Il meccanismo del tempo

di Revysmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Triello ***
Capitolo 2: *** 02. Arrivederci ***
Capitolo 3: *** 03. Coincidenze ***
Capitolo 4: *** 04. Incontri (parte uno) ***
Capitolo 5: *** 05. Incontri (parte due) ***



Capitolo 1
*** 01. Triello ***


ATTENZIONE: tutti i personaggi presenti in questa storia appartengono ad Hidekaz Himaruya, gli unci che appartengono interamente a me sono gli OC presenti nella storia.

Alcuni personaggi saranno in versione Nyotalia.

In questa fic ci saranno degli OC è probabile che ci siano delle coincidenze in altre storie per i nomi scelti, sappiate che sono puramente casuali in quanto non è mia intenzione copiare nessuno. In ogni caso non ho intenzione di cambiarli, anche se dovessero già essere stati utilizzati, in quanto, ognuno di loro, per quanto possa sembrare banale, ha una storia alle spalle la quale ne ha determinato la scelta.

La trama sarà principalmente d'azione e se, da un lato non mancheranno i momenti humor, dall'altro avrà alcune scene dal contenuto piuttosto forte.

 

 

01. Triello.

La leggera brezza di quel giorno di metà inverno scompigliava dolcemente i capelli a quel bambino nascosto dietro ad un cepuglio. Aveva le calzature lacere piene della sabbia della spiaggia e le mani leggermente sbucciate in seguito alla discesa della alta e bianca scogliera a cui voltava le spalle mentre guardava pensieroso il mare aperto. Spesso si rifugiava su quelle alture per poter ammirare la candida costa, omologa alla sua, visibile come una lunga striscia bianca al di là dell'enorme canale di acqua marina.

Tuttavia ora la sua attenzione non vagava su quei lontani lidi ma era interamente volta a quelle enormi navi che stavano approdando sulle sue terre.

"Enormi uomini barbuti, con delle orrende e stupidissime corna in testa, che parlano una lingua astrusa e che puzzano come vecchie carogne!"

Ecco come gli aveva descritti James scimiottandoli con fare buffo ma allo stesso tempo carico di rancore l'ultima volta che lo era andato a trovare nella sua isola mentre vagavano fra di detriti di un enorme monastero completamente bruciato in seguito ad una invasione ad opera di quelli stranieri.

Certo, da quella distanza non sentiva la puzza che descriveva il cugino, ma l'enorme stazza, i brutti copricapi e gli echi di quella lingua strana, beh, quelli erano veritieri.

A ridestarlo dai suoi pensieri fu un suono basso, prolungato, emesso da un corno, o da qualcosa di altrettanto simile, che riportò il silenzio assoluto azzittendo la confusione che si era creata durante le operazioni di sbarco.

Ormai la maggior parte degli uomini erano approdati a terra ed erano tutti rivolti verso una nave che era stata portata in secca sulla spiaggia e dalla quale era venuta la nota musicale.

Non dovette attendere molto che qualcuno parlò, incantando la folla e incitandola, sollevando urla di approvazione e devozione, ben intuibili nonostante la lingua sconosciuta. Quando vide l'oratore, per poco, il bambino non si lasciò scappare un grido di stupore.

A parlare era stato un ragazzino, non molto più grande di lui, che era salito in piedi sul parapetto e che con parole urlate si rivolgeva a quegli uomini, ammaliandoli. Non riusciva a vedere il suo volto, dato il suo nascondoglio e la grossa distanza, tutto quello che riusciva a scorgere erano una massa di capelli biondi, dei vestiti fatti di pelli e pelliccie, come tutti gli altri del resto, ed un'enorme e decisamente sproporzionata ascia ancorata sulla schiena.

Si alzò cautamente, consapevole di aver visto abbastanza, deciso a correre verso quella cittadina che distava poco da quella spiaggia e che sicuramente, a breve, sarebbe stata attaccata da quegli invasori. Mentre risaliva in silenzio la scogliera, correndo per una stradina nascosta, non ebbe nemmeno l'impulso di fermarsi a tentare di scorgere meglio il volto di quel ragazzo tanto, ne era assolutamente sicuro, l'avrebbe rivisto presto, molto presto.

Gli era bastato uno sguardo fugace per capirlo, loro due erano uguali, perchè, esattamente come lui, quel biondino era...

"... e ora passiamo al meteo. Questa settimana su tutta la nazione si registreranno piogge insistenti, soprattutto..."

Il suono della radio svegliò di soprassalto il ragazzo, che si rizzò a sedere allarmato, ritrovandosi sul divano di casa propria, ed interrompendo bruscamente il suo sogno.

Ci mise qualche secondo per far mente locale su di se, infatti, ubriacato com'era dalla stanchezza, non riusciva nemmono a capire chi fosse e dove fosse. Lentamente, formulando con enormi difficoltà i primi pensieri razionali, di qualla mattina riuscì finalmente a capire di essere sempre il solito Arthur Kirkland, ventitrenne, inglese, residente a Londra nell'appartamento nel quale si era appena svegliato, dopo essersi addormentato come un sasso sul divano mentre ascoltava la radio, in seguito alla mancata digestione di quelle sostanze tossiche che altre non erano che la sua cena. Che poi si fosse messo a sognare un ipotetico se stesso da piccolo, in abiti medioevali, mentre guardava un'invasione vichinga, a quello proprio non c'era una risposta che potesse essere formulata con quelle scarsissime conoscenze che aveva di psicoanalisi e quindi non tentò nemmeno di trovarla. Tuttavia quella non era certo una novità , sgni simili erano la normalità per lui e di analoghi ne aveva compiuti fino a quando risaliva la sua memoria, spesso la sua psiche si ritrovava a vivere in diverse ere storiche a diverse età, interagendo con persone che non aveva mai incontrato nella vita reale, ad esempio come il fantomatico cugino James, del quale, ne era certo, non ne aveva mai sentito parlare .

Sbuffando sonoramente, si scranchì il collo indolenzito a causa della scomoda posizione a lungo tenuta, godendosi la calma del mattino, che tuttavia, fu celermente distrutta dall'ora che segnava l'orologio del soggiorno. Arthur, alternando borbotii e maledizioni rivolte a tutti i santi che popolavano la volta stellata, si lanciò in camera e poi in bagno, speranzoso di riuscire a prendere in tempo l'ultimo autobus che avrebbe potuto portarlo al lavoro in orario.

Preparandosi alla velocità della luce si catapultò in strada, correndo al massimo delle sue potenzialità, con in mano la tracolla di cuoio consunta, contenente tutte le sue bozze, e la cappotto stropicciato, il quale non si era ancora infilato, nonostante fosse gennaio, riuscendo a prendere al volo il mezzo pubblico.

Il suo aspetto trasandato e malmesso, sia per la sua fretta ma anche per la sua scarsa propensione verso la cura della propria persona, causò alcuni risolini fra delle studentesse e delle occhiate di disappunto di un paio di vecchie signore. Dopo aver timbrato il biglietto, si trascinò fino a sedersi su un posto libero stringendo il nodo alla cravatta e tendando di darsi una sistemata, ma con assai scarsi risultati. Infatti la sua figura riflessa nel vetro, dimostrava come i suoi capelli biondi fossero ispidi e spettinati più del solito, i suoi occhi verdi circondati da profonde occhiaie e le sue sopracciglia... oh beh, erano ventitrè anni che erano così brutte, quindi non ci fece particolarmente caso.

Si lasciò cullare dai movimenti del bus causati dal traffico, guardando con occhi estasiati il paesaggio urbano che scorreva veloce oltre il finestrino. Che meraviglia Londra! Era in quella città solo da un anno, eppure gli sembrava di conoscere la cara e buon vecchia capitale inglese da secoli.

Il viaggio fu abbastanza piacevole e, una volta giunto alla fermata, non dovette che camminare per dieci minuti fino ad arrivare al luogo dove lavorava. La redazione del The Modern Age, un giornale settimanale di scarsa fama che trattava principalmente di attualità e cultura mondiale, l'aveva assunto, dopo qualche mese che abitava a Londra, colpiti dalle sue buone abilità adatte ad intraprendere la carriera giornalistica. Il palazzo dove era situato il suo impiego era vecchio, costruito in stile liberty e aveva certamente bisogno di una sistemata, anche se, conservava comunque un discreto fascino e ed eleganza.

Arthur si fermò davanti al portone d'ingresso, sospirante e ben cosciente della montagna di bozze da correggere e rivedere che lo aspettavano minacciose sulla sua scrivania.

Guardò per un po' la via che cominciava ad affollarsi, nel vano tentavo di rimandare anche solo di qualche minuto il suo lavoro, lasciando vagare lo sguardo in particolare su un auto nera, parcheggiata a qualche metro da lui con a bordo due uomini. Nonostante spesso avesse provato la strana sensazione di vivere un dejà-vù, quella volta, era abbastanza sicuro di aver già visto quella vettura negli ultimi giorni. Qualcosa si mise in moto nel suo animo, un sentimento di eccitazione, causato dalla sua fervida immaginazione e dal suo strano e spasmodico bisogno di fuggire da realtà, troppo monotona e ordinaria. Si immaginò sedutastante un'avventurosa storia che vedeva lui come protagonista di un complotto antigovernativo internazionale nel quale erano coinvolti sia i servizi segreti, sia qualche strana organizzazione della malavita e finiva con il completo trionfo di Arthur. Dopo qualche minuto di fantasticherie sbuffò scuotendo dolcemente la testa, ormai non era più un bambino ed il tempo di sognare ad occhi aperti era cessato. Ora, per lui, esisteva solo la familiare routine giornaliera che scandiva la sua esistenza.

Un amaro sorriso increspò le sue labbra mentre ricordava i bei tempi andati dell'infanzia, quando ancora era all'istituto, ed era libero di passare i pomeriggi rinchiuso nel suo mondo immaginario, isolandosi dagli altri bambini e lasciandosi andare ad incredibili avventure.

Lanciò un'ultima occhiata all'auto nera, speranzoso anche solo di un segno che avrebbe potuto strapparlo alla realtà ma, non cogliendone, non ebbe altra scelta che entrare nel palazzo e salire le scale fino al primo piano dove era situato la redazione.

Ecco il vero Io di Arthur Kirkland: un ragazzo deluso dalla ordinaria quotidianità.

Aprì deciso la porta, stupendosi di quello che vide entrando nell'uffico: normalemente tutti i suoi colleghi, a quell'ora, erano intenti a prendere il caffè e chiaccherare concitati, ritardando il più possibile l'inizio della giornata lavorativa, mentre quella mattina parlavano sottovoce, con fare grave, riuniti attorno ad una scrivania, sulla quale vi era appoggiato un giornale.

-Ciao Arthur!- lo salutò Mary appena sentì chiudersi l'uscio. Lei era una delle segratarie della redazione, era giovane e carina con tutti, soprattutto con il biondo. Aveva esattamente la stessa età di Arthur, dotata di un viso grazioso circondato da morbidi capelli castani, semi-nascosto, però, da degli occhiali con la montatura un po' troppo grande per i suoi lineamenti.

-Buongiorno.- replicò cortesemente togliendosi il cappotto per appenderlo all'attacapanni, mentre lei gli veniva vicino, tenendo però lo sguardo alquanto basso.

-Arthur, ti stavamo aspettando. E' successa una cosa orribile! E' una notizia dell'ultima ora! Brian fino a poco fa ti cercava come un matto invocando il tuo nome! Ora è nella vostra stanza, penso.- disse tutta d'un fiato e leggermente rossa a causa dello strano effetto che gli faceva il ragazzo, torturando un angolo della camicia con le piccole mani che si contorcevano nervose.

-Che cosa è successo?- chiese allarmato l'inglese, seguendola attraverso la grande sala dove tutti erano riuniti.

-E' meglio se te lo fai spiegare da Brian.- disse accompagnandolo fin sulla soglia, con fare leggermente impacciato e tenendo sempre lo sguardo rivolto alla punta delle sue scarpe. Tutti nella piccola redazione erano a conoscenza dell'infatuazione di Mary per il giovane e quindi non fecero neppure caso al suo comportamento, salutando solo il biondo con un cenno, per poi tornare a concentrarsi nei loro discorsi. O meglio, sarebbe corretto precisare che se ne erano accorti tutti dei sentimenti della ragazza tranne Arthur stesso, che nell'ambito dei rapporti interpersonali non era mai stato una cima. Non a caso, l'unico amico che potesse vantarsi di avere era Brian, Brian Blake.

Era stato proprio lui un anno prima ad aver scovato le doti letterarie del ragazzo e da allora si erano sempre frequentati, rivelandosi capace di sorvolare sugli scatti d'ira, le nevrosi e il carattere scorbutico di Arthur, che spesso aveva portato molti ad allontanarsi da lui.

-Arthur! Eccoti! Non sai che cosa è successo!- urlò l'uomo attraversando la stanza e andandogli incontro appena lo vide aprire la porta. Brian era decisamente quello che si poteva definire un brav'uomo, uno di quelli belli, molto belli, sia di aspetto che di animo. Era decisamente più alto di Arthur e con un fisico più imponente, aveva i capelli castani e ricci e gli occhi scuri, sottili ma espressivi.

-No. Non so che cosa è successo se prima non me lo dite.- rispose acido il biondo, avviandosi verso il suo tavolo di lavoro, irritato da tutti quei misteri.

-Vedo che ti sei alzato di buon umore, come sempre- disse Blake ironico assestandogli una grossa pacca sulla schiena e ridacchiando.

-Non mi sono alzato, ho dormito sul divano.- rispose tentando di mantenere il controllo e non picchiare Brian con l'enorme dizionario che aveva sulla scrivania, come ringraziamento per quella indesiderata manifestazione d'affetto.

-Saresti comunque di pessimo umore, in ogni caso passiamo a cosa serie- disse il moro porgendogli una copia del The Times.

-Hai presente quell'omicidio avvenuto in Finlandia tre settimane fa?- chiese guardando il ragazzo nei suoi occhi verdi, assumendo un'aria seria, facendolo sembrare improvvisamente molto più vecchio dei suoi trent'anni.

-Sì, il ragazzo crocifisso ad Helsinkji, giusto? Hanno per caso arrestato il colpevole?- rispose Arthur, adocchiando la prima pagina del giornale con fare scettico.

-No, anzi. E' accaduta la stessa cosa anche nella periferia di Stoccolma. Un uomo crocifisso con incisa sul petto la stessa inquitante frase, solo al posto che in finlandese era scritto in svedese, e invece di Suomi c'era scritto Sverige.-

-Potresti tradurre? Non conosco il significato di entrambe le parole- chiese l'inglese seccato, leggendo velocemente l'articolo ostentando un'aria imperturbabile, volta a nascondere la tetra inquietudine che in realtà provava verso quel fatto di croncaca così inconsueto e macabro.

-Finlandia e Svezia.- rispose serio Brian, indicando con un dito affusolato un punto sul giornale -Guarda questa è la frase e queste sono, le due vittime.-

- "Che l'immondo sia depurato, che la stirpe del demonio sia estirpata, la terra è degli uomini, questa è la fine meritata dei macellai. Ecco il secondo, la Svezia."- lesse Arthur ad alta voce, mentre veniva circondato da altri due colleghi, occupanti anche loro quella stanza, curiosi di leggere l'articolo -Ma che cazzo significa?- chiese infine il biondo disgustato.

-Nessuno lo sa.- rispose l'amico pensieroso, alzando lievemente le spalle.

Il ragazzo non potè fare a meno di guardare la fotografia delle due vittime. Era stata scattata al volto dei due cadaveri; nell'articolo c'era scritto che non erano stati identificati.

Nessun nome da piangere.

Si sorprese a provare una strana senzazione per i due sconosciuti, uno strano sentimento simile ad una compassione, così pura e sincera, che si stupì di poter avere una simile emozione.

Quello ritrovato in Finlandia era biondo, dai lineamenti delicati e la pella chiara. Anche la seconda vittima aveva lo stesso colore dei capelli del primo, forse solo lievemente più scuri, ed era caratterizzato da contorni del viso più duri e marcati.

Proprio in quel momento ad interrompere il silenzio surreale che si era creato suonò imperterrito il telefono e mentre Brian rispondeva, sfoggiando un tono alquanto professionale, risaltato dalla sua voce profonda, Arthur sentì uno strano brivido percorrergli tutta la schiena, quasi come se fosse il presagio di una sinistra premonizione per gli eventi futuri.

 

Spesso l'animo umano è capiccioso, sempre anelante di novità, senza sapere però come non ci sia nulla di più inaspettato della ordinarietà.

Così se da un lato c'è un ragazzo inconsapevole delle strane pieghe che talvolta gli eventi tendono a prendere, dall'altro ci sono due uomini che in questi cambiamenti vi ci sono completamente immersi.

John e Simon erano seduti da diversi minuti immersi nel silenzio che si regnava nella vettura, mentre aspettavano pazientemente il loro obiettivo, sfogliando distrattamente alcuni fascicoli.

-Eccolo.- sussurò Simon assumendo una posizione più dritta sul sedile del passeggiere, mentre guardava il ragazzo biondo attraversare la strada e fermarsi davanti a quel vecchio edificio stile liberty.

-Sei sicuro sia lui?- chiese scettico l'altro.

-Sì, lo seguendo da un paio di giorni. Corrisponde alla descrizione: Arthur Kirkland, maschio, inglese.- lesse dal foglio che aveva fra le mani, interrompendosi un attimo. Il ragazzo stava guardando dalla loro parte con aria dubbiosa. Per un po' il silenzio tornò a regnare nell'abitacolo, mentre erano osservati dal biondo, ma poi, quest'ultimo, sbuffando distolse lo sguardo da loro ed entrò nell'edificio.

-Cretino, ti avevo detto di parcheggiare più indietro.- disse Simon con tono duro e severo.

-Non è colpa mia se a Londra non c'è nemmeno il fottuto posto per parcheggiare il mio culo.- rispose Johnin tono sfoggiando una voce seccata e acida -Dicevi?- aggiunse in tono più pacato.

-E' stato ritrovato a Norwich il 1 gennaio del 1951. Dimostrava circa cinque anni. Provenienza sconosciuta, identità sconosciuta, data di nascita sconosciuta, genitori sconosciuti e, cigliegina sulla torta, i ricordi del pargolo risalivano solo a poche ore prima del ritrovamento. Amnesia totale. E' stato mandato in orfonatrofio, dove è rimasto fino alla maggiore età e poi, un anno fa il 5 maggio del 1968 ha preso casa qui a Londra e due mesi dopo ha cominciato a lavorare al settimanale The modern age. Attualmente invece dovrebbe avere circa ventitre anni.-

John si fece pensieroso, guardando una delle fotografie scattate di nascosto al ragazzo -Pensi... Sia uno di loro?- chiese infine dubbioso.

-Io... non lo so. Non credo molto a quello storia.- Simon era un uomo dal credo razionale e scettico di natura, dubitava delle rivelazione che gli erano state fatte qualche settimana prima -Comunque non tocca a noi formulare un'idea. Noi siamo solo tenuti a rispettare gli ordini, e gli ordini sono di seguire Arthur Kirkland, chiunque esso sia e scoprire su di lui il più possibile.- disse Simon aprendo una nuova cartelleta ed astraendo molto fotografie che ritraevano il biondo.

Un improvviso ed inaspettato colpo forte alla carrozzeria fece sobbalzare i due uomini all'interno che, presi alla sprovvista, ma ancor guidati da un impulso irrazionale, misero mano alle armi, trattendosi giusto dall'estrarle dopo aver visto che erano stati due ragazzi barcollanti, probabilmente ubriachi, che a stenti riuscivano a reggersi in piedi ed avanzavo incespicando ad ogni passo, fino a girare l'angolo e sparire dalla loro vista.

-Maledetti cretini ubriachi alle otto del mattino.- borbottò Simon, raccogliendo alcuni fogli che erano caduti a causa del movimento brusco aggiungendo -Tra dieci minuti spostiamoci, altrimenti daremo troppo nell'occhio. Tanto alle 13, come sempre, andrà fuori a mangiare al solito fish&chips. Lo seguiremo a piedi.-

-D'accordo.- concordò John radunando gli ultimi documenti.

 

 

I due ragazzi continuarono a tenersi a braccetto, fingendosi ubriachi, finchè non svoltarono l'angolo, troncando improvvisamente quella recita per appostarsi contro al muro e fissare l'auto da lontano.

-Allora?- chiese uno dei due estraendo una sigaretta ed accendendola, ravvivandosi intanto i capelli rossi fuoco.

-Allora cosa..?- chiese seccato l'altro massaggiandosi un gomito.

-Hai visto che cosa stavano guardando?-

-Certo che ho visto che cosa stavano guardando, stronzo. Mi hai spiaccicato contro l'auto.- rispose con voce seccata sporgendosi appena, giusto per vedere d'occhio il veicolo nero -Comunque avevano un casino di documenti e sono sicurissimo ci fossero anche delle foto di Kirkland.-

-Bene.- rispose l'altro continuando a fumare con fare annoiata -Ora che abbiamo accertato che l'obiettivo è proprio quella piattola di Arthur, non dobbiamo fare altro che informare la Vecchia.-

-Tutto qui?-

-Sì.-

Sempre continuandosi a massaggiare il gomito, che aveva sbattuto violentemente contro la portiera, disse in tono spavaldo -Mpf... Da quando ti comporti in modo così docile, Scozia? Che io ricordi non sei mai stato così attento a seguire il piano di quella vecchia bisbetica.-

-Da quando te ne frega qualcosa, Nord Italia?- rispose il rosso guardandolo incrociando le braccia e guardandolo con aria di sfida.

-Sono Sud Italia, bastardo! Non il Nord, ficcatelo bene in quella testaccia rossa.- rispose l'italiano con la voce rabbiosa, suscitando le risate dell'altro che non aspettava altro che far perdere le staffe al suo compare.

-Piuttosto, non rompere i coglioni, mezza sega, dov'è Danimarca? Perchè sei quì al suo posto?- chiese William facendo fremere ancora di più l'altro.

Ormai Lovino aveva il viso completamente rosso dalla rabbia e lo avrebbe preso a pugni con immenso piacere se non fosse stato per il rischio di essere scoperto dai due tizi.

-Mezza sega lo dici a tua sorella. Comunque quell'idiota biondo è a Stoccolma assieme a Norvegia. Insieme stanno facendo sparire ogni cosa, come al solito. - disse con fare seccato mentre incrociava le braccia e si appoggiava al muro alle sue spalle.

-Capisco.- disse in tono pensieroso e assente -E Francia?- aggiuse dopo poco guardando il moro.

-Non ne ho la più pallida idea. Forse è ancora in viaggio con Olanda.-

Il rosso sorrise mentre le braci della sua sigaretta si riflettevano nei suoi occhi verdi, donandogli un aspetto tetro, quasi diabolico - E così ci riuniamo tutti, pronti ad affrontare un'enorme cernita uniti da un solo obiettivo.-

-Se tutto ciò ti diverte sei messo bene, io la trovo solo un'immesa rottura di palle.- rispose Lovino sbuffando.

-No. Non mi diverte per nulla, per questo ora muovi quel culo e vai a chiamare la Vecchia.-

-Col cazzo. Vacci tu.- rispose acido l'italiano, non aveva alcuna intezione di prendere ordini da quel tipo, già aveva dovuto assecondarlo fingendosi due ubriachi al fine di avvicinarsi il più possibile all'auto per vedere che di che cosa stessero discutendo, per poi notare che era Kirkland il loro argomento di conversazione.

Come risposta Scozia si sedette per terra, buttando via il mozzicone vecchio ed accendendosi una sigaretta nuova -Io non mi schiodo da qui, quindi ripeto alza quel tuo culo mediterraneo e vai fino alla prossima cabina telefonica ad avvertire la Vecchia. Ci sono voluti anche troppi anni per ritrovarlo e non ho intenzione di farmelo soffiare da sotto il naso.-

 

 

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Salve a tutti!!!

Eccomi con una nuova storia partorita dalla mia mente malata che ha bisogno di cure urgenti!!!

Che dire? Non ci avete capito niente vero? Bene! E' proprio così che deve essere! Almeno per il primo capitolo! (Aspettate, leggete e vedrete!)

Ne approfitto per fare alcune precisazioni, la città del sogno di Arthur che compare all'inizio è Dover, una città portuale affacciata sulla Manica in prossimità delle famose Scogliere di Dover ed, in passato, venne spesso attaccata dai Vichinghi durante le loro invasioni in Inghilterra.

Inoltre lo scrivo qui così mi proteggo in anticipo da eventuali lanci di pomodori o oggetti contundenti: se trovate delle eventuali frasi in lingue straniere contenenti errori madornali... beh sappiate che è tutta colpa di Google Translate.

Bene, per ora è tutto!

Spero che continuarete a leggere la storia e recensite, mi raccomando! Anche per dire solo che fa schifo e farei meglio a darmi all'ippica! XD

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Capitolo 2
*** 02. Arrivederci ***


Isak Johansen: Norvegia

Mathias Kierkegaard: Danimarca

 

02. Arrivederci.

Londra.

-Smettila.-

Arthur alzò la testa dai fogli che reggeva in mano guardando di sbieco Brian, seduto al volante dell'auto, stupito del suo tono serio ed imperioso.

-Smettila, cosa?-

L'amico non rispose verbalmente ma si limitò a prendere i fogli in mano ad Arthur e ad lanciarli alle loro spalle facendoli sparpagliare disordinatamente sul sedile posteriore.

-Che cazzo fai!- esclamò allora il biondo, girandosi ad osservare scandalizzato le conseguenze del gesto inaspettato dell'altro.

-Qui non si lavora! Arts, ti proibisco di farlo!- rispose Brian ridendo, mentre guidava fra il traffico londinese delle nove di sera, rallentato a causa della pioggia.

-Non è un buon motivo per lanciare i MIEI fogli! E comunque stavo solo rileggendo una cosa, non era mica lavoro!- rispose scandalizzato Arthur, covando l'impellente bisogno di picchiare il moro.

-E allora cos'era?- chiese con l'aria maliziosa e ghignate -Una lettera di Mary?-

-No cretino. E poi perchè siete tutti così fissati con Mary?!-

Arthur davvero non riusciva a capacitarsi del perchè tutti i suoi colleghi continuassero a fare battute che riguardavano lui, la segretaria ed una loro eventuale relazione tuttavia, nonostante fosse ultimamente il passatempo preferito di tutta redazione, il biondo non vi trovava proprio nulla di ironico. Infatti, oltre a sottintendere quanto malmessa e deludente fosse la sua vita affettiva, non riusciva proprio ad immaginarsi un'eventuale relazione con Mary.

Certo, era una brava ragazza e di gradevole aspetto, ma non rispecchiava assolutamente il suo ideale di donna.

-Allora, se non era una lettera d'amore, che cosa stavi leggendo.- chiese Brian divertito mentre si fermava per far passare dei poveri e fradici pedoni.

-Alcuni appunti che ho scritto.- ammise controvoglia Arthur, guardando i due passanti che ora si erano portati a lato della strada.

-Arts, insomma... Basta lavoro! Sei troppo fissato!- disse Brian con finto cipiglio severo, riprendendo la marcia verso un pub -Ed inoltre leggere con questa poca luce ti fa male agli occhi.-

-Mi piacerebbe smetterla, ma ti ricordi la telefonata del direttore di stamani?- la domanda retorica posta da Arthur era carica di astio ed irritazione a causa dei sentimenti tutt'altro che benevoli che provava il ragazzo verso quella palla di lardo che era il suo direttore.

-Come potrei mai dimenticarla!- esclamò Brian ridendo -Kirkland! Blake! Andate e scrivete!- disse il moro scimiottando la voce dell'uomo.

- Io non ci vedo proprio nulla di divertente.Come può pretendere che scriviamo una serie di articoli simili! E non dei semplici articoli! Dei testi in grado di dare lustro e prestigio alla nostra rivista da quattro soldi, screditata da tutti!- inveì Arthur, gesticolando con rabbia.

Non aveva voglia di passare tutte le sue giornate chiuso a scrivere come aveva fatto nell'ultimo periodio. Si trovava a Londra, la città alla quale aveva sempre bramato, eppure non era riuscito a visitare in modo esauriente la sua amata capitale.

-Dai Arthur! Vedrai che ci riusciremo!-

Come risposta il ragazzo sospirò rassegnato, affondando nel sedile dell'auto; come faceva Brian a vedere sempre tutto sotto un'attica così positiva?

-Senti, la palla di lardo con le basette- disse girandosi verso il finestrino con il tono di chi parla ad una persona molto stupida -Vuole che noi scriviamo degli articoli sugli omicidi in Scandinavia in modo da presentare delle tesi lungimiranti in grado di dare fama al nostro stupido e sottostimato giornale.-

-Esatto vuole acquisire un po' di fama sfruttando il momento.- affermò Brian con voce candida mentre frenanva ad un semaforo rosso.

-Già. Bravo.- disse di rimando incrociando le braccia ed assumento, se possibile, un'espressione ancora più corruciata -E noi come accidenti facciamo a scrivere i sudetti articoli?-

- Raccogliamo informazioni.-

-E come?-

-Boh- disse con voce pensierosa capendo qual'era la preoccupazione dell'amico -Ci improvvisiamo detective!- urlò infine risoluto scoppiando a ridere.

-Non è divertente.- rispose disse infine sospirando, esausto dall'atteggiamento infantile di Brian.

Ancora si chiedeva come facesse ad avere successo con le donne.

Perchè noi siamo degli eroi.

Una frase detta da una voce sconosciuta gli attraversò la mente seguita da una risata cristallina ed infantile.

Si rizzò a sedere allarmato guardandosi attorno per vedere se riusciva a vedere la fonte che aveva prodotto quel suono, conoscendo in realtà già la risposta al suo interrogativo.

-Arthur?- chiese stupito Brian.

Istintivamente si toccò le testa e, a causa dell'agitazione, si voltò casualmente verso il finestrino, finendo per vedere il suo pallido riflesso sul vetro, rimandone agghiacciato.

Calò lentamente la mano verso il suo occhio sinistro, non sentiva dolore eppure il suo volto, riflesso nel vetro, era totalmente ricoperto di sangue: aveva il labbro spaccato, il naso sanguinante, due lunghi solchi sulla guancia destro e l'occhio sinistro completamente sfracellato.

-Brian, che cazzo ho fatto alla mia faccia?- chiese urlando verso l'amico.

-Eh... Niente, perchè?- rispose Brian con gli occhi spalancati per la preoccupazione mentre guardava allibito il biondo.

Arthur allora si voltò nuovamente verso il finestrino, il quale gli restituì il suo volto normale come era sempre stato.

-Arthur? Arthur!- una svoltata improvvisa fece sussultare il ragazzo, il quale era così impegnato a guardare il suo riflesso, che non si era nemmeno accorto che Brian avesse accostato.

Una mano gentile e protettiva gli strinse la spalla -Arthur, Arthur... Stai bene?- chiese allarmato l'amico.

-Sì... sì...sto bene.- rispose con un filo di voce tastandosi l'occhio.

-Arthur, non dirmi che hai ancora avuto un'allucinazione?-

L'inglese si prese qualche attimo per rispondere, durante i quali si assicurò che il suo volto fosse integro, -Sì... forse.- disse evasivo.

-Arthur, come forse? Non dirmi che ne hai avute ancora!?-

-No, non mi capitava da un po'.- disse riprendendo il controllo di se stesso -Sto bene non è niente.-

Brian era fermo immobile e lo fissava con aria preoccupata.

-Oh andiamo! Sto bene!- disse urlando e facendo un gesti di stizza con le mani -Parti e portami in quel cencioso pub di cui dicevi prima.-

-Arthur io ti porto a casa.- disse con voce decisa mettendo in moto e rimmergendosi nel traffico cittadino.

-Sto bene.-

-Quand'è stata l'ultima volta che sei andato dal tuo medico?- chiese con voce preoccupata, enfatizzata ancora di più dalla pioggia battente.

Arthur come risposta borbottò qualcosa interpretabile come "Da un po' non ci vado" guardando fuori dal finestrino per non incontrare lo sguardo inquisitorio di Brian.

-Arthur, dimmi che almeno prendi i farmaci.- la voce di Brian era rassegnata e preoccupata.

-Non ho bisogno di quella merda.-

-Arthur! Tu soffri di allucinazioni!Quei farmaci devi prenderli per il tuo bene!-

-Ho smesso di prenderli, e non ne ho più avute. Oggi è la prima volta dopo molto tempo.- disse in modo seccato. Odiava quando la gente si preoccupava per lui in quel modo, trattandolo come se fosse un inetto incapace di badare a se stesso. Arthur, da quando aveva memoria, aveva sempre sofferto di allucinazioni le quali si presentavano in modo irregolare e discontinuo.

Quando era un bambino provava un gran piacere per averle, a quell'età vedeva spesso strane creature che sembravano provenire dal mondo delle fiabe e credeva di possedere qualche stranissimo potere, come gli eroi dei suoi libri. Non ne aveva mai parlato con nessuno, ne ai suoi compagni ne alle maestre dell'orfanotrofio; mantenendo il segreto riguardo quegli strani esseri che vedeva si sentiva unico e speciale, come se fosse in un mondo solo suo. Crescendo tuttavia, le visioni erano mutate, assumendo tinte cruente e diventando scene totalmente irreali, fino a terrorizzarlo e diventare talvolta pericolose. Come quella volta che, intrappolato in una visione di una donna bionda legata ad palo, mentre una pira le lambiva le gambe, non aveva visto sopraggiungere un'auto sulla strada che stava attraversando. Quel giorno si era salvato per caso, grazie alla spinta di un passante, inoltre il suo comportamento non era passato inosservato e si era trovato costretto ad ammettere di avere allucinazioni. Ovviamente le maestre, allarmate, lo avevano fatto mettere sotto la cura di medici, specialisti e psichiatrici, i quali, con le loro sedute, lo perseguitavano ancora fino ad oggi.

La cosa che spaventava di più Arthur però non era che la gente lo prendesse per pazzo, non gli importava il pensiero altrui riguardo alla sua persona, ma era che improvvisamente fosse giudicato incapace di intendere e volere da quei strizza cervelli e quindi trascinato e rinchiuso da qualche parte.

-Non fare il tragico. Portami in quel pub.- disse sbuffando il ragazzo, infastidito dall'attenggiamento di Brian.

-No, ti sei sentito male. Ti porto a casa tu chiami il dottore.- disse risoluto il moro, deciso più che mai di sapere che cosa fare per il bene dell'amico.

-Non mi sono sentito male, anzi, sai che cosa ti dico, zuccone? Ho visto male, non era un'allucinazione, la pioggia ha alterato il mio riflesso, tutto qui.- la voce di Arthur era seccata e carica di nervosismo, ansioso di chiudere il discorso e tornale alla normalità.

Brian si fermò ad un sermaforo e, dopo una pausa durante la quale si concesse una veloce riflessione, disse con voce calma -Facciamo così. Ora andiamo al pub, siamo un po' stressati, ci farà un po' bene svagarci. Però non beviamo alcool e domani chiami il medico. Che cosa ne dici?-

-Non ho bisogno di compromessi come se fossi un bambino. E domani non ho intenzioni di chiamare quello strizzacervelli.-

-Arthur, lo so che non ti piace ma conosce come curarti.-

-No. Mi ha fatto prendere un casino di farmaci che non mi hanno mai fatto un cazzo. Ora sono stanco, voglio solo vivere in pace.- la voce dell'inglese non era arrabbiata, come ci si darebbe aspettato da lui, ma carica di tensione, condita appena da un tono amaro, di chi sta rivangando ricordi spiacevoli.

-Almeno vacci a consultarlo, ci parli. Poi non sei obbligato a prendere gli aventuali farmaci che ti prescriverà. Giusto per controllo.-

"Sei un cretino" pensò Arthur riferito a se stesso.

Quando era con Brian si sentiva un idiota, forse perchè era l'unica persona che si preoccupava per lui, il suo unico amico, e quindi non riusciva mai a dirgli di no.

Con un ultimo sorriso amaro guardò i suoi limpidi occhi verdi, riflessi sul finestrino, poi disse con voce rassegnata -Va bene.-

 

 


Stoccolma.
Spesso la curiosità umana può essere dannosa, questa ormai è una massima conosciuta in quasi tutto il mondo ed é stata accettata da molti come un insegnamento di vita.
Sicuramente anche Carola e Boris l'avevano già sentita, forse da qualche nonna o zia saggia, eppure, in quella fredda notte, nelle loro menti non vi era presente questo avvertimento.
Entrambi avevano incominciato da poco a lavorare nel reparto della scientifica che operava a Stoccolma anche se, attualmente, era solo dei tirocinanti. Ovviamente gli assegnavano solo casi semplici, come qualche incidente cittadino e comunque sempre fiancheggiati da insegnanti pronti a consigliarsi come muovere le loro mani ancora inesperte, per cui, quando arrivò il corpo dell'uomo ritrovato morto a Stoccolma non gli permisero nemmeno di vederlo, essendo sotto una tutela speciale ed ogni informazione era etichettata come riservata. Attualmente la salma veniva conservata in un sala dell'obitorio in attesa dell'arrivo di una squadra della scientifica finlandese, che trattava il caso del giovane morto ad Helsinki, al fine trovare dei collegamenti fra i due omicidi. Eppure i due ragazzi erano estremamente curiosi di vedere quel cadavere che aveva fatto parlare di se stesso in tutto il mondo. Sapevano che l'accesso a loro era precluso ma, dopotutto, se avessero dato una veloce occhiata, solo per soddisfare la loro curiosità, non sarebbe accaduto nulla di male, no?
Sapevano benissimo dove si trovava la camera mortuaria ed avevano progettato nei minimi particolari quella loro veloce incursione. Al momento i due si ritrovavano nel lungo e silenzioso corridoio che portava alla stanza in cui la salma era conservata e procedevano con passo spedito e attento, timorosi di essere scoperti, ignari di quello che sarebbe accaduto da lì a poco.
Sorvolando sui motivi della loro macabra spedizione l'atmosfera era abbastanza rassicurante, le pareti del corridoio erano dipinte di beige e le luci illuminavano bene l'ambiente. Boris si girò verso la ragazza con l'intenzione di fare una battuta al fine di sdrammatizzare il momento ma fu interotto quando quelle calde e familiari luci smisero di funzionare correttamente, iniziando a spegnersi ed accendersi. Entrambi rimasero in silenzio stupiti di quell'anomalia anche se ben decisi a portare a termine la loro missione, infatti si trovavano a pochi passi dalla porta.

Sul momento si fermarono sorpresi, poi Boris cominciò a ridacchiare, divertito dalla scena che stava avvenendo, la quale gli faceva tornare alla mente tutti quei film scadenti dell'orrore che andavano tanto di moda. Tuttavia l'ironia, che aveva contagiato anche la ragazza, sparì quando non fecero nemmeno in tempo ad affrettare il passo che i vetri delle finestre cominciarono a tremare assieme al pavimento.
La paura di dilagò all'interno dell'animo dei due giovani i quali pensarono subito ad un terremoto e, girandosi prontamente, si lanciarono verso la direzione delle uscite di sicurezza. Non fecero a colpiere qualche falcata che i vetri esplosero, facendo perdere l'equilibrio a Carola e Boris che entrambi caddero a terra, graffiandosi con le schegge vitree.
Un secondo boato, proveniente dalle loro spalle coprì ogni suono, persino l'urlo della ragazza, facendo spalancare la porta della camera mortuaria e riversando nel corridoio alcuni detriti. Frastornata e dolorante Carola, puntandosi con le mani, si mise a sedere e si girò confusa verso la stanza. Le orecchie le fischiavano per il forte boato e sentiva la propria testa vorticare, tuttavia, nonostante le sue percezioni sembravano alquanto fallaci, si potè rassicurare del fatto che almeno l'edificio non tremasse più ed il silenzio regnava sovrano.

Un lieve tonfo, proveniente dalla camera mortuaria, interruppe l'assenza di suoni.

A seguire un passo, e poi un altro.

La ragazza, allarmata, aguzzò la vista nel tentativo di scorgere qualcosa attraverso la polvere fluttuante che si era riversata nel corridoio la quale impediva ogni visuale.

-Hey, c'è qualcuno?- urlò debolmente; se una persona era nella stanza, dove probabilmente c'era appena stato un crollo, avrebbe potuto essere rimasta ferita.

I passi si fermaro per un istante per poi riprendere, più veloci e pesanti.

-Che cos'è successo?- chiese Boris alzandosi con cautela.

Un terzo rumore fece sobbalzare ed ammutolì i due giovani, i quali si appiattirono al pavimento, incapaci di muoversi.

Sembrava come se del metallo fosse stato divelto da una parete e, come a conferma di quest'assurda ipotesi, un'altra ondata di detriti invase il corridoio.

Quello che accadde in seguito, ne Boris, ne Carola, riuscirono a spiegarselo.

La nube di polvere che si era fermata, lentamente, cominciò a posarsi, lasciando il posto ad un assurdo velo di nebbia color verde, mentre una giovane voce sussurrava qualcosa in una lingua straniera e sconosciuta.

Altri rumori si sussegguirono improvvisamente producendo una cacofonia di suoni assordante, la quale, obbligò i due giovane a tapparsi le orecchie.

Mentre Boris aveva serrato i suoi occhi, timoroso di quello che sarebbe potuto succedere, Carola li socchiuse appena, ritrovandosi a fissare due enormi occhi gialli, luminescenti, i quali fendevano la nebbia, fissandola di rimando.

Confusa sbattè le palpebre e, appena le riaprì, vide con enorme stupore che la nube di polvere si era completamente posata, lasciando intravvedere attraverso la porta divelta la camera mortuaria vuota e distrutta, con un enorme voragine sulla parete, la quale lasciava vedere le stelle della buia, ma limpida, notte svedese.

 

 



Il vento spirava freddo quella sera e alzava appena la schiuma delle onde che si infrangevano sugli scogli di una delle tante isolette che sostavano in mezzo al Mar Baltico, schizzando appena, con gocce gelide, Danimarca.
Erano ormai diverse ore che aspettava Norvegia, nel luogo nel quale Isak lo aveva lasciato per poi volare con il troll a Stoccolma per recuperare il corpo martoriato di Svezia.
Con un gesto secco, pieno di tensione e rabbia, si fece scrocchiare velocemente le dita delle mani e cominciò, per l'ennesima volta a camminare avanti ed indietro, tentando di calmare la preoccupazione che provava in quel momento per il ragazzo norvegese.
-Tu rimani qui e prepara la pira con quella, io sarò indietro nel giro di qualche ora con Sverige.- questo era quello che aveva detto Isak prima di partire, Mathias continuava a ripensarci dandosi dello stupido per non aver insistito maggiormente ad accompagnare il ragazzo. Peró, nonostante questi pensieri, Danimarca sapeva, in cuor suo, che comunque non sarebbe mai riuscito a convincere Norvegia a portarlo con lui. Il ragazzo norvegese aveva detto che non lo voleva con se perché era un tipo che non passava inosservato e quindi era inadatto a lavorare nell'ombra come prevedeva il piano anche se, Mathias l'aveva capito, la sua vera intenzione era quella di non metterlo in pericolo.
Si voltò verso il mare nel tentativo di scorgere all'orizzonte la nube familiare che annunciava la creatura magica, ma invano. Un brivido gli percorse la schiena quando spostò lo sguardo dal cielo verso la piccola barca contenente un letto di legnetti, i quali, avrebbe dato origine ed alimentato la pira funeraria.
Chiuse gli occhi per non vedere quel lugubre presagio ripensando a Svezia, il rivale di una vita, ora crudelmente ucciso. Si ricordava bene quando nel 1389 lui, Berwald e Norvegia erano riuniti sotto un unico monarca, da allora qualcosa era cambiato nel loro rapporto: erano così acerrimi rivali che in fondo erano diventati quasi amici.

Rimembrando quel periodo la tristezza ed il rimorso lo invase.
La verità era che attualmenteMathias si riteneva colpevole per la sua fine.
Dopo la morte del suo adorato Tino, Berwald non era più stato lo stesso, si era rinchiuso in una assoluta apatia: aveva smesso di parlare, non che prima fosse particolarmente loquace ma a causa del lutto era sprofondato nel più assoluto mutismo, inoltre aveva smesso anche mangiare e di dormire fino a diventare lo spettro di se stesso. Con il senno del poi, tutti avevano capito che la morte di Tino non era avvenuta per prima in modo casuale, ormai era ovvio che puntavano ad indebolire Svezia per poterlo eliminare più facilmente.
Mathias aveva capito subito come si erano svolte le dinamiche solo dopo l'uccisione di Svezia e da allora continuava ad incolparsi per non averlo dedotto prima. Tuttavia la cosa che aveva sconvolto di più tutti era che, chiunque ci fosse dietro ai mandanti dell'omicidio, sapeva bene quali rapporti c'erano fra le Nazioni.

Era questo che aveva lasciato tutti allibiti.

In passato era già successo più volte che qualche essere umano avesse scoperto la loro esistenza, vuoi casualmente, vuoi seguendo alcune teorie, e soprattutto non era una novità che, in seguito a ciò, alcuni di loro avessero attentato alla loro vita.

La cosa che ciò aveva veramente inquietato le Nazioni erano non solo le abilità con le quali avevano commesso gli omicidi, prendere alla sprovvista ed avere la meglio su creature con un'esperienza secolare non era una cosa facile, ma soprattutto era la conoscenza dei legami che avevano stretto fra di loro.

Erano giorni che Danimarca era in contatto con i suoi odierni alleati, i componenti della NATO, ed insieme avevano tentato di capire il movente dei delitti.

In un primo momento tutti, soprattutto quel casinista di America, avevano pensato subito all'URSS, dando un movente politico all'accaduto, anche se, in seguito ad alcune obiezioni da parte di Lovino, aveva scartato in parte tale ipotesi.

Un improvviso rumore fece sobbalzare il danese, inutilmente, essendo solo un movimento furtivo di un gabbiano che era atterrato su un cespuglio poco distante da lui.

A causa dell'ennesima ondata di rabbia calciò un piccolo ciotolo, facendolo cadere in acqua.

Ecco come si erano ridotti, ad avere paura della propria ombra, ma, dopotutto, come avrebbero potuto non fare altrimenti?

Erano vulnerabili.

Stavano combattendo contro un nemico che sembrava invisibile ed, allo stesso tempo, troppo furbo ed ingenioso per essere un semplice essere umano.

Chi poteva essere?

Russia? Non era parzialmente da escludere, ma perchè uccidere quei due?

Il suo obiettivo non era forse America?

Dei rancori nati dalla fine della seconda guerra mondiale?

Poteva essere, ma di certo era difficile intuire chi provasse tale sentimenti, dopotutto Germania e Feliciano erano morti.

Mathias, a questo punto rise amaramente.

Già, erano morti. L'ultima guerra aveva causato tanti decessi non solo fra le file degli essere umani e questo rappresentava attualmente la loro più grande debolezza.
A quest'ultimo pensiero sbattè i piedi per terra infastidito per scacciare sia la tensione e la preoccupazione che sentiva nel suo animo sia il freddo che avvertiva alle gambe.
Le Nazioni non morivano, o meglio, decedevano per poi rinascere. La loro vita non era legata ai vincoli della carne. Ciò che realmente determinava il loro animo ed il loro corpo erano le loro terre, lo spirito della loro gente, le idee, i cambiamenti, la storia.
Uno sparo, una malattia o una lama poteva determinare la loro morte momentanea, ciò che realmente poteva determinare la loro eterna dipartita era solo la loro cancellazione delle cartine. Tutti si ricordavano chiaramente la morte di Prussia avvenuta nel 1871, quando riuscì a far rinascere il suo fratellino riunendo la Germania a discapito della sua stessa esistenza. Dal giorno dell'unità tedesca la Prussia era scomparsa dalle cartine geografiche e da allora nessuno aveva più visto Gilbert. Finlandia e Svezia invece sarebbero rinati entrambi ed avrebbero vissuto come comuni esseri umani fino al risveglio della loro coscienza di Nazione.
Chiuse gli occhi Mathias e, come se stesse facendo un muto elogio funebre, ripensó a tutti i momenti passati assieme allo svedese, alle loro battaglie, i loro scontri, le loro tregue e accordi e tanti altri ricordi legati anche alla vita quotidiana.
Un improvviso suono sordo fece tremare gli scogli, causando un sobbalzo all'uomo, il quale si voltó lentamente con il fiato sospeso fino a scorgere la familiare enorme figura del troll, mentre una piccola figura bionda smontava dalla schiena della creatura magica con una balzo, atterrando agilmente.
-Norge!- con un urlo Danimarca si lanciò verso il ragazzo abbracciandolo con forza e ringraziando mentalmente il cielo di vederlo sano e salvo.
Come risposta, Isak, si limitó ad appoggiare la fronte alla spalla dell'uomo, afflitto da pensieri analoghi a quelli del biondo, per poi sciogliere malamente ed in fretta la stretta.
-Hai preparato la barca?- chiese con voce atona sfoggiando il suo solito viso inespressivo.
-Certo, come hai vecchi tempi- rispose Mathias indicando la scialuppa -É andato tutto secondo il piano? Stai bene?- aggiunse con la voce tradita dalla preoccupazione.
-Sì, però non sono riuscito a riprenderlo in modo inosservato.- rispose il norvegese con fare seccato.
-Che cosa intendi?- chiese preoccupato conoscendo alquanto bene le maniere poco gentili che Isak riservava a chiunque.
-Non ho causato nessuna vittima, solo un buco.- rispose come leggendo la mente di Danimarca.
-Capisco. Isak, lui dov'è?-
Come risposta il norvegese fece un segno con la testa verso il troll che era rimasto immobile per tutto il tempo, tenendo le mani racchiuse al petto.
In risposta ad un muto ordine la creatura di mosse avvicinandosi alla barca, facendo tremare la terra ad ogni passo, per poi distendere le braccia verso Mathias rivelando un corpo avvolto in un lenzuolo bianco.

Un nodo stringeva lo stomaco del biondo mentre scostava il drappo fino a rivelare il corpo di Berwald fino a metà dell'addome.

Aveva la pelle del viso distesa, gli occhi serrati e la bocca lievemente socchiusa, come se stesse ancora respirando. Mathias si ritrovò a fissare con astio le scritte livide che sfiguravano il petto dello svedese. Lui certamente non era un medico ma aveva una certa esperienze con le ferite da taglio, le lettere erano state incise con forza ed il sangue era coagulato, il che voleva significare che gli erano state fatte mentre Svezia era ancora in vita.
Pochi attimi si concesse il ragazzo danese per osservare la salma del suo eterno rivale, dopodiché, lo ricoprì e lo prese con gentilezza dalle mani rugose del troll, per poi dirigersi verso la barca e distendervelo all'interno.
-Beh arrivederci Sverige.-si concesse di dire, poi stese uno strato di alcool sopra il corpo e, con un fiammifero , accese la pira funebre. Il troll prese allora la barca, sollevandola come se fosse una foglia leggera, e muovendosi agilmente sugli scogli, nonostante la sua grande mole, l'appoggiò sulla superficie dell'acqua, spingendola verso il largo.
Mathias mentre vedeva il fuoco lambire le carni di Svezia allungò la mano fino a stringere quella fredda di Isak, il quale ricambiò con gravoso silenzio la stretta, facendo trasparire però il gran affetto che provava per il danese.

Rimasero in piedi, uno a fianco all'altro, immobili e muti, finchè le fiamme non si estinsero e le ceneri vennero ingoiate dal freddo mare; solo allora si voltarono ed issandosi sul troll si diressero verso la loro prossima meta, senza mancare però di volgere qualche triste sguardo al luogo dove si era consumata la pira.
Nessun funerale, nessun addio formale, per le Nazione la vita era passata nell'ombra, all'insaputa di qualsiasi essere umano e, sempre nell'ombra, erano condannati ad una silenziosa dipartita.

 

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Eccomi qua!

Tornata dopo un periodo di assenza non previsto! XD

( e chissenefrega penserete voi)

Comunque con questo capitolo si dovrebbe capire qualcosa in più riguardo alle dinamiche di questa storia... Spero...

Beh, se volete saperne di più non vi rimane che continuare a leggere!

Che altro dire... Non ho potuto fare a meno di inserire la DenXNor, coppia che io ADORO!!!!

Questo capitolo comunque è totalmente dedicato a Lyn91, perchè senza di lei non riuscirei nemmeno a scrivere la lista della spesa!

Grazie mille!!

Ringrazio anche tutti quelli che hanno letto, recensito e che recensiranno!

Ciao a tutti, alla prossima!

(spero)

Rebecca

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Capitolo 3
*** 03. Coincidenze ***


03. Coincidenze.

 

L'odore della salsedine era percepibile fin all'interno della piccola cabina spartana appartenente al capitano della nave.

Francis, tenendo gli occhi chiusi, inspirò un paio di volte quel profumo a lui alquanto familiare, il quale odorava incredibilmente di libertà.

Sorrise appena mentre si allungava e rilassava in quel piccolo letto sfatto.

Era fin troppo facile capire perchè Arthur avesse preferito prendere il mare piuttosto che stare chiuso fra le nuvole scure di Londra e tentare di influenzare il governo rimanendo nell'ombra.

- Perchè ridi?-

Al suono di quella voce acida, ben conosciuta, proveniente dal fondo della stanza, il francese aprì gli occhi e si mise a sedere in modo che Arthur potesse rientrare nella sua visuale.

Se per Francis Arthur rappresentava sempre una bella visione, vederlo nei panni da capitano pirata era addirittura sublime.

-Pensavo alla notte di fuoco appena trascorsa, mon cher.- rispose il biondo sfoderando il suo miglior sorriso malizioso.

-Maniaco. Non sai pensare ad altro, oltre al sesso?- la risposta dell'inglese arrivò acida ed ironica, come sempre, mentre il capitano si avvicinava a Francia, ancora seduto sul letto.

- Non dopo aver passato una notte come questa, Angleterre. Devo dire che da quando hai abbandonato i merletti e le buone maniere da lord sei diventato incredibilmente passionale.- rispose Francis con disinvolta malizia guardando negli occhi l'altro, pronto a cogliere qualsiasi reazione con malcelata curiosità.

-Piantala di dire cazzate, francese. Ed abbandona anche quel tuo stupido sorriso inopportuno.- disse l'inglese recuperando il laccio per capelli di Francis con il fine di legarsi i suoi

-Inoltre vorrei ricordarti che sono ancora un lord.- Arthur alzò la mano in modo che l'altro potesse vedere il suo vecchio anello simboleggiante il suo titolo nobiliare.

- Una doppia vita.- disse Francis con falso tono d'ammirazione, facendo seguire alle sue parole un acuto fischio -Chissà cosa direbbe il re Giorgio se scoprisse che in realtà sir Kirkland, invece che commerciare in Oriente, si dedica alla pirateria nei Caraibi.-

- Chissà... In ogni caso non lo scoprirà.- rispose allusivo l'inglese appoggiandosi alla parete ed incrociando le braccia - E, prima che tu me lo chieda, non ho intenzione di dirti i miei trucchi per condurre questo tipo di esistenza.- aggiunse anticipando la domanda del francese.

- Come sei antipatico.- disse Francis, fingendosi offeso, liberandosi dal lenzuolo e scendendo dal letto, rimanendo completamente nudo -Mi ridaresti il mio laccio per i capelli, Angleterre?-

-Preoccupati prima dei tuoi vestiti.-

Francia sbuffò indispettito, poi, senza occuparsi del suo vestiario, come invece gli era stato consigliato, si avvicinò ad Arthur il quale non si scompose minimamente all'avanzata senza veli del francese.

Francis si fermò giusto a qualche centrimetro da lui in modo da poterlo ossevare, per poi annullare, dopo pochi secondi, quella piccola distanza, andando a posare le sue labbra su quelle screpolate dell'inglese. Dal bacio che ne seguì, nel giro di pochi attimi le loro rispettive lingue incominciarono una danza dai toni crescenti, mentre il francese stringeva maggiormente a se il biondo, inebriandosi dell'odore che gli impregnava la pelle, misto di pioggia del suo paese natio e di salsedine, tipica dei mari in cui veleggiavano.

-Capitano Bertram!-

Un voce proveniente da oltre la porta della cabina interuppe il loro bacio, facendo voltare entrambi verso l'origine di quel suono.

- Che cosa c'è?- chiese con voce sgarbata Arthur, seccato per l'interruzione. Francis invece si voltò nuovamente verso Inghilterra, ridendo sornione.

- Navi in vista, capitano.- disse il membro dell'equipaggio.

-Arrivo.- rispose l'inglese, pronto a dirigersi fuori dalla cabina. Tuttavia non fece tempo a fare nemmeno un passo che venne fermato dalla mano di Francis che agguantò il suo polso.

-Che cosa vuoi? Devo andare.- rispose seccato girandosi.

- Shakespeare?- chiese Francia inarcando un sopracciglio.

-Ah! Bravo, hai studiato. Mi sorprendi, frog.- il tono del capitano era beffardo e fece seguire le sue parole da un sorriso ironico.

- Cosa vuoi che ti dica, chenille. Sono un uomo che sorprende sempre.-

-Ma taci.- Inghilterra si avviò verso l'uscio della cabina, prendendo la maniglia ed abbassandola con vigore anche se, prima di uscire, si voltò nuovamente dicendo- Francis, so già che tentarai di scappare...-

Tuttavia, prima che riuscisse a completare la frase, il francese lo interruppe ridendo -Ma mon chere, si da' il caso che io stia parecchio bene su questa nave come tuo prigioniero.-

- Se tenterai di scappare.- riprese imperterrito il capitano, preferendo sorvolare sulla sua isinuazione -Almeno vestiti. Non voglio uomini nudi scorrazzanti per il ponte della mia nave.- e detto questo uscì dalla cabina, sbattendo la porta.

Francia, sbuffando, si chinò stancamente a raccogliere i suoi abiti, ancora sparsi sul pavimento, nella stessa posizione dove erano stati gettati la notte precedente.

Mentre si vestiva una leggera brezza portava all'interno della cabina un piacevole profumo di salsedine ed attenuava la calura dei Caraibi; intanto l'atmosfera si faceva sempre più ovattata ed il tempo smise di scorrere. Altri suoni, estranei da quella situazione, si insinuarono nel ricordo e, poco a poco, come sospinto dal vento, il sogno ebbe fine.

 

Londra 08:00

 

-Allora Hans, la casa la riconosci senz'altro. E' il 127 ed è l'unica della via che davanti a se ha la fermata dell'autobus.-

La voce di Lovino risultava gracchiante a causa della cattiva comunicazione offerta da quel rottame di telefono pubblico di quel buio bar.

-Okay, penso di aver capito. In ogni caso immagino che Francia sappia arrivarci.- disse Hans mentre stringeva scomodamente la cornetta fra la spalla e l'orecchio, tentando di scrivere su un taquino le informazioni dettategli dall'italiano.

- Credo proprio di sì. E' la vecchia casa dove abitava Inghilterra.-rispose con tono alto, in modo da farsi sentire da Olanda -A proposito di Francia... E' lì con te?-

-No, sta dormendo in macchina, al momento ti sto telefonando da un locale.- rispose l'olandese riponendo la sua piccola agenda e la penna nella tasca interna della giacca.

-Occhio che non te la rubino.-

-La macchina o Francia?-

-Tutte e due.-

Il biondo sbuffò divertito impugnando finalmente la cornetta con una mano, in modo da parlare in modo più comodo.

-Devi farci ancora l'abitutidine, vero?- chiese appoggiandosi alla parete, in modo da poter osservare la sua auto rossa attraverso la vetrina del locale.

- Già... E' dura cambiare la propria prospettiva dopo diversi decenni. Mi ricordo quando ci siamo rivisti per la prima volta nel '40 nel nord della Francia. Minchia, mi è preso un colpo.-

- E credimi non sei stato l'unico. L'aspetto della sua reincarnazione ha colpito tutti.-

- Immagino. Non dimenticherò mai il volto di Kirkland.- disse ridendo l'italiano, chiedendo dopo una piccola pausa - A che ora arriverete?-

-Penso fra una mezzora. Non siamo molto distanti.- rispose Olanda estraendo una sigaretta sciolta dalla tasca dei suoi pantaloni.

-Bene. Ascolta- disse Lovino in modo improvvisamente serio -Non te l'ho detto prima, temevo che intercettassero la comunicazione, ma vi abbiamo chiesto di venire personalmente anche perchè devo mostrarvi una cosa.-

-Che cosa?- chiese Hans con voce dura.

-Appena arriverete qui lo scoprirete. E' principalmente per quello che sono scappato dall'Italia.- disse Lovino con tono quasi preoccupato -E' una persona che vorrei evitare che entrasse nel mirino di quelli là.-

- Capisco allora. Effettivamente non è da te sparire lasciandoti alle spalle un casino simile. C'è qualcuno che conosce questa cosa?-

- Cazzo, lasciamo perdere. Ho scoperto questa mattina di avere alle costole la polizia di mezza Europa. Comunque ne sono a conoscenza solo quelli del Regno Unito, Irlanda e tua sorella.... Ed ovviamente la Vecchia.-

- Belgio?-

-Beh, abitiamo tutti nella stessa casa.- rispose prontamente l'italiano, preoccupato delle eventuali reazioni dell'olandese -Tranquillo, non è nessuno di pericoloso. Semplicemente- disse facendo una piccola pausa - Mi sembra più sicuro e corretto parlarvene di persona.-

L'olandese non rispose subito. Si portò la sigaretta alle labbra, rimurginando qualche attimo sulle parole appena sentite dall'italiano. Lovino non era l'uomo più coraggioso del mondo ma di certo non era uno stupido: non si sarebbe mai tirato addosso l'attenzione di mezza Europa solo per salvarsi la vita rischiando di far scoprire tutti loro.

Hans conosceva l'italiano fin da quando era un bambino e sapeva che, quando compiva simili gesti impulsivi, era perchè la salvezza di qualcuno che gli stava a cuore era in pericolo.

-Arriviamo allora. Salvo che non ci siano nuovi imprevisti.- disse infine cercando la sua scatola di fiammiferi fra le tasche della giacca.

- Ci sono stati dei problemi?-

-Sì che ci sono stati.- rispose duro Olanda- E consistono tutti in questo odioso modo di guidare al contrario.-

-Avete fatto un incidente?-

-Per colpa di un Duble Decker ho tutto il fianco dell'auto rigata.- disse l'olandese trovando finalmente la scatola di cartone.

- Hai ragione, è un modo di guidare del cazzo, in ogni caso muovetevi. Vi aspettiamo.-

-Ciao.- disse semplicemente Hans riattaccando la cornetta al telefono, il quale espulse il resto causando un rumore metallico fastidioso.

Prima di incamminarsi verso l'uscita recuperò le monetine e si accese finalmente la sigaretta che teneva da tempo in bocca.

- Secondo me si è suicidato.- disse un uomo alla sua destra seduto al bancone al barista, indicando qualcosa su un giornale.

- Probabile. Forse si considerava spacciato ed ha preferito farla finita piuttosto che venire arrestato.- rispose l'altro pulendo distrattamente un bicchiere.

Olanda, incuriosito, si sporse oltre la spalla dell'uomo, fino ad scorgere quello che stava indicando. Una grande foto di un'auto ripescata da un fiume era affiancata da un lungo articolo. C'era anche un'altra fotografia ma sfortunatamente era coperta dal gomito dell'uomo, impedendo all'olandese di capire che cosa ritraesse.

Scosse la testa rassegnato dopo aver letto il titolo.

Ai loro problemi se ne aggiungevano continuamente altri.

Uscì nell'aria fresca del mattino e si diresse ad ampie falcate verso la sua auto.

Prima di salire guardò all'interno, Francia era esattamente nella stesa situazione di quando se ne era andato: ovvero sul sedile del passeggiero nel mondo dei sogni.

Aprì la portiera e salì nell'abitacolo accupando il posto di guida ed avviando il motore. Proprio in quel momento la nazione al suo fianco si mosse emergerndo da quel bozzolo fatto di uno scialle begie a ricami viola.

- Finito di dormire?- chiese guardando Francia che lentamente si stava stroppicciando gli occhi nel tentativo di scacciare il sonno.

-Ouì.- disse sbadigliando appena. Olanda si concesse qualche minuto per osservarla, per poi sbuffare, aggiungendo in modo ironico -Certo che rispetto a prima della Prima Guerra mondiale, quando la tua reicarnazione era quella di un uomo barbuto, sei cambiata parecchio, Francinne.-

 

Londra 08:30

 

Un leggero ma udibile sibilio d'irratazione sfuggì dalle labbra di Arthur mentre guardava l'autobus partire senza di lui.

-Allora signore si è liberato un posto per il 21, che ne dice?-

-Perfetto, a che ora?- chiese sbrigativo l'inglese alla cornetta desideroso di non perdere altri mezzi.

Se fosse arrivato in ritardo al lavoro quel giorno sarebbe stato Brian a pagarne le conseguenze. Infatti era assolutamente colpa sua se ora era bloccato in quella stupida cabina del telefono nel tentativo di prenotare una visita, a dir sua superflua ed inutile, che oltretutto gli avrebbe portato via una fetta consistente del suo già misero stipendio.

-Alle undici.- rispose la voce della segretaria con fare assonnato ed allo stesso tempo irritato. Era giustificabile, il ragazzo dopotutto aveva chiamato appena avevano aperto l'ufficio.

-Perfetto il 21 alle undici, la ringrazio.- disse frettoloso Arthur guardando scocciato l'orologio.

-Esatto, arrivederci signore.-

-Arrivederci.- non fece nemmeno in tempo a finire di dire il saluto che aveva già riattaccato la cornetta, catapultandosi al di fuori della cabina telefonica.

Si aggiustò la tracolla contenente le sue bozze e raggiunse la fermata mentre un fastidioso e freddo vento si alzava e pervadeva la città.

L'autobus fortunatamente non si fece attendere molto, difatti c'erano tante corse alla mattina, anche se quella non l'avrebbe portato direttamente al lavoro ma avrebbe dovuto a cambiare una volta lungo il tragitto.

Così era almeno indicato sugli orari ma il ragazzo non aveva mai fatto quel percorso e quindi non aveva la più pallida idea delle fermate che avrebbe svolto.

Decisamente un pessimo modo per iniziare la giornata. Tuttavia non aveva molta scelta: aspettare il mezzo che compiva la strada analoga rispetto a quello che aveva perso l'avrebbe fatto arrivare in redazione con un ritardo mostruoso.

Il double decker, dopo qualche minuto, si fermò davanti a lui emettendo un fischio acuto ed, appena le porte metalliche si aprirono, Arthur vi salì assieme ad un paio di persone.

L'umore del ragazzo quel giorno era pessimo, influenzato sicuramente dal fatto di aver preso un appuntamento da quel dottore.

Chiese all'autista, il quale ricordava di più un suino che un essere umano, informazioni riguardo alla sua fermata, ricevendo una risposta incomprensibile e sconnessa. Unendo le informazioni degli orari che aveva sulla sua, inseparabile, guida di Londra a quelle dell'autista il povero inglese riuscì più o meno a capire dove avrebbe dovuto scendere. Si trascinò fino ad un posto vuoto e vi ci sedette faticosamente.

Al suo fianco una signora con degli occhiali orrendi stava leggendo una rivista mentre davanti a lui c'erano due uomini in giacca e cravatta ed uno dei due stava leggendo qualcosa stampato nella prima pagina di quello, Arthur ne era sicuro, fosse il Times.

Probabilmente erano due impiegati che, come lui, si stavano stancamente dirigendo verso il proprio lavoro, come ogni noiosissimo, ripetitivo giorno.

L'insofferenza di Arthur verso la monotonia della propria vita era particolarmente forte in quel periodo e spesso si ritrovava quasi a pregare che qualcosa lo strappasse a quei ritmi forzatamente ripetitivi che imponeva la società. Era come se al proprio interno sentisse una specie di richiamo che sembrava spingerlo alla ricerca di un'esistenza al di fuori dell'ordinario.

Inoltre un'altra cosa accrescava in lui questa smania di cambiamenti: la superficialità delle persone che lo circondavano.

Brian spesso sosteneva che fosse eccessivamente snob ma la verità era che Arthur non riusciva a ritrovarsi in quella società dalla mentalità chiusa.

Dopotutto erano gli anni della rivolta e mentre idee innovative e rivoluzionare giravano il globo smuovendo grandi eventi ed incidendo nella storia grandi nomi Arthur, nonostante fosse in una dei centri di quei cambiamenti, si ritrovava improgionato fra persone che avevano lo spessore di una pozzanghera.

Il britannico continuava a chiedersi dove si nascondessero le persone interessanti.

Possibile che fossero ovunque tranne nei posti dove si trovava lui?

Forse era per questo suo disagio che i sogni dell'inglese erano così popolati di avventure straordinarie e gente strabiliante.

Il tempo, intanto, passava lento a bordo dell'autobus, mentre fuori dal finestrino il paesaggio urbano continuava a mutare.

Arthur non era mai stato in quella zone di Londra, anche se, all'incirca, sapeva il quartiere dove si trovava.

Era strano, per tutto il tempo passato all'orfanotrofio non aveva mai lasciato la cittadina dove esso era situato, eppure girare per la capitale gli risultava incredibilmente facile.

Aveva quasi dello stupefacente come riuscisse a ricordarsi ogni via della città in cui passava.

Dopo un paio di fermate il ragazzo si fece più attento: ormai non avrebbe dovuto esser molto lontano dal luogo indicatogli dall'autista scorbutico.

Il double decker fece ancora quattro fermate, finchè l'inglese scese titubante ed incerto alla quinta.

Si accostò al palo che segnalava la fermata, controllando il cartello degli orari: fortunatamente annunciava l'arrivo dell'autobus che avrebbe dovuto prendere fra quattro minuti.

Si mise nervosamente in attesa, cominciando a spostare il peso da un piede all'altro, guardandosi attorno.

Le case di quel viale sembravano essere tutte costruite almeno nel secolo precedente anche se erano tenute con molta cura, dando alla strada un colpo d'occhio molto ordinato e piacevole.

L'attenzione del ragazzo in particolare si focalizzò davanti a sè dove, davanti alle abitazioni, si agitavano gli alberi spogli, mossi dal vento. Il modo in cui si muovevano i rami era quasi ipnotico.

Durò un secondo ma per un breve lasso di tempo l'inglese si incantò dell'osservarli, si riscosse solo quando una piccola vertigine lo colpì, minando il suo equilibrio.

Chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie, mentre una specie di brusio gli riempiva le orecchie rimpiangendo amaramente di non aver fatto colazione quella mattina. Da quando era sceso dal mezzo pubblico sentiva come un vuoto all'altezza del suo stomaco.

Inolte avvertiva come una specie di agitazione nel suo animo, assieme ad uno strano sentimento simile alla nostalgia. Probabilmente essersi alzato in fretta dal sedile gli aveva causato un piccolo sbalzo di pressione, o almeno così stava tentando di convicersi.

Infatti evitava di pensare all'eventualità, assai probabile visto i suoi trascorsi clinici, di soffrire di una qualche malattia.

Nel tentativo di distrarsi dai spiacevoli sospetti che si affacciarono nella sua mente cominciò a guardare le auto parcheggiate davanti al marciapiede. Era da quando era un bambino che si rifuitava di credere all'eventualità di essere pazzo.

La sua attenzione venne attratta in particolare da un auto. Si avvicinò al veicolo e cominciò ad osservarlo con curiosità: era di colore rosso ed aveva un lungo e grosso graffio sulla fiancata ma, soprattutto, non era montata come qualsiasi macchina inglese.

Guardando il volante a sinistra e il danno alla cromatura Arthur sorrise bonariamente.

Turisti.

Fece per distogliere lo sguardo ma la sua attenzione venne attirata da uno scialle femminile, abbandonato sconpostamente, sul sedile del passeggero: era beige con qualche richiamo color lilla. Mentre Arthur tentava di aguzzare la vista per scorgere meglio la trama del ricamo il suo sguardo cadde sul riflesso dell'auto che ritraeva il suo volto.

Si guardò gli occhi con curiosità e soddisfazione: aveva meno occhiaie di quando si era alzato.

Dopo un bel sorriso fece per distogliere lo sguardo quando un dettaglio nel suo riflesso interuppe la sua azione: una cravatta nera stringeva il collo alto della sua linda camicia bianca.

Sgranò gli occhi tastandosi l'apertura della camicia che spuntava da sotto il cappotto.

Arthur non aveva molte certezze nella sua vita ma quella mattina era sicuro di essersi dimenticato la cravatta, ed inoltre aveva scelto per quel giorno una camicia azzurrina con il collo basso. Anzi, un capo del genere come quello indossato dal suo riflesso non l'aveva nemmeno mai posseduto.

Rimase immobile con il fiato sospeso a fissare l'immagine riflessa sul vetro, il suo volto era diventato impassibile.

Per alcuni attimi non mosse nemmeno un muscolo finchè la sua mano, da vicina al collo si levò verso il suo viso.

Arthur sgranò gli occhi, incapace di distogliere lo sguardo dal suo riflesso che aveva iniziato a muoversi da solo. Lentamente quello alzò la mano mostrando un anello dorato con su incisa un'araldica, sorridendo. Solo allora Arthur notò che l'altro era vestito come se fosse stato un lord del diciannovesimo secolo.

Il suo riflesso gli sorrise e con un movimento lento gli fece segno di voltarsi.

Arthur spaventato si voltò di scatto trovandosi davanti una villa.

Si girò nuovamente verso l'auto ma il finestrino si limitò a riflettere il suo volto spaventato, con il colorito pallido esaltato dal colletto slacciato della sua camicia azzurra.

Chiuse gli occhi prendendosi il capo fra le mani: non era normale avere per lui avere delle allucinazioni così frequentemente.

Dopo qualche attimo si impose di calmarsi e, per distrarsi e tentare di far tornare il suo battito cardiaco, seguì il consiglio del suo riflesso e si voltò.

Davanti a lui non c'era niente di particolare se non una villa indipendente, incastrata fra due alti edifici e separata da loro solo da due piccoli vicoli. Aveva due piani in tutto ed era costruita nel tipico stile londinese, dipinta di bianco con il cancello e gli infissi neri. Inoltre era piuttosto vecchia ed era separata dalla via da un piccolo ed ordinato giardinetto.

Sembrava una casa normale eppure scatenava dentro Arthur una strana ed inquietante sensazione, mentre una specie di strano brusio cominciava nuovamente a ronzargli nella mente.

Scosse leggermente la testa, dandosi dello stupito da solo. Perchè provare inquietudine davanti ad una semplice casa?

Come a voler dimostrare a se stesso l'innocuità di quella abitazione si avvicinò ad essa.

Era ormai a pochi metri dalla cancellata quando improvvisamente un acutissimo dolore alla radice del naso fermò la sua avanzata, arrivando fino a fargli perdere l'equilibrio. Il suo ginocchio cozzò contro il marciapiede mentre un qualcosa di denso e caldo cominciava a colargli dalle narici.

Per un attimo la vista gli si offuscò mentre il male che sentiva alla testa continuava ad aumentare.

Si piegò su se stesso reggendosi il capo con entrambe le mani. Strizzò gli occhi mentre tratteneva il respiro nella speranza di non gemere, inutilmente. Un basso e roco lamento sfuggì dalle labbra dell'inglese quando la necessità di respirare si fece insopportabile.

Il dolore,che raggiunse ben presto il suo apice, strappò allo stoico ragazzo solo un altro flebile lamento e, sorprendentemente, veloce come l'aveva colpito svanì lasciandolo in ginocchio sul marciapiede, come se nessun malessere l'avesse mai colpito.

Dopo qualche attimo, incredulo ed intontito, aprì gli occhi trovando la luce del sole insopportabile per la sua povera testa.

Facendo leva sulle sue stesse ginocchia si alzò con cautela e, rimettendosi dritto, si guardò in modo imbarazzato attorno.

Non avrebbe saputo dire esattamente quanto fosse rimasto per terra ma, a giudicare dal fatto che nessuno gli si fosse avvicinato, dedusse che il suo tracollo fosse durato poco tempo.

Si passò una mano sul volto e scoprì con stupore che quel fluido caldo che aveva sentito colare non era altro che il suo stesso sangue, il quale imbrattava anche le sue mani.

Tuttavia, preso com'era da quell'improvviso collasso, l'inglese non si accorse di una cosa. Infatti era tenuto sotto controllo, ormai da diversi minuti, da un piccolo ossevatore nascosto dietro la siepe dell'abitazione.

Mentre Arthur si rialzava si fece coraggio e uscendo finalmente dal suo nascondiglio. In punta di piedi, stando ben attento a non fare rumore, aveva aperto timidamente uno spiraglio nel cancelletto e gli si era avvicinato.

L'inglese, non avendo percepito quella presenza, impegnato nel tentare di capire che cosa gli fosse successo, sussultò non poco quando qualcuno gli tirò un lembo della giacca.

Si girò di scatto trovandosi con sorpresa un bambino in piedi davanti a lui.

Il piccolo dimostrava circa cinque o sei anni, aveva il viso paffuto contornato da dei capelli rossicci con uno strano ciuffo arricciato verso l'altro e due bellissimi occhi coloro ambra che lo scrutavano con curiosità mista ad apprensione.

 

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Bene, chiedo venia per la mia scomparsa ma, dopo mesi di assenza, eccomi tornata!!!!

D'ora in poi spero di poter aggiornare con più frequenza.

Comunque... A partire da questo capitolo troverete alcuni personaggi di Nyo!Hetalia e nelle versioni 2P.

Ringrazio tutti quelli che hanno recensito questa fic oppure aggiunta fra le storie seguite o preferite e robe varie....

Grazie ancora!

Alla prossima!

Rebecca.

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Capitolo 4
*** 04. Incontri (parte uno) ***


Attenzione: da questo capitolo in avanti mi prendo la libertà poetica di cambiare un po' la Storia! In ogni caso i mutamenti che farò li spiegherò sempre con delle note.

 

04. Incontri. (Parte uno)

 

 

Arthur arrossì vistosamente e guardò con occhi pieni di stupore quelli del bimbo che lo fissavano incuriositi. Nella sua manina teneva ancora ostinatamente stretto un lembo della suo cappotto.

Il biondo si guardò attorno per vedere se nelle vicinanze ci fossero i genitori del pargolo, invano. La via sembrava essersi improvvisamente svuotata.

Ovviamente ciò gettò l'inglese nel panico. Già aveva grosse difficoltà a relazionarsi con gli adulti, figurarsi con i bambini. Dopotutto gli unici infanti con cui avesse mai avuto a che fare erano quelli che aveva incontrato all'orfanotrofio.

-Ehm.. Che cosa c'è?- chiese Arthur in tono gentile ma il bambino, come risposta, inclinò leggermente la testa mostrando un espressione confusa.

-Che cosa c'è? Hai bisogno di qualcosa?- ripetè nuovamente l'inglese scandendo bene le parole. Ancora una volta dal piccolo non giunse risposta, anzi scosse leggermente la testa.

Che non capisse l'inglese?

Il biondo sospirò rasseganto. Quella non era il momento adatto per occuparsi di bambini. Non solo aveva il viso imbrattato di sangue ed aveva appena avuto un collasso ma era tremendamente in ritardo. Però gli dispiaceva andarsene abbandonando il piccolo, che non solo non accennava minimamente ad andarsene ma si teneva ancora ostinatamente ancorato al suo cappotto.

L'inglese decise che innanzitutto doveva almeno provare a stabilere un approccio.

Arthur si abbassò all'altezza del bambino e disse appoggiandosi una mano sul petto -Arthur.- poi fece un segno verso di lui.

Fortunatamente il piccolo, almeno questa volta, sembrò comprendere e cinguettò felice -Feliciano.-

Feliciano? Che razza di nome era?

Arthur non fece in tempo ad aggiungere una sola parole che Feliciano, ammesso che si chiamasse realmente così, si frugò nelle tasche ed estrasse un fazzoletto di stoffa. Successivamente lo porse ad Arthur indicandogli il naso.

-Grazie ma non posso accertarlo, lo sporcherei.- disse l'inglese con voce bonaria scuotendo la testa.

Il bambino, dal canto suo, rimase deluso dal rifiuto del ragazzo ed il suo viso si contrasse in un'espressione triste mentre i suoi occhi incominciavano a velarsi.

-Va bene! L'accetto!- si affrettò a dire prima che quello cominciasse a piangere afferrando il fazzoletto e tamponandosi il volto, rialzandosi e girandosi imbarazzato.

Ci mancava solo un infate urlante alle nove del mattino.

Arthur si voltò per ridare il pezzo di stoffa, orrendamente sporco di sangue, al bambino ma quello era già sgattaiolato dietro al cancello di provenienza. Appoggiandosi alle sbarre di ferro, esibendo un dolcissimo sorriso, fece di no con la testa dicendo qualcosa in un'altra lingua.

Dalla cadenza sembrava italiano ed ovviamente Arthur non riuscì a comprendere una sola parola. Poi Feliciano lo salutò con la mano sparendo in un secondo dietro la siepe del giardino.

L'inglese fece per seguirlo. Sarebbe stato giusto restituire il fazzoletto almeno ai genitori e scusarsi per le macchie di sangue ma proprio in quel momento arrivò l'autobus e quindi non ebbe scelta che salire sul veicolo per tornare al lavoro.

Si sedette nel primo posto libero e, continuando a tamponarsi il naso, guardò la casa allontanarsi mentre un'inspiegabile malinconia si diffondeva nel suo animo.

Una volta che il naso smise finalmente di sanguinare si concetrò sul piccolo fazzoletto appena ricevuto in dono. Era di cotone completamente bianco tranne che per un ricamo in rosso in un angolo recitante le due lettere L.V.

Probabilmente erano le iniziali del proprietario.

Un'espressione poco contenta si dipinse sul volto di Arthur. Quel bamibino aveva detto di chiamarsi Feliciano, o qualcosa di simile, ma sul fazzoletto non c'era alcuna F ergo non apparteneva a lui, quindi doveva assolutamente restituirlo. Sicuramente era dei genitori.

L'autobus arrivò finalmente a destinazione dopo una decina di minuti lasciando il povero inglese in mezzo al marciapiede in perfetto ritardo ed almeno con un centinaio di metri da percorrere a piedi per arrivare alla piccola redazione.

Aggiustandosi la tracolla, Arthur cominciò a camminare velocemente promettendosi di procurarsi una macchina o una moto, anche usata, e dire finalmente addio agli incovenienti del viaggiare con i mezzi pubblici.

Nonostante la fretta che l'animava non potè, tuttavia, fare a meno di rallentare leggermente la marcia passando davanti ad un tabaccaio dove in vetrina vi erano esposte le prime pagine dei quotidiani.

Tutte le facciate parlavano di un ragazzo che per protesta al regime sovietico si era dato fuoco davanti al parlamento di Praga. *[1]

Fece per riprendere il suo passo quando la sua attenzione venne attratta nuovamente da un altro titolo, il quale, occupava anch'esso prepotentemente la pagina.

"Novità nel giallo del professore di lettere fiorentino. Ritrovata la sua auto nell'Arno. Scoperta una nuova foto shock".

Arthur tuttavia non perse ulteriore tempo: era mostruosamente in ritardo, avrebbe letto quell'articolo più tardi.

Riprese a camminare con ritmo sostenuto per la via londinese verso la redazione.

Doveva assolutamente arrivare almeno prima del direttore altrimenti avrebbe rischiato di ricevere una sonora strigliata e di offrire su un piatto d'argento un ottimo motivo per ridurgli ulteriolmente lo stipendio, già non particolarmente elevato. Infatti con quella misera busta paga Arthur riusciva appena a pagare l'affitto per quel buco di trenta metri quadrati che costituiva il suo minuscolo bilocale.

Nel giro di pochi minuti arrivò trafelato sul luogo di lavoro e, precipitandosi su per le scale, rischiando inoltre di inciampare almeno sei volte nei gradini, riuscì finalmente ad arrivare alla redazione. Aprì la porta con un furore quasi teatrale attirando l'attenzione di tutti i presenti che interruppero il proprio lavoro per fissare il nuovo arrivato.

-Oh mio Dio!- una voce familiare in fondo alla stanza ruppe il silenzio creatosi -Arthur che arriva in ritardo! Ora sì che il mondo sta per finire! Altro che crisi dei missili di Cuba!-*[2] disse Brian scatenando l'ilarità fra i presenti.

-Ma quanto siamo simpatici.- rispose seccato il biondo, attraversando la stanza rettangolare d'ingresso sulla quale si affacciavano le porte dei vari uffici. Mentre i suoi colleghi tornavano ognuno al proprio lavoro Arthur raggiunse l'amico.

-Come mai questo ritardo? Non è da te!- commento Brian dandogli una pacca amichevole sulla spalla.

-Perchè grazie ad un PARANOICO ho perso l'autobus per chiamare lo strizzacervelli.- rispose acido a bassa voce per evitare di essere udito dagli altri, anche se fece in modo che la parola paranoico fosse ben udibile.

-Hai chiamato quindi? Bene!- rispose l'altro seguendo Arthur, il quale, si stava dirigendo verso l'ufficio dove si trovava la sua scrivania -E quando ci vai?-

-Fra due settimane. E no. Non puoi accompagnarmi.- rispose prevedendo la futura domanda dell'amico.

-E chi ti accompagnerà a casa?- chiese Brian con voce smielata fermando il biondo prima che entrasse nell'ufficio.

-L'autobus.- rispose Arthur seccato aprendo la porta con un po' troppa enfasi, colpendo qualcuno che sostava dall'altra parte. Un piccolo tonfo ed un gemito femminile seguì lo "stock" della porta contro il corpo. Entrambi si sporsero sulla soglia con cautela per vedere il povero malcapito e trovarono Mary inginocchiata per terra con i fascicoli sparsi sul pavimento e gli occhiali storti mentre si massaggiava la fronte.

-Kirkland! Sta attento!- urlò un collega con tono di rimprovero.

-Mary, mi dispiace. Tutto a posto?- chiese Arthur chinandosi per aiutare la segretaria.

-Oh, niente non preoccuparti! Io sto benissimo!- rispose completamente rossa radunando alla rinfusa i suoi fogli sparsi sul pavimento.

-Lascia che ti aiuti.- disse il biondo aiutandola a raccogliere i documenti. Il volto di Mary era completamente paonazzo e sfoggiava una tonalità di rosso alquanto accesa che, incredibilmente, diventò ancora più marcata quando le sue mani sfiorarono quelle di Arthur nel tentativo di raccogliere la stessa cartella.

- Uaoh! Come nelle migliori clichè cinematografiche!- disse Brian fischiando mentre osservava divertito la scena.

-Invece di fare battute idiote portresti darci una mano, brutto cretino.- disse acido Arthur voltandosi verso l'amico, infastidito dell'ennesima insinuazione di una sua presunta relazione con la ragazza.

- Arthur!- esclamò improvvisamente la ragazza con fare quasi sdegnato, prendendolo per una manica.

-Non ti preoccupare, mica si offende.- rispose il biondo guardando in modo torvo Brian, il quale stava ridendo sguaiatamente.

-No, non mi riferivo a quello!- disse con voce acuta lasciando la giacca del ragazzo, giudicando "troppo audace" il suo gesto .

-Come? Non ti preoccupavi per me?- chiese Brian con un falso tono offeso, scostandosi i bei capelli castani con un gesto teatrale. -Il solito cascamorto.- borbottò Arthur alzandosi da terra ed offrendo una mano a Mary per aiutarla a fare lo stesso.

-No! Cioè! E' che... Arthur!- balbettò accettando l'aiuto, arrossendo vistosamente a causa del loro contatto - Ti sanguina il naso!- esclamò sciogliendo celermente la presa ed aggiustandosi gli occhiali.

-Cosa? Davvero, Arthur?- l'inglese non fece nemmeno in tempo a rispondere alle domande che si trovò con la sua testa fra le poderose mani di Brian, il quale lo stava osservando preoccupato.

-Mi è sanguinato prima! Mollami!- disse il biondo sottraendosi alla vigorosa stretta, enormente infastidito.

- Che cosa hai fatto?- chiese preoccupato l'amico, mentre Arthur tentava di ritirarsi dietro la sua scrivania, al sicuro da quella soffocante preoccupazione.

-Niente. Sono andato a sbattere.- mentì il biondo, cominciando ad innervosirsi.

Non aveva intenzione di dirgli quanto fosse stato male quella mattina.

- Andato a sbattere?- chiese il moro con scetticismo -Sicuro?-

-Sì.- rispose semplicemente Arthur togliendosi il cappotto e sedendosi alla alla sua scrivania.

-Ma sei- provò a dire nuovamente Brian ma venne interrotto dall'inglese -Sì, stavo guardando da un'altra parte e sono andato a sbattere. No, non mi fa male.Sì ne sono sicuro.- disse tutto d'un fiato in modo duro al fine di zittire l'amico.

Gli altri occupanti della stanza, che stavano assistendo alla scena, guardarono in malo modo Arthur bisbigliando fra di loro parole poco lunsighiere, e nemmeno tanto celate, su di lui, commentando il suo comportamento ritenuto da tutti insopportabile.

Arthur, infatti, rientrava assolutamente nella top-five delle persone più odiate dall'ufficio.

La maggior parte dei suoi colleghi non lo vedevano di buon occhio in quanto era uno dei giornalisti più apprezzati dal redattore ed anche uno dei più giovani. Inoltre il loro capo si era ritrovato a dover chiudere entrambi gli occhi su alcuni dettagli che invece per tutti gli altri giornalisti era stato determinante per l'assunzione: Arthur non possedeva nessuna laurea o master. Tutto ciò con cui si era presentato il ragazzo in ufficio erano la sua vasta cultura e le sue doti nello scrivere.

Era stato pescato dal redattore sia tramite un programma che sponsorizzava l'inserimento nella società degli orfani, in cui Arthur rientrava e da cui era raccomandato, sia per la fortuna di aver conosciuto per caso Brian in un bar dove aveva lavorato per qualche tempo come cameriere.

Arthur fin da piccolo era risultato portato ed appassionato per lo studio delle materie umanistiche e linguistiche, in particolare se riguardavano la Gran Bretagna.

Grazie a queste sue abiltà, durante le superiori, aveva vinto diversi concorsi giornalistici che avevano permesso la pubblicazione di alcuni suoi articoli, scritti inizialmente per il giornalino dell'istituto, ed addiritura di un suo piccolo libro.

Era riuscito nell'impresa grazie alla vincita di un concorso editoriale per giovani dotati. La critica l'aveva discusso a lungo: alcuni non ne capivano il senso mentre per altri era un testo rivoluzionario.

Peccato che fra il pubblico non fece praticamente alcun successo, se non per qualche eccezione.

Due di quelle poche eccezioni erano Brian che era stato il suo primo, e unico, fan ed il redattore del giornale che era stato convinto da quest'ultimo sulle grandi abilità di Arthur.

Infatti, per pura casualità, Brian aveva cominciato a frequenare il bar dove lavorava e l'aveva riconosciuto subito grazie alla sua foto stampata sulla copertina del libro.

Quindi, se già Arthur si presentava come una figura poco chiara all'interno dell'ambito lavorativo, il suo pessimo carattere certamente giocava a suo sfavore nell'arduo compito di catturare la simpatia dei coleghi. Non che la cosa contasse poi molto per il ragazzo. Era abituato a stare da solo. Ormai la solitudine non rappresentava più un dramma per lui.

L'unica persona alla quale invece importava qualcosa di Arthur Kirkland era appunto Brian, che sembrava completamente immune al suo malumore.

Inoltre sembrava non gli interessasse che il biondo soffrisse probabilmente di schizzofrenia.

Brian con il tempo, da presenza fastidiosa, era diventata gradita, fino a rimanere l'unica persona al quale al biondo affibiava l'appellativo di "amico".

L'altra persona a cui sembrava stare a cuore Arthur era Mary. Cosa di cui il biondo avrebbe fatto volentieri a meno. Sinceramente trovava la ragazza alquanto inquietante.

Dopo diversi tentativi e parecchie discussioni l'inglese riuscì finalmente a convincere i due delle sue attuali buone condizioni fisiche e dopo, finalmente, potè mettersi al lavoro.

Peccato che lungo la mattina, fu spesso interrotto da vari colleghi ed amici apprensivi, ed alla fine il povero giornalista si trovò due ore dopo con un forte mal di testa e nemmeno una riga scritta. Le condizioni di Arthur si sarebbero potute definire penose: aveva la testa riversa sul tavolo appoggiata ad una pila di fogli che costituivano tutti i documenti in suo possesso.

In quel momento la porta della stanza si aprì al passaggio di qualcuno.

-Kirkland?- si sentì chiamare da una voce che identificò come quella di Edmund Stark, un suo collega.

-Dimmi.- rispose alzando la testa dalla scrivania ed assumendo una posizione composta.

-Prima mi hanno detto che ti sei scontrato con Mary.- disse l'uomo sfogliando una serie fogli -Lei aveva in mano questi documenti che mi servono. Avrebbe dovuto esserci anche una fotografia che dovrei inserire nell'articolo, che però adesso mi manca. Non è che per caso è caduta qui?- chiese avvicinandosi all'inglese.

-Una foto? Non ne ho viste.- rispose Arthur alzandosi in piedi ed osservando il pavimento alla ricerca della foto.

-Dannazione senza quella non posso finire il pezzo. Sei sicuro?-

Arthur cominciò a girare attorno alla propria scrivania un paio di volte, imitato dal collega, con gli occhi fissi a terra alla ricerca del pezzo di carta ma niente. Il pavimento era lindo.

-Qui non c'è.- disse infine il ragazzo con tono rassegnato.

-Edmund, che foto era? A me ne hanno date diverse proprio questa mattina, magari è finita mischiata alle mie.- disse un altro occupante della stanza mentre frugava in alcune cartelle che aveva appoggiato sul proprio tavolo da lavoro.

-Riguarda il caso del professore italiano scomparso a Firenze. Ci sono state delle novità ed una riguarda proprio quella foto.- rispose l'uomo.

-Hanno ritrovato l'auto giusto?- chiese Arthur.

-E non solo. E' spuntata fuori una fotografia, scattata casualmente da una turista americana, che lo ritrae assieme ad un bambino sconosciuto che gli somiglia incredibilmente esattamente due giorni prima della sua scomparsa. O del suo presunto suicidio visto che hanno recuperato l'auto nel fiume. - disse il giornalista sospirando -Peccato che l'abbia persa.-

Arthur tornò stancamente a sedersi alla sua scrivania. Nonostante tutti i media avessero gli occhi puntati sulla Scandinavia anche il caso del professore di Firenze si era ritagliato il suo piccolo spazio fra la cronaca nera.

A quanto dicevano i giornali riguardava una serie di omicidi avvenuti a Firenze.

In particolare il sudetto docente si riteneva coinvolto in un duplice omicidio avvenuto a fine dicembre scorso il quale era probabilmente collegato, per analogia del modus operandi, con un altro avvenuto in agosto.

Peccato che, a quanto pare, il sospettato era scomparso nel mezzo delle indagini e se ora avevano ritrovato la sua auto nel fiume...

Mentre i suoi colleghi cominciarono a parlottare sul caso l'inglese guardò verso i suoi piedi, in un ultimo distratto tentativo di cercare la fotografia. Dopo aver fatto vagare lo sguardo per la stanza per un paio di volte la sua attenzione venne attratta da un basso e piccolo archivio, posto a fianco alla porta.

Un'idea gli balzò alla mente e stancamente si alzò, dirigendosi verso il mobiletto il quale era rialzato da terra giusto un paio di centimetri.

Arthur si chinò fino a guardare sotto, ed infatti...

-Trovata!- disse ad alta voce richiamando l'attenzione su di sè.

- Davvero?- disse Edmund radioso mentre si avvicinava al biondo.

Arthur si rimise in piedi mentre gli si affiancava il collega e, dopo essersi spolverato i pantaloni, girò la fotografia che teneva in mano.

Appena vide il contenuto dell'istantanea per poco non la fece cadere nuovamente per lo stupore.

Ciò che ritraeva era una donna in posa in una via ed a fianco passava casualmente un giovane uomo, che riconobbe come il professore , con le spalle all'obiettivo ma il volto voltato di tre quarti. Teneva per mano un bambino il quale era invece completamente voltato verso il fotografo.

Era proprio sul piccolo che Arthur teneva puntati gli occhi.

-Kirkland che hai? Come mai questo silenzio?-

L'inglese ignorò la domanda incapace di staccare lo sguardo dal viso di Feliciano immortalato in quell'istantanea mentre camminava in una bella via di Firenze.

 

 

 

*Note:

 

[1]- Jan Palach era uno studente ceco( della Repubblica Ceca, eh!) che per protestare contro il regine sovietico si diede fuoco a Praga il 16 gennaio del 1969 in piazza San Venceslao. Morì tre giorni dopo e tutt'oggi è considerato un eroe e patriota nazionale.

 

[2]- La crisi dei missili di Cuba avvenne nell'ottobre del 1962 e si arrivò vicino allo scoppio di un conflitto aperto fra USA e URSS. In tutto il mondo si temeva l'inizio di una nuova terribile guerra colpi di testate nucleri.

 

 

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Salve a tutti!

Ecco il quarto capitolo.

In realtà è la metà del capitolo originale e siccome stava diventando troppo lungo ho deciso di dividerlo in due parti.

Da questo capitolo in avanti, come ho già accennato, alcune cose apparteneti alla storia verranno modficate al fine della storia. Vi prego vi chiedo di concerdermi questa piccola licenza poetica senza picchiarmi! XD

Grazie di aver letto e magari anche recensito o di aver aggiunto questa fic fra le preferite o seguite!

Baci

Rebecca

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Capitolo 5
*** 05. Incontri (parte due) ***


Lucrezia Maria Vargas: Città del Vaticano.

 

05. Incontri (parte due)

 

Londra 18:30

 

Lily, la figlia del custode, non si sentiva più le gambe per il gran correre. Non faceva in tempo ad accompagnare un invitato... *[1]

-Fratellone giochi con me?-

-No, dopo Feliciano. Adesso sto lavorando.-

Le voci dei due fratelli distrassero Francinne da James Joyce, inducendola ad alzare gli occhi dal libro per osservarli, sporgendosi leggermente dal divano del salotto sul quale era seduta.

Stessa domanda, stessa risposta. Erano da ore che andavano avanti così.

Riprese la lettura.

... nello sgabuzzino dietro la dispensa, a pianterreno, ed aiutarlo a togliersi il soprabito, che l'asmatico campanello...

La voce tuonante di Hans, dalla cucina, strappò nuovamente la sua attenzione dalle pagine del libro, riportandola ai litigi tumultuosi che imperversavano per tutta la casa.

Sapeva esattamente con chi stesse parlando al telefono: Mathias.

Era da quando i due nordici li avevano chiamati per dargli la bellissima notizia del loro leggiadro recupero, cosa che aveva peggiorato ancora di più la loro già frustrante giornata, che ogni cinque minuti il biondo era al telefono con il danese per insultarlo.

Al ricordo, Francia scosse leggermente la testa, sospirando in modo irritato.

Danimarca e Norvegia dovevano combinare proprio quel finimondo per trafugare il corpo di Svezia? Non potevano anche questa volta fingersi medici legali così come avevano fatto con Finlandia?

Meglio tornare alla lettura. Dopo aver incontrato nuovamente il piccolo parente ex-fascista reincarnato, affrontato due sessioni di riunioni e pessime notizie doveva assolutamente non pensare a niente oppure avrebbe avuto una crisi isterica.

Infatti Lovino, durante una delle molte ed interminali discussioni, aveva raccontato a tutti il ritrovamento di suo fratello. Già, perchè si erano felicemente reincontrati giusto il giorno dopo l'omicidio di Vaticano a Firenze. Lucrezia, infatti, aveva trovato per prima il bambino ed era giunta a Firenze, dove risiedeva Lovino, per contrattare diversi accordi sia con lui, riguardo al pargolo, che con altre persone, riguardo alla cui indentità e argomento d'affari aveva ritenuto superfluo informare il parente. Cosa che, invece, avrebbe fatto meglio a fare visto che, qualche ora dopo, il Meridione aveva ritrovato Vaticano morta nella campagna fiorentina, in un auto assieme ad uno sconosciuto. Ovviamente, siccome le cose non militavano già in una situazione critica, gli autori dell'omicidio della nazione, o, al massimo, dei loro complici, erano riusciti ad incastrare Lovino che, per colpa di una soffiata nel posto giusto al momento giusto, era entrato nella lista dei sospettati, non solo per l'omicidio di Lucrezia, ma anche per quello di una coppietta trucidata in agosto vicino a Firenze *[2], visto che i due delitti erano avvenuti con lo stesso modus operandi.

Ovviamente l'italiano non sapeva chi avesse architettato tutto ciò, ma con in corso gli omicidi delle nazioni era rimasto ormai con ben pochi dubbi. Inoltre, con il ritrovamento di Feliciano, la situazione andava ad aggravarsi: marcati dalla polizia e da gente interessata ad uccidere quelli come loro, ai due Vargas rimanevano ben poche scelte.

Per questo motivo Lovino non aveva detto del fratello a nessuno, in modo che non ci fossero rischi di intercettazioni e che quindi nessuno cercasse il Settentrione, e si era limitato a fuggire dall'Italia fingendo la morte della sua copertura.

Gli anglofoni l'avevano scoperto solo quando si erano trovati Lovino alla porta, mentre stringeva la mano del piccolo Feliciano.

Invece Belgio, Olanda e Francia ne erano venuti a conoscenza solo una volta giunti a Londra.

...l'asmatico campanello d'ingresso riprendeva a suonare, e lei doveva galoppare lungo un corridoio spoglio per introdurre un altro ospite. Buon per lei che non...

Scosse la testa desolata.

Vuoi per la confusione, vuoi per i pensieri spiacevoli che le affollavano la mente, non riusciva proprio a stare concentrata sulla lettura.

E come poteva non essere altrimenti, quando si aveva a che fare con America?

"Non fate nulla finchè non arrivo io". E' da quando aveva detto quell'idiozia che ognuno di loro aveva un diavolo per capello.

Solo perchè li aveva finanziati con il piano Marshall *[3] e rientravano nella sua zona d'influenza *[4] non gli dava certo il diritto di comandare.

Peccato che anche Europa, quella vecchiaccia, aveva dato un consiglio simile e, dopo ore di litigi, anche la loro assemblea, con quartier generale la casa di Arthur, aveva deciso per appoggiare questa decisione.

Infatti sapevano troppo poco sul loro nemico, cosa che rendeva impossibile intavolare un'azione di squadra, mentre agire singolarmente, oltre che troppo pericoloso, non avrebbe portato ad alcun risultato rilevante. Per cui avevano deciso di raccogliere, al momento, il maggior numero di informazioni possibili e poi, quando il quadro sarebbe stato più chiaro, sarebbero passati all'attacco.

Inoltre l'idea che Arthur fosse da solo, da qualche parte di Londra, ignaro della sua reale identità, di lei e soprattutto del pericolo che incombeva su di lui, le distruggeva l'animo.

Sbuffò tentando di togliersi questi pensieri dalla testa, riprendendo a leggere.

... che non doveva occuparsi delle signore.

A quello avevano pensato la...

Il rumore di una porta sbattuta la fece sobbalzare.

-Non me ne frega niente, stupido di uno scozzese! Io ho il diritto...-

Nonostante la voce dell'Eire arrivasse attutita nel piccolo soggiorno, era chiaro che fosse scoppiata l'ennesima lite con Scozia.

Francinne ne era sicura. Altro che raccogliere informazioni e rimanere uniti, in modo da essere più forti, sarebbe stato un miracolo se non si fossero accoltellati a vicenda nelle prossime quarantotto ore.

Per questo motivo Francia era rigorosamente in salotto mentre Belgio era in cucina, luogo dal quale Lovino avrebbe fatto meglio a tenersi distante, a meno che non fosse ansioso di affrontare le ire di Olanda.

Meglio tornare a Joyce.

... A quello avevano pensato la signorina Kate e la signorina Julia, che avevano trasformato il bagno del piano di sopra in uno spogliatoio per signore. Erano appunto...

Alzò nuovamente lo sguardo dalle pagine, scuotendo la testa con disappunto.

Era appunto il piano più stupido che Francinne avesse mai sentito ed inoltre non vedeva l'ora di andersene da quella casa.

Stare nella villa delle persona che amava da secoli, e che non vedeva da decenni, non produceva certamente, nel suo animo, una bellissima sensazione.

Ed a proposito di Arthur, nonostante tutte le sue insistenze, non avevano un piano preciso.

Okay che ancora nessuno di loro, dopo secoli, aveva ben capito come funzionasse il meccanismo delle reincarnazioni e del recupero della memoria, ma aspettare che la coscienza di Arthur si risvegliasse naturalmente, proteggendolo e tenendolo all'oscuro di tutto, era pura follia.

Infatti, normalmente, il risveglio avveniva quando si raggiungeva l'età in cui la reincarnazione precedente ha incotrato la morte, tuttavia i tempi non erano certi.

Arthur prima o poi si sarebbe ricordato di esser stato l'Inghilterra, realizzando, ad esempio, di avere 1142 *[5] anni e non 23. Siccome ormai aveva raggiunto l'età della sua precedente morte, ciò non si sarebbe fatto attendere molto. Tuttavia era impossibile stabilire quando sarebbe avvenuto. Sarebbero potuti passare persino un paio di anni.

... che non doveva occuparsi delle signore. A quello avevano pensato la signorina Kate e la signorina Julia, che avevano trasformato il bagno del piano di sopra in uno spogliatoio per signore. Erano appunto...

Francinne ne era certa. Per come era fatto Arthur, se avesse fiutato qualcosa di strano attorno a lui, non avrebbe esitato a gettarsi a capofitto in qualsiasi situazione pur scoprire la verità, nazione o umano.

A questo punto era meglio che venisse coinvolto come Regno Unito, una delle più influenti nazioni al mondo, e non come Arthur Kirkland, giornalista schizzofrenico.

Le sembravano tutti impazziti.

...che non doveva occuparsi delle signore. A quello avevano pensato la signorina Kate e la signorina Julia, che avevano trasformato il bagno del piano di sopra in uno spogliatoio per signore.

-Fratellone giochi con me?-

-Più tardi ho detto!-

Lacrime di delusione.

...che non doveva occuparsi delle signore. A quello avevano pensato la signorina Kate e la signorina Julia, che avevano trasformato il bagno del piano di sopra in uno spogliatoio per signore.

Chiuse il libro esasperata e lo lanciò in un angolo del divano, dopo essersi accorta di aver letto per ben tre volte la stessa frase, incurante del fatto che, in quanto copia autografata dallo stesso James Joyce, avrebbe dovuto trattarlo con maggiore cura.

Doveva andarsene al più presto da quella casa.

Ogni cosa, ogni stanza, ogni oggetto le diceva qualcosa di lui. Per Francinne era una sofferenza.

Dopo alcuni minuti si alzò dirigendosi al piano terra, senza degnare di uno sguardo le altre nazioni e senza proferir parola. Prese il suo cappotto dal guardaroba della hall e dopo uscì in giardino, nella fresca aria dell'imbrunire di gennaio.

Nell'attimo in cui aveva lanciato "Gente di Dublino" dall'altro lato del divano l'idea che aveva tentato, con tutte le sue forze, di sopprimere con la lettura era tornata prepotente nella sua mente.

Voleva vederlo.

Non dovevano per forza parlarsi.

I loro nemici non erano i soli ad avere delle informazioni su di lui: avevano indagato su Inghilterra.

Scozia e Galles l'avevano individuato ormai due mesi addietro e da allora avevano speso gran parte del loro tempo raccogliendo informazioni riguardo ad Arthur.

Inizialmente era per accertarsi della sua identità e sapere della sua vita ma ora avevano intenzione di usare queste notizie per poterlo tutelare e proteggere. Anche se, secondo Francinne, una scorta nascosta nell'ombra era insufficente.

In ogni caso quelle informazioni ora tornavano utili anche a lei per i suoi fini: sapeva che staccava sempre alle 19:30, tranne in rare occasioni.

-Dove vai?- era ormai già davanti al cancelletto d'uscita quando la voce di Hans fermò la sua avanzata.

-A fare un giro, torno fra poco.- mentì sorridendo all'olandese. Olanda era in piedi sulla porta soglia della casa, mentre sottili nubi di fumo si alzavano dalla sua pipa verso il cielo scuro.

Il biondo non rispose e Francia ne approfittò per voltargli le spalle, continuando la sua fuga.

-Aspetta.- sentì i passi di Hans sul vialetto che attraversavano il giardino. Francinne si voltò con aria tranquilla, mostrandosi calma.

- Se non la sfasci e prometti di tenere il tuo italico parente lontano da mia sorella te la presto, così puoi intercettare l'inglese fuori dal lavoro.- disse l'olandese tenendo le chiavi dell'auto fra il pollice e l'indice, facendole oscillare appena.

- Non ho mica intenzione di andare ad incontrare Inghilterra.- rispose Francinne allungando la mano per prederle. Quando fu a pochi centimetri da toccarle Hans, con un movimento brusco, le portò fuori dalla sua portata.

-Il fumo non mi ha reso idiota, non ancora. Crederei di più nel vedere America, con una bandiera comunista, correre nudo per le strade piuttosto che alla tua cazzata.-

-In cambio della tua promessa non ho intenzione di fermarti, ne di avvertire gli altri.- aggiunse guardando Francinne negli occhi, dall'alto della sua statura.

Ormai per Francia era inutile mentire con Olanda. Si conoscevano da troppo tempo.

-Okay. Affare fatto.- disse la ragazza dopo un attimo di riflessione. Hans adagiò le chiavi nella sua mano e voltandosi, senza dire una parola, tornò verso la villa.

Francia sorrise ed in pochi passi raggiunse l'auto. Olanda poteva apparire burbero ma, alla fine, rimaneva sempre un ottimo amico.

 

Londra, 20:37

L'atmosfera che regnava in quello squallido pub londinese era pesante e deprimente, esaltata dal fumo che aleggiava nell'aria e dalla luce fioca e che, a malapena, riusciva a rischiarare l'ambiente. Lungo le pareti le uniche decorazioni erano delle vecchie cornamuse e dei consumati cartelli, pubblicizzanti qualche alcolico, mentre gli arredamenti consistevano pricipalmente in vecchi tavoli e vecchie sedie di polivinile nero. In un angolo c'era persino un piccolo palchetto su cui un giovane aspirante musicista stava disponendo delle chitarre.

Al bancone di questo pub vi stava seduto, ormai da diverse ore, Arthur Kirkland, con l'umore ancora più tetro dell'atmosfera di quel locale, troppo alcool in corpo e, purtroppo, tre colleghi urlanti al suo fianco.

Quel giorno era stato un vero e proprio inferno per lui.

Da quando aveva scoperto che Feliciano ed il bambino scomparso erano la stessa persona era stato preso da un'enorme smania di agire, cosa che gli impedì persino di lavorare.

Ogni fibra del suo essere gli urlava di aiutare quel bambino ma non aveva la più pallida idea di cosa fare.

Non poteva chiamare la polizia. Scotland Yard non avrebbe dato molto peso ad una segnalazione di uno schizzofrenico che sosteneva di aver visto a Londra un bambino che era ritenuto da tutta Europa, con ogni probabilità, morto in Italia.

Già un paio di volte aveva fatto delle segnalazioni che poi si erano rivelate essere il frutto di allucinazioni. Non poteva permettersi altri sbagli. Non poteva rischiare di venire rinchiuso da qualche parte.

Avrebbe dovuto portare delle prove concrete, ma come fare?

L'unica cosa che gli impediva di dubitare di se stesso era il fazzoletto che sentiva premere sulla sua coscia da dentro la tasca dei pantaloni.

Non era nemmeno sicuro che abitasse in quella villa.

Quel pomeriggio era uscito prima dal suo lavoro con l'intenzione di agire lui in prima persona ma, preso dallo sconforto, dopo esser andato nel panico per la sua incapacità di stilare un piano decente, aveva finito per chiudersi nel suo solito, abitudinale pub.

Aveva iniziato subito a bere a stomaco vuoto con la speranza sia di dimenticare, almeno per qualche attimo, il bambino sia per attuire quella onnipresente emicranea ed ormai, dopo diversi rhum, whiskey e birre era completamente ubriaco.

Era da sempre stato un gran bevitore ma non aveva mai retto bene l'alcool ed ,a peggiorare la situazione, ci mancava persino Brian che era riuscito a trovarlo una volta uscito dal lavoro, portandosi dietro, purtroppo, anche altri due colleghi.

-Allora Artie, non mi hai ancora detto che cosa ci fai qui solo soletto e ubriaco?- chiese Brian sorridendo al biondo burbero.

- Sto commiserando la mia inutile esistenza. Ma questi non shono affari tuoi...- biascicò il biondo. Parlare correttamente l'inglese era un concetto ormai astratto ed estraneo per Arthur.

-Non vi sembra che Kirkland sia un po' meno acido quando è ubriaco?- chiese Stark, decisamente allegro per aver potuto finire in fretta il lavoro, grazie anche al ritrovamento della foto.

-Crepa.-

-Direi di no.- replicò Nathan, uno degli altri occupanti della stanza che condividevano il biondo e Brian.

Arthur non ne poteva più. Considerando che ormai anche i suoi colleghi erano belli alticci e che il mal di testa non sembrava migliorare, l'inglese era sull'orlo di una crisi di nervi.

- Vado in bagno.- disse alzandosi a fatica dallo sgabello.

I suoi colleghi tentarono di dire qualcosa ma Arthur si limitò ad ignorarli.

Le toilette si trovavano in fondo al locale e l'inglese riuscì ad arrivarci non con poca fatica. Il pavimento e le pareti non volevano saperne di stare ferme.

Quando riuscì, finalmente, a stringere la maniglia della porta, dopo fatiche inenarrabili, per poco non diede una gomitata involontaria a due persone alle sue spalle, in attesa che lui varcasse la soglia per accedere ai bagni.

Arrosì per l'imbarazzo, non solo stavano per ritrovarsi il suo gomito nello stomaco ma, probabilmente, si erano goduti anche la penosa visione della sua camminata a zig-zag.

Una volta dentro, mentre soddisfava uno dei suoi bisogni primordiali, notò, non senza un certo disagio che i due uomini non si erano affatto avvinicinati ai servizi, anzi, restavano sulla porta immobili, guardandolo con un'aria corruciata. Il biondo sorrise tristemente, quei due avevano fatto una mossa intelligente: mai avvicinarsi ad un ubriaco mentre è il bagno, il vomito potrebbe essere in agguato.

Finito si diresse al lavandino e riuscì a raggiungerlo giusto in tempo prima di cadere.

Guardò il suo riflesso allo specchio e, nonostante fosse completamente ubriaco, riuscì comunque a capire quando il suo aspetto fosse pessimo.

Aprì l'acqua fredda ed iniziò a lavarsi le mani ed il viso nella speranza di far diminuire, almeno un po', sia la nausea che il mal di testa ed intanto teneva d'occhio i due tizi appostati ai lati della porta.

Erano una presenza inquietante. Stavano fermi, ad osservarlo.

Erano entrambi abbastanza corpulenti, vestiti in modo anomino ed uno dei due aveva il naso che, chiaramente, era stato spaccato.

Tuttavia, considerando la loro immobilità, Arthur arrivò a chiedersi persino, visto il mal di testa, se non fossero allucinazioni. Sperò fortemente che non fosse così. Non era il momento.

Finito di rinfrescarsi si avviò, sempre e perennemente barcollando, verso la porta ma, quando fu sul punto di varcarla, una stretta ferrea bloccò la sua avanzata.

L'uomo alla sua destra, quello con naso rotto, con un movimento fulmineo gli aveva stretto la spalla, costringendolo a voltarsi verso di lui.

-Mr. Kirkland? Potrebbe fare la cortesia di venire un attimo con noi?- disse con voce baritonale.

Con la coda dell'occhio intanto vide l'altro mettere una mano sotto la giacca.

Le dita che stringevano la sua spalla sembravano scottargli la pelle, attraverso i multipli strati di stoffa. Il suo respiro sembrava essersi fermato mentre le sue orecchie non percepivano più alcun suono, se non il battito del suo cuore che aumentava sempre più di intensità.

L'uomo dal naso rotto lo strattonò verso di sè, mentre l'altro gli strinse il braccio sinistro. Non appena il tizio di sinistra lo spinse leggermente verso la porta, improvvisamente, tutti i suoni sparirono dal suo mondo percettivo, ad eccezzione di un fischio acutissimo che gli inondò la testa, trapanandogli il cervello. Nel giro di pochi attimi un'anormale emicranea, simile a quella avvenuta in mattinata, lo costrinse a piegarsi in avanti dal dolore, sulle sue gambe rese instabili dall'alcool. Senza le due poderose strette sarebbe probabilmente crollato a terra; il che rendeva chiara l'amara verità: i due non erano certamente delle allucinazioni e, sicuramente, non avevano buone intenzioni.

Mentre anche l'uomo con il naso rotto si muoveva, Arthur strizzò gli occhi dal dolore, lasciandosi scappare un singolo gemito di dolore.

L'inglese si sentì come se fosse trascinato in un vortice, fatto di paura e sofferenza. Anche a causa dell'alcool, tutto gli sembrava confuso, alterato. Il fischio ed il malessere era come se si fossero messi a danzare uno strano ballo sfrenato, fatto di tonalità caotiche che raggiunsero ben presto il loro apice. Quando questo accadde Arthur riaprì gli occhi.

La sensazione di confusione ed instabilità, causata dall'alcool, era totalmente sparita, al suo posto vi era una menta lucida e vigile. Le sue percezioni, tuttavia, gli arrivavano come se fossero filtrate attraverso un filtro, o meglio, come se la sua psiche fosse ospitata in un corpo non suo e non fosse altro che uno spettatore in grado di osservare un mondo, tinto totalmente di rosso, attraverso degli occhi altrui.

I due uomini si muovevano come se fossero a rallentatore, inoltre Arthur capì che, nonostante per lui fosse passata un'eternità, nella realtà non erano passati nemmeno che una manciata di secondi.

Il suo braccio sinistro, intanto, senza che il cervello desse alcun ordine, con un movimento deciso ed improvviso, ruotò in senso antiorario liberandosi dalla stretta dell'uomo di sinistra per poi colpire con un pugno la mascella dell'altro. Il colpo non lo atterrò di certo ma, per la sorpresa e per la forza con cui era stato inferto, lo sbilanciò. Fu allora che Arthur si liberò dalla presa e, afferrando a sua volta le spalle dell'avversario, usò una sua gamba tesa per fargli perdere definitivamente l'equilibrio, scagliandolo addosso al suo compagno, che intanto si stava avvicinando in suo soccorso, mandandoli entrambi rumorosamente a terra, fra gemiti ed imprecazioni.

I due, tuttavia, fecero subito per rialzarsi ma, proprio in quel momento, la porta del bagno si spalancò, sbattendo rumorosamente contro il lato destro di Arthur. L'inglese, appena avvertì il colpo, chiuse istintivamente gli occhi.

Quando li aprì il mondo era tornato con i soliti colori, e non solo. Arthur si sentì nuovamente padrone del suo corpo e non un estraneo nella propria mente. Assieme alle abituali sensazioni, un senso di torpore e vertigini tornò ad assalirlo, facendolo precipitare nuovamente in quella sensazione di confusione e malessere causata dall'ebrezza dell'alcool.

Mentre il pavimento tornava ad essere pericolosamente instabile, Brian irruppe sulla scena.

-Ehy Artie! Quanto ci metti!? Devi venire a vedere, c'è una biondina niente male che...- la voce allegra di Brian si interruppe ben presto non appena vide i due uomini per terra ed Arthur con il fiato pesante.

-Ehy! Ma che cos'è successo qui!?-

Uno dei due fece per alzarsi di scatto ma quello che era stato colpito dall'inglese lo fermò - Aspetta John.-

-Che cosa è successo?- chiese insistentemente Brian mettendosi al fianco di Arthur con aria spaesata.

-Niente. Non preoccuparti.- rispose quello dal naso rotto, spolverandosi i vestiti -Il tuo amico ha bevuto un po' troppo.-

-Col cazzo, volevate portarmi da qualche parte!- sbraitò Arthur barcollando - Che cazzo avevate intenzione di farmi? Abbusare di me!?-

-E' evidente che c'è stato un fraintendimento. Io ed il mio amico porgiamo entrambi le nostre scuse.- disse massaggiandosi la mascella. John intanto non proferiva parola.

-Immagino di sì.- disse Brian, prendendo Arthur per un braccio -Dai Artie, gli altri ci stanno aspettando.-

-Col cazzo, che cosha volevate da me?- chiese l'inglese divincolandosi, non riuscendo più a coniugare bene le parole.

-Andiamo Arthur, sei ubriaco.- Brian stava tentando in tutti i modi di far uscire l'amico dal bagno ma quest'ultimo sembrava irremovibile.

-Andiamo John, mi dispiace per l'incomprensione.- disse l'altro uscendo per primo dai servizi.

John seguì, visibilmente a malincuore, il compagno mentre Arthur e Brian rimasero fermi, in modo da far uscire per primi i due uomini. Quando passò a fianco del biondo, guardandolo dritto negli occhi, si chinò leggermente, visto la sua elevata statura, e disse, appoggiandogli una mano sulla spalla -Bella reazione. Sei in forma, Regno Unito - e detto questo sparì oltre la soglia.

-Si può sapere che cosa è successo?- chiese Brian scandalizzato.

-Niente, loro volevano che li seguissi da qualche parte.- rispose Arthur pensieroso, ripensando in particolare alle ultime parole dell'uomo, uscendo dal bagno e dirigendosi verso il bancone dove erano seduti i loro colleghi.

- Forse volevano venderti quella merda di eroina. Avevano la faccia da spacciatori e di questi tempi sono ovunque. Comunque... tu?- disse Brian seguendo a ruota l'inglese.

-Io...- Arthur si fermò in mezzo al locale, interrompendo la risposta.

Bella domanda, che cosa era successo li dentro?

Da dove aveva tirato fuori quella forza combattiva?

-Io... Non lo so. Penso di averli colpiti, credo.- era incredulo, seriamente aveva preso a pugni quei due energumeni in quel modo?

- Ti sei picchiato con i due spacciatori?-

-No.- Arthur tentò di riprendere a camminare ma, in quel momento, venne fermato nuovamente da Brian che lo trattenne con forza per un polso.

-Arthur, se non vi foste colpiti non ti sanguinerebbe il naso in quel modo.-

Il biondo, in modo esitante, si toccò il naso. Con un brivido, sentì sotto le sue dita il viscoso liquido cremisi.

Forse, a causa dell'alcool, non si era accorto di esser stato colpito?

No, non era così tanto ubriaco.

Si rovistò nelle tasche ed infine estrasse il fazzoletto.

Appena lo vide il ricordo di Feliciano si vece vivo e presente nella sua mente ed, a fatica, si trattenne dal bestemmiare.

Doveva trovare un modo per aiutare quel bambino.

Tamponandosi il naso continuò a camminare, seguito Brian.

-Arthur?-

-Andiamo a sederci, sono stanco.-

Non ci volle molto perchè Brian tornasse ad essere quello di sempre e, ancor prima di arrivare ai loro posti, grazie anche ai due whiskey che aveva ingurgitato, cominciò a spiegare ad Arthur il motivo per cui era venuto a chiamarlo.

-Ascolta, mentre eri in bagno è entrata una biondina niente male e si è seduta in fondo alla sala, tuttavia è da quando è qui che non fa altro che guardarci e... Ehy mi ascolti?-

-Sì.- ed invece no. Arthur non stava ascoltando una parola e continuava a guardare i due uomini di prima, i quali si erano seduti dall'altra parte della sala. In particolare John, ammesso e non concesso che fosse il suo nome, continuava a fissare Arthur di rimando con occhi di sfida. Invece "naso rotto" si limitava a dargli le spalle.

Si lasciò cadere praticamente a peso morto sullo sgabello del bancone, riuscendo, a fatica, a non ribaltarsi.

I suoi colleghi chiaccheravano allegri, dandosi delle piccole gomitate, ed indicando qualcuno seduto vicino alla porta.

- Che avete?- chiese Arthur allungando scuotendo una bottiglia di vetro per sentire se contenesse ancora la sua birra oppure fosse stata, molto probabilmente, crudelmente finita mentre era in bagno.

Grazie al cielo sembrava ancora piena.

-Te l'ho detto prima Artie!- esclamò Brian allegro, passando un braccio attorno alle spalle del biondo -In fondo alla sala c'è una biondina da urlo! Edmund voleva provarci ma secondo noi gli darebbe un bel due di picche! Non è vero, Ed?-

-Non è assolutamente vero! Ho un gran successo con le donne! Non come voi due.- rispose Edmund offeso, biascicando le parole in maniera sconnessa.

Ormai erano praticamente tutti ubriachi.

-Passi per Brian, ma Kirkland non avrebbe una sola possibilità!- disse Nathan.

Arthur inizialmente non aveva prestato molta attenzione al discorso dei suoi compagni, infatti era ancora preso ad osservare i due uomini, tuttavia non poteva proprio ignorare un'affermazione simile.

-Cosa vorresti dire!? Che ne sai della mia vita sentimentale?-

-Oh andiamo Arthur! Lo sappiamo tutti che non hai successo con le donne!- il biondo giurò di prendere a pugni, un giorno o l'altro, quella faccia di merda di Edmund.

-Se per avere successo intendi andare con sgualdrine imbottite di eroina per rapporti occasionali come fate voi allora no, non ho successo. Preferisco delle donne di classe io!- ribattè deciso l'inglese, concludendo fieramente il suo discorso con un lungo sorso di birra bevuto direttamente dal collo della bottiglia.

Ormai era troppo ubriaco per badare alle buone maniere che era solito tenere.

Ricacciò in angolo del cervello i pensieri tristi causati dalle parole, purtroppo veritiere, di Edmund.

Inutile dire che mentre era da solo al bancone aveva già pianto, lamentandosi della sua inutilità, mentre si lambiccava il cervello alla ricerca di un modo per aiutare Feliciano.

Fortunatamente l'unico testimone era stato il barista ed una coppietta seduta in un tavolo non distante da lui. Non avrebbe mai permesso di farsi vedere in lacrime dai suoi colleghi. Non nuovamente almeno!

Infatti, purtroppo per il giovane giornalista, era già successo e per più di un mese era stato lo zimbello della redazione.

-Oh, che paroloni! Touchè!- esclamò Brian facendo seguire alle sue parole un ululato di scherno.

- Tutte cagate Kirkland, la tua vita è fottutamente triste! Dimostracelo, che non sei uno sfigato!- Edmund battè la mano sul tavolo, facendo sobbalzare alcuni clienti seduti vicino a loro, mentre gli occhi gli ardevano per la sfida.

-Andata.- anche se Arthur era ubriaco il suo orgoglio era ancora vivo.

Sapeva di non essere di certo un play boy ma non lo avrebbe mai ammesso davanti ad Edmund, inoltre l'alcool gli dava coraggio. O meglio, sarebbe stato più corretto dire che aveva completamente annebbiato la sua mente ed il suo cervello aveva ormai sganciato ogni freno inibitore.

-Dimmi solo chi e vedrai come cadrà ai miei piedi.- aggiunse sbilanciandosi pericolosamente dal

suo sgabello, rischiando di cadere per l'ennesima volta.

-D'accordo, scelgo io!- rispose il suo rivale puntandogli un dito contro- Signori mettete mano ai portafogli: si aprono le scommesse! Puntate gente!- cominciò a dire in tono plateale e canzonatorio

-Kirkland riuscirà a conquistare la biondina vicino alla porta?-

Arthur si girò, guardando finalmente l'oggetto dei desideri dei suoi colleghi.

Non ci volle molto a trovarla: c'era solo una donna bionda seduta vicina alla porta. Dopotutto non c'erano molti clienti: non erano nemmeno le nove ed era un giorno lavorativo. La loro piccola, ubriaca combricola rappresentava una vergognosa eccezione.

Quella, praticamente simultaneamente, alzò gli occhi verso di lui ed, inspiegamente, mentre il suo sguardo venne incatenato da quei grandi occhi azzurri, il mondo gli parve fermarsi, non accorgendosi quasi che i due uomini con cui aveva litigato erano silenziosamente sgusciati fuori dal locale, sparendo nella sera.

 

Londra, 20:45

Inghilterra era una delle persone più psicotiche e controverse che Francia avesse mai incontrato, anche se, questi due aspetti della personalità dell'inglese, a dir suo, erano alcune delle caratteristiche che lo rendevano affascinante. Ovviamente questa sua opinione in passato era stata derisa innumerevoli volte da Spagna e Prussia ma, quando i due iniziavano a fare ironia sulle concezioni romantiche di Francia, lei non aveva mai avuto orecchie per ascoltarli.
Una delle tante caratteristiche della personalità, probabilmente disturbata, di Inghilterra era l'odio che provava per la quotidianità nonostante fosse un abitudinario incallito.
Queste sue psicosi, Francia le aveva viste manifestate in tutta la loro potenza, sopratutto durante l'era della pirateria dove Inghilterra, nonostante fosse uno dei corsari più temibili, continuasse a perpetrare nel tempo alcune abitudini di quando conduceva la vita da lord, come ad esempio il tè delle cinque o il ricamo del giovedì sera.
Per questo motivo, quando non l'aveva trovato seduto alla scrivania in ufficio, la postazione dell'inglese era visibile fin dalla strada grazie ad un'ampia finestra, non si era scoraggiata.
Infatti sapeva benissimo che Arthur era una persona ligia al dovere e dedita al lavoro e se lo saltava, o usciva prima, era perchè andava a disperarsi in qualche squallido pub, affogando i suoi dispiaceri nell'alcool. Quindi, grazie alla conoscenza di queste peculiari abitudini dell'inglese, ed al fatto che ormai stavano pedinando il biondo da mesi, Francinne non ci mise poi molto a trovarlo.

Purtroppo, da ciò che poteva vedere dal marciapiede dove si era appostata, attraverso la vetrina del locale, Arthur non aveva perso un'altra abitudine.

Quella di ridursi ad uno straccio grazie ad alcolici vari.

Nonostante la maggior parte dell'umanità sarebbe stata d'accordo nel definire l'inglese "in condizioni pietose, al limite della decenza", Francia per poco non svenne a quella vista.

Erano più di ventitrè anni che non lo vedeva, ma, per lei, rimaneva sempre una sublime visione.

Inutile dire che era quasi scoppiata in lacrime in mezzo alla strada.

Raggiungerlo si era rivelata una delle decisioni più sbagliate e masochiste che avesse mai preso in vita sua.

Guardarlo da lontano senza potersi avvicinarsi, toccarlo, parlare con lui erano delle torture terribili per la donna.

Rimase una buona decina di minuti a fissarlo, inebetita, finchè l'inglese non si avviò verso i bagni, seguito a ruota da altri due tipi, sparendo in questo modo dalla sua vista.

Sarebbe stato meglio per Francia andarsene, eppure non era capace di muovere solo un passo.

Guardare Arthur da lontano le causa sofferenza e tristezza, eppure sapeva che separasi da lui sarebbe stato ancora peggio.

Decise che se ne sarebbe andata appena lui fosse uscito dai servizi, in questo modo avrebbe potuto vederlo un'ultima volta.

- Ehy! Bella signora! Sta aspettando qualcuno?- le chiese un uomo avvicinandosi a lei, con i capelli arruffati, lo sguardo vacuo ed una birra in mano.

Era l'ennesimo sconosciuto che tentava di abbordarla. Evidentemente una donna sola, di sera, inchiodata davanti alla vetrina del locale, faceva abbastanza colpo sugli avventori da spingerli ad avvicinarsi.

Francinne, dal canto suo, sospirò infastidita, girandosi verso di lui con fare scocciato. L'uomo non la preoccupava molto, sapeva come respingerlo in modo che non tornasse mai più a darle fastidio. In fin dei conti non era altro che la reincarnazione vivente della Francia! Aveva combattuto delle guerre, figurarsi se non avrebbe saputo tenere a bada sia lui, che i suoi ghignati amici che, alle spalle dell'importunatore di turno, stavano osservando divertiti la scena.

Cinque minuti dopo era seduta ad un tavolino interno del locale, irrimediabilmente sconfitta.

Aveva sottovalutato gli uomini arrapati ed non aveva potuto fare altrimenti che battere in ritirata dentro al pub. Fortunatamente era ancora presto ed i suoi nuovi, inopportuni amici non avevano avuto l'ardire di seguirla dentro al pub.

Fece vagare lo sguardo per la sala e notò che alcuni si erano messi a guardarla, fra cui, gli amici di Arthur. Dopotutto era entrata come una furia e si era seduta in una posizione che risultava ad un paio di tavoli da loro.

Inghilterra, intanto, sembrava essere ancora in bagno, e questa era una cosa positiva. Se fosse uscito e se l'avesse vista, Francinne non avrebbe saputo come reagire. La cosa che più spaventava la francese era la consapevolezza che l'inglese non avrebbe potuto riconoscerla e l'avrebbe considerata come una delle tante ragazze presenti in quel locale. Questo Francia non avrebbe potuto tollerarlo, non dopo tutto quello che era accaduto fra loro due.

Ordinò ad un cameriere un bicchiere di vino rosso, sentiva un forte bisgno di bere qualcosa.

Intanto gli amici di Arthur continuavano a guardare nella sua direzione, parlando allegramente, finchè, improvvisamente, uno di loro si alzò per dirigersi verso i bagni, dai quali sembrava proveniere una discreta confusione. Un paio di tonfi risuonarono oltre la porta.

Nel bagno c'era Arthur e Francinne pregò che l'inglese non stesse facendo a botte con nessuno.

Cosa molto improbabile, visto che ai servizi, al momento, c'erano solo quattro persone.

La francese si alzò lentamente dal suo posto. Forse sarebbe stato opportuno andare a vedere che cosa stesse accadendo?

Intanto nel locale, la cacofonia sembrò risultare indifferente a quasi tutti i clienti.

La francese si allontanò dal suo tavolo giusto di un passo, decisa ad andare a controllare, ma, proprio in quel momento, la porta dei bagni si aprì ed uscirono quattro uomini, fra cui Inghilterra.

Francinne tornò silenziosamente al suo posto, mentre la sua mente veniva annebbiata da emozioni contrastanti che sentiva sorgere dentro al suo animo alla vista dell'inglese, il quale, dopo aver scambiato ancora qualche parola con i due uomini, tornò al suo tavolo, barcollando, insieme all'amico. Arthur non sembrava essere ferito se non per eccezzione del naso, visto che se lo stava tamponando con un fazzoletto.

Avrebbe voluto andare dal biondo e chiedergli direttamente qualcosa riguardo le sue condizioni ma sapeva che non sarebbe stata una mossa saggia, quindi si limitò ad osservarlo da lontano.

Nemmeno una manciata di minuti dopo, mentre l'inglese chiaccherava animatamente con i suoi compari, Francia non potè far a meno di notare che i due contenziosi di Arthur si stavano alzando e dirigendosi verso l'uscita.

Francinne ormai ne era certa che qualcosa fosse accaduta in bagno, e sarebbe stato meglio, e decisamente più utile, accertarsene invece che continuare a fissare l'oggetto dei suoi desideri. In realtà, conoscendo il brutto carattere di Arthur, Francinne aveva ben pochi dubbi sull'origine della lite, tuttavia aveva il disperato bisogno di una qualsiasi scusa per convincersi da sola ad uscire da quel locale. Ormai persino il vino che aveva ordinato aveva perso qualsiasi attrattiva su di lei, anzi, visto che non l'avevano ancora servita, forse, riusciva a fuggire prima di dover pagare ciò che aveva richiesto.

Proprio in quel si voltò nuovamente verso Inghilterra, giusto per vederlo un'ultima volta, e, per poco, non si ingozzò con la sua stessa saliva. L'inglese la stava guardando in modo inebetito.

Per un attimo si dimeticò di tutto, mentre era persa negli occhi verdi di Arthur, ma presto distolse lo sguardo. Inghilterra non sembrava riconoscerla e Francinne non aveva intenzione di stare un attimo di più in quel locale. Quel maledetto inglese! In cuor suo Francia aveva sperato che, vedendola, il britannico recuperasse la memoria, considerando il loro ricco passato, e, visto e considerando che ciò non era successo, l'orgoglio della francese naufragò irrimediabilmente, sbocciando in un senso di oltraggio.

Proprio in quel momento, intanto, i due uomini le stavano lentamente scivolando a fianco, diretti verso la porta d'uscita.

Francia, alienandosi per un attimo dalle sue ire, li seguì attentamente con lo sguardo mentre aprivano la soglia, sgusciando fuori nella sera.

Li tenne d'occhio per un paio di secondi ancora, giusto per vederli voltare a destra attraverso la vetrina del locale.

Si girò di scatto decisa a radunare le sue cose ed a inseguirli. O meglio, mascherò a se stessa dietro questo volere, la seconda ritirata della serata.

Mentre alzò con rabbia la borsa da terra, sentì una sedia vicino a lei muoversi e la superficie del suo tavolo sussultare.

Sbuffò con rabbia. Non era certamente il momento migliore per venire infastidita da marpioni molesti, aveva qualcosa di meglio da fare, come sapere che cosa fosse accaduto in bagno e fuggire; soprattutto fuggire. Proprio per questo motivo si girò con stizza verso il nuovo avventore che si era appena seduto al suo tavolo. Tuttavia, appena i loro sguardi si incrociarono, la lingua di Francinne diventò irrimediabilmente muta, mentre il suo corpo si rifiutò di muoversi.

Seduto davanti a lei c'era Arthur.

 

 

 

 

 

*Note:

[1]- Il libro è "Gente di Dublino" di James Joyce. La parte che Francinne sta leggendo sono le prime righe del racconto "I morti".

 

[2]- Il 28 agosto 1968 vennero trovati morti in un auto, nella campagna fiorentina, Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, uccisi con dei colpi di arma da fuoco. I due erano amanti e dell'omicidio venne inizialmente accusato Stefano Mele, marito della Locci, successivamente vennero considerati come le prime vittime del Mostro di Firenze.

 

[3]- Nel dopoguerra gli Stati Uniti si impegnarono a sostenere economicamente molti paesi europei amici, anche in funzione esplicitamente antisovietica.

 

[4]- Durante la guerra fredda il mondo venne praticamente diviso in zone d'influenza: una americana ed una sovietica. L'Europa occidentale era nella sfera d'influenza americana a cui era legata anche appunto dal piano Marshall.

 

[5]-L'Inghilterra nasce nel 827 unificata quasi per intero dal re del Wessex, Egberto.

 

 

 

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Bene, ecco l'altra parte del capitolo.

Chiedo scusa per il ritardo ma ci sono stati alcuni, uhm, "problemi tecnici". Nel capitolo viene citata Lucrezia Maria Vargas, un mio OC, e rappresenta, come già citato in alto, la Città del Vaticano.

Non ho molto da spiegare visto che ho messo in nota tutti gli avvenimenti a cui ho fatto riferimento.

Alla prossima!
Rebecca.

P.S. Grazie a tutti quelli che seguono questa storia! 

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