Sono solo un Peter Pan molto solo.

di Anything_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'origine. ***
Capitolo 2: *** Sessant'anni. ***
Capitolo 3: *** Senza un motivo felice per volare. ***
Capitolo 4: *** Lose Time. ***
Capitolo 5: *** Peter Pan non è più solo. ***
Capitolo 6: *** Lettera a Wendy. ***
Capitolo 7: *** Il risveglio di Wendy. Where are you Peter? ***
Capitolo 8: *** E se tornassimo indietro? E se fosse stato un brutto sogno? Peter e Wendy di nuovo insieme. The End. ***



Capitolo 1
*** L'origine. ***


Passa inesorabilmente lento,questo tempo che vuole uccidermi. Il tempo non sistema le cose,le peggiora. E il Destino non è controllato da una qualche potenza superiore,il Destino lo controlliamo noi. Siamo noi,artefici del nostro destino. Noi vogliamo che le cose succedano,non qualcun altro che le fa succedere. Era la mia Wendy,ed io il suo Peter. Poi un giorno,come sempre,arrivò Uncino e la rapì. E solo ora mi accorgo di non essere stata una brava Peter,perché non ho avuto il coraggio di alzare una spada e non ho avuto forza sufficiente per alzare un dito. Ma dopotutto,la colpa non è stata solo mia,inutile sentirsi colpevole,inutile farsi consumare dalle lacrime. Lei ha voluto farsi rapire,lei ha seguito Uncino senza ribellarsi,lei non vuole più tornare indietro. Allora,a questo punto,mi viene da pensare una cosa sola: Lei non era adatta ai bimbi sperduti,lei voleva crescere. E crebbe,diventò grande,ma non chiedetemi se qualche volta nella sua mente tornò L’isola che non c’è,non saprei rispondervi,perché io non la vidi più. Il nostro Addio erano state mille lacrime e l’indifferenza che ci ha divorato di giorno in giorno. Poi chissà quanti anni dopo,l’ho rivista,cambiata,stanca,dolorante,in un letto d’ospedale,sola,senza nessuno. E pensare che io,che stupida,le avevo offerto il mio appoggio,e non per due giorni,ma per tutta la vita. E lei scappò,scappò con Uncino gente.
Che vada pure,che stia sola. Perché è quello che merita. Perché anch’io sono rimasta sola. Non ho voluto rivedere più nessuno,ho voluto cambiare città,pianeta.
Ma da ieri ad oggi,sono  cambiate tante cose.
Ieri volevo vivere su Marte,ma non sola,con lei. Solo io e lei.
Oggi invece,seppur quel sogno non sia sparito,è come se non fosse mai esistito quel pensiero che inebriava le nostre menti.
I nostri visi così giovani inesperti,diventarono pieni di rughe e le nostre labbra dapprima carnose,diventarono flaccide. Sessanta anni. Passarono sessanta anni dall’ultima volta che la vidi e per tutti quegli anni avevo rimpianto solo di averla lasciata libera a fare le sue scelte,sola in quel mondo crudele,malvagio,perverso. Sessanta è un numero alto,e non si può tornare al numero due,così facilmente. Il mio motto,quando ancora avevo i capelli neri e non bianchi,era che niente era impossibile,tutto aveva una soluzione,anche se drastica,ma ce l’aveva. Non ho mai smesso di pensare a come sarebbe stato crescere insieme,piangere insieme al nostro matrimonio,accogliere fra le braccia i nostri figli. Non ho mai smesso di credere che tutto potesse risolversi,ma entrambe eravamo sommerse nel nostro orgoglio,entrambe volevamo che l’altra fosse a fare il primo passo e con questo pensiero sono passati i mesi,le ore,gli anni.
Forse non smetterò mai,forse continuerà ad essere ancora acceso quel lumino di speranza,che va avanti automaticamente,anche se nella mia testa è tutto finito da un pezzo.

 
 


Wendy,sono Peter. Apri la finestra,fammi entrare,voleremo insieme lontani da qui,da chi ci ha fatto del male. Avanti aprila e abbracciami,perché è di questo che ho bisogno. Saremo felici insieme,faremo tutto quello che in sessanta –orribili- anni non abbiamo mai fatto. Rideremo ancora insieme e sarà come tornare a quell’anno,quel mese caldo. Ma tu apri questa finestra,perché di contemplare un vetro non ho voglia.

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Capitolo 2
*** Sessant'anni. ***


Era un corridoio lungo,segnato da alcune strisce colorate che dirigevano i pazienti nei reparti richiesti. Cardiologia,Maternità,Neurologia,Obitorio. Ed io che vanamente cercavo la pediatria,inconsapevole che forse aveva qualche legame con la Maternità. Chirurgia. Forse era quella.. No,neanche,il figlio di Vittoria era stato ricoverato per diabete. E il diabete a cosa porta? Problemi cardiovascolari. Cardiologia. Che la va o la spacca. Entrai nel reparto,era l’orario delle visite. Ero stretta al braccio di Michele,mio figlio,quarantenne sposato con due bellissime bambine. Caterina e Debora,che crescevano di giorno in giorno. Le mie gambe,stavano andando a pezzi,il peso aumentava,la pelle diventava pallida,i capelli bianchi.
< Mà,forse ci siamo sbagliati! >
< Michè,andiamo avanti. C’è un’infermiera qui? >
E nessuna risposta. Avevo alzato così tanto la voce,seccata,nervosa,che Michele provò vergogna e cercò di allontanarsi da me. Ma lo tenevo ben stretto,altrimenti sarei caduta. E poi eccola lì,Vittoria. Sorrisi educatamente e cercai di camminare più veloce provando a non sentir dolore,ma niente. Mille aghi mi stavano trafiggendo la schiena.
< Doretta mia! Vieni,è qui. >
E ci condusse in una stanza. Sin da piccola odiavo gli ospedali,così tristi,bianchi. Ma a volte costringevo i miei genitori a portarmi lì,poiché erano tanti i dolori che mensilmente mi venivano. Vittoria era la mia vicina di casa a Roma e mi aveva accolta,facendomi stare bene,dopo tanto tempo di solitudine. Restammo in quella stanza per un po’ a conversare del più e del meno,del mercatino di Giovedì mattina,dei prezzi aumentati sulle zucchine. Ma in quel momento mi tornò in mente la mia piccola Wendy,perché non era lì? Era con lei che volevo conversare dei prezzi,del fatto che stavo invecchiando,che mi faceva tanto male la schiena. Era con lei che probabilmente mi sarei sentita meno vecchia. Quell’aria calda mi stava uccidendo,non riuscivo quasi più a respirare,così mi alzai,sostenendomi alle sedia in ferro e mi avviai verso la porta.
< Dorè? Dove stai andando? >
Mi voltai appena,lentamente,zoppicando. Vittoria mi stava dietro,aveva paura che cadessi di nuovo,com’era successo pochi mesi prima. Stavo scendendo le scale e bastò un battere di ciglia per trovarmi a terra. Non riuscii più a camminare come prima,ma ero in piedi poco dopo. Non dissi niente a nessuno,se non a Vittoria che mi portò dall’ortopedico. Mi ero fratturata il femore,ma nonostante il problema avevo continuato a tacere.
< Vado in bagno e torno. Mi fa bene camminare! >
E piano piano,troppo lentamente –così tanto da far venir la depressione- mi avviai verso l’uscita. Camera 234. Sbirciai dentro e vidi una signora,della mia stessa età forse,che guardava il soffitto e piangeva. Chiunque avrebbe pensato che fosse una vergogna veder una donna di settant’anni piangere,ma io no. Io ero come lei praticamente ogni notte. Fissavo il soffitto e piangevo. Sembrava così sola,piccola,inerme,che mi ricordò lei,di nuovo. Scossi la testa ed andai avanti,poi qualcosa,mi disse di tornare indietro ed entrare in quella stanza. E così feci,sempre lentamente,mi incamminai verso la stanza ed entrai.
< Posso? >
Lei immediatamente,quasi spaventata per un giudizio,si asciugò gli occhi. Si girò dalla parte opposta nel letto e si tirò le lenzuola alla testa.
< Cosa vuole?! >
E cosa risponderle a quel punto? Che volevo? Non potevo certo dirle che qualcosa mi aveva imposto di entrare in quella stanza e assicurarmi che andasse tutto bene,ma quei capelli io li conoscevo. Anche se bianchi,sbiaditi,scendevano lunghi su quelle spalle scoperte. Mi avvicinai sorreggendomi alla ringhiera del letto e la coprii per bene.
< Non voglio niente,solo che l’ho vista piangere e … >
E un singhiozzo mi bloccò. Stava di nuovo piangendo ed io volevo sapere il motivo. Non perché m’importasse,o forse sì,ma perché volevo provare a consolarla,dirle che tutto sarebbe andato bene anche se poi in fin dei conti non c’avrei creduto neppure io.
Ma non ne valeva la pena chiederglielo,forse avrei dovuto sin da subito dirle la verità.
< Mi ricorda una mia vecchia amica. Non l’ho mai più rivista dopo un brutto litigio. E poi quando l’ho sentita piangere mi sono resa conto che anch’io,tutte le sere,piango allo stesso modo. >
Si voltò di scatto,quegli occhi neri tendenti al grigio mi squadravano quasi con violenza.
< Se ne vada. >
Ebbene,l’avrei accontentata ma solo dopo aver saputo il suo nome.
< Signora,mi perdoni il disturbo. Prima che io vada via,vorrei sapere il suo nome. >
Si voltò di nuovo,e mi fissò,stavolta distrutta,stanca. Stanca di vivere.
< Susanna. >
Ebbi il tempo di sgranare gli occhi che anche i miei si riempirono di lacrime.  La mia Wendy,piccola innocua Wendy.

 
 


Wendy,ciao,sono Peter. Quanto sei bella da qui. Da questa finestra che tu non vuoi aprire,che non hai mai aperto. Non ho ombra,non ho un tono di voce preciso. Sono aria. Sono chi vuoi che io sia. Chi vuoi che io sia? Dimmelo. Ma per farlo devi aprire questa finestra. Ti prego.

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Capitolo 3
*** Senza un motivo felice per volare. ***


Dopo quel giorno in cui,per la prima volta dopo sessant’anni,gli piansi davanti,passarono due lunghe settimane. Ed erano state estenuanti. Sapevo che era viva,che stava bene. Ma perché a Roma? Cosa le era successo? Se i medici mi avessero detto che le mancava qualcosa gliel’avrei donato io. Con nessuno,mai,parlai della nostra amicizia. Nessuno mai mi vide piangere,neanche mio marito. Dopo aver fatto l’amore con lui,aspettavo che si addormentasse e cominciavo a fissare come sempre il soffitto e immaginavo. Immaginavo sempre la stessa cosa e per sessant’anni lo sfondo sul mio telefonino era stato sempre quello. Crudelia e Mielosa. Dicembre dello stesso anno in cui la conobbi. Eppure quand’ero giovane,mi promisi di parlare di lei ai miei figli,ai miei nipoti. Ma non ne feci parole. Caterina,mia nipote,si era accorta più di una volta del mio silenzio e lei sapeva ascoltarlo,ma mai aveva osato chiedermi qualcosa. Anche lei immaginava che io non avrei risposto,che forse mi sarei lasciata sopraffare dalle lacrime,e non potevo permettermelo davanti alla mia piccola. Poi un giorno venne a casa mia per passare un po’ di tempo con me.
< Ti va di andare a prendere un gelato da Franco? >
Ed io,mi accomodai sul divano,accesi la televisione. Non me la sentii di rispondere,stavo in preda di un calo emotivo.
< Bella di nonna,sono vecchietta. Mi fanno male le gambe. >
Poi si era seduta accanto a me e avevamo guardato insieme il mio telefilm preferito. Fu un gesto che mi colpì tanto. Caterina aveva sempre parlato male,insieme al padre,di quel programma. Lo riteneva da depressi,come se infondo,io non lo fossi. Credevo che col passare del tempo le cose si sarebbero placate,invece ero decollata e non riuscii mai più a volare. Si alzò e andò in cucina,aprì il frigo e tornò con una vaschetta di gelato.
< Se Maometto non va alla montagna,la montagna va da Maometto. >
Sorrisi e le accarezzai la lunga chioma riccia. Quegli occhi verdi,come il papà. Quant’era bella. Ma era diversa,da me,da tutti. Lei amava distinguersi.
< Nonna,voglio tingermi i capelli. >
E trasalii,come una stupida impallidii. La mia piccola Wendy,da giovane voleva tingersi di turchese,di rosso,di biondo,di lilla. Poi aveva preferito dedicarsi al nero. Sorrisi e un gruppo mi si fermò in gola. Caterina se ne accorse e si accoccolò sulla mia spalla.
< Bella mia,non penso tuo padre ne sia felice. >
E involontariamente una lacrime cadde giù,sul suo viso. Ma neanche quella volta lei disse qualcosa,solo si sollevò e mi asciugò gli occhi. Cosa avrei dato per far sì che al suo posto ci fosse stata lei,che dopotutto aveva sempre asciugato le mie lacrime,colmato ogni vuoto.
< Nonna,ho litigato con una mia amica e mi manca tanto. >
Quella sensazione la conoscevo. Accarezzai il suo viso,morbido,limpido,libero da qualsiasi impurità. Morivo dalla voglia di raccontarle la mia storia,ma l’avrei scoraggiata.
< Sono due mesi che non parliamo più. Cosa posso fare? >
Cosa avrebbe mai potuto fare? Io avevo provato di tutto per recuperare Wendy,ma niente era servito. Forse questa sua amica era uguale a lei. Caterina era come me quando ancora correvo spensierata per la strada,quando ancora avevo un motivo felice per poter volare. Era il mio orgoglio.
< Va’ da lei,corri se necessario. Abbracciala e portala via. >
Rimase colpita da quelle parole,poi tornò a posizionarsi di nuovo sulla mia spalla. Quello che non feci io,né Susanna,dopotutto. Troppo orgogliose,troppo egoiste. Susanna in ospedale mi chiese perché piangevo,non risposi e andai via. Non tornai più a salutare il figlio di Vittoria. Neanche lei sapeva l’accaduto. Nessuno.
< Caterina,credi alla storia di Peter Pan? >
Lei alzò la testa e mi guardò perplessa. Piegò la testa di lato poi scoppiò a ridere e si stese sul divano poggiando la testa sulle mie ginocchia.
< Nonna,è solo una storia. >
Una storia bellissima,durata troppo poco,che alla fine non c’è “Il vissero felici e contenti”. Non era stata una fiaba la mia,non vi assomigliava affatto. Eppure l’avrei tanto voluto. Solo io e lei.
< Una bella storia però. Ricordi cosa usava Peter per volare? >
< La polvere magica di Trilly? >
Mi sarei aspettata una risposta del genere,ma oltre a quella magica polverina,c’era qualcosa che in me era sparita da tempo.
< E poi? >
< Uhm,un pensiero felice? >
< E quale pensi che sia stato il suo pensiero felice? >
< Credo Wendy… >
Feci qualche trecciolina ai suoi capelli. Anche lei aveva capito che Wendy era la ragione di Peter. Perché non l’ha mai capito,però? E’ così difficile?


 
 

Ehi Wendy,qua fa molto freddo. Ma non m’importa. Rimarrò qui,fuori questa finestra,anche tutta la vita. Fino a quando,non mi spegnerò. Ma sono sicura non ti accorgerai neanche di questo. Ehi Wendy,ti voglio bene.

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Capitolo 4
*** Lose Time. ***


Ero in bilico,tra un si ed un no. Dovevo ritornare in ospedale,solo per lei? Avrei chiesto ai dottori i suoi problemi e avrei cercato di risolverli.
Ma non potevo presentarmi a mani vuote,sapevo che nessuno l’avrebbe cercata. Era sola,esattamente come me. Lei aveva sempre odiato la solitudine,l’aveva sempre temuta. E le avevo promesso,alla mia piccola Wendy,che mai l’avrei lasciata sola. Piccola,fragile. Come potevo lasciarla sola? Uscii una mattina,avevo avvertito Michele che non sarei stata a casa. Non avevo dato alcuna spiegazione. Nessuna in particolare che potesse destare sospetti. Se avessi spiegato che andavo a trovare un’amica,lui avrebbe voluto sapere tutta la storia,perché avrei pianto,e tanto. Andai da Gino,al supermercato e andai alla ricerca di biscotti. Poi nell’angolo trovai quelli che tanto amavamo io e lei. Rotondi con dei chicchi di cioccolato incastonati al mezzo. Davanti alla TV a guardare un film Horror,un programma per adolescenti. Io e lei. Io,lei e i nostri biscotti.
Li presi subito senza pensarci due volte. Anche se sarebbero costati duecento euro,li avrei presi comunque. Presi l’autobus che mi lasciò davanti la prima Torretta dell’ospedale. Entrai e trovai immediatamente la camera. Esitai,però,ad entrare. La vidi concentrata alla televisione. Aveva le cuffiette alle orecchie. E in quegli occhi spenti,riconobbi quelli vivaci di tanto tempo fa. E in quel bianco,vidi quelle tinte immaginarie. Entrai piano,zoppicando e mi avvicinai al letto. Lei si accorse della mia presenza e tolse le cuffie. Sembrava seccata di vedermi. Ma eravamo lì io e lei.
< Ancora lei? Ma che vuole?! >
Quella voce. Mi era mancata tanto. E per lei avevo abbandonato ciò che amavo fare. Avevo fatto un voto intorno ai sedici anni. Se lei fosse tornata,anche solo un messaggio,avrei abbandonato il canto. Grazie ad alcuni contatti,mi aveva risposto ad una buonanotte. Non persi le speranze ancora per un po’,però poi smisi di crederci,proprio come lei.
< Niente di che,signora Susanna. Solo farle un po’ di compagnia e chiacchierare. Le ho portato dei biscotti. >
Tolsi dalla busta quella scatoletta in metallo,decorata di blu e d’argento. Rimase sorpresa e i suoi occhi si gonfiarono di lacrime,come successe a me,due settimane prima. Bella,bella come sempre. Seppur tante cose erano cambiate,rimanevamo le stesse. Eppure,lei ancora non mi aveva riconosciuto.
< Perché piange Susanna? >
Lei mi guardò e sfiorò piano la scatola con le nocche della mano sinistra. Poi l’afferrò e la strinse al petto. Mi commossi. Volevo piangere,saltarle addosso e dirle che mi era mancata da morire,che senza di lei mi sentivo perennemente persa. Ma non potevo. Avevo un orgoglio da mandare avanti. Mi guardò e mi sorrise. Quel sorriso che era il più bello del mondo,che non avrei mai dimenticato,che non riuscivo a scordare.
< Sono sempre stati i miei biscotti preferiti. Li mangiavo sempre in compagnia di una.....Li mangiavo sempre. >
Non continuò la frase,ma avrei giurato che avesse voluto dire “Una mia amica.”
Eravamo lì e sorridevamo,ma in realtà avremmo voluto piangere tanto,fino allo sfinimento.
< Ah si? Ma guardi com’è piccolo il mondo. >
Tenne la scatola stretta al petto fino alla fine. Guardammo insieme la Soap Opera e commentavamo ogni quanto la cosa non ci andava bene. Eravamo rimaste d’accordo su tante cose. Perlomeno al nostro fianco,non c’era Uncino. Non c’era quell’ipocrita. Di nuovo io e lei,come i vecchi tempi. Tempi persi. Buttati via.
< Come si chiama lei signora? >
E come avrei potuto risponderle? Eravamo giunte al punto della storia. Non volevo dirle il mio nome.
< Non mi chiamo più da tanto tempo,cara Susanna. >
Mi guardò perplessa. Alzò quel sopracciglio bianco. In quel gesto riconobbi la piccola Wendy,quella tenera che per sessant’anni aveva occupato il mio cuore. L’avevo ritrovata,non volevo lasciarla sola,mai più.
Non mi fece più domande,si limitò solo ad aprire la scatola e prendere un biscotto. Esattamente come quei tempi. Davanti alla TV,e quella scatola sulle ginocchia. Esattamente come quando eravamo felici.

 
 


Wendy,ho trovato la finestra socchiusa,ma non sono entrata. Ti avrei spaventata. E’ passato tanto tempo,troppo. Wendy,mia piccola bambina,torniamo indietro e riprendiamoci per mano. Vedrai andrà tutto bene. Te lo prometto.

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Capitolo 5
*** Peter Pan non è più solo. ***


< Susanna,lei è sola? >
Tornavo all’ospedale ogni giorno,con una cosa nuova da chiedere,da raccontare. Ma non le avrei mai raccontato della nostra storia. Stava male,si vedeva. Peggiorava di giorno in giorno,il suo viso era sempre più pallido. A quella mia frase,piegò la testa verso il basso e pianse. Pianse per due lunghe ore,lasciandosi sfuggire qualche singhiozzo. Ed io l’avevo abbracciata,le avevo offerto la mia spalla e lei mi aveva detto che le ricordavo tanto una sua vecchia amica. Sì,Wendy,sono io.
< Ho perso tutto tanto tempo fa. >

Così cominciò a raccontare dal principio.

 

 “ A volte,mi pento tuttora per quello che ho fatto,sa? Avevo un’amica,speciale,tanto. Eravamo unite,pronte a difenderci l’una con l’altra. Poi un giorno è arrivata la fine. Io mi fidanzai,trovai un nuovo amico che tradì anche me. Questa mia amica mi aveva avvisata e quando rimasi sola non ebbi il coraggio di chiederle scuse,di darle ragione. ”

 

Non m’importava. Cosa me ne sarei fatta di quelle scuse? Di quella ragione? Non era di quello che avevo bisogno,ma di lei. Peccato non poter tornare indietro,immaginare noi da grandi,affrontare insieme qualsiasi ostacolo. Ma non si può. Siamo rimaste intrappolate,solo che a me è andata meglio,che a lei. Oh la mia piccola Wendy,perché è sola? Perché l’hanno abbandonata tutti? Perché io non ho continuato a lottare?
< E poi? Con questa sua amica? >
< Non la rividi mai più. >
< E se tornasse? >
< Morirei felice. >
< Morire? >

< Oh si,mi restano poche settimane. >
< Cosa le manca? >
< Il mio cuore non va’ più bene. >
< … >
Non risposi,ero stravolta. La mia piccola Wendy stava per abbandonarmi ed io non potevo sopportarlo. Un anno più piccola di me. Settantacinque anni. Ma rimaneva bella comunque anche se quella luce in lei si stava spegnendo. Il mio cuore. Le avrei donato il mio cuore,qualsiasi cosa di cui lei avesse bisogno. A me non serviva.
Non ne avevo bisogno. Lei invece sì. Lei aveva ancora un po’ di tempo davanti. Non abbastanza,ma perlomeno ci saremmo rincontrate. Avrei parlato con la mia famiglia della mia scelta,a tutti avrei raccontato la storia di sessant’anni prima. Nessun escluso. Mi alzai dalla sedia e le baciai la fronte. Avevo sempre desiderato farlo,ma non c’ero mai riuscita. E fu come se lei l’avesse sempre aspettato. Era arrivato,il momento di tutto.
< Arrivederci Susanna. Sa,scommetto che anche alla sua amica è mancata tanto. Ma si farà perdonare,ci giurerei. Anche se son passati tanti anni. >
E nella sua espressione scorsi una scintilla di speranza. No,non era una speranza. Era una certezza.

 

 
 


Wendy,piccola mia,siamo arrivati alla fine. Come ogni favola. Non so se sia un lieto fine o no,ma forse potrebbe esserlo se solo tu ti rendessi conto del gesto che ho fatto,per te,per la mia Wendy. Sono entrata,ti ho baciata in fronte e sono fuggita. Tu hai bisogno di me,del tuo Peter,ed io ti darò tutto quello di cui hai bisogno.


 

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Capitolo 6
*** Lettera a Wendy. ***


Cara Wendy,
si hai indovinato,sono Peter. Ti tormentavo sempre con quei messaggini della buonanotte.
Forse erano banali,ma mi facevano sentire più libera e quando mi arrivava la conferma di lettura,mi sentivo felice. Poi un giorno hai smesso di leggere i miei messaggi,nessun messaggio di conferma.
E non ho mai smesso di sperare,di crederci davvero,in tutto questo. Ma diventava di giorno in giorno sempre più difficile. Ho avuto una vita piena di lacrime,anche quando facevo l’amore con mio marito.
Teoricamente l’ho tradito. Col pensiero. Mai ho smesso di pensarti,mai. Mi sono sempre chiesta,come te la fossi cavata con Capitan Uncino,con il tuo ragazzo,ma mai avrei potuto immaginare che saresti rimasta sola.
Eri sempre così piena di vita anche se questa ti ha sempre deluso,ti ha sempre privato del bene familiare,delle amicizie.
Ma c’ero io,ricordi? Io che ti difendevo,io che ci mettevo la faccia.
Stavolta è diverso però.
Sono passati sessant’anni.
Avevo perso ogni piccola speranza.
Ho pregato per te,ma le mie preghiere non sono state accolte,forse perché era destino. Destino che ci rincontrassimo,che mi facessi perdonare,per averti lasciata sola.
Sai,quella signora,che ogni giorno entrava nella tua camera?
Già,proprio io.
Un Peter Pan solo.
Senza nome.
Senza un pensiero felice.
Mi sono sentita morire,quando ho scoperto che anche tu stavi per farlo.
No. Tu devi vivere ancora,al meglio. Devi renderti conto di quanto bene ti ho voluto tutto questo tempo,quanto te ne voglio ancora.
La mia scrittura è piuttosto cambiata,non è più ordinata come prima. Ma la mano mi trema e tutto quello che rimarrà di me sono un mucchio di fotografie e questa lettera. All’intervento manca un’ora,gli infermieri stanno preparando le anestesie.
Non ti lascio niente in eredità,non ho niente da offrirti. Solo il mio cuore,perché lo meriti,lo hai sempre meritato.
Il mio cuore per te,da oggi e per sempre.
Ci rincontreremo e parleremo.
Quante persone hanno asciugato le mie lacrime in questi anni? Tante.
Tante,ma non tu.
E avrei pagato con qualsiasi cosa per poterti aver accanto al mio matrimonio,durante tutte le belle sorprese della mia vita.
Ma per esser belle del tutto avevano bisogno di una sola persona.

La mia piccola Wendy.
Wendy,ti lascio il mio cuore.
Ti lascio questa lettera.
La mia fotografia.
Ti lascio mio figlio Michele.
Ti lascio mia nuora Nunzia.
Ti lascio le mie nipotine Caterina e Debora.
Ma tu devi farmi una promessa,anche se io non posso sentirti.
Devi raccontar loro tutta la nostra storia,i tuoi sentimenti in questi anni.
Caterina sta vivendo la nostra stessa situazione.
Mi raccomando,è dovere tuo,com’è stato anche mio,non farle fare lo stesso nostro errore.
Ti dono il mio cuore.
Wendy,hai aperto la finestra finalmente.
Dopo anni e anni,eccomi al tuo fianco.
Ma non fisicamente,o forse si.
Il mio cuore appartiene a te,com’è sempre stato.
Fanne ciò che vuoi.
Ma ora siamo di nuovo insieme.
Insieme per sempre.
L’operazione sta avendo inizio,devo proprio lasciarti.
Non ti dimenticherò.
Non farlo anche tu.
Ti voglio bene.
Peter Pan.

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Capitolo 7
*** Il risveglio di Wendy. Where are you Peter? ***


Quando mi svegliai,non potevo crederci. Ancora tra le mura di quell’ospedale. Ricordo del giorno prima che i medici mi iniettarono dell’anestetico,che stava succedendo? Non lo sapevo neppure io,ma crollai in un sonno profondo. Quella signora non venne più a trovarmi,ma io sapevo chi era. Ma non volevo rovinare niente,avevo rovinato fin troppo. Mi ero accorta dei suoi occhi stanchi,delle mani rovinate. Eravamo invecchiate,entrambe. Peter,piccola mia.
Al mio risveglio,c’erano al mio fianco quattro persone. Un uomo,una donna e due ragazzine. Sul comodino trovai una lettera,con su scritto “Cara Wendy”.
Cominciai a piangere,avevo già capito. Volevo davvero sprofondare. Comunque sia presi la lettera e la lessi,singhiozzando,piangendo,desiderando la morte in quel momento più che mai. Poi guardai quelle persone. La ragazzina,quella più grande,stava piangendo. Era uguale a lei. Al mio Peter. Aprii debolmente le braccia e la racchiusi in un abbraccio profondo.
Raccontai loro tutta la storia,da quel Luglio famoso,per tre anni. La storia andò avanti per un’intera settimana. E tutti i giorni,tutte le notti loro mi rimasero accanto. Che fortuna avevano avuto ad aver trovato la mia Dorothy. Ed io sola,solo per seguire l’istinto e non lei. Lei che mi ha donato il suo cuore.
Rimasero abbagliati,commossi,da quella storia.
< Ah Caterina…tua nonna mi ha chiesto di prometterle una cosa. So che hai litigato con una tua amica e … >
Ma Caterina mi bloccò e corse via. Brava bambina,aveva capito. Avrei voluto esser al posto suo,sessant’anni prima. Dorothy,ti sento vicina a me. Ora e per sempre,hai ragione.

 

 
 


Peter,perdonami. Non mi sono mai accorta che tu rimanevi fuori a contemplarmi,dovevo farci più attenzione. Ma quella sera,quel bacio l’ho sentito,non ho avuto il coraggio di aprire gli occhi. Ora tu non ci sei più,ma vivi nel mio cuore. Peter aprimi qualsiasi porta. So che non sei come me. Io entrerò e ti chiederò scusa. Io entrerò e saremo felici. Peter,ti voglio bene,non ho mai smesso.

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Capitolo 8
*** E se tornassimo indietro? E se fosse stato un brutto sogno? Peter e Wendy di nuovo insieme. The End. ***


All’improvviso una suoneria mi svegliò,rimbombava nelle mie orecchie. Presi la sveglia e la gettai a terra. Aspetta un minuto. Mi alzai di scatto,mi guardai intorno. Niente bianco d’ospedale. Niente paradiso. I capelli neri,ricci,mi scendevano sul viso. Nero,non bianco. Mi toccai il viso. Cominciai a piangere. Mi alzai dal letto e andai di corsa allo specchio. Ero io. Io a sedici anni. Io quella di sempre. Avevo tempo,ancora tanto tempo. Non doveva sfuggirmi.
Mia madre mi fissava incredula,non mi aveva mai vista così attiva in prima mattina.
Mancava ancora mezz’ora prima di partire per la scuola. Avevo tempo,tempo,tempo. Sessant’anni. Ho avuto la mia opportunità. Tornai in camera,e mi vestii velocemente,senza avvisare nessuno ero già sotto al portone. Il freddo mi penetrava nelle ossa,ma non m’importava. Non era importante,essenziale. Tutto quello che mi serviva era vederla. Vederla sorridere. Vederla anche solo da lontano.
Mi avvicinai al suo portone,poco più distante dal mio e suonai. Una voce assonnata mi rispose.
< Chi è? >
< Apri >
< Ma chi sei? >
< Sono Peter Pan,Wendy. >
E aprì il portone,impaziente anche lei di vedermi. Anche lei aspettava questo momento. Ascensore occupato. Me la sarei fatta a piedi. Sei piani,ma al terzo eravamo di fronte io e lei. Non parlavamo,solo,a piccoli passi ci avvicinavamo.
< Peter… >
< Wendy… >
< Ti ho sentito vicino questa notte,come se facessi parte di me,davvero. >
< Io non ho mai smesso di far parte di te,né tu di me. >
< Non smetterà mai di esser così. >
< Wendy? >
Mi abbracciò e pianse. La strinsi forte. Stupido orgoglio vai via. E’ tempo mio questo.
< Cosa c’è Peter? >
< Ora ho un pensiero felice. >
< Voliamo via.. >
E cominciammo a volare. Io e lei. Sempre e solo io e lei.
E alle nostre spalle,due stupide vecchine si stringevano la mano. Due vecchine che noi non vedevamo,che si sciolsero nell’aria. Sorridevano. E noi ancora troppo immerse nel nostro viaggio,verso l’infinito e oltre.

 

 
 


 Wendy,sono Peter. Ti voglio bene.

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