Dream.

di xkissmejdbieber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dream. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Your voice is like a drug. ***
Capitolo 4: *** Just friends. ***
Capitolo 5: *** When you smile.. I smile. ***



Capitolo 1
*** Dream. ***


“justin, alzati, sono le undici, è tardi”
La voce di Pattie la svegliò dal suo sonno senza sogni, ricordò tutto improvvisamente, il viso che sfiorava il petto del ragazzo sdraiato su di un fianco accanto a lei, il suo respiro tranquillo, il suo odore che impregnava i vestiti che lui indossava e quelli che le aveva prestato per dormire. Sentendo la voce della madre fu scosso da un lieve tremito, la mano che le aveva appoggiato sul fianco strinse di poco la presa, era delicato come sempre.



“Che palle, quest’anno siamo al terzo piano, arriverò agonizzante ogni giorno sin dalla mattina.”
Rise ascoltando le parole di Gaia, la sua migliore amica, come al solito pigra. La loro aula era la seconda a destra del terzo piano quell’anno e sapevano che ci sarebbe stato un nuovo ragazzo americano in classe loro e, a dir la verità, non vedeva l’ora di conoscerlo. Entrarono in classe e appoggiato su di un banco, c’era il ragazzo nuovo che parlava con Angela. Lui si girò di scatto a guardarla, i suoi occhi castani chiari con dei riflessi gialli, la bocca morbida, il naso piccolo e i capelli biondo scuro la colpirono come una pugnalata e lo stomaco si strinse. Si sorrisero e contemplò la fila di denti perfetti e quel sorriso sincero e amichevole che le stava rivolgendo. Le sembrò che quel sorriso fosse luminoso con il sole, che tutto per qualche istante fosse diventato più lento e sfocato. Poi tornò in sé, cercò di togliersi dalla faccia quell’espressione da cretina imbambolata e si spostò il ciuffo di capelli che le era scivolato davanti agli occhi scuri e optò per il terzo banco, la fila centrale con tre posti. Angela la squadrò con la sua solita aria di superiorità e tornò a concentrarsi sulla sua preda come un falco pellegrino che vola in picchiata. La rabbia la pervase, avrebbe voluto sbattere quella faccia bianca e truccata inverosimilmente contro un banco, dare fuoco a quei capelli castani simili alla stoppa con i colpi di sole chiarissimi e ficcarle due penne in quegli occhi da pesce lesso, ma represse quegli istinti alquanto violenti. Crudelia 2, aveva giocato d’anticipo, questa non ci voleva.   Il professore Laudati entrò in classe, allampanato come sempre, appena suonò la campanella che sanciva l’inizio  delle lezioni, interrompendo il chiacchiericcio tipico che c’era in classe prima delle lezioni, lei si sedette e seguì con lo sguardo Justin che si veniva a sedere dietro di lei accanto a Mario e Jacopo. “Buon inizio ragazzi. Da quest’anno ci sarà un nuovo ragazzo, Justin Bieber. Aiutatelo a migliorare il suo italiano e siate amichevoli. Bieber, io sono il docente d’italiano di questa sezione…”
Si sentì bussare alla porta e Luce con la chioma di capelli  biondi lunghi e lisci in disordine e il fiatone entrò farfugliando delle scuse e spedita si venne a sedere accanto a lei. Mentre tutto ciò accadeva si sentì sfiorare il collo non riparato dai capelli che aveva tagliato quell’estate, si girò e Justin le porse la mano: “Piacere, Justin”.
“Piacere Sofia.. benvenuto"
Il professore rimproverò Luce come al solito in ritardo ma mentre faceva l’appello fu interrotto dal vicepreside che gli chiese di uscire.
“Luce, perché sei in ritardo?!”
“Sofi, Marco mi è venuto a prendere tardi con il motorino, è per questo.”
Si sentì chiamare da dietro, era Justin con quel tono allegro tipico di chi non sa cosa lo aspetta e con quell’accento buffo, si voltò e gli sorrise e le disse:
 “Sai che assomigli a una.. putt.. putt..” Vedendo la sua espressione mutare e il suo sorriso scomparire lasciando posto allo sbigottimento comprese in realtà cosa stesse per dire e si corresse: “E’ quel piccolo uccellino.. Ah si! Un pulcino! Solo che tu sei un pulcino nero per via dei tuoi capelli oscuri."
Rise e lo corresse: “Quando parli di capelli si dice scuri non oscuri.. Ma come fai a conoscere la nostra lingua..?”
“Quando io e mia mamma decidemmo di trasferirci qui in Italia abbiamo cominciato un corso per imparare a parlare questa lingua.”
“E’ meglio dire mia madre, comunque come mai l’Italia?”
“Bhe, mamma voleva vedere l’Europa e lasciare Stratford. Ho un amico di nome Alfredo, un giorno venne a casa quando vivevo ancora in Canada ed essendo il suo nome italiano mamma dicette che voleva trasferirsi qui.”
“Disse, Juss, non dicette. Scusa se ti correggo sempre.”
“Non ti preoccupare, continua a correggermi, voglio imparare.”
Il professore tornò dentro mentre lei si scioglieva come un cubetto di ghiaccio al sole parlando con quel bel canadese simpatico e pensò: “ Bella merda, mi piace molto.”


 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Era come una porta socchiusa nella sua testa, bastava uno spiffero di vento per farla aprire. Dietro quella porta in un anfratto del suo cervello, c’erano quei due occhi quel sorriso, c’era Bieber. Cercava di respingere i pensieri che lo riguardavano, qualsiasi fantasia dietro quella porta. Non era mai stata una di quelle ragazze che hanno fortuna in amore, era sempre stata una di quelle che era definita bella ma che, quando si squilibrava, era delusa, non era corrisposta. Ma il suo cervello, anzi no, non il cervello.. diciamo qualcosa più in basso che le palpitava nel petto la riconduceva sempre a lui, sempre a quel punto ed essendo di indole sognatrice viaggiava, volava via, sognava. Non aiutava certo il fatto che fossero così vicini, in classe insieme, lui era sempre dietro di lei, scriveva sui suoi libri, le parlava e soprattutto, le sorrideva. Era passata una sola settimana dall’inizio della scuola e già era successo qualcosa di inaspettato, qualcuno era piombato nella sua vita, non molto silenziosamente.
“Sofi.” Era Justin. “hey, Juss.”  Si, voltò e si fermò. Fu spinta da un ragazzo dalla stazza imponente impaziente di uscire dalla scuola alla fine di quattro ore di tortura. Si spostò e si appiattì contro la parete aspettando che il ragazzo la raggiungesse. Mentre si avvicinava le sorrideva e cazzo, doveva smetterla di sorriderle sempre, troppo spesso. Più lo guardava sorridere più qualcosa in lei si scioglieva come un iceberg del Polo Nord. “Dove devi andare?” Le aveva sfiorato la spalla scoperta, dato che indossava una maglietta monospalla azzurro cielo, e come al solito si agitò tutta. “A sinistra, verso casa. Caspita che caldo che fa qui, usciamo dai.” La precedette tra la folla di ragazzi che si assiepavano vicino l’uscita della scuola, la prese per il polso per non perderla e se la tirò dietro. Di sicuro aveva una faccia da ebete ed era anche un po’ stupita per via della presa salda del ragazzo che le stringeva il polso. Finalmente uscirono dalla calca, lasciò la presa e le disse: “Qui vicino c’è una gelateria, ti offro un gelato dato che dobbiamo andare nella stessa direzione.” Gli sorrise: “okkei, grazie mille.” Cominciarono a camminare vicini, per rompere il silenzio che si era creato gli chiese: “dove abiti?”
“Abito.. bhè non ricordo il nome della strada. Vai dritto per dieci minuti circa e sulla destra c’è un palazzo rosa antico. Vivo lì con mia mamma. Tu?”
“Dato che non sei pratico ti dico solo che è a venti minuti dalla scuola, alla fine della strada che stiamo percorrendo. Come mai solo con tua mamma?”
Lo vide guardare il cielo per qualche secondo e poi si voltò verso di lei e guardandola negli occhi: “Mia mamma Pattie, mi ebbe quando aveva solo diciotto anni.. lei e papà erano molto giovani e si lasciarono, così lei mi ha cresciuto da sola, ovviamente con i miei nonni con i qquali ho un buon rapporto. E’ stata dura per lei, non vedevo papà molto spesso. Lui è in Canada adesso.”
“Ti capisco molto.. io sono nata in Campania, ho vissuto lì fino alla fine della terza media. I miei genitori hanno divorziato dopo poco e mamma si è voluta trasferire qui. Adoro Roma, è una bellissima città.. Ma mi manca mio padre, lo vedo raramente e con mia mamma non ho mai avuto un buon rapporto, non è molto presente nella mia vita, mio padre lo era.”
“siamo nella stessa situazione..”
Parlando del padre e della lontananza gli occhi le si fecero umidi come sempre, detestava vivere lì solo per quello, dannazione. Justin se ne rese conto e la prese per un polso per stringerla a sé. La abbracciò e in quell’abbraccio percepì affetto e comprensione. Fu invasa da una sorta di benessere ma allo stesso tempo quel contatto così improvviso e dolce la spiazzò. Si allontanò di poco da lui e Justin le disse: “Dai sono sicuro che il gelato ti tirerà su di morale.”
Entrano nella gelateria una commessa le chiese: “Che gusto?”
Abbassò lo sguardo verso le vaschette di gelato esposte, i colori sgargianti dei gelati alla frutta, quelli cupi del cioccolato. C’era una grande scelta. “uhm.. Duplo e nocciola con della panna sopra” Justin guardava attentamente la gelataia che prendendo il cono vi poneva sopra il gelato e quando quella, dopo averle dato il gelato, si rivolse a lui rispose: “Lo stesso, può mettere anche sul mio la panna sopra?” “Si, certo.”
Pagò i due gelati e uscirono insieme dalla gelateria. Osservò Justin assaggiare il gelato e gli chiese: “Ti piace?” lui si leccò le labbra leggermente sporche e sorridendole le disse: “Si, hai dei bei gusti.” “grazie mille."
Camminavano lentamente vicini leccando i coni colmi di gelato quando lui si voltò verso di lei e cominciò a ridere. La sua risata la colse di sorpresa e si guardò a guardarlo perplessa. “Hai la punta del naso sporca di panna” disse lui ridendo: “ E non solo il naso ma anche le guancie sporche di gelato! Come mangi?!”
Che figura, non avrebbe mai dovuto accettare di prendere quel gelato, si era messa in ridicolo come ogni volta che mangiava. “Ti prego puliscimi.”
“nono, aspetta, devo farti una foto per immortalare questo momento.” Rideva di gusto e prese il cellulare che teneva in tasca. “No ti prego non lo fare, sono oscena, ne sono sicura.” Lo vide sbloccare il cellulare con il codice, si nascose con le mani il viso ma lui facendole il solletico riuscì a fargliele togliere. Si guardò rapidamente intorno per cercare qualcosa dietro cui ripararsi e vide i platani nelle aiuole al margine del marciapiede e si fiondò dietro uno di quelli. Justin però la precedette, e riuscì a scattarle una foto e glie la mostrò ridendo. Si, era oscena. Ripose il cellulare e le disse: “Okkei, ora posso pulirti.” Con un fazzoletto che aveva in tasca le pulì bocca, guancie e naso e soddisfatto lo buttò in un cestino e le sorrise. “Non sei più sporca e conserverò per sempre  quella foto.” Le venne la voglia di sotterrarsi ma ripresero a camminare. Cominciò a guardarsi intorno come faceva sempre quando camminava, Justin la vide pensierosa e le chiese: “A cosa stai pensando?” Si voltò a guardalo e gli disse: “Mi chiedo sempre cosa stanno pensando le persone che mi passano accanto. Cosa sta pensando quella donna sui tacchi che spinge la carrozzina contenente il suo bambino? Cosa quel vecchietto seduto sulla panchina? Cosa quel bambino che cammina mano nella mano con la madre che sembra molto preoccupata per chissà cosa?” Lui la guardò intensamente e le disse: “Wau, non mi faccio mai queste domande, e non credevo che tu fossi il tipo di persona che fa queste riflessioni.”
Lo guardò e gli sorrise: “Lo sono e mani giudicare dalle apparenze.” Justin guardò verso destra e indicò una palazzina rosa antico in stile vittoriano. “Io abito qui, vuoi salire?  credo che mamma sia felice di conoscere qualcuno della mia nuova classe.” Esitò ma poi gli disse: “Credo sia meglio di no, devo andare o altrimenti mia mamma si preoccuperà. Ciao.”
Lui le sorrise e poi l’abbracciò e le diede un bacio sulla guancia, solita sensazione, lo stomaco  le si strinse e provò la solita agitazione. Si staccò e le sorrise: “Ciao, a domani.” Si girò, sentiva lo sguardo del ragazzo che la seguiva mentre camminava a passo svelto, il cono del gelato in mano, abbassò gli occhi e sorrise di una gioia istintiva.




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Capitolo 3
*** Your voice is like a drug. ***


Pioveva a dirotto, era il due di ottobre e nessuno si aspettava quel temporale. Guardò Justin intento a guardare le nuvole scure, l’aria era cupa e la temperatura si era abbassata di molto rispetto a quando quella mattina erano entrati. Lui si girò a guardarla, dovevano tornare a casa ma si sarebbero bagnati tutti. Angela era dietro di loro che rideva chissà perché , le avrebbe voluto spaccare tutti i denti con un cazzotto, ma non poteva. Justin deciso le prese la mano, le sorrise e le disse: “Non smetterà di piovere certamente. Corriamo.”
Sentì lo sguardo pungente e rabbioso di Angela sulla schiena, invidiosa, smise di ridere, ne fu lieta. Cominciarono a correre sotto la pioggia che cadeva fitta, i vestiti leggeri che si bagnavano, lo zaino sulle spalle. Justin la guardò negli occhi e le sorrise. Lei arrossì ma per non farglielo capire abbassò il volto. Era completamente bagnata, erano quasi sotto casa di Justin. Si girò a guardarlo. I capelli bagnati erano attaccati alla fronte, minute goccioline d’acqua gli imperlavano le guance, colavano giù per il mento sotto quella pioggia insistente. Lo sentì tremare, la sua mano era meno calda di prima, aveva freddo. Erano davanti a quel palazzo rosa antico che le piaceva tanto dove Justin abitava. Lui guardò distrattamente casa sua, non le lasciò la mano. Le chiese: “Ora c’è tua madre a casa?”
Scosse la testa. Sarebbe andata a pranzo con Paolo, il suo nuovo ragazzo, un modello di sette anni più giovane che lei detestava. Era molto bello lo ammetteva, ma aveva il quoziente intellettivo di un cocomero ammaccato, cioè pari a zero. Non avrebbe visto la madre fino alle cinque se tutto andava bene, meglio così. Justin le sorrise e riprese a correre, mano nella mano sotto la pioggia. Si ritrovò a riflettere che sembrava la scena di un film, con la piccola differenza che loro due erano solo buoni amici e mai ci sarebbe potuto essere qualcosa di più. Lui non era mai stato a casa sua, così nella loro corsa stavano per passare l’edificio panna in cui abitava. Piantò i piedi per terra e strinse la presa, lui si fermò.
“E’ qui che abito.” Disse indicando con un cenno del capo il palazzo. Prese le chiavi e aprì il portone. Cominciarono a salire le scale, Justin era dietro di lei. Si augurò che non le stesse guardando il culo come chiunque avrebbe fatto. Si girò improvvisamente e lo trovò che le fissava il culo. Si rese conto di essere stato scoperto e arrossì violentemente.
“Scusa, non volevo. E’ stato più forte di me.”
Lei cominciò a ridere. Sembrava un bambino colto a rubare merendine. Erano arrivati, aprì la porta e buttò lo zaino per terra. Lo fece entrare e richiuse la porta. Si rese conto che per terra c’erano delle pozze d’acqua dovute all’acqua impregnata nei loro vestiti. Si tolse le scarpe.
“Justin stai fermo qui, non ti muovere, potremmo bagnare tutta la casa.”
Salì le scale che la mamma aveva fatto costruire per unire i due appartamenti, uno sopra l’altro sotto, che aveva comprato e si cambiò. Prese il phon, una sua felpa di tre taglie più grande e i pantaloni della tuta che sua madre usava quando era più grassa, molto tempo prima. Tornò di sotto e porse i vestiti a Justin.
“Indossali, almeno non sarai tutto bagnato.”
Si voltò e andò in bagno dove cominciò ad asciugarsi i capelli corti. Justin sopraggiunse con i vestiti bagnati in mano, lei li prese e cominciò ad asciugarli. Si girò verso Justin che guardava i vestiti che lei aveva in mano e sentendo il suo sguardo su di lui la fissò negli occhi. Si perse in quegli occhi color miele, grandi e dolci, espressivi. Ruotò il polso della mano destra con cui teneva il phon verso di lui e glie lo puntò in faccia. Lui sobbalzò e glie lo tolse di mano per asciugarsi i capelli, quando furono quasi asciutti la fece girare e glie li asciugò dietro prendendo con delicatezza ogni ciocca corta e facendole venire i brividi. La fece girare e le asciugò del tutto i capelli. Poi le puntò in faccia il phon spegnendolo con l’indice della mano sinistra dato che era mancino e le urlò:
“Mani in alto, questa è una rapina.”
Lei si girò e cominciò a correre, lui posò il phon e la ricorse per tutto il salone poi le balzò addosso facendola finire sul divano. Era sopra di lei e tutti e due erano persi negli occhi dell’altro, si guardavano e sorridevano come due ebeti poi lui rotolò giù dal divano cadendo per terra sul sedere. Si alzò massaggiandosi il deretano dicendo: “Oh che dolore.”
Lei rise e lo vide avvicinarsi al pianoforte in uno degli angoli del salone e sedersi lì. Justin appoggiò le mani sui tasti, cominciò a suonare. Le note che uscivano dal pianoforte erano cariche di tristezza, di dolore, sembrava che a suonare fosse l’anima del ragazzo che si riversava sul pianoforte che per uscire fuori e diventare libera diventasse musica.
“I never thought that it’d be easy,
‘cause we’re both so distant now,
and the walls are closing in on us
and we’re wondering how..
no one has a solid answer
but just walking in the dark
and you can see the look on my face it just tears me apart."
La sua voce chiara e dolce era struggente.  Si alzò e si sedette accanto a lui sullo sgabello. Lui suonava ad occhi chiusi, sapeva dove poggiare le dita. La canzone finì e aprì gli occhi come se si fosse appena svegliato, come se fosse ritornato di nuovo per terra, ancorato alla realtà dopo aver volato.
“Era stupenda.. ma l’hai scritta tu?”
“Si, adoro suonare e soprattutto cantare. Sin da bambino adoro la musica, mia mamma amava cantare e mio padre suona la chitarra.”
“come hai imparato a suonare il pianoforte?”
“Provando.. non è l’unico strumento che so suonare, sono bravo con la chitarra e la batteria ma so suonare anche la tromba.”
“Caspita.”
Lo vide poggiare di nuovo le dita sui tasti e cominciare a suonare con forza “let it be”. Conosceva la canzone e cominciò a cantare con lui, erano due voci sole. Si guardavano negli occhi perdendosi e rincontrandosi, lasciando scorrere la musica nell’aria. Liberi di essere. Gli accordi terminarono e i loro volti erano vicinissimi, a separare le loro bocche qualche centimetro..  quando sentirono sul parquet il rumore di un paio di tacchi a spillo e entrò sorridente nel salone la mamma si Sofia. Rovinava sempre tutto quella donna.





ANGOLO AUTRICE.
non l'ho aggiornata per un po' di tempo,mi  auguro che vi piaccia.
Nel prossimo capitolo ci saranno dei colpi di scena èè
Se vi è piaciuta fatemelo sapere,
@kissmejdbieber on Twitter.

                                                                                                                      
 






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Capitolo 4
*** Just friends. ***


                                         Just friends.

                                                              Pur di averti qui, con me,
                                                                                                                           accetto qualsiasi doloroso compromesso.


Era arrivata presto a scuola quella mattina. Tra cinque minuti sarebbe suonata la campanella. Era seduta con Gaia e chiacchieravano animatamente quando sentirono la risata di Angela che rimbombava nel corridoio semideserto. Alzò gli occhi al cielo nella speranza che un angelo le potesse regalare un lanciafiamme per porre fine alla vita insulsa di quella stupida, fottuta ragazza.. ma niente, il suo angelo custode si dimenticava di lei. Si girò verso la porta e nulla le avrebbe più potuto fare male di quello che vide.
Justin e Angela entrarono mano nella mano in classe. Erano bastati venti giorni ad Angela per portale via ciò che desiderava. Si sentì trafiggere da tanti piccoli aghi e la verità la travolse come acqua gelida in piena estate. Invidia, rabbia e dolore colavano giù, dentro di lei imperlando le pareti interne del suo essere. Come acqua che sgorgava da una frattura sotterranea  i sentimenti scorrevano impetuosi sotto la sua pelle, ribollivano nel suo essere come magma di un vulcano. Le aveva portato via quel ragazzo che le piaceva, cazzo quanto le piaceva. Cosa aveva quella in più di lei? Cosa in quel corpo privo di femminilità e di grazia poteva colpire un ragazzo? Cosa nelle continue bestemmie? No, no e ancora no. Non doveva essere vero. Avrebbe preferito vedere Justin con chiunque, anche una ragazza vuota e insignificante ma con quella no, lei no. Tutte tranne Angela. Finse di star prendendo qualcosa nello zaino e si abbassò trattenendo un urlo colmo di rabbia serrando le labbra. Chiuse gli occhi con forza e li riaprì e afferrò il diario che pose sul banco dissimulando ciò che provava, nascondendo i suoi sentimenti. La classe cominciò a riempirsi e guardò tutti con freddezza. Angela era seduta sul suo banco e, dopo aver baciato Justin, gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Cazzo come la odiava. Gaia la guardò negli occhi comprendendo quanto si agitava in lei e dopo poco entrò Luce sorridente, vide Justin e Angela insieme e si girò verso di lei cambiando espressione e le si sedette accanto.
“Stasera Nutella party a casa mia, ne hai bisogno. Fanculo ai brufoli, eh?”
“Va bene, Luce. Grazie mille.”
“Obbligo amore, non ci pensare. Ci vendicheremo prima o poi.”
Justin si staccò da Angela e si venne a sedere al suo posto, dietro di lei.
“Sofiii..”
“Ei, Bieber”
Si girò vero di lui cercando di rimanere impassibile. Ma quando incontrò il suo sguardo così luminoso e felice avrebbe voluto farlo scomparire dalla sua vita, snaturarlo di quel posto nel suo cuore che evidentemente non meritava.
“Io e Angela stiamo insieme, che ne pensi?”
“Sai che tra me e lei non c’è un buon rapporto e comunque sono fatti tuoi, non importa il mio giudizio.”
“Si invece. Da quando sono arrivato sei sempre stata gentile con me, mi hai aiutato, voluto bene, sei una grande amica per me.”
Solo amica, eh?! Si sentì sempre più piccola e insignificante, sola.
“Non ho voglia di esprimermi.”
“Oggi torniamo insieme, vero?”
“Col cazzo, tornatene con Angela, non ne ho voglia.”
Si girò e mentre lo fece vide la sua espressione delusa e sorpresa. Tanto meglio.

13:20
Justin.


Camminava a testa bassa sotto una leggera, odiosa pioggerellina. Osservò il viale, i platani che lo fiancheggiavano, le automobili che sfrecciavano sicure dietro di essi; osservò i passanti dagli sguardi vacui, concentrati ma assenti, persi chissà dove, chissà tra quali pensieri. Mai si era soffermato ad osservare i dettagli di quella strada. Era sempre stato lo scenario, mai un muto compagno. Percorreva quel viale alberato con Sofia e quando era con lei non pensava più  a nulla che non fossero le sue parole, i suoi occhi che ridevano silenziosi. Non si soffermava ad osservare nulla che non fosse il suo sorriso luminoso. Dalla volta in cui le aveva offerto quel gelato erano tornati sempre insieme, ricordava quelle strade perché risuonavano della sua risata, delle loro risate. Abbassò lo sguardo e osservò la pavimentazione irregolare e consumata da suole di scarpe, dalle intemperie. Guardò i suoi piedi che macinavano sicuri il tragitto.
Perché era stata scortese con lui? Perché gli aveva risposto così? Mai, da quando l’aveva conosciuta, era stata così fredda e distaccata. Mai in quegli occhi scuri e profondi aveva visto tanta freddezza mista a così tanta rabbia.
Stava con Angela ma non era realmente preso da lei. Sì, ridevano insieme, lei era dolce con lui ma non gli piaceva tutto di lei. A cominciare dai suoi occhi spenti e dal suo sorriso poco sincero, poco vero. Stava con lei perché.. perché?!
Di sicuro perché lei lo aveva assillato, cercato e invogliato ad uscire insieme. Si era lasciato trasportare da tutto ciò perché non aveva alternative, perché era stato messo all’angolo come un pugile sbadato, troppo distratto per comprendere lo scopo delle mosse dell’altro. Per Angela non provava ciò che provava per Sofia, no, per niente. Non ci aveva provato con Sofi perché aveva paura. Paura di un no e paura che quello stesso no potesse rovinare la nostra amicizia.
Prese l’iPhone dalla tasca esitante. Doveva o non doveva? Basta pensare.
“Sabato Angela non c’è e non ho niente da fare, che ne dici se vediamo un film insieme io, te e Gaia? Juss.”
Digitò il nome “Sofia”. Tergiversò per poco, poi con il tocco delicato del pollice inviò il messaggio. Tornò nella rubrica e accanto al nome della ragazza comparve l’immagine in cui era sporca di panna. Sorrise ricordando. Quant’era bella.

Sofia.

Sentì il cellulare vibrare nella tasca. Aveva corso fino a casa, e ora stava salendo le scale affannosamente. Non voleva tornare con lui e era a dir poco scappata prima a passo svelto poi correndo. Si fermò davanti alla porta di casa con le chiavi sospese in aria a pochi centimetri dalla toppa; prese il cellulare e lesse il messaggio e ancor prima il mittente. Rimise il cellulare in tasca.. Aveva bisogno di rifletterci per un po’. Entrò in casa e buttò lo zaino per terra. Detestava il silenzio assordante di quella casa troppo grande per due, quella casa così fredda e sterile, priva di ricordi degni di nota. Salì in camera sua, l’unica stanza che le piaceva nella quale si sentiva al suo posto. Aprì la porta trovandosi davanti la parete piena di fotografie attaccata alla quale c’era il suo letto. Vi si buttò sopra e annusò il profumo delle lenzuola e della coperta leggera. Guardò la parete e vide una foto sua e di Justin di una settimana prima in cui facevano delle facce buffe e sorrise. Era un suo amico e non poteva rovinare la loro amicizia per i suoi sentimenti non ricambiati, voleva continuare a starci insieme da amica.
Prese il cellulare di nuovo, aprì il messaggio e rispose: “Va bene, baby.”

Dopo alcuni secondi Justin, seduto sul divano di casa sua leggendo il messaggio, sorrise.


SOMETHING ABOUT ME, THE WRITER.

Allora. Eccovi la sorpresina sorpresuccia. E’ un po’ deprimente ma comprendetemi, dopo tanti capitoli felici volevo “spezzare”.
Grazie a tutte per le recensioni, vi adoro.
Bene, se fate le brave e recensite, pubblicherò il prossimo capitolo in tempi brevi, altrimenti fregatevi e aspettate. Si, sono cattiva.
Vi volevo chiedere, gentilmente, di farmi sapere che pensate della mia one shot che nessuno ha cagato su Harry Styles (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=949454&i=1 )
Fate le prave pimpe/i.
Piena di amore e armata di coltelli da lancio,
kissmejdbieber on Twitter.

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Capitolo 5
*** When you smile.. I smile. ***


                                                                When You smile.. I smile
                                                  
                                                                                                                   Nulla è più vero di un paio di occhi.              

Guardò gli alberi delle aiuole davanti casa sua. Il fogliame verde estivo era diventato giallo, arancione e rosso. Erano colori caldi che poco si addicevano a quella stagione in cui arrivava il freddo che tanto odiava. Era ormai buio e le strade la spaventavano. Lei e Justin avrebbero guardato insieme un film a casa sua con Gaia. Si incamminò verso casa di Justin a passo svelto e dopo un po’ arrivò e bussò al citofono. Le rispose una voce femminile con un accento americano molto più marcato di quello di Justin, doveva essere Pattie di cui il ragazzo le aveva molto parlato.
“Pronto?”
“Sono Sofia.. ehm, un’amica di Justin.”
“Si, Sali. Quarto piano.”
Salì rapidamente le scale e trovò la porta socchiusa, entrò. Faceva molto caldo dentro e si tolse cappello e cappotto che appese all’appendiabiti. Osservò il parquet scuro, i due divani di pelle dello stesso colore disposti a “L”, la televisione al plasma, un tavolo della stessa sfumatura di marrone con sedie coordinate, le tende panna e i tappeti chiari. Justin era disteso su uno dei divani occupandolo per intero e quando entrò e chiuse la porta si girò e le sorrise. Dopo poco uscì da una porta sulla destra una donna che doveva aver passato da poco la trentina. Capelli castani abbastanza lunghi, un sorriso amorevole e grandi occhi verde-azzurro. Reggeva due ciotole piene di pop-corn e patatine che appoggiò su di un tavolino basso tra la televisione e uno dei due divani su cui già c’era un grande cartone con pizze di vari tipi e due bottiglie di “coca-cola” con dei bicchieri. Le si avvicinò stando attenta a non sbilanciarsi sui tacchi a spillo e le sorrise tendendole una mano.
“Piacere sono Pattie, la mamma di Justin. Fai come se fossi a casa tua.”
“Mi ha molto parlato di lei, grazie per l’ospitalità. Sono Sofia.”
Ricambiò il sorriso e le due ritirarono la mano. Pattie si girò verso il figlio alzando un po’ il tono della voce per rimproverarlo.
“Justin! Mettiti seduto composto e non stare con i calzini sul divano, ci sono ospiti.”
“Mamma, è un’amica. Vieni a sederti, Sofi.”
“Non ti comportare male. Io devo uscire con delle mie colleghe, non combinare guai. Sofia, lo lascio nelle tue mani, non è molto affidabile.”
Lei annuì e si andò a sedere accanto a Justin che si era messo seduto composto. Dopo poco la porta si chiuse lasciandoli soli, lui guardò la porta e si distese mettendole i piedi sulle gambe e appoggiandosi con la testa al bracciolo destro.
“Justiiin! Togli quei dannati piedi!”
Lui sbuffò tornò a sedere e scontento appoggiò la testa sulle sue gambe e i piedi sul bracciolo e le sorrise guardandola negli occhi.
“Così va meglio?”
“Sii, va bene.”
“Ma Gaia dov’è?”
“Credo stia arrivando.”
Fece spallucce e cominciò ad accarezzare i morbidi capelli del ragazzo giocandoci con le dita, poi smise imbarazzata.
“Non smettere è rilassante.”
Continuò ad accarezzargli i capelli e guardò lo schermo. Era Teen Mom su Mtv e Justin seguiva attentamente il programma, ridacchiò.
“Hai paura di rimanere incinto a diciassette anni?”
Lui la guardò in cagnesco. “No, non penso sia possibile.”
Tornò a guardare la Tv un po’ imbronciato quando suonò il campanello, di sicuro era Gaia. Justin si alzò e aprì la porta ed entrò Gaia sorridente e stretta in un cappottino di feltro che le arrivava sopra al ginocchio.
“oooh, qui si che fa caldo. Fuori fa un freddo boia.”
Si tolse il cappotto e si sedette accanto a lei e poi si sedette Justin che fece partire il film con il telecomando che poi poggiò sul tavolino prendendo il recipiente con il pop-corn e quello con le patatine. Dalle prime scene riconobbe il Titanic. Lo guardò perplesse e gli chiese: “Il Titanic?!”
“Si, mi hai detto di averlo visto a metà. È tra i pochi dvd che ho in italiano e ho deciso di vedere questo.”
“Vi avverto che alla fine mi troverete in lacrime.”
Disse Gaia grattandosi il polso destro che divenne rosso. Justin si distese e le prese le mani che mise tra i suoi capelli sorridendole. Sofia  con una mano mangiava e con l’altra glie li accarezzava dolcemente. Verso la metà del film avevano tutti e tre mangiato patatine, due pezzi di pizza e avevano finito i pop-corn. Guardò Justin e gli disse: “Puoi metterne a fare degli altri, Juss?”
Lui la guardò sbuffando e andò in cucina dove lo sentì trafficare con i fornelli e le pentole ma dopo un po’ tornò e si rimise come stava prima. Passarono i minuti e si sentì lo scoppiettio dei pop-corn più amplificato che continuò per un po’ .. ma non era usuale.
“Justin.. che hai combinato di là?”
“Che vuoi che abbia fatto?! Ho messo un po’ di olio sulla padella e ci ho messo i pop-corn. Credi che non sappia neanche preparare dei pop-corn?!”
“Non mi dire che non ci hai messo su il coperchio..”
lui prese il telecomando e mise in pausa. “Cazzo, me ne sono dimenticato.”
Si battè una mano sulla fronte e i tre si alzarono, aprirono la porta della cucina e si affacciarono piano per sbirciare. Sul pavimento c’era adagiata una candida distesa e altri pop-corn continuavano  a volare da tutte le parti. Ne aveva messi a fare anche parecchi. Si guardarono tutti e tre negli occhi e cominciarono a ridere. Dopo un po’ “la pioggia” finì e Justin cercando di non calpestarli spense la fiamma del fornello. Si girò verso di loro ancora sulla porta e aprì le braccia sollevando di poco le spalle.
“Che si fa?!”
“Spazziamo e torniamo a guardare il film, senza prepararne altri.”
Justin prese una scopa e aiutato dalle due ragazze raccolse i pop-corn e li buttò poi fece loro giurare di non dire nulla alla madre e tornarono a guardare il film. Verso le ultime drammatiche scene Gaia cominciò a piangere piano e Sofia si trovò con una mano ad accarezzare i capelli di Justin e con l’altra ad accarezzare il braccio dell’amica che stava abbracciando mentre, commossa, le si inumidivano gli occhi. Justin fissava rapito lo schermo, disteso su di un fianco. Quando finì si alzò e disse: “Caspita, che storia.”
Gaia singhiozzando e asciugandosi le lacrime disse: “Si amavano e anche tanto.”
Dopo poco il cellulare di Gaia cominciò a vibrare e la ragazza, dopo essersi congedata, andò via lasciandoli soli. Justin si era finalmente messo a sedere e la guardava sorridente, fiducioso, negli occhi.
“Ti è piaciuto?”
“Si molto. È una storia così romantica.”
Si alzò e portò gli avanzi in cucina e Justin la seguì silenziosamente appoggiando le bibite e la ciotola delle patatine vuote sul tavolo e poi l’abbracciò da dietro. Lei gli accarezzò una guancia con le dita e gli sorrise. Lui sciolse l’abbraccio.
“Sarà ora che io vada, Juss. Sono le undici passate.”
“Va bene, stai attenta e cammina velocemente.”
“Non sei mia madre, Justin. So badare a me stessa.”
“Lo so, ma ho comunque paura che ti possa succedere qualcosa di brutto.”
Lei tornò nel salotto e indossò il cappotto, gli sorrise e gli diede un bacio sulla guancia.
“Non ti preoccupare buonanotte.”
Uscì ed andò via.

JUSTIN.

Guardò la porta chiudersi lentamente e si lasciò cadere sul divano. Era stata una bella serata. Rimase qualche minuto seduto con gli occhi socchiusi poi li riaprì e prese il cellulare. C’era un messaggio di Angela, lo aprì.
“Mi sei mancato. È stato un mortorio questa festa senza di te.”
Sbuffò e le rispose mentendo: “Anche per me lo è stato.”
Si girò verso la porta sentendo rientrare la mamma che lo salutò.
“Tutto bene?”
“Si, mamma, tutto bene.”
La vide appendere il cappotto e poi prendere tra le mani il cappello che Sofia aveva dimenticato lì.
“Questo non è di Sofia?”
“Si, è suo. Le mando un messaggio. Glie lo porto lunedì.”
Lei glie lo tirò e lui lo prese al volo, poi la madre gli augurò la buonanotte e lo lasciò solo nel salone. Annusò il cappello che odorava di lei, quell’odore intenso e dolce, ma non troppo. Le mandò un messaggio:“Sei arrivata sana e salva a casa? Hai dimenticato qui il cappello.” Dopo poco lei rispose: “Si sono viva, Bibah. Portamelo lunedì a scuola. Notte, cuoco provetto (?)” sorrise divertito: “Notte, svampita.”


HI, BITCHES.

BUH! SALUTE A VOI!
Allooooora :3 grazie per le recensioni (anche se poco numerose).
Questo capitolo è nbfifgb ma anche difuguo (i miei aggettivi preferiti (?) eheheheh). È un po’ più lungo del solito ma, come al solito, dovete essere comprensive/i.
Scrivo di notte e non mi rendo conto di quanto scrivo. Mi direte: “Perché non scrivi di giorno?” e vi risponderò che la notte è preferita dagli scrittori (soprattutto dai poeti, secondo Alda Merini) quindi tacete, puzzette.
Piena di amore e armata di coltelli da lancio (si, sono sempre affettuosa ma anche violenta),
la vostra adorata (?) kissmejdbieber on Twitter.

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