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Cari lettori, che dire… sono tornata con una nuova fic! Non ho la più pallida idea di come possa essere, alla fine siete voi che dovete dirmi che ne
pensate no? :P
Vabbè tralasciando questo passiamo
alla presentazione:
Arashi è una ragazza Italo-giapponese…
normalissima, un solo fidanzato, con il quale è
finita pure male… (anche se non vi dico come) e presto avrà a che
fare con una sua vecchia conoscenza… Per chi ama le storie romantiche…
ma non troppo…
Se vi va lasciatemi un commento!
Buona lettura!
Prologo
Infilo le scarpe mentre mi appoggio
al mio armadietto. L'inizio delle lezioni è ancora lontano, ma come
sempre, anche il primo giorno di scuola dell'ultimo anno del
Liceo, sarò la prima ad entrare in classe. E' un record che mi
riconoscono sempre.
La divisa nuova era ancora calda, mia madre aveva deciso di
stirarla prima di farmi uscire di casa, era una donna
strana, mia madre intendo. Non era Giapponese, e questo spiegava il biondo dei
miei capelli, che molti credevano fosse dovuto a
qualche tintura. Io ero nata in questa terra, seppure parte
delle mie origini provenivano dall'altra parte del mondo, dall'Italia
precisamente. I miei genitori si erano conosciuti a Tokyo, quando mia madre si
era appena laureata all'accademia di belle arti. Come regalo
aveva deciso di partire per il Giappone, aveva persino imparato a
parlare la nostra lingua da sola, quando abitava ancora con i suoi. Poi conobbe
mio padre, un totale impiastro lo definì al primo incontro, ma dopo una
serie di strani incontri voluti dal destino si erano
innamorati.
A volte il destino è proprio strano.
Sta di fatto che io resto la più piccola di tre figli. I miei fratelli più grandi, gemelli
identici come gocce d'acqua, si erano iscritti da poco all’università
adiacente alle stesse scuole superiori. Tutti e tre avevamo
preso l'intelligenza di nostra madre, il che spaventava spesso papà.
Sosteneva che continuando di quel passo non sarebbe più riuscito a
capirci.
Comunque, finalmente tornavo a
scuola, potevo riprendere a sentire tutti i miei compagni, il profumo del cancellino
sulla lavagna, l'odore delle siepi appena tagliate... tutti elementi della
scuola che adoravo.
Come ogni anno eravamo stati cambiati di classe. Poco prima
di salire per le scale e raggiungere il famosissimo terzo piano, quello dei sempai, andai sui tabelloni a guardare la mia classe. Era
ancora tutto deserto. Non c'era nessuno ad eccezione del responsabile della
segreteria, dietro il solito sportello a leggere il giornale con la musica
sparata nelle orecchie.
Controllai velocemente i nomi...
ArashiNokaze...
il mio nome era nell'elenco degli alunni della 3 sezione C.
Non badai alle altre persone in elenco, preferivo avere
sorprese nei compagni di classe, mi piacevano gli imprevisti.
Salii le scale con la mia borsa e finalmente riuscii a
raggiungere la porta della mia nuova aula. Lasciai scorrere il pannello davanti
a me e mi trovai i 26 banchi vuoti tutti perfettamente
allineati davanti alla cattedra.
Mia madre volle a tutti i costi farmi frequentare un liceo
privato, certo i soldi a casa non mancavano date le sue continue opere vendute
che viaggiavano per il mondo. Tuttavia ogni tanto mi
capitava di odiare gli atteggiamenti snob e presuntuosi di molte mie compagne.
Mi sedetti tra i banchi in mezzo nella fila vicino alla
finestra, tanto poco avrebbe importato, quando sarebbe arrivato l'insegnante ci
avrebbe sicuramente spostato, come da tradizione.
Sostenevano che fosse un modo per unire gli studenti.
Sistemai il calzino bianco della divisa e mi sedetti
appoggiando al lato del banco la cartella. La gonna di quel liceo la detestavo da sempre! Era così corta! Mia madre diceva che mi stava divinamente, e che ero fortunata a
potermela permettere... ma a volte non erano belli i commenti che si
ricevevano.
Ero decisamente assorta dai miei
pensieri quando sentii la porta aprirsi nuovamente.
Vi entrarono due ragazzi e una ragazza, che pareva si conoscessero da tempo. Non avevo idea di chi
fossero, ma presto o tardi li avrei conosciuti.
-Buongiorno- mormorai sorridente ai
nuovi arrivati.
Uno dei due ragazzi, alto e dai capelli
neri a caschetto mi sorrise ricambiando il saluto.
Altrettanto fece la ragazza, dai lunghi capelli corvini e un viso stupendo e
curatissimo, mentre il terzo elemento mi scoccò un'occhiata di astio, aveva qualcosa di familiare, ma non riuscii a
capire il quel momento cosa fosse.
-Non badare a Kin-san! Oggi
è di pessimo umore!- sorrise la ragazza cordiale. -comunque piacere di
conoscerti, io sono MarikoNeko-fece un leggero
inchino per poi sedersi dietro di me.
-Io invece sonoRiujiNagase- fece un cenno con la mano il moro. -Mentre
lui èKintaroYukame- disse indicando il terzo, eppure quel nome mi
suonava familiare...
-Piacere di conoscervi! Il mio nome è
ArashiNokaze!- esclamai
facendo un lieve inchino dopo essermi alzata dalla sedia.
Ben presto arrivarono anche gli altricompagni di classe, scoprii che
gran parte delle mie migliori amiche erano state messe in un'altra sezione.
Solo FumikoKato, una
vecchia compagna di classe rientrava tra le persone che conoscevo.
Poi fu il momento dell'appello e l'assegnazione dei posti a
sedere.
Finii involontariamente a stare
nell'ultimo banco in fondo della prima fila vicino alla finestra, davanti a me
stava il tizio con il muso lungo di prima, Kintaro.
Al mio fianco invece c'era un ragazzo con un'acne terrificante i capelli
unticci e due occhiali spessi quanto il banco su cui sedevo.
Dopo il termine delle lezioni del pomeriggio fui invitata da Mariko a pranzare
con lei, che, in compagnia di Riuji-kun si
rivelò una compagna davvero gradevole.
La sala mensa era come sempre affollatissima, ma la maggior parte dei posti era prenotato.
Una volta trovato il tavolo libero
ci sedemmo.
Per la prima volta a pranzo, dopo mezz'ora il ragazzo
taciturno che non faceva che fissarmi, si decise a parlare.
-Ma i tuoi capelli li tingi?-
chiese lasciando tutti a bocca aperta.
-No... sono naturali- dissi con
sicurezza.
-Impossibile! Non esistono giapponesi con i capelli biondi!-
disse acido.
-Infatti non sono propriamente
giapponese...- lo guardai accigliata, irritata da quei suoi modi di fare
burberi.
Marikosi intromise
nella conversazione -Non si direbbe che sei per metà straniera! Parli
benissimo e senza accenti...- commentò quasi
entusiasta.
-Io sono nata e cresciuta qui... ma mia madre è
italiana...- dissi con tranquillità rivolta
verso di lei.
-Quindi sei stata in Italia!- chiese
entusiasta Riuji -Mi piacerebbe poter vedere Milano!-
esclamò.
-Mia madre è cresciuta e si è laureata a Milano.... è molto diversa da qui, ma il Duomo vale la pena
vederlo- sorrisi.
Dopo di che la conversazione
ripiegò sui viaggi compiuti da Riuji e da Mariko. Keitaroaveva ripresto a stare in silenzio.
Al termine delle lezioni decisi di prendermela comoda, tuttavia
i miei due adorati fratelli.... se così si
possono definire, decisero di venirmi a prendere.
Sarebbe stato divertente se fossero stati
due normalissimi studenti universitari... ma da mia madre, oltre l'intelligenza
avevano ereditato anche una cosa molto particolare.... il modo di vestire!
Stavo camminando tranquillamente con Mariko mentre mi si fecero
incontro.
-Cosa sono quei due... sono troppo
conciati!- esclamò lei guardandoli.
Erano Kamui e Shin'ichi.
Kamui, il più passo dei due aveva pantaloni
stracciati, anfibi e una maglietta nera lunga che ricadeva sul fisico decisamente magro e alto, a differenza di me avevano preso
da mio padre tutta l'altezza. Shin invece era
più sportivo con pantaloni larghissimi e una felpa altrettanto enorme.
Li vidi puntare verso di me.
-Ehm.... Ragazzi... ci vediamo
domani...- mormorai un po' imbarazzata andando loro incontro. Li vidi con le
facce spalancate. Quando li raggiunsi li presi per le orecchie e li trascinai fuori dal cancello strillando: -COME
DIAVOLO VI PERMETTETE DI VENIRE COSI’ CONCIATI! ASPETTATE CHE LO DICA A
MAMMA POI VEDETE!- credo che tutto il cortile mi sentì
in quel momento.
Avevo appena varcato il cancello quando
ad un certo punto sentii la voce di Kintaro chiamare
il mio nome.
-Ehi! Nokaze!- portava le mani
alla bocca per farsi sentire meglio. -Ti si vedono le mutande!-
Tutti si voltarono verso di me e istintivamente lasciai i
due coprendomi il fondoschiena. In realtà non si vedeva assolutamente
niente.
-Ehi Arashi-chan, ma quello non
è Yukame?- chiese Kamui
guardandolo da lontano.
-Si Kamu-chanha
ragione, quello è proprio Yukame-
confermò Shin-chan.
-Come diavolo fate voi due a conoscerlo- dissi
riprendendomi e lanciando occhiatacce a tutti quelli che stavano ancora ridendo
nel cortile.
-Come non ti ricordi? Alle medie ti prendeva sempre in giro,
poi si trasferì se non ricordo male.- disse Kamui.
Un lampo mi attraversò la mente. Finalmente capii
cosa c'era in quel tizio di familiare.
La mia mente lo aveva rimosso per smettere di pensare a
tutte le torture che mi aveva procurato anni prima. un
brivido di freddo mi salì lungo la schiena.
YukameKintaro...
come descriverlo? Direi, esuberante, estroverso, simpatico, gentile, garbato,
intelligente.... con tutti ad eccezione di una singola
persona. Me.
Certo perchè Kintaro aveva
un odio particolare nei miei confronti, misto ad una pura rivalità sul
campo, che durava dalla scuola materna. Senza contare la sua particolare
adorazione per le torture... esercitate sulla sottoscritta.
In breve, era il mio incubo dal primo momento in cui l'ebbi conosciuto a tre anni. Da allora riuscii a tirare
sospiri di sollievo solamente nel corso delle superiori.
Sapevo benissimo che andando in una scuola privata non ci sarebbero stati
pericoli di averlo nuovamente tra i piedi, evidentemente mi sbagliavo.
Salii con passo pesante le scale che portavano al terzo
piano. La nostra nuova aula si trovava in fondo al corridoio, la prima sulla
sinistra.
Già lo sentivo ghignarsela alle mie spalle. Mi
chiedevo solamente come diavolo era successo... cosa ci faceva in quella
scuola!
Aprii in modo decisamente poco ortodosso la porta
d'ingresso.
Ma un'altra sorpresa mi stava attendendo.
Kaji.
Imprecai sotto voce, maledicendo quel giorno.
Lo guardai rimanendo immobile, Kintaro
alle mie spalle continuava a spingere per entrare, ed essendo solamente di poco
più alto di me faticava a vedere il perchè di quel blocco.
-Ciao...- mormorò sorridendomi, come per iniziare un
discorso.
Lo ignorai ed andai a sedermi dall'altra parte della classe.
-Era ora che ti muovessi!- mormorò Kintaro mentre
finalmente entrava in classe con tutta la sua poca finezza. -Tu chi sei?-
chiese dimenticando le buone maniere a Kaji.
L'altro lo guardò con sufficienza. -Tu devi essere il
nuovo rappresentate, Yukame, dico bene?- chiese con
tono di superiorità.
-Si, ti crea problemi la cosa?- rispose il primo passandosi
una mano tra i capelli nerissimi.
-No, certo... comunque sonoNorimogaseKaji- si
presentò con un ghigno stampato in faccia. -Arashi-chan, passato bene le tue vacanze in Italia?-
chiese poi rivolto a me.
Mi limitai a fissarlo e ignorai totalmente le domande che Kintaro mi faceva con lo sguardo.
-Non dirmi che sei ancora arrabbiata per quella storia?!- chiese quasi indignato dal mio comportamento. -Ti ho
detto che hai frainteso! Se solo avessi risposto al
telefono quando ti ho chiamato...- iniziò lui.
-Un po' strano come fraintendimento quello! Vai a raccontare
le tue frottole a qualcun'altro- sibilai guardandolo malissimo.
Vidi Kintaro sedersi di fronte a
me, così come aveva sempre fatto durante gli anni trascorsi.
-Ara-chan, si può sapere
chi è quello?- mi sussurrò, seppur consapevole che Kaji avesse sentito il tono confidenziale con cui parlava.
-Ara-chan? Con che diritto dai tanta confidenza...?- chiese lui cogliendo a pieno la
provocazione.
-Si da il caso che siamo cresciuti
assieme io e lei- sorrise perfido in direzione di Kaji.
-E siamo sempre stati "intimi" noi due...- aggiunse in tono
decisamente provocatorio.
Mi sentivo presa in mezzo tra due fuochi, non intendevo
permettere comunque che fossero dette simili cose sul mio conto.
-Non siamo affatto intimi idiota!-
sibilai lanciandogli uno scapellotto sulla nuca.
-Dai su non mentire! Siamo sempre stati fatti l'uno per
l'altra- mi scoccò un bacio soffiando sulla mano. -Comunque da quando in
qua porti le mutandine colorate? Prima le portavi solo bianche...-
mormorò sorridendo perfido.
-Maniaco come ti permetti!- mi
alzai di scatto dal banco sbattendo le mani e procurando un fastidioso rumore sul
pavimento.
Lui scoppiò a ridere, Kaji
invece pareva furente.
Poco dopo entrarono altri nuovi compagni e fu il tempo di
iniziare la lezione. Come rappresentanti degli studenti toccò per primi
a me e a Kintaro fare le presentazioni.
Al termine delle lezioni mattutine finalmente riuscii a
scappare durante la pausa pranzo.
Come al solito mi rifugiai al mio
luogo segreto, sul tettuccio della terrazza. Difficilmente mi si vedeva, a meno
che non si era alti tre metri. Il che lo rendeva un posto sicuro.
Ma evidentemente non lo era abbastanza. Avevo dimenticato
che spesso Kaji vi si rifugiava con me.
-Chi è quel bamboccio?! Come
si permette di comportarsi così!?-
sbottò decisamente furente una volta che salì anch'esso sul
tettuccio.
-Vattene...- sibilai.
-Non finché non mi dirai chi
è quello!- rispose lui alzando la voce.
-Abbassa quel tono, e comunque l'hai sentito no? E' un mio
vecchio compagno di classe.- sbottai sperando che si decidesse ad andarsene.
-Mi sembra parecchio affiatato, cos'è
stavate assieme per caso?- chiese decisamente innervosito.
-No, e comunque anche se lo fosse
non vedo come potrebbe preoccuparti la cosa- conclusi incrociando le braccia.
-Mi preoccupa eccome! Sono il tuo ragazzo!- rispose lui
alzando la voce, poi un rumore fece scricchiolare la porta che dava sulla
terrazza. Poi tornò il silenzio.
-Non sei affatto il mio ragazzo!- strillai di rimando,
notando che nessuno era entrato in terrazza.
-Si che lo sono! Non puoi decidere da sola cosa fare del
nostro rapporto!- rispose lui avvicinandosi e prendendomi per il braccio.
-Da che pulpito... lasciami, mi fai male.- sibilai cercando
di liberarmi dalla stretta.
Pochi secondi e mi ritrovai schiacciata dal suo peso lungo
il tetto. -Ti ho detto di lasciarmi!- strillai più forte.
Mancava ancora troppo alla campana e di certo non ci avrebbe
sentito nessuno... sentii la sua mano scivolarmi sotto la gonna e
istintivamente chiusi le gambe per impedirgli di proseguire.
Poi sentii soltanto un'ondata di acqua gelida colpirmi la
faccia e qualcosa che trascinava Kaji lontano da me. Quando riuscii a recuperare la vista, scostando i
capelli fradici dagli occhi, vidi Kintaro trascinare
per il bavero della giacca Kaji.
-Non hai sentito cosa ha detto Ara-chan?-
chiese in tono serio all'orecchio di lui, mentre si piegava sulle ginocchia.
-Vattene al diavolo!- sibilò Kaji
che subito dopo scese dal tetto per andarsene.
-Tutto bene Ara-chan?- chiese
questa volta rivolto a me.
-La secchiata potevi risparmiartela...- sibilai guardandolo
torva. Avevo la divisa completamente inzuppata.
-Mmm... sei decisamente
cambiata...- il suo tono era malizioso quando, nel
seguire il suo sguardo notai cosa stava fissando. Abbassando il capo notai
immediatamente che la camicia era diventata trasparente.
-Ti disintegro!- strillai iniziando a rincorrerlo per il
terrazzo.
-Prego, è stato un piacere aiutarti- rispose lui
iniziando a scappare.
Al suono della campana ero ancora completamente fradicia.
Fortunatamente quel pomeriggio avevo la lezione di educazione fisica e mi ero
portata la tuta.
Quando le altre ragazze mi videro entrare nello spogliatoio
strillarono fingendo un tono preoccupato.
-Nokaze! Come mai sei così
fradicia?- chiese una di loro, Mariko.
-Qualche deficiente ha voluto giocare con i gavettoni.-
risposi togliendomi i vestiti bagnati e riponendoli sperando che si
asciugassero entro la fine dell'ora.
-Anche Norimogase è tornato
in classe fradicio come te, è stato lui forse?-
chiese un'altra ragazza.
-No... è stato qualcun'altro....-
sibilai cercando di chiudere il discorso.
-Ma è vero che stai con il compagno Kaji-san?- chiese nuovamente Mariko,
cambiando argomento.
-No, ci ... ci siamo lasciati tre
settimane fa- mormorai.
-Allora non ti dispiace se mi dichiaro vero?- chiese subito
dopo in tono disinvolto.
-Certo fai pure- risposi indossando la tuta.
-Però c'è da dire che quest'
anno abbiamo dei compagni davvero carini! Anche Yukame,
è intelligente e pure bello!- commentò un'altra ragazza.
-Yukame? Quello sgorbio?- pensai a
voce alta.
-Ma scherzi! Non hai visto che fisico? E poi quegli occhi
così penetranti.... è così
adorabile, e poi sembra un tipo sportivo!- continuò la ragazza in tono
sognante.
Alzai le spalle mentre le altre
cominciavano a passare in rassegna i nostri nuovi compagni.
Poi mentre mi stavo legando i capelli Mariko
mi si avvicinò.
-A te non piace nessuno?- chiese in tono forse troppo
invadente.
-Al momento no, non voglio storie...- risposi un po'
seccata.
-E' per la storia con Kaji? Si dice che ti abbia scaricata senza motivo...-
rispose lei pettinandosi.
-Stai scherzando? Chi ti ha detto
questa scemenza?- risposi guardandola scioccata.
-Ma come, lo sanno tutti quanti a scuola!- esclamò
lei con naturalità.
-Buffò, che certe voci
girino tanto in fretta... peccato che non siano affatto vere...- risi acida.
-Perchè, come è
andata veramente?- chiese lei stupita.
Poi chiusi l'armadietto di botto. -Prova a chiederlo a SachikoUeda della F, forse lei
ti saprà spiegare i dettagli di quando l'ho
beccata a farsi il mio ragazzo nel ripostiglio delle scope lo scorso semestre.-
sorrisi per poi uscire dallo spogliatoio lasciando tutte quante a bocca aperta.
********************** Ecco a voi il secondo capitolo…
Più o meno aggiornerò con la periodicità di circa tre
giorni. La storia è già stata terminata quindi saranno
pubblicazioni regolari diciamo XD.
Piuttosto,
ringrazio chi sta leggendo la fic, sperando che
resisterete fino all’ultimo:P
In particolar
modo grazie a bamboladipezzae a Hatoriper i loro commenti!! ^_^
Ecco a voi il
terzo capitoletto… ringrazio anticipatamente chi lo leggerà e chi
invece ha letto i precedenti capitoli spero non m’abbandoni… Vi
lascio alla storia^^
*Arashi in Love*
Capitolo 2
-Chiudere con il passato-
La Ueda, dopo la mia affermazione fatta nello spogliatoio fu guardata male da
molti a scuola. Ma sinceramente dopo quello che mi aveva
fatto non mi preoccupava affatto come l'avrebbero trattata.
Dopo una settimana, riuscii a
recuperare il mio solito ritmo scolastico, e stranamente mi ero anche abituata
alle frecciatine che Kintaro
mi lanciava durante le lezioni, senza preoccuparsi di quello che il professore
poteva pensare. A me bastava studiare e mi sentivo in pace.
Stranamente non aveva ancora
incominciato con i suoi soliti scherzi. In compenso Kaji
doveva essere venuto a sapere della notizia "dello spogliatoio"
perchè non mi rivolgeva la parola da giorni. In compenso non credo che Mariko si fosse dichiarata dopo
aver saputo la notizia.
Entrai come sempre in classe
aprendo la porta e trovandomi davanti uno spettacolo insolito.
SachikoUeda si era presentata davanti a
me, e nell'attesa si era fermata a parlare con Kintaro.
Li ignorai deliberatamente, ma
evidentemente non mi era concesso tale privilegio.
-Sei tu la Nokaze?-
chiese la Ueda in tono sprezzante.
-Dipende da chi mi cerca- sorrisi acida.
-Sei una stronza!
Per causa tua adesso nell'istituto credono che sia una facile!- sbottò
arrabbiata.
-Ah davvero?- feci un finto tono
di stupore.
-Non fare la finta tonta!
Perchè sei andata in giro a dire di quella volta?!-
tirò a se il banco invitandomi ad alzarmi e a guardarla.
-Perchè qualcuno... si è divertito a raccontare palle sul
mio di conto.... per cui mi hanno chiesto la
verità, io l'ho resa pubblica, non è certo un reato dire la
verità- risposi acida, ma ancora tranquilla.
-La tua è diffamazione!-
scoppiò lei.
In tono piatto risposi a mia volta
-Non cercare scuse per il tuo comportamento, se qualcuno dovrebbe arrabbiarsi,
quella dovrei essere io- la guardai.
-Vuoi davvero sapere perchè
me la facevo con il tuo ragazzo?- rispose acida, mi limitai a fissarla con
occhi di ghiaccio. -Perchè tu non sei stata
capace di soddisfarlo a dovere!- aggiunse in tono saccente.
-Se tu sei abituata a scoparti
tutti i tuoi fidanzati dopo due mesi che ci stai assieme, allora sappi, che non
tutte sono come te... e io sono tra queste ultime- sorrisi
in tono perfido, invitandola ad uscire dall'aula.
Lei non fece problemi a seguire il
consiglio ma prima di uscire si preoccupò di
precisare che me l'avrebbe fatta pagare cara.
Rimasi sola in classe con Kintaro, prima dell'inizio delle lezioni mancava ancora una
mezz'ora.
-Quest'oggi abbiamo il primo turno di pulizie- iniziò lui, osservandomi mentre prendevo i quaderni dalla cartella e
iniziavo a ripassare per la lezione.
-Va bene- risposi sfogliando le
pagine.
-Dopo hai da fare?- chiese in tono
tranquillo.
Alzai lo sguardo per vederlo e mi
fissava attendendo una risposta. -No, perchè?- chiesi.
-Ti andrebbe di andare a mangiare
qualcosa?- aggiunse sorridendo.
-Yukame, mi stai forse chiedendo di passare un'intera serata con
te?- alzai un sopracciglio stupita.
-Piantala di chiamarmi per
cognome, chiamami Kin-Chan, e comunque si... hai
capito benissimo- sorrise.
-A cosa è
dovuto questo enorme cambiamento?! Credevo mi odiassi!-esclamai
divertita.
-Non ti ho mai odiato... lo sai...-Sorrise ambiguo abbassando lo sguardo. -Allora?-
rialzò gli occhi per scrutarmi.
-Ok- risposi, senza
nemmeno pensarci troppo.
Le lezioni trascorsero velocemente
e presto venne il turno delle pulizie, oltre a me e a Kintaro
c'era di turno anche Kaji. Il silenzio restava nell'aria mentre mi occupavo della lavagna e della cattedra, gli
altri due pulivano i pavimenti e i banchi.
-Ara-chan, ti manca molto?- chiese Kintaro
appoggiato allo spazzolone, in attesa di metterlo via.
-Adesso arrivo...- mormorai
riponendo i gessetti in ordine nel cassetto.
Kintaro andò a riporre il materiale nel ripostiglio
mentre rimasi nella classe con Kaji, senza
fiatare mi diressi a prendere le mie cose prima di andare.
-Esci con quello?- chiese Kaji infrangendo quel silenzio lugubre.
-Non ti riguarda- risposi secca
per poi uscire dall'aula prendendo anche la giacca e la cartella di Kintaro.
Una volta
raggiunto scendemmo nel cortile per poi
uscire verso la metro.
-Dove mi porti?-
chiesi curiosa sedendomi in un posto appena liberatosi.
-Hanno aperto da poco un ristorante
specializzato in Okonomiyaki- rispose lui.
Sorrisi e cominciammo a parlare
del più e del meno.
La serata trascorse piacevolmente.
-Si è fatto buio, hai
avvisato i tuoi?- chiese lui. Annuii con il capo.
-Ti accompagno, ti spiace? Tanto
sono di strada- rispose di rimando e camminandomi di fianco, con la cartella
sulla spalla.
-No figurati...- rimasi in
silenzio cercando di stare al suo passo. -Kintaro...?- lo chiamai attirando la sua attenzione.
Lo vidi voltarsi verso di me e
sorridere, in quel momento mi sembrò così strano chiamarlo per
nome, e soprattutto per intero. Allo stesso tempo cominciai a capire
perchè le mie compagne lo trovavano tanto carino. Era cambiato
decisamente dalle scuole medie.
Ora era più alto di me di
diversi centimetri, mentre un tempo ero io quella che lo guardava dall'alto al
basso. I capelli neri gli facevano risaltare il volto dai lineamenti molto
fini, tipicamente orientali, completati da due occhi scuri a mandorla. Sorrisi
al pensiero dei commenti di mia madre, che sicuramente l'avrebbe incastrato per
un suo ritratto.
-Cosa c'è?- chiese lui
vedendomi assorta nel contemplarlo.
-Perchè ti sei iscritto alla mia scuola?- chiesi.
-Perchè mi annoiavo nell'altra senza di te...- sorrise per poi
arrestarsi e fermasi a guardarmi.
C'era qualcosa di strano, qualcosa
di diverso nel suo sguardo, o forse, più semplicemente lo vedevo per la
prima volta. Vidi il suo volto avvicinarsi al mio, non so per quale motivo ma istintivamente chiusi gli occhi. Lo sentii
sfiorare la pelle della mia guancia con le labbra.
Quando riaprii gli occhi lui si
era allontanato e sorrideva divertito. Poi mi prese per mano e mi
trascinò di nuovo lungo la via.
Arrivammo alla stazione per
prendere il treno, fortunatamente l'orario di punta era passato da un pezzo ed
era possibile sedersi lungo i posti disponibili.
Restammo a chiacchierare per
diversi minuti fino all'arrivo della mia fermata.
-Devo andare...- mi alzai
avviandomi alla porta automatica, poco prima dell'arrivo.
-Mi è piaciuta questa
serata, dovremmo sperimentare cose simili di nuovo- sorrise accompagnandomi.
-Quando non ti arrabbi potresti essere definita "quasi adorabile!- ammiccò.
-Io Sono adorabile!- risposi
indignata incrociando le braccia.
Lui mi prese il volto tra le mani
e mi scoccò un altro bacio sulla guancia, sorrisi a quel tocco e poi lo
salutai nello scendere dal treno, appena arrivato.
Vidi chiudersi davanti a me le porte mentre lui salutava ancora con la mano. Il treno
ripartì nella sua corsa.
Mi voltai per tornare a casa e
attraversai il passaggio per uscire dalla stazione mostrando la tessera
dell'abbonamento.
Iniziai a salire le scale per
uscire dal sotterraneo quando mi trovai di fronte Kaji. Aveva le mani in tasca e un berretto in testa, non
aveva iù la divisa, evidentemente era tornato
a casa a cambiarsi. Mi chiesi per la prima volta quanto tempo fosse passato in compagnia di Kintaro.
Guardai l'orologio e mi accorsi che si erano fatte le 10.30. Camminai salendo i
gradini ignorando totalmente la sua presenza.
-Sai che è proibito uscire
con qualcuno con addosso la divisa senza il consenso
della presidenza?- chiese lui in tono acido sperando di fermarmi. Ma continuai
a camminare senza voltargli le spalle. -Mi hai sentito?- insistette.
-Si ti ho sentito... e sai che ti
dico, la tua è solo una scusa- non mi voltai nemmeno nel dire quelle
parole.
-E va bene è una scusa! Sta
di fatto che non sopporto che tu esca con qualcuno!- rispose lui di botto.
Ripresi a camminare. Sentii alle
mie spalle i suoi passi seguirmi. -Io esco con chi mi pare- risposi secca.
-No che non lo fai!-
mi prese per un braccio costringendomi a guardarlo. In quel momento mi parve
come qualcosa di repellente, che non volevo mi toccasse.
-Lasciami in pace- risposi
liberandomi dalla stretta.
-Cosa ci trovi in quel bamboccio!?- mi strillava contro, il che lo rendeva ancora più
insopportabile.
-Mmmm vediamo, non sta con me solo per portarmi a letto?- lo
guardai per la prima volta, ora decisamente arrabbiata.
-Io non...
- iniziò a parlare ma lo fermai.
-Tu "non" cosa? Non
mentire, sai benissimo che ho ragione!- questa volta
ero io ad alzare la voce.
-Da che mi hai lasciato non riesco
a smettere di pensarti!- il suo tono ora era supplichevole.
-Vai dalla Ueda,
sicuramente saprà come consolarti- gli strillai, poi aprii la mia borsa
e presi un ciondolo che mi aveva regalato e che avevo appeso al cellulare. Lo
strappai dalla rabbia e glielo gettai in faccia. -Lunedì ti faccio avere
anche il resto!- mi voltai e presi a correre verso casa.
A metà tragitto trovai Kamui e Shin che mi stavano
venendo incontro.
-Dove diavolo eri finita? La mamma
cominciava a preoccuparsi...- esclamò uno dei due, non seppi dire quale.
-Andiamo a casa...- fu la mia sola
risposta. Poi salii le scale del condominio in cui abitavamo, mi tolsi le
scarpe, e corsi in camera mia a tirare fuori dai
cassetti tutto quello che Kaji mi aveva regalato.
Nuovamente
ringrazio i miei lettori e i loro commenti!
Buona
lettura!^^ by Sayu!
*Arashi in Love*
Capitolo 3
-Un grosso sbaglio -
Passai il fine settimana a casa a studiare, essere il rappresentante
degli studenti richiedeva anche avere una media impeccabile, senza contare che
l'anno prossimo avrei iniziato gli studi universitari. Fortunatamente ero una
persona che non aveva bisogno di stare troppo sui libri per ottenere risultati
decenti.
Stavo chattando al computer con Alexis, quando vidi irrompere Shin
nella mia stanza.
-Arashi-chan,
ti vogliono da basso, hai ospiti.- commentò trattenendosi dallo
scoppiare a ridere.
Lo guardai perplessa, per poi capire cosa stava succedendo.
Da basso c'era mia madre!
Corsi immediatamente fuori dalla
stanza, poi mi fermai di botto prima di attraversare la porta che dava sulle
scale. Mi guardai da capo a piedi e mi resi conto di come ero vestita. Corsi
nuovamente in camera, da dietro la porta sentii la voce di Shin
soffocare una risata. -Ero curioso di vedere quanto ci avresti impiegato prima
di capirlo.
Mi vestii velocemente indossando qualcosa di guardabile,
mentre mi scusavo con Alexis digitando che avevo
ospiti.
Una volta resa presentabile scesi di corsa lungo la scala e
vidi mia madre che aveva preso per il viso Kintaro,
mentre stavano al centro della stanza.
La scena era sconvolgente. Mia madre era più bassa di
lui di almeno tutta la testa e lo girava in mille posizioni per studiarne i
lineamenti. -Mamma, per favore non torturarlo!- mi intromisi entrando nel
salotto.
-Non mi sta torturando tranquilla!- rispose lui tranquillo e
tutto sorridente. Vidi in mia madre una luce strana. Poi sorrise e mi
guardò con gli occhi che quasi luccicavano.
-Vi lascio soli, ma mi raccomando, non disturbare tuo padre,
sta riposando.- disse per poi andare in cucina a preparare il pranzo. Poi
dall'altra stanza si sentì nuovamente la sua voce -Vuoi fermarti con noi
a pranzo?- la sua testa sbucò nel salotto in
attesa di risposta.
Guardai mia madre furente.
-Se per voi non crea disturbo...- rispose lui acconsentendo.
-Cosa... ci fai qui?- chiesi portando una ciocca dietro
l'orecchio, mi sentivo strana a stare a casa, il mio
rifugio, con lui davanti.
-Lo so, sono uno stupido, ma avevo solo bisogno di
vederti... - disse a bassa voce, consapevole che da dietro la porta avrebbero
potuto origliare.
Mi sentii invadere da una strana sensazione di calore, mai
provata. Lo guardai senza sapere cosa dire.
Lui portò una mano ad accarezzarmi il volto, mentre
lo vedevo sorridermi e guardarmi con quegli occhi scuri e intensi.
Se non fossi stata nel salotto di
casa mia, sapendo che dietro la porta mi stavano spiando, sicuramente avrei
faticato di resistere alla tentazione di baciarlo.
Chinai la testa interrompendo quel dolce contatto per poi
posare le mani sui fianchi e voltarmi verso la porta. -Avete finito di spiare?-
dissi scocciata.
Subito dopo le teste di Shin, Kamui e mio padre spuntarono.
-Dobbiamo imparare ad essere più discreti ragazzi....- disse mio padre ai due gemelli.
-Ma se sei tu che fai sempre rumore quando
non devi!- ribattèKamui.
-Il punto non è questo...- li guardai furente, mentre
una venuzza sulla mia fronte cominciava a pulsare.
-Direi che noi ci dileguiamo...- disse Shin
trascinando viaKamui.
-Muoviti prima che diventi una tempesta!-* (piccola nota: Arashi,
tradotto dal Giapponese significa tempesta, quindi il commento è mirato
al significato dell'ideogramma con cui è scritto il nome di Arashi, ovvero tempesta)
Rimase solamente mio padre che si sollevò dal
pavimento. In quel momento, vedendolo di fronte a Kintaro
notai quanta differenza di statura stava tra lui e mia madre. A differenza di
lei, papà poteva benissimo guardare negli occhi Kintaro.
Involontariamente mi chiesi cosa legava mia madre a mio padre, come due culture
così diverse si siano potute unire così bene. Anche se, mamma, di
italiano aveva solo il nome e l'aspetto. Nei modi di fare e nel linguaggio non
invidiava niente a nessuno.
-Piacere di conoscerti, sono HirokiNokaze, il padre di Arashi,
probabilmente non ti ricordi di me, ma in compenso ho sentito spesso parlare di
te in questa casa...- sorrise facendo un leggero inchino verso Kintaro.
-Piacere di conoscerla, il mio nome è KintaroYukame.- ricambiò
l'inchino. -Sono compagno di classe di sua figlia.- aggiunse.
Vidi negli occhi di mio padre qualcosa che non avevo mai
visto prima. Scrutava a fondo il ragazzo che aveva davanti con uno sguardo
serio.
Poco dopo fu pronto in pranzo e le ore passarono
velocemente. Mi ero completamente scordata di Alexis,
e passai il pomeriggio a ripassare alcune lezioni con Kintaro,
che aveva portato con se gli appunti.
Venne sera prima ancora di accorgermene e per lui fu l'ora
di tornare a casa.
Quando chiusi la porta alle mie spalle, dopo averlo
accompagnato alla stazione vicino casa, mi ritrovai
sommersa da un vociare terribile.
-Complimenti figliola, io ti appoggio, molto meglio lui di
quel Kaji!- esclamò mia madre prendendo per
prima la parola.
-Finalmente ne hai trovato uno degno di te!- Esclamarono in
coro Kamui e Shin, entrambi
sghignazzanti.
Poi guardai mio padre, sapevo che doveva dire qualcosa anche
lui. Lo vidi alzarsi e avvicinarsi. Il volto era tremendamente serio. Poi mi
appoggiò la mano sulla spalla e rimase a guardarmi.
I secondi scorrevano e diventavo sempre più
perplessa.
Poi lo vidi sospirare, abbassò il capo per poi
tirarlo su di colpo e aspirare aria dalle narici che divennero tonde.
-Approvo la tua scelta! Potete sposarvi!- disse in tono
solenne.
Lo guardai sconvolta da quelle parole.
-CHE COSA?!
MA VI E' ANDATO DI VOLTA IL CERVELLO?! VOI SIETE
MATTI!- strillai isterica per poi correre nella mia stanza.
Nel frattempo tra di loro restarono
a confabulare.
-Dice così solo perchè si vergogna, si vede
che sono cotti l'uno dell'altra- affermò mia madre.
Gli altri tre annuirono in coro con un cenno della testa.
Il giorno seguente avevo preparato il cofanetto che Kaji mi aveva regalato all'inizio della nostra storia, con
dentro tutte le cianfrusaglie che mi aveva regalato.
Indossai la divisa, come tutti i giorni,
ma questa volta commisi una piccola infrazione al mio solito
abbigliamento. Decisi di raccogliere i capelli in una semplice treccia lungo la
schiena. Era consentito, peccato che non potevo mettere qualche fermaglio
colorato. A volte le regole d'abbigliamento della scuola erano eccessive a mio
parere.
Scesi le scale per fiondarmi in
cucina. Ogni volta che incrociavo un membro della mia
famiglia mi guardavano tutti sorridenti e con gli occhi eccessivamente curiosi.
Presi una tazza di tè verde, preparato in
quantità industriali da mia madre. Poi infilai la felpa grigia e mi
diressi alla porta.
Quel giorno i due fratelloni non
avevano lezione e salutai mia madre che, essendo in piena crisi da mancanza
d'ispirazione, era come in trance.
Nell'uscire di casa vidi delle nubi grigie addensarsi
all'orizzonte, pensai che era il caso prendere
l'ombrello per quel giorno.
Presi a camminare lungo la strada di casa, nella mia mente
frullava ancora la lezione di Giapponese antico del venerdì precedente,
quando mi ritrovai senza nemmeno rendermene conto davanti all'ingresso della
stazione. Mostrai il tesserino e attraversai la struttura fino ad arrivare ai
binari. C'era già un discreto numero di persone a quell'ora,
anche se era decisamente presto per i pendolari mattutini.
Il display lampeggiò sopra la testa, quando la voce
elettronica uscì dagli altoparlanti.
"Il treno per Shinjuku, in arrivo sul binario 6 sarà in ritardo di 6 minuti.
Ci scusiamo per il disguido"
Sospirai e cercai un posto a sedere, mi sarebbe toccato
aspettare ancora.
Davanti a me, nella stazione, c'era un mucchio di gente.
Studenti di altre scuole chiacchieravano allegramente. In un angolo dei
teppisti fumavano ignorando totalmente il divieto, uno di loro aveva in testa
una cresta rosso fuoco e le lenti a contatto gialle, pensai decisamente che
persone del genere fossero semplicemente pazze. Poco distante c'erano altre
studentesse, le tipiche Yakee dalle gonne lunghe e i piercing al naso... sorrisi al pensiero di persone simili
nella mia scuola. Sicuramente sarebbero impazzite con i professori... o forse
sarebbe stato il contrario.
Guardai la borsa che avevo in mano, la maggior parte di
quelle cose nemmeno mi piaceva, quando mi erano state regalate avevo sorriso
con cordialità, ma di certo non erano il mio genere.
Provai una punta d'invidia per gli studenti italiani. Sapevo
che loro a scuola non erano perseguitati come noi. Alexis
ad esempio era ancora in vacanza, prima di ottobre non sarebbero iniziate le
sue lezioni.
Finalmente il treno giunse risvegliandomi da quei pensieri e
salii un po' schiacciata tra i vari impiegati in giacca e cravatta che dovevano
recarsi in ufficio.
Dopo un quarto d'ora abbondante di viaggio finalmente ci fu
il capolinea. Chiesi permesso più volte prima di riuscire a passare.
Una volta fuori da quel treno mi
sentii chiamare alle spalle da qualcuno.
-Buongiorno Ara-chan!- era Kintaro, solo lui mi chiamava a quel modo!
-Buongiorno- risposi gentile avanzando insieme a lui verso l'uscita per non intralciare il traffico.
-Cos'hai nella borsa?- chiese
curioso cercando di spiare.
-I regali che Kaji mi faceva quando stavamo assieme...- dissi in tono piatto.
-Capisco...- mormorò lui, continuando a camminare con
la sua solita andatura svogliata e la cartella poggiata sulla spalla.
Dopo diversi minuti di tragitto arrivammo a scuola. Il
cortile era semi deserto come tutte le mattine a quell'ora. Solo i più secchioni arrivavano prima per
ripassare la lezione del giorno.
Andammo agli armadietti, dirigendomi così verso la
sezione femminile. Aprii lo sportello, non venivano
mai chiusi a chiave, solitamente ci si fidava dei propri compagni, anche se
spesso bisognava controllare che qualcuno non ti mettesse puntine o supercolla
nelle pantofole.
Mi cambiai le scarpe e richiusi nuovamente lo sportello.
Salii le scale, lentamente, avevo perso di vista Kintaro, ma sicuramente l'avrei rivisto in classe. Poi una
voce sul pianerottolo tra il primo e il secondo piano mi spinse a fermarmi in
mezzo alla scala.
-Avete visto quella della A? La
capoclasse? Non credete anche voi che si dia un
mucchio di arie?- borbottava una ragazza.
-Si concordo! Poi che confidenza con il sempaiYukame!- rispose l'altra.
Ma evidentemente non dovevano essere le sole perchè una
terza voce intervenne. Questa però la conoscevo. -Si dice che li abbiano
visti nel quartiere dei piaceri lo scorso fine settimana!- era la Ueda.
-Davvero?! L'ho sempre detto che quella ragazza sembra tanto
santarellina ma in realtà è una troietta come tante altre- rispose la prima ragazza.
-Senza contare che va in giro a
dire di te che le hai soffiato il ragazzo!- mormorò la seconda.
-Quella fa solo la parte della santarellina!- aggiunse la Ueda
per poi scoppiare a ridere.
Non ce la feci più. Presi a salire le
scale decisamente furente fino a che me la trovai davanti. La guardai da
capo a piedi e appoggiai la cartella lungo la parete, lanciai la borsa con i
regali e presi a salire le scale. Una volta di fronte a lei le
tirai uno schiaffo che risuonò lungo tutto il pianerottolo
accresciuto dall'eco.
Non avevo nemmeno notato il professore alle mie spalle. Vidi
semplicemente quella ragazza saltarmi addosso e prendermi per i capelli,
iniziai a graffiarla fino a che non mi sentii strattonare da delle braccia maschili
e mi ritrovai di fronte la faccia del prof di Giapponese.
-Sono rimasto basito di fronte al suo comportamento
signorina Nokaze.- fu il suo unico commento.
Ero stata trascinata in presidenza
per la prima volta dall'inizio della mia carriera scolastica. Ma non ero
pentita di ciò che avevo fatto.
-Signorina Ueda, conoscendo i suoi
precedenti, sono sicuro che il gesto della signorina Nokaze, sia senza ombra di
dubbio dovuto a qualcosa detto da lei... - il professore iniziò a
rimproverare la Ueda,
evidentemente non era la prima volta che provocava qualcuno al punto di
spingerlo ad usare la violenza. -Tuttavia, in quanto rappresentante degli
studenti, deve capire, signorina Nokaze, che il suo gesto non è per
nulla giustificabile, ne è consapevole vero?- continuò questa
volta rivolto a me.
-Si professore- fu la mia replica
con occhi glaciali rivolti verso un punto imprecisato dietro la scrivania.
-Bene, almeno è consapevole
del suo sbaglio, ora vorrei che chiedesse scusa alla signorina Ueda- aggiunse.
-Chiederò scusa quando la
signorina Ueda, smetterà di diffarmarmi davanti i compagni- risposi
sempre gelida.
-Io diffamarti? Sei tu che sei
andata in giro a dire che mi sono fatta il tuo ragazzo nel ripostiglio delle
scope!- sbottò lei acida davanti al professore, che prese gli occhiali e
li sistemò sul naso, guardando prima lei, poi me, con occhi sconvolti.
Sorrisi e mi voltai lentamente a
guardarla. -E' forse una bugia? Sono diventata cieca forse?-
Lei rimase in silenzio
boccheggiando senza sapere cosa rispondere. Il prof era sempre più
sconvolto e iniziò a parlare -Signorina Ueda! Non mi pare un
comportamento consono ai membri di questa scuola!- era decisamente sconvolto.
-Almeno io non esco a pomiciare
con i miei compagni a Shibuya! E lo sanno tutti che è chiamato il
quartiere dei piaceri!- sbottò lei acida.
Incassai il colpo. Il professore
si voltò verso di me. -Cosa significa questo signorina Nokaze...?-
questa volta il tono era serio ed indagatore.
-Mandi a chiamare Kintaro Yukame!
I due rappresentanti degli studenti erano assieme venerdì scorso a
quando mi ha detto un mio amico!- quella ragazzina non la smetteva di parlare,
sapeva perfettamente che una notizia del genere avrebbe provocato senza dubbio
sospetti nel consiglio docenti.
-Sta dicendo il vero?- si era
voltato a guardarmi, continuando a sistemarsi gli occhiali.
-Abbiamo semplicemente cenato
assieme per accordarci sullo studio. Può chiedere conferma, e se non mi
crede posso ripeterle esattamente tutta la lezione prevista per oggi, dato che
ho passato due giorni a studiarla.- mi aggrappai all'ultimo appiglio che mi era
rimasto.
-Sta mentendo!- strillò la Ueda in preda al panico.
-Perchè dovrei? Può
anche chiedere a Yukame, sicuramente avrà ancora la ricevuta della
cena.- risposi con sicurezza guardando il professore.
-Mandatemi a chiamare Kintaro
Yukame.- disse il professore.
-Veramente iniziano le lezioni tra
meno di cinque minuti, non potremmo...- la Ueda sperava forse di svignarsela?
La guardai, trattenendomi dal
sorridere, non avrebbe di certo aiutato.
Pochi minuti dopo Kintaro si
presentò davanti al professore mostrando la ricevuta del locale e confermando
la mia versione.
-Signorina Ueda, evidentemente
deve cambiare informatori-ammiccò quasi sollevato l'insegnante - inoltre
non sta bene sparlare alle spalle delle persone senza conoscerne i veri fatti.-
concluse. -Direi che una settimana di punizione dovrebbe servirle di lezione, e
ringrazi che non la sospendo. La diffamazione è un reato.-
Poi lo vidi voltarsi verso di me.
-Signorina Nokaze, ammetto che lei è senza dubbio una ragazza
affidabile, tuttavia le sconsiglierei di farsi vedere a Shibuya, non gioverebbe
alla sua immagine. In quando al suo comportamento di stamani...- fece una
pausa. -E' ingiustificabile, per cui darò anche a lei una punizione di
una settimana da scontare con la signorina Ueda. Vi voglio nel mio ufficio al
termine delle lezioni per affidarvi il compito.-
Fummo tutti e tre rimandati nelle
nostre aule, una volta usciti dalla porta e abbastanza lontani dalla sala
insegnanti la Ueda
mi puntò il dito contro. -E' tutto per causa tua, ma verrà il
giorno in cui non sarai più tanto popolare! E allora sarò io a
ridere dopo la tua caduta!- mi minacciò.
Kintaro si intromise tra me e lei
e la guardò dall'alto al basso. -Tieni a freno la lingua, non sei nella
posizione di dire nulla! E ricorda che non quello che vai a dire in giro, crei
problemi anche a me, e se vengo a sapere altro, non sarò così
gentile come ha fatto Arashi... - poi mi prese per mano e mi trascinò in
aula.
Il professore era rimasto ancora
in aula insegnanti e i compagni ci guardarono sospettosi vedendoci mano nella
mano.
Istintivamente mi staccai ed andai
a sedermi, la mia cartella era stata appoggiata al banco ma il sacchetto era
sparito. Guardai istintivamente per la classe e vidi che Kaji guarva fuori
dalla finestra mentre parlava con altri compagni, ai suoi piedi aveva il sacchetto.
-E' stato stupido il tuo
comportamento...- mi disse Kintaro voltandosi, il volto era serio.
-Sono stanca di rimetterci sempre
per colpa di quella! Mi da sui nervi!- brontolai incrociando le braccia.
-Ti da sui nervi perchè ti
ha portato via il ragazzo, oltre che per le bugie che racconta sul tuo conto-
non era di certo una domanda.
-Non me ne frega nulla, anzi, mi
ha aiutato a capire che razza di stronzo fosse...- guardai male Kaji.
-Sta di fatto che ti piace ancora,
per quanto tu faccia l'orgogliosa, semplicemente ti brucia che ti abbia
tradita- rispose lui questa volta voltandosi.
-Ti sbagli!- protestai.
Non rispose. Iniziò la
lezione e per tutta la durata della giornata nemmeno mi guardò in
faccia. Sentii un blocco sullo stomaco dopo pranzo e non passò nemmeno
quando il professore annunciò la punizione, avremmo dovuto lucidare
tutti i trofei vinti dalla scuola e ripulire la sala insegnanti per tutta la
settimana.
Iniziai la punizione in silenzio,
senza fiatare e semplicemente pulendo quello che mi era stato dato. Non
riuscivo a smettere di pensare alle parole di Kintaro.
Sapevo benissimo che non era vero,
non provavo nulla per Kaji, anzi, molto probabilmente non avevo mai provato
nulla per lui. Mi ci ero messa assieme tanto per sapere cosa significasse avere
un fidanzato, ma a dire il vero non mi entusiasmava molto la cosa.
Fuori dalla finestra iniziò
a piovere e poco dopo anche a tuonare. Fortunatamente mi ero premunita con
l'ombrello.
La mia compagna di punizioni
invece parve decisamente più irritata da quel temporale.
Terminai la lucidatura quando
ormai tutti gli insegnanti erano usciti. Scesi le scale tranquilla mentre
estraevo l'ombrello dalla borsa.
La Ueda,
evidentemente doveva esserne sprovvista perchè mi guardò con
astio.
Sospirai e pensai in quel momento
che doveva essermi andato di volta in cervello.
-Ti accompagno alla stazione-
dissi gelida. -E non pensare che sia per pietà- aggiunsi in tono
sprezzante.
Evidentemente quella ragazza non
doveva essere poi così stupida perchè accettò l'invito e
malvolentieri percorsi con lei il cortile fino a raggiungere la stazione.
Era praticamente già buio
quando entrammo nella struttura piena di luci al neon quasi angoscianti,
ricordava vagamente un ospedale.
Scesi i gradini dopo aver compiuto
la mia buona azione, appena terminata la scalinata sentii la voce della Ueda
cogliermi alla sprovvista.
-Perchè ce l'hai tanto con
me?- chiese. -E' sato lui a volerlo... voleva farti ingelosire di proposito-
ammise scendendo poi le scale e fermandosi di fianco a me.
La guardai semplicemente e non
risposi. Mi limitai a sospirare. -E perchè tu ce l'hai tanto con me?-
chiesi a mia volta.
-Perchè lui è
innamorato di te, invece io resto solo un passatempo- guardava da un'altra
parte, ma il suo tono era amareggiato.
-Per quel che mi riguarda non lo
posso ricambiare...- mormorai abbassando lo sguardo.
-Già perchè sei
innamorata di lui non è vero? Di Yukaze...- chiese questa volta
guardandomi negli occhi.
Per la prima volta mi fece notare
che aveva ragione. Alle medie ero consapevole dell'affetto che provavo per lui,
per quanto Kintaro si divertisse ad irritarmi e a provocarmi. Ma avevo represso
quei sentimenti per paura di soffrire.
Sorrisi, questa volta ero io ad
essere amareggiata. -Si, lo sono da sempre...-
-E allora vai da lui...- disse la Ueda indicando qualcosa
dietro di me, poi prese a dirigersi verso i binari.
Sapevo chi c'era alle mie spalle,
ma avevo paura a voltarmi. Poi presi il coraggio a due mani e mi voltai.
Kintaro mi stava guardando. Mille
domande mi tartassavano la testa, cosa ci faceva ancora lì, aveva
sentito tutto?
Lo guardai presa da panico.
Poi non seppi più nulla,
sentii semplicemente le sue labbra sulle mie e le sue mani che mi sfioravano i
fianchi stringendomi a lui.
Quando mi staccai rimasi stupita a
fissarlo con gli occhi spalancati.
-Scusami, ti ho trattato
malissimo...- mormorò lui.
-E' acqua passata...- mormorai a
mia volta per poi alzarmi e ripetere quel tocco andando a baciarlo nuovamente.
Mi abbandonai a lui per diversi
minuti che parvero ore, e contemporaneamente, parvero non bastare mai.
Poi la voce dell'alto parlante ci
ricordò che avevamo un treno da prendere.
Passammo il tragitto a programmare
il fine settimana, fantasticando su un pic nic al parco, nel caso ci fosse
stato bel tempo. Avrei preparato l'Obento per lui, per la prima volta in vita
mia avrei cucinato per un ragazzo. Ero a dir poco elettrizzata.
Quando tornai a casa e tolsi le
scarpe, nemmeno mi ero accorta che i calzettoni erano completamente fradici. Mi
sentivo come se sotto di me non ci fosse nulla e stessi volando ad un metro da
terra. I miei fratelli si limitarono a guardarmi e chiedermi se ero pazza.
Salii in camera mia e appoggiai la
cartella alla scrivania.
Poi la voce di mia madre mi
riportò alla realtà.
-Ha telefonato la scuola... in
punizione per una settimana? Questo è strano persino per te!-
esclamò, pareva arrabbiata.
-Si...- risposi, non avevo voglia
di pensarci.
-Sei in castigo, per un mese non
uscirai da qui se non per andare a scuola. Ti verrà tolto l'internet e il
cellulare.- Andò a staccare la presa dietro il computer, non riuscivo
nemmeno a fermarla, se l'avessi fatto probabilmente sarebbe stato solo peggio.
Poi si fermò davanti a me col palmo aperto. Consegnai il cellulare.
Il mio umore si incupì di
colpo. Ora dovevo dire a Kintaro, che del fine settimana non se ne faceva
più nulla...
Era incredibile di come da un
momento all'altro potesse cambiare la situazione....
Eccomi tornata da voi con il capitolo
nuovo, perdonate se ci ho messo un po’ più del solito a pubblicare ma ho avuto alcuni impegni :P
Passo subito a ringraziare Hatori, yuna, bamboladipezza
e Flo per le recensioni lasciate! Grazie!!!
E poi ovviamente ringrazio chi legge
comunque la fic… spero non deluda…
Ora vi lascio alla lettura^^
*Arashi in Love*
Capitolo 5
-Telefonata-
La punizione a scuola trascorse velocemente, quella di mia
madre, invece, fu decisamente più ardua, tuttavia, presto, tutto
tornò a scorrere normale.
Dal giorno in cui mi misi con Kintaro sono trascorsi due mesi, sebbene uno sia trascorso
potendo stare con lui solamente nelle ore scolastiche. Con la Ueda
invece pareva andare tutto perfettamente, lentamente avevamo cominciato a
prendere tra noi un tono molto più confidenziale, si poteva quasi dire
che eravamo amiche.
Oltre alle lezioni normali, inoltre, mia madre ha insistito affichèfrequentassi il
corso preparatorio all'esame universitario, inizialmente mi opposi, visto che
avrei avuto il passaggio automatico nell'università annessa
all'istituto, tuttavia non volle sentire ragioni.
Il tempo quindi scorreva frenetico, presa
com'ero dagli esami e dallo studio, e nel poco tempo libero che ci restava, io
e Kintaro, passavamo spesso ore a chiacchierare o
uscire per musei. Mi sentivo molto bene in sua compagnia, riuscivo ad essere tranquilla, nonostante qualche piccolo battibecco
ogni tanto.
Però, una tempesta stava per abbattersi sulle nostre
vite. Ne notai le prime avvisaglie dopo l'avvenimento che mutò di botto
il comportamento di mia madre.
Quella sera ero appena tornata dal corso preparatorio, ero
esausta e avevo ancora i capelli bagnati dalla doccia appena fatta. Mia madre
era, come sempre, rinchiusa nel suo studio nel suo solito stato
"ispirato", come lo definisce mio padre,
quindi era decisamente intoccabile.
Papà e i due fratelloni
erano usciti, il primo aveva un appuntamento con lo zio, per una partita alla
società che frequentava, non ho mai capito poi cosa lo spingesse ad
amare tanto il gioco degli scacchi, anche se, data la strana mania di mia madre
per i fumetti, non mi stupivo più di tanto. Shin
e Kamui invece erano l'uno dalla propria ragazza e
l'altro al circolo del Kendo, come ogni sera.
Avevo appena acceso il televisore, in quella fascia oraria
davano solamente telegiornali, assistetti alla notizia dello tsunami che si era appena ripercosso sulle coste cinesi,
quando all'improvviso il telefono prese a squillare.
-Pronto? Famiglia Nokaze,
desidera?- risposi gentilmente alzando la cornetta.
Rimasi decisamente stupita quando
dall'altra parte del ricevitore mi risposero in inglese con una strana cadenza.
Chiedevano di mia madre.
Coprii un lato dell'apparecchio per non irritare il signore,
che non aveva nemmeno detto quale fosse il suo nome.
-Mamma! Ti vogliono al telefono!- strillai dal salotto,
consapevole che nella stanza di lato, sarebbero giunte le mie grida.
Sentii la porta aprirsi e svogliata, avvolta dalla
vestaglia, uscì mia madre, terribilmente stanca con due occhiate
terribili. -Ti ha detto chi è?- chiese lei.
-No, parla inglese, magari è italiano...- risposi
alzando le spalle e passandole l'apparecchio telefonico.
In quel momento vidi il suo volto cambiare non appena rispose
con un inglese appena accennato. Dopo aver capito chi fosse,
intuii che il mio dubbio era fondato, era qualcuno dall'Italia.
Rimase li per diversi minuti a
parlare, pareva quasi preoccupata e muoveva il filo arricciato della cornetta,
nervosa. Poi dopo aver parlato con un dialetto della sua zona, molto stretto,
attaccò l'apparecchio.
-Chi era?- chiesi istintivamente.
-Nessuno, solo il commercialista, solite questioni di
lavoro...- mormorò per poi rinchiudersi in camera.
Rimasi perplessa. Da quando in qua mia madre aveva cambiato
commercialista? Fino a una settimana prima era stato a casa nostra, ed era un
cittadino giapponese. Per quale motivo ha parlato inglese?
Scossi la testa allontanando i vari pensieri e tornai a
vedere il telegiornale.
Il giorno dopo mi alzai nuovamente di buon
ora. Mi vestii, feci colazione, poi uscii di corsa per andare a prendere
il primo treno. Quel giorno avevamo deciso di incontrarci, io e Kintaro, prima dell'inizio delle lezioni.
Quando lo vidi lo salutai baciandolo, per poi avviarmi con
lui nei giardini della scuola, mancava ancora una buona mezz'ora prima che
iniziasse la lezione di giapponese antico.
Eravamo seduti su una panchina. Faceva un freddo terribile,
si avvicinava il Natale e non cadeva nemmeno un fiocco di neve.
Gli alberi avevano ormai lasciato cadere tutte le foglie,
mentre noi parlavamo dei nostri buoni propositi per le feste.
Poi mi venne spontaneo descrivergli l'avvenimento
del giorno prima.
-In inglese dici?- chiese.
-Si e poi in italiano...- annuii precisando.
-Magari è il responsabile della casa editrice
italiana che cura i suoi lavori....- commentò
lui.
-No! Ti dico che è giapponese, fa spesso avanti e
indietro per casa nostra!- affermai più convinta.
Lui rimase fermo per un istante poi parve voler scacciare un
brutto pensiero e scosse il capo.
-Cosa pensi?- chiesi preoccupata.
-Niente, non preoccuparti, se ha detto che è solo
lavoro allora non c'è problema, no?- chiese sorridendomi, ma non mi
convinceva.
Lo guardai, rimanendo in silenzio.
-Avanti, smettila di guardarmi così!- rispose lui
facendomi il solletico per farmi cambiare espressione.
Poco dopo ci dirigemmo nelle aule a lezione. Quel giorno
tuttavia non capii molto della spiegazione del prof, ero troppo presa dai miei
mille pensieri per pensare alla lezione.
Il giorno dopo quei pensieri non mi avevano ancora
abbandonato. Vagai persa tra le nuvole quando mi
accorsi che avevo già passato la stazione da un pezzo, mi riscossi e
tornai indietro. Quello era l'ultimo giorno prima
dell'inizio delle vacanze. Attraversai la stazione scendendo i gradini e
mostrando meccanicamente l'abbonamento, involontariamente andai a sbattere
contro un ragazzo molto più alto di me, di
almeno tutta la testa, che aveva gli occhi colorati, così come i
capelli, di tinte innaturali ed estremamente assurde.
-Scusi!- mormorai facendo un leggero inchino. Quello mi
guardò, poi mi parve che sorrise, ma non vi badai troppo perchè
proseguii diretta al mio treno.
Quando scesi alla fermata della scuola, nel quartiere,
sgusciai tra i numerosi pendolari e salii le scale che portavano fuori.
Involontariamente mi trovai di fronte la Ueda
che pareva quasi aspettarmi.
-Buongiorno- mi sorrise cordiale
per poi invitarmi a farle compagnia.
-Buongiorno- risposi gentilmente.
-Come va?- la conversazione pareva tesa ma
risposi comunque affermativamente alla sua domanda.
-Senti, Nokaze... io volevo
chiederti... scusa per tutto quello che c'è stato in passato... mi sono
comportata da stupida...- disse tutto d'un fiato cogliendomi decisamente alla
sprovvista.
-Oh... Bè anche io ti
chiedo scusa, non avrei dovuto rispondere a quel modo alle tue provocazioni...-
ricambiai l'inchino che mi rivolse e poi fu più semplice riprendere il
discorso.
-Sai, tra me e Kaji, adesso sta
diventando una cosa seria...- sorrise illuminata in volto.
-Mi fa piacere!- esclamai, sinceramente sollevata dal
sentirlo dire.
-Tu con Yukame come procedi?-
chiese con uno strano luccichio negli occhi.
Rimasi un po' in sospeso senza sapere cosa dire,
effettivamente con Kintaro non era capitato nulla di
speciale. Al massimo solo qualche bacio.
In quel momento mi sentii in un certo senso come una
ragazzina delle medie, e non una ragazza dell'ultimo anno di liceo. Sapevo
perfettamente che almeno la metà delle mie compagne di classe erano
decisamente più esperte di me.
-Ho capito...- rispose da sola alla domanda. -Non l'avete
ancora fatto- rise quasi per prendermi in giro, ma non in modo troppo
offensivo.
Abbassai la testa e la voltai dall'altro lato per nascondere
il rossore che avevo in faccia.
-Allora ti conviene sbrigarti! Prima che qualcuno te lo rubi!- esclamò divertita dal mio imbarazzo.
La guardai torva mentre entravamo
nel cortile della scuola e la campana suonava la sua solita canzone stonata.
Dopo le lezioni il doposcuola non c'era. Per cui ne
approfittai per uscire con Kintaro. Avevamo deciso di
comprare assieme i nostri regali di natale quindi andammo per le vie di Tokyo a
cercare qualche bel negozio che vendesse articoli
interessanti.
Presi per lui una camicia, trovata in una boutique, ai
margini di un Corso che attraversava il quartiere. Il prezzo non fu eccessivo e
l'articolo gli stava divinamente indosso.
Lui invece decise di prendermi un ciondolo in argento con un
ideogramma portafortuna.
Ovviamente non c'era alcuna sorpresa nel comprare i regali
in quel modo, ma nessuno dei due era particolarmente legato alla festa quindi
ci andava bene così ad entrambi.
Tornammo stretti nelle sciarpe e nei cappotti verso la
stazione più vicina e chiacchierammo del più e del meno.
Avevo completamente dimenticato l'accaduto con mia madre, ma
ben presto sapevo che la verità sarebbe venuta a galla.
Perdonate l’immenso ritardo con cui posto il capitolo,
ma tra i miei vari impegni non ho più trovato il tempo per pubblicare i
capitoli, in futuro aggiornerò molto in fretta, anche perché c’è
una probabile nuova fic che potrei anche decidere di
pubblicare….
Se vi và lasciatemi un commento! Altrimenti, grazie
comunque a tutti quelli che leggono i miei cap!!
Scusatemi ancora!!!!
Capitolo 7
-Il coraggio di dirti addio -
"Tokyo è la capitale del Giappone, posto nella parte
orientale dell'arcipelago. New York, invece, è posto a sua volta nella
parte orientale degli Stati Uniti e per raggiungerlo occorrono diverse ore di
volo."
Quante sono le ore di volo? Non mi preoccupai nemmeno di
chiederle, erano comunque troppe.
Quella sera quando tornai a casa ero troppo distrutta per
poter dire qualsiasi cosa. Non risposi nemmeno a mio fratello Shin, quando urlò nel vedermi. Semplicemente tolsi
le scarpe, non so in che modo, non vi prestai attenzione. Poi salii. Sentivo le
gocce cadere con un ritmo cadenzato dai miei vestiti fradici, mentre salivo le
scale, mi infilavo in bagno, estraevo gli asciugamani, prendevo la biancheria
pulita e mi ficcavo sotto la doccia.
Solo quando sentii una scia calda lungo la spina dorsale la
mia mente parve riprendersi.
Credo che fu quello l'istante in
cui mi accorsi che in realtà stavo piangendo da più di due ore.
Ovvero da che Kintaro mi aveva abbracciato nel mezzo
del cortile dicendomi che si sarebbe trasferito... a New York.
Quando uscii, avvolta dalla vestaglia e in ciabatte, ignorai
totalmente i miei fratelli che mi guardavano blaterando parole incomprensibili
per me in quel momento.
Caddi sul letto. Mi feci pure male alla testa sbattendo
contro lo spigolo dell'armadio, ma a quel dolore scoppiai semplicemente a
ridere.
Sentii i miei fratelli dirsi che ero diventata pazza almeno
quanto la mamma.
Mi addormentai sul mio letto quando
ormai era passata la mezzanotte e solo due ore dopo mi svegliai in preda alla
fame.
Scesi silenziosa le scale. Non volevo
svegliare nessuno, ma a quanto pareva qualcuno era già sveglio. Una luce
proveniente dal frigorifero dichiarava che qualcun'altro aveva fame in quella
casa.
Non mi stupii di trovare mia madre alle prese con del riso
avanzato e delle verdure rimaste dalla cena.
-Cosa ci fai alzata a quest'ora? Domani hai scuola!-
esclamò in un sussurro, preoccupata dal mio arrivo.
-Ho fame...- alzai le spalle e mi avvicinai a lei prendendo
quel che lei aveva lasciato.
-Sai cosa mi manca dell'Italia? Il pane! A quest'ora sarebbe
perfetto...- sorrise aiutandomi a scaldare la mia porzione.
-In effetti...- le sorrisi e mi sedetti di fronte a lei.
-Allora, cosa è successo?- chiese senza voltarsi
verso di me, presa dal cucinare.
-Kintaro si trasferisce...-
mormorai trovando la forza di concretizzare quell'orribile
pensiero, forse riuscendo a dirlo, sarebbe stato più facile accettarlo.
-A New York- completai in un sospiro.
-Capisco... so come ti puoi sentire...- mi sorrise, questa
volta guardandomi.
-Ma tu non eri fidanzata quando sei
partita dall'Italia!- esclamai come per dire che non poteva essere vero.
-Giusto, ma non era a quello che mi riferivo...- mi porse
comprensiva la ciotola davanti e si servi per sè.
-Quando avevo poco più della tua età... il ragazzo di cui ero
innamorata da molto tempo si trasferì in Inghilterra...-
Rimasi un po' stupita da quella cosa. Mamma non parlava mai
dei suoi vecchi amori.
-E come hai fatto a...- rimasi in sospeso, senza saper
continuare.
-A vivere?- completò lei. -Mi sono buttata a capofitto
nel lavoro e nello studio, ero arrivata ad essere troppo
occupata per pensarci, fino a che non mi si presentò l'occasione
di trasferirmi qui, e poi conobbi tuo padre... il resto lo sai- disse mentre
mangiava qualche boccone.
-Ma scusa, se potevi trasferirti, perchè non sei andata anche tu in Inghilterra?- la guardai.
-Potevo, ma erano passati quattro anni, lui ormai aveva la
sua vita e io dovevo ritrovare la mia...- continuò a prendere dei
bocconi con le bacchette.
-Lo senti ancora?- le chiesi quasi istintivamente.
Lei rimase in sospeso per un po', a bocca aperta, poi si
volse a vedere la luna fuori dalla finestra che
spuntava da uno dei palazzoni di fronte. -Qualche volta...-
Era una sua tipica usanza essere vaga. Forse un po' era
anche dovuto alla differenza etnica con la quale era cresciuta...
però a volte sapeva essere irritante con quel suo modo di fare
ambiguo.
Non osai chiedere oltre. Mangiammo in silenzio quello che
restava e poi me ne tornai a letto, mentre lei, disse di voler rimettersi
ancora un po' al lavoro.
Il mattino dopo, quando mi svegliai, mi sentii il naso
colare e un insolito freddo. Capii immediatamente che avevo la febbre.
Mandai un messaggio a Kintaro,
dicendo che quel giorno sarei rimasta a casa... in tutta risposta anche lui
disse di avere la febbre.
Sorrisi triste a quella notizia.
Mamma mi riempì di thè
caldo, brodo e riso a vapore, chiudendomi in camera, sostenendo che non
potevamo ammalarci tutti quanti.
Per lo meno potevo passare le ore a ripassare e a chattare un po' su internet.
Mi stupii di trovare qualcuno a quell'ora,
non appena aprii la schermata della chat subito mi
squillò la finestra in basso.
"Ciao.." eraAlexis, il figlio della sorellona
di mamma. "Come mai a casa? Non dovresti essere a scuola in questo
momento?" mi scrisse.
"Sono a casa con il raffreddore, piuttosto non dovresti
essere a nanna tu?" chiesi. In Italia c'erano quasi 12 ore di differenza.
"Non ho molto sonno ora..." rispose
lui.
"Come mai?" scrissi curiosa.
"Problemi di cuore! ehehehe XD" fu la sua replica.
"Ti capisco -_- "
commentai.
"Ma non stavi con quel Kintaro?"
chiese lui.
"Si ma si deve trasferire
all'estero!" dissi triste.
"Caspita mi dispiace un mondo!"
"Tu invece?" chiesi.
"Giulia dice che penso solo allo studio, e che vuole
più attenzioni, ma penso sia una scusa... da tempo le cose non vanno..." rispose.
"Ho capito, mi spiace..."
"Non importa... piuttosto ora è meglio che vada,
mia madre poi s'arrabbia... guarisci presto!"
La finestra divenne vuota. Era andato.
Era consolante... in un certo senso, sapere di non essere la
sola a soffrire... eppure faceva così male...
Mi accovacciai nelle coperte. Continuavo ad immaginare la
mia vita senza di lui e vedevo solo il vuoto... ero un'illusa? Forse. Ma le
lacrime non smettevano comunque di scendere, anche quando non piangevo. Per
quanto non fosse niente di speciale mi sentivo come se il petto fosse un enorme
buco nero che risucchiava lentamente la mia anima, lasciando solamente un arido
deserto alle sue spalle.
Anche quella mattina trascorse normale,
entro sera la febbre calò e il giorno seguente ripresi la scuola.
Parlai spesso con Kintaro da quel
giorno, ma senza toccare l'argomento del suo trasferimento. In un certo senso
avevamo deciso, tramite un tacito accordo, che ci saremmo lasciati.
Così arrivarono anche gli esami.
Il giorno delle graduatorie ero con lui. Guardai il
tabellone, ma non riuscii a provare gioia, nonostante fossimo giunti a parimerito al primo posto, premiati come migliori alunni
dell'anno scolastico.
La primavera e il caldo erano decisamente arrivati, eppure
lo scorrere del tempo non era più tanto significativo.
Trascorse anche la cerimonia dei diplomi, ostentai davanti a tutti un sorriso quasi radioso, dico quasi perchè
in realtà era tutto finto. Sapevo benissimo che dopo la cerimonia avrei
dovuto accompagnarlo all'aereoporto. Ringraziai Kaji e Sachiko d'essersi offerti
d'accompagnarmi. "Altrimenti poi quella si fa stirare, se non la
controlliamo" così si era giustificata la Ueda.
All'aereoporto c'era una confusione
tale che capii ben poco di quello che accadde. Ricordo bene le ampie vetrate,
sormontate da pilastri di ferro che si intrecciavano sul soffitto.
Mi chiesi se l'aereoporto
sembrasse così freddo sempre oppure era solo a me che sembrava tale.
Tenevo nella mano Kintaro, senza
dire nulla, mentre i nostri due compagni stavano dietro in silenzio. Mi ero
ripromessa di non piangere e di salutarlo con il sorriso, per
cui cercavo di parlare del più e del meno, ricordandogli di darmi
l'indirizzo internet, almeno l'avrei potuto sentire per corrispondenza.
Quando i suoi genitori lo chiamarono per passare il metal
detector fu il momento di separarsi. Lo guardai semplicemente e gli sorrisi.
Lui tentò di fare altrettanto e mi sfiorò la guancia con le
labbra.
Osservai le sue spalle mentre si
allontanava. Attraversò la barriera e lo vidi voltarsi. Mi sforzai di
sorridere ancora.
Poi lo vidi avviarsi all'aereo.
Poco dopo Kaji e Sachiko mi trascinarono fuori dall'edificio
e mi riaccompagnarono alla stazione.
-Se vuoi posso accompagnarti fino a casa...?-
si offrì lui.
Sachiko pareva essere sull'orlo di
una crisi di nervi e aveva le lacrime agli occhi. Pensai che forse era un po' troppo sentimentale... non piangevo nemmeno io.
-No lascia stare...- gli sorrisi. -Ho bisogno di stare un
po' sola...- e mi avviai da sola verso il mio treno.
Non versai lacrime.
Stavo semplicemente seduta, in silenzio, mi infilai le
cuffie dell'mp3 nelle orecchie, lasciando andare una canzone italiana che
parlava di un addio forzato, ma era come se non la sentissi. Guardavo fuori mentre il treno sfrecciava.
Vicino a me era pieno di persone stanche dopo la giornata
lavorativa, alcuni dormivano. Sorrisi.
Poi arrivò la fermata. Le porte automatiche si
chiusero, mentre abbandonai quel treno alle mie spalle, consapevole che Lui non
l'avrebbe più potuto prendere per andare a scuola...
Qui inizia la seconda parte della storia, e in merito a
questo devo assolutamente commentare una lettrice che mi segue dal primo cap…
bambola di pezza… non temere che c’è un motivo ben preciso
della scelta che ho fatto^^
A voi la lettura^^
Capitolo 8
-Rosso scandaloso -
Dalla partenza di Kintaro passarono sei mesi.
Ormai frequentavo regolarmente le lezioni universitarie
nello stesso istituto delle superiori, in compagnia
dei miei fratelli. Avevo scelto la facoltà di Lettere moderne. Sachiko
era una mia compagna di corso, visto che aveva deciso di frequentare anche lei
il medesimo percorso. Eravamo diventate buone amiche e ci chiamavamo
addirittura per diminutivo, nessuno avrebbe detto che fino ad un anno prima ci
saremmo scannate vive.
Lei stava bene con Kaji, e, a differenza di me, pareva
essere bersagliata da tanti ragazzi che spesso il suo ragazzo le faceva delle
scenate infinite, di cui, molte delle quali, davanti alla sottoscritta.
Io, in compenso, non mi misi più con nessuno e pensai
bene di dedicarmi allo studio.
Quella sera avevo deciso di prendermi una pausa. Avevo
appena terminato gli esami di fine trimestre ed ero avanti con il mio
programma.
Uscii per fare una passeggiata. Ormai era passato diverso
tempo, la neve aveva ripreso a scendere avvisando dell'arrivo di un nuovo
Natale.
Avevo gli scarponi che mi coprivano metà polpaccio,
le calze pesanti e una gonna a pieghe che mi ero regalata dopo l'ultimo esame.
Nonostante il tempo non sentivo freddo. Su questo mia madre
diceva che era una cosa ereditata da lei, dalle sue parti faceva molto freddo
l'inverno ma lei non lo soffriva affatto.
Ero arrivata ad un parchetto, le giostre dei bambini erano
completamente ricoperte, e, nonostante fossero le quattro del pomeriggio, erano
vuote.
Sentivo i miei capelli completamente ricoperti dalla neve,
avevo deciso di non portare l'ombrello proprio perchè adoravo la
sensazione d'essere sfiorata da quei minuscoli cristalli gelidi.
Salii lungo il bordo di un marciapiede e mantenni
l'equilibrio stando attenta al ghiaccio.
Ero immersa decisamente nei miei pensieri. Ricordai il tempo
passato con Kintaro lungo quelle vie, le stagioni che avevamo trascorso
insieme, e alle sue ultime notizie dall'America. Mi parlava dei suoi problemi
con la lingua... della nuova scuola.
Sospirai.
Poi sentii l'eco d'una voce alle mie spalle. Non capii cosa
dicesse, la neve aveva creato una sorta di filtro per i suoi e tutto pareva
essere distante anni luce.
Me ne resi conto dieci secondi dopo, quando un enorme
ammasso canino mi piombò sulla schiena facendomi finire con la faccia
dentro la neve.
Ora potevo dire che non era altrettanto piacevole... e si...
decisamente fredda!
Cercai di voltarmi mentre quel cane
continuava a farsi le unghie nel mio cappotto, lanciando piume ovunque.
-Maledetto cagnaccio!- strillai cercando di scappare ai suoi
denti.
-Kintaro! Smettila! Lasciala!- sentii le zampe anteriori
sollevarsi strappando la stoffa mentre un'ombra
indistinta lo tirava via da me.
Sentii solo il nome con il quale era stata chiamata quella
bestia. "Kintaro". Che insulto a quel nome!
Riuscii a gattonare di lato, con il fiatone, i capelli e i
vestiti completamente all'aria, piena di graffi in faccia e lungo le braccia.
Con mano tremante scostai una ciocca di capelli dalla mia
fronte per poi tirare un sospiro di sollievo mentre
vedevo quel cagnaccio allontanarsi da me.
-Scusa... ti sei...- vidi una mano di qualcuno tentare di
toccarmi e istintivamente la allontanai con la mia.
-Non mi toccare, grazie! Il tuo cane mi ha già fatto
abbastanza!- brontolai cercando di sistemarmi.
-Almeno lasciati aiutare...- mormorò quella voce
maschile.
Lo guardai torva e nel sollevare lo sguardo rimasi
inorridita. Ora potevo immaginare il perchè del comportamento del cane!
Visto il padrone!
Era un teppista con i vestiti pieni di spille e borchie,
piercing alle orecchie e al sopracciglio, capelli rosso fuoco e le lenti a
contatto gialle. L'avevo già visto!
Prendeva il treno alla stazione poco dopo di me!
Mi alzai da sola e mi allontanai di qualche passo. -Grazie
ma faccio da sola...- cercai di sistemarmi la gonna e tolsi il cappotto, decisamente
distrutto. Sospirai, fortunatamente avevo deciso di non mettere il mio
preferito... In ogni caso non volevo avere a che fare
con quel tipo di persone.
-Tieni- mentre mi ripulivo la
gonna, nell'alzarmi vidi la sua mano. Aveva le dita affusolate coperte da
piccole fasce d'argento decorato con disegni tribali, mentre al polso portava
un polsino in pelle nera. Mi stava porgendo il suo
cappotto e lasciò le sue spalle robuste coperte solo da un maglione
scuro.
-No grazie, sto bene, quello serve più a te- rifiutai
e iniziai a dirigermi verso casa.
-Andiamo, Arashi, non fare la schizzinosa!- mi aveva appena
chiamato per nome... come faceva a conoscerlo?
-Tu come diavolo...- iniziai ma lui
fu più veloce. Mi mise il cappotto sulle spalle e mi prese per un polso.
-Come conosco il tuo nome? Non ha importanza- sorrise mentre mi trascinava verso il suo cane, appollaiato
sotto un albero, mentre masticava i resti del mio cappotto.
-Kintaro! Muoviti vieni qui!-
urlò al cane che subito si fece avanti. Indietreggiai immediatamente.
Lui lo legò prima che potesse aggredire nuovamente.
-Dove abiti?- mi chiese poi
voltandosi.
Gli indicai la strada e lui mi accompagnò lasciandomi
fuori casa. Gli restituii il cappotto.
-Ti ridarò i soldi del vestito domani... scusa
ancora...- cercò di abbozzare un inchino, ma
fatto da lui sembrava quasi ridicolo, con quei capelli. Lo fissai nuovamente
per qualche istante. Era scandaloso. Eppure aveva un bel fisico e i suoi
lineamenti, così come la sua pelle erano a dir poco perfetti. Poi feci
un inchino a mia volta. -Non occorre, lascia stare, tanto quel cappotto nemmeno
mi piaceva- sorrisi.
Rimasi un po' interdetta nel percepire il suo sguardo serio
su di me, mi fissava in un modo talmente intenso da farmi venire la pelle
d'oca.
Poi fu strattonato dal cane e si congedò con un gesto
della mano.
Corsi immediatamente su in casa.
-Che diavolo è successo quel
cappotto?!- esclamò Kamui appena mi vide.
-Un cane mi è saltato addosso- mormorai tra i denti
ripensando a quel cagnaccio.
-E il padrone dove diavolo era?-sbottò irato.
-Cercava di trattenerlo, se non era per lui finivo sbranata!-
-Almeno ti sarai fatta pagare i danni? Sei
ferita?- chiese.
-No alla prima e no anche alla seconda domanda, era un
teppista, non voglio avere a che fare con certa gente...- mormorai ripensando a
quel rosso scandaloso.
-Almeno i danni potevi farteli pagare!- esclamò.
-No grazie, va bene così-
-Fortuna che non era il tuo cappotto preferito.-
constatò lui. Ed aveva ragione.
Il giorno dopo la voglia di alzarsi era praticamente ridotta
a livelli minimi. Mi facevano male tutti i graffi di quel cane e un paio di
muscoli indolenziti, ma non furono quei dolori a svegliarmi.
Sentii delle voci non ben definite provenire dal piano
inferiore.
Scesi, ancora avvolta nella vestaglia, mentre mi scontravo
con Kamui e Shin, che erano appostati a spiare la scena dal bordo del
corridoio, nascosti da mamma e papà che evidentemente litigavano. Era la
prima volta che accadeva e immediatamente mi accostai sotto di loro (ero la più
bassa).
-Aggiornatemi, che succede?- sussurrai ai due sopra di me.
-A quanto pare la mamma è furiosa... dice che
è stanca di vederlo rincasare alla mattina del
lunedì...- sussurrò Shin in risposta.
-Papà invece non da risposta... non vuole dire dove
va tutti i fine settimana...- aggiunse l'altro.
-Ah ecco che lui gli chiede chi
è quello italiano che telefona sempre...- continuai io...
Poco più sotto la mamma era a dir poco adirata.
Strillava come una pazza ed era tutta rossa in faccia.
Mio padre era ancora peggio, sempre che fosse possibile una
cosa simile. Strillava e sbatteva con forza qualsiasi cosa trovasse
a portata di mano.
Shin e Kamui stavano attenti e aspettavano ad entrare in
scena, solo nel caso in cui si fosse arrivati alle
mani.
Dopo la domanda di lui, di chi fosse quell'individuo, tutti
e tre ci sporgemmo ancora di più dall'angolo.
Seguì un silenzio poi la voce
sibilante di mamma riprese a tuonare. -Prima dimmi con chi te la spassi
nei fine settimana!-
-Come osi insinuare che ho l'amante?!-
tuonò lui in tono di sfida.
In quel momento la mamma uscì dalla stanza in cui
stavano e salì per le scale. Ci nascondemmo immediatamente nella prima
porta che trovammo e la sentimmo frugare nella sua stanza. Poi con passo
pensante la guardammo portare qualcosa tra le mani e di nuovo scese le scale.
Tornammo a guardare dall'angolo e fu chiaro cosa avesse in
mano.
Era biancheria femminile di pizzo rosso.
Lui portò le mani al volto e sospirò come chi è stato colto in flagrante.
Le mani di lei tremavano mentre
gliela lanciava in faccia e piangeva. -Chi è?- strillò
nuovamente.
-Non la conosci...- sospirò lui, abbassando la testa.
-Voglio il divorzio... - sospirò lei, cacciando le
lacrime.
-Aspetta, riflettici, è stato solo un incidente,
io...- iniziò lui.
-In venti anni... ne hai commessi fin troppi di questi
incidenti.- la sua voce era gelida.
Lui la guardò scioccato.
-Non ho mai detto nulla, ma ora basta...-
-Però anche tu ti sei fatta l'amante!
Quell'italiano!- la accusò papà.
-E' l'avvocato... divorzista a cui
mi sono rivolta- lei alzò lo sguardo e lo fissò.
Non aveva alcun modo per rispondere. Noi ci guardammo e
arretrammo nella nostra stanza, in perfetto silenzio.
Il giorno dopo le valige erano appostate davanti alla porta.
Nessuno di noi disse nulla quando
papà uscì salutandoci con la mano. Ci limitammo ad un cenno del
capo e poi ci voltammo a guardare nostra madre.
Era vestita in modo ordinato, con la gonna nera e la camicia
bianca appena stirata. Le scarpe col tacco e i capelli perfettamente in piega.
Si limitò a dire che sarebbe dovuta andare all'ufficio a consegnare le
nuove bozze.
Abituarsi alla nuova idea non fu tanto facile all'inizio, ma
la routine, ben presto, inglobò la nuova situazione e nessuno di noi
badò al fatto che nella casa mancava qualcuno. Credo che, se non fosse
successo tutto quel putiferio, nessuno si sarebbe effettivamente reso conto,
che la situazione andava avanti da anni.
Personalmente me ne accorsi una
volta, a tavola.
La mamma aveva apparecchiato come sempre, ciotole di riso a
sinistra, bacchette alla destra del piatto, quel giorno aveva preparato una tempura di gamberi con contorno di germogli di soia e del riso. Non era niente di troppo elaborato. Ci
sedemmo al tavolo come sempre ai soliti posti e capii che effettivamente mio
padre non c'era praticamente mai. I quattro lati del
tavolo erano occupati da ciascuno di noi, mentre mangiavamo in silenzio.
Poi mamma parlò. -Arashi, come hai fatto a distruggere
il cappotto?- chiese guardandomi e sollevando il capo dai suoi gamberi.
Come teneva le bacchette era impressionante per essere cresciuta in un paese
occidentale, ma effettivamente abitava in Giappone da più di vent'anni.
-Un cane mi è saltato addosso...-
sibilai, avevo già rimosso quell'episodio.
-E solo adesso lo dici?!-
esclamò sconvolta.
-Non mi sono fatta nulla, ha
distrutto solo la stoffa.- commentai scrollando le spalle.
-Almeno potevi farti risarcire....-
commentò alzando le spalle a sua volta... ecco da chi aveva preso mio
fratello... quando si trattava di soldi erano tutti e due identici.
-Preferisco non avere nulla a che fare con gente del
genere...- mormorai.
Lei alzò un sopracciglio e mi scrutò da capo a
piedi.
-Un teppista, sai quelli capelli rossi, vestiti in modo
strano... come i tizi della musica che ascolti tu... più
o meno...- afferrai il riso e iniziai a mangiarlo.
Lei mi guardò con un'occhiata terribile, non amava
molto sentire insultare i suoi cantanti preferiti... ma
era l'unica in quella casa ad ascoltare quella musica Punk o rock... -Sai come
la penso riguardo all'apparenza delle persone...- fu il suo unico commento.
Aveva già fatto più volte la lezioncina su
"l'apparenza inganna". Lei stessa diceva spesso d'esserne un esempio.
In effetti da casa al lavoro sapeva trasformarsi in
una persona totalmente differente, una sorta di dr Jackill
and mrHide.
Annuii e terminammo di mangiare ascoltando Kamui che ci perseguitava con le sue avventure scolastiche
e Shin che gli faceva da
spalla.
Poi tornai nella mia stanza e ripresi a studiare.
Il computer pareva morto, mentre il cellulare era scarico da
giorni e non avevo voglia di caricarlo.
Mi annoiavo, anche se come termine lo trovo riduttivo.
Pensai di uscire di casa,
così presi il soprabito e decisi di andare a fare una passeggiata fino
in biblioteca, per cercare un libro da leggere.
Non feci in tempo a mettere piede fuori di casa che mi
trovai davanti il ragazzo di pochi giorni prima, quello del cane, si insomma, il teppista.
Che cosa ci facesse lì non mi importava,
e fregandomene lo ignorai totalmente e andai dritta per la mia strada.
-Che fai? Non saluti nemmeno?-
chiese lui iniziando a seguirmi.
Alzai le spalle incassando il colpo. -Ciao-
contento ora?
-Ti stavo aspettando...- continuò lui, senza smettere
di seguirmi.
Mi arrestai, lo scrutai da capo a piedi, quel giorno i suoi
capelli erano lisci, li ricordavo ricci e molto più
corti, in questo modo sembravano ancora più accesi. I vestiti
erano qualcosa di indecifrabile. Era completamente
vestito di nero e ricoperto di borchie di metallo, una più appuntita
dell'altra. Gli scarponi sembravano supplicare la morte, evidentemente memori
di un passato migliore. Mentre il cappotto in pelle,
anch'esso nero, sembrava un puntaspilli. Per un momento mi chiesi se qualcuno
avesse avuto il coraggio di avvicinarsi ad una persona simile.
-Perchè?- chiesi
risvegliandomi dalla mia riflessione sul suo aspetto. Tornai
a guardarlo in faccia... aveva borchie anche lì...
-Perchè ti devo risarcire
per il cappotto...- disse lui, constatai che non s'era portato dietro il cane..
-Ti ho già detto che non
occorre...- conclusi io facendo un semplice inchino, non troppo profondo, e
riprendendo la strada per la biblioteca.
-Almeno lasciami rimediare... ci sarà qualcosa che
posso fare per aiutarti...- disse lui continuando a
seguirmi.
-Una cosa la puoi fare- mi fermai
nuovamente. Lo guardai, decisamente irritata -Smettila
di seguirmi- sbottai per poi riprendere a camminare con passo più
veloce.
-Andiamo, cosa ti ho fatto di male? Mi offro
persino d'aiutarti!- disse lui sfoderando un sorriso di supplica.
-Non voglio avere a che fare con te....-
sibilai senza voltarmi.
-Ah, ho capito...- lo vidi sparire
alle mie spalle, doveva essersi fermato. -Sei una di quelle superficialone...-
disse in tono che suonò fin troppo di sfida.
Mi fermai, stava toccando quei tasti che era
meglio non toccare... Tirai un lungo respiro e mi voltai infuriata.
-Sarò o no libera di parlare
con chi voglio?! Mi hai già distrutto il cappotto, non occorrono altri
danni, grazie!- strillai nel bel mezzo della strada,
con tutte le persone che ci fissavano.
-Ammettilo, mi stai giudicando solo in
base a come mi vesto...- si avvicinò, parlando a voce bassa,
mentre intorno la gente ignorò la scena e riprese a camminare.
-Se ne sei tanto convinto!- sibilai
a denti stretti, trattenendomi dal prenderlo a schiaffi.
-Si, ne sono convinto eccome!-
scoppiò a ridere.
-Che cosa c'è... da
ridere?!- strillai decisamente irritata, con una punta di imbarazzo.
-Niente, solo che sei carina quando
ti arrabbi!- sorrise lui.
La rabbia iniziò a prendere il
sopravvento, chiusi gli occhi. Non sopportavo quel ragazzo e tutti i
suoi modi di fare presuntuosi e arroganti.
Poi alzai lo sguardo, sfoderando il sorriso più
perfido che conoscevo. -Certo, a quante l'hai detto prima d'ora? Speri di fare
colpo così dicendo? Sei solo un bamboccio...- lo sfidai.
-Attenta...- sorrise beffardo, poi si avvicinò per
sussurrarmi qualcosa all'orecchio, feci per ritrarmi ma
mi bloccò stringendomi per la spalla. -Non giocare troppo con il fuoco,
si finisce con lo scottarsi... e fino a prova contraria mi stai insultando...-
-Lasciami in pace- lo guardai
sostenendo lo sguardo minaccioso che mi rivolse.
-Perchè dovrei farlo? Sono
anni che ti osservo, ho aspettato che quel mocciosetto
di Kaji si levasse dai piedi, poi è arrivato quell'altro, e ho aspettato che ti
stancassi anche di lui, ora sono stanco di aspettare che tu sia libera per
provarci con te...- sorrise, mentre un profondo desiderio si spaccargli la
faccia si fece largo tra i miei pensieri.
Non ci pensai due volte e sollevai il pugno sinistro in un
montante perfetto che schivò le borchie del giubbotto nero e colpì
direttamente allo stomaco.
Feci due passi indietro. Lo guardai infuriata
mentre mi trattenevo dallo scoppiare a piangere. Sentii le lacrime salire mentre la mia voce urlava: -Non ti permettere mai
più di insultare Kintaro o Kaji!-
Era piegato per il fiato che gli avevo tolto.
Mi voltai e presi a correre verso la biblioteca, riuscii a
calmarmi solo una volta che fui circondata dagli scaffali dei libri, che
odoravano di chiuso e di vecchio.
Passai diverse ore rinchiusa tra
quegli scaffali. Non volevo uscire per paura che quel teppista fosse ancora
fuori.
Però l'orario di chiusura era vicino e prima o poi, volente o nolente sarei dovuta uscire da
lì dentro.
Presi i libri che intendevo leggere e uscii dalla porta
principale. Mi guardai intorno, tirai un sospiro di sollievo
nel vedere che nessuno con i capelli rosso fuoco era nei paraggi. Mi avviai, un
po' incerta verso casa, attraversando un quartiere intero a piedi e mi stupii
di aver corso tanto. Quando iniziai a vedere la mia via
mi sentii decisamente più rassicurata, se non altro potevo sempre
correre e raggiungere il portone.
Ma evidentemente non avevo
calcolato tutte le circostanze.
-Sei stata parecchio chiusa in quella biblioteca...-
Un brivido mi corse lungo la schiena. Imprecai. Come minimo
me l'avrebbe fatta pagare per il pugno... Iniziai a
pregare preoccupata.
Lo ignorai nonostante le mie paure e proseguii, ancora pochi
passi e sarei stata a casa.
Ma lui si parò davanti a me
sbarrando la strada. -Mi hai fatto male con quel pugno
lo sai?- mi sorrise quasi gentile, doveva essere una messa in scena.
-Ne vuoi un altro?- chiesi gelida.
-Ne hai di fegato ragazzina!-
ghignò lui.
Alzai il pugno ben diretta a
colpire in faccia questa volta, ma lui fu più veloce e mi fermò
la mano chiusa a metà tragitto.
-Non mi freghi due volte con lo stesso trucco...- strinse la presa e i libri caddero sull'asfalto del
marciapiede.
-Lasciami!- strillai.
Lui mollò la presa e istintivamente feci schioccare
le dita. Mi chinai a raccogliere i libri.
-Che diavolo vuoi da me?! Non
intendo avere a che fare con te chiaro?!- gli sbraitai
in faccia.
-Ti facevo più intelligente...- il
suo tono era calmo e tranquillo. Le sue braccia erano distese lungo il
corpo e mi fissava con qualcosa che identificai come
delusione.
-Cosa ne sai tu di me?!- gli
risposi con astio.
-Cosa so di te? Più di
quanto tu creda...- si lasciò sfuggire un
ghigno. -ti ha sempre descritto come una ragazza fantastica
ma credo che fosse solo una cotta del momento, il che spiegherebbe molte
cose...- il suo tono era basso, sembrava tutto un enigma al quale mancavano gli
indizi principali.
-Di che cosa stai parlando?!-
chiesi sospettosa.
-Non ha importanza...- alzò
le spalle e prese a camminare lungo la strada.
-Per te niente ha mai importanza a quanto
pare! Però credi che a me faccia piacere sapere che qualcuno va
in giro a parlare di me ad uno sconosciuto?!- sibilai
irritata, e dirigendomi verso il portone.
-E hai pensato anche solo per un
istante che forse non tutto è come appare? Signorina Superficialona?-
chiese lui una volta che l'avevo lasciato alle spalle.
Gli lanciai un'ultima occhiata una volta
chiuso il cancelletto, lo fissai dritto negli
occhi, lenti a contatto gialle riflettevano il grigio della strada, sembrando
quasi cupi. Poi mi voltai e salii le scale, scomparendo dietro la porta di
casa.
Una volta entrata andai nella mia stanza e riposi i libri sulla mensola. Poi scesi le scale ed andai a
vedere cosa c'era per cena.
Erano passati quasi due mesi da quell'assurdo
episodio, e ringraziai il cielo che non si
ripresentò più quel "ragazzo dai capelli rossi",
così l'avevo chiamato visto e considerato che non sapevo come si
chiamasse.
Avevo ripreso tranquillamente le lezioni universitarie in
compagnia di Sachiko, lei e Kaji
come sempre andavano d'amore e d'accordo e da una settimana abbondante mi
perseguitava con i suoi dubbi su quale fosse il regalo
migliore da fargli.
Il 2 febbraio sarebbe, infatti, stato il compleanno di Kaji. Come ogni anno organizzava una festicciola intima con
gli amici, ma prima di allora non avevo mai avuto l'occasione di andarci. Il
più delle volte era a causa del raffreddore,
visto che pareva avessi l'abitudine d'ammalarmi sempre in quel periodo.
Per l'occasione avevo preso a Kaji
un videogioco che desiderava da parecchio tempo e che non era riuscito a
trovare da nessuna parte, in un certo senso sperai che
nessun'altro avesse avuto la mia stessa idea.
Sachiko era senza freni,
continuava a parlare, senza preoccuparsi nemmeno che qualcuno l'ascoltasse. A volte era proprio buffa. Credo che in cuor suo
sapesse perfettamente quale scelta fare...
Poi finalmente arrivò il giorno della festa e con essa anche il termine delle estenuanti discussioni di Sachiko.
Passò lei da casa mia, una volta arrivata dalla
stazione, abitavo vicino aKaji
ed ero di strada.
S'era vestita in modo particolare, diceva di voler far colpo
sugli amici di lui. Aveva deciso d'indossare un paio
di calze a rete gialle sopra delle calze coprenti
nere, con una gonna che le arrivava di poco sopra al ginocchio anch'essa gialla
e una maglietta abbinata alle calze, con un pizzo nero ricamato sopra la stoffa
a tinta unita. I capelli li aveva legati in una coda
al lato della testa e l'effetto era completato da un trucco non troppo pesante,
fatta eccezione per la matita nera che le risaltava gli occhi a mandorla.
Di fianco a lei mi sentivo strana, io avevo optato per qualcosa di decisamente meno appariscente, ovvero
una gonna in jeans anch'essa arrivante appena sopra il ginocchio, una camicia
nera e delle calze del medesimo colore con delle ballerine. I capelli lasciati
lisci e un velo di trucco.
Ci incamminammo entrambe lungo la
strada chiacchierando del più e del meno, mentre nelle borse avevamo i
nostri regali per il festeggiato.
-Adesso preparati a conoscere il suo fratellastro!- disse
tutta divertita mentre imboccavamo il viale della casa
di Kaji.
-Parli di Akira?
Non lo vedo da anni, ricordo che s'era trasferito con il padre, non sapevo
fosse tornato a vivere con Kaji e la madre...- avevo un vago ricordo della famiglia di Kaji.
Effettivamente non andavo a casa sua da almeno un anno. La
sua famiglia aveva passato diverse avventure diciamo.
La madre si era risposata in seconde nozze con il padre di Kaji
e dal matrimonio nacquero lui e una bambina più
piccola, Noriko, ma nelle prime nozze la donna aveva
avuto un figlio di nome Akira.
AkiraAkai,
questo il suo nome, si era trasferito a vivere con il
padre, il primo marito della signora Norimogase,
quando Kaji aveva ancora dieci anni. Essendo stata in
classe con Kaji per tutta la durata delle elementari,
avevo avuto modo di conoscerlo, ma ne conservavo un
ricordo decisamente sbiadito. A quei tempi Akira
frequentava già il primo anno di liceo e ricordo bene quanto era
attaccato al fratellino sebbene avessero padri
differenti.
A quanto mi spiegòSachiko, Akira era tornato poco
dopo che mi ero lasciata con Kaji, durante l'estate e
la mia vacanza in Italia.
Arrivati davanti alla casa di Kaji
rimasi un po' stordita, ricordavo fosse grande, ma non
così tanto!
Dovete sapere che il padre di Kaji
era un ricco proprietario terriero (ci tengo a far
presente che frequentando una scuola privata è praticamente scontato che
tutte le persone che frequenta Arashi abbiano un
discreto patrimonio, la stessa Arashi vive in un
appartamento molto grande n.d.Sayu) e la sua casa era
una delle ultime del quartiere, costruita secondo la tradizione giapponese era
costituita da un'ala centrale in cui viveva la famiglia, una periferica
riservata alla servitù, e tutt'intorno una
serie di giardini in perfetto stile giapponese.
Sachiko, ormai abituata a
frequentare quel luogo, suonò il campanello e presto una cameriera
arrivò ad aprirci la porta.
Entrambe ci togliemmo le scarpe e
infilammo le pantofole messe a disposizione per gli ospiti.
Feci un inchino in segno di saluto alla signora Nana, la
ricordavo bene, era una donna deliziosa, anche lei nel riconoscermi si
complimentò per poi accompagnarci nella sala riservata alla festa.
-Ecco a voi, il signorino Kaji vi
stava aspettando... è stato un piacere rivedervi signorina Nokaze- fece un inchino e si congedò lasciandoci
davanti alla porta dalle pareti in carta e la struttura in
legno che scorse davanti a noi rivelando l'immenso salone.
-Kajii-chan!!!!-
Sachiko corse immediatamente tra le braccia di Kaji, vestito con abiti occidentali.
-Sachiko, così mi
strozzi... Arashi vieni avanti... Arashi....?-
La voce di Kaji mi parve
così lontana. Ero rimasta a dir poco paralizzata. Molte cose divennero
più chiare nella mia mente. Quegli occhi, sebbene non avessero
le lenti a contatto colorate erano per me inconfondibili. Così come erano inconfondibili quei capelli rosso fuoco,
più lunghi di due mesi prima e raccolti in un codino dietro la nuca.
Kaji si fece avanti e sia lui, sia
Sachiko ci fissarono mentre
lui sorrideva divertito e io mi arrabbiavo ogni istante di più.-Arashi, ti ricordi di Akira, mio fratello vero?- mi chiese.
-Certo, come potrei dimenticarlo...- sorrisi
cordiale, in realtà l'avrei strangolato!
Poi qualcosa mi spinse a voltarmi. -Arashiiiii!!!- una ragazzina che mi arrivava al gomito mi
abbracciò al fianco. Noriko.
Pensai che almeno per lei, avrei fatto buon viso a cattivo
gioco. Ricambiai l'abbraccio e mi limitai ad ignorare Akira per tutta la durata
della festa.
Poco dopo fortunatamente arrivarono anche gli altri amici di
Kaji.
Tra tutta quella confusione provai il desiderio di avere al
mio fianco Kintaro.
Chiacchierai, sorrisi, giocai,
scherzai. E mentre facevo tutto ciò sentivo su
di me gli occhi di Akira puntati, come un'aquila
scruta la sua preda a chilometri di distanza.
Poi, lentamente, gli invitati se ne andarono
e rimanemmo, nuovamente, in quattro, anche Noriko era
andata a dormire. S'era fatto decisamente tardi e
dovevo riaccompagnare Sachiko alla stazione per
prendere l'ultimo treno.
-Vi accompagnerei, ma ci sono qui i
miei zii che aspettano nell'altra stanza.- si scusò Kaji.
Poi, dopo un pomeriggio e una serata passati in silenzio Akirasi intromise nel discorso. -Se vuoi le accompagno io- si offrì con un sorriso
gentile fissandomi con uno sguardo pieno di perfidia.
Sachiko per un istante
staccò lo sguardo da Kaji e osservò il
fratello, per poi guardare me che rispondevo a lui con uno sguardo carico
d'odio puro.
Poi la vidi illuminarsi... -Arashiii....- mi voltai a guardarla, odiavo quando usava quel tono
mieloso per chiamarmi, significava solo guai... -da quando in qua conosci
così bene Akira?-
-Non lo conosco affatto!- sbottai
prima ancora di pensare.
-Si, infatti, non mi conosci...- rispose
lui perfido.
Sachiko continuava a fissarci
divertita, poi sussurrò qualcosa all'orecchio di Kaji
che non riuscimmo a capire. Poi anche lui ci
guardò e scoppiò a ridere.
-Sachiko, questa volta ti sbagli!- continuò a ridere.
Sospirai, poi adirata cercai di trovare il tono più
gentile che mi riuscisse in quell'istante.
-Non occorre che ci accompagni tuo fratello...-
-Invece voglio che venga, non
è prudente che tu torni a casa da sola a quest'ora!-
disse Sachiko fingendo un tono preoccupato.
Avrei volentieri strangolato anche lei.
Dieci minuti dopo eravamo sul cancello di casa Norkimogase e ci incamminammo. Sachiko e Akira chiacchieravano tranquilli mentre io restavo a fianco di lei in silenzio.
Arrivati alla stazione lei riuscì a
prendere l'ultimo treno per un soffio, la salutai.
Poi, una volta chiusa la porta automatica, mi voltai e mi incamminai da sola.
-Ma tu sei sempre così
arrabbiata o sono io che ti faccio quest'effetto?-
chiese divertito alle mie spalle.
Mi voltai a guardarlo male. Notai per la prima volta
dall'inizio della serata che non era ricoperto di
borchie come un puntaspilli. -Direi più la seconda!- sibilai.
-Oh ma allora sei capace di rivolgermi la parola!-
commentò sarcastico mentre salivo adirata le
scale per uscire dalla stazione. -Le porti ancora le mutandine con la farfalla
sul davanti?- chiese ancora più divertito.
Mi voltai di scatto, senza accorgermi che era a pochi
centimetri da me, sullo scalino subito dopo il mio. Era molto alto, nonostante
il dislivello mi superava di metà testa. Per poco non gli tiravo una
testata.
-Se sapevi chi ero perchè quando
ti ho chiesto come facevi a conoscere il mio nome non hai detto chi eri?!-
dissi tutta d'un fiato.
-Perchè sapere chi fossi,
ti avrebbe forse fatto cambiare idea sul mio conto?- chiese lui in tono serio.
-Forse- risposi tenendo alta la
testa.
-Però se fossi stato qualcun'altro?
Mi avresti dato le stesse identiche possibilità che avresti dato ad Akira?- chiese in tono di sfida.
Esitai per un istante, poi decisi di essere
sincera. -No, non te le avrei date-
-Ma sapere o meno il mio nome, non cambia quello che sono...- fece una pausa. -Un teppista, è così
che mi definisci no?-
-E' quello che sembri...-
risposi in tono asciutto incrociando le braccia.
-La mamma non te l'ha detto che non
è tutto oro quello che luccica?- rispose nuovamente ironico. -Se mi avessi lasciato parlare anzichè
sparare subito sentenze, ora sicuramente non avresti fatto la figura della
stupida...- feci per ribattere ma lui mi tappò la bocca con un dito. -E' inutile che protesti, sai che hai sbagliato, almeno
evita di diventare ancora più stupida-
Si scostò e mi trascinò per un braccio
spingendomi. Cercai di liberarmi della stretta ma solo
una volta fuori dalla stazione lasciò la presa.
Ripresi a camminare massaggiandomi il polso mentre lui camminava due passi avanti a me.
-La sai una cosa?- s'arrestò senza voltarsi.
Automaticamente mi fermai e fissai la sua schiena. -Non mi sbagliavo, sei
proprio carina quando t'arrabbi!- mi guardò e
scoppiò a ridere, riprendendo a camminare.
Dopo il compleanno di Kaji, e
quella discussione con Akira, tutto tornò alla
routine di tutti i giorni. Andavo a lezione all'università, il sabato
uscivo con le amiche, il resto della settimana per lo più studiavo o davo una mano a mia madre che lentamente
riacquistava il buon umore. Ma di quel ragazzo con i
capelli rossi non ci fu alcun segno. Non andai a cercarlo, ma nemmeno lui venne
a cercare me.
Come da calendario, arrivò anche la festa di San
Valentino. Odiavo quella festa praticamente da sempre,
la trovavo decisamente consumistica e non sopportavo tutte quelle stupide
usanze di regalare i cioccolatini alla persona amata.
Mamma parve diventare decisamente
nervosa già due giorni prima di quella festa. Solitamente aveva preso
l'abitudine di uscire con papà la sera della festa, maquest'anno molto probabilmente sarebbe rimasta con me
a farmi compagnia. Effettivamente della famiglia ero l'unica a non uscire mai
in quella data, nonostante le opportunità non mi siano
mai mancate.
La mattina del 14 febbraio mi alzai come sempre per uscire a
prendere il treno. Mi vestii con un maglione a collo alto e un paio di jeans
decorati con delle scritte gotiche e scesi le scale sbadigliando.
Kamui stava già sclerando per scegliere il fiocco che avrebbe messo sul
pacco da regalare alla sua fidanzata, mentre Shin
già aveva ricevuto inviti su inviti per uscire alla
sera. Li guardai trovandoli ridicoli, alla fine non era
nemmeno una festa di quelle importanti come il Capodanno!
Mamma era già in cucina e il tradizionale profumo di
cioccolata proveniva da dietro la porta. Guardai i miei due fratelli che
ricambiarono lo sguardo.
-Perchè prepara dolci?-
chiese Kamui mentre teneva ancora in mano un fiocco rosa e una coccarda
gialla.
Alzammo le spalle sia io cheShin. Non essendoci papà avremmo quasi scommesso che
sarebbe stata rinchiusa tutto il giorno nel suo
studio, non ci aspettavamo che preparasse la solita sfilza di dolci occidentali
che solitamente mangiava con papà.
Scendemmo circospetti le scale e notammo un profumo diverso
da quello del cioccolato, profumo di fiori.
Infilammo la testa in cucina e la guardammo cucinare. Aveva
il suo solito grembiule a cuori azzurri (non chiedete il perchè siano
azzurri... quella donna aveva corredi interi di quel colore... ndArashi),
mentre mescolava la cioccolata con un cucchiaio di legno. Sul tavolo
c'erano due mazzi di fiori enormi.
-Ehm... mamma...?- chiese per primo
Shin. -Di chi sono tutti quei fiori?-
-Oh! Buongiorno ragazzi!- sorrise allegra e notammo le sue
guance rosse, preferii supporre che fossero dovute al
calore dei fornelli. -I fiori? Un mazzo è per me,
l'altro è per te Ara-chan- rispose.
Mi scostai dalla porta ed andai a vedere i mazzi di fiori.
-Quello rosso è il tuo... la busta del mittente
è all'interno- indicò il mazzo alla mia sinistra.
Lo guardai. Era un insieme di fiori di diverso genere tutti di svariate tonalità di rosso. Afferrai la busta, ma
qualcosa mi diceva che solo una persona poteva aver
mandato tutti quei fiori, lo stesso colore lo suggeriva.
Sfogliai i vari fogli e lessi
velocemente... "Buon san Valentino... non sapevo quale fiore fosse il tuo
preferito, ma mandarti solo rose rosse mi sarebbe sembrato troppo ordinario...
vuoi uscire con me stasera?" allegato c'era un numero di cellulare.
Fissai il foglietto.
Shin di soppiatto comparve alle
mie spalle e riuscì a leggere il messaggio.
-A quanto pare la nostra sorellina ha un ammiratore
segreto... non si è nemmeno firmato!- commentò
ammiccante.
-Ti sbagli, la sua firma è più vistosa di quanto tu pensi...- mormorai fissando i fiori.
-Allora a quanto pare sta sera la
casa rimarrà deserta...- sogghignò la mamma.
-Ma io non intendo uscire. Sai cosa
ne penso di questa stupida festa!- protestai.
-E rifiuteresti un invito simile?-
mi guardò con un'espressione che pareva chiedere se mi ero bevuta il
cervello.
-Non voglio dare false speranze a
nessuno!- conclusi.
-Andiamo, una possibilità non si nega a nessuno... a meno che questa persona non sia un maniaco...- si
intromise Kamui.
-Non è un maniaco...- lo guardai
male.
-E allora cosa ti costa?- chiese
alzando le spalle.
-Avanti, magari passi una serata
piacevole!- continuò mamma.
Sospirai. Era il loro modo per dire
che se non avessi acconsentito avrebbero continuato per tutto il giorno fino a
farmi cedere per forza. -Oh e va bene!- dissi senza
troppo entusiasmo.
-Si ma... chi è?- chiese Shin
guardandomi di sottecchi.
-Questa è un'informazione riservata!- gli feci una linguaccia mentre mandavo una mail al numero
indicato sul foglietto.
-Senza dubbio una persona che ama
il rosso...- commentò allegra mia madre.
-A proposito dei fiori... mamma da dove spuntano quei fiori
blu e azzurri?- chiese Kamui fissando l'altro mazzo
composto da fiori secchi e spighe di grano, dalle
tonalità che andavano dal bianco al blu, passando per l'azzurro.
Tutti e tre la guardammo mentre
sogghignava. -Da qualcuno che conosce il mio debole per i fiori bianchi e
azzurri...- commentò enigmatica come a suo solito.
-Mamma... per una volta, potresti evitare di parlare per
rebus ed essere un po' più chiara?- chiese Shindecisamente scocciato.
-Anche se vi facessi il suo nome,
non lo conoscete- rispose pacata.
-Ci devi uscire?- chiese Kamui
sospettoso.
Una strana sensazione piombò nella stanza
mentre la mamma restava in silenzio. Era strano pensare che qualcuno che
non fosse papà sarebbe uscito quella sera con mamma.
-Si, ho una cena...- rispose vaga.
Immediatamente vidi i miei due fratelli prendere una sedia e
sedersi ai lati del tavolo e fissare la mamma che spense con
tranquillità il fornello e coprì la pentola con un coperchio. Li
imitai sedendomi, facendo decisamente meno rumore.
-State tranquilli, non intendo certo risposarmi....- disse tranquilla mentre s'appoggiava al bordo della
cucina.
-Per adesso, ma in futuro?- chiese Shin
serio in volto.
-Non lo so, il tempo darà le
risposte...- rispose con un sorriso sereno.
-Chi è questa persona?- chiese Kamui
risoluto.
-Si chiama... Thomas...
è italiano... forse tu, Ara-chan, ne
ricorderai la voce, è l'avvocato che si occupa del divorzio tra me e
vostro padre...- disse in tutta tranquillità.
Restammo tutti quanti di stucco, ma solo Kamuidette voce ai nostri pensieri. -Te la fai con
l'avvocato del tuo divorzio?!- il tono era forse
eccessivamente isterico.
-Frena il linguaggio Kamui, ti
ricordo che sono io che mantengo i tuoi studi...- disse
con una punta d'irritazione nella voce.
-Si... ma si occupa del tuo divorzio... è...
è...- non sapevamo nemmeno noi come completare la frase, nonostante ci
guardasse supplichevole.
-E' cosa? Deplorevole? Vergognoso?
Ridicolo? E' il suo lavoro, era l'unico avvocato di cui mi fidassi
residente vicino Tokyo. E per quanto riguarda i sentimenti
che ci legano, non stupitevene troppo. Con vostro padre non funzionava
da diversi anni, forse mi ero persino illusa che funzionasse,
ma temo che i problemi c'erano sin dall'inizio ma non volevo vederli.
Sospettavo da cinque anni che avesse modo di fare
"qualche scappatella", ma credetemi quando vi dico che sono rimasta
più sorpresa di voi nello scoprire che in realtà aveva una
relazione fissa.- abbassò lo sguardo quando terminò di parlare.
Effettivamente non avevamo mai preso in considerazione la
situazione, non nei minimi dettagli.
Presi coraggio e iniziai a parlare: -Quando avete
litigato... hai detto che erano vent'anni
che ti tradiva o sbaglio?- chiesi guardandola.
Anche Shinsi intromise,
-E poi papà ti ha anche accusato d'avere l'amante pure tu, quindi aveva
ragione?- insinuò.
Lei prese un lungo respiro e poi rispose alle domande:
-Prima del nostro litigio ho chiesto l'aiuto di un investigatore privato.
Certo, avevo già trovato la biancheria che gli ho
buttato in faccia, ma volevo conferme. Anni addietro aveva avuto numerose
relazioni di breve durata, per lo più duravano un mese o due, poi si
stancava. Fino a che non ha conosciuto la sua attuale
compagna. A quanto ho scoperto questa donna premeva da tempo che lui mi
lasciasse, ma vostro padre si era rifiutato... vedete...-sospirò.
-Se vostro padre avesse lasciato questa donna, due settimane prima che se ne andasse, quando litigammo la prima volta... voi non
c'eravate- aggiunse in fretta allo sguardo interrogativo di Kamui.
-se l'avesse lasciata allora, probabilmente ora
sarebbe qui e quel mazzo di fiori non sarebbe sul tavolo.- Sorrise amaramente. -Ma le notizie dell'investigatore, non smisero di arrivarmi.
Il giorno stesso in cui voi ci avete visto decidere
per il divorzio, esattamente due ore prima, mi era giunta notizia che la donna
con cui sta vostro padre è attualmente incinta di sei settimane.-
La osservai. Stava tentando disperatamente di restare calma,
ma si vedeva che non lo era. Le mani le tremavano mentre
gli occhi erano lucidi.
Rimasi lì in silenzio. Mentre Kamui e Shin si guardavano
a bocca spalancata senza capire più nulla.
Passarono dieci minuti abbondanti, quando il suono del mio
cellulare fece sobbalzare tutti dalla sedia.
I tre mi guardarono, lessi velocemente la
mail.
-Sta sera esco alle sette e mezza...- fu
la mia risposta alle loro facce interrogative.
Poi Shin, ruppe il silenzio
forzato. -E riguardo alla mia domanda?-
azzardò.
-No, Shin....
non ho mai tradito tuo padre, questo è il primo appuntamento che ho con Thomas...- rispose lei.
Shin sorrise, poi tornò a
guardare il gemello, ancora troppo sconvolto per pensare a qualcosa.
Tornò il silenzio e la mamma riaccese i fornelli,
solo il rumore del cucchiaio di legno che fregava contro il metallo della
pentola risuonava nella stanza.
Kamui all'improvviso, svegliatosi dal suo sonno prese a parlare...-Certo che papà...
è proprio un figlio di...-
Una goccia di cioccolato bollente piombò sulla
guancia di Kamui, attraversando l'aria che divideva
me e Shin.
-Signorino, è meglio per te che non completi quella
frase...- tuonò la mamma con il bastone di
legno in mano.
Io e Shin guardammo le gocce di
cioccolato cadere sulla tovaglia incerata, poi ci scambiammo un'occhiata
terrorizzata.
-Ma l'ha messa incinta!-
esclamò lui massaggiandosi la parte scottata.
-Non è per tuo padre... è che non sta bene
insultare la nonna...- fu il commento diabolico di quella donna, che in quel
momento faceva decisamente paura.
Dopo la minaccia di mia madre verso Kamui,
capimmo quanto effettivamente la mamma ce l'aveva con
papà.
Non lo insultava apertamente davanti a noi, ma molto
probabilmente dentro di se gli aveva sparato tanti di
quegli insulti che nemmeno osavo immaginare.
Fatto sta, che dopo quella chiacchierata non toccammo l'argomento per il resto della giornata. Aiutai mia
madre a preparare i dolci di cioccolato, mandando al diavolo le lezioni per
quel giorno.
Poi arrivò il momento più terribile della
giornata.
Erano le sei. Tra un ora e mezza
circa Akira sarebbe arrivato a prendermi.
Nell'accettare non avevo nemmeno pensato di chiedere quale fosse il posto in cui mi voleva portare.
E nella mia mente un unico dubbio
mi assalì.
Cosa diavolo mi sarei messa
d'abito?!!!
Feci un sospiro, pensai per prima cosa di darmi una
sistemata ai capelli e mi truccai lievemente, senza esagerare, in modo da poter
essere ordinata ma non troppo assomigliante ad uno spaventapasseri.
Poi tornai in camera e aprii le ante dell'armadio.
Ufficialmente non era mai capitato che uscissi con qualcuno
più grande di me, tanto meno che quella persona in questione, fosse il figliastro di uno dei nobili più importanti
del paese. Avrei dovuto vestirmi in modo tradizionale o
occidentale? E se mi sarei vestita in occidentale
sarebbe stato meglio un vestito elegante, uno sportivo o uno casual?
Fissai terrorizzata l'armadio.
Per l'abito tradizionale non sarei mai riuscita a rispettare
i tempi, anche perchè mia madre non sapeva legare l'obi, solo mia zia ne era in grado, ma a chiamarla ci avrebbe messo troppo
tempo, sempre che fosse stata disponibile.
Quindi restava solo l'abito
normale.
Lo sportivo lo scartai immediatamente,
quindi il dubbio restava sull'elegantissimo, l'elegante, il non troppo
elegante, e il semplice.
Frugai ovunque ma non trovai niente
che potesse soddisfarmi.
Avrei volentieri chiesto in prestito qualche vestito a mia
madre, se non fosse che era più bassa di me di
almeno 10 centimetri,
e io ero decisamente più magra.
Continuando a cercare riuscii a decidere
di mettere una semplice camicia bianca, di gonne non sapevo minimamente
quale scegliere.
-Cosa c'è?- la vidi entrare
preoccupata col fiatone.
-Non so cosa mettermi!- dissi con le lacrime agli occhi.
Lei mi guardò assottigliando gli occhi rendendoli due
fessure. Poi sospirò e mi spinse a farle vedere la camicia.
Poi portò le dita al mento e iniziò a frugare
nell'armadio. Aveva la testa sempre più infilata nei miei abiti, con lo chignon che le raccoglieva i capelli e il vestito che
aveva scelto per la serata. Se non altro aveva più
gusto di me nel vestire. Aveva optato per una
gonna nera che le scendeva lungo i fianchi, sopra due calze nere che finivano
in un paio di eleganti scarpe col tacco tutte impreziosite da piccoli
brillantini, mentre il maglione a collo alto le dava un'aria quasi nobile,
mentre la sua collana con incisioni strane le impreziosiva il collo e
completava l'effetto.
Assorta com'ero nei suoi abiti nemmeno mi accorsi
che aveva trovato una gonna marrone che era perfetta con la camicia, aveva
anche pensato alle calze e alle scarpe che prese immediatamente dalla
scarpiera, poi, dopo avermi lasciato con i vestiti sul letto andò in
camera sua a prendere un maglione della stessa tinta della gonna con delle
maglie larghe che avrebbero lasciato intravedere la stoffa bianca della camicia.
Mi vestii di fretta e scesi di corsa le scale. Mancavano
ancora venti minuti prima dell'arrivo di Akira, ma prima ci tenevo ad avere l'assenso dei miei fratelloni.
-Sei fantastica!- esclamarono in
coro.
Poi mia madre mi guardò da capo a piedi e
assottigliò nuovamente gli occhi in due fessure, per poi sollevare un
sopracciglio. -Vieni con me- disse trascinandomi nel
suo bagno, adiacente al suo studio.
Mi prese i capelli e iniziò a pettinarli, per poi
raccogliermeli dietro la nuca in una serie di piccoli nodini, simili a chignon, che lasciavano scivolare alcune ciocche bionde. Poi
prese una scatoletta ed estrasse un paio di orecchini
a pendolo, con delle pietre nere, e mi puntò un fermaglio a forma di
medaglione sotto il colletto, anch'esso in pietra marrone e beige.
Sentii il campanello suonare. Il cuore prese a tamburellare
e corsi velocemente giù dalle scale, gettandomi ad aprire la porta.
Non pensai nemmeno a come avrebbero reagito i miei fratelli
nel vedere Akira, tanto meno la reazione di mia
madre, fatto sta che quando aprii la porta non fu Akira che mi trovai davanti.
Un uomo altò poco
più di me, dai capelli castani e i lineamenti occidentali, vestito di
tutto punto era davanti alla porta.
Il suo giapponese non era perfetto quanto quello di mia
madre, evidentemente non era da molto che viveva qui...
-Mamma... è per te...- mi feci
da parte e lasciai entrare quell'uomo che si
fermò sull'uscio, aspettando mamma.
-Tu sei Arashi?- chiese con un
forte accento italiano.
Annuii e feci un leggero inchino.
-Perdonami, non parlo bene
giapponese...- si scusò. -Somigli molto a tua madre...- mi sorrise e poi
alzò lo sguardo verso la scala. Mamma aveva
preso lo scialle e se l'era avvolto attorno alle spalle, mentre scendeva verso
di noi.
Mi voltai istintivamente a fissare quell'uomo
e rimasi decisamente sorpresa nel vedere come guardava
mia madre. Credo, o almeno lo pensai in quel momento, che nemmeno mio padre avesse mai guardato mamma in un modo tanto intenso. Mi chiesi,
divertita, se fosse dovuto al fascino italiano.
Mentre dalla porta entrava unfreddo vento, una folta chioma di
capelli rossi spuntò da dietro quel Thomas, e
immediatamente i miei fratelli, che avevano sporto la testa per vedere il nuovo
arrivato, esclamarono in coro... -Ora ho capito qual'era
la firma!-
Lanciai loro un'occhiata fulminante.
Poi mia madre sorrise e invitò i due ad entrare,
così da permettere di chiudere la porta. Infine si avvicinò e
sistemò le scarpe.
Guardò i capelli rossi di Akira, poi il resto e sorrise.
-Akira, è da molto che non
ti facevi vedere...- era stata senza dubbio migliore
di me nel riconoscerlo. -Sei cresciuto molto...- poi sorrise.
-Quel rosso...- esclamò l'altro ospite... -Se non
ricordo male, anche tu da giovane avevi i capelli di quel colore...-
-Hai buona memoria Tom- sorrise
mia madre che si voltò a raccomandare ai miei fratelli di non fare
troppo tardi.
Uscimmo tutti e quattro e indossai il
cappotto aiutata da Akira.
-Mamma, tu avevi i capelli rossi?- chiesi
sconvolta prima di chiudere il cancelletto.
-Si, adoravo quel colore, ma tuo
nonno ha insistito per quasi un anno, fino a che non sono tornata bionda...
poi, alla fine, non ho più cambiato...- sorrise e ci salutò
affidandomi nelle mani di Akira.
Rimasti soli, lui si chinò a sfiorarmi la guancia con
un bacio.
-Sei davvero carina questa sera...- sorrise e mi porse il braccio invitandomi a seguirlo verso una macchina
nera apparentemente molto costosa. -Ho chiesto in prestito questa a mia madre
per l'andata...- si giustificò, per poi dare indicazioni all'autista
fermo sul volante in attesa del via libera.
-E per il ritorno?- chiesi curiosa mentre
mi sedevo al suo fianco.
-Tesoro, del dopocena ne parliamo dopo la
cena non credi?- ammiccò lui, divertito dalla faccia che feci io
dopo aver sentito la parola "dopocena". -Avanti! Stavo scherzando!-
Mi portò ad un locale di cucina cinese, il posto era
carinissimo, tutto ben curato: dalla raffinatezza dei cibi all'arredamento, il
tutto accompagnato da una musica leggera di sottofondo che rendeva l'atmosfera
molto tranquilla e serena.
Dalla sera di San Valentino il mio cellulare rimase spento.
Non mi preoccupai minimamente che qualcuno potesse cercarmi. Semplicemente
preferii non rischiare di dover trovare messaggi di Akira. Mi bastava vederlo sotto la finestra di casa.
Per tre giorni avevo deciso di darmi malata, quindi saltai le lezioni e rimasi nel letto, mentre mia madre
scrutava dallo spiraglio della mia porta, consapevole che la mia era solo
pigrizia. Il giovedì sera, decisa varcò la soglia, posizionandomi alle mie spalle mentre mi stavo lisciando i
capelli appena asciugati.
-Intendi nasconderti per sempre?- chiese con voce atona. Mi
voltai a guardarla, aveva le mani sui fianchi, il che significava rimprovero o
peggio punizione.
-Non mi sto nascondendo...- risposi
fingendo un tono malaticcio.
-ArashiNokaze,
finiscila di raccontare bugie, nella mia vita ne ho dette
più di te, quindi non funziona la sceneggiata con la sottoscritta!-
brontolò minacciosa. -Domani, ti alzerai puntuale e andrai a scuola,
vestita e pettinata, e frequenterai le lezioni- non aggiunse
altro e si avviò alla porta. -Non tollero proteste da parte tua.- chiuse
la porta con un rumore secco e rimasi a fissarla.
Uscire di casa significava una cosa sola. Vederlo. Per tutto
il tempo, scostando le finestre, lo vedevo lì.
Seduto, in silenzio, a fissare il cancelletto.
Sospirai.
Andai alla finestra e scostai anche quella sera la tenda.
Sospirai. Per lo meno non era fuori al gelo.
Andai al computer e l'accesi, poi
decisi di togliermi l'asciugamano bagnato, che avevo ancora addosso dalla
doccia, e andai a prendere la vestaglia per dormire.
Feci appena in tempo ad indossare la sottoveste che mi
arrivava fino a metà coscia, quando un rumore improvviso, in esterno, mi
fece sobbalzare.
Mi guardai attorno nella stanza cercando la mazza da
softball della scuola. Andai vicino al portaombrelli che la conteneva e la
sollevai, per poi avvicinarmi alla porta a finestra.
Qualcuno bussò leggermente. -So che sei lì Arashi! Sono Akira, aprimi, qua
fuori si gela!- sussurrava con insistenza. Tirai un sospiro di sollievo e posai la mazza, indossai una
sopraveste e andai ad aprirgli.
-Ma cos'hai nel cervello? Le
scimmie urlatrici?!- sibilai, assicurandomi che
nessuno avesse sentito nulla. -Se ti scopre mia madre
ti ammazza!-
-Se tu non mi avessi lasciato due
giorni fuori di casa ad aspettare al freddo, ora non sarei qui!-
brontolò lui, cercando di riscaldarsi.
-Ara-chan?! tutto
ok?- la voce di Kamui
arrivò dal corridoio, istintivamente presi Akira
e lo spinsi dentro l'armadio, senza troppi complimenti.
-Si perchè?- chiesi angelica non appena spuntò
da dietro la porta.
-Io e Shinusciamo
e la mamma sta dormendo.- disse, per poi guardarmi perplesso. Infine alzando le
spalle uscì chiudendo la porta alle sue spalle.
Aspettai che i miei fratelli uscirono
e una volta sicura che mia madre fosse nel suo studio andai ad aprire
l'armadio.
Trovai Akira immerso tra le mie
gonne, mentre ne osservava una particolare che si
allacciava con delle fibbie intrecciate. -Come fai a mettere questa roba?- mi chiese mentre lo trascinai fuori dall'armadio.
-Fai poco rumore, mia madre ha
l'udito di un gatto!- Sibilai. -Cosa ci fai qui?!- lo
guardai con uno sguardo che lasciava intendere che doveva fare in fretta.
-L'altra sera sono
stato sgarbato... volevo scusarmi- disse lui in tono dolce.
-Non importa, in fondo, anche io mi sono comportata male...
è solo che sta accadendo tutto troppo in fretta... io non so nemmeno
se...- non completai la frase.
Sfiorò le mie labbra quasi con fretta, forse per la
paura di un mio rifiuto. Inizialmente rimasi interdetta, ero stata presa decisamente alla sprovvista.
Poi, percepii qualcos'altro in quel bacio,
qualcosa di diverso dai baci che avevo sempre dato in precedenza.
Mentre, lui era decisamente
più esperto e seppe come farmi cedere sotto la sua insistenza.
Con un piccolo cigolio mi appoggiò contro la porta
dell'armadio, lasciato socchiuso e le sue mani percorsero la linea della mia
schiena salendo a giocare con le punte dei miei capelli, intrecciandosi con essi.
Più si prolungava quel bacio
e più le mie difese si abbassavano una dopo l'altra, senza riuscire ad arrestare
quella caduta a catena, quasi fossi stata composta da migliaia di tessere del
domino.
Poi, l'istante terminò e fummo separati. Tenevo
ancora gli occhi chiusi, come per paura di vedere nei suoi, che sapevo essere
intenti nell'osservarmi.
Sospirai, poi di nuovo lui tornò
a baciare le mie labbra, questa volta con più passione. Portai le
braccia attorno al suo collo, mentre lui approfondiva la stretta fino a farmi
aderire completamente a lui.
La mia mente era vuota, come abbandonata o addormentata in un
piacevole torpore che mi faceva sentire serena.
Infine anche quel bacio terminò e questa volta aprii
gli occhi, per scrutare nei suoi.
Non portava le lenti a contatto e i suoi occhi erano
azzurri, colore decisamente insolito per un orientale.
Nessuno disse niente, restammo
semplicemente lì, fermi, a guardarci e abbracciati, in silenzio.
Poi lui sciolse l'abbraccio e tornò verso la
finestra. -Posso sperare di vederti domani?-
Annuii mentre mi avvicinavo a lui e
accompagnai la porta fino a chiuderla. Restai appoggiata al vetro per diversi
istanti, fissando un punto indefinito sul muro.
Poi mi decisi ad alzarmi. Il Computer si era acceso
automaticamente e diverse finestre chiamavano dalla chat,
che doveva essersi aperta nell'attesa.
In una brillava una scritta che chiedeva dove fossi finita e
perchè non rispondevo.
Sorrisi, presi il mouse, scelsi
start.... ed infine "spegni".
Il mattino seguente mi alzai, vestendomi di tutto punto, per
andare a lezione. Decisi di mettere la gonna che la sera prima Akira s'era chiesto come facessi
ad indossarla, mentre delle calze bianche coprenti terminavano in un paio di
stivaletti e un dolcevita mi riscaldava il collo.
Feci velocemente colazione e andai fuori.
Immediatamente incrociai gli occhi con Akira
che era fermo ad aspettare proprio dietro ad una siepe.
-Buongiorno- disse lui,
avvicinandosi e sfiorandomi la guancia con un bacio.
-Buongiorno- arrossi e abbozzai un
sorriso per poi avviarmi al suo fianco verso la stazione.
Parlammo tranquillamente, senza citare l'episodio della sera
precedente.
Poi arrivò l'entrata della stazione e si fermò
davanti alla porta che si aprì, essendo automatica. -Là dentro ci
sono i miei amici... Colleghi....- disse con voce
bassa.
-Oh...- qualcosa mi mise in allarme.
-Non sei obbligata a seguirmi, però vedi... non
vorrei metterti in imbarazzo, senza contare che...- fece una pausa scostando
dal volto una ciocca con fare nervoso - non saprei come presentarti, insomma....-
Rimasi in silenzio per diversi istanti. Pensai e ripensai a
cosa fare. Poi presi coraggio e cercai le parole, ma non mi veniva in mente
nulla. -Puoi sempre presentarmi come amica...- tentai di dire...
anche se sapevo che era rischiosa come affermazione.
-Il problema è che non mi crederebbero mai...- sospirò lui rassegnato.
-Allora non dire nulla- lo guardai fisso negli occhi.
-Lascia che pensino quello che preferiscono, e poi se sono tuoi amici ti
crederanno, no?- sorrisi e feci dei passi avanti attraversando l'entrata.
Parve convinto, tentò di sorridere e mi seguì
nell'edificio.
Una volta arrivati all'interno
mostrai il solito tesserino, lui fece altrettanto, e poi scendemmo le scale.
Lui mi portò verso un gruppo composto da diverse tipologie di persone. Ce ne era
uno in giacca e cravatta, una donna in tailleur estremamente bella, e altri tre
che avevano un abbigliamento simile a quello di Akira,
per intenderci altri tra puntaspilli con i capelli rispettivamente Blu, gialli
e verdi. Insieme avrebbero potuto formare
l'arcobaleno, mancava solo il viola e l'arancione....
Lui mi guardò sospettoso ma
poi senza troppe discussioni mi presentò ai suoi amici.
Il primo, in giacca e cravatta era un impiegato di Shibuya, si chiamava NittaKoryu. Era magrissimo e alto, ma anche simpatico a
giudicare dalla sua risata cristallina.
I tre puntaspilli si chiamavano rispettivamente: AoiGinko, e aveva i capelli,
visti più da vicino, di un colore più simile al Cyano, come la pelle dei puffi per intenderci. Dopo di lui
c'era il ragazzo dai capelli gialli: KiiroiNobuo, decisamente eccentrico e
con dei denti bianchissimi e quasi perfetti. Infine c'era il terzo puntaspilli
dai capelli verde foglia: MidorinoDaiki.
E a completare il gruppo c'era la
ragazza in tailleur. Se da lontano sembrava bella, da
vicino lo era ancora di più. Aveva lunghissimi e ben curati capelli
neri, con occhi scuri e sottili, assottigliati anche dal nero della matita. Era
magra e molto elegante nei modi, non potei fare a meno di provare un moto
d'invidia nei suoi confronti. Ma fu ben presto
sostituito da qualcos'altro. La vidi ignorarmi totalmente e saltare al collo di Akira.
Rimasi immobile a fissare loro due, mentre lei lo baciava
sulla guancia.
-Aki-chan! Non ti sei fatto vedere
per giorni!- finse un broncio e si staccò da lui... se fosse stato un
polipo sicuramente avrebbe fatto un suono simile a quello di una bottiglia quando viene stappata...
Lei lo mangiava letteralmente con gli occhi. Poi si volse
verso di me e fece una smorfia.
-E questa chi è?- chiese con
sufficienza alzando un sopracciglio, poi fece gesto con la mano di andarmene.
-Keiko, sii gentile, magari
è un'amica di Akira-san!-
in quel momento ancora non si era presentato, ma fu Koryu
ad intromettersi.
-Ragazzi, questa è ArashiNokaze...- mi
presentò lui e io mi limitai a fare un inchino.
-E chi sarebbe? Una tua amica?- mi
guardò con sospetto quella donna, che mi piaceva sempre meno. -Comunque
il mio nome è KuroiKeiko,
puoi chiamarmi Kuroi-san-
Non ero mai stata superstiziosa, ma in quel momento, quando
conobbi la signorina KuroiKeiko,
pensai seriamente che la superstizione avesse messo il
suo zampino. Era venerdì 17, e dire che mia
madre mi ripeteva spesso di portare un portafortuna al collo. Chissà
forse mi avrebbe aiutato a tenere quella donna alla larga. Ma
poi capii che sarebbe stato inevitabile incontrarla.
Quando mi chiese chi fosse un moto
di pura rabbia mi avvolse. Non notai nemmeno gli sguardi preoccupati degli
altri quattro uomini intorno a noi.
Semplicemente le avrei sfondato
quel suo dolce visino se avessi potuto. Ma,
sfortunatamente per lei, sono e resto una persona civile.
Sfoggiando un sorriso diabolico feci un inchino e le
risposi: -piacere di fare la vostra conoscenza...- dissi in tono educato, sottolineando la mia superiorità alle sue
provocazioni.
Evidentemente doveva aver intuito la sfumatura delle mie
parole, perchè una faccia schifata le si stampò
in volto. -Aki-chan, da quanto tempo te la fai con le mocciosette?- si
voltò verso di lui con uno sguardo fintamente scettico, ignorandomi
totalmente.
-Keiko, ti suggerirei
di comportarti più educatamente...- proferì lui in tono
irritato.
-Come preferisci, tanto non dura un
mese- disse per poi voltarsi e raccogliere la sua valigetta. -Ragazzi, ci
vediamo, il mio treno arriva a momenti-
Si voltò scomparendo tra la folla. Guardai
l'orologio, a breve sarebbe arrivato anche il mio.
-Akira, il mio treno sta per
arrivare...- dissi in tono pacato.
-Ti accompagno se vuoi...- disse
lui tornando gentile e guardandomi un po' preoccupato.
-Non occorre- sorrisi e mi voltai
verso i suoi amici per salutarli. -Perdonate se non mi fermo oltre...- feci un
inchino.
Il ragazzo dai capelli blu sorrise. -Tranquilla, è un
piacere conoscerti.... possiamo chiamarti Arashi?- chiese.
-Certo- annuii poi mi allontanai di
corsa.
Mi voltai un istante per vedere Akira
e lo vidi accerchiato dai tre puntaspilli che gli battevano
la mano sulla schiena. Scossi la testa perplessa per poi correre dentro al vagone un attimo prima che si chiudessero le porte.
Sospirai. Il ricordo di quella donna mi lasciò tesa
per tutto il tragitto, fino a che non arrivai alla mia fermata.
Mi concentrai sulla folla alla ricerca di Sachiko. Infine la vidi che agitava la mano per farsi
vedere.
-Eccoti! Allora racconta come è
andata a San Valentino?!- mi chiese immediatamente.
-Buongiorno anche a te!-esclamai prendendola in giro, poi
partii con il racconto della serata e di quello che era successo la sera prima.
-Wooow!! Non ci credo!-
strillò eccitata quando gli dissi del bacio.
Arrossii e continuai a camminare in silenzio.
Lei prese a ridere a crepapelle fino all'entrata
dell'università.
Poi cercai di distrarla chiedendole delle lezioni del
giorno: -Oggi abbiamo Letteratura occidentale con il profTegami- rispose prontamente lei.
Ci avviammo nella folla e come sempre eravamo sedute ai
primi banchi. Non erano in molti a frequentare quell'università,
molti non venivano ammessi, altri invece non potevano
permettersi una retta tanto alta come la nostra.
Nella classe saremmo stati poco
più che una cinquantina.
Sedute nei primi banchi sfogliavo
gli appunti, mentre Sachiko insisteva nei dettagli
della sera prima.
Infine la porta si aprì, ma non fu piacevole
ciò che vidi. KuroiKeiko
era appena entrata in tutto il suo "splendore", accompagnata dal
rettore "Kinniku", così lo
chiamavamo io e Sachiko. Era sempre stato un uomo muscoloso... ma aveva l'aria del gigante buono.
-Ragazzi, questa è la signorina KuroiKeiko, sarà la supplente del professor Tegami,
che purtroppo ha avuto uno spiacevolissimo incidente dove si è rotto
diverse ossa che non sto qui ad elencarvi, siate
educati, arrivederci- come sempre, in tutte le sue comparse fulminee,
presentò come da copione e sparì nel corridoio.
Quella donna si presentò alla
classe, poi, solo in un secondo momento parve notarmi. E cominciò con un discorso in cui sosteneva che solo
pochi meritevoli sarebbero stati ammessi alle classi successive.
Imprecai in silenzio, sapendo che dietro quelle parole si
nascondeva una sicura lotta per ottenere la promozione con lei. Sicuramente mi
avrebbe impedito in tutti i modi di passare di classe. Sfortunatamente per lei,
non sapeva con chi avesse a che fare.
Sorrisi fingendo ammirazione per tutta la durata del corso,
poi, una volta fuori, andai con Sachiko alla mensa.
Poco dopo anche Kaji si unì a noi.
Sachiko parlava lamentandosi:-Quella supplente si crede una gran donna, solo
perchè è bella d'aspetto! Che arroganza!
E poi che nome assurdo: "nero" che razza di
cognome è?!- sbottò adirata.
-Non dirmelo, quella donna mi farà patire le pene
dell'inferno, ne sono sicura- sibilai appoggiando i
gomiti sul tavolo e addentando dei polipetti che
avevo messo nell'obento.
-Andiamo, nemmeno ti conosce!-
rispose Kaji alzando le spalle.
-Magari fosse così, l'ho
conosciuta questa mattina, esce nella compagnia di tuo fratello!- mormorai tra
i denti, masticando il polipetto.
-Aspetta...- disseKaji guardandomi sconvolto. -Dimmi
che non si chiama KeikoKuroi!-
-Bingo!- esclamammo io e Sachiko all'unisono.
-Allora si che sei nei guai! Quella
è la ex di mio fratello! E' una vipera!
All'ultima fidanzata è arrivata a rasarle i capelli a zero! Non farla
arrabbiare, è immischiata in giri poco
raccomandabili!- mi avvertì lui.
Chiusi gli occhi e tirai una testata al tavolo. -Maledizione...-
sibilai.
-A meno che...- aggiunse poi in tono più cauto...- a meno che tra te e mio fratello non ci sia nulla...-
-Ma sei ieri sera...- iniziò
Sachiko alla quale tappai immediatamente la bocca
ficcandole un gamberetto in gola.
La vidi passare alle spalle scrutando con
la coda dell'occhio, pensai bene di farmi sentire. -Kaji,
io e Akira, siamo solo amici, tra
di noi non c'è nulla!- tenni un tono di voce abbastanza alto da
farmi sentire.
Kaji e Sachiko
capirono che c'era lei nei paraggi e quindi annuirono con poca convinzione.
Terminato il pranzo andai alle
ultime lezioni e mi diressi in fretta a casa.
Arrivata alla mia fermata scesi dal
treno e mi scontrai immediatamente con Akira, appostato
vicino ad un pilastro.
-Arashi, ti aspettavo... vieni con
me- senza aggiungere altro mi invitò a
seguirlo, mentre si guardava intorno circospetto.
Usciti dalla stazione ci dirigemmo verso
casa mia, senza scambiarci una parola per tutto il tragitto lui mi
lasciò davanti casa.
Senza avvicinarsi troppo mi fece capire, usando i gesti che sarebbe passato come la sera prima per la finestra.
Lo salutai con la mano ed entrai in casa. Prima di chiudere
la porta tuttavia capii il perchè dei suoi silenzi durante la
passeggiata. Dietro un angolo s'era appostata la Kuroi.
Chiusi la porta, facendo scattare la
serratura, e scostai lo spioncino sbirciando fuori. S'era avvicinata al cancelletto e stava per suonare.
Tolsi velocemente le scarpe e corsi su per le scale piombando
nella camera dei miei fratelli.
Shin era a computer
mentreKamui era intento a leggersi un libro.
Il campanello suonò.
-Ara-chan,
potresti andare tu ad aprire?- chiese Kamui annoiato.
-No, dovete andare voi, chiederanno
di me, ma dite che sto poco bene!- esclamai schiodando Shin
dal computer e costringendolo a scendere.
Al campanello insistevano e il gemelli
andò ad aprire.
Lo vidi, da dietro la tenda della cucina, che stava
discutendo con la Kuroi, aspettai che se ne
andasse e corsi nuovamente alla porta.
-Cosa voleva?- chiesi in fretta.
-Sapere se abitavi qui e in che rapporti eri con i Norimogase.- disse tranquillo.
-E tu cosa gli hai risposto?-
chiesi nuovamente agitata.
-Che abiti qui e che i rapporti con
i tuoi amici non sono affari di dominio pubblico...- disse un po' scocciato e
storcendo il naso -Mi è parsa maleducata, poteva almeno presentarsi
prima, è una bella donna, ma si vede che ha un pessimo carattere...-
-E' la supplente di lettere, e la ex di Akira...- dissi con calma
ritrovata.
-Deve essere ossessionata da quel tipo
allora per pedinarti a quel modo!- disse lui preoccupato. -Vuoi che ti accompagnamo d'ora in poi?- si offrì.
-Per ora non occorre...- sorrisi cercando di sdrammatizzare.
Poi salii in camera mia.
Non so cosa feci, ero troppo nervosa, aspettai Akira e per poco non gli rompevo una mano
quando lo sentii bussare alla finestra.
-Fortuna che hai aperto subito- si
richiuse la porta alle spalle. -Mi controlla temo, ma nessuno mi ha
visto uscire di casa, non ho usato il portone principale-
sorrise e tirò un sospiro di sollievo.
Poi mi sfiorò la guancia con la mano e
s'avvicinò a me baciandomi.
Questa volta non ne rimasi affatto
sorpresa. Ricambiai il bacio, che tuttavia, fu
più breve della sera prima.
-Perdonami, ti sto solo mettendo
nei guai...- sospirò lui. -Non dovrei nemmeno essere qui...- scosse il capo.
-La tua amica... quella Kuroi... è la mia insegnante di Lettere occidentali...- sospirai
trattenendolo per una mano.
Lui tirò un pugno in aria, quasi con rabbia, ma attento ad evitarmi.
-Questa non ci voleva... Keiko...
è pericolosa... Forse è meglio che ti stia alla
larga...- disse lui avviandosi alla finestra.
Lo vidi aprirla e istintivamente lo
presi per la mano esclamando una sola parola: -No!-
Lui si voltò, richiuse la porta a finestra e mi
sorrise. -Non dovresti tenere la voce bassa?- chiese.
Scossi il capo e sorrisi, questa volta maliziosa. Non seppi
nemmeno io cosa mi spinse a farlo, ma mi avvicinai a
lui, le nostre bocche erano distanti pochi centimetri, -Sono sola in casa, i
miei sono appena usciti...- e questa volta, fui io a baciare le sue di labbra,
mentre le sue mani mi tiravano verso di lui.
Era forse la prima volta, in tutta la mia vita, che potevo
dire di stare con qualcuno. Prima, quando stavo con Kintaro,
ovviamente ne ero innamorata, ma con il senno di poi,
ripensandoci, credo che non fosse propriamente amore quello. Ad essere sincera,
non so nemmeno se anche quello che provo per Akira
sia amore.
In fin dei conti, cosa significa amare una persona?
Sapevo che non bastava starci assieme per poter dire di
amarla, e allo stesso tempo, credo che non occorra che si possa chiamare amore
quel sentimento d'affetto reciproco. Anzi, credo che esistano
addirittura persone che amano per anni la stessa persona, senza che l'altra lo
sappia mai. Ma, in quel momento, mentre baciai Akira, io potevo dirmi veramente fortunata. Ma questo non
fa comunque di me una persona innamorata. L'amore
è quel qualcosa, che secondo me, ti fa battere il cuore a mille quando vedi lui, quando ti sembra di avere diecimila
farfalle nello stomaco e sei convinta che in quell'istante
avresti potuto eruttare lava incandescente, se solo avessi avuto un cratere
sopra la testa. Significa lasciar morire le parole sulle labbra dopo averlo
visto sorridere. Aver paura di chiamarlo per nome, perchè pensi che
detto da te abbia un suono strano. E allo stesso tempo pensi quanto sia bello il tuo, di nome, ad essere pronunciato da lui. Amare
significa sentire un brivido gelido attraversarti quando
lui ti sfiora, avere paura di tutto, pur sapendo che se desideri qualcosa,
niente potrà impedirti di ottenerla. Amare significa mordersi un labbro,
quando vedi qualche ragazza avvicinarsi e fare gli
occhi dolci, anche se poi magari scopri che è solo sua sorella.
Significa piangere, camminare sotto una pioggia di lacrime
quando lui ti risponde male; provare le sue stesse emozioni e provare il
desiderio di accarezzargli il volto quando soffre.
Credo che non avrei mai riflettuto
sul vero significato di amore se quella sera, con Akira,
non avessi passato le ore migliori della mia vita.
Prima di allora non mi era mai capitato di soffermarmi a
pensare su quello che sentivo nell'incontrarlo uscendo di
casa.
Dopo quel bacio, quello che fui io a dargli, ne seguirono
altri, e nel giro di pochi istanti, mi ritrovai distesa sul letto, mentre le
sue mani avanzavano dolcemente sotto la mia maglietta andando a sfiorarmi i
seni. Non avevo mai permesso tanto a nessuno prima d'ora, mi sembrava di
tremare, ma allo stesso tempo non avrei permesso a
nessun pensiero stupido di fermarmi. Lui scese con la bocca a
baciarmi lentamente il collo, attorno a noi regnava il silenzio.
Mi abbandonai alle sue lente carezze e ben presto fui presa
dal dolce ritmo della passione.
Persi totalmente la cognizione del tempo.
Quando riaprii gli occhi di fianco a me non c'era nessuno, la luce era spenta e avevo le coperte tutte
aggrovigliate attorno alle caviglie. Cercai di sistemarmi i capelli, quando un
rumore sospetto venne da dietro la porta che dava sul corridoio.
Mi alzai e cercai qualcosa da mettermi addosso.
Sperai in cuore mio che fosse
solamente Akira, che per qualche motivo si era
nascosto, mentre mi dirigevo verso la porta e lasciavo piegarsi sotto la
pressione della mia mano, la maniglia, per poi socchiudere la porta e portare
la testa fuori.
Trattenni un urlo
quando capii che là fuori non c'era Akira,
ma qualcun'altro.
Andai immediatamente a prendere la
mazza da softball dentro l'armadio quando quella stessa persona spalancò
la porta della mia camera e accese la luce.
Istintivamente portai la mazza avanti, mentre la luce
improvvisa mi accecò per qualche istante. -Fermo dove sei!-
strillai.
-Ara-chan,
metti giù quella mazza, sono io...- disse l'uomo, che lentamente,
riacquistando la vista riabituatasi alla luce, si rivelò essere mio
padre.
-Papà! Cosa diavolo stavi
facendo!- chiesi guardandolo male e abbassando la mazza.
-Avevo dimenticato una cosa, ma temevo se
se l'avessi chiesta a tua madre l'avrebbe distrutta, sono solo venuto a
riprenderla...- disse agitando una cartelletta con dei fogli bianchi
all'interno.
-E c'era bisogno di comportarti
come un ladro?- brontolai stropicciandomi gli occhi.
-Tua madre non c'è? E i tuoi
fratelli?- chiese cambiando discorso.
-No sono usciti...- brontolai nuovamente, cercando un
maglione da mettere sopra la t-shirt extralarge che
avevo addosso, sperai anche che "l'ospite inatteso" non s'accorgesse
di quello che era successo.... -Che ore sono?- chiesi
infine.
-L'una quasi... certo che Shin e Kamuifanno
certi orari!- sospirò lui, per poi aggiungere. -Tua madre sta fuori fino a quest'ora?- il tono
cercava d'essere neutrale, ma con scarsi risultati.
-Avrà anche lei diritto di divertirsi ogni tanto...-
commentai, non mi andava certo di dirgli che sarebbe
rimasta fuori con il suo nuovo fidanzato.
-Già... ma qui cosa è successo? Sembra
scoppiata una guerra, e poi la finestra è aperta, se entrava qualcuno
che non fossi stato io?!- cercò di
rimproverarmi, ma anche questo suonava principalmente patetico.
Lo guardai con sufficienza, poi andai a chiudere la
finestra, fuori non c'era nessuno. Poi un foglio bianco attirò
la mia attenzione, era appoggiato sotto la finestra, vicino al tappeto.
Feci finta di niente e lo nascosi ulteriormente per essere
sicura che mio padre non lo vedesse. -Bè
se hai preso quello che ti serviva...- commentai, era decisamente
un invito ad andarsene.
-Arashi... vorrei che almeno tu e
i tuoi fratelli non mi odiaste per... bè... la mamma ve l'avrà detto...- balbettava
quasi, mentre si passava una mano dietro al collo, imbarazzato.
-Non ti odiamo... ma è
meglio se stai lontano da mamma... riguardo al figlio della tua fidanzata...
buona fortuna...- proferii gelida.
-Quando nascerà...
sarà una bambina, sarebbe bello se verrete a vederla. In fondo...
è sempre vostra sorella, anche se per metà...-
-Lo dirò a Shin e Kamui.- risposi secca. -Per curiosità, come sei entrato?-
-So dove tua madre mette le chiavi di scorta...- sorrise e
s'avviò verso l'uscita.
Lo accompagnai e chiusi in silenzio, presi
la copia della chiave e la posai sul tavolo della cucina. Un consiglio dovevo dare alla mamma... cambiare posto a quella chiave.
Tornai di sopra, corsi a prendere il biglietto che era
rimasto sotto il tappeto:
"A domani..."
Sorrisi. Poi tornai a letto e mi ficcai sotto le coperte.
Sospirai serena e in pochi minuti mi addormentai cadendo come un sasso.
Il mattino dopo eravamo un po' tutti distrutti. Ma forse fui
l'unica ad avere un po' di energie per alzarsi e
andare a scuola.
I due fratelloni s'erano dati alla
pazza gioia, mentre la mamma era tornata a casa alle quattro del mattino tutta
allegra per poi crollare anche lei dal sonno.
A colazione addentai allegra una fetta di pane tostato
cosparso di marmellata e sorseggiai il mio tè. La mamma era con la testa
stesa sul tavolo e gli occhi chiusi, evidentemente in trance.
Kamui reggeva per il manico la tazza che però penzolava dal suo dito con un equilibrio
decisamente precario. Shin invece era appoggiato alla
tavola con due occhiaie paurose e il biscotto che teneva nella mano era ormai
dissolto nel tè in cui era caduto.
Sollevai il sopracciglio guardando il quadretto, sarebbe
bastato dire che papà era passato la notte prima,
ma erano troppo spassosi visti così che non me la sentii di svegliarli
dal loro "sonno prolungato".
Sogghignai ed uscii.
Non appena chiusi il cancelletto
vidi Akira aspettare vicino al palo. Non si vedeva la Kuroi
da nessuna parte fortunatamente.
Sorrisi e arrossii contemporaneamente al ricordo della sera
prima.
-Buongiorno- sussurrò con un
tono dolcissimo per poi baciarmi la fronte.
-Buongiorno- mi lasciai sfiorare
dolcemente sorprendendomi del mio stesso comportamento così mansueto.
-Tutto... ok?- chiese quasi con un
accento di preoccupazione nella voce mentre mi
guardava negli occhi.
Annuii con la testa e ricambiai lo sguardo per poi avviarci
tranquillamente alla stazione.
Camminavo di lato a lui mentre
tenevo la borsa a tracolla.
Mi sentivo con la testa talmente per aria che mi sembrava d'essere leggerissima.
Parlammo per tutto il tragitto e all'arrivo in stazione
prendemmo un po' più di distanza.
La Kuroi, così come gli altri erano
già vicino al binario quando li trovammo.
Sospirai nel vederla, mentre gli altri parvero lanciare occhiatine indagatrici.
Lei mi fissò con astio sin da subito
mentre gli altri salutarono cordiali.
Poi gli eventi si susseguirono velocemente. Preso il treno
mi recai a lezione con quell'arpia
e aspettai che terminassero per poi tornare a casa...
Erano le sei passate. Attraversai il cancelletto
in tutta calma quando vidi mia madre per la prima
volta che metteva piede fuori da casa in orario di lavoro.
-Mamma, tu non esci mai che cosa...- prima di riuscire a
dire altro mi afferrò per l'orecchio e mi trascinò in casa.
Strillavo per il dolore all'orecchio, mentre mi trascinava
su per le scale.
Una volta dentro camera mia notai le coperte completamente
rovesciate, mi mollò, chiuse la porta e prese
ad indicare le macchie sulle lenzuola.
Imprecai portandomi la mano alla bocca e diventando rossa
come un pomodoro.
-Conosco a memoria le tue abitudini... ma...
dopo un'attenta valutazione delle possibili realtà ne è uscita
solo una possibile...- il tono era serioso... quasi minaccioso. -Chi è?
Non dirmi che è il rossino!-
il suo aspetto cambiò radicalmente e scoppiò quasi a ridere dal
divertimento.
Dallo stupore passai ad uno sguardo di sufficienza
mentre rideva e mi saltellava intorno come una cavalletta.
-Daiii dillo alla tua mammina!! E' Akira
vero?!- continuava a saltellare mentre parlava.
-Mamma ti prego finiscila! Si
è Akira ma stai ferma!Mi dai sui nervi!- sibilai tra l'irritato e
l'imbarazzato.
-Bene, sei in punizione!- terminò
sorridendo.
La guardai sconvolta! -Perchè!-
strillai.
-Perchè hai portato senza
permesso un ragazzo quasi sconosciuto a casa e perchè hai lasciato
entrare tuo padre in piena notte senza nemmeno preoccuparti che fosse un
ladro.- ora era tornata seria. -Questo per farti
capire che non sempre si può essere fortunati, se fosse
stato un ladro o un mafioso della Yakuza a quest'ora saresti potuta morie, inoltre, ti conviene levare
quelle macchie.- concluse uscendo dalla stanza.
-Ma...- cercai di protestare.
-Vai a fare compagnia ai tuoi fratelli, anche loro sono in punizione- sorrise acida e insopportabilmente testarda.
La detestavo quando era
così... nella mia vita avevo beccato poche punizioni, almeno non quante
i miei due fratelli, tuttavia mi sembrava d'essere trattata come una bambina.
Presi le lenzuola e le trascinai in bagno, dove trovai Shin alle prese con il WC e Kamui
con la lavatrice.
-Punizione?- chiesero in coro.
Annuii e lavai le lenzuola nella vasca.
-Prima volta?- Chiese Kamui
ammiccante.
Mormorai qualcosa che doveva suonare come un sì.
-Tranquilla, anche con noi l'ha fatto... sempre uguale...- disseShin alzando le spalle per
poi tornare a lavorare.
Passai il tempo della punizione accompagnata dai miei due
amatissimi fratelloni, entrambi compagni di
disavventure.
La motivazione del loro castigo era l'avermi lasciata a casa
da sola, infrangendo il coprifuoco.
Quando informai Akira della
punizione scoppiò a ridere credendo fosse uno scherzo, ma, dopo aver
visto la mia faccia seria, ha capito che non stavo scherzando.
Superato anche quell'ostacolo,
ovvero riconquistate le chiavi delle catene imposte da mia madre passarono
diversi mesi.
L'unico problema era costituito da KeikoKuroi. La supplente aveva provveduto a rendere
impossibile il mio percorso scolastico. La mia media era calata e quando
spiegai la cosa a mia madre nemmeno la sua donazione, associata a quelle di
molti altri genitori, con i figli in una situazione analoga con quell'insegnante, bastarono per smuovere quella
"montagna nera"(Kuroi significa
letteralmente "nero", l'aggettivo montagna invece è dato dalla
sua forza e tenacia ndSayu).
Il preside sembrava restio a cedere ad ogni tipo di persuasione. Il consiglio
dei genitori era spaccato in due.
Alcuni che venivano, come me, definiti
"immeritevoli" avevano visto la loro media perfetta crollare sotto il
peso della sua crudeltà.
Faceva domande impossibili, chiedeva cose mai spiegate, ogni
scusa era buona per far cedere allo stress e alla depressione metà corso
avanzato.
Akira non sapeva più che
fare, io ero messa peggio degli altri, visto e considerato che, oltre all'odio
per i secchioni, quella donna odiava me perchè
avevo l'oggetto del suo desiderio.
Per quanto cercassi di liberarmi
degli esami legati alla sua materia il consiglio docenti faceva di tutto per
attribuirmi i suoi corsi.
Solo negli scritti mantenevo la mia media, grazie alle
correzioni visionate dalla commissione.
A circa sei mesi dal suo arrivo, in corrispondenza con il
termine del primo semestre, tuttavia, ci fu un dono mandato dal cielo.
Fu diffusa la notizia che il professor Tegami, sarebbe
tornato all'inizio del secondo semestre.
E così accadde.
Mezza facoltà di letteratura tirò un sospiro
di sollievo quando vedemmo il signor Tegami, con i
suoi occhiali cerchiati di nero, vagare per i corridoi della scuola. Eravamo
sopravvissuti alla "montagna nera", chi più distrutto, chi
meno.
Ma sfortunatamente per me, dovevo prendere comunque il treno
con le tutte le mattine.
Era una mattina come tante quella
dove ci fu il nostro ultimo scontro.
Ero uscita e mi dirigevo alla stazione, come sempre in
compagnia di Akira, che mi parlava dei suoi ultimi
problemi sul posto di lavoro. Nelle ultime tre settimane si era ritinto i
capelli che sembravano, se possibile, ancora più rossi; mentre il suo
abbigliamento era forse meno "Spigoloso".
Entrammo come sempre nello stesso istante varcando le porte
scorrevoli, quando la vidi e me la trovai davanti.
Sospirai. La guardai e la salutai cordiale: -Buongiorno
signorina Kuori-san- mi
inchinai rispettosamente, come d'abitudine, ma lei non pareva altrettanto
cordiale quel giorno.
Prese a puntarmi un dito contro e a strillare come
un'ossessa, i suoi lineamenti di norma stupendi, si trasformarono presto in
qualcosa di orribile: -Tu sporca sgualdrina! Come può una come te anche
solo respirare! Tu non meriti di vivere!-
Alle sue spalle comparve immediatamente, in tutta la sua
professionalità il signor Nitta-san, che la
prese da dietro e le intimò di calmarsi.
Solo in quell'istante notai che
effettivamente c'era qualcosa in lei che non quadrava. Non aveva il suo solito
tailleur elegante, ma un semplice paio di jeans e una maglietta aderente.
-Nokaze, vai, o perderai il
treno...- mi disse in un tono che non ammetteva repliche.
Non me lo feci ripetere e filai via, lanciando solo un
semplice sguardo a quella donna che sembrava in preda ad un esaurimento
nervoso.
La sua immagine mi rimase impressa per tutta la giornata e
sono nella serata, quando vidi Akira camminarmi
incontro, appena scesa dal treno, riuscii a dimenticare la tensione e
concentrarmi su altro.
Una volta avvicinato gli chiesi:
-Come sta? Cosa... le... è...?- iniziai.
-Ha avuto un esaurimento... piuttosto è meglio che tu
vada a casa, questa sera sei invitata a cena...-
sorrise cordiale, ma sembrava ci fosse qualcosa...
Annuii e andammo direttamente a casa dove mi cambiai e nel
giro di un'ora fui pronta ad uscire.
Era passato il tempo in cui stavo ore a decidere cosa
mettere, avevo imparato esattamente quali vestiti gli piacevano e quali meno,
anche se, sapevo mi avrebbe accettata in ogni modo, anche vestita di stracci o
in vestaglia da notte.
-Eccomi!- commentai sorridente quando
uscii dal cancelletto.
Ma ad aspettarmi c'era la limousine con lui appoggiato alla
fiancata, vestito con una camicia bianca lasciata fuori, una cravatta rossa
tenuta allentata e dei pantaloni neri dal taglio semplice.
-Eccoti- mi salutò per poi
sfiorarmi la bocca con un bacio e sorridendo, invitandomi ad entrare nell'auto.
-Dove mi porti?- chiesi una volta
seduta e con lui al mio fianco.
-A casa mia, ma solo se prima accetti una cosa...-
Fece una pausa e mi sorrise guardandomi negli occhi, quella
sera niente lenti a contatto. Annuii con il capo.
Lui parve cercare qualcosa nella tasca dei pantaloni e
s'ingobbì per infilare la mano, la quale, una volta estratta, conteneva
una scatoletta nera.
La guardai scioccata quando me la
porse.
-So che non è un modo originale per chiedertelo... ma...- aprì la scatola mostrando il
contenuto. Era un anello semplicissimo, in oro bianco, con tre brillanti
incastonati nel metallo che riflettevano la luce. -Vuoi sposarmi?-
Non saprei dire per quanto tempo rimasi
lì, come una scema, a fissare l'anello, con la bocca aperta e gli occhi
sgranati.
A dire il vero, non so nemmeno quello che risposi, ma mi
accorsi che il tempo continuava a susseguirsi quando
scesi e vidi la casa della famiglia di Akira davanti
a me, imponente come sempre, e al mio anulare sinistro, l'anello perfettamente
calzante.
Quella sera il tempo pareva seguire una cadenza diversa,
quasi a intermittenza, seguita da attimi infiniti alternati ad attimi veloci
come un battito.
Vidi davanti a me Kaji sorridere e
abbracciarmi felice, per poi lasciare il posto a Sachiko,
che a sua volta lasciò il posto alla mia futura suocera e a Noriko che pareva al settimo cielo.
In men che non si dica ero già sulla strada di casa e salivo le scale,
quando trovai mia madre a sorridermi con Kamui e Shin, divertiti e dal ghigno diabolico alle sue spalle.
-Cosa... ci fate qui fuori?- sussurrai data l'ora tarda.
-Ti aspettavamo- disse mia madre per poi guardare Akira dietro di me. Non disse nient'altro, semplicemente
sorrise.
Gli unici a commentare furono i due gemelli che dopo un
breve conto alla rovescia intonarono nel pieno della notte a squarciagola e
svegliando tutto il vicinato:
"Tra rosa e fior..... nasce l'amorrrrr"
-Che cosa stanno dicendo?- mi
sussurrò Akira sentendoli gridare quella
canzone in un'altra lingua, l'italiano che lui non conosceva.
-Niente, semplicemente li ammazzo!- e così mi fiondai verso i due che come mi videro presero a scappare.
Allora ecco a
voi i **Ringraziamenti**
Prima di tutto
ringrazio la mia sorellina che per prima ha letto la fic
interamente e l’ha commentata :P
Poi ringrazio
tutti coloro che l’hanno letta fino alla fine e in particolare:
Yuna
Hatori
Sherazade
Niwad
Bamboladipezza
Flo
Etoil
noir
Anima
Grazie davvero.
Poi ne
approfitto per auto pubblicizzarmi annunciando il titolo della mia prossima fic: “Sei la
mia droga” che attualmente è in fase di
stesura e, una volta raggiunto, un numero decente di capitoli,
inizierò a pubblicare. Il genere ovviamente è romantico, e
sarà sicuramente NC17 (quindi siete avvisati :P)
Inoltre ho da poco terminato una nuova storia abbastanza breve (si conclude in
7 capitoli) alla quale non ho ancora dato un titolo, e che pubblicherò
non appena l’avrò sistemata ^^