Frederick

di Faffo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

FREDERICK

Prologo


  Mi svegliai e tutto era strano intorno a me. Come se da un momento all’altro mi avessero messo in quel posto senza avvertirmi. Ero completamente stordito.
  Scesi dalla barella e cominciai a fare due passi all’interno della stanza. La testa mi bruciava e in bocca avevo un sapore amarognolo. C’era uno sgabello, mi sedetti e presi la testa tra le mani.
  Cominciai a massaggiarla con la speranza che quel dolore andasse via. Ma nelle mani c’era qualcosa che non andava. Per un attimo le fissai senza sapere il perché lo stessi facendo. Successivamente la convinzione che quello che vedevo non appartenesse al mio corpo.
Mi alzai e andai dritto: avevo sete.
  Si parò una porta davanti ai miei occhi, era proprio di fianco alla barella. Forse prima non l’avevo vista, o forse si era materializzata come un oasi nel deserto. Entrai e trovai un lavabo. Come un cane randagio aprii il rubinetto e cominciai a bere. Tutta quell’acqua sembrava non dissetarmi. Alzai la testa e scorsi un vetro grigio, all’interno la faccia di un uomo che mi guardava.
  Ebbi paura.
  Sembrava che si stesse prendendo gioco di me, faceva gli stessi movimenti che facevo io. Presi uno spazzolino posato in un bicchiere, gli tolsi il sigillo e comparve una pellicola gialla: era il dentifricio.
  Quell’uomo continuava a fissarmi da quella prospettiva. Solo quando cominciò a lavarsi i denti capii che era uno specchio. Ma quello non potevo essere io, quelli non potevano essere i miei occhi.
  Vestito solo del mio sguardo comincia a cercare una via di fuga o qualcosa che potesse aiutarmi. Continuavo a seguire l’istinto come un coniglio in gabbia. Mi sedetti nuovamente sullo sgabello.   
 
Cercai nella mia testa qualcosa che potesse avere la parvenza di un ricordo. L’unica cosa che riuscivo a vedere erano immagini vuote. Come quella stanza. Mi concentrai cercando qualcosa, ma subito dedussi che quel posto non aveva una via d’uscita.
  Comincia a fissare con curiosità le mie mani. Se le avvicinavo sembrava che quello che c’era al centro avesse una reazione. Non appena le strinsi palmo su palmo un qualcosa si materializzò all’interno. Mi ritrovai a terra, avevo battuto la testa pesantemente. Non so cosa successe, ma davanti a me c’era una crepa nel muro che rappresentava una via d’uscita. Un grido di sirene mi seguiva mentre avanzavo verso l’unica strada disponibile. Le luci erano rosse e giravano sempre nello stesso verso.
  Frederick.

  Mi voltai, era un uomo: camice bianco, occhiali da scienziato.
 
– Fermati dove pensi di andare?
  Ce l’aveva con me quel tizio.
  Sentii un rumore metallico e passi avvicinarsi pesantemente. Erano uomini armati di “tutto punto”.
  – Frederick, non alzare le mani … fermati, tienile giù.
  Feci come mi ero stato detto e mi avvicinai verso di loro con passo calmo. Quelli indietreggiavano con i fucili puntati verso di me. Potevano farmi fuori da un momento all’altro. Invece respiravo la loro paura.
  – Fermati, torna indietro.
  Continuavo il mio passo mentre nella faccia di quell’uomo si disegnava il terrore. Ma non volevo fargli del male. Alzai le mani.
  – FERMATI! Cosa fai?
  Non l’ascoltai, feci un solo battito, come se fosse un applauso. Un raggio si materializzò tra i miei palmi e partì. Il corridoio diventò blu e tutti erano a terra immobili.
  Continuai verso la mia strada che mi portava da qualche parte ignota.
  La luce rossa non si vedeva più. Tutto era buio, tranne quella roba nelle mie mani.

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Capitolo 2
*** I ***


I

I

.

...

  Nella vita c’è sempre qualcosa da capire. Potrebbe essere una cosa da nulla, tipo il perché ero nudo. Oppure qualcosa di molto più complicato, tipo ... chi ero. In entrambe, la vita, ti lascia camminare da qualche parte. Anche se non sai dove, lei ti abbandona al tuo destino. Avverso o no, neanche lei lo sa.

  Ora toccava a me scoprirlo.

  Erano almeno due ore che camminavo. Il sole sorrideva nel cielo facendomi sentire energico. Davanti ai miei occhi si distendeva solo un grosso tratto di sabbia. Avevo sete e dovevo trovare al più presto un oasi in quel deserto. Ogni tanto mi divertivo a schiacciare i palmi delle mani facendo partile qualche raggio. Lo seguivo con lo sguardo come se m’indicasse la strada da prendere. Ma poi mi rendevo conto che la direzione era stata un evento casuale e continuavo verso l’ignoto.

  Aguzzai la vista, come fa un falco quando punta la sua preda, notai delle cose muoversi, evidentemente quella era la fine. C’era solo un piccolo problema, dovevo presentarmi in quel posto senza nulla addosso. Il sole stava quasi per tramontare, dedussi che non mancava molto al sorridere della notte. Così timido e senza meta mi sedetti ad aspettare.

  La luna arrivó dopo un bel po’, succede sempre per tutte le cose che aspetti. Anche se devi attendere solo un paio di minuti, sembra un’eternità. Stavo ricominciando ad entrare nuovamente in quel meccanismo complicato del tempo.

  Mi alzai e cominciai ad avvicinarmi a quella città. Tante luci mi scrutavano dall’alto. Tutti i negozi erano chiusi e man mano che mi addentravo constatai che non c’era nessuno.

  Sentii un fischio, mi voltai. Da una serranda un uomo mi faceva cenno di entrare. Mi fidai. Se qualcosa sarebbe andato storto gli avrei fatto un bell’applauso.

  – Avanti, vieni qui!

  Entrai, quella stanza aveva veramente tantissimi “comfort”. A terra, negli angoli si notavano tre cartoni, due impegnati e uno no. Evidentemente doveva essere il letto di chi mi aveva fatto entrare, che ora stava comodamente urinando fuori. Non s’importava della mia presenza, in fondo non aveva torto. Quello che doveva sentirsi a disagio ero io. Poco dopo entrò e chiuse la serranda dietro le sue spalle. Mi allungò la mano, non volevo stringerla, mi faceva schifo e così gli mostrai il cerchio blu.

  Mi afferrò il polso e io non ero riuscito nel mio intento: quello di non farmi toccare da quel tizio.

  – Ma che roba è?

  Un altro si alzò incuriosito e prese l’altro polso – anche qui, guarda!

  Mi fissarono e volevano una spiegazione da me. In realtà non sapevo cosa rispondere.

  – Ma da dove vieni?

  – Dal deserto.

  – C’hai proprio una brutta cera.

  – Bill, siamo cortesi con gli ospiti – si rivolse a me – come mai vai in giro con la “salsiccia all’aria”?

  Lo guardai perplesso, evidentemente si riferiva alla mia nudità – mi sono svegliato così e sono scappato.

  – C’hai proprio l’aria assonnata.

  – Come ti chiami, forestiero? – domandò quello che era rimasto seduto a terra.

  Cercavo tra i miei ricordi, ma non mi veniva in mente nulla. Il tipo in quel corridoio me l’aveva messo un nome, forse già era mio o forse se l’era inventato a momento; questo non potevo saperlo.

  – Frederick

  – Sembra che ti abbiano rubato tutto, anche i ricordi.

  Quello a terra sembrava essere il più intelligente di tutti, mi guardò da sotto il suo cappello da baseball e diede un altro morso alla mela verde che stringeva in mano.

  – C’hai freddo Fed … Fredi … uomo strano?

  L’altro gli diede un ceffone – Frederick, si chiama. Imbecille!

  – Ma, c’ha un nome complicato. Non è colpa mia se la madre c’ha messo ‘sto nome strano.

  – Non ho tanto freddo.

  Mi guardavano come se fossi un fenomeno da baraccone. Le cose che più l’incuriosivano erano le miei mani. A dire il vero ... anche a me.

  – Capo, lo facciamo ‘sto colpo?

  Dopo questa domanda, Bill, si beccò un altro ceffone dall’amico – zitto imbecille!

  Zac, mi guardò da sotto il suo berrettino – sei uno sbirro?

  – Intendi ... se sto dalla parte della legge.

  – Sì.

  Rimasi per un attimo a rimuginare – non so cosa facevo prima.

  Mi stava classificando, come fanno tutti capi che devono prendere un altro uomo nella loro azienda. Quella era un po’ strana, ma aveva sempre un capo – ti va di guadagnarti un vestito?

  Guardai il mio pene penzolare – anche un paio di mutande.

  – Sei dei nostri, forestiero – si rivolse a Bill – dagli disposizioni, e fagli studiare bene il piano.

  Bill sembrava essere felice. Fece due colpetti di tosse, come fanno le persone importanti prima di illustrare un progetto. Tirò fuori un foglio abbastanza grande da poter sembrare una mappa fatta a mano – allora, noi siamo qui. Questo è il magazzino da svaligiare. Poi ... scappiamo qui. C’hai domande da fare?

  Lo guardai perplesso – tutto qui?

  – Ti sembra facile ... bisogna buttare giù questa parete.

  – Capo, se mettiamo la dinamite qui dici che crolla? – Boom cominciò a toccarla.

  Bill già aveva in mano due candelotti di dinamite e attendeva una decisione.

  – Basteranno, basteranno.

  – Toglietevi.

  Mi guardarono in modo strano cercavano di capire cosa volessi fare.

  Zac sbuffando si alzò e si mise alla distanza di un braccio da me – allora, che sia ben chiaro, qui comando io.

  – Nessuno lo mette in dubbio.

  – Bravo, quindi stai zitto e facci fare il nostro lavoro – si rivolse verso i suoi uomini – piazzate le cariche e quando sarà il momento fatele esplodere.

  – Spostatevi, ci penso io.

  Il capo avvampò – sei fuori dalla squadra.

  Proprio in quel momento accostai leggermente i miei palmi. Il fascio di luce colpì il muro al centro riducendolo in mille pezzi.

  – Non sono stato io, non c’ho messo ancora le cariche ...

  Bill continuò a parlare ma gli altri mi guardarono a bocca aperta.

  L’allarme iniziò a suonare rompendo quel silenzio imbarazzante.

  – Sei fuori ... cioè resti fuori e aspetti noi – mi ordinò.

  Li vidi balzare dentro e correre alla rinfusa, li persi di vista e rimasi ad attendere in compagnia del suono della sirena. Evidentemente mi volevano proprio bene gli allarmi, non mi lasciavano mai solo.

.

  Non ci misero troppo tempo, tornarono con tre carrelli colmi di roba.

  – Avanti, scappiamo. Prima che arriva “la madama”*.

  Non sapevo chi fosse, evidentemente doveva essere la proprietaria del negozio. A quanto pare, era particolarmente pericolosa per incutere quel timore.

  Corremmo verso la strada prefissata sulla mappa. Io ero per ultimo e ogni tanto mi toccava raccogliere qualche cosa che era caduta. Girammo in un vicolo, tutti si bloccarono – maledizione, la “madama”.

  Certo che doveva essere veramente veloce, questa. Evidentemente era una di quelle tipe che sono sempre pronte per andare da qualche parte. Se le chiedi – perché dormi vestita? – lei ti risponde – e se succede qualcosa?! – così passano la loro esistenza a fare progetti per “guai” che potrebbero succedere. Anche se le percentuali che accadono sono bassissime, loro fanno un bel programma di come comportarsi per l’evenienza. Magari se lo tengono per loro. Non sia mai che accade davvero … subito cacciano il loro progetto e convinte che tempo prima l’abbiano illustrato a tutti, dicono – hai visto? Te l’avevo detto io? Vedi … – e sono anche contente del guaio che è capitato.

  – Boom, Piano B – ordinò Zac.

  – Bill, Piano B.

  – Frez … Fri …

  – Frederick?!

  – Bravo, piano B.

  – Sarebbe?

  Mi guardò perplesso, si voltò in avanti – capo, qual è il piano B?

  Si schiarì la voce e con aria di chi da ordini chiari e precisi – scappare.

  Cominciammo a correre per i vicoli, secondo me non sapevano che rotta seguire. Si ritrovarono in compagnia dell’affanno e dovettero fermarsi in un vicolo buio per recuperare. Su un carrello, vidi un vestito nero – ma questo è mio?

  Annuirono.

  Lo presi e notai che c’erano anche delle mutande nuove. Erano con tanti cuoricini disegnati sopra. Non erano il massimo, ma meglio di nulla. Ne infilai una …

  – La “madama”, via, via, via!

  Cominciammo nuovamente a correre. Era veramente una donna formidabile. Aveva scovato subito il nostro nascondiglio. Secondo me aveva un album, con tante caselle dove c’erano raffigurati tutte le cose che potessero succedere. Sicuramente aveva tutte le figurine.

  – Anche di qua, via, via, via!

  – Via indietro, via.

  I nostri carrelli cominciavano a perdere carote, cipolle, pacchi di pasta e frutta secca. Io cercavo di recuperarne il più possibile, ma non sempre ci riuscivo. All’improvviso, la ruota anteriore del carrello del capo si ruppe. Lo vedemmo sbandare, prima a destra e poi a sinistra. Corsi in avanti e cominciai a reggere il carrello dove cedeva. Ad un certo punto, non potevo più continuare in quelle condizioni.

  – Lascialo a me.

  Non fiatò e fece come gli avevo detto. Sollevai il carrello e continuammo a mettere in atto il piano B. Dopo poco vidi che li avevo lasciati indietro di “brutto”. Mi fermai e aspettai che mi raggiungessero. Mi portai in ultima fila. Continuammo la nostra corsa spietata, Zac controllava sempre dietro in caso in cui la donna ci stesse seguendo.

  Ma qualcosa andò storto e ci ritrovammo in un vicolo cieco.

  Indietro non potevamo andare, sicuramente saremmo stati scoperti. L’unica cosa da fare era scavalcare quel muro e chi comandava lo capì subito. C’era solo un piccolo problema: il malloppo. Erano carrelli, non potevamo portarli dall’altra parte. Dopo trenta secondi a studiare piani buttati li a caso, il comandante decise che Boom andava dall’altra parte del muro, Bill vi saliva sopra, io allungavo la roba e lui … faceva come tutti i capi: guardava e diceva – fate presto.

  Cominciai a passare prima la pasta …

  – Fate presto.

  Poi, i barattoli di sugo …

  – Fate presto.

  I pezzi di prosciutto …

  – Fate presto.

  E mentre stavo passando i dolci, all’ultimo pacchettino di cioccolato, Boom annunciò – ma invece di fare tutto questo casino, perché non lo butti a terra questo muro?

  – Fate presto … – stette per un attimo a pensare – ottima idea. Spostatevi tutti, ci pensa il forestiero.

  Posai quello che avevo in mano e unii i miei palmi. Il muro cadde e potetti portare il pacchetto di cioccolato dall’altro lato senza fare tutto il giro.

  Guardammo la roba a terra sistemata accuratamente, andammo a prendere i carrelli e la ricaricammo sopra.

  Ci sedemmo un attimo a riposare mentre il capo fumava una sigaretta. Quando ebbe finito, con tranquillità applicammo il piano B. Cioè … scappammo con calma. Io portavo in braccio sempre il carrello colmo di roba, fissavo gli altri due carrelli che erano quasi vuoti. I due se ne accorsero e cominciarono a guardare il cielo fischiettando, come se volessero dire – è solo un caso che il tuo carrello è pieno.

  – Siamo arrivati – annunciò Zac con voce stanca. Era quello che aveva lavorato più di tutti.

  Entrammo in quell’appartamento ben arredato, Bill e Boom cominciarono a sistemare la roba.

  Il capo mi mostrò il bagno, feci una doccia e mi misi il mio vestito nero.

  Finalmente non ero più nudo.

.

..

 

 

* Madama: Nel gergo della malavita, la polizia: attenzione, arriva la madama!; o anche, un poliziotto: una m. veniva proprio diretta verso di loro (Pasolini). - Vocabolario Treccani on-line -

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Capitolo 3
*** II ***


II

II

 

 

  Come tutte le cose che accadono per caso, anche quella, era molto strana. In fondo ora avevo un posto dove stare. Il lavoro non mi piaceva molto, ma ero sicuro che, prima o poi, qualcosa di meglio avrei trovato. Scesi le scale e mi ritrovai faccia a faccia con la mia nuova squadra. Li vidi seduti vicino ad un tavolino con una mappa, ovviamente scritta a mano. Appena mi videro Zac fu  a parlare – finalmente sveglio, buon giorno.
  – Buon giorno.
  – Cosa vuoi per colazione?
  – Di solito cosa si mangia?
  Mi guardarono perplessi – noi … di solito latte e brioches.
  – Va bene. Grazie.
  Mi sedetti a tavola e mi servirono la colazione.
  Quando ebbi finito avevo tutti gli sguardi puntati – cosa c’è?
  Il capo mi guardò e con voce timida – ti va di partecipare ad un altro colpo?
  Volevo rispondere no, – sì! – ma in un modo dovevo pur ringraziare.
  Mise la cartina sul tavolo e si schiarì la voce – questa è la mappa.
  Doveva essere un colpo veramente grosso, di solito i capi delegano sempre – l’avevo capito.
  – Bene …
  – Cosa svaligiamo ora … un negozio di carne affumicata.
  – No! Quello l’abbiamo svaligiato la settimana scorsa. Ora svaligeremo la banca.
  – C’ha voglia di soldi il capo.
  – Zitto imbecille! – gli diede un ceffone.
  Si rischiarì la voce – allora … il piano consiste in questo: prendiamo i soldi e scappiamo prima che arriva la “madama”.
  – Anche la banca è della “madama”?
  – Nulla le appartiene … ma tutto è sotto il suo controllo.
  Ora era veramente tutto chiaro; una grande donna controllava la città.
  – Ascoltami bene Fred, entreremo da qui … faremo questo percorso, sfonderemo il caveau e scapperemo con il bottino. Capito?
  – No!
  – Va bene, possiamo procedere.

  Il giorno successivo alle ventidue in punto, armati di torce, eravamo davanti alla banca. Come ogni ladro che si rispetti i nostri abiti erano neri ed attillati. Zac li teneva per le grandi occasioni. Ci fece segno e ci fermammo li dove eravamo. Avanzò guardandosi bene a destra e a sinistra e appena arrivò di fronte alla porta cacciò le sue attrezzature migliori: ventosa, seghetto per il vetro e trapano a batterie. Era veramente un gran capo.
  Iniziò con il trapano, si fermò di botto e si guardò nuovamente intorno: c’eravamo solo noi e un gatto nero. Di solito i gatti di quel colore non sono ben visti, ma in fondo era vestito come noi, quindi … poteva restare.
  Schiacciò nuovamente il pulsante e il trapano entrò in azione. Spingeva sempre più forte, ma il vetro non ne voleva proprio sapere di bucarsi, era duro un accidenti. Cominciò a fare forza con il corpo fino a quando non sbucò abbastanza da far entrare la lama del seghetto.
  Molto lentamente prese l’altro arnese e cominciò, la lama era veramente affilata e il vetro si tagliava una meraviglia. A metà lavoro agganciò la ventosa e tenendola ben salda con la mano, continuò il suo lavoro con l’altra. Dopo poco, tutto fu precisamente tagliato e tolto accuratamente con la ventosa. Infilò la mano e con gran maestria aprì.
  Con scarpe che solo lui conosceva entrammo in modo da non far scattare l’allarme.
  Ci faceva strada, mentre con gesti ben chiari ribadì il concetto che non dovevamo toccare assolutamente a terra.
   Continuammo ad avanzare molto lentamente, ogni tanto ci fermavamo e sceglieva per noi la strada migliore. Voltammo in un corridoio e scendemmo delle scale, davanti a noi si parò una porta blindata. Si avvicinò e inserì un codice nel tastierino numerico in alto a destra, sentimmo uno scatto metallico e poi la porta si aprì. Mi indicò la strada e feci per entrare quando improvvisamente suonò l’allarme.
  – Avete toccato a terra?
  – No – dicemmo all’unisono.
  – Bill, ma hai chiuso la porta?
  – Perché proprio io … non l’ho chiusa, non lo sapevo …
  – Lo sanno anche i bambini: “l’ultimo chiude la porta” – disse quasi ironicamente – vai sopra e controlla se è entrato qualcuno.
  Bill scattò eseguendo quell’ordine più velocemente possibile. In qualche modo voleva rimediare. Ritornò subito e quasi cadde per le scale – c’è il gatto … è entrato … c’ho paura dei gatti …
  Boom gli diede un ceffone dietro la testa – zitto imbecille!
  – Fred, muoviti apri il caveau.
  Mi avvicinai e unii le miei mani. Si fece un buco abbastanza grande da entrarci tutti. Cominciammo a riempire sacchi di soldi. Ce n’erano veramente tanti sistemati sugli scaffali. Per fare prima uno manteneva il sacco e l’altro li faceva cadere all’interno, prendendoli a due mani, e quando il sacco diventava abbastanza pieno da reggersi da solo le mani diventavano quattro.
  I sacchi furono pieni e Zac si maledisse per non averne portati altri. Si riempirono le tasche e Bill anche il portafoglio. Me ne caricarono cinque sulle spalle e loro ne presero uno a testa. Facemmo la strada all’indietro e ci fermammo alla porta.
  Oltre all’allarme si sentiva un altro suono.
  – Cavolo, la “madama” già è qui. Via, via.
  Cominciai a vedere luci blu – ma questa “madama” la scortano gli sbirri?
  Mi guardò smarrito e non rispose.
  Ero in testa al gruppo e correvo senza sosta sentendo sempre di più quelle sirene  avvicinarsi. Svoltammo in un vicolo e vidi Boom che proseguì dritto. Mi bloccai.
  – Cosa fai, via, via … dividiamoci … ci vediamo a casa.
  Proseguii per una strada dietro di me degli spari, ritornai indietro: gli sbirri se la stavano prendendo con Zac. Fortunatamente era troppo lontano e non riuscivano a beccarlo. Mi unii nuovamente a lui – tutto bene?
  – Sì! Grazie, andiamo da questa parte.
  La corsa continuava matta e disperata, si vedeva che il fiato gli mancava, era veramente un osso duro; nonostante tutto questo, non mollava il malloppo. Svoltammo in un vicolo, poi in un altro. Corremmo nel buio, poi nella luce. Ci precipitammo nelle pozzanghere, poi nel selciato. Ma quando arrivammo alla fine di quella strada ci fermammo di botto.
  – Fred, ecco la “madama” … hai visto come è stata brava a fotterci.
  Davanti c’erano dieci o forse quindici sbirri con pistole in pugno puntate verso di noi. Le loro auto erano alle loro spalle, parcheggiate a casaccio. Mentre ci venivano addosso – hai detto che è stata brava?
  Mi guardò smarrito – cosa vorresti dire?
  – Nulla … se è stata brava, allora merita un bell’applauso.
  Zac sorrise – bravo, facciamoci un bell’applauso.
  Posai i sacchi e Zac per ironia fece altrettanto, come se volesse godere a pieno quel momento immaginandosi lui stesso al posto mio. Presi la mira sulla prima macchina, non volevo uccidere nessuno ma solo spaventarli. Feci il primo applauso … la macchina volo in aria manco se fosse di cartone. Ne feci un altro … l’altra auto schizzo indietro. Solo allora si resero conto di quello che stava succedendo: aprirono il fuoco.
  Riprendemmo i sacchi e tornammo indietro, sapevamo benissimo che non bisognava mai farlo, ma era l’unica strada disponibile. Correvamo col fuoco alle spalle, un auto di sbirri ci tagliò la strada.
  – Applauso – ordinò il capo.
  Posai i sacchi ed eseguii.
  Continuammo a correre.
  – Applauso lì … poi lì … oh! Guarda quelli … mega applauso, sono bravissimi.
  Potevo sentire il sibilo delle pallottole che mi sfioravano, il gioco non era più tanto bello. Qualcosa mi squarciò quasi i timpani: un elicottero. Volava a bassa quota sopra di noi. Ci superò, fece un giro largo e si piazzò proprio alla nostra sinistra. Subito dopo una raffica di colpi. Insistevo col mio applauso, ma era troppo agile  non riuscivo a prenderlo. Eppure lo miravo bene …  fui distratto  da un urlo.
  Mi voltai – Zac, ZAC.
  – È solo un graffio. Pensa a salvarti … porta …
  – Tieni gli occhi aperti, non chiuderli – lo presi in braccio e cominciai a correre.
  – Prendi il … bottino, è solo un graffio.
  – Sì, dopo.
  Mi trovai spaesato col sangue tra le mani. I vicoli scorrevano veloci mentre quel dannato elicottero mi sparava addosso. In un vicolo stretto persi l’equilibrio, stavo quasi per cadere, ma riuscii a ripararmi con un braccio.
  – Non pensarmi … il bottino … è solo un graffio.
  – Zac, resisti.
  Mi ritrovai in un vicolo buio, non vedevo nulla, ma correvo sempre più veloce – Zac?!
  Le gambe mi bruciavano – ZAC!? – il cuore mi esplodeva in petto – ZAC!?
  Mi fermai – Zac, rispondi … Zac …
  I miei occhi erano impastati di lacrime mentre lentamente lo posavo a terra, lo scuotevo ma nessuna reazione – Zac, svegliati, non farmi questi scherzi … Zac.
  Gli presi la mano e con l’altra cercavo di tamponare il buco che aveva nel torace. Spingevo forte, ma il sangue non voleva proprio saperne di tornare dov’era un attimo prima. Come tutti, non appena aveva trovato una via di scampo per svignarsela l’aveva sfruttata. Li dentro c’era stato per troppi anni, si era annoiato, ora voleva esplorare nuovi posti. Ed io, non potevo impedirglielo. Mi limitavo solo a vedere il padrone, impotente, con gli occhi chiusi senza sorriso. Lui, non lo sapeva che chi per tutta la vita aveva bagnato il suo cuore ora se la stava dando a gambe senza fregarsene dei danni che causava. Tutto quello non doveva accadere … non era possibile che proprio in quel momento la morte era passata e io non me n’ero accorto. Non era possibile che mi aveva sfiorata e io non avevo saputo difenderlo.
  Non era possibile …
  – FERMA! MANI DIETRO LA NUCA.
  – Zac, svegliati.
  – MANI DIETRO LA NUCA!
  – Zac, apri quegli occhi; svegliati!
  Mi sentii afferrare i polsi e subito dopo mi era difficile muovere le braccia, cominciavo a ribellarmi ma non ci riuscivo, erano troppi contro di me. Uno sbirro si mise tra me e il capo – Calmati, CALMATI!
  Gli diedi un calcio e lo scaraventai a terra. Con le manette ai polsi mi avvicinai nuovamente – Zac …
  – Sedatelo, può essere che si calma.
  – ZAAAAAAAAC!

 

 

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