo le scompigliò i capelli, obbligandola a sistemarseli con un gesto per lei abituale. I suoi occhi vagavano con calma attorno a lei, alla ricerca di qualcosa o di qualcuno.

Nonostante i suoi vestiti non fossero adatti a quel tipo di clima, C18 non aveva freddo. Anzi, sotto un certo aspetto, la cyborg trovava quasi gradevole il clima di quel posto. A differenza del caldo, che lei mal sopportava e che la soffocava in una presa appiccicosa e molle, il freddo la stringeva in una morsa dura e gelida come l'acciaio. Una sensazione che non trovava affatto spiacevole.

La neve la intralciava di continuo, ma preferiva andare a piedi. Sapeva già dove si trovava quello che cercava, inoltre camminare le permetteva di indirizzare la sua mente altrove. Verso problemi ben più pressanti.

Più il tempo passava, più si sentiva simile a quello che era stata una volta. Non aveva più dubbi, paure, domande a cui trovare risposte. Niente di tutto questo le importava più ormai. Aveva fatto la sua scelta e tutto il resto si sarebbe dovuto piegare, volente o nolente, alla sua volontà.

Si sentiva riempita di una fermezza e di una convinzione che a momenti la turbavano. Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Quando era un'assassina crudele e sadica che non si poneva il minimo dubbio se quello che faceva era giusto o sbagliato, ma agiva e basta. In quegli istanti, lei si sentiva esattamente come allora. Non gliene importava più niente di cosa fosse giusto o cosa no, né se lei fosse un cyborg, un mostro o una donna.

Ormai aveva deciso.

E niente, neppure lui, l'avrebbe fatta desistere.

Il vento le pizzicava la pelle del volto, donandole un colore più rosso e vivo alle guance. Sbuffò, irritata da quel fischio fastidioso nelle orecchie. In quegli istanti scoprì, con grande sorpresa, di sentire la mancanza di una piccola spiaggia baciata dal sole e circondata da un limpido mare caldo. Chiaro sintomo che soffriva di una qualche forma di pazzia dato che non aveva mai amato né il mare né il caldo.

“E' tutta colpa di quel maledetto nanerottolo.” pensò. Ma il suo non era un pensiero pieno di odio o di rabbia, quanto più di esasperata rassegnazione. Lei lo amava, e non poteva, né voleva, fare nulla per poter cambiare quello stato di cose.

Quanto gli stava sulle palle per questo! Lo amava e lo odiava. Lo voleva morto, ma allo stesso tempo senza di lui non riusciva più a vivere. Lo voleva picchiare a sangue per aver osato farla innamorare di lui ma, allo stesso tempo, sarebbe rimasta eternamente grata a lui per la nuova vita che le aveva donato.

Sì, ormai non c'erano più dubbi. Era diventata completamente pazza. I suoi circuiti si dovevano essere fusi tempo fa se ormai passava le giornate a pensare a lui. Lo stesso fatto che fosse lì in quel posto testimoniavano che era uscita completamente di senno.

Certe volte pensava a suo fratello e si domandava cosa avrebbe detto se l'avesse vista in quelle condizioni. Ormai non lo vedeva da quasi due anni. In quel periodo di tempo era cambiata radicalmente. Una volta aveva sentito dire che le persone si rinnovano continuamente, che non sono fissate come un blocco di marmo al terreno. Doveva ammettere che lei ne era la prova più lampante di quanto quel detto fosse vero.

Chissà, forse C17 l'avrebbe presa in giro e denigrata, forse si sarebbe ingelosito per quel suo rapporto con quel microbo di guerriero. Ma C18 non lo vedeva proprio suo fratello geloso. Gli aveva sempre dato l'idea che non si facesse toccare particolarmente da certi pensieri. In ogni caso, la cyborg era convinta che suo fratello non si sarebbe particolarmente curato di come lei sceglieva di vivere la propria vita. A lui bastava che lei fosse felice, il resto non importava.

Sotto un certo aspetto, era lei quella problematica in famiglia.

All'improvviso, un boato interruppe il suo filo di pensieri. Poco lontano da lei, a circa un miglio di distanza, vide un immenso spruzzo di neve alzarsi verso l'alto, riempiendo il cielo del tardo pomeriggio di migliaia di frammenti di ghiaccio che, attraversati dai raggi arancioni del sole, si tinsero del colore del sangue.

C18 osservò lo straordinario fenomeno fino a quando non torno la calma. Poi, senza far trasparire dal proprio volto la benché minima emozione, la cyborg continuò ad avanzare verso il proprio obbiettivo.

“Sei stato bravo nanerottolo. Non è da tutti imparare tali tecniche.” un sorriso perfido le deformò le labbra sottili mentre pensava a quanti miglioramenti aveva fatto il piccolo guerriero in quegli ultimi anni. Era stata lei ad allenarlo. Ad istruirlo. A renderlo, molto probabilmente, l'essere umano più potente dell'interno pianeta.

Ma lei era ancora di un livello superiore. E la cosa, ad essere sincera, le piaceva parecchio. Nessuno poteva permettersi l'ardire di superarla in potenza. Certo, i saiyan l'avevano superata da tempo, ma lei non si curava di loro. Erano solo un branco di scimmioni istintivi ed arroganti, troppo stupidi per poter anche solo lontanamente comprendere ciò che erano lei e suo fratello. L'unico che si salvava parzialmente era Gohan. Per quanto quel ragazzino fosse tiranneggiato da quella pazza isterica di sua madre, il figlio di Goku le piaceva. Era un ragazzo gentile, ma capace, se provocato, di scatenare una potenza micidiale. In ogni caso, pur trovandolo privo di spina dorsale dato che non si era ancora liberato di quell'isterica di Chichi, Gohan poteva essere annoverato nel privilegiato gruppo di persone che lei si era concessa di non disprezzare.

Continuò ad avvicinarsi alla radura, dove sentiva provenire l'aura del suo obbiettivo. Intorno a lei la terra tremava dall'intensità dello scontro che si stava svolgendo. I colpi si potevano udire a centinaia di metri di distanza, assomigliando nel rumore a terrificanti rombi di tuono.

Infine quando arrivò sull'orlo della radura lo vide. Circondato da un'aura rosso sangue. Veloce, spietato, preciso nel colpire. Ma soprattutto era diventato potente. Incredibilmente potente. Non credeva che un comune essere umano potesse raggiungere una simile potenza. Ma lui ci era riuscito, contro ogni aspettativa.

Ma lei era superiore.

Strinse con forza i pugni, mentre sentiva una scarica di determinazione scorrerle nelle vene. Riempiendola di rabbia e furia.

Aveva trovato ciò che stava cercando.

 

“Kaioken!”

Non appena ebbe pronunciato la parola della tecnica, una fiamma color rosso sangue circondò il corpo di Crilin. Un'energia bollente gli scorreva come un fiume di lava incandescente dentro le vene. Se fino a quel momento il terrestre aveva avuto freddo, all'improvviso sentì di avere un caldo tremendo. La neve attorno ai suoi stivali cominciò a sciogliersi, mentre l'aria attorno a lui divenne bollente.

In quel istante, il suo avversario lo attaccò di nuovo. La copia aveva recuperato la propria capacità visiva. Ed ora si stava preparando ad attaccare.

Ma Crilin era pronto.

Con un ringhio di pura rabbia, il terrestre partì all'attacco. Con sua grande sorpresa, la sua velocità era aumentata in maniera spropositata. Senza rendersene conto, il piccolo guerriero superò il proprio avversario, ritrovandosi ad un'altezza vertiginosa in meno di un secondo.

“Come diavolo ho fatto?”

Solo allora comprese fino in fondo le immense potenzialità della nuova tecnica che aveva appreso. Una grande euforia prese possesso di lui. Le sue labbra si deformarono a formare un ghigno feroce.

“Con questa tecnica posso tener testa a chiunque, forse persino i saiyan!”

Si lanciò nuovamente all'attacco, muovendosi ad una velocità troppo alta per il suo avversario. Impedendo al proprio doppione di reagire, Crilin lo colpì con violenza inaudita allo stomaco, lasciandolo senza fiato. Senza dargli tregua, il moro lo bersagliò con con una seria di pugni su ogni centimetro quadrato che riusciva a colpire, beandosi di quella nuova forza e rapidità che il Kaioken gli aveva conferito. Alla fine, vedendo il suo avversario sul punto di crollare, Crilin lo spedì a sfracellarsi al suolo con una violenta gomitata sulla fronte. Il cratere che il suo doppione lasciò nel terreno era abbastanza ampio da poter contenere l'intera isola della Kame House, casetta compresa.

Tuttavia, in quell'istante, l'energia che lo pervadeva scomparve.

Immediatamente, Crilin sentì una fitta terribile provenire dal petto. Il suo cuore prese a battere in modo irregolare, mentre i suoi polmoni si svuotarono d'aria senza però riempirsi di nuova. Davanti ai suoi occhi cominciarono a comparire alcuni puntini rossi, mentre un dolore bruciante si diffuse in ogni suo muscolo.

E poi scomparve.

Il piccolo guerriero emise un gemito rauco, mentre assorbiva a grandi boccate l'aria gelida, infischiandosene delle condizioni della sua gola. Si sentiva distrutto. La stanchezza derivatagli da tre giorni consecutivi di combattimento si era decuplicata in maniera improvvisa. Lasciandolo sfinito e stordito.

Fu solo allora che comprese gli effetti collaterali di quella tecnica. Certo, grazie al Kaioken poteva sviluppare una potenza enorme, di gran lunga superiore a quella che era solito poter sprigionare. Ma tutto ciò richiedeva una sforzo enorme da parte del suo corpo. Se non stava attento, l'energia che prelevava dalle forze che lo circondavano lo avrebbero consumato da dentro, carbonizzandolo in pochi istanti.

“Come faceva Goku ad usare un Kaioken di portata superiore alla norma di venti o addirittura trenta volte? Io solo per usare quello normale mi sono distrutto!”

La sua euforia scomparve di botto. Non aveva senso usare quella tecnica se l'unico risultato sicuro era quello di distruggersi dall'interno. In quei casi c'era in gioco la sua stessa vita. Decisamente, il gioco non valeva la candela.

“Come se mi importasse qualcosa in questo momento della mia vita.” si trovò a pensare improvvisamente. Subito dopo si pentì di quel pensiero. Non poteva morire. Non con così facilità. Non poteva abbandonare i suoi amici in quella maniera stupida e futile. E poi c'era il bambino. Se mai C18 avesse voluto rivederlo, era suo dovere donare a quel bambino non ancora nato la vita migliore che poteva offrirgli.

In quell'istante, il suo doppione si rialzò. Con fare inespressivo la copia osservò il suo avversario, apparentemente confusa dalla sua ultima mossa utilizzata.

Crilin strinse i pugni. Non gli piaceva. Ma non aveva altra scelta. Se non avesse usato il Kaioken non ci sarebbe stato alcun vincitore in quello scontro. Avrebbero continuato a combattere fino a quando le loro energie non si fossero esaurite. Lasciandoli inermi ed esausti.

Un nervo del suo collo si contrasse. Non aveva scelta.

“Reggerà il mio fisico?” era una domanda a cui non sapeva rispondere. Si sentiva ancora tutti i muscoli bruciare dalla fatica. E non era sicuro che sarebbe riuscito a resistere ad un nuovo sforzo di pari intensità.

“Devo farlo.” pensò con rassegnazione mentre un vento gelido lo faceva rabbrividire. Il maltempo stava aumentando, e il sole, dopo la sua breve apparizione, era ritornato a nascondersi dietro una spessa coperta di nuvole del colore del ferro.

Prese un profondo respiro. Cercò di radunare tutta la propria energia spirituale nelle mani. Era deciso a chiudere lo scontro con un colpo solo. Dopo aver usato di nuovo il Kaioken, avrebbe scagliato contro la sua copia una Kamehameha usando tutta l'energia che gli era rimasta in corpo.

Si concentrò. Cercò di ricreare il contatto con le forze di prima. Un volta sicuro di averlo ristabilito, il piccolo guerriero sentì dentro di se, per la seconda volta, l'immenso flusso di energia del mondo scorrergli nelle vene.

Era pronto.

E fu allora che accadde.

 

Un ki-blast violaceo attraversò il cielo plumbeo con un sordo sibilo. Subito dopo, esso colpì il doppione, creando una gigantesca esplosione. Nugoli di polvere si alzarono in volo, mentre un fumo acre cominciò a pervadere l'aria della radura, insieme ad un inquietante odore di carne bruciata. Sentendo il fumo pizzicargli la gola, il terrestre si riparò il volto con un braccio. Non riuscendo a vedere più nulla, il piccolo guerriero attese che il fumo si diradasse, per cercare di comprendere cosa era accaduto.

“Forse qualcuno è passato da queste parti e ci ha scorti.” ragionò mentre cercava di ripararsi gli occhi dal fumo acre. “Ma allora perché diavolo ci ha attaccati?”

Tuttavia, quando il fumo sparì, la sua sorpresa fu enorme nel constatare che la sua copia, quel doppione creato con tanta fatica da parte sua, era stato disintegrato. Dove prima si trovava la sua copia, c'era solamente terra bruciata e qualche brandello di pelle carbonizzata.

“Chi può aver fatto questo?” si domandò mentre un brivido di paura gli scorreva lungo il filo della schiena. Doveva stare molto attento perché, chiunque fosse stato, era sicuramente molto potente. Molto probabilmente lo superava anche in forza.

In quell'istante, un nuovo ki-blast solcò il cielo, muovendosi verso la sua direzione. Crilin tentò di spostarsi lateralmente, ma il fisico non lo seguì. I muscoli erano ancora doloranti per il Kaioken appena eseguito, e il terrestre non riuscì a muoversi con la rapidità che desiderava. Il colpo non lo prese in pieno, ma l'impatto fu comunque abbastanza violento da scaraventarlo al suolo. Creando una nuvola di polvere mista a neve.

Tossendo, il moro si rialzò. Cercando di individuare mentalmente il suo avversario. Rimaste sconvolto nell'apprendere che, nelle sua vicinanze, non sentiva nessuna aura. Era da solo.

“Che abbia azzerato la sua forza per non farsi individuare?” pensò mentre attendeva che il fumo si diradasse. “Può essere. Però come soluzione non mi convince. Un colpo di quella potenza necessita di usare la propria energia spirituale, ed io non ne ho sentita nessuna nelle vicinanze. Ma allora che diavolo sta accadendo?”

Lentamente, il fumo si dissolse. Permettendo al piccolo guerriero di potersi guardare intorno. Il terreno attorno a lui era deserto, ma in alto scorse una figura alta che si stagliava nel cielo plumbeo.

La figura di una persona che conosceva molto bene.

Il suo cuore prese a battere più velocemente.

“Non...non può essere” balbettò mentre una strana sensazione cominciò a crearsi dentro di lui. Un misto tra paura, felicità e confusione. Non poteva essere lei. Lei non l'avrebbe mai attaccato. Di questo ne era sicuro.

Eppure si sbagliava di grosso.

Perché era stata proprio lei a distruggere la sua copia ed ad attaccarlo.

C18.

La cyborg lo guardò sprezzante dall'alto. I suoi occhi erano gelidi e freddi. Impenetrabili a qualsiasi emozione. Tenendo le bracca incrociate sul petto, l'androide osservava il terrestre con un'espressione di puro disprezzo.

Scese a terra. Atterrò davanti al piccolo guerriero, che la fissava a bocca aperta. Incapace di comprendere come aveva fatto a raggiungerlo. La bionda lo squadrò con sguardo freddo. Osservò i suoi muscoli gonfi e contratti per gli ultimi sforzi, valutò le ferite che solcavano il corpo di Crilin, ma soprattutto si soffermò sugli occhi di lui. Li osservò, imprigionandoli, incatenandoli ed infine piegandoli al suo volere. Cercando di capire se, sotto quella cortina di confusione e stupore, ci fosse quello che lei cercava. Il motivo per cui si era spinta fino alla fine del mondo.

E fu soddisfatta nel constatare che c'era.

“M-ma C-C18...c-c-cosa...”

“Combatti con me.”

“Eh?”

“Combatti contro di me.” la voce morbida della cyborg si insinuò tra il vento che spirava. Lasciando Crilin perplesso e confuso.

“Ma...m-ma io n-non capisco...” balbettò il piccolo guerriero, osservando stupefatto C18 ergersi davanti a lui.

“Sei forse sordo?! Ti ho detto di combattere contro di me!” la pazienza dell'androide si stava rapidamente consumando. Quello zuccone non capiva. Non riusciva a comprendere qual era il suo obbiettivo. Ma glielo avrebbe fatto comprendere presto.

A modo suo ovviamente.

Senza dare tempo all'altro di reagire, C18 lo colpì con un pugno allo stomaco dalla potenza inaudita. Il rimbombo del colpo si sentì distintamente in tutta la zona circostante.

Crilin spalancò gli occhi. Si sentì i polmoni svuotarsi d'aria, senza però che nuova aria ne entrasse dentro, mentre le gambe gli cedettero di botto, facendolo accasciare sul terreno innevato con un rantolo. Il problema era che, fino a quel momento , di dolore non ne aveva ancora sentito, si sentiva il cuore battere normalmente, i polmoni vuoti, lo stomaco insensibile, le gambe fuori uso ed il cervello inceppato.

Tutto questo non era un buon segno.

Infatti poi il dolore arrivò, e per il piccolo guerriero fu l'inferno.

Era un dolore di una potenza devastante. Raramente, nella sua vita di guerriero, aveva provato dolore con una tale intensità. Rapidamente, con la velocità di un fiume in piena, esso dilagò dentro il suo corpo, disintegrando le riserve del suo fisico.

Cercò disperatamente di alzarsi, ma si accorse di non vederci più bene. Un fiotto caldo di sangue gli invase il palato, scivolando con lentezza da un angolo della bocca. Inoltre, il suo fisico non rispondeva più agli ordini che il cervello gli impartiva. Le braccia e le gambe non gli rispondevano più. Tremante ed incapace di reagire, Crilin tentò, con un rantolo, di parlare.

“C-...C18...” rantolò mentre cercava di portarsi le mani sullo stomaco, la fonte del dolore che lo stava annientando. “P...p-per...ché?”

Durante quei minuti di agonia del terrestre, C18 si limitò ad osservarlo con espressione impassibile. Non rispose alla domanda del moro, non si mosse neanche quando il piccolo guerriero cominciò a vomitare sangue. Fu solamente quando la pozza vermiglia, che si stendeva attorno al corpo del guerriero terrestre, lambì le sue scarpe che l'androide decise di agire.

Lentamente, afferrò Crilin per i capelli. Portandoselo ad un soffio dal volto. Davanti a quel viso scavato dal dolore e della fatica, la bionda non si commosse. Rimase impassibile, mentre il moro tentava lentamente di riempirsi i polmoni d'aria. Gocce vermiglie gocciolavano dalle punte sospese degli stivali di Crilin, mentre i suoi occhi, pieni di dolore, disperazione e confusione, osservavano quelli impassibili di C18.

“C18...” Crilin riuscì a recuperare una parvenza di voce, ma il resto del suo corpo era ancora paralizzato.

“Non voglio sentire la tua voce.” ribatté aspra l'androide mentre rinsaldava la sua presa sui capelli bagnati del terrestre. “Ne ho abbastanza di sentire la tua voce nanerottolo! Mi hai tormentato abbastanza! Sei solamente un rifiuto umano! Uno scarto! Ed io non ho tempo da perdere con un miserabile come te!”

Voleva ferirlo. Voleva che reagisse. Voleva che trovasse dentro di lui la rabbia e la furia omicida che ogni guerriero deve possedere. Quei feroci, istintivi, animaleschi sentimenti che consentono ad un combattente di sopravvivere in battaglia e di uccidere il proprio avversario. Voleva stuzzicare il suo orgoglio di uomo e di guerriero. Un orgoglio che troppo spesso Crilin aveva ignorato per farla contenta e cercare di renderla felice.

Ma il suo tentativo fallì miseramente.

Lentamente, un sorriso mesto comparve sulle labbra spaccate del terrestre, mentre un'unica, fievole parola uscì dalla sua bocca. Una parola che ebbe il potere di sorprenderla ancora una volta.

“Scusami.”

C18 spalancò gli occhi. Stupita dalla risposta di lui.

“Come dici?”

“I-io ti chiedo scusa per...” un colpo di tosse bloccò la voce al moro. Quando finì di tossire, l'androide notò che la sua forza spirituale stava scemando velocemente. Quando l'aveva colpito, il terrestre era già allo stremo delle forze. Altrimenti, e di questo C18 ne era sicura, Crilin non avrebbe incassato così male il suo pugno, ma avrebbe reagito.

“I-io voglio chiederti scusa C18 p-p-perché...tu ha ragione su tutto!” improvvisamente, Crilin sembrò aver recuperato la propria voce. Interrompendosi spesso, per poter compiere lunghi e rochi respiri, il terrestre continuò il suo discorso.

“Tu hai perfettamente ragione a definirmi un miserabile. I-in fondo...se guardiamo la mia vita...cosa ho fatto per non meritarmi tale appellativo?”

La bionda non rispose. Tutto ciò che fece fu continuare ad osservare, impassibile, il terrestre.

“N-n-non ho fatto proprio nulla...per non meritarmi tale appellativo! Ecco la verità! Non ho fatto n-n-nulla per difenderti da C-Cell, ho permesso a quel mostro di assorbirti e di farti del male. Ti ho messo incinta anche se tu non volevi, condannandoti a vedere tuo figlio invecchiare e morire senza che tu possa fare nulla per impedirlo. Quindi...se vorrai uccidermi...non ti condannerò, perché hai tutte le ragioni di questo mondo.”

C18 lo guardò con fare impassibile. Ascoltò senza battere ciglio le parole del piccolo guerriero. Poi, senza cambiare espressione, l'androide lo colpì con un violento diretto al mento, spedendolo a svariati metri di distanza.

“Io non so che farmene delle tue scuse.” replicò gelida la bionda. “Non mi interessano i tuoi patetici e piagnucolosi discorsi. O combatti, o muori.”

Crilin ascoltò le parole, dure come l'acciaio, che la cyborg aveva pronunciato con uno strano sorriso sulle labbra. Si sentiva distrutto. Il Kaioken, il fatto che non mangiava e non dormiva da tre giorni, unito ai colpi ricevuti dalla bionda, lo avevano reso inerme. Incapace di muoversi.

“C-che cosa buffa il destino.” pensò mentre i suoi occhi fissavano il cielo plumbeo sopra di lui. “Morire per mano della persona che amo senza sapere neanche il perché lo fa. Gli dei si staranno sbellicando dal ridere immagino.”

Si sentiva distrutto. Anche pensare e mantenere la lucidità gli costava ormai uno sforzo non da poco. Eppure, nonostante le sue pessime condizioni, il terrestre riuscì ad avere la forza di far nascere dentro di lui una risata. Un riso amaro e dolce allo stesso tempo, che ebbe l'effetto di pacificargli l'animo.

“Beh, a-almeno potrò rivedere il mio amico Goku. C-chissà che faccia farà quando mi vedrà spuntare fuori.” il pensiero della faccia sbalordita che il suo caro amico avrebbe fatto ebbe l'effetto, nonostante la fatica che ciò gli procurava, di farlo ridere di nuovo.

Improvvisamente, la visuale davanti ai suoi occhi fu oscurata dalla figura alta e snella di lei. I suoi occhi glaciali lo osservavano con freddezza, senza lasciar trasparire nulla.

“Beh, hai deciso cosa fare? Vuoi morire, oppure preferisci alzarti e combattere?”

Crilin ridacchiò. Il modo in cui lei lo stava guardando lo stava mettendo stranamente di buon umore.

Ormai doveva essere impazzito per mettersi a ridere davanti ad un'assassina in procinto di farlo fuori, ma il terrestre non si sorprendeva più di nulla. Aveva capito da anni che il fato e gli dei, quando si annoiavano, decidevano per lui le cose più assurde e strampalate. Tra cui quella della sua ennesima e, molto probabilmente, ultima morte.

C18 lo guardò allibita. Lei lo stava minacciando di morte e lui si metteva a ridere? Il freddo ed il dolore dovevano avergli dato alla testa, anche se non aveva mai visto uno impazzire a causa di uno di quei fenomeni.

“M-mi spieghi come faccio a combattere? S-se non t-te ne f-fossi a-a-accorta, sono ridotto ad-d u-uno straccio.”

Il volto dell'androide si corrucciò.

Subito dopo, la cyborg colpì al fianco il piccolo guerriero con un calcio di inaudita potenza, mandandolo a schiantarsi contro la parete rocciosa che delimitava la valle in cui si trovavano.

“Non prenderti gioco di me, nanerottolo!” sbottò la bionda mentre prese ad avvicinarsi al terrestre. “Sappi che tu non mi hai mai visto veramente arrabbiata. Ma tu ci stai andando vicino a farmi perdere la pazienza!”

“Oppure speri che ti faccia fuori velocemente?” aggiunse l'androide con un ghigno feroce stampato sulle labbra sottili. Nella fredda aria di montagna, i suoi candidi denti snudati brillavano come zanne. “Sei un illuso se speri che lo faccia. Sappi che è da molto tempo che non torturo qualcuno, ma sono ancora capace di spremerti dal tuo corpo ogni singola goccia di sangue che possiedi prima di farti tirare le cuoia.”

Ormai C18 era arrivata davanti al moro. Era determinata ad arrivare in fondo al suo piano, qualsiasi prezzo avrebbe comportato.

“Non mi importa niente!” pensò con ferocia, mentre osservava il suo uomo steso sulla neve in fin di vita. “Io porterò a termine quello che mi sono prefissata. Costi quel che costi! Niente e nessuno mi fermerà! Neanche tu, mio caro Crilin!”

Mise un piedi in faccia al terrestre. Subito dopo, l'androide cominciò ad esercitare una pressione sempre più forte. Sentendo, sotto il cranio di lui, la neve compattarsi sempre di più. A poco a poco, la pressione che esercitava su di lui fu sempre più forte. Facendo risuonare urla di dolore sempre più alte e strazianti all'interno della valle. Sentire quelle urla era per la bionda un'autentica tortura, ma non poteva mostrarlo. Snudò invece i denti in un sorriso crudele e beffardo, cercando di usare tutta la sua volontà per insistere in quello che stava facendo.

“Allora, che cosa c'è? Ti fa male, non è vero? Eppure credevo che fossi di una pasta ben più dura. Ho visto donnicciole avere più resistenza di te!” C18 scoppiò in una risata sguaiata, ma dentro di lei si sentiva morire a sentire Crilin urlare disperato.

“Reagisci.” pensò, mentre gli tirò un calcio in faccia, frantumandoli uno zigomo. “Reagisci zuccone! Ma è mai possibile che non sei capace di usare la tua forza contro di me? Perché, perché ti trattieni in questo modo? Non ti sto facendo male? E allora perché non contrattacchi e non mi fermi? Si può sapere cosa ti sta passando in quella testa vuota che ti ritrovi?!”

Domande a cui non riusciva a trovare risposta. Perché Crilin non l'attaccava? Possibile che fosse veramente allo stremo delle forze? Oppure era solo il suo folle amore nei suoi confronti ad impedirgli di colpirla? Non lo sapeva. Ma non poteva, a quel punto della partita, fermarsi. Doveva giocare fino in fondo. Solo così avrebbe ottenuto ciò che voleva.

“Allora, cosa fai? Ti lasci docilmente far fuori?” domandò con il suo tono più crudele e spietato. Non le piaceva quello che stava compiendo, ma era necessario.

“Perdonami Crilin.” pensò mentre gli spezzava una costola, facendolo urlare come un dannato “Ma tutto questo lo faccio per entrambi. Un giorno capirai.”

Continuò nella sua opera di demolizione. A suon di calci e pugni ruppe praticamente il volto al terrestre, mentre le sue costole rotte ormai non si contavano più. Dopo un po', le urla di Crilin si fecero sempre più fioche, fino a diventare un sordo e fievole lamento continuò.

C18 osservò quel volto tumefatto con fare impassibile. Guardò quei lineamenti che lei amava così tanto ormai ridotti ad un ammasso di carne sanguinolenta. Un grande dolore prese corpo dentro di lei. Non voleva fargli del male. Lei voleva amarlo e vivere affianco a lui. Tutto quello che stava facendo la ripugnava, ma era necessario affinché lui potesse capire.

“Non ho mai voluto come adesso poter avere la possibilità di spegnermi da sola.” pensò mentre vide alcune gocce di sangue scivolare lungo lo zigomo fratturato di lui. Gli aveva aperto un lungo taglio lungo la fronte che stava sanguinando copiosamente. Ogni ferita che vedeva sul suo corpo, quel piccolo corpo che durante un'infinità di notti aveva abbracciato e coccolato, la cyborg sentiva una stilettata in fondo al cuore. Si faceva schifo, e sentiva un impellente bisogno di vomitare. Non aveva previsto che sarebbe stato così difficile.

Tuttavia, facendosi forza, l'androide sollevò una mano. Immediatamente, sopra il suo palmo, si formò un ki-blast dal colore violaceo. Continuando a ripetersi che lo stava facendo per entrambi, la bionda aumentò l'energia che stava concentrando dentro di questo. Preparandosi a colpire.

“Allora addio!” fece con voce dura. “Avrei voluto giocare un altro po', ma la tua passività mi annoia. Perciò la farò subito finita.”

Radunò tutta la sua determinazione. Preparandosi a calare il braccio.

“A mai più.”

Il suo bracciò calò di botto. Non aveva intenzione di colpirlo. Voleva solo farlo spaventare a sufficienza perché reagisse. Anche se, dentro di sé, la cyborg non ci credeva più che il suo piano avrebbe funzionato.

Tuttavia, prima che potesse fermare il suo braccio, il suo polso venne fermato da una mano calda, sporca di sangue e callosa.

Una mano che lei conosceva molto bene.

 

Per Crilin quei minuti passati sotto la raffica di colpi di C18 furono interminabili. Ogni singolo nervo del suo corpo inviava impulsi di dolore al cervello. Gli pareva di andare a fuoco da quanto intenso era il dolore. Urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Urla piene di disperazione, rabbia, confusione e dolore.

A poco a poco, la sua lucidità venne meno. Cominciò a non vederci più bene, mentre davanti ai suoi occhi cadde una nebulosa rossastra. Si sentiva le membra e la testa pesanti come piombo e aveva l'impressione che una montagna gli fosse franata sul petto, rendendogli difficoltoso anche respirare.

Stava morendo. Lo sapeva bene. Ma ormai la cosa non lo toccava più. Se cosi avevano deciso gli dei, lui non poteva fare altro che accettarlo.

Non si ricordava più nulla. Dov'era? Cosa stava facendo? Perché era ridotto in quello stato? Perché stava morendo?

Domande che gli risuonavano nella sua mente ottenebrata, mentre sentiva i polmoni svuotarsi d'aria, senza che però ne entrasse di nuova.

“Sto morendo...”

Era caduto in un limbo rossastro. Dove il sangue era l'elemento dominante. Ne sentiva l'odore, ne percepiva il sapore ferroso sulla lingua, se lo sentiva addosso, sulla pelle. Che lo soffocava lentamente.

“Perché?”

Forse era già morto? Che quello fosse in realtà il luogo dove il suo spirito avrebbe dimorato per l'eternità? Non vedeva niente, non sentiva nulla. C'era solo un silenzio ovattato che gli premeva sui timpani con forza. Quindi era così che finiva?

Gli occhi gli si socchiusero. Era stanco, molto stanco. E voleva riposare.

“Aiuto!”

Un urlo risuonò nell'aria. Rompendo il silenzio che dominava quel posto. Un urlo che ebbe l'effetto di una secchiata gelida sul terrestre che, sbigottito, aprì di scatto gli occhi. Trovandosi d'innanzi uno spettacolo agghiacciante.

Un mare verdastro si estendeva a perdita d'occhio attorno a lui, mentre il cielo sopra di lui era dello stesso colore.

Crilin spalancò gli occhi. Non poteva crederci. Come aveva fatto ad arrivare in quel posto?

Perché quel posto lui lo conosceva molto bene.

Quello era il pianeta Namecc.

“M-ma...” balbettò, incapace di comprendere come aveva fatto ad arrivare su quel pianeta. “C-cosa diavolo...”

“Aiuto! Crilin! Dammi una mano!”

Crilin si voltò di scatto nel sentire quella voce. La conosceva molto bene. Era la voce del figlio del suo migliore amico.

Ma i suoi occhi non erano preparati allo spettacolo che si presentò davanti a lui.

Freezer stava tenendo sollevato da terra Gohan per la gola. Il piccolo saiyan era ferito gravemente. Sangue scuro gli gocciolava dai piedi, mentre i suoi respiri erano rochi e difficoltosi. Il mostro rideva. Rideva sguaiatamente mentre soffocava lentamente il bambino, stringendo con sadica violenza la sua carotide. Regalandoli una morte lenta e dolorosa.

“A-a-aiut-a-mi C-Crilin. T-t-ti p-prego.” ansimò il giovane ormai in punto di morte.

Sentendo il bambino parlare, l'alieno si girò. Incrociando il proprio sguardo con quello del terrestre. Crilin rabbrividì. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva visto quegli occhi color rosso sangue, ma il terrore che essi incutevano era rimasto invariato.

“Guarda guarda chi si rivede.” dichiarò con voce velenosa il mostro leccandosi le labbra in maniera oscena. “Il nanetto che avevo disintegrato. Perché non vieni ad aiutare il tuo amichetto che così ci divertiamo ancora un po' insieme?”

Il piccolo guerriero rimase immobile. Incapace di muoversi. Quegli occhi! Lo avevano terrorizzato per anni ed ancora dopo tanto tempo dall'ultima volta che li aveva visti non riusciva a fare a meno di essere paralizzato dalla paura. Vedendolo immobile, il sorriso sulle labbra di Freezer si fece più ampio.

“Non ti muovi? Beh, non mi sorprende. Del resto sei sempre stato un codardo, oltre che un perdente.”

Con un gesto deciso, l'alieno aumentò la presa sul collo di Gohan, distruggendogli la carotide e facendolo soffocare con il suo stesso sangue.

“No Gohan!”

Crilin tentò di intervenire, ma prima che potesse muovere un solo passo tutto attorno a lui divenne scuro. Gohan e Freezer sparirono, mentre attorno a lui continuò a rimbombare l'ultima frase pronunciata da quest'ultimo.

“Sei un perdente ed un codardo.”

Il moro si premette le mani sulle orecchie. Quella frase lo stava facendo impazzire. Odiava quelle parole perché sapeva, nel profondo del suo cuore, che c'era un fondo di verità in esse.

“Sei un perdente.”

“No, non è vero!”

“Sei un codardo.”

“Stai mentendo!”

“Oh, davvero lo credi?” sussurrò maligna la voce di Freezer. “E allora perché non sei intervenuto? Perché non hai salvato il tuo piccolo amico? Speravi che arrivasse Goku, non è così? È stato facile per te vivere la tua vita. Non hai mai dovuto rischiare seriamente la pelle, perché tanto c'era sempre qualcun altro pronto a farlo al posto tuo.”

Crilin strinse la mascella così forte che sentì i propri denti scricchiolare. La voce di quel mostro si stava insinuando dentro di lui con prepotenza, diffondendosi come un gas tossico. Annientando le sue convinzioni.

“T-ti sbagli!”

“No, non mi sto sbagliando. E tu lo sai.” continuò suadente il mostro. “Non hai mai vinto nulla. Hai sempre perso, combattendo contro avversari che, pur essendo penosi, ti sovrastavano in forza. Sei solo un perdente. E, se non mi credi, prova a chiederlo a loro.”

Improvvisamente, davanti agli occhi del terrestre, comparvero delle figure. All'inizio sfuocate, ma poi sempre più nitide. Presero lentamente forma, dando vita agli incubi più segreti del piccolo guerriero che, terrorizzato, fissava coloro che erano comparsi senza avere la forza di aprire bocca.

“Sei solo un inutile moscerino. Non ho neanche dovuto sporcarmi le mani io per farti fuori, è bastato un mio misero suddito per eliminarti. Sei solo uno scarto.” dichiarò beffardo uno di loro. Crilin lo riconobbe subito: era il Grande Mago Piccolo. Era identico al figlio, se non fosse stato per l'espressione di pura malvagità che teneva. E lo fissava con uno sguardo pieno di disprezzo.

Anche i due successivi individui li conosceva: erano Nappa e Vegeta. Avevano entrambi le espressioni piene di boria e sicurezza che avevano avuto per tutto il tempo in cui avevano combattuto contro di lui e gli altri guerrieri Z. Stavano sghignazzando apertamente.

“Ehi Vegeta! Ma quello non è il tappetto che era convinto di sconfiggermi?” dichiarò con la sua voce gracchiante Nappa mentre fissava famelico il terrestre.

“Hai ragione Nappa.” dichiarò Vegeta senza smettere di sorridere. Il principe dei saiyan era vestito come un mercenario di Freezer, ed era pieno di quella boria ed arroganza che possedeva prima del suo scontro contro Goku. “Quell'inutile scarto era davvero convinto di poter competere con un guerriero saiyan. Sai, sotto sotto, mi fa un po' pena. Un essere così patetico ed ingenuo merita un po' di comprensione!”

Crilin strinse i denti. Li ricordava. Li conosceva tutti, dal primo all'ultimo. Tutti i nemici che avevano minacciato la Terra, tutti coloro che avevano tentato di uccidere lui e i suoi amici erano lì, davanti ai suoi occhi. Ma la cosa che lo faceva impazzire era che quegli esseri l'avevano tutti battuto. Nessuno di loro si era risparmiato di infliggergli cocenti umiliazioni, e questo lui non poteva più accettarlo.

“Basta.”

Osservò Freezer che, affianco al padre, lo fissava pieno di disprezzo.

“Guarda padre, quello è uno scarto terrestre. Un essere indegno di vivere. Un combattente così scarso che non ha mai vinto contro un avversario degno di questo nome.”

“Smettetela!”

Dopo Freezer e re Cold c'era lui. L'essere che più odiava a questo mondo. Il dottor Gero. Il folle scienziato lo fissava con un ghigno raccapricciante, mentre i suoi occhi brillavano della pazzia che aveva alimentato la sua esistenza dannata.

“Guarda chi si vede. Ho saputo che ti sei scopato C18, la mia più bella creazione. Hai goduto vero? Sappi che io ho avuto il piacere di provarla prima di tramutarla in un cyborg e ti assicuro che era molto meglio!” subito dopo, Gero scoppiò in una crassa risata.

“Stai zitto! Stai zitto! Non voglio più sentirvi!” urlò il terrestre ormai sul punto di impazzire. Aveva le vene del collo gonfie dalla rabbia, mentre la sua mente non faceva altro che inviargli le immagini delle sue innumerevoli sconfitte che aveva subito a causa loro.

Colui che completava il gruppo che si parava davanti ai suoi occhi era anche il più temibile: Cell. L'essere perfetto. L'androide più spietato che il folle Dottor Gero potesse mai creare. Era maestoso e terrificante allo stesso tempo, mentre si ergeva davanti al piccolo guerriero con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.

“Ehi, ma guarda chi c'è qua.” mormorò con voce suadente l'androide. “Mi ero quasi convinto che mi aveste dimenticato. Sono felice di vederti sai? Ho così modo di ringraziarti per avermi fatto assorbire la tua amata C18. Senza di lei, non avrei mai potuto completare la mia trasformazione.”

“Adesso smettetela.” balbettò Crilin, ormai sul punto di perdere il controllo. “Sparite! Non vi voglio più vedere!”

Il gruppo scoppiò in una risata collettiva.

“E va bene, c'è ne andiamo.” dichiararono all'unisono. “Ma sappi una cosa: se noi non siamo più vivi, il merito è solo dei tuoi amici. Senza di loro, adesso saresti tu al nostro posto, piccolo codardo che non sei altro.”

“Basta!” Crilin urlò quella parola con tutto il fiato che aveva in gola. Non ne poteva più. Odiava tutto. Specialmente se stesso. Odiava il fatto di essere stato sempre così debole, così d'intralcio, così inutile.

“Io...io...” balbettò ormai impazzito il terrestre. “Io...non voglio essere più così! Mai più! Mi avete sentito?! Mai più! Io non perderò mai più!”

La furia e l'orgoglio ferito da quelle brucianti verità avevano scatenato l'ira del piccolo guerriero. Un'aura trasparente cominciò ad avvolgerlo, mentre scariche elettriche di energia lo circondavano da capo a piedi.

Improvvisamente, tutto attorno a lui divenne bianco. Un bianco immacolato.

Poi, iniziò la follia. Tremenda, furiosa e senza fine.

 

C18 rimase stupita nel vedere Crilin fermargli la mano. Ma ciò che più la colpì furono gli occhi del piccolo guerriero. Erano bianchi. Vuoti. Privi di pupilla. Uno specchio immacolato la cui vista inquietò profondamente l'androide.

Ma anche il resto dell'aspetto del moro era mutato. La mascella era contratta, i muscoli erano gonfi fino a scoppiare, le vene pulsavano nitide sulle spalle e sul collo del piccolo guerriero. Mentre un'aura rossa come il sangue lo avvolse totalmente, scaraventando la cyborg a svariati metri di distanza.

“Ma che sta facendo?” pensò sbigottita la bionda mentre osservava il terrestre rialzarsi. La forza spirituale del piccolo guerriero stava aumentando in maniera vertiginosa. La terra attorno a loro tremava, mentre la neve si stava sciogliendo a causa del calore emesso dall'energia sprigionata dal moro.

“I-io non posso perdere!” urlò il terrestre con tutta la sua forza. I suoi occhi privi di pupille erano puntati contro la cyborg. “Io non posso più perdere! E non perderò! Perché ho una famiglia da proteggere!”

Con uno scatto fulmineo, Crilin partì all'attacco. Cogliendo di sorpresa C18. La colpì violentemente sul volto con un diretto secco, preciso e letale. C18 rimase sbigottita dalla rapidità e dalla violenza del colpo. Dalle sue narici cominciò a colare sangue, mentre i suoi circuiti le inviarono una forte sensazione di dolore. Cercò di reagire, ma prima che potesse anche solo formulare il pensiero di colpirlo, il terrestre la spedì in aria con un violento gancio al mento. Mezza stordita dal colpo, la cyborg volò per parecchi metri prima di riuscire a concentrarsi abbastanza per potersi fermare.

“Pazzesco!” pensò sbalordita mentre si asciugava il sangue che gli colava sul volto. “Non credevo che potesse sprigionare una tale forza. Ma dove l'avrà trovata tutta quell'energia?”

Tuttavia, C18 non ebbe tempo di poter formulare altri pensieri. Infatti il piccolo guerriero, ancora potenziato dal Kaioken, le inviò contro una Kamehameha. Senza pensarci un attimo di più, l'androide reagì scagliandogli contro un'onda di energia, dal colore viola, di pari potenza.

Le due onde si scontrarono a mezz'aria, creando una sfera di energia bruciante composta per metà dall'onda di C18 e per l'altra metà dalla Kamehameha di Crilin. Lampi di un bianco accecante si sprigionarono dal punto d'incontro dei due colpi energetici, mentre la terra attorno ai due combattenti continuava imperterrita a tremare a causa della gigantesca quantità di energia che, disperdendosi, si riversava nella crosta terrestre. Agitando e disturbando il sonno del magma che riposava nelle profondità della pianeta.

Dopo circa un minuto il terrestre, ancora preda della sua follia, aumentò l'intensità del proprio colpo. Nei suoi deliri il piccolo guerriero non vedeva ciò che avveniva attorno a sé. Ciò che i suoi occhi lattiginosi gli mostravano erano i volti dei suoi vecchi nemici, che lo sbeffeggiavano e si prendevano gioco di lui.

“Ma come, è tutto qui quello che sai fare?” gli sussurrò perfido Freezer all'orecchio. “Non mi sorprende che ti ho fatto fuori con un solo colpo!”

A tali parole, Crilin reagì con un'unica frase.

“Kaioken...doppio!”

La fiamma rossa aumentò d'intensità, mentre la sua Kamehameha raddoppiò il proprio volume e la propria intensità. Lentamente, ma inesorabilmente, il colpo del piccolo guerriero cominciò ad avere la meglio. Sbalordendo la bionda, ma riempiendola allo stesso tempo di una feroce determinazione.

“La mettiamo così eh?” mormorò C18 a denti stretti. Il furore ed il calore della battaglia aveano preso il posto dello stupore. Rendendo la cyborg accaldata ed eccitata per lo scontro. “Allora vediamo se sai respingere questo!”

Il colpo dell'androide raggiunse la potenza dell'onda di Crilin, riportando le cose in parità. Tuttavia, poco dopo, C18 intensificò la potenza della sua onda. Ora era lei a cominciare a prendere il sopravvento.

La sfera di energia stava continuando ad aumentare di volume, diventando sempre più instabile e potente. Le montagne che circondavano la valle cominciarono a sbriciolarsi. I detriti venivano risucchiati, come polvere di ferro con una calamita, dalla sfera, che li disintegrava in minuscoli granelli di polvere. Il frastuono era assordante, e in alcuni punti il suolo cominciò a sollevarsi. Chiaro sintomo che il magma del sottosuolo, disturbato dai colpi dello scontro, stava tentando di aprirsi un varco verso la superficie.

Tutto questo raggiungeva Crilin solo attraverso rumori ovattati e fiochi. In quel momento per lui contava solo vincere. Sconfiggere i fantasmi della sua mente che, tuttavia, gli apparivano sempre tranquilli e rilassati.

“Sai fare solo questo?” dichiarò sprezzante Vegeta mentre il sorrisetto che gli aleggiava sulle labbra si allargava. “Guarda che mi sto annoiando! Scarto umano!”

“Kaioken...triplo!”

“Tanto non te la do vinta! Quindi rassegnati!” urlò la cyborg aumentando a sua volta l'intensità del proprio colpo.

Lo scontro continuava ormai da parecchi minuti. Crilin cominciava ad essere stanco. L'energia che gli fuoriusciva dalle mani era diventata un fiume in piena. Anche le forze del mondo attorno a lui che lo sostenevano tramite il Kaioken facevano fatica a soddisfare una tale richiesta. Il suo fisico, già provato precedentemente, era sull'orlo del collasso. Il terrestre stava per arrendersi.

“Non ce la faccio.”

Una nebbia fumosa avvolse la sua mente, ovattandogli definitivamente i sensi e facendogli calare nelle membra un profondo torpore. I suoi nemici, quei fantasmi della sua mente che per tanto tempo l'avevano tormentato, era spariti. Lasciando il posto ad un inquietante silenzio.

“Ho sonno...”

Si sentiva diviso in due. Da una parte il suo cervello gli supplicava di smetterla con quello sforzo suicida. Dall'altra il suo cuore che invece gli urlava “Un ultimo sforza idiota! Fallo! Fallo! FALLO!”

Dopo svariati minuti di incertezza, Crilin decise di ascoltare il suo cuore.

Il mondo attorno a lui riemerse dalla nebbia con violenza. Frastornandolo con i suoi rumori e devastazioni. Un fiotto purissimo di energia, ultimo residuo delle riserve più profonde del suo fisico, lo pervase. Facendolo tremare e preparandolo all'ultimo sforzo.

“Kaioken...quadruplo!”

La Kamehameha raggiunse proporzioni immense mentre sommergeva il colpo energetico della cyborg come un fiume in piena demolisce un ponte. Presa alla sprovvista da quell'ultimo sforzo, C18 non ebbe il tempo di reagire, limitandosi a scansarsi di lato un attimo prima che il colpo del terrestre le passasse di fianco, proseguendo il suo percorso fuori dall'atmosfera terrestre. Dove esplose con una luce abbagliante.

C18, con gli occhi spalancati dallo stupore, volse il suo sguardo verso terra. In un profondo cratere, pieno di detriti, Crilin stava ritto in piedi, tremando ed ansimando pesantemente. I suoi muscoli erano gonfi e contratti fino all'inverosimile a causa dell'ultimo sforzo. Ma ciò che più colpì la cyborg era che gli occhi del terrestre avevano ripreso il loro aspetto normale. Quelle iridi nere che tanto amava ora fissavano, appannate dalla fatica, la piccola valle ormai distrutta.

Un sorriso spiegò le labbra della bionda. Anche se faticava ad ammetterlo con sé stessa, era fiera di lui.

“Sei stato bravo.” pensò mentre lentamente scendeva a terra.

Quando Crilin la scorse, sorrise. Un sorriso tremante che però, nonostante tutto, trasudava felicità.

“H-h-hai visto J-Juu? N-n-non s-sono un p-per-dente. Io...io...non...sono...un...per...” prima che potesse terminare la frase, il moro rovesciò gli occhi all'indietro e sprofondò nell'incoscienza. Tuttavia, prima che potesse cadere, due braccia lo sorressero. Sollevandolo con dolcezza.

“No Crilin.” pensò con dolcezza la cyborg accarezzandoli il volto insanguinato. “Non sei un perdente.”

Continuò a fissarlo, senza smettere di sorridere, mentre le sue dite percorrevano delicatamente i lineamenti martoriati di quell'uomo che amava con tutta sé stessa.

Finalmente Crilin aveva capito.

 

Quando Crilin si svegliò, ciò che vide fu estremamente familiare. I suoi occhi scuri fissarono il soffitto della sua stanza.

“Cos'è successo?”

Provò ad alzarsi, ma si accorse di non averne le forze. Si sentiva la testa vuota e leggera e le membra deboli come non mai. Dopo un attimo di pausa, il terrestre provò un nuovo tentativo, senza però alcun successo.

“Perché sono così debole?”

Aveva pochi ricordi di quello che era accaduto negli ultimi tempi. Rammentava il suo furioso litigio con C18, con la conseguente fuga dalla Kame House di quest'ultima. Ricordava il suo discorso con Vegeta, così come ricordava perfettamente il suo soggiorno a casa di Gohan. Tuttavia, di ciò che aveva fatto dopo aver lasciato casa Son, la sua memoria era piatta e vuota.

“Forse sono stato male.” ragionò mentre osservava l'intonaco bianco che copriva il soffitto della stanza. Una malattia avrebbe giustificato la sua improvvisa debolezza, anche se non spiegava come mai non si ricordasse assolutamente nulla di come si era ammalato.

Tentò ancora una volta di mettersi seduto, ma anche stavolta fallì. I suoi muscoli non gli rispondevano come desiderava. Inoltre si accorse di percepire una latente stanchezza dentro il suo corpo, come se avesse fatto terribili sforzi ed ora il suo corpo si stesse lentamente riprendendo.

“Se solo ricordassi cosa è accaduto.” pensò mentre ricadeva con un sospiro tra i morbidi cuscini.

Stare a letto era piuttosto comodo. Prima di rendersene conto, il piccolo guerriero cadde in un profondo torpore, a cui segui, poco dopo, un lungo sonno senza sogni.

 

Appena si svegliò, Crilin si accorse di essere molto più lucido. La sua memoria stava lentamente tornando, riempiendo il suo occhio interiore delle immagini di tutto ciò che aveva compiuto per tre giorni in quella valle sperduta. Compreso lo scontro con C18.

“Ma che cosa è successo dopo? Chi mi ha portato alla Kame House? C18? Possibile che abbia voluto aiutarmi dopo aver tentato di uccidermi?” i pensieri del terrestre erano aggrovigliati come le lenzuola che lo ricoprivano. Tuttavia, prima che potesse rimuginare ancora sulla questione, il piccolo guerriero sentì una voce a lui familiare risuonare alla sua destra.

“Ben svegliato figliolo.”

Crilin si girò di scatto, osservando, con profonda gioia, il suo caro mentore seduto al suo fianco con un vassoio di cibo in mano.

“Maestro!”

“Vedo che finalmente ti sei svegliato. Ammetto che sono stato abbastanza in pensiero per te. Quando C18 ti ha portato qui, eri sull'orlo della morte. Ma tu non sei un uomo come tutti gli altri, mio caro ragazzo.” da dietro le scuri lenti dei suoi occhiali, Muten osservava con profondo orgoglio l'uomo che vedeva davanti a sé. Aveva visto crescere Crilin, vedendolo trasformarsi da un bambino arrogante e dispettoso all'uomo buono e dal cuore gentile che aveva di fronte. E questo gli procurava una profonda soddisfazione.

“Ragazzo mio...” pensò mentre osservava Crilin che si metteva seduto a fatica. “C18 mi ha raccontato tutto. Se quello che quel demonio in gonnella ha detto è vero, sei appena diventato l'essere umano più potente di sempre. Non sai quanto sono orgoglioso di te.”

“Andiamo Maestro! Non credo che sia stato così male. In fondo, sarà bastato un senzu e sarò tornato come nuovo!”

“Il senzu non è bastato.” rispose l'anziano guerriero. “Ha rimesso a posto le ferite del tuo fisico, ma ti eri beccato anche una polmonite coi fiocchi. E per quella Karin non ha alcuna cura.”

Lo stomaco del piccolo guerriero si contrasse nel sentire quella notizia.

“Una polmonite? Io? Ma se avrò preso un raffreddore in tutta la mia vita!” esclamò sorpreso il moro. “Ma da quanti giorni è che sono a letto?”

“Quattro giorni con oggi.”

Quattro giorni! Il che significava che non mangiava da una settimana! Al solo pensiero, il terrestre si sentì debole. Tuttavia, in quel momento un altro pensiero prese corpo dentro la sua mente, distogliendola dal cibo.

“Scusi Maestro, ma prima ha parlato di C18. Dove è lei?”

“Mangia.” fu l'unica risposta che ottenne da Muten.

“Ma...”

“Niente ma! Obbedisci ragazzo.” dichiarò inflessibile l'anziano maestro spingendo il vassoio verso il moro. Crilin ebbe voglia di protestare, ma il gorgoglio che il suo stomaco emanava la diceva lunga sul suo stato fisico. Con un sospiro, il terrestre prese a mangiare di gusto le pietanza preparategli da Muten.

“Sai, non credevo che ti saresti ripreso così presto.” dichiarò quest'ultimo mentre il piccolo guerriero si dedicava ad una succulenta polpetta di riso. “Fino ad un paio di giorni fa avevi proprio una brutta cera! Ma C18 era convinta che ti saresti ripreso. È stata al tuo fianco tutto il tempo.”

“Che cosa? Dice davvero?” esclamò sbigottito il moro.

“Certo.” fece Muten annuendo in maniera esagerata con il capo. “Non ha smesso di badare a te neanche per un istante. Anche la notte si rifiutava di lasciarti. Pensa che non mi ha neanche permesso di farmi entrare nella stanza durante la tua convalescenza.”

Crilin continuò a mangiare, ma la sua testa era altrove. Il racconto del suo maestro gli creò una bolla di felicità dentro il petto. Una sensazione magnifica, che gli diede l'impressione di essere tornato bambino da quanto era felice. C18 voleva ancora stare insieme a lui! Allora significava che c'era ancora una speranza di costruirsi una famiglia con lei! Grosse lacrime di gioia cominciarono a traboccare dai suoi occhi, mentre il cibo che stava assaporando gli parve il più squisito che avesse mai assaggiato in vita sua.

“Crilin, tutto bene?” domandò Muten vedendolo piangere.

“Sì Maestro.” il piccolo guerriero rivolse un sorriso al suo adorato mentore. Un sorriso così infantile, ingenuo e pieno di gioia che anche Muten cominciò a sentirsi sull'orlo delle lacrime.

Perché quel sorriso significava che Crilin, il suo adorato Crilin, era tornato.

E questa volta, non se ne sarebbe più andato.

 

Crilin uscì dalla Kame House camminando lentamente. Non si era ancora ristabilito del tutto, ma il suo fisico stava facendo passi da gigante. Ormai era tornato quasi come nuovo.

Dopo aver mangiato, Muten l'aveva aiutato ad alzarsi dal letto. Una volta alzato, il terrestre volle sapere dove si trovava C18. Per tutta risposta, l'anziano maestro di arti marziali gli aveva sorriso, dichiarando che non era il caso che si presentasse davanti alla cyborg puzzando come un maiale.

Sapendo che il suo maestro aveva ragione, il moro si era diretto verso il bagno, leggermente rosso in volto. Tuttavia, una volta ripulito e rinfrescato, il terrestre volle sapere a tutti i costi dove si trovava la bionda.

“Va fuori sulla spiaggia. Lei ti sta aspettando.” fu l'unica risposta che ottenne dal vecchio guerriero.

E così il moro si era diretto verso l'uscita della casetta. Dove però, una volta arrivato alla soglia, si fermò.

Aveva un groppo in gola di pura felicità, e le lacrime avevano ripreso a scendergli dagli occhi.

Lei era lì. Seduta sulla battigia dell'isoletta, con le gambe premute contro il petto, lo sguardo glaciale rivolto verso le immensità marine ed il vento che gli scompigliava delicatamente i capelli.

Era bellissima.

Crilin si avvicinò a lei. Lo fece con lentezza, assaporandosi ogni istante in cui i suoi occhi si posavano sul suo corpo. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era una calamita per lui. Una volta arrivato si sedette affianco a lei, assaporando l'odore delle salsedine che aleggiava nell'aria.

“Ciao.” azzardò lui con voce dolce.

Per tutta risposta, C18 volse i suoi occhi glaciali verso di lui. La sua espressione era impenetrabile, anche se i suoi occhi manifestavano che ciò che stava provando l'androide in quel momento non era il vuoto. Tuttavia, il miscuglio delle sensazioni di lei era troppo intricato perché il terrestre potesse capirci qualcosa.

Rimasero per qualche istante a fissarsi immobili, mentre il sole del tardo pomeriggio illuminava i loro volti e la fresca e cristallina acqua di mare solleticava le dita dei loro piedi.

“Sei uno stupido.” la cyborg infine ruppe il silenzio. La sua voce morbida e delicata, ma allo stesso tempo dura ed intrepida, ruppe il silenzio con la forza di una lama. Spaccando la quiete che aleggiava nell'isola in mille pezzi splendenti.

Crilin non rispose. Tutto quello che fece fu un sorriso mesto, passandosi una mano tra i suoi arruffati capelli.

“Si può sapere che diavolo stavi combinando su quelle montagne? Tentavi di ucciderti per caso?”

“Eh?” il piccolo guerriero rimase sorpreso dal tono di lei. Nonostante tentasse di far trasparire solo rabbia, C18 non riuscì a nascondere anche la sua preoccupazione per lui. Una cosa che lo lasciò perplesso.

“Non fare il finto tonto!” continuò lei sprezzante. “Ti sei quasi ucciso. E per cosa? Per quale fottuto motivo devi continuare a comportarti da perfetto imbecille?”

“Anche tu ti sei comportata in maniera illogica.” borbottò il moro. “Mi hai attaccato e ridotto ad una bistecca sanguinolenta senza uno straccio di spiegazione.”

Un sorrisetto perfido incurvò le labbra di lei nel rimembrare quei momenti. Nonostante tutto l'affetto che provava per lui, C18 non era riuscita a non provare una punta di sadico piacere nel picchiarlo selvaggiamente.

“L'ho fatto” esordì con voce dura. “Perché tu capissi una cosa importante: che la devi smettere di roderti per il passato. La dobbiamo smettere.”

“Che cosa hai detto?”

Lo sguardo della bionda tornò a perdersi nella linea dell'orizzonte.

“E' una cosa a cui ho pensato molto dopo il nostro litigio.” mormorò tornando di nuovo seria. “Noi siamo quello che siamo. Siamo stati forgiati dai nostri errori ed abbiamo pagato per essi. Ma non ha senso perderci il presente per pagare il passato. Esso va ricordato, ma non vissuto. E io non voglio più vivere nel ricordo del dolore che ho inflitto e delle sofferenze che ho patito. Io voglio vivere libera. Libera da tutto, da ogni legame con il mio passato. Libera da ogni cosa.” i suoi occhi tornarono a rivolgersi al lui, fissandolo con uno sguardo carico di speranza. “Io non voglio più essere l'androide numero diciotto. Ormai mi sto costruendo una nuova esistenza, e non voglio che venga avvelenata da ciò che ho commesso e subito. Io sono e sarò la donna che ho deciso di essere. E vivrò la mia vita senza alcun rimpianto!”

Crilin rimase a bocca aperta davanti a quel discorso. Non riusciva a crederci che quelle parole fossero uscite dalla bocca dell'androide. Non sembrava neanche più lei da quanto era cambiata. Tuttavia, nonostante le parole della bionda fossero state bellissime, il terrestre non dimenticava ciò che gli aveva detto Bulma. Il fato a cui la bella cyborg era stata condannata dal Dottor Gero.

“E come la mettiamo con la tua...immortalità? Vuoi davvero vivere la tua vita insieme a delle persone che un giorno scompariranno lasciandoti di nuovo sola?” le parole di lui erano state pronunciate in tono dolce, ma caddero nella quiete dell'isola come sbarre d'acciaio.

Lo sguardo di C18 divenne più duro. Con un'espressione torva sul volto, la cyborg riportò gli occhi verso il mare, distendendo le lunghe gambe e stringendo spasmodicamente le mani a pugno.

“Quando quel momento arriverà...” mormorò con voce ringhiosa l'androide osservando il mare con gli occhi pieni di rabbia e feroce determinazione. “Allora io mi libererò con le mie stesse mani della prigione che Gero ha costruito attorno al mio spirito!”

All'inizio Crilin non capì che intendeva dire. Ma poi lo credette. E tremò al pensiero di un'azione così terribile.

“V-vuoi spegnerti?” mormorò con voce rotta dal dolore.

“No, spegnermi non avrebbe alcun senso.” ribatté la bionda senza addolcire la sua espressione. “Se mi spegnessi cadrei in una sorta di limbo. Non sarei propriamente morta. Senza contare che potrei sempre, in un futuro remoto, essere riattivata. Perdendo ogni mio ricordo. No, non voglio perdere la mia identità ed i miei ricordi. Io sono così e rimarrò così.”

“E allora che cosa farai? Non capisco.” mormorò il terrestre.

Un ghignò feroce illuminò il volto di C18, conferendole un'aria inquietante.

“Non ci arrivi?” mormorò con voce dolce nonostante le sue labbra fossero deformate a creare un ghigno satanico. “Quando la tua vita cesserà, io ti seguirò. Uccidendomi con le mie stesse mani.”

Un silenzio pesante cadde sulla spiaggia. Rotto solamente dal canto lamentoso dei gabbiani e dall'infrangersi delle onde sulla spiaggia.

“T-t-tu...” balbettò Crilin, sconvolto dalla notizia appena ricevuta. Non poteva essere. C18 era la persona più orgogliosa che conoscesse, a parte forse Vegeta. E non avrebbe mai e poi mai pensato che un giorno lei, la feroce, spietata, bellissima ed immortale C18 avrebbe detto che sarebbe morta per lui.

Era un pensiero sconvolgente.

“I-i-io...” dichiarò il terrestre cercando di prendere voce. Era sconvolto. Incapace di accettare una notizia di quella grandezza. “Non posso permettertelo!”

“Permettermelo?! PERMETTERMELO?!” improvvisamente C18 scattò, afferrando il piccolo guerriero per il colletto della maglietta e portandoselo ad un soffio dal suo bel viso sfigurato dalla rabbia.

“E da quando tu mi dici cosa devo e cosa non devo fare eh?!” ringhiò furiosa la bionda. I nervi e le vene che pulsavano sulle sue tempie non si contavano più e nel suo sguardo si leggeva chiaramente che a parlare, in quegli istanti, era il suo smisurato orgoglio.

“Io sono C18! Non dimenticarlo mai! Tu sei una mia proprietà e non hai alcun diritto di dirmi cosa posso fare e cosa no! L'unica cosa che puoi fare misero umano e obbedirmi e stare zitto! Questa è la mia decisione e nessuno, NESSUNO, riuscirà a fermarmi! Sono stata chiara?!”

Crilin non reagì allo sfogo di lei. Sapeva che quelle parole cariche di rabbia e disprezzo erano state pronunciate dal suo orgoglio, così come sapeva che per lei prendere quella decisione non era stato per niente facile. Il terrestre si sentiva diviso in due. Una parte di lui era felice che la usa adorata Juu-chan volesse seguirlo anche nell'aldilà, ma la consapevolezza di sapere che, un giorno, lui sarebbe stato la causa della morte di lei lo riempiva di tristezza.

“Ne sei proprio sicura?” mormorò con voce dolce.

Per tutta risposta la cyborg lo rimise a terra.

“Non spetta a te decidere.” borbottò la bionda più calma. Poi, vedendo che il piccolo guerriero era sull'orlo delle lacrime, inarcò un sopracciglio sottile.

“Beh? Che cosa significa quel piagnucolio?”

Fu allora che Crilin scattò. La abbracciò con tutto se stesso, mentre il suo cuore scoppiava di gioia. Si era reso solo in quell'istante di quanto fosse intenso e profondo il sentimento che lo legava alla bella cyborg. E sapere che lei era disposta a fare questo per lui la riempiva di un sentimento difficile da decifrare. Un misto di gioia e tristezza, felicità e dolore, amore ed amarezza.

“Grazie Juu! Grazie grazie grazie grazie...” il moro affondò il volto nell'incavo del morbido collo di lei, non riuscendo a dire altro che un'unica parola.

“E staccati!” borbottò scontrosa C18 mentre tentava, senza molta convinzione, di sciogliere l'abbraccio di lui. “Sei peggio di una cozza nanerottolo! Ora togliti! È un ordine!”

Alla fine, dopo cinque minuti, l'androide comprese che Crilin non si sarebbe staccato tanto presto. Con un sospiro esasperato, la bionda tornò a fissare il mare con il moro abbracciato a lei.

“Sei proprio una piaga...” bofonchiò la bella cyborg. Crilin rise. Un riso così spontaneo e pieno di gioia come non gli capitava da molto tempo di fare.

“Beh, comunque non voglio perdere tempo. Domani tu vai dalla tua amichetta Bulma e finisci i preparativi per quella faccenda del matrimonio.”

“EH?!” il terrestre si staccò dall'androide per vederla in faccia. Rimase incredulo nel constatare che stava parlando seriamente. Vedendo l'espressione di stupore stampata sul volto del piccolo guerriero, C18 spiegò le labbra in un sorriso beffardo.

“Beh, cos'è quella faccia? Sbaglio o non ti avevo detto che se proprio volevi sposarti con me bisognava farlo prima che il mostriciattolo mi gonfi la pancia? Il tempo sta passando e tu hai già perso troppo tempo mio caro.”

Fu allora che Crilin comprese veramente cosa era accaduto. Che cosa il gesto di C18 aveva cambiato definitivamente nella loro vita. Dubbi, paure, dolore, rabbia e disperazione erano ormai un ricordo. Che presto sarebbe sbiadito per lasciare spazio ad un dolce presente.

“Sì Juu.” dichiarò riabbracciando la ragazza. “Domani andrò da Bulma e riprenderò i preparativi! Ti prometto che non avrai messo neanche un chilo in più quando ci sposeremo!”

“Ti conviene...” borbottò la bionda. “E adesso staccati! Sei proprio insopportabile quando fai così!”

“Non ci penso nemmeno!”

“La metti così eh?”

“Sì!”

“Beh, tanto peggio per te! Questa volta ti spedisco all'ospedale per un mese!”

 

Muten osservava la spiaggia dalla soglia di casa assieme al suo caro e vecchio amico Umigame. Il sole era diventato ormai un tizzone incandescente sulla linea dell'orizzonte. E aveva trasformato la spiaggia della piccola isola in un piccolo deserto del colore del fuoco. In mezzo a quello spettacolo bellissimo, Crilin e C18 bisticciavano allegramente. Come ai vecchi tempi.

“Come sono carini insieme!” esclamò con voce divertita Muten. “Si vede lontano un miglio che sono fatti l'uno per l'altra!”

“Già.” concordò Umigame con la sua voce secca. “L'unica cosa che non capisco e perché quei due vogliano vivere insieme ad un vecchio bacucco come te.”

“MA COME OSI? Impara un po' di rispetto sottospecie di mammifero! Io sono il grande maestro Muten! Esperto di fama mondiale di arti marziali!“

“Sarai anche esperto di arti marziali, ma di certo sei un grande ignorante in tutto il resto. Io sono un rettile.”

Cominciarono a litigare anche loro. Mentre il sole regalava i suoi ultimi raggi di sole. Illuminando, con il suo caloroso abbraccio, i due vecchi amici e i due promessi sposi.

 

CONTINUA

 

Salve salvino!

E dopo millemila anni torno concludendo questa parte della storia (era ora direte voi!). Ammetto che avevo avuto in mente di allungarlo un altro pochino, dato che pensavo di cacciarci in mezzo quel fottuto stronzo di C17 (che stimo profondamente), ma se l'avessi allungato ancora l'avrei dovuto dividere in due parti. Ed è probabile che se non concludevo questa parte mi avreste linciato (E a ragione).

Va bene, niente 17 per ora. Lo metterò dentro da qualche altra parte. Gli spunti non mancano.

Immagino che vi sarete chiesti perché l'ho tirata così lunga per arrivare alla conclusione più banale di tutte (lo ammetto. Lei che si suicida era tra le meno quotate dai bookmakers), però purtroppo io sono fatto così. Logorroico e prolisso fino a tagliarsi le vene (per lungo perché sennò è troppo facile mi raccomando!). Però spero che, nonostante tutto, vi sia piaciuto.

Ultima cosa (ma quando è che me ne vado direte voi? Un attimo, c'è un'ultima cosa da dire. Portate pazienza e capirete.): immagino che vi farete fatti qualche domanda su come diavolo fa Crilin a conoscere il Kaioken e a tenere testa a C18 (me lo domando anch'io ma dettagli)? Beh, se anche non ve la siete fatta questa domanda provvederò lo stesso a risolvere i vostri inesistenti dubbi (?).

Sul fatto del Kaioken non lo saprei dirvi il perché l'ho messo in mezzo. Mi è sempre piaciuta come tecnica. Ed era da un po' che mi frullava in testa l'idea di farla imparare a Crilin. Perciò, come avete potuto notare nello scorso (noiosissimo) capitolo, ho voluto dare una mia spiegazione (inesistente nel manga) su come si usa il Kaioken e di come funziona.

Riguardo alla potenza di Crilin rispondo dicendo che, pur variando da una fonte all'altra, ogni sito o documento in cui cercavano di rilevare i livelli di forza dei protagonisti di Dragon Ball dichiara che Crilin e C18 hanno due valori di potenza molto diversi nella saga degli androidi e di Cell (praticamente c'è un abisso di differenza), mentre nella saga di Majin Bu la potenza di Crilin è inferiore a quella della moglie di molto meno. Presumendo che il Kaioken gli permette di aumentare la propria forza, e che C18 non si stava impegnando seriamente, ecco spiegato come il piccoletto ha potuto avere la meglio sulla bella cyborg.

Bene, ora ho detto proprio tutto. Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto. Come al solito ogni recensione (positiva e non) è sempre ben accetta.

Un saluto!

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Capitolo 25
*** La fine di niente...l'inizio di tutto ***


Capitolo 25

 

 

Il trillo del campanello risuonò più e più volte dentro la casa.

Yamcha emise un gemito di protesta, rigirandosi nel letto numerose volte, nella speranza che il fastidioso visitatore mattutino se ne andasse, lasciandolo riposare dopo i divertimenti della notte appena passata. Tuttavia, visto che quello non demordeva, alla fine fu costretto ad alzarsi, maledicendo dei vari ed eventuali.

Qui stamattina compio un omicidio...è mai possibile che ogni volta che faccio sesso la notte, la mattina non riesco a riposare?!

Ovviamente non sempre era andata così, ma allo scapestrato sciupafemmine piaceva pensarla in questo modo.

Indossò le prime mutande che trovò sottomano, salvo poi accorgersi che erano da donna. Bestemmiando sonoramente, il terrestre si mise alla ricerca delle sue, riuscendo dopo alcuni minuti a trovarle sotto il letto. Il tutto condito dall'ennesima scampanellata.

“Ora lo uccido...” borbottò andando finalmente ad aprire. Durante il tragitto cominciò a condurre ipotesi su chi potesse essere a rompergli l'anima di prima mattina.

Potrebbe essere Sandra, l'altra sera ci siamo veramente divertiti insieme. Oppure Jennifer? Non la sento da un po', ma mi dava l'idea di una focosa, forse ha voglia di galoppare un po'...e se invece è Mary? Che bambolina...però un po' troppo ingenua, e sì che io gliela aveva detto che non volevo storie serie, ma forse non ci ha ancora rinunciato...meglio così...potrei rilassarmi un po' con lei stamattina...

Tuttavia, quando aprì la porta, non vide nessuna delle sue fiamme.

In piedi al pianerottolo, vestito con un pantalone da ginnastica ed una felpa blu, c'era il suo amico Crilin.

“Ehilà, Yamcha!” lo salutò quest'ultimo allegro. “Disturbo?”

Il padrone di casa lo fissò impassibile per qualche secondo.

“Dovrei ucciderti per avermi fatto alzare così presto dal letto.” esordì con voce minacciosamente pacata. “Cosa vuoi?”

“Eheheh...ti chiedo scusa amico! Ma dovrei parlarti, e non ho molto tempo...posso entrare?”

L'altro guerriero comprese con un gemito che poteva dire addio alla sua mattinata di sonno.

“Immagino non abbia molta scelta...” rispose con un sospiro. “Entra sciagurato!”

 

Ciabattando verso la cucina, Yamcha andò a farsi un caffé, trattenendo a stento un enorme sbadiglio. Una volta messo sul fuoco la cuccuma, il guerriero si sedette sul tavolo presente nella stanza, subito imitato dall'amico.

“Allora, si può sapere che cosa c'è?” domandò infine riuscendo a trattenere l'ennesimo sbadiglio.

Ma Crilin non sembrava voler dire subito cosa l'aveva spinto a buttarlo giù dal letto a quell'ora. Sorrideva allegro, con una vivacità negli occhi che l'amico non aveva più visto da anni. Era dai tempi precedenti alla venuta dei cyborg che non lo vedeva così rilassato.

“Dov'è Pual?” domandò alla fine il piccolo guerriero. “Mi piacerebbe salutarlo.”

“E' da Bulma.” taglio corto l'altro grattandosi una guancia. “Non gli piace restare in casa quando ho compagnia.”

“Deduco quindi che stanotte ti sei divertito.” commento ridacchiando il moro. “Povero Pual! Penso che farebbe meglio a trasferirsi direttamente da Bulma.”

Il ghigno che gli rivolse Yamcha valeva più di mille parole.

Fischio la cuccuma. Quando Yamcha si risedette, dopo aver versato il caffé ad entrambi, ripeté la domanda di prima.

“Quindi mi dici per quale motivo mi hai buttato giù dal letto così presto?”

Crilin stava per rispondere, quando una figura femminile, completamente nuda, apparve in mezzo a loro, lasciando di stucco il piccolo guerriero.

“Yamcha, dove è il bagno?” domandò la formosa ragazza, per nulla imbarazzata di essere vista da un estraneo in tutto il suo splendore.

“Ah, Margaret!” esclamò il guerriero, osservando la bellissima bionda senza alcuno stupore in volto. “Vedo che ti sei svegliata. Il bagno è in fondo al corridoio, secondo porta a sinistra.”

“Ok, lasciami un po' di caffé.” rispose la bionda. “Comunque io sono Margaret, tesoruccio.” dichiarò passando affianco a Crilin ed accarezzandogli il volto con un dito. Per tutta risposta, il terrestre divenne rosso fuoco in volto.

Una volta che Margaret uscì, ancheggiando vistosamente, Yamcha ridacchiò.

“Le piaci.” disse facendo l'occhiolino. “Dovresti vedere cosa riesce a fare con quelle manine a letto, una vera bomba!”

“Ti ricordo che tra meno di tre settimane mi sposo.” ribatté ancora scosso il moro.

“Sono sempre i migliori quelli che se ne vanno.” borbottò di risposta il latin lover. Si portò alle labbra la tazzina, ma subito dopo la riappoggiò al tavolo con un'espressione schifata.

“Ma che schifezza è?” domandò sconvolto.

“E' il tuo caffé.” rispose Crilin, guardandosi bene dal toccare la sua di tazzina.

“Deve essere quella schifezza che ha lasciato qui Jenny. Lei è la sua fissazione con il caffé d'orzo biologico! Temo che dovrò andare a comprarlo oggi, perché mi è rimasta solo questa robaccia.”

Dopo aver svuotato le tazzine nell'acquaio, Yamcha tornò a sedersi. Sconsolato per non aver preso la propria razione di caffé mattutino.

“Come minimo esigo che mi offi un caffé decente al bar quà sotto.” borbottò. “Dopo avermi svegliato a quest'ora direi che me lo devi.”

Crilin alzò le mani in segno di resa.

“Va bene, vedrò che posso fare.” rispose sempre con il suo strano sorriso in volto.

“Ma si può sapere che hai?” gli domandò irritato l'amico. “Da quando sorridi come un demente di prima mattina?”

“Eh? Oh, nulla nulla! Diciamo che ho avuto...una nottata impegnativa.”

Per Yamcha non ci fu bisogno di altro per capire.

“Però!” esclamò emettendo un leggero fischio. “La biondina ci da dentro anche da incinta!”

“Yamcha, puoi evitare di parlare così di C18?” ribatté leggermente contrariato il moro.

“Andiamo! Fa tutta la preziosa e l'arrogante, e poi si scatena con te ogni notte!” rispose ridacchiando il guerriero. “Cosa non darei per vedervi!”

“Penso...che ciò accadrà mai.” replicò imbarazzato Crilin. “Comunque sia,” aggiunse subito dopo, voglioso di cambiare argomento, “Sono venuto qui per chiederti un piacere.”

“Lo sospettavo.” sospirò l'altro. “Avanti, che cosa vuoi?”

Il piccolo guerriero lo fissò in modo strano.

“Vuoi farmi da testimone per il mio matrimonio?”

Silenzio.

Yamcha lo fissò con fare impassibile per parecchi secondi, mettendo a disagio l'amico.

“Allora?” domandò infine. “Ti va?”

Yamcha sospirò per quella che doveva essere la centesima volta quella mattina.

“Sospettavo che me l'avresti chiesto.” disse infine. “Anche se credo tu avresti preferito Goku, giusto?”

“Non...non lo so...” balbettò in difficoltà il piccolo guerriero. “In fondo...io e Goku siamo cresciuti insieme, per me è come un fratello. Ma non posso negare che ho passato anche molto tempo assieme a te, Yamcha. Ne abbiamo passate insieme tante, ci siamo allenati insieme per anni, e per moltissimo tempo siamo vissuti sotto lo stesso tetto. Non devi pensare che sei una seconda scelta o quant'altro.”

“No, scusami tu per la mia maleducazione...certe volte parlo senza pensare.” rispose sorridendo il terrestre. “Allora! Andiamo a prendere questo caffé?” aggiunse subito dopo battendo le mani.

“V-va bene.” rispose perplesso Crilin nel vederlo cambiare discorso così bruscamente. “Ma, allora...qual è la tua...”

“E me lo domandi?!” rispose Yamcha mentre correva a vestirsi. “Non mi perderei lo spettacolo in prima fila della tua cara biondina in abito da sposa per niente al mondo!”

E corse via a cambiarsi, il tutto sotto lo sguardo divertito di Crilin.

Sguardo che però mutò in terrore quando rivide la bella Margaret passare nuda per il corridoio e fargli l'occhiolino.

Forse è meglio se lo aspetto fuori di casa...

 

 

C18 si squadrò critica allo specchio, osservandosi in quelle vesti che, secondo lei, le stonavano enormemente con il suo essere una donna.

“No.” rispose secca all'uomo che la guardava speranzoso.

Lui non si scompose minimanente, ma anzi, sembrò ancora più entusiasta.

“Una cliente difficile? Non c'è problema, ogni donna ha il suo abito per le proprie nozze, deve solo scoprire qual è!”

Detto questo, l'uomo uscì dal camerino a cercare nuovi modelli, lasciando C18 a togliersi l'abito insieme ad un'esausta Bulma.

La scienziata sospirò sconsolata. Quando era riuscita a convincere, dopo molte discussioni lunghe ed estenuanti, la bella cyborg ad andare a comprare insieme il suo abito per le nozze era convinta che sarebbe stato un pomeriggio eccitante. Aveva ancora in mente la sua ricerca, insieme a sua madre, che era durata per oltre una settimana in tutte le boutique più care del paese. Ma anche se non si aspettava una ricerca così meticolosa da parte di una donna come l'androide, Bulma non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato quella specie di incubo.

Il fatto era che C18 semplicemente odiava qualsiasi tipo di abito, e dover sfilare davanti ad un mucchio di persone con indosso uno non la metteva di buon umore. Aveva provato ogni tipo di abito da sposa: da quelli più tradizionali, che trovava orrendi, a quelli più moderni e trasgressivi, già più accettabili anche se avrebbe preferito morire piuttosto che presentarsi davanti a Crilin ed i suoi amici in minigonna e scollatura profonda. Attualmente, dopo aver girato per due negozi, erano arrivati in questa boutique molto famosa e condotta da un uomo assolutamente fuori dalla norma. Educato, gentile, curato ed assolutamente non demoralizzato dalla scarsa collaborazione dell'androide. Bulma credeva che fosse un angelo mandatole dagli dei in un momento di pietà.

“Non capisco perché diavolo devo mettermi uno di questi cosi...” borbottò la bionda mentre aspettava paziente che l'azzurra gli slacciasse i lacci sulla schiena. “Non potrei sposarmi con i miei vestiti e basta?”

“No, e non ricominciare per favore, C18. Ne abbiamo già discusso prima: è la tradizione.” rispose un'esasperata Bulma.

“Al diavolo la tradizione!” ringhiò scontrosa la bella cyborg mentre finalmente riusciva a togliersi quella gabbia di abito. Sembrava come una ventosa che non voleva mai lasciarla.

“Senti, lo so che non ti va molto di fare questa cosa, ma cerca di trovarne uno di tuo gusto. Se proprio non ti interessa farlo per te, fallo per Crilin che già ti sogna indossare un meraviglioso abito da sposa!” dichiarò la scienzata mentre raccoglieva l'abito buttato per terra di malagrazia dall'androide e lo sistemava con cura.

“Se fosse per me rimarrebbe un sogno...” rispose di malumore la bionda mentre si fissava il ventre piatto allo specchio. Aveva il terrore di vederselo ingrossare da un giorno all'altro, specie da quando aveva scoperto di essere ingrassata di due chili nell'ultima settimana.

“Avercelo io un fisico del genere!” sospirò la scienzata. “Saranno dieci anni che non posso più permettermi la famosa taglia quarantadue!”

Un ghigno beffardo comparve sulle labbra della bionda a sentirla: era orgogliosa del suo fisico, e sapere che provocava l'invidia delle altre donne le dava un'enorme soddisfazione.

Speriamo solo che il marmocchio non mi rovini troppo...

Decise di non pensarci. Non era il luogo adatto, visto che aveva già fin troppi problemi con la scelta di quello stramaledetto abito.

“Madame? Posso entrare?” domandò l'uomo, di nome Harris, bussando educatamente.

Bulma sospirò, mentre C18 digrignava i denti.

Si ricomincia. Pensarono all'unisono.

 

Si rigirò nello specchio, perplessa da quello che vedeva. Era lei con indosso un abito, eppure il risultato non le procurava fastidio od irritazione ma anzi, qualcosa di molto simile al compiacimento.

Bisogna ammettere che questo tipo ha occhio.

Si sistemò una ciocca di capelli, mentre si guardava il petto e l'addome racchiusi in un corpetto impreziosito di filigrana madreperla, un bella gonna stretta, che già le dava meno fastidio di una larga, ed uno strascico di pizzo che l'avvolgeva la schiena in una calda nuvola bianca.

“Allora, Madame. Abbiamo trovato l'abito giusto?” domandò l'uomo chiamato Harris sorridendo con entusiamo fanciullesco.

C18 si limitò ad annuire. Non era il tipo di vestito che avrebbe comprato da sola, ma per un evento come il suo matrimonio poteva andare più che bene.

Sia Harris che Bulma sospirarono di sollievo, per poi mettersi ad applaudire la bella bionda che, confusa dal loro atteggiamento, non poté far altro che arrossire.

“Dateci un taglio e vedete di togliermi questo coso di dosso!” sbottò piccata e confusa.

Però non poteva negare che stava favolosamente bene dentro quell'abito.

 

 

“Oggi ho comprato l'abito che indosserò per sposarmi.” esordì all'improvviso C18 mentre accarezzava dolcemente i capelli del suo uomo.

Erano a letto, e come d'abitudine ormai, prima di dormire si scambiavano commenti sulle loro rispettive giornate. Di solito la cyborg non era amante delle parole, ma doveva ammettere che quella volta Crilin aveva avuto una buona idea. Parlare li aiutava a rafforzare il loro legame e ad evitare incomprensioni.

“Davvero?” rispose lui mentre le accarezzava dolcemente un fianco, assaporando sotto i palmi la pelle liscia e vellutata di lei.

“Sì.” fu la secca risposta di lei. “Però non so se avrò voglia di metterlo alla fine.”

“Sarebbe uno spreco però. Sono sicuro che ti sta d'incanto.”

“La tua amica Bulma dice che devo metterlo per tradizione.” proseguì dubbiosa l'androide. “Ma se la infrango possiamo sposarci lo stesso, giusto?”

“Suppongo di sì.”

“Allora non lo metterò.” concluse la bionda mentre cominciava a baciare dolcemente il collo del moro.

“E se io provassi ad insistere affinché tu lo metta?” le domandò sorridendo il piccolo guerriero.

I baci divennero immediatamente morsi.

“Ti frantumo le ossa e ti massacro finché non muori di una morte lenta e dolorosa!” ringhiò scontrosa lei, mentre con una mano gli afferrava bruscamente il sesso.

Aveva voglia, e voleva sfogarsi il prima possibile.

“Facciamo una scommessa?” sussurrò Crilin mentre lei cominciava a massaggiargli con forza il sesso, facendolo eccitare velocemente.

“Quale, pidocchio?” sussurrò C18 mentre lo fissava con occhi carichi di lussuria.

Dei, è stupenda.

“Se stanotte ti sto dietro, tu ti metterai l'abito.” propose sorridendo il piccolo guerriero.

Lei rimase spiazzata da tanta sfrontatezza, ma cominciò anche a sentire l'adrenalina della sfida scorrerle nelle vene. Era piacevolmente piccante come proposta, e la cosa non le dispiaceva affatto.

“Sei diventato arrogante, nanerottolo.” dichiarò mentre con le dita solleticava il sesso di lui. “Pensi veramente di potermi stare dietro?”

“Certamente.”

Per tutta risposta, la cyborg gli salì sopra, denudandosi completamente e mettendogli le mani sui propri seni.

“Però così giochi sporco!”

Lei snudò un ghigno sensuale.

“Non esistono regole nanerottolo in certe scommesse!” replicò.

Poi iniziò l'amplesso. Forte e selvaggio come piaceva a lei.

La mattina dopo, con il fiatone per la notte appena trascorsa, C18 dovette ammettere, di malavoglia, che avrebbe passato il suo matrimonio con indosso un abito.

Ma la prossima volta vinco io!

 

 

Crilin si guardava allo specchio con fare tremendamente imbarazzato.

Era ridicolo!

Lui non era fatto per mettersi le giacche e le camicie. Gli sembrava di essere la brutta versione di un pinguino.

Si sistemò per l'ennesima volta i capelli, in preda al nervosismo

Ormai mancavano meno di tre ore.

Al pensiero si sentì lo stomaco sottosopra, per fortuna che quella mattina, in preda al nervosismo, aveva evitato di mangiare.

In quell'istante, entrò nella stanza Muten, con indosso il suo inseparabile completo da uomo nero. Nonostante fosse un modello di molti annia fa, il vecchio eremita si era rifiutato di comprarsene uno nuovo, nonostante le insistenze del buon Umigame, che l'aveva paragonato ad un vecchio fossile.

“Crilin, è ora.” si limitò a dire squadrando, con occhio critico, il suo allievo.

“Sì...vengo” si limitò a dire con aria atterrita il piccolo guerriero.

“Stai tranquillo...andrà tutto bene! C18 è pazza d te, e non vedrà l'ora anche lei che tutto questo finisca!” tentò di tranquillizzarlo Muten.

Crilin tentò di fare un sorriso, ma tutto quello che né uscì fu una specie di smorfia mal riuscita.

Fece un profondo respiro. Doveva calmarsi. Non poteva mica svenire al suo matrimonio!

Coraggio Crilin, ne hai affrontate di peggio. In fondo, cosa vuoi che sia sposarsi in confronto a combattere un tipo come Freezer?

Un tempo avrebbe detto che sposarsi era una sciocchezza al confronto, ma ora non era sicuro che avrebbe disdegnato un altro giro della morte con il defunto tiranno spaziale.

Sorrise. Diavolo, ormai era completamente fuso se pensava che rivedere Freezer fosse una cosa da nulla!

Quella donna ti ha rovinato, vecchio mio.

Ma in fondo, era per quello che la stava per sposare, no?

 

Era una splendida giornata invernale. Il sole brillava limpido nel cielo, e l'aria fredda non dava fastidio. In effetti, era piacevole stare all'aperto, se ben coperti.

Davanti a lui, in attesa di prendere posto, c'erano tutti i suoi amici e compagni di una vita. Vide Arrivare Tenshinhan insieme a Jiaozi, che gli strinsero la mano facendogli i complimenti, osservò arrivare Chichi insieme a Gohan, che la madre gli aveva costretto a portarsi un libro da leggere anche quel giorno, insieme al piccolo Goten. Vide la sua cara amica Bulma portare per mano il piccolo Trunks, che ormai sapeva camminare benissimo, mentre poco più indietro, scontroso e scuro in volto, c'era Vegeta, chiaramente irritato per aver saltato l'allenamente giornaliero.

“Come hai fatto a convincerlo a venire?” le sussurrò nell'orecchio il terrestre mentre abbracciava l'amica di una vita.

La donna si limitò a fargli l'occhiolino, sorridendo misteriosa.

“Diciamo che ho...i miei metodi!”

Guardò, con fare sconsolato, arrivare Yamcha in ritardo, con il piccolo Pual che lo salutava allegramente. Essendo il testimone dello sposo, il guerriero sarebbe dovuto arrivare un po' prima, ma la puntalità non era il suo forte.

“Scusami tanto Crilin! Ma il fatto è che ieri sera...”

“Immagino!” lo interruppe l'altro scuotendo la testa. Non aveva voglia di sentire l'amico parlare della sua ennesima fiamma, non quel giorno almeno.

Fu con sorpresa invece che vide arrivare il saggio Karin, insieme a Jajirobei. Non si aspettava che venissero.

“Non potevamo mancare!” gli disse il placido gattone mentre lo osservava sorridendo sotto i baffi. “Ti conosco da tanti anni, e pensavo fosse giusto impartirti la mia benedizione, per quello che può valere ovviamente.”

L'uomo si sentì un groppo alla gola mentre lacrime di commozione premevano per uscire.

“Ne sarò onorato, sommo Karin!” dichiarò inginocchiandosi davanti all'amico, che gli mise una zampa sulla fronte.

“ Allora io ti auguro tutte le gioie di questo mondo, amico mio. Sei forte e saggio al punto giusto da poter vivere in felicità, e sono sicuro che i restanti anni della tua vita saranno pieni di gioie e soddisfazioni!”

“Sì sì, tutto molto bello.” borbottò il cavernicolo al loro fianco, mentre si scaccolava senza alcun ritegno. “Ma quando inizia questo mortorio? Io ho voglia di mangiare!”

Subito dopo, Jajirobei fu colpito senza alcuna pietà in faccia dal sommo Karin.

“Razza di bestia senza ritegno! Possibile che non hai un briciolo di sensibilità in quella specie di cuore che possiedi?”

“Mi hai fatto male! Lurido gattaccio, ora io ti...”

Crilin lasciò gli amici litigare in pace ridacchiando. Gli anni passavano, ma quei due non cambiavano mai.

Fu con sorpresa che vide invece, seduto in disparte, Piccolo che osservava, con grande disappunto, la marea di gente che chiacchierava allegramente.

“E tu cosa ci fai qui?” domandò il terrestre.

Il namecciano strinse gli occhi.

“Mi manda Dende. Siccome, a causa del suo ruolo, non può essere qui presente. Mi ha chiesto di prendere il suo posto. Anche se devo ammettere che me ne sto già pentendo di aver accettato.”

“Capisco. Mi dispiace che non sia potuto venire. Comunque accomodati! Sei il benvenuto!” rispose gioviale il guerriero battendogli una pacca sulla spalla.

Lo sguardo scandalizzato di Piccolo valeva più di mille discorsi. Sorridendo nervosamente, e sperando che l'amico namecciano non lo picchiasse a sangue per lavare quell'onta, Crilin si allontanò alla velocità della luce.

 

Infine arrivò lei.

Crilin deglutì la massa compatta di saliva che gli si era incastrata in gola, mentre la vedeva avvicinarsi a lui.

Siamo alla fine dunque.

Era tremendamente bella.

Si inizia.

 

 

Dove vanno le stelle?

In un posto lontano.

O almeno così dicono.

Se lo era sempre domandato da piccolo, quando vedeva, dalle vette delle montagne della sua terra natia, lo spettacolo di migliaia di stelle illuminare il cielo. Si chiedeva cosa fossero quegli immensi globi luminosi, e si domandava quale fosse il loro destino.

Ora lo sapeva.

Ad essere sinceri, non gliene era mai fregato nulla delle spiegazioni scientifiche. Come si poteva rovinare una simile bellezza definendola una massa di idrogeno ed elio incandescente? Come si poteva rovinare la magia e la poesia di quello spettacolo?

No, non erano quello.

Ti domandi dove vanno a finire le stelle? Io lo so...io lo so...le stelle vanno dove tu speri. Nei luoghi più profondi e remoti del tuo cuore, dove gioia e dolore, speranza e disperazione, odio ed amore, coesistono insieme.

Quindi non chiederti dove le stelle vanno, chiediti invece se tu potrai, un giorno, raggiungerle.

I suoi occhi erano puntati su di esse, bellissime e remote.

Aveva sentito una storia una volta riguardo esse.

Una storia che lo riempiva ogni volta di tristezza.

 

Una scienziata aveva consacrato la propria vita allo studio delle stelle, trascurando così i propri affetti e l'uomo che amava. Un giorno, essa riuscì nell'esperimento che preparava da una vita, incanalare la luce di una stella in un corpo, ma mentre lei effettuava quell'esperimento, uomini malvagi le distrussero la propria casa, uccidendole la famiglia e disperdendo il suo popolo.

Disperata, la donna aveva preso a cercare l'uomo della sua vita ovunque, in ogni regno del globo. Chiedendo a chiunque incontrasse. Nessuno l'aveva visto, nessuno lo conosceva. Piena di odio, essa ricercò allora coloro che avevano distrutto la sua casa e, una volta trovati, li uccise senza pietà.

Ma il pentimento non poteva essere colmato con la vendetta, il dolore con l'odio, la solitudine con il sangue.

Fu allora, quando prese la sua decisione, che ritrovò l'amore della sua vita.

Ma ormai era troppo tardi.

Lei era cambiata, e non poteva più accettare di vivere in quel mondo. Pertanto, prese la decisione di liberare la luce della stella da lei catturata tempo fa, in modo da illuminare e guidare il suo popolo, ormai disperso e ramingo.

La luce fu immensa, ma essa prese anche il suo corpo, e la sua vita. Ma il suo sacrificio permise al suo popolo di riunirsi, e di eleggere l'uomo che amava come loro re.

Da allora, la sua stella guida e protegge il suo popolo.

La stella della Dama.

 

“A cosa pensi?”

Crilin la guardò mentre si sedeva affianco a lui, in quel prato invernale immerso nel verde.

Era notte, e presto sarebbe finito tutto, ma sarebbe iniziata una nuova vita.

“Penso alla Dama, e a quanto debba avere sofferto per ciò che ha vissuto.”

“Di cosa vai cianciando?”

Lui le raccontò la leggenda. Alla fine del discorso, C18 si limitò ad osservare il cielo sopra di loro.

“Non pensi che sia una storia triste?” gli domandò il marito.

“Al contrario.” replicò lei, mentre la luce stellare le illuminava il viso. “E' in essa che lei ha trovato la ragione della sua vita. Dici il vero quando affermi che il suo sacrificio ha causato profondo dolore nel cuore di coloro che l'amavano, ma essi sanno che lei non morirà mai: la sua anima è racchiusa nella stella e vivrà in eterno, senza più colpe e rimorsi.”

Il moro la fissò sorridendo.

“Un tempo non avresti mai detto queste cose.”

“Un tempo non avrei mai sposato un idiota come te.”

Il silenzio cadde tra di loro.

 

Cosa cerchi, nel cuore delle stelle, piccolo viandante? Cerchi il calore per scaldarti? La potenza per vincere? Oppure la bellezza per colmarti il cuore?

Cosa cerchi, piccolo viandante, nelle tenebre della Galassia? Pianeti per vivere? Viaggi per scoprire?

Cosa cerca il tuo cuore?

Forse niente di tutto questo.

Eppure anche esso è richiamato dal canto.

Il canto della Dama.

 

“Non so neanche cosa dire in questo momento.” dichiarò il piccolo guerriero mentre si stiracchiava affianco alla cyborg. “Di solito nei film adesso l'uomo tira fuori una frase ad effetto, un qualcosa che faccia scattare il bacio.”

“Hai visto troppi film. L'ho dicevo io, che quell'aggeggio va distrutto.”

 

La stella della Dama, piena di amore, odio e dolore. Ma non più vendetta.

Essa non cerca vendetta, essa vuole ora solamente vivere per gli altri. Illuminare il sentiero della sua gente. Non ha più amici, non ha più nulla, solo ricordi di cosa è stato, ma che non può più tornare.

 

“Sei felice?” gli domandò alla fine.

Lei scosse la testa, sospirando.

“Perché me lo domandi?”

Lui si strinse le spalle.

“Non saprei...forse perché ho paura della risposta.”

“Risposte...una cosa che ho cercato per troppo tempo...ora non le voglio più.”

Lui comprese. Sorrise, prendendole la mano.

 

Il suo pensiero vivrà in eterno tra i suoi amici. Coloro che l'hanno amata, e coloro che ha amato.

Lei non morirà mai.

Perché la sua anima ora è al sicuro.

Nello scrigno delle stelle.

 

“Domani ci aspetta la prova più difficile di tutte. Sarà il nostro primo giorno da sposati”

“Già.” rispose lei, impassibile, lo sguardo rivolto verso il cielo.

“Però sarà anche bello, non credi?”

“Vuoi la verità?” gli chiese lei.

Lui abbassò lo sguardo verso il suo volto.

 

La Dama li protegge tutti.

Ma ora...ora lasciatela riposare.

Ricordatela, onoratela, ma lasciatela riposare.

Che si riposi da tutto quello da lei patito, da tutto il suo dolore.

Lasciatela dormire...

Lasciatela riposare...

 

Le labbra di lei si avvicinarono al suo orecchio.

“Ho atteso questo momento per tutta la vita.”

Lui la guardò, serio.

“Anch'io.”

Le loro labbra si sfiorarono con dolcezza.

Mentre sopra di loro, le stelle brillavano, danzando attorno alla Dama.

 

Lasciatela riposare...

Per sempre.

 

FINE

 

E' difficile dirlo, ma anche questa storia sta finendo.

Forse lo sapete tutti che all'inizio, due anni e mezzo fa, quando cominciai a scrivere questa storia avevo in mente un progetto molto più ampio di questo, e ammetto anche molto più ambizioso.

Se mi riguardo indietro vedo un percorso immenso, fatto con persone meravigliose. Vedo i primi capitoli e mi accorgo che ero solo un ragazzino ambizioso e pasticcione, che tentava di scrivere la prima, vera storia in vita sua.

Ora...beh, non so.

Non so cosa sono diventato. Non un uomo, ma non sono più lo stesso ragazzo di quel primo, lontano capitolo. Tante cose sono cambiate in questo lasso di tempo, io per primo, ed anche le persone che mi hanno seguito all'inizio sono scomparse, con l'aggiunta di altre.

Vorrei ringraziarvi tutti.

Tutti, dal primo all'ultimo, dalla prima persona che ha letto il primo capitolo all'ultima. Coloro che hanno recensito e coloro che hanno deciso di seguire, preferire o scegliere questa storia io posso solo dirvi...

Grazie, di cuore.

Io sono cresciuto con questa storia, è parte di me ormai. E in ogni personaggio ritengo di averci messo, involontariamente o meno, una parte del mio essere. Sono cresciuto assieme a Crilin e C18, mentre tentavo di comprende la psiche di un uomo innamorato e di una donna triste e sola.

Non so se sono riuscito nel mio intento, non so neanche se ciò che ho scritto corrisponde anche in minima parte a ciò che pensava di questi due personaggi il loro creatore. Io non so nulla, sono solo un ragazzo con la fissa di buttare su carta i propri pensieri, quello che vede, che sente, che tocca nel mondo che lo circonda.

Io sono questo.

Ed ora, miei adorati lettori, non mi resta che inchinarvi a voi, che avete deciso di darmi una chance.

Ma anche per questa storia, tocca mettere la parola fine.

Stavolta veramente.

Arrivederci!

Giambo

 

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