La Magia Proibita

di Forbidden17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Invasione ***
Capitolo 2: *** Visioni ***



Capitolo 1
*** Invasione ***


367 a.C.

 

Il vecchio sedeva chino su un tavolino di legno, fiocamente illuminato da una candela ormai ridotta a un mozzicone. La fiamma tremolante guizzava sulle parole che via via la sua mano tracciava sulla pergamena srotolata davanti a sé.

Ogni tanto drizzava la schiena, si stropicciava gli occhi e riposava qualche secondo, solo per intingere nuovamente la penna nell’inchiostro scuro e ricominciare a scrivere.

La stanza era ingombra di ogni genere di oggetti; gli alti scaffali erano stati svuotati dei libri che, presumibilmente, vi erano riposti e una borsa di cuoio sul giaciglio al lato della stanza testimoniava un’imminente partenza.

Scriveva in modo febbrile da ore, e solo quando la cera si consumò del tutto e la candela si spense sollevò lo sguardo dalla sua opera incompiuta.

Al buio, stanco e solo… doveva finire.

Mosse appena la mano e una fiammella arancio danzò sopra il manoscritto.

Sospirando, l’uomo si curvò di nuovo e poggiò la punta della penna sul bordo del calamaio, rassegnato al suo destino.

All’improvviso, la serratura scattò e la porta si aprì violentemente, lasciando che una giovane guardia facesse irruzione nella stanzetta.

“Maestro! Stanno attaccando la fortezza, sono sbucati dappertutto come funghi e…” l’altro non gli lasciò il tempo di finire che scattò in piedi con un urlo di rabbia; ora non aveva più nulla del vecchio decrepito di poco prima: teneva la barba bianca ben curata e sul capo presentava una calvizie appena incipiente. la corporatura era ancora robusta e si reggeva fiero sulle gambe. Non dimostrava affatto i centosettant’anni che aveva.

“Maledizione! Non ho ancora finito di trascrivere!” disse, raccogliendo le carte e il rotolo di pergamena sullo scrittoio e afferrando in fretta la bisaccia adagiata sul suo letto.

Imprecando, uscì dalla stanza portandosi dietro la fiammella aranciata nel corridoio di pietre.

Mosse il braccio in cerchio e le fiaccole del perimetro si ravvivarono di una forte luce dorata.

La guardia lo raggiunse e chiese disposizioni.

“Difendete la fortezza! Non devono entrare finché il sapere non verrà messo al sicuro!”

“Sì, signore!”.

Il Maestro si precipitò verso un estremo del corridoio, manoscritto alla mano, dopo aver afferrato una torcia dalla parete.

Scese in fretta le scale umide che portavano ai piani inferiori del forte, scavato nella roccia di un’imponente montagna.

Duro granito. Di questo era fatta la fortezza dell’estremo Est, così chiamata perché rappresentava l’unico ostacolo che impediva ad eventuali nemici infiltrati nell’entroterra di raggiungere le città interne, indifese ad eccezione della capitale e delle città più grandi.

L’ultima cosa che si sarebbe aspettato era un attacco di progenie demoniaca.

I demoni avevano infettato la Terra con il loro seme del male molto tempo prima, anche se lui era stato uno dei primi ad aver studiato l’argomento.

Avevano portato la loro corruzione tra gli uomini, che si trasformavano in bestie assatanate, con un unico scopo: conquistare tutto ciò che era conquistabile e servire i demoni maggiori, o arcidemoni, che cercavano disperatamente di assumere una forma stabile.

Le invasioni dei cosiddetti “mezzi demoni” venivano però respinte dai grandi bastioni dell’est, posti sulle alte montagne, che fermavano le orde grazie alla forza degli eserciti in essi contenuti e, soprattutto, grazie alla posizione privilegiata di cui godevano.

Tuttavia c’erano stati periodi bui per il mondo; i mezzi demoni erano più volte riusciti ad aggirare o a superare le mura e a scatenare il panico tra i civili.

Fortunatamente, la fortezza dava subito l’allarme in caso di infiltrazioni di grossa portata.

Il fatto inspiegabile era come avevano fatto i mostri a raggiungerla senza dar battaglia sulle montagne, ora che tutti i passaggi non presidiati erano chiusi.

Turbato da questi pensieri, il Maestro correva a perdifiato giù per le scale, tanto veloce quanto gli permettevano gli scivolosi gradini coperti di muschio.

Uno schianto, la fortezza trema. Raggiunse l’imboccatura di un altro corridoio di pietra appena prima che un secondo, poderoso schianto facesse crollare la volta delle scale.

I calcinacci cadevano dappertutto, ma non sembravano infastidirlo: quello che gli serviva era più avanti.

Riprese a correre fino a raggiungere la cripta profonda, la prigione in cui venivano rinchiusi i maghi del sangue.

La loro magia era pericolosa, oltre che ad essere illegale. I maghi del sangue si servivano dei poteri donati loro dai demoni per i propri scopi, anche se questi poteri avevano un prezzo.

La loro anima si consumava lentamente, fino ad essere assoggettata al volere del demone, che usava il corpo posseduto come preferiva.

Il Maestro scese fino al grande portone della cripta, sigillato da lui stesso. Posò le mani sulla porta e fece scorrere la sua energia.

Lentamente, i chiavistelli cedettero sotto la pressione e le catene che tenevano chiusa la porta si sciolsero e caddero fragorosamente a terra.

L’uomo avanzò dentro la cripta buia, illuminandola di una luce rossastra.

Dentro le celle ai lati delle stanze i prigionieri si ritraevano di fronte al lume, a loro praticamente sconosciuto, tanto era il tempo che marcivano lì dentro.

La luce, intanto, continuava ad avanzare, incurante degli schianti e dei pezzi di muratura che si staccavano dal soffitto, mentre il suo portatore scrutava nelle celle alla ricerca di qualcuno, un volto tanto familiare che gli dava quasi fastidio vederlo.

Lo trovò alla fine della terza stanza; non era indietreggiato minimamente di fronte alla fiamma rossa che avanzava verso di lui.

“Siete in difficoltà, Maestro?” gli chiese il prigioniero, con un tono chiaramente canzonatorio.

Il Maestro si irrigidì, immobilizzandosi davanti alle fredde sbarre che lo separavano dal criminale.

“Perché me lo chiedi, se non ti interessa saperlo?- rispose freddamente.

Silenzio. Solo il mesto gocciolare dell’acqua.

“Non saresti venuto se non avessi bisogno di me. Parla”.

Il passaggio alla forma di dialogo informale era segnato da un brusco cambio di tono, ora molto più acido, tanto che sembrava dovesse sputare fuori ogni parola.

La fiamma volteggiante si accese di un giallo vivo, ampliando il cono di luce fino a rivelare il prigioniero, segnato con numerose cicatrici e di una magrezza impressionante.

Tuttavia, il Maestro non si fece impietosire.

“Non sei tu a dare ordini qui. Comunque, su una cosa avevi ragione: ho bisogno del tuo aiuto.”

L’altro sogghignò, prima di far segno di continuare.

“Tu sei l’unico qui in grado di uscire dalla fortezza senza passare dalla porta. E anche l’unico abbastanza sano di mente da non delirare alla luce del sole”.

“Sicché dovrei portare qualcosa al di fuori dalla fortezza, magari senza essere attaccato dai demoni?”.

Il mago del sangue si mise seduto a gambe incrociate, osservando divertito il suo interlocutore, prima che anche questa maschera di ironia si dissolvesse.

“Naturalmente. Dovrai portare fuori dall’edificio questa bisaccia, senza aprirla né cercare di capire cosa contiene”.

“E perché dovrei farlo?”.

“Preferisci star qui a morire?”.

“Forse”.

Era troppo. Il Maestro perse la pazienza, artigliando il collo del prigioniero in una morsa spirituale e sollevandolo da terra. Questi divenne rosso in viso, ma non si mosse, preferendo continuare a fissare il suo aguzzino con uno sguardo indifferente che celava i suoi reali pensieri.

“Stammi a sentire, sciocco” disse il vecchio, incollerito, mentre la fiamma sospesa si illuminava di una luce più intensa, azzurrata.

“Non fingere di non sapere a cosa porta la corruzione demoniaca. Chi meglio di te potrebbe saperlo?”

Il mago del sangue fece una smorfia, consapevole di ciò che stava ascoltando.

L’altro se ne accorse, poiché riprese con più energia a cercare di convincerlo.

“Se preferisci rimanere qui e incappare negli esperimenti dei mezzi demoni, o peggio… fa’ pure, ma non troverai nessuno ad aiutarti”.

Il Maestro afferrò in fretta la borsa di cuoio, voltò le spalle alla cella e fece per andarsene.

“Aspetta. Ho cambiato idea: accetto”.

Il criminale si era alzato in piedi, era visibilmente pallido.

Evidentemente aveva valutato rapidamente le possibilità, ed era giunto alla conclusione che niente era peggio dei demoni.

“I dettagli?”

Lo stregone tornò indietro con un sorriso trionfante dipinto sul viso.

Uno schianto assordante percosse violentemente le pareti, facendo crollare altre parti del soffitto.

I due non ci fecero caso.

“Una volta fuori dalla fortezza, dovrai portare questa bisaccia verso ovest, verso la penisola iberica. E’ una missione della massima importanza. Una volta là, dovrai entrare nella cittadella fortificata di Cordova e cercare un sacerdote di nome Ylias. Consegnagli la borsa, e sarai libero di andare dove vorrai, a patto che non tu non faccio più uso di alcun tipo di magia illegale”.

Un altro rimbombare, accompagnato dal crollo di un ingresso della stanza, fece capire ai due uomini che il tempo di discutere era finito. Dalle celle lungo le pareti si levavano urla echeggianti, spaventate, disumane.

Il mago del sangue si ristabilì, dopo aver vacillato qualche istante.

“Bene” disse, quindi attese di essere liberato dai vincoli spirituali che gli impedivano di usare qualsiasi tipo di magia.

Il Maestro accarezzò le sbarre di ferro, che si sciolsero come burro sotto il suo tocco, quindi posò la mano sulla fronte del prigioniero e fece scorrere la sua energia.

Uno sfavillio verde invase la cripta, mentre il sigillo di costrizione, imposto da lui stesso tanti anni prima, lentamente si rompeva.

Quando la costrizione fu finalmente rimossa, un brivido percorse la schiena del criminale, che si sentiva rinvigorito come mai prima di quel momento.

Quest’ultimo afferrò la borsa, mettendola a terra di fianco a sé, quindi affilò un’unghia e la mosse con estrema rapidità sul palmo della mano.

Il sangue rosso scuro sgorgò copioso dalla ferita aperta, rossa contro il chiarore della pelle diafana, come la linfa colorata che scorre sui petali dei gigli bianchi.

L’uomo si fissò la mano ferita, prima di iniziare a disegnare ampi cerchi con essa. Il nettare della vita rimaneva sospeso in aria, fino a che non avvolse in ampie spirali il suo evocatore, che ora si passava la mano sana sulla piaga.

Lo squarcio si richiuse all’istante.

Il Maestro fissava amaro la scena: non era la prima volta che assisteva alla magia del sangue, ma gli faceva ancora un certo effetto.

Il mago del sangue fece un cenno di saluto, afferrando appena in tempo la bisaccia da terra, prima che il sangue sospeso iniziasse a vorticare e a espandersi, diventando un vortice scarlatto che lo rinchiuse nella sua morsa.

Quando disparve, il prigioniero non c’era più.

La cripta era invasa da un silenzio da oltretomba, dove gli sgocciolii dell’umidità lungo la roccia si udivano più distintamente dei lamenti dei carcerati e degli scoppi provenienti dai piani superiori della fortezza, divenuta campo di battaglia anche all’interno.

Il Maestro sospirò, per nulla sicuro di aver fatto la scelta giusta, e si riavviò con velocità verso le scale che portavano alla merlatura superiore, dalla quale avrebbe potuto vedere la situazione e decidere il da farsi.

Sorpassò il grande portone di ferro senza prestarvi la minima attenzione.

Non aveva tempo di risigillare la cripta: i maghi del sangue sarebbero morti schiacciati dal soffitto che crollava.

I pensieri lo assalivano come spine mai tolte dalla piaga.

La capitale! Doveva avvertire di non inviare più il Sapere, almeno finché l’allarme demoni non fosse stato scongiurato.

Aveva raggiunto uno dei piani superiori, trovandosi ritto di fianco al muro di cinta sud-ovest.

Stese la mano verso la muratura e la fece saltare, quindi plasmò una colomba argentea e la fece librare in volo.

“Va’! Vola alla capitale, portale questo messaggio: I demoni attaccano. Non inviate nulla fino a nuovo ordine”.

La colomba reclinò leggermente il capo, poi si volse verso l’orizzonte e prese a volare verso la meta ad una velocità stupefacente, lasciandosi dietro una scia luccicante, una promessa di salvezza sullo sfondo della notte scura e avvolgente, colorata di rosso dai fuochi della battaglia.

Quando, finalmente, raggiunse i camminamenti delle mura, la visione che ebbe fu raccapricciante.

Le merlature erano quasi tutte distrutte, e grandi scale erano appoggiate ovunque; sopra i soldati combattevano senza sosta contro i mezzi demoni, ma per ogni mostro che abbattevano ce n’erano altri due che lo sostituivano.

I cadaveri delle guardie erano lasciati a marcire appoggiati ai parapetti o riversi a terra, mentre il sangue tingeva gli interstizi tra le pietre piatte che pavimentavano la parte alta dei bastioni.

Le baliste scoccavano ripetutamente dardi incendiari, ma questo non sembrava intimidire gli aggressori, che avanzavano imperterriti, incoraggiati da quell’insperato successo.

La piana sottostante la fortezza era gremita di demoni, mentre delle catapulte e altre macchine d’assedio scagliavano bombe di fuoco greco sulle mura e sulla porta di legno rinforzata in ferro, nella speranza di abbatterla.

Il Maestro si riscosse dallo stato interdetto in cui era calato e avanzò furibondo, raccogliendo una spada da un cadavere a terra.

Non appena lo riconobbero, i mostri indietreggiarono spaventati, anche se molti altri tra loro si gettarono lo stesso su di lui.

L’uomo vorticò velocemente la spada, parando i colpi ed eliminando tutto ciò che si frapponeva alla sua avanzata. Colpì un nemico con l’elsa, facendolo precipitare giù dalle mura, mentre faceva implodere con un gesto la palla infuocata scagliata da una catapulta.

Continuò a falciare mezzi demoni con sempre più foga e, dopo che ebbe recuperato un’altra spada, si lanciò in mezzo a loro in una sfrenata danza di morte.

Le guardie della fortezza sembravano aver ritrovato il coraggio, stimolati dal potere del loro capo, che riusciva a dare ordini e a combattere nello stesso tempo.

Ma quando sembrava che gli aggressori dovessero finalmente battere in ritirata, un uomo apparse dall’ombra, scagliando fulmini dalle mani, che andarono a colpire i soldati vicini con un fragore assordante.

L’uomo indossava una lunga tunica ricamata, tipica dei maghi, con delle venature rosse che formavano un disegno irregolare sulla parte bassa dell’abito.

Saltò da un camminamento all’altro con un’agilità sorprendente e, in pochi balzi, raggiunse il tetto della torre dove stava combattendo il capo dei soldati.

Il Maestro si bloccò, paralizzato dall’aver riconosciuto il volto del mago del sangue.

“Tu…”

L’altro rimase immobile, la spada sguainata stretta nel pugno destro.

D’un tratto tutto parve offuscarsi, i rumori della battaglia giungevano ovattati alle orecchie degli stregoni, ma mentre il capo della fortezza sembrava patire incredibilmente quella situazione, il suo avversario pareva perfettamente a suo agio.

 “Sei sempre stato tu! Tu rallentavi le carovane che portavano il Sapere alla fortezza, tu hai portato qui i demoni, sei tu che stai uccidendo quelli che un tempo erano tuoi amici!”

Il Maestro scattò in avanti, incollerito, mulinando le lame di fronte a sé.

Il mago del sangue parò i colpi con una facilità innaturale, come se i suoi movimenti non fossero al rallentatore, come erano invece quelli dell’altro mago.

“Sei diventato vecchio, Maestro” disse beffardo “O forse non sai più sopportare le pressioni dello Spirito?”

L’altro digrignò i denti, minaccioso.

“Nessuno sopporta le pressioni dello Spirito senza un rituale, a meno che non abbia un demone in corpo”.

Il mago del sangue rise sprezzante, facendo sibilare scintille azzurre dalle mani.

“I demoni donano poteri sopra ogni immaginazione, e se sei sufficientemente forte da tenerli a freno, puoi diventare imbattibile. Comunque, è così che si saluta un vecchio amico? Non mi chiami più nemmeno per nome?”.

“Malakir”.

“Esatto”.

“Come puoi solo pensare di essere il benvenuto dopo quello che hai fatto? Come osi presentarti a me?”.

“Basta!”

Malakir mosse rapido un braccio, scaraventando indietro il Maestro, che andò a sbattere sull’ombra dei parapetti.

“Sei uno sciocco! Io non sono mai stato dalla tua parte, aspettavo solo il momento in cui avresti abbassato la guardia, per attaccare e distruggerti. Dovevo farlo prima che finissi di trascrivere i tuoi libri di stregonerie impure, e dovevo impedire soprattutto che si diffondessero. D’altro canto, la tua fretta di finire il lavoro, che avevo interpretato come un ostacolo per la mia missione, si è rivelata il tuo punto debole.”

Il Maestro rise, per la prima volta da quando era iniziato l’attacco.

“Sei più stupido di quanto credessi! I testi, anche se incompiuti, ormai sono in viaggio verso il confine occidentale, e non c’è nulla che puoi fare per fermarli! Ah!”.

Il mago del sangue indietreggiò, gli occhi ridotti a due fessure “No..” sibilò.

“NO!!” esplose in tutta la sua rabbia, scagliando una sfera di forza contro il suo avversario.

Questa volta il Maestro era pronto.

Scansò la sfera, che si abbatté con violenza sul terreno alle sue spalle, e proiettò un fascio di luce circolare intorno a sé.

Di colpo le ombre e le visioni appannate dello Spirito scomparvero, lasciando il posto al teatro della battaglia ancora in corso.

“Devo fermare quei libri!” disse il criminale, facendo per andarsene, ma il capo delle guardie gli saltò addosso, menando fendenti con la spada.

Questa volta Malakir era visibilmente in difficoltà, incapace di contrattaccare e del tutto succube della furia cieca di cui era divenuto il bersaglio.

Con un movimento di lato riuscì a liberarsi, estraendo un piccolo pugnale d’argento dalla tunica.

Rapido, si tagliò il braccio per il lungo, preparando l’incantesimo che stava per lanciare.

Mosse la mano in cerchio, sollevando alti spruzzi di sangue scuro.

Il Maestro urlò di rabbia, scagliandosi contro il suo avversario, ma la forza del demone lo respinse.

Malakir chiamò a sé tutto il suo potere ed espanse il sangue sospeso in aria, che si accese di energia e raggiunse i cadaveri dei soldati e dei mezzi demoni vicini, entrando nei loro corpi dalle piaghe e colorando la loro pelle ormai diafana.

Le carcasse si rimisero in piedi, armi alla mano, e attaccarono. Dapprima lo stregone fu in grado di respingerli, ma essi continuavano ad avanzare, incuranti delle ferite che si aprivano sui loro corpi.

E’ necromanzia! Sono già morti, li controlla grazie al potere del demone!

All’improvviso, due guardie gli si affiancarono, mentre il mago del sangue si spostava tra i camminamenti per raggiungere il muro di cinta a ovest.

Un soldato vorticò con forza l’ascia, che si abbatté sul collo di un cadavere, tranciandolo di netto. La carcassa cadde a terra e non si mosse.

“Tagliate loro la testa! Solo così potremo fermarli!”

I soldati gridarono il loro assenso e presero a colpire le fragili vertebre dei loro aggressori, decapitandoli.

Il Maestro uscì dalla battaglia, deciso a raggiungere il suo ex apprendista in fuga.

Il Sapere doveva raggiungere Ylias, o sarebbe stata la fine dell’umanità: il confine orientale poteva anche cadere, ma era essenziale che quello occidentale rimanesse saldo, per evitare di impegnare gli eserciti interni su più fronti.

Utilizzando l’energia, si levava in volo tra una torre e l’altra, cercando di individuare il suo obiettivo, ma non era affatto facile, con tutto il fracasso della battaglia che, ormai, i mezzi demoni sembravano aver già vinto.

Poi lo vide: un lembo di tunica nera svolazzante, vicino a una torre. Accelerò il passo, riuscendo in breve a vedere con chiarezza gli spostamenti del mago nemico.

Cogliendo l’occasione giusta, si diede una forte spinta e atterrò davanti a Malakir, che si bloccò all’istante.

“Non ti permetterò di far sprofondare la mia terra in rovina!” disse, lanciandosi all’attacco.

Ingaggiarono una cruenta lotta, intervallata dal lancio di alcuni tra i loro incantesimo più potenti. Combattevano da pari a pari in quella che sembrava una battaglia troppo equilibrata per trovare mai una conclusione.

Il Maestro decise che doveva agire subito.

Lanciò furtivamente un incantesimo e lo sigillò in un’area del camminamento, quindi continuò a combattere, attirando il suo avversario nella trappola che, lentamente, stava intessendo.

Ma Malakir fu più svelto.

Si tagliò ancora il braccio con il coltellino e creò una sfera violacea che colpì con forza il terreno di fianco al Maestro, facendolo cadere, quindi si avvicinò velocemente e gli conficcò la spada nel petto.

Gli occhi del ferito si appannarono, mentre si portava una mano tremante al torace.

“Non puoi fermarmi. Non puoi nulla contro il potere di un arcidemone” disse il mago del sangue, estraendo la spada, mentre il capo delle guardie ansimava.

“Un.. A-Arcidemone? Non puoi onestamente pensare di contenere una tale forza dentro di te, Malakir… cerca di ragionare…”

Il tono dello sconfitto era supplichevole, ma deciso a fargli cambiare idea.

“Sì, invece, posso eccome. Ne è la prova il fatto che sia riuscito a farlo fino ad adesso”.

Il Maestro deglutì, rassegnato, poi raccolse le ultime forze e generò un’onda che scaraventò Malakir nel cerchio incantato da lui stesso poco prima.

Quando il mago del sangue si accorse di dove era finito, cerò di divincolarsi, ma ormai le catene spirituali lo tenevano ancorato alle mura, trascinandolo inesorabilmente verso lo strapiombo.

“Non sarà questo a fermarmi! Non posso essere battuto! NOOO!!!!” urlò, mentre precipitava nel vuoto verso la pianura piena di progenie demoniaca.

Lo stregone superstite respirò profondamente. Aveva battuto il suo nemico, ma l’invasione dei demoni ormai era cominciata, e solo gli dèi ora sapevano cosa sarebbe stato a fermarla.

Chiuse gli occhi e si accasciò al suolo, la mano al cuore, in un ultimo atto di umiltà.

 

 

Note dell’autore:

Ok, questo è il prologo per quella che sarà una storia ambientata nel nostro tempo. E’ la mia prima storia, quindi siate clementi :) recensite in tanti!

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Capitolo 2
*** Visioni ***


 

Visioni
2012 
Luca sedeva annoiato al suo banco di scuola, giocherellando distrattamente con la penna mentre il professore di storia si ostinava a continuare una noiosissima lezione sui longobardi, anche se nessuno lo stava più ascoltando.
Guardò fuori: una leggera brezza estiva giocava con le foglie dei castagni e il sole splendeva anche attraverso le persiane tirate, inondando la stanza di una luce calda e dorata. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter uscire da quella prigione di storia e andare al bar a bere qualcosa con i suoi amici.
Era sempre stato un ragazzo un po’ strano: a volte, infatti gli accadevano fatti che risultavano inspiegabili anche per la mente più razionale, anche se mai più di una volta all’anno. 
Quando andava alle elementari il suo banco era di fianco al davanzale dove era posata un’orrenda pianta, che lo infastidiva molto per via delle fronde che gli cadevano addosso al minimo alito di vento; un giorno, non si sa come, la piantà morì imporvvisamente dopo che lui l’aveva spostata.
In prima media, in una partita di palla avvelenata, i giocatori della squadra avversaria non riuscirono mai a prenderlo, nonostante lui stesse completamente fermo; in terza media, invece, era stato ricoverato d’urgenza quando prese una forte scarica elettrica toccando un paletto di legno, che oltretutto non avrebbe dovuto condurre elettricità. 
Questi erano i fatti più eclatanti, ma ve ne furono molti altri, anche se a distanza di anni gli uni dagli altri, e i suoi genitori sembravano capirci quanto lui in quella faccenda, ossia niente di niente.
Stava ancora giocando con la penna quando sentì un pizzicore crescente alla punta delle dita, ma non vi badò, immerso com’era nei suoi pensieri. Ad un tratto scattò a sedere composto gettando di lato la penna, massaggiandosi la dita scottate dalla penna che era inspiegabilmente diventata incandescente.
Ecco, è successo ancora pensò E’ già la terza volta quest’anno.
Alcuni dei suoi compagni avevano alzato lo sguardo, perplessi, ma il gesto non fu notato dalla maggior parte dei presenti, immersi nel torpore più totale, mentre il professore scriveva sulla lavagna.
Finalmente, la campanella suonò con un trillo acuto, risvegliando le menti di tutti. Luca saltò via dalla sedia e rimise in fretta le sue cose nello zaino, raccogliendo tutto e avviandosi verso l’uscita: fuori avrebbe potuto discutere cosa fare con i suoi amici. 
Uscì nell’ancora fresca aria di fine primavera e si guardò attorno, vedendo subito qualcosa che non gli piacque affatto. Un uomo completamente vestito di bianco stava appoggiato a una lussuosa automobile nera, le braccia incrociate al petto, scrutando la piazza da dietro gli occhiali da sole a montatura avvolgente. 
Non seppe dire cosa non gli piaceva in quell’uomo: per quel che ne sapeva, poteva essere un normalissimo padre che aspetta il figlio, eppure… qualcosa non andava, ne era certo.
Dopo averlo scrutato ancora per un secondo, distolse lo sguardo, deciso a non farsi rovinare la giornata, a raggiunse Max, uno dei suoi migliori amici.
“Allora, si fa qualcosa adesso?” chiese, sforzandosi di mantenere un tono contenuto.
“Mi dispiace, ma devo andare al tennis oggi, ho l’allenamento per il torneo di sabato e voglio vincerlo” gli rispose, un po’ indeciso.
“Ah ok, e voi?” chiese poi ad altri due. Dopo aver ricevuto risposte negative da entrambi, il ragazzo li salutò stizzito e si allontanò, dirigendosi verso casa sua. 
Si era già avviato da un po’, quando gli strani pensieri su quell’uomo tornarono ad assalirlo, ma li cacciò in fretta, come si fa con una mosca fastidiosa. 
Iniziava a sentire uno strano freddo insinuarglisi a fondo nelle vertebre, nonstante facesse abbastanza caldo fuori. Era un gelo innaturale, non era fuori, ma dentro di lui.
Inquieto, proseguì per la sua strada, decidendo di svoltare in una strada più piccola per accorciare la strada. D’un tratto, il gelo gli attanagliò lo stomaco, mentre un peso crescente lo costringeva a inginocchiarsi a terra. 
Guardò la strada per cercare aiuto, ma si accorse che era deserta, troppo deserta per essere la normalità, anche sfocata, mentre rumori di un altro mondo gli riempivano le orecchie. Si ritrovò inginocchiato sui camminamenti di spesse mura di pietra, mentre delle orrende creature iniziavano a scalarle con delle grandi scale. Quelle che dovevano essere le guardie si stavano schierando per frontaggiare la minaccia. Urla di panico riecheggiavano dappertutto, mentre i primi mostri raggiungevano i camminamenti, ma venivano scaraventati giù quasi subito da i soldati, che spingevano via le scale per ritardare l’assalto.
“Andate a chiamare il Maestro!” urlò uno di loro.
Alcune guardie annuirono e si ritirarono all’interno da una porta nella torre più vicina. Nel frattempo decine di quelle creature stavano cercando di raggiungere i camminamenti superiori, anche se venivano intercettati e uccisi dalle sentinelle. Poi, una luce intensa illuminò le mura di pietra scura catturando l’attenzione di mostri e soldati, mentre una sfera infuocata enorme si abbatteva su di loro, lasciando ben poco intatto nel raggio di metri. Una seconda sfera di fuoco venne scagliata mentre tutto sfocava nuovamente.
Ora si trovava in una stanza buia con pareti scivolose dalle quali gocciolava acqua. Si alzò in piedi, osservando cosa gli stava intorno e, per la prima volta da quando era iniziato tutto, riuscì a pensare autonomamente.
Cosa stava succedendo? Dove si trovava? E soprattutto, come aveva fatto ad arrivare fin lì?
Prima di riuscire a trovare una risposta a quegli interrogativi, però, qualcosa attirò la sua attenzione: due uomini stavano ritti uno di fronte all’altro, uno con folti capelli bianco argento illuminati da una luce giallo vivo e, dall’altra parte di spesse sbarre di ferro, un altro più giovane e magro, con il volto scavato.
Stavano parlando, anche se non riuscì a udire nient’altro che alcuni frammenti di qualla conversazione.
“Preferisci star qui a morire?” aveva alzato la voce il più vecchio.
Non udì la risposta, ma la luce divenne più intensa, quindi la scena sfocò di nuovo e, prima che Luca se ne accorgesse si ritrovò di fronte a una porta blindata e alte mura di pietra chiarissima, anzi sembrava che fosse un impasto di sabbia a calce. A differenza di prima, era giorno, e ora si trovava in basso, di fianco all’uomo magro e pallido che era stato in quella che, ormai Luca ne era quasi sicuro, era una prigione.
“Te l’ho già detto, ragazzo, non possiamo lasciarti entrare” stava dicendo una guardia dall’alto dei camminamenti. L’uomo in basso sembrava molto irritato, anche se era impossibile dire se era per il fatto che non lo lasciassero entrare o perché lo avevano appena chiamato “ragazzo”.
“Te lo ripeto un’ultima volta, idiota” sibilò, truce. La guardia sgranò gli occhi, sicuramente perplessa dal sentirsi apostrofare in quel modo.
“Devo raggiungere il sacerdote Ylias, è una missione della massima importanza, se non mi lasciate entrare il mondo potrebbe andare a rotoli”.
La sentinella sembrava spazientirsi, anche se un’ombra di sorpresa era comparsa sul suo volto. 
“Ah, allora è questo che devi fare” commentò, beffarda, prima di fare nuovamente un cenno di diniego con la testa. “In ogni caso, non posso lasciarti entrare, la città è stata chiusa da quando il confine orientale è caduto”.
La scena divetò più nitida giusto in tempo per vedere l’ex prigioniero perdere la pazienza e urlare contro la guardia.
“Ma lo vuoi capire o no che io sono qui proprio perchè il confine orientale è caduto? Mi manda il Maestro!” urlò, cieco di rabbia.
“Ora basta! Il maestro potrebbe anche essere morto!” ribattè l’altro, portando minacciosamente la mano all’elsa della spada.
L’uomo che stava cercando di entrare in città si ricompose, sospirando. Non avrebbe tradito la parola data al Maestro, anche se tra loro c’erano stati così tanti diverbi.
“Bene, allora, non mi lasci altra scelta” disse in un sussurro appena percepibile. Non lasciò ai presenti nemmeno il tempo di meravigliarsi di quell’affermazione, né tantomeno quello di reagire che aveva estratto un coltellino d’argento e si era aperto una ferita sull’avambraccio. Il sangue scuro sgorgò copiosamente dalla ferita prima che il suo possessore lo scagliasse con forza contro le mura, che si sbriciolarono con un fragore assordante. 
Luca non poteva crederci: quell’uomo aveva appena utilizzato il suo sangue come un esplosivo per abbattere quelle che dovevano essere mura molto solide. 
Appena realizzarono ciò che era successo, le guardie si gettarono contro l’ex prigioniero, che si strinse addosso una bisaccia di cuoio molto gonfia e scappò in città attraverso il varco che aveva appena creato.
“Non lascerai questa città vivo, demone!” gli urlavano contro, ma la scena si stava già dissolvendo.
Luca tornò pesantemente alla realtà, ricominciando a sentire il peso opprimente che andava tuttavia scemando. Si rimise in piedi, barcollando, e riprese a camminare, scosso e totalmente incapace di pensare.
Svoltò in un vicolo e lo stesso peso di prima lo colpì, lo stesso gelo gli attanagliò le viscere. Terrorizzato, il ragazzo iniziò a correre per lo stradino, prima che qualcosa di grosso e orrendo piombasse su di lui. Era una delle creature che tentavano di risalire i camminamenti delle mura.
Aveva la pelle grigiastra innaturalmente tesa sul cranio, lasciando intravedere alcuni capillari violacei che terminavano sullo spesso collo; al posto della bocca aveva delle fauci spalancate orribilmente, che culminavano sotto un paio di occhi rossi, ardenti come fuochi. 
Per il resto, si poteva scambiare per un essere umano, dato che si reggeva su due gambe, se non fosse per il fatto che aveva una corporatura più alta e robusta di un uomo normale. Indossava una spessa e rozza corazza metallica e portava una piccola ascia appesa alla cintola.
Luca sdrucciolò sul terreno bagnato, cadendo all’indietro, prima che il mostro iniziasse ad avanzare verso di lui, estraendo l’arma e vorticandola di fiando a sé.
Il ragazzo cercò di rimettersi in piedi, ma non ci riuscì, paralizzato dal terrore, mentre la vista si annebbiava e tutto iniziava a sfocare; ormai non sapeva più se ciò che vedeva era reale o solo un’altra allucinazione. 
La creatura lo raggiunse e sollevò l’ascia sopra la testa, le fauci tese in un ghigno, pronta a colpire.
Improvvisamente uno scoppio riportò la vista di Luca a livelli abbastanza buoni per vedere il mostro, in ginocchio, che ululava di dolore, portandosi una mano alla fronte ferita, dalla quale scendevano su tutta la faccia rivoli di sangue chiaro. 
“Forza, muoviti! Dobbiamo andarcene di qui!” una voce rimbombò alle sue spalle, costringendo Luca a voltarsi.
Dietro di lui, l’uomo vestito di bianco si stagliava alla fine del vicolo e avanzava verso di loro, tenendo una pistola nel braccio teso davanti a sé. 
“Potrebbero essercene altri, andiamo!” urlava ancora, mentre il mostro si rimetteva in piedi, urlando tutta la sua rabbia, pronto a colpire ancora. Si era già lanciato su di loro, calando l’ascia, quando un secondo sparo lo centrò in testa ferendolo accanto al primo foro e costringendolo ad arrestarsi.
Questa volta l’uomo in bianco non perse tempo: si gettò su Luca e lo prese per il colletto della maglia, trascinandolo via verso la strada.
Quando la raggiunsero, il ragazzo, ancora stordito, venne scaraventato nell’automobile nera, che ripartì di gran carriera nella strada deserta.
Luca si alzò a sedere sui sedili posteriori e fece uno sforzo immenso per non ricadere pesantemente all’indietro, costringendosi a mettere a fuoco lo sconosciuto, che ora stava rallentando, sicuro di aver messo una distanza sufficiente tra loro e il mostro.
“Chi è lei? Dove mi sta portando?” chiese, appena ebbe realizzato appieno quanto era successo.
“Chi sono io non ha importanza, almeno per ora” rispose, alzando appena la testa, forse per vedere nello specchietto retrovisore. “Per quanto riguarda la destinazione…” continuò “Stiamo andando dal professor Armando Michigan, un noto storico che si trova in città solo di passaggio”.
Luca non capiva: era grato a quell’uomo per averlo salvato dal mostro, ma non riusciva a comprendere perché non l’avesse semplicemente fatto scendere una volta raggiunto un posto sicuro. Per quanto riguardava il professor Michigan, poi, non era nemmeno sicuro di aver capito chi era, dato che non lo aveva mai sentito nominare.
La domanda gli uscì così come l’aveva formulata nella sua testa: “E che c’entro io?”.
L’uomo si tolse gli occhiali scuri e lo guardò esitante, dandogli il tempo di vergognarsi per il tono non proprio grato che aveva utilizzato.
“Non lo so con certezza nemmeno io” disse alla fine “Il professor Michigan mi ha avvertito di tenere gli occhi aperti e di intercettare chiunque si fosse comportato in modo sospetto. Istruzioni singolari, sì” disse poi notando l’espressione incredula del ragazzo “Ma è così. Il professore saprà senz’altro darti le risposte che cerchi”.
“Ma lei come ha fatto a…” provòa dire Luca, perplesso, prima che l’altro lo zittisse con un cenno della mano.
Era molto strano. Prima aveva avuto quelle allucinazioni, così reali e nitide, che però lo avevano fatto stare così male da mozzargli il fiato. Poi era stato aggredito da un’orrenda creatura senza motivo, sopravvivendo per miracolo grazie a un uomo senza nome che si rifiutava di dirgli come aveva fatto a trovarlo e che ora lo stava portando da uno storico di fama internazionale.
Senza quasi che se ne accorgesse l’auto accostò vicino a un marciapiede davanti a un elaborato cancello di ferro battuto. L’uomo spense il motore, uscì e suonò il campanello, quindi attese qualche secondo e poi risalì sulla vettura, entrando nel cortile interno della casa del professore attraverso un vialetto coperto di ghiaia.
La casa di Michigan non era molto grande e il giardino era abbastanza ordinario, tipico di una casa usata solo per un breve soggiorno. La macchina risalì il vialetto fino all’ingresso vero e proprio e si fermò, dando la possibilità ai passeggeri di scendere una volta per tutte. 
Il misterioso uomo scortò Luca dentro la casa fino a quella che sembrava una sala d’attesa: calda e accogliente, con alcune poltrone poggiate su tappeti finemente lavorati e arazzi appesi alle pareti.
“Quando verrai convocato dentro dovrai rivolgerti al professor Michigan con un tono rispettoso, ma non adulatore; dovrai sempre usare la forma di dialogo formale e dargli del lei” elencò lo sconosciuto, sistemandogli gli abiti “parla solo se vieni interpellato e non sederti a meno che non ti venga chiesto di farlo. Buon Dio cerca di rilassarti, ora!”
Luca era rimasto rigido da quando era entrato nella saletta, soprattutto dopo che quel tipo avevo cominciato a ripassargli le buone maniere, come si fa con un bambino. 
Caspita, se questo professore qua pretende tutta sta roba sarà un tipo che all’antica è dire poco! Pensò, ancora frastornato da tutte quelle indicazioni.
L’uomo se ne andò, lasciandolo solo tra le poltroncine che erano improvvisamente diventate dure agli occhi di Luca. Dopo un paio di minuti una voce calma rimbombò nella stanza, invitandolo ad accomodarsi. La prima cosa che vide quando entrò fu proprio il professore, in piedi davanti a una bella scrivania di legno lucido posta su un piano rialzato di fronte a una grande vetrata incorniciata da spesse tende di velluto rosso. I lati dello studio erano rivestiti di librerie e quadri.
“Benvenuto, signor…” esordì Michigan. Era un uomo alto, con una fronte ampia e folti capelli neri e un principio di barba che incorniciavano il volto leggermente segnato.
Luca ci mise un po’ a capire che aveva parlato. “Salgari” disse in fretta, sentendosi immensamente stupido “Luca Salgari, signore”.
“Piacere mio.Ti dispiace se ti chaimo Luca? Bene. Senza dubbio ti chiederai perché sei qui”. 
“In, effetti… sì, signore”
Michigan prese a misurare la stanza a grandi passi, prima di tornare alla scrivania, passando da dietro e sedendosi sulla sedia dall’alto schienale.
“Siediti” disse, accertandosi che il ragazzo avesse obbedito prima di riprendere a parlare. “Ti prego di lasciarmi parlare senza interrompermi finchè non ti dirò che ho finito. Ciò che sto per dirti potrebbe sconvolgere il tuo mondo”.
Luca lo guardò, stupito, chiedendosi cosa fosse di così potenzialmente traumatico da turbarlo così tanto; Michigan, intanto, lo fissava con uno sguardo penetrante.
“Devi sapere Luca, che il potenziale di un essere umano non si ferma alla forza fisica e all’intelligenza. Un essere umano può spingere oltre i confini della propria mente per connettersi con posti molto distanti, e sfruttare le loro energie. Anche se questi posti sono virtualmente irraggiungibili, la mente umana può creare una connessione stretta con uno di essi, non propriamente un posto, però. Direi più una seconda dimensione: lo Spirito.”
Luca lo fissava attonito, cominciando a credere che quell’uomo fosse realmente pazzo, rimanendo tuttavia in ascolto.
“Lo Spirito è una dimensione esterna alla nostra con leggi fisiche completamente diverse: essa è, infatti, permeata da un’energia che non esiste sulla Terra né in nessuna parte del nostro universo, e questo perché è fortemente instabile: non può rimanere fuori dallo Spirito nella sua forma originale, poiché una sola particella di questa energia allo stato puro in questa dimensione darebbe origine a un’esplosione colossale. Questa energia, detta energia spirituale, è però estremamente flessibile; si può trasformare in altre forme di energia e persino in materia, e all’essere umano è concesso questo dono. Cominci a capire, Luca?”
In realtà Luca stava capendo ben poco, anche se in qualce modo quell’idea sembrava talmente assurda da risultare incomprensibile a tutti. Deglutì e inspirò a fondo.
“Mi perdoni, signore, ma no, non ho capito bene cosa intende dire” rispose, vergognandosi un po’.
Michigan fece un sorrisetto. “Naturale. Nemmeno io ci potevo credere, quando l’ho scoperto. In parole più pratiche, gli uomini possono creare una connessione tra la loro mente e lo Spirito per avere accesso all’energia spirituale, quindi utilizzano il loro corpo come mediatore per evitare di farla esplodere e la trasformano prima di espellerla dal corpo. L’energia spirituale può essere trasformata in altre forme di energia: elettrica, termica, nucleare… ed è questo che la rende così dannatamente potente”.
Ora il professore sembrava raggiante, tanto che si era alzato dalla sedia con un gran sorriso stampato sulla faccia.
“Mi perdoni, professore” ripetè Luca, che ora iniziava a perdere sul serio la pazienza, iniziando a sentirsi sempre più preso in giro “Ma non ho mai sentito parlare di questa energia. Se è davvero così potente, dovrebbero cercare di utilizzarla tutti, no?”
“Oh sì, sì certo, ma è proprio questo il punto: tanto potente quanto pericolosa. Sono in pochi a sapere della sua esistenza, attualmente, anche se non è sempre stato così. Coloro che sanno preferiscono tenere il segreto, un po’ perché sanno che nelle mani sbagliate può fare danni incalcolabili e un po’ perché servono anni di allenamento per poterla utilizzare in sicurezza”.
Luca ora sembrava l’esatto opposto di Michigan: l’uno così cupo e sospettoso, l’altro tanto allegro quanto, almeno in apparenza, delirante. Il professore parve comprendere i dubbi del giovane, tanto che il sorriso svanì dal suo volto con la rapidità di un fulmine.
“Non mi credi, vero? Disse, con voce stranamente roca. Luca non rispose. “Mi credi, ragazzo?” chiese ancora con voce più alta.
“No, signore”.
“Lo sospettavo. Di norma non dovrei farlo, ma farò un’eccezione. Lascia che ti mostri il potere dell’energia spirituale”.
Michigan si alzò, stese il braccio e chiuse la mano a pugno. D’un tratto la aprì di scatto e da essa si sprigionarono alte fiamme aranciate, che si contorsero nell’aria e presero a muoversi attorno a loro, disegnando ampi cerchi nello studio. Luca balzò in piedi, terrorizzato, e indietreggiò verso la scrivania, prima che le fiamme svanissero con in sibilo.
“Lei è pazzo!” urlò, iniziando a correre verso la porta, ma qualcosa lo bloccò. In un primo momento pensò che fosse il professore a tenerlo da dietro, ma poi si accorse che non si era mosso dalla sua posizione davanti alla scrivania, e che teneva un braccio puntato verso di lui.
Una forza invisibile lo costrinse a tornare indietro fluttuando e lo depositò sulla sedia, impedendogli ancora una volta di muoversi.
“Perdonami, Luca, ma è una misura necessaria: non voglio che scappi prima che ti abbia detto tutto” si sedette, incrociando le dita davanti al mento.
“Io non sono pazzo” continuò il professore, fissandolo negli occhi. “Sono solo una persona che ha imparato ha utilizzare l’energia spirituale in modo sicuro. Normalmente non do prova delle mie capacità a nessuno, ma tu sei un’eccezione. Vedi Luca… tu hai un dono, un dono poco comune invero. Si tratta dell’Extrasenso, la capacità di apprendere le cose molto più in fretta rispetto agli altri”.
“Lei si sbaglia, non  ho nessun dono” ribattè il ragazzo, astioso. Michigan ridacchiò, divertito.
“No? Pensa, vai bene a scuola, giusto? E studi molto?”.
Era la prima volta che ci pensava, ma in effetti non aveva mai studiato granchè, nonostante i suoi voti fossero brillanti in tutte le materie. Aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse senza aver detto nulla.
Il professore si rilassò sulla sedia. “L’Extrasenso è una dote già abbastanza rara di per sé, ma c’è un motivo se sono pochissime le persone che ce l’hanno. Questa abilità può creare connessioni accidentali con lo Spirito, in momenti di debolezza mentale data da un’emozione forte, e queste connessioni non controllate possono avere effetti… spiacevoli, ecco.”
Luca gli rivolse uno sguardo interrogativo. “Se davvero creano connessioni non sotto controllo, l’energia dovrebbe esplodere” rispose, scettico. Aveva deciso che, per il momento, gli avrebbe dato corda.
“Oh no, una connessione non controllata riversa una piccola parte di energia nel corpo, non fuori” rispose Michigan, fissandosi le dita “Solo che le persone, specie in giovane età, possono trasformarla per errore in energia elettrica o termica, morendo bruciati o fulminati… nelle ipotesi migliori. Non sono stati pochi gli incendi generati in questo modo. Tu hai l’Extrasenso, Luca, ed è già un miracolo che tu sia sopravvissuto fino ad adesso”.
“No, non è vero” boccheggiò Luca, ormai non più tanto sicuro nemmeno di ciò che diceva. Si alzò dalla sedia, improvvisamente felice che i lacci invisibili che lo tenevano bloccato si fossero sciolti.
“Lei si sbaglia” ripetè, più a se stesso che all’altro, dirigendosi verso la porta.
“Ah davvero?” fece Michigan, ridacchiando. “Pensaci: non ti capita mai nulla di strano, nulla che non riesci a spiegare?”. Luca si bloccò, ma riprese quasi subito a camminare, più dubbioso hce mai.
“Pensaci, Luca… non puoi ignorare l’evidenza, tu hai l’Extrasenso, e per questo solo tu mi puoi aiutare…”.
Il ragazzo uscì sbattendo la porta, ma le parole del professore lo inseguirono anche molto dopo che ebbe lasciato la casa, anche dopo che iniziò la discesa dal vialetto coperto di ghiaia. L’uomo misterioso era sparito.
Possibile che quel professore da strapazzo avesse ragione? Possibile che sotto quel mare di stupidaggini ci fosse una punta di verità? La storia dell’energia spirituale era a dir poco assurda, ma quel tipo aveva quasi fatto scoppiare un incendio nello studio solo con una mano. Un trucco, senz’altro… ma la favoletta sull’Extrasenso? Tanto favoletta non era, dato che, in effetti, Luca apprendeva le cose molto più velocemente del normale che dato che gli erano successi molti fatti inspiegabili. 
In ogni caso, ora non poteva rispondere a quelle domande, ma non potè fare a meno di farsi un appunto mentale sul professor Michigan quando uscì dai cancelli in ferro battuto con mille interrogativi per la testa.
Continua…

Visioni

 

2012

 

Luca sedeva annoiato al suo banco di scuola, giocherellando distrattamente con la penna mentre il professore di storia si ostinava a continuare una noiosissima lezione sui longobardi, anche se nessuno lo stava più ascoltando.

Guardò fuori: una leggera brezza estiva giocava con le foglie dei castagni e il sole splendeva anche attraverso le persiane tirate, inondando la stanza di una luce calda e dorata. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter uscire da quella prigione di storia e andare al bar a bere qualcosa con i suoi amici.

Era sempre stato un ragazzo un po’ strano: a volte, infatti gli accadevano fatti che risultavano inspiegabili anche per la mente più razionale, anche se mai più di una volta all’anno.

Quando andava alle elementari il suo banco era di fianco al davanzale dove era posata un’orrenda pianta, che lo infastidiva molto per via delle fronde che gli cadevano addosso al minimo alito di vento; un giorno, non si sa come, la piantà morì imporvvisamente dopo che lui l’aveva spostata.

In prima media, in una partita di palla avvelenata, i giocatori della squadra avversaria non riuscirono mai a prenderlo, nonostante lui stesse completamente fermo; in terza media, invece, era stato ricoverato d’urgenza quando prese una forte scarica elettrica toccando un paletto di legno, che oltretutto non avrebbe dovuto condurre elettricità.

Questi erano i fatti più eclatanti, ma ve ne furono molti altri, anche se a distanza di anni gli uni dagli altri, e i suoi genitori sembravano capirci quanto lui in quella faccenda, ossia niente di niente.

Stava ancora giocando con la penna quando sentì un pizzicore crescente alla punta delle dita, ma non vi badò, immerso com’era nei suoi pensieri. Ad un tratto scattò a sedere composto gettando di lato la penna, massaggiandosi la dita scottate dalla penna che era inspiegabilmente diventata incandescente.

Ecco, è successo ancora pensò E’ già la terza volta quest’anno.

Alcuni dei suoi compagni avevano alzato lo sguardo, perplessi, ma il gesto non fu notato dalla maggior parte dei presenti, immersi nel torpore più totale, mentre il professore scriveva sulla lavagna.

Finalmente, la campanella suonò con un trillo acuto, risvegliando le menti di tutti. Luca saltò via dalla sedia e rimise in fretta le sue cose nello zaino, raccogliendo tutto e avviandosi verso l’uscita: fuori avrebbe potuto discutere cosa fare con i suoi amici.

Uscì nell’ancora fresca aria di fine primavera e si guardò attorno, vedendo subito qualcosa che non gli piacque affatto. Un uomo completamente vestito di bianco stava appoggiato a una lussuosa automobile nera, le braccia incrociate al petto, scrutando la piazza da dietro gli occhiali da sole a montatura avvolgente.

Non seppe dire cosa non gli piaceva in quell’uomo: per quel che ne sapeva, poteva essere un normalissimo padre che aspetta il figlio, eppure… qualcosa non andava, ne era certo.

Dopo averlo scrutato ancora per un secondo, distolse lo sguardo, deciso a non farsi rovinare la giornata, a raggiunse Max, uno dei suoi migliori amici.

“Allora, si fa qualcosa adesso?” chiese, sforzandosi di mantenere un tono contenuto.

“Mi dispiace, ma devo andare al tennis oggi, ho l’allenamento per il torneo di sabato e voglio vincerlo” gli rispose, un po’ indeciso.

“Ah ok, e voi?” chiese poi ad altri due. Dopo aver ricevuto risposte negative da entrambi, il ragazzo li salutò stizzito e si allontanò, dirigendosi verso casa sua.

Si era già avviato da un po’, quando gli strani pensieri su quell’uomo tornarono ad assalirlo, ma li cacciò in fretta, come si fa con una mosca fastidiosa.

Iniziava a sentire uno strano freddo insinuarglisi a fondo nelle vertebre, nonstante facesse abbastanza caldo fuori. Era un gelo innaturale, non era fuori, ma dentro di lui.

Inquieto, proseguì per la sua strada, decidendo di svoltare in una strada più piccola per accorciare la strada. D’un tratto, il gelo gli attanagliò lo stomaco, mentre un peso crescente lo costringeva a inginocchiarsi a terra.

Guardò la strada per cercare aiuto, ma si accorse che era deserta, troppo deserta per essere la normalità, anche sfocata, mentre rumori di un altro mondo gli riempivano le orecchie. Si ritrovò inginocchiato sui camminamenti di spesse mura di pietra, mentre delle orrende creature iniziavano a scalarle con delle grandi scale. Quelle che dovevano essere le guardie si stavano schierando per frontaggiare la minaccia. Urla di panico riecheggiavano dappertutto, mentre i primi mostri raggiungevano i camminamenti, ma venivano scaraventati giù quasi subito da i soldati, che spingevano via le scale per ritardare l’assalto.

“Andate a chiamare il Maestro!” urlò uno di loro.

Alcune guardie annuirono e si ritirarono all’interno da una porta nella torre più vicina. Nel frattempo decine di quelle creature stavano cercando di raggiungere i camminamenti superiori, anche se venivano intercettati e uccisi dalle sentinelle. Poi, una luce intensa illuminò le mura di pietra scura catturando l’attenzione di mostri e soldati, mentre una sfera infuocata enorme si abbatteva su di loro, lasciando ben poco intatto nel raggio di metri. Una seconda sfera di fuoco venne scagliata mentre tutto sfocava nuovamente.

Ora si trovava in una stanza buia con pareti scivolose dalle quali gocciolava acqua. Si alzò in piedi, osservando cosa gli stava intorno e, per la prima volta da quando era iniziato tutto, riuscì a pensare autonomamente.

Cosa stava succedendo? Dove si trovava? E soprattutto, come aveva fatto ad arrivare fin lì?

Prima di riuscire a trovare una risposta a quegli interrogativi, però, qualcosa attirò la sua attenzione: due uomini stavano ritti uno di fronte all’altro, uno con folti capelli bianco argento illuminati da una luce giallo vivo e, dall’altra parte di spesse sbarre di ferro, un altro più giovane e magro, con il volto scavato.

Stavano parlando, anche se non riuscì a udire nient’altro che alcuni frammenti di qualla conversazione.

“Preferisci star qui a morire?” aveva alzato la voce il più vecchio.

Non udì la risposta, ma la luce divenne più intensa, quindi la scena sfocò di nuovo e, prima che Luca se ne accorgesse si ritrovò di fronte a una porta blindata e alte mura di pietra chiarissima, anzi sembrava che fosse un impasto di sabbia a calce. A differenza di prima, era giorno, e ora si trovava in basso, di fianco all’uomo magro e pallido che era stato in quella che, ormai Luca ne era quasi sicuro, era una prigione.

“Te l’ho già detto, ragazzo, non possiamo lasciarti entrare” stava dicendo una guardia dall’alto dei camminamenti. L’uomo in basso sembrava molto irritato, anche se era impossibile dire se era per il fatto che non lo lasciassero entrare o perché lo avevano appena chiamato “ragazzo”.

“Te lo ripeto un’ultima volta, idiota” sibilò, truce. La guardia sgranò gli occhi, sicuramente perplessa dal sentirsi apostrofare in quel modo.

“Devo raggiungere il sacerdote Ylias, è una missione della massima importanza, se non mi lasciate entrare il mondo potrebbe andare a rotoli”.

La sentinella sembrava spazientirsi, anche se un’ombra di sorpresa era comparsa sul suo volto.

“Ah, allora è questo che devi fare” commentò, beffarda, prima di fare nuovamente un cenno di diniego con la testa. “In ogni caso, non posso lasciarti entrare, la città è stata chiusa da quando il confine orientale è caduto”.

La scena divetò più nitida giusto in tempo per vedere l’ex prigioniero perdere la pazienza e urlare contro la guardia.

“Ma lo vuoi capire o no che io sono qui proprio perchè il confine orientale è caduto? Mi manda il Maestro!” urlò, cieco di rabbia.

“Ora basta! Il maestro potrebbe anche essere morto!” ribattè l’altro, portando minacciosamente la mano all’elsa della spada.

L’uomo che stava cercando di entrare in città si ricompose, sospirando. Non avrebbe tradito la parola data al Maestro, anche se tra loro c’erano stati così tanti diverbi.

“Bene, allora, non mi lasci altra scelta” disse in un sussurro appena percepibile. Non lasciò ai presenti nemmeno il tempo di meravigliarsi di quell’affermazione, né tantomeno quello di reagire che aveva estratto un coltellino d’argento e si era aperto una ferita sull’avambraccio. Il sangue scuro sgorgò copiosamente dalla ferita prima che il suo possessore lo scagliasse con forza contro le mura, che si sbriciolarono con un fragore assordante.

Luca non poteva crederci: quell’uomo aveva appena utilizzato il suo sangue come un esplosivo per abbattere quelle che dovevano essere mura molto solide.

Appena realizzarono ciò che era successo, le guardie si gettarono contro l’ex prigioniero, che si strinse addosso una bisaccia di cuoio molto gonfia e scappò in città attraverso il varco che aveva appena creato.

“Non lascerai questa città vivo, demone!” gli urlavano contro, ma la scena si stava già dissolvendo.

Luca tornò pesantemente alla realtà, ricominciando a sentire il peso opprimente che andava tuttavia scemando. Si rimise in piedi, barcollando, e riprese a camminare, scosso e totalmente incapace di pensare.

Svoltò in un vicolo e lo stesso peso di prima lo colpì, lo stesso gelo gli attanagliò le viscere. Terrorizzato, il ragazzo iniziò a correre per lo stradino, prima che qualcosa di grosso e orrendo piombasse su di lui. Era una delle creature che tentavano di risalire i camminamenti delle mura.

Aveva la pelle grigiastra innaturalmente tesa sul cranio, lasciando intravedere alcuni capillari violacei che terminavano sullo spesso collo; al posto della bocca aveva delle fauci spalancate orribilmente, che culminavano sotto un paio di occhi rossi, ardenti come fuochi.

Per il resto, si poteva scambiare per un essere umano, dato che si reggeva su due gambe, se non fosse per il fatto che aveva una corporatura più alta e robusta di un uomo normale. Indossava una spessa e rozza corazza metallica e portava una piccola ascia appesa alla cintola.

Luca sdrucciolò sul terreno bagnato, cadendo all’indietro, prima che il mostro iniziasse ad avanzare verso di lui, estraendo l’arma e vorticandola di fiando a sé.

Il ragazzo cercò di rimettersi in piedi, ma non ci riuscì, paralizzato dal terrore, mentre la vista si annebbiava e tutto iniziava a sfocare; ormai non sapeva più se ciò che vedeva era reale o solo un’altra allucinazione.

La creatura lo raggiunse e sollevò l’ascia sopra la testa, le fauci tese in un ghigno, pronta a colpire.

Improvvisamente uno scoppio riportò la vista di Luca a livelli abbastanza buoni per vedere il mostro, in ginocchio, che ululava di dolore, portandosi una mano alla fronte ferita, dalla quale scendevano su tutta la faccia rivoli di sangue chiaro.

“Forza, muoviti! Dobbiamo andarcene di qui!” una voce rimbombò alle sue spalle, costringendo Luca a voltarsi.

Dietro di lui, l’uomo vestito di bianco si stagliava alla fine del vicolo e avanzava verso di loro, tenendo una pistola nel braccio teso davanti a sé.

“Potrebbero essercene altri, andiamo!” urlava ancora, mentre il mostro si rimetteva in piedi, urlando tutta la sua rabbia, pronto a colpire ancora. Si era già lanciato su di loro, calando l’ascia, quando un secondo sparo lo centrò in testa ferendolo accanto al primo foro e costringendolo ad arrestarsi.

Questa volta l’uomo in bianco non perse tempo: si gettò su Luca e lo prese per il colletto della maglia, trascinandolo via verso la strada.

Quando la raggiunsero, il ragazzo, ancora stordito, venne scaraventato nell’automobile nera, che ripartì di gran carriera nella strada deserta.

Luca si alzò a sedere sui sedili posteriori e fece uno sforzo immenso per non ricadere pesantemente all’indietro, costringendosi a mettere a fuoco lo sconosciuto, che ora stava rallentando, sicuro di aver messo una distanza sufficiente tra loro e il mostro.

“Chi è lei? Dove mi sta portando?” chiese, appena ebbe realizzato appieno quanto era successo.

“Chi sono io non ha importanza, almeno per ora” rispose, alzando appena la testa, forse per vedere nello specchietto retrovisore. “Per quanto riguarda la destinazione…” continuò “Stiamo andando dal professor Armando Michigan, un noto storico che si trova in città solo di passaggio”.

Luca non capiva: era grato a quell’uomo per averlo salvato dal mostro, ma non riusciva a comprendere perché non l’avesse semplicemente fatto scendere una volta raggiunto un posto sicuro. Per quanto riguardava il professor Michigan, poi, non era nemmeno sicuro di aver capito chi era, dato che non lo aveva mai sentito nominare.

La domanda gli uscì così come l’aveva formulata nella sua testa: “E che c’entro io?”.

L’uomo si tolse gli occhiali scuri e lo guardò esitante, dandogli il tempo di vergognarsi per il tono non proprio grato che aveva utilizzato.

“Non lo so con certezza nemmeno io” disse alla fine “Il professor Michigan mi ha avvertito di tenere gli occhi aperti e di intercettare chiunque si fosse comportato in modo sospetto. Istruzioni singolari, sì” disse poi notando l’espressione incredula del ragazzo “Ma è così. Il professore saprà senz’altro darti le risposte che cerchi”.

“Ma lei come ha fatto a…” provòa dire Luca, perplesso, prima che l’altro lo zittisse con un cenno della mano.

Era molto strano. Prima aveva avuto quelle allucinazioni, così reali e nitide, che però lo avevano fatto stare così male da mozzargli il fiato. Poi era stato aggredito da un’orrenda creatura senza motivo, sopravvivendo per miracolo grazie a un uomo senza nome che si rifiutava di dirgli come aveva fatto a trovarlo e che ora lo stava portando da uno storico di fama internazionale.

Senza quasi che se ne accorgesse l’auto accostò vicino a un marciapiede davanti a un elaborato cancello di ferro battuto. L’uomo spense il motore, uscì e suonò il campanello, quindi attese qualche secondo e poi risalì sulla vettura, entrando nel cortile interno della casa del professore attraverso un vialetto coperto di ghiaia.

La casa di Michigan non era molto grande e il giardino era abbastanza ordinario, tipico di una casa usata solo per un breve soggiorno. La macchina risalì il vialetto fino all’ingresso vero e proprio e si fermò, dando la possibilità ai passeggeri di scendere una volta per tutte.

Il misterioso uomo scortò Luca dentro la casa fino a quella che sembrava una sala d’attesa: calda e accogliente, con alcune poltrone poggiate su tappeti finemente lavorati e arazzi appesi alle pareti.

“Quando verrai convocato dentro dovrai rivolgerti al professor Michigan con un tono rispettoso, ma non adulatore; dovrai sempre usare la forma di dialogo formale e dargli del lei” elencò lo sconosciuto, sistemandogli gli abiti “parla solo se vieni interpellato e non sederti a meno che non ti venga chiesto di farlo. Buon Dio cerca di rilassarti, ora!”

Luca era rimasto rigido da quando era entrato nella saletta, soprattutto dopo che quel tipo avevo cominciato a ripassargli le buone maniere, come si fa con un bambino.

Caspita, se questo professore qua pretende tutta sta roba sarà un tipo che all’antica è dire poco! Pensò, ancora frastornato da tutte quelle indicazioni.

L’uomo se ne andò, lasciandolo solo tra le poltroncine che erano improvvisamente diventate dure agli occhi di Luca. Dopo un paio di minuti una voce calma rimbombò nella stanza, invitandolo ad accomodarsi. La prima cosa che vide quando entrò fu proprio il professore, in piedi davanti a una bella scrivania di legno lucido posta su un piano rialzato di fronte a una grande vetrata incorniciata da spesse tende di velluto rosso. I lati dello studio erano rivestiti di librerie e quadri.

“Benvenuto, signor…” esordì Michigan. Era un uomo alto, con una fronte ampia e folti capelli neri e un principio di barba che incorniciavano il volto leggermente segnato.

Luca ci mise un po’ a capire che aveva parlato. “Salgari” disse in fretta, sentendosi immensamente stupido “Luca Salgari, signore”.

“Piacere mio.Ti dispiace se ti chaimo Luca? Bene. Senza dubbio ti chiederai perché sei qui”.

“In, effetti… sì, signore”

Michigan prese a misurare la stanza a grandi passi, prima di tornare alla scrivania, passando da dietro e sedendosi sulla sedia dall’alto schienale.

“Siediti” disse, accertandosi che il ragazzo avesse obbedito prima di riprendere a parlare. “Ti prego di lasciarmi parlare senza interrompermi finchè non ti dirò che ho finito. Ciò che sto per dirti potrebbe sconvolgere il tuo mondo”.

Luca lo guardò, stupito, chiedendosi cosa fosse di così potenzialmente traumatico da turbarlo così tanto; Michigan, intanto, lo fissava con uno sguardo penetrante.

“Devi sapere Luca, che il potenziale di un essere umano non si ferma alla forza fisica e all’intelligenza. Un essere umano può spingere oltre i confini della propria mente per connettersi con posti molto distanti, e sfruttare le loro energie. Anche se questi posti sono virtualmente irraggiungibili, la mente umana può creare una connessione stretta con uno di essi, non propriamente un posto, però. Direi più una seconda dimensione: lo Spirito.”

Luca lo fissava attonito, cominciando a credere che quell’uomo fosse realmente pazzo, rimanendo tuttavia in ascolto.

“Lo Spirito è una dimensione esterna alla nostra con leggi fisiche completamente diverse: essa è, infatti, permeata da un’energia che non esiste sulla Terra né in nessuna parte del nostro universo, e questo perché è fortemente instabile: non può rimanere fuori dallo Spirito nella sua forma originale, poiché una sola particella di questa energia allo stato puro in questa dimensione darebbe origine a un’esplosione colossale. Questa energia, detta energia spirituale, è però estremamente flessibile; si può trasformare in altre forme di energia e persino in materia, e all’essere umano è concesso questo dono. Cominci a capire, Luca?”

In realtà Luca stava capendo ben poco, anche se in qualce modo quell’idea sembrava talmente assurda da risultare incomprensibile a tutti. Deglutì e inspirò a fondo.

“Mi perdoni, signore, ma no, non ho capito bene cosa intende dire” rispose, vergognandosi un po’.

Michigan fece un sorrisetto. “Naturale. Nemmeno io ci potevo credere, quando l’ho scoperto. In parole più pratiche, gli uomini possono creare una connessione tra la loro mente e lo Spirito per avere accesso all’energia spirituale, quindi utilizzano il loro corpo come mediatore per evitare di farla esplodere e la trasformano prima di espellerla dal corpo. L’energia spirituale può essere trasformata in altre forme di energia: elettrica, termica, nucleare… ed è questo che la rende così dannatamente potente”.

Ora il professore sembrava raggiante, tanto che si era alzato dalla sedia con un gran sorriso stampato sulla faccia.

“Mi perdoni, professore” ripetè Luca, che ora iniziava a perdere sul serio la pazienza, iniziando a sentirsi sempre più preso in giro “Ma non ho mai sentito parlare di questa energia. Se è davvero così potente, dovrebbero cercare di utilizzarla tutti, no?”

“Oh sì, sì certo, ma è proprio questo il punto: tanto potente quanto pericolosa. Sono in pochi a sapere della sua esistenza, attualmente, anche se non è sempre stato così. Coloro che sanno preferiscono tenere il segreto, un po’ perché sanno che nelle mani sbagliate può fare danni incalcolabili e un po’ perché servono anni di allenamento per poterla utilizzare in sicurezza”.

Luca ora sembrava l’esatto opposto di Michigan: l’uno così cupo e sospettoso, l’altro tanto allegro quanto, almeno in apparenza, delirante. Il professore parve comprendere i dubbi del giovane, tanto che il sorriso svanì dal suo volto con la rapidità di un fulmine.

“Non mi credi, vero? Disse, con voce stranamente roca. Luca non rispose. “Mi credi, ragazzo?” chiese ancora con voce più alta.

“No, signore”.

“Lo sospettavo. Di norma non dovrei farlo, ma farò un’eccezione. Lascia che ti mostri il potere dell’energia spirituale”.

Michigan si alzò, stese il braccio e chiuse la mano a pugno. D’un tratto la aprì di scatto e da essa si sprigionarono alte fiamme aranciate, che si contorsero nell’aria e presero a muoversi attorno a loro, disegnando ampi cerchi nello studio. Luca balzò in piedi, terrorizzato, e indietreggiò verso la scrivania, prima che le fiamme svanissero con in sibilo.

“Lei è pazzo!” urlò, iniziando a correre verso la porta, ma qualcosa lo bloccò. In un primo momento pensò che fosse il professore a tenerlo da dietro, ma poi si accorse che non si era mosso dalla sua posizione davanti alla scrivania, e che teneva un braccio puntato verso di lui.

Una forza invisibile lo costrinse a tornare indietro fluttuando e lo depositò sulla sedia, impedendogli ancora una volta di muoversi.

“Perdonami, Luca, ma è una misura necessaria: non voglio che scappi prima che ti abbia detto tutto” si sedette, incrociando le dita davanti al mento.

“Io non sono pazzo” continuò il professore, fissandolo negli occhi. “Sono solo una persona che ha imparato ha utilizzare l’energia spirituale in modo sicuro. Normalmente non do prova delle mie capacità a nessuno, ma tu sei un’eccezione. Vedi Luca… tu hai un dono, un dono poco comune invero. Si tratta dell’Extrasenso, la capacità di apprendere le cose molto più in fretta rispetto agli altri”.

“Lei si sbaglia, non  ho nessun dono” ribattè il ragazzo, astioso. Michigan ridacchiò, divertito.

“No? Pensa, vai bene a scuola, giusto? E studi molto?”.

Era la prima volta che ci pensava, ma in effetti non aveva mai studiato granchè, nonostante i suoi voti fossero brillanti in tutte le materie. Aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse senza aver detto nulla.

Il professore si rilassò sulla sedia. “L’Extrasenso è una dote già abbastanza rara di per sé, ma c’è un motivo se sono pochissime le persone che ce l’hanno. Questa abilità può creare connessioni accidentali con lo Spirito, in momenti di debolezza mentale data da un’emozione forte, e queste connessioni non controllate possono avere effetti… spiacevoli, ecco.”

Luca gli rivolse uno sguardo interrogativo. “Se davvero creano connessioni non sotto controllo, l’energia dovrebbe esplodere” rispose, scettico. Aveva deciso che, per il momento, gli avrebbe dato corda.

“Oh no, una connessione non controllata riversa una piccola parte di energia nel corpo, non fuori” rispose Michigan, fissandosi le dita “Solo che le persone, specie in giovane età, possono trasformarla per errore in energia elettrica o termica, morendo bruciati o fulminati… nelle ipotesi migliori. Non sono stati pochi gli incendi generati in questo modo. Tu hai l’Extrasenso, Luca, ed è già un miracolo che tu sia sopravvissuto fino ad adesso”.

“No, non è vero” boccheggiò Luca, ormai non più tanto sicuro nemmeno di ciò che diceva. Si alzò dalla sedia, improvvisamente felice che i lacci invisibili che lo tenevano bloccato si fossero sciolti.

“Lei si sbaglia” ripetè, più a se stesso che all’altro, dirigendosi verso la porta.

“Ah davvero?” fece Michigan, ridacchiando. “Pensaci: non ti capita mai nulla di strano, nulla che non riesci a spiegare?”. Luca si bloccò, ma riprese quasi subito a camminare, più dubbioso hce mai.

“Pensaci, Luca… non puoi ignorare l’evidenza, tu hai l’Extrasenso, e per questo solo tu mi puoi aiutare…”.

Il ragazzo uscì sbattendo la porta, ma le parole del professore lo inseguirono anche molto dopo che ebbe lasciato la casa, anche dopo che iniziò la discesa dal vialetto coperto di ghiaia. L’uomo misterioso era sparito.

Possibile che quel professore da strapazzo avesse ragione? Possibile che sotto quel mare di stupidaggini ci fosse una punta di verità? La storia dell’energia spirituale era a dir poco assurda, ma quel tipo aveva quasi fatto scoppiare un incendio nello studio solo con una mano. Un trucco, senz’altro… ma la favoletta sull’Extrasenso? Tanto favoletta non era, dato che, in effetti, Luca apprendeva le cose molto più velocemente del normale che dato che gli erano successi molti fatti inspiegabili.

In ogni caso, ora non poteva rispondere a quelle domande, ma non potè fare a meno di farsi un appunto mentale sul professor Michigan quando uscì dai cancelli in ferro battuto con mille interrogativi per la testa.

 

Continua…

 

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