Tela di diamante di darkronin (/viewuser.php?uid=122525)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il contorno sfumato tra sogno e realtà ***
Capitolo 2: *** C'è sempre un fondo di verità ***
Capitolo 3: *** Locked within the crystal ball ***
Capitolo 4: *** Lui ***
Capitolo 5: *** Secret Voyage ***
Capitolo 6: *** Just call my name ***
Capitolo 7: *** L'attesa ***
Capitolo 8: *** Adattarsi all'interlocutore ***
Capitolo 9: *** Qualcosa di inaspettato ***
Capitolo 10: *** Killed by Diamond and Rust ***
Capitolo 11: *** Bugiardo ***
Capitolo 12: *** E di notte... ***
Capitolo 13: *** It's a nice day to start again ***
Capitolo 14: *** Underground ***
Capitolo 15: *** La luce del sole ***
Capitolo 16: *** Il marchio del tradimento ***
Capitolo 17: *** Giochi di Specchi ***
Capitolo 18: *** Rajeth ***
Capitolo 19: *** Rabbia e paura (parte 1) ***
Capitolo 20: *** Rabbia e Paura (parte II) ***
Capitolo 21: *** In trappola ***
Capitolo 22: *** La soluzione del cubo ***
Capitolo 23: *** Paradossi ***
Capitolo 24: *** Scelte ***
Capitolo 25: *** Movimenti ***
Capitolo 26: *** Il peso della colpa ***
Capitolo 27: *** Di luci... ***
Capitolo 28: *** .... e di ombre ***
Capitolo 29: *** Ricordi ***
Capitolo 30: *** Black Shadow ***
Capitolo 31: *** Responsabilità e conseguenze ***
Capitolo 32: *** Il legame ***
Capitolo 33: *** Evviva il re ***
Capitolo 34: *** Non è tutto oro quel che luccica ***
Capitolo 1 *** Il contorno sfumato tra sogno e realtà ***
'Questi personaggi non
mi appartengono, ma sono proprietà di A.C. H. Smith, Jim
Henson, Lukas film, Columbia e Tristar Picture; questa storia
è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.
Per i personaggi
originali, ogni riferimento a persone esistenti e/o a fatti realmente
accaduti è da ritenersi puramente casuale.
Preciso, inoltre, che parto dai presupposti, dagli interrogativi e
dalle allusioni, seminati in Il labirinto visto dal castello in cui,
comunque, ho dato la mia personale interpretazione degli eventi, per
quanto vincolata dal Missing Moments.
Buona lettura!
1- Il contorno sfumato tra sogno e realtà
Era ormai autunno. Le foglie morenti imporporavano sanguigne le strade.
Di nuovo. Era ormai il decimo anno che la scena sembrava ripetersi
uguale. Ogni anno identica a se stessa. E ancora si aspettava che
qualcosa cambiasse. O si aspettava di svegliarsi da un incubo. Di
quelli in cui non succede nulla, quelli monotoni che ripropongono la
vita così com'è, in chiave, se possibile, ancora
più piatta. Simili, per certi versi, a quelli in cui i piedi
affondano nell'asfalto, lasciando che il treno di turno sfumi sotto gli
occhi o che la minaccia che sembra inseguire tra le ombre si faccia
sempre più vicina, senza mai realmente raggiungere lo scopo.
Scese dall'autobus frastornata. Non aveva chiuso occhio quella notte.
L'aspettavano solo una manciata di minuti e allora si sarebbe sfogata.
Camminava sul marciapiede facendo più che mai attenzione a
dove poggiava la suola di gomma, desiderosa di non fare una delle sue
scivolate sulle foglie ancora umide per il recente acquazzone. Adorava
quella stagione così romantica e nostalgica. Amava anche la
pioggia e l'odore di bruciato che lasciava sull'asfalto, stare al
chiuso con una tazza fumante sotto il naso a leggere qualche libro ma
anche passeggiare per strada, nonostante i lunghi capelli neri le
diventassero simili a un nido di serpi e i vestiti le si appiccicassero
al corpo. Ma il momento che preferiva era quando la natura scatenava
tutta la sua potenza distruttiva nei temporali. Allora spegneva tutte
le luci di casa e si sedeva sulla finestra della sua camera, in
contemplazione delle luci aranciate della città sotto i
fulmini violacei.
Girando l'angolo pensò che, tutto sommato, l'amore per
quella stagione la rispecchiava perfettamente: un lato romantico e
antico, uno oscuro e moderno. E anche la sua vita aveva seguito quella
dualità. In realtà, precisò a se
stessa, continuava a seguirla ancora adesso.
Arrivò alla porta dell'edificio e la oltrepassò
veloce: in portineria, come sempre, non c'era nessuno da salutare.
Salì rapida due rampe di scale fino a trovarsi davanti una
porta a doppio battente di legno laccato. La aprì piano,
scivolò dentro e la riaccostò senza far rumore.
Le voci che provenivano da dietro il muro, le confermarono che c'erano
già tutti. Salì cauta ancora una delle due
manciate di gradini che si diramavano dalla porta, aggirando il muro, e
sbucò in uno dei due corridoi di accesso superiore all'aula.
Una ventina di file di sedili era alternata ad altrettanti banchi. Qua
e là qualcuno era radunato in piccoli gruppetti silenziosi.
Il gran chiacchiericcio proveniva tutto da un nutrito gruppo che aveva
colonizzato le prime file. Individuò il suo obiettivo e,
senza farsi notare, gli arrivò alle spalle.
Un paio di ragazzi la notarono quando era ormai troppo tardi: puntarono
su di lei lo sguardo e il loro interlocutore, che le dava le spalle,
capì che qualcosa dietro di sé non andava per il
verso giusto. Non diede il tempo a nessuno di parlare, o girarsi, che
mollò un sonoro ceffone giusto sulla nuca scoperta del
ragazzo che, immediatamente, cacciò un urlo bestiale.
“Ma che ti prende? Razza di deficiente!”
Imprecò voltandosi, sapendo già di chi si
trattava.
Lei lo zittì con un'occhiata glaciale, spolverò
con la mano polvere invisibile e sedette nel posto che lui aveva
liberato alzandosi di scatto.
“Non ti troverai mai nessuno se continui
così!” continuò quello imperterrito
“Non devo piacere a te, Matt" sibilò lei di rimando
“Sarah...cosa ti ha fatto, oggi?” chiese una delle
due ragazze, la bionda coi capelli dritti come spaghetti, divertita.
“Già, che ti ho fatto?”
protestò il ragazzo, tenendosi saldamente il coppino. I
capelli ricci e neri non coprivano minimamente il rossore che si era
esteso rapidamente su tutto il collo
Sarah alzò lo sguardo, annoiata, e poggiò, con
calma affettata, un disco in copertina quadrata “Grazie,
stronzo!” sibilò
“Che è?” chiese la seconda ragazza, i
capelli castani e ricci “Il
quarto tipo?” lesse la grafia, nera e
disordinata del ragazzo, sillabando perplessa. Fissò prima
uno, poi l'altra “Cos'è?” chiese ancora
“Un film, Jess! Vedi? È un DVD!”
replicò Matt sarcastico
“Vuoi prenderle anche da me?” chiese lei
folgorandolo “Di che parla?”
“Ah, Il
quarto tipo...piaciuto?” chiese un altro ragazzo
dai capelli castani spettinati intervenendo nel discorso “Non
è dei migliori, concordo, però devi ammettere
che...” ma tacque vedendo lo sguardo della ragazza.
“Non hai dormito, Sarah?” domandò
preoccupato
“E come potevo, secondo te?” replicò
quella, seccata.
“Fa così paura?” domandò la
bionda Gloria
“No” rispose la mora, asciutta
“Ma...” la incalzò la bionda. Matt si
mise a sghignazzare e lei capì che lui aveva fatto qualcosa
di sbagliato di proposito. Quindi lo menò anche lei sulla
nuca, scatenando le proteste del moro
“Ma...” continuò Sarah accennando un
sorriso tirato che avrebbe voluto nascondere una velata ironia
“C'è il barbagianni...”
“Bene..” disse la bionda “Tu vai matta
per gufi, civette e simili...” Si zittì cogliendo
l'occhiata omicida dell'altra
“Il barbagianni è visto come un grigio”
ghignò l'esperto cinefilo, sottolineando l'ultima parola
“Un che?” chiese la ragazza dai capelli rossicci
“Un alieno, Jess!” sibilò Sarah
“Che rapisce la gente, appostandosi prima fuori dalla loro
finestra! E io...anche se li consideravo inquietanti, a me piacevano i
barbagianni, fino a dieci anni fa...”
La seconda parte del discorso le morì in gola e
sembrò che nessuno l'avesse udita. Forse aveva parlato
troppo piano.
“Matt sei uno stronzo al cubo!” dissero all'unisono
le altre due ragazze alzando la testa per cercare l'interessato, per un
attimo dimentiche di Sarah.
“Tanto gli alieni non esistono...solo Sam ci
crede...” la consolò Jess, scostando uno dei ricci
rossastri dagli occhi e battendole una pacca sulle spalle.
L'interessato aprì il giubbotto esponendo alla vista una
maglia nera su cui era impressa l'immagine di un paesaggio
verde-azzurro e su cui svettava un disco argento e la scritta bianca I want to believe.
Sarah sbuffò e in quel momento il professore fece il suo
ingresso in aula.
Solo le lezioni, che da quel momento in poi riuscirono ad assorbirne
l'attenzione in modo continuativo, la distrassero dal pensiero. Si
separò dal gruppo di ragazzi con cui aveva avuto il diverbio
dopo la prima lezione, l'unica della giornata che seguivano tutti
assieme: loro tornavano alle lezioni pratiche, lei continuava con le
teoriche del corso di letteratura. A quanto ne sapeva, era la sola che
seguiva l'interfacoltà di arti visive e letteratura. Poco le
importava se la scelta potesse sembrare particolare: per lei erano la
stessa cosa, due facce della stessa medaglia.
Rispetto a quando era bambina, il suo amore per il teatro non era
diminuito ma aveva cambiato aspetto. Ora non le interessava
più così tanto portare in scena un pezzo
teatrale. Certo, le piaceva diventare qualcun altro. Ma odiava quel
senso di costrizione dato dal ruolo, sempre identico a se stesso. A
quindici anni aveva capito come la direzione o la scrittura fossero
più nelle sue corde: non sarebbe stata mai più la
marionetta di nessuno.... E il giorno seguente sarebbero stati dieci
anni esatti.
Sbuffò e si diresse nella nuova aula che trovò
insolitamente vuota a quell'ora del primo pomeriggio. Sulla cattedra
c'erano, però, la giacca e il portatile del professore.
Si sedette in attesa ripensando agli eventi passati: aveva odiato
essere una pedina nel gioco di quel folle e splendido uomo. Ma, a modo
suo, era sicura di averne riscritto le regole.
Che si fosse trattato di illusione o realtà, ancora non lo
capiva bene, quella notte era stata il punto di svolta della sua vita.
Era raro, e lei lo sapeva bene, che il corso degli eventi cambiasse
direzione da un giorno all'altro. Eppure da quella notte aveva
improvvisamente sviluppato una sensibilità e una pazienza
che non credeva di avere prima. Lentamente le aveva fatte maturare,
cercando di tenere vivo quel bel sogno angosciante. L'aveva subito
scritto nel suo diario. Era l'unica cosa che vi aveva scritto. Aveva
occupato tutto il libretto solo col racconto di quella notte. O di
quelle che le erano sembrate una decina di ore. Prima o poi, si
ripeteva, vinta la timidezza, avrebbe provato a rivederlo per cercare
di proporlo a qualche casa editrice: era un momento in cui il fantasy
godeva di nuovo slancio. Ora, tra i suoi effetti personali, tra i suoi
tesori, teneva i due libretti: il quadernino nero con gli appunti e il
piccolo libricino rosso della storia che l'aveva condotta a
quell'incubo, entrambi consumati dalle continue consultazioni.
Ci pensò per l'ennesima volta. Era stato davvero un sogno?
Una metafora della sua crescita? Lui era davvero non reale? I conti
continuavano a non tornarle: c'erano troppe incongruenze. E avrebbe
dovuto essere realmente pazza per immaginarsi una trama tanto
complicata. A quindici anni.
Sospirò buttando le braccia oltre il banco e poggiandovi la
testa.
“Che sospirone!” ridacchiò una voce
calda e pacata alle sue spalle
“Non mi prenda in giro, prof!” rispose lei senza
alzare lo sguardo.
Lui le andò vicino e si sedette sulla fila di banchi davanti
a dove si era stesa lei. L'odore della cioccolata del distributore
automatico le arrivò quasi immediatamente, suadente, caldo e
gentile. Come l'uomo che era lì con lei. Autunno e
cioccolata, pensò, andavano tremendamente d'accordo. Ma lei
non era più così sensibile al fascino bruno di
quella bevanda. Una delle tante evoluzioni nella sua vita.
“Io non ti prendo in giro!” rispose l'altro
divertito “Problemi di cuore?”
Lei lo folgorò “Prof! Le sembrò il
tipo?”
Lui la guardò perplesso un attimo
“Perché no?”
“Lasciamo perdere...” disse ributtandosi
giù
“Senti...” cominciò lui “Qui
è passato più del classico quarto d'ora
accademico... Che ne dici se saltassimo lezione e ce ne andassimo a
pranzo?” propose l'uomo. Gli sorridevano gli occhi,
notò Sarah
“Questa proposta non dovrebbe arrivare da lei...”
lo rimbeccò la ragazza, prendendo la tracolla della borsa,
pronta a levare le tende.
“Ti cucino una cosa veloce, vuoi?”
continuò lui andando alla cattedra a prendere le sue cose
“Non le faranno storie se pranza con una
studentessa?” chiese lei guardinga
Lui ridacchiò “Oh, tranquilla, spettegolano
già sul nostro conto...e poi tu non sei mica una studentessa
come le altre...tranquilla, non c'è nulla di male”
la rassicurò aprendole la porta.
Una volta all'aperto, Sarah trotterellò al suo fianco senza
porre altre questioni.
Lo trovava, però, somigliante. Somigliante a quell'essere di
cui custodiva la descrizione nella sua agendina. Non tanto nell'aspetto
fisico. Neanche nel carattere. Non sapeva dire, esattamente, dove li
vedesse simili. In effetti non c'era nulla di simile.
L'appartamento del professore era a cinque minuti a piedi dal campus
universitario, in una tranquilla zona residenziale, composta da
villettine a schiera.
Aprì la porta e lasciò che Sarah chiudesse, come
se fosse abituata a quegli spazi. Lei lo seguì e si
accomodò sul divanetto presente nel piccolo cucinino.
“Sicuro che non vuole una mano?” Lui scosse la
testa in risposta, preparando rapidamente due padelle sui fuochi. Dopo
qualche magheggio, si srotolò le maniche e tornò
a dedicarle tutta la sua attenzione.
“Allora...vuoi parlarmene?” chiese servendole da
bere
“Mi prenderebbe per pazza” si difese lei
“E chiamerebbe i suoi amici con una bella camicia bianca
all'ultima moda...”
Lui rise di cuore. “Giuro che, a meno che non sia qualcosa di
patologico, da ricovero immediato, accoglierò quanto mi
dirai come la confidenza di un'amica...” disse sedendosi a
tavola e poggiando la guancia sulle nocche della mano chiusa a pugno,
pronto all'ascolto.
Lei lo guardò scettica per un paio di secondi interminabili.
“E sia...ma non dica che non l'avevo avvisata!”
rispose.
Così, cominciò a raccontargli gli eventi occorsi
esattamente dieci anni prima.
Gli spiegò della sua situazione familiare: la madre che se
n'era andata, il padre senza nerbo che si era subito risposato, il
fratellastro che monopolizzava le attenzioni di tutti, la matrigna che
la bistrattava come se fosse lei la quarta incomoda.
Gli raccontò della sua disperazione, quella notte, quando
invocò il re dei Goblin affinché rapisse il
fratellino, per scimmiottare quanto aveva letto in diversi racconti. A
sottolineare la sua ossessione per quel genere di racconti, gli
mostrò il libretto rosso con il titolo impresso a caratteri
dorati.
Gli narrò di come lui
(non lo nominò mai) fosse apparso nella camera, come avesse
provato a dissuaderla, come lei avesse voluto affrontare il gioco per
riavere il fratello. Come avesse fatto la conoscenza di strani
personaggi e come, in modi diversi e subdoli, lui, sempre lui, avesse cercato
di farla capitolare. E di come lui,
poi, avesse continuato a popolare i suoi sogni.
Lui l'ascoltò con vivido interesse, senza mai interromperla.
“So benissimo che può sembrare il delirio di una
pazza, che dovrebbe essere la spiegazione del mio inconscio del mio
rifiuto di crescere e simili...” disse lei, concludendo
“Ma non ce la faccio a crederlo davvero possibile...
Insomma...se dovevo inventarmi un mondo parallelo avrei preso meglio
spunto dalle mie stesse passioni, no? Invece non ho citato tante cose
per me fondamentali, mi sono incasinata la vita da sola, ho fatto in
modo di morire quasi di fame. E, cosa ancora più da malati
di mente, ho affrontato così tante traversie che dovrei
soffrire di disturbo bipolare per poter pensarne una dietro l'altra.
Voglio dire...si è mai vista, che ne so, Dorothy o Alice, a
cui capita qualcosa senza che prima le venga spiegato? Io ancora non so
perché mi sono sognata certe cose...e in un sogno,
normalmente lo si sa...” stava gesticolando disperata, mentre
il professore le serviva ormai il piatto caldo sotto il naso.
“Cioè...come storia non è sto gran
che...sono i buchi che ci sono che mi lasciano perplessa...E' come se
qualcun altro avesse attinto agli oggetti della mia camera per
rimescolarli e farmi sentire a mio agio...” la voce si
spense, sconsolata. Fece oscillare la testa cercando di negare il
tutto. E prese le posate.
Il professore la guardò assorto per qualche minuto. Non
aveva ancora toccato il pranzo. D'improvviso si alzò da
tavola “Scusa un attimo...” disse scomparendo alla
sua vista
“Ecco, lo sapevo...mi ha preso per matta...ma che potevo
aspettarmi da uno psicologo? Lo sapevo che sarebbe finita
così...” pensò sconsolata la ragazza.
Non ebbe nemmeno il tempo di riflettere a fondo che l'uomo ricomparve.
Reggeva in mano una piccola scatola di legno.
La poggiò accanto a sé, tamburellandoci sopra con
i polpastrelli.
“Sarah...?” domandò dopo un po', incerto
“Tu sai perché io insegno quello che
insegno?”
Che razza di domanda era? Sarah era spaesata. “Per sgamare
subito i pazzi furiosi come me?” domandò lei di
rimando
Lui stirò le labbra e trattenne un sorriso. Alzò
gli occhi, che aveva tenuto fissi sul piatto fino a quel momento. Da
dietro gli occhiali da vista rettangolari sembrò studiarla
ancora. Quindi riformulò la domanda “Cosa
insegno?”
Sarah levò un sopracciglio “E lo chiede a
me?”
“E io che volevo chiederti di farmi da
assistente...” rimbrottò lui.
“...Insegno il folklore visto attraverso la lente della
psicologia per un motivo ben preciso.”
Solo allora le porse la scatola e si mise anche lui, finalmente, a
mangiare. “Apri...” le disse
Lei, messo da parte il piatto ormai vuoto, aprì con cura e
cautela il piccolo scrigno rettangolare e piatto: non sapeva cosa
aspettarsi.
Dentro c'erano una moltitudine di schizzi. A colori e in bianco e nero,
per lo più in formato cartolina, prevalentemente paesaggi.
Ma, qui e lì, ci erano anche ritratti e nature morte:
licheni occhiuti, yeti rossi, portali con l'effige di un robot. E poi
c'era lui. Identico a come lo ricordava.
“E' lui, vero?” chiese il padrone di casa.
Sarah annuì appena. Sentiva le lacrime bruciarle agli angoli
degli occhi. “E'....” stava per cascarci un'altra
volta. Si morse la lingua prima di pronunciarne il nome.
Il professore notò il suo sforzo.
“Sì...è lui...”
confermò prendendo la scatola e svuotandola sul pianale.
“Professore...ma...”
“Ascolta...dato che abbiamo questo segreto da
condividere...” la interruppe con fare complice
“Che ne diresti di chiamarmi per nome e darmi del
tu?”
“Ma....” fu presa così alla sprovvista
che dimenticò di essere in procinto di piangere
“Non posso...”
“Sì, che puoi...se vuoi non in
università...ma non ci sarebbe nulla di male...hai visto Max
e Katy...” disse riferendosi a un altro docente e alla sua
assistente
Sarah ci pensò su “Ci
proverò...” concesse allungando le mani alla
monticciola di fogli
“No” tagliò secco lui, allontanando il
gruzzolo di carte dalla sua portata “Fallo! E continueremo
col nostro discorso...”
Sarah era in evidente difficoltà. Balbettò
qualcosa di incomprensibile e quando vide come il professore la
osservava divertito sbottò “Siete proprio
uguali!”
“Uguali? Chi?” domandò lui confuso
“Tu, Immanuel Grimm, e lui!”
Disse, sempre cercando accuratamente di evitare di pronunciarne il
nome. Prese un disegno e glielo mostrò. Gli occhi rapaci del
re di Goblin ora fissavano il professore con astio e
superiorità dal supporto bidimensionale della cartolina.
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccomi di nuovo qui: finalmente col mio sequel.
ù_ù
(ho finito il grosso della preparazione degli esami)
Comincio col dirvi, se già non l'aveste notato, che, senza
una scaletta da rispettare come nel caso di Il labirinto visto dal castello,
in cui già mi dilungavo abbastanza, tendo a perdermi un po'
nelle descrizioni e a raccontare gli eventi il più
dettagliatamente possibile. I colpi di scena ci saranno...ma
più in là...
Diciamo che il mio intento è quello di farvi ambientare al
nuovo mondo di Sarah, ri-scoprirla e immedesimarvi.
Spero mi seguirete anche in questa avventura. :)
PS: non temete...non c'è nessun rivale di Jareth in
vista...per il momento.... XD
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Capitolo 2 *** C'è sempre un fondo di verità ***
Ok,
ragazze...
XD
mi avete deluso! XD
Il
prof troppo cordiale non ha convinto. Posso darvi ragione: non avrebbe
convinto nemmeno me. Se non avessi vissuto in prima persona esperienze
simili (solo io avevo Prof. e Professoresse che ci invitavano a bere lo
spritz o prendevano il caffè con noi dopo lezione e/o a casa
per pranzi luculliani? E che pretendevano gli dessimo del TU? La
stragrande maggioranza, ovviamente, stava in cattedra e non ti filava
nemmeno a ricevimento, ma altri erano molto più aperti,
grandi amiconi...che poi all'esame erano capacissimi di segarti le
gambe se non sapevi. Il rapporto extra scolastico non li ha mai
influenzati (strano da dire proprio in Italia...)..
Il
discorso cambia radicalmente nelle facoltà
“artistiche” credetemi..alcuni si offendono se li
chiami Prof. perché, dicono, c'è
parità tra noi e loro e sono solo due modi diversi di essere
“artisti”, come da un compagno più bravo
che da una mano a quello che è rimasto indietro. Soprattutto
se l'approccio è di tipo anglosassone. come dovrebbe essere
in questo caso, visto che la storia dovrebbe essere ambientata in
America. Rendiamoci conto che -un pochino- ci trattano da trogloditi
perché abbiamo ancora questa differenza medievale tu/lei.
9.9 Personalmente vorrei che fosse pure più marcata e
sentita, sta benedetta differenza..ma tant'è...siamo in una
fic non posso pretendere molto.
[per
inciso..in Inglese c'è solo il you...quindi cmq il rapporto
è paritario. Ci sarebbe anche il thou (per Tu e
linguisticamente parlando sono parenti...non si sente?) ma non lo usa
nessuno, perché suona arcaico...come il nostro Voi usato per
una seconda persona singolare]
Inoltre...a
nessuno è venuto il dubbio che i due potessero conoscersi da
prima? O essere anche coetanei o quasi? E che Sarah-quindi- possa aver
perso uno o due anni di studio?
Come?
Gli anni di psicologia sono troppi e cmq i conti non tornano? In
Italia, forse...all'estero ogni corso di studi è lungo
quanto gli altri, quindi....
:)
su su...date per buona la storia e non storcete il naso... :D vi ho
dato le spiegazioni...e poi è una storia, dai! Stavolta non
ho pretese di verosimiglianza XD (in sto capitolo mi dovrete dar buone
un sacco di cose!). Tutto verrà spiegato...prima o poi... XD
PS:
il discorso che farà ora Immanuel non è
verità (quella verrà fuori più in
là): sono solo le supposizioni di un essere umano.
PPS:
perdonate sto capitolo...sarà una palla assurda ma voglio
portare la stupida moretta, che ha piantato in asso il nostro amato
Jay, a capire un attimo qualcosa...
PS
x3: =_= sono tremenda, lo so: d'ora in poi, oltre a provare a cambiare
la formattazione (che l'altra volta mi è riuscita
particolarmente bene) provo a mettere le note sensibili: ci cliccate
sopra e vi dovrebbe mandare su e giù automaticamente...non
so perché, dopo 2 tesi, abbia tralasciato questa simpatica
funzione... 9.9 la vecchiaia....
2-C'è
sempre un fondo di verità
“Hai
altre lezioni oltre la mia?” chiese l'uomo alzandosi per
preparare il caffè
Sarah
posò la cartolina che teneva in mano e alzò lo
sguardo “Ho un'ora di pausa, poi ho l'ultima
lezione.”
Lui
annuì avvitando la caffettiera. “Bene,
allora...abbiamo un paio d'ore per parlare...” Quando si
voltò, e vide l'espressione contrita della ragazza, aggiunse
“Non credo proprio che sia una buona idea saltare le lezioni,
signorina”
Sarah
si accigliò “Non ho mai saltato una lezione! Direi
che questo argomento può avere la precedenza su
altro...”
Lui
sbuffò, prendendo un paio di tazzine dallo scolapiatti
“Vediamo dove arriviamo oggi, poi decidiamo...” Lei
attese, apparentemente paziente. “Dunque... tu sei convinta
che sia stata tutta un'allucinazione?”
“Non
proprio” replicò poco convinta
“Cioè...quando invocai quelle creature, ero
davvero convinta che la magia esistesse ed ero ben conscia di quello
che stavo chiedendo. Ma non ne capivo le conseguenze. L'ho capito solo
quando non l'ho sentito più piangere, quando ho realizzato,
egoisticamente, che le colpe della sua scomparsa sarebbero ricadute su
di me. Ma soprattutto, mi son resa conto della gravità di
quello che avevo chiesto quando ho pensato come mi sarei sentita io al
posto suo” ammise senza vergogna, avendo da tempo
metabolizzato e accettato quello che aveva tentato di fare.
“Da quel momento, comunque, ho evitato accuratamente di
pronunciare qualunque cosa mi potesse sembrare una formula magica,
un'invocazione. Non ho nominato mai i loro nomi.”
“Sì,
ho notato... e credo sia stata una scelta intelligente...”
concordò lui porgendole la tazzina fumante e lo zucchero
“Anche
qui...” disse mostrandogli il taccuino nero “Ho
subito trascritto tutto il sogno... la vicenda, le impressioni, i
dettagli... ma i nomi li ho messi in minuscolo...in modo che non
potessero...animarsi.
1” Il professore prese il libretto
dalle sue mani e lo sfogliò assorto e compiaciuto.
“Ma mi dica...dimmi...” si corresse vedendo
l'occhiata che lui le lanciò “Tu credi che ci sia
qualcosa di vero? Perché sei in possesso di questi disegni?
Voglio dire...è stata un'allucinazione collettiva?”
Lui
girò assorto il cucchiaino nel caffè amaro,
più per abitudine che per bisogno di raffreddare o
zuccherare la bevanda. Quando posò la posata sul piattino,
con un leggero tintinnio, si decise a parlare, come se, fino a quel
momento, avesse cercato di raccogliere le idee.
“Quelle
illustrazioni sono molto vecchie...” esordì
fissando un punto nella parete alle spalle della ragazza
“...appartengono alla mia famiglia da...oh...da molte
generazioni...”
Lei
lo guardò perplessa. Aveva dato un solo esame ma sapeva bene
che la carta non poteva conservarsi a lungo in condizioni non
particolari. Infatti domandò “Conservate
così? Solo in una scatola di legno?”
Lui
abbozzò un sorriso “Stiamo parlando di magia...o
sbaglio?” Lei arrossì e abbassò lo
sguardo, imbarazzata “Vedi, quelle cartoline risalgono,
più o meno, al tredicesimo secolo.” Sarah si
strozzò col caffè quando realizzò cosa
le avesse detto. Alzò lo sguardo stralunato sui suoi occhi
neri, dai tratti impercettibilmente orientali. “D'altronde...
il mio cognome dovrebbe esserti abbastanza familiare...” le
sorrise con un velo di tristezza nella voce “I miei antenati...”
disse sottolineando con un velo di sarcasmo il termine “... i
più celebri linguisti dell'ottocento...sono noti per aver
trasposto in racconti codificati molteplici fiabe, presenti
capillarmente in forme diverse nel patrimonio europeo. Come aveva
fatto, d'altronde, anche Perrault un secolo prima...” Sarah,
che seguiva attentamente quella lezione di storia del folklore
improvvisata annuì convinta, ricordando la genealogia di una
semplice storia come quella di Cenerentola 2
“Ma a differenza sua...beh... hai visto il film,
no?” chiese improvvisamente, come svegliandosi da uno stato
di trans
“Ti
riferisci a quello con Monica Bellucci?” chiese lei scettica.
Era la porcata più abominevole avesse mai visto. Lui
sembrò leggerle nella mente.
“Quanto
viene raccontato è, più o meno, quello che
successo. Realmente. O almeno così me l'hanno sempre
raccontato. Ovviamente, nessuno ha mai potuto parlarne con qualcuno che
non fosse membro della famiglia, per paura di venir presi per
matti...” disse ridendo esponendo quell'aperta contraddizione
“E' stato un segreto tramandato di padre in figlio. Una
pratica, la tradizione orale, che è andata persa da tempo ma
che, nonostante il passaparola, restava più affidabile della
trascrizione dei manoscritti: si imparava a memoria e non erano
concesse correzioni o commenti. La discussione, eventualmente, era
relegata alla fine del racconto. Ma queste e altre illustrazioni son
sempre state trattate con grande cura perché rappresentano
il nostro patrimonio, la nostra storia.”
“Quindi
i fratelli Grimm avrebbero incontrato anche...lui? E
perché non l'hanno trasportato nelle loro storie? Ma
soprattutto...cos'è questo?” disse mostrandogli il
libretto rosso che portava sempre con sé, nonostante, in un
primo tempo, l'avesse cacciato nel fondo del cassetto della propria
toletta. “Sembra il canovaccio della mia avventura
ma...perché ce l'ho io? È l'unica
copia?”
Immanuel
le prese, curioso, anche quel secondo libretto sgualcito dalle mani e
cominciò a risponderle. “Buona domanda. Per quello
che ne sappiamo, era stata elaborata anche un racconto al riguardo.
Oltre a essere filtrata in tutte le altre. Devi sapere che non sono
regni e mondi rigidamente separati tra di loro, ma interagiscono
come...beh, pensa alla nostra politica estera: Russia, Cina, Giappone,
Stati Uniti d'America...tutti si contaminano tra loro e sono
interdipendenti, ma a loro volta sono stati sovrani e
autonomi” A quell'esempio, Sarah annuì, afferrando
il concetto “Fondamentalmente, comunque, quel racconto
andò perduto. Non si sa quando e come ma scomparve da ogni
copia stampata come non fosse mai esistito...a parte
questa...” disse studiandola con un sospiro irrequieto. Il
desiderio di capirci qualcosa, di arrivare finalmente a capire il
mistero, trapelava dal tremore con cui le sue lunghe dita voltavano le
pagine. Sembrava quasi un atto d'amore reverenziale nei confronti di
quel oggettino così apparentemente fragile. A Sarah
ricordava gli studiosi che restauravano i manoscritti con pinze e
guanti, simili ai patologi forensi. “Non sono a conoscenza di
altre copie...ma come una ce l'avevi tu, un'altra potrebbe avercela
chiunque altro e si scoprirebbe che è un testo diffuso
capillarmente.” borbottò non credendo nemmeno lui
a quello che aveva detto.
A
quell'ultima rivelazione, Sarah alzò un sopracciglio,
scettica “Era troppo sconvolgente? Rivelava troppo?”
“Non
lo so. Ed è possibile che, oltre a quello, siano spariti
altri racconti minori che non avevano calamitato così tanto
l'attenzione...voglio dire...non c'è nessuna figura che
spicchi a quel modo...” si alzò, porgendole i
libretti, e prese le piccole stoviglie per posarle nel lavandino
“Sulla motivazione...non ti saprei dire. Ma il racconto
coincide esattamente con il tuo.” La fissò negli
occhi con un'intensità che lei non gli aveva mai visto
“In pratica, se non avessero percorso anche loro le
tortuosità del...quelle tortuosità...”
disse censurando all'ultimo secondo la parola labirinto
“Io, probabilmente, ora non sarei qui...”
“Non
capisco...” ammise Sarah “Erano
fratelli..perché avrebbero dovuto percorrere il... andarci!
Perché avrebbero dovuto andarci tutti e due, insieme? Se
avevano maledetto il bambino la responsabilità era solo di
uno dei due...”
“No...”
sospirò lui, come se raccontare quelle storie l'avesse
spossato “Il figlio era di entrambi. Entrambi avevano amato
la medesima donna nel medesimo periodo. Ed entrambi reclamavano il
bambino come proprio. Colti da ira cieca avevano invocato le creature
dell'Und... le creature...” si corresse
“Perché si sbarazzassero della prova del
tradimento della donna amata e del rispettivo fratello. Secondo la loro
logica il bambino sarebbe dovuto rimanere qui, trattandosi di una sorta
di paradosso logico: se uno dei due era il padre sarebbe comunque
rimasto lì.”3
“Lasciami
indovinare...” lo interruppe la ragazza, affascinata
“Esatto...il
bambino non era di nessuno dei due, ma di un terzo che se ne era lavato
le mani.”
“Wow”
commentò la ragazza buttandosi sullo schienale
“Quindi,
per salvare il figliastro, affrontarono quel luogo assieme. E
vinsero.” precisò penetrandola con uno sguardo
“Da lì, decisero che tutte le storie che avevano
raccolto e i disegni che venivano custoditi in casa meritavano la loro
fiducia e la loro attenzione.”
“Ma
questo non spiega perché tu insegni quello che
insegni...” osservò acuta la ragazza
“Già...”
ridacchiò l'uomo, sistemandosi gli occhiali con un tic
involontario “Diciamo che sono sempre stato affascinato dal
lato psicanalitico delle vicende narrate. Da ciò che diceva
Bettelheim proprio riguardo i fratelli Grimm4.
Se ci pensi, però, anche i miti e le favole antiche sembrano
un ricettacolo di comportamenti umani creati apposta. Sapendo...volendo
credere che fossero reali..” si corresse “Mi
domandavo perché ci fosse quella pesante impronta
psicologica ricorrente già riscontrata dallo psicanalista
austriaco.”
“E...”
lo incalzò lei
“E
mi sono risposto, ma non ho prove scientifiche, ovviamente, che la
soluzione a tutto, un po' come nei tuoi studi, stia in un archetipo in
cui compaiono le diverse figure basiche che, come detto prima, non
erano bolle impermeabili ma interagivano con altre figure, contaminandole. Le
diverse storie sarebbero, secondo la mia personalissima opinione,
momenti diversi di questi diversi personaggi che si sono incontrati tra
loro in occasioni diverse e generando, di volta in volta, situazioni
diverse. Se diamo per scontata un'esistenza pressoché
eterna, ci sarà facile capire come l'amico di oggi possa
diventare il nemico domani. Attenta, però: non intendo
avallare la visione di Bettelheim. Penso, infatti, che la componente
psicologica sia stata caricata in un secondo momento e che,
primariamente, si volesse solo raccontare un accadimento incredibile:
una donna rinchiusa in una torre per cento anni, l'esistenza di una
fata madrina che aiuta una giovane a riscattarsi e così via.
Credo che il fatto che coincidessero con determinate esigenze della
protagonista fosse solo un caso. E senza casi particolari non si
manifestano situazioni o esseri particolari, giusto?”
“Tutto
qui?” domandò lei sbigottita. Tanto rumore per
nulla: le fiabe sarebbero servite solo per informare e ricordare
un'esistenza altra e magica.
“Ti
pare poco?” chiese lui di rimando accigliato
“Tornando a noi. Il fatto che una storia come la tua sia
scomparsa dalle testimonianze umane mi lascia pensare che, nel regno
fatato, gli stesse bene che noi sapessimo. Che sapessimo tutto, ma non
quello.”
“E
perché?” si sentiva una bambina a restare
così imbambolata a bersi la lezione che lui le propinava, ma
era tutto così assurdamente nuovo che era ben contenta di
assorbire informazioni come una spugna
“Perché
in quello si mostra un lato degli uomini che noi non vogliamo vedere:
la grettezza più vile. In tutti gli altri racconti
c'è l'eroe e c'è l'antagonista. Si accetta la
malvagità dell'altro per abbracciare la bontà del
primo. E' un umano, quello in cui ci si riconosce e quello da cui si
fugge. Ma una storia del genere? L'umano è solo cattivo che
fa una richiesta così orribile -il rapimento e la scomparsa
di un bambino- e l'essere magico totalmente buono -che si prende cura
del rifiutato- ? Potevano permettersi di sbilanciare così le
cose?” chiese tamburellando i polpastrelli sulla tavola ormai
sgombra
“Tutta
acqua al loro mulino...” commentò Sarah
Immanuel
la guardò perplesso, pesando quanto lei gli aveva detto
“Non mi sembra plausibile. Gli uomini, ricorda, messi insieme
sono una folla con ragionamenti diversi dal singolo
individuo...dicevo...gli uomini avrebbero tollerato la consapevolezza
di tanta grettezza?”
“Erano
solo favole...” rispose in un'alzata di spalle lei
“Certo...e
tu hai fatto rapire tuo fratello perché tanto era una
favola...” la zittì lui, ora visibilmente
infastidito
“Io
non pensavo...non intendevo...” Sarah, come dieci anni prima,
si accorse di star ripetendo le stesse parole che aveva detto, a suo
tempo, a lui.
“No,
certo...” replicò velenoso. Eppure lei gli aveva
detto quanto si era sentita in colpa e come avesse afferrato la
gravità del suo gesto. Perché ora le rigirava il
coltello nella piaga? “Devi capire che all'epoca erano molto
più...reali... di semplici storie inventate per diletto. La
gente ci credeva...” le lanciò un'occhiata
penetrante, quasi volesse dirle “E avevano ragione: l'hai
constatato tu stessa”
“Gli
umani non avrebbero tollerato quella consapevolezza”
tagliò corto lui “E rischiavano di rivoltarsi
contro il mondo magico. Le cose dovevano restare in una situazione di
stallo, di perfetto equilibrio tra bene e male, umano e/o magico che
fosse.”
“D'accordo..”
replicò lei alzando le mani in segno di resa “Ma
quale potere potevano mai avere gli esseri umani su...creature magiche”
calcò la parola come a evidenziarne l'evidente
disparità di forze.
“Ancora
non capisci?” chiese alzandosi da tavola. Le fece cenno di
seguirla e scomparve in un piccolo corridoio dietro la cucina. Gli
trottò alle spalle seguendolo in camera da letto. Era calda
e accogliente ma, soprattutto, notò con vivo interesse,
piena zeppa di libri. Ovunque: sul balcone della finestra, sopra il
tower del pc da tavolo, sopra la stampante, sopra e intorno al comodino
e sotto il letto, tra i vestiti appoggiati alle sedie, oltre nella
più banale collocazione a libreria. D'altro canto,
gongolò tra sé, era un ricercatore e un uomo
dalla vasta cultura, oltre che docente. Soprattutto, le credeva. Lui
estrasse un paio libri e gliene mostrò le copertine
sgualcite. Sarah li prese in mano, perplessa. Spostò il suo
sguardo prima sull'uno, poi sull'altro e, infine, nuovamente sul suo
professore. “La
storia infinita?” chiese perplessa
“L'hai
mai letto?” chiese lui quasi con rabbia. Sarah non capiva il
motivo di tanta acredine.
“Certo
che l'ho letto!” replicò offesa restituendogli il
volume, stizzita “Ma continuo a non capire”
Immanuel
sbuffò, esasperato e andò a sedersi ai piedi del
letto sfatto, scansando le coperte per non avere grumi sotto di
sé. “E' la credulità umana ad
alimentare il loro potere. Se nessuno credesse, loro diverrebbero
mortali...per così dire..anche se non credo che il loro
mondo crollerebbe...”
“Secondo
te, Ende è stato là? Ed è tornato per
avvisarci?” chiese lei. Ora non pensava più di
essere pazza: aveva trovato qualcuno più pazzo di lei
“Non
Ende.” precisò. “Ende ha romanzato, a
mio avviso, il racconto di qualcuno...il diario, di
qualcuno...”
Calò
un lungo silenzio tra i due che Sarah colmò voltando il
secondo libro, La
guerra degli elfi, la trilogia completa, e leggendone il
riassunto sulla quarta di copertina. “Quello te lo presto,
così capisci cosa voglio dire...è inventato di
sana pianta...Lo so...” precisò notando la
reazione di lei, pronta a porgergli la domanda
“..perché la simbologia e gli accostamenti che fa
non sottostanno a nessun...racconto. Harry Potter, al confronto
è un'enciclopedia scientifica...No...”
precisò ancora, anticipandola “La Rowling non
è stata da nessuna parte ma ha studiato abbastanza bene,
elfi a parte...come anche la Meyer, per quanto discutibili possano
essere i suoi personaggi e le sue storie melense...Ma d'altronde non ha
la pretesa di scrivere di mitologia...vuole solo descrivere un principe
azzurro impossibile.”
Sarah
poggiò il libro vicino alla tastiera del pc e lo
guardò sorridendo “Non pensavo leggessi certa
roba...” disse. Lei, ovviamente, se li era divorati tutti,
quei libri: precisi o meno, trattavano avventura, esseri magici
e...amore.
“Bada...”
le disse lui sorvolando su quella frecciata maligna “...dopo
il film di ieri, potrebbe non piacerti: tratta gli elfi come fossero
alieni...” precisò prima che lei lo infilasse in
borsa. La mano le si bloccò a mezz'aria incerta. Poi decise
che poteva affrontare la prova: bastava chiudere il libro. Forse.
Perché, se pure la storia di Bastian era vera, forse non
sarebbe stato sufficiente.
Immanuel
guardò l'orologio e la informò che forse doveva
prepararsi per andare all'ultima lezione. Lei tirò fuori il
cellulare dalla tasca dei jeans per controllare e annuì a
conferma.
“Ti
accompagno...” disse lui andando a prendere la giacca.
Quando
furono sulla soglia, la mano di lui che stava per calare il proprio
peso sulla maniglia, le domandò, all'improvviso
“Come lo hai battuto?” chiese con
curiosità
Lei
faticò un attimo a capire a cosa si riferisse. Dopo tutto
quel parlare di esseri mitologici aveva un po' di confusione in testa.
Poi ricordò cosa la ossessionava. Strinse gli occhi per
focalizzare la scena, richiamandola alla memoria. Pensava di aver ormai
dimenticato tutto quel racconto, imparato dieci anni prima a memoria.
Come pensava di aver rimosso tutto il sogno che, invece, si
ripresentò ai suoi occhi fulgido come se si fosse appena
svegliata.
Recitò
per il professore, intanto che scendevano le scale, come in una sorta
di trance, quello che si erano detti quella volta.
1 Qua siamo a livelli di grammatica
base: il nome proprio deve essere con la lettera maiuscola, altrimenti
è un nome comune. I nomi comuni, come sasso, cane, tavolo,
non hanno alcun potere. Ma evocare un nome proprio, una carica o
simile, sarebbe come evocare la persona stessa. Così ho
trovato questo piccolo stratagemma per bypassare la questione dei nomi.
2 La storia di Cenerentola è
diffusa in tutto il mondo. La più antica testimonianza
sembra essere cinese, in cui la scarpetta è di oro
massiccio. Diffusa in ogni cultura, la storia della scarpetta di
cristallo è, in realtà, un errore di trascrizione
che ha commesso proprio Perrault. Nell'originale europeo, infatti,
l'oggetto era niente meno che un pregiata pantofolina di pelliccia di
scoiattolo. Che schifo!
direte voi...eppure sempre di pelle si tratta..le nostre scarpe e
cinture sono in pelle...questa è pelle con pelo...e se ci
pensate bene, la pelliccia come soprabito è ancor oggi
sinonimo di agiatezza. (io penso a quanto potessero essere delicate e
morbide...). Ma torniamo a Cenerentola... Nella versione francese
originale si parlava, infatti, di pantouffles
en vair e Charles Perrault, nella prima versione inglese,
tradusse l'espressione come scarpette
di vetro confondendo i termini francesi vair e verre (vetro) in
quanto la pronuncia è molto simile. La stessa storia, come
la conosciamo noi per tramite Disney, è stata poi pulita di
tutte le parti truculente (sorelle che si amputano le dita dei piedi,
la matrigna a cui i corvi cavano gli occhi, etc)
Ma ecco cos'è il Vair:
Vair
Vair,
inoltre, è anche un tipo di schema araldico, in italiano
Pelliccia. Vair
In francese antico, definiva anche il colore di occhi tra il blu e il
marron, non ben definibile...il nostro
“griglio-blu” o “blu-verde”
come anche l'eterocromia (un occhio blu e uno marron). Per
associazione, passò a essere un sinonimo dell'incostanza e
della volubilità.
3 Su, se ci vedete qualcosa di illogico,
datemela buona cmq e sorvolate!
4 Bruno Bettelheim, psicanalista
austriaco, si interessò anche alle fiabe. Nel suo libro Il mondo incantato
sostiene che le fiabe dei fratelli Grimm siano rappresentazione di miti
freudiani.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - -
Rieccomi...
Avete
capito perché dicevo di dare per buono qualunque cosa? Sti
due si son fatti un viaggione da paura... ma non son riuscita a
semplificarlo ç_ç abbiate pietà
dunque..per
chi comincia a disperare sulla comparsa di Jay, posso rassicurare.. :D
comparirà nel prox capitolo :D
per
il resto, come vi siete trovati con le note? Esperimento da
riproporre???
Bene...
:) vado a finire di preparare i miei bellissimi esami...
a
presto ragazzi!
|
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Capitolo 3 *** Locked within the crystal ball ***
Per questo
capitolo, preparatevi con Youtube aperto. Mi dispiace per chi, come me
(!), ha solo un 56k e per tanto spero di essere riuscita a descrivere
ugualmente le sensazioni che dovrebbe darvi la canzone.... a dopo!
3
- Locked within the crystal ball
Si
rivide in quel luogo che sembrava cadere a pezzi. All'epoca non aveva
capito e non si era mai soffermata neanche in seguito su tutti i
dettagli. Dell'ambiente come delle sue parole...delle loro
parole...cosa gli aveva detto, di preciso? Nel rievocare la scena
provò una strana fitta, qualcosa di simile alla nostalgia,
al desiderio, al rimpianto.
“Dammi
il bambino” Aveva detto non appena era comparso sotto
l'arcata.
Avanzava
a passi misurati, sicuro... quasi spazientito. “Sarah bada a
te, sono stato generoso fino a questo momento. Ma so essere
crudele” l'aveva ammonita
“Generoso?
Cosa hai fatto di generoso?” aveva chiesto con tono di
scherno nella voce, irritata dalle sue menzogne.
“Tutto.
Tutto!” Aveva replicato lui, furente. Subito,
però, si era ammorbidito nel tentativo di lusingarla
“Tutto quello che hai voluto io l'ho fatto. Tu hai chiesto
che il bambino fosse preso e io l'ho preso.” Aveva spiegato
cominciando a girarle intorno come un rapace che attende la morte della
preda agonizzante, l'animosità che tornava a vincerlo,
crescendo col procedere del discorso.“Tremavi davanti a me e
io mi facevo più terrificante. Ho sovvertito l'ordine del
tempo e ho messo sottosopra il mondo intero e tutto questo io l'ho
fatto per te. Sono stremato dal vivere in funzione di quello che ti
aspetti. Questo non è generoso?” Aveva domandato
alla fine, fermandosi nel suo circolare erratico. Una sfumatura stanca
e triste.
Come
se nemmeno l'avesse ascoltato, lei aveva continuato con la sua recita,
ricordandosi il motivo della sua presenza al suo cospetto
“Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato
la strada per questo castello oltre la città di Goblin per
riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà
è forte come la tua e il mio regno...”
“Aspetta...”
aveva detto lui, alzando una mano tra loro, chiedendole ancora
attenzione “Aspetta, Sarah...” l'aveva quasi
pregata “Guarda quello che ti sto offrendo: i tuoi
sogni” nella voce uno struggimento mai sentito prima come se
lei non capisse l'importanza di un dono tanto prezioso.
“E
il mio regno altrettanto...” Aveva continuato imperterrita,
senza calcolarlo, stanca dei suoi giochetti: voleva solo riavere il
proprio fratello...quasi si maledisse per il suo gesto così
stupido e avventato che non le aveva portato altro che guai.
“Ciò
che ti chiedo è così poco” L'aveva
interrotta ancora lui, supplichevole “Lascia solo che io ti
domini... e potrai avere tutto quello che desideri” le aveva
proposto ambiguo con l'aria vittoriosa di chi sa di aver proposto un
patto a cui non si poteva dire di no: era un vero demonio e, anni dopo,
l'avrebbe paragonato al Faust “Non hai che da temermi,
amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il
tuo schiavo.” Teneva la sfera del patto e dei sogni sospesa
sulla punta delle dita, in mezzo a loro.
Lei
lo aveva guardato per un lungo istante. Poi si era illuminata,
comprendendo ciò che fino a quel momento le era sfuggito
“Tu non hai nessun potere su di me!”
“In
quel momento lui
lasciò andare la sfera. Distratta da quel movimento
così improvviso non mi accorsi di nulla. Mi lanciai verso il
cristallo per tentare comunque di salvarlo. Non so perché.
Forse perché in fondo c'erano i miei sogni. Quando lo
sfiorai, però, esplose come una bolla di sapone e mi accorsi
che, dove prima lui svettava
davanti a me, erano rimasti solo dei lembi di stoffa che precipitavano
al suolo. Quindi mi sono ritrovata a casa”
Sarah
e il professor Grimm erano ormai arrivati davanti al vicino ateneo.
Erano solo le cinque ma era già buio e l'aria fresca.
“Sul
serio gli hai detto questo?” chiese lui, poco dopo, come
istupidito.
Sarah
esitò
“Sì...perché?”
Immanuel
la fissò senza alcuna espressione in volto “Mi fa
un po' pena...”
La
ragazza lo fissò sbalordita. Aprì e richiuse la
bocca un paio di volte, cercando qualcosa di sensato da replicare,
simile a un pesce che annaspa in cerca d'acqua per sopravvivere.
“PENA?” sbottò alla fine
“Professore, stiamo parlando di un sogno che mi ha fatto
vedere i sorci verdi... E Lei mi viene a dire che le fa pena? Ma sta
scherzando?”
“Mi
pareva che avessimo chiarito due questioni...”
borbottò lui senza badarla più di tanto
“Di darmi del tu e che non fossero panzane”
“Ma...ma..
ma...” boccheggiò
“Perché?” fu l'unica domanda che
riuscì a porre
“Scusa...ti
ha proclamato il suo amore e tu gliel'hai gettato in faccia...sarebbe
stato come se ti avessero regalato delle rose e tu le avessi
cestinate...” rispose lui
“Ma
io l'ho fatto!” ribatté caustica.
“Cosa?”
fu il turno del professore sembrare sconvolto
“Non
te l'avevo detto? Quello del primo anno...con cui ho scambiato
sì e no due saluti e che un bel giorno mi ha portato in aula
un mazzo di rose rosse dicendo che voleva rendermi felice.
Felice...Ma cosa
ne sa?” sbottò con rabbia
“Ah
già...ricordo...avevo rimosso...” ammise lui
sconsolato “Non
lo conosco neanche, potrebbe essere un pazzo assassino... o potrei
esserlo io.”
disse, facendole il verso. “Poverino...con te nessuno ha
speranza, insomma...” frecciò
“Non
è vero che sono così impossibile!”
protestò lei.
“Poco...”
biascicò lui sorridendo divertito e per niente convinto.
In
lontananza, le campane di una chiesa batterono l'ora con rintocchi
regolari
“Accidenti,
devo scappare...e comunque a pranzo con te ci sono venuta,
no?” ribatté avviandosi veloce. Una domanda che
era un saluto.
“Benedetta
ragazza...” sospirò l'uomo interdetto.
Sarah
corse a perdifiato lungo i corridoi dell'ateneo. Attraversò
in volata il prato del chiostro e si infilò in una porta di
vetro a doppio battente. Salì a due a due i gradini che
l'avrebbero portata in aula. Una volta davanti alla porta,
tirò un sospiro, si calmò ed entrò.
L'aula
era vuota. Come quella del professor Grimm. Stavolta, però,
non c'era nemmeno il docente1. Ma che succedeva quel giorno? Sciopero
dei treni? Epidemia?
Guardò
il telefono e si rese conto che era il giovedì prima di
Halloween, che cadeva di sabato, quell'anno. Che festa idiota,
pensò tra sé. Se ci si doveva vestire in maschera
c'era il carnevale. Oppure le fiere per cosplayer. Quella
festività la faceva sorridere. Certo, le piaceva avere una
scusa per travestirsi e in stile horror, per giunta. Ma la cosa finiva
lì. Non la entusiasmava. In realtà erano davvero
poche le cose che la entusiasmavano: in cima alla lista c'erano i
libri, su cui passava giornate intere, magari dimenticandosi anche di
mangiare, fino ad avere la nausea. La biblioteca personale, che aveva
accumulato negli anni poteva fare invidia al proprio professore e
spazzava quasi tutti i campi del sapere. E le piaceva scrivere. Per se
stessa. Romanzetti che teneva gelosamente rinchiusi nella memoria del
suo pc. Le piaceva altresì disegnare. E ascoltare musica.
Buttò
la borsa sul banco, decisa ad aspettare solo il quarto d'ora accademico
per quella lezione già di per sé non molto
frequentata.
Decise
di ingannare l'attesa e sfilò un cd nuovo di pacca che aveva
acquistato quella mattina arrivando a scuola. Era il penultimo del suo
gruppo preferito: il nono, per la precisione.
Aveva
scoperto quegli artisti a un anno esatto dal suo viaggio immaginifico e
da allora, ogni anno, sempre puntuale, era stato sfornato un nuovo
album. L'anno prima era stato l'unico anno che aveva saltato, presa
com'era stata dagli esami, dal trasloco e da.... Scosse la testa,
cacciando il ricordo e tornando a concentrarsi sul cd che non riusciva
a scartare.
Si
era detta più volte che doveva essere segno del destino e
che, per lei, quell'esperienza così vecchia aveva perso ogni
valore anche solo simbolico. Ma quei brani le piacevano troppo e
così, quell'anno, aveva deciso di festeggiare a modo suo la
scadenza della decade e della liberazione dall'incubo con un doppio
acquisto. Alzò lo sguardo al soffitto, pensando che l'arrivo
di “Autumn
Sky”,
tramite corriere, era previsto, casualmente in pieno autunno, per il
giorno dopo: il giorno della data fatale. Ne era euforica. Ma nel
frattempo era curiosa di sentire quello che stringeva in mano.
Osservò la copertina grigio blu con la scritta rossa di
“Secret
Voyage”
e le si strinse la bocca dello stomaco. Non sapeva dire
perché ma quel mare in tempesta che si intravedeva da due
scogli, da cui faceva capolino la chiglia di una nave, le stava
scatenando strane emozioni. Aprì lo sportello dell'impianto
audio e vi infilò il cd.
“Ti
prego!” disse ad alta voce giungendo le mani in preghiera
“Non farmi scherzi strani. Ci tengo a sentirlo in ordine!”
quindi premette play.
Le
note lente di una nenia si profusero nella sala mentre Sarah toglieva
il libretto dalla tasca interna della custodia. Lo sfogliò
rapidamente e lesse i titoli. Si sentiva già elettrizzata.
La nenia assunse i tratti di un qualche inno nazionale anglosassone.
Alla delicatezza dei flauti e alla ruvidezza dei cembali si
unì la solennità degli ottoni che sembravano
quasi un coro angelico. Dopo un picco di maestosa solennità,
in cui si tuffò a occhi chiusi, sentendosi una regina di un
altro mondo, la melodia scivolò attraverso un passaggio
melanconico e appassionato, precipitando in un coro organico di morte e
desolazione. Un coro monastico si levò confuso dalle nebbie
notturne che lei riusciva a vedere a occhi aperti, nonostante sapesse
di trovarsi in un'aula universitaria. Le capitavano spesso visioni di
quel tipo e aveva sempre pensato che fosse la sua smodata fantasia a
procurargliene. Ma dopo il colloquio con Immanuel non ne era
più tanto sicura.
Finito
il primo brano introduttivo2, i
tamburi di una marcia impetuosa e il cembalo ipnotico rimbombarono
intorno a lei: le ricordavano, effettivamente, le onde che si
ingrossavano e si infrangevano sugli scogli, come illustrava la
copertina3. Un
pensiero le passò veloce nella mente, strappandole un
sospiro di sollievo: lì non c'era il mare, era una terra
brulla e riarsa dal sole, dai toni caldi come il deserto. La voce
delicata della cantante riecheggiò nel primo ritornello
lento dando tempo a Sarah di capire i tempi della canzone: non aveva
ancora badato il testo. Quando le cornamuse cominciarono a fischiare e
la chitarra a impennare, era pronta; il ritmo era rimasto invariato,
era aumentata solo la velocità.
I
feel the waves begin to rise
Far
across the ocean deep within your eyes
Silently
watching as they fall
I
can see the future locked within the crystal ball
[Sento le onde che cominciano a ingrossarsi/
L'oceano molto lontano nelle profondità dei tuoi occhi/
Guardando in silenzio come cadono/ Posso vedere il futuro racchiuso
nella sfera di cristallo]
Cantò
con voce sicura e aggressiva ma il testo, in due righe, l'aveva
spiazzata. Perché la prima canzone, di un cd comprato nuovo
quella mattina, doveva ricordargli i suoi sogni? La
profondità di occhi misteriosi che si sentiva sempre
addosso, occhi che ricordava molto bene, anche se non voleva. Si chiese
con rabbia perché il brano dovesse avere proprio quei
contenuti. Come se non bastasse, accennava anche a fantomatiche sfere
di cristallo e di ciò che esse custodivano al loro interno.
Smise di cantare all'istante. Non per paura. Quelle canzoni erano
sempre innocue. Voleva solo concentrarsi. Rimase in ascolto, libretto
alla mano.
Strike
up the lightening, hear my prayer
Feel
the light electric dancing through the air
Here
by the ancient castle wall
Can
you see the future locked within the crystal ball
Here
in the spotlight this moment is ours
No
one can stop us, we’re one with the stars
Quiet
by nature, standing tall
Old
stone circles, they have seen it all
Caught
like a ghost in yesterday, shadows down the hall
Are
locked within the crystal ball
[Comincia a
lampeggiare, ascolta la mia preghiera/ Senti la luce elettrica danzare
attraverso l'aria/ Qui alle antiche mura del castello/ Puoi vedere il
futuro racchiuso nella sfera di cristallo
Qui, sotto i riflettori,
questo momento è nostro/ Nessuno può fermarci,
siamo un tutt'uno con le stelle
Attutiti dalla natura,
si ergono alti/ Vecchi circoli di pietra, loro hanno visto tutto/
Catturati come fantasmi nel passato, ombre giù all'entrata/
Sono intrappolate nella sfera di cristallo]
Dannazione,
pensò. Quella canzone parlava forse di lei?
Non era la prima volta che le succedeva di sentirsi così
egocentrica ma...cavolo, sì, era lei che aveva pregato,
sotto la tempesta, e che aveva sentito l'avvicendarsi del reale col
magico. Ed era proprio lei a essere intrappolata nel passato da ombre e
fantasmi. Erano loro, pensò con angoscia e un pizzico di
sollievo...loro
due! Si
rimproverò del pensiero che le era balenato in mente ma...
Era forse il suo futuro? Lui
gliel'aveva proposto, come
aveva raccontato al professore solo qualche minuto prima: uniti,
nessuno avrebbe potuto fermarli, lei, la campionessa e
lui, il re.
Scosse la testa violentemente lasciandosi aiutare dall'assolo di
chitarra elettrica per cacciare via quell'immagine troppo reale e
fastidiosa: era solo un sogno! Poi si lamentava che non riusciva ad
avere amicizie normali, degne di quel nome.
Fire
and water, earth and sky
Mysteries
surround us, legends never die
They
live for the moment, lost in time, I can hear them call
They’re
locked within the crystal ball
[Fuoco
e acqua, terra e cielo/ I misteri ci avvolgono, le leggente non muoiono
mai/ Loro vivono per il momento, perse nel tempo, Li sento che mi
chiamano/ Sono intrappolati nella sfera di cristallo]
“Il
mistero ci circonda e le leggende non muoiono mai? Vivono per sempre e
io posso sentire che mi chiamano?” Pensò sempre
più esterrefatta e arrabbiata. Sì, sì
e ancora sì, dannazione.
Le
cornamuse tornarono a salire, veementi, fino a spegnersi dolci mentre
la voce della donna continuava a ripetere evocativa Locked
within the crystal ball. Lei non
era prigioniera dei propri sogni, pensò furibonda. Quella
canzone aveva poco da insistere su quel tasto: lei aveva rinunciato ad
essi per salvare il fratello. Certo, fantasticava, ma chi non lo
faceva? La vita terrena le sembrava così squallida, gretta e
monotona.
Locked
within the crystal ball.
Era
un'ossessione. Era la sua più recondita paura: aver scelto,
all'ultimo, i propri sogni; essere rimasta così affascinata
da essi da accogliere il suo invito e rimanerci incastrata come nel
ballo che ogni tanto sognava ancora.
Tu
non hai nessun potere su di me!
Ma
era certa di averlo detto sul serio? Era certa di aver vissuto davvero
quell'esperienza? E se in realtà si fosse lavata la
coscienza, cambiando il finale così come lo ricordava, dopo
aver fatto tutt'altra scelta? Quando si immergeva in quelle riflessioni
le sembrava di impazzire tanto diventava paranoica: allora anche
Immanuel sarebbe stato una sua proiezione? Che, in realtà,
come diceva la tradizione orientale, lei stesse davvero solo correndo
sul palmo della mano di quel dio biondo di cui aveva avuto rivelazione?4
Si
riscosse e decise che non le importava. Vero o falso che fosse, quella
era ormai la sua vita. E non era delle più rosee. Se si
fosse trattato di un sogno, così come quella sua avventura,
se la sarebbe immaginata un po' più semplice, con
più sprazzi di felicità e non così
tristemente deprimente.
Si
mosse a grandi falcate verso l'impianto, decisa a non aspettare un
minuto di più il professore dell'ultima lezione.
Decisa,
ammise a se stessa, a non sentire altre parole così
evocative finché non si fosse trovata chiusa al sicuro in
casa sua: avrebbe riversato il cd sul lettore mp3 e l'avrebbe ascoltato
con comodo, un brano alla volta, quando si fosse sentita pronta.
Ritirò il cd e spense l'impianto, più seccata che
mai, folgorandolo con lo sguardo “Sì, lo
so...” ringhiò esasperata “Ti avevo solo
chiesto di andare in ordine...” disse sbattendo l'antina di
vetro e girando sui tacchi. Come in quel regno assurdo, le parole
avevano il loro peso: non aveva mica chiesto che non le fossero
mostrate realtà a cui cercava di scappare!
“Non
sta bene distruggere un bene pubblico. E per evitare di farsi
internare, eviterei di parlare da solo. Anche se il luogo sembra
deserto...” disse una voce maschile e sarcastica dall'alto
della gradinata. “...e la voce che possiedi è
così.. melodiosa” aggiunse
con un pizzico di malizia
Sarah
si gelò sul posto senza osare muoversi. La vergogna di
essersi fatta sentire (a cantare, senza essere preparata, come a
parlare da sola) la fece arrossire fino alla punta dei capelli.
E
quella voce. Le risultava stranamente familiare.
Si
voltò, timidamente, verso i banchi.
Da
quando era lì? Aveva controllato, quando era entrata, e non
aveva visto nessuno.
Individuò
la sagoma che sedeva sbracata in ultima fila. Salì un paio
di gradini per vederci meglio e non far la figura della cafona. Ma il
piede non procedette oltre e le rimase congelato a terra.
Quell'uomo...
lei l'aveva già visto.
Dieci
anni prima.
E
l'aveva sconfitto.
I
ricordi tornarono vividi e intensi, con un impeto tale che le fecero
mancare il respiro, quasi l'avessero schiaffeggiata. Per quanto
rileggesse il suo quadernetto e per quanto sognasse quei momenti,
quello che stava rivivendo era tutt'altra cosa. Era come se le fossero
piombate addosso solo allora quelle ore che per dieci anni non aveva
mai riportato realmente alla mente. Si sentì simile a
un'androide a cui, in certi film di fantascienza, vengono innestate
memorie pregresse, che le vive per la prima volta tutte insieme e sulla
cui non-presenza
precedente non riusce ad ingannarsi.
Non
c'erano dubbi.
Era
lui.
Il
possessore di quegli occhi magnetici che la canzone le aveva appena
ricordato.
“Perché?”
Si domandò.
Di
quei dieci anni ricordava a mala pena i posti in cui era stata, gli
insegnanti che aveva avuto e aveva talvolta odiato, gli amici con cui
era uscita ogni sera, gli amori platonici e non corrisposti che aveva
vissuto. Tutto era sfocato salvo qualche sprazzo di lucidità
alle rimpatriate.
Ma
quelle dannatissime dieci
ore le erano
rimaste marchiate a fuoco nella memoria. Col passare del tempo le aveva
infiorettate, idealizzate, stravolte, dimenticate e richiamate.
Certo,
le era successo di ricordare con precisione frammenti di sogni anche a
distanza di anni. Ma quel sogno in particolare... non poteva essere
vero, non avrebbe dovuto ricordarsi la sua voce, la sua fisionomia...
D'altronde,
si rimproverò, quanto tempo aveva trascorso realmente con
lui? Unendo tra loro i vari incontri... una mezzora? “Un paio
d'ore al massimo” si concesse, ripensando all'ora trascorsa
in quel ballo incantato.
Non
ricordava cosa aveva mangiato la sera prima, perché quelle
due ore tornavano con quella prepotenza tipica del loro proprietario?
La
sua mente ebbe un sussulto e materializzò il pensiero, un
nome, che fino a quel momento aveva cacciato con ogni forza: Jareth
1
Presupponendo segua un'interfacoltà tra
letteratura e arti visive (un po' generico ma dire DAMS lo collocava
specificamente in Italia) lascio intendere che questa sia una materia
tipo canto o simile... Al DAMS ricordo che suonavano pure.... quindi
non è così strano quello che succederà
ora...
2
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 1. God
save the Keg
3
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 2. Locked
within the crystal ball
4
Viaggio
in Occidente di Wu
Chengen (1590) è un classico della letteratura cinese. Il Re
Scimmia Sun Wukong (o Son Goku nella versione nipponica. n.d.a. Saiyuki
è la traduzione del cinese Xīyóu
Jì )
è uno degli accompagnatori del monaco Sanzang (o Sanzo)
insieme al maiale Zhū Wuneng/Bājiè (o Cho Hakkai ) ed al
demone fluviale Sha Wujing (o anche il kappa Sa/Sha Gojo/Gojyo). Il
discorso di Sarah, fa riferimento a una parte della storia, in cui la
scimmia, sfidata a uscire dalla mano dello stesso Buddha e convinta di
aver trovato i confini del mondo, si accorge, invece, di aver sempre
girato in tondo.
-
- - - - - - - - - - - - -
Oggi
non ho molto da dire, a parte
che mi rendo conto di aver fatto frasi incasinate... =_= Necessito di
lunga decantazione per notare -e trovare la giusta correzione- a certe
frasi contorte... se non capite...tirate dritto XD.
Dunque,
a presto!
DR
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Capitolo 4 *** Lui ***
4- Lui
Stava
stravaccato sui sedili, nascosti dai banchi a cui si aggrappava con la
mano, come se vi avesse dormito e si fosse appena svegliato.
Era
bello oltre ogni dire. Dimostrava all'incirca trent'anni1 ma
avrebbe potuto essere più giovane come più
vecchio. I capelli biondi e lisci, in un taglio fortemente scalato (piumato,
puntualizzò, lontana, la vocina della propria parrucchiera
che, così, l'aveva descritto anni addietro, vedendola
soffermarsi su un taglio simile), gli ricadevano esili sulle spalle. Un
chiodo in pelle nera, che gli allargava spalle e torace e aumentava
vistosamente il divario con la sottile vita fasciata, slanciava la
figura e le dava un'impronta minacciosa. Jeans aderenti logori erano
infilati, un po' fuori moda, dentro ad aggressivi stivali da biker.
Sembrava una rockstar degli anni ottanta. Ma poteva sembrare anche un
moderno dark con punte punk. O un emo in vena di nostalgia e vita.
D'altronde, ne conosceva talmente tanti di squinternati che
quell'essere sarebbe potuto benissimo passare inosservato nella fauna
urbana se non fosse stato per l'incredibile aura magnetica e la
bellezza innaturale che sprigionava. “Ma in un corso di
laurea come il mio ci si può aspettare davvero di
tutto...” si corresse pensando agli elementi che popolavano
le aule e... a se stessa. Proprio lei, un'altra che non dava
nell'occhio, pensò con marcato sarcasmo: amava vestirsi in
chiave romantica e sognatrice, con abiti chiari e vaporosi, come in
chiave più aggressiva, con audaci corsetti e accessori neri.
2
Quel
giorno indossava una calda maglia di pizzo di lana nera, che lasciava
intravedere il corsetto rosso al di sotto, e un paio di pantaloni in
pelle con cintura a catena. E, per una volta, aveva optato per un
trucco acqua e sapone che non destava neanche poi tanto interesse nella
gente: sembrava solo una ragazza vestita di nero.
Per
un attimo pensò che sarebbero potuti essere una bella
coppia, così agghindati. Ma si riscosse da quelle
fantasticherie quando lui si mosse per mettersi in piedi.
Ora
le sembrava meno terrificante di quanto non avesse pensato quand'era
ragazzina.
Era
lui, non c'erano dubbi. L'aveva riconosciuto immediatamente, come
l'aveva riconosciuto istintivamente dieci anni prima.
“Cosa
ci fai qui?” domandò aggressiva, sulla difensiva,
ringraziando di avere addosso quel bustino: si sentiva protetta come da
un'armatura quando lo indossava
“Mia
cara...” biascicò lui annoiato “E'
un'aula pubblica... Aspettavo l'inizio delle
lezioni...riposandomi...” ora troneggiava su di lei dalla
posizione elevata ma non sembrava emanare alcuna aggressività
“Non
dire scemenze!” ribatté seccata: come se nella sua
vita pomposa e agiata avesse mai dovuto faticare così tanto
da crollare addormentato “Non ti ho mai visto a...a lezione!”
scoppiò a ridere ripetendo quella parola “Tu...a
lezione?”
Quello
fece una faccia annoiata e disgustata “D'accordo, hai vinto.
Ho saltato tutte le lezioni. Fin'ora.” sottolineò
perfido “Ma non sapevo che le assistenti dei professori
fossero dei tali cani da guardia...” soffiò
“Io
non sono l'assistente di nessuno” precisò lei. Ma
perché lo stava facendo? Non doveva giustificargli nulla
“Mi
pareva di aver capito che lo fossi del professor Grimm” la
corresse lui, inclinando la testa di lato.
“Lascialo
fuori da questo discorso” ora cominciava ad arrabbiarsi
seriamente. Cosa ci faceva lui
lì e cosa voleva da lei?
“Sì
sì” disse lui alzando le mani, in segno di resa
“Non è affar mio...ma...” disse
cominciando a scendere i gradini che l'avrebbero portato a lei, le
braccia incrociate dietro la schiena “Howlett3 non viene
a lezione? Per una volta che ci vengo io...” Aveva stampato
in faccia il solito ghignò sarcastico.
Per
un attimo, Sarah pensò di essere caduta in un'imboscata. Lui
sembrava aspettarla...forse erano in un'altra dimensione, un luogo dove
lui l'aveva trasportata quando...Non riusciva a pensare a un momento in
cui aveva percepito qualcosa di anomalo. Nessuna strana
elettricità nell'aria, nessuno sfasamento spazio-temporale
che l'avesse messa in allarme prima. Solo l'aula vuota le sembrava
tale, quasi a farlo apposta.
Ma
fu presto rincuorata da una voce familiare che non poteva essere
un'illusione. O almeno, era quello che lei sperava
“Sarah!”
Gloria era sulla soglia e l'aveva chiamata allarmata. Le si
avvicinò cupa, cercando di non guardare l'uomo presente in
aula “Sapevo che ti avrei trovata qui... Ho sentito dire in
portineria che il professor Howlett è assente per una
riunione di facoltà. Hanno diramato l'avviso in tutti i
corsi ma non nel nostro, stamattina. Sospettavo che non l'avessi
saputo...Anche perché, pure al corso del professor Grimm,
non c'era nessuno e l'avviso non è stato letto...”
disse prendendole il polso e trascinandola con sé
“Aspetta
Gloria...” la fermò Sarah indicando la borsa e il
cappotto sulla cattedra. Era ben felice di venir trascinata via da
quell'uomo. Le due uscirono dall'aula senza salutare e sentendosi gli
occhi glaciali conficcati nelle spalle come stiletti arroventati.
Gloria
camminava veloce, tanto che Sarah dovette chiederle di lasciarla andare
o le avrebbe staccato il braccio.
“Scusa,
Sarah...” rispose imbarazzata quella
“Non
è nulla...piuttosto...perché tutta questa
agitazione?” chiese la mora, regolando il passo su
un'andatura più tranquilla.
“Come
perché?”
strepitò quella guardandola con occhi spiritati. Prima che
potesse procedere oltre nel risponderle, vide in fondo al chiostro gli
altri membri della compagnia. Si mise a urlare senza ritegno i loro
nomi, agitando convulsamente le braccia, quasi cercasse di fare di
proposito quanto più baccano possibile in modo da attirare
l'attenzione e far sì che nessuno strano inseguitore potesse
aggredirle. Quando furono nuovamente tutti assieme, Sarah la vide
rilassarsi.
“Tutti
al bar! Una buona cioccolata calda è quello che ci
vuole!!” Cinguettò allegra e inconsapevole la
riccia Jess. Mentre si avviavano per le strade della città,
Sarah riuscì a riagganciarsi a Gloria. La
strattonò per un braccio, facendole rallentare il passo: era
ancora, visibilmente agitata.
“Mi
devi una spiegazione..” le ricordò.
La
bionda la guardò, tra il confuso e l'allarmato,
aggrappandosi al braccio di Matt “Quando saremo al
caldo...Fammi riprendere! Te ne prego...”
“Che
le hai fatto?” domandò il moro fissandole
perplesso. Gloria era così coraggiosa e indipendente che
quell'atteggiamento gli puzzava.
“Io
niente!” disse innocente Sarah.
Attese
pazientemente che la combriccola occupasse tre tavolini nel loro bar
preferito. I toni aranciati del locale davano un senso di
familiarità al posto e le applicazioni futuristiche non
stonavano come si sarebbe potuto immaginare. Una volta che ebbero
ordinato, Sarah, sedutasi tra i due ragazzi, piantò i grandi
occhi verdi bistrati in quelli azzurri dell'amica4, seduta
esattamente davanti a lei.
“Ora
mi spieghi!” intimò.
“Cosa?
Cosa?” tubarono gli altri, curiosi
“Ma
cosa c'è da spiegare, scusa? Ho solo avuto paura per
te!” replicò l'altra seccata e imbarazzata.
“Cosa credi? Che ti avrei lasciata lì?”
Sarah
era esterrefatta. Non sapeva se credere che l'amica sapesse chi fosse
l'uomo che aveva incontrato o ipotizzare altre soluzioni.
“Di
cosa state parlando?” domandò Jess preoccupata,
affianco a Gloria.
“Quando
sono andata a vedere se era in aula...” spiegò
Gloria “L'ho trovata con...con lui...capisci?”
“Ahhhh
con lui...”
il tono e lo sguardo di Jess si fecero maliziosi. Sembrava pronta a
farle un terzo grado coi fiocchi quando Gloria spense ogni entusiasmo
“Non
lui, cretina!
Lui!”
spiegò la bionda
“Oddio...non
lui
lui”
Jess era ora tutta spaventata e spostava lo sguardo da Gloria a Sarah
come una pallina da flipper
“Proprio
lui!”
confermò la bionda
Sarah,
Sam e Matt le guardarono come se fossero state due mentecatte
“Scusa...”
chiese Sam pinzandosi le congiuntive e chiudendo gli occhi, come se un
forte mal di testa l'avesse colpito all'improvviso “Chi
è lui...” chiese sorridente “..e chi
è lui?” ripeté con fare allarmato,
facendo loro il verso.
“Ma
dai! Ma dove sei quando spettegoliamo?” domandò
Jess stizzita “Lui...”
spiegò sorridente “..è il professor
Grimm!”
Sarah
la guardò come se le avessero appena versato addosso una
secchiata di pesci rancidi, afferrando al volo i viaggi mentali che si
erano fatte le amiche “Guardate che tra me e
Immanuel...” cominciò che quelle partirono subito
in visibilio con cori sospirati
“Lo
chiama per nome!” dissero sognanti, dandosi gomitate nei
fianchi a vicenda.
Sarah
dovette trattenersi per non urlare “Non c'è
nulla!” concluse dura
“Sì
sì...” fece Gloria scettica “E
dov'eravate questo pomeriggio che non c'era nessuno a
lezione?”
“Siamo
andati a pranzo...” le scappò
“Uuuuu”
a quel punto anche i ragazzi si unirono al coro, ruotando sulle sedie e
stendendosi sui tavolini per riuscire a osservarla meglio.
“E
dove, dove?” chiese Matt sempre più curioso.
“Veramente
ha cucinato lui...” spiegò Sarah, mentre le
servivano il suo latte macchiato, a disagio sotto quei quattro paia di
occhi che indagavano maliziosi. Si morse la lingua troppo tardi: gli
amici erano già su un altro pianeta
“E
cosa ti ha preparato?” chiese uno
“Ma
chi se ne frega” disse un altro “...che
è successo??”
“Ragazzi!”
li bloccò, irritata per quelle stupide illazioni.
“E l'altro Lui?”
A
quel punto i due maschi si riscossero e squadrarono le ragazze che
avevano eluso così abilmente la domanda
“Maccome?”
sbottò la bionda “Nessuno di voi ha mai avuto il
piacere di imbattersi in Mister Tenebra?” domandò.
Quando i tre scossero la testa all'unisono, continuò
disperata “E' l'uomo più terrificante che abbia
mai incontrato. E' famoso, in università...lo evitano
tutti...c'è chi giura che, dopo essergli passato vicino,
forse indisponendolo, gli siano accadute una serie di disgrazie, una
dietro l'altra. E quegli occhi, poi...pare che durante una rissa si sia
preso un pugno così forte sull'occhio sinistro che ne ha
causato la dilatazione permanente della pupilla...” disse
rabbrividendo della violenza dell'uomo.
“Ah!”
si illuminò Sam “Dai, Matt...è quello
che noi chiamiamo lo spaventapasseri...ha i
capelli tutti sparati, vero? Lunghi e biondi?” chiese alle
ragazze che annuirono velocemente
“Se
stiamo parlando di lui, allora è comprensibile la reazione
di Gloria...” disse Matt, concentrato ad affogare la panna
nella cioccolata.
“Insomma...Sarah
se ne stava lì piantata a due centimetri da quel mostro e io
ho avuto davvero paura che lui la stesse per menare...”
riprese Gloria, agitata.
“Eravamo
a due metri di distanza!” precisò Sarah, seccata.
“Non
importa!” intervenne Sam “Due centimetri o due
metri...con quello non è mai abbastanza! Fai
attenzione!”
“Ma
non hai avuto paura?” domandò Jess allibita,
stropicciando i bordi dei polsini della felpa blu.
“Avrei
dovuto?” chiese perplessa. Quello che aveva provato era stata
principalmente irritazione. E un filo di attrazione, si concesse.
Continuava a non capire l'allarme degli amici: lei l'aveva conosciuto
in versione quasi abominevole, quando era più piccola. O
almeno, così era apparso ai suoi occhi.
Mentre,
ora, era costretta a cercare di vederlo come il buono della
situazione che avrebbe offerto ricovero a suo fratello.
Inoltre,
quella sera, l'aveva visto sotto una luce quasi umana. E attraente.
“Certo!
Sappiamo tutti quanto sei coraggiosa ma ti prego, sorella, fa
attenzione!” sbottò Matt.
“D'accordo...”
concesse lei, per niente spaventata “E come si chiama Mister
Tenebra? Così saprò se tagliare la corda da
lezione quando vedrò il registro”
“Io
il nome non lo pronuncio mica, di quello lì!”
disse Gloria con fare schifato.
Maccome?
Nessuno credeva nella magia. Tutti erano super tecnologici e veneravano
il cavo di rame come il dio in terra... e si spaventavano davanti a un
nome? Lei doveva
essere spaventata dalle parole. Lei. Mica
loro.
“Ok”
concesse Matt “Te lo scrivo...ma poi vado in bagno a
bruciarlo...non si sa mai che quello si incazzi e mi faccia nero, se mi
scopre...”
Prese
una salvietta dal tavolo, stappò un pennarello coi denti e
scribacchiò il nome con caratteri cubitali, per esser certo
di non doverglielo leggere, data la sua orrenda grafia.
Sarah
prese il biglietto tra le mani per osservarlo bene, prima che Matt
sparisse di volata in bagno: non le diede nemmeno tre secondi che
gliel'aveva già strappato di mano. Fece appena in tempo ad
alzare lo sguardo per vederlo curvare l'angolo e sparire alla vista.
Rimase
perplessa a fissare il vuoto. Tra le sue mani campeggiava ancora la
scritta Herrscher
Gareth.
Il
nome era similare... ma il cognome? Sembrava una presa in giro bella e
buona. Lei sapeva solo quattro acche di tedesco, come di giapponese,
francese, italiano e latino, e solo perché riguardavano le
sue passioni e i suoi studi. Ma “Sovrano Jareth”
era la traduzione meno improbabile e più banale che potesse
aspettarsi da quell'egocentrico di un mago: sembrava quasi il nickname
di un adolescente che crea un account per la prima volta.
E
poi c'era quello stupido gioco infantile di somiglianze col nome di
Esher.
Patetico!
Chiuse
gli occhi, archiviando l'argomento. Che fosse davvero lui o meno, non
voleva averci niente a che fare.
“Ma
Matt quanto ci impiega?” sbottò Sam dopo cinque
minuti, pronto ad alzarsi per andare a vedere la situazione. Il moro
uscì giusto in quel momento, zoppicando.
“Che
ti sei fatto?” chiese allarmata Jess, facilmente
impressionabile
Lui
saltellò fino al tavolo e una volta che si fu nuovamente
accomodato sibilò un'imprecazione “Lo sapevo che
non dovevo averci nulla a che fare! Ho tirato l'acqua dopo aver
bruciato il foglietto e cosa mi succede? Finisco gambe all'aria nel
cesso... non bastasse, urto il cestino del lavandino, sparpagliandone
tutto il contenuto in giro, che a sua volta va a sbattere contro il
portasapone...che casino...” cominciò, finendo,
poi, per raccontare come avesse cercato di risistemare tutto alla
meglio “Non mi son fatto nulla, solo una gran bella botta al
ginocchio...però, per la festa non so se sarò in
condizioni di partecipare...”
“Vuoi
che ti porti in ospedale?” si premurò Jess
già pronta con le chiavi dell'auto in mano
“No,
tranquilla...ma uno strappo a casa lo accetto
volentieri..così ci metto del ghiaccio...” rispose
lui grato della gentilezza e seccato dell'accaduto, guardando poi
Gloria di sfuggita, quasi a chiederle un permesso che lei avrebbe
ovviamente concesso “Visto Sarah? Te l'avevo detto..meglio
non averci nulla a che fare...solo per aver tentato di bruciarne il
nome mi ha scagliato un qualche maleficio...brutto
bastardo...”
La
mora sollevò un sopracciglio, sempre più
scettica: non poteva essersi trattato solo di una coincidenza? Suola di
gomma, pavimento bagnato e scivoloso e la foga di tornare in sala...Era
una spiegazione più che logica. Perché scomodare
la magia?
Visto
che Matt stava poco bene, decisero di salutarsi lì
“Domani
non vengo...” li informò Sarah “Devo
sbrigare delle commissioni e poi viene mio fratello a casa...”
Gloria
la guardò di sottecchi “Non è che devi
vederti con lui??”
domandò maliziosa
“Può
essere” rispose vaga lei “Ora scappo che mi devo
preparare la cena.”
Così
dicendo, voltò loro le spalle e si avviò verso
casa.
Si
infilò gli auricolari e accese il lettore Mp3. La canzone
che le venne proposta, con una punta di cattiveria, mirava a farla
sentire in colpa e ricalcava, in soldoni, quello che le aveva detto il
professore poche ore prima.
Spense
subito e ricacciò l'aggeggio in tasca, incurante di annodare
il cavetto delle cuffie. Avrebbe contemplato il silenzio.
Eppure
quella triste voce femminile, carica di quella disperazione rabbiosa di
chi è stato tradito, lei la percepiva come bassa, maschile,
suadente... la sua voce.
Continuava a cantarle nella mente, torturandola lentamente, rievocando
un ballo in maschera da sogno. E a incolparla per la sua freddezza.
I
was romantic, so silly and blind
I
told the world that true love had a name
But
all that is left now is pity and shame
One
of us is winterhearted
One
of us is cold as ice
One
of us is breaking hearts
And
it's not me5
[Io
ero romantico, così sciocco e cieco/ Dissi al mondo che il
vero amore aveva un nome/ Ma tutto ciò che resta, ora,
è solo compassione e vergogna
Uno
di noi due ha ibernato il proprio cuore / Uno di noi due è
freddo come il ghiaccio/ Uno di noi due è colui che infrange
i cuori/ E non sono io]
1
E' l'età che aveva David Bowie quando girò il
film: è del '47
(non so dove mi sono sognata che era del 55) quindi...nell'86 ne aveva
39...grazie Gio! ;)
2
Non sorprendetevi: dato che pare che
sia l'unica ad aver fatto università alternative vi dico
solo che in
una semplice Lettere e Filosofia c'era veramente di tutto, compreso
gente che con la neve alta un metro girava con i sandali...
3
Visto che l'originario cognome di Magneto (Lehnsherr) rischiava di far
casino con Hersherr (il cognome fittizio di Jareth), l'ho cambiato col
cognome, sempre di un personaggio degli X-men, Wolverine: James Howlett
detto Logan. Non trovate una certa assonanza col termine Howl?
4
Mi è stato fatto
-giustamente- notare, che in un primo momento
affermo che Sarah è truccata Acqua e Sapone e poi dico che
ha gli occhi
bistrati... bene. Chiarisco: con acqua e sapone, intendo una cosa
leggera (ma non troppo naturale da "sembra
che non sei truccata"), un
pò di mascara e un pò di eyeliner..poi dalla
singola il concetto di
semplice...perchè ci sono ragazze per cui già il
solo mascara+kajal è
troppo; con trucco pesante intendo rossetto nero e occhi da panda...da
vera dark lady.
Normalmente,
quando si parla di occhi bistrati si
pensa agli occhi da panda... ma non è esatto: il bistro
è un elemento
del trucco...come l'ombretto (occhi ombrettati...dipende quanti chili
ne piazzi sulla palpebra...). Io volevo rendere l'idea di occhi "non
sono semplicemente truccati; la sfumatura è quella del
cosmetico di un
passato remoto, evidente ma non per questo inelegante. E' una parola
ricercata per valorizzare un ornamento ricercato, di quelli che rendono
lo sguardo simile a quello dei gatti, sornione, sofisticato, magnetico.
Un trucco, insomma, connotato d'attraenza.". A me
è sembrata la
descrizione perfetta per Sarah. Cmq, relativamente presto,
verrà anche
spiegata meglio la differenza tra le sue due "anime"
5
Xandria, India, 11. Winterhearted
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - -
XD
Voi speravate che vi spiegassi tutto subito, vero? XD sì
sì...aspettate quanto volete...le spiegazioni verranno con
calma..una alla volta..abituatevi XD
:D
e dunque...non ho nulla da dirvi oggi :) -ho solo finito gli esami!-
a
presto!
|
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Capitolo 5 *** Secret Voyage ***
Sono
abbondantemente dentro i termini del 30% consentito per le song fic,
quindi credo possa valere anche per l'inserzione di testi musicali (Ho
usato solo 450-500 parole circa su 700, permesse in questo caso).
Chiedo scusa a tutti per la corposità del testo lirico ma,
questo, mi sembrava un passaggio fondamentale. Più avanti
capiremo perché. Ci saranno ancora esempi simili ma giusto
accennati (qui ascolta il cd per la prima volta e ho raggiunto il
massimo!). Mettervi solo i titoli delle canzoni, senza
contestualizzarli non mi sembrava rendesse l'idea: così
facendo ho focalizzato l'attenzione sui passaggi che mi/le
interessavano. In realtà, le canzoni citate sono molto
suggestive e suggerisco di ascoltarle durante la lettura. Almeno: io
ero in macchina col cd e mi veniva fuori la storia già
pronta con tutte le citazioni. Ma scrivere una storia traducendo
liriche non avrebbe senso: a me serviva comunicare i loro stati d'animo
(più avanti ci si mette anche Jareth)
Le
parti in nero sono quelle che autonome rispetto alle canzoni. Quelle in
blu riguardano le canzoni e, per quanto mi sia impegnata, è
preferibile ascoltarle, più che leggerne la descrizione. La
storia, comunque, è autonoma da questa
parentesi...anzi...forse anche da tutto il capitolo...per questo
aggiorno così presto, così me lo tolgo dai
piedi...(cioè..non ci tornerò sopra in seguito).
Perché l'ho messa se non è fondamentale?
Perché la povera ebete deve fare un percorso, come l'ha
fatto da piccola, per crescere! :)
Solo
che, sapete come si dice...più si invecchia, più
ci si fissa sulle proprie posizioni e più diventa difficile
cambiare...ecco perché lei ha bisogno di una luuuunga
riabilitazione...
PS:
non chiedetemi nulla di Marking... ù_ù tutto
sarà spiegato a suo tempo.
5-
Secret Voyage
Scesa
dall'autobus si concesse qualche minuto per osservare la luna piena che
svettava in cielo, illuminando a giorno anche le zone prive di
illuminazione. Era così bella che voleva imprimersela bene
nella mente per poi disegnarla appena ne avesse avuto occasione:la
metà superiore era limpida e dai contorni netti, la parte
inferiore era sfumata e sgranata come se si specchiasse nel mare o come
se un pennello granuloso vi fosse passato sopra carico d'acqua e ne
avesse diluito la luce spostandosi verso i tetti della
città. Rimase col naso all'insù finché
non si accorse che faceva più freddo di quanto le fosse
sembrato in un primo momento.
Una
volta a casa, il tiepido calore dei termosifoni appena accesi l'accolse.
“Buona
sera casa!” salutò le stanze vuote e buie entrando
e lasciando gli stivali in ingresso. “Buona sera
Marking!” Salutò il grosso cane nero,
più simile a un lupo che a un pastore belga, che
arrivò dal salotto, trotterellando. Lei affondò
viso e mani nella folta pelliccia aspirandone il tepore. Lui
batté la coda felice e le stampò una leccata in
faccia. Sarah rise: come sempre, da che era piccola, aveva
più affinità con gli animali che con gli esseri
umani, con cui non riusciva ad avere un rapporto sano e sincero.
Buttò
sulla poltroncina soprabito rosso e borsa e si infilò la
felpa che aveva lasciato lì alla mattina, cacciando quel
pensiero deprimente. Accese le luci in cucina e aprì il
portatile. Mentre il computer si avviava, cominciò a tirare
fuori dal frigo gli ingredienti che le sarebbero serviti per preparare
la cena. Il trillo di benvenuto la informò che il sistema
era operativo. Mollò tutto e, tirato fuori il nuovo cd dalla
borsa, lo infilò nel pc perché convertisse i file
audio in mp3, salvandoli direttamente sul lettore. Non ebbe tempo di
allontanarsi che l'operazione era già conclusa.
“Una
scheggia, come sempre...” si complimentò,
chiudendo il monitor e avviandosi nel salottino lì accanto.
Accoppiò lettore e impianto e tornò in cucina col
telecomando in mano. “Mi raccomando!” disse ad alta
voce “Non farmi scherzi anche tu, Iutrepi caro1! Voglio
solo i nuovi brani!”
L'impianto
non era dotato di comando vocale o di intelligenza artificiale: per
quanto Sarah avesse selezionato la cartella da ascoltare e avesse
scelto la modalità di riproduzione, sapeva che era sempre
meglio specificare all'entità che viveva nei supporti
elettronici, Iutrepi, cosa voleva che facesse.
Il
lettore non la deluse ma fece, comunque, di testa sua. Sentendo le note
dell'unica canzone, (sempre dello stesso gruppo) caricata per ultima
prima di quelle appena inserite, Sarah sorrise, inquieta: tra tutte le
canzoni, non era proprio il momento che le capitasse quella.
“Non imbrogliare!” disse pigiando il tasto skip
“Solo l'ultimo cd caricato!”
Iutrepi,
per una volta obbedì mansueto, partendo esattamente dal
terzo brano, laddove lei aveva spento in aula.
Sarah
cominciò a tagliare gli ingredienti tendendo bene l'orecchio
alla canzone. Anche quella parlava di lei, si disse. Ma,
anziché esserne offesa, se ne sentì protetta2.
And
when she smiles, a thousand dreams surround her
Dress
them in secrets no one can hold
[E
quando lei sorride, un migliaio di sogni la circondano/ Vestendoli come
(o trasformandoli in) segreti, nessuno può afferrarla/i]
Chi
diavolo erano? Come facevano a conoscerla così bene?
The
restless heart
Cries
when no one is listening
She's
waiting for someone
[Il
cuore irrequieto/ Piange quando nessuno è in ascolto/ Lei
aspetta qualcuno]
A
metà brano, due grosse lacrime decisero di traboccare dagli
occhi di giada e in quel momento Sarah capì che non ce
l'avrebbe fatta a prepararsi la cena. Si asciugò il volto
con la manica della felpa, rimise tutto al suo posto e ciò
che era già stato preparato in una vaschetta a parte per il
pasto del giorno dopo. All'ultimo decise di scaldarsi una semplice
tazza di latte con il microonde e in mezzo minuto aveva la bevanda
fumante in mano. Vi versò dentro del caffè
avanzato e spense le luci. Si sedette per terra, al buio, davanti
all'impianto stereo, decisa a dedicargli tutta l'attenzione che stava
reclamando da quel pomeriggio. Marking le si fece vicino e le si
acciambellò alle spalle, in modo che potesse poggiarvi la
schiena.
Aspettò
paziente il quarto brano. Quasi avessero saputo in anticipo che il
brano precedente l'avrebbe depressa, gli autori avevano messo in quella
posizione un brano decisamente allegro. Neanche il testo citava nulla
che potesse sconvolgerla ulteriormente. Un accenno velato ad amicizie
perdute, forse. Ma nulla di straziante anche se....anche se, comunque
vi era una frecciata ben camuffata anche lì3.
When
the sun starts to rise
We
will not hide our eyes
We'll
greet her with a kiss hello
[Quando
il sole comincia a sorgere/ non nasconderemo i nostri occhi/ La
saluteremo con un bacio d'arrivederci]
Erano
i suoi amici? Quelli dell'altro regno che le ricordavano la promessa
fatta? Si erano forse ripromessi di non piangere, quella mattina, al
castello, quando lei aveva proseguito da sola? Perché era
proprio l'alba, ora che ci faceva caso...
No,
si riscosse. Era solo una coincidenza.
Un
brano melodico accompagnò le sue riflessioni
finché la voce non tornò a cantare, delicata e
sicura, accompagnata da tamburi e trombe4.
She's
been gone since yesterday,
oh
I didn't care
never
cared for yesterday
fancies
in the air.
No
signs or Mysteries,
she
lay golden in the sun
no
broken harmonies
But
I've lost my way.
She
had Rainbow Eyes..
Love
should be a simple place
whispering
on the shore
No
clever words you can't defend
Return
never more.
[Lei
se n'è andata da ieri/Oh, non mi importa/Non mi è
mai importato del passato/Capricci e sogni nell'aria
Nessuna
traccia o mistero/ Lei sta, dorata, al sole/ Nessuna armonia
è rotta/ Ma io ho perso la mia strada/ Lei ha occhi
arcobaleno
Amore
dovrebbe essere qualcosa di semplice/ Sussurrando sulla spiaggia/
Alcuna argomentazione intelligente ti potrà difendere/ Non
tornerà mai più]
Era...
lui? Anche le
canzoni si prendevano gioco di lei. E ancora si sorprese a domandarsi
chi diavolo scriveva i testi. Cambiavano apposta per lei? O erano
così per tutti? Poteva mai essere?
E
se erano indirizzati a lei, doveva credergli? Accidenti!
Grosse
lacrime scendevano ora irrefrenabili. Sarah decise di non fermarle.
Erano dieci anni che cercava di non pensarci. Bel modo di festeggiare,
pensò con rammarico. Piangendo! E il pensiero di un amore
tanto intenso, non ricambiato (da lei!) le provocò una fitta
allo sterno. Solo ora riusciva a intravedere la portata di quanta pena
lui avesse provato.
“Lascia
solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri. Non hai
che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io
diventerò il tuo schiavo”
Ma
lei aveva mandato tutto in frantumi. Era quello che cercavano di
dirgli? No... lui non era mai stato sincero e ora, chissà
per quale ragione, era ricomparso nella sua vita. Tentando di piegarla
con le lusinghe.
Stanca
di sentire le false parole d'amore cantate dalle casse pigiò
skip ancora
una volta, in attesa. Non avrebbe più tollerato ingerenze da
parte di un cd nella sua vita. A costo di rifilarlo sotto il tavolo
come zeppa. E, se quello era l'andazzo, il pacco previsto in arrivo il
giorno dopo avrebbe fatto la stessa fine.
In
the midnight hour, You feel the power5
and
the circle starts again.
Now
question falls to you my friend:
no
beginning has no end,
will
we ever learn?
with
the world still turn?
will
the circle start again?
[A
mezzanotte, senti il potere/ e il circolo ricomincia/ Ora la domanda
ricade su di te, amico mio:/ nessun inizio non ha fine/ impareremo
mai?/ con il mondo che continuerà a girare?/ Il circolo
ricomincerà?]
E
ora... chi era che parlava? Si domandò esasperata, in una
lotta per la sanità mentale con un nemico invisibile. Era il
labirinto? Era la magia? Era il vecchio saggio?
“A
volte la strada dell'andata è la strada del ritorno”
Chi
è che esisteva da tempo immemore e le stava dando lezioni di
pazienza, di storia o di umiltà?
Il
brano successivo, pur non parlando esplicitamente (e quando mai lo
faceva, rimuginò indispettita), le rispose: era la magia che
cercava di parlare con lei. La magia, selvaggia, libera6...la
stessa che continuava a chiamarla da dieci anni.
La
stessa che...
Sarah
si accigliò. “Ancora?” pensò
rabbiosa mentre la musica continuava, passando di pezzo in pezzo,
risuonando allegra, come se il soggetto precedente fosse stato
riconosciuto e cantasse, ora, la gioia della sua accettazione. Ammesso
che il soggetto fosse davvero la magia, la stava informando, rimarcando
per la centesima volta in tutto il disco, che era destino che un certo
amore si compisse7.
Like
a river flows surely to the sea
Darling
so it goes
some
things are meant to be
take
my hand, take my whole life too
[Come
un fiume scorre sicuramente al mare/ Mia cara, così va (il
mondo)/ Alcune cose è destino che si compiano/ Prendi la mia
mano, prendi anche la mia intera vita]
“No”
rispose lei, skippando ancora per protesta mentre, nella sua mente, due
entità si scambiavano i ruoli: la magia cedeva la parola
proprio a lui. “Non esiste proprio!”
La
sua era una menzogna, una recita...lei, la magia...ma quando mai?
Figurarsi...
Lei
era solo una bambina. E lui, probabilmente, un essere millenario. Si
era preso gioco di lei. O almeno ci aveva provato. E lei l'aveva
sconfitto. Se anche ci fosse stata attrazione da parte di uno dei due,
di certo la sua sarebbe
stata enfatizzata dalla bruciante sconfitta. Affascinato da una
sfidante più forte di lui, voleva solo vincerla per
dominarla. Non era così sciocca, ora, da non sapere come
funzionavano certi meccanismi, certi rapporti tra le persone. Il suo
(di lui) era tutto fuorché amore.
Wishes
can come true when you wish with all your might8
[I
desideri possono diventare realtà, quando desideri con tutta
la tua forza]
No!
Si rifiutava di prestar ascolto a quelle parole menzognere che non
erano scritte per lei. Doveva convincersi di quello. Aveva
già desiderato una volta, con tutta se stessa. E nella
stessa occasione aveva dato per scontato che un certo Re fosse
innamorato di lei. Doveva bastare. Non avrebbe più
pronunciato alcuna parola al riguardo. Mai più.
Anche
se, forse, il desiderio era vivo in lei. Ma finché lei non
avesse parlato...forse...
La
canzone continuò, riproponendole sdolcinate dichiarazioni
d'amore, il contenuto troppo simile a quanto le aveva detto lui. Ma ora
il soggetto non era più il re: era un contadino.
La
canzone si stava facendo gioco di lei? Le stava forse chiedendo
“Se
fosse stato esattamente il contrario dell'uomo che ti trovasti davanti
dieci anni fa, la risposta sarebbe stata diversa?”
Nella
sequenza di brani e nella martellante riproposizione dello stesso
argomento, Sarah vedeva quasi la rabbia cieca della magia che non viene
assecondata o creduta. La magia come entità viva... un po'
come poteva esserlo Iutrepi... le stava parlando e lei, una mortale,
osava dubitare del messaggio che questa portava con sé.
Ora
si era fatta benevola, amica.
Temeva
di averla spaventata? La stava pregando di ascoltare quanto aveva da
dirle?9
She
passes the days one after the other
She
never sees, she never hears
Counting
the hours, her life is a rerun
A
series of failures rolled into one.
When
she was young she looked towards the future
Eyes
full of promise, a heart filled with joy
How
had her road twisted so harshly
Can
these two women be one and the same?
Once
she dreamed of romance
Once
she imagined she lived in a castle
Once
she held the world in her hands
Once
was a long time ago,
Far
far away.
[Lei
trascorre i giorni uno dopo l'altro/ lei non vede mai, lei non sente
mai/ contando le ore, la sua vita è una replica/ una serie
di fallimenti appallottolati in uno.
Quando
era giovane, guardava al futuro/ gli occhi pieni di promesse, il cuore
pieno di gioia/ Com'è diventata complicata la sua strada/
può questa donna essere una e la stessa?
Una
volta aveva sognato romanticherie/ una volta aveva immaginato di vivere
in un castello/ una volta aveva preso il mondo nelle sue mani/ Una
volta che fu molto tempo fa/ molto molto lontano]
Le
stava chiedendo di tornare la ragazzina che era stata? Di fidarsi? E di
chi? Di quell'essere?
Basta.
Era esausta. Quella lotta impari l'aveva fiaccata più di
quanto potesse immaginare.
Afferrò
il cellulare e compose rapidamente un messaggio. Quando stava per
inviarlo, si avvide di aver sbagliato a digitare metà delle
lettere che, col T9, aveva dato origine a tutt'altro tipo di frase. Non
perse tempo a leggere: cancellò e riscrisse con
più attenzione. Doveva assolutamente parlare con Immanuel.
L'ultimo
brano echeggiò triste nell'oscurità, come se si
fosse arreso, sconfitto, pregando che lei gli prestasse attenzione.
Come il messaggio che aveva appena cancellato, ma registrato da una
parte del suo cervello. Un messaggio che era una richiesta
disperata...ma non erano parole sue...erano parole di qualcun altro.
Qualcuno che cercava di attirare la sua attenzione. Aveva solo due
alternative per giustificare quel errore: il cellulare soggiogato alla
magia o le sue dita guidate da un cervello ormai drogato. E lei era il
tipo da non credere alle coincidenze.
I
have heard that eyes can reflect the soul10
And
pictures tell a thousand stories
But
when I look at you
Why
don't I feel it's true
There's
so much said in empty words
There
are people talking everywhere I look
No
one saying what they mean
Still
they talk anyway
When
there's nothing to say
There's
so much said in empty words
[Ho
sentito dire che gli occhi possono riflettere l'anima/ E le foto
raccontare migliaia di storie/ Ma quando ti guardo/ perché
non sento che è vero?/ Ci sono così tante cose
nelle parole vuote
Ci
sono persone che parlano ovunque io guardi/ nessuno dice quello che
intende realmente/ Continuano a parlare in ogni caso/ Dove non
c'è nulla da dire/ Ci sono così tante cose nelle
parole vuote]
“Quello
che si dice leggere tra le righe”, commentò lei
sarcastica, ripensando alle parole con cui il professore aveva
commentato la sua vittoria e alzandosi in piedi e andando a spegnere
l'impianto prima che la canzone arrivasse anche solo a metà.
Come i non detti possono lasciare adito a diverse interpretazioni: ecco
perché lì la parola
aveva un peso tale.
Non
voleva più saperne della magia.
Ma
non aveva chiuso il discorso dieci anni prima? Per tutta la giornata
sembrava ci fosse stato il tentativo, più o meno velato e
disperato, da parte del mondo magico di farsi vedere, ascoltare e
credere da parte sua. Ma perché? Le sfuggiva.
Di
una cosa, però, era certa: non si sarebbe fatta fregare
un'altra volta dalla stessa persona. O entità. O quello che
era.
Marking
la seguì docile e silenzioso in bagno, dove si
preparò per un sonno ristoratore, nella speranza che,
davvero, il giorno dopo sarebbe tutto finito e che lui, il
frutto delle sue ossessioni, sparisse dalla sua vita e che si rivelasse
essere una persona comunissima a cui la sua mente aveva sovrapposto
l'immagine di quel re tanto arrogante, giocandole uno scherzo di
cattivo gusto.
Si
stava lavando i denti, sovrappensiero, quando una constatazione le
attanagliò gola e bocca dello stomaco: il giorno dopo non
sarebbe cambiato proprio nulla. La consapevolezza di quello che aveva
appena fatto le provocò un calo di pressione, tanto che
dovette aggrapparsi alla ceramica bianca del lavandino per non franare
a terra.
Quel
giorno, quella sera... erano ancora all'interno del decimo anno...non
ancora nell'undicesimo. Lei aveva ascoltato il cd con un anno di
ritardo, ma sempre all'interno dell'arco temporale prestabilito.
Digrignò i denti, stritolando le setole sintetiche tra i
molari. Era stata una stupida a non pensarci prima, presa com'era
dall'euforia della presunta rottura del circolo.
Quel
giorno aveva anche rievocato tutta la vicenda insieme al professore e
la sera prima... “Oddio, che sciocca! Proprio quando dovevo
stare più attenta...”
Tutti
quegli elementi, assieme, non le facevano presupporre nulla di buono.
Cosa ne sarebbe stato di quel decimo anniversario e di tutto
l'undicesimo anno dall'evento incriminato?
Si
buttò a letto, sotto il piumino, intenzionata a leggere il
libro che Immanuel le aveva prestato. Leggendo il sonno sarebbe
arrivato prima, si disse convinta, lanciando un'occhiata al libro
lasciato a metà sul comodino, di cui leggeva solo un paio di
pagine a sera prima di addormentarsi.
Marking
saltò con tutto il suo peso sul letto, scodinzolante e le
piantò le zampe sulla schiena.
“No,
Mark, giù!” gli disse lei inarcando la schiena
“Non ci stiamo tutti e due!” Ma il cane aveva
già cominciato a raspare le coperte nel tentativo di farsi
largo sotto di esse. Sarah sbuffò, alzò un lembo
di stoffa e il lupo si infilò di buon grado sotto. Si
rigirò nel tentativo di trovare la sua posizione, quindi si
acciambellò sulla pancia della padrona che fu costretta a
mettersi in posizione fetale. “E va bene...”
acconsentì lei, affondando la mano nella criniera nera. Il
teatrino, il gioco delle parti, l'ammonizione del super-Io genitoriale
residuo si ripeteva ancora una volta, come ogni sera.
Stesa
su un fianco, si mise a leggere.
Dopo
ben tre ore, finito il libro, decise che, forse, era il caso di
dormire. Si accomodò a fianco al cane che giaceva accanto a
lei come morto. Poteva fargli quello che voleva: non si sarebbe mosso.
Era
sempre così, pensò, quando leggeva e non era
troppo stanca: perdeva la cognizione del tempo e diventava velocissima.
Si
rigirò a pancia in su. Aveva appena un po' di sonnolenza ma
si sentiva inquieta, come se qualcuno la osservasse. Sorrise
dell'improbabilità della cosa: aveva Marking accanto a
sé. Forse era il fatto di aver saltato la cena che le dava
quella strana sensazione. Ma, all'improvviso, Marking si
alzò in piedi, scoprendola del tutto, ringhiando
sommessamente in direzione della finestra.
Al
di là di essa, un barbagianni, di un bianco scintillante
contro il nero della notte, sembrava osservarla, flemmatico e assorto,
da quelle che potevano sembrare le cavità oculari di un
teschio. Il terrore si impadronì di lei. Forse era il film
della sera precedente, forse erano state le rievocazioni di quella
giornata, forse era il libro che aveva appena letto (in cui elfi
silvani e omini verdi erano la stessa cosa), forse...forse quello era
davvero lui che la
spiava come il peggiore dei guardoni.
Si
sentì girare la testa e crollò sul cuscino, il
mondo circostante ovattato e confuso. Avvertì appena il
frullo d'ali nella notte fredda e silenziosa. Era venuto a prenderla?
Come nel film. Entità aliene grigie o esseri magici come i
vampiri o come quello dei suoi sogni, cosa importava? Non c'era
differenza. Quei grandi occhi la stavano studiando con il medesimo
intento: rapirla.
Nella
sua testa cominciò a riecheggiare la canzone che aveva
scartato, con rabbia, quella sera. Non voleva sentirla e ora questa le
imponeva la sua presenza. Era certa che tutti gli impianti fossero
spenti. Ma allora da dove proveniva? Dalla sua testa? O era lui che
cantava, ancora una volta? Il testo era così ambiguo che,
per quanto lo conoscesse bene, non sapeva dire a chi fosse rivolto11.
October
reminds me of my home
The
cold nights I would wait all alone
Watching
leaves turning from green to gold...
The
waiting feels like eternity
When
waiting for love to come to me
Someone
to have, someone to hold...
Then
once in a million years
A
shining white knight will appear
Fairytales
are coming true
I
promise my heart only to you...
A
castle stands upon a hill
Our
eyes meet and time is standing still
Your
smile warmed me like the first summer sun
There's
color where once was black and white
There's
moonbeams where there was only night
I
knew then and there you were the one...
[Ottobre
mi ricorda casa mia/ Le notti fredde io aspetterò tutta
sola/ Guardando le foglie mutarsi da verdi in oro.../ L'attesa sembra
eterna/ Quando aspetto che l'amore venga da me/ Che giunga qualcuno da
avere, qualcuno da abbracciare....
Così
una volta ogni mille di anni/ Apparirà uno scintillante
cavaliere bianco/ Le favole diventeranno realtà/ Io ho
promesso il mio cuore solo a te...
Un
castello si erge sulla collina/ I nostri occhi si incontrano e il tempo
sembra fermarsi/ Il tuo sorriso mi scalda come il primo sole estivo/ Ci
sono colori dove un tempo c'era solo il bianco e il nero/
C'è un raggio di luna dove prima c'era solo la notte/ Ho
saputo subito che tu eri quello/a giusto/a]
1
Vuole essere la storpiatura di Euterpe, la musa della musica
2
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 3. Gilded
Cage
3
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 4.
Toast to Tomorrow
4
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 6. Rainbow
eyes
5
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 7. The
Circle
6
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 8. Sister
Gipsy. Gli
zingari sono da tempo immemore associati alla magia.
7
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 9. Can't
help falling in love
(l'originale è di Elvis)
8
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 10. Peasant's
Promise
9
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 11. Far
far away
10
Blackmore's Night, Secret
Voyage, 12. Empty
Words
11
Blackmore's Night, Beyond
the Sunset, 1. Once
in a milion years
-
- - - - - - - - - - - - -
Come
dicevo...nulla di fondamentale, giusto?
Bene...
a presto, con il consueto aggiornamento settimanale XD
|
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Capitolo 6 *** Just call my name ***
Salve
ragazze...Aggiorno oggi (venerdì) perché nel
weekend sono impegnata col trasloco...quindi, abbiate pietà
se non rispondo subito.
E
se avete saltato il 5° capitolo (che mi sembrava poco
interessante) non preoccupatevi XD sono io che, credendolo, appunto,
inutile e barboso, l'ho caricato a metà settimana per
arrivare a oggi con la vera e propria narrazione.
PS:
ci saranno altre due canzoni, se volete cercarvele su YouTube.
Buona
lettura!
6-
Just call my name
I’ll
Be There close your eyes
And
you'll see me
Just
call my name1
[Sarò
lì, chiudi gli occhi/ e mi vedrai/devi solo chiamare il mio
nome]
La
radiosveglia, collegata al lettore Mp3, profuse le note sommesse in
modo molto dolce. I sogni scolorivano nella realtà, il sonno
nella veglia. Era come essere cullate nelle acque di un lago immerso
nella nebbia.
Poi,
la chitarra ruggì impetuosa, reclamando la sua attenzione.
So
many nights I sat here waiting
There
were times I couldn’t go on
Still
my heart was anticipating
It
made me be strong
Made
me hold on…
There
were some calling me crazy
I’ve
been accused of being naïve
But
I don’t need no one to save me
Cause
I got you, you make me believe
I’ll
Be There in the night
when
you need me
Just
call my name
[Così
tante notti mi son seduto qui, aspettando/ C'erano giorni in cui non ce
la facevo ad andare avanti/Tuttavia il mio cuore si stava affrettando/
Ciò mi ha reso forte/ Ciò mi ha fatto resistere
C'era
qualcuno che mi chiamava folle/ Sono stato accusato di essere ingenuo
/Ma non ho bisogno di nessuno che mi salvi/ Perché io ho te,
tu mi fai credere
Io
ci sarò, nella notte/ Quando avrai bisogno di me/ Devi solo
chiamare il mio nome]
Irritata,
Sarah schiuse gli occhi alla luce del giorno che filtrava, rifratta, in
mille lame dalla finestra, a sua volta schermata dall'albero che vi
svettava davanti. Si tirò a sedere svogliatamente, si volse
verso il comodino e guardò l'orologio: erano le nove.
I’ll
Be There close your eyes
And
you'll see me
Just
call my name
I
don’t need to know the answers
I
don’t want to understand
We
were born to take the chances
I
know the truth when you hold my hand…
I
had waited a lifetime lost on the open sea
Praying
for an angel to be sent to me
[Ci
sarò, chiudi gli occhi/ E mi vedrai/ Devi solo chiamare il
mio nome
Non
ho bisogno di sapere la risposta/Non voglio capire/Siamo nati per
afferrare le opportunità/Conosco la verità quando
accetti la mia mano...
Ho
aspettato una vita, disperso nel mare aperto/ pregando
perché mi fosse mandato un angelo]
Quando
riuscì a connettere del tutto, si accorse della canzone che
Iutrepi, la fantomatica entità degli impianti stereo, le
stava propinando. Si accigliò, strizzando gli occhi,
infastidita. Di prima mattina, parole come quelle, parole cariche di
menzogne e di promesse che non sarebbero mai state mantenute, erano le
ultime che voleva sentire. Anzi, si disse spegnendolo in malo modo,
quelle parole non erano neanche per lei: il semplice fatto che qualcuno
giocasse coi suoi ricordi e con gli esseri che avevano popolato i suoi
sogni la faceva infuriare.
Lui non
avrebbe mai detto o pensato nulla del genere. Non di lei almeno.
Forse
era quello che la disturbava? Era convinta di non poter essere
abbastanza per lui?
No...ciò
che la infastidiva di più era il pezzo che non aveva
ascoltato2. E meno
male: era l'anniversario. Bisognava evitare al minimo, più
del solito, la possibilità di dire qualche altra scemenza.
La
radio, forse non spenta correttamente, tornò a suonare.
And
you tried so hard to save me
How
do you save someone from themselves
All
those years, wasted wishes
Drowning
in the wishing well…
25
years since I woke up trembling
25
years since that terrible dream
I
could see that the world was crumbling
Nothing
is ever as it seems3
[E
tu provasti così disperatamente a salvarmi/Come hai salvato
qualcuno da se stesso/ Tutti questi anni, desideri sprecati/ Affogando
nel pozzo dei desideri...
25
anni da che mi sono svegliata tremando/ 25 anni da quel sogno
terribile/ Potevo vedere il mondo sbriciolarsi/ Nulla è mai
come sembra]
Nulla
è come sembra! Ancora?? questa frase la perseguitava! E poi
non erano passati venticinque anni da quel sogno. Lei ne aveva
venticinque. Di anni ne erano passati solo dieci. Dieci anni di
desideri sprecati, dieci anni in cui era affogata nel pozzo dei
desideri, effettivamente.
Staccò
la presa di alimentazione per far tacere lo spirito di Iutrepi anche se
sapeva che, se era in vena di scherzi, nemmeno quell'espediente poteva
fermarlo.
“Ma
che diamine!” sbottò, levandosi le coperte
“E' solo frutto della mia fantasia! Perché non
dovrei essere alla sua altezza, se anche fosse?” Quindi,
parole antiche di dieci anni, tornarono ad affiorarle alla mente come
un pugno allo stomaco.
“Lascia
solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri. Non hai
che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io
diventerò il tuo schiavo.”
le aveva detto.
Ma
che accidenti aveva voluto dire? Tutto e il contrario di tutto. Doveva
essere davvero pazza per immaginarsi cose tanto contorte. L'alternativa
era che fossero vere. E tra le due, non sapeva quale opzione fosse la
peggiore. Visto che le era impossibile, al momento, cacciare
quell'immagine, si mise a riflettere sul significato di quella frase
che, dieci anni prima, aveva completamente ignorato.
Lui,
diceva, sarebbe diventato il suo schiavo in caso lei l'avesse temuto,
amato e avesse fatto ciò che lui le avesse detto. La seconda
condizione sembrava la più ovvia: se fosse stato per il suo
amore, che anelava, sarebbe stato disposto a fare tutto per lei, anche
mettere da parte il proprio orgoglio e inginocchiarsi a lei. Ma
perché temerlo? Perché fare quello che lui le
avesse detto? Sembrava tanto un discorso da marito-padrone.
A
meno che non cercasse di vederla nella sua regale ottica. Se si fosse
fidata di lui, facendo quanto lui le avesse suggerito, senza domandare,
scettica, spiegazioni su ogni cosa, allora anche lui si sarebbe fidato
di lei, avrebbe fatto tutto ciò che lei gli avesse chiesto?
Fece spallucce, dando per buona quella interpretazione.
Ma
rimaneva ancora la prima condizione. Perché mai avrebbe
dovuto temerlo? In un rapporto sano il terrore era ciò che
minava alle radici la stabilità, no?
Accantonò
il pensiero e si alzò, finalmente, dal letto. Si accorse
solo allora che Marking stava acciambellato sotto la finestra
anziché sul suo letto o nella cuccia ai piedi dello stesso.
Si
infilò le ciabatte, pronta ad andare in bagno, quando un
trillo al cellulare la fece tornare sui propri passi.
Controllò il messaggio mentre accendeva le luci di mezza
casa: era Immanuel che rispondeva a un suo presunto messaggio, dandole
appuntamento per un'ora e mezza più tardi per una sorta di
brunch. Guardò storto il piccolo monitor. Perché
dovevano vedersi?
Poi,
sotto la doccia calda, si ricordò del messaggio inviato la
sera precedente. A mano a mano che l'acqua le scivolava addosso
ricordò tutti gli strani accadimenti del giorno prima.
Uscendo,
con il telo avvolto intorno al corpo, decise che una parte dei suoi
ricordi dovevano essersi confusi con i sogni di quella notte. In
realtà era andata subito al bar con i ragazzi. Non aveva mai
incontrato nessuno in aula. E non c'erano stati barbagianni a spiarla
fuori dalla finestra. Quelli erano ancora i postumi della visione di
quel dannato film.
Ancora
una volta, però, c'erano troppe cose che non tornavano e non
avrebbe avuto alcun senso sognarsele. Decise che avrebbe accantonato
anche quel pensiero fino a che non avesse incontrato il professore. Si
infilò la biancheria e si diresse in lavanderia.
“Oggi,
bucato nero!” esclamò a Marking che l'aveva
raggiunta indolente “Stasera la faccio partire con la roba di
Toby. Anche perché noi ora andiamo in...” disse
con tono euforico mentre il cane cominciava a ramparle sulle sue gambe,
lasciandovi strisce bianche di pelle escoriata, eccitato per la
promessa sottintesa “...passeggiata!” Marking
abbaiò un paio di volte, scodinzolando con la coda grossa e
nera e piroettando su se stesso. Muoveva così tanta aria che
Sarah ebbe un brivido. Corse all'armadio e cercò i vestiti
per quella giornata. Da quel momento in poi, per una o due settimane,
finché non avesse nuovamente finito la biancheria, si
sarebbe vestita di colori chiari o pastello, in modo da riuscire a
riempire una lavatrice di biancheria con colori che potevano essere
lavati assieme4. Frugando
tra i cassetti, le passò per le mani il completo di quando
aveva fatto il suo viaggio fantastico, dieci anni prima. Le andava
ancora bene, nonostante fosse passato tanto tempo. Scartò
subito il pensiero di vestirsi come allora: l'obiettivo era staccarsi
da quel passato. Infilò, invece, una corta gonna a
portafoglio e un maglioncione avvolgente, entrambi di un grigio
melangiato ghiaccio scuro, da cui faceva capolino una camicetta a
fantasia rosata. Mentre infilava gli stivali grigio antracite dal tacco
medio, sentì suonare alla porta: era il corriere col suo
nuovo cd.
Corse
a ritirare la spedizione e, mentre infilava il cappotto,
riversò rapidamente il contenuto sul lettore. In cinque
minuti era pronta, con Marking al guinzaglio che scalpitava per uscire.
Sarebbe arrivata puntuale all'appuntamento col professore e alla loro
prima colazione.
“E
così lui è Marking...”
commentò Immanuel quando vide la ragazza arrivare insieme
alla sua guardia del corpo.
“Proprio
così...Marking, seduto!” ordinò dolce.
Quando il cane ebbe ubbidito, lo ricompensò con una carezza
e un complimento. “Ora, scusa un secondo...” disse
rivolta all'uomo posandogli una mano sulla spalla
“Marking?” chiamò perché
osservasse attentamente la scena “Immanuel - amico.
D'accordo? Amico!” Solo allora gli diede la
possibilità di muoversi. Quello, tranquillo ed educato,
andò ad annusare i pantaloni del terzo incomodo, ma non
mostrò alcun segno di aggressività
“Complimenti...”
fu il commento del professore “Entriamo dentro? Qui si
può...” disse indicando il lupo.
“Sì,
anche se fa abbastanza caldo da rimanere all'aperto” rispose
la ragazza “Ho bisogno di un angolino tranquillo per
parlarti...” lo informò destando la
curiosità del suo interlocutore.
“Mi
ha sorpreso ricevere un tuo messaggio...” disse lui, rompendo
il ghiaccio intanto che aspettavano la colazione. Marking giaceva ai
loro piedi beatamente distrutto dalla lunga passeggiata con la padrona.
Sarah annuì, silenziosa.
“Senti...posso
chiederti una cosa, prima di tutto?” disse lei all'improvviso
“Sono
qui per questo...” le fece notare lui cortese
“Ricordi
quando ieri ti ho detto..perché ne abbiamo parlato, vero?
Non mi sono sognata tutto un'altra volta?”
“Detto
cosa?” chiese lui non capendo dove volesse andare a parare
“Di
lui...di
quello che mi ha detto e come io gli ho risposto...” rispose
abbassando lo sguardo, imbarazzata
“Sì,
perché?”
“Ecco...puoi
darmene una tua interpretazione? Hai detto che ti ha fatto pena...non
capisco perché? Voleva soggiogarmi al suo volere. Ma ammetto
che ci sono due passaggi che non capisco...quando mi ha detto lascia
che io ti domini e non hai che da temermi...non mi
sembra il massimo del romanticismo...” spiegò
parlando tutto d'un fiato, come un fiume in piena che avesse rotto gli
argini: quelli della propria reticenza.
“Vedi...”
cominciò lui rigirando il cucchiaino nel caffè
senza zucchero “Io credo che tu abbia preso un abbaglio...No,
fammi parlare...” disse Immanuel notando lo sguardo
allarmato, schifato e incredulo dell'interlocutrice “Credo
che lui usi un tipo di linguaggio un po' datato5...e che
per questo si presti a fraintendimenti. O forse lo fa di proposito, non
posso saperlo...”
“Per
essere vago, è vago!” precisò caustica
lei
“Vedi,
penso che lui facesse riferimento al significato originale. Non voleva
dominarti, ma proporsi come tua guida. Non voleva che tu lo temessi ma
che tu fossi in ansia per lui. O che lo stimassi, a seconda della
sfumatura che voleva intendere. Oltre a desiderare il tuo amore e la
tua fiducia...”
“Sì,
sulla fiducia c'ero arrivata...” disse lei, arrossendo per la
sua ingenuità
“Quando
me l'hai detto, sarà che sono un po' più... vecchio
di te”
disse sorridendo amabilmente “...L'ho subito collegato con la
sua prima apparizione e ho pensato....mi ha dato
l'impressione...” si corresse “...di un amante che,
da bravo cavalier
cortese, non
può ambire a nulla di più della stima, dell'amore
e della fiducia della sua bella. E la fiducia comprende il lasciarsi
guidare come l'amore lo stare in pena per l'altro. A seconda della
prospettiva, però, si può intendere il cedere
lo scettro delle
proprie scelte, in virtù della fiducia che si ripone nella
propria guida, come un'abdicazione
alla propria volontà.
Rischiando di diventare, quindi, uno strumento nelle mani dell'altro.
Hai presente anche tu i molti casi in cui le due eccezioni sfumano
l'una nell'altra, no? Quanto allo stare in pensiero... beh...se io
fossi innamorato di te non chiederei nulla di meglio che tu stia in
pensiero per me...o che tu mi stimi...” disse serio
penetrandola con uno sguardo “Il che non vuol dire per forza
essere amato, ma essere considerato abbastanza importante da temerne la
perdita. Infatti, poi, l'ha specificato che voleva essere anche amato.
Non ha lasciato nulla di intentato...”
Sarah,
allibita da quella spiegazione così semplice e lineare, era
arrossita involontariamente, capendo, troppo tardi, cosa, con quale
audacia e con quale umiltà lui si fosse già
prostrato a lei.
Lei
che aveva infierito su di lui rimarcando il concetto della propria
indipendenza.
E,
quindi, di quanto non gli importasse di lui.
Parole,
dannatissime parole, che in quel regno avevano una potenza spaventosa.
E lei, fino all'ultimo non l'aveva capito: aveva confermato
ulteriormente la propria superficialità.
1
Blackmore's Night, The
Village Lanterne, 11. Just
Call My Name (I'll Be There)
2
La canzone infatti continua con
Now
the night don't last forever / Every moment is a song / 'Cause we face
the night together / Something this right can never be wrong [Ora la
notte non dura per sempre/ Ogni momento è una canzone/
Poiché abbiamo
affrontato la notte insieme/ Qualcosa di ciò che
è giusto, non potrà
mai essere sbagliato]
Interpretatela
come volete: una notte
passata in compagnia o una nuova avventura insieme? Inoltre anche la
seconda strofa è, in realtà, chiave della
soluzione della presenza di
Iutrepi nella vita di Sarah
3
Blackmore's Night, The Village Lanterne, 1. 25 years
4
Ammetto: è quello che facevo quando vivevo da sola
ù_ù;;;
5
Effettivamente
il linguaggio usato da Jareth è un Inglese di tipo
“shakespeariano”:
nobile e datato, non certo gergale come quello di Hoggle. Quindi posso
tranquillamente pensare (e lo farò, dandolo per scontato
d'ora in poi,
che vi piaccia o meno) che il suo “Fear me” si
possa leggere nel senso
arcaico di “regard (God) with reverence and awe”
dove awe è “a feeling
of reverential respect mixed with fear or wonder”. Tradotto:
considerami figo e potente, ovvero, “ammirami! Devo essere il
tuo
campione, il migliore ai tuoi occhi”.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccomi
qui. Non ho nulla da aggiungere a quanto scritto finora. A parte che
spero che possiate condividere la mia interpretazione.... :)
ahh...
se qualcuno fosse curioso... e so che lo siete XD e volete spoiler, vi
consiglio di andare sul mio “sito” -fatto per
l'esame, non pensate sia chissà che- (ho caricato il link
anche nella pagina dell'autore CMC): ho
caricato le foto dei disegni che faccio a lezione o in treno... mi
raccomando...solo per cuori forti :)
alla
prossima settimana!
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Capitolo 7 *** L'attesa ***
7- L'attesa
Erano
ormai le undici passate e la lezione era già alla sua
prima pausa.
Di
Sarah neanche l'ombra.
Sbuffò
indispettito e annoiato, buttato sul banco in cima
alla gradinata, le gambe accavallate in maniera quasi volgare. Quelle
lezioni umane erano una tale barba che si domandava come facessero a
trovarle interessanti o complicate: lui le trovava tremendamente banali
e ridondanti.
Notò
con piacere che nessuno era andato a sedersi vicino a
lui. Aveva un raggio di autonomia di due posti a sedere per ogni lato.
Ghignò soddisfatto: almeno non aveva perso tutto il suo
potere se riusciva a ottenere quell'effetto e a manipolare le loro
menti, falsificandone, all'occorrenza, i ricordi. Gli ignari umani lo
tenevano a distanza per una naturale reverenza. O paura. Ma non gli
importava: per lui era lo stesso.
L'unica
persona di cui gli interessasse il giudizio e l'unica su cui
non avesse alcun ascendente era l'unica assente.
Strizzò
gli occhi, concentrato. Magari gli era sfuggita.
Magari, soggiornando tanto a lungo tra gli umani ne aveva acquisito i
difetti... come la miopia: gli era già successo, in passato,
di venir influenzato dalla crudeltà delle creature che aveva
governato.
O,
magari, da un giorno all'altro lei si era rasata i capelli
tingendoli di verde per non farsi riconoscere da lui. Ma
perché avrebbe dovuto scappare da lui? Non le aveva forse
dichiarato il suo amore sperticato solo un anno prima?
“No..”
si riscosse “Un anno
nell'Underground...dieci nel mondo umano...”
sbuffò ancora. Un mese equivaleva a un anno. Anche se poteva
sembrare apparentemente illogico, loro
avevano adottato la suddivisione dell'anno in soli dieci mesi basandosi
proprio sui primi calendari umani1.
In
ogni caso non aveva nulla da temere da lui. Eppure... gli sfuggiva.
Continuava a fare la preda.
La
lezione ricominciò e le persone che tornarono a popolare
l'aula erano esattamente le stesse di prima, forse anche un numero
sensibilmente inferiore. Si buttò giù, pronto a
schiacciare un pisolino: essere senza poteri e vivere nel mondo e al
modo degli umani era terribilmente stancante. Doveva ammettere che
erano creature coriacee se quello, per loro, non era nulla
più che routine. L'occhio azzurro, libero di studiare
intorno da sopra la spalla, osservò i presenti da dietro la
cortina dorata dei capelli lisci.
Erano
tutti ugualmente banali, anonimi, privi di colore. Avrebbe
identificato Sarah tra milioni di persone: lei possedeva una luce
particolare, calda e dorata... lei credeva nonostante fosse anche
convinta (o volesse...cercasse di convincersi) che il suo viaggio
nell'Underground fosse stato solo un sogno. Credeva al punto di non
pronunciare mai nulla che potesse essere ricondotto al mondo magico,
aveva imparato a soppesare le parole. Ma sembrava aver sviluppato una
specie di fobia per i barbagianni.
Jareth
si intristì e ripensò ai loro incontri
fugaci di quando era bambina., di quando ancora non sapeva chi si
nascondesse dietro il rapace che ogni giorno presenziava alle sue
recite. Già allora la sua presenza la metteva in agitazione.
E, d'altronde, il barbagianni era comunemente associato alla morte, per
via dei grandi occhi neri che sembravano ritagliati nella soffice
figura bianca.
Il
suo sguardo vagò per la sala, in cerca di qualcosa di
interessante da osservare per far passare il tempo. C'erano altri
individui buttati, come lui, sul banco a dormire. Accanto a uno di
questi scorse una figura che non gli era del tutto nuova: era la
ragazza che, il giorno prima, era comparsa a reclamare Sarah
interrompendo la loro rimpatriata.
Richiamò
alla mente quei momenti. La rivide entrare in aula,
sorpresa della sua vuota desolazione. Non era stato un incontro
programmato ma, si disse, doveva esserci davvero qualche filo rosso che
li congiungeva.
Si
diede dello stupido nel ricordare il proprio sgomento. Lui, re di
Goblin, era il primo a non credere a certe sciocchezze e quell'umana
l'aveva sconfitto proprio per quello: la sua fede era più
forte. Non uguale, come si ostinava a sostenere. E la cosa era molto
più grave di quanto potesse apparire a terzi: il re di
Goblin, una creatura magica che diffida del fatto che particolari
condizioni non possano non essere casuali, era in netto svantaggio su
una misera umana che aveva rotto ogni schema della propria
realtà sensibile per abbracciare tout
court qualcosa
di sconosciuto. I ruoli, ancora una volta, avrebbero dovuto essere
invertiti.
Aveva
riconosciuto la sua presenza ad occhi chiusi. Un anno di digiuno
da quella sensazione e la fame era tornata prepotente a divorarlo.
L'aveva osservata di nascosto, indeciso se rivolgerle o meno la parola.
Cosa poteva dirle dopo un anno, metà del quale passato su un
letto in stato di totale infermità? Cosa e come poteva dirle
dei suoi poteri?
L'aveva
vista infilare quel disco argentato nella fessura di una
scatola nera e mettersi in attesa. Compiaciuto, si era tirato a sedere,
riconoscendo quelle note. La musica che lui aveva
scritto,
dettato, suggerito per lei.
Lei era la chiave di tutto. Anche nel periodo di incoscienza qualcuno
aveva raccolto i suoi pensieri. E aveva avuto la brillante idea di
inviarglieli, a intervalli regolari.
Quella
canzone2, come
tutte le altre, erano la
materializzazione dei suoi pensieri. Lui si era perso nel mare
cristallino dei suoi occhi color acquamarina come se fosse una barca
alla deriva nella tempesta. Aveva voluto vedere il loro futuro nelle
sue amate sfere. Ma sapeva bene che ciò che esse gli
rimandavano erano solo i suoi desideri di un futuro assieme. Aveva
invocato tutte le forze magiche perché lo assistessero,
perché gli dessero una mano a liberarsi di quel passato che
lo aveva tanto provato, fisicamente e mentalmente. Aveva scomodato
chiunque, ancora una volta aveva messo sottosopra il suo intero mondo e
non si era fermato nemmeno davanti alla degenza forzata. Ma alla fine,
dopo ben un anno, era tornato da lei. Quando si era reso conto di
quanto tempo fosse passato in realtà era ormai tardi: la
stava osservando cantare. Era una donna, non più la
ragazzina che aveva maledetto essere troppo giovane quando l'aveva
invocato... che non aveva saputo resistere un paio d'anni. Ora il
divario era colmato3. E lei
era sempre
più stupenda. Ne era rimasto ipnotizzato. Più
dalla sua presenza, dalla sua essenza che dalla sua
fisicità. Certo, aveva notato anche quella, in un secondo
tempo. E ne era rimasto piacevolmente sorpreso: non avrebbe mai creduto
possibile che Sarah, la sua coraggiosa e ostinata Sarah, potesse
prediligere colori scuri e aggressivi come quelli. Ma perché
non avrebbe dovuto? Eppure sapeva di come fosse affascinata dal mondo
magico e di come, in quegli anni, si fosse avvicinata a tutto
ciò che potesse ricordargli quell'esperienza. Anche se
proclamava di voler solo dimenticare.
Dapprima
le musiche celtiche, quindi quelle etniche in generale, poi il
rock, l'heavy metal e il gothic. In tutte ritrovava passaggi
nostalgici: una rullata di batteria come una cavalcata selvaggia, il
clangore assordante delle chitarre come il ricordo della battaglia alle
porte della città. E poi, quegli stessi generi racchiudevano
al loro interno un'anima struggente che, quando si lanciavano nelle
ballate, riuscivano a farla piangere di commozione. Ancora, aveva letto
libri e guardato film di ogni genere, in cerca di costumi o sensazioni
familiari, dai più scontati fantastici alla fantascienza,
come quello che l'aveva turbata la sera precedente. La sua anima aveva
fame di qualunque cosa potesse alimentarne la fantasia. E di
conseguenza, anche il suo abbigliamento aveva subito pesanti influenze.
I corsetti, l'uso smodato di capi in pelle, mantelle e cappotti lunghi
fino ai piedi, gonne lunghe fino a terra come corte da far arrossire il
più smaliziato dei Goblin, calzature come stivali morbidi
rimborsati o rigidi e marziali come quelli da equitazione. Tutto, in
lei, trasudava voglia di fantastico. Per non parlare della sua scelta
in fatto di studi.
Addirittura,
poco tempo dopo il suo viaggio nell'Underground aveva
chiesto di poter prendere lezioni di falconeria, di equitazione e tiro
con l'arco: il suo rapporto onesto con gli animali l'aveva aiutata ad
ottenere risultati discreti ma, scoprendole essere attività
meno romantiche di quanto avesse creduto, le aveva presto abbandonate.
L'unica cosa sensata che lui si sarebbe aspettato da lei era che
chiedesse lezioni di danza. Invece, stranamente, aveva fuggito
quell'idea e aveva smesso di recitare, forse per evitare di incorrere
in altri strani sortilegi, buttandosi sulla scrittura: non voleva
essere una bambola in mano d'altri, la sua Sarah, voleva comandare.
Sorrise al pensiero di lei, ragazzina, impettita davanti a lui. Si
chiese, semmai avessero avuto un rapporto di coppia, come si sarebbero
comportati due orgogliosi e indipendenti come loro. L'Underground
avrebbe probabilmente tremato continuamente per le loro litigate
furibonde. O forse si sarebbero ammansiti entrambi al punto da
liquefare anche il più granitico dei dissuasori sotterranei.
Di
una cosa sola non sapeva se essere contento o amareggiato: non aveva
mai avuto nessuna presenza maschile significativa al proprio fianco
nonostante qualche storia del tutto irrilevante. Sapeva, fin troppo
dolorosamente, quanta influenza avessero i suoi trascorsi familiari in
quella faccenda. Ma una parte di sé non riusciva a
tranquillizzarsi: era forse colpa/merito suo se la ragazza non trovava
nessuno alla sua altezza, nessuno abbastanza interessante da destarne
la curiosità? In realtà era preoccupato anche
dalle fragili amicizie che intratteneva: duravano tutte poco meno di
due anni, le cambiava vorticosamente come se fosse in cerca,
inconsciamente, di novità, di sensazioni fresche e di
affidabilità. Cosa che veniva sempre a mancare dopo poco
tempo, quando gli amici,
entrati ormai in confidenza, si prendevano il lusso di sfruttarla
troppo, senza darle nulla in cambio: che fossero soldi, attenzioni,
confidenze. Tutti sembravano succhiarle la vitalità e quando
lei se ne accorgeva, decideva di troncare i rapporti o almeno di
prendere le distanze. Certo, conosceva persone da dieci anni, ma alla
fine erano tutte amicizie superficiali: per quanto potesse parlare dei
suoi problemi con tutti, in realtà non apriva il suo cuore a
nessuno. Piagnucolava e faceva la voce grossa ma nessuno l'aveva mai
vista piangere disperata né l'aveva mai vista terrorizzata o
furibonda; tutti la ricordavano come una persona solare, sempre
sorridente e positiva. Jareth si chiedeva se quella non fosse una
maschera che lei stessa aveva indossato per paura di restare
eccessivamente ferita.
L'unico
essere che un po' temeva e per cui provava un po' di
gratitudine era quello strano professor Grimm: c'era una strana
complicità tra i due. Ma l'indagine di Jareth non riusciva
ad andare oltre essendo praticamente senza poteri.
Si
riscosse quando percepì che si era ormai giunti a fine
lezione.
Sarah
non si era vista. E non aveva la più pallida idea di
come e da dove cominciare le ricerche. Poi, l'illuminazione.
Si
guardò intorno: era vicino all'uscita ed era privo di
impedimenti di sorta. Constatò come gli fosse relativamente
semplice sgattaiolare via di lì prima di tutti gli altri per
attuare uno dei suoi piani improvvisati. Così, con regale
eleganza felina, si alzò in piedi poco prima del resto della
classe e in breve fu in ingresso in paziente attesa.
Imbarazzo,
sgomento, compiacimento...le emozioni più diverse
le affollavano la mente.
Jareth
si era davvero dichiarato, quella volta? La spiegazione che le
aveva fornito l'uomo davanti a sé non faceva una piega e
incastrava ogni tassello nel proprio scomparto, armonizzandosi con gli
altri. Eppure, non lo credeva davvero possibile...A quel punto, forse,
sarebbe stato meglio che il tutto fosse stato solo la proiezione del
suo inconscio: lei che sognava il principe azzurro
che doveva
innamorarsi
di lei. D'altronde, nel suo strano rapporto con gli uomini, non poteva
certo desiderare una preda/cacciatore semplice e facile: lei poteva
vedere l'uomo solo come il nemico. Un nemico da vincere,
soggiogare...annientare. Sotto qualunque aspetto.
“Beh?”
chiese il professore notando il nuovo
mutismo della ragazza
“Niente...”
biascicò lei, non sapendo
cosa pensare realmente: se avesse accettato la realtà del
suo sogno, avrebbe dovuto fare i conti con un uomo che languiva per
lei; se avesse dato per buono il fatto che l'esistenza dell'Underground
fosse solo un'allucinazione collettiva sua e della famiglia Grimm
avrebbe dovuto far pace con la sua follia.
“Era
tutto qui quello di cui mi volevi parlare?”
chiese lui addentando una pasta piena di crema.
“No..in
realtà no...” riuscì
a dire lei, destandosi dalla trance. L'aveva chiamato per parlargli
delle strane coincidenze occorse il giorno prima. Ancora una volta non
sapeva scegliere: sogno o realtà? “Volevo parlarti
di...giuri di non prendermi ulteriormente per matta?”
“Sarebbe
un po' troppo tardi..” disse lui
sorridendo “E poi, finora, tra i due il più matto
dovrei essere io, che ti do spago. Ho anche dimostrato che il tuo sogno
non era poi così immaginario...”
“Bene...”
disse lei, stropicciando il bordo della
gonna con dita tremanti e nervose, maledicendo la sicurezza che lui
mostrava verso la questione “Se ti dicessi che è
tornato...mi crederesti?”
Immanuel
rimase con il bicchiere di spremuta sospeso a mezz'aria.
“Chi
è che è tornato, scusa?”
chiese, come se non avesse proprio sentito una parte del discorso
“Lui!”
disse seccata
“Sei
sicura?” domandò lui scettico.
“Più
che certa...” disse carezzando il
testone peloso che Marking le aveva posato in grembo senza
difficoltà “Si fa chiamare Herrscher Gareth... o
almeno così hanno detto i miei compagni del corso di arti
visive.”
Immanuel
annuì “Sì, so cosa vuol
dire... Sovrano Gareth, eh? Un po' patetico...”
“L'ho
pensato anch'io...Solo che...ecco...” era
così tremendamente imbarazzata che non sapeva da dove partire
“Con
calma, va con ordine. Allora...” le
suggerì lui.
Sarah
trasse un bel respiro, stringendo tra le mani ciocche di criniera
nera e raccontò dal principio, partendo dalla strana
coincidenza con cui, da dieci anni, uscivano regolarmente i cd che
tanto le piacevano. Arrivò a spiegargli di come volesse
ascoltare il penultimo il giorno appena passato, durante l'attesa prima
dell'inizio delle lezioni del professor Howlett . Di come il giorno
prima fossero stati ancora nel decimo anno e di come lui le fosse
comparso innanzi. Enunciò il breve scambio di battute che
era incorso tra loro, le informazioni che le avevano fornito i suoi
compagni, l'incidente occorso a Matt dopo che aveva bruciato il
biglietto, di come Iutrepi si ostinasse a proporgli determinate canzoni
e di come, quella notte, avesse sognato un barbagianni spiarla dalla
finestra.
“Avevo
sognato che Marking si alzava per cacciarlo...Avevo
pensato fosse frutto della mia immaginazione. Che fossi rimasta troppo
impressionata da quel film, Il
quarto tipo, e da
questo libro...” disse facendo
scivolare sul tavolino il libro che il professore le aveva prestato
solo il giorno prima “E che si fosse ripetuto il copione di
dieci anni fa...”
“Lasciami
indovinare...a suo tempo avevi letto Sendak? Nel
paese dei mostri selvaggi4?”
“Tra
i tanti...solo che lì il protagonista
è il bambino rapito, non la sorella cattiva che ne chiede il
rapimento...Insomma...pensavo di essermi sognata tutto un'altra volta.
Ma quando mi son svegliata Marking non era nei soliti posti, ma quasi
di guardia davanti alla finestra.”
Il
professore rimase in silenzio per un po', i gomiti puntellati sul
tavolino e le mani incrociate davanti agli occhi, riflettendo su tutta
la confessione mentre la ragazza portava a termine la sua colazione.
“Una
domanda, se permetti...” chiese fissando la
copertina del proprio libro “L'hai già
finito?”
“Sì”
rispose lei candidamente
“Quando leggo con curiosità, e non per
addormentarmi, perdo la cognizione del tempo e vado velocissima...l'ho
finito in tre ore”
Immanuel
la guardò sbigottito: quella era la trilogia
completa e per quanto scritta con linguaggio semplice e lineare, tre
ore erano un po' troppo poche.
“Mi
succede sempre...” si giustificò
ancora lei “A volte mi sembra quasi di tornare lì...di
essere un po' come Bastian...di avere davvero poteri magici che si
svegliano durante la lettura...”
“Forse
è perché metti a tacere uno
degli emisferi cerebrali...5”
bofonchiò, tossicchiando, il professore, già
riconvertitosi in ricercatore “Mah...”
sbuffò alla fine, tornando all'argomento principale
“Fondamentalmente, vuoi sapere cosa ne penso dell'incontro di
ieri, no?” disse, ricapitolando.
“Sinceramente?” chiese guardando la ragazza che, lo
si capiva dallo sguardo da cane bastonato, sperava (paradossalmente)
che la risposta fosse una conferma della propria pazzia.
“Credo che sia tutto vero e che presto ti troverai a vivere
un'altra mirabolante avventura...” disse ridendo, cercando di
sdrammatizzare
“Cosa
può volere da me?”
sbottò quella esasperata, come se non avesse minimamente
colto il tono scherzoso di lui “Se teniamo buono il gioco di
dieci anni fa...beh..io l'ho vinto..lui non può avanzare
pretese. Semmai, sono io che potrei convocarlo, ma mi sono ben
guardata, in tutti questi anni, dal pronunciarne il nome o dall'evocare
qualunque immagine che potesse avvicinarsi a quel regno.”
“Questo
non te lo so dire...” ammise l'altro
sconsolato “Ma credo che il motivo possa essere abbastanza
importante per spingerlo qui...”
Un
lampo passò nello sguardo intenso della fanciulla che
sibilò appena un nome “Toby!” mentre gli
occhi correvano veloci sull'orologio a parete. Era già
mezzogiorno. Doveva tornare a casa per le cinque del pomeriggio: fino
ad allora sarebbe stato al sicuro. O almeno così sperava.
“Non
credo gli farà nulla...” disse
Immanuel alzandosi dal tavolo. Sarah alzò veloce gli occhi
verdi su quelli neri di lui che le sorrise dolce. “E' venuto
sicuramente per te...” disse prendendo anche il libro che lei
aveva lasciato sul pianale “Ha contattato solo te. E si
è addirittura infiltrato in università...se
avesse voluto lui, sarebbe andato direttamente lì,
approfittando, anche, della vostra reciproca lontananza, no?”
Quelle
parole sembrarono scioglierle il nodo che le aveva chiuso
improvvisamente lo stomaco. Se era lei che voleva, non c'era alcun
problema: qualunque fossero le sue intenzioni, lei era pronta ad
affrontarlo. Ma Toby? Non doveva permettersi nemmeno di sfiorarlo con
lo sguardo o sarebbe stata la volta buona che gli avrebbe messo le mani
addosso.
“Tranquillizzati...e
vediamo di spicciarci con la nostra
ricerca... così puoi tornare a casa per tempo...”
1
Discorso lungo e complicato. Se non mi
credete, cmq, la mia fonte è
Alfredo Cattabiani, Calendario,
Milano, Mondadori, le pagine
introduttive.
2
Tornate al capitolo 3, se non ricordate.
3
Essendo
Jay una creatura millenaria, faccio finta che dimostri circa 30 anni
(tutto per colpa di un errore di calcolo a inizio fic sulla reale
età
di Bowie nel film). Avendone lei 25-26 sono ora moooolto più
simili
rispetto a quando ne aveva 16...
4
E' il libro da cui fu tratto realmente
spunto per il film. Nel
paese dei mostri selvaggi
Dallo
stesso, citato in diverse opere, è stato tratto anche
un film, uscito di recente, Nel
paese delle creature selvagge
5
Notoriamente,
quando si disegna, legge, guida, si fa Yoga etc (intendendo con queste
attività quelle in cui si entra quasi in trance tanto
l'attenzione è
focalizzata su quanto si sta facendo, al punto da non sentire quello
che ci succede attorno, perdere la cognizione del tempo o avere
difficoltà ad articolare una frase) si attiva un'area del
cervello,
quella destra, che normalmente rimane addormentata a favore di quella
sinistra, la razionale e concreta (definire in questo modo
l'attività
del cervello è quanto mai riduttivo e banalizzante...ma a me
serve solo
spiegare una frase in una fic).
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Bene
ragazze, rieccomi qui.
:)
vi è piaciuta la (non) comparsa di Jareth?
Vi
annuncio già che sarà lui il protagonista di
tutto il prossimo capitolo. Preparatevi.
Che
altro dire? Finalmente comincio a tirare i fili e finalmente i due
si stanno per incontrare di nuovo... :)
Continuate
a seguirmi :*
|
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Capitolo 8 *** Adattarsi all'interlocutore ***
Premessa
dell'autrice.
Da
metà del capitolo, concedetemi la licenza poetica ovvero non
fatevi troppe domande...è un fantasy
quindi un po' di sano distacco dalla realtà ci sta
(più che altro
per giustificare situazioni complesse più avanti...e dovrete
darmi
buone anche quelle ù_ù)
ma soprattutto è una fic e non ho pretese di realismo.
Dunque...buona
lettura
8-
Adattarsi all'interlocutore.
La
lezione era finita e, nonostante gli studenti si alzassero in ordine
sparso, il vociare e il trambusto degli spostamenti creavano
l'effetto di un unico ronzio omogeneo, confuso e indistinto. La massa
di oltre un centinaio di studenti si stava disperdendo tramite le due
porte battenti poste alle spalle della cattedra.
“Ohmmioddio!”
gracchiò Jess artigliando il braccio di Matt quando furono
fuori,
piantandosi come uno stoccafisso. Il moro stava per scacciare
l'amica in malo modo, domandandole cosa avesse dimenticato quella
volta o cosa le fosse preso, quando anche lui si bloccò di
colpo
lasciando che la gente attorno a loro li spintonasse per procedere
oltre . Gloria e Sam evitarono di travolgerli e di sbattere loro
addosso le porte all'ultimo momento.
“Ditemi
che quest'aula ha qualche uscita secondaria!”
soffiò Matt, bianco
in volto: aveva bei programmi per quella sera, nonostante il dolore
al ginocchio, e avrebbe gradito godersi ancora qualche anno di vita
prima di finire dritto di filato in obitorio.
Qualche
decina di metri davanti a loro, appoggiato mollemente gambe e braccia
incrociate al muro antistante alla doppia uscita dell'aula, alle
scale e alle porte dell'edificio, Mr. Tenebra stava in attesa di
qualcuno.
Il
gruppetto aveva la strana consapevolezza che aspettasse proprio loro
nonostante lo 'spaventapasseri' tenesse lo sguardo basso, quasi si
fosse addormentato in piedi e loro fossero mescolati a decine di
altri studenti la cui massa si apriva, prudentemente, in due ali
distinte per evitare di capitare a tiro dell'uomo. Tutt'attorno a lui
c'era come una voragine: nessuno osava avvicinarsi a meno di tre
metri da dove si trovava il biondo e la folla defluiva come acqua che
aggira uno scoglio..
“Sguardo
basso...” decretò quasi subito Sam quando si fu
ripreso. “Andiamo
tutti a sinistra...”
Speravano
di farla franca, appiattiti al muro e schermati dai compagni di
corso. Loro non riuscivano a vederlo, quindi, forse, anche lui non li
avrebbe visti. Riuscirono a sgattaiolare in un chiostro secondario,
trafitto da palizzate metalliche che sostenevano i ponteggi di un
restauro. Quel sistema di ponteggi in estate proteggeva dalla calura
e in inverno offriva uno spazio coperto in cui fosse possibile fumare
senza violare le norme.
“Ve
lo dico io...” sbottò Matt una volta che si furono
accomodati
ansanti, non per la corsa ma per la paura, sulle panchine di marmo
sottostanti il pergolato. “Quello ce l'ha con me!”
urlò
prendendosi la testa tra le mani e inarcandosi, drammaticamente,
all'indietro. Quando si tolse le mani dalla faccia notò che
i suoi
amici lo guardavano con tanto d'occhi. S'afferrò la vita in
una
posizione di sfida “Che è? Non mi credete? Tutto
perché ho
bruciato il suo nome! Quello di ieri era solo un
avvertimento!”
“Mi
dispiace deluderti ma il preavviso non è nel mio
stile!” disse una
voce bassa alle sue spalle, divertita. “Preferisco le entrate
teatrali”
Matt
sbarrò gli occhi. Le ragazze, shockate, non guardavano lui:
erano
rimaste paralizzate da quella presenza. Lentamente si voltò,
deglutendo vistosamente, ad affrontare il suo destino e il suo
aguzzino.
Jareth
se ne stava beatamente in piedi alle sue spalle, un gomito appoggiato
a uno dei ponteggi in una posizione rilassata ma al contempo
minacciosa.
Matt
si domandò da dove diavolo fosse sbucato. Quel piccolo
chiostro,
transennato da una recinzione verso il piccolo boschetto
tutt'attorno, non aveva uscite secondarie, vi si affacciava solo
un'altra aula, isolata da tutte le altre e non raggiungibile se non
dal corridoio che avevano percorso loro. O li aveva sorpassati senza
che se ne accorgessero o quell'uomo era dotato di poteri magici.
Oppure conosceva passaggi segreti che a loro sfuggivano. Ma se li
conosceva...chi diavolo era, realmente?
Accantonò
velocemente tutte quelle domande, preoccupato più di
salvarsi la
vita che di indagare sul suo interlocutore.
“Se...se
ho fatto qualcosa che può averti offeso, Gareth, ti chiedo
scusa....” riuscì a balbettare infine,
maledicendosi per la
confidenza con cui gli si era rivolto, istintivamente, in quanto
compagno di studi: avrebbe dovuto usare il lei? Il voi???
Alle
spalle avvertiva il sostegno morale dei suoi amici, troppo impauriti
per battersela a gambe levate da quel posto.
Jareth
lo guardò annoiato “Ti ho già
minacciato di morte altre volte?”
Quindi, sventolò una mano in aria, annoiato
“Sì sì” bofonchiò
“Anche se non ricordo...Sei perdonato lo stesso...”
concesse “Ma
solo...” precisò con un guizzò di
divertimento perverso negli
occhi azzurri spaiati “...se mi dici dov'è la
vostra amica...”
Matt
deglutì. Era evidente che cercava Sarah. “A-amica?
Io non ho
amiche...” blaterò terrorizzato
“Ah,
davvero?” disse il biondo divertito “E quelle due
cosa sono?”
disse indicando Jess e Gloria con un'alzata di mento “Te le
porti
solo a letto? Le illudi che siano qualcosa di speciale e intanto le
tieni nel limbo per i tuoi porci comodi?” replicò
tagliente come
un rasoio.
Matt
perse definitivamente ogni traccia di colorito dal volto e si
sentì
la schiena trafiggere da bionde occhiate assassine.
“Dimmi...”
disse ancora il biondo, ora più minaccioso di quanto il
gruppetto
avesse mai osato elucubrare nei propri incubi, staccandosi dalla
parete e avanzando a passi misurati verso di lui “Ti sbatti
anche
Sarah?” soffiò rabbioso lasciando poco spazio
all'immaginazione
sulla possibile reazione violenta in caso di improbabile risposta
affermativa. Sembrava conoscere la risposta meglio di tutti loro ma
sembrava anche voler lanciare un avvertimento superfluo: giù
le
mani da ciò che è mio o non
fartelo passare nemmeno per
l'anticamera del cervello.
Il
ragazzo avrebbe voluto scomparire seduta stante, liquefarsi e non
tornare mai più in quel posto né al cospetto
delle persone che
aveva alle spalle: si era giocato l'amicizia di tutti in pochi
minuti.
“Ti
rifaccio la domanda...Dov'è. La tua. Amica?”
sibilò l'altro calmo
e per niente irritato
“Sarah?”
domandò l'altro in un gemito
“Precisamente...”
sorrise sadicamente, compiaciuto “Lei
dov'è?” chiese scandendo
le parole una ad una.
“Non
lo sappiamo!” disse coraggiosamente Gloria alzandosi e
andando ad
affiancare Matt, a cui mollò un'occhiata di fuoco che
lasciava
intendere la minaccia poi facciamo i conti.
“Davvero?”
chiese sarcastico, senza distogliere lo sguardo dal suo primo
interlocutore. Quindi rivolse alla bionda ogni attenzione, il suo
solito ghigno stampato sulle labbra. Gloria arretrò di un
passo,
incurante di mostrarsi vulnerabile davanti a lui. Un misto di terrore
e fascinazione le ribollivano nelle vene. Certo, era bello da mozzare
il fiato ed era dotato di un fascino e un carisma ineguagliabili, ma
avvertiva in lui anche un forte potere oscuro, rabbia, cattiveria e
malizia. Alzò lo sguardo, cercando di sfidarlo e lo vide
sorridere
soddisfatto “Si vede che sei sua amica...me ne compiaccio
ma...
dimmi, Gloria, dove potrebbe essere?” chiese inclinando la
testa di
lato, l'espressione degli occhi leggermente addolcita.
Se
sapeva anche i loro nomi era meglio dire la verità.
“Non
dirgli nulla Gloria!” rantolò flebile la voce di
Jess.
Ma
la bionda, in quel momento, non aveva proprio la minima intenzione di
assecondare i capricci della sua amica. Quindi
parlò, non per
tradire Sarah ma per salvare se stessa. D'altronde, se lui la cercava
e lei non sembrava esserne particolarmente intimidita, forse non
rischiava nulla. Le avrebbe mandato subito un messaggio avvisandola
dell'accaduto, sperando che lo leggesse e non si dimenticasse
dell'esistenza del telefono come faceva sempre.
“Tutto
quello che ci ha detto è che oggi, forse, non si sarebbe
fatta
vedere in università...” sputò velenosa
“Puoi cercarla dal
professor Grimm. E' l'ultimo con cui ha avuto contatti...forse
è in
giro con lui!” osò frecciare, quasi a invitarlo a
non disturbare i
due piccioncini. Jareth non parve offendersi alle parole della
ragazza che aveva messo la cresta.
“Non
sai dirmi nient'altro?” soffiò suadente lui, ora
pericolosamente
vicino.
Lei
deglutì, rossa in volto. Nessuno le aveva mai fatto
quell'effetto.
Nemmeno Matt. Anzi, lui non le avrebbe proprio fatto più
alcun
effetto dopo quel giorno. “Essendo venerdì
potresti trovarla alla
stazione dei pullman...in teoria, rincasa il fratello, motivo per cui
ci ha dato buca alla festa di Halloween. Come aveva già
provato a
fare l'anno scorso...”
“Gloria,
che cavolo gli stai raccontando?” sbraitò Matt
pieno di livore
“Taci,
smidollato...” lo zittì Jareth senza nemmeno
degnarsi di
guardarlo. “Con un po' di ricerca potevo arrivarci da
solo...”
Matt ingollò il groppo che aveva in gola: tremava tutto per
la paura
e il nervosismo “E dimmi...Gloria...sai anche dove abita o
devo
andare a cercarmelo nei registri?” La bionda cedette al suo
fascino
e, in un rantolo di piacere per quella vicinanza, gli diede tutte le
informazioni che voleva. “Grazie mille, mia
cara...” l'apostrofò
lui “Chissà come sarà contento Toby di
rivedermi...” ghignò
dando loro le spalle e allontanandosi senza più degnarli di
uno
sguardo. Li sentì confabulare immediatamente, concitati, e
discutere
su quell'ultimo nome appena pronunciato: nessuno sapeva il nome del
fratello di Sarah, nessuno a parte Gloria che un giorno era andata a
casa sua e ve l'aveva trovato. O quell'uomo sapeva leggere nella
mente o si conoscevano davvero.
Jareth
non era tornato per Toby: quell'incontro sarebbe stato un piacevole
intermezzo. Trascurò di proposito il terminal dei pullman e
si
diresse deciso all'abitazione della ragazza: era lei che voleva e
sperava di trovarla a casa prima dell'arrivo del fratello. Si era
fatto indicare dalla portinaia dell'università, una donna
grossa e
sciatta, ben felice di poter rivolgere la parola a un giovane tanto
aitante, la strada per l'abitazione della ragazza. Dopo mezzora,
però, si era perso ed era stato costretto a chiedere aiuto,
a più
riprese, vergognandosene profondamente, a ogni donna che passasse per
strada. Non era così sciocco da non sapere di avere un certo
ascendente sulle donne, ma saperlo e sfruttarlo erano due cose ben
diverse: si sentiva un maledetto imbroglione, più mascalzone
di
quanto non lo avesse ritenuto Sarah durante tutta la loro sfida.
Giunto
nella via indicata si concesse del tempo per studiare la zona. Era un
quartiere riservato e curato, abbastanza appartato da dare
l'illusione di essere avulsi dalla città ma non abbastanza
da far
temere aggressioni di malintenzionati. La strada era tratteggiata da
maestosi alberi rossicci che conferivano al paesaggio un aspetto
quasi orientale. Infine giunse alla cancellata che raccoglieva al suo
interno una decina di condomìni, raggruppati in cerchi, tra
loro
attigui dove, al centro di ciascuno, sorgeva una piccola rotonda
erbosa che fungeva da parco giochi per una moltitudine di ragazzini:
una società utopica, autonoma, che gravitava attorno alla
gioventù.
Erano graziosi alloggi popolari, tutto il contrario di quelli
fatiscenti che aveva visto nel suo peregrinare nel mondo umano.
Il più grande dei condòmini doveva essere di poco
più grande della
sua età umana. I ragazzini sembravano felici ma Jareth
poteva solo
immaginare la tristezza che albergava in tutti loro. Ogni cosa ha un
prezzo e tutto ha un suo lato negativo. Gli sembrava di rivedere il
suo castello con i suoi Goblin, piccoli bambini abbandonati e
indesiderati. Si riscosse e si concentrò sul citofono: dieci
colonne
con una mezza dozzina di nomi ciascuno. Quando trovò
ciò che
cercava, premette a lungo. Ma non ottenne risposta. Forse Sarah era
ancora fuori casa. Meditando su quell'eventualità, si
poggiò
stancamente al cancelletto d'ingresso che cedette immediatamente
sotto il suo peso.
Jareth
cadde a terra come un sacco di patate: era aperto. Com'era possibile
che fosse aperto? Lasciavano i ragazzini liberi di venire rapiti a
quel modo? Umani scriteriati!
Non
fece in tempo a tirarsi in piedi che un gruppetto di bambini,
abbandonati i giochi, lo aveva circondato.
Jareth
non sapeva se essere spaventato o cos'altro provare davanti a quel
comportamento. I bambini, dopo un attimo di silenzio, cominciarono a
urlare tra loro. Alcuni lo presero per le mani e tirarono, convinti
di poterlo rimettere in piedi dalla loro mastodontica statura
inferiore al metro: volevano solo aiutarlo. Bontà infantile.
Quanto
gli era mancata. Si lasciò trascinare all'interno,
maledicendo la
stupidità umana, dei bambini e degli adulti: se fosse stato
malintenzionato,
avrebbe potuto rapire tutti quanti in un batter d'occhio. Avrebbe
potuto se...
Accantonò
svelto il pensiero. Non doveva pensarci in quel momento. I bambini lo
fecero accomodare sotto gli alberi spelacchiati che crescevano,
contorti e rachitici, in mezzo al primo agglomerato cementizio. Erano
preoccupatissimi per lui e si affaccendavano per aiutarlo,
porgendogli dell'acqua e la cassetta dei medicinali (con cui avrebbe
dovuto arrangiarsi, dato che, a loro, i grandi ne avevano vietato
l'uso).
“Ma
tu, signore, cosa ci fai qui?” chiese, infine, una bimba. Era
castana, i capelli raccolti in due semplici codine. Avrà
avuto
all'incirca cinque anni. Stringeva al petto una bambola di pezza e
l'abito, che le pendeva dalla spalla, era più grande di due
taglie.
“Io...sono
venuto per trovare Sarah...la conoscete?” domandò
tastandosi
ancora la testa. Scivolando a terra aveva appena sfiorato l'asfalto:
nulla di grave ma lui non era abituato a certi incontri ravvicinati.
“Mamma
Sarah?” chiese un altro bambino
“La
sorella di Toby?” chiese un altro ancora
“Ma
no, cerca la sorella di Martha!” replicò qualcun
altro
“Ma
la sorella di Martha è brutta e cicciona! Lui è
bello! E poi è
troppo piccola per lui! Mamma Sarah ha l'età
giusta!” replicò
indispettito un piccolo drappello di maschietti
“Sì
sì...Cerca Mamma Sarah!” urlarono altre due bambine
“Ma
tu sei il suo... fidanzato?” domandò la bimba coi
codini,
imbarazzata. A quella domanda la reazione dei bambini tutt'attorno
gli ricordò il boato dell'inizio di una battaglia: a quella
possibile alternativa, tutti si erano ringalluzziti ed esprimevano la
loro opinione al riguardo. Jareth ebbe il suo bel daffare nello
spiegare loro che era solo un amico in visita ai fratelli Williams.
“E
perché chiamate Sarah, mamma?”
domandò perplesso. Non gli
risultava che Sarah avesse procreato così tanti marmocchi.
Anzi...non gli risultava proprio che avesse vita affettiva, figurarsi
di altro tipo. Quel solo, semplice pensiero, lo mandò su
tutte le
furie e i bambini parvero accorgersene.
“Beh..”
dissero nel tentativo di calmarlo “Lei ci fa da mamma...ci
racconta
le storie, ci spiega le cose, ci aiuta quando abbiamo
bisogno...”
“Non
è la nostra vera mamma!” disse ridendo un'altra
bambina,
tremendamente perspicace, che l'aveva letto come un libro aperto.
“Ma
tu, che sei suo amico, cosa sai fare? Anche tu racconti
storie?”
chiesero in coro. Come la domanda si fu propagata di orecchio in
orecchio, il brusio cessò di colpo e tutti si disposero
ordinatamente davanti a lui, pronti all'ascolto.
“No,
no...” disse agitando una mano in preda al panico: dannati
mocciosi! Ecco perché Sarah, dieci anni prima, aveva chiesto
di
venire esonerata dall'accudimento di uno solo di essi.
“Io...”
balbettò cercando qualcosa da dire loro
“Faccio...sapevo fare...”
si corresse “...le magie...” concluse con fare
misterioso.
Un
coro estasiato si levò dal suo piccolo pubblico “E
perché non le
sai più fare, signore?” domandò
qualcuno dando voce alla
perplessità degli altri
“Perché...”
balbettò incerto “Perché la vostra cara
mamma Sarah mi ha rubato
i poteri, ecco perché!” disse velenoso.
Anziché spaventarli,
però, ottenne l'effetto contrario e i bambini parvero
apprezzare
“Sarah ce lo racconta sempre...”
“Racconta...
cosa?” domandò il biondo accigliandosi: non sapeva
se essere
esterrefatto o mortalmente arrabbiato.
“E'
la nostra storia preferita!”
“Il
labirinto!”
“Ha
affrontato un terribile re crudele e malvagio che cercava di
ingannarla con tanti trucchetti” disse un bambino alzandosi e
mimando tutta l'avventura “E' stata rinchiusa nelle segrete!
E
anche nella Palude Puzzolente!” Jareth stava sudando freddo a
sentire quel racconto: Sarah ricordava tutto, probabilmente lo odiava
e aveva trovato il modo di tenere i marmocchi al riparo
dall'Underground
“E
nella palude le è pure affogato il cavallo Artax!”
strepitò un
altro bambino “Ho pianto tanto quando me l'ha detto”
A
quel dettaglio Jareth si ridestò come da un lungo incubo
“Non
c'era nessun cavallo!” replicò interdetto
“Sì
che c'era! L'ha detto Sarah! E poi, rimasta da sola, ha sconfitto
anche il drago con la spada forgiata dagli elfi, superando un roveto
che la regina delle nevi, una strega cattiva, aveva fatto crescere in
cento anni” A quell'ultima puntualizzazione, il bel mago fu
preso
dallo scoramento: ma quale minestrone aveva mai creato Sarah nella
sua testa?
“Oh!
Ecco Toby...” borbottò una bambina
“Chiediamo a lui se non
abbiamo ragione!” Un nugolo di ragazzini, urlando frasi che
si
andavano ad accavallare le une sulle altre, dando vita a uno
schiamazzo inintelligibile, si precipitò -trascinando con
sé il
malcapitato Jareth- da un ragazzino biondo, sugli undici anni che,
zaino in spalla e sacca in mano, stava cercando le chiavi del portone
d'ingresso del proprio condominio.
Quando
si trovarono faccia a faccia, il mago lo guardò ammirato: si
era
fatto proprio un ometto. Sperava solo che non scappasse a gambe
levate, che lo riconoscesse o meno.
Ma
Toby, come Sarah prima di lui, lo sorprese.
“Ma
noi non ci conosciamo?” domandò perplesso.
“Sono
venuto per tua sorella...” precisò l'adulto
scatenando un coro di
consenso alle sue spalle.
“Vuoi
aspettarla a casa?” chiese amichevole il ragazzino.
Jareth
accettò di buon grado, grato di venir liberato da quello
stuolo di
marmocchi urlanti.
“...Oh...scusa...non
mi sono nemmeno presentato...Toby...” disse dandogli la mano
libera
dai bagagli
“Jareth”
rispose l'altro stringendogliela secondo il costume umano.
“Sicuro
che non ci siamo già visti?” domandò
salendo i pochi gradini che
separavano dall'ingresso “Non so perché ma mi
sembra di conoscerti
da sempre...Jareth...non mi sembra un nome nuovo...”
commentò
pensieroso “Non è che mia sorella mi ha parlato di
te? Per caso
sei il mio futuro cognato?” domandò candido
facendo sobbalzare
l'interlocutore. Perché tutti i più piccoli
dovevano vederli come
una coppia fatta e finita? Il loro legame era così evidente?
Il
biondino, imperterrito, continuò a esporre ad alta voce le
sue
riflessioni “Non mi dispiacerebbe: ho l'impressione che
potremo
andare d'accordo. E che tu sia una brava persona. Soprattutto...che
tu sia in grado di tener testa a mia sorella” disse ridendo e
varcando la soglia dell'appartamento lasciando Jareth totalmente
disorientato. Quell'affarino aveva davvero solo undici anni? Certo,
aveva la perspicacia dei bambini e quasi la maturità degli
adulti.
Undici anni...non erano nemmeno poi così pochi...
Sorrise
al pensiero che Toby non solo si ricordava di lui, ma ne aveva pure
un'impressione positiva. Il sorriso si estese pensando che ormai
aveva varcato la soglia della casa di Sarah Williams. La sua Sarah. E
da lì non poteva tornare indietro a mani vuote.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - -
Bene...
dopo un capitolo interamente dedicato a Jay, d'ora in poi si
parlerà
solo al plurale... 9.9
Cmq
volevo dirvi una cosa..Ve ne accorgerete senz'altro, ma ve lo dico lo
stesso. Per il carattere e le movenze di Jareth, mi son resa conto
(in un secondo momento) di aver preso qualcosa anche da Capitan Jack
Sparrow che di per sé è un buffone
ma...vabbè, volevo solo
avvisarvi che io ci vedo questi riferimenti...
:( Spero la cosa non rovini troppo il personaggio.
D'altronde, problema
che abbiamo tutte, il repertorio che abbiamo a disposizione
è un po'
limitato e l'ho allargato come ho potuto. Il mio Jareth non se ne
starà svaccato sul trono tutto il tempo né
parlerà a monosillabi
criptici né sarà così cattivo come
vorrei (pur rimanendo, per me,
IC non è così tagliente, ecco): va per i fatti
suoi, non riesco a
raddrizzarlo...come vorrei...spero possa piacervi lo stesso.
Qua
e là, inoltre, ho utilizzato come modelli anche Usui e
Kurosaki,
protagonisti maschili rispettivamente degli shojo manga Maid-Sama.
La doppia vita di Misaki e
Elettroshock
Daisy
che col carattere di Jay non c'entrano proprio nulla ma alcune
situazioni me l'hanno ricordato (e sempre di biondi bonazzi alle
prese con more cretine si tratta).
E
detto questo...vado!
A
presto!
|
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Capitolo 9 *** Qualcosa di inaspettato ***
9-
Qualcosa di inaspettato
Sarah
infilò le chiavi nella toppa e si accorse che la porta era
già aperta. Toby doveva essere rientrato prima del previsto.
Alle sue spalle, una decina di ragazzini irruppero nell'antistante
ingresso, schiamazzando eccitati. “Non correte per le
scale!” li redarguì seria e seccata
Quelli
rallentarono improvvisamente la corsa, ansanti
“Scusa...” dissero senza guardarla in faccia,
colpevoli. Era sempre la stessa scena: lei che li rimproverava e loro
che continuavano a fare quello che volevano. “Non sei
arrabbiata, vero?”
“No...”
disse accogliente “Ma al posto di correre all'ultimo minuto
dalla tata, dovreste prendervi per tempo. Poi è normale che
Mary si impensierisca e vada su tutte le furie se non vi vede...
L'orologio avete imparato a usarlo...” Loro scossero
veementemente la testa in un segno affermativo carico d'orgoglio.
“Su...andate...con calma!” disse vedendo che erano
già pronti a riprendere da dove avevano interrotto. Quelli
presero a salire, piano, i gradini ma a due a due per guadagnare,
comunque, terreno in breve tempo. Sarah sorrise a quella trovata e
aprì la porta di casa “Sono tornata!”
Salutò sorridente, ricevendo un “Ciao”
entusiasta in risposta. La luce della cucina era accesa.
Liberò velocemente Marking e gli diede una pacca sul dorso
mormorandogli un “Vai!”. Gettò il
cappotto sulla sedia in ingresso e affrettò il passo verso
la sala illuminata. “Scusa il ritardo, non ho avuto nemmeno
il tempo di telefonarti per avvisarti... ho dovuto fare delle
commissioni insieme a...” stava dicendo quando si
congelò sulla soglia, accanto al cane: anche lui si era
fermato e stava ringhiando sommessamente a testa bassa, le orecchie
tirate indietro, il pelo irto sulle spalle. “E tu cosa ci fai
qui?” domandò gelida, senza scomporsi.
Quasi
si aspettava di incontrarlo ancora.
Certo:
mai si sarebbe aspettata che potesse avvenire in quel modo!
Jareth,
dall'altro capo della stanza, stava poggiato sul calorifero con gambe e
braccia incrociate. La salutò solo con un sorriso sghembo
“I tuoi amici non ti
hanno avvisato?” domandò. Lei si
illuminò e cominciò a frugare freneticamente
nella borsa, finché non trovò il cellulare e vide
i messaggi e le molte chiamate perse.
Subito,
Toby domandò, perplesso e innocente, inclinando la testa di
lato “Non è un tuo amico, Sarah?”
Sarah
si era quasi dimenticata di rimproverare il fratello
“Toby...quante volte ti devo ripetere di non aprire agli sconosciuti?”
lo redarguì calma lei, sottolineando la parola a beneficio
dell'intruso e sfilandosi la borsa di dosso.
“Ma
cercava te!” ribatté il ragazzino.
Sarah
sospirò alzando lo sguardo al cielo, esasperata.
“Toby....” stava per ricominciare che lui la
interruppe.
“Non
è cattivo! Mi ha anche aiutato coi compiti!”
protestò convinto.
A
quel punto, Sarah non poté non lanciare un'occhiata al
biondo che era rimasto nella stessa identica posizione per tutto il
tempo. “Tu...” disse lei, fissandolo con sguardo
furente “Vieni di là con me, per
cortesia...Toby...”
aggiunse verso il fratello “Tu rimani qui. Qualunque cosa
succeda! Intesi? Ti lascio Marking di guardia...”
“Non
posso venire anch'io?” domandò avvilito
“No.
Sono cose da grandi, credimi. E non è proprio il caso che tu
senta cosa devo dire a questo signore...”
“Ma
io sono grande, Sarah!” protestò lui, con un tono
di voce che lanciava rimandi a discussioni già sostenute
“Non
'sta volta, Toby...” lo pregò, un po'
più dolce.
“Anche
se ti metti a urlare?” domandò allora lui
“Soprattutto
se mi metto a urlare! Andiamo...” aggiunse dando a tutti le
spalle. Jareth si staccò solo allora dalla parete con un
movimento fluido e in poche falcate le fu alle spalle
“Ma
state assieme?” domandò ancora il fratello
A
quelle parole, Sarah perse un battito e si voltò verso Toby
paonazza in volto “Certo che no! Cretino!”
“Mark...Sarah
mi ha detto cretino...”
piagnucolò il ragazzino. Il cane, per tutta risposta, lo
consolò con una bella leccata che coprì tutto il
viso e lo fece ridere. La ragazza si allontanò, sbattendo le
porte della cucina e spalancando quelle del salotto adiacente.
“Prego,
Maestà.”
disse acida accennando un inchino sarcastico. Non c'era traccia alcuna
di quell'irritazione camuffata da cortesia e deferenza che aveva
mostrato al loro primissimo incontro, in cui si sforzava di rifiutare
le sue offerte con belle parole per non sembrare sgarbata. No...lei
riservava quella gelida freddezza a chi la circondava ogni giorno
mentre in quel momento era davvero sé stessa, libera di
esprimersi al suo peggio. Non gli stava nascondendo nulla. Maleducata
come sempre.
La
sala era abbastanza grande, divisa dall'arredamento in due ambienti
separati: da una parte, un tavolo estensibile di legno chiaro e una
libreria/cassettiera tutto intorno su cui campeggiavano strumenti e
blocchi scarabocchiati, dall'altra, divanetti ramati attorno a un
tappeto dalle tinte bruciate circondavano un basso tavolino d'ottone,
orientate verso il televisore da cui si diramavano le appendici di un
console lasciata in disordine, probabilmente dagli stessi ragazzini
appena rimproverati lungo le scale.
“Prima
fa lo stalker, appostandosi fuori dalla mia finestra, e ora si piazza
qui?” chiese aggressiva senza dargli in tempo di mettere
piede nella stanza.
Lui
alzò lo sguardo perplesso, guardandola come se fosse
ammattita: oltre alla domanda di per sé, qualcosa non andava
nel suo discorso “Io non mi apposto fuori dalla finestra di
nessuno...” Non si sedette ma si avvicinò allo
schienale di una poltroncina e vi si poggiò, tornando nella
posizione che già aveva in cucina.
“Sua
Maestà desidera qualcosa di particolare per tendermi queste
imboscate?” ringhiò ancora l'altra, altera,
incrociando, come lui, le braccia al petto, per nulla convinta delle
sue parole.
“Ben
trovata anche a te, my dear...” celiò lui
sarcastico “Da quando mi dai addirittura del Lei? Se proprio
vuoi trattarmi formalmente, ti chiedo, almeno, di darmi del Voi1”
Sarah
lo fissò a lungo “Non mi permetterei mai di
mancarLe così di rispetto...ma se insiste...Cosa ci fate Voi
qui, ho chiesto?” ripeté senza farsi incantare da
quegli strani occhi azzurri e senza perdere la propria
combattività.
Jareth
annuì soddisfatto di quella prima, microscopica, vittoria
“Non è la stessa domanda che mi hai porto pochi
istanti fa...ma comunque... sono qui per te, se non si era
capito...”
“Perché?”
ringhiò ancora lei. “Cosa volete da me?”
domandò correggendosi: con lui le domande che davano per
sottintesa una frase intera non valevano “Io Vi ho vinto, se
ben ricordo. E, ammesso che non sia stato tutto un incubo, sono io che
dovrei avanzare richieste a Voi, non viceversa...”
Lui
assottigliò lo sguardo, studiandola
“Sì, certo, mi hai vinto. Infatti, non sono qui
per comandarti, cara...non ne ho il diritto. Vengo in pace. E'
così che dite, no?”
“Benissimo.
Accetto che veniate in pace. Cosa volete precisamente da me?”
Lui
levò un sopracciglio perplesso “Te,
ovviamente...” rispose con la massima naturalezza.
Sarah
lo guardò con tanto d'occhi, incerta se arrossire per
l'imbarazzo o preoccuparsi per il significato nascosto in quelle due
parole.
“Eccomi,
mi avete vista...” disse aprendo le braccia, mostrandosi
“Che altro volete?”
Lui
sbuffò “Te l'ho già detto, mi sembra.
Voglio te.”
Sarah
non si fece cogliere impreparata una seconda volta, quindi
ribatté “Potete essere un pochino più
dettagliato e dirmi, precisamente, cosa Vi serve della mia persona?
Sempre che non sia troppo disturbo per Voi...”
“Nessun
disturbo...” concesse lui, chinando la testa in avanti in un
gesto di approvazione per le parole scelte dalla ragazza “Mi
serve il tuo potere, precisamente.”
“E
cosa ve ne fareste del mio potere?” chiese lei retorica per
poi cambiare registro, come svegliandosi da una trance “Ferma
un attimo. Quale potere? Io non ho alcun potere!”
“Oh,
sì che ne hai, Sarah” la corresse lui, tirandosi
in piedi “Ne hai avuto abbastanza da sconfiggermi, ricordi?
Abbastanza da annullare il mio, di potere.” la
informò fissandola dritto negli occhi. “Ma
quello che nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato
della ragazza e le aveva dato certi poteri”
aggiunse, facendole il verso e ripetendo a memoria quanto le aveva
sentito dire la sera di dieci anni prima. Vedendola sempre
più confusa e come continuasse a tacere, decise di spiegarsi
per evitare di tirarla troppo per le lunghe “Non è
successo nulla di...diciamo eccentrico, in tutto questo
tempo?” chiese vedendo che lei si illuminava, mandando a
posto tessere di un complicato mosaico di cui non vedeva la soluzione
“Tu, mia cara, ti sei appropriata del mio potere.”
“Prego?”
chiese lei sbalordita
“Sì,
in effetti, dire che te ne sei appropriata non è del tutto
corretto. Diciamo che, avendo lasciato libero e privo di protezioni il
tuo potere -quello che io ti avevo donato- e credendo in esso hai fatto
sì che il labirinto e Goblin City riconoscessero te e
rigettassero me: io non ho alcun potere su di te, giusto?” le
ricordò perfido
“Io
non lo sapevo...” disse rammaricata
“Come
sempre, no?” rispose lui laconico “Ad ogni modo,
visto che io ora sono un semplice e misero essere umano, ho bisogno di
te per riprendermi ciò che è mio di diritto. Da
qualunque punto tu la voglia vedere e a qualunque cosa tu voglia
credere, la verità è una sola: tu hai,
sicuramente, più potere di me. Al momento.”
“Scusa
scusa.” lo interruppe lei “Vuoi dirmi che ora il
labirinto, e anche i Goblin, ubbidirebbero a me?” Lo sgomento
le aveva fatto dimenticare il proposito di mantenere le distanze.
Le
lunghe dita tamburellarono brevemente sulle labbra atteggiate in una
smorfia dubbiosa “Tecnicamente...” concesse lui con
un gesto enfatico della mano. Sarah quasi si aspettava che una delle
solite sfere gli comparisse tra le dita.
“Sarei
una specie di regina?” chiese scettica con una risatina
isterica
“Sarah?
Non sfidarmi!” sibilò lui. Era lì con
le migliori e più serie intenzioni e lei si permetteva di
deriderlo?
“Altrimenti
cosa?” lo provocò, tornando alla fredda distanza
che aveva mantenuto fino a poco prima “Cosa mi fareste? Voi,
che non avete alcun potere su
di me?” sottolineò
“Non
avrò potere ma sono pur sempre un uomo...” le
ricordò con uno sguardo condiscendente.
“Non
osereste mettermi le mani addosso...” sibilò lei
di rimando, incredula
“Dipende
in che ottica vuoi vederla, Sarah...io sono un gentiluomo, dopo tutto.
E ammetto che l'idea di giacere con te non mi
disturberebbe...” disse prendendosi il mento tra le dita e
studiandola con sguardo languido. “Ma non arriverei mai a
forzarti contro la tua volontà...” La vide
arrossire violentemente: ovviamente lei aveva inteso l'altra
interpretazione della frase. Ma lui, già dieci anni prima,
si era rifiutato di cedere alla violenza nei suoi confronti. Sapeva che
ne avrebbe solo rafforzato la determinazione2.
Dopo
un momento di panico, Sarah riuscì a riprendere il controllo
di sé “Non Vi disturberebbe, eh?” chiese
sarcastica e offesa, con lo stesso tono con cui, anni prima, gli aveva
chiesto cosa avesse mai fatto di generoso lui per lei. “Va
bene...facciamo finta che io abbia paura di Voi, al momento, come da
Vostra ultima richiesta, dieci anni fa.” Lui parve perplesso
ma lasciò correre “Cosa dovrei fare, precisamente?
ImporVi le mani sulla fronte e sperare di ridarVi i poteri come il
più ciarlatano dei santoni?”
“Veramente...”
disse, tornando a poggiarsi al divanetto “Dovresti
affrontare, nuovamente, con me, il Labirinto...e dimostrare a tutta
Goblin City che ho il tuo benestare per regnare. A tal fine, direi
sarebbe opportuno che riprendessi a darmi del Tu, come hai sempre
fatto...”
Sarah
era più che spiazzata. Le cedettero le ginocchia ma fu
veloce a trovare un sostegno nella poltrona accanto a quella di lui
“E' uno scherzo?” rantolò sedendosi
“Ho
mai detto bugie?” chiese lui retorico
“Sì”
fu la sua risposta esasperata
“Posso
aver omesso, my lady, ma mai mentito...” la corresse lui
Lei
si prese la testa tra le mani: tutto quello che concerneva quell'essere
sapeva procurarle mal di testa lancinanti per l'alto tasso di
concentrazione che richiedeva.
“Invece
hai mentito eccome...” sibilò, confusa,
improvvisamente sopraffatta dagli eventi di quei giorni
“Quando hai detto di amarmi!”
“Io
non l'ho mai detto!” puntualizzò subito lui,
caustico “Ho detto che se tu mi avessi
amato, io sarei
stato il tuo schiavo. E' diverso!”
Certo.
Che sciocca che era stata a illudersi a quel modo. E perché
poi? Di un sogno, tanto per cominciare, che le dava solo filo da
torcere. E poi...da quando aveva cominciato a pensare a lui in
quell'ottica? Due giorni al massimo...da quando Immanuel si era
mostrato solidale con lui. Le sue parole l'avevano confusa!
“Non
è che quello è uno dei tuoi desideri,
Mà Chère?” domandò lui
curioso e interessato
“Dimmelo
tu... ” sibilò esausta, sprofondando nel divano
“D'altronde, tu
conosci
tutti i miei sogni, non è vero?”
“Conoscevo”
precisò ancora una volta, sondandone lo sguardo coi suoi
occhi spaiati “Ora non ho la più pallida idea di
cosa ti possa passare nel cervello.”
Sarah
prese un paio di minuti per riflettere su quello che le era stato detto.
“E
sentiamo...quando dovremmo partire?” concesse lei
“Oggi
non ti andrebbe? Festeggiare così il nostro anniversario non
sarebbe un'idea meravigliosa?” Le si era avvicinato e si era
inginocchiato accanto a lei, un braccio appoggiato al ginocchio, per
avere gli occhi alla stessa altezza.
Sarah
levò lo sguardo che si piantò sul suo petto
glabro. Solo allora notò l'assenza di una cosa, un
dettaglio, che era rimasto, unico, quasi invariato in tutti i loro
incontri nell'Underground: Jareth non portava più al collo
il suo ciondolo. Che fosse stato il corrispettivo della corona o dello
scettro? Che fosse da quello che dipendeva la sua magia?
Spostò lo sguardo, a disagio, per posarlo sulle sue mani,
intrecciate tra loro all'altezza del petto. Un altro dettaglio, che in
qualche modo, fino a quel momento, aveva dato un senso di
estraneità all'uomo che le stava davanti, più
degli abiti umani che indossava, era l'assenza dei guanti. Guanti che
aveva sempre avuto neri. O bianchi, in due particolari occasioni.
“Non
possiamo partire domani? Una manciata di ore cosa possono
cambiarti?”chiese trovando il coraggio di fissarlo negli
occhi. Erano tremendamente vicini ma lui restava immobile, non
accennava ad allontanarsi né ad abbassare lo
sguardo.“Hai l'obbligo di partire subito? Puoi aspettare un
paio d'ore?” chiese lei stremata
“Sì,
non ho nessuno che mi insegue... davvero l'idea di festeggiare non ti
sfiora? Dieci anni...un bel traguardo...”
“Sarebbero
stati uno splendido traguardo se tu non fossi
ricomparso nella mia vita a cavallo della ricorrenza...”
sbuffò lei, rimuginando. Le sembrò che lui si
fosse rabbuiato ma cacciò quell'immagine dalla sua mente con
forza: lui era il subdolo Re dei Goblin. Sicuramente stava
architettando qualcosa e sicuramente non le aveva detto tutto quello
che c'era da sapere. “Dimmi solo una
cosa..anzi..due...”
“Chiedi
pure!” disse lui, più sereno ora, per l'implicita
accettazione del suo incarico
“Abbiamo
limiti di tempo?”
“Non
abbiamo limiti di tempo...possiamo impiegarci pure un anno... Il regno
di Goblin non è più come lo hai conosciuto tu,
né come l'ho conosciuto io. E' cambiato ma so comunque
raggiungere il castello in un paio d'ore. Sarà un raid...
L'altra domanda?”
“Non
è richiesto il mio sacrificio su un altare di marmo e che tu
beva il mio sangue, vero? Non è richiesto nulla di
truculento... o sì?”
Jareth
sorrise alla domanda ingenua della donna davanti a sé
“No, non devi temere per la tua incolumità: non
verrai uccisa, non verrai stuprata... non verrai incatenata nelle
segrete....” pronunciò l'ultima parte del discorso
con un tono volutamente lascivo che sottintendeva qualche fantasia
perversa.
“C'è
un ma?” chiese lei sospettosa, accantonando il ricordo che
lei aveva di quei luoghi.
“Nessun
ma. L'unica condizione è che tu mi accompagni e che mi
aiuti. Tutto lì: collaborazione tra vincitore e
sconfitto”
“Mi
sembra troppo facile...”
“Credimi,
non lo è per niente. Anzi...in due, lo stesso semplice
percorso, raddoppia i punti di attrito. E se si viene separati
è pure peggio.”
Sarah
si rabbuiò. Ore, giorni in sua compagnia, senza un minimo di
privacy. Al momento, le stavano venendo un sacco di domande sugli
abitanti del regno che aveva conosciuto. Ma decise di tenere quelle
domande come argomento di conversazione per il viaggio.
“Ho
un'ultima domanda...” disse con l'implicita promessa di
terminare il terzo grado “Per te non sembra passato nemmeno
un giorno mentre per me sono passati dieci anni...come mai? Sei
immortale? Io credevo...”
“Vedo
che tu e la logica continuate a non essere buone amiche. Il tempo, nei
due mondi è completamente diverso: i tuoi dieci anni per me
sono stati solo un anno....”
“E
perché quando...ci siamo incontrati l'altra
volta è stato il contrario? Il tempo scorreva più
velocemente di là che di qua...”
“Dieci
anni fa, mia cara ragazza, come in questa prossima
avventura...” disse lui tirandosi in piedi e porgendole la
mano. Ora gli occhi di Sarah erano giusto all'altezza di qualcosa che
aveva completamente ignorato quando era più piccola e che
adesso, nei suoi ricordi, rivedeva come tremendamente osceno tanta era
la sfacciataggine con cui veniva esibito. Arrossì per il
solo fatto di essersi fatta sfiorare dal pensiero e accettò
la mano di lui, incredibilmente morbida e liscia. “C'eri
tu...e quando c'è un umano, il tempo viene sovvertito,
contratto. In quei frangenti, un'ora nell'Underground corrisponde a
poco meno di mezzora qui: da alba ad alba sono solo dieci ore,
nell'Underground, e non 24, quindi un'ora delle vostre ha
un'equivalenza effettiva di sei per noi che però, coi giusti
rapporti, valgono solo due e mezzo3.
Quindi...” continuò, sicuro di averla confusa a
sufficienza con tutti quei numeri “...Tornando a noi, direi
che se sparisci per qualche ora, nessuno se ne dovrebbe accorgere. A
meno che il tuo fidanzato non decida di cercarti...”
“Quale
fidanzato?” chiese lei sbigottita e troppo vicina al biondo
per allontanarlo con fermezza, come avrebbe voluto.
“Il
professor Grimm...” Ghignò ancora lui.
“Ancora?
Ma basta! Non stiamo assieme!” strepitò
riscuotendosi
“Ah
no? Comunque è inutile che ti sforzi di fare tanto la
sostenuta con me: non mi interessa chi frequenti, mi basta riavere il
mio regno” disse lui, spegnendo ogni speranza potesse essersi
eventualmente accesa nella ragazza.
“Va
bene...ora che hai ottenuto la mia collaborazione puoi pure
andartene!” disse lei, improvvisamente seccata, invitandolo a
uscire dalla porta del piccolo ambiente tra cucina e salotto. Sentiva
che, ancora una volta, sarebbe stata uno strumento nelle sue mani e la
cosa non le piaceva per niente.
“E
perché dovrei?” chiese lui altero e arrogante
“Perché
è buona educazione, perché io ora devo cucinare,
lavarmi e andare a dormire...”
“Ma
io non ho dove andare...” replicò lui piccato
“Come
sarebbe a dire, scusa?”
“Sarebbe
a dire che, al momento, non ho magia sufficiente per aprire un varco.
Inoltre, dovrò usarne di più per portare anche
te, visto che non sai come si fa e devo fare economia. Quel poco che
avevo l'ho consumata due giorni fa per rientrare nell'Underground. Non
mi aspettavo di trovarti...”
“Rientrare?
Ma allora hai dei poteri!” Protestò Sarah
inviperita
Lui
la guardò con sufficienza “Sono talmente pochi e
deboli che li esaurisco con poco...Avevo bisogno di lavarmi e
cambiarmi. Sono pur sempre un re. Ed è già
abbastanza seccante dover racimolare giacigli di fortuna una notte
sì e una no, mangiare il vostro cibo e vivere le vostre
vite.” sputò pieno di livore. Più della
degenza, quello che gli pesava della sconfitta era l'esilio a cui era
stato costretto. “E
se anche avessi saputo che ti avrei incontrato, li avrei usati tutti
comunque per rendermi presentabile ai tuoi occhi”
pensò fissandola.
“E
intendi piantare le tende da me?” protestò lei,
mani sui fianchi, esasperata.
“Se
non avessi accettato la mia proposta, l'avrei fatto comunque per
convincerti...” replicò lui con un ghigno che non
ammetteva repliche. “La responsabilità di tutto
questo è solo tua.”
1
Come accennato in Il
labirinto visto dal castello (non
trovo più il
punto in cui ne parlavo ma rinfresco qui), in Inglese esisterebbe la
divisione Tu-Voi-Lei. E' simile alla nostra, con delle sfumature. Mi
spiego. Il Lei è usato SOLO per Sua Maestà il
Re-la Regina (Her/His
Majesty). Per il resto si usa esclusivamente il Voi (l'antico Thou -non
si vede la famigliarità con Tu, sia per scrittura che per
pronuncia?- è
stato assorbito da You, alla
faccia del luogo comune inglese
lingua
democratica...).
Il
Voi, rispetto al Lei, ha una dimensione più
'vicina' e intima... se si parla di una persona in terza persona, con
questa presente, è un modo di escluderla/prenderne le
distanze. Il
Tu/Voi (assimilato in Inglese a un'unica forma) implica cmq un rapporto
diretto faccia a faccia, quasi paritario. Già Dickens, nei
suoi appunti
sui viaggi in Italia, si meravigliava di come noi dessimo agli estranei
del Lei (caricandoli, quindi, ai suoi occhi, di eccessiva
formalità
laddove loro davano del Voi...cmq torna sopra..noi diamo il Lei titolo
regale alle persone che ci sono più sconosciute) mentre in
famiglia,
per rispetto, si usasse il Voi. Ecco spiegato perché
all'inizio, Sarah,
per tenere le distanze e far pesare la differenza tra loro, usi il Lei
e Jareth le chieda di usare almeno il Voi (tanto in Inglese si usa cmq
solo quello...ma almeno in italiano posso permettermi la
libertà di
giocare con questi tre modi di rapportarsi).
2
Se non fosse
chiaro, Jareth col suo “sono pur sempre un uomo”
intendeva dire che
aveva tutte le carte in regola per sedurla -com'è riuscito a
fare senza
sforzo con Gloria nel capitolo precedente- e farle perdere la testa
mentre lei ha percepito solo la differenza fisica data dal sesso forte
(e quindi ha pensato volesse convincerla a suon di ceffoni -che male
non le farebbero cmq- e successivamente, che volesse addirittura
violentarla).
3
Allora, parliamo della scansione temporale nei
due mondi quando c'è un umano in mezzo... Sarah è
rientrata
dall'avventura a mezzanotte spaccata. Ed è partita...????
Erano le 7
quando era nel parco e suonò la campana, doveva affrettarsi
e arrivata
a casa era in ritardo di un'ora. Erano le 7.30? poi passa sicuramente
una mezzora, tra asciugarsi, litigare col padre e andare in camera a
calmare il fratello.... e quindi? Il viaggio è cominciato
alle 8?
Facendo conti approssimativi che sia mancata da casa per 4 ore ecco
come ho sviluppato i conti: l'avventura comincia col sole che sorge e
termina al castello col sole che sta sorgendo (è ancora
l'alba quando
varcano il portone). Ergo le 10 ore (non 13, Jareth gliene ha tolte
poco più di tre) della giornata Underground ricalcano le 4
ore umane in
cui lei è stata assente. 10/4 = 2,5 ore (ogni ora umana
corrispondevano
a 2 e mezza del sottosuolo.) Ma queste non avevano certo la stessa
valenza umana. Un quarto di giornata (24/4) sarebbero 6 delle nostre
ore. Ecco quindi che quell'ora umana, temporalmente 2 ore e mezza
d'orologio, valgono come 6 delle nostre. Pensate quante cose si possono
fare dalle 8 del mattino a mezzogiorno. Ecco...tutto quello fatelo in
2, 5 ore ;) ….chiaro? (vuol anche dire che Sarah avrebbe
ballato per
circa 3 ore (un'intera ora Underground è dedicata al ballo)
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Bene..sono
riuscita ad arrivarci..dopo quasi 10 capitoli...ma l'importante
è arrivarci...
Non
ho granché da aggiungere...spero solo vi sia piaciuto. :) e
preparate i fazzolettini per le emorraggie per i prossimi capitoli
(mica partono immediatamente!!! :D)
PS:
Mi sono accorta che è un capitolo pieno di refusi..li sto
ricorreggendo man mano..chi legge immediatamente se ne sarà
accorto..mea culpa
Un
bacio a tutti!
|
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Capitolo 10 *** Killed by Diamond and Rust ***
10- Killed
by Diamond and Rust
Sarah
era incredula. Tornò in cucina scura in volto. Sopra le loro
teste, uno scalpiccio caotico rimbombò per qualche secondo
svanendo ovattato in fondo alle camere. Quella confusione non fece che
innervosire ancora di più la ragazza.
“Ché,
vi siete mollati?” domandò Toby dalla sua pila di
libri notando la faccia della sorella
“Non
dire cazzate, ti prego...” sbottò la mora. Ne
aveva abbastanza di tutta quella situazione.
“Senti...” cominciò appena
più addolcita ficcandosi una mano tra i capelli imbarazzata,
pentita di aver alzato la voce “...Lui...” si
ritrovò a fissare il suo ospite: ne doveva pronunciare il
nome? Il pensiero la spaventava.
“Jareth”
Suggerì l'interessato con un sorriso tirato, poggiato allo
stipite della porta, percependo il disagio della ragazza.
“Sì...”
commentò Sarah balbettando “Beh, ecco...si ferma a
dormire da noi...quindi, cenerà anche con noi,
intesi?”
“Evvai!”
esultò il fratellino.
“Fila
a lavarti le mani che poi il bagno serve a noi! E non carezzare
più Mark prima di cena!” urlò
inseguendo la scia del fratello, già scomparso in bagno
“Serve
a noi? Davvero?” chiese Jareth improvvisamente alle sue
spalle “A cosa ci serve?” chiese in un soffio al
suo orecchio.
“A
cosa vuoi che serva? La vostra regale altezza avrà bisogno
di purificarsi dal contatto con lo sporco mondo umano... e a me serve
per lo stesso motivo...” Celiò sarcastica
“Non avrai pensato a porcherie, spero!”
domandò, furente al pensiero. L'aveva praticamente scaricata
senza preamboli (e senza che ce ne fosse alcun bisogno, per inciso) e
ora faceva il marpione?
“Io
no di certo...” la canzonò lui, infatti. Il
pensiero che lui deridesse la sua delusione, che doveva quindi essere
abbastanza palese, la fece arrossire ancora una volta.
“Seguimi,
che è meglio...” ordinò, ingoiando la
stretta allo stomaco che l'aveva afferrata e a cui non voleva prestare
ascolto. Si inoltrò nella zona notturna dell'appartamento e
lo condusse nel corridoio su cui si affacciavano tre camere da letto,
una lavanderia e il bagno dove Toby cantava contento a squarciagola in
groppa a Marking
“Come
fai poi a scendere senza toccarlo?” domandò la
sorella affacciandosi alla porta. Toby fece spallucce: avrebbe pensato
a come fare in un secondo momento.
“Ecco...questa
è la tua stanza” disse aprendo la prima porta.
L'ampia stanza all'interno conteneva una cassettiera, un armadio a tre
ante e un letto matrimoniale. Il pavimento era disseminato di giochi di
ogni tipo, segno che, normalmente, era usata per ospitare qualche
bambino. Tutto era sui toni del bianco-azzurro. “Tu dormirai
qui. La stanza accanto è la mia e l'ultima è
quella di Toby. Guai a te se osi solo infilarci il naso o respirare
nella sua direzione!” lo avvertì agguerrita
“Il
che vuol dire che, invece, ho libero accesso a camera tua?”
domandò lui sardonico avanzando verso di lei, facendola
arretrare istintivamente, fino a costringerla spalle al muro.
Un
pensiero balenò nella mente di entrambi: non erano nei
vicoli di una fogna incastrata tra mille celle buie e umide, ma vicino
a molti comodi letti morbidi e profumati; ora non erano più
un uomo e una bambina, ma due adulti nel pieno della loro esuberanza,
che, in modo quantomai contorto, si attraevano irresistibilmente e che
sapevano bene come provocare la controparte. Erano troppo,
pericolosamente, vicini. Potevano quasi sentire, con un piccolo salto
di immaginazione, il corpo dell'altro appoggiato al proprio. E la cosa
era destabilizzante per entrambi.
Ancora
una volta, al piano di sopra, si levarono urla, grida e una mandria di
elefanti sembrò essersi messa in movimento in ogni stanza.
Jareth alzò gli occhi al soffitto perplesso.
“Certo
che no!” rispose Sarah, approfittando di quella distrazione
per ritrovare il sangue freddo e scivolare sotto il suo braccio per
entrare nella propria camera. La stanza era, diversamente da quella
degli ospiti, nei caldi toni del panna, con travature di legno a vista.
Andò all'armadio a doppia anta scorrevole e lo
aprì, cominciando a frugarvi dentro. Dopo qualche secondo,
riemerse e notò che Jareth stava sul limitare della soglia
“Avanti, entra!” disse sbuffando. Quell'uomo sapeva
essere estenuante. Lui avanzò di un paio di passi dentro la
stanza e la osservò: era spaziosa quanto l'altro ambiente.
La porta si apriva tra l'armadio e i piedi del letto; una scrivania,
attrezzata di ogni diavoleria elettronica, confinava con la testiera
dello stesso e fronteggiava l'armadio in modo che, distesa, lei potesse
allungare la mano per recuperare o poggiare un libro o un quaderno.
Davanti al mobilio, posizionato ad U, c'erano ampie finestre basse che
riversavano su un tappeto etnico la luce delle stelle. Lo spazio libero
delle pareti era ricoperto di ripiani, rendendo claustrofobico
l'ambiente: sembrava di precipitare nei condotti dei dimenticatoi ma,
allo stesso tempo, si provava la sicurezza che potevano infondere le
Mani Amiche. Qui e lì facevano ancora capolino piccoli
poster e copertine di cd, dimenticati alla rinfusa per la stanza. Tra
le due finestre, una gigantografia del labirinto di Esher, molto simile
a quello in cui si era avventurata, anni addietro, alla ricerca
disperata del fratello1.
Lanciò un'occhiata al guardaroba: lei ci si era ributtata
dentro con tutto il busto, alla ricerca di qualcosa di imprecisato.
All'esterno rimanevano solo le lunghe gambe e il fondo schiena inarcato
in modo terribilmente provocante, appena coperto da quel pezzo di
stoffa grigio. Quando ne riemerse con un sospiro, aveva i capelli
talmente spettinati che sembrava fosse stata in un pollaio fino a quel
momento.
“Ecco
qui...” disse, trattenendo sotto braccio qualcosa e
porgendogli tre teli di spugna neri che lui guardò perplesso
“Ma a palazzo come ti lavi? Non per farmi i fatti
tuoi...” domandò sconcertata dalla sua reazione.
“Ho
tre inservienti che mi lavano il corpo con olio di gladiolo nero2...”
rispose automaticamente sollevando guardingo, con due dita, la stoffa
“...e me lo asciugano con i loro capelli di
ebano...” aggiunse allungando la mano ai capelli setosi di
lei e portandosene una ciocca alle labbra.3
Dopo
un attimo di sconcerto e imbarazzo, con un gesto secco, Sarah si
riappropriò dei capelli, imbufalita: ora la prendeva anche
per la sua schiava? Ma se era lei che l'aveva vinto? “Ti
farai bastare quelli...” disse strappandogli di mano i teli,
dimostrandone l'innocenza. Gli fece cenno di seguirla e si ritrovarono
nel bagno, ora libero. Uno a uno, fece scivolare i teli nel radiatore a
muro. “Quando avrai finito gli asciugamani caldi sono un
toccasana...Se preferisci lavarti a pezzi...” disse indicando
i diversi elementi in pendant “Piedi, inguine e corpo...per i
capelli ti spiego dopo come si fa...” Mentre parlava
così, andò a sistemare su un termosifone a parete
altri due asciugamani bianchi “Questi sono per me”
precisò acida. Quindi tornò alla doccia-vasca
“Immagino tu sia abituato a fare il bagno: chiudi col tappo
lì e fai uscire l'acqua così...” disse
spiegando in modo pratico cosa dovesse fare. Lui la guardava divertito:
sembrava stesse spiegando a un mentecatto come ci si doveva muovere in
bagno. Ma lui conosceva molto bene il mondo umano, meglio di quanto lei
stessa non pensasse. Gli illustrò il meccanismo che regolava
il calore dell'acqua, i saponi “Non è difficile e
non morirai.” quindi si congedò ma prima di
chiudersi la porta alle spalle, si volse nuovamente a guardarlo
“Ah...se prima di ficcarti dentro ti togli gli abiti e me li
lasci fuori dalla porta te li lavo anche: ho pronta la lavatrice di
nero e per domani sarebbero pronti, se la cosa non ti disgusta...Ultima
cosa...” aggiunse piazzandogli in braccio un paio di
indumenti “Questo è quello che ho trovato
nell'armadio che può farti da pigiama...Sei abbastanza magro
da entrare in questi pantaloni della mia vecchia tuta, forse...ma la
maxi maglia dovrebbe andarti senz'altro...”
Lui
smontò la piega dei capi e li studiò, ancora una
volta, con sguardo scettico. “Grazie...”
osò dire “Ma io dormo sempre nudo...”
aggiunse con uno sguardo malizioso.
Se
era convinto di imbarazzarla, aveva preso una colossale cantonata
“Beh, vedete di farVi andar bene qualcosa, almeno per cena,
Maestà. Ci sono anche bambini, di là. E cani
famelici che potrebbero attaccarsi volentieri ai Vostri gioielli di
famiglia.” Notando la faccia raggelata del bel biondo, Sarah
si chiuse, baldanzosa, la porta del bagno alle spalle.
Jareth
avvertì un'altra scossa di terremoto infantile e subito
sentì anche la sua mora mettersi a urlare come un demonio a
indirizzo degli abitatori del piano superiore. Sentì la
porta aprirsi e un'altra aprirsi di scatto poco dopo, sbattendo, al
piano superiore.
“Volete
finirla! Quante volte ve lo devo dire che non si corre in casa?
Dov'è Mary? Avete già cenato?” la voce
della ragazza gli arrivò nitida e perentoria. Sorrise
immaginandosela mettere in riga uno stuolo di quei bambini urlanti in
cui era incappato solo poche ore prima.
Li
sentì strepitare le loro scuse, addossandosi la
responsabilità reciprocamente.
“Siete
tremendi!” la sentì ridere
“Però non sono mica io la vostra
responsabile!”
“Mamma!!!”
strepitavano allora quelli, disperati, che non capivano il tono
scherzoso della ragazza “Non ci vuoi più
bene??”
La
sentì rassicurarli, amorevole e affettuosa come qualunque
madre. “Avanti... vi preparo qualcosa di veloce! A patto che
stiate buoni finché non arriva la tata...”
Un
coro entusiasta, insieme a un coro di protesta, si levò a
quelle parole “Non puoi rimanere tu? Sei meglio...”
“Resterei
volentieri, ma oggi ho ospiti...” la sua risposta diede il LA
a un coro compiaciuto “Il tuo fidanzato!!!”
“Perché non lo porti qui??”
“Anche Toby!!!” “Daiiii!!!!!!”
“Bambini...”
la sentì dire comprensiva “Toby è
stanco e anche il mio ospite. Che non è il mio fidanzato,
sono stata chiara?” La risposta, come prevedibile,
scatenò una reazione spropositata di malcontento generale.
Jareth
sorrise tra sé. La sua Sarah era
davvero una donna meravigliosa. E sarebbe stata, indubbiamente, una
splendida regina.
Quando
entrò in cucina, avvolto da una nuvola di profumo,
indossando solo i pantaloni della vecchia tuta e coi capelli bagnati e
gocciolanti, per poco Sarah non si distrasse al punto da tagliarsi un
dito. Il bel ancora-per-poco-ex-mago aveva il fisico asciutto e
muscoloso da nuotatore, proprio come se l'era immaginato dieci anni
prima, danzando stretta a lui. Il pensiero che fosse completamente
nudo, oltre quei pantaloni di cotone leggeri, la travolse mandandole il
cervello in tilt. Come aveva già avuto modo di osservare nei
lunghi anni successivi a quella notte, Jareth impersonava il suo
personale dio del sesso. Non principe azzurro, amore romantico e
struggente. Sesso e basta. Puro e semplice istinto. Che l'avesse creato
lei, così, o che lui si fosse sovrapposto al modello di
partenza non aveva alcuna importanza. Tutto in lui, dal carattere
altero all'atteggiamento insolente al modo in cui la guardava, le
ispirava solo bassi istinti. Da sempre. Inizialmente non aveva capito
cosa fosse il subbuglio che l'accompagnava quando pensava a lui. O
all'immagine che aveva di lui. L'aveva scambiato per amore. Ma l'amore
era affetto, desiderio di protezione, rispetto, fiducia e
complicità. Reciproci. E tutto quello mancava nel suo
rapporto con lui. Altro che fidanzato. Ma conoscendosi, si corresse,
sarebbe stata capace di sviluppare tutto ciò pur di avere
accanto a sé quella dose costante di adrenalina e
testosterone allo stato puro. Sarebbe stata capace di azzerare anche se
stessa e il suo orgoglio, seppure per un breve periodo di tempo. E lei
non voleva ridursi in quelle condizioni, a pietire l'affetto di un uomo
tanto arrogante. Non voleva essere o sentirsi alla mercé di
nessuno: doveva essere un rapporto tra pari.
Lei
era diversa anche dalle sue amiche anche in quel tipo di rapporti:
aveva bisogno di legami saldi e sicuri, che reggessero allo scorrere
del tempo e cercava sempre di forzare rapporti fragili in partenza.
Quando si accorgeva, dopo qualche mese, che la storia non girava bene,
dal suo punto di vista, le ci voleva almeno altrettanto tempo per
decidersi a mettere la parola fine sulla relazione. Pensava sempre di
essere infantile, di essere legata a quell'immagine fanciullesca e
distorta di cavaliere e di non riuscire, in realtà, a
emanciparsi da essa. Quindi, tentava disperatamente di trovare quel
qualcosa che le mancava, cercava di diventare matura dove pensava di
non esserlo: lei non sarebbe stata come sua madre, non si sarebbe mai
arresa.
Successivamente,
dalla sua presa di coscienza sul rapporto in corso alla sua
archiviazione, perdeva un sacco di tempo nel tentativo di abituare il
compagno all'idea della separazione per non farlo soffrire, riempiendo
il vuoto e la crudeltà che sentiva in sé di frasi
ipotetiche. Ma tutti erano, irrimediabilmente, innamorati persi di lei.
E questo la faceva stare doppiamente male perché sapeva cosa
volesse dire separarsi non volenti da qualcuno che si amava.
“Guarda
che già sei mesi per troncare una storia sono troppi!”
L'aveva sgridata Gloria quando l'aveva saputo. “Ti
preoccupi fin troppo per gli altri”
Ripensando
a quanto sapeva del biondo, e alla luce delle nuove interpretazioni
date alle sue parole, si disse che poteva imparare a volergli bene, a
rispettarlo, a fidarsi di lui. D'altronde non aveva mai fatto nulla di
apertamente scorretto.
Riapparire
così, esattamente dieci anni dopo. Trovarsi nella stessa
stanza, ancora una volta, tutti e tre assieme... scosse la testa per
cacciare il pensiero idilliaco che andava formandosi nella sua testa.
Ne era attratta e non lo negava ma avrebbero dovuto, eventualmente,
lavorare molto su tutti gli altri aspetti. “Sarebbe una prova
di grande maturità”
L'amore
portava solo dolore: erano due facce della stessa medaglia e lei aveva
già pagato abbastanza, no? Non voleva soffrire ancora.
Sapeva di dover risolvere il suo rapporto insano e conflittuale con
l'amore. Ma non voleva che fosse proprio con e per lui. Come emergendo
da un sogno, si accorse che dalla radio della cucina provenivano
malinconiche le prime note di Diamond
and Rust 4.
“Iutrepi,
falla finita!” sibilò seccata e la radio
abbassò il volume
“Pensieri,
mia cara?”disse Jareth andando a sedersi accanto a Toby,
osservando cosa stava scribacchiando
Il
ragazzino si aggrappò ai lunghi capelli del re e lo
tirò delicatamente verso di sé “Lo sai
che Sarah ha un potere?” bisbigliò all'orecchio
Jareth
sorrise e stette al gioco “Nooo, davvero? Che
potere?” disse a voce abbastanza alta perché lei
lo sentisse
“La
radio...” disse Toby lanciandole uno sguardo
“Risponde sempre con le canzoni a quello che sta
pensando...”
“Curioso...”
disse l'altro trapassandola con un'occhiata, ripensando a come lei
avesse eluso una delle sue precedenti domande5
“Ma, quindi...” tornò a confabulare
“E' una strega! Va messa al rogo!”
“No
che non va bruciata! Lei è buona! Non è mica
brutta e cattiva...” Toby saltò in piedi, le
braccia aperte a fare idealmente scudo alla sorella
“No,
certo che no...” disse Jareth carezzandogli i capelli per
calmarlo “Ma ricorda...”
“Nulla
è come appare...” disse Sarah di spalle,
sovrappensiero.
“Sì
sì, lo so...” sbuffò imbronciato il
biondino raccogliendo le sue cose “Vado a prendere gli altri
libri...e ti porto il phon”
Rimasti
soli, piombò un improvviso e pesante silenzio. La radio, pur
non variando il volume, sembrava riempire tutto l'ambiente.
“E
così hai paura di innamorarti, eh?”
frecciò malinconico Jareth
“Io
non ho paura di nulla...” replicò lei, dura, senza
voltarsi, continuando a preparare la cena
“No,
eh....” fu l'unico commento “Beh, se può
consolarti io ne ho avuto una paura a dir poco mortale...”
la informò lui con un mezzo sorriso, piantando gli occhi
sulla sua figura. Lei continuava a dargli, ostinatamente, le spalle.
“Ah
sì? Buon per te se l'hai superata...”
“Sì...superata,
diciamo così...” ringhiò lui
tamponandosi le estremità dei capelli con l'asciugamano.
“Sembra
quasi che tu provi nostalgia per quello che c'è stato prima,
per lo stato di cose che era...” osservò lei
sempre più rigida. Ormai aveva smesso di trafficare col
coltello. Ma il pane giaceva sul tagliere affettato solo per
metà. Parlava forse di lei? Possibile che rivivesse quella
manciata d'ore in sua compagnia con struggente languore? Che fosse
davvero ancora innamorato e la sua riottosità lo facesse
stare ancora più male dei suoi precedenti rifiuti? Non
doveva farsi illusioni. Le aveva detto chiaro e tondo che gli
interessava solo riavere il proprio regno. Eppure era così
strana quella situazione: erano due estranei che si erano incrociati
solo un paio di volte, dieci anni prima, e nonostante tutto c'era
qualcosa di nostalgico che lo faceva apparire, ai suoi occhi, come un
amico di vecchia data, come se tutti quegli anni non fossero mai
trascorsi e il tempo di contatto tra loro fosse stato cento volte
più ampio. Era davvero strano averlo fresco di doccia in
cucina a parlare del più e del meno. O a fare confessioni di
argomenti delicati e spinosi come quello.
“Figurarsi...
tra le due non so cosa sia peggio...” replicò lui
assorto.
Allora
c'aveva preso? Lui stava male...per lei?
La
radio impennò improvvisamente il volume, quasi gli stesse
rispondendo in vece della ragazza.
Now
you're telling me
You're
not nostalgic
Then
give me another word for it
You
who are so good with words
And
at keeping things vague
Because
I need some of that vagueness now
It's
all come back too clearly
Yes
I loved you dearly
And
if you're offering me diamonds and rust
I've
already paid
[Ora
mi vieni a raccontare/ Che non sei nostalgico/ Allora dammi un'altra
parola per descriverlo/ Tu eri quello così bravo con le
parole/ E a rendere le cose vaghe
Perché
ho bisogno di un po' di quella vaghezza ora/ Tutto sta ritornando
indietro troppo nitidamente/ Sì, ti amo, caro/ E se mi stai
offrendo diamanti e ruggine/ Ho già pagato]
Jareth
lanciò un'occhiata in tralice alla radio. Quella
cambiò immediatamente brano. Sarah comunicava con quella?
Avrebbe assecondato il suo gioco!
Note
ancora più malinconiche e strazianti si profusero
dall'altoparlante. Se Sarah credeva che le sue fossero solo parole
usate per imbrogliarla, si sbagliava di grosso.
I've
got more to lose, more to lose than you
Cause
I'm the only one in love between us too
I
know that I've been struck by lightning from above
Cause
I've been killed by love 6
[Io
avevo molto di più da perdere, molto di più da
perdere rispetto a te/ Dato che ero l'unico innamorato tra noi due/ So
di essere stato colpito da un fulmine da lassù/ Dato che
sono stato ucciso dall'amore]
Jareth
si accorse che qualcosa non andava: Sarah non reagiva, aveva piantato
le unghie nei palmi e si poggiava sul bordo del piano di lavoro, le
mani strette a pugno, quasi cercando di sostenersi.
I
got a longer fall, a longer fall to take
Cause
I'm a bigger fool with a bigger heart to break
You
pushed me way to far, a push became a shove
And
I was killed by love
[Presi
una cotta tremenda (lunga caduta, gioco di parole non traducibile), la
peggiore che si potesse prendere/ Dato che sono il più
grande sciocco con il più grande cuore da rompere/ Mi hai
cacciato via, un urto che divenne una spinta (anche qui...push e shove
sono sinonimi....è come dire dalla padella alla brace)/ E
son stato ucciso dall'amore]
Un'occhiata
più attenta e la vide scossa da leggeri e silenziosi
singulti. Piangeva? E perché?
Toby
rientrò in quel momento. “Sarah, tutto
ok?” domandò notando la tensione che intercorreva
tra i due.
“Sì,
tesoro...” disse sorridente. Non sembrava per niente una
persona sull'orlo di una crisi di pianto “Senti...ora che lui
ha finito, faccio la doccia...dovrei fare in tempo, prima che suoni il
forno. Se suona prima, lo spegni, d'accordo? E lasci
dentro...”
“Certo”
disse lui quasi mettendosi sull'attenti.
“Ti
affido la cucina...vedi di non bruciargli i capelli col phon,
d'accordo? È delicatino. E vedi di spegnere Iutrepi...in
questi giorni mi sta facendo impazzire...”
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Bene
ragazzi. Che dire? Spero abbiate apprezzato le scenette tra i due. E
afferrato il modo di ragionare che ha la mia Sarah. Altri dettagli ma
non tutti, in merito, verranno forniti nel prossimo capitolo.
Toby
in questo frangente mi è venuto fuori più bambino
del previsto. Ma non sono riuscita a fargli dire le stesse cose in modo
più adulto =_= vabbè...facciamo finta che sia
tutta colpa del fatto che è in quell'età di
transizione tra l'infanzia e l'adolescenza che è la
preadolescenza.
Vi
aspetto la prossima settimana.
Ciaooo!
1
Se ve lo state domando è esattamente lo stesso poster del
film: presuppongo che, cambiando casa, cmq si sia portata dietro
qualcosa.
2
Non so se il gladiolo venga usato davvero in cosmetica ma io l'ho
scelto per il suo valore simbolico: come l'orchidea è
simbolo sessuale femminile, il gladiolo lo è per quello
maschile ;)
3
Ebano inteso come colore ma anche come materiale. D'altronde il lino,
il cotone e tanti altri materiali sono sempre fibre liberiane, estratte
dalle piante. Ergo anche l'ebano, per quel che ne sappiamo noi del
mondo magico, può essere trattato allo stesso modo e reso
assorbente quanto gli altri materiali. I capelli, di per sé,
asciugano ben poco anche se già nella tradizione cristiana
compare la figura della Maddalena che asciuga i piedi di Cristo coi
capelli... avrà un qualche principio di realtà,
no?
4
Faccio riferimento al singolo originale di Joan Baez, Diamond
and Rust. La
stessa è stata interpretata anche dai Blackmore's Night (in
chiave gipsy-folk, Ghost
of a rose, brano
3), dai Judas Priest (in chiave rock, in Rocka
Rolla, brano
11, in chiave hard rock in Sin
After Sin, brano 2,
riproposta in quest'ultima versione in Unleashed
in the east, brano 6)
e dai Thunderstone in chiave heavy metal.
5
Senza che andiate a guardare, la domanda in questione è
“Non è successo nulla di...diciamo eccentrico, in
tutto questo tempo?”
6
Alice Cooper, Along
came the spider, 7. Killed
by love
|
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Capitolo 11 *** Bugiardo ***
11-
Bugiardo
L'acqua
cadeva inesorabile, come sotto un nubifragio o sotto una cascata. Non
le importava.
In
quel momento il mondo sarebbe potuto crollare e lei non se ne sarebbe
nemmeno accorta.
Stava
in piedi, al centro del box doccia, il getto convogliato sulla
sommità del capo, la testa pesante, le spalle cadenti
ruotate in
avanti, quasi si stesse spezzando sotto il peso di qualche forza
invisibile.
“Bugiardo”
sibilò a denti stretti “Bugiardo”
ripeté mentre calde lacrime
salate confluivano nelle rigature lasciate dall'acqua che cadeva
dall'alto sul suo volto.
Era
tornato per rovinarle la vita. Quello era l'unico pensiero certo in
tutta quella faccenda. Così come la propria solita
stupidità
nell'accettare subito e ingenuamente la sua sfida.
Si
fece forza. Doveva uscire: ormai erano già dieci minuti che
si
nascondeva là.
L'avrebbe
riportato a casa, si disse. Avrebbe fatto il suo dovere, si sarebbe
pulita la coscienza. Solo, sperava di non compromettersi più
di
quanto già non fosse. Il suo cuore non avrebbe retto altri
incontri
ravvicinati. E la sua psiche nemmeno. Nessuno doveva avvicinarlesi.
Lei non voleva nessuno vicino. L'essere umano era fatto per tradire e
ferire, nonostante si prodigasse in belle parole o nel sistemare le
cose a danno avvenuto.
Proprio
come aveva fatto anche lei esattamente dieci anni prima. Nessuno era
immune. Non doveva farsi illusioni. Gli esseri magici non dovevano
essere poi tanto diversi.
La
loro era la legge della Jungla, del più forte, una sorta di
darwinismo sociale. Che prolificassero pure gli stupidi che non si
ponevano alcun tipo di problema! Quelli come sua madre, che non
pensavano affatto alle conseguenze dei loro gesti e consideravano i
figli come bambole di cui ci si può stancare e mollare in un
angolo.
No!
Lei non avrebbe assecondato il capriccio egoistico che spingeva molti
ad accoppiarsi pur di non sentire la solitudine: una scelta simile
l'avrebbe portata alla limitazione delle proprie libertà,
anche solo
psicologiche. Finché si trattava di una storiella, poteva
pure
andare. Ma cose serie, come quelle che le venivano velatamente
proposte ora...quelle no. Lei non voleva dover temere il tradimento
da parte del proprio compagno o il suo abbandono, quindi evitava a
priori ogni possibilità. Soprattutto nel caso in cui fosse
diventata
dipendente dal proprio compagno. E con Jareth c'era questa, non
troppo remota, possibilità. Tra loro non c'era affatto
parità.
Forse le loro volontà erano uguali... ma lui aveva un
fascino unico
che sapeva ben sfruttare a proprio vantaggio mentre lei era
così
insicura...
Proprio
per quello, negli anni, si era limitata a sognare ad occhi aperti gli
amori travolgenti- che sapeva - impossibili dei propri libri.
Perché
la realtà era molto più deludente. Oltre che
più crudele. Eppure
Jareth...sì, Jareth ancora e sempre lui! Lui, solo lui, le
dava
l'impressione di poter vivere davvero in quel tipo di sogno.
D'altronde, si corresse, lui le aveva sempre offerto i suoi sogni,
quindi perché meravigliarsi? Si sentiva frustrata e
malinconica per
essere costretta a proteggersi in quel modo da sentimenti che
potevano essere totalmente devastanti.
Respingeva
con ogni sua forza un uomo che l'attraeva ma di cui non si fidava,
che prometteva l'impossibile ma la trattava con freddezza.
Perché
non poteva essere qualcun altro a farle avere quel batticuore?
Qualcuno di meno contorto!
Ma
meno contorto avrebbe voluto dire, praticamente, banalità e
noia
assicurate.
Sembrava
non essere più in grado di relazionarsi
coi suoi simili...ma
quando mai ne era stata capace? Aveva fatto subito amicizia con le
creature dell'Underground mentre con gli umani manteneva una barriera
invisibile.
Tradimento,
sospetto, gelosia, violenza. L'essere umano era solo questo, ai suoi
occhi.
Ma
aveva il suo amato Marking che la consolava e con il quale sarebbe
invecchiata. Gli animali erano più spontanei ed equi dei
bambini. E
non tradivano mai il padrone, il capobranco, nel quale riponevano
ogni fiducia. Avrebbe tanto desiderato che, prima Merlino, ora
Marking, potessero diventare persone reali per poterle stare accanto
in modo adeguato.
Si
diede della sciocca per avere avuto ancora ragionamenti così
infantili. E realizzando che, se anche si fossero potuti trasmutare,
avrebbero, probabilmente, assunto anche i tratti caratteriali umani,
oltre all'aspetto, rendendo vano ogni cambiamento.
No.
Lei stava benissimo così. Nessuna scocciatura ma anche
nessuna
avventura: se il prezzo da pagare per un piccolo brivido dovevano
essere i propri cocci, ne faceva volentieri a meno.
Uscì
dalla doccia e si avvolse nel grande telo bianco. Andò al
lavandino
per spazzolarsi i capelli e osservò la propria figura
riflessa nel
vetro opacizzato dal vapore. Forse era la stanchezza o gli
avvenimenti della giornata ma i suoi occhi le stavano giocando strani
scherzi. Nella sua testa echeggiarono nostalgiche le note di una
canzone d'amore, languida e struggente. Si rivide, spaesata, in un
abito da sera ottocentesco dai bagliori perlacei, avanzare tra la
folla chiassosa. I lunghi capelli neri, sciolti sulle spalle nude,
intrecciati di rami argentati.
As
the pain sweeps through
Makes no sense for you
Every thrill has
gone
Allungò
una mano alla propria immagine sfocata e le punte delle dita
toccarono la superficie fredda del vetro. Il sogno si dissolse:
quello che era sembrato l'involucro di una bolla di sapone
opalescente alla luce della luna era solo il vapore condensato che
distorceva e sgranava
immagini e ricordi allo stesso modo, dandogli un che di nostalgico e
perfetto. Passò svelta il palmo della mano sul proprio
riflesso un
paio di volte, fino a sgombrarne buona parte da quelli che apparivano
come artigli insidiosi delle nebbie dei propri ricordi, quasi potesse
cancellarli davvero con quel semplice gesto.
Il
dolore ormai non la spaventava più. Certo: cosa poteva
succedere
ancora? O di peggiore? Quali brividi poteva riservarle ancora la
vita? A una come lei, che aveva cacciato le illusioni e i turbamenti
delle novità dalla propria esistenza, che si nutriva solo di
dolore,
rimorso e fantasia?
But
I'll be there for you
As
the world falls down
“Bugiardo!”
ringhiò la sua mente “Bugiardo! Dov'eri quando ne
avevo bisogno?
Non sei mai venuto!”
Quando
si accorse di essere nuovamente in lacrime, si affrettò ad
asciugarsi e spazzolarsi i capelli, cercando di distrarsi da
quell'improvviso impeto di rabbia. Non voleva ammetterlo ma quella
era la realtà delle cose. Non si era mai illusa su di lui,
su di
lei...su di loro. Sarebbe stato proprio da stupidi. Ma quelle poche
parole...sì, quelle l'avevano illusa. L'illusione di trovare
un
porto sicuro a cui chiedere asilo, ancora una volta, anche solo per
una nuova sfida.
Sarò
lì per te, quando il mondo attorno a te andrà in
pezzi.
Come
una bambina, aveva pregato dentro di sé che il suo peggiore
incubo
adolescenziale si materializzasse o che almeno le facesse visita di
notte.
Eppure
non si era presentato nessuno. Nessun barbagianni, nessun ragazzo
alto e biondo.
Semplicemente
era rimasta da sola, in piedi, sconvolta e travolta dagli eventi.
Per
un attimo maledisse la sera di due giorni prima quando, prima di
mettersi al guardare quello stramaledettissimo DVD che le aveva fatto
venire gli incubi, si era lasciata prendere dalla tristezza, dalla
solitudine. E da una canzone.
Half
past twelve
And I'm watching the late show in my flat all
alone
How I hate to spend the evening on my own
Autumn
winds
Blowing outside the window as I look around the room
And
it makes me so depressed to see the gloom
[Mezzanotte
e mezza/ E sto guardando lo spettacolo in seconda serata nel mio
appartamento, tutta sola/Come odio passare le serate da sola/ I venti
autunnali/ Che soffiano fuori dalla finestra mentre io mi guardo
attorno/ Mi deprimono così tanto da vedere
l'oscurità]
Stava
cucinando l'ennesimo pasto solitario quando Iutrepi le aveva proposto
quella canzone che non sentiva da anni ma di cui conosceva le parole
a memoria. E che, al momento, descriveva la sua situazione con
un'impressionante realismo.
There's
not a soul out there
No one to hear my prayer
Gimme gimme gimme
a man after midnight
Won't somebody help me chase the shadows
away
Gimme gimme gimme a man after midnight
Take me through the
darkness to the break of the day
[Non
c'è un'anima, là fuori/ Nessuno che possa udire
le mie preghiere/
Datemi datemi datemi un uomo dopo la mezzanotte/ Non voglio qualcuno
che mi aiuti a cacciare le ombre/ Datemi datemi datemi un uomo dopo
la mezzanotte/ Che mi faccia attraversare le tenebre fino a giungere
all'alba del giorno]
Sì...
ricordò come avesse maledetto la propria condizione. Come
avesse
ripensato al viaggio di dieci anni prima. Ormai era assolutamente
convinta si fosse trattato di un sogno. “But
I'll be there for you As the world falls down” Lui
non si era presentato, non sentiva la sua disperazione, non l'avrebbe
aiutata né l'avrebbe trascinata nelle tenebre. Era stata una
sciocca
a sperare potesse essere qualcosa di diverso da un sogno. Poteva dire
quello che voleva: la magia era solo una sciocchezza da bambini e
nulla di quello che avrebbe detto si sarebbe mai avverato.
Movie
stars
Find the end of the rainbow, with a fortune to win
It's
so different from the world I'm living in
[Le
star dei film/ Trovano la fine dell'arcobaleno, con una fortuna da
vincere/ E' così diverso dal mondo in cui vivo io]
Quanto
le faceva male quella constatazione, bruciava più dei suoi
occhi che
in quel momento si erano velati di lacrime. E alla fine, seguendo
Iutrepi e le note ritmate, aveva ceduto e aveva fatto esattamente
ciò
che la musica diceva: era tranquilla, non c'era alcuna formula magica
nascosta.
Tired
of T.V.
I
open the window and I gaze into the night
But there's nothing
there to see, no one in sight
There's not a soul out there
No
one to hear my prayer
[Stanca
della TV / Apro la finestra e contemplo la notte/ Ma non c'è
nulla,
là, da vedere, nessuno in vista/ Non c'è un'anima
là fuori/
Nessuno che possa udire le mie preghiere]
Era
andata alla finestra, l'aveva aperta in modo che la brezza fredda la
svegliasse dai suoi incubi. Le luci degli altri condomini erano tutte
spente e i bambini erano già tutti a dormire. Gli adulti,
spossati
dalla vita a cui erano vincolati da quel complesso e dalla loro
situazione, erano tutti addormentati. Solo lei non riusciva ad
addormentarsi presto. Era davvero sola. Si era messa a cantare con
voce disperata.
Gimme
gimme gimme a man after midnight
Won't somebody help me chase the
shadows away
Gimme gimme gimme a man after midnight
Take me
through the darkness to the break of the day
[Datemi
datemi datemi un uomo dopo la mezzanotte/ Non voglio qualcuno che mi
aiuti a cacciare le ombre/ Datemi datemi datemi un uomo dopo la
mezzanotte/ Che mi faccia attraversare le tenebre fino a giungere
all'alba del giorno]
Gliene
bastava uno solo, uno in particolare.
Ed
era stata accontentata.
Lui
le si era presentato il giorno successivo. D'altronde, cantando non
aveva specificato l'ora, dopo mezzanotte, e così era stato.
Ma non
aveva nemmeno specificato chi è che voleva realmente. Forse
si era
trattato solo di un caso: lui sembrava essere nel mondo umano da
molto tempo...O forse l'aveva evocato davvero...In ogni caso, per un
attimo, un attimo fatale, parole e volontà erano state,
finalmente,
così potenti da rompere la sua corazza di ritrosia e lo
schermo che
separava magico ed umano. In seguito, si era completamente
dimenticata di quello che aveva fatto, concentrata, com'era stata, a
combattere il terrore provocato dal barbagianni del film.
Quando
l'aveva visto in aula, svettare in tutta la sua altezza, i capelli
biondi scompigliati sulle spalle, aveva pensato si trattasse di
un'allucinazione, di uno scherzo che i suoi occhi si divertivano a
giocarle. E come la prima volta che l'aveva visto, era rimasta
sconvolta dalla sua bellezza e dall'aura autorevole che sprigionava.
Un
leggero bussare la fece sobbalzare e la riportò alla
realtà.
Era
Toby che la informava di aver spento il forno e che cominciava a
preoccuparsi per lei. Sarah sorrise dentro di sé. Doveva
essere
forte. Se non per se stessa, per Toby. Si infilò rapidamente
il
pigiama, che al contatto col corpo caldo e appena corroborato,
sembrava fatto di aghi e non di soffice cotone.
Quando
rientrò in cucina il caldo aroma delle lasagne al forno
l'avvolse
suadente e, per un attimo, fu in grado di cancellare le sue angosce.
Non degnò Jareth nemmeno di un'occhiata né mentre
serviva il pasto
né mentre sedeva a tavola. Ma non poteva ignorarlo del tutto.
Toby
sembrava aver sbloccato qualche ingranaggio e parlava a cascata di
qualunque cosa gli venisse alla mente. E lui lo assecondava gentile e
premuroso, si preoccupava dei suoi piccoli drammi e lo consigliava
con saggezza e astuzia. Sembrava un padre col figlio. Forse si stava
dimostrando più affettuoso e disponibile di quanto non lo
fossero
realmente i genitori che, intrappolati tra il lavoro e la gestione
della famiglia, non riuscivano a essere troppo accondiscendenti nei
confronti dei figli.
Quando
finirono e si alzò per sparecchiare e servire la cioccolata
calda,
che aveva promesso a Toby la settimana prima, posò
finalmente lo
sguardo sui due biondi, cercando di restare impassibile davanti a
quelle due paia d'occhi azzurri che la sconvolgevano, seppur per
motivi diversi.
“Toby,
ascolta. Domani ritorni in collegio... noi dobbiamo partire...lo so
che è una cosa improvvisa ma...” si interruppe
notando il modo in
cui la stava guardando il fratello. Non sembrava dispiaciuto ma, al
contrario, affascinato. “Che c'è?”
chiese perplessa. Quale parte
di tutto il discorso non gli quadrava?
“Andate
a Goblin City?” chiese elettrizzato l'altro.
Sarah
bevve un sorso di liquido caldo prima di afferrare cosa diavolo
avesse blaterato il fratello. Quando lo fece, si ritrovò ad
annaspare in cerca di aria, tossendo paonazza per il sorso andatole
di traverso e che le aveva ustionato la faringe. E, in quel
frangente, Sua Maestà Re Jareth restava tranquillo, come se
nulla
fosse successo. Anziché allarmarsi, osservava Toby con uno
sguardo
compiaciuto.
“Scusa?”
riuscì a sibilare quando la tosse si fu calmata
“Sì
sì” rispose entusiasta “Lui non
è il re di cui mi raccontavi
quando ero piccolo? Mi porti con te, questa volta? Ti prego!”
era
l'ennesima volta che glielo chiedeva. Negli anni le aveva chiesto
più
volte di accompagnarlo nell'Underground. Ma lei aveva sempre pensato
si trattasse solo della fervida fantasia di un bambino alimentata dai
suoi racconti. Ma ora, un paio di dettagli la lasciavano allibita.
Era mai possibile che Toby avesse ricordi dell'Underground? Aveva
davvero identificato il mago, come aveva fatto lei a suo tempo o era
solo una sua proiezione (azzeccatissima) di un forte desiderio?
Lo
sguardo sgusciò veloce su Jareth: anche lui, nonostante
l'evidente
ammirazione sul suo volto, sembrava perplesso.
“Io
l'ho sempre immaginato così...”
commentò il bambino calmandola
immediatamente. Folgorò il sovrano con lo sguardo, quando
questi si
volse a osservarla.
“Che
storia è che raccontavi?” chiese quello,
sarcastico: era già a
conoscenza del fatto che lei si dilettasse a quel modo ma ora aveva
il pretesto per farla sentire in colpa. Si stava divertendo
immaginando come e cosa, quale versione distorta, lei riferisse al
bambino.
“Se
vuoi te la racconto!” si offrì il piccolo Toby
“La so a
memoria!” disse informando un Jareth sempre più
divertito
“D'accordo,
Toby, fa quello che vuoi...” riprese la sorella “Ma
torniamo a
noi...”
“Sì
sì, ho capito..” rispose l'altro con aria di
sufficienza “Torno
in dormitorio...ma poi mi dovrai raccontare tutto!”
“Ascolta,
c'è un altra cosa...” continuò Sarah,
glissando su quella
promessa che non
avrebbe mantenuto “Non so quando sarò di ritorno.
Quindi, se ti
serve qualcosa...”
“No...”
disse sbuffando come se fosse la millesima volta che gli veniva porta
quell'offerta. “Non ho bisogno di nulla...state via quanto
volete..io ho i miei amici lì, che non sono andati
via...”
“Quanto
a Marking...?” soppesò osservando Jareth che la
fissò negli occhi
senza dire nulla “Credo...lo porteremo con
noi...giusto?”
A
quella richiesta di conferma, Jareth incrociò le braccia al
petto
“Sei sicura? Per me non è un
problema....” disse alludendo alla
capacità magica richiesta per spostarlo di dimensione
“Ma potrebbe
essere pericoloso...ricordi com'è...” La sua non
era una domanda,
era una constatazione.
Sarah
annuì “Certo...ma lui può
farcela!” rispose orgogliosa.
“Piuttosto...”
continuò il biondo sovrappensiero “Dimmi che hai
un anello!”
Sarah
e Toby lo guardarono perplessi “No, l'unico che avevo l'ho
ceduto..anni fa...”
“Bene,
allora domani, prima di ogni altra cosa, andremo a compratene
uno...”
sentenziò lui poggiando il tovagliolo sul tavolo e alzandosi
in
piedi, decretando la fine del discorso.
Ma
Sarah non era certo una ragazza che si lasciava comandare
così a
bacchetta: gli anni l'avevano solo indurita, da quel punto di vista
“Eccerto!” sbottò alzandosi anche lei
per sparecchiare “Perché
me ne faccio molto! E soprattutto i soldi li tiro fuori dal cilindro,
io!”
“Ne
hai bisogno, credi a me!” Jareth non aveva ancora fatto il
callo a
essere contraddetto e la fissò gelido “E non ti
preoccupare per i
soldi...” aggiunse dopo un attimo.
“Andiamo
Toby...tu devi andare a letto presto...” disse la ragazza,
sorvolando sulle parole di Jareth. Le serviva un anello? E
perché
mai? Si fosse almeno degnato di darle una spiegazione.
“Me
la leggi una storia?” chiese quello mentre, con la sorella,
usciva
dalla stanza, lasciando Jareth da solo.
“Non
sei più un bambino piccolo...” sbuffò
lei alla richiesta.
Comprendendo di essere stata troppo sbrigativa e dura, cercò
di
indirizzare la frase in modo meno offensivo “Che ne dici di
cominciare a leggere qualcosa di più...da grandi? Ti do il
permesso
di scegliere uno dei miei libri...” propose facendogli
l'occhiolino
Ma
Toby mise il broncio “E dov'è il
divertimento?” protestò mentre
lei lo faceva accomodare in camera sua.
“Che
poi possiamo parlarne...come fai coi tuoi compagni con i cartoni
animati... ciascuno con la propria interpretazione...se te lo leggo,
la magia svanisce...”
Sarah
era stata abile: aveva toccato le corde giuste dello spirito
competitivo del fratello.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Ciao
a tutti...
ecco
che comincio a spiegare, con la dovuta calma, il perché
dell'atteggiamento freddo di Sarah nei confronti di Jay. Un po' alla
volta saprete tutto.
Come
diceva Saliman nel suo Labirinto di Specchi,
spesso chi scrive ha il bisogno di affrontare temi che gli stanno a
cuore. Nel mio caso, ho il pressante bisogno di parlare-in qualche
modo già accennato in Il labirinto
visto dal Castello-
di come si sentano i figli di una coppia 'scoppiata'. Sento troppo
spesso ragionamenti egoistici di donne (soprattutto) che se ne
fregano della reazione delle loro azioni nei confronti dei bambini
(in generale, la non curanza degli effetti secondari di ogni azione,
mi da fastidio..il 'non ci ho proprio pensato', dandomi l'idea di
persone concentrate solo e unicamente, in modo egoistico, su loro
stesse. Posso capire un po' di distrazione, nessuno è
perfetto..ma
su certe cose riterrei opportuno andare coi piedi di piombo. E
sentire delle adulte dire che pretendono
siano i bambini a dover
capire i comportamenti degli adulti..beh...non mi sembra corretto.
Perché spesso, queste donne, solo le prime che NON hanno
subito
questo tipo di violenza. Sinceramente mi domando se si rendano conto
di cosa succede nella mente di queste persone, anche adulte. Io ho la
fortuna di avere i genitori uniti, ma ho moltissime testimonianze,
non sbandierate al vento, ovviamente, di ragazzi che, per quanto di
primo acchito sembrino accettare ogni situazione, in realtà
soffrono
per la situazione. Per un aspetto o per l'altro: perché
preferirebbero cmq la famiglia unita anche se litigiosa,
perché non
sopportano le intrusioni di questo o quel compagno in una relazione
che dovrebbe essere esclusiva coi genitori, perché sentono
cmq il
tradimento anche nei loro confronti da parte di un genitore che,
vivendo staccato, se ne frega di loro (più o meno
apertamente), e
perché, fondamentalmente, non hanno un vero punto di
appoggio,
sentendosi quasi un peso per il genitore che cerca di rifarsi una
vita.
Il
problema io lo sento molto vicino, nel senso che non solo sono
circondata da amici che cmq si trascinano dietro questo passato con
cui hanno più o meno fatto pace, ma mi pongo nell'ottica del
“e se
toccasse a me? (o fosse toccato, in caso fossi stata figlia) Come mi
comporterei/mi sarei comportata?”
Molti
fatti di cronaca nera, tra l'altro si legano a queste situazioni
familiari. Non sono a scuola per poter, in qualche modo, assistere i
ragazzi, ma mi arrivano comunque testimonianze drammatiche. E in
qualche modo, anche solo esternando le mie angosce e ragionando su di
esse, spero di essere utile...o far riflettere...o puntare
l'attenzione su una situazione che viene, spesso, data per assodata,
scontata...normale. Ma i ragazzi non sono adulti, non ragionano e non
sentono allo stesso modo. E spesso gli adulti sono più
infantili ed
egoisti dei ragazzi. Vorrei poter dire loro: Non
siete soli
e gli adulti non sono tutti uguali.
Dopo
questa filippica chiudo...scusate, magari vi sarà sembrato
un
discorso falso e artificioso ma è davvero una cosa che mi
angoscia e
cerco, in qualche modo, nella scrittura, di esorcizzare questa paura.
(anche
se non mi segue, ringrazio Ludovica, con cui, al riguardo, ho avuto
una profonda discussione :* e ovviamente anche Federica <3 )
Torniamo
a noi....La storia dell'anello: preciso, per chi non avesse letto la
fic precedente, che do per scontato che per Jareth sia un potente
talismano mentre Sarah non ne sa assolutamente nulla...a suo tempo,
verrà spiegato anche questo.
:)
Ora
vi lascio sennò mi ammazzate...
a
presto... :) coi fuochi d'artificio XD
e
ricordate...di mezzo c'è ancora una notte.. XD
ciaooooo
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Capitolo 12 *** E di notte... ***
12- E di notte...
Messo
a nanna Toby, Sarah tornò in cucina per finire di sistemare.
Jareth
era ancora lì, appoggiato al termosifone come il primo
momento in
cui l'aveva visto in casa.
“E
tu che ci fai ancora qui? Sei umano, fila a dormire!” Disse
cominciando a lavare i piatti.
“Hai
la fastidiosa abitudine di comandare tutti...compreso il
sottoscritto! Non mi piace.” commentò lui
“Non
devo piacere a te, o sbaglio?” rispose lei, inviperita
“E
comunque, ora sei mio ospite, a scrocco, e sei umano...io sto
cercando di essere gentile e di preoccuparmi per la tua salute...”
Una
dopo l'altra, con rapidità e sicurezza strabilianti, le
stoviglie
sparivano nello scolapiatti e, in breve, anche i fornelli furono
immacolati.
“Beh,
dolcezza...vedi di cambiare atteggiamento, io sono il Re di Goblin e
tu non sei affatto carina...” la rimbeccò Jareth,
rimanendo
comodamente a guardarla
“Sentite,
Maestà...” sbottò, lanciando la spugna
insaponata nel lavandino
“E' casa mia e faccio quello che voglio. Vuoi il mio aiuto?
Questo
è il prezzo: una campionessa arrogante!”
sputò con livore “Ho
avuto un buon maestro! La prossima volta cercatene una più
mansueta,
come piace a te...” ringhiò esasperata,
accusandolo. Tornò subito
alla sua occupazione e all'ultimo rimasto, il forno, mordendosi la
lingua: bella cosa rinfacciargli che avrebbe preferito non
incontrarlo dopo che era stata lei a evocarlo. E se il passato non
fosse stato quello... non l'avrebbe mai nemmeno incontrato, nel bene
e nel male.
“Gradirei
non ripetere l'increscioso evento...” rispose lui, tutt'altro
che
offeso. Quelle parole, percepì, avevano dato sollievo al
cipiglio e
sciolto appena i movimenti della controparte. Certo, aveva detto che
incontrarla era stato un errore. Ma, si rese conto, aveva anche
alleviato implicitamente la gelosia che in quel momento,
probabilmente la stava dilaniando: non ne avrebbe cercato altre.
Sarah era così limpida ai suoi occhi, un vero libro aperto.
Si
staccò dal termosifone, le mani strette tra loro dietro la
schiena,
e cominciò a girarle attorno, studiandone ogni movimento
“Vedi...Credo che, anche da umano, sarei stato un uomo poco
abituato ai rifiuti...” puntualizzò, lamentevole.
“Modesto...”
replicò lei istintivamente
“...Ben
lieto di potermi cimentare con una sfida ma... con il dovuto
rispetto...” Finì, poggiando le mani sulla cassa
dell'elettrodomestico, intrappolandola, mentre lei richiudeva il
forno.
“Troppo
semplice, Maestà” Erano soli. Sarah se ne rese
conto solo in quel
momento: era stata così presa dal rassettare che non aveva
calcolato
una mossa del genere da parte del biondo. Si voltò, piano, a
fronteggiarlo “Vedi... Se tu fossi stato un misero essere
umano,
saresti già finito agonizzante a terra con un calcio
nei...” si
trattenne dallo scadere in volgarità, quindi alluse solo con
una
rapida alzata di sopracciglia e uno sguardo fugace verso il basso
“...o in gattabuia!” Disse sorridendo il
più malignamente che
poté.
Ma
Jareth non si fece spaventare “Oh sì, certo...e
cosa ti trattiene
dal tentare
di attuare almeno la prima delle opzioni, mia cara?” disse
prendendole una ciocca di capelli scuri e sistemandogliela dietro
l'orecchio per poi osservarla, compiaciuto della sua opera.
Quella
vicinanza cominciava a metterla in agitazione “Non...non
voglio
altri pesi sulla coscienza!”
“Dì
che non puoi...perché
è quello che vuoi,
vero?” Disse suadente, puntellandosi la mano, ora libera, sul
fianco
“Non
posso perché voglio cosa,
di grazia...?” chiese accigliata incrociando le braccia al
petto,
quasi potesse proteggersi, dal suo fascino e da se stessa, con quel
semplice gesto.
“Non
puoi farmi del male, perché mi vuoi, non è vero?
Non mi faresti mai
del male...” I loro volti, i loro corpi... erano
pericolosamente
vicini. Di nuovo. L'ultima cosa che voleva, era che lui
popolasse i suoi sogni in modo più vivido di quanto
già non avesse
fatto fino a quel momento.
Un
pensiero, rapido come una saetta e violento come un pugno,
l'abbagliò: durante la precedente esperienza lui non le
aveva mai
torto un capello. Si era limitato a spaventarla, aveva lasciato che
si arrangiasse o che si facesse male con le sue trappole: nulla di
più. Ma ancora non se la sentiva di ammettere che, forse,
c'era
dell'altro “Non
è che quello è uno dei tuoi
desideri, Mon Chéri?”
disse lei, facendo il verso a quanto aveva domandato lui solo poche
ore prima.
Aveva
ripreso il controllo della situazione e, forte di essere -forse-
sulla buona strada, lo lasciò lì, a fissare il
forno lucido, mentre
andava a spegnere la luce al fratello.
Solo,
nella grande stanza simile a quella in cui aveva rapito Toby dieci
anni prima, Jareth non riusciva a prendere sonno. Sarah l'aveva
liquidato, mollandolo in cucina e lasciandogli il compito di spegnere
la luce. Si era barricata in camera, lasciandogli intendere che
dovesse andarsene a letto.
Era
ormai mezzanotte e la luce della luna filtrava dalle veneziane,
illuminando a giorno l'ambiente.
Era
sotto lo stesso tetto di Sarah, a dividerli solo una fragile parete e
non più i chilometri del labirinto. L'aveva studiata per
tutta la
sera. Nei suoi occhi aveva letto desiderio, lo stesso, immutato
desiderio che le aveva visto al ballo. Ma allo stesso tempo c'era
paura, freddezza, determinazione che insieme costituivano un'armatura
invalicabile: faceva tanto la dura ma quel suo atteggiamento
sprezzante e scostante nascondeva solo la sua fragilità e il
suo
sempre crescente bisogno di amore e protezione. Negli anni si era
fatta divorare dalle sue paure e non dai suoi sogni. Aveva scacciato
con troppa foga la sua offerta e l'idea di una troppo facile
esistenza felice per gettarsi in un gorgo di difficoltà. La
vita non
era giusta e con lei e Toby era stata particolarmente cattiva.
D'altronde, lui sapeva benissimo come la vita fosse una bilancia che
alla fine pareggia sempre i conti: tutto aveva un suo equilibrio e le
esperienze che lei aveva vissuto, se da una parte l'avevano ferita e
traumatizzata, dall'altra l'avevano anche resa accogliente nei
confronti degli altri. L'attaccamento, che i bambini dell'agglomerato
le avevano dimostrato, era solo un acconto della giusta ricompensa
che l'attendeva.
Sbuffò
indisposto, si alzò dal letto e si affacciò sul
corridoio. Dalla
porta socchiusa della stanza di Sarah, la calda luce di un'abat-jour
sciabolava l'oscurità: era ancora sveglia, intenta a leggere
chissà
quale romanzo d'avventura.
Bussò
con garbo allo stipite “Senti, Sarah...?”
cominciò. Ma
dall'interno non avvertì alcun movimento né,
tanto meno, risposta
“Sarah?” chiese scostando appena la porta ed
entrando. D'altronde
non c'era più alcun vincolo al non oltrepassare la soglia:
“Avanti,
entra!” aveva sbuffato quando lui,
poche ore prima, si
era piantato sul limitare della stanza.
La
ragazza giaceva su un fianco, il libro aperto nella conca delimitata
dal ventre, la testa appoggiata sul braccio che doveva sostenerla e
che invece fungeva da guanciale, i capelli neri sciolti ordinatamente
alle sue spalle. Vederla così indifesa lo fece sorridere. Le
prese
il libro, segnando il punto in cui era arrivata, spense la luce e si
sedette nello spazio prima occupato dal libro. Un ringhio sommesso
giunse dall'angolo della stanza e due occhi gialli gli si piantarono
addosso, aggressivi.
Jareth
sollevò un sopracciglio osservando seccato il grosso cane
nero “Sai
benissimo che non le farò nulla di male...”
sibilò. Il cane si
acquietò e trottò vicino a lui, poggiandogli la
grossa testa sulle
ginocchia. Il mago sollevò gli occhi al cielo: non c'era
nulla da
fare, non poteva nascondere la sua vera indole agli animali. E ai
bambini. Sbuffò piazzandogli pesantemente la mano tra le
orecchie e
carezzandolo. “E sai che non è di me che devi aver
paura, vero?”
disse lanciando un'occhiata in tralice oltre la finestra.
Sì.
Lui
si stava decisamente facendo i fatti loro ed essere così
monitorato
lo indispettiva non poco. Il cane parve capire al volo il messaggio
nascosto nelle parole di Jareth e si scostò bruscamente da
lui,
andando ad acciambellarsi sotto la finestra. Il mago sorrise
compiaciuto: quel lupo aveva già capito chi fosse il nemico
comune e
l'avrebbe aiutato, disturbandolo quanto bastava. Quella mossa gli
diede un'idea così brillante che si mise a ridere
sguaiatamente,
incurante della ragazza addormentata al suo fianco. “Tu me lo
permetti, vero?” disse al cane che rispose con un grugnito.
Si
alzò, girò su se stesso e tornò ad
acciambellarsi dando loro le
spalle: che facessero quello che volevano.
Jareth
si chinò su di lei, accostando la bocca al suo orecchio.
“Sarah...?”
chiamò mellifluo “Lo so che sei
sveglia...”
Per
tutta risposta lei si rigirò nel letto, di scatto, dandogli
le
spalle. Jareth si accigliò. Quindi riprovò.
“Sarah... dimmi la
verità...io ti attraggo, non è vero?”.
Quella
biascicò un qualcosa di indistinto e lui le chiese di
ripetere “Sì
sì” urlò quasi seccata, cacciandosi la
coperta fin sopra la
testa.
Jareth
sorrise tra sé. Le scostò le lenzuola fino a
scoprirle gli occhi.
Quindi riprese a parlare “Perché non me lo
dici?” chiese
poggiando la guancia sul palmo della mano aperta. Era divertente
giocare a quel modo con quella ragazza.
“Perché
no!” fu la risposta seccata
“E
ora? Che faccio?”
Pensò “Mmmm...” mugugnò
divertito, scoprendola piano, un
centimetro alla volta, senza mai toccarla “E....non mi
vuoi?”
chiese sfiorando il suo collo con le labbra
“No!”
ribatté prontamente lei, girando la testa altrove. Le guance
le si
erano imporporate e il respiro si era accelerato impercettibilmente.
“Chissà
perché non ti credo....” Sghignazzò
soffiandole all'orecchio. “Di
che mi vuoi...” suggerì con cattiveria.
Quella
notte Sarah sognò. Sognò a lungo, vividamente,
come non le capitava
da anni. Quando le prime luci del mattino filtrarono attraverso le
tende, schiuse gli occhi, crogiolandosi e al contempo vergognandosi
di quanto aveva sognato. Che cosa strana...lei non era il tipo da
ricordare i sogni, eppure...ne era stata contenta.
Doveva
essere l'effetto di quel nuovo e inaspettato incontro con il biondo
sovrano che aveva reso possibile la formulazione di un sogno tanto
vivido. E il tepore di Marking, acciambellato alle sue spalle,
stretto contro il muro, come al solito, la cui criniera le
solleticava la nuca, aveva contribuito a dare un senso realistico,
troppo realistico, al proprio sogno. “Dai, Mark! Su,
forza!”
sbadigliò con bocca impastata “E levami la coda di
dosso!” disse
prendendo con poca cura l'appendice che le cingeva la pancia. Era
stranamente liscia e setosa...non sembrava la coda folta e soffice
del cane.
Non
fece in tempo a domandarsi cosa gli fosse successo quando lo vide
sbucare dalla porta e andare a darle una leccata sulla faccia,
poggiando le grosse zampe pelose sul bordo del letto.
“Mark!!!”
strepitò Toby nell'altra stanza: cercava il cane che subito
si
dileguò, veloce come era comparso.
Il
cervello della ragazza era in loop: se non era Marking a farle tutto
quel caldo...
Alzò
il piumino, cercando di girarsi su se stessa. Ma, prima di notare il
braccio maschile che le cingeva la vita, notò la propria
nudità.
“E'
stato solo un sogno! E' stato solo un sogno!E' stato solo un sogno!”
continuava a ripetersi, come un mantra, mentre si voltava del tutto,
sgomenta, terrorizzata, scandalizzata.
Cosa
aveva combinato la sera prima?
Steso
accanto a lei c'era il suo ospite, profondamente addormentato
e...nudo anch'egli. Almeno dalla vita in su. Non osò
spostare oltre
lo sguardo, troppo confusa e imbarazzata. Ma lui le aveva detto
chiaramente come dormisse a casa sua.
Il
cervello continuava a non connettere: erano loro due, nudi, a letto
assieme, di prima mattina. Lei aveva un perfetto estraneo,
affascinante e bellissimo, nel proprio letto. Un uomo che poteva
essere il sogno di qualunque ragazza, che a tratti aveva popolato
anche i suoi, di sogni, in un'infatuazione adolescenziale.
Era
davvero l'uomo che aveva incontrato dieci anni prima? Poteva dirlo
con certezza? O era un sosia e lei aveva fatto qualche tremenda
cazzata spinta dal senso di euforia per quei dieci anni finalmente
trascorsi dal suo viaggio fantastico? Era così malata da
voler
festeggiare un anniversario immaginario? Ma anche fosse stata la
stessa persona...cosa le era saltato in mente? Erano comunque due
estranei. Ma era sicura di quello che era successo? Con lui non si
poteva mai stare tranquilli, forse era stato solo uno scherzo di
cattivo gusto.
Il
sogno di quella notte le tornò prepotentemente alla mente,
facendola
arrossire fino alla punta delle orecchie. Doveva concentrarsi: cosa
aveva fatto, senza ombra di dubbio? Non ricordava di averlo chiamato
in camera né che lui vi fosse penetrato. Stava leggendo, ne
era
certa. Si volse appena, distogliendo l'attenzione dalle lunghe ciglia
del biondo, dalla sua bocca invitante come il taglio sul pane appena
cotto, dai suoi capelli dorati, fitti e fini, che gli conferivano
un'aura di magnificenza anche nel sonno. Sul comodino, il suo libro
giaceva chiuso in ordine, col segnalibro nel punto in cui,
finalmente, i due amanti si incontravano di nuovo.
No,
pensò. Doveva essere un trucco...lui le aveva manipolato i
sogni,
attingendo da quel libro, come aveva fatto dieci anni prima,
facendole credere che fosse stato tutto vero. Ma perché? Per
prendersi poi gioco di lei, sicuramente! Era così
determinato a
farla capitolare? La sconfitta e l'indifferenza che lei, a soli 15
anni, ignorante in materia amorosa, aveva dimostrato, gli bruciavano
ancora così tanto?
Eppure,
anche l'atteggiamento di Marking era stato strano. Se lui avesse
fatto tutto ciò, contro la sua volontà, di sicuro
il cane l'avrebbe
protetta. Invece, sembrava quasi aver ubbidito a un ordine,
accettando l'estraneo in camera.
Si
stava arrovellando concitata su quella questione da appena un minuto
che Jareth, sotto di lei, sentendosi osservato aprì gli
occhi, per
nulla sorpreso di trovarla e trovarsi lì.
“Buon
giorno, dolcezza...” disse sorridendo, senza malizia, con un
certo
calore nostalgico negli occhi, cercando di tirarla nuovamente a
sé.
Ma lei, così come lui l'aveva dipinta anni addietro, si
raggelò,
fulminandolo.
“Cosa
cavolo ci fai nel mio letto?” domandò astiosa,
pronta a prenderlo
a pedate per la nonchalance con cui stava reagendo a quella strana
situazione.
Subito
anche lui cambiò registro e si fece aggressivo “E'
questo il
trattamento che mi riservi dopo...” in un baleno il suo
sguardo si
fece malizioso, indicando i loro corpi stesi sotto le lenzuola, e un
ghigno sardonico gli increspò le labbra.
“Non
c'è stato proprio niente! Quindi ora fila fuori di
qui!” ordinò
lei perentoria.
Si
domandò come mai non stesse urlando, tirandosi le coperte
fin sopra
il naso ma riuscisse ad affrontarlo così tranquillamente
senza dare
in eccessive escandescenze. Ma forse la sua reazione così
gelida era
dovuta a una fondamentale parità: erano nudi entrambi. E
proprio per
quello l'avrebbe ucciso volentieri.
“Strega!”
Replicò lui indispettito ma fece quello che gli era stato
ordinato.
Si alzò bruscamente in piedi sul letto, incurante di tutto,
scoprendo anche lei, che gracchiò appena per la sorpresa,
cercando
di riagguantare le coperte per restare coperta. Lui la
scavalcò con
un balzo e andò alla finestra, scrutando oltre il vetro,
assorto,
quasi cercasse qualcosa di preciso. Le diede le spalle per tutto il
tempo necessario a che lei si ricomponesse, dopo un primo momento di
esitazione. “Spero, almeno, di essere stato all'altezza delle
tue
aspettative,
nonostante ora sia solo... umano”
soffiò con una velatura di tristezza nella voce. Sarah
strabuzzò
gli occhi e per poco non si strozzò con la saliva: che
avesse
davvero fatto qualcosa di irreparabile? Quel che le faceva
più male,
in quel momento, era il suo tono sofferente, più straziante
di
quello che aveva quando lo rifiutò alla fine del loro gioco
e che la
faceva sentire più colpevole dello sguardo che aveva quando
lei
l'aveva piantato al ballo.
No,
si disse, stava solo cercando di farla sentire in colpa, di piegarla
al suo volere. E se invece fosse stato tutto vero? Lei l'aveva
praticamente usato?
Si
vergognò di se stessa e gli lanciò i pantaloni
della tuta che
giacevano a terra insieme alle ciabatte e al suo pigiama. “Ci
sono
minorenni in giro, vedi di coprirti!” disse sgusciando fuori
dal
letto, pronta ad andare dal fratello. Si fermò un attimo,
perplessa
e scostò le coperte, in cerca di qualche traccia.
“E'
inutile!” rispose lui senza voltarsi “Non
tutte...”
Prima
che lui potesse finire la frase, lei uscì di corsa dalla
stanza,
sbattendosi la porta alle spalle, colma di vergogna.
Rimasto
nuovamente solo, Jareth tornò nella camera degli ospiti e si
ributtò
nel letto sfatto. Si fece i complimenti per il poco tatto che aveva
avuto l'accortezza di usare: ora lei lo odiava realmente. Come poteva
darle torto?
Conoscendola,
l'avrebbe odiato ancora di più, giunti alla fine di tutta la
faccenda.
La
realtà era che lui la stava usando e ingannando: per
tornare, per
riavere i suoi poteri... e per soddisfare, in minima parte, il
desiderio che aveva di lei.
Con
un lieve frusciò, Marking trottò in camera, i
panni puliti stretti
nelle fauci. Abbattuto, Jareth trovò nel cane un'insperata
consolazione e lo ringraziò con un paio di pacche sul collo.
“Sì...tutto bene...” disse quasi
rispondendogli “Ma ora ho il
dubbio che sia stata una mossa avventata.”
Toby
e Jareth consumarono insieme al ricca colazione. Sarah non si fece
vedere per tutto il tempo, apparentemente impegnata a preparare i
bagagli al fratello.
Quando
comparve nell'ingresso era ora di uscire per andare alla stazione.
“Sarah...”
la chiamò Jareth prima che lei prendesse in mano le chiavi
di casa
“Possiamo parlare un secondo?” Vedendo il suo
sguardo allarmato
correre al fratello, si affrettò a specificare
“Per l'anello...”
rettificò seccato.
“Cosa?”
domandò lei, visibilmente rilassata ma minimamente
intenzionata a
smuoversi da lì
“Voglio
un foglio di carta...me lo puoi procurare?” disse allora lui,
con
la solita arroganza. Senza rispondergli, lei scomparve nel corridoio
e poco dopo ne riemerse con un paio di fogli bianchi presi dalla
risma della stampante.
“Che
ci devi fare?” chiese Toby incuriosito, dando voce ai
pensieri
della sorella
“In
qualche modo andrà pure pagato, no?” rispose lui
piegando il
foglio con cura e strappando poi lungo il segno, ottenendo tanti
piccoli rettangoli bianchi che ammonticchiò con cura,
piegò e mise
in tasca
“Non
voglio nessun regalo da te!” sentenziò Sarah
inviperita
Jareth
la guardò di traverso “Non è un regalo!
Diciamo che è un
prestito...Quando sarò a casa potrai farne ciò
che vorrai ma per
ora ne hai assoluto bisogno!”
Toby
spostava lo sguardo perplesso da uno all'altra, senza afferrare la
natura del contendere: adulti!
“Andiamo!”
disse Sarah seccata, afferrando la mano del fratello e avviandosi
giù
per le scale, lasciando che Jareth li raggiungesse insieme a Marking.
- - - - - - - - - - - - - -
- - - -
Bene, un capitolo più leggero, no?
:D “Non maleditemi/Non serve a
niente/ tanto all'inferno ci sarò già”
E se vi state chiedendo chi è Lui
io ho la bocca cucita...basti sapere che è il cattivo
della storia.
:) al dodicesimo
capitolo forse era il caso di cominciare a parlarne...quanto a quello
che è successo durante la notte...lascio a voi libera
interpretazione... hanno combinato o no? È stato un sogno?
Vi
dico solo che io non ho ancora deciso XD
ma cmq
c'è un perché ...e lo saprete solo alla fine XD
quindi...vi
lascio alle vostre succulentissime uova di cioccolata...
buona
abbuffata a tutti!
ciaooo
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Capitolo 13 *** It's a nice day to start again ***
13
- It's a nice day to start again
Jareth
aveva imposto che l'anello (perché doveva essere
assolutamente ed
inderogabilmente un anello: non un bracciale una collana o un paio di
orecchini) fosse di materiale prezioso e non di volgare plastica,
legno, osso, vetro o simili in quanto quei materiali non avrebbero
avuto, a suo dire, i requisiti per convogliare al loro interno i
principi magici che necessitava il fantomatico amuleto.
E
non aveva voluto proprio sentire parlare di banco dei pegni: a suo
dire, gli oggetti ceduti portavano in sé il rancore
dell'abbandono.
Un po' come i cani al canile che, più che soffrire per la
solitudine, soffrivano del senso di inadeguatezza che avvertivano
nell'essere stati accantonati dal loro stesso branco. Inoltre, in
quel luogo non era ben chiaro chi avesse posseduto quegli oggetti in
precedenza e quale fosse la storia a cui erano legati. Loro dovevano
poter contare su un amuleto forte e potente, spoglio di qualunque
influenza esterna a meno che non ne fosse accertata la natura
benefica. Ma coi suoi poteri limitati, Jareth non era in grado di
operare tale selezione e optare, quindi, per un artefatto nuovo di
zecca era la scelta più saggia.
Una
volta imbarcato il bambino, con tutte le raccomandazioni del caso, i
due si diressero, quindi, verso la gioielleria più vicina:
le
commesse conoscevano Sarah per tutte le volte che aveva accompagnato
amiche e amici a comprare regali e Jareth era sicuro che l'avrebbero
trattata con riguardo, essendo quello il suo primo acquisto. E
sarebbe stato, indubbiamente, un acquisto di un certo valore.
Nonostante
la spavalderia, era comunque evidente come fosse, per lui, la prima
volta che metteva piede in un posto simile: nessuno, nemmeno un
claustrofobico si sarebbe innervosito a quel modo per il passaggio
obbligato nell'anticamera a doppio battente. Erano gli unici clienti,
quella mattina, e la commessa si precipitò subito da loro,
cordiale
come tutte le volte che Sarah vi era entrata.
“Voglio
un anello. Per lei.” disse lui senza preamboli, con la solita
arroganza reale che Sarah aveva quasi dimenticato gli appartenesse.
Anzi. Dopo l'atteggiamento quasi remissivo del giorno prima, ora le
suonava come estremamente scortese.
La
ragazza al di là del bancone tralasciò il tono
cafone con cui si
era espresso l'uomo, abituata a gente di ogni tipo, affascinata dai
suoi occhi spaiati e dalla sua bellezza generale, invidiando
profondamente la giovane mora al suo fianco. Mise a loro disposizione
tutti i pezzi che avevano in laboratorio: fedine, solitari... propose
loro addirittura un tirapugni firmato da una grande casa di moda.
“Scegli
con giudizio!” disse in un soffio, rivolto a Sarah. Anche
avesse
potuto portare con sé l'anello che aveva recuperato anni
addietro,
quello dorato con topazio incastonato che lei aveva donato al saggio
come ricompensa per il suo aiuto, quello stesso non sarebbe andato
bene: lei era cambiata e quell'anello non la rappresentava
più.
Infatti,
Sarah scartò subito gli anelli dorati, mostrando una
predilezione
per l'antisettico argento, il metallo di chi è emotivo,
ipersensibile, alla ricerca di protezione. Alla fine scelse un anello
con una forma particolare e una combinazione insolita di colori: un
granato del rosso della combattività, una coppia di
acquamarine
dell'azzurro dell'ingenuità e dell'insofferenza ai legami e
una
bellissima onice nera, tipica delle personalità inquiete,
attratte
dall'occulto e dai meandri dell'inconscio. Lo calzò sul
medio della
mano destra: le stava alla perfezione e l'insieme di colori freddi ne
esaltava l'incarnato.
La
commessa sogghignò divertita “Va messo
sull'anulare sinistro...”
Ma
Sarah le rispose per le rime, infastidita, informandola che non si
trattava di un anello di fidanzamento e che stava benissimo dove si
trovava.
Jareth,
dal canto suo approvava appieno: il medio, il dito delle persone
prudenti e malinconiche, la mano destra di quelle attive, dotate di
grande volontà.
“No...”
disse, scuotendo la testa, pronta a sfilarselo “Fammi
guardare
ancora...” e nel dirlo i suoi occhi già vagavano
sull'espositore
in cerca di qualcos'altro.
“Perché?”
domandò Jareth corrucciato, bloccandola nel suo intento
“Perché
non è il tipo di anello...adatto a me, ecco...io sono per
cose più
sportive, pratiche...semplici... non... pacchianate
simili...”
rispose imbarazzata ed estremamente onesta con se stessa “E'
ingombrante..lo romperei subito!”
“Allora
perché l'hai provato?” domandò lui,
piatto, di rimando,
fissandola gelido.
“Perché...era
carino...mi piaceva questa forma un po' bizzarra...” disse
osservando meglio il musetto della pantera che si protendeva da una
delle estremità della serpentina.
“Ti
avevo avvisato di scegliere con giudizio!” la
rimproverò lui
“Sì
sì...ora lo faccio...scusa tanto se... era la prima volta
che avevo
il pretesto per provarlo...” ribatté lei
indispettita
“Cos'è
che fai, ora?” domandò lui, incredulo,
acchiappandola per la
collottola della giacca e trattenendola dal toglierselo
“Mi
metto alla seria ricerca di quello giusto!” rispose lei
offesa per
venir trattata come una bambina
“Non
se ne parla neanche!” replicò il biondo,
frapponendosi tra lei e
la commessa “Quanto viene?” domandò
sicuro.
La
commessa snocciolò il prezzo a quattro cifre con noncuranza.
Sarah
sbiancò, più pronta di prima a rinunciare a
quell'anello, anche se
ormai, cosa che non avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, lo
sentiva come suo.
Jareth
infranse il sorrisetto divertito della commessa che certo non si
aspettava di riuscire a vendere un pezzo tanto importante
“Può
lasciarci soli un secondo?” disse con tono di chi deve
convincere
la controparte che quella che si accingevano a pagare era una somma
da nulla.
Quando
la commessa si fu dileguata di buon grado, Sarah lo trapassò
con uno
sguardo carico di sconcerto “Non me lo posso
permettere!” sibilò
Sarah esasperata, non sapendo più come fare per farlo
desistere.
Marking diede un'abbaiata di disapprovazione, quasi volesse dirle di
avere un po' di fiducia nell'uomo accanto a lei.
“Ma
è lui che ti sta chiamando quindi...ora dimmi...Fammi
finire!” la
zittì bruscamente vedendo come lei fosse nuovamente pronta a
replicare “L'hai messo al dito istintivamente. Va benissimo!
Ora fa
ciò che ti dico, una volta tanto.” Stavano per
mettersi a urlare
e Jareth dovette fermarsi per riprendere il controllo di se stesso.
“...Mostrami i tuoi soldi...” disse meccanico.
Sarah ubbidì e
mostrò il contenuto del suo portafogli. “Quanti di
questi pezzi di
carta ci vorrebbero?”
Sarah,
perplessa, fece rapidamente due conti e mostrò la banconota
del
taglio più grande che aveva “All'incirca...una
dozzina di
queste...”
Jareth
sbuffò come se gli avesse appena detto la cosa
più stupida del
mondo e a lei ricordò molto il modo in cui si era
atteggiato, a suo
tempo, prima di indicarle il castello in cui avrebbe trovato Toby.
Tornarono al bancone e Jareth chiamò la ragazza a cui disse
un
semplice, compiaciuto “Lo prendiamo!”
Sarah
non poteva non guardarlo come fosse un indemoniato: cosa gli stava
passando per il cervello? Quell'anello non era adatto a una come lei
e, in più, non avevano soldi!
Presa
dal panico, non si accorse nemmeno dei magheggi del biondo: aveva
estratto dalla giacca i pezzi di carta che aveva tagliato a casa e li
aveva posati sul bancone, la mano aperta a raggiera a coprirli e,
quando la commessa si era voltata per battere lo scontrino, credette
di avere le traveggole: quelli che erano semplici pezzi di carta
bianca fino a un attimo prima, ne era certa, l'istante dopo erano una
mazzetta di banconote come quelle che lei gli aveva mostrato. La
commessa non batté ciglio nel vedersi pagare una somma
simile con
tutti quei contanti. Li controllò con l'apposita
macchinetta, quindi
consegnò loro resto, scontrino e scatoletta.
Una
volta all'aperto e abbastanza lontani, Sarah non poté fare a
meno di
domandare dove si fosse procurato quei soldi.
“Magia...”
borbottò Jareth sventagliandole la mano davanti al naso,
quasi a
farle marameo.
Prima
di partire, Sarah aveva espresso il desiderio, che a Jareth era
suonato più come un ordine, di passare a salutare i propri
amici.
Il
sabato mattina non c'era mai molta gente in università:
c'erano le
lezioni di recupero e poche lezioni ordinarie, che la maggior parte
degli studenti snobbava completamente, soprattutto se veniva dalla
provincia.
Al
loro passaggio, com'era prevedibile, la folla di matricole si
spalancò per farli passare: tra Jareth e Marking
sembrava essere una qualche principessa con la propria, mortale,
scorta.
La
ragazza si sorprese a constatare come Jareth, effettivamente, pur con
poteri molto limitati, avesse la capacità di mettere
soggezione a
chiunque.
A
tutti tranne che a lei. E a Toby.
Si
domandò, per l'ennesima volta, se le parole che lei gli
aveva
rivolto, vincendo la precedente sfida, non avessero davvero colto nel
segno. Ma la domanda successiva prevedeva una serie di risposte una
più inquietante dell'altra a cui, per il momento, non voleva
nemmeno
pensare.
Si
trovarono ben presto all'aperto del chiostro. Sarah si
guardò
attorno, cercando i suoi compagni. Furono loro a individuarla urlando
il suo nome dalla finestra dell'aula studio che si affacciava sulla
piazzetta. Sgusciarono fuori dalla finestra uno dopo l'altro,
correndole incontro tutti agitati. Quando la raggiunsero e notarono
il biondo alle sue spalle, seduto svogliatamente in attesa, si
congelarono seduta stante, senza osare nemmeno più
respirare.
A
quel punto, fu lei a farsi avanti.
“Sarah,
per l'amor di Dio!” urlò Gloria, quando fu
abbastanza vicina,
afferrandola per il polso e tirandola verso di loro, quasi potesse,
con quel gesto, metterla al riparo. “Cosa ci fai qui con lui?”
“Oddio,
Gloria...!” rispose seccata per il trattamento ricevuto: non
era
una bambina e lei non era sua madre “E' un
mio...conoscente...”
disse con voce flebile, ripensando a come si fosse svegliata quella
mattina
“Ora
si dice così?” mugugnò Jareth ad alta
voce, alle sue spalle, per
farsi sentire. Sarah, avvampando, lo ignorò.
“Sono
stata io a dirgli dove trovarti..spero non...” disse ancora
la
bionda, piena di sensi di colpa.
Ma
la mora scosse la testa, comprensiva “E' tutto
ok...” disse
sorridendo “Volevo solo dirvi che...beh ecco...io oggi non
vengo a
lezione...e che...ecco...parto...nulla di impegnativo...” credo,
aggiunse tra sé
“Ma...e
il piccolo Toby?” sbottò Matt inviperito
“E'
ripartito stamattina per il collegio...Marking, invece, viene con
noi...”
“NOI?”
strepitarono quelli in coro “Ma mica starai partendo con lui,
vero?”
“Ehm...Sì...”
disse, incerta, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzata
“E
quello cos'è?” domandò sospettosa Jess
prendendole la mano con
prepotenza e osservando l'anello nuovo di pacca “Di chi
è?”
chiese con fare cospiratorio. Sarah intese immediatamente che
sospettavano, ancora, una tresca col professore e ne fu oltremodo
seccata: quello l'aveva comprato con....
“Mia
cara, vedi di non farti scippare subito l'anello che ti ho appena
comprato...” ringhiò la voce di Jareth
direttamente al suo
orecchio, improvvisamente vicina, facendole dimenticare il proposito
di non pensarlo in veste romantica. Si voltò perplessa
mentre il
gruppetto, bianco in volto, arretrava impercettibilmente.
“Hai
finito?” chiese spazientito.
“Sì,
quasi...” disse fredda.
I
ragazzi erano a dir poco ammirati dalla disinvoltura con cui lei gli
rivolgeva la parola e con cui osava metterlo al suo posto. Ma ancor
più, dal dettaglio succulento riguardante l'anello...e che
anello!
“Che
altro devi fare?” la rimbeccò lui seccato
“Sbaglio
o non avevamo alcuna fretta?” lo zittì lei
“Devo parlare col mio
professore...” rispose infine.
“Sta
arrivando adesso...” piagnucolò Sam alle spalle di
tutti.
A
nessuno, però, Jareth compreso, era sfuggito il modo in cui
Sarah
aveva parlato del docente anche se non c'era stato tempo per
approfondire l'argomento.
“Sarah,
noi torniamo a studiare, che siamo presi con l'acqua alla gola,
vero?” chiese Jess al gruppo che rispose con un cenno
affermativo
perfettamente coordinato: tutto pur di evitare di passare un solo
altro istante insieme a quell'uomo tanto terrificante.
“E'
stato bello conoscerti...” disse Gloria abbracciandola per
ultima.
“Hey..non
sto andando al patibolo...parto solo per un paio di
giorni...”
replicò indispettita.
In
quel momento, a Gloria squillò il telefono, impedendole di
replicare.
It's
a nice day to start again
It's a nice day for a white wedding
It's
a nice day to start again
Take
me back home
There is nothin' fair in this world
There is
nothin' safe in this world
And there's nothin' sure in this
world
And there's nothin' pure in this world
Look for something
left in this world
Start again
Come on
[E'
un bel giorno per ricominciare/ E' un bel giorno per un bianco
matrimonio/ E' un bel giorno per ricominciare
Riportami
a casa/ Nulla è giusto, in questo mondo/ Nulla è
inattaccabile, in
questo mondo/ E nulla è certo, in questo mondo/ E nulla
è puro, in
questo mondo/ Cerca qualcosa che dimenticato in questo mondo/
Ricomincia/ Avanti]
Sarah
la guardò sconcertata. Era un caso? O Iutrepi stava
completando per
lei, a modo suo, la frase lasciata in sospeso? Gloria alzò
gli occhi
al cielo “E' per stasera... All'ultimo ho cambiato
festa...”
disse guardando il piccolo monitor che lampeggiava “Beh,
richiamerà...Anche se l'ho cercato io...ora devo salutare
te, che
sei più importante!”
“Gloria...tutto
bene? Quando hai cambiato suoneria?” Sarah era perplessa. It's
a nice day to start again. Non
voleva andarsene prima di aver chiarito quei dettagli con l'amica.
Gloria
le sorrise triste, spostò un attimo lo sguardo su Jareth per
poi
tornare a guardare lei “Non sempre, nella vita, tutto va come
ci si
aspetta, no? Per quanto tu provi a sforzarti...Ma tutto bene, non
temere...Ne parliamo quando torni.” le disse all'orecchio in
modo
che solo lei la sentisse. Quindi la salutò nuovamente e
scappò via
con gli altri.
“Dopo
mi spieghi!” sibilò a Jareth mentre si avviava
incontro al
professor Grimm.
“Buongiorno,
Sarah..” la salutò lui, cordiale.
Sarah
non fu poi molto sorpresa dalla reazione dell'uomo nell'incontrare
Jareth. Gli tese la mano, affabile come sempre, ma quando Jareth la
strinse, sbottò, con una punta di acidità,
“Oh, l'eroe!” lo
canzonò, per nulla intimidito “Che nome
curioso...da dove deriva?”
chiese facendo il finto tonto “Dallo stilista,
dalla tradizione biblica o da quella dei cicli bretoni? Oppure...dal
famigerato re dei Goblin?”
“E
il tuo, onnipotente Manny Manolo?
Dal filosofo tedesco?” replicò indispettito il
mago, senza
rispondere. Qualcosa non gli quadrava nell'uomo che aveva di fronte e
non solo perché sapeva dell'esistenza dei Goblin.
“Lascialo
perdere!” sbuffò Sarah esasperata, rivolta al
moro, e quasi
spintonando il biondo da parte “Resta qui un secondo,
buonino, ok?”
disse trattandolo come il più insulso dei marmocchi. Jareth,
offeso,
incrociò le braccia e si ributtò a sedere
“Sarah
cos'è questa storia?” domandò curioso
il professore.
Sarah
lo trascinò in un giro attorno al chiostro, durante il quale
gli
spiegò, il più sinteticamente possibile,
l'evoluzione che aveva
subito la situazione la sera prima, di come se lo fosse trovato
comodamente appollaiato in cucina e di come avesse acconsentito a
riportarlo a casa “Non vedo l'ora che sia tutto finito...in
una
manciata d'ore mi son già pentita di aver accettato... ma
l'alternativa era che mi si piazzasse a casa vita natural
durante...”
“Mi
raccomando...fa attenzione, allora!” la incoraggiò
lui, annuendo
greve alla sua esternazione.
“Certo...volevo
parlarti proprio per dirti di non preoccuparti se non dovessi
sentirmi nei prossimi giorni...”
“Hai
finito?” urlò Jareth dall'altra parte del
giardino, calato nella
parte del peggiore dei cafoni e col tono possessivo tipico delle
persone gelose. O dei sovrani viziati.
Dopo
cinque minuti, durante i quali continuò a ignorarlo e a non
rispondere alla domanda, Sarah fu di ritorno, visibilmente alterata.
“Possiamo andare, ora!”
disse astiosa vedendo come anche Marking si fosse venduto a Jareth e
ne fosse diventato praticamente lo zerbino, tranquillamente steso ai
suoi piedi.
Si
avviarono, senza meta, per le stradine che si diramavano dal campus
finché Sarah non si riscosse, mettendo da parte
l'arrabbiatura.
“Come ci arriviamo, nell'Underground?”
“Era
ora che tornassi tra noi...” le rispose l'altro ghignante per
farsi
poi subito serio “Stiamo andando in un posto dove nessuno
possa
sorprendersi se spariamo all'improvviso...siamo quasi
arrivati!”
Svoltarono per una miriadi di strette stradine, sempre più
imbucate
e di cui Sarah non sospettava nemmeno l'esistenza. Si trovarono,
infine in un vicolo cieco, chiuso sul fondo da un portone
inutilizzato dell'università su cui non si affacciava
nessuna porta
o finestra.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - -
E'
stato abbastanza arrogante e cafone il caro Jareth? Spero di
sì. Il
mio intento è quello di mostrare come il mondo umano possa
aver
esasperato certe sue caratteristiche. D'altronde gli umani sono solo
stupide e fragili creature...
Ad
ogni modo...nel prossimo capitolo siamo definitivamente
nell'Underground. :)
Quindi...a
presto!!!
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Capitolo 14 *** Underground ***
14-
Underground
Musiche
d'arpa, flauto e di cembalo
riecheggiavano
fino ai piedi della piccola cittadella rimessa a nuovo e
serpeggiavano tra le stradine divenute dei mercati all'aperto.
La
vitalità contraddistingueva ora Goblin City che per lungo
tempo era
rimasta sepolta sotto il peso della noia e del senso di
ineluttabilità conseguente alla crescente diffidenza umana
nei
confronti del magico.
L'arrivo,
e la vittoria, di un'umana, però, aveva rivoluzionato ogni
cosa. Non
solo aveva dato speranza alla loro stessa esistenza ma aveva
addirittura alimentato la credenza dell'avvento di un prossimo
stravolgimento nel mondo magico. Tutti lo sapevano, tutti ne
parlavano. Nessuno ci aveva mai creduto seriamente. Fino a che lei
non
aveva annullato
il
precedente sovrano. Non aveva solo vinto il gioco, riprendendosi suo
fratello come da accordo: l'aveva schiacciato sotto la sua
determinazione. E una sconfitta simile non era mai stata nemmeno
concepita. L'errore di Jareth, d'altronde, era stato quello di tirare
troppo la corda, conscio anch'egli di quella remota e insperata
possibilità di cambiamento.
Le
piccole abitazioni erano state, quindi, raddrizzate e non erano
più
addossate le une alle altre come tante scatole zuppe
d'umidità in
una cantina polverosa. Erano tanti blocchi bianchi, ordinati e
asettici, disposti in cerchio alla base del castello.
Anch'esso aveva mutato aspetto: la forma scolpita nella roccia,
appena abbozzata, si era evoluta in un'elegante spirale a doppia
elica, la superficie liscia e ricoperta di delicate maioliche
sembrava riflettere la luce del giorno, mentre di notte assumeva la
consistenza traslucida delle creature marine fotoluminescenti.
Era il vero emblema, e omaggio, alla luna: come tutto, anche
quell'aspetto dell'Underground viveva di luce riflessa di
ciò che
filtrava dall'Aboveground, dalla foggia dei vestiti alle architetture
moderniste. Tutto esprimeva la dicotomia che intercorreva tra i due
mondi, uno solare e vitale, uno oscuro e ctonio.
Non
a caso all'Underground erano associati i luoghi altri
delle
credenze popolari, i regni infernali delle religioni. E solo pochi
dei suoi abitanti avevano l'abilità, le conoscenze e le
autorizzazioni per evadere dai confini che lo delimitavano a proprio
piacimento. Tali confini erano, inoltre, sorvegliati costantemente
per impedire evasioni non incontrollate nel mondo umano o, viceversa,
ingerenze di quello sul mondo magico.
Dal
palazzo, oltre le tortuosità del labirinto, giù
in lontananza, si
potevano scorgere le montagne che facevano da spartiacque tra i due
mondi:
il regno di Goblin era la testa di ponte di tutto l'Underground.
“Maestà,
Maestà!” l'urlo rauco e sregolato di un vecchio
Goblin
spelacchiato
riecheggiò nei corridoi vuoti e lucenti del palazzo.
L'armatura
sferragliava rumorosa assecondando i movimenti bruschi e impacciati
della creatura che finiva per pattinare sulle mattonelle bianche in
prossimità delle curve, a causa della velocità
raggiunta nella
corsa. “Maestà!” ansimò
cadendo in ginocchio davanti al trono a
baldacchino.
L'uomo,
stravaccato sulle gambe di una bella donna discinta dai capelli
corvini, lo guardò annoiato, quasi furente, mentre lasciava
che lei
gli arruffasse i capelli “Che vuoi?”
biascicò
“Maestà...il
principe Jareth... con la campionessa!” sbrodolò
il luogotenente
togliendosi l'elmo cornuto, cercando di riprendere fiato.
“Non
mi dici nulla di nuovo...so benissimo dove si trova, lui,
adesso...”
disse seccato
“No,
volevo dire...Maestà...stanno varcando i confini
dell'Undergound. E
sono accompagnati da un grosso cane nero...”
L'uomo
arricciò il naso, indispettito “Dannato
cane...” sibilò. Quindi
levò una mano sopra la testa, quasi volesse schermarsi gli
occhi
dalla luce della sala. Nella sua mano comparve un prisma irregolare
dai bagliori violacei. “Toh...” sbottò
tirandosi bruscamente in
piedi e cacciando di malagrazia la donna che sedeva con lui
“Levati!”
le intimò per poi tornare al suo cristallo al cui interno si
muovevano le tre figure “Riesco a vederli,
finalmente...” esultò.
Sentendosi addosso lo sguardo indagatore del suddito, levò
gli occhi
indispettito “Che c'è?”
“Sua
Maestà non riusciva a....” ebbe l'ardire di
cominciare quello
“No!”
rispose seccato il sovrano, storpiando il suono prodotto, come un
bambino dispettoso “Perché quello stronzo si
è tenuto vicino il
cane di proposito... Ed è noto che i nostri poteri, in
presenza di
simili creature, vengono vanificati, nell'Abovegound...ma
ora...”
disse cominciando a ridere sguaiatamente. “Jay, Jay...che
trucchetto da poco...hai solo rimandato di qualche ora
l'inevitabile...”
Un
passo, un altro e un terzo ancora e, gradualmente, come le altre
volte, il mondo circostante cambiò aspetto e si trovarono
nell'Underground senza che potessero dire, con precisione, quando
fosse avvenuto la transizione da un mondo all'altro.
Jareth
si avviò giù per il pendio sabbioso lasciando che
Sarah gli
trottasse alle spalle.
Il
paesaggio antistante il labirinto non sembrava cambiato dalla prima
volta che vi era passata. Ricordava tutto come non fosse passato che
un giorno.
Hoggle
non era nei paraggi e la cosa la rattristò. Si disse,
però, che il
tempo scorreva diversamente nei due mondi e che lui non poteva sapere
quando e se sarebbe arrivata davvero. Sarebbe stato, quindi, stupido
pretendere che dormisse all'addiaccio per aspettare l'ipotetico
arrivo di un fantasma. Al suo posto, in compenso, le piccole fatine
infestavano le mura del labirinto come un nugolo di zanzare avrebbe
circondato una pozza d'acqua in estate.
“Questo
è solo uno degli effetti della tua vittoria. E
dell'abbandono del
ruolo che ti spettava...” commentò Jareth
leggendole nella mente.
Sembrava cercare qualcosa tra la terra rossa e polverosa che
scacciava con lo stivale mentre con la mano sventolava l'aria attorno
a sé per liberarsi da quegli esseri fastidiosi.
Marking,
intanto, si dimenava, tutto felice, all'inseguimento di quegli
esserini: saltava, agitando le zampe nel tentativo di farli
precipitare o sbattendo i denti in morsi che andavano a vuoto; quando
ci riusciva, raspava il terreno tutt'attorno cercando di farli
ruzzolare su loro stessi; ogni tanto guaiva per i morsi che riceveva
lui e, allora, si accaniva con ancor più determinazione
contro
quegli esseri svolazzanti, girando su se stesso come impazzito,
inseguendoli.
“Oh,
ecco..” disse il mago chinandosi a terra. Dalla polvere lo
vide
sollevare degli strani oggetti lucenti, lunghi quanto un braccio.
Sembravano morbide piume stilizzate ma composte di qualche lega
metallica particolare: rilucevano e ondeggiavano a ogni minimo
movimento.
Si
volse e gliene porse una. “Cominciamo con le
regole” disse
appendendo la sua al passante della cintura “Se ti sentissi
in
pericolo, per qualunque motivo, fossi anche io ad attaccarti, vedi di
non esitare a usarla, intesi?” lei lo guardò
scettica. “E' un
pugnale.
Ed è stato forgiato dalle mie piume.”
la informò orgoglioso. “Puoi portarla pure al
collo,
miniaturizzata, fai tu. Comunque, quando...”
cominciò che lei lo
interruppe bruscamente.
“Piume?
Non mi sembra proprio tu abbia piume!” il tono scettico e
canzonatorio della ragazza mandò Jareth su tutte le furie.
La
trapassò con un'occhiata gelida. “Dimmi,
Sarah...” la sfidò
incrociando le braccia al petto “Tu sai, vero, che i maghi
hanno un
sembiante e/o un familiare?”
“Certo
che lo so!” rispose sulla difensiva.
“Sai
la differenza tra i due?” domandò ancora lui.
Ancora una volta,
dubitava seriamente che quella ragazza ne sapesse abbastanza per
affrontare l'Underground.
“I
familiari sono..diciamo.. gli aiutanti animali...mentre
il sembiante è la forma animale che può assumere
un mago o uno
stregone.
Anzi...normalmente i rapaci notturni sono considerati universalmente
sembianti specifici degli stessi. Altre razze magiche sarebbero
associate ad altri animali in base alle caratteristiche della loro
specie o dei loro poteri...”
“Altre
razze...” soffiò Jareth stizzito
“Vediamo di non confondere i
maghi con le creature che loro stessi governano...” Sarah lo
guardò
dubbiosa, non capendo il motivo di tanto risentimento
“Complessivamente hai risposto correttamente..dunque non ti
resta
che un passaggio...se io sono un mago, avrò anche un
sembiante,
giusto?” Lo sguardo della mora, a quelle parole si fece
preoccupato
“Un sembiante alato...da
cui le mie piume...ti tornano i conti, mia preziosa?” disse
con un
velo di derisione nella voce.
“Il
barbagianni....” mormorò lei mentre i ricordi del
passato le si
rovesciavano addosso “Prima che Toby venisse
rapito...” alzò su
di lui lo sguardo stralunato “...sotto il temporale... e
quando
sono ritornata a casa...Eri tu?” Il sorriso compiaciuto
dell'uomo
davanti a sé fu una risposta più che eloquente.
Ora si spiegava la
paura che da dieci anni l'accompagnava alla vista di quel particolare
animale: il terrore di poter perdere ancora qualcuno a lei caro, di
dover affrontare una sfida al di sopra delle sue capacità...
“E
io...anche se li consideravo inquietanti, a me piacevano i
barbagianni, fino a dieci anni fa...”
aveva
detto solo due giorni prima ai suoi compagni di corso. Non aveva mai
associato razionalmente le due figure...
Le
sue elucubrazioni furono interrotte dalla voce dell'uomo davanti a
sé
“Quando la impugnerai desiderando che diventi un'arma, si
indurirà.” Aveva ripreso “Altrimenti
resterà morbida come
ora....”
“Io
non diventerò mai un'assassina...”
replicò velenosa lei,
studiando l'arma, incerta sul da farsi, già dimentica della
spiegazione sulla doppia natura di lui.
“Sì,
certo...” disse l'altro senza prestarle troppa attenzione
“Ne
riparleremo... Ad ogni modo, il possesso di un'arma e la
possibilità
di doverla sguainare per difenderti non ti trasformano
automaticamente in omicida. Anche se ferisci, amputi, deturpi...Non.
Uccidi.” scandì. “Dunque...”
disse tornando all'argomento di
partenza, considerando quello chiuso “...Sempre a causa tua,
siamo
obbligati, guarda un po', ad attraversare il labirinto.”
sentenziò
puntellandosi le mani sui fianchi, guardando il muro che li separava
dal dedalo di strade.
“E
io cosa c'entro, adesso?” sbottò la ragazza che si
sentiva
accusata ingiustamente mentre rigirava il pugnale tra le mani. Il
desiderio che si rimpicciolisse e si potesse appendere al collo venne
improvvisamente esaudito sul flusso dell'emotività mossa da
quell'accusa.
“Tu,
mia cara ragazza, hai scelto di entrarci...” vedendo la sua
espressione confusa, mentre si infilava l'arma al collo, decise di
specificare “Hai
solo 13 ore per superare il labirinto prima che il frignante
marmocchio diventi uno di noi”
ripeté
a memoria “Non ti ho mai detto di entrarci. Potevi benissimo
aggirarlo. Come hai fatto alla fine: sei passata dalla Palude
all'Isola dei Sogni, raggiungendo la città dalla parte che
non
affacciava sul labirinto”
“Ma
io credevo...” disse lei strabuzzando gli occhi
“Come
sempre... Dai molte, troppe cose per scontate, no? Ora capisci cosa
voglio dirti?” disse allargando le braccia esasperato. Stare
nel
mondo degli umani l'aveva reso meno criptico e più incline a
fornire
spiegazioni, seppur col tono e la gestualità imperiosa di
chi non
accetta di essere contraddetto “Fidati e fa ciò
che ti dico:
conosco questo posto come le mie tasche. Non agire mai di tua
iniziativa: consultami sempre, prima!”
Lei
incrociò le braccia al petto in segno di sfida
“Nonostante tutto,
però, ce l'ho fatta. Da sola, nella mia stupidità
e nella mia
istintività.”
“Senti...”
stava perdendo la pazienza ma cercava di mantenere i nervi saldi:
avevano un labirinto da risolvere assieme e litigare non era un buon
presupposto per farlo serenamente “Al di là del
fatto che le cose,
ora,
siano cambiate...Pensi davvero che ce l'avresti fatta se io non fossi
intervenuto?”
“E
quando mai l'avresti fatto? Sentiamo, sono proprio curiosa!”
lo
sfidò lei, mani ai fianchi, mento in alto
“Chi
pensi abbia mandato il nano nelle segrete? Io, se ancora non l'avessi
capito.” Disse marciandole contro e prendendo poi a girarle
attorno
come un rapace che aspetta ansioso che la preda cessi di lottare
inutilmente con la morte “E chi, di nuovo, ha lasciato che,
sempre
il nano, venisse a salvarti dai Firey? E vogliamo parlare della sfera
in cui ti avevo inglobata, per proteggerti e portarti al sicuro,
entro le mura del castello?” Sputò sbattendo
nervosamente le mani
lungo i fianchi.
Quella
lo guardò perplessa, non riuscendo ad afferrare a cosa
potesse fare
riferimento.
“Il
ballo, Sarah...” specificò irritato. O stare
nell'Underground
l'aveva rincretinita o davvero non aveva mai collegato le cose che
lui ora le stava ricordando.
Lei
sembrò sorpresa, quasi le venissero aperti gli occhi verso
un
arcobaleno per la prima volta. Ma subito la sua espressione si
indurì
“Tu!!! Sei stato Tu??? Ecco perché Hoggle era
tanto...disperato!”
sbraitò, ricollegando, in un attimo, tanti diversi dettagli
a cui
non era riuscita a dare una corretta visione d'insieme
“Io...non ho
ricordi di cosa sia successo prima del ballo, ma suppongo tu mi abbia
drogata in qualche modo! Mi avevi fatto dimenticare tutto! E l'avevi
costretto ad aiutarti...” sottolineò schifata
“Ovvio
che non ricordi come siano andate le cose: ho interferito con la tua
memoria a breve termine. Ma...” Lui le riservò
un'occhiata
glaciale “Sbaglio o a suo tempo avevi capito una cosa: che
nulla,
al mondo, ti è dovuto e che tutto ha un prezzo? Quello lo
era per la
tua incolumità. Non sarei stato il solo a doverci fare i
conti anche
se, al momento, ero l'unico che poteva intervenire e, te lo concedo,
esercitare una qualche influenza su di te” Aveva detto una
mezza
verità. Ma lei non poteva saperlo: lui aveva tentato di
condizionarla intenzionalmente. “Dunque...ti riformulo la
domanda
che già ti posi a suo tempo...non ero stato
generoso?”
Ma
lei non demordeva “Se volevi vincere potevi lasciare che
marcisse
nelle segrete!” disse pensando che il suo discorso
nascondesse
qualche imbroglio: lui non poteva volere l'incolumità del
proprio
avversario e rammaricarsi anche di dover cedere in cambio la memoria,
e quindi la volontà, di quest'ultimo. Si sentiva presa in
giro come
nel loro ultimo scontro, nella sala in rovina.
“Proprio
non capisci, eh?” era stremato dal litigare con lei. Non
sarebbero
mai usciti da quell'impasse. Decise di lasciar perdere. Non era il
tipo, ma Sarah sembrava essere più ostinata di lui e lui
sapeva
benissimo chi dei due avesse realmente ragione. Contento di
quell'ovvia, per quanto tacita, vittoria, si avviò verso le
mura.
Avrebbe avuto modo di farle capire che si sbagliava su tutta la linea
“Ancora
una cosa...” disse sbuffando e ritrovando la sua sfrontata
arroganza. Si fermò e si volse nuovamente verso la sua
accompagnatrice. Con un gesto fluido, come solo lui sapeva fare,
infilò la mano nella giacca e subito la estrasse, stretta a
pugno.
“Palmi in alto!” Ordinò tendendo il
braccio verso la ragazza.
Lei lo guardò scettica, senza muoversi. “Non
c'è alcun trucco!”
le disse aprendo il pugno e lasciando che quanto aveva in mano
scivolasse veloce verso il suolo. Uno scintillio dorato
balenò
nell'aria prima che Sarah potesse capire cosa fosse. La catenina,
intrecciata tra le dita di lui, sosteneva il medaglione a mezza luna
che gli aveva sempre visto al collo, la cui forma ritornava su tutti
i dettagli che lo riguardavano.
“Che
cos'è?” chiese lei, avviluppata dalla paura
“Tu
sai cos'è.” le rispose inclinando per un secondo
la testa verso
l'oggetto che dondolava placido tra loro, negli occhi un'espressione
amorevole, quasi nostalgica.
Lei
arretrò di un passo: era lo stesso atteggiamento imperioso
che aveva
avuto quella sera, in camera dei suoi genitori, quando le aveva
proposto un equo scambio tra il fratello e i propri sogni.
“No”
rispose lei in un rantolo
“Lo
devi tenere tu...” disse offrendoglielo. “Tu sei la
campionessa e
solo a te spetta il diritto di indossarlo. Io non potrò
nemmeno
toccarlo, una volta che avremo varcato quella soglia” disse
indicando un portone comparso dal nulla.
“Perché?”
domandò lei, incuriosita e impaurita
“Perché
mi brucerebbe all'istante...” rispose serio “Per
quanto tu possa
non sopportarmi, mia diletta, non credo vorresti vedermi morto. Tu
non vuoi diventare un'assassina, giusto?”
Lei
esitò, come aveva esitato anni prima alla sua profferta.
“Sarah...”
ringhiò lui come cercasse di svegliarla da una sorta di
trance in
cui non era caduta: gli sembrava di avere ancora a che fare con una
bambina, anziché con una donna.
“Perché,
allora, adesso puoi tenerlo in mano?” domandò
scettica. Se c'era
una cosa che aveva imparato dieci anni prima era quella di porre
tutte le domande, possibilmente corrette, fintanto che ne avesse
avuto il tempo. Il suo completare i tasselli mancanti con
ragionamenti umani, logici, non sembrava essere un metodo affidabile.
Tutto, nell'essere umano, funzionava come nella teoria della
Gestalt,
il cervello, l'occhio, l'orecchio: ogni organo compiva voli pindarici
da uno stimolo all'altro senza mai vedere o sentire realmente tutto
quello che invece era frutto di campionamenti, completati e collegati
a modo loro, seguendo il tracciato di quanto era già noto.
Ma lì,
nell'Underground, nulla era come appariva. Si domandò se
anche il
modo di vedere le cose potesse essere diverso.
Jareth
sbuffò. Odiava la pignoleria e la curiosità
inutili. Ma forse, si
disse, le avrebbe fatto bene vedere. Si riappropriò del
pendente e
si slacciò la giacca, scoprendo il torso nudo.
“Qui
non corro grossi rischi solo perché siamo fuori dal
labirinto.”
scandì feroce allargando la catena sopra la testa
“Guarda bene.”
così dicendo lasciò che il monile gli scivolasse
addosso.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - -
Bene,
eccoci giunti finalmente a destinazione...e al vero inizio del
viaggio.
Vi
ho presentato, sommariamente, anche il cattivo (se non si fosse
capito...parlo del tipo comparso all'inizio XD)
E
la prossima volta si entra nel labirinto. Preparatevi.
Ciaooo
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Capitolo 15 *** La luce del sole ***
15-
La luce del sole
“Guarda
bene.” le
aveva
detto, calando il medaglione.
E
Sarah aveva obbedito, curiosa.
Come
gli si fu posato sulla pelle nuda, questa cominciò a
sfrigolare e a
fumare. Jareth riuscì a resistere solo pochi istanti dopo i
quali fu
costretto ad afferrare la parte di catena a cui era agganciato il
pendente e ad allontanarselo di dosso.
“Soddisfatta?” disse dando
uno strattone. La catenina si spezzò nel punto di maggior
sollecitazione e ricadde come un nastro privo di vita sul dorso della
mano del mago.
Sarah
era rimasta imbambolata, paralizzata dall'orrore. Cos'era stato?
Sembrava quasi che il medaglione fosse stato rovente. Quando lui
glielo tese, nuovamente, lei lo accettò titubante.
Al
contatto con la pelle era freddo e liscio. Ma allora perché
sul
corpo dell'altro aveva avuto quella reazione? Alzò gli occhi
e si
trovò calamitata dal petto di lui. Una cicatrice a mezza
luna
rovesciata, perfettamente centrale, si stagliava opalescente sulla
pelle già diafana del biondo. Ingollò il groppo
che le si era
formato in gola e abbassò lo sguardo, vinta dalla vergogna
per la
propria testardaggine. Tutto aveva un prezzo: secondo Jareth, quello
era il giusto prezzo da pagare perché lei si fidasse di lui.
“Fa...fa
male?” domandò dopo un paio di minuti, durante i
quali si era
rigirata l'oggetto tra le dita, notando diversi dettagli che le erano
sempre sfuggiti ma che erano stati accantonati da un evento, per lei,
sconvolgente: appena l'aveva accettato, le estremità recise
della
catena si animarono come dotate di vita propria, si mossero,
cercandosi l'un l'altra, fino a trovarsi e fondersi tra loro.
Il
punto di rottura era scomparso. Maglie magiche, perché
stupirsi?
Lui
diede un'alzata di spalle “Se ti marchiassi a fuoco,
urleresti?”
rispose avviandosi al portone. Non le aveva risposto direttamente.
Quando mai lo faceva?
“Certo
che faceva male, cretina!”
passò nella mente di entrambi.
Sara
si avviò dietro la sua guida e si fece scivolare il
medaglione al
collo. Era pesante e freddo al contatto con la sua pelle nuda e
sembrava quasi darle un senso di protezione.
“Ultima
cosa, fondamentale...” disse Jareth poggiando una mano sul
pesante
portone, intarsiato con motivi che potevano sembrare orientali, e
porgendole l'altra “Non lasciare mai la mia
mano...”
Come
se fosse stata sotto ipnosi, obbedì docile, senza
recriminare.
Quella
mano, delicata e forte, avvolse la sua con gentilezza e fermezza.
Senza dar troppo peso a quel gesto, Sarah riuscì solo a
constatare
come fosse più grande della sua e come risultasse forte solo
restando rilassata: le ossa tendevano la pelle del dorso, solcandola
come artigli pronti a sgusciare fuori; dalle nocche rosate, come
monti innevati al tramonto, si snodavano lunghe dita curate da
pianista. La pelle era liscia e morbida ma non viscida, come se fosse
stata immersa a lungo in qualche crema delicata, mantenendone
inalterata la tonicità.
Mano
nella mano, varcarono la soglia del nuovo labirinto, affiancati dal
grosso cane nero.
Inizialmente
non sembrava fosse cambiato granché.
Al
posto di pareti di mattoni in porfido gonfi di umidità,
Sarah si
trovò a contemplare un viale di maioliche bianche, finemente
cesellate, con decori floreali astratti nei toni del rosso e del
viola. La nostalgia che le si allargò nel petto fu
dirompente.
Costrinse Jareth a fermarsi accanto a lei per qualche minuto. Era uno
spettacolo da sogno: le sembrava di vedere un viale di betulle
cariche di rosse foglie autunnali appena spruzzate di neve in cima.
Da
piccola aveva sempre pensato che l'autunno, coi suoi colori, i suoi
paesaggi, il suo profumo peculiare, che ogni volta la inondavano con
quei sentimenti struggenti, fosse opera delle fate, che fosse la
stagione delle magie. Si era sempre aspettata che qualche creatura
bellissima ed eterea facesse capolino da quel tipo di vegetazione.
Sicuramente era stata influenzata dalle immagini di Cicely Mary
Barker
che sua madre le aveva regalato prima di scappare di casa. Per i
primi tempi aveva quasi creduto che le fate l'avessero rapita o che
fosse scappata lei nel loro regno, inseguita da chissà quale
mostro.
Ma il suo papà non si era dimostrato il cavaliere in
armatura
scintillante. Quando era scomparsa dalla loro vita, lui non aveva
battuto ciglio: non aveva dato in escandescenze, come forse aveva
sperato la Sarah bambina, anche se sapeva non essere caratteristica
del padre, né si era messo a piangere né....non
aveva avuto alcuna
reazione. La vita era continuata come se Linda non fosse mai
esistita. Ciò non aveva fatto altro che accrescere nella
piccola la
convinzione che fosse stata una creatura fatata: il padre, mortale,
non poteva conservarne il ricordo, ma lei, figlia e meticcia,
sì.
Era cresciuta cullata da quell'idea.
Finché
non era cresciuta abbastanza e, gradualmente, aveva abbandonato il
luogo sicuro delle proprie illusioni.
Infine,
era giunta Karen. Era stata lei a trascinarla di peso nella
realtà.
E l'arrivo di Toby non aveva fatto che radere al suolo quel poco di
speranza, che sapeva essere sciocca e inutile, che le era rimasta.
La
madre l'aveva abbandonata. Senza nemmeno un addio. E il padre, se non
aveva avuto alcuna reazione, forse non l'aveva nemmeno mai amata.
Forse si erano sposati perché lei era rimasta incinta, la
mentalità
bigotta li aveva costretti a prolungare qualcosa che sarebbe
scivolato naturalmente nell'oblio, avevano cercato di piacersi ma...
Forse
lui ...non aveva mai amato neanche lei, la figlia di quella donna.
Più volte aveva provato a mettersi nei panni del padre:
trovarsi il
peso di una figlia non voluta, di una donna non desiderata. Sarah si
sentiva morire ogni volta che ci pensava. Ma d'altronde, Robert aveva
accettato di tenerla, non l'aveva schiaffata in un orfanotrofio o
agli assistenti sociali. E allora che facesse il suo dovere di padre
fino in fondo e si prendesse cura di questa figlia disgraziata e
abbandonata a se stessa.
Solo
dopo l'avventura nell'Underground Sarah aveva davvero capito che
quello che il padre aveva fatto per lei era il massimo dello slancio
che poteva aspettarsi da lui. E, in qualche modo, aveva fatto pace
con quel passato. Anche se il tarlo di non essere realmente ben
voluta l'aveva sempre tormentata. Non aveva mai avuto occasione di
parlare, realmente, di tutto quello con lui. E con Karen. Era calato
uno strato di comprensione, velo dopo velo, nel non detto, e le due
parti in causa avevano capito le rispettive posizioni e i rispettivi
disagi.
Il
portone si richiuse alle loro spalle e il ricordo svanì,
veloce come
era giunto e come le aveva attraversato la mente.
“Levami
una curiosità...” disse Sarah riscuotendosi e
tirando su col naso,
fregandosene di mostrarsi così vulnerabile davanti a Jareth:
che
pensasse quello che preferiva. “La regola della mano destra
qui non vale, vero?”
Jareth
la guardò perplesso levando un sopracciglio. Non aveva la
più
pallida idea di cosa potesse essere ciò di cui lei parlava.
“Le
regole valide nel tuo mondo qui perdono ogni significato..”
si
limitò a dire puntando lo sguardo nella parete davanti a
sé. Senza
aggiungere altro, prese a marciare sicuro, trascinandosela dietro.
Sarah,
pensando fosse impazzito, cominciò a dimenarsi e a cercare
di
sciogliere la presa. “Sei ammattito?”
strepitò sfilandosi dalla
stretta ferrea. Jareth si bloccò immediatamente e si volse a
folgorarla con sguardo assassino
“Non.Mollare.Mai.La.Mia.Mano”
scandì “Non avevi promesso che avresti fatto tutto
quello che ti
avessi detto?”
“Non
mi hai detto proprio nulla” replicò lei
“Ti sei lanciato contro
il muro come un pazzo...”
Jareth
la studiò per un lungo minuto. Poi, come quando lei aveva
preteso di
sapere dov'era stato condotto suo fratello, sbuffò e
agitò una mano
in aria “Hai ragione” concesse. “Fa
quello che ti dico e anche
quello che non ti dico. Seguimi e basta!”
Lei
incrociò le braccia al petto, in segno di protesta
“Potevi
drogarmi e portarmi direttamente in spalla, già che
c'eri!”
“Sarah...
non farlo più! Non hai neanche la più pallida
idea di quello che
abbiamo rischiato con quel tuo gesto avventato!”
ringhiò lui
gelido, mani sui fianchi, mento alto, fiero.
“E
tu mettimi a parte dei tuoi brillanti piani!”
replicò lei
indispettita.
Una
risata divertita proruppe intorno a loro. Marking drizzò il
pelo, le
orecchie erano tirate sulla collottola, le fauci scoperte e gli occhi
ridotti a due fessure: era in stato di massima allerta. Ma la ragazza
pensò si trattasse solo dell'uomo davanti a sé.
Lui, però, era
serio e compito. Sembrava anche leggermente innervosito.
“Bene
bene...” disse la voce. Ancora una volta Sarah si
voltò verso
Jareth: si stava concentrando per fare il ventriloquo e prenderla in
giro? “Chi ben comincia è a metà
dell'opera, no?” continuò la
voce. Sarah accantonò l'ipotesi di uno scherzo. Parole.
Doveva fare
attenzione a quello che veniva detto. “Se continuate di
questo
passo non ci arriverete proprio mai, al castello”
“Direi
che, da bravo padrone di casa, potresti mostrarti...la stai
spaventando...” commentò il biondo per nulla
impressionato
“Hai
ragione, che tremenda scortesia...” li canzonò la
voce “Sei la
benvenuta nel mio
regno, Principessa. Come sempre...”
Sarah
si guardò attorno sconcertata. Perché non lo
vedeva? A quale
illusione ottica era soggetta, quella volta?
“Là!”
disse solo il biondo, senza muoversi. Lei seguì il suo
sguardo. In
alto, molto in alto. Appollaiato sulla merlatura, la schiena poggiata
a un obelisco, stava un uomo. Sembrava essere la copia negativa del
suo accompagnatore: lunghi capelli neri gli ricadevano ordinatamente
sulle spalle, mentre Jareth li portava spettinati come la chioma di
un leone selvatico; l'incarnato era caldo, del colore della
terracotta, dava una sensazione di benessere e salute solo a vederla;
il corpo era drappeggiato da ampie vesti bianche che terminavano a
sbuffo sul polso e sulle caviglie ma erano trattenuti da un'alta
cintura rossa. Infine, notò che era a piedi scalzi. Molto
bizzarro.
Ma forse, così, era più semplice arrampicarsi
sulle mura.
L'uomo
non la guardò neanche, preso più a osservare il
paesaggio.
La
trovava una cosa strana. Non era curioso di sapere chi fosse
l'intruso? Chi avesse vinto il re di Goblin?
“Scendi
di lì” ordinò Jareth, stanco.
“No
no...io rimango qui...è così bello...si vede
tutto il labirinto..
mi invidi, vero?” l'uomo sorrise voltandosi verso di loro.
“E poi
i tuoi comandi non valgono nulla..” cantilenò
facendo ondeggiare
l'indice come un metronomo. Solo allora Sarah si sentì
bruciare
dalla sua occhiata rovente: occhi rossi la stavano osservando come in
cerca di una conferma e non con l'avidità della
novità. Erano
innaturalmente rossi, come rubini, come tizzoni ardenti, come sangue
fresco; non di quella calda sfumatura ambrata che possono assumere
gli occhi scuri colpiti da luce diretta. Tra le sopracciglia, un
segno verticale, rosso anch'esso, attraversava la fronte con la
precisione di un bisturi. Era indubbiamente bello e diede a Sarah
l'impressione di vivere un deja-vù. Si scrollò di
dosso quella
sciocca idea: non aveva incontrato nessun umanoide nel suo precedente
viaggio, se non al ballo. Ed era più che certa di non averlo
visto
tra i partecipanti. Ammesso, e non concesso, che quel ballo fosse
reale. Sotto il peso del suo sguardo si sentì avvampare di
imbarazzo: era mai possibile che tutte le creature umanoidi
nell'Underground fossero così vergognosamente attraenti?
Jareth
interruppe il contatto visivo frapponendosi tra loro.
“Cosa
sei venuto a fare?” domandò aspro
“Ma
Jareth... perché sei così freddo con me? Non
è colpa mia, lo
sai...” le sue labbra si stesero in un ghigno osceno che fece
rabbrividire la ragazza per la violenza che sottaceva. Non sapeva
dire perché, ma quasi si aspettava che dalle labbra gli
sgusciasse
fuori una schifosa lingua biforcuta, lunga, bavosa e violacea.
Era
un'idea in totale contrasto con la calma e con la perfezione di
quell'uomo: aveva visto, decisamente, troppi film dell'orrore.
“Torna
al castello...tanto puoi osservarci comunque...” disse il
biondo,
spazientito.
L'altro
si imbronciò “Non vuoi che mi intrometta nel tuo
rapporto con la
nostra dea Luciferina.
Ti ho capito, sai?” sembrava un bambino che fa i capricci e
punta i
piedi.
“Non
hai capito un accidenti...” sbottò l'altro
“Se
non la vuoi, la prendo io, più che volentieri...”
propose l'altro.
Ancora
una volta, Sarah pensò di avere le traveggole. Le era
sembrato che
il braccio dell'uomo si fosse impercettibilmente allungato verso il
basso. E in modo innaturale, come se fosse stato composto di un
meccanismo periscopico e fluido. E poi il ghigno. Le era sembrato che
il taglio della bocca si fosse allargato, scoprendo denti aguzzi,
andando da un orecchio all'altro.
Eppure
non provava paura. Forse si era abituata alle stranezze di quel
luogo.
“Serve
a me!” ringhiò ancora l'altro pronto a sguainare
il pugnale.
Il
moro si adombrò “Sei stato furbo...”
disse accennando all'arma.
Poi, tornando al discorso principale, continuò beffardo
“Una
principessa così solare per un re tanto lunatico. Che bella
accoppiata...” e ridendo sguaiatamente svanì alla
vista.
Quando
Marking diede un'abbaiata, carica di soddisfazione, scosse la testa,
cacciando la sciocca, quanto infondata idea che le era venuta in
mente. Se non fosse stato un estraneo, Sarah avrebbe giurato che nel
suo tono ci fosse anche una punta di gelosia. Ma gelosia per chi?
Jareth
sembrò rilassarsi. Le diede uno strattone, la
guardò dritta negli
occhi e, l'indice della mano libera alzato a monito, disse
“Mai
più, intesi?” Quindi si avviò
attraverso il muro, come sua
intenzione sin dall'inizio.
Questa
volta, la parete non era un tromp d'oeil come il passaggio che le
aveva rivelato Monsieur le Ver dieci anni prima: era una vera e
propria parete che loro attraversarono come fossero stati due
fantasmi. Per un attimo, Sarah pensò che si trattasse di un
ologramma. Ma subito si ricordò di quando, nella sala di
Escher, il
presunto fantasma di Jareth l'aveva trapassata. Era stato veramente
lui? O era una proiezione? Ma nell'Underground le normali leggi
fisiche e logiche non funzionavano. Poteva essere che lì
fosse
possibile l'esistenza dei supersolidi?
Poteva essere che le regole erano le stesse del mondo umano, solo
viste sotto un'altra prospettiva? Sì, poteva essere.
Camminavano
in silenzio. I passi riecheggiavano nei condotti di pietra. Come se
si fosse svegliata da un sogno, si ricordò che aveva un
sacco di
domande per il biondo al suo fianco.
Nonostante
ciò, partì dalla più recente e banale.
“Senti...
chi era quell'uomo? E perché mi ha chiamato
dea Luciferina?”
chiese arricciando il naso “Il mio titolo non dovrebbe essere
Campionessa
o qualcosa del genere?” Dopo un attimo d'esitazione,
raddrizzò il
tiro, orgogliosa “O direttamente Regina,
avendo battuto un re..”
Jareth
si fermò e la guardò, incerto se parlarle dopo lo
scherzetto di
poco prima. “Sarah? Sai qual è il significato del
tuo nome?”
“Sì,
certo...Principessa...” disse sprezzante, braccia incrociate
al
petto. Voleva mantenere una posizione di parità tra loro ma
si
sentiva comunque in difetto e, serrare le braccia a quel modo, le
permetteva di mantenere anche una certa distanza.
“Non
è corretto...” sbuffò Jareth
“Tu, metaforicamente, sei la
figlia del dio Ra, la figlia del Sole” Vedendo il suo sguardo
farsi
allarmato, si affrettò a precisare “Vieni
dall'Aboveground, il
regno del sole, quello vero. Da qui, dunque, la semplificazione in
principessa.
Ma tu hai davvero il potere di illuminare tutto l'Underground...se
ancora non tene fossi accorta...come Lucifero, la stella del mattino,
l'ultima stella a sparire in cielo con l'arrivo del sole. E la prima
a comparire la sera, ma col nome di Venere....” nella voce
una
sfumatura triste, orgogliosa e ammirata insieme, nel ricordo di come
aveva soggiogato chiunque, durante la sua visita precedente.
Mentre
parlava, aveva mosso il dito indice a destra e a sinistra come a
negare quello che stava affermando. Ma, anche, un gesto che ricordava
quello dei bambini quando cercano di pulire un vetro opacizzato dal
proprio alito.
Sarah
ci impiegò un po' a capire cosa stesse accadendo: pensava le
stesse
mostrando una scena del passato. Invece, l'aria così
sferzata si era
tramutata in uno specchio frastagliato e l'immagine che le rimandava
era la sua. Solo che era l'immagine di sé vestita da antica
regina
egizia: capelli raccolti in mille treccioline sottili, fitte e
compatte, sormontate da una corona d'oro di forma zoomorfa alata; al
collo, una pesante collana a disco in oro e zaffiri, tratteneva i
veli di lino dell'abito a tunica che coprivano appena la sua figura.
Sarah rimase sbigottita. Si sentiva come quando, al ballo, si era
vista riflessa in uno dei molti specchi della sala antica. Inoltre,
le mani, coperte di gioielli, stringevano i tipici segni del potere:
scettro pastorale e flagello nekhekh.
Jareth ghignò nel vederla vestita da dea.
“Toglimi
subito questa roba di dosso!” ordinò lei,
riscuotendosi.
“Sei
sicura?” domandò lui perplesso, levando un
sopracciglio
“Ovvio!
Non siamo a Carnevale né ho intenzione di procedere conciata
così!”
ringhiò lei. Il pensiero che nell'Aboveground fosse
Halloween non la
sfiorò nemmeno.
“Come
desideri” sbuffò lui distogliendo lo sguardo e
cercando di
nascondere un sorriso sornione.
“E
ora cos'hai?” chiese lei, inviperita e offesa da quel suo
comportamento, portandosi le mani ai fianchi in atteggiamento di
sfida. Solo che i palmi andarono a incontrare la propria pelle nuda,
al posto della ruvidezza confortevole dei jeans. Subito
cacciò un
urlo e cercò di coprirsi alla meglio, rendendosi conto di
essere
rimasta completamente nuda. Si dimenò come un lombrico nel
tentativo
di coprirsi, per poi optare a raccogliersi in posizione raggomitolata
a terra. Da quella posizione lo folgorò con sguardo omicida.
“Sai,
mia cara...” cominciò lui divertito
“Potrebbe essere una buona
idea. Il tuo bel corpo è un'arma di distrazione di massa,
una carta
davvero vincente... Non ho idea di come potrebbero reagire gli
abitanti del labirinto davanti alle tue grazie. Potrebbero restare
sconcertati e ammirati o saltarti addosso in preda ai più
bassi
istinti, però....”
“RIDAMMI
SUBITO I MIEI VESTITI” urlò lei
“Ne
sei sicura?” chiese deluso “E' un vero
peccato...” aggiunse
schioccando le dita. Il rumore di una stoffa che si depositava a
terra fece voltare la ragazza che riconobbe nell'indumento la sua
sottoveste da notte estiva color verde salvia.
“Gli
altri miei abiti!” ringhiò, folgorandolo
“Sei
piena di pretese, tesoro...” disse lui e uno ad uno tutti gli
abiti
dell'armadio di lei cominciarono ad apparire e a rovesciarlesi
addosso
“Non
puoi sbolognarmi solo sottovesti, babydoll e pagliaccetti!”
urlò
dopo un po', esasperata
“La
colpa è tua che non mi dici cosa vuoi...hai un guardaroba
così
vasto che ci si potrebbe perdere. E ritrovarsi a Narnia...”
“A
che?” chiese lei scettica
“Ignorante
come sempre!” commentò lui indispettito
“Allora, cosa desideri?”
“Cominciamo
con i jeans...No, non questi!” disse quando le comparvero
degli
shorts cortissimi, tagliati e sfrangiati.
“Allora...” meditò
“...azzurri, lunghi, leggeri, con un decoro sulla tasca
posteriore...” rispose stanca, preparandosi mentalmente a una
lunga
trattativa avendo intuito che erano solo all'inizio di un nuovo,
divertente, giochetto di cui il biondo aveva appena scoperto le
potenzialità: mandarla definitivamente fuori dei gangheri.
-
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Ciao
a tutti!
Spero
di non avervi incasinato troppo le idee con le mie spiegazioni
pseudo-scientifiche...in caso, spero abbiate tirato dritto,
sorvolando su quanto detto XD. O meglio..spero che ne capiate meno di
me, per dar tutto per buono XD
A
presto!
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Capitolo 16 *** Il marchio del tradimento ***
16- Il marchio del
tradimento
Il
gioco della caccia ai vestiti andò avanti per un altro po',
finché
Sarah non si accorse che le mancava qualcosa di basilare: la
biancheria intima.
“Questa
la scelgo io!” disse Jareth con tono che non ammetteva
repliche,
srotolando i capi dal palmo delle proprie mani “Pizzo
nero...adoro
il nero, dovresti saperlo...”
“Quella
roba è per...” stava per replicare lei che lui la
zittì con uno
sguardo in tralice
“Per
le occasioni speciali? Quali, di grazia, che non ne hai mai
avute?”
il tono di voce era freddo, tagliente, canzonatorio. Poteva quasi
sembrare geloso ma a lei suonò più come un
insulto. “Direi che
una nuova gita nell'Underground è più di un
evento speciale...”
disse tornando a sorridere malizioso.
Rossa
di vergogna, Sarah accettò l'unica biancheria che lui fosse
disposto
a recuperarle dall'armadio. “Ora, però, rimetti
apposto questo
casino...o meglio: rimetti al proprio posto tutti gli indumenti che
non userò qui e ora!” Un batter di ciglio e nel
corridoio erano
rimasti solo loro due, il cane e una manciata di oggetti.
“Ora
voltati! Mi devo vestire..”
Fece
come gli era stato chiesto, ma commentò “Tanto ho
già visto
tutto...” e nel dirlo ricominciò a disegnare in
aria con le dita
linee verticali, una accanto all'altra
“Chi
se ne frega! Non ....EHI!” protestò accorgendosi
che lui stava
facendo comparire altri nastri riflettenti “Non vale! Togli
subito
quegli specchi da lì!”
“Non
avevi detto che non potevo!” protestò debolmente
lui
“Beh,
te lo sto dicendo adesso! Fa sparire quegli specchi e non cercare
altri mezzi per spiarmi mentre mi vesto, come i licheni occhiuti o le
tue sfere! Dannato maniaco! Usassi la tua magia per cose più
serie..”
“Quante
volte lo devo ripetere che ho poteri solo per fare queste ridicole
sciocchezze?”
“Non
direi tanto ridicole...” fu il commento esasperato della
ragazza.
Un
chiacchiericcio fastidioso attirò la sua attenzione.
Era
appoggiato pigramente alla balconata esterna della sala delle udienze
e, sotto di sé, qualcuno faceva di tutto per non farsi
sentire.
Poveri stolti. Pensavano fosse sordo?
Poteva
percepire tutto nel raggio di chilometri. Talvolta, la finezza delle
sue percezioni, era di una scomodità tremenda. Certo,
bastava
schermarsi dai suoni indesiderati. Ma quelli, per quanto
indesiderati, l'avevano incuriosito e allertato.
Fece
un cenno a un paio di Goblin rigidamente impettiti dietro le tende
all'interno della sala, stirò un ghigno cattivo e si
dissolse tra le
colonnine tortili della balaustra.
Cospiratori...
li avrebbe presi alle spalle senza che potessero accorgersene.
Ora
Sarah vestiva comodi jeans, sui quali si inerpicavano morbidi stivali
bassi di camoscio, e una camicia sahariana color panna con collo alla
coreana. Le maniche erano state rimboccate fin sul gomito e il fondo
rimborsato in vita da una cintura di cuoio, decorata con motivi
spiraliformi. Dopo una prima prova generale e conseguenti discussioni
puerili per mediare ulteriormente le due visioni di come dovesse
vestirsi, Jareth aveva acconsentito a cambiare il suo favorito intimo
nero con un più discreto ed elegante avorio, che non
risaltava sotto
la blusa: un sobrio
completo di bustier senza spalline e culotte di pizzo.
Sarah,
però, si era rifiutata categoricamente di indossare anche la
guepierre, imbragatura troppo scomoda per lei sotto jeans
così
aderenti. Sulla questione avevano bisticciato un bel po'. Alla fine
lei, vestita solo di biancheria, si era seduta imbronciata, gambe e
braccia incrociate in segno di protesta, al centro del corridoio
piastrellato di rosso e bianco.
La
situazione, come anche il suo atteggiamento, avevano del surreale.
Jareth non sapeva se ridere del suo comportamento infantile o se
essere affascinato dall'adulta disinvoltura che mostrava nel coprirsi
il busto con la casacca, in attesa di potersi infilare i pantaloni.
Era chiaro che Sarah non era disposta a procedere oltre se non
fornita di comode e calde (e antiestetiche) calze maschili di cotone,
perciò, dopo un po', decise di cedere.
In
quel frangente era lui a dover essere accondiscendente: lei era la
sua accompagnatrice, la condizione per cui avrebbe potuto avanzare. E
lei sapeva di avere il coltello dalla parte del manico.
Ripresero
il cammino, sempre, assolutamente, mano nella mano. Tra loro era
caduto uno spesso muro di imbarazzo che Jareth, però, si
affrettò
ad abbattere mentre svoltava sicuro a una biforcazione della strada
“Direi
che ora è il mio turno, per le domande...”
cominciò. Non era un
favore, quello che le stava chiedendo, ma praticamente un ordine. Lei
non parlò. Rimase ostinatamente muta senza concedergli la
soddisfazione di abbassarsi a rispondergli. Jareth continuò
indefesso “Il cane..” disse girando appena gli
occhi azzurri
“Perché hai scelto un nome tanto
ridicolo?”
Punta
nel vivo, Sarah non poté non rispondergli “Non
è affatto
ridicolo...” sibilò
“Ah
no? Marchiare
non mi sembra, in effetti, qualcosa di ridicolo...”
replicò lui
passandosi la mano libera sul petto.
Sarah
sbuffò “Io sarò ignorante, ma tu non
sei da meno.” disse
alzando lo sguardo su di lui, chiedendo la sua attenzione
“Marking”
disse rivolta al cane “Mark King” ripeté
scandendo le parole “Re
Marco...possibile che tu non sappia chi sia?”
“Ah...ti
riferivi a lui...”
fu l'unico commento del biondo. Come avrebbe mai potuto arrivarci?
“E
come mai hai dato un nome simile a un cane? Senza offesa...”
disse
volgendosi subito a scusarsi con il lupo che trottava dietro di loro,
tranquillo. Quello sbadigliò vistosamente, quasi dicendogli
che non
gliene fregava nulla di lui e di quelle scemenze.
“Perché....”
cominciò Sarah irritata. Le si stava risvegliando l'animo da
maestrina petulante “...Re Marco è l'unico buono.
Quando ero più
piccola ero convintissima che fosse il cattivo della situazione, che
ostacolasse i due amanti e che i due non facessero nulla di
male...”
“Nulla
di male?” Jareth scoppiò in una risata
incontrollata “Ma se non
si facevano scrupoli...nel giardino dove potevano essere beccati da
tutti?” Ogni parola era seguita da un colpo di tosse
strozzata
Sarah
si accigliò “A parte quello...ero sinceramente
convinta che i due
poveretti stessero vicini, separati dalle armi di
lui” disse
alzando gli occhi al cielo, quasi citando un passo dell'opera
“E
che manco si baciassero: non le capivo certe frecciatine volgari da
adulti!” sentenziò raggelandolo con un'occhiata
“Non mi passava
proprio per il cervello una porcata simile. Ma a parte quello, non
avevo afferrato appieno quanto Re Marco potesse starci male, quanto
potesse ferirlo il comportamento delle persone a cui teneva di
più,
di cui si fidava, nonostante tutti cercassero di avvertirlo... E lui
ha anche perdonato il tradimento...a modo suo. Quindi,
rispondendoti... potrei dire che il marchio del tradimento ti resta
addosso per tutta la vita...è un augurio che faccio al mio
cane...di
sopravvivermi, anche se so che non è possibile...”
disse triste
guardando la bestia nera che si portava appresso.
“Quindi,
se tu fossi stata Isotta avresti agito diversamente?”
domandò lui,
sorpreso, valutando quanto già sapeva al riguardo della
ragazza ma
che gli aveva parlato col cuore in mano.
“Col
nuovo
significato? Certo!” fu la risposta secca a cui non aggiunse
altro
“Ma
dimentichi che erano drogati...” disse il mago
“Questo
non li giustifica. Potevano restare innamorati e viversi un amore
platonico o comunque essere sinceri e agire diversamente. Credo che
Marco l'avrebbe capito: suo nipote era sempre stato onesto, fino a
quel momento...E poi cosa vuol dire, scusa? Non mi pare che una
pozione possa farti fare quello che non vuoi. Come l'ipnosi.
Enfatizza solo il tuo vero animo. O no? Altrimenti anch'io, quella
volta, non mi sarei mai dovuta risvegliare.” e nel dirlo,
folgorò
Jareth con uno sguardo glaciale e rancoroso.
“Sì,
può essere...non ho mai indagato...Ma dimmi, Sarah, dalla
tua
superiorità, allora, condanni anche Ginevra,
ovviamente?” Chiese
aspro, una punta di sarcasmo e cattiveria nella voce. Stava
intenzionalmente rigirando il coltello in una piaga che sapeva mai
rimarginata completamente. Gli faceva piacere quel suo accanimento,
quella sua veemenza nel difendere la nobiltà degli intenti.
Ma
doveva anche cercare di farle accettare, ancora una volta, ancora
più
a fondo, che il mondo non andava come ciascuno avrebbe desiderato.
Doveva solleticarne l'animo giusto con quelle frecciate velenose, che
facevano male anche a lui, ma che, al momento opportuno, sarebbero
servite allo scopo. Allo stesso tempo, doveva cercare di avvicinarla
a sé e farle capire come il cattivo non è sempre
tale. Ma forse, a
quello, c'era già arrivata da sé.
“Sì...lei
si è comportata pure peggio. Perché Tristano era il
cavaliere di Re Marco. Era una cosa limitata a loro tre. Ma Ginevra
ha coinvolto tutti i seguaci di Arthur Pendragon. Insieme hanno
portato Camelot alla distruzione. Non tutto va come vogliamo, no?
Però lui proprio non se lo meritava. E' stato ingiusto che
sia
finito tutto così...per colpa di due cretini...”
concluse lei
scuotendo la testa al pensiero. “Altro che Carretta della
Vergogna.
Fossi stata in lui...” tacque per la rabbia. Proprio non
tollerava
i tradimenti. Jareth stirò un sorriso malinconico e
beffardo,
osservando come la mano di lei si fosse serrata sulla sua,
inconsciamente: sì, la ragazza poteva diventare molto
violenta, se
provocata a dovere. E questa era un'ottima constatazione, per lui.
“Certo...forse il problema è stato proprio
quello...E' stato
sempre troppo buono...e anche quello ha un prezzo...”
“E
tu riusciresti a essere amica di un traditore?”
domandò senza
guardarla “Sei amica di Hoggle, che ha tradito sia te che
me...ma...riesci a tollerare anche questo tipo di tradimento?”
“Certo
che no!” ringhiò ancora lei. Lo vide sorridere
compiaciuto “Nel
caso di Hoggle...è stato una scelta sofferta e
combattuta...e
motivata... Quando è tornato da me, dopo avermi tradito, era
costernato. Questi non...” cominciò, per poi
illuminarsi e tacere
l'argomento, visto che si stava cacciando in un ginepraio da sola: a
rigor di logica, amore e amicizia avrebbero dovuto avere egual peso
in un comportamento simile. Eppure lei trovava più semplice
governare il primo che affogare il secondo, il quale era nettamente
superiore, per valore e importanza al primo. Servendo un principio di
più ampio respiro, consentiva di effettuare le scelte
più corrette
nel lungo termine e meno egoistiche, evitando di farsi prendere dagli
istinti. “Perché me lo chiedi?”
“Credo
possa interessarti sapere che il tuo amichetto Matthew appartiene
alla categoria...” buttò lì con
noncuranza. Con la coda
dell'occhio la vide rimanere raggelata all'informazione e
lasciò che
ci ragionasse, mandando al loro posto una serie di nuove tessere di
un puzzle più piccolo ed esterno al loro viaggio.
“Sei stato tu?”
domandò infine alzando di nuovo lo sguardo su di lui
Jareth
annuì appena “Era fin troppo palese che quei due
si divertissero
alle spalle di quella bella ragazza...sono stato costretto
a
smascherarlo solo per mettere in chiaro una questione tra me e
lui...” rispose stirando un sorriso di vittoria
“Cioè?”
“Che
non doveva permettersi di allungare le mani su un tesoro già
riservato ad altri...” e nel dirlo, strinse appena la stretta
sulla
mano di lei
“Io
sarei il tesoro?” chiese ridendo di cuore “Devo
solo riportarti a
casa...e quando tornerò faremo i conti...”
aggiunse pensando a una
punizione adeguata all'amico:
aveva mentito a lei, che aveva chiesto esplicitamente solo rapporti
sinceri non solo nei suoi confronti, e aveva ferito Gloria.
“Che
c'è ora?” domandò irritata sentendosi
osservata.
Jareth
aveva uno sguardo stranamente divertito “Niente...pensavo a
come,
dieci anni fa, il prode cavaliere del Lago fosse il tuo
preferito...”
“Non
capivo nulla, allora...” sputò con livore e
mordendosi subito le
labbra, come a trattenere la frase già sfuggita. O, forse,
era solo
il nervosismo legato a quel pensiero.
“Davvero?”
chiese retorico e divertito. La tentazione di sbatterla al muro e
vedere quale pensiero le avrebbe attraversato gli occhi, se rabbia,
paura o desiderio, vedere se era in grado di tener fede alle parole
presuntuose con cui si era espressa fino a quel momento, fu molto
forte. Si trattenne e svoltò in un nuovo vicolo senza darle
la
possibilità di rispondere. In parte temeva che lei non
avrebbe
capito le sue intenzioni: non per immaturità ma per come
erano
andate le cose tra di loro in quei pochi incontri. Prima avrebbe
dovuto operare un lungo lavoro di riabilitazione della propria
immagine. La conversazione si chiudeva lì. Per il momento.
“Bene
bene bene...” ghignò divertito comparendo, con un
drappello di
guardie armate, alle spalle dei tre che complottavano sotto il suo
castello. “Ma guarda un po' chi abbiamo qui...?”
“Sua
Maestà...” disse il nano butterato esibendosi in
uno dei suoi
migliori inchini. D'appresso, uno scoiattolo lo imitò
sfilandosi il
berretto.
“Corre
voce che voi tre...quattro se contiamo anche il tuo nobile
destriero...” precisò sarcastico l'uomo svettando
sui due
piccoletti “Siete i più vicini alla campionessa
del labirinto...e
di conseguenza al precedente sovrano...”
“Non
vorrei contraddirla, Maestà, ma noi siamo amici solo della
damigella
che un anno fa affrontò e vinse suo...”
cominciò il nano.
Prima
che il suo compare potesse interromperlo per aggiungere dettagli,
sproloquiando, il sovrano si chinò alla loro altezza e li
zittì
bruscamente con un gesto secco della mano, ipnotizzandoli con la
danza dei suoi lunghi capelli setosi che ondeggiavano al minimo
movimento.
“Da
Hoggle me lo potevo aspettare ma... Didymus...tu eri uno dei
più
fidati di Jareth...e poi gli hai voltato le spalle...” disse
corrucciato e amareggiato “Quanto a te, Troll...”
disse alzando
lo sguardo dalla sua posizione rannicchiata “...eri stato
accolto a
Goblin City come ogni altro reietto...e ti sei rivoltato contro il
tuo benefattore...non mi sembra che abbiate tenuto un comportamento
molto corretto...”
“Noi...”
Hoggle ingoiò a vuoto “Stavamo solo dicendo
che...”
“Che
volete detronizzarmi, non è così?”
disse scattando in piedi,
furibondo “Arrestateli”
“Maestà!”
implorò Didymus “Ci era stato detto
che...”
“Didymus...con
quelli come te siamo stati magnanimi, fino adesso. Il tuo
comportamento ha gettato infamia sui pochi superstiti della tua
specie. Potrei farti giustiziare seduta stante per alto
tradimento!”
tuonò l'uomo
“Se
è questo che Sua Maestà ritiene
giusto...” disse lo scoiattolo
chinandosi in avanti in segno di resa incondizionata. Alle sue
spalle, Ambrosious guaì tremando, allarmato per la sorte del
padrone. Ludo tuonò, impotente, la propria disapprovazione.
Il
sovrano lo guardò infastidito.
“Maestà,
non abbiamo mai dato adito a questo tipo di illazioni...la prego di
ripensarci...” piagnucolò Hoggle inginocchiandosi
davanti a lui
“Abbiamo servito fedelmente il sovrano fino a
che...”
“Non
sapevo fossi alle dipendenze di un ratto,
Boggle”
lo canzonò l'altro sistemandosi con accuratezza maniacale la
sciarpa
sulla spalla “Ma hai ragione...voi avete ubbidito agli
ordini, non
vi siete mai tirati indietro. Avete agito di vostra iniziativa
laddove quel sovrano incapace aveva lasciato libertà di
interpretazione...E sia...” disse facendo un cenno ai Goblin
armati
che si mossero all'unisono per circondare i tre che non capivano come
avessero potuto finire in quei pasticci: un attimo prima parlavano
concitati del ritorno della loro amica, quello dopo erano accusati
di alto tradimento “Per
ora,
la vostra punizione sarà soltanto...”
biascicò tamburellando le
lunghe dita artigliate sulle labbra carnose. Diede loro le spalle,
avviandosi su per le scale, seguito dai suoi uomini. Un cristallo
nero comparve al suo fianco, seguendolo oscillando.
“Senti...”
domandò Sarah dopo un po'.
Quanto
tempo era passato? Un'ora? Due? Di più? Di meno? Aveva
già perso la
cognizione dello scorrere del tempo.
“Perché
io ti devo tenere la mano e Marking, invece, non ha alcun bisogno di
stare a contatto con te?”
“Perché
sei tu
la sfidante che mi ha vinto e con cui devo fare il percorso. Posso
lasciare la tua mano solo se le nostre volontà coincidono.
Se
entrambi decidiamo di fermarci per parlare. Ma scattare in avanti
offesa o piantarmi in asso non son comportamenti intelligenti, ora
come ora. Tu sei umana e lui è un animale...”
rispose paziente
lui.
“Ma
viene dal mio mondo...” protestò lei
“E'
un animale. Lui non è soggetto alle regole del labirinto,
potrebbe
risolverlo da solo. Ma...” la zittì, precedendo la
sua replica
“...non può stare davanti a noi due. Deve
seguirci. Come ogni buon cane dovrebbe fare, tra l'altro...”
“Vuoi
dire...” disse Sarah, sfilando rapidamente la mano da quella
di lui
“Che se faccio così... e faccio due passi...A me
può succedere
qualcosa e a lui no?”
“Sarah!”
ringhiò Jareth occhi spiritati e furenti. Con un solo passo
la
riacciuffò e, livido di rabbia, la strattonò
nuovamente al suo
fianco.
“O-oh!”
fischiò il sostituto di Jareth avvicinandosi al cristallo
frastagliato: ogni sfaccettatura gli rimandava una visione diversa
del frammento di labirinto che seguiva. Era appena rientrato dalla
spedizione punitiva e ora si stava stravaccando nella sala del trono
che aveva un aspetto completamente diverso da quando era il biondo a
regnare. Era ampia e spaziosa, come immersa in una bolla d'aria
intrappolata all'interno della pietra nera e su di essa affacciavano
una serie di quattro balconate da cui si intravedeva il corridoio
dietro di esse. Le ringhiere erano massicce sculture fluenti. A un
primo sguardo potevano sembrare arabeschi orientali ma osservando con
più attenzione, come nella logica del labirinto, vi si
scorgevano le
fattezze di mostruose facce: cavità oculari e orali erano le
aperture su cui si innestavano o da cui pendevano fredde fruste.
Ghignò divertito ma visibilmente irritato, scoprendo i
canini
acuminati. “La cosa si farà senz'altro
interessante...” valutò
portandosi una mano artigliata al mento. Ciò che era
sfuggito
all'osservazione di Sarah, ma che l'aveva istintivamente allarmata,
era la natura bestiale dell'uomo. Come il biondo, infatti, anche il
nuovo sovrano del Labirinto aveva un sembiante in cui poteva mutare a
piacimento la propria forma. Un sembiante completamente diverso,
antitetico a quello del precedente sovrano. “Goditi questo
momento,
Jareth, perché sarà il primo e
l'ultimo...”
-
- - - - - - - - - - - - -
Buona
sera a tutti!
Spero
non vi siate persi nella spiegazione del nome di Marking.... :) ci
tenevo a farle fare questo ragionamento per arrivare a farle dire il
“non capivo niente”...bella mia, capivi e capisci
ben poco, mica
solo di mitologia...
Non
ho grandi cose da dirvi, a parte dirvi che nel capitolo 14, nota
n°6,
le piume prese da Dark Crystal, ho corretto la fonte dell'immagine,
avendone trovata una più grande....
Concludo
informandovi che nella mia suprema follia mi son lanciata anche con
l'originale, che aggiornerò meno frequentemente della fic.
Se siete
curiosi... eccovi il link
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1051162&i=1
In
ogni caso, ci risentiamo tra una settimana...
Alla
prossima! ;)
|
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Capitolo 17 *** Giochi di Specchi ***
17-
Giochi di specchi
Non
se ne accorse subito, ma gli sembrò che qualcosa fosse
cambiato:
avvertiva
una leggera tensione elettrica nell'aria. All'improvviso ebbe la
certezza che fosse successo qualcosa. Abbassò lo sguardo
sulla
ragazza al suo fianco. Non sembrava cambiato nulla.
Tirò
un impercettibile sospiro di sollievo.
“Cos'hai
da fissare con tanta attenzione?” domandò Sarah,
inviperita per
quel trattamento.
“Nulla
di cui ti debba preoccupare...” rispose Jareth secco.
“Ma vedi di
non lasciare più la mia mano, intesi? Almeno, non a quel
modo”
disse, rimproverandola, agguantandola e mettendosi a marciare,
trascinandola per strada come una bambina. C'era qualcosa che non
andava, ne era certo. Il suo sesto senso gli diceva di tenere i sensi
all'erta.
“E'
questo che intendevi, quando dicevi che avrei dovuto fare tutto
ciò
che avessi detto?” domandò la ragazza, il tono di
voce pacato e
neutrale ma in qualche modo provocatorio.
“Esattamente,
signorinella...” la redarguì appuntando lo sguardo
all'orizzonte
“Lascia
che io ti domini...” continuò lei, rievocando il
ricordo “Cosa
intendevi dire?”
“Sarah...”
disse stanco delle sue domande fattesi in qualche modo
improvvisamente provocanti. “Non...”
cominciò, girando lo
sguardo finalmente su di lei. Rimase interdetto. Lei lo stava
guardando con i grandi occhi verdi spalancati, quasi smaniosi. Era
indubbio che esprimessero desiderio ma a Jareth i conti continuavano
a non tornare. Era solo lui a vederla in quel modo? A volerla vedere
così? Doveva darsi una regolata
“...sfidarmi?”
terminò lei, sorridendo feroce “Altrimenti cosa,
Re dei Goblin?”
chiese facendoglisi vicina e affilando lo sguardo “Sei un po'
ripetitivo, o sbaglio?” chiese ancora inclinando la testa di
lato,
lasciando che i capelli corvini le scivolassero dalle spalle,
scoprendo il collo bianco e flessuoso.
“E'
il repertorio del cattivo a essere limitato e ripetitivo...”
rispose lui, confuso, fissandole la gola come ipnotizzato
“Davvero?”
chiese sarcastica, quasi non gli credesse. Come quando lui le aveva
detto di saper essere anche generoso.
Jareth
era stupefatto. I begli occhi spaiati erano sgranati, il volto
esangue: che cosa le stava prendendo? Perché era palese... O
no? Che
fosse lui? Stava ingigantendo tutto? Certo. Lei non aveva fatto altro
che respingerlo in ogni modo, molto goffamente. Era lampante come lei
lo desiderasse e, al tempo stesso, non volesse ammetterlo. Ma non si
aspettava certo che si facesse così intraprendente, come
aveva
sempre sperato lui.
Sarah
accorciò ulteriormente le distanze, i due corpi ormai erano
così
vicini che ciascuno poteva avvertire il calore dell'altro. Lo
studiò
attentamente, quasi divertita. Quindi, fece l'ultima cosa che Jareth
si sarebbe mai aspettato. Ma anche la prima che lui avrebbe
desiderato, da lei.
Quando
le labbra della ragazza sfiorarono le sue, le mani artigliate alla
giacca, il fianco provocatoriamente appoggiato al suo ventre,
reagì
d'istinto.
Jareth
si avventò su di lei come un rapace a caccia. La
schiacciò col suo
corpo contro la parete solida del labirinto e quasi le mandò
la
testa a sbattere contro il laterizio.
“Co...cosa
ho fatto, adesso?” replicò imbarazzata sotto
quella pericolosa
vicinanza. Sapeva benissimo cosa aveva combinato: gli aveva
disubbidito dopo che lui l'aveva già redarguita una volta.
“Sarah...”
la voce di Jareth era arrochita e la ragazza non riusciva a capire il
perché di quella strana sfumatura: stanchezza? disperazione?
“Perché? Perché non puoi fare quello
che ti dico, una volta
tanto?”
Sarah
abbassò lo sguardo sulle proprie mani intrecciate.
“Cosa posso mai
rischiare?” domandò in un soffiò.
Temeva anche solo di respirare,
preoccupata che lui potesse avvertire i tuoni che il suo cuore le
faceva rimbombare in petto a causa di quella vicinanza.
“Tutto.
Tutto!” disse quasi rabbioso “Non hai che da
temermi, amarmi,
fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo
schiavo” aggiunse
sollevandole il volto con una mano sotto il mento in modo che gli
occhi di lei incontrassero i suoi
“Sì,
sì, ho capito l'antifona...” disse sempre
più imbarazzata,
sperando di riuscire a distogliere lo sguardo
“Perché
tremi?” chiese lui, innocentemente. Spostò la mano
dal suo volto
alla parete alle sue spalle e la mano libera corse a quelle di lei
che si intrecciavano nervosamente.
“Non...non
sto tremando.” Ribatté lei punta sul vivo.
“Sì...ma
io non mi sono fatto così terrificante...”
replicò con un sorriso sghembo sulle labbra. “Hai
le mani
gelate...” constatò “Hai
freddo?”
“No..”
riuscì ad alitare lei. Doveva cercare di mantenere il sangue
freddo.
Il re di Goblin si stava sicuramente divertendo un mondo a metterla
così in difficoltà “Grazie, Vostra
Maestà...ma avrei addirittura
caldo...” rispose con azzardo
“Certo...”
rispose lui svelto e sicuro “Finché ti intabarri
in questi
camicioni...” disse sbottonandole i primi due bottoni della
casacca. La stava spogliando, senza che la loro pelle si sfiorasse
mai, neanche per errore, e lei non reagiva? Si stupì di se
stessa
per la libertà d'azione che gli stava concedendo. Quando si
fermò,
Sarah si sentì quasi delusa. “Non è che
hai la febbre?” domandò
ancora lui, poggiando la propria fronte su quella della ragazza.
Era
snervante. Riusciva a mantenere così bene il controllo di
sé.
Forse, davvero, come aveva sempre sospettato, non gli interessava
nulla di lei. O forse, da bravo sovrano viziato, si aspettava che
fosse lei a fare la prima mossa. Stanca di lottare quel desiderio che
aveva di lui, chiuse gli occhi, conscia che lui aveva appena fatto lo
stesso.
Il
bacio fu lungo e famelico, quasi osceno per la tensione che i due
corpi avvinghiati tra loro esprimevano. La sensazione delle stecche
rigide sul corpo morbido e caldo di lei sotto le proprie mani e il
profumo della sua pelle, imprigionato nei lunghi capelli scuri, lo
inebriavano.
Ma
Jareth si staccò improvvisamente, allontanandola
bruscamente. Si
passò, veloce una mano sugli occhi maledicendo la propria
debolezza.
Non riuscì nemmeno a schiarirsi le idee che Sarah gli si
avvicinò
ancora. Le sottili mani bianche guizzarono rapide ad aprirgli la
giacca, insinuandosi all'interno. “Sì...Questa
giacca, ad
esempio...” gli soffiò all'orecchio con un sorriso
divertito,
rispondendo da sé alla domanda che gli aveva posto poco
prima “Non
limita
il tuo proposito di dominio?”
“Sarah...”
disse lui, voltandosi in modo da non incrociarne lo sguardo
“Cosa
ti ho detto prima?”
Lei
si bloccò, interdetta “Che mi offrivi i miei sogni...”
sottolineò maliziosa
“No.”
disse lui, nella voce una rabbia mal celata “Non
allora...adesso...cosa ti ho appena detto?”
domandò trapassandola
con uno sguardo di fuoco
Sarah
non sapeva come comportarsi “Di non sfidarti?”
domandò
“Esatto”
disse rancoroso puntandole l'indice contro, avanzando e
costringendola ad arretrare “Non sfidarmi!”
“Io
non...” stava per ribattere che lui la zittì di
nuovo
“Taci!
Lo stai facendo!” precisò. Aveva bisogno di
pensare e alla svelta.
Tutto ciò che sapeva era che quella assatanata davanti a
sé non era
la ragazza per cui era andato nel mondo umano e con cui era entrato
nel labirinto. Chi poteva essere, tra tutte le creature e le
entità
del sottosuolo?
La
donna si mise in attesa, le braccia incrociate al petto.
“Sarah...dammelo!”
disse, dopo un po', tendendo il braccio verso di lei.
“Cos'è
che desideri, mio signore?” disse lei, tornando nello stato
di
malizia di poco prima. Si portò le mani alla camicia e
cominciò a
sbottonarla dal fondo
Jareth
si accigliò. Era stanco di quella farsa. Quella non era
Sarah.
Quella era l'immagine che lui avrebbe voluto che Sarah avesse.
L'irritazione che provava era segno che la Sarah dei suoi sogni
l'avrebbe presto stancato. Lui non voleva il proprio sogno: era
arrendevole e fin troppo facile da conquistare. Lui voleva Sarah. Con
tutte le complicazioni del caso “Dammi il mio medaglione, la
mia
collana!”
“Ma
tu hai detto...” protestò lei, portando la mano al
petto.
“Dammela!”
sibilò lui in un tono che non ammetteva repliche
“Dammi la
collana, Sarah!”
La
ragazza, riluttante, gli consegnò il monile che il biondo
afferrò
al volo e con sicurezza se lo fece scivolare al collo.
Le
sembrò che quel momento potesse durare per sempre.
Jareth
si era dimostrato inaspettatamente dolce. L'aveva cercata a lungo,
con baci delicati a fior di labbra intervallati da calde carezze alla
guancia, prima di intrappolarla seriamente tra le sue braccia. Le
aveva dato tempo e modo di sottrarsi a lui. Quando non l'aveva
respinto ma, anzi, aveva allungato le mani verso la sua nuca e le
aveva affondate nei lunghi capelli dorati, allora lui l'aveva stretta
a sé, facendole scorrere le lunghe dita, forti e delicate al
contempo, lungo la schiena e fin sul collo, in un abbraccio
avvolgente. Non l'aveva forzata, cercando di insinuarsi in lei, non
le aveva fatto pressione con il bacino. Era tutto, semplicemente,
perfetto. Quella perfezione la confondeva: sentiva che c'era qualcosa
di sbagliato in ciò che stava accadendo ma non aveva la
forza, né
tanto meno la volontà, di respingerlo.
Quando
si separarono, per la distanza di un dito, le parve di riemergere da
una lunga apnea sui fondali oceanici. Schiuse gli occhi e li
piantò
in quelli di lui.
“Cosa
stai facendo?” domandò alla fine, riuscendo a
riacquistare un
minimo di sicurezza nella voce. Sicurezza che non aveva certo nel
resto del corpo, che tremava ancora più vistosamente e sul
punto di
crollare a terra per l'emozione
“Non
era quello che volevi, Sarah?” chiese lui senza indietreggiare
“Hai
detto di non aver alcun potere...” replicò lei
allibita e ferita
“Non
ci vuole la magia per saperti leggere...” rispose lui di
rimando
“...è così evidente...”
rimarcò tornando ad avvicinarsi.
Ma
lei, quella volta, riuscì a opporsi “Non ti ho
chiesto nulla...”
“Ma
vedo...” ricominciò lui imperterrito “E
tutto quello che hai
voluto io l'ho fatto. Sempre.”
“Incantarsi
davanti a una vetrina di bei vestiti ad ammirarli non vuol dire che
io possa desiderarne realmente uno...” sentenziò
lei. C'era
decisamente qualcosa che non andava. Jareth non era mai stato
accondiscendente. “Non fingere di essere generoso.”
“Questo
non è generoso?” domandò lui piccato
piantando le mani nella
parete alle sue spalle.
“No,
non lo è. Come non lo è stato dieci anni fa. Che
i tuoi interessi,
ora, coincidessero con i miei è un altro paio di maniche. Tu
hai
fatto quello che comodava a te.” rispose lei fissandolo
sicura.
“Non confondere le cose, non è corretto!”
“Mia
cara...” cominciò lui prendendole una ciocca di
capelli e
portandosela alle labbra, in un gesto intimo e familiare
“...E'
così sbagliato volerti bene? Desiderarti?”
No,
si disse Sarah. Quello non era Jareth. Doveva essere successo
qualcosa. Ripensò a quella strana sensazione di disagio che
aveva
subito accantonato, il leggero sfrigolio elettrico nell'aria. Proprio
quando si erano lasciati le mani! Si guardò attorno. Eppure
Marking
era lì con loro, pancia all'aria a godersi il sole del
labirinto, e
sembrava non considerarli.
Jareth
non avrebbe mai detto quelle cose in modo così diretto. Lui
girava
attorno al problema come un avvoltoio sulla preda. Se proprio fosse
stato affascinato da lei, avrebbe cercato di farla capitolare per
prima. Non si sarebbe mai esposto in quel modo e con quella
schiettezza. Lui amava tenderle tranelli logico-linguistici, amava
vederla in difficoltà. E amava prendersi ciò che
considerava suo di
diritto, come Toby e, in quel caso, lei. L'immagine di loro due nudi
a letto le tornò violenta alla mente. No, non le aveva
chiesto
niente e si era alzato offeso: nella sua mente distorta lei gli
apparteneva. Lui si divertiva a provocarla e lei non avrebbe dovuto
rifiutarlo, anche se quel comportamento, probabilmente, ne gonfiava
il godimento e l'orgoglio. Ma non sarebbe mai stato così
gentile e
disponibile.
“Chi
sei?”domandò allora
“My
dear...chi vuoi che sia se non...?” riprese lui, imperterrito
con
tono canzonatorio, interrompendosi quando vide cosa lei gli faceva
oscillare davanti agli occhi.
“Mettitela!”
ordinò
“Ma...”
lui sembrava spiazzato “Cara...ti ho detto cosa
può farmi, hai
visto...mi odi a tal punto?”
“Ho
detto di mettertela!” disse cacciandogli in mano la collana.
Quello
la fissò, la catenina che fluiva dalle sue dita. Chiuse gli
occhi e
gliela riconsegnò a malincuore “D'accordo...hai
vinto...” ammise
“Non sono Jareth...”
Jareth
si aspettava di provare un dolore lancinante già assaporato
ma non
accadde nulla. Sembrava quasi avesse indossato il vuoto.
“Bene...”
disse davanti alla constatazione di quello che aveva subodorato
“...caro il mio Specchio...
come vedo il mio intuito, ancora una volta, mi ha guidato
bene...”.
Si era fatto fregare da uno specchio, constatò stizzito. Lui
che era
il padrone di tutte le superfici riflettenti, che le usava a suo
piacimento, era rimasto intrappolato in una di esse.
La
ragazza sbuffò indispettita e tornò a incrociare
le braccia al
petto “Ben fatto, Principe di Goblin...” Lo
squadrò in tralice,
quindi, continuò “Davvero non ti interessa
continuare un altro
po'?” disse tirando un po' lo scollo della camicia
invitandolo a
sbirciare oltre. Jareth l'incenerì con un'occhiata
“Dov'è
Sarah?” domandò
“E'
qui con te...” rispose la ragazza di rimando. Jareth
serrò le
mascelle. La domanda non era quella giusta ma lo specchio aveva
comunque risposto: Sarah era lì, con lui. Ma erano,
entrambi,
intrappolati in una realtà esterna da quella reale.
“E
dimmi, Specchio, quali sono le condizioni per cui io e la vera Sarah
possiamo liberarci dal tuo sortilegio??”
La
finta Sarah rispose con un sorriso compiaciuto
Sarah
avrebbe volentieri mollato un ceffone a quel disgraziato per il tiro
mancino che le aveva giocato “Di grazia...”
sibilò furiosa
“Gradirei sapere chi ho baciato poc'anzi...”
“Io
sono il tuo
Jareth, cara campionessa del Labirinto” rispose quello con
sguardo
ammaliatore “Sono ciò che hai sempre desiderato,
un riflesso del
tuo inconscio...io sono uno Specchio”
“Uno
Specchio?” domandò lei
Dopo
un attimo di silenzio, l'uomo chinò impercettibilmente la
testa
“Sì... direi che dovresti ormai conoscere le
proprietà di noi
superfici riflettenti...non ci limitiamo a mostrare... noi
materializziamo i sogni...” Sarah non poté fare a
meno di
arrossire. Ma se a sapere così in dettaglio cosa celava in
cuore era
uno specchio e non Jareth, si disse, poteva mettersi tranquilla. Lui
non l'avrebbe mai saputo. O no?
“Dunque,
caro Specchio, puoi dirmi anche cosa devo fare per riavere il mio
accompagnatore?”
“Quale
accompagnatore?” domandò il finto Jareth
inclinando la testa di
lato “Hoggle? Monsieur le Ver? Ludo? Sir Didimus?”
chiese,
assumendo di volta in volta le diverse sembianze per tornare di nuovo
al biondo “Jareth?”
Sarah
si morse la lingua. Le domande! Doveva imparare a formularle
correttamente se voleva sopravvivere in quel regno “Quali
sono le
condizioni perché io riesca a ritornare nella situazione
subito
antecedente al tuo incontro?”
“Non
tornerai mai in quella situazione.” precisò lo
Specchio “Nemmeno
se riavvolgessimo il nastro del tempo...Per quanto sia passato poco
tempo, tu sei cambiata...” disse passandosi un dito sulle
labbra
sorridendo.
Arrossendo,
Sarah cercò di riformulare la domanda “In quale
modo posso
liberarmi di te e ritrovare colui che è stato sovrano di
Goblin City
fino al mio arrivo?”
Lo
Specchio sollevò le sopracciglia, soddisfatto della domanda
“Le
Vostre Maestà saranno libere di proseguire nel loro percorso
solo
quando diventerete un'unica persona...” disse mostrando la
superficie lucente di uno specchio finemente intagliato comparso dal
nulla. Solo quando, in pratica, reale e riflesso avrebbero coinciso.
-
- - - - - - - - -
Rieccomi
qui, fanciulle.
Allora...vi
è piaciuto il non-bacio? :) sono sadica? Sì,
grazie, già lo
sapevo...
Per
il resto...lo so che la trama è un po' un casino, in sto
capitolo.
Date buona la teoria e tirate dritto (o se avete soluzioni migliori
suggerite pure...). Perché in partenza volevo far
sì che il reale
di Sarah coincidesse col riflesso di Jareth e viceversa. Ma diventava
troppo contorto. Semplificando in questo modo, comunque, è
un
pasticcio lo stesso: due originali identici, che quindi possono
specchiarsi nella stessa superficie....non lo so...credo di essermi
persa pure io... @_@
Odio
quel fenomeno in cui due specchi che si riflettono continuano a farlo
all'infinito. Non se ne esce.
Precisato
ciò, vi lascio!
Alla
prossima settimana
PS:
la prossima volta ne saprete di più anche sul cattivo.
Promesso!
|
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Capitolo 18 *** Rajeth ***
18-
Rajeth
Jareth
sbiancò. Non mostrò nulla allo specchio, anche
se, probabilmente,
sapeva tutto ciò che gli si agitava dentro.
“Ragiona, razza di
pusillanime...qualche mese nel mondo umano e ti fai fregare da questi
doppi sensi...” strizzò gli occhi, poggiandovi
sopra una mano per
cacciare l'immagine che gli era balenata in mente. Quando li
riaprì,
la copia di Sarah gli stava davanti praticamente nuda, coperta appena
dai capelli corvini e da una sottoveste di pizzo nero.
“Sta
lontano!” sibilò arretrando. Lo specchio
scoppiò in una risata
sguaiata, buttando la testa all'indietro e con essa, la cascata nera
di capelli.
“Tu
non hai alcun potere su di me...” precisò quando
l'ilarità si fu
finalmente spenta. Jareth assottigliò gli occhi. Quella non
era una
donna, quindi non poteva sperare di metterla a tacere imprigionandole
le mani nella morsa delle sue: poteva pure rivelarsi dieci volte
più
forte di lui. Doveva ragionare alla svelta. Come dovevano diventare
un'unica persona? E perché?
Chiuse
ancora gli occhi, deciso a ignorare lo specchio. Ecco, sarebbe
partito da lì. Lui doveva ignorare uno specchio. Cosa faceva
uno
specchio?
Rifletteva
l'immagine di una persona. Se lui e Sarah fossero diventati la stessa
persona, originale e copia riflessa si sarebbero potuti guardare
negli occhi attraverso lo spazio, il varco rappresentato dallo
stesso. Le loro scelte dovevano essere le stesse. Ciò voleva
dire
avere una profonda conoscenza dell'altro e una perfetta padronanza
delle risposte che ci si poteva aspettare. Ma se si fossero messi,
ciascuno, a pensare a cosa avesse pensato l'altro in base a quello
che il partner avesse immaginato, sarebbe diventato un gioco da
ricovero psichiatrico. Sarebbe stato come guardare due specchi che si
riflettevano a vicenda. Sarebbe stato come perdersi nell'infinito,
come girare a vuoto sul nastro di Moebius. Lo osservò,
inciso sul
suo medaglione. Doveva cambiare prospettiva.
Per
gli umani quello era il simbolo dell'infinito. Ma era anche un otto.
E allora? Come poteva aiutarlo quella constatazione?
Sarah
allibì. Come potevano fondersi? Andò allo
specchio e ne sfiorò la
superficie. Era fredda, come quella di tutti gli specchi. Cosa si
aspettava? Che fosse d'acqua o di argento vivo e potesse immergervi
la mano e sbucare dall'altra parte? Alzò lo sguardo
sull'immagine
che quello le offriva di sé. Si osservò
attentamente. Certo era
arrossata ma c'era qualcosa, o forse era solo nella sua mente, che la
faceva sembrare un po' più adulta, un po' più
donna. Scosse la
testa e cacciò l'immagine del bacio: quello non era Jareth.
Doveva
pensare nel modo corretto. Quando ci si guarda allo specchio, la
persona che si riflette è la stessa che sta dinnanzi allo
specchio.
Era forse quello il punto focale? Forse...la questione non riguardava
solo lei. Il labirinto lo stavano affrontando insieme. E insieme
dovevano risolverlo. Quindi era probabile che anche Jareth, in quel
momento stesse affrontando la stessa prova. Stessa prova, stesse
risposte ma due persone diverse. Dovevano diventare un tutt'uno nel
senso che avrebbero dovuto, non solo imparare come ragionava l'altro,
ma riuscire a giungere, pur separati alla medesima risposta.
“Tutto
qui?” domandò alla fine del suo ragionamento
“Non mi poni
nessuna domanda?” chiese scettica all'uomo davanti a
sé “Non mi
poni davanti a qualche scelta?”
“Dovrei?”
chiese inclinando la testa di lato “Ma non è mio
compito..io sono
solo uno specchio. Rifletto ciò che ho davanti, medito e
rimando
semplicemente l'immagine che ho davanti così
com'è...”
“Mi
stai dicendo che siamo stati divisi da una semplice lastra
riflettente?” chiese sconvolta “Ma allora non mi
basta tornare
indietro?”
“Desolato,
mia cara...siete entrati in un'altra dimensione...” la
informò
lui. Andando a poggiarsi con la schiena contro il vetro. Lo sguardo
di Sarah corse al cane: lui era stato probabilmente escluso da tutto
quello.
“E
quindi come faccio se non mi dai uno spunto per partire?”
Jareth
passeggiava avanti e indietro davanti allo specchio, inquieto. Cosa
doveva fare? Cosa doveva vedere? Ma soprattutto... come si sarebbe
comportata Sarah? Si fermò, cercando di focalizzarsi sulla
ragazza.
Dieci anni prima non faceva che chiedere aiuto a chiunque, anche a
chi le tendeva il tranello. Ripensò alle doppie porte del
vicolo
cieco e ai battenti delle porte della foresta proibita.
Chiedere
aiuto, ecco cosa doveva fare, tanto per cominciare. Poteva sembrare
una sciocchezza, ma ora che si trovava costretto, non sapeva come
formulare, correttamente, la domanda.
E
cosa poteva mai chiedergli? “Come possiamo adempiere alla tua
condizione se non mi poni davanti una qualunque scelta? Così
è come
essere da soli. E da soli non avremmo bisogno di immedesimarci uno
nell'altra” borbottò Jareth verso la ragazza che,
nel frattempo,
si era accomodata provocante e volgare su una copia del suo trono.
“Tutto
deve partire da qui...” disse lo specchio portandosi,
lascivo, un
dito al petto, a indicare il cuore “Per il resto vi dovrete
arrangiare...” ghignò
“A
questo potevo arrivarci da sola” replicò Sarah,
perdendo la
pazienza: quello specchio la esasperava tanto quanto Hoggle al loro
primissimo incontro. Jareth come avrebbe reagito in quel frangente?
Sarebbe rimasto calmo ma visibilmente alterato. “Non mi
serviva
certo l'aiuto di un inutile specchio che pensa di essere tanto furbo
solo perché riflette.
Non hai la più pallida idea di cosa mi passi realmente per
il
cervello" disse avvicinandoglisi e puntellandosi, come era
solito fare l'uomo davanti a sé, con una mano alla parete e
come
avrebbe tanto voluto fare anche lei, mostrandosi aggressiva.
“A
questo potevo arrivarci da solo” replicò Jareth,
perdendo la
pazienza e piantando una mano nello schienale, trafiggendo
quell'insulso specchio con i suoi occhi di ghiaccio. Era stanco di
quei giochetti. “Non mi serviva certo l'aiuto di un inutile
specchio che pensa di essere tanto furbo solo perché riflette.
Non hai la più pallida idea di cosa mi passi realmente per
il
cervello" disse tagliando le parole con acredine. Ma Sarah? Era
il tipo che avrebbe puntellato le mani così?
Sperò che lo facesse,
almeno per imitare lui.
L'immagine
seducente offerta dallo specchio svanì lentamente e con esso
tutto
il regno fittizio che si era andato a creare. Tutto piombò
nell'oscurità, illuminata solo dalla specchio che rimandava
l'immagine chiara della persona davanti a sé. Piano piano,
come in
una sorta di morphing digitale, l'aspetto di Jareth e quello di Sarah
trasmutarono uno nell'altro. Il vetro sotto le loro dita si
assottigliò sempre più, dando loro quasi
l'impressione che fossero
stati sempre in contatto. Ma Jareth si rese conto che qualcosa era
cambiato non appena sfiorò davvero la pelle della compagna.
Un
flusso sommesso e sinuoso di energia si infilò in lui,
scorrendogli
nelle vene. Era il potere di lei che, quasi per osmosi, tornava a
lui.
Elettrizzato
da quel contatto, certo della presenza davanti a sé,
ruotò il polso
e afferrò quello di lei in una stretta salda: non l'avrebbe
più
lasciata. Era euforico che entrambi avessero avuto l'intuizione
giusta, che entrambi fossero riusciti a essere così in
sincrono con
l'altro. La tirò a sé, quasi stesse sguainando
una spada, e la
baciò deciso, cogliendola di sorpresa, stringendola a
sé per i
fianchi con la mano libera.
Quella era Sarah, quella era la ragazza che voleva, non il fantoccio
arrendevole e sadico che aveva lui nel cervello. Le forzò la
lingua
tra i denti e quando lei si arrese la strinse ancora più
forte.
Voleva imprimersi nella mente il suo odore, il suo sapore, la sua
fisicità. Lei, non la copia. Voleva cancellare quella prima,
per
quanto orgasmica, esperienza di lei. Ma nella concitazione del
momento non riuscì nel suo intento, troppo impegnato a
pensare al
suo obiettivo finale per assaporare realmente quello che stavano
facendo.
Sarah,
dopo un primo momento di sorpresa (“era appena
passata
attraverso lo specchio? O no? Quello era il vero Jareth? O un'altra
illusione?”), uno di gioia e abbandono per quel
gesto così
intimo, così loro, solo loro (finalmente), lo
cacciò con forza,
quasi offesa, quando lui, dopo averle lasciato andare il polso, le
aveva piazzato, poco signorilmente, una pesante palpata sul seno.
“Che
diavolo ti salta in mente?” disse mollandogli un sonoro
ceffone sul
bel volto e riprendendo rapidamente il controllo di sé,
vergognandosi per come si fosse lasciata andare a quel maniaco
lolitomane. Quello era Jareth. Il vero, arrogante, prepotente,
dispotico re di Goblin, non il cavalier servente che aveva desiderato
ma che le era parso anche tremendamente noioso. E se Jareth credeva
di poter aver tutto da lei solo perché aveva la luna storta
aveva
capito male. Che fosse contento o meno per il loro ritrovarsi non
gliel'avrebbe perdonata.
Il
biondo rimase perplesso e agghiacciato da quella sequenza di eventi:
cosa aveva appena fatto lui? E cosa si era permessa di fare quella
stupida isterica?
“Non
posso farci niente...” rispose voltandosi piano verso di lei
“..Quando mi saltano i nervi non sono più padrone
delle mie
azioni.” Si passò la mano sulla guancia offesa
tanto per
constatare l'entità dei danni, quindi avanzò
verso di lei,
minaccioso “Il punto è che io sono un tipo
tremendamente
possessivo.”
Le afferrò la mano con un gesto di rabbia e, quasi
strattonandola,
fece in modo di averla di nuovo vicina a sé
“Atteggiamenti come
quelli di poco fa, non li tollero” scandì
fissandola, sperando che
il concetto le entrasse in testa.
“Beh”
replicò lei offesa “Non sono la tua
serva.” puntualizzò tirando
il braccio, non per liberarsi ma per decretarne il possesso
“Vedrò
di fare attenzione ma sappi che neanch'io tollero certi
atteggiamenti”
“Bene”
rispose lui asciutto e intimamente deluso
Lontano
dai loro sguardi, il nuovo sovrano di Goblin City, rideva
sguaiatamente, divertito da tutto quel bisticciare. Era piegato in
due con le lacrime agli occhi dal troppo sbellicarsi.
“Finalmente
hai trovato pane per i tuoi denti...Ma vedi di non toccarla
troppo...potrebbe esserti fatale...”
“Non
dovresti parlare così di lui...”
biascicò la donna che gli stava
sdraiata a fianco. Aveva lunghi capelli mogano ricciuti, il corpo
armonioso e ben proporzionato fasciato in un abito color lavanda.
Lui
la baciò distrattamente, continuando a seguire gli eventi
nel
labirinto “Miriam, Miriam”
disse sovrappensiero, prendendole una ciocca di capelli tra le dita e
giocherellandoci un po', proprio come lei stava facendo coi suoi.
“Puoi lasciare in pace i miei capelli?”
domandò un po' seccato:
la donna aveva l'odiosa abitudine di arruffargli i capelli in nodi
indistricabili.
Lei,
però, riprese a scompigliarglieli con più foga di
prima. L'altro
difetto che aveva era che faceva sempre, e solo, il contrario di
quanto le veniva detto. “Miriam, per cortesia...puoi
continuare a
intrecciarmi i capelli?” domandò allora lui,
alzando gli occhi al
soffitto. Subito la donna cominciò a carezzarlo e a
sciogliere i
groppi.
“Sono
carini, non è vero?” disse lei, osservando,
affascinata, la scena
nel cristallo.
“Carini?”
sputò velenoso il re “Carini?” quasi
urlò mentre affondava la
mano nelle onde scure dei suoi capelli e glieli afferrava con rabbia,
costringendola a guardarlo. Gli occhi neri di lei non erano
minimamente impressionati da quella scenata. “Spero che
Jareth
muoia nel tentativo di arrivare qui!” sibilò.
Solo
allora Miriam sembrò ridestarsi come da un sogno
“Ma avevi
detto...”
“Cretina!”
sibilò mollandola di colpo “Lui
era il re rivoluzionario... Il mio compito è mantenere
l'attuale
stato delle cose. Quindi...” le labbra gli si stesero in un
ghigno
osceno. “Se gli ridessi il suo trono tanto facilmente...dove
sarebbe l'aspetto conservatore della mia carica? E dove starebbe
Sarah, se ci fosse lui, sul trono?”
“Mi
hai...usata?”
alitò la donna. Era allibita. Di colpo, tutto l'amore che
poteva
aver avuto negli occhi, era sparito, sostituito da una
vacuità
innaturale.
“Vedila
come vuoi...” fu la risposta criptica del re. “Sei
libera di
andartene, se la cosa...” disse indicando la
vastità e la
ricchezza del castello con un gesto plateale delle braccia
“...non
ti interessa.”
Miriam
esitò, incerta, ma alla fine, tornò a sdraiarsi
accanto al sovrano
che riprese a carezzarla, gentile “Brava....”
Era
particolarmente soddisfatto di sé: riusciva a gestire e
sfruttare un
essere tanto complicato come lei, un Lauro,
una delle etnie elfiche più ingestibili tra le creature
magiche.
“Non
so mai....” cominciò, mentre lo sguardo scivolava
lascivo sulle
sue curve “...se sia merito del mio fascino, della tua
devozione a
Jareth o della tua natura così adorabilmente
complicata...”
Lei
si volse a guardarlo negli occhi rossi. Allungò una mano al
collo
del re, tirandolo verso di sé. I lunghi capelli neri e lisci
dell'uomo sembravano quasi proteggerli dalla realtà esterna.
“Tutt'e
tre...” disse lei allungando appena il collo per baciarlo. Da
lui
si sarebbe aspettata un comportamento più aggressivo, nei
suoi
confronti, in quei momenti. Invece, il re si dimostrava
particolarmente sensibile, o totalmente disinteressato, per pensare
di pretendere qualcosa in più. D'altronde lo sapeva bene:
lei era
solo un surrogato. Lo era sempre stato. Anche con Jareth.
Lo
scalpiccio nella sala li distrasse e l'uomo si ritrasse appena, quel
tanto che bastava a vedere, attraverso la tenda di rami d'ebano dei
propri capelli, il nuovo venuto.
“Vostra
maestà, chiedo scusa per il disturbo...” una voce,
dal centro
della sala, lo interruppe.
“Se
sai che mi disturbi perché ti fai vedere, Boggle?”
domandò irritato l'uomo alzando il volto di scatto. I
capelli
disegnarono un arco perfetto nel frustare l'aria attorno al volto del
giovane “Per me resterà sempre un grande mistero
perché lui...”
il tono di voce improvvisamente disgustato “...non ti abbia
mai
spedito nella Palude...” L'osservazione era rivolta,
implicitamente, anche alla donna che poco prima gli si era ribellata.
“Ci
ha provato...” borbottò Hoggle osando alzare il
capo
“Cosa
fai?” ringhiò l'altro scattando in piedi e
sollevando una nuvola
di drappi bianchi bordati da una greca rossa mentre la sua donna
cercava di ignorare quell'atteggiamento poco accorto nei suoi
confronti. “Guarda per terra, immonda creatura!”
sibilò
avanzando verso di lui “Devi strisciare innanzi al tuo
Re...ricordati che non tollererò oltre i tuoi modi. Vi ho
lasciato
un po' di tempo per adeguarvi, dopo il lassismo di Jareth. Ora
basta!” Così dicendo gli calò sulla
testa un piede avvolto in una
morbida ciabattina di velluto dai bordi dorati per fargli capire come
dovesse stare davanti a lui. “Allora...che vuoi? Mi hai
interrotto
sul più bello!”
“Volevo
dirVi che noi avremmo finito con...” cominciò
l'altro che il
sovrano lo interruppe, volgendosi al trono senza più
considerarlo, i
lunghi capelli neri che scivolavano sulle spalle come onde di un mare
in tempesta.
Quando
si fu seduto, sbracato più lascivamente del suo
predecessore, e si
fu tirato nuovamente addosso la donna, si illuminò
“Direi che ora
potete venire a lucidare la balconata....mi piacerebbe risplendesse
come uno specchio di ematite...” disse scoppiando in una
risata
sguaiata mentre Hoggle si allontanava senza mai voltargli le spalle.
Era un compito impossibile: quello era cemento grezzo.
Camminavano
in un silenzio carico di tensione e imbarazzo. Ad accompagnarli, solo
il suono delle suole dei loro stivali sul lastricato.
Jareth
non poteva non fare un parallelismo su quanto era appena avvenuto tra
loro e quello che era accaduto in passato. Lei, dopo averlo accolto
in un primo momento, lo aveva respinto ancora, per la seconda volta.
In modo più deciso, consono alla donna che era. Non
è che gli
garbasse eccessivamente l'indole manesca e isterica della ragazza, ma
era il prezzo per averla così combattiva. L'unica differenza
era il
pubblico: solo Marking aveva assistito alla scena e non l' intera
corte. Forse. Perché anche lui
li stava sicuramente osservando. Le ragnatele che facevano capolino
negli angoli più nascosti del loro percorso erano tutti
abitati. E
quegli abitanti erano l'equivalente di ciò che erano stati
per lui i
licheni occhiuti. Ragni. Ragni dotati di una miriade di occhietti
rossi terrificanti. Quei cosi non erano che la conferma dei suoi
gusti decisamente discutibili.
Inoltre,
per quanto ne sapeva, poteva aver invitato tutti a corte per
denigrarlo pubblicamente. Lui aveva riso
di Sarah, divertito da tanto ardire, solo coi propri Goblin. Ma anche
quella era un'inesattezza. Lui si era angustiato tutto il tempo e i
suoi piccoli sudditi l'avevano capito immediatamente.
Il
ricordo del ballo, però, gli fece scattare una
curiosità.
“Come
hai fatto a capire che non ero io?” domandò lui,
rompendo il muro
che era calato tra loro.
“Perché...”
Sarah tacque, improvvisamente a disagio “Beh, eri stranamente
gentile...” disse sorvolando in che modo lo fosse stato
“E tu?”
chiese allora lei, incuriositasi a sua volta.
“Eri
obbediente, sottomessa, docile...come una bambina” rispose
lui
rivedendosela praticamente nuda davanti, tutt'altro che una bambina.
Dovette sforzarsi per non voltarsi a guardarla nel tentativo di
sovrapporre le due immagini. “Finalmente facevi quello che ti
veniva detto” sputò.
A
quelle parole, a Sarah tornò in mente tutto il discorso che
le aveva
fatto il professore non molto tempo prima. E se lui fosse stato
davvero interessato a lei come un uomo può esserlo di una
donna e
non solo come una valida avversaria? Ma no, cosa pensava. All'epoca
era poco più di una bambina. Immanuel doveva essersi
sicuramente
sbagliato. Ma se, per assurdo, fosse stata, invece, l'ipotesi
corretta? Da quando lo era stato, precisamente?
Certo...il
loro ultimo incontro, nella stanza di Escher o in quella in rovina,
poteva prestarsi a quel facile fraintendimento...ma prima?
Prima...c'era
stato il ballo...quella splendida allucinazione...ammettendo che
fosse reale e lui fosse sincero...
Più
si arrovellava sulla sua presunta infatuazione e sulla sua possibile
origine, più si accorgeva che, cercando di essere onesta,
doveva
retrocedere fin quasi al loro primissimo incontro. Ma ancora non si
conoscevano ed era quindi impossibile...E trovava difficile che
potesse essersi preso una cotta tanto potente in una manciata di ore.
Tutta
quella situazione era assurda...
“Quello
era il prezzo per la tua incolumità … Ti
riformulo la domanda: non
ero stato generoso? …Proprio non capisci, eh?”
Le aveva detto prima di entrare nel labirinto. Cos'è che non
capiva?
Perché non riusciva a vedere l'ingiustizia che vedeva lui?
Dov'è
che si era dimostrato generoso?
Poteva
dirsi certa di essere importante per lui? No. D'altronde, erano
praticamente due sconosciuti: a lei non sarebbe dovuto interessare
nulla di lui, forse avrebbe dovuto anche provare fastidio per tutte
le libertà che lui si sentiva in diritto di prendere.
Eppure,
nonostante sapesse, coscientemente, tutto quanto, lo sentiva quasi
come un vecchio amico con cui non si hanno rapporti da anni e con
cui, una volta incontrati nuovamente, tutto ricomincia come se il
tempo trascorso fosse stato solo un sogno.
Il
dubbio del confine tra reale e immaginario, si assottigliò
ancora
una volta: di cosa poteva essere assolutamente certa? Cosa aveva
vissuto realmente? E cosa aveva probabilmente solo sognato?
Nulla,
ammise con sconforto: erano dieci anni che quella domanda la
angustiava. Allora, tanto valeva viversela con un po' più di
leggerezza, sperando fosse tutto un sogno. Un lungo e interminabile
sogno.
Eppure
quel sogno continuava a complicarsi sempre più.
Quello
strano figuro, ad esempio. Affascinante, sensuale ma ambiguo. Non
riusciva a spiegarsi quel misto di attrazione e repulsione che aveva
provato nei suoi riguardi, eppure...
“Chi
è quell'uomo? Non mi hai ancora risposto...” disse
lei,
riprendendo con le domande e rendendosi conto che Jareth aveva eluso
la questione.
Il
biondo ex re esitò un attimo fermandosi davanti a una doppia
palizzata di mani indicatrici “Lui.... è... mio
fratello,
Shath-Rajeth...”
disse in un bisbiglio che Sarah faticò a percepire
“Fratello
gemello...” precisò dopo un po'. Quindi la
distrasse domandandole
se avesse preferenze per il bivio multiplo da cui dovevano
districarsi. Lei scrollò le spalle e si avviò,
subito seguita dai
suoi accompagnatori.
“Ecco
cos'era quella sensazione di deja-vù...”
mormorò sorpresa
abbassando lo sguardo sulle loro mani intrecciate. Jareth era tornato
a indossare i suoi soliti guanti scuri subito dopo l'episodio dello
specchio, con gran stupore della ragazza.
Ora,
più pensava a Jareth e suo fratello Rajeth più ne
notava le
somiglianze: lo stesso naso aquilino, lo stesso taglio ferino degli
occhi, la stessa linea sottile delle labbra. Erano due gocce d'acqua,
speculari e negative l'una dell'altra. Solo che l'altro era una
goccia di petrolio in cui rischiavi di morire affogato se bagnavi
solo la punta delle dita. “Però...ha un che di
indiano o
arabo...non trovi? Sia il nome,
sia l'aspetto...” borbottò tra sé
richiamando l'immagine di
quello strano figuro esotico, i suoi colori, le morbidezze in cui era
drappeggiato il suo corpo flessuoso.“Dove....?”
stava per
domandare. Ma lui aveva alzato una mano a fermare sia lei che il
cane.
Lo
sguardo tagliente era perso in fondo al cunicolo alberato del
labirinto in cui avrebbero dovuto svoltare. Qualcosa era fuori posto.
Lo studiò ancora qualche secondo, quindi gli
voltò le spalle: erano
finiti in un vicolo cieco. Se avessero svoltato l'angolo avrebbero
rischiato di attivare qualche trappola.
“Una
a testa...” precisò, senza perdere di vista il suo
obiettivo. Era
certo che, non appena si fosse distratto, sarebbe successo qualcosa:
per quello che ne sapeva lui, le mattonelle potevano pure saltar loro
addosso da un momento all'altro, travolgendoli in un'onda di schiuma
bianca.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Ed
ecco svelata anche la natura di Rajeth! Finalmente, non ne potevo
più
di sto segreto e di indicarlo sempre come 'lui'.
Vi
chiedo scusa per il ritardo del post ma sono ricominciati i
laboratori in modo serio e ho perso la settimana a cercare materiale
e fare le prove.
PS:
se non si fosse capito, nel prossimo capitolo scatta un'altra
trappola XD
baci
a tutti!
|
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Capitolo 19 *** Rabbia e paura (parte 1) ***
19-
Rabbia e Paura (parte I)
Jareth
cercò nei recessi della propria mente una domanda che fosse
il meno
impegnativa possibile. Ma gli mancavano così tanti tasselli
della
vita della ragazza che non sapeva da dove cominciare dato che, in
precedenza, non l'aveva mai persa di vista per più di pochi
giorni.
Mai un anno intero. “Dov'è finito l'altro
cane?” domandò
sovrappensiero, adocchiando Marking “Merlin,
giusto?” chiese per
avere conferma. Gli era sempre sembrato che la ragazza avesse un
altro cane, un bobtail, a cui era molto affezionata. Ma la prolungata
degenza e la conseguente cacciata nel mondo umano, forse, gli avevano
alterato la memoria.
Il
cuore di Sarah saltò un battito e si fermò di
botto. Il nome del
suo vecchio cane le faceva ancora male da morire. Marking se ne rese
conto e, da dietro, la spintonò con la sua grossa testa,
invitandola
ad affondare le dita nella sua criniera nera.
“Come
sai di Merlin?” balbettò inebetita. Se era tutto
vero, lui non
avrebbe dovuto saperne nulla: lui era entrato in casa solo dopo la
sua chiamata, in casa c'erano solo lei e Toby e alla fine era stato
sconfitto.
“Non
rispondere a una domanda con un'altra domanda!” la
zittì Jareth
guardandola impaziente
“Merlin...”
Sarah scosse la testa con violenza e alzò lo sguardo
“Avevi detto
che ci saresti stato!” sputò velenosa verso di lui
“Prego?”
Il sopracciglio arcuato, il tono della voce perplesso al limite del
sarcasmo: il mago non sapeva proprio di cosa stesse parlando
“I'll
be there for you, when the world falls down!”
ringhiò e ritrasse violentemente la mano dalla sua per
coprirsi gli
occhi, improvvisamente colmi di lacrime “Maledetto bugiardo!
Tu non
c'eri! Non c'eri! Non c'era nessuno!” Urlò, i
pugni scivolarono
veloci lungo i fianchi, quasi cercasse di tenersi insieme e non
crollare sotto i singulti. Jareth non sapeva da che parte prenderla.
Era del tutto impreparato a una reazione simile. “Quando
Merlin è
stato investito, tu dove diavolo eri? Eh? Quando per la disperazione
di averlo perso ho smesso di mangiare e quasi pensavo al suicidio,
eh?” La rabbia della ragazza era come un fiume in piena:
aveva
rotto gli argini e finché non avesse buttato fuori tutto
quello che
covava in seno da troppo tempo, non si sarebbe mai calmata
“Dov'eri?
A giocare con le tue dannatissime sfere di cristallo, vero? Ti
divertivi a vedermi finalmente distrutta! Sei disgustoso!”
Jareth
non provò nemmeno a dirle che si sbagliava, a calmarla o a
fare
qualunque mossa. Lei l'avrebbe reputato comunque colpevole, l'avrebbe
aggredito. Allora, tanto valeva dimostrarsi all'altezza
dell'aspettativa: algidi.
“Ma
no, non era abbastanza, per te, vero? No... scommetto che
c'è il tuo
zampino dietro a tutto!” continuò Sarah,
imperterrita, in un
triste monologo in cui lo rendeva mandante di tutta la sua sfortuna
“Dovevi togliermi anche quel po' di famiglia che mi restava.
Macchine, sempre macchine, dannatissime macchine. Perché non
mi hai
preso anche Toby, già che c'eri? Ah no... lui no..lo volevi
per te,
vero? Scommetto che adesso lui è a palazzo coccolato e
viziato...magari anche drogato...mentre io sono qui con
un...” le
labbra si piegarono all'ingiù in una smorfia di disprezzo,
la mano
protesa in avanti che gesticolava frenetica alla ricerca della parola
giusta “...Un surrogato mal riuscito di sua
Santità che deve
divertirsi un'ultima volta alle mie spalle per poi vendicarsi del
tutto, uccidendomi tra mille sofferenze...”
Uno
schiocco sordo frustò l'aria e il silenzio calò
improvvisamente.
Poteva
sopportare tutto, che gli muovessero le peggiori accuse, anche venire
descritto come un assassino...qualunque cosa...ma non quello. Non che
lui volesse la sua
morte.
“Interessante...”
biascicò Rajeth, con rabbia, al di là del
cristallo frammentato,
strizzandolo nel proprio pugno fino a mandarlo in frantumi. Quel
deficiente! Avrebbe pagato tutto con gli interessi. Se prima poteva
solo scherzare sull'idea di farlo fuori, ora avrebbe voluto
distruggerlo seduta stante. Si costrinse a riprendere la calma e,
dopo poco, schioccò le dita “Chi diavolo
è, adesso, questo Toby?”
Sir
Didymus fu al suo fianco in un balzo, abbandonando, prontamente, il
proprio lavoro di lustra-pietre “E' il fratello della
ragazza,
vostra grazia...il fanciullo che vostro fratello rapì su
richiesta
di lei...” Non riuscì a finire la frase che quello
agitò in aria
la mano, seccato, congedandolo e ricacciandolo alle sue umili
mansioni.
“Mmm....”
rimuginò il moro “Mostramelo!”
ordinò al cristallo dopo una
breve riflessione. In una delle sfaccettature del cristallo comparve
il ragazzino biondo che varcava le soglie del suo istituto. Il Re
assottigliò lo sguardo, studiando prima uno poi gli altri.
Infine,
con un sorriso bieco, che andava da una parte all'altra del volto,
decise di dedicarsi un po' al trastullo appena scoperto.
“I,
I'm underground”
stava canticchiando Toby mentre si avviava alla sua stanza lungo
corridoi col panna, silenziosi, ritmicamente segnati, tra una colonna
e l'altra, da due porte dello stesso legno scuro del soffitto e del
pavimento protetto dal lungo nastro chiaro di un tappeto di moquette.
Nessuno si era meravigliato nel vederlo ricomparire così
presto nel
collegio in cui aveva deciso di andare a stare contro il volere di
sua sorella. Gli era sembrata la cosa più sensata da fare e
non
aveva mai capito perché lei strepitasse a tutto andare su
questioni
di responsabilità e dovere: avevano ereditato una fortuna
inaspettata, dalla scomparsa dei genitori, che avrebbe coperto le
spese per la sua istruzione senza costringere nessuno dei due a
cercarsi un lavoro. Inoltre, mamma Karen già ventilava
l'idea di
iscriverlo in qualche prestigioso istituto e quello aveva un'ala
riservata agli orfani, con attività supplementari per
colmare il
vuoto quando gli altri rientravano dalle loro famiglie.
Sarah,
nel giro di pochi anni, non avrebbe comunque più attinto a
quel
capitale. In qualche modo Toby capiva che le pesasse essere
dipendente dai genitori, i quali avevano rifiutato ogni possibile
compromesso con un lavoretto part-time, e ancor più dalla
loro
eredità: smaniava per rendersi indipendente e poter
garantire lei
per entrambi, senza appoggiarsi a nessuno. Il ragazzino si era
dimostrato più assennato della sorella: che senso aveva
esaurirsi
districandosi tra scuola e lavoro se poteva concentrarsi totalmente
sugli studi? Si sarebbe gettata anima e corpo nel lavoro in un
secondo momento!
Inoltre,
spettava loro, di diritto, un alloggio nei condomini del cosiddetto
Child Village, dove i fratelli maggiori facevano da balia a tutti i
marmocchi: una comunità di mutuo soccorso di orfani, una
piccola
Isola-che-non-c'è, dove i bambini più piccoli
erano seguiti da una
schiera di maestre a domicilio, evitando loro spostamenti inutili.
Nel pomeriggio, uno stuolo di tate presiedeva ogni condominio che
fungeva, per lo più, da dormitorio. I più grandi
avevano il compito
di prestare loro un po' d'attenzione, come potevano e in base alla
loro attitudine e ai loro impegni, in caso maestre e tate venissero a
mancare. Alcuni appartamenti erano poi riservati agli orfani
abbastanza autonomi come lui e sua sorella. Ma la maggior parte delle
stanze dei condomini restava un'unica grande camerata, dove una tata
era responsabile per ogni piano durante la notte mentre di giorno, i
più piccoli, si ritrovavano divisi per età a
seguire le lezioni.
La
città era famosa per questa idea così innovativa
ed era il campione
di studio per molti sociologi, psicologi, educatori. Nato da un
esperimento del primo dopoguerra, la formula aveva avuto successo ed
era stata rinnovata di anno in anno: i bambini senza famiglia
crescevano più sereni tra pari, nella loro stessa
condizione, che
non con famiglie nuove che cercavano di cancellare i ricordi della
precedente. Era facoltà degli orfani segnalare la
disponibilità ad
essere adottati o meno. Ma la maggior parte, a differenza della
situazione negli orfanotrofi ottocenteschi, preferiva di gran lunga
quella comune così libera e senza costrizioni, una grande
famiglia
di sciagurati in cui tutti si capivano a vicenda.
Così,
su proposta di Toby, avevano affittato la loro villetta neocoloniale,
a cui erano troppo legati affettivamente per riuscire a riprendersi,
ed avevano traslocato su suggerimento del Signor Grimm, lo psicologo
da cui l'aveva portato la sorella dopo la sciagura che li aveva
colpiti.
In
ogni caso, nonostante lei avesse la patria potestà su di
lui, era
riuscito a convincerla a lasciarlo andare nel convitto. Ed era
riuscito anche a farle piacere l'idea di non averlo tra i piedi.
Il
dettaglio del collegio, in realtà, non piaceva a nessuno dei
due.
Però, lui non voleva esserle di peso e, ammorbidita su un
fronte,
era stato facile farle accettare anche il resto: in collegio,
potendoselo permettere, avrebbe ricevuto un'adeguata istruzione e
sarebbe stato seguito forse anche meglio che non a casa dai genitori.
Sarah non doveva, a suo avviso, distrarsi: prima finiva, prima
sarebbero tornati a una parvenza di normalità e alla loro
vecchia
casa. Se poi avesse portato anche un fidanzato a casa, gli sarebbe
sembrato di essere nuovamente una famiglia. E il Signor Grimm, che di
tanto in tanto andava ancora a trovare, aveva un figlio poco
più
grande di Sarah, lo sapeva perché ne avevano parlato, e
Toby, da
piccolo, aveva fantasticato su un possibile matrimonio: non gli
sarebbe dispiaciuto entrare a far parte della famiglia del Signor
Grimm e poterlo considerare come un nuovo padre. D'altronde anche
Sarah aveva due mamme. Anche se lei non ne sembrava troppo contenta.
Sorrise all'idea di sua sorella per mano a qualcuno. Ma non si
stupì
nell'immaginarla affianco a quel uomo biondo che era piombato il
giorno prima a casa loro. Gli piaceva ancor più del Signor
Grimm e
aveva, inoltre, un non so che di familiare.
“Sister,
sister, please take me down...”
quella canzone gli piaceva tremendamente.
Ricordava
ancora la prima volta in cui l'aveva sentita. Un pomeriggio
d'inverno, rovistando tra gli scatoloni ammassati in soffitta alla
ricerca di non ricordava nemmeno più cosa, aveva trovato un
vecchio
LP che era appartenuto, probabilmente, a sua sorella: sulla copertina
campeggiava il primo piano dell'eccentrico cantante, tanto amato da
Sarah fino a un certo periodo. Poi di colpo, così gli aveva
detto la
madre, aveva smesso di assillarli cantando a squarciagola. Karen
aveva pensato che, come ogni buona adolescente, avesse esaurito
l'entusiasmo per l'artista e si fosse buttata in una nuova
ossessione. Invece, aveva notato che continuava ad ascoltare tutte
quelle cassette e quei dischi senza, però, più
cantare. Nulla
sembrava essere cambiato. Ascoltava tutto, come prima. Tutto tranne
una canzone, che piaceva anche alla madre. Si trattava di un singolo,
gli aveva detto. Ed eccolo tra le sue mani: era certamente quello.
Era insolito, rispetto alle altre copertine, non sembrava nemmeno
lui. Anzi, Toby era sicuro non fosse lui, anche se si assomigliavano
molto: al posto del vistoso trucco colorato, dei corti capelli
arancioni e di tutine scintillanti dalle fantasie optical, David
Bowie lo guardava serio da dietro una sfera di cristallo, lunghi
capelli biondi, spettinati, fasciato in quella che sembrava una tuta
integrale di pelle nera.
Era un'immagine inquietante e seducente allo stesso tempo. Sotto di
essa il nome e il titolo “Underground” quasi
sparivano. Facendo
una rapida ricerca su internet aveva poi scoperto che era stato un
flop tremendo ma, probabilmente, proprio per quello, a distanza di
anni, sarebbe valso una fortuna. Sul retro, c'era la foto di un
barbagianni in volo. Strano, si era detto, come poteva essere che
Sarah avesse qualcosa con l'effige di quell'animale? Lei odiava i
barbagianni da che lui aveva memoria. Incuriosito l'aveva portato in
soggiorno e l'aveva infilato nell'impianto stereo, provvisto di
giradischi.
Il
fruscio, caratteristico di quel tipo di supporto, era stato subito
coperto dalla spolverata di triangolo, dando l'idea di qualcosa di
quasi sovrannaturale, ma subito riportato alla corposità
terrena del
suono di un sassofono e di una fisarmonica.
No
one can blame you
For walking away
Too much rejection
No
love injection
Life can be easy
It's not always swell
Don't
tell me truth hurts, little girl
'Cause it hurts like hell
[Nessuno
può biasimarti/ per essertene andata/ troppi rifiuti/
nessuna
iniezione d'amore/ La vita può essere facile/ non
è solamente
crescere/ non dirmi che la verità fa male, piccola donna/
perché
brucia più dell'inferno]
Non
sapeva dire perché, ma era convinto che quella canzone
parlasse di
sua sorella. Spesso, l'entità da lei battezzata Iutrepi si
era
divertita a giocare coi testi delle canzoni in un dialogo continuo
con
Sarah. Ma lei, a differenza di quello che fuoriusciva
dall'altoparlante, non era mai scappata, anche se le bruciava al
terra sotto i piedi
But
down in the underground
You'll find someone true
Down in the
underground
A land serene
A crystal moon,
[Ma
giù nel sottosuolo/ troverai qualcuno di vero/
giù nel sottosuolo/
una terra serena/ una luna di cristallo]
Era
certo che l'Underground fosse il mondo di cui parlava nelle sue
storie. Ed era altrettanto sicuro che lei ci fosse stata: la sua
reticenza verso certe cose o certe pratiche ritenute magiche.
Ma la mamma l'aveva sempre canzonato, lodando la sua fervida fantasia
così simile a quella della sorella. Poi, però, la
canzone sembrava
rivolgersi a due persone distinte: che una parlasse di lui?
Daddy,
daddy, get me out of here
I, I'm underground
Heard about a
place today
Where nothing never hurts again
Daddy, daddy, get
me out of here
[Papà,
papà, portami fuori da qui/ sono sottoterra/ ho sentito di
un posto,
oggi/ dove nulla ti può ferire ancora/ papà
papà, portami fuori da
qui]
Questo
proprio non lo capiva...chi poteva essere imprigionato là
sotto,
senza volerlo? O comunque stare là e volersene andare? Lui
no di
certo...
I'm,
I'm underground
Sister, sister, please take me down
I'm, I'm
underground
[Sono
sottoterra/ sorella, sorella, per favore, portami giù/ sono
sottoterra]
Quante
volte l'aveva assillata perché gli raccontasse quella
storia? e ogni
volta lei cambiava qualche particolare. Riusciva a leggerle negli
occhi una strana luce, come se davvero avesse visitato i posti di cui
parlava. Allora perché solo lei? Anche lui voleva vivere
un'esperienza come quella!
Gli
tornò alla mente come, quel giorno di qualche anno prima,
Sarah
fosse sbucata all'improvviso in salotto. Non aveva urlato come al suo
solito. Aveva marciato dritta verso l'impianto, l'aveva scansato in
malo modo, quasi aveva distrutto il giradischi nel tentativo di
fermarlo. Quindi aveva fatto la cosa che più di ogni altra
aveva
sconvolto il bambino: aveva spaccato l'LP, che si era frammentato in
due grosse mezzelune nere, facendo piovere una miriade di altre
piccole schegge. Poi, calma, anzi, gelida, l'aveva guardato e aveva
sibilato, con gli occhi ridotti a due fessure “Mai
più!”.
Il
ricordo gli fece provare un brivido lungo la schiena. Sarah, se
voleva, sapeva essere terrificante come i mostri di cui raccontava.
Quella volta aveva capito che non era il caso di farla arrabbiare
perché non poteva sapere cosa l'avrebbe spinta a fare la
rabbia.
Arrivato
davanti a camera sua, decise di cacciare quel ricordo. Avrebbe atteso
sue notizie da bravo fratello diligente. Infilò le chiavi
nella
toppa della porta della propria camera e non si accorse subito della
fitta ragnatela che aveva imperlato il tutto. Solo quando, dopo
diversi tentativi, abbassò lo sguardo esasperato su
ciò che faceva,
si rese conto del groviglio bianco che impediva alla chiave di
girare. Neanche un giorno e la sua stanza era già invasa
dalla
polvere? Forzò con la spalla e quasi cadde all'interno,
sotto il
peso dei bagagli. La stanza sembrava in ordine anche se negli angoli,
effettivamente campeggiavano delle belle tele bianche di cui non si
era mai accorto prima. Probabilmente, quello nella toppa, era il nido
di qualche ragno che vi era migrato dal soffitto in cui era
prolificato grazie alla sua disattenzione.
Aveva
tutto il fine settimana per toglierle ma prima l'avrebbe fatto e meno
si sarebbe sentito a disagio. Gli sembrava quasi di essere spiato da
occhi invisibili. Buttò i bagagli sul letto e, senza
spogliarsi del
giaccone, andò a cercare la scopa allungabile che teneva
dietro
l'armadio per le emergenze, quindi si arrampicò sulla
scrivania
tendendosi nel tentativo di rimuoverle.
“Non
lo farei se fossi in te” disse una voce calda, divertita,
alle sue
spalle.
Toby
sobbalzò per lo spavento e, prima di perdere l'equilibrio e
di
cadere con la faccia sulla moquette, riuscì a percepire una
nota
familiare nella voce. Quando si rialzò tutto dolorante,
quasi si
aspettava di trovarsi davanti il cantante bardato da guerriero Jedi
di cui aveva ascoltato la voce fino a pochi istanti prima. Invece,
seduto comodamente sul suo letto, c'era uno strano figuro in bianco:
sembrava uno sceicco o qualcosa del genere. Ne fu quasi deluso.
L'uomo lo scrutava con aria divertita e curiosa, la testa reclinata
di lato. Era un atteggiamento che al ragazzino non sembrava nuovo.
“Chi..chi
sei?” balbettò. Quando era entrato? Da dove
veniva? Perché era
lì?
Poco
ma sicuro, era forestiero. E Toby poteva giurare, sfidando le logiche
del buon senso, che si trattasse di qualche essere magico.
Il
moro arricciò le labbra, offeso “Arrogante come
tua sorella e come
quell'idiota di mio fratello...” commentò
“Ha
anche i miei occhi...”
disse facendo il verso a qualcuno. Quindi si alzò e con due
falcate
raggiunse il bambino. Gli alzò il volto con un gesto secco
della
mano nuda e lo studiò.
“Sì...” disse schifato “Non
solo
quelli, comunque...” quindi lo mollò e
tornò a sedersi
incrociando le gambe lunghe e affusolate. “E così
tu saresti
l'oggetto di tanto contendere, eh?” commentò
tirandosi su e
poggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sul palmo delle mani.
“Interessante...” e con un movimento fluido si fece
comparire dei
cristalli neri tra le dita della mano libera. Toby era terrorizzato:
tremava da capo a piedi e non sapeva cosa fare. Quell'uomo emanava
una potente aura autoritaria. “Ti interessa un gioco? Un
gioco
divertente...quello
che tua sorella ti ha sempre negato...” disse, quindi,
seducente
offrendogli i cristalli.
Cosa
gli aveva sempre detto Sarah? “Non parlare con gli
sconosciuti e
non accettare mai nulla da loro”. Era una regola che valeva
anche
se se li fosse trovati in camera? “No, grazie...”
disse comunque,
timidamente
“Oh,
suvvia! Cosa credi, che non lo sappia?” rispose divertito
l'altro
“Tu hai sempre chiesto a tua sorella di portarti
nell'Underground...giusto? E lei non ti ha mai accontentato..e lo sai
perché? Perché ti ritiene troppo piccolo per
affrontare un luogo
così...per adulti..” disse sarcastico, puntando
sui suoi punti
deboli “E tu ti sei dimostrato così maturo nei
suoi
confronti...anche la scelta di venire qui...” disse indicando
la
stanza “Dimmi, Toby...non ti sei sentito ferito quando
è andata
nell'altra stanza a parlare con Jareth, ieri sera? E quando ti ha
improvvisamente rispedito qui? Io credo di sì...tu le vuoi
così
bene, quasi la adori.. e lei invece cosa fa? Ti abbandona...di
nuovo!” disse falsamente dispiaciuto.
“Come...di
nuovo?”
domandò d'impulso il bambino, stringendo i pugni. Sapeva che
sua
sorella non era scappata. Aveva una cosa importante da fare, aveva
cercato in tutti i modi di tenerlo a casa, di non lasciarlo solo in
collegio: lei non l'aveva mai abbandonato.
“Oh...”
fece Rajeth portandosi una mano alla bocca, quasi a voler frenare le
parole di troppo che gli erano uscite “Non te l'ha mai
detto?”
domandò ancora, sempre con lo stesso tono, negli occhi,
però, la
luce divertita del tranello che stava tessendo
“Questo...” disse
facendosi comparire tra le mani un libro di fiabe, Nel
paese dei mostri selvaggi “Mio
caro ragazzo...lei ha già provato una volta a disfarsi di
te...”
Toby
deglutì a vuoto, calde lacrime gli bruciavano agli angoli
degli
occhi “Non è vero...” disse con poca
convinzione. La sola idea
che sua amata sorella potesse aver tentato di fare una cosa del
genere lo ripugnava. Ma la paura inconscia dell'abbandono, insita in
ogni bambino, specie se rimasto orfano, era più forte dei
bei
ricordi dei momenti passati con Sarah. Che era la sua sorellastra,
doveva ricordarselo. Quindi, forse, era possibile che lei l'avesse
odiato...ma..no...lui era lì...come avrebbe potuto se lei....
Rajeth
lesse quel conflitto interiore e decise di assestare il colpo
definitivo. Uno dei cristalli si involò dalla sua mano e si
stese in
una specie di schermo. Frammenti di vita del ragazzino scorsero
veloci, a ritroso, su quel supporto, quasi fosse un DVD mandato
indietro a velocità impressionante. Finché tutto
non si fermò in
una stanza buia.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Oh
dunque... ecco che è ricomparso Toby :) aspettate e vedrete
XD
volevo
solo dirvi che Nel paese dei mostri selvaggi
è il libro che
realmente ha dato spunto a Labyrinth. Mi pareva di averlo
già detto,
ma ripetermi male non fa. Nella mia storia, ovviamente, non c'entra
nulla col libretto rosso: è un libro realmente in commercio
come il
cd di Bowie che qui spaccio, però, come un'intromissione
magica. Il
cd, come il film, a suo tempo furono davvero catastrofici. Che altro
dire? Nulla...vi aspetto la prossima settimana per la seconda parte
di questo episodio ;)
Ciaoo
|
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Capitolo 20 *** Rabbia e Paura (parte II) ***
20-
Rabbia e Paura (parte II)
La
scena prese a svolgersi nella vecchia camera dei suoi genitori. Era
buia e i vagiti di un bambino riempivano, assordanti, i vuoti
lasciati dai tuoni del temporale circostante.
La
luce si accese e una voce, che riconobbe immediatamente,
sbottò
irritata “E tu sta zitto!”
Subito,
una giovanissima Sarah marciò nella stanza e
recuperò da terra il
pupazzo preferito di Toby, Lancillotto. “Ti odio!”
sibilò. Toby
sapeva che sua sorella poteva essere crudele, quando si metteva
d'impegno. Ma quella ragazzina isterica, poco più grande di
lui, non
poteva essere lei.
Gli
occhi gli bruciavano tremendamente e la vista era ormai già
appannata: a chi è che aveva rivolto quelle parole? A un
bambino
biondo in pagliaccetto rosso e bianco...quel bambino era lui. Ne era
certo. “Qualcuno mi salvi, qualcuno mi porti via da questa
casa
orrenda!” La sua amata sorella...odiava la sua famiglia? No,
non
era possibile...lei era sempre sorridente... certo, i bisticci con
mamma Karen erano all'ordine del giorno ma...credeva fosse normale
amministrazione.
“Che
cosa vuoi, una favola, eh? Ok!” le sentì dire
mentre si sedeva con
rabbia sul letto “Allora, c'era una volta una ragazza tanto
carina
che la sua matrigna lasciava sempre a casa col bambino. E il bambino
era tanto viziato e la ragazza era praticamente una schiava.”
Quella era una storia che non le aveva mai sentito raccontare...era
nuova...anche se gli suonava familiare...e crudele “Ma quello
che
nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato della
ragazza e le aveva dato certi poteri. Così, una notte,
quando il
bambino fu oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo
aiuto i
Goblin. Di
le tue
parole magiche le
dissero i Goblin. E
porteremo il bambino a Goblin City e tu sarai libera. Però
lei sapeva che il re dei Goblin avrebbe tenuto il bambino al castello
per tutti i secoli dei secoli trasformandolo in un Goblin. E
così
lei soffriva in silenzio. Finché una notte che era stanca da
una
giornata di faccende, che era ferita dalle dure parole della sua
matrigna e sentiva che non ne poteva più....” Si
era interrotta,
forse temendo di averlo spaventato più del boato dei tuoni.
L'aveva
preso in braccio, amorevole, e l'aveva cullato, implorandolo di
zittirsi “O dico le parole. Ah, non sia mai...non devo
dirle!"
la sentì rimproverarsi, sbuffando, con un velo di senso di
colpa
nella voce. “Io desidero....Non ne posso
più!” Aveva cominciato
per poi rimettersi a urlare mentre il bambino, se stesso da piccolo,
circa dieci anni prima, continuava imperterrito a strillare
“Re dei
Goblin, Re dei Goblin! Ovunque tu ti trovi adesso porta via questo
bambino lontanissimo da me!” Aveva gridato, quasi cercando di
invocare un qualche demone, sollevando il marmocchio sopra la sua
testa “No Toby, no...” Sarah aveva ripreso a
cullare ancora il
bambino, nuovamente divorata dai sensi di colpa
“Smettila!” lo
supplicò. “Mi piacerebbe davvero sapere cosa dire
perché i Goblin
ti portino via...” gli confessò esasperata. Come
colpita da
un'illuminazione o come se avesse sentito un suggerimento, la vide
irrigidirsi e spalancare gli occhi. "Comando...e voglio..."
quindi, sospirò e ripose il bambino a letto, lo
coprì con cura e si
allontanò.
Toby
trasse un sospiro di sollievo. La sua Sarah non aveva mai
detto nulla per nuocergli. Gli voleva bene. Era solo stanca. Tutta
quella visione era stata solo uno scherzo di pessimo gusto.
Sollevò
gli occhi, pronto a sfidare quelli sanguigni del suo ospite che
questi lo guardò divertito e, quasi gli avesse letto nel
pensiero,
disse, ghignando e guardando lo schermo frastagliato “Non
è ancora
finita”.
Toby
non fece in tempo a perdere il proprio sorriso baldanzoso e
domandarsi cosa intendesse dire, quando udì sua sorella
pronunciare
le parole più terribili che avesse mai udito in vita sua. “Desidero
proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”
Nonostante
il guanto, la punta delle dita bruciava come avesse toccato il fuoco.
Non avrebbe mai creduto di arrivare a tanto, di arrivare ad alzare le
mani su di lei. Eppure, nonostante avesse imparato a controllarsi
sempre di più, da quel loro primissimo incontro, in cui
aveva perso
la testa, la sua pazienza aveva raggiunto ora il limite ed era
traboccata violenta,
come una frusta che, raggiunto il punto critico, si spezza o torna al
punto d'origine sotto la spinta centrifuga accumulata restando in
tensione.
Sarah
si volse piano verso di lui, incredula, offesa,
delusa...non degnò la guancia colpita
del minimo interesse. Piantò lo sguardo furente su quello
altrettanto irritato dell'ex sovrano.
Aveva
osato colpirla.
Il
pensiero, e l'unicità legata all'evento, era l'unico che i
due
condividessero. Ma nessuno dei due sembrava voler notare la cosa
presi, ciascuno, dall'affronto
ricevuto.
Fu
Jareth a rompere il silenzio rabbioso.
“Non..dire
più...simili bestemmie!” sibilò
rancoroso. Negli occhi di Sarah
non si era ancora estinta quella scintilla violenta e vitale che
l'aveva animata. In essi, Jareth leggeva solo odio. Odio per lui.
La
ragazza stava per replicare quando Marking diede un potente latrato,
richiamando la loro attenzione. “Non ti preoccupare,
Mark...”
ringhiò Sarah spostando appena lo sguardo su di lui. Ma il
cane andò
a prenderle la mano con le fauci, tirando gentilmente. Vedendo che la
padrona non reagiva, tornò ad abbaiare con prepotenza,
chinandosi
sulle zampe anteriori e scodinzolando. Sarah reclinò la
testa,
perplessa: voleva giocare? Ma il cane non si arrese e, subito, dopo
aver quasi starnutito o scosso la grossa testa in segno di
disapprovazione, puntò Jareth. Gli rampò sui
jeans cercando di
elevarsi quanto più possibile, portando il muso al suo
torace. Diede
un'annusata. Quindi lo guardò negli occhi e
abbaiò nuovamente, con
insistenza. Le orecchie e le pupille ruotarono verso un punto
imprecisato alle proprie spalle. Vedendo che anche Jareth non
reagiva, tornò a guardarlo e abbaiò ancora.
“Mark,
cosa c'è?” chiese Sarah, accucciandosi quasi per
richiamarlo e
mettendo da parte, momentaneamente, la rabbia verso il suo
interlocutore. Quello andò scodinzolando dalla mora, gli si
strusciò
sulle gambe come avrebbe fatto un gatto, quindi puntò il
corridoio
da cui erano venuti.
“Sembra
che ci stia dicendo di tornare indietro...”
commentò Jareth, mani
ai fianchi “Ma lo stavamo già
facendo...” disse perplesso. Si
guardò alle spalle. Tutto era come prima.
“C'è
qualcosa che potrebbe averlo messo in allerta?”
domandò la
ragazza, cercando di cooperare “Nella mia precedente visita,
al
vicolo cieco corrispondeva un trabocchetto...”
“Non
ho visto né percepito nulla del genere...” rispose
stanco il
biondo cercando di pensare velocemente “Intanto mettiamoci in
cammino...” disse raggiungendola con poche falcate.
Quando
le fu a fianco, un lieve ticchettio ne attirò l'attenzione.
Sbarrò
gli occhi e afferrò velocemente la mano di Sarah
“Corri!” le
disse mentre anche il cane ubbidiva all'ordine, allungandosi sul
terreno come una molla, sfiorandolo appena con le zampe. Sarah non
replicò. Dopo il primo strattone, che la colse impreparata,
si mise
a competere col sovrano. Prendendola come una sfida non si sarebbe
fatta prendere dal panico che aveva percepito nella voce di lui.
Ora
lei poteva avvertire anche lei lo strano ticchettio. Sembravano
un'infinità di insetti, le cui zampine avessero calzato
tacchi a
spillo, che correvano sulle mattonelle. O il reparto corrispondenza
di una multinazionale di inizio secolo, con le segretarie indaffarate
sui tasti della macchina da scrivere.
“Dannazione!”
ringhiò il biondo “L'angolo Mark!”
ordinò “Se passi quello
siamo tutti in salvo”
Con
la coda dell'occhio, Sarah scivolò sull'uomo accanto a
sé. Il volto
concentrato e tirato, i lunghi capelli biondi che frustavano l'aria
tutt'attorno. Ma, al di là della sua figura, vide quello che
stava
succedendo: le mattonelle stavano ruotando su se stesse, come le
linguette dei vecchi avvisi aeroportuali e ferroviari analogici, ora
sostituiti da quelli digitali a led.
Una
dopo l'altra, a velocità impressionante, le tessere
diventavano
rosse, nascondendo la faccia bianca. Come artigli, i segni sanguigni
graffiavano la superficie candida, conquistando terreno più
velocemente di quanto loro riuscissero a correre: li stavano
intrappolando.
Ma
Marking era quasi arrivato, doveva solo svoltare l'angolo prima che
una qualunque delle ultime tessere diventasse rossa.
Toby
quasi crollò al suolo, sconvolto da quella visione. Ma, da
bravo
ragazzino tenace quanto la sorella, rialzò lo sguardo
sull'uomo
davanti a sé. Stirò un sorriso forzato e
sarcastico, da vera peste
impertinente. “Io sono qui. E anche mia sorella!”
Rajeth
si accigliò. “Dannato ragazzino
insolente” pensò con rabbia.
Quindi, sfoggiò, anche lui, il migliore dei sorrisi
canzonatori,
identici a quelli di suo fratello. “Ah...non avevo
notato...”
“Io
non sono stato rapito! E mia sorella era solo esasperata... se non
sapessi che quello ero io, al suo posto avrei lanciato il bambino
fuori dalla finestra, quindi... tu menti!” Disse incrociando
le
braccia al petto e alzando il mento, orgoglioso della propria mente
logica.
“Non
sei curioso di vedere com'è andata davvero? Sei davvero
così sicuro
di quello che hai detto?” lo sfidò l'uomo,
abbassando lo sguardo
sulle proprie unghie perfettamente curate, in cerca di qualche
difetto. Avvertì l'esitazione del biondino davanti a
sé e, prima
che potesse rispondere, alzò lo sguardo su di lui mentre, in
contemporanea, ripartiva il filmato.
Toby
sentì chiamare il proprio nome dalla sorella con voce
angosciata, la
vide sbiancare non trovandolo nella sua culla e quasi saltò
quando
le finestre della camera dei genitori si spalancarono.
Ma
quando vide quell'uomo comparire tra le tende frustate dal vento, il
suo cuore saltò un battito. Lui lo conosceva. L'aveva
lasciato solo
qualche ora prima. Ed era, paradossalmente, immutato, in quelli che,
a conti fatti, risultavano essere stati dieci anni.
Il
biondo, affascinante e carismatico Jareth stava là,
sghignazzando
divertito della paura di Sarah, proprio come ora Rajeth rideva della
sua.
“Oh....lo
conosci, per caso?” chiese Rajeth, falsamente sorpreso,
inclinando
la testa di lato, quasi a sporgersi, incuriosito, a osservare
ciò
che mostrava il frammento scuro. “Scommetto che lui e tua
sorella
se ne sono andati di recente, abbandonandoti!”
sottolineò con
cattiveria
“Non
mi hanno abbandonato!” Strepitò Toby, colpito nel
vivo. La paura
dell'abbandono divorava anche lui quanto la sorella.
“Ah
no?” Chiese tornando a fissarlo con quegli occhi dannatamente
rossi. All'esitazione del ragazzino, si alzò in piedi,
svettando in
tutta la sua altezza, quasi volesse schiacciarlo con la sua
verità
“Sai chi è quello?” chiese indicando il
frammento
“Il...il
Re di Goblin?” balbettò l'altro cercando di
trattenere le lacrime
per una verità che gli veniva sbattuta in faccia e che lui
non
voleva accettare.
Il
moro sorrise compiaciuto e lo guardò con affetto
“Mostrami
il resto...” Pretese il ragazzino dopo un attimo
“Io sono qua!
Deve esserci una spiegazione...non possono...davvero...” essere
in combutta.
“Maledetto
ragazzino..ostinato quanto la sorella!” ringhiò
Rajeth tra sé,
rabbuiandosi “E dire che hanno solo metà sangue in
comune...” Se
gli avesse mostrato come si era conclusa, realmente, la vicenda,
Rajeth non sarebbe mai riuscito a ottenere il suo scopo. Doveva agire
d'astuzia....
Sorrise
della propria furbizia quando la soluzione gli si presentò,
facile e
seducente, alla mente.
“Se
proprio vuoi farti del male...” disse sospirando,
ributtandosi sul
letto per godersi la scena e ruotando il polso sotto lo schermo,
quasi a far progredire in avanti, velocemente, il nastro del tempo.
La
musica echeggiò leggera prima che comparissero le immagini,
dapprima
confuse, quindi distorte e infine vorticose. Una sala gremita di
gente in maschera, che ballava strizzata in abiti settecenteschi.
I'll
paint you mornings of gold
I'll spin you Valentine evenings
Though
we're strangers till now
We're choosing the path between the
stars
I'll leave my love between the stars
[Dipingerò
di oro le tue mattine/Prolungherò le tue serate
romantiche/Sebbene
ora siamo estranei /Abbiamo scelto il sentiero tra le stelle
/Lascerò
il mio amore tra le stelle]
Quella
voce gli suonava stranamente familiare, come se l'avesse già
udita
in passato. Eppure la ricordava più giocosa, non
così struggente
d'amore.
Ed
eccolo, Jareth, immerso in un tripudio di ventagli piumati, fissare
dritto negli occhi una dama dai lunghi capelli neri sciolti su un
lungo e opalescente abito bianco...sua sorella!
Rajeth
gliela mostrò mentre accettava l'invito dell'uomo, mentre
volteggiavano, assieme, scintillanti nei loro abiti preziosi, in
perfetta armonia nella sala gremita di gente, dissonanti rispetto a
ciò che li circondava. Lui le parlava, come se la conoscesse
da
sempre, nonostante avesse appena detto che erano, in fondo, due
estranei e che avevano scelto un percorso insieme, per il quale lui
era disposto a rinunciare a tutto. Le parlava di
come avesse coscienza che, per lei, il dolore non rappresentasse
più
nulla. E lei lo guardava rapita, come un'innamorata.
Oh
sì, Toby aveva già visto quello sguardo nelle sue
compagne di
classe, che rincorrevano questo o quel ragazzo il quale,
sistematicamente, non se le filava neanche di striscio. Allora
andavano da lui, a sfogarsi: quando parlavano del lui
di turno, sembravano illuminarsi. Solo che a Toby, in
realtà, quelle
confessioni non interessavano minimamente e capiva benissimo quei
poveretti, braccati come volpi nelle battute di caccia. Cosa poteva
esserci di interessante in una cosa sdolcinata come l'amore?
Riportò
la sua attenzione sulla scena. Jareth non era da meno della sorella.
Sembrava consolarla e rassicurarla: ogni affanno era passato.
Gli
mancò il respiro: Jareth si poneva come l'eroe liberatore di
sua
sorella...l'aveva liberata dalla sua presenza, dalla
schiavitù a
cui, quel bambino e quella famiglia, l'avevano condannata... Non era
divertente, diceva...cosa? Fargli da babysitter? Poteva anche dar
loro ragione ma... ma...arrivare a invocare un demone? Era stato
così
terribile?
Le
lacrime ruppero la resistenza delle sue lunghe ciglia chiare e, nella
loro corsa, gli rigarono le guance esangui quando la consapevolezza
lo colpì come un pugno allo stomaco.
Lui
era indesiderato! Come aveva potuto essere così cieco e
illudersi
che la sorellastra lo amasse come una sorella vera? Che fosse
contenta di quello stato di cose? Le aveva fatto un regalo
recludendosi in collegio.
But
I'll be there for you
As
the world falls down
Ora
non gli importava nemmeno più capire come e
perché lui e sua
sorella fossero rimasti nel loro mondo. Lui, Jareth, le aveva giurato
la sua fedeltà: sarebbe tornato sempre, se lei ne avesse
avuto
bisogno. Ma cosa era successo di così grave da richiedere
una nuova
evocazione? Perché non gliene aveva parlato? Lo riteneva
ancora
troppo piccolo per capire? Eppure, era cresciuto di colpo anche
lui...e in un anno si era dimostrato più assennato di lei in
più di
un'occasione. Immaginava sua sorella, nella solitudine della casa,
durante la settimana, tracciare cerchi in terra con stelle e simboli
esoterici, in una lunga veste nera e richiamare quell'uomo. La vide
baciarlo, avvolti entrambi in spirali di fumo, con sguardo carico di
cupidigia che non le apparteneva, lieta del suo ritorno.
Da
quanto tempo, ormai, viveva in casa loro? Perché quel
giorno, ne era
sicuro, lui sembrava conoscere esattamente ogni aspetto della loro
abitazione, anche se Sarah aveva urlato arrabbiata suo indirizzo,
apparentemente sorpresa di trovarlo lì. Che fosse stata solo
una
recita? A lei piaceva recitare. O era, forse, rivolto a lui? Era lui
l'indesiderato? O, forse, era sorpresa davvero...non voleva che lui
lo incontrasse e gli aveva detto di allontanarsi nel fine settimana.
Sì... era la soluzione più plausibile.
Vedendolo
in lacrime, Rajeth seppe di averlo in pugno. L'amore fraterno era una
scemenza inventata per tenere unite due metà altrimenti
pronte ad
distruggersi a vicenda, tanto era fragile il legame.
Rajeth
sapeva di aver bisogno di quel ragazzino, di dover riuscire a
convincerlo, in un modo o nell'altro, a seguirlo. Non importava in
quali condizioni: bastava che restasse vivo abbastanza a lungo e
doveva esserlo nell'Underground. Ma era meglio che fosse vivo, se non
voleva giocarsi ogni chance. Ora, doveva solo predisporlo a
pronunciare le giuste parole.
“Dunque,
mio caro..” disse facendo scomparire lo schermo in
un'infinità di
schegge violacee. “Ora mi credi?” Il ragazzino
annuì appena “E
vuoi rimanere qua, in attesa di tua sorella? Pensi che
tornerà?”
Chiese perplesso, reclinando la testa sul dorso della mano. Toby
rimase in silenzio non sapendo cosa rispondere “Vedi...a me
Jareth
sta parecchio antipatico...lo sai che mi ha rubato il trono? Il
legittimo re ero io. A me hanno tolto il regno. A te il calore di una
famiglia. Non vuoi riavere ciò che è tuo? O
meglio...vendicarti di
quei due che ti hanno ingannato intenzionalmente con così
tanta
costanza e abilità?”
“No...”
Toby riuscì a essere fermò solo in principio
“No...non voglio
vendetta...non voglio che sia fatto qualcosa di male a mia sorella.
Ma sì... rivoglio una famiglia...anche se non posso riaverla
tutta...almeno mia sorella...non puoi...” cominciò
guardandolo
speranzoso e supplichevole “...cancellarle la memoria di
quanto io
sia stato cattivo da piccolo? Non puoi cancellare il suo odio per
me?” voleva quasi aggrapparsi alle sue vesti, ma si trattenne
dal
mostrarsi così infantile. Una richiesta simile era
già abbastanza
“So che non è una bella cosa ma..io le voglio
bene...mi basta che
torni e non mi odi...non si può fare?”
“Certo
che si può...” disse Rajeth, rassicurante,
carezzandogli quei
capelli biondissimi, troppo simili a quelli del fratello
“Ma...prima
di farlo...non vuoi vedere anche tu il mondo che lei conosce
così
bene e che a te ha sempre negato?” domandò con
malizia: aveva la
vittoria in pugno.
“Posso
davvero?” chiese il ragazzino, le lacrime magicamente sparite
dai
suoi occhi azzurri come acquamarina.
“Certo...non
era il tuo desiderio?” domandò l'uomo inclinando
la testa. “Sono
qui per questo...ho sentito solo ora la tua richiesta...”
Il
ragazzino si illuminò “Parli di Underground?”
Rajeth
annuì, serio. “Quindi...cosa desideri?”
domandò
Il
ragazzo lo guardò, cercando la risposta nei suoi stranissimi
occhi
sanguigni e ipnotici.
“Take
me to the Undergound!” disse ispirandosi alla canzone.
Rajeth
si alzò in piedi, sorridendogli amichevole. Quindi,
levò il braccio
sinistro, a cui il mantello sembrava essersi agganciato e con cui
avvolse veloce il ragazzo, nascondendolo alla vista.
Se
avesse avuto l'aspetto di suo fratello e se fosse stata notte, in
quel momento, Rajeth avrebbe potuto essere scambiato per un classico
vampiro. Invece, si limitò a sibilare di contentezza,
torcendosi su
se stesso come uno straccio che viene strizzato dall'acqua in
eccesso. Il vortice bianco e rosso si estinse rapidamente, come
può
esaurirsi una lingua di fuoco senza più propellente,
lasciando la
stanza nell'ordine in cui l'aveva trovata il ragazzino entrando.
-
- - - - - - - - - - -
Ragazzi.
Oggi non ho molti commenti (sono un po' stanca da queste settimane di
fuoco che mi hanno impegnato fin tutta oggi, tra correzione compiti
-vere gallerie di orrori..si impegnassero un minimo..potessi, giuro,
darei tutti 2 e non solo per la grammatica- preparazione elaborati
per i corsi, laboratori e workshop di scrittura creativa -)
Quindi
perdonate se il capitolo è un po' raffazzonato ma l'ho
ricontrollato
solo ora (e non più volte come faccio di solito) =_= e spero
solo
non ci siano orrori vistosi (su H e congiuntivi penso di non aver
fatto boiate già nella bozza...conoscendo quanto ci tengo
alla
precisione per la mia lingua madre ù_ù)
Sicuramente i pensieri
saranno abbastanza contorti. Pace...
Spero
di far meglio la prossima settimana: finiscono metà dei
corsi (ma
sarò sotto esame... che gioia). A presto!
|
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Capitolo 21 *** In trappola ***
21.
In trappola
“Dannazione!”
urlò la voce maschile innalzandosi dalla profonda
oscurità “Quanto
sono stato stupido!” le parole erano accompagnate da una
serie di
colpi, presumibilmente calci e pugni contro la parete.
Tutto
intorno era buio profondo. Nero pece, impalpabile, come se gli occhi
fossero stati bendati. Non il più piccolo bruscolino di luce
filtrava da...da qualche parte. Anche aspettare, nella speranza di
adattare la vista a tutto quel buio, era una soluzione solo
momentanea. Sembrava quasi impossibile essere immersi in una tale
oscurità. Ciechi. Erano diventati ciechi. Avrebbero dovuto
fare
affidamento solo sugli altri sensi. Ammesso che non fosse solo un
tremendo incubo.
“Deve
esserci un'uscita!” ringhiò ancora la voce.
“Datti
una calmata...mi stai innervosendo!” replicò
seccata una voce
femminile. Seguì un latrato d'approvazione. “Su,
siediti qui...”
“Qui
dove, Sarah?” replicò sarcastico un isterico
Jareth
“Se
segui la mia voce ci arrivi...calmati e vedrai che riusciremo a
trovare una soluzione” continuò lei, piatta. Dopo
l'ennesima
imprecazione, roteando gli occhi al cielo, riprese “Non avevi
detto
che non avevamo fretta?”
“Non
avevi detto che non avevamo fretta?”
ripeté lui, facendole il verso “No, non ne
abbiamo, ma ciò non
significa che sia contento di restarmene chiuso in...in non so
dove!”
“Fa
un po' come vuoi...” fu la risposta serafica di lei
“Basta che
non fai casino...”
“Che
vuoi dire?” ringhiò ancora lui, muovendosi su e
giù lungo la
parete, tastandola, bussandoci sopra ogni due centimetri, nel
tentativo di trovare una falla
“Che
sono stanca e dormo...abbiamo camminato a lungo... questo si chiama
riposo
forzato”
precisò lei. Jareth la sentì muoversi, un fruscio
leggero sulle
mattonelle e lo sprimacciamento del cane che si accomodava a terra.
“E questo buio concilia...buonanotte...”
Jareth
spalancò gli occhi per la sorpresa. Dormire? Dove? Per
terra? Ma
cosa le frullava per la testa? Li raggiunse a tentoni e si
accasciò
anch'egli. Marking ringhiò di disapprovazione: era chiaro
che non
voleva essere usato anche da lui come cuscino. Poggiò la
testa al
muro e chiuse gli occhi. “Che stupidaggine...”
pensò “Come si
fa a dormire in questa situazione?”
L'abbaiare
furioso di Marking li svegliò di soprassalto.
Quanto
tempo era passato? Non sapevano dirlo.
Non
sapevano dire nemmeno se avevano davvero chiuso gli occhi.
Era
evidente che qualcosa, però, era cambiato: le pareti di
quello che
sembrava un cubo erano ora tassellate a scacchiera da grandi quadrati
neri e rossi. Questi ultimi emettevano un leggero brillio, che
aumentava e diminuiva secondo un ritmo costante, quasi seguendo un
qualche battito cardiaco.
“Che
sta succedendo?” chiese Sarah allarmata.
“Sospetto
nulla di buono...” Jareth digrignò i denti: quello
non era il suo
labirinto. Era quello contorto e perverso di Rajeth. Mentre lui si
limitava a porre sfide, il fratello tendeva vere e proprie trappole.
Motivo per cui non avrebbe mai voluto addormentarsi. Si alzò
e andò
alla parete opposta, misurandola a passi. Qualunque cosa avesse in
mente quel demonio del fratello, non avevano molto spazio di gioco.
“Perché...”
domandò perplessa Sarah mentre lui cominciava a misurare
l'altro
lato della scatola in cui erano rinchiusi “...ti stai
riducendo?”
“Eh?”
chiese lui sovrappensiero “Di cosa parli?”
“Prima...”
disse indicando il punto da cui era partito con la seconda
misurazione “Eri grande...il giusto...ora sei...
più piccolo...non
che sei ringiovanito...sei in
scala...”
Jareth
si guardò attorno perplesso. Non percepiva magia nell'aria.
Né gli
sembrava di essere cambiato in qualche modo. Tornò al punto
di
partenza osservando come, effettivamente, le mattonelle andassero
restringendosi gradualmente.
Spazientito,
affondò le mani sui fianchi facendo passare le dita tra i
passanti
dei jeans: non riusciva proprio a capire cosa stesse succedendo.
“Ma
certo!” si illuminò dopo un attimo “Si
tratta solo di
un'illusione ottica...
Privo di magia non riesco a distinguere subito trucchi banali come
questo...” Alzò lo sguardo su Sarah che lo
guardava come fosse
matto. “Semplicemente, mia cara, questo non è un
quadrato...pardon...non è un cubo...” disse
tornando da lei
“Lì...” indicò il primo
punto, alla propria destra, spostandosi
poi a sinistra “C'è un disegno a scacchiera
più fitto, che si
allarga man mano che la parete sprofonda...non è un angolo
retto...”
“Ma...il
soffitto...prima sembrava quasi ti bastasse alzare il braccio per
toccarlo...” protestò lei
“Anche
il soffitto non è parallelo al suolo...man mano che si
procede a
sinistra, si alza, dando l'illusione che sia alto il
doppio...”
“Diciamo
che mi fido...” disse scettica la ragazza
“Ma....secondo te c'è
da allarmarsi di questa luce improvvisa?”
“Secondo
te?” domandò lui serissimo. “Direi che
la prima cosa fa fare è
cercare di uscire di qua...”
“Da
dove cominciamo?” chiese lei, affidandogli il comando della
missione. Sorrise. Al posto di sentirsi i pericolo, si stava
galvanizzando. Pensava a quella sfida come a un'avventura, una prova
della loro abilità. Un po' come quando, da bambina, in
compagnia di
sua madre, si perdeva o doveva far fronte a una situazione
inaspettata. All'epoca era tutto un gioco. Ma quel senso di sfida
divertente che saltava fuori nelle situazioni più critiche,
le era
rimasto incollato addosso.
Jareth
sorrise compiaciuto di quel passaggio di consegne. Lei cominciava a
fidarsi di lui, seppur in minima parte. Nonostante tutto. “A
caso”
rispose andando alla parete più vicina.
Vi
poggiò ma mano e la piastrella sotto di essa si dissolse Al
di là
di essa, però, simile all'oblò di un acquario, si
intravedeva un
fondale marino.
“Facile”
commentò Sarah estasiata da quella vista
“Troppo
facile” replicò il mago ritirando la mano. La
piastrella tornò a
opacizzarsi. Posò la mano su un altra mattonella. Al di
là di essa
si vedeva lo spazio siderale.
Curiosa,
anche Sarah si avvicinò al muro per provare quello strano,
nuovo
gioco: sembrava il tabellone della ruota della fortuna, i vetri
olografici del film Total
Recall
o la versione gigante del gioco Memory.
Dietro una mattonella trovò la versione gigante del proprio
giardino: rimase a fissare lo scenario, inebetita, in cui farfalle
colorate sembravano jumbo jet.
Ritrasse la mano solo quando vide una formica che marciava come un
carrarmato nella sua direzione. Jareth, nel frattempo, aveva aperto
finestre su un mondo preistorico e su uno in cui lo sguardo si
perdeva tra dune rosse di sabbia, costellate, qua e là, da
piccoli
scogli neri tra i quali sbucavano, di quando in quando, grossi vermi
con bocca tripartita da tenaglie a becco.
Andarono avanti così per un po', tra mondi sospesi tra
nuvole dorate
e cieli rossastri, altri rocciosi immersi in mari viola e sovrastati
da cieli verdi o sospesi su lande grigie e lunari. Finché
non si
fermarono su una visione totalmente bianca.
“Direi
che questo è il meglio che possiamo aspettarci...”
bofonchiò
Jareth.
Prese
la daga che gli pendeva al fianco e quella subito si indurì.
Quindi
ne piantò la punta sil lato del quadrato come fosse un
pannello da
divellere.
Come
se fosse un organismo, la scatola ebbe un sussulto che fece perdere
l'equilibrio a tutti e tre i prigionieri.
“E'....è
viva?” chiese Sarah, più affascinata che
spaventata. Marking
abbaiò quasi in risposta.
“Sembrerebbe...”
commentò Jareth perplesso. “E se è
vero, è il caso di
muoversi...” Si rimise in piedi e piantò la daga
con più forza di
prima. La scatola sussultò violentemente ma, quella volta,
il biondo
si era aggrappato preventivamente all'arma.
Una
sferzata di vento movimentò l'aria all'interno di
quell'ambiente
così immobile e asettico. Alte pareti intonacate di bianco
avvolgevano, claustrofobiche, una semplice lastra orizzontale che
sembrava poter fungere da panca come da giaciglio. Non una finestra
bucava la superficie liscia e uniforme. La luce sembrava diffondersi
dal nulla.
“Questa
è la tua stanza...” disse con voce melliflua
Rajeth indicando lo
spazio angusto in cui, a mala pena, riuscivano a stare entrambi.
Toby
si guardò attorno perplesso “A me sembra
più una prigione...”
borbottò il biondino alzando lo sguardo sul soffitto che si
perdeva
in lontananza. Sembrava di essere all'interno di un camino e di venir
quasi risucchiati verso l'esterno.
“Perspicace...”
fu il commento dell'uomo. Quando Toby si voltò per
chiedergli
spiegazioni, quello non c'era più: era solo in quel piccolo
ambiente
soffocante. Al posto dell'uomo, per terra, c'era solo un piccolo Cubo
di Rubik classico, tre per tre, già completato.
“Dove
sei?” domandò il bambino, spaesato
La
voce dell'uomo ghignò tutto intorno. Gli arrivava chiara e
indistinta, esattamente come la luce che illuminava lo spazio.
“Risolvi il cubo...” disse mentre quello si
sollevava da terra e
si scomponeva a una velocità tale che l'occhio umano non
poteva
seguirne i movimenti. “... e sarai libero...”
“Mi
avevi detto che mi avresti portato nell'Underground!”
protestò
Toby mentre il piccolo cubo arlecchinato cadeva a terra
“E
ho mantenuto la mia parola...Siamo nell'Underground, come da te
richiesto...” ridacchiò divertito Rajeth
“Non hai specificato
dove volevi essere portato.”
“Sei
un maledetto bugiardo!” strepitò il ragazzino
pestando il
pavimento in un moto di rabbia
“O-oh-oh”
ridacchiò ancora, compiaciuto, il suo carceriere
“Maledetto
sì...ma non bugiardo, mio caro...”
“Come
no...”
pensò tra sé il ragazzino “Sta
a vedere che anche la storia su mia sorella è una cazzata!”
Si tolse il piumino che aveva ancora addosso e lo buttò sul
pianale
di marmo. Quindi si buttò a sedere per terra, gambe
incrociate,
fulminando con lo sguardo quel piccolo cubo colorato.
“Figurati se
mi faccio fregare..magari è una trappola...come quelle di
cui mi
parlava Sarah...” ringhiò, acido, al nulla
“Oh...
dimenticavo, carino...” aggiunse la voce, cogliendolo di
sorpresa e
facendolo sobbalzare. “Hai solo
tre
ore e mezza per arrivare alla soluzione... dopodiché
diventerai...uno di noi...” la voce si spense, echeggiando.
“Che
cavolo vuol dire? Ehi! Rispondimi!!” urlò irritato
il ragazzino.
Non ricevendo risposta, si decise ad affrontare la sfida. Non voleva
restare più dello stretto necessario confinato là
dentro. Avrebbe
ritrovato sua sorella e avrebbero fatto i conti....
Sua
sorella...forse era anche lei nell'Underground. D'altronde...se
Jareth era il Re di Goblin, doveva trovarsi lì. Lei aveva
promesso
di riaccompagnarlo a casa. E forse, l'uomo in bianco, il fratello del
re, voleva usare Toby come ricatto. O voleva offrirlo in segno di
pace.
Quale
che fosse la sorte che aveva in serbo per lui, non gli piaceva essere
nelle mani di qualcun altro.
Afferrò
il cubo magico e cominciò a ruotare le pareti. Ottenere una
prima
facciata di colore uniforme era un gioco da ragazzi...la sfida si
complicava dopo.
La
scatola si era mossa così violentemente che, per quanto
Jareth
avesse piantato la daga in profondità e per quanto si
tenesse
saldamente agganciato, era finito addosso a Sarah, gambe all'aria.
Come
nel cestello di una lavatrice, erano rotolati di parete in parete,
fino a che tutto non si era fermato, lasciandoli aggrovigliati in un
ammasso di arti intrecciati tra loro.
“Le
giostre sono meno...” stava dicendo Sarah, tirandosi in
piedi,
quando sentì, sotto di sé, le imprecazioni di
Jareth. “Sbaglio o
sei diventato molto umano dall'ultima volta che ci siamo
visti?”
“Sarah...”
ringhiò lui. “Non
sfidarmi”
pensò. Ma sarebbe stato ripetitivo, così come
aveva detto lo
specchio. Quindi la spostò solamente e si rimise in piedi
“E ora
dov'è finito?”
Marking
abbaiò un paio di volte per poi sedersi e mettersi a
ululare. Jareth
lo guardò seccato. Cosa voleva dirgli?
“Il
soffitto, Mark?” chiese Sarah, dolce. Ma il cane
abbaiò ancora,
quindi raspò per terra. Ci si era seduto sopra.
“Bravo
cane!” disse il biondo riprendendo l'arma in mano, dopo aver
controllato che si trattasse della mattonella giusta.
“Sarebbe il
caso di segnarla in qualche modo, per non perderla di
nuovo...”
disse guardando Sarah
Quella
incrociò le braccia al petto “Se mi avessi la
sciato la mia roba,
prima di metterti a giocare coi miei vestiti, ora, forse, avrei un
rossetto o una matita a portata di mano...”
Quasi
a darle ragione, Marking latrò. Quindi fece il tentativo di
tirare
su la zampa posteriore.
“Non
esiste!” strepitò la mora, spaventandolo al punto
da fargli
reclinare indietro le orecchie “A cuccia!” lo
sgridò indicando
uno degli angoli della stanza “Fare la pipì qua
dentro...te la
tieni, Mark!”
“A
modo suo ci stava offrendo una soluzione...” lo
giustificò Jareth
a braccia incrociate dietro di lei, per niente impressionato da tutta
quella storia “Bah...credo che l'unica sia, per l'appunto,
marcarla...”
Così dicendo, piantò la spada nella mattonella su
cui aveva,
precedentemente posato il piede. Come se avesse punto un organismo,
la scatola sobbalzò nuovamente. Ma il biondo aveva piantato
i piedi
a lato della mattonella, pronto a tutto “Stavolta non mi
freghi!”
ghignò divertito. Ma la mattonella prese a correre in
avanti,
trascinandosi dietro il bel sovrano che imprecava e scatenava
l'ilarità della mora. Quando, finalmente, la mattonella si
fu
fermata nel centro del soffitto, Jareth si ritrovò
schiacciato lungo
disteso sopra la testa della ragazza. “Non ridere,
dannazione!”
disse tirandosi in piedi.
“Perché
non cadi?Anzi...prima non ci riuscivi a...”
domandò lei, tentando
di raggiungerlo con un salto.
“Non
siamo nella sala della nostra sfida finale...Non posso andarmene a
zonzo da un piano all'altro a mio piacimento...” disse lui
alzandosi in piedi a andandole incontro. Piantò i suoi
begl'occhi
spaiati in quelli verdi di lei, pericolosamente vicini. Se fossero
stati sullo stesso piano “Ci dev'essere una forza esterna che
agisce...o forse è la spada che ha fatto sì che
si creasse attorno
a sé un campo gravitazionale...”
“E
quindi?” chiese lei, quasi offesa, incrociando le braccia al
petto
“Quindi
prima apro questa porta, meglio è per tutti”
ringhiò rivolto alla
mattonella.
Stava
per infilare le dita nello spazio che si era aperto sotto la placca
che un violento scossone lo fece finire, nuovamente, gambe all'aria
contro Sarah e Marking.
Si
rialzò e osservò come la spada, ora, fosse
piantata in uno spigolo
del soffitto, apparentemente irraggiungibile “Rajeth, ti
odio!”
urlò con quanto fiato aveva in corpo, dopo aver tentato di
raggiungerla con un paio di salti.
La
voce sadica del fratello riecheggiò nell'ambiente,
paralizzandoli
sul posto
“Che
carini che siete, così ...affannati...o
si dice affiatati?
Non ricordo mai...”
“Che
tu sia maledetto!” ringhiò Jareth
“E
tu con me, mio caro fratello” disse materializzandosi davanti
a
loro. Galleggiava avvolto in tutti quei drappi bianchi e li guardava
divertito, tenendo la testa poggiata sul palmo della mano. La
mollezza della posa, ricordò a Sarah un'illustrazione del
dio
Vishnu, vista chissà dove. Anzi...a ben pensarci... lui e
Jareth
sembravano proprio Vishnu e Shiva
“Dimmi Sarah...che ne pensi del mio
labirinto” disse andandole vicino, ignorando il biondo ma
riciclandone il repertorio.
“Sta
lontano da lei” sbottò l'altro parandosi tra loro
due. Rajeth lo
guardò annoiato. Reclinò il capo e una misteriosa
forza afferrò
lui e Marking e li schiacciò contro la parete, liberandogli
il
passaggio.
“Dicevamo,
mia cara...?” chiese guardandola fisso e sorridendo, come se
fosse
stata solo una mosca ad interromperli.
“Non
dire nulla di stupido!” rantolò Jareth,
sopraffatto da quella
forza misteriosa che lo teneva schiacciato, che gli impediva ogni
movimento e che si era fatta più pressante.
“Possiamo
farcela...” disse Sarah in un soffio, mordendosi da lingua.
Mai
avrebbe ripetuto le parole sbagliate.
“Possiamo,
eh...” ripeté Rajeth divertito e seccato al
contempo. “Pensi che
Jareth collaborerebbe con te...se la posta in palio fosse...
Toby?”
domandò piantando una mano sulla parete alle spalle di lei
Il
sangue era defluito dal volto della ragazza che, ora, aveva gli occhi
sbarrati dal terrore “Che vuoi dire?”
“Se...diciamo
ipoteticamente...tuo fratello fosse qui, nell'Underground...dici che
ti aiuterebbe a risolvere il labirinto? O lascerebbe trascorrere le
ore che rimangono a vostra disposizione?”
“Ore?”
Sarah quasi urlò “Non avevi detto che non
c'erano limiti di tempo?” strillò isterica verso
il biondo
“Oh,
sì...era
così...” rispose il moro, divertito “Ma,
vedi, mia cara...Ora
Toby è qui... e per lui...è ancora valida la
vecchia regola...”
“Hai
solo 13 ore prima che il frignante marmocchio diventi uno di
noi...per sempre...?”
domandò Sarah ricordandosi le parole che Jareth aveva usato
in
quell'occasione
“Esatto...ma
tu ne hai già usate un paio...” disse il moro
sorridendo e
staccandosi da lei per cominciare a fluttuargli davanti agli occhi,
avanti e indietro, come se meditasse qualcosa “Jareth quante
te ne
aveva sottratte quella volta? Tre e mezzo, mi pare...dico
bene?”
chiese alzando la voce, rivolto al fratello “Pensi di
farcela,
Sarah?” chiese con tono di chi non ammette risposta negativa.
Lei
ingollò il groppo che le aveva stretto la gola e
annuì.
“E
pensi che lui”
disse indicando il fratello con un cenno del capo “Ti
aiuterebbe?
Non pensi che potrebbe rallentarti? Infondo...era quello il suo
obiettivo fin dall'inizio, no?” chiese, ricalcando i suoi
già
cocenti dubbi. Rajeth si stava divertendo un mondo a seminare
così
tanta zizzania.
“Non
ascoltarlo!” rantolò Jareth
“Taci,
una buona volta...” sbuffò il moro seccato. Un
lamento sommesso
arrivò dalla parete e non si udì più
una parola da parte di
Jareth.
“Credo...che
mi aiuterebbe, sì...prima rivuole il suo trono.”
fu la risposta
abbastanza convinta di Sarah
“Bene...”
disse compiaciuto Rajeth “E...pensi di farcela? O vuoi
barattare il
rilascio di tuo fratello? Cosa mi daresti in cambio?” chiese
lascivo allungando una mano verso il volto di lei.
“Niente!”
rispose quella, schiaffeggiandogli la regale mano e sfidandone gli
occhi rossi “Vincerò secondo le regole.”
Rajeth
parve rabbuiarsi “Ricorda...mia cara...hai solo tre ore e
mezza...prima anche lui diventi mio, come te...Ti aspetto, mia
diletta...” concluse con un sorriso sardonico e svanendo nel
nulla
-
- - - - -
Oggi
ho postato un po' prima :) dovrò festeggiare in qualche modo
l'esame
di economia, no? E anche il fatto che -forse- mi passano l'esame di
antropologia dalla precedente laurea (o lauree...non so mai)...
certo..scoprirlo prima (della laurea e possibilmente prima di
sostenerlo) mi avrebbe fatto risparmiare tanti magoni (i libri son
ben felice di essermeli presa tutti, in compenso) ...ma meglio tardi
che mai... :) sono felicissima, non potete capire quanto!
Bene...detto
ciò, come avrete capito, sono in fase paranoia da esame...
T_T
specie per colpa del laboratorio che mi sta mandando fuori di
testa...me la son proprio cercata... e ancora penso a prendermi una
terza laurea (dato che studio per piacere, visto che lavoro non se ne
trova da nessuna parte)...devo avere qualche serio problema XD
Vabbè....la
pianto di divagare...Inoltre volevo annunciarvi che -in teoria, se i
personaggi non mi fanno strani tiri- abbiamo passato il giro di
boa... sto scrivendo i capitoli finali...
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Capitolo 22 *** La soluzione del cubo ***
22.
La soluzione del Cubo
Un
refolo di vento ed erano nuovamente soli all'interno della scatola a
scacchi rossi e neri.
“Cosa
vuol dire?” urlò Sarah esasperata.
Ma
l'uomo non c'era più.
Corse,
quindi, da Jareth che era piombato a terra come peso morto non appena
il gemello era svanito “Cosa voleva dire?”
“Sei
forse sorda?”disse il biondo mettendosi carponi, lentamente,
nel
tentativo di ritrovare l'equilibrio.
“Cosa
c'entro io? Io non voglio rimanere legata a questo mondo!”
protestò
“E poi... non era un discorso che valeva solo per me? ...se
ero
stata io a desiderare che scomparisse...?”
Jareth
stirò un sorriso stanco “Qualunque umano soggiorni
troppo a lungo
in questo posto, indipendentemente dalle responsabilità e
dalla
volontà, diventa uno di noi....e tu, come Toby, avevi
già trascorso
una decina di ore nell'Underground...”
“E
perché non me l'hai detto prima di partire?”
Urlò mollandogli uno
scappellotto sui capelli biondi.
Jareth
era abbastanza seccato dalla violenza insita nella ragazza e ne aveva
abbastanza di quei modi isterici. Stava per risponderle a tono
quando, alzando lo sguardo, la trovò rannicchiata davanti a
sé,
stretta in un abbraccio nervoso, che singhiozzava contro le
ginocchia.
Cercò,
quindi, di risponderle nel modo più delicato possibile
“Lo davo
per scontato...non abbiamo limiti di tempo. Noi due assieme...anche
perché, teoricamente, non dovevamo incontrare intoppi.. Ma
tu ne
hai.”
“Un'ora
e mezza...” biascicò lei con occhi vitrei
“Se
riusciamo a finire... e dovessimo aver sforato...potrei patteggiare
per te...” La vide strabuzzare gli occhi, terrorizzata
“Posso
cercare...” riprese “...di barattare il mio tempo
umano col
tuo...” disse e vide che lei non lo seguiva: lo scrutava in
cerca
di una risposta. “Da umano, io avrei tredici ore, a mia
disposizione. Appena avrò abbastanza magia, ma soprattutto,
appena
saremo fuori di qui, posso far sì che...che...”
come spiegarlo con
parole semplici? “Tredici” disse indicando se
stesso “e Tre...”
disse indicando lei “Sedici. Se ripartissi le sedici ore su
entrambi, ce ne resterebbero otto e togliendone due o tre a testa, a
farla grande, quelle che abbiamo usato finora...ce ne rimarrebbero
cinque o sei. Di più non posso fare.”
Lei
chinò la testa, vinta da quell'ovvia constatazione.
“E...” disse
balbettando “...cosa vuoi in cambio...”
alzò lo sguardo e lo
piantò in quello di lui. Non si sarebbe tirata indietro.
E
in ogni caso, meglio stipulare patti con Jareth, che sapeva essere
onesto,
che con Rajeth.
Il
biondo rimase interdetto da tanta determinazione. Ma stirò
un
sorriso sollevato. Quella era la Sarah che conosceva. “Ci
penserò...” disse rimettendosi in piedi
“D'accordo!”
disse lei risoluta. Non c'era più alcuna traccia della paura
che
l'aveva squassata fino a pochi istanti prima.
Non
fecero in tempo a riprendersi che l'ennesimo scossone li
ributtò
tutti a terra.
“Al
diavolo!” Urlò Toby, scagliando il cubo contro la
parete davanti a
sé.
Tre
ore e mezza. Che scemenza...perché imporgli un limite
temporale,
poi? Che senso aveva?
Più
rifletteva su quello che era successo più capiva di essersi
fatto
prendere per il naso.
Ripensò
a sua sorella e a come l'aveva vista rapita al ballo. Che anche lei
fosse stata ingannata? Se dieci anni prima erano rientrati sani e
salvi nel loro mondo forse, in quel particolare momento, era sotto
l'influsso di qualche potente incantesimo. Sì: Jareth
l'aveva
stregata e lei era riuscita a ribellarsi. Forse si era pentita di
quello che aveva fatto...
Eppure
non riusciva a trovare alcun senso nella ricomparsa del biondo nelle
loro vite. Cosa le aveva detto per convincerla?
Cercò
di rivalutare tutta la situazione: lei era arrabbiata con lui; lui
sembrava essere certo di riuscire a convincerla e, comunque, non
sembrava malintenzionato nei loro confronti.
A
meno che.... a meno che lei non si fosse innamorata di lui e non
avesse pensato che lui la stesse prendendo in giro. Gli
passò
davanti agli occhi, in un flash, il suo nuovo film mentale: sua
sorella, sedotta e abbandonata da quell'uomo indubbiamente
malvagio...un uomo...che probabilmente aveva un harem, ecco... lei
non sopportava di non essere l'unica ed era tornata indietro.
Si
rese conto con rammarico che, forse, il suo rapimento era stato solo
il pretesto, la leva per convincere Sarah a seguirlo
nell'Underground. Ma ora, lui,
era tornato promettendole di essere davvero l'unica.
Sì.
Doveva essere andata così.
E
lui non avrebbe lasciato sua sorella nelle grinfie di quel viscido
essere, così come lei non aveva abbandonato lui. Erano pur
sempre
fratelli. Anche se a metà.
Raccattò
il cubo e lo squadrò truce.
Quindi
si illuminò.
Aveva
trovato la soluzione. Forse...
Se
non fossero stati pieni di contusioni e scombussolati da tutto quello
sbattimento, la situazione sarebbe anche potuta sembrare
interessante: Sarah stava spalmata sul suo petto, le gambe
intrecciate alle sue. Si affrettò a scansarla con poca
grazia. Fosse
mai che pensasse che avesse doppi fini, in quel momento.
La
spada giaceva piantata a poca distanza. Rotolò su se stesso
e ne
impugnò l'elsa. Un ghigno gli si stampò in
faccia. Si affrettò a
far scivolare la mano sotto la piastra e cominciò a tirare.
“Vuoi
una mano?” chiese Sarah con pesante sarcasmo, rimettendosi in
piedi
dopo lo spintone ricevuto
“Shh!”
Jareth si arrestò improvvisamente e le fece cenno di tacere.
Un
ronzio leggero stava gradualmente montando
“Cos'è?” domandò
guardando la ragazza, leggendo nei suoi occhi la stessa domanda. Si
guardarono intorno perplessi.
Fu
Marking, ancora una volta, a trovare per loro la soluzione.
Andò
alla parete, abbaiò e cominciò a raspare. Di
tanto in tanto,
saltellava indietro, abbaiava nuovamente e ricominciava a raspare.
Sarah
alzò lo sguardo tutt'attorno “Le pareti si stanno
restringendo...”
osservò notando come i quadrati sparissero quasi avvolti
dagli
angoli tra le pareti.
“Non
solo quelle...” osservò Jareth notando che tutti e
sei i lati si
stavano rimpicciolendo. Senza perdere altro tempo, cominciò
a tirare
disperatamente finché non riuscì a scardinare il
pannello.
“Fila
dentro!” ordinò a Sarah. Lo spazio si era ridotto
a meno di un
paio di metri per lato. Visto che la mora stava per mettersi a
discutere, la prese per un braccio, strattonandola
“Cammina...se
non vai tu, il cane non può passare...”
“Avevi
detto...” protestò, spaventata che a uno dei due
potesse succedere
qualcosa.
“Cos'è?
Improvvisamente cominci a darmi retta?” celiò
sarcastico. Infondo
era quasi commosso che lei, finalmente, si degnasse di ascoltarlo. Le
porse, quindi, la mano “Sarò il tuo cavaliere, per
una
volta...dato che non posso essere il tuo re...” disse
baciandole il
dorso della mano e facendola arrossire immediatamente per quel gesto
così inaspettato. Sarah si lasciò condurre dentro
il buco, largo
appena per farla passare, senza mai mollargli la mano. “Non
temere...” le disse “Non dovresti aver problemi di
gravità, di
là...” così dicendo le sorrise,
invitandola a mollare la presa di
una delle mani per lasciare a Marking lo spazio per tuffarsi
anch'egli. Ormai restava meno di un metro per manovrare. Jareth
temeva quasi di non farcela, rannicchiato com'era. Strisciando,
tenendosi al bordo dell'apertura con la sola mano libera, si
lasciò
cadere dentro. Un attimo prima stava mettendo la testa nel buco, come
in una capriola, l'attimo dopo era poggiato a un'impalpabile
superficie bianca su quello che sarebbe dovuta essere la parete
esterna del pavimento. Solo che, al posto di essere prono, si trovava
seduto.
E
sopra la sua testa stava la finestrella nera. Tolse la mano dallo
spazio di confine e la botola sparì, probabilmente implosa
su se
stessa. Sarah galleggiava davanti a lui, come nuotando a dorso in una
piscina vuota e invisibile.
Puff...
Un
leggero odore di zolfo si sprigionò dalle mani di Toby,
accompagnando il sottile rivolo di fumo che si innalzava pigramente
davanti ai suoi occhi mentre il Cubo di Rubik scivolava al suolo in
una miriade di coriandoli colorati e trasparenti.
“Ho
vinto...Giusto?” chiese alzando la testa al soffitto
“Ma
manco per niente, piccolo imbroglioncello...”
soffiò divertita la
voce di Rajeth “Hai barato!”
“Non
hai detto che non si poteva!” precisò Toby offeso,
nonostante il
senso di colpa che cercava di ignorare. Aveva fatto ciò che
ogni
bambino, spazientito dal rompicapo, avrebbe fatto: aveva staccato le
tante tesserine mancanti al completamento del gioco e le aveva
riposizionate sulle facciate. Applicata anche l'ultima, il piccolo
cubo aveva cominciato a restringersi per poi scoppiare in un tripudio
di colore.
Aveva
gettato la sua unica possibilità di uscire da quel posto. Tutto
ha un prezzo gli diceva sempre Sarah. Ecco...la sua
libertà
aveva il semplice prezzo di non barare. L'aveva capito troppo tardi.
“E
ora come faccio?” protestò, di nuovo rivolto al
soffitto
lontanissimo. Passarono i minuti e non ricevette risposta. Era stato
abbandonato. “Che culo!” sbottò andando
a buttarsi sul pianale
di marmo. “Che cavolo....?” borbottò
seccato tirandosi via, da
sotto il sedere, il piumino che aveva lanciato poco prima: si era
seduto su qualcosa di rigido. Lo guardò truce, quindi
frugò nelle
tasche, ricordandosi il contenuto di ciascuna: in una stava il suo
prezioso e ingombrante portafortuna, nell'altra il suo lettore Mp3.
Lo fissò accigliato, non sapendo cosa fare. Poi, si accorse
dei
suoni che provenivano, bisbigliati, dalle auricolari. In un primo
momento gli era sembrato di aver le visioni ma subito si era
ricordato della funzione dell'oggetto che aveva tra le mani. Si
portò
le cuffiette al viso per sentire quale brano stesse suonando.
Many
times I've felt alone
I've
felt alone
But that's all behind
One thing I know
I know
One
thing is that
I
know I have to go
[Alcune
volte mi sono sentito solo/ Mi son sentito solo/ Ma tutto questo l'ho
lasciato alle spalle/ So solo una cosa/ So/ Una sola cosa ed
è.../
So di dover andare]
Maccerto!
Perché non ci aveva pensato subito? Iutrepi!
Era
nel mondo della magia, no? E se Sarah aveva ragione, Iutrepi era
un'entità magica. E anche se non lo fosse stata, le parole
avevano
il loro peso...poteva usarle come formule magiche. Sorrise,
compiaciuto del proprio acume. Alzò il volume al massimo e
accompagnò le note canticchiando sommessamente
Got
no dough
Should I stay or should I go
Gotta get away
Don't
want to stay
Leavin' tomorrow by subway
[Non
ho dubbi/ Dovrei restare o dovrei andare?/ Devo andarmene!/ (Non
voglio restare) / Lasciando il futuro dai sotterranei]
Toby
non fu poi molto sorpreso dal veder comparire, sotto i suoi piedi, i
bordi di quella che doveva essere una botola. Afferrò il
giubbotto,
si legò in vita le maniche e si affrettò a
scivolare via da quel
posto.
Tutto
quel bianco, che si stendeva all'infinito, ovunque intorno a loro,
senza permettere di orizzontarsi, cominciava a infastidire gli occhi.
“Come
mai hai scelto proprio questa....assurdità...?”
domandò Sarah
senza alcun sarcasmo nella voce “Tra tutte quelle che abbiamo
visionato?”
“Perché
spero di riuscire a ricevere un aiuto...” rispose Jareth
accomodandosi su una poltrona invisibile, accavallando le gambe e
incrociando le braccia dietro la nuca.
“Aiuto?
E come?” disse lei allargando le braccia. Erano immersi in un
vuoto
luminoso di cui non si riusciva a vedere la fine.
“Non
ti fidi già più di me?”
domandò sarcastico levando un
sopracciglio
“E'
che non abbiamo tempo...non ho
tempo...” precisò, nuotando fino a lui dopo un
lungo giro
d'ispezione e piantando le mani sui fianchi, esasperata.
Jareth
si esibì in un'espressione infastidita e annoiata
“Giusto, mia
preziosa...Forse è il caso di accelerare un po' i
tempi...” disse
reclinando il capo indietro come se volesse dormire.
Un
lungo fischio si propagò nel silenzio irreale di quel non
luogo.
“E
ora dove sono finiti?” domandò Rajeth
accigliandosi. Il box era
andato in frantumi. E loro non erano più all'interno nel
momento
della deflagrazione.
“Non
basta aspettare lo scadere del tempo prestabilito?”
domandò Miriam
allungando languidamente le mani affusolate per intrecciarle nei
lunghi capelli scuri del sovrano
“Sì,
tesoro...” le rispose lui distrattamente, baciandole le punta
delle
dita “Ma dimmi... nel qual caso dovessero arrivare fino a
noi...”
disse abbassando lo sguardo su di lei, gli occhi rossi maliziosi
brillavano di una strana luce malvagia “...non vorresti far
trovare
al tuo amato Jareth un banchetto per ristorarsi dalla
fatica?”
Miriam
scattò a sedere, illuminata all'idea “Ma certo,
mio Sire! Hai
detto che abbiamo tre ore di tempo, vero? Mi concedi il permesso di
andare a dare istruzioni alla servitù?”
“Ma
certo, mia diletta...e ricorda...se ti serve qualche ingrediente
particolare...non esitare a chiedermelo...te ne procurerò in
abbondanza, dovessi dissanguarmi...” Rajeth
accompagnò i movimenti
della mora con sguardo compiaciuto, sorridendole calorosamente.
Lasciò che si allontanasse in fretta dalla sala ora deserta
e
silenziosa. “Povera stupida...sei così facilmente
manipolabile...
più di quanto non pensi...” mormorò
soddisfatto “Va...e prepara
pure l'ultima cena del mio amato fratello...Ci sarà da
morire...dalle risate...” Un ghigno perfido gli
increspò le
labbra. “Oh...peccato...dimenticavo che ora Jareth
è mortale e
forse la sua cucina potrebbe risultargli solo un po'
pesante”. Più
pensava al suo piano perfetto meno riusciva a contenere la sua
contentezza. Tornò al suo cristallo, ora vuoto e noioso e
decise
che, finché la situazione non si fosse sbloccata e non gli
avesse
mostrato qualcosa di interessante, ammesso che non fossero
già
morti, avrebbe dormito. Non c'era nulla di più snervante di
una
vuota attesa che portasse a una vittoria già annunciata.
Sembrava
di essere in una di quelle strane installazioni espositive d'arte,
dove gli spigoli della stanza sono smussati per rendere impossibile
percepire la profondità del luogo e in cui i suoni sono
ovattati a
qualunque distanza. Erano passati, sicuramente, diversi minuti da
che Jareth si era messo a fischiare. Ma non era cambiato nulla.
Spazientita, Sarah l'osservò sprezzante. “Cosa
sarebbe dovuto
accadere, di grazia?”
Il
mago, inizialmente, non la badò, meditando perplesso
“Mmmm...strano...”
“Cosa
non
sarebbe strano?”chiese
ancora lei irritata, mani ai fianchi
“Maccerto...Forse...se
provassi tu...” disse studiandola serio. I suoi occhi di
ghiaccio
la percorsero da capo a piedi, come ipnotizzati. “Fare un
tentativo
non costa nulla...” disse battendosi le mani sulle ginocchia
e
tirandosi in piedi. “Allora...ti spiego come
fare...”disse
raggiungendola “Apri le braccia...come se stessi invocando
che so
io...” cominciò “...me?”
domandò malizioso. Quella avvampò
all'istante, ma fece finta di nulla, e lui continuò, curioso
di
vederne le reazioni “Bene... ora..fischia...o canticchia se
ti
viene meglio...qualunque melodia... Sei brava a cantare..io canterei,
fossi in te...” Ora la studiava divertito e compiaciuto, il
solito
sorriso stampato sulle labbra: era una lampante frecciata al loro
nuovo primo incontro.
“Tutto
qui?” ribatté lei senza farsi toccare da quelle
parole “Come una
formula magica?”
“Precisamente!”
disse lui tornando a svaccarsi su un trono immaginario.
“Devo...
dire
le mie
parole magiche?”
chiese sarcastica, guardandolo truce, rievocando vecchi ricordi
d'infanzia. Belle spiegazioni esaustive le stava fornendo.
“Oh,
beh...certo...” disse lui sgranando gli occhi, falsamente
sorpreso
“...Ora ti devi impegnare seriamente, mia preziosa
creatura...”
E nel ghigno che stirò, ancora una volta, Sarah lesse la
sfida. Tra
loro tutto si riduceva sempre a quello. Lui che la sfidava, lei che
gli rispondeva a tono, sfidandolo a sua volta. Era un serpente che si
mordeva la coda. Gli diede le spalle, imbarazzata, le braccia lungo i
fianchi, cercando qualcosa di sensato da dire. Non sapeva nemmeno chi
o cosa
dovesse invocare. Doveva restare sul vago? Doveva dire alla creatura
di affrettarsi? Optò per l'unica canzone che le veniva in
mente.
Avevano poco tempo e lei non poteva certo buttarlo nel cercare una
singola canzone. Scelse accuratamente la parte che le interessava.
Chiuse gli occhi e cantò con voce sommessa, quasi struggente
il solo
ritornello. Lo cantò una volta e alla fine
ricominciò come in loop,
chiudendo gli occhi, cercando di dimenticarsi delle due presenze al
suo fianco e sperando che, lasciandosi trasportare, il canto suonasse
una richiesta d'aiuto autentica.
“Save
my life, Save my life
I
need you to save my life
Save
my life, Save my life
Let me feel you breathing
In your hands-
In your hands
Is the heart of mine
Save my life”
[Salva
la mia vita/Ho
bisogno che tu salvi la mia vita/Salva la mia vita/ lascia che
avverta il tuo respiro/ Nelle tue mani/ C'è il mio cuore/
Salva la
mia vita]
-
- - - - - - - - - - - - -
- - - - - - -
Ciao
ragazzi,
Oggi aggiorno decisamente presto, prechè
poi nel wend vorrei aggiornare anche l'originale (cominciano a essere
troppi capitoli anche di là ed è il caso di non
tirarla troppo per le lunghe). Che altro dire? sapete che non mi
vengono in mente grandi cose? Cmq per ogni cosa, son sempre
qui.
A presto!
|
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Capitolo 23 *** Paradossi ***
Premessa
dell'autrice.
Da questo capitolo le note non saranno più sensibili (che se
ci cliccate sopra, insomma, non andrete più direttamente a
destinazione) perhcè con NVU non ho ancora capito come
funziona la cosa. Come facevo prima? scrivevo con Open Office (nel
regolamento è sconsigliato usare Word...e scrivendo con OO
mi sembra che i codici sorgente non siano affatto superiori di quando
riformatto tutto con NVU) ma in un eccesso di zelo, ho deciso di
copiare e incollare tutto sul blocco notes (come suggerito dal
regolamento) e correggere solo successivamente la formattazione con NVU
(lo sto facendo anche coi capitoli già
postati)...però così perdo i collegamenti...
Spero capirete. (e spero anche di essere sufficientemente brava nelle
descrizioni da essere autonoma dalle note, che metto per puro scrupolo
e dovere di completezza).
Buona lettura
23. Paradossi
Uno schiocco assordante, quanto improvviso, sferzò l'aria
immobile del mare latteo in cui erano immersi. Subito, un rombo basso e
cupo aveva riempito l'aria con le sue poderose vibrazioni, nemmeno
fosse stato uno scatolone, pieno di chincaglierie, che venisse
sballottato dalle montagne russe: sembrava l'effetto di quegli aerei
che rompono il muro del suono in sorvolo troppo ravvicinato.
“Direi che ci sei riuscita...” commentò
Jareth direttamente nel suo orecchio, comparendole alle spalle. Come
dieci anni prima, lei sobbalzò e arrossì per
quell'inaspettata vicinanza.
“A parte questo rombo assordante, a me non sembra sia
cambiato nulla...” replicò lei spostandosi
lateralmente di un passo, tanto per non avercelo appollaiato sulla
spalla come un avvoltoio.
Jareth non sembrò infastidito da quel comportamento e,
quando parlò, non si rivolse a lei “Schrodinger,
amico mio...grazie di aver risposto all'appello della
signorina...” Disse posando una mano nel vuoto davanti a
sé. Sarah si accorse solo allora che il rombare era cessato
di colpo. Sembrava esserci qualcosa di compatto che frenava realmente
l'avanzata della mano del suo accompagnatore ma, agli occhi di Sarah,
sembrava solo l'ennesimo, splendido, trucco da prestigiatore. Anzi,
più precisamente, da mimo. “Sì
è lei, la campionessa”
continuò lui poggiandosi di schiena a quel nulla
trasparente. Quando alzò lo sguardo su di lei,
notò il suo sconcerto, che subito dopo vide mutare in
disgusto, allarme, paura e terrore. Quindi la vide rilassarsi.
“Ben fatto...” disse con tono di rimprovero e dando
un paio di poderose pacche a quel qualcosa che sembrava non esistere.
“Ti chiedo scusa a nome suo, Sarah...non aveva cattive
intenzioni...”
“Di cosa. Stai. Parlando?” domandò lei,
ancora agitata
“Ma del tentacolo di Schrodinger...” rispose
serafico lui “Non voleva molestarti...” disse
sorridendo.
“Quale tentacolo?” la domanda suonò
ancora più allarmata di prima
“Non lo vedi?” domandò lui perplesso
“Cosa dovrei vedere?” replicò stizzita
Sarah, passandosi le mani dove qualcosa di viscido le era strisciato
addosso. Un tentacolo gigante avrebbe giustificato la sua sensazione di
venire avvolta dalle spire di un serpente.
“Puoi allontanarti e riavvicinarti piano, in modo che riesca
a capire i tuoi confini?”
chiese Jareth al fantomatico Schrodinger. Affiancò Sarah
mentre un vento improvviso sferzava loro i capelli in faccia.
“Là...” disse puntando il dito
direttamente davanti a sé. Lentamente, un puntino bianco
sullo sfondo bianco si allargò fino ad acquisire le
dimensioni di un'auto a un paio di metri dall'osservatore.
“Ora dista un centinaio di metri...”
specificò il biondo con un cenno d'assenso verso quel nulla.
Il punto si avvicinò ancora, lentamente fino ad arrivare a
pochi metri da loro. Era gigantesco. Aveva le dimensioni di una nave da
crociera. Gli occhi, posti ai lati erano due oblò neri
simili alle cabine di una ruota panoramica.
Schrodinger non era altro che una strana balena troppo cresciuta,
bianca come lo spazio infinito in cui nuotava, con una leggera criniera
che incorniciava il muso all'altezza delle branchie e da cui si
diramavano due antennine mentre due lunghi tentacoli si dipanavano da
sotto la mandibola. Inoltre, le pinne anali erano così corte
da risultare quasi un doppione di quelle pettorali, a cui erano subito
attaccate le lunghissime pinne ventrali1. Il
cetaceo sembrava sorriderle nonostante la sua probabile aria spaventata
e perplessa.
Schrodinger avvicinò cauto un tentacolo in modo che
fluttuasse all'altezza del petto della ragazza. Lei lo
guardò confusa, quindi spostò lo sguardo sul suo
accompagnatore e sull'enorme bestione bianco davanti a sé,
che non la oscurava con la sua ombra per il semplice motivo che non
c'era alcuna luce direzionata.
“Sospetto che tu stia cercando di fare amicizia,
giusto?” domandò poggiando la propria mano
sull'appendice compatta. Non fece in tempo a sfiorarlo che si
ritrovò il tentacolo avvinghiato al polso e, quasi
immediatamente, stretta nuovamente nelle sue spire e spalmata contro la
sua guancia.
“Va bene, Schrody...l'hai salutata...”
borbottò Jareth issandosi alla loro altezza senza il minimo
sforzo: sembrava volare “Ora lasciala!”
ordinò con tono perentorio “No, non sono geloso ma
mollala! Potresti farle male, razza di idiota! Neanche ti rendi conto
della differenza che corre tra voi e noi...” disse prendendo,
delicatamente ma con fermezza, la mano di Sarah nella sua e guidandola
lontano dal bestione.
“Non mi ha fatto male!” protestò Sarah
riappropriandosi della mano che continuava a essere oggetto di contesa
tra loro. “E' stato come...affondare in un marshmallow...un
dolcetto soffice e gommoso del mio mondo...”
precisò cercando i grandi occhi neri della balena.
Schrody gracchiò qualcosa di inarticolato, dimenando la coda
e la testa in modo tale che sembrava far perno, felice, sul ventre.
Jareth arricciò le labbra, offeso “No,
tranquillo... non me la prendo mica...ha detto solo che sei cibo! Sai...nel suo
mondo le balene si mangiano!” sibilò astioso
“Almeno io non corro quel rischio...”
Le pinne della balena sembrarono precipitare al suolo, ammesso di
poterlo chiamare in tal modo, quasi a esprimere tutta la sua tristezza
e la sua afflizione.
Jareth non diede il tempo a Sarah di replicare a quell'incomprensione e
calamitò prepotentemente su di sé l'attenzione
“Devi aiutarci...sì: io sono senza poteri,
dovresti saperlo...” La balena gracchiò ancora una
volta, seria e ubbidiente “Non ti sto chiedendo di ribellarti
al tuo re! Solo... è così impossibile che tu non
ti accorga di... tre clandestini? Siamo insignificanti e nascosti
bene...non hai mai le pulci?” Schrodinger gracchiò
a lungo con veemenza in risposta “Ah, come vuoi,
allora...”
“Che dice?” domandò Sarah, che per tutto
il tempo era rimasta docilmente estranea alla conversazione, il viso
sprofondato, volontariamente, nel corpo bianco e spugnoso dell'essere
“Non lo senti?” domandò perplesso il
mago alzando un sopracciglio. Alla risposta negativa della ragazza,
accennata solo la testa, il biondo sbuffò, chiudendo gli
occhi e coprendoseli con la mano guantata. “E ora cosa
c'è che non va?” domandò quasi rivolto
a sé stesso. Schrodinger gracchiò un'altra volta,
quasi gli stesse esponendo una sua teoria. “Non posso correre
il rischio...se si togliesse l'anello...” disse guardando la
ragazza: quella spiegazione era esplicitata più per lei che
per loro due “... anche tu potresti diventare aggressivo. Ti
ricordo che ha il potere di entrambi concentrato in sé. Non
sa gestire il suo, figurati il nostro...”
a quelle parole Sarah abbassò lo sguardo, imbarazzata.
Stavano parlando solo
di poteri magici: perché era a disagio come se avesse
parlato di...loro figlio?
Il pensiero di portare in sé qualcosa di lui, una parte di
lui, anche se non fisicamente come poteva esserlo una cellula che si
moltiplicava, espandendosi nel suo corpo, le annebbiò la
vista.... Ma qual era la differenza tra una cellula e la magia? Solo
perché era impalpabile non voleva dire che non esistesse. E,
d'altronde, anche quella minima parte di lui sarebbe sembrata
inesistente, se vista ad occhio nudo... “Probabilmente, se
lasciasse nuovamente libero il suo potere potrebbe fare quello che
più le comoda, ma attirerebbe anche una valanga di sciagure.
L'altra volta...”
disse, calcando la voce in modo da farla sentire colpevole. Per
qualcosa che lei non sapeva di aver fatto “...
perché la signorina doveva uscire dal tracciato sicuro del
labirinto per finire nelle zone selvagge...”
puntualizzò rancoroso “...è stata
aggredita prima dai Firey e poi dai relitti dell'Isola dei Sogni2:
tutti che volevano appropriarsi del suo potere...” Jareth
incrociò le braccia al petto, sbuffando, lieto di essere,
finalmente, riuscito a chiarire l'importanza di quel dannato anello.
Com'era prevedibile, la vide accendersi d'irritazione. Finalmente
avrebbe potuto dirle in faccia quanto fosse stupida.
“La discarica?” domandò lei
“In quel postaccio ci sono finita per colpa tua!”
replicò fredda ricordando cosa le avesse rivelato prima di
inoltrarsi nel labirinto, solo poche ore prima.
“No, mia cara...” ribatté lui, pronto
allo scontro, apparentemente tranquillo con la solita aria
menefreghista. “Tu
sei scappata dal ballo...Io
stavo portando te
al sicuro entro le mura del castello...” prima che potesse
elaborare una qualche risposta, lui continuò
“...Quando sei finita nella Palude, speravo ci rimanessi per
il tempo necessario a far scadere il tempo a tua disposizione. Come
davanti ai paradossi irrisolvibili. Invece, no! Hai imparato a usare
quel poco di cervello che ti ritrovi, e hai fregato Didymus. Errore
mio, lo concedo, non avevo previsto potessi aggirare il vincolo in quel
modo. Ma il piccolo scoiattolo non ti sarebbe stato di nessun aiuto,
nell'Isola dei Sogni, e nemmeno lo yeti peloso: chiunque sarebbe finito
loro prigioniero. Ho costretto Hoggle a darti quella dannatissima pesca
perché sapevo
che da me non avresti mai accettato nulla...” nemmeno protezione
“Quindi ho cercato di trasportarti in tutta sicurezza al
castello: le mie sfere sono infrangibili dall'esterno...”
Vide Sarah boccheggiare per la sorpresa, per la
rabbia...chissà cosa stava pensando in quel momento. Non gli
interessava, quindi proseguì imperterrito “Ho
spedito Hoggle a recuperarti prima che i Firey ti staccassero la testa,
smaniosi del tuo potere e incapaci di controllarsi, a differenza dei
Goblin.” sputò con livore, i bei lineamenti tirati
ma la posa del corpo sempre flemmatica. Si raddrizzò, quasi
a sfidarla ancora una volta “...Dimmi Sarah...non ero stato
generoso? Tu, la mia avversaria...cercavo di metterti in salvo quando
sarebbe stato tutto a mio vantaggio che tu ti perdessi...paradossale,
non trovi?” Si sentiva forse umiliata? Imbarazzata?
Semplicemente stupida?
“Io. Non. Ho. Poteri!” fu l'unica cosa che
replicò sibilando: avrebbe voluto dirgli, con strafottenza,
che lei, Hoggle, l'aveva perdonato perché era stato sincero.
Avrebbe anche voluto chiedergli spiegazioni della pesca, del ballo che,
quindi, non era stato un sogno...tante domande le affollavano la mente
mentre i tasselli del suo puzzle assumevano forme nuove e andavano a
incastrarsi in modi e in posti inaspettati.
“Oh, sì, mia cara...tu ne hai, ne hai sempre
avuti...Te l'ho già detto...Il re dei Goblin si era
innamorato della ragazza...” le
ricordò fissandola serio “...e le aveva dato certi poteri...Inoltre...non
avrai dimenticato cosa dicesti, quel pomeriggio, al parco...? Fu
l'unica volta che lo dicesti in mia presenza....”
suggerì freddo. Rabbia, frustrazione, speranza, desiderio
gli ballarono negli occhi
“Tu non ci sei mai stato al par... il barbagianni! Tu eri quel barbagianni?
Mi seguivi ovunque?” domandò confusa. L'unica
volta che aveva intuito
la possibilità di un collegamento tra loro era stato al
termine della loro sfida, quando l'uccello era volato fuori dalla
finestra del pianterreno della sua vecchia casa, ma era stata troppo
presa dall'ansia per suo fratello. Da allora il suo fastidio nei
confronti di quell'animale era andata crescendo e la sua testa aveva
solo ipotizzato un legame col mago, facendo leva sul fatto che il
rapace avesse picchiettato alla finestra della camera dei suoi
genitori, prima che lui vi facesse irruzione, sotto la pioggia
torrenziale, la sera del rapimento del fratello. Jareth taceva, in
attesa, e lei abbassò lo sguardo, cercando dentro di
sé la risposta che lui le stava chiedendo in quel momento.
Era la frase che le sfuggiva sempre! “Non hai
alcun....” ma lui alzò la mano per farla tacere e
lei tacque, ubbidiente.
“Proprio così...dopo che me l'hai detto in
quell'occasione, io non ho potuto più farti nulla. Non
direttamente. Potevo solo tentarti. O convincerti con la
forza...ricordi il serpente? Gli spazzini? Ho presto capito che la
forza non faceva che aumentare la tua determinazione mentre io volevo
solo che tu ti arrendessi per rimanere, con Toby, nell'Underground...
Cercare di sedurti è stato del tutto inutile...non ricordo
nemmeno quanti tentativi...”
“Avevo quindici o sedici anni!” protestò
lei, quasi a giustificarsi, intervenendo nel suo monologo
Lui fece un gesto stizzito con la mano e cominciò a
camminarle intorno come un avvoltoio, come faceva sempre quando era
nervoso, le mani incrociate dietro la schiena “L'unica cosa
che potevo fare era cercare di confonderti con le parole e sperare che
tu sbagliassi da sola. E poi...non contenta di aver vinto, hai dovuto
distruggere tutto, tutto...”
disse scuotendo la chioma dorata “...replicando quanto io ti
fossi indifferente...” a quelle parole Schroedinger
gracchiò, triste e offeso e lui si fermò,
guardandola con amarezza “Sì, fu senza
cuore...”
“Menti!” sibilò lei
“Te lo ripeto, perché sei dura di
comprendonio...Posso averti detto mezze verità. Non ho mai
mentito...” Il tono era perentorio e calmo, quasi esausto:
l'ultima disperata offerta di chi non viene creduto, ormai rassegnato
all'inutile tentativo estremo. “Ma per tornare a noi...ti
informo che hai cominciato a essere in pericolo da quando hai dato il
tuo braccialetto di insulsa plastica al nano...Inutile ma sempre di
amuleto si trattava...Per questo ero così alterato, nei
corridoi sotterranei...per non parlare di quando hai gettato il tuo
anello al vecchio...ero furibondo: chiunque, da quel momento, sarebbe
stato tentato di farti del male... e se tu ora ti spogliassi di quell'anello
saresti in grave pericolo perché hai nelle tue mani il
potere di entrambi e non sai cosa fartene... per fare un esempio che tu
possa comprendere, sarebbe come dare a un bambino, che a stento sa
andare sul triciclo, una Ferrari...Quindi...” disse tagliando
di netto la loro discussione “Schroedinger ci offre un
passaggio. Il presuntuoso dice che Rajeth non potrà dirgli
assolutamente nulla, vista la disparità di dimensioni tra
noi e lui, né fargli alcunché, vista la sua
natura di saltatore...”
Sarah ingoiò la rabbia e la frustrazione ancora una volta:
voleva solo tornare in un luogo che fosse riconoscibile. Per litigare
avevano tempo “Saltatore?” domandò,
vinta dalla curiosità
“Le balene come lui, viaggiano nello spazio e attraverso le
dimensioni, rendendo indeterminata la probabilità della loro
esistenza”3 spiegò il
biondo “Rajeth non ha i mezzi per trovarlo, visto che, loro
stessi, hanno problemi a rintracciarsi. Al punto da rischiare
l'estinzione...” Vedendo che lei non capiva,
precisò “Quelli della sua razza possono rimanere
al massimo due giorni nello stesso spazio, altrimenti la
probabilità della propria esistenza diventerebbe fissa... Fu
proprio questa la causa della loro estinzione: hanno ottenuto il potere
di viaggiare ma la probabilità di incontrare i propri simili
si è abbassata infinitamente”4
Sarah spostò lo sguardo sul cetaceo. Vi leggeva, ora, una
profonda rassegnazione. E riusciva a capire il sibilo accusatorio che
aveva emesso durante il resoconto di Jareth: lei (cioè, lui,
come l'aveva definita il mago) era praticamente sola al mondo e
l'accusava di insensibilità nei loro confronti. Esattamente,
pensò mentre una morsa le attanagliava la bocca dello
stomaco, come lei aveva fatto in passato nei confronti degli adulti.
Ricordò il fervore e la rabbia con cui accusava il mondo di
non capire il disagio che le provocavano certi atteggiamenti. Ora, la
stessa accusa era rivolta a lei e ancora una volta si sentì
colpevole per esser stata tanto cieca quella volta, dieci anni prima.
“Ma...” balbettò nel tentativo di
cacciare il disagio che provava difronte ai suoi due taciti accusatori
“Come abbiamo fatto, allora, a rintracciarlo noi?”
“Che domanda sciocca...” sbuffò Jareth
esasperato “Noi non siamo della sua specie...se lo chiamiamo
ci sente...e può decidere se risponderci o meno...”
“Ma io non sapevo chi stessi chiamando...”
protestò la mora lasciando che il tentacolo bianco le
scivolasse sulle spalle, amorevole.
“Ma Shrody è un esemplare particolarmente
curioso...molto sensibile al fascino che l'essere umano rappresenta.
Avvertirne la presenza in una dimensione normalmente inusuale
costituisce una potente attrattiva. Ora, mia preziosa...vogliamo andare
o hai bisogno di altre spiegazioni?” chiese Jareth con un
ghigno canzonatorio.
“Go down go
down
to the Queen of Chinatown
she'll pick you up when
you're feeling down
Go down go down
to the Queen of Chinatown
and she'll soon blow
your blues away”5
[Va giù, va
giù/ dalla regina di Chinatown/ lei ti rimetterà
in sesto quando sarai giù/ Va giù, va
giù/ dalla regina di Chinatown/ e subito lei
soffierà via ogni tua tristezza]
Cuffie nelle orecchie, Toby scendeva veloce la stretta scalinata
tortuosa, scavata nella pietra scura, che si era srotolata sotto i suoi
piedi, al di là della botola. Sembrava una discesa infinita
dato che, ormai, Iutrepi gli aveva proposto già tre canzoni
diverse. E cominciava anche a fare freschino. Saltellando sui gradini a
ritmo di musica, si slacciò la giacca, se la
infilò nuovamente e cacciò le mani in tasca.
Trovò il suo portafortuna e cominciò a
giochicchiarci in un tic nervoso che aveva da...non ricordava nemmeno
quando aveva cominciato a manipolare a quel modo l'oggetto per
calmarsi. Non aveva null'altro con sé e cominciava a sentire
un po' di fame. Forse era quasi ora dello spuntino. Per una volta
avrebbe saltato: mica sarebbe morto. Inoltre, prima si sarebbe
allontanato dalla sua prigione, prima avrebbe potuto pensare
lucidamente al cibo. Volse lo sguardo dietro di sé, per fare
un calcolo approssimativo di quanto fosse sceso in
profondità e notò che, alle sue spalle non c'era
alcun gradino. Sembravano essersi dissolti nel nulla. Anzi, sembrava
che una parete divisoria fosse calata a tagliargli la via d'andata.
Tornò a guardare il muro della scala a chiocciola davanti a
sé e notò che era sparito. Era sicuro di essere
entro cinte murarie eppure... ora vedeva solo una strana distesa
boscosa sfiorargli la punta delle scarpe da ginnastica. Le sagome
leggere si stagliavano nere contro il cielo purpureo.
Mentre raggiungeva il suolo, si accorse della presenza, tra le fronde,
di tante piccole lanterne rosse, simili a tanti ciclamini carminio, che
prima sicuramente non c'erano. Si avvicinò a una di esse e
la guardò dal basso all'alto con curiosità:
quelle luci gli ricordavano le insegne dei ristoranti etnici dove,
qualche volta, era andato con sua sorella. “Ma d'altronde, la
canzone me l'aveva detto...” pensò, dandosi dello
stupido. Spense il lettore e se lo infilò nella tasca
interna della giacca, per evitare che il freddo gli consumasse
inutilmente la batteria. Quando alzò nuovamente lo sguardo,
pensò di essere soggetto ad allucinazioni acustiche, dato
che continuava a sentire musica. Anche se di tipo diverso. Tese
l'orecchio e si accorse che il tintinnio ritmico a cinque tempi che
sentiva non era altro che la corsa leggera, sincronica, di un piccolo
drappello di strane creature: sembravano grovigli di altre
già esistenti riassemblate assieme secondo un gusto
raffinato e delicato che dava continuità e unità
all'insieme. Il dottor Frankenstein, al confronto era un dilettante. La
memoria gli suggerì un nome, visto tra i testi scolastici:
Chimera. Ma non era proprio come le aveva sempre immaginate. I graziosi
musini da serpentello6 erano coronati da una
peluria lanuginosa, appuntita e spettinata come tante antenne, che
digradava sui corpi bianchi come il latte fino alle lunghe code da
lucertola che frustavano l'aria. Le zampe, lunghe ed esili terminavano
con zoccoli dorati, avvolti da morbide fiammelle rossicce7.
Dietro di loro, una piccola portantina, un piccolo scrigno impreziosito
da fitti decori fitomorfi, avanzava fluttuando nell'aria, priva di
conducente o di sostegno.
Toby osservò incantato il piccolo drappello sfilargli sotto
il naso e quasi non si accorse che la cabina si era fermata, senza
produrre alcun rumore, davanti a lui.
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccoci arrivati in fondo.
Chiedo ancora scusa per la questione delle note...
E chiedo scusa anche per il ritardo con cui aggiorno...sono presa dai
progetti finali e ho perso la concezione del tempo, non avendo
più lezioni che mi scandiscano la settimana...
pietà!
Che dire? spero si sia capito il discorso dei poteri magici di Sarah e
anche del barbagianni...sì, ok, noi lo sappiamo che
barbagianni=Jareth. Però per la piccola adolescente (anche
un pò di coccio) che lo vede na volta sola in vita sua, ci
sta che non abbia veramente colto il collegamento. Anche
perché, ripeto, il pennuto compare solo in 3 occasioni: al
parco, alla finestra, a labirinto risolto e, lei non lo vede,
a fine film. Ora...dubito seriamente che chicchessia tenga
conto di tutti i dettagli che possono essersi ripetuti prima dopo o
durante un dato evento e li colleghi per forza... figuriamoci in
un evento come quello che fu l'avventura nell'Undergroung che
di carne al fuoco ne mise molta...per il tempo che le era
concesso...Voglio dire...interroghiamoci pure sul perchè gli
orologi cambiassero ogni volta che comparissero in
scena...lì per lì io non ci avevo fatto caso...).
Vabbè...forse sono l'unica... ma non credo sia
così strano...
Per ora non ho altro da aggiungere.
Spero vi sia piaciuto anche questo
e a presto!
1 Schrody
front Schrody
back
2 Riprendo, pari pari la nota del cap. 5
di Il labirinto visto dal castello “E' chiamata Isola dei sogni la
discarica pubblica di Tokyo, costituita solo di rifiuti.”
3 Quest'ultimo dialogo, come l'immagine
della precedente nota, è presa pari pari dal 18°
volume di Oh, mia Dea!
di Hosuke Fujishima (pag.93). Volevo avvalermi di uno dei paradossi
logici che non fosse, ancora, quello del mentitore (usato per le due
porte del film). Stavo ragionando su come cercare di manipolare alcuni
di essi per inserirli in una fic, quando mi sono ricordata che
già in questo manga (a sfondo scientifico, in cui si fa
largo uso di mitologia norrena) si parlava proprio del Paradosso
del gatto di Schrödinger. Il concetto, ostico
(almeno per me che non vado oltre alle equazioni matematiche di X che
può essere sia un numero che un altro) era già
stato elaborato e reso più accessibile. Ho deciso, quindi,
di usare il loro gatto, rivisitato in balena, come personaggio e anche
la situazione: lo spazio infinito in cui si muove questa balena e la
natura dei suoi spostamenti. Inoltre, l'idea di usare un cetaceo era un
vecchio pallino che mi è sempre rimasto da quando vidi Il
mistero della pietra azzurra (Fushigi no Umi no Nadia) dove una balena
bianca Ilion, che comunica in modo telepatico con la protagonista,
è l’ultimo esemplare (di ventimila anni di
età) rimasto in vita delle balene che gli antichi Atlantidi
sfruttarono in numerosi esperimenti, atti a creare la razza perfetta da
schiavizzare
4 Stesso volume, pag. 137-138
5 Amanda Lear, I'm a Photograph,
6. Queen of China-Town
6 Dato che non tutti i serpenti sono
brutti e dall'aspetto aggressivo, il tipo che intendo io è questo
7 In realtà ho fatto un po' un
miscuglio di speci: la chimera classica, uccisa da Bellerofonte, aveva
corpo di capra, testa di leone e coda di serpente/drago. In Cina
c'è la variante Long Ma (il leone drago) spesso accomunato
al Bixie o al Qilin (il nipponico Kirin, il drago cavallo): sono tutte
creature ibride e spesso si confondono tra loro. Quest'ultimo, cmq,
tornerà più avanti (piccolo spoiler) quando si
parlerà di unicorni, dato che il Kirin è
considerato tale.
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Capitolo 24 *** Scelte ***
24. Scelte
Il
viaggio in groppa a Schrodinger fu relativamente breve. Viaggiarono
stretti e protetti nei suoi tentacoli a una velocità folle:
senza alcun punto di riferimento visivo, la percezione era data dalla
violenza con cui sventolavano i loro capelli e dal fatto che, per
riuscire a respirare, fossero addirittura costretti a dare le spalle
alla loro meta.
La
balena, spiegò Jareth, viaggiava oltre la barriera del
suono. Quell'informazione dette una spiegazione al boato che aveva
sentito Sarah dopo averlo convocato.
Il
loro viaggio si interruppe tanto di colpo quanto lo era stata la
partenza.
Davanti
a loro, nel bianco infinito, si ergeva maestosa la facciata di una
cattedrale gotica.
Scivolarono
ad altezza dell'ipotetico terreno su cui sorgeva la facciata e Sarah si
affrettò a girare l'angolo dell'edificio. Avvicinandosi
aveva notato come non comparissero altri lati dell'oggetto, che
presupponeva tridimensionale. Aveva, quindi, pensato si trattasse di un
cartellone di tipo pubblicitario. Invece, girandovi attorno l'aveva
visto scomparire sotto i suoi occhi, come se fosse un foglio di carta
trasparente. Una volta al di là, voltandosi, vedeva solo
Jareth, Marking e Schrody ma non l'edificio.
“L'entrata
è qui!” sbuffò Jareth, mani ai fianchi.
“Siamo in una non-dimensione in cui solo loro possono
arrivare. Al di là di quella soglia c'è una
dimensione a noi molto più familiare, in cui possiamo
muoverci liberamente e usare anche la magia, in caso ne fossimo
provvisti...”
Sarah
ritornò sui suoi passi mentre Jareth si accomiatava dalla
balena. Attese in disparte per lasciare un po' di privacy ai due amici.
Marking le si sedette accanto con aria solenne.
In
breve tempo, Jareth la raggiunse. Le prese la mano con una delicatezza
inusuale tanto da farle pensare che Shrody l'avesse strigliato per i
suoi modi maleducati. Quasi l'avesse interpellata, la balena
cantò brevemente, in modo che anche lei potesse udirla.
Quando lei sollevò gli occhi incuriosita, si
impennò e scomparve nel bianco, lasciando dietro di
sé solo una folata di vento.
“Vogliamo
procedere?” chiese Jareth, girandole attorno e costringendola
a fare altrettanto.
Davanti
a loro il pesante portone scuro intarsiato. Dietro, il nulla. Non
avevano altra scelta che procedere.
Un'infinità
di piccole schegge nere e taglienti si dipanavano sul pavimento bianco
in un ventaglio di striature, come sabbia smossa da una corsa, laddove
il cristallo era andato in frantumi.
Rajeth
era furibondo, assolutamente fuori di sé. Nel giro di pochi
minuti, in cui si era distratto, aveva perso di vista sia suo fratello
e la sua accompagnatrice sia il suo piccolo erede, la sua chiave al
trono. E quello che più lo infastidiva era che non si
trovavano da nessuna parte. Dove diavolo potevano essersi cacciati gli
uni e l'altro?
Il
moro si aggirava per la sala principale, rimasta vuota a causa del suo
palpabile nervosismo, imprecando, ora strappando tendaggi ora lanciando
a terra pesanti soprammobili.
A
terra, intanto, le schegge cominciarono, lentamente, a gonfiarsi e a
rimpicciolirsi, fino a diventare piccole sfere di diverse dimensioni1. Come
argento vivo, rotolarono su loro stesse fino ad ammucchiarsi nel punto
di impatto, cominciarono ad amalgamarsi tra loro. In pochi minuti una
sfera nera giaceva immobile nel pavimento immacolato.
Quando
il sovrano ebbe sbollito un po' la propria rabbia, tornò sui
propri passi e recuperò la sfera direttamente da terra. Un
gesto molto umano, constatò con sarcasmo: Jareth se la
sarebbe fatta volare in mano. Jareth era un mago molto potente. Tra i
più potenti che avesse mai incontrato, a dire il vero. Ma
tutto sommato, e paradossalmente, era debole. Perfetto nella tecnica,
nella strategia e nella pianificazione era invece un disastro dal punto
di vista emozionale: si lasciava ancora
sopraffare dalle proprie emozioni, dall'irritazione, dalla gelosia, da
quella bontà che cercava di nascondere con ogni mezzo, per
essere all'altezza del suo titolo... Se si fosse saputo che non era poi
così cattivo, il suo ruolo e la sua autorità
sarebbero state messi in discussione: il potente e malvagio Re di
Goblin era in realtà una mammoletta. Da quel punto di vista,
manipolarlo, far ricadere su di lui ogni colpa, assecondare la
maledizione che gravava su di loro, era sempre stato un vero spasso. Da
quand'è che la cosa non gli bastava più? Si
domandò, osservando la propria immagine riflessa e distorta
nella sfera. Era liscia, perfetta: come suo fratello. Ma era nera come
la pece in cui un candido uccello bianco non può far altro
che dimenarsi convulsamente, cercando inutilmente di liberarsi. Acqua
contaminata dall'olio nero che dipinge sulla sua superficie vergine,
con tratto veloce e sicuro, i suoi capricci. Striature di catrame che
ondeggiano come capelli al vento.
Sarah...
Il
pensiero della ragazza gli fece affondare la presa sull'oggetto che
subito si deformò e cristallizzò in un poliedro
irregolare. Era brutto, asimmetrico, tagliente...come lui. Subito,
però, il cipiglio irritato si distese. Ciò che
vedeva riflesso, oltre la propria silhouette erano le sue prede.
“Ecco dove erano finiti...” ghignò.
L'interno
della cattedrale era, in realtà, un'immensa biblioteca,
stracolma di volumi di ogni tipo2. Il sogno
di qualunque lettore. E, ovviamente, anche di Sarah. I tomi erano
disposti ordinatamente su lunghi scaffali che si inseguivano a
scacchiera, dando l'illusione di file infinite che venivano inghiottite
dal buio in cui si diramavano. Per terra, notò uno strano
segno in cui tutti e tre trovavano la propria collocazione: lei e
Jareth erano, ciascuno, all'interno di una goccia, una parte di un otto
o di un infinito. Quel simbolo continuava a comparire ovunque nel
regno. Ma essendo nell'Underground, nella terra della magia e del
paradosso, si disse che forse era naturale trovarvi la rappresentazione
bidimensionale del nastro di Moebius. Marking, invece, stava seduto
composto su una croce. O un più. Erano a più
infinito? Di cosa? Lei e la matematica non erano mai andate molto
d'accordo ma ora le sfuggiva completamente il senso di quel glifo
inciso nella pietra.
Jareth
sbuffò impaziente, notando lo sconcerto della ragazza
accanto a sé. “Sarà meglio
affrettarci” disse cominciando ad avanzare e sentendola
subito irrigidirsi. Si volse a guardare cosa potesse averne attirato
l'attenzione.
Alla
loro destra era comparso un piccolo desco, caricato in modo
spropositato di volumi, incartamenti, fascicoli, timbri, penne d'oca,
calamai... Una debole luce e un borbottio sommesso filtrava da quella
montagna di roba e la sommità, di quella che doveva essere
la testa del bibliotecario, ondeggiava freneticamente da un capo
all'altro dello spazio angusto.
Sarah
avanzò di un passo, vinta dalla curiosità, per
osservare l'addetto alla custodia e catalogazione di tutti quei volumi.
La stretta ferrea di Jareth si fece più salda e quasi le
sembrò che la strattonasse. Ma non vi badò e si
sporse a curiosare.
Quello
che si affaccendava su mille carte, illuminate da una candela
rovesciata, era uno strano topo pelato col muso che terminava in una
sorta di becco rigido e sulle cui narici erano sormontati delle
pince-nez.
“Andiamo
via...” disse il mago, quasi pregandola “Prima che
si accorga di noi...” aggiunse quando lei si volse a
guardarlo.
Non
avevano molto tempo. Non per se stessa. Di quello le importava
relativamente poco. Ma Toby! Non aveva permesso una volta che rimanesse
a Goblin City, non l'avrebbe certo fatto ora che non aveva nulla da
perdere se non lui.
Quindi
annuì e, silenziosa, seguì la sua guida a passo
svelto. I libri scorrevano veloci al loro fianco. Con rammarico Sarah
lasciò che la curiosità per i titoli incisi sulle
costine scivolasse via con loro, in quel flusso vertiginoso.
“Quando
saremo fuori da qui, sarò io a raccontarti una
storia...” sghignazzò Jareth dopo un po' per
tirarle su il morale. La vedeva intristirsi man mano che procedevano
per l'impossibilità di fermarsi anche solo a vedere cosa
contenesse quella vasta biblioteca. Erano, ormai, ben lontani dal
bibliotecario. “Come compensa per avermi aiutato a riavere
ciò che è mio...” cominciò
lui rallentando “Ti darò la possibilità
di assorbire, se lo vorrai, tutta la conoscenza di questi
libri.” Così dicendo si fermò: erano
all'interno di un tracciato perfettamente circolare.
Neanche
il tempo di batter ciglio e si ritrovarono, nuovamente, nel labirinto.
Più
precisamente in una piazzetta in cui confluivano diverse strade. In
lontananza si intravedeva il castello. Ora che lo osservava meglio,
Sarah notò che sembrava leggermente diverso: più
chiaro, dalla linea più morbida e sinuosa... Che fosse
cambiato anche quello, insieme al labirinto stesso?
“Come
abbiamo fatto a tornare?” domandò distrattamente
Jareth
levò gli occhi al cielo. Quella stupida non avrebbe mai
capito nulla di logica “Perché è vero
che quella biblioteca è in continua espansione ed
è infinita...ma ha avuto un'origine. Più
precisamente con l'elaborazione...diciamo grafica... che gli uomini
hanno prodotto nel corso dei millenni...” Sarah allora
capì perché l'origine, il punto di fuga avesse
quel tondo inciso a terra: era il punto zero, da cui tutto aveva avuto
origine. E il bibliotecario doveva restare all'estremità,
infinita, perennemente in espansione, per catalogare ogni nuovo tomo.
Jareth si mosse e lei lo seguì frastornata: riusciva a
orientarsi nonostante non sapessero dove fossero finiti?
“E
non sei curiosa di sapere perché ti ho trascinata via dalla
biblioteca? Oltre alla mancanza di tempo?” domandò
il biondo con tono orgoglioso, quasi la volesse impressionare: sapeva
che lei pendeva dalle sue labbra e questo gli dava una sensazione di
potenza e superiorità. Sarah lo guardò perplessa
e curiosa, quindi lui proseguì “C'era una volta il
responsabile di una grande biblioteca, così grande che il
numero dei volumi al suo interno tendeva all'infinito. A costui venne
affidato il compito di compilare i cataloghi della stessa, che
sarebbero stati, a loro volta, infiniti. Egli, cominciò
quindi una prima catalogazione per titoli. Successivamente si
prodigò in quella per autori. Poi si cimentò in
quella per argomenti, per continuare stilandone di ogni tipo, a partire
dal numero di pagine, ai materiali e così via. Visto che i
cataloghi si moltiplicavano, egli provvide a redigere il catalogo di
tutti i cataloghi. Nel cominciare a fare ciò, gli venne un
dubbio, tutt'ora irrisolto... La maggior parte dei cataloghi, infatti,
non riportavano sé stessi. Per eccesso di zelo, lo
scrupoloso bibliotecario decise, a quel punto, di imbarcarsi nel catalogo
di tutti cataloghi che non includono sé stessi.”
Recitò con fare teatrale. Quando riprese a parlare era
divertito “ Ora, però, chiede aiuto a chiunque
entri nella sua biblioteca, facendolo diventare matto.”Sarah
si era persa a metà strada di tutto il discorso. Aveva
capito solo che in quel luogo era conservato, più o meno,
tutto lo scibile umano, magico o meno che fosse. E invidiava
profondamente chiunque avesse libero accesso a tutto quel sapere.
Jareth
sorrise, freddo e cinico “Dimmi Sarah...se avesse chiesto
aiuto a te, cos'avresti risposto?”
“Non
so neanche la domanda!” protestò
“Quel
nuovo catalogo...Avrebbe dovuto contenere se stesso?”
“Io...così,
su due piedi..non saprei...sì e no...”
“Appunto...”
rispose lui rizzandosi di colpo e fissando lo sguardo all'orizzonte
“Così saremmo rimasti intrappolati in un
paradosso. Da cui non sarebbe stato possibile uscire. A meno di non
finire ancora nei dimenticatoi...E lì, morire tragicamente
assieme...” aggiunse con enfasi drammatica che non gli
apparteneva. La stava prendendo in giro? Forse no, a giudicare da
quello che disse in seguito. “Perché mio fratello
non è certo generoso quanto il sottoscritto...non avrebbe
mandato nessuno a prenderci...anzi...” si fermò
nuovamente, fissandola negli occhi “Forse tu ti saresti
salvata comunque...”
Sarah
avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse dire con quelle parole ma
qualcosa nel suo sguardo che scattò oltre la sua spalla,
allarmato, la fece desistere.
Dalla
graziosa portantina, da cui proveniva un aroma speziato e dolce, era
emersa una figurina minuta, addobbata di drappi lucenti che
riassumevano tutti i toni del blu, e si era chinata alla sua altezza.
Toby non riusciva a capire se si trattasse di un uomo o di una donna ma
notò che aveva lunghe unghie dorate. Una frangia lunghissima
e scintillante, che quasi gli copriva la bocca, impedendone
l'identificazione, era divisa in tante ciocche decorate da quelle che
sembravano perle di lago. Ai lati della testa, due semplici fermagli
neri ovoidali. Nell'insieme poteva sembrare una riproduzione
ridimensionata del copricapo degli imperatori cinesi della dinastia Han
come anche un copricapo formato da un polpo, i cui tentacoli avessero
avuto le ventose bianche.
“Ti
sei perso, ragazzino?” domandò con voce piana e
neutra
“Non
parlare con gli sconosciuti...”
recitava, martellante, la voce della sorella nella propria mente. Toby
scosse solo la testa. Si sentiva come incatenato sul posto da una forza
invisibile.
La
creatura inclinò la testa di lato e mosse la mano, vuota,
come a offrirgli qualcosa “Posso fare qualcosa per
te?”
Toby
scosse nuovamente la testa.
Il
suo interlocutore si raddrizzò elegantemente e
incrociò le braccia al petto “Bene,
Toby...” nella voce c'era una nota divertita “Pensi
di riuscire a raggiungere, da solo, tua sorella? La Campionessa?”
sottolineò, quasi a rimarcare la differenza che intercorreva
tra loro.
“E
tu come...?” stava per domandare quando si tappò
la bocca. Chi è che aveva davanti a sé?
“Mio
caro...io sono solo uno Ierofante 3...diciamo
uno dei controllori
dell'Underground: controllo che nessuno infranga le leggi. Non hai
nulla da temere da me. Quanto a tua sorella...chi non la conosce? Lei e
il suo coraggio dimostrato nell'affrontare il labirinto un anno fa,
solo per salvare te dalle grinfie di Re Jareth... Oh
sì...perché lei affrontò lui e le
insidie che lui aveva posto sul suo cammino. Lei si batté
coraggiosamente per riportarti nell'Aboveground. E' così che
noi, creature fatate, ultraterrene, aliene, chiamiamo il mondo
umano.” Lo informò con un sorriso carico di
affetto. “Quale strana idea ti eri fatto di lei...”
disse ridendo. E non era una domanda.
Toby
si sentì avvampare: aveva effettivamente dubitato della
sorella, ma...
“Oh,
certo... ha avuto il suo momento di debolezza...” lo
Ierofante sembrò leggergli nella mente “...Ma ha
rimediato all'errore, mi pare. Ti ha sempre trattato con dolcezza...o
sbaglio? D'altronde... sai anche quanto possa esserle pesata la
situazione in cui venne a formulare quel desiderio scellerato.
Ma...detto ciò, ancora non vuoi aiuto nel
ritrovarla?”
Nulla
è ciò che sembra, gli
ripeteva sempre Sarah. Lei non era stata la sorella senza macchia che
aveva sempre creduto. Jareth non era un buon amico di sua sorella e
tanto meno era una persona buona e cristallina. Rajeth non era il suo
salvatore. E lo Ierofante poteva non essere quello che diceva di
essere. Non sapeva neppure cosa potesse essere... e quindi, magari, un
essere terribilmente forte o violento o....
Come
doveva comportarsi?
“Vuoi
che ti porti da lei?” propose ancora la creatura, chinandosi
ancora su di lui, sinuosa.
Non
accettare passaggi dagli sconosciuti! Gli
urlò la voce di sua sorella. Ma il buon senso gli disse
anche di cercare di mediare l'irruenza che gli bombardava la testa.
“Preferirei...provarci
da solo...voglio essere alla sua altezza...” disse con voce
incerta. Dovette suonare, comunque, abbastanza convincente
perché lo Ierofante si raddrizzò di scatto e
abbassò la mano artigliata che gli tendeva.
“Ottimo...”
sorrise compiaciuto “Degno del gradito
al nostro signore...”
notando la faccia perplessa di Toby, anche la creatura si
incupì “Non... lo sai?”
“C'è
qualcos'altro che dovrei sapere?” Domandò il
bambino, incuriosito.
Lo
ierofante tornò a sedersi nel suo trasportino, le lunghe
gambe nude ancora protese all'esterno. Poggiò tutto il peso
sulle braccia bianche, coperte da bracciali, tese dietro la schiena.
Prima di rispondergli, sembrò soppesare le parole
“Tu sei... il pomo della discordia... l'ago della
bilancia...”
“Chi
mi ha dalla sua parte, vince?” domandò sempre
più confuso “Che valore posso mai avere
io?”
“Oh,
ne hai, credimi...ma...no... tu... sulle tue spalle grava una pesante
responsabilità. E nemmeno io sono autorizzato a interferire
con essa. Posso dirti solo questo. Tutto dipende da te. Dalle scelte
che farai. C'è gente che in questo momento sta affrontando i
propri demoni per te. Chi per portarti in salvo ancora una volta, chi
per averti al proprio fianco, chi per distruggerti... Perché
è in te, e anche in tua sorella, che si trova la chiave per
cambiare una situazione...oserei dire..atavica...”
“Che
vuoi dire?” chiese il ragazzino più confuso di
prima vedendo che quello si ritraeva all'interno dello scrigno
“Niente
di più di quello che ho detto...Sta a te trovare gli
elementi per operare una scelta corretta, mio giovane amico.”
rispose sorridendo ieratico “Ovviamente, ogni scelta
è corretta solo per chi la opera. Ferirai sempre qualcuno.
Ed è plausibile che, per fare ciò che ritieni
giusto, tu ferisca qualcuno a cui vuoi bene. Devi essere tu a decidere
cosa, tra due, vale di più. Tienilo bene a mente. E fino ad
allora, esplora questo mondo, fatti una tua idea e non berti quella
confezionata per te da qualcun altro. Sii sempre scettico e curioso. E
se non dovessi avere tempo a sufficienza, ragiona. Sei un ragazzino in
gamba...” Così dicendo, la porta dello scrigno si
chiuse.
“Dimenticavo...”
disse la voce dello Ierofante mentre il trasportino cominciava a
muoversi. “Mi chiamo Thu Lhu e se dovessi mai avere bisogno
di me, in futuro, mi puoi trovare a Ryeh, la città infondo
al mare, dove si trova il gran consiglio che monitora tutti i regni
magici”4
Così
come era apparso, il piccolo corteo sparì. Quasi l'alito di
vento, che seguì quelle parole, avesse spento le fiammelle
delle chimere e avesse fatto sparire, con loro, tutta l'esperienza
appena vissuta lasciandogli il retrogusto tipico dei sogni.
1
Essendo il volume rimasto invariato, la sfera di una scheggia lunga e
stretta non sarà certo grande come il lato più
lungo ma sarà una sorta di media tra le varie dimensioni e
quindi, il lato più lungo sarà quello la cui
variazione risulterà più evidente.
2
Liberamente ispirato, come luogo, a Indiana
Jones e l'ultima crociata.
3
Ierofante è un termine che designa la grande
autorità e il grande prestigio di cui gode una determinata
figura, che possono esercitare una certa influenza (Sacerdote, politico
etc)
4
Cthulhu
è una creatura cosmica creata dalla fantasia dello scrittore
statunitense Howard Phillips Lovecraft. Ho riusato la città
di R'lyeh,
costruita al loro arrivo sulla terra e nella quale fu imprigionato
quando le stelle furono allineate correttamente. Città che
poi affondò nell'oceano in cui rimane tutt'ora in attesa,
sognando. E attraverso il sonno contatterebbe gli umani. Inoltre, si
narra che gli ierofanti del culto vivano sperduti tra certe montagne
della Cina, dove tramano ai danni dell'umanità.
Dunque,
utilizzando questa "creatura" (per chi avesse saputo della sua natura)
volevo mettere la pulce nell'orecchio in modo moooolto blando (se viene
bene, sennò è lo stesso) del fatto che tutta
questa vicenda-dialogo non sia stata solo un sogno.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccoci
qua.
Spero
non sia stato troppo noioso (per me lo è stato) e che si sia
capito abbastanza bene ogni passaggio.
Per
il paradosso di cui stava per cadere vittima Sarah, si tratta del paradosso
del bibliotecario. Volevo
usare un altro paradosso come nel Film. Ma sono tutti così
logici da essere solo matematici. Questo è uno dei pochi che
si può sfruttare per avere spunti.
:)
vi lascio con una bella notizia. In teoria il racconto termina al
capitolo 34. Lo devo ancora scrivere ma non è che mi siano
rimaste molte cose da dire, ormai...quindi... :)
preparatevi.
E se vi sembra che qualcosa non quadri, non temete. Fa tutto parte di
un piano più grande che troverà risposta solo
alla fine XD
muahahahah
mi sento molto cattiva.
A
presto!
|
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Capitolo 25 *** Movimenti ***
25. Movimenti
Sarah
avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse dire con quelle parole ma
qualcosa nel suo sguardo la fece desistere.
Forse
tu ti saresti salvata comunque...
Perché
Rajeth avrebbe dovuto risparmiarla se non l'avesse fatto col fratello?
Quale passaggio le sfuggiva?
Di
colpo Jareth si fermò e ciò la riportò
al presente: davanti a loro, il percorso sembrava scivolare in una
pozzanghera fangosa e non sembrava esserci alcun modo di poter
procedere oltre.
“E'
inutile” le disse avanzando di un passo. Lei non
capì la sua affermazione finché non si volse a
guardare il percorso da cui erano arrivati. Un muro bloccava la strada
come le era già capitato dieci anni prima con il vicolo
cieco del paradosso delle doppie porte. Tanto per vivacizzare un attimo
l'ambiente, dall'alto piovevano rampicanti simili all'edera canadese.
Le foglie vermiglie, appena spruzzate di verde, le davano la strana
sensazione di essere velenose. Oltre a un'inspiegabile angoscia per una
loro probabile e inusuale motilità, quasi fossero stati
tentacoli di un calamaro gigante. Se ne allontanò, seguendo
l'esempio del biondo.
“Non
dicevi di conoscere questo posto come le tue tasche?”
“Il
percorso è giusto...” puntualizzò
subito lui, seccato per quella mancanza di fiducia “E' stato
solo disseminato di questi...trabocchetti...”
“E
come mai è così cambiato?”
“Questo
è il labirinto di Rajeth. Io ne ho visto la pianta prima di
venire sbattuto nel tuo mondo. Ho subito capito quale fosse l'unica via
per arrivare al castello...Ma non sapevo ci fossero anche
queste...cose!” precisò scandalizzato, come se nel
suo, di labirinto, trappole e trabocchetti non fossero mai esistiti
“A meno che... non le abbia aggiunte
successivamente...” borbottò tra sé,
valutando quell'idea per niente improbabile
“Ma
scusa...tu hai detto...sì, insomma...non dovrei essere io
la... regina? E,
quindi, il labirinto non dovrebbe rispondere a me?”
“Tecnicamente...ma,
a parte che non sai e non vuoi sapere come gestire il tuo potere, ora
sei nuovamente una concorrente. E Rajeth il regnante. Quindi comanda
lui.”
“Ma
se non vuole che vinciamo, perché non ci attacca
direttamente? Ho capito che le mie parole avevano avuto, come effetto
collaterale, la tua impotenza nei miei confronti. Ma... io non ho mai
incontrato Rajeth prima di entrare in questo labirinto...”
Jareth
sorrise della sua ingenuità “Mia cara, Rajeth non
può farti nulla, come non potevo io. Anche se per un motivo
ben diverso. Tu resti comunque la campionessa. Quanto a me, resto
comunque il sovrano in carica. Lui è solo il mio sostituto.
Sarebbe impensabile che il secondo possa nuocere al primo
così facilmente. L'Underground sprofonderebbe nel caos.
Bisogna preservare ciò che c'è di giusto. Se
vuole, deve sporcarsi le mani...letteralmente”
A
quelle parole, Sarah rabbrividì. Il biondo era stato fin
troppo esplicito pur non pronunciando nulla di sconvolgente: Rajeth
avrebbe dovuto ucciderli “Quindi...tutte queste
trappole...?” domandò confusa
“Sono
state create al fine di indurci a ritirarci dalla corsa al trono. O ad
autoeliminarci dal gioco. Pensa cosa sarebbe successo se non fossimo
riusciti ad andarcene per tempo da quella specie di scatola in cui ci
siamo trovati rinchiusi? O se fossimo rimasti intrappolati nei nostri
sogni, all'interno dello specchio?” Jareth parlò,
tenendo sempre lo sguardo fisso sul mare di sabbia e fango davanti a
sé.
“Quando
tutto questo sarà finito, ricordati che a me non frega
niente di portarti via il posto. Quindi spero mi userai la cortesia di
non aggredirmi inutilmente...”
Jareth,
a quelle parole, sorrise malizioso, riportando lo sguardo sulla sua
accompagnatrice “E se volessi aggredirti per altri
motivi?”
Sarah
impallidì, tentata da una fuga che le era preclusa.
Abbassò lo sguardo, imbarazzata. Quindi lo
riportò, con ostentato coraggio sugli occhi spaiati di lui
“Preferirei evitassi...”
Soddisfatto
di quella non-risposta, Jareth sorrise e annuì, stingendole
la mano nella sua “Sta bene...” disse, focalizzando
nuovamente l'attenzione davanti a sé
Il
sole danzava allegro tra il fogliame verde degli alberi. I fiori
bianchi sembravano soffice manna divina caduta dal cielo ma, se il
clima fosse stato leggermente più fresco, si sarebbe potuto
pensare a della neve fuori stagione. Ai piedi degli stessi, una
fittissima erba dalle foglie minuscole, ricopriva le radici come la
brina primaverile. Qua e là, le impronte di una mezzaluna
interrompevano la perfezione del prato.
Un
leggero frusciare destò l'attenzione del guardiano preposto
alla sorveglianza. Tese le orecchie, in ascolto. Il fruscio, costante e
ininterrotto, proveniva dai rami di uno degli alberi appena oltre il
confine.
Aguzzò
la vista e subito si rilassò “Maestà!
Mi avete spaventato...” proruppe quello a metà tra
la predica e il compiacimento
“Bellfast,
mio caro..chi credevi potesse essere?” sibilò la
voce del sovrano, nascosto dal mare di petali bianchi
“Lei
e suo fratello avete la cattiva abitudine di venire a rubare i frutti
delle fate...sia chiaro che non chiudiamo un occhio con
tutti...”
“Lo
so lo so, non ti preoccupare mio fidato... Ora...se ti levi di
lì...io scenderei anche a terra...”
puntualizzò seccato Rajeth dall'alto della chioma bianca.
“Oh...perdonate...”
disse Bellfast tirandosi indietro e chinando il capo, remissivo.
Il
fruscio delle foglie divenne un brusio e Rajeth atterrò come
piovuto dal cielo nella piccola radura tra una pianta e l'altra. In una
mano, distesa lungo il fianco, stringeva una specie di sciarpa bianca e
opalescente, nell'altra un frutto succoso.
“Ma...Maestà...”
sbiancò il guardiano, risollevando lo sguardo velato da una
bianca criniera “...Quel frutto non è adatto a
...”
“Che
c'è? Vuoi dire a me cosa
posso o non posso fare?” domandò gelido Rajeth
“No,
certo che no...solo..mi preoccupo per Lei...” rispose
Bellfast abbassando lo sguardo e piegandosi su se stesso
Rajeth
soppesò le sue parole “Certo...”
borbottò infine “Come se non sapessi che tutti
preferite e adorate quel...
quel... mio fratello!” concluse senza aver trovato un epiteto
adatto all'ex sovrano.
“Maestà...”
sorrise debolmente l'altro in un moto di compassione verso quel giovane
uomo che si sentiva detestato da tutti “...tutto
ciò non è affatto vero...”
“Bellfast....non
contraddirmi...” ribatté il moro con un'occhiata
inceneritrice. Quello tacque solo per evitare altri dibattiti inutili.
Rajeth sapeva essere più cocciuto e cieco del fratello.
“Dunque...” disse cominciando a camminare su e
giù per quel prato così ben curato
“...Tu ubbidiresti a qualunque mio ordine...vero?”
“Ma
certo, Maestà...” rispose quello senza la minima
esitazione
“Anche
se ti venisse richiesto di contribuire alla morte di uno o
più concorrenti?” domandò freddo,
tagliente e crudele, studiandone attentamente le reazioni.
“Chiunque sia il concorrente?”
“Certo,
Maestà!” disse senza batter ciglio
“Ognuno è artefice del proprio destino. Qualunque
mia azione potrebbe portare alla morte di chiunque. Tutti siamo
assassini, indirettamente, come tutti siamo salvatori. La colpa sta
nell'intenzionalità del gesto. Se dovessi soppesare ogni mia
azione finirei per non muovermi più, nel timore che il
minimo gesto porti conseguenze dannose ad altri. E forse anche la
stessa immobilità sarebbe, essa stessa, dannosa...”
Rajeth
annuì compiaciuto: era proprio una risposta degna di
Bellfast. Fece roteare in aria il frutto maturo. Sarebbero caduti ai
loro piedi nel modo più semplice...proprio come quel frutto.
A
uno sguardo ravvicinato, si poteva scoprire come il fango che bloccava
la strada non fosse altro che sabbia. Per la precisione, sabbia liquida.
“Sabbie
mobili?” domandò Sarah sbigottita e perplessa.
Com'era possibile che ci fosse qualcosa di simile laddove tutto era
piastrellato? Sentì Jareth, al suo fianco, irrigidirsi.
Probabilmente conosceva quel tipo di trappola “Dai,
su...tranquillo..possiamo guadare lo stesso...non è come nei
film...” disse sorridendogli come se avesse avuto davanti
Toby, spaventato. “Guarda...c'è pure una
corda...”
Jareth
si morse le labbra “Va avanti tu...” le disse
lasciando la presa della sua mano.
“Non
ti fidi?” domandò scettica e offesa. “E
non sei stato tu a dire che dovevamo avanzare assieme?” disse
riprendendogli la mano e cominciando a tirare.
Alle
sue spalle, dal muro oltre le sabbie mobili, si alzò la
risata cristallina di tre donne. Sarah si voltò
immediatamente. Dalle piastrelle erano emerse le figure stilizzate di
tre gufi1.
Come
ogni volta, la ragazza era più che certa non ci fosse nessun
disegno o incisione simile. L'Underground continuava a cambiare
incessantemente, come un organismo.
Le
tre figure si staccarono dal muro e avanzarono, aleggiando sul mare
fangoso. Giunte abbastanza vicine ai tre, reclinarono il capo,
mostrando, sotto il becco del rapace, occhi grandi e di un arancione
tanto intenso da sembrare innaturali. La bocca, se c'era, era coperta
dall'alto collo della veste bianca e nera che indossavano.
“Sua
Maestà sa cosa l'aspetta se dovesse provare ad attraversare
le sabbie...” gracidarono all'unisono le tre figure.
La
ragazza le fissava, perplessa e sbalordita. Poi, ricordandosi una
lontana lezione, soffiò una domanda incredula
“Siete fate?”
Quelle
risero ancora “La campionessa ha infine colto il nostro
legame parentale con le Parche...Rispetto a coloro che cercano di
abbattere i muri del labirinto, noi siamo, esattamente, un gradino
sotto le nostre genitrici...”
"State
decidendo quanto vivremo ancora?” domandò
ingoiando il groppo che le si era formato in gola
“Oh
no, nostra giovane campionessa...noi non abbiamo questo
potere...” disse una
“Noi
siamo solo una loro estensione...possiamo mostrarvi dove siete e quale
sarà, presumibilmente il vostro futuro, in base a
ciò che è stato...” disse un'altra
“Perché
sappiamo bene come, per quanto si cerchi di cambiare, alla fine,
rimaniamo sempre gli stessi... una persona retta continuerà
a comportarsi in modo corretto e un disonesto...puoi star certo che non
diventerà un santo dalla sera alla mattina...”
“Facciamo
una previsione...poi sta al singolo decidere come comportarsi...e in
quali condizioni presentarsi alle Parche...”
“Allora
perché parlate di Jareth come se la sua vita fosse
già segnata?” sbottò rancorosa, senza
nemmeno rendersi conto di quello che aveva fatto
Quelle
non parvero sorprendersi, mentre al diretto interessato
ghiacciò il sangue nelle vene “Non gliel'avete
ancora detto, Maestà?” domandarono soltanto, in
coro
“Detto
cosa?” sibilò lei spostando lo sguardo,
convulsamente, dalle une all'altro.
“Del
maleficio che grava su di lui...e sulla sua stirpe...”
proclamarono le tre
“Se
non me l'ha detto, vuol dire che la cosa non mi riguarda.”
sentenziò dura, avanzando di un passo. Jareth mentiva
sempre, e sempre con uno scopo preciso. Ma d'altronde, si disse,
perché avrebbe dovuto ingannarla? Era una cosa che
riguardava lui e la sua stirpe. Lei, a ben vedere non c'entrava nulla:
erano questioni di famiglia e, quindi, private.
“Oh,
sì che Vi riguarda...ora...” dissero quelle
“Fatevi
da parte!” ringhiò. Avrebbe guadato le sabbie
mobili. Non c'era poi nulla di pericoloso, in realtà.
Sapeva
poco o nulla di reologia2, ma ne
sapeva abbastanza per non farsi fregare su cose pratiche come quella.
Afferrò la corda, avvolgendola intorno al braccio e
assicurandosela alla vita. Quindi avanzò finché
non finì con lo sprofondare nella melma.
Non
si fece prendere dal panico, sapeva (o almeno sperava di sapere) quello
che stava facendo. In ogni caso, non avrebbe dato a quelle tre arpie la
soddisfazione di vederla esitare. Sapeva che, tanto per cominciare, le
sabbie mobili non erano mai troppo profonde. Ma stava pensando
all'Aboveground. Fece mentalmente spallucce: le cose, lì,
non potevano essere sempre il contrario di quello che erano nel suo
mondo.
Aspettò
di smettere di sprofondare e quando, finalmente, si accorse che il
fango non saliva più oltre le ginocchia, alzò lo
sguardo sprezzante e soddisfatta. Il problema più grande,
nelle sabbie mobili, sapeva essere dovuto all'alta viscosità
delle stesse e al fatto che, se strattonata violentemente, la persona
immersa potesse essere addirittura smembrata. E le cause più
probabili di morte, in caso di mancato intervento, erano la fame e la
disidratazione. Ma lei aveva la sua bella corda, pensò
soddisfatta: senza muovere le gambe, si sarebbe trascinata fino
all'altra riva. Bastava non disturbare quella strana sostanza ed essa
sarebbe rimasta solida e compatta, evitando, in quel modo, il
pericoloso effetto ventosa3.
Era
un gioco da ragazzi: un po' lungo e laborioso, ma fondamentalmente
facile.
Toby
si era rimesso in marcia, calciando i sassi che trovava sul suo
cammino. Si era ricacciato le cuffie nelle orecchie, cercando di capire
qualcosa di quello che gli aveva detto quella strana creatura. Dopo
pochi minuti, si rese conto di star vagando alla cieca. Se inizialmente
voleva solo fuggire dalla sua prigione, ora voleva ritrovare sua
sorella. Ma non aveva la più pallida idea di come fare.
Cacciò le mani in tasca in un moto isterico. Calciare,
urlare, picchiare gli alberi, non sarebbe servito a fargliela trovare.
Doveva comportarsi da adulto e cercare, razionalmente, una soluzione.
Eppure, fu in quel gesto impaziente che la soluzione gli
saltò all'occhio. Il suo amuleto porta fortuna ora
sembrava...caldo. Normalmente era freddo come una pietra qualunque. Al
massimo tiepida, quando stava a contatto col corpo per lungo tempo. Ma
mai, neanche quando se lo dimenticava sotto il sole cocente
dell'estate, l'aveva percepito in quel modo. Lo estrasse dalla tasca
per osservarlo, alla ricerca di una giustificazione per quello strano
fenomeno.
La
sfera nel suo pugno emetteva un tenue bagliore pulsante. Toby
inclinò la testa di lato, non capendo cosa stesse
succedendo. Gli sembrò di vedere qualcosa muoversi
all'interno della sfera. Avvicinò la sfera e
strizzò gli occhi per distinguere il movimento all'interno
di quella luce. Di colpo il bagliore scomparve. Si spense come si
può spegnere una lampadina. Lentamente, nel buio,
affiorò, distorta, l'immagine di Jareth. Era vestito
esattamente come gliel'aveva mostrato Rajeth. Teneva davanti a
sé una sfera identica a quella che aveva Toby.
Nel
cuore del ragazzino crebbe la curiosità. Perché
loro due avevano una cosa simile in comune? Ma lasciò da
parte ogni pensiero quando sentì la voce dell'uomo
espandersi dal suo amuleto.
“Io
ti ho portato un regalo...”
diceva la voce dell'uomo con suadente cortesia.
Ed
ecco la voce di sua sorella irrompere incerta, diffidente e curiosa.
Una voce immatura rispetto a quella calda tonalità sicura
che aveva ora che restava pur sempre, riconoscibilissima, la voce
dell'unica sorella che aveva. “Cos'è?”
“E'
un cristallo...”
rispose lui, mettendo in evidenza ciò che sarebbe stato
scontato per chiunque. Ma, notò Toby, aveva eluso la
domanda. Cos'era realmente quella piccola sfera di cristallo? Quella
che entrambi tenevano in mano? Vedeva solo Jareth. E lui sembrava
fissare direttamente entro la sfera e, di conseguenza, dritto negli
occhi di Toby. Forse, si disse, lui stava vedendo quell'esperienza
attraverso gli occhi della sorella. “Niente
di più...”
concluse. Quasi a confonderli (lui e sua sorelle), pur rivelandole
ovvietà, agitò il cristallo tra le mani con
movimenti rapidi, ipnotici e suggestivi degni di un giocoliere.
“Ma
se lo fai girare in questo modo e ci guardi dentro, ti
mostrerà i tuoi sogni. Ma questo non è un dono
per una ragazza comune che si preoccupa per un bambino frignante”.
Ecco...era lui il bambino frignante. Gli bruciava tremendamente sapere
che anche Jareth l'aveva trovato insopportabile. Eppure, solo la sera
prima, l'aveva trovato talmente accogliente e paziente da desiderare di
essere suo figlio. O suo fratello. O comunque di essere importante per
lui. Forse, proprio quel desiderio gli rendeva, ora, tutto
più difficile. “Lo
vuoi?”
disse l'uomo di là dal vetro come se fosse l'ennesima volta
che poneva quella domanda, offrendolo in modo seducente e impositivo,
sottintendendo che, lasciarselo scappare, sarebbe stata una pessima
scelta. Ma Toby già lo aveva, il suo cristallo...ah
già, si disse...stava parlando con sua sorella. Dieci anni
prima. Lui lo fissò serio, dritto negli occhi con i suoi
spaiati, attraverso il vetro. “Quindi
dimentica il bambino!”
Toby
trasecolò. Fino a quel momento aveva voluto vedere solo il
buono che c'era in quell'uomo. Aveva sperato che Rajeth mentisse.
Invece...ecco uscire direttamente dalla sua bocca parole atroci. Lui
aveva sedotto sua sorella. Aveva sfruttato la sua
vulnerabilità. E probabilmente l'aveva fatto anche la sera
prima. Cosa le aveva detto per convincerla a seguirlo? E
perché l'aveva vista danzare abbracciata a lui? Com'era
stato possibile che lei, a quel punto sicuramente sottomessa a lui,
riuscisse a riportare entrambi nel mondo umano?
“Non
posso”
la voce di Sarah echeggiò come uno sparo nel silenzio della
notte. Lei si era rifiutata? Aveva scelto lui al posto de....dei suoi
sogni? Di una vita serena? “Apprezzo
davvero quello che vuoi fare per me...”
La voce le tremava ancora, forse per la paura, forse per la lotta
interiore che stava combattendo. Quello era il suo solito tono, quando
voleva rifiutare una gentilezza che non le era affatto gradita ma
temeva di offendere la controparte. Sì...quella era la Sarah
che lui conosceva e che, quindi, in dieci anni, non era mai cambiata.
“Ma
io voglio indietro mio fratello...sarà così
spaventato...”
Le
lacrime gli offuscarono la vista. Sua sorella aveva scelto davvero lui.
Non avrebbe mai più dubitato di lei. Con vista appannata,
vide il volto di Jareth trasfigurarsi in una maschera di rabbia appena
trattenuta e temette per lei. Anche se, razionalmente, sapeva che non
le sarebbe successo nulla..lei era lì...quindi non doveva
esserle successo nulla di grave...
“Sarah!”
Sibilò lui profondamente seccato. Toby si rese conto
dell'offesa che la sorella gli aveva appena rivolto. Se lui era davvero
innamorato era stato come se lei avesse gettato i doni di lui nella
spazzatura davanti ai suoi occhi. E non tutti gli innamorati si
deprimono. Alcuni, particolarmente possessivi, poco inclini a ricevere
dei rifiuti (e sembrava il caso di Jareth) si indispettiscono al punto
da diventare violenti. Lo vide levare il braccio con la sfera che si
tramutò in un serpente in un battito di ciglia. Si
avvicinò l'animale al volto e lo srotolò tra le
mani, con gesti sicuri e decisi ma delicati. Quindi tornò a
guardarlo. “Non
sfidarmi...”
l'avvertì tagliente lanciando il serpente contro la sfera.
1
gufi
2
Scienza che studia gli equilibri raggiunti nella materia deformata per
effetto di sollecitazioni
3
Per
chi non ci avesse capito nulla...Le sabbie
mobili non sono
piante
carnivore che ti mangiano inesorabilmente... sei impantanato e ci vuole
molta forza per uscirne, ma non è impossibile.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccomi
di nuovo qui!
Volevo
solo dirvi che per le tre strane figure apparse nel labirinto ho fatto
un miscuglio della figura mitica delle Parche, Moire e Norme. Quanto
all'origine del legame con le fate, esso deriva dal latino Fatum
(destino) in quanto erano coloro che presiedevano al Fato.
L'immagine,
di cui vi ho messo il link, è opera di Olbrich, su disegno
di Koloman Moser, e si trova sulle paraste dei fianchi del palazzo
sede della Secessione Viennese. I gufi
sono qui abbinati a corone d'alloro e il binomio sembrerebbe
significare il passaggio dall’inconscio a una conoscenza
superiore del proprio io attraverso il sonno della notte (i gufi). Sia
le Gorgoni sia il gufo erano attributi di Pallade Atena, dea della
saggezza, della vittoria e dei mestieri. Ergo, aspettatevi
qualcosina....
Quanto
a Rajeth...capito qual è il suo sembiante? E chi possa
essere il guardiano? E il frutto? Che frutto sarà? Attendete!
PS:
spero non vi siate meravigliate per l'oggettino che Toby teneva in
tasca... :D ammetto che non è molto pratico...ma io nelle
mie tasche tengo ben di peggio XD
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Capitolo 26 *** Il peso della colpa ***
26. Il
peso della colpa
Per
lo spavento, come se la stesse vivendo in prima persona, Toby
lasciò andare la sfera per proteggersi dal serpente che gli
veniva lanciato contro. La sfera cadde con un tonfo sordo mentre
nell'aria si spegneva la risata sguaiata del suo possessore.
Il
biondino ci impiegò qualche istante a capire e ricordare che
non si trattava di niente di reale. Ammesso che si potesse parlare
così di quel posto. Il suo bizzarro amuleto aveva ripreso a
brillare morbidamente, come una lampada a risparmio energetico prima di
entrare a regime.
“Al
posto di star lì a lampeggiare e a farmi vedere il passato,
sai che potresti anche degnarti di mostrarmi la strada più
veloce per raggiungere mia sorella?” borbottò
offeso. Non ci stava capendo nulla di quel mondo assurdo.
“Ma
se lo fai girare in questo modo e ci guardi dentro, ti
mostrerà i tuoi sogni...”
aveva cantilenato la voce del mago. Ed ecco che, quasi l'avesse davvero
ascoltato, la sfera si mosse. Cominciò a rotolare, attratta
da una forza invisibile, arrestandosi quando raggiunse i cinque metri
di distanza dal ragazzo. Com'ebbe mosso un passo, quella riprese a
rotolare spensierata: voleva essere seguita.
Toby
scosse la testa, divertito: era come inseguire Marking dopo avergli
lanciato un bastoncino. Quello si fermava apposta, zampe anteriori
protese in avanti, coda svettante e scodinzolante dietro, quando lui,
ansante, si accasciava a terra per recuperare fiato. Ora sembrava la
stessa cosa. Decise di procedere a passo sostenuto e di non mettersi a
correre subito, dato che non aveva la più pallida idea di
quanto potesse essere lontana la sua meta. Nel frattempo, voleva capire
come mai possedesse una sfera che, a giudicare da quello che era
accaduto, doveva appartenere a quel regno e non certo al suo mondo.
Inoltre, voleva capire perché, nonostante quello che aveva
visto, non riuscisse a togliersi dalla testa l'idea di un Jareth
estremamente premuroso e dolce. Da lui si sarebbe aspettato tutto: che
fosse un amante dolce e attento, capo carismatico, serio e affidabile,
un mago (perché no?) estremamente potente, magari un po'
buffone e che, probabilmente nascondeva la sua vera natura sensibile
dietro una corazza di strafottenza e arroganza...un po' come gli eroi
dei suoi fumetti1. Tutto si
aspettava da lui. Tranne che potesse essere davvero crudele.
Mentre
Rajeth, che si era presentato amichevolmente, gli aveva dato, da
subito, l'impressione di qualcosa di forzato, innaturale e subdolo.
Ma
allora perché la sfera gli avrebbe rimandato proprio quella
versione di Jareth? Era effettivamente il crudele re dei Goblin che
tutti credevano? O c'era qualcosa di più?
Lo
Ierofante aveva parlato di maledizioni e scelte da prendere... com'era
collegato lui a quel regno? Sì, certo, era stato rapito e vi
aveva soggiornato per...per quanto tempo? Ecco un altro dettaglio di
cui non sapeva nulla. Ma in ogni caso...come poteva riguardarlo una
qualunque situazione di quel mondo?
Quasi
a rispondergli, dalla sfera proruppe, nuovamente, la voce di Jareth.
“Guarda,
Sarah...”
Questa volta suonava dolce, e gentile, come aveva sempre immaginato
dovesse essere in realtà. Toby si avvicinò alla
sfera che si era fermata nuovamente, in modo da permettergli di vedere
la scena che si svolgeva al suo interno. Questa volta, il suo punto di
vista doveva essere all'interno della sfera stessa, perché
Jareth aveva le mani impegnate a tenere sospeso un bambino in
pagliaccietto a righe bianche e rosse...lui! Jareth lo stava...cullando? Cosa
diavolo era mai successo dieci anni prima? Più vedeva
spezzoni del suo passato, meno capiva com'erano andate effettivamente
le cose. “E'
questo che cerchi tanto?”
domandò lui con una punta di irritazione nella voce.
Improvvisamente
gli fu tutto più chiaro: Jareth voleva lui. E stava facendo
di tutto perché Sarah non lo raggiungesse. Si comportava
come un bambino viziato che ha ottenuto il gioco che tanto desiderava e
che, quindi, si permetteva di schernire gli amici che non potevano
permetterselo ma lo desideravano forse anche più di lui
“Tanta
pena per una cosa così piccola...”
disse guardando il fagottino che teneva in braccio. Toby si vide
sorridere, inerme e ingenuo, a quell'uomo, battendo contento le manine,
cercando quasi di parlargli, emettendo gorgoglii inarticolati.
“Ma
non per molto...”
riprese l'uomo, convinto, col cipiglio di chi non ammette replica.
“Lei
presto si dimenticherà di te, mio caro fanciullo”
gli comunicò compiaciuto. Nella voce, c'era un senso di
vittoria che trapelava strisciante anche da come osservava la scena
all'interno della sfera, dove doveva comparirvi l'immagine di sua
sorella.
Toby
sbiancò ancora una volta e lasciò che la sfera
riprendesse a rotolare. Si raddrizzò e la seguì
meccanicamente. Jareth voleva lui e aveva fatto di tutto
perché Sarah demordesse. Eppure...quelle parole gli
suggerivano un'altra, ulteriore, lettura della vicenda. Voleva che lei
si dimenticasse di lui, questo era chiaro. Ma perché?
Qual'era il suo vero obiettivo? Era lui, all'epoca infante, o era lei?
Voleva che perdesse la memoria perché così non
avrebbe avuto nessuno a reclamare il suo trofeo o... perché
finalmente lei si sarebbe arresa a lui e avrebbe accettato le sue
offerte, quei sogni che le aveva proposto nella camera da letto dei
loro genitori?
Il
ballo.
Un'intuizione gli disse che la scena che Rajeth gli aveva mostrato
doveva essere necessariamente successiva a quella appena indicata dalla
sfera. Sarah non era in sé. Ma in qualche modo era riuscita
a gabbare il mago.
Tornò
alle immagini che aveva appena visto e si rimise a pensare. Forse,
Jareth, aveva desiderato entrambi? “Perché
è in te, e anche in tua sorella, che si trova la chiave per
cambiare una situazione... oserei dire..atavica...”
aveva detto lo Ierofante. Quella sarebbe stata l'unica soluzione per un
comportamento tanto ambiguo.
Si
era allungata, prona, su quel mare fangoso, in modo da diventare quasi
parte della scia che avrebbe lasciato dietro di sé tirandosi
a riva. Muovendosi lentamente era riuscita, in pochi minuti a
guadagnare già un metro. Non molto, in realtà, ma
date le particolari condizioni in cui si trovavano, Sarah non poteva
che essere soddisfatta.
Jareth
era rimasto al sicuro con sguardo vacuo. Al suo fianco Marking si era
seduto in docile attesa. “Non avrai paura di sporcarti,
vero?” domandò Sarah quando notò che
lui non la seguiva.
Le
tre strane creature sghignazzarono di nuovo, volteggiando sopra di lei,
quasi danzassero. “Sua Maestà non può
attraversare questo posto...” la informarono divertite.
“Cos'è
questa storia?” ringhiò a indirizzo del biondo.
Lui
si limitò a fissarla senza dire una parola.
Le
tre risero ancora “Come avete svoltato l'angolo, Sua
Maestà ha capito che non c'era niente da fare...per
lui...per questo ha mandato avanti Voi...perché almeno Voi
vi poteste salvare.”
Sarah
non afferrò subito le parole che le erano state rivolte. Ma
quando riuscì a elaborare il pensiero, sbiancò e
il suo cuore perse un battito.
“Sua
Maestà sapeva che questo posto sarebbe stato la Sua
tomba...” gracchiò un'altra ancora, roteando la
testa verso l'ex sovrano, facendole compiere un giro di 180 grandi.
“Di
cosa stanno parlando?” urlò allora lei,
imprigionata nel fango, all'uomo che sembrava versare in uno stato
catatonico
“Per
quanto Sua Maestà non si arrenda davanti alcun ostacolo,
nelle condizioni in cui si trova, è ben conscio di non poter
far nulla.” cinguettò ancora una voce sopra la sua
testa. Ma Sarah, troppo confusa, non la stava più seguendo.
Troppe idee, dettagli che andavano a incastrarsi tra loro, le stavano
tenendo la mente impegnata.
“Va,
Sarah... riprenditi Toby...” borbottò lui.
Sembrava il fantasma di se stesso.
“Se
non mi guidi tu, che senso ha?” urlò disperata
“No so dove andare e da sola di certo non posso vincere
Rajeth”
Lui
sbuffò e distolse lo sguardo. Per un attimo le
sembrò che fosse tornato il solito arrogante di sempre.
“E va bene...” borbottò portandosi le
mani alla vita, in tono di sfida. Quindi avanzò di un paio
di passi, finché la melma non cominciò a
trascinarlo a fondo, e piantò gli occhi sulla punta degli
stivali ormai inglobata dalla melma. Sprofondava a una
velocità impressionante ma Sarah era relativamente
tranquilla: per quanto potesse essere più pesante di lei,
anche lui avrebbe finito per galleggiare. Erano leggi fisiche a cui non
si poteva scappare.
“Le
regole valide nel tuo mondo qui perdono ogni significato...”
le aveva detto all'ingresso del labirinto. All'improvviso, una morsa di
terrore le attanagliò la gola. Perché continuava
a scivolare dentro quella pozzanghera? Ormai le sabbie gli lambivano le
cosce e la discesa non accennava ad arrestarsi.
“Perché?”
domandò angosciata alle creature
“Perché
le sue colpe sono più pesanti delle tue...”
dissero all'unisono con voce che alla ragazza sembrò
rammaricata
“Cosa
vuol dire?” domandò concitata: doveva capire e
alla svelta
“Questo
posto misura la profondità delle tue colpe...E' raro che
qualcuno possa oltrepassarlo senza sporcarsi. Solo gli animali, che non
hanno concezione del bene e del male...”
“Voi
siete un essere umano...è normale che siate contaminata....inoltre,
vi siete macchiata di una colpa molto grave, ma avete anche cercato di
porvi rimedio, per quanto fosse in vostro potere...”
“Sua
Maestà il principe Jareth...” conclusero
“...è gravato dalla colpa dei suoi antenati, una
colpa che non si può rimuovere pur con le migliori
intenzioni. Conscio di ciò, ha cercato di rimediare, per
quanto fosse in suo potere. Ma come sapete anche Voi, la genetica
è qualcosa che non si può cancellare...”
“Residui
della colpa originaria...”
“Li
avete provati anche voi....”
“Crudeltà,
cinismo, menefreghismo... per quanto, letti all'interno di un ordine di
grandezza diverso dal qui e ora, possano assumere un diverso
significato, il suo comportamento non cambia, nella realtà
oggettiva dei fatti...”
Sarah
non aveva seguito nemmeno una parola di tutto quel bombardamento. Aveva
afferrato un solo concetto, semplice e lapidario. Per qualche motivo,
che lei ignorava, lui sarebbe sprofondato fino a morire e ne era
consapevole sin da quando, svoltato l'angolo, erano rimasti
intrappolati tra quella pozza e la parete del labirinto. E aveva scelto
di morire dandole una lezione pratica, perché potesse
capire, piuttosto che attendere una morte lunga e indecorosa. Era pur
sempre un Re nell'animo anche se, al momento, l'unico titolo di cui
poteva fregiarsi era solo quello principe ereditario. Un re, che
preferiva una morte rapida, coraggiosa e dignitosa.
Morire
affogati, per asfissia, lentamente: una delle morti più
atroci. E lui stava affondando con sguardo sereno.
“No!”
urlò Sarah angosciata. Lentamente prese a muoversi a
ritroso, cercando di raggiungerlo. Non sapeva perché, ma
sentiva che avvicinarsi a lui era la cosa giusta da fare. Aveva visto
abbastanza morti nella sua giovane vita e, ora che poteva, di certo non
sarebbe rimasta a guardare senza fare nulla. Annaspò,
cercando, nel contempo, una soluzione quando infine la trovò
“Caricate metà della sua colpa su di
me!” disse alle tre creature.
Quelle
parole riuscirono a risvegliare Jareth dal suo stato di atarassia.
“Che diamine stai dicendo?”
Lei
non lo badò e si rivolse alle figure che aleggiavano sulle
loro teste “Lui ha barattato il suo tempo umano col mio...non
è possibile fare lo stesso?” le
scongiurò
“Ci
rincresce, Campionessa...” dissero quelle, meste
“Non è in nostro potere una simile
operazione...”
“Solo
lui, può farlo...ma avrebbe già provveduto, se
avesse voluto salvarsi la vita...”
“Stupido
cretino!” ringhiò lei esasperata a indirizzo del
biondo a cui le sabbie arrivavano ormai a mezzo busto “Si
può sapere cosa aspetti?”
“Campionessa...”
la interruppero quelle “E' più che probabile che,
anche effettuando un simile travaso, moriate in due...la sua colpa
è più grande di quanto Voi possiate
immaginare...”
“Finché
non proviamo non lo sapremo mai!” disse piantando gli occhi,
ora di un verde intenso, in quelli azzurri di lui. Riuscì,
finalmente, a raggiungerlo e, sempre muovendosi lentamente, pur
nell'agitazione del momento, si mise a cercare la sua mano. Dovette
chinarsi per trovarla, dato che lui teneva le braccia, ostinatamente,
lungo i fianchi “Dammi parte della tua colpa!”
Esigette
“Non
vedo perché dovrei farlo...” replicò
lui seccato. Erano in una situazione disperata e lui continuava a fare
l'arrogante.
“Dammela
e basta!”
“Hanno
ragione...morirai anche tu...e non potrai salvare Toby...”
disse fissandola intensamente
“Da
sola non ci riuscirei comunque!” fu la prima risposta che le
venne in mente
Lui
sghignazzò “Maccome...non eri tu quella che nonostante
tutto ce l'ha fatta, da sola, nella sua stupidità e nella
sua istintività?”
disse richiamando alla mente quello che lei gli aveva rinfacciato alle
porte del labirinto, solo poche ore prima.
“Mi
rimangio tutto...” strepitò lei
“...dannazione...” disse armeggiando col braccio di
lui che si opponeva come un peso morto “Collabora! Stringi la
mia mano...”
“E'
tutto inutile, quel
che è detto, è detto...ed
è un tale peccato...” borbottò. Il
fango era ormai arrivato al mento. E lui non accennava a perdere quel
dannato sorrisetto indisponente
“C'è
il trucco...” si illuminò allora Sarah
“Una volta che sarai stato inglobato tutto, verrai risputato
fuori da là sotto? C'è un passaggio e in
realtà hai le gambe già libere!!!”
Stava farneticando, se ne rendeva conto. Ma non riusciva a concepire un
tale comportamento davanti alla morte.
Lui
scosse la testa e chiuse gli occhi. Pochi istanti ancora e anche il
più lungo dei suoi biondi capelli sarebbe stato assorbito da
quella poltiglia.
“Togliti
i guanti, maledizione!” sbraitò la mora mentre la
mano di lui scivolava tra le sue. Lui non si mosse. In un gesto
disperato cercò, allora, di toglierglielo lei. Ma
l'umidità dell'indumento e delle sue stesse mani sporche di
sabbia non le consentivano una presa salda. Più volte il
braccio scivolò sulla fanghiglia e più volte lei
lo riprese svelta, nel tentativo di trattenerlo. Si rendeva conto di
come fosse un gesto davvero inutile: ormai, il braccio che sbucava dal
terreno era in linea retta col resto del corpo.
Tentò
con la forza della disperazione, finché non
riuscì. A quel punto, emergeva solo la mano,
raccapricciante, dal suolo umido. Affondò il braccio destro
fino a incontrare il suo avambraccio e vi si aggrappò con
tutte le sue forze, nella speranza di riuscire a riportarlo in
superficie. Erano passati solo pochi istanti...un minuto al
massimo....poteva ancora sperare di riuscire a riportarlo in superficie
e di riattivarne la respirazione...aveva una manciata di minuti a
disposizione. Non molti, ma sufficienti a farla sperare.
Disperata,
fece l'ultimo tentativo che le rimaneva, prima di perdere
definitivamente il contatto e, con la mano libera, corse a stringere
quella di lui, che stava finendo di seguire il corpo in fondo al fango.
1
Faccio riferimento a Dark Schneider di Bastard!! (ora
distruggo un mito: un mago un po' cazzone, sensibile al
fascino femminile -per chi non l'avesse mai letto dico solo che se ne
va in giro tutto nudo per buona parte del racconto cercando di farsi le
diverse donne che incontra, pur restando fedelissimo a una sola-,
crudele e malvagio, esplicito in modo imbarazzante....ed è
dichiarato come sia liberamente ispirato proprio a Jareth,
già solo nell'aspetto) e a Ryo Saeba di City
Hunter
(distruggiamo un altro mito: lo sweeper sempre allupato che sembra non
prendere mai nulla sul serio ma freddo e puntuale nel suo lavoro... e
vergognosino dei propri sentimenti...e ripeto...parlo di City
Hunter,
perchè Angel
Heart l'ha
completamente demolito come personaggio, anche se era chiaro che non
era uno spin off o un sequel ma una sorta di what
if?). Sono
entrambi Shonen Manga (cioè fumetti per ragazzi,
prevalentemente di genere avventuroso, sportivo....) per un pubblico
“adulto” ma che sicuramente un ragazzino come Toby
avrebbe letto (io alla sua età li leggevo
ù_ù)
-
- - - - - - - - - - - - - -
Ok,
dato che tanto, per ora, ho finito gli esami, io rimango in incognito
fino alla prossima settimana, nascondendomi di negozio in negozio per
non farmi trovare: so che avete tanta voglia di farmi fuori. Inutile
dire che la colpa non è mia, ma sua, di Jareth che fa
così lo stronzo, vero? Ma abituatevi...per quanto all'inizio
del prossimo capitolo vedrete risolversi questa vicenda, vi
darò continuamente motivi per darmi la caccia. Mi sa che
preparo un bel tragitto around the world per non farmi trovare... XD
Spero
vi piaccia comunque.
E
ricordatevi che Jareth è un bastardo nel midollo...fino alla
fine! ù_ù;;;;
PS:
anche questa settimana ho aggiornato prima per poter aggiornare anche
l'originale, domani... un mesetto di affiancamento mi ci vuole, per non
rimanere completamente orfana di questi miei personaggi. Portate
pazienza per i capricci di quest'autrice sciagurata XD
Ora
comincio a correre sul serio, ciaooo
alla
prossima!
|
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Capitolo 27 *** Di luci... ***
27. Di
luci...
Un
intenso bagliore l'accecò nell'istante in cui le due mani
libere si sfiorarono. La pozza di sabbie mobili svanì
all'istante, come evaporata all'esposizione di un'intensa fonte di
calore direzionata. Il sole aveva preso a brillare in tutta la sua
potenza distruttiva, aveva scacciato tutte le ombre e gli impedimenti,
rivelando la voragine che quel trabocchetto camuffava.
I
due corpi, rimasti sospesi a mezz'aria, scomparvero all'improvviso
entro il pozzo nero, quando la luce si spense, esausta.
Sarah,
esaurite tutte le sue energie, aveva reclinato il capo, addormentandosi
di colpo. Al contrario, Jareth aveva riaperto gli occhi, compiaciuto.
Un sorriso di sfida gli aveva increspato le labbra e, nella caduta,
ruotando su se stesso, si portò alle spalle della ragazza,
abbracciandola, quasi a volerla difendere. O a complimentarsi con lei,
sussurrandogli qualche complimento all'orecchio.
Dietro
di loro, Marking aveva sbadigliato annoiato. Si era alzato e si era
tuffato nella stessa voragine in cui erano precipitati loro.
Rajeth
sbatté gli occhi un paio di volte per riprendere a vedere
normalmente.
Ora,
tutto il bianco della sala gli dava un tremendo fastidio, ma immergersi
nel buio sarebbe stato pure peggio: sarebbe stato assalito da lampi
violacei per la retina ancora fortemente impressionata.
Suo
malgrado, rise sguaiatamente “Che sceneggiata, Jay...Sei
proprio uno spasso...Un po' quella poverina mi fa pena...”
disse in un sospiro comprensivo “Ma tanto, alla fine, stai
cadendo dalla padella alla brace...E stai andando direttamente dove io
volevo che voi andaste...”
Si
fece comparire tra le mani il frutto che aveva sottratto nel giardino
di Bellfast e lo addentò. Era quasi ora. Masticò,
svogliatamente la polpa semiliquida e zuccherina e ripensò
alla reazione del guardiano.
“Maestà..non
dovete...”
era sbiancato come un cencio quando aveva capito le intenzioni del
sovrano
“Ma
è proprio quello che voglio...ottenere i poteri di questo
frutto...”
gli aveva risposto sorridendo “La
morte...”
“Ma
io non intendevo...”
aveva replicato Bellfast
“Oh,
lo so...e infatti non sarà la mia morte a cui
concorrerai...io sarò la morte per qualcun'altro...”
aveva spiegato, confondendolo.
Bellfast,
come tutti i suoi sudditi, era una creatura ingenua e fedele. Fedele al
re del momento. Non alla persona che ricopriva il ruolo. Questo era
chiaro.
D'altronde,
non era concepibile che restassero fedeli, ad esempio, a un sovrano che
fosse stato destituito, quale era stato quell'incapace di suo fratello.
I re servivano a governare. Loro vedevano la meta che il regno doveva
raggiungere. Loro avevano le capacità e i mezzi per operare
scelte e prendere decisioni. Non stava certo al popolino contestare. A
loro bastava venissero soddisfatte le esigenze primarie. Tutto il resto
non li riguardava. Se le scelte sbagliate dei sovrani avessero avuto
ripercussioni anche sulla vita del popolo, allora si avrebbe avuto la
prova dell'incapacità a regnare di quest'ultimo. Ma per il
resto, egli poteva anche perseguire fini personali tramite il suo
ruolo. Chi non lo faceva, d'altronde?
Era
inconcepibile che qualcuno fosse rimasto fedele a Jareth: sarebbe stato
considerato alto tradimento.
Eppure,
per gli stessi motivi, lui non poteva nuocere direttamente, tramite il
suo ruolo, all'ex sovrano, legittimo erede al trono. Né alla
sua accompagnatrice.
Per
avere il sacro diritto al trono, si sarebbe dovuto sbarazzare di
entrambi.
O...beh...c'erano
anche altre soluzioni alternative. Ma non sarebbero state altrettanto
soddisfacenti. O forse sì. Schiuse gli occhi alla luce tenue
della sala. Effettivamente, la trappola che aveva teso loro puntava
più verso una delle tante soluzioni che non alla radicale
eliminazione dei suoi concorrenti.
Ucciderli
entrambi.
Uccidere
solo Jareth e fare sua la campionessa.
Condividere
con loro il trono.
Poteva
lasciarli vivi e vegeti, imprigionati e drogati in modo che facessero
esattamente quello che lui avesse voluto.
La
prima era certamente la soluzione più semplice e meno
laboriosa. Era già sufficiente l'impiccio rappresentato da
Toby, condizione sine qua non... ma non sarebbe mai riuscito a portarlo
a pieno compimento. Non l'avrebbe sopportato.
La
quarta sarebbe stata divertente ma impegnativa, costringendolo a un
continuo controllo del livello di incoscienza dei suoi prigionieri
Quanto
alla terza...era totalmente fuori discussione. No...avrebbe scelto la
quarta via, un ibrido.
Avrebbe
anche potuto sperimentare l'ebrezza della conquista umana per poi
eliminarli tutti e due una volta che si fosse assicurato il potere.
Sbuffò all'idea di come, davanti a un dilemma, si aprissero
una ramificazione tendenzialmente infinita di scelte.
In
ogni caso, sarebbe stato interessante vedere la reazione di Jareth
davanti a quello che aveva in serbo per loro: vedere quali sarebbero
state le differenze tra i comportamenti di due persone così
simili tra loro, due gemelli.
Sempre
ammesso che Jareth non stesse recitando anche nei confronti dei
sentimenti che trasparivano per la ragazza. Suo fratello, da quel punto
di vista, era un vero enigma. Forse per gli anni di reggenza, forse per
l'indole naturale, era diventato un così abile attore che
non si capiva il confine tra la recita e la realtà. Aveva
imparato a padroneggiarsi e a smussare gli angoli taglienti del suo
carattere altero, anche se non al meglio.
Rajeth
fece spallucce. Che gli importava della complessità di suo
fratello? Ognuno, a modo suo, era contorto in egual modo.
Ora
non gli restava che ritrovare Toby. Il regno in cui cercare era molto
vasto e si trattava di un'impresa tutt'altro che semplice. Ma, sorrise,
sapeva già quale poteva essere la sua meta finale e, quindi,
non aveva poi molto da preoccuparsi: gli sarebbe piovuto spontaneamente
tra le braccia.
Macchie
grigie di diverse gradazioni danzavano davanti ai suoi occhi, leggere,
senza fretta, turbinando tra loro, inseguendosi, senza mai ripetere gli
schemi. Una musica, dolce e lontana, riecheggiava triste e nostalgica.
Lentamente riuscì a distinguere le parole. Era una canzone
che le suonava molto familiare.
There's
such a fooled heart
Beating
so fast in search of new dreams
A
love that will last within your heart
I'll
place the moon within your heart
Un
dondolio impercettibile sembrava accompagnare il canto e cullarla come
una zattera alla deriva sul mare piatto. Gradualmente i colori si
fecero più nitidi e sfumature scure si declinarono in
tonalità di bianchi sprammati.
As
the pain sweeps through
Makes
no sense for you
Every
thrill has gone
Wasn't
too much fun at all
But
I'll be there for you-oo-oo
As
the world falls down
Era
forse in paradiso? Davanti a sé vedeva solo una distesa di
petali candidi che ondeggiavano mossi da un tenue venticello.
Non
ricordava cosa fosse successo. Aveva...cercato di salvare Jareth. Fino
a quel punto la sua memoria arrivava tranquillamente. Ma poi? Non
ricordava nient'altro che il panico stringente che l'aveva attanagliata.
Falling
As
the world falls down
Falling
Falling
in love
E
ora? Dovevano essere morti. Perché non si sentiva
più angosciata. Era in un posto stupendo, cullata da quella
voce melodiosa che sapeva appartenere a lui. Chiuse gli occhi e per un
istante se lo immaginò come un angelo del paradiso,
gigantesche ali dorate da barbagianni, i capelli platino scomposti
sulla pelle d'alabastro, vesti candide che avrebbero lasciato poco
spazio all'immaginazione e ingannato sulla sua reale natura. E gli
occhi chiari, mortali e imperscrutabili come il ghiaccio.
I'll
paint you mornings of gold
I'll
spin you Valentine evenings
Though
we're strangers till now
We're
choosing the path between the stars
I'll
leave my love between the stars
No.
Se ci fosse stato lui, tra quelle nuvole di fiori, non sarebbe certo
stata in paradiso. Lui non poteva che essere l'incarnazione di
Lucifero, l'angelo più bello e amato da Dio e da questi
cacciato per la sua arroganza e la sua presunzione. Sì.
Perché Jareth era anche terribilmente arrogante.
Suo
malgrado sorrise di quel desiderio sciocco e infantile.
La
voce si interruppe e, quando lei riaprì gli occhi,
allarmata, domandò divertita “E' così
piacevole il mio canto, mia cara?”
Sarah
girò la testa di scatto, verso la fonte di quel suono
beffardo e incrociò lo sguardo di lui, a un paio di spanne
da sé. Fece per tirarsi su di scatto per capire cosa fosse
successo che un peso delicato sulla spalla la trattenne dov'era.
“Non
farei movimenti bruschi, se fossi in te. Sei svenuta, non
ricordi?” disse lui con voce piatta
“Cosa
è successo?” domandò allora la mora
cercando di orizzontarsi, lasciando che lo sguardo vagasse tutto
attorno. Era stesa sotto alberi in fiore, presumibilmente peri o
ciliegi, con la testa appoggiata sul ventre piatto di lui.
“Sei
svenuta.” ripeté lui, come se stesse fornendo
un'informazione ovvia e scontata. All'occhiataccia di lei,
capì di dover fornire qualche spiegazione in più
“Hai toccato la mia pelle con la tua...e per quanto l'anello
sia un amuleto potente, non lo è a sufficienza per impedire
che il corpo mio deprivato cercasse e riuscisse a riappropriarsi del
proprio potere. Voi la chiamate osmosi...”
“Come
abbiamo fatto con le ore...abbiamo diviso a metà
ciò che era in comune...” Rimuginò lei
strizzando gli occhi, cercando di ricordare “Ma...prima
potevo toccarti senza problemi...” disse incerta, ripensando
a come si fossero tenuti per mano nella prima parte del labirinto.
Cercò di non pensare al bacio che c'era stato, ma il
pensiero corse inevitabilmente anche alle sue labbra.
“Una
volta affrontato lo specchio, tu sei diventata più cosciente
di...tutto questo..” disse alzando gli occhi alla chioma
dell'albero “...e hai cominciato a obbedirmi. Quindi a
fidarti di me...”
“Non
vedo la connessione...” ribatté lei, alzando lo
sguardo al fogliame.
“Vincendo
lo specchio hai accettato le regole di questo posto e hai cercato una
soluzione per eluderle. In qualche modo, parte del tuo potere ha
cominciato a prendere corpo. Obbedendo alle mie indicazioni, dandole
quindi per buone, e fidandoti di me, hai aperto il processo di
reintegrazione della mia persona al suo ruolo. Più ti
fiderai di me più io tornerò quello che ero
prima. Sei tu a dare o togliere a me il potere, ricordi? In quanto fae, come ci
chiamate voi, dotato di poteri magici superiori, la mia natura mi porta
ad assorbire la magia e le peculiarità altrui attraverso le
mani. Certo posso controllarmi ma... al momento sarei come un bambino
che impara da zero o una spugna asciutta: rischio di non sapermi
più gestire. Motivo per cui ho sempre portato i guanti. Non
posso e non voglio venir contaminato da ciò che mi sta
intorno. Sarebbe un gesto molto egoistico, non trovi? Inoltre perderei
la mia individualità, assorbendo ora qui, ora lì.
Fidandoti di me, in quell'occasione mi hai ridato una minima parte dei
miei poteri e ciò vuol dire che sono diventato pericoloso,
per te.”
“Ma
io non ho notato nulla...” replicò la ragazza,
sbalordita
“Ma
basta che l'abbia notato io. E ho fatto bene. E' una cosa che va fatta
gradualmente e tu ne hai perso involontariamente il controllo.Quando mi
hai tolto il guanto e mi hai toccato, io ti ho prosciugato le forze. E'
stato un orgasmo...” disse senza aver la benché
minima intenzione di farla arrossire “In così
breve tempo sei maturata così tanto...” disse
suadente carezzandole la guancia “Sarei curioso di sapere fin
dove può arrivare la tua potenza... se solo accettassi il
tuo ruolo...” Nella voce c'era una nota di tristezza
così profonda che a Sarah si strinse il cuore. Poche ore in
sua compagnia e tutto il muro che si era costruita negli anni stava
crollando a pezzi “E' il caso di muoversi...non ci rimane
più molto tempo...” aggiunse distogliendo lo
sguardo.
La
fece mettere seduta sul prato mentre lui si tirava in piedi di scatto.
Aspettò che lei si sentisse meglio, quindi le porse le mani
e la fece alzare lentamente.
C'era
troppa, pericolosa vicinanza tra loro e Sarah fece per scostarsi da
lui, imbarazzata. Il movimento improvviso le diede il capogiro e Jareth
fu veloce a sostenerla, stringendola a sé.
“Non
fare movimenti azzardati, sei ancora debole...E sei in carenza di
zuccheri...” disse perentorio. Sarah si lasciò
abbracciare, posando il capo sul suo petto. Era una sensazione
così piacevole. Si sentiva protetta, al sicuro...amata. Le
sembrava impossibile aver pensato a quel gesto come una gabbia
contenitiva dove, con altri uomini, si era sempre sentita prigioniera.
Percepì, oltre la cortina assertiva, una sincera
preoccupazione. Era maledettamente maldestro e preoccupato: non
riusciva proprio a essere gentile. E più si atteggiava a
burbero dispotico, più lei notava le sottigliezze delle sue
gentilezze nascoste. Avrebbe potuto amarlo? Ora era decisamente
convinta della fattibilità della cosa.
Eppure,
in un recesso angolino della sua mente, qualcosa le diceva di stare in
guardia, di non fidarsi di quell'uomo. Almeno, non sotto quell'aspetto.
Si
umettò le labbra, impacciata e imbarazzata. Quindi
alzò lo sguardo su di lui. “Non posso prendere uno
di questi frutti?” Nonostante tutto, il desiderio di
ricambiare la sua stretta e di lasciarsi andare, ignorando l'allarme
che le risuonava dentro, era pressante.
Jareth
la guardò divertito, ben conscio dell'attrattiva che poteva
esercitare su di lei non come essere magico ma come semplice uomo.
“Sembri una cerbiattina spaventata” la
canzonò facendole scivolare una mano tra la cascata di
capelli. Le scivolò sul collo e avvicinò
impercettibilmente il volto al suo.
Sarah
era sicura. Lo sentiva anche se non c'erano prove oggettive. Lui stava
per baciarla. O era lei che gli si stava lanciando addosso? Come in
trance non riusciva a frenare quello che prevedeva sarebbe successo.
Ma
il ringhio sommesso di Marking le venne in aiuto e riportò
entrambi alla realtà. Il cane era teso, pronto al salto,
aveva il pelo dritto sulla schiena come non l'aveva mai visto, le
orecchie piatte sulla nuca, gli occhi spalancati e le fauci scoperte.
Tesero
le orecchie e avvertirono, in lontananza, lo scalpiccio di un animale
lanciato al galoppo.
“Dannazione,
Bellfast!” sbottò Jareth “Ci mancava
solo lui...”
Il
biondo non aveva la più pallida idea se fossero sul confine
o nel cuore del frutteto e non aveva, quindi, il minimo piano per
fuggire di là.
Il
suono prodotto dagli zoccoli sul prato sembrava la materializzazione di
passi di danza delle stelle cadenti o giochi infantili di gocce di
rugiada. Il nuovo arrivato rallentò il ritmo fino a che non
divenne un sommesso trottare. Infine si arrestò a una decina
di metri da loro.
Il
ringhio di Marking si abbassò di un'ottava, facendosi
profondo e gutturale.
Accanto
a uno dei molti alberi, il guardiano del giardino svettava fiero e
altero.
Gli
zoccoli rasparono sul terreno come avrebbe fatto un toro nell'arena,
nervoso, pronto a lanciarsi sulla banderilla del torero. Jareth non
provò nemmeno a parlare al guardiano: in quel momento era
accecato dalla profanazione del suo giardino, del giardino proibito
delle fate in cui ogni invasione andava punita con la morte.
Come
in una giostra medievale, Bellfast si inclinò in avanti,
protendendo la sua arma verso il nemico. Quindi, come se qualcuno
avesse fatto loro cenno, i due contendenti si lanciarono l'uno contro
l'altro.
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccomi
qui. Visto? Jareth non è mica morto...figurarsi...ha la
pellaccia dura, quello...
E...avete
visto? c'è stato un bacio mancato..ehhh troppo semplice
sennò XD
Cmq...volevo
ragguagliarvi un attimo sulla scelta del mio frutto.
Sulla famosa pesca mi sono già espressa (e incavolta)
nell'altra fic.
Qui
ho scelto la pera perchè è emblema di due cose
antiteche tra loro. Da una parte è simbolo tipicamente
erotio che ricorda le forme femminili, dall'altro è simbolo
di lutto. Il pero era consacrato alla luna (simbolo femminile) e a Era,
moglie di Zeus, associato ad Afrodite ma era sacro anche ad Atena,
nella sua accezione di dea della morte. Fino a non molto tempo fa, nel
cantone svizzero di Argovia, si piantava un melo quando nasceva un
maschio, un pero se il neonato era femmina. In Cina è segno
di lutto per i fiori bianchi ma anche nel nostro medioevo ha assunto un
aspetto sinistro, forse per il fatto che il legno è fragile,
marcisce e si spezza facilmente. O anche per via dei vermi che ne amano
il frutto.
Altre
leggende e detti popolari lo associano ad esseri maligni,
all'impiccagione e alla vecchia. E' associato anche
all'avidità e a chi fa previsioni proiettando nel futuro i
propri desideri al posto dei dati reali.
Detto
questo... ;) preparatevi per i capitoli finali (per i quali
sarò, ovviamente, altrove)
a
presto!
|
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Capitolo 28 *** .... e di ombre ***
28.
… e di ombre.
Sarah
represse un urlo, coprendosi la bocca con le mani, gli occhi colmi di
orrore.
Nella
sua immaginazione quelle creature erano semplici e indifese, bellezze
rare che andavano protette dallo sterminio. Lo shock di vederne un
esemplare, e scoprirlo così aggressivo, un po' come le era
successo per le fate, dieci anni prima, o i delfini1, nel suo
mondo, solo qualche tempo prima, la paralizzò dal disgusto e
dal terrore.
Bellfast
era un magnifico esemplare di unicorno, gli zoccoli dorati facevano
capolino tra le frange delle zampe caprine e pelose che si innestavano
su di un corpo snello e slanciato. La linea dorsale era dritta e
scattante, sottolineata da una criniera lanuginosa che digradava sul
dorso fino a ricomparire, come una baionetta piumosa, sul limitare
della coda a frusta. Il muso aveva i lineamenti duri, orecchie piccole
e lanceolate da daino oltre a occhi sottili e dorati che lampeggiavano
di collera incontrollata.
Più
di tutto, Sarah temeva per l'incolumità del proprio animale
che sembrava, anch'egli, fuori controllo. Temeva che quel pugnale
dorato, il corno che svettava dalla fronte della controparte, potesse
trafiggerne e straziarne le carni. Temeva che la bestia potesse
prendere a calci il suo cane: sapeva quanto potessero essere devastanti
i calci di equidi, bovidi e cervidi2. Temeva
la follia assassina negli occhi di entrambi.
Li
vide schivare colpi di corno, morsi, calci, zampate per trovarsi,
infine, rampanti, a cercare di infilzarsi e mordersi la giugulare a
vicenda3.
“Intervieni...”
le soffiò nell'orecchio Jareth.
Lei
lo guardò smarrita “E come?”
“Dammi
l'anello...e fidati del tuo potere...” disse porgendole la
mano, in attesa del gioiello. Lei spostò freneticamente lo
sguardo tra lui e i due animali, che continuavano a caricarsi a
vicenda. Trasse un profondo respiro, quindi si sfilò
l'anello e lo porse all'uomo. Quasi avesse improvvisamente freddo alla
mano, se la portò al petto e la coprì con quella
libera. Inspirò a fondo ancora una volta, cercando di
calarsi nei panni della vincitrice, della regina o di qualunque altra
cosa potesse essere, e si avviò a passo svelto e sicuro,
mento proteso alla sua destinazione, braccia serrate lungo i fianchi.
Si concentrò su quanto le aveva detto Jareth, su quelle che
potevano essere le sue capacità. Di certo la sua voce era
uno strumento potente e le parole altrettanto. Non doveva agire
d'istinto. Mai, nell'Undeground, sarebbe stata la scelta peggiore. Come
davanti una bestia feroce. Anche nell'Aboveground. Fermezza, sicurezza,
calma.
“Fermati!”
disse cercando di imitare bene il tono di colui a cui stava rubando le
parole “Fermati, prima che sia troppo tardi!”
A
quelle parole i due contendenti si quietarono di colpo. Bellfast
cambiò immediatamente obiettivo e di diresse velocemente
verso la ragazza, strettamente marcato da Marking. Giunto davanti a
Sarah, piantò gli occhi dorati sulla sua mano come se fosse
cibo. Sembrava mansueto ma la ragazza sentì il lupo
ringhiare sommessamente, quasi a monito dell'altro quadrupede. Sorrise
della premura del suo protettore: poteva pure permettersi di ferirsi un
minimo, pur che lui fosse al sicuro dalla battaglia a cui aveva
assistito. Si chinò, veloce, e gli posò una mano
sotto il muso e una sulla sommità del capo, carezzandolo
vicino al corno e poi giù, lungo la criniera. Il guardiano
sembrò cadere immediatamente in trance, come addormentato,
andando a poggiarsi sulle sue gambe.
Marking
si tranquillizzò e si acciambellò per terra, il
muso nascosto dalla coda.
“Che
è successo?” domandò spiazzata
“E'
il tuo potere4...”
fu la risposta asciutta del biondo che andò a ridarle
l'anello. Quindi si rivolse al guardiano in stato comatoso.
“La finisci, una buona volta, di cercare di incornare me e
quelli che sono al mio seguito?”
“Sì,
signore...” biascicò quello, inebriato.
“Bene...procediamo!”
disse senza più badare l'ormai troppo mansueto Bellfast.
Marking si stiracchiò e trottò dietro al biondo
“Sarah, muoviti!” le ordinò lui,
già avviato verso l'uscita di quel giardino.
Sarah
si rialzò lentamente, scusandosi con la bestia
perché avevano ormai poco tempo. Le girava ancora la testa e
si sentiva stanca nonostante la lunga dormita.
“Senti...” bisbigliò all'orecchio del
maestoso unicorno “Non è che mi lasceresti
prendere una di queste pere? Non ho pranzato e ho fame..” si
giustificò
“Come?”
biascicò l'animale rialzandosi anch'egli “Oh,
sì certo, graziosa fanciulla...tutto quello che
volete...”
Sarah
quasi non lo lasciò finire di rispondere che subito si
fiondò sul frutto più vicino. Lo
staccò e diede un morso famelico. Era dolce, sugosa e
zuccherina...si sentiva già meglio dopo un solo morso.
Eppure... possibile che i suoni si fossero fatti improvvisamente
ovattati? Vide Bellfast riscuotersi dal proprio torpore e sgranare gli
occhioni dorati. Vi lesse terrore e lo vide subito precipitarsi nella
direzione dov'era sparito Jareth.
Sarah
si guardò attorno: non vedeva nulla di pericoloso. Fece
spallucce e mangiò un altro boccone. Chissà cosa
aveva visto da metterlo tanto in allarme. Ed ecco che Jareth
ricompariva tra gli alberi in fiore, il volto livido e angosciato, e
correva verso di lei.
Sarah
sorrise: ora stava bene, non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Ma
ecco che la vista cominciò ad annebbiarsi, facendola
sprofondare in un buio impalpabile. Era caduta in qualche tranello
senza rendersene conto?
La
mano! Non stava dando la mano a Jareth...
Ma...se
lui non se n'era ricordato, forse non doveva essere un dettaglio
così importante, in quel luogo. Forse...erano usciti dal
labirinto, come quando, la volta precedente, era finita nella Palude
dell'Eterno Fetore, ed erano di nuovo liberi di viaggiare
separatamente. Ma allora che stava succedendo?
Rajeth
non aveva aspettato altro.
Come
Sarah ebbe addentato la pera, si materializzò davanti a
Jareth e Marking. Un sorriso di vittoria gli illuminava gli occhi.
“Direi
che siamo giunti alla resa dei conti, non trovi?”
domandò avvicinandoglisi come avrebbe fatto con la propria
preda
“Di
cosa parli? Abbiamo addomesticato Bellfast...”
precisò fissandolo dritto negli occhi
Rajeth
rise di gusto “Mio caro e ingenuo fratello...credi davvero
che non avessi previsto tutto questo?” domandò
avvolgendogli le spalle in un abbraccio “Mmmm”
continuò arricciando le labbra, sovrappensiero
“Non avrai dimenticato anche tu i poteri dei frutti delle
fate...?” Quindi lo lasciò andare, scivolandogli
addosso come un serpente “Oh!” disse con
espressione più preoccupata che potesse fare, portandosi le
mani al volto “Le pere, Jareth...sei sicuro che Sarah non ne
abbia mangiato?”
La
mente del biondo si annebbiò di colpo. Sarah. Era in carenza
di zuccheri. E lui non l'aveva messa in guardia...aveva preferito
stuzzicarla. Non avrebbe mai... c'era anche Bellfast...lui le avrebbe
impedito...
“Signore!
Signore!” urlò l'unicorno arrivando al galoppo
“Signore...Oh...Maestà...” disse
inchinandosi davanti a Rajeth, protendendo una zampa in avanti e
piegando l'altra sotto il torace.
“Cosa
c'è Bellfast?” domandò Rajeth con tono
neutrale
“I
loro signori devo affrettarsi...ho...ho commesso un imperdonabile
errore..io...” blaterò agitato l'animale
“Sarah!”
soffiò Jareth, senza dargli il tempo di finire.
Scansò suo fratello, aggirò il cavallo e corse
nella direzione da cui era venuto.
“Prego
Sua Maestà perché abbia clemenza di
me...io....” continuò imperterrito il guardiano,
sprofondando davanti a Rajeth
“Sì
sì, vai...posso anche capire, stupida capra!
Sparisci...” disse con un movimento enfatico del braccio. Il
quadrupede, testa china a terra, arretrò fino a scomparire
dalla vista del sovrano “Mi hai solo fatto un favore,
Bellfast” ghignò il moro.
Al
suo fianco, Marking rumoreggiò con disapprovazione
“Scusa per prima...” disse carezzandogli la testa
“Ma ricordati che tu appartieni a me...e posso fare di voi
sudditi quello che voglio. Quanto a Sarah, non preoccuparti...non le
verrà torto un capello...Per Jareth non
garantisco...” Così dicendo, si avviò
dietro al fratello, lasciando il grosso cane a rimuginare.
Le
cime degli alberi stormivano, agitate da un vento improvviso.
Tutt'attorno era calato un silenzio innaturale. Anche prima c'era
silenzio ma... era un silenzio vivo, naturale. Ora sembrava che fosse
successo qualcosa e che tutto e tutti fossero in attesa di un evento
specifico. Istintivamente, Toby sapeva che tutto ciò non
lasciava prospettare nulla di buono. Si affrettò dietro alla
sua sfera sperando di arrivare quanto prima da sua sorella. In
lontananza intravedeva l'architettura spiraliforme di quella che era,
probabilmente, la sua destinazione.
Come
Bellfast l'aveva raggiunto, trovandolo piegato su se stesso, Jareth
aveva cominciato a urlare in preda a una rabbia cieca
“Stupido cavallo! Dov'è finita? Perché
non le hai impedito di mangiare quel frutto? Dovrei staccarti il corno
solo per questo!”
“Non
farai proprio niente di tutto ciò!” lo
bloccò Rajeth, indispettito, braccia e gambe incrociate,
schiena appoggiate mollemente all'albero più vicino
“Non è un tuo suddito. Fagli qualcosa e mi
autorizzi a ucciderti, Jay... lui resta il sacro guardiano del giardino
delle fate...”
“Che
ne hai fatto?” sibilò rancoroso il biondo.
Il
moro, per tutta risposta, si limitò a sogghignare inclinando
il capo.
Irritato
da quel comportamento, Jareth si alzò e marciò
verso di lui fregandosene di tutto e di tutti, pronto a colpirlo. Gli
avrebbe cancellato quel ghigno divertito dalla faccia. Quando pensava
che la sua faccia assumeva le sue stesse espressioni, si riempiva di
disgusto. Levò il braccio e già lo stava
lanciando contro il suo obiettivo quando, complice il mancato
contraccolpo a cui si era preparato, che lo sbilanciò, si
accorse di essere solo. Solo e immerso nel buio più totale.
Eppure vedeva distintamente il proprio corpo, i piedi, le mani, i
capelli che fluttuavano sul petto. Ma tutt'attorno...c'era il nulla.
Né il frutteto, né Rajeth, né
Bellfast...niente e nessuno.
Strinse
gli occhi, raddrizzando la schiena, pronto a un qualunque tiro mancino
del fratello. Cosa stava tramando?
Era
preparato a tutto.
Tranne
che a un attacco di quel genere.
Avanzava
lentamente in quel buio privo di sostanza. Senza punti di riferimento a
cui aggrapparsi. Sembrava quasi che tutto attorno quel mondo buio
vorticasse furiosamente. Ovattato, in lontananza, il suono di arpa e
cembali, canti festosi e avvolgenti.
Chiuse
gli occhi per un attimo, confusa e dimentica di tutto, riempiendosi i
polmoni del particolare profumo che impregnava ogni cosa: gelsomino,
glicine, acacia, vaniglia, sandalo...
Si
corresse: voleva dimenticare, lasciare ogni affanno, quasi ad
abbandonare ciò che era stata per rinascere a nuova vita.
Ricominciare tutto da capo... La musica, intanto, si faceva sempre
più incalzante. Il desiderio di essere presente nel luogo da
cui proveniva quella musica le si allargava in petto come una goccia di
inchiostro caduta in un bicchiere d'acqua limpida.
A
cosa stava voltando le spalle? Non le importava già
più. Tutto ciò che voleva era vivere in un posto
che fosse sempre immerso in suoni simili, a metà strada tra
le musiche medievali e quelle arabe... vivere in una corte gitana,
piena di colori, di gioia, di giochi d'acqua, di scherzi e risate... di
amore. Erano i suoi sogni? Era un altro tranello?
Non
riusciva a ricordare chi potesse averle teso una trappola simile
né perché dovesse fare attenzione.
“Lady
Sarah!” voci femminili attorno a sé sembravano
chiamarla
“E'
Lady Sarah!” risero altre avvicinandosi.
“C'è
la festa, Lady Sarah, deve cambiarsi!”
Si
sentì prendere per mano e trascinare da un'euforia
dilagante. Un sorriso spontaneo le venne alle labbra. Improvvisamente
si ritrovò esposta alla luce e riuscì a vedere
tutto ciò che la circondava. Quelli, indubbiamente, non
erano i suoi sogni. Erano una suggestione molto piacevole, una valida
alternativa al suo mondo ideale. Dove si trovava?
Non
era la luce calda del giorno, come avrebbe immaginato, ma quella della
sera. La luna e un'infinità di stelle, che in
città non aveva mai visto, trapuntavano il cielo e
illuminavano la piccola corte di una morbidezza nostalgica e
lattiginosa.
Si
era aspettata una sala chiusa e decorata con mosaici dorati bizantini,
afosa per il caldo proveniente dal sole all'esterno, stracolma di
tappeti polverosi, dove l'unica cosa da fare fosse stare distesi a
consumare il minimo delle energie bevendo cocktail fruttati e
dissetanti.
Invece,
si ritrovava in un posto più simile al vecchio Prince
of Persia5, la
giusta ambientazione de Le
mille e una notte.
Ancora
una volta, ebbe la conferma che quelli non potevano essere i suoi
sogni, i suoi desideri: non era quella, per lei, la giusta associazione
tra musica e paesaggio. Se fosse stato un film, le due cose sarebbero
state completamente scollate tra loro.
Quindi
la domanda giusta da porsi era che luogo fosse quello.
Perché tutti sembravano conoscerla da sempre? O era lei che
non ricordava?
Eppure
era vestita come una di quelle ragazze. Anzi no... era vestita molto
più riccamente di tutte loro messe assieme. Una specie di
sari indiano le avvolgeva il corpo in morbide onde del colore dei fiori
del rigoglioso giardino, una sfumatura tra il carminio e il ciclamino.
Un abbassamento dorato, ricamato con fittissime perline di vetro,
impreziosiva tutto il capo. I polsi, come le caviglie e le orecchie,
erano appesantiti da cerchi colorati e sonanti. I lunghi capelli
corvini erano raccolti in una morbida treccia a cui erano appesi, qui e
lì, dei graziosi e fragranti fiori bianchi simili al glicine.
Si
lasciò trascinare per i corridoi illuminati da raffinate
torce a petrolio fin dentro un ampia stanza che sembrava illuminata a
giorno. Il lucernario del soffitto lasciava che la tenue luce lunare
filtrasse nell'ambiente e andasse a riflettersi nella miriade di
tessere specchianti.
Le
ancelle, così le classificò Sarah nella propria
mente, presero ad affaccendarsi sul suo corpo, spogliandola di quanto
avesse indosso, coprendola di olii profumati, dispiegando metri di
stoffe raffinate e lucenti. La trattavano un po' come una bambola, un
po' come una regina. Si prendevano cura di lei con amore, desiderose
solo di renderla il più bella possibile.
1
Storia
vecchia,
riportata di recente all'attenzione del grande pubblico...
2
Non è un errore che abbia scritto boviDe, EquiDe etc
perché intendevo parlare in generale di Famiglie animali: la
famiglia dei bovidi comprende le sottofamiglie delle antilopi, delle
gazzelle, dei caprini (sotto cui si trovano, a loro volta, le capre
domestiche e il camoscio), i buoi (le mucche); sotto la famiglia dei
cervidi si trovano alci, daini, cervi e caprioli; sotto gli equidi, i
cavalli, gli asini e le zebre.
L'Unicorno,
o Liocorno, è un animale mitico in cui si sono viste, nel
corso dei secoli, somiglianze con diverse famiglie animali.
Comunemente, si pensa sia un cavallo col corno, mentre si è
ipotizzata l'identificazione con un rinoceronte, col celebre Narvalo,
il cui corno veniva spacciato per vero alicorno [è il corno
senza il quale l'animale muore, ricercato perché si pensava
rimettesse in forze i moribondi e proteggesse dagli avvelenamenti (o
più genericamente purificava l'acqua per cui si
polverizzava, ottenendo pozioni contro i veleni), dall'epilessia,
convulsioni, etc;], con un orice (ha due corna molto vicine tra loro
che sarebbero state scambiate per un corno unico), un Okapi o con
l'anomalia di qualche cervide (frequenti in natura). Ma le sue
rappresentazioni grafiche lasciano pensare più alla
deformità di qualche capride. Infatti, l'arte medievale
spesso raffigurava l'unicorno con zoccoli divisi, una barba e un tipo
di coda che lo rendeva più simile a una capra che a un
cavallo.
In
leggende non europee ha il corpo bianco, la testa rossa e gli occhi
azzurri (non entro nello specifico perché, come
già accennato per il corpo di guardia dello Ierofante, ci
addentriamo nel campo delle contaminazioni tra culture: dall'Unicorno
europeo si passa a Qilin o Kirin, Yali, Sin-You, Anggitay, Indrik,
Camahueto, Shadhavar, all'estinto Elasmotherium fino a
tornare alla Chimera nostrana.)
3
Oltre ad aver sfruttato la caratteristica aggressiva dell'animale
(ebbene sì, i bestiari lo descrivevano anche come bestia
feroce che poteva essere ammansito in un solo modo, che è
quello per cui è più conosciuto...vedi la
prossima nota. Ad ogni modo è anche mansueto: non calpesta e
non uccide gli altri esseri viventi) e la naturale di risposta di un
cane/guardiano, in realtà ho preso pari pari dallo stemma
araldico della cittadina di Belstaff (da cui,
ovviamente, il nome, al quale ho aggiunto una L e anagrammato la
seconda parte, tanto per avere una cosa simile a “campanella
veloce”: nella mia testa gli zoccoli, toccando il suolo,
trillano cristallini).
Il
nome deriva dal gaelico Beal
Feirste, ossia
"l'estuario del Farset". E nell'araldica civica c'è un
ippocampo (metà cavallo, metà pesce) cornuto. Da
qui l'adattamento -mio- ad animale terrestre, dato che, oltre a questo
caso, l'unicorno terrestre si trova piazzato un po' ovunque,
nell'araldica anglosassone, spesso accompagnato da un leone/pantera.
Quindi, ho sì interpretato, ma non mi son scostata molto
dalla tradizione.
4
Spiegazione, che Jareth non fornisce: è stato il potere
lasciato libero e da cui sarebbe stato attratto l'animale o la natura
stessa di Sarah, di fanciulla, a ipnotizzare Bellfast? A voi la scelta,
sapendo che:
-la
pantera, effige dell'anello che faceva da filtro, rappresenta l'essere
imbattibile per natura, che attira a sé (o è
amica di) tutti gli altri animali col suo dolce profumo, tranne il
drago (il male supremo con cui deve scontrarsi);
-l'unicorno
poteva essere ammansito solo da una vergine, simbolo della purezza.
Quindi
si tratterebbe, da parte di Bellfast, di esser stato incantato dalla
voce, di brama del potere della ragazza, di semplice reverenza davanti
a un essere superiore che ammalia tutti, di addomesticamento da
leggenda o di paura per la propria vita (ricordate quello che ho detto
del corno)?
Scegliete
la combinazione che preferite XD
Un
buon riassunto della mitologia al riguardo, cmq, se siete curiosi,
potete trovarla qui.
5
Non parlo delle repliche successive e tamarre...ma di questo, l'originale
del 1989!
-
- - -
Prima
che qualcuno chieda conferma: sì, sono fuori dal labirinto e
quindi non
serve più che si tengano per mano (le sabbie mobili li hanno
catapultati all'esterno). Il discorso è ribaltato rispetto
al film: lì
davo per buono il fatto che entro le mura fosse protetta e all'esterno
in pericolo; qui, al contrario, il pericolo corre dentro le mura sotto
forma di trabocchetti ed ecco la necessità di tenersi per
mano.
Come annunciato ci avviciniamo sempre più alla resa dei
conti (no, non sarà un coupe de théâtre
ma sarà una guerra di nervi e tensione...logorante per chi
legge che si concluderà, definitivamente
solo nell'ultimissimo capitolo! Non date nulla per scontato!). Su,
ancora 6 capitoli e sarà tutto finito...forse! XD
Alla fine, credo non vi serviranno i forconi per venirmi a stanare in
Argentina ;)
A presto!
|
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Capitolo 29 *** Ricordi ***
29. Ricordi
Musica
e risa sguaiate riempivano vorticosamente l'aria tutt'intorno.
Sbatté le palpebre un paio di volte, per essere certo di non
star dormendo. Era buio. Lo stesso buio in cui era caduto appena Sarah
era svanita. Gli tornò prepotente alla mente l'ultima cosa
di cui avesse ricordo. Un bacio, non voluto, famelico e possessivo,
impostogli da qualcuno di cui non conosceva il volto. Quanto era
passato da allora? E da quando era stato inghiottito da quel buio
solido? Pochi minuti? Ore? E cosa era successo? Non riusciva a
orizzontarsi né a muoversi e, quindi, non riusciva nemmeno a
fare ipotesi. Eppure il volume andava aumentando progressivamente e
sentiva su di sé, sempre più insistentemente, le
occhiate divertite, curiose, maliziose, talvolta anche compassionevoli,
e le risate di scherno di una folla numerosa
“Ti
diverti?” domandò melliflua la voce di Rajeth
Cercò
di rispondergli, tentato di sputargli dritto in un occhio, ma si avvide
che ogni movimento gli era impedito. Eppure, suo fratello non avrebbe
dovuto avere alcun potere su di lui. Che l'avesse incatenato?
“Se
te lo stai domandando, mio caro, questo è l'effetto che il
mio sangue può avere su un mortale. Sai...l'ha preparato
appositamente Miriam per te. Ti ricordi di Miriam, vero?” La
voce divertita gli girava intorno, confondendolo. “La cara,
povera Miriam, non aveva altro desiderio che avere un tuo bacio. Prima
di morire si intende. Così...visto che invece su di lei il
mio sangue ha avuto tutto il potere distruttivo che avrebbe su
qualunque altro abitatore dell'Underground. Ritieniti fortunato...
Perché, stupidamente, le avevo detto di rovesciare il mio
potere, che lo rendesse mortale per te!”
Nell'oscurità,
Jareth batté gli occhi, pietrificato dalla notizia. Miriam?
Era lei che l'aveva baciato? Ed era...morta? Com'era possibile? Erano
cresciuti insieme e.... e sapeva che Rajeth non era il tipo da
scherzare su queste cose. La memoria corse involontariamente all'ultima
occasione in cui l'aveva vista, il ballo incantato in cui aveva
intrappolato Sarah e usato lei come suo surrogato. Almeno, per la prima
parte di quell'ora magica. Non si era mai reso conto di quello che
agitasse la sua amica,
se poteva chiamarla così, lui che amici non ne aveva
realmente. O forse, l'aveva visto e non aveva voluto indagare, troppo
preso a osservare Sarah, la ragazza che doveva essergli
destinata.
Rajeth,
invece, da esterno qual'era, aveva capito subito e non si era fatto
scrupoli a usare quella debolezza per i propri fini. Un bacio tanto
desiderato, un bacio d'addio che non porta altro che morte. E la
paralisi per lui. Ora capiva cos'era stato quello strano sapore amaro
che aveva percepito nella saliva di lei: aveva bevuto uno dei suoi
intrugli insaporiti dal veleno di Rajeth. Cacciò il pensiero
di essere stato la causa di quella morte. Miriam non era stupida: se
l'avesse voluto davvero morto non avrebbe certo esitato, dato che
avrebbe saputo certamente come fare, in barba a tutte le leggi del
sottosuolo. Fondamentalmente l'aveva aiutato, nel suo modo contorto di
vedere la realtà, da buon Lauro qual'era.
Lentamente,
cominciò a percepire forme indistinte di corpi attorno a
sé. Le luci sciabolavano a sprazzi su quell'ammasso di
gente: sembrava di essere in una discoteca umana. Ruotò gli
occhi fino a incrociare quelli del fratello e capì che c'era
qualcosa fuori posto.
Rajeth
era vestito a festa, con una ricca casacca smanicata e lunga fino a
terra che si apriva sul petto nudo e sui pantaloni rimborsati, a vita
oscenamente bassa. Tra le clavicole, faceva bella mostra di
sé il pendente del regnante in seconda. D'oro e d'argento,
quella goccia rovesciata, a cui mancava la parte superiore (la falce
che lo designava re di Goblin City) per completare la Vesica Piscis1,
originale e matrice di entrambi i pendenti, svettava come la luna nelle
notti senza stelle sulla sua pelle scura. Il suo sorriso smagliante
risultava quasi fastidioso alla vista.
Nonostante
la baldanza sul suo viso, Jareth percepiva in lui un certo nervosismo
e, tutt'attorno, un senso d'aspettativa, come se tutti sapessero che di
lì a poco sarebbe successo qualcosa di estremamente
interessante che nessuno aveva intenzione di perdersi.
Ed
ecco quel qualcosa che tutti aspettavano: dal buio più nero
emerse una figura femminile avvolta in strati di vaporosi veli di
chiffon, la pelle eburnea era circondata da un alone luminoso, merito,
forse, di qualche olio speziato. Jareth la vide avanzare dal fondo
della sala, seria ed estranea a tutto quello che le accadeva attorno.
Non
sembrava nemmeno la stessa persona al fianco della quale aveva
camminato fino a poco tempo prima. Vederla vestita degli abiti scelti
da suo fratello gli provocò una dolorosa stretta allo
stomaco. Nella sua semi nudità era bellissima e conturbante,
sembrava una regina persiana anzi...sembrava...la mortale
Salomé. E lui si sentiva come Giovanni Battista. Come lui,
aveva perso la testa per una ragazzina dotata di un tremendo potere.
Soprattutto, quello di decretare la sua morte. Una ragazzina che era
diventata una donna più fragile di quello che si sarebbe mai
aspettato ma la cui determinazione e onestà erano rimaste
invariate nonostante tutto.
Ovunque
si potessero posare, sul collo, sulla vita, lungo i polsi come tutte le
bordature dell'indumento, gioielli dorati e sonanti impreziosivano la
sua figura, dandole un'aura solenne e magnifica che avrebbe atterrito e
incantato chiunque.
Rajeth
si allontanò da lui e andò incontro alla ragazza.
Le cinse la vita e si portò una mano alle labbra,
stringendola delicatamente. Le bisbigliò qualcosa
all'orecchio e lei sorrise appena, quasi imbarazzata,
lusingata...compiaciuta. Non era il suo solito modo di arrossire,
quando lui la colpiva nel vivo, turbandola nel profondo. Era
così dolce e struggente il modo in cui lei si era comportata
che sembrava essere...l'imbarazzo di un amore platonico ricambiato. Lei
e Rajeth non stavano nemmeno male assieme.
Cercò
di cacciare il pensiero molesto ma, vederli così, uno
affianco all'altra, non poteva che alimentare la gelosia che sentiva
montargli dentro. Avrebbe voluto scomparire davanti a quella evidenza e
al tempo stesso tirare un pugno sul muso del fratello e strappargli
Sarah di mano. Ma non poteva fare nulla di tutto ciò,
bloccato com'era.
Fu,
anzi, costretto a vederli scomparire tra la folla, in un giro di danza
vorticoso e sensuale, che non aveva nulla a che vedere col suo valzer
volutamente lento e provocante. In quel momento erano due anime libere
che si rincorrevano.
Preso
nei suoi pensieri non si accorse che il vociare di sottofondo era
sparito in un violento silenzio. Se ne rese conto solo quando la voce
di Rajeth lo raggiunse telepaticamente, direttamente dentro la sua
testa.
“Ora
ricorda, Sarah...” disse con voce ipnotica.
“Ricordati....di me...”
“No!”
Jareth urlò, istintivamente. Qualunque cosa avesse in mente
il fratello, non era un bene, per lui. Ma dalla sua bocca non emerse
alcun suono. La folla della stanza scomparve in un batter d'occhio e si
ritrovò a pochi metri dai due.
Rajeth
le tendeva la mano, invitandola ad avvicinarglisi, ad andare verso di
lui. Lei fluttuava in aria, come distesa sulla superficie d'acqua. La
vide chiudere gli occhi e sprofondare nei ricordi.
Il
panorama mutò d'improvviso. Si ritrovò vicino
alla vecchia casa di Sarah.
L'acqua
scendeva leggera e fastidiosa, in quella forma adatta a bagnare i campi
nel profondo e a infastidire gli esseri umani. Tutt'intorno regnava una
calma irreale.
Poi,
un urlo squarciò il telo di quella perfezione. La scena si
spostò rapidamente, lasciando le scie dietro di
sé di ciò che c'era, per focalizzarsi su una
strada asfaltata. E su una figura, ammantata in un impermeabile giallo,
raggomitolata a terra.
“Noooo!”
urlò la voce di una giovane donna. Da sotto il cappuccio
nero scivolò fuori una matassa intrecciata di lunghi capelli
neri. “No...svegliati...Merlin...ti prego...ti
prego..” Allora Jareth capì. E gli si strinse il
cuore. “Merlin...non dormire...ora ti porto in ospedale...dal
veterinario...non morire, Merlin...ti prego...non...” la voce
era rotta dal pianto che cercava di trattenere. Per quella ragazzina,
sollevare da sola quel tipo di cane sarebbe stato impossibile
“Merlin...guardami...sono Sarah...Merlin!”
urlò abbracciando la massa di pelo grigio
“Merlin...” continuò a ripetere
affondando la bocca nel pelo dell'animale e prendendo a dondolare su se
stessa, quasi a volerlo cullare, rassicurare.
Il
cane era evidentemente morto: la lingua ormai bluastra che pendeva tra
le zanne, gli occhi sbarrati, il sangue che colava da una delle narici
e l'assenza di alcun movimento toracico ne erano la prova. Non poteva
affatto trattarsi di una morte apparente in cui spesso cadevano gli
animali dopo un urto violento. Merlin era morto. Ecco perché
Sarah, nel labirinto, si era infuriata tanto a una sua, apparentemente
ingenua, domanda.
L'impotenza
lo vincolava a vedere un evento già avvenuto, quando avrebbe
voluto solo correre ad abbracciarla e cancellarle l'orrore che aveva
negli occhi, affogandone il pianto sul suo petto. Ma anche se avesse
provato a muoversi, oltre a essere vincolato nella realtà,
egli non avrebbe potuto comunque modificare alcunché,
aumentando la sua frustrazione. Strinse i pugni lungo i fianchi, pronto
a ingoiare ogni boccone amaro che quell'operazione gli avesse proposto.
“Re
di Goblin...” la sentì biascicare tra le lacrime,
le spalle scosse dal pianto “...aiutami...” Jareth
serrò la mascella. Quando era successo tutto quello? Lui
dov'era? Perché non accorreva? Poi si ricordò di
essere stato incosciente per mesi. Mesi che nell'Aboveground erano
stati anni. “Re di Goblin!” urlò ancora
la ragazza, rovesciando la testa indietro
“Aiutami!” Il volto segnato dal dolore e rigato
dalle lacrime di una giovane Sarah di circa vent'anni, si espose alla
pioggia che continuava a cadere, incurante di tutto.
“Aiutami...” ripeté. L'immagine
tremolò sotto di sé, come un televisore durante
una tempesta, la cui antenna fosse colpita da un fulmine.
“Ricorda,
Sarah...ricorda...” incitò ancora, gentile, la
voce del fratello.
L'immagine
si stabilizzò e proseguì nella sua narrazione.
Qualcuno
apparve, in effetti, al cospetto di Sarah. La mano libera infilata nel
lungo trench avorio, l'altra stretta sul manico di un largo ombrello
rosso. Restò immobile a fissarla per un po'. Quindi la
coprì e si inginocchiò davanti a lei
“Hai bisogno di una mano?” domandò
gentile.
La
ragazza alzò gli occhi annacquati e vacui. La delusione era
riuscita a scavalcare il dolore “I...io....”
mormorò abbassando lo sguardo
“Sì...credo di sì...”
“Allora
reggi...” disse detto l'uomo, passandole l'ombrello. Lei era
rimasta incerta a fissarlo, come se non capisse bene le sue intenzioni.
Quindi lo afferrò tremante. Lui le passò subito
anche il soprabito, si rimboccò le maniche della maglia e,
con gesti esperti, infilò le braccia sotto il corpo
dell'animale. Quindi si tirò in piedi con un movimento
fluido “Apri il bagagliaio, per cortesia...” Disse
avviandosi verso un'auto sportiva nera parcheggiata lì
vicino. Gli interni erano di pelle rossa, così come i freni
a disco visibili tra i raggi dei cerchioni. Sarah armeggiò
impacciata con lo sportello che, infine, si aprì di scatto,
rivelando un vano foderato di tanti sacchetti di plastica. Lui ci
adagiò il corpo, richiuse e con tono concitato la
invitò a salire. Il motore già rombava sotto il
cofano quando Sarah, inebetita, aveva chiuso la portiera. Erano partiti
a razzo in una serpentina veloce e sicura tra il traffico della
cittadina che, in pochi anni, aveva decuplicato il suo parco macchine.
Solo quando erano già in marcia la ragazza si avvide
dell'adesivo che campeggiava in un angolo del parabrezza: la croce
azzurra veterinaria.
“Abiti
lì vicino?” domandò lui scalando la
marcia e inserendo la freccia, preparandosi al sorpasso. Sarah aveva
annuito appena “Dopo chiamerai casa, allora...”
L'auto
si fermò improvvisamente, ma non inchiodando, davanti alla
clinica della zona. Scese velocemente, imitando l'uomo che l'aveva
condotta fin là e che stava già estraendo Merlin
dal bagagliaio. L'ultima volta che ce lo aveva condotto era stato per
l'annuale richiamo. E ricordava distintamente che il medico era un
signore un po' burbero sulla cinquantina. Alzò lo sguardo
sul suo accompagnatore che stava aprendo la porta con una spallata. Lo
seguì in una delle stanze asettiche dove lo vide deporre il
corpo. Con movimenti rapidi e sicuri, afferrò la propria
attrezzatura e lo esaminò.
Sarah
rimase tutto il tempo appoggiata alla parete, pregando che confutasse
la sua diagnosi. Ma quando lui sbuffò appoggiandosi al
tavolo di metallo capì che non c'era nulla da fare. Si
sentì mancare e cercò istintivamente l'appoggio
della sedia più vicina. “Mi dispiace” le
disse lui. Rimase con lo sguardo fisso su un punto imprecisato della
parete davanti per qualche secondo, quindi si ridestò e con
una calma che non si sentiva, si alzò, si
avvicinò al tavolo, carezzò appena la testa di
quello che era stato il suo fedele compagno di giochi. Fissò
poi lo sguardo in quello rosso del medico “Non devo firmare
qualche carta per denunciarne...il … decesso?”
disse senza quasi farsi interrompere dai singhiozzi. Lui
annuì e sparì dalla porta, lasciandoli soli.
Sarah aggirò il tavolo per poter guardare meglio un ultima
volta il suo amico. Si poggiò al tavolo freddo, cercando la
forza per non crollare.
Il
medico aspettò che avesse finito di piangere, quindi
rientrò nella stanza porgendole fazzoletti, telefono
cordless e documenti.
“Se
vuoi scrivo io...intanto che tu telefoni” le disse indicando
il telefono con uno sguardo. Uscì in strada a telefonare,
tirò su col naso e guardò il cielo plumbeo,
cercando la forza per affrontare quella conversazione. Era una zona
relativamente tranquilla e appartata.
Chiamò
suo padre direttamente al lavoro.
“Sarah,
cosa c'è?” domandò Robert quando
sentì la voce incrinata della figlia
“Papà...io
...sono in ambulatorio...Merlin...Merlin è stato
investito...” disse scoppiando nuovamente in singulti
“Ha attraversato la strada insieme a me, come sempre...un
pochino dietro, forse, ma...non si sono fermati...non c'erano
macchine...ho guardato bene! Lo giuro!”
“Sarah...shhh
Sarah ascoltami...vengo subito a prenderti...ma, ascoltami: se quello
che mi hai detto è vero, vuol dire che andavano davvero
veloci. E che al posto di Merlin, ora, potresti esserci tu, stesa su un
tavolo d'obitorio”
“Sarebbe
stato meglio!” replicò lei disperata
“Non posso vivere senza Merlin...era ...tutto per me...
papà!!” urlò piangendo
L'uomo,
dall'altra parte del telefono tacque, potendo solo immaginare il dolore
della figlia che si era attaccata così tanto a quel cane.
“Te
ne prenderò un altro...” disse nel tentativo di
calmarla
“Non
lo voglio un altro! Voglio Merlin...e me l'hanno portato via,
papà...” il suo era un pianto disperato,
straziante. Non resistendo oltre, Robert riagganciò
promettendole di essere da lei in mezzora.
Sarah
rientrò esausta nella clinica. Trovò il medico
che l'aspettava, paziente.
“Le
chiedo scusa...” disse porgendogli il telefono
“Non
ti preoccupare...non sei la prima né l'ultima. E' normale
essere sconvolti...” le disse facendola accomodare in
un'altra stanza che sembrava un ufficio: era attrezzato di
raccoglitori, computer e stampante ad aghi. Dal bollitore prese un
bicchiere d'acqua e glielo porse insieme a delle bustine di
tè. Sarah si sentì avvampare per quella
gentilezza. Ringraziò e accettò. Stava per
chiedergli altro quando lui la anticipò
“Va
un po' meglio?” lei annuì grata in risposta
“Se ti stai preoccupando delle formalità, non devi
proprio pensarci...è compito nostro anche quello. E potrai
venire quando vuoi. A trovarlo” specificò
“La tua è una zona residenziale, non puoi certo
metterti a scavare buche profonde tre metri...lo terremo
noi...”
“Grazie,
Dottore...” rispose. Quell'uomo le stava dando tutto
ciò che avrebbe sempre desiderato dalle persone attorno a
sé: un po' di comprensione e un briciolo di attenzione.
Sembrava trattarla come una persona viva, non come un numero qual'era
quando andava a fare la spesa, in posta, a scuola...
A
scuola le avevano detto quanto potessero essere freddi i veterinari in
quelle occasioni, abituati com'erano a scene di quel tipo. Aveva sempre
temuto quel momento e, fortunatamente, non si era imbattuta in uno di
quegli algidi figuri che trattavano la morte di animale d'affezione
come una pratica seccante. Quel dottore era diverso, era...umano.
Lui
ridacchiò, nervoso e divertito “Chiamami
Rajeth...sono di poco più grande di te...”
La
scena prese ad avvolgersi velocemente in avanti. Jareth vide la sua
Sarah chiusa nella sua camera da letto, raggomitolata nel letto a
baldacchino. Aveva rispolverato un paio dei suoi pupazzi e vi aveva
dormito abbracciata per lunghe notti. La vide dimagrire visibilmente,
tornare alla clinica più e più volte, spesso
tentata di saltare anche le lezioni dell'ultimo anno, tanto....
La
vide guardare i tabelloni dei voti, scoprire di non essere stata
promossa e rimanere imperturbata dalla cosa: se l'aspettava. Il dolore
di quella perdita le aveva impedito di concentrarsi adeguatamente sullo
studio. La vide assorbire come un muro di gomma le lamentele di Karen.
E la vide tornare ancora, ancora e ancora, nell'unico luogo che le
aveva dato un po' di conforto in tutta la sua vita.
La
vide rifiutarsi di avvicinare altri animali, terrorizzata all'idea di
soffrire ancora in quel modo.
Ma
la domanda che più di ogni altra gli affollava la mente era
una sola: come faceva suo fratello Rajeth, reggente in seconda a Goblin
City, a comparire così di frequente nell'Aboveground? E come
faceva a essere così ben integrato in quel mondo?
1
Tanto per capire a che forma di partenza faccio riferimento:
Vesica
Piscis
Per
il talismano in sé, andate a rivedervi quella specie di sito
che ho: ci sono Rajeth e Sarah. Su di lui non si vede
granché, mentre su di lei si vede il medaglione (di Rajeth)
rovesciato, con la goccia in alto. L'idea è quella che da un
unico amuleto a forma di mandorla (o vesica piscis) se ne siano
ottenuti due diversi. Se prolungate idealmente le punte del falcetto di
Jay, ottenete la goccia rovesciata di Raj (più il calco di
quello di Jay, per permettere l'aggancio tra loro dei due amuleti)
- - - - - - - - - - - - - -
Ok, sì, lo so. Non è chiarissimo cosa
è successo a Jareth, vero? bene, sono contenta,
perchè è una cosa voluta. Ovvero... vediamo se
riesco a spiegarmi. In molti casi la mia idea è
più cinematografica che letteraria, quindi alcune
descrizioni non riesco a renderle bene, perchè le vedo
più come suggestioni e spiegarle nel dettaglio
appesantirebbe il tutto. Miriam era solo un personaggio di contorno
che, di proposito, non avevo approfondito.
:( vabbè, non riesco a spiegarmi, ma spero che la cosa sia
più o meno chiara... e anche cosa è successo nel
racconto (tra un capitolo e l'altro...un piccolo Missing Moment).
Ma veniamo alla storia principale... A Jareth non succede nulla di
brutto (per ora XD). Ma Rajeth gli gioca un brutto tiro. Cosa
avrà in mente? Eh eh eh eh eh
continuate a leggere e lo scoprirete.
(ricordatevi che sarà un'escalation di cose poco
piacevoli-per voi- e che, comunque, nulla è come appare.
E Jareth è un fetente imbroglione di prima categoria. E suo
fratello non sarà certo da meno, vero? XD ok, emigro! ciaooo)
Baci!!!
|
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Capitolo 30 *** Black Shadow ***
30. Black
Shadow
Una
risata divertita si propagò nella sua testa mentre le
immagini scorrevano veloci in avanti.
“Jareth
mi sorprendi...” echeggiò Rajeth, divertito
“Che problemi ti poni? Secondo te io cosa ho fatto per tutti
e trecento gli anni del tuo regno?” domandò con
acredine “Trecento anni di esilio forzato? Ho vissuto in giro
per i vari regni, in particolar modo nell'Aboveground. Tu venivi
istruito a corte e io, in quanto tuo sostituto, dovevo pur conoscere il
mondo con cui, forse, avrei avuto a che fare, un giorno lontano... Tu
ti lamenti per qualche mese passato in superficie senza i comfort della
magia! La tua ombra si è creato una vita, ha acquisito
conoscenze... E quando Sarah ha invocato il re di Goblin... beh... in
quel momento tu giacevi infermo privo di conoscenza. Il mio ruolo era
solo temporaneo, dovevo adempiere solo al minimo indispensabile. Non
ero ancora re a tutti gli effetti, come quando sei stato spedito
nell'Aboveground... Avevo i miei impegni... Far comparire la mia auto,
quindi, era uno scherzo da ragazzi e narcotizzare gli umani ogni volta
che Sarah si recava in ambulatorio ancora più semplice...
Forse..” disse facendo il finto tonto che raggiunge
l'illuminazione “...ti stai domandando proprio come facessi a
sapere quando
lei vi si recasse? Quando mi ha convocato, sono rimasto sinceramente
sorpreso. Chi può essere il folle che chiama due volte il re
di Goblin? La riconobbi subito, nonostante fosse cresciuta e ne rimasi
affascinato: lei era riuscita a batterti, era bella come si diceva e...
beh... ero curioso di capire che persona potesse essere e direi che,
osservandola... da umano
ad umana... credo di essermi innamorato di lei... per questo
lunghissimo anno l'ho seguita sempre, arrivando quasi a non chiudere
mai occhio: l'ho vista crescere e fiorire. Direi di avere quasi
più diritto di te, ad averla. Potrei anche proporti un
baratto... che ne dici? Ti lascio il regno, in cambio. Ti avviso, se la
risposta dovesse essere negativa... preparati ad affrontarmi davvero
come un nemico. Non mi farei scrupoli... fratello. Non
temere... non pretendo una risposta immediata. Ti lascio ancora un po'
di tempo per riflettere...”
Quindi
il nastro si interruppe ancora.
Era
una calda sera d'estate.
Sarah
aspettava impaziente davanti alla solita clinica in un semplice e
grazioso abitino di cotone tutto balze e trine. Sembrava più
grande, ora... non molti anni prima del loro nuovo incontro.
“Scusa,
ci ho messo un po'...” l'aveva salutata Rajeth comparendo dal
nulla. Armeggiò un attimo con le chiavi, chiudendo la porta
di ingresso.
“Non
ti ho sentito arrivare...” rispose la giovane con un sorriso
divertito
“Sono
magico, io”
rispose l'altro di rimando
“Potrei
aspettarmi di tutto da te...” fu la risposta sempre
più divertita della ragazza.
Andavano
tremendamente d'accordo, sembravano davvero amici di vecchia data. E
stavano davvero molto bene, assieme.
“Non
dire cose di cui potresti pentirti...” la redarguì
lui, tra il serio e il faceto
“Ho
più paura di quello che credi, di ciò che mi esce
di bocca...” rispose lei
Rajeth,
chino sulla serratura, le lanciò uno sguardo indecifrabile.
“E
ora cosa ho detto?” domandò la ragazza, perplessa
“Meglio
che non te lo dica...” rispose lui con un sorriso che andava
da un orecchio all'altro.
“Dai...non
puoi dirmi così! Ora sono anche più
curiosa!” si imbronciò lei, piantando le mani sui
fianchi, indispettita “E poi cos'è quella sacca?
E' enorme! Dove devi andare?”
“Ma
non puoi stare un po' buona e aspettare i tempi della gente?”
la folgorò Rajeth esasperato dalla sua curiosità.
Lei rise di rimando e lui sbuffò. “E va bene...
tanto non te lo posso nascondere a lungo...”
bofonchiò chinandosi sulla sacca nera. Aprì la
zip con movimento fluido e ne estrasse un fagottino altrettanto scuro
“Non so se sei pronta ma...beh...” disse esponendo
alla luce del sole morente quanto stringeva in braccio. A terra
raggomitolato su se stesso c'era un cucciolo di lupo nero. Le porse il
guinzaglio di cuoio “Se lo vuoi... è tuo... mia
preziosa...”
Sarah
si era inginocchiata a osservare meglio quella piccola cosina nera che
si stava svegliando e stiracchiando. Il riflesso degli occhi gialli
dell'animale calamitò il suo sguardo. Con la coda
dell'occhio notò che la codina aveva preso a spazzare
velocemente il terreno. Diede un piccolo abbaio, si mise in piedi,
quindi le si arrampicò su per la gamba, saltellando per
raggiungere col musino umido la sua faccia.
“Allora?”
domandò ancora Rajeth, impaziente e preoccupato
“Guarda che altrimenti lo tengo io...”
“Posso
davvero?” domandò lei con occhi lucidi
“Beh...credevo
che dopo Merlin...” rispose lui
“Certo
che lo voglio! E'... è troppo carino!” e
così dicendo lo abbracciò d'istinto per
strapazzarlo di coccole. Il cucciolo, non ancora abituato a quel tipo
di atteggiamento, si divincolò dalla presa, fino a cadere
con un tonfo sordo a terra. Si rialzò e abbaiò
violentemente, codino a uncino che svettava in cima al sedere, muso e
zampe anteriori protese in avanti, quasi a sfidarla.
Rajeth,
dopo aver riposto il trasportino nella sua auto, si sedette per terra,
aspettando che i due familiarizzassero. Sarah non si fece problemi a
buttarsi per terra col cane, carponi, nonostante l'abitino carino.
“Dai...vi
accompagno a casa...” disse Rajeth tendendole la mano per
aiutarla a rialzarsi. Si avviarono a piedi verso il quartiere
residenziale, fianco a fianco, col cagnetto che già tirava
al guinzaglio
“Però
poi tu devi tornare da solo...” protestò Sarah,
più d'una volta
“Non
ti preoccupare” rispose lui con un alzata di spalle
“Oggi vado dai miei...”
“Davvero?
E abitano in zona?” aveva domandato la ragazza, ignara di
tutto
“A due passi...”
aveva detto ridendo Rajeth e un insulto era passato nella mente di
Jareth
“E...
lui da dove viene?” domandò la ragazza, dopo
qualche metro, indicando il cane
“Oh...
un mio... amico...
ha avuto la cucciolata... e questo era un po' sotto peso e non potevano
tenerlo... sai, la caccia...” disse con fare allusivo.
Allora
Jareth si ricordò: poco prima che fosse dimesso e spedito
nel mondo umano -i tempi coincidevano alla perfezione- Garmr1,
che con i suoi figli presiedeva i confini di tutto l'Underground, aveva
figliato ancora una volta. Uno dei cuccioli era sparito, ritenuto
troppo debole per sopravvivere. Quindi era stata opera di Rahjeth; lui
l'aveva portato nell'Aboveground. Un ragionamento sensato e molto
umano: i pochi mesi che avrebbe potuto vivere nel sottosuolo sarebbero
stati anni umani, durante i quali avrebbe avuto tutto il tempo di
rimettersi in forze.
Stavano
camminando tranquillamente in silenzio quando per qualche motivo, Sarah
sentì il bisogno di prendere Rajeth per mano.
Chinò la testa, visibilmente imbarazzata.
“Grazie”
sussurrò “Grazie per tutto...” disse
alzando lo sguardo su di lui “..per essermi stato dietro ed
esserti preso così cura di una ragazzina tanto
problematica...”
“Non
sei poi molto più giovane di me..”
replicò lui distogliendo lo sguardo in evidente
difficoltà
“Ecco...
una cosa che non ho mai capito... di che anno sei? Perché
quando ci siamo conosciuti, praticavi già...”
domandò dubbiosa
“Avevo
appena cominciato... ero solo un apprendista sbarbatello fresco fresco
della facoltà di medicina... avevo...”
esitò, facendo rapidamente due conti. Non riusciva in alcun
modo a farli quadrare, quindi improvvisò “Sai...
io ero un piccolo genio..”
“Scusa
tanto se mi son fatta bocciare!” replicò lei
indispettita “E non mi hai ancora risposto...”
“Se
ti dicessi che ora ne ho ventisette2?”
Lei
si incupì “Sì... sei un piccolo
genio...” borbottò.
“Su
su...hai appena cominciato l'università e già ti
deprimi?” Ridacchiò lui.
Passarono
davanti a un locale, dalla cui porta aperta uscivano le note melodiose
del live che si svolgeva all'interno. Riconobbe subito la musica
arabeggiante e l'interferenza che essa cercava di esercitare: Jareth,
consciamente o meno, cercava di riaffiorare nei suoi, di lei, ricordi.
Istintivamente,
le strinse la mano: non gliel'avrebbe ceduta così facilmente.
“Cosa
c'è?” domandò perplessa la mora,
notando il suo comportamento strano
In
the shadow of the moon,3
She
danced in the starlight
Whispering
a haunting tune
To
the night...
[All'ombra
della luna/lei danzava alla luce delle stelle/sussurrando una melodia
incancellabile/ alla notte]
“Reciti
ancora di notte, sotto la luna4?”
domandò di getto, roso dalla gelosia, dopo aver sentito le
prime parole della canzone.
La
sentì irrigidirsi “Come...come lo
sai...?” aveva gli occhi sbarrati dalla paura
Velvet
skirts spun 'round and 'round
Fire
in her stare
In
the woods without a sound
No
one cared...
[Gonne
di velluto danzano girando, girando/ il fuoco nel suo sguardo fisso/
nel boschetto privo di suoni/ nessuno se ne interessa]
“Me
l'hai raccontato tu una sera... forse eri sbronza... dicesti che era la
tua valvola di sfogo...” rispose Rajeth cercando di parare il
colpo e ricacciare la gelosia, mentre la pensava abbracciata al
fratello “Questa non era la tua preferita?”
Lei
accennò una risposta affermativa “Non credevo
potesse..interessarti... o che, addirittura, potessi
ricordartene...”
Through
the darkened fields entranced,
Music
made her poor heart dance,
Thinking
of a lost romance...
Long
ago...
[Attraverso
l'entrata dei campi oscuri/ la musica fa danzare il suo cuore/ pensando
a un amore perduto/ molto tempo fa]
“Io
so tutto di te... molto più di quello che
immagini...” le aveva risposto lui dopo un attimo. Le si era
avvicinato, spinto a muoversi da quella melodia e da quella voce di
sirena che sentiva così familiare e affine.
Si
chinò su di lei e la baciò, delicato a fior di
labbra, quasi un bacio consolatorio, nulla di possessivo.
Nonostante
tutto.
Quando
si rese conto di quello che stava facendo, pensò che lei si
sarebbe ritratta subito. Invece, con sua grande sorpresa, lei non si
era allontanata.
Feeling
lonely, feeling sad,
She
cried in the moonlight.
Driven
by a world gone mad
She
took flight...
[Sentendosi
sola, sentendosi triste/ lei piangeva alla luce della luna/ Guidata da
un mondo ammattito/prese il volo]
Una
lacrima, però, le aveva solcato la guancia.
Lui
si era scansato immediatamente, sentendosi colpevole. Ma lei l'aveva
trattenuto, stringendogli la mano di rimando: non gli permetteva di
lasciarla. Si sentì in dovere di rassicurarla e
assecondò la canzone. La conosceva fin troppo bene.
Ricalcò le parole. Offrendogli se stesso.
"Feel
no sorrow, feel no pain,
Feel
no hurt, there's nothing gained...
Only
love will then remain"
She
would say.
[“Non
sentire afflizione, pena/ ferite, nulla è garantito... /
solo l'amore rimarrà”/ avrebbe voluto dire]
Lei
si liberò dalla sua stretta e Rajeth pensò di
aver rovinato tutto, di aver passato il segno. Ma le esili e tremanti
dita della ragazza lo riagguantarono, andando ad intrecciarsi tra i
lunghi capelli scuri. Lo tirò a sé e lo
baciò.
La
musica in sottofondo scemava verso la fine e loro sembravano essere
intrappolati in una bolla insonorizzata e invisibile al mondo.
“Scommetto
che la cosa ti infastidisce parecchio” La voce di Rajeth
soffiò, improvvisamente, troppo vicina al suo orecchio.
“Eravamo una splendida coppietta, non trovi?” disse
ancora l'altro, canzonandolo. “Peccato che di lì a
poco le cose sarebbero precipitate...”
Così
dicendo, il nastro prese ad avvolgersi, nuovamente, a gran
velocità. Non si soffermò su nessun dettaglio in
particolare e si interruppe quasi subito.
Era
il primo pomeriggio di una bella giornata primaverile.
La
scena si svolgeva, ancora una volta, in strada al centro di un incrocio
dove le lamiere contorte di un paio d'auto sembravano essere spaccature
del terreno da cui fosse fuoriuscita la lava sottostante. Tutt'attorno,
a mo' di cordone di sicurezza, gazzelle della polizia, camionette dei
pompieri e ambulanze. Dietro quella barriera di nastri gialli e neri e
di mezzi di soccorso, una grande folla si accalcava, curiosa. Appena
oltre il nastro di plastica che delineava il perimetro oltre il quale i
civili non potevano avvicinarsi, Sarah avanzava lentamente verso le
auto sventrate. A terra diversi teli coprivano altrettanti corpi.
Si
chinò, esitante. Prese un gran respiro e quando si
sentì pronta, sollevò un lembo di tessuto.
Immediatamente girò la testa altrove. Un poliziotto la
affiancò, dicendole che non era necessario che lo facesse da
sola e tutto in una volta. Ma lei si era subito riscossa e si era
diretta verso il secondo corpo che le era stato indicato.
Ripeté l'operazione. La reazione fu la medesima anche se
riuscì a sostenere la vista della donna morta un po'
più a lungo. Coprì di nuovo con cura. Con una
calma che non le apparteneva, alzò lo sguardo sull'uomo in
divisa e annuì soltanto “Sono loro...”
Una
donna la avvicinò e la prese per le spalle, guidandola verso
la volante che aspettava con i lampeggianti che giravano a vuoto, senza
emettere un sibilo. Sarah fu portata in centrale dove dovette deporre e
fornire tutti i dati per il decesso e la tumulazione dei due adulti.
Quei
funzionari furono così freddi, sbrigativi...burocratici, da
non permettere alla ragazza di elaborare il proprio lutto. Forse, si
sarebbe giustificata poi, il suo sangue freddo era determinato dal
fatto di non aver assistito alla tragedia in prima persona. Forse, era
stata vaccinata dalla morte di Merlin. Ma quei corpi stesi sull'asfalto
non le sembravano minimamente quelli dei propri genitori. Erano
più simili a bambole di cera, con un colorito
così emaciato da far pensare solo a delle bambole abbastanza
fedeli ma per niente somiglianti.
Quando
uscì dalla centrale, si avviò a casa,
meditabonda. Doveva dirlo a Toby e doveva scegliere con cura le parole.
Ora sarebbero stati da soli. Loro due e basta. E lei, la più
grande, non poteva permettersi il lusso di dare in escandescenze come
aveva fatto con Merlin, doveva assorbire con amore tutto il dolore che
il fratello avrebbe espresso. Sapeva come ci si sentiva e sapeva di
cosa si aveva bisogno in quel momento. Svoltato l'angolo,
però, non poté impedirsi di farsi venire un
groppo in gola. Forse, aveva realizzato solo in quel momento cosa
comportasse realmente tutto quello che era successo. La sua, la loro
vita era stravolta. Era vero che non andava a confidarsi con nessuno
dei due adulti, ma... se avesse voluto, avrebbe sempre potuto. Ora non
avrebbe avuto nessuno a casa che l'aspettasse e le chiedesse come
stesse, nessuno da cui, eventualmente, farsi consolare e carezzare la
testa. Nessuno con cui prendersela, alzare la voce o sbattere la porta
qualora fosse stata irritata.
“Re
di Goblin...” biascicò implorante
“Aiutami! Aiutami...ti prego...” aveva detto
accasciandosi contro un muro e raggomitolandosi su se stessa. Attorno a
lei, la vita continuava come nulla fosse accaduto. Nessuno partecipava
del suo dolore, nessuno era interessato alla sua sofferenza. Nessuno
sembrava minimamente notare una ragazza distrutta sul ciglio della
strada. Tutti tiravano dritto, quasi infastiditi da quella scena
pietosa.
E
nessun essere magico in abiti svolazzanti era comparso dinnanzi a lei.
Nessuno
l'avrebbe aiutata. Quella era la vita reale e doveva rimboccarsi le
maniche per uscirci: non c'erano scorciatoie fantastiche.
Alzò
lo sguardo quando un frusciare di foglie aveva agitato l'albero vicino,
quasi sperando che la sua fantasia infantile finalmente si realizzasse.
Ma tra i rami, non c'era nessuno.
Chinò
la testa, vinta dalla tristezza e dall'abbandono. “Che tu sia
maledetto!” sibilò rancorosa. Si rialzò
in piedi, cacciò le lacrime e si diresse verso casa.
Quando
si fu allontanata, dall'albero si srotolò un lungo pitone
nero la cui lingua sferzò l'aria in segno di
disapprovazione. Gli occhietti verdi dardeggiarono alla luce del sole,
seguendo la direzione imboccata dalla ragazza.
Le
immagini mostrarono, quindi, sommariamente, Sarah che tornava a casa e
parlava con Toby, lo consolava e lo faceva piangere. Ripresero a
scorrere normalmente nel momento in cui si chiuse la porta della camera
da letto alle spalle, sul calar del sole.
Lo
scampanellio alla porta le fece fare le scale di corsa. Si
precipitò alla porta e quando aprì, Rajeth era
lì, trafelato. Senza dirle nulla, la abbracciò di
slancio, comunicandole tutta la sua solidarietà
“Mi dispiace...” le disse all'orecchio
“Mi dispiace tanto...”
Lei
si tirò indietro, come indebolita da quel contatto. Con
occhi lucidi cercò i suoi “Come... come hai fatto
a saperlo?”il sospetto e la rabbia la travolsero. Forse era
davvero un essere magico. Quella somiglianza non poteva essere
casuale. Ma allora perché aveva tardato tanto? Poteva
davvero essere lui,
sotto mentite spoglie, come aveva pensato anni prima, che giocava a
fare l'essere umano? Ma perché essere così
crudele, allora? Perché giocare con lei a quel modo?
“La
mia radio è sintonizzata con quella delle forze
dell'ordine...” disse lui solamente, perplesso dalla sua
reazione.
Sentendosi
una sciocca, lei si rituffò nel suo abbraccio caldo e
protettivo “Perché non c'eri tu, oggi, al posto di
quella manica di... di... oddio... erano così freddi...
così... non gliene fregava nulla... un morto per loro
è come... non è altro che un numero da aggiungere
agli archivi...”
“Ti
hanno trattata così male?” domandò
preoccupato, avanzando in casa sua senza chiederle nemmeno il permesso
“No...quello
no...mi hanno offerto anche da bere ma... non capivano...erano come seccati della
mia... emotività... io..io...ho cercato di essere il
più forte possibile...di...di non scoppiare a piangere..di
non ...farmi tremare la voce come adesso...ma....” Non
riuscì a dire altro che l'abbraccio di lui la
soffocò
“Ecco
perché odio gli esseri umani...”
ringhiò Rajeth tra sé
1 Diciamo,
in soldoni, che Garmr
è il corrispettivo norreno di Cerbero
2
La vicenda si svolge, nello specifico, quando Sarah ha 21 anni. Vedo di
farvi uno schema di quello che ho io nel cervello.
Ricordo
che per conti errati (ma tanto nelle opere di fantasia è
sempre così...si usano attori pure vecchi per ruoli di
giovincelli) avevo deciso, a inizio della fic, che Jareth (e quindi
anche Rajeth) ne abbia una trentina. Sarah -ve lo ricordo- ne ha 25-26.
Dunque,
quando morì Merlin, Sarah ne aveva 19. Di conseguenza,
Rajeth, al loro primo incontro, deve dire di averne avuti 24. Un
piccolo genio potrebbe effettivamente essersi laureato per
quell'età.
E
cmq è una fic, fatevelo andare bene come ragionamento! XD
già lui si è incasinato....perché
avendo, in realtà, 300 anni, ciclicamente è
costretto a ricominciare da zero il proprio percorso formativo per
riuscire a sopravvivere nel mondo umano.
3
Blackmore's Night, Shadow
of the moon, 1. Shadow
of the moon
4
La cosa casca a fagiolo, dato che nel libro ispirato al film
“al
chiar di luna […]
sotto le stelle […]
la ragazza si allontanò lentamente dagli alberi verso il
centro della radura dove luccicava uno specchio d'acqua […]
alla
luce del crepuscolo”
-
- - - - - - - - - - - - - - - - -
E direi che con questa, ho chiuso la serie di disgrazie che hanno
offuscato il passato di Sarah e Toby.
Ho chiarito anche, una volta per tutte, cosa agitasse Rajeth sin
dall'inizio? :) una gran bastardata, lo so. Ma lui, sin dall'inizio,
non era minimamente interessato a far del male a Sarah...
Dai...tra un mese sarà tutto finito, promesso!
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Capitolo 31 *** Responsabilità e conseguenze ***
31.
Responsabilità e conseguenze.
Il
nastro corse ancora una volta avanti e mostrò i funerali dei
signori Williams. In prima fila, Toby e Sarah ricevevano le
condoglianze di amici, conoscenti, parenti e colleghi.
Di
Rajeth nemmeno l'ombra.
Si
incontrarono una sera, qualche giorno dopo. Lui le aveva dato
appuntamento alla clinica tramite un sms. Quando si incontrarono, era
vestito completamente di nero, come lei, come la notte, come il cane
che lei si era portato appresso: il colore del lutto e dell'addio.
“Mi
dispiace non essere stato presente...” si
giustificò tenendo lo sguardo basso.
“Non..non
preoccuparti...” aveva risposto con un sorriso tirato
“Avrai avuto il tuo daffare...e per me hai fatto
tantissimo...” disse affondando le mani nella criniera del
cane già grande
“Io...
credo di doverti salutare...” disse senza riuscire a
guardarla negli occhi “Ho...ho avuto anch'io dei... problemi...a
casa... non posso più sottrarmi ai miei doveri di
capofamiglia... devo ritornare in pianta stabile e prendere in
mano...”
Lei
non l'aveva fatto finire “Certo...non...non ti
preoccupare...capisco...”
“Non
è stato un capriccio, fare il veterinario, incontrare te...
voglio che questo tu ce l'abbia ben chiaro... sempre!” disse
prendendole le mani e puntando su di esse lo sguardo rovente
“...Non ti ho mai mentito... solo che ora... devo...
tornare...”
Lei
annuì, perplessa, anche il suo sguardo puntato sul dorso
delle loro mani intrecciate “Ma...così,
all'improvviso?”
“Così
va la vita...” aveva risposto lui in un soffio
“Oggi ci sei...domani...” Una goccia aveva bagnato
le loro mani. Non era prevista pioggia per quella sera. Rajeth
alzò gli occhi al cielo e si accorse che quella che l'aveva
bagnato non era altro che una lacrima. “Non... non volevo
dire...” balbettò impreparato.
“Scusami...”
rispose lei, asciugandosi gli occhi “E' che...
rimarrò davvero sola... se te ne vai anche tu...”
Lui
serrò la mascella e strinse forte le mani di lei nelle sue
“Se potessi, ti chiederei di venire con me... Ma non posso...
non ancora... anzi...”
“Non
preoccuparti per me... capisco...” disse con voce rotta.
Certo, capiva, ma non voleva né poteva accettare anche
quella separazione
“Perdonami,
Sarah...” fu l'unica cosa che le disse prima di baciarla per
l'ultima volta. Le mani affusolate affondavano tra i capelli scuri,
all'altezza delle tempie “Davvero..che tu possa perdonarmi...
mia preziosa” disse quando si staccò da lei,
posandole un bacio sulla fronte. Lei lo abbracciò con
trasporto ma la cosa non fece che ferirlo di più. Chiuse gli
occhi e si costrinse a fare il suo dovere. Una luce accecante
inondò la zona disabitata vicino all'ambulatorio.
Quando
Sarah riaprì gli occhi, ancora umidi di pianto, era sola.
Guardò il proprio cane, perplessa.
“Che
giro lungo abbiamo fatto, eh..? Forse è il caso di
rientrare... si è fatto tardi...” gli disse
rivolgendogli un sorriso triste e incamminandosi sulla strada del
ritorno
Piombarono,
improvvisi, l'oscurità e il silenzio. Jareth era confuso e
spaesato. Cosa voleva dire tutto quello a cui aveva assistito?
“Se
te lo stai domandando...sì...le ho cancellato la memoria che
aveva di me in tutti questi anni...” disse Rajeth emergendo
dal buio. Drappeggiato di bianco, con voce tanto profonda, sembrava
quasi uno spettro. “Perché?”
domandò dando voce alla domanda inespressa. A quel punto
anche la figura di Sarah si manifestò, immobile mentre tutti
i veli del suo vestito le fluttuavano intorno. “Per il
semplice motivo che io sono il tuo dannato sostituto! Non mi
è concesso portare modifiche allo stato di cose in atto
finché ci sei tu. Da essere umano avrei potuto fare quello
che preferivo. Ma ora...questo...”
disse mostrandogli il proprio pendente “Mi vincola alla tua
persona. Finché sei vivo tu e finché non torni
sul trono o finché non muori, io non posso fare nulla! Non
potevo nemmeno rimanere nell'Aboveground perché dovevi
venirci tu. Io sono sempre stato subordinato a te.”
“Cosa
vuoi che faccia?” riuscì a domandare Jareth,
l'effetto del narcotico stava svanendo
“Scegliere.
Tra il regno e lei.” rispose senza batter ciglio
“Non
pensi che la scelta dovrebbe spettare a lei? Non è un pacco
che puoi passarti di mano in mano senza tener conto della sua
volontà.” replicò freddo l'ex re di
Goblin
“Dopo
quello che hai visto...ancora non capisci?” sputò
velenoso il moro “Credo che per lei sarebbe imbarazzante
dover rifiutare uno dei due, non credi? Anche se ho una mezza idea di
colui che verrebbe scelto... ”
“Cosa
vuoi fare? Scegliere tu per lei?” sputò divertito
Jareth, sfidandolo
“Precisamente...”
bofonchiò il fratello
“Così
non contravvieni agli ordini? Tu non puoi cambiare lo stato di cose...
non finché ci sono io. Se mi uccidi modifichi lo status quo.
Avresti dovuto pregare che morissi durante quest'anno... di malattia o
in un incidente nel mondo umano...”
“E
chi lo dice che intendo infrangere gli ordini?”
replicò indispettito il moro
“Se
tu ti spogliassi della tua carica, sarebbe comunque una grave
mancanza... Se me la cedessi, altrettanto...”
precisò il biondo
“Infatti
voglio combattere ad armi pari, io...basta che lei accetti il suo ruolo
di regina e allora potremo arrangiarci tra noi...” disse
mellifluo
“E
come pensi di fare, sono proprio curioso...”
replicò Jareth
“Fratello...”
rise il moro avviandosi verso Sarah e prendendola tra le braccia
“Dimentichi quanto possa essere potente un mio
bacio?”
Prima
che il biondo potesse dire nulla, Rajeth si era già
avventato sul collo della ragazza. Un dolore lancinante
colpì, però, tutti e tre
“Così siamo tutti nella stessa barca... mal
comune... è come se non ci fosse per nessuno,
giusto?”
“Non
stiamo parlando di matematica!” replicò Jareth
immobile, impossibilitato anche a portarsi una mano alla spalla
dolorante “Cosa le hai fatto?” ringhiò
mentre Rajeth si andava a sistemare ai suoi piedi, in attesa.
“Vi
ho indotto un sogno lucido. In cui lei sceglierà di prendere
il proprio posto. O di cedere a te il comando senza che io debba per
forza intervenire...” fu la risposta del moro, prima che si
girasse su un fianco, cercando di dormire.
“Vi?
Che vuol dire?” domandò confuso il biondo
Rajeth
sbuffò e si voltò “Da sola di certo non
può sognare nulla... mando anche te nella stessa
dimensione... ovviamente non ricorderete nulla di quanto accaduto qui e
ora, non saprete di essere in un sogno indotto... sennò
potresti condizionarla... vi ricorderete tutto al risveglio, non
temere! Io vi aspetto qui.”
“Tu
non hai alcun potere...” ringhiò Jareth pensando
di essere preso per il naso
“Oh,
sì certo... io non posso nulla... ma se tu passeggi sopra
l'erba dello smarrimento1, caro
mio... non posso che approfittarne...” sghignazzò
Rajeth incrociando le braccia al petto.
Jareth
abbassò lo sguardo e si rese conto di essere sospeso su un
praticello ben curato e di starci fluttuando sopra. “Vedi di
non gettare al vento il regalo del tuo adorato fratellino...”
Gli sentì dire mentre le palpebre si erano fatte
improvvisamente pesanti e la vista annebbiata. Subito dopo, il nulla.
Aprì
gli occhi di scatto appena una brezza leggera gli accarezzò
la pelle. Si sentiva attanagliare lo stomaco in una morsa d'angoscia.
Strano. Era tutto così calmo, sotto quei bellissimi alberi
in fiore. Forse era stato il sogno. Sì, doveva essere
così. Erano precipitati nel buco e dovevano aver dormito.
Peccato non ricordasse cosa avesse sognato.
Carezzò
distrattamente i capelli aggrovigliati della mora stesa su di lui.
Aveva, stranamente, deciso di farlo. Non aveva più alcuna
esitazione e non aveva la minima intenzione di aspettare
l'eternità perché lei capisse.
Sarah
si mosse insonnolita e schiuse gli occhi, trovandosi quelli di lui
piantati addosso, nessuna espressione particolare sul bel volto
candido. Fu forse questo a non farla scattare immediatamente lontana da
lui “Che è successo?” domandò
soltanto, sconcertata
“Hai...
abbiamo dormito...” rispose lui dopo un po', incerto
“Non ricordo molto bene...” Lei distolse lo
sguardo. Qualcosa la preoccupava. “Che hai?”
Sarah
esitò, incerta “Ho fatto un sogno...uno strano
sogno. Mi ha ricordato cose che avevo dimenticato...” A
quelle parole Jareth storse le labbra e tacque, altrimenti avrebbe
dovuto darle troppe spiegazioni. Sapeva benissimo a cosa si stava
riferendo: anche lui aveva una spiacevole sensazione al riguardo e
più di un sospetto. “Mi ero quasi dimenticata di
uno dei miei ex...non che nessuno lo sia mai stato davvero...erano
più delle fantasie, in particolar modo questa...”
borbottò tra sé e sé
“Sì,
certo, quella la chiami fantasia...”
sibilò infastidito lui, rivedendo, in un flash che credette
frutto solo della propria immaginazione, Rajeth baciarla. E in un modo
troppo tenero per appartenere al fratello
“Sei
geloso?” lo canzonò lei, scettica, girandosi a
guardarlo
“Non
dovrei?” replicò lui seccato cercando di evitare
il suo sguardo curioso
“Non
vedo perché dovresti esserlo, semmai...” rispose
tornando a osservare la danza di luci e ombre delle foglie e dei fiori
sopra di loro. Stare stesa così, a parlare e discutere con
lui non gli dispiaceva affatto. Aveva un ché di nostalgico.
Di familiare.
Non
avevano alcuna fretta.
O
forse sì? Fece spallucce. Quella calma non poteva nascondere
nessun tranello
“Certo
che se a te non sbattono le cose in faccia proprio non le capisci,
vero?” ringhiò lui seccato, infilandole una mano
sotto la testa, per farla alzare. O almeno per darsi modo di togliersi
e di smettere di essere usato come cuscino. “Anzi... non
capisci nemmeno quando la gente mendica la tua attenzione, prostrato ai
tuoi piedi...”
“Perché
sei arrabbiato adesso?” replicò lei, girandosi e
inarcandosi sulle mani per osservarlo meglio.
Jareth
si passò stancamente una mano sugli occhi, esasperato dalla
sua stupidità “Vieni a parlare a me del tuo
ex...”
“Oh,
giusto, scusate, Maestà...dimenticavo
che questi possono essere discorsi troppo triviali per un uomo della
vostra levatura...” replicò lei ributtandosi a
terra, supina “Volevo solo condividere con te quello che mi
era successo... poi mi accusi di non parlarti...”
“Non
è per il mio rango che sono infastidito...”
replicò lui poggiandosi al tronco dell'albero in cerca di
sostegno “Tu proprio non capisci quanto la tua... stupidità possa
essere snervante...”
“Sarò
anche stupida, ma ho capito che hai un'alta considerazione della
sottoscritta...” replicò in risposta lei,
tirandosi a sedere. Si era stancata di rimanere buona buona a prendersi
parole da quel biondo arrogante “Spicciamoci ad arrivare a
destinazione, così potrai liberarti del peso che ti trascini
dietro.” Sì, avevano una meta. Ma nessuna fretta,
purtroppo.
“Invece
non ci muoviamo da qui fintanto che non avrai capito di cosa sto
parlando!” disse con tono freddo e tagliente lui,
penetrandola con un'occhiata di fuoco “E poco mi frega di
esaurire il tempo a tua
disposizione... Quello che ho sempre voluto, in realtà, era
che tu diventassi una di noi, per sempre...”
Sarah
si alzò, furente, mani piantate sui fianchi, a fronteggiarlo
“E cosa ti avrei fatto io perché tu, potente
mago dell'Underground, potessi essere così infastidito da
un'adolescente da volerla addirittura tramutare in Goblin?”
“Chi
ha mai parlato di trasformarti in Goblin?” replicò
lui piccato
“Ma
quella volta tu hai detto...”
“Quella
volta, come ora, mia cara, non ho specificato a quale razza, tu e Toby,
sareste entrati a far parte... davo per scontato che sapessi la
differenza tra maghi, goblin, fate, nani, troll... e fae più
in generale...” Vedendo che lei rimaneva a guardarlo a bocca
aperta, decise di continuare “Diventeresti solo un essere
magico... alla peggio, un essere intermedio come noi maghi. Non mi
permetterei mai di trasformarti in un'orrida creatura...”
“Ma...
allora... i goblin...? I bambini rapiti...?” Sarah sembrava
confusa, come se ogni sua certezza fosse crollata di colpo
Jareth
sbuffò “I goblin sono una delle tante razze fae, come
chiamate voi gli esseri fatati in generale. I bambini rapiti vengono
adottati dalle famiglie che ne fanno richiesta. Vivono sereni,
normalmente mescolati a tutte le altre creature. Tu stessa non hai
avuto problemi a relazionarti con un nano, un troll e … uno
come Sir Dydimus...” le fece notare “Il fatto di
essere umani non è che un dettaglio, come da te lo sono i
capelli biondi o mori. La differenza, però, tra umani e fae, sta nel
fatto che i secondi hanno trascorso qui almeno 13 ore. Precisamente,
sotto la mia custodia. Io sono l'intermediario tra il mondo umano e il
mondo magico. I goblin sono i miei assistenti.
Altri
maghi hanno compiti simili, non sono certo da solo a sbrigare tutto il
lavoro. Almeno... era vero un tempo, quando le richieste erano
incessanti. Figli bastardi di nobili a cui avrebbero solo rovinato la
reputazione, figli di famiglie povere che non potevano sfamarli, figli
di donne troppo giovani per essere madri, il più delle volte
con storie agghiaccianti alle spalle che era meglio non trasmettere al
nascituro. Su di noi grava la rabbia di coloro che non riescono a
riprendersi ciò che cedono troppo facilmente come quella di
coloro di noi che aspettano con ansia un erede e non vedono soddisfatte
le loro richieste. E' un compito ingrato. Vedi... il ciclo di vita dei fae si
è alterato a causa della mancanza di fiducia del genere
umano. Per preservare la specie, la vita si è
improvvisamente allungata vistosamente. Ma la fertilità
è crollata. Gli esseri umani, da sempre, hanno rappresentato
un ottima opportunità di rimescolare il patrimonio genetico,
rendendolo più forte e variegato, aggiungendo, con esso, le
caratteristiche tipiche degli umani...” Sarah continuava a
fissarlo inebetita, rapita da quella spiegazione “Certo...
normalmente i bambini vengono dati a razze compatibili, antropomorfe, come gli
elfi, tanto per fare un esempio... Ma... tu sai come si diventa maghi,
vero?” domandò all'improvviso.
Sarah
scosse la testa. Erano i demiurghi tra il mondo della magia e il mondo
umano. Dubitava fortemente che si trattasse di qualcosa di innato, che
andassero a scuola e si applicassero dietro a un calderone dopo aver
ricevuto una lettera un bel giorno d'estate.
Jareth
assottigliò gli occhi. Ormai non aveva più senso
tacerle la verità. Era una buona occasione per spiegarle tutto
“Qualunque umano può diventare mago, basta che si
assuma la responsabilità delle proprie azioni, in quanto
diviene intermediario tra Underground e Aboveground: è come
se si venisse adottati, si resta umani ma con alcuni dei poteri tipici
del Piccolo Popolo. Il mago è l'unico che Garmr lascia
passare senza nemmeno controllare. Il suo potere può
derivare da un rituale...” tacque un attimo vedendo
l'espressione divertita della ragazza “Tu stessa ne hai usato
uno, per richiamarmi, dieci anni fa..” precisò,
mettendola a tacere e continuando nella sua spiegazione “Il
potere può anche essere concesso da quello che un umano
può ritenere un semplice animale. Che in realtà
nasconde un altro mago, in realtà. E questo, ancora una
volta, fa al caso nostro. Io ti donai dei poteri, poteri con cui si
sarebbe stabilito un legame, tra noi. Ma lo feci sotto le mentite
spoglie del mio sembiante. Come ogni buon intermediario, il mago
è anche guida per i suoi assistiti. Un Virgilio o una
Beatrice per il povero poeta. Il mago non, ripeto NON, punisce. Guida,
mette alla prova. Non è mai ostile all'umano”
“E
cosa c'entra questo con me? E con Toby?” alitò
lei, avida di conoscenza nonostante non condividesse appieno il
giudizio così magnanimo sull'operato del biondo.
A
quella domanda, Jareth esitò. Ora metteva in dubbio
l'urgenza che avvertiva nel volerle rivelare ogni cosa.
Sospirò e rispose “Su di noi...”
sillabò piano “Grava una maledizione, che ci
trasciniamo dietro da molte generazioni. Io e Rajeth apparteniamo alla
settima, precisamente. E, nella nostra duplice natura gemellare siamo
una strana anomalia. La maledizione che ci ha colpiti ci ha confinati
all'interno di questo ruolo ingrato che nessuno vuole. Rapire i bambini
ed essere considerato da tutti il cattivo, anche dalla propria gente,
può essere più difficile da sopportare di quanto
non si pensi. La colpa di cui si macchiarono i nostri antenati fu
estremamente grave per il ruolo che ricoprivano. I maghi, essendo
intermediari interrazziali dovrebbero essere al di sopra delle parti,
non solo umane e magiche, ma anche tra forze benigne e
maligne.” Sarah annuì. Fino a quel punto la
spiegazione era stata semplice “Ci sono numerose dispute
nell'Underground. Elfi di Sinadon2 contro
Elfi dei Tumuli3, Grogach4 e
Kornandonnezed5 contro i
Sostituti6. Noi, o
meglio, coloro i quali non sono
stati colpiti da maledizioni invalidanti come la nostra, dobbiamo
supervisionare gli scontri, fornire consigli e aiuti indipendentemente
dalle proprie simpatie, cercando di mantenere inalterati gli equilibri
cosmici. A ogni aiuto fornito è sempre contrapposto un equo
pagamento... nulla è gratuito, in nessun regno,
né da voi, né da noi e neanche tra gli
animali”
“Myrddin
Emrys e Uther Pendragon7...”
biascicò Sarah illuminandosi.
Jareth
annuì “Esattamente.”
“E
quale sarebbe stata la vostra colpa?” domandò
Sarah rimettendosi a sedere sul prato, ansiosa di ricevere quante
più spiegazioni fosse riuscita a strappargli di bocca
“Si
rifiutarono di aiutare un collega provato da uno scontro. Per semplice
vanità. Bada, la vanità è un peccato
superiore all'invidia, allo schierarsi apertamente per una parte e
anche al desiderio di morte dell'avversario. La vanità
è grave perché non ha reale ragion d'essere,
è fine a se stessa.”
“E
quindi?” lo incalzò, insoddisfatta della risposta
“Come
credo tu sappia, i maghi hanno, solitamente, un sembiante alato. In
particolare rapaci notturni, considerati da sempre animali sacri agli
dei della conoscenza...”
“Come
Atena...”
“...Sì...Atena
era la dea della conoscenza e della strategia guerresca... I rapaci
notturni, a differenza di quelli diurni, come l'aquila e il falco,
vedono nella notte ciò che sfugge all'occhio normale. Per
contro, proprio perché fuggono la luce del giorno, sono
considerati -da alcuni- maligni. Quindi...” riprese il filo
del discorso come se fosse stata una lezione di quelle a cui aveva
assistito nei suoi pochi mesi umani “I rapaci sono la nostra
forma animale. Non per tutti, ovviamente, ci sono delle eccezioni. La
forma di Rajeth è il serpente. Anch'esso, però,
considerato portatore di grande saggezza, animale femminile e maschile
insieme, oscuro e tentatore venefico come generatore di vita... Rajeth
è la mia ombra, il mio sostituto. Lui, come il serpente, non
può morire. Non prima di me, almeno.”
“Il
serpente è vitale per via della muta della
pelle....” Sarah si inserì nel discorso
inconsapevolmente, come se fosse stata in trance “E il cervo
allo stesso modo...”
“Precisamente.”
confermò il biondo annuendo “Se anche dovesse
morire, rinascerebbe. Per potermi sempre sostituire. Ma questo, ti
dicevo, è un caso particolare.”
“La
colpa... non mi hai detto cosa si rifiutarono di fare, per
vanità, i tuoi avi...” lo interruppe Sarah
“Giusto.”
annuì lui recuperando i fili del discorso “A
questo mago, il cui sembiante era uno scricciolo, rimasto gravemente
ferito in non mi ricordo più quale scontro epocale tra
creature mitologiche, tutti i maghi donarono le proprie piume
affinché potesse ricomporsi, guarire e, infine, tornare alla
sua forma umana. Solo una coppia non collaborò, troppo
altera e sprezzante, chiusa nella torre d'avorio della propria saggezza
superiore. Il barbagianni, il cui piumaggio era troppo bello, elegante
e candido per essere insozzato dal corpo martoriato dalle bruciature e
confuso nel nuovo piumaggio arlecchinato composto dall'unione di tutti.
Questa renitenza comportò l'immediata messa al bando e
punizione per loro e le generazioni successive8...”
“Così,
in effetti, la tua strafottenza trova una sua
giustificazione...” borbottò tra sé la
ragazza. Quando lui la folgorò con uno sguardo per
l'interruzione, corse a tapparsi la bocca con la mano, promettendo, a
gesti, di non interromperlo più.
“Chi
lanciò la maledizione impose un lungo tempo di riflessione e
una condizione perché si potesse risolvere il tutto.
Ovviamente allo scadere delle sette generazioni le condizioni sono
particolarmente favorevoli...” riprese lui, guardandola, ora,
con dolcezza “Ognuno dei nostri predecessori ha provato a
infrangere la maledizione. Tutti hanno fallito. Ma si era notata una
regola generale che si ripeteva immancabilmente.
La
nostra storia
comincia nel 1700, quando nascemmo io e Rajeth. Eravamo gemelli, figli
di seconde nozze di qualche nobile, così particolari,
così speculari... i nostri genitori ci dettero al re dei
Goblin: nostra madre pare non avesse una gran vocazione a crescere
marmocchi e si accontentava del figliastro, già grande, che
si era ritrovata. In realtà nostro fratello maggiore, che
all'epoca avrà avuto otto anni, affrontò il
labirinto e vinse. Ma una volta che ci ebbe riportato a casa, i vecchi
ci consegnarono nuovamente al re. I nostri nomi, ovviamente, non sono
quelli che ricevemmo alla nascita. Non fummo nemmeno battezzati, troppo
strani per
essere qualcosa di non demoniaco. Non era mai capitata una situazione
simile. Normalmente, se non potevano essere mantenuti, i bambini
venivano abbandonati nei boschi, cibo per i lupi, o nelle ruote delle
chiese. Quest'insistenza umana convinse nostro padre a tenerci. Nostro
padre adottivo, intendo. Ancora una volta, un bambino salvato dalla sua
vita umana fu designato come erede. Nostro fratello, invece, condusse
la sua vita umana, trasmettendo le sue conoscenze ai figli e ai figli
dei figli. Fino ad arrivare ai fratelli Grimm...”
“Conosco
la storia...” confermò Sarah ripensando alle
parole del suo professore, alle carte coi disegni, rimaste immutate nel
corso dei secoli
“Al
bambino, privo di alcun legame di sangue, passò il bagaglio
di conoscenze che consegnò immutato ai suoi
discendenti...”
“Ancora
non capisco cosa c'entriamo io e Toby...” borbottò
la mora
Jareth
sbuffò, nervoso “Tra tutti i bambini che vengono
ceduti e recuperati e l'altro bambino che gareggia per lui,
c'è sempre un qualche tipo di legame: in quell'occasione il
testimone della trasmissione delle conoscenze viene passato da una
famiglia a un'altra: dai Grimm al figliastro che ne portò
comunque il nome. Quando l'evento si verifica a cavallo della
successione, come nel vostro caso – Toby è il tuo
fratellastro, non appartiene propriamente al tuo ramo di discendenza
– il bambino salvato diventa automaticamente il legittimo
erede al trono... mentre chi rimane continua a trasmettere la
conoscenza” Concluse tacendole la notizia forse
più importante
“Da
me a Toby? E a me come c'è arrivato? Ma soprattutto, mio
fratello dovrebbe avere l'ingrato compito di accollarsi il peso di una
posizione come la tua?” strepitò la mora,
incredula “Non lo permetterò mai”
Jareth
sbuffò ancora “Normalmente sono i bambini stessi
che chiedono di farsi rapire, intorno ai dieci anni... ora dimmi...Toby
quanti anni ha, precisamente? Ti ha mai fatto richieste
simili?”
Il
sorriso sicuro del biondo gelò il sangue nelle vene di Sarah
facendole dimenticare il proprio ruolo in tutta quella vicenda.
Gliel'aveva chiesto? Allo sfinimento. Aveva cercato in tutti i modi di
ingannarlo, ma Toby era furbo. E testardo.
“Ora...”
disse mettendosi le mani sui fianchi, soddisfatto “Visto che
io sono stato onesto con te... puoi fare altrettanto?”
domandò asciutto. Era un baratto, nulla di più
“Cosa
vuoi?” chiese distrattamente lei, impegnata a rimuginare su
quelle informazioni. Qualcosa non le quadrava. Qual'era il legame tra
loro e i Grimm? Solo il fatto che fossero gli strizzacervelli che li
avevano avuti in cura alla morte dei genitori?
“Tornare
all'argomento di partenza... la tua assoluta insensibilità
per certi argomenti...” disse andando ad inginocchiarsi
davanti a lei e piantando le mani sul prato sottostante,
intrappolandola vis-à-vis col proprio corpo in quella
posizione.
1
Nelle leggende e nella tradizione folkloristica dei celti, degli
anglosassoni e degli irlandesi si parla di un'erba piccolissima e
sconosciuta ai più, che veniva seminata dai folletti introno
ai luoghi da loro frequentati. Chi avesse calpestato quella particolare
erba avrebbe cominciato a vagare per le campagne perdendo qualsiasi
senso dell'orientamento.
In
questo caso, ho scelto che Jareth vagasse senza meta tra la dimensione
reale e quella onirica, confondendole tra loro.
2
Creati da Alan Garner, protagonisti del romanzo La
luna di Gomrath, a
differenza di quelli descritti da Tolkien, sono di bassa statura (meno
di un metro e venti), robusti ma con arti lunghi e aggraziati. Vestono
abitualmente corte tuniche, strette da una cintura e prive di maniche.
Di norma camminano a piedi nudi. Alcuni di loro indossano mantelli
bianchi fatti con piume d'aquila, ma più per sottolineare il
proprio rango che per proteggersi. La loro arma preferita è
l'arco e si servono di piccoli cavalli bianchi per spostarsi.
3
Specialisti nella lavorazioni dei metalli, conoscono a menadito tutti i
segreti delle vecchie rune magiche. La loro origine è
antecedente a quelle dell'uomo; infatti si dice che la loro stirpe
abbia accompagnato l'evoluzione umana fin dalla nascita dei primi
mammiferi sulla Terra. Hanno la particolarità di poter
cambiare aspetto a loro piacimento. La pelle è bluastra, ma
come i camaleonti può rapidamente mutare colore
4
Folletto dalle dimensioni di un piccolo bambino. Solitamente passeggia
nudo, col corpo peloso, le spalle larghe, una grossa testa e il corpo
flessibile per la mancanza di colonna vertebrale. E' molto servizievole
e disponibile ad aiutare gli uomini nei lavori domestici e nella cura
dei campi
5
Folletti tipici del folklore bretone. Tutte le creaturine che
appartengono a questa classe si caratterizzano per le piccole corna
– che non sempre hanno sulla testa ma che talora portano
appese alla cintura. Abitano nei pressi di qualche albero. Malgrado
abbiano una statura veramente minuscola, la tradizione vuole che siano
capaci di spostare le enormi pietre dei dolmen e dei menhir. Creature
dolci e poetiche, amano danzare al chiaro di luna suonando nei corni.
Di fatto sono gli ultimi sopravvissuti delle antiche popolazioni
pagane. Le corna di cui sono dotati li collegano a Cernunnos, il
misterioso dio cervo dei Galli che si ritiene sia stato una
divinità di morte e resurrezione
6
Noti anche come Changeling. Uno dei desideri più nascosti
tra il Piccolo Popolo è quello di possedere e allevare un
bambino. A tale proposito si racconta di scambi di neonati o di bambini
in tenera età con piccoli folletti o piccole fate. Questo
succede perchè molti folletti si dilettano a scambiare i
loro piccoli, in genere brutti e deformi, con quelli, più
belli e aggraziati, degli uomini. Sono vegetariani ma non disdegnano il
latte materno. Si affezionano molto ai genitori umani adottivi, sono
silenziosi e inclini alla meditazione e amano la compagnia di ragazzine
con cui intrattengono rapporti molto particolari, finché le
fanciulle crescono e preferiscono i ragazzi 'normali'
(in
tutto questo, i libri di Amanda Hocking sono abbastanza accurati nel
seguire le linee guida della leggenda anche se mescola la razza dei
Sostituti con quella dei Troll e con Trylle non meglio identificati
-che non sono i Troll-)
7
La leggenda...ok, UNA delle leggende, perché la storia di
Artù, Tavola Rotonda, Mago Merlino è un
guazzabuglio incredibile (come molte opere del periodo, nata in
risposta alla mitologia che girava su Carlo Magno in Francia) di
diverse versioni e spesso con fonti divergenti tra loro, diciamo che la
versione più nota è quella in cui si narra come
Uther Pendragon, re di Bretagna (nord della Francia, se qualcuno fosse
convinto che la zona trattata sia la Gran Bretagna...), di ritorno
dall'ennesima vittoria sui nemici sassoni, si ferma a pernottare presso
un suo alleato, Gorlois di Cornovaglia. Lì perde la testa
per la moglie di quest'ultimo, Igraine. Qua entra in gioco il mago e
consigliere: nonostante sia combattuto tra l'amicizia e l'amore, Uther si
fa trasformare in Gorlois, riesce a giacere con la donna (mentre il
vero duca viene ucciso dall'esercito del re) e a farne la sua sposa. Il
prezzo per avere la donna, però, è la cessione al
mago del figlio frutto di quella notte, Artù (che quindi
è realmente figlio di Uther ma tutti pensano sia di
Gorlois...e il tema del figlio bastardo tornerà a
più riprese)
8
Questa leggenda è ben spiegata in A. CATTABIANI, Volario, Milano,
Mondadori, 2000, pagg 365-367. Inoltre, il barbagianni, oltre a rapire
i bambini, rappresenta il diavolo, il ladro e l'adultero. Si dice che
avvistarne uno sia presagio di tempesta e dell'arrivo di una banda di
malandrini.....vi suona vagamente familiare?
-
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Bene,
ci stiamo avvicinando, sempre più, inesorabilmente, alla
fine. A conti fatti, posterò l'ultimo capitolo prima della
partenza per lo stage :3 sempre di partenza si tratta XD
Spero
non sia stato troppo pesante, come capitolo, ma dovevo assolutamente
spiegare, finalmente, in cosa consisteva la maledizione.
Bene...alla
prossima settimana..
ciao!!!
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Capitolo 32 *** Il legame ***
32.
Il legame
Non voleva. Non voleva assolutamente lasciare che l'occhio le cadesse
dove una strana gravità le stava attirando lo sguardo. La
giacca aperta lasciava intravedere le clavicole sagomate sotto la linea
sinuosa del collo. Si sentiva una maniaca. Deglutì a vuoto
diverse volte prima di riuscire a spostare l'attenzione sui suoi occhi
azzurri spaiati. Il suo sorrisetto divertito la irritò al
punto da farle dimenticare ogni pulsione e ogni cosa gli avesse appena
raccontato.
“Sarah...sii onesta una volta tanto...”
Se si fosse allungato di pochi centimetri avrebbe potuto baciarla con
facilità. Ma evidentemente non era interessato, dato che
rimaneva immobile in quella posizione senza abbassare lo sguardo o
provare il minimo imbarazzo. “Riguardo cosa?”
balbettò incerta, nel tentativo di guadagnare tempo
“Secondo te perché mi da così fastidio
che tu parli del tuo ex? A parte perché assomiglia
terribilmente a Rajeth” domandò in un soffio che
sembrò insinuarlesi direttamente nell'orecchio. La vide
sbiancare: evidentemente non si era resa conto della cosa. Nel
sogno...sembrava davvero Rajeth. Ma doveva trattarsi di una
sovrapposizione che aveva fatto il suo cervello “Sarah,
Sarah...Tu non mi hai mai infastidito...” alzò una
mano per zittire la sua protesta “...Se ti ho preso di mira,
dieci anni fa, ho avuto le mie buone ragioni...” la stessa
mano, già sospesa in aria, si allungò a sfiorarle
la guancia “Possibile che tu non capisca? Ti ho sempre
osservato. Solo l'ultimo anno mi è
stato...impossibile...”
“Cos'è che non capisco?”
borbottò lei, imbarazzata, cercando di fare la voce grossa
Jareth esitò “...Sai essere davvero crudele...
vuoi costringermi a dirlo... non è abbastanza
chiaro?”
“Cos'è che dovrebbe essere chiaro? Che ti diverti
a prendermi in giro? Quello sì, è molto chiaro.
Se non sei esplicito è perché quello che vuoi
dire è una menzogna. E visto che qui le parole hanno il loro
peso...” Le era tornata la grinta e pur di non lasciarsi
ingannare era pronta a ferirlo.
Il biondo allungò la mano alla sua nuca e la
afferrò saldamente, pur con dolcezza, costringendola a
guardarlo negli occhi “E' perché mi vergogno,
razza di stupida! Non è uno dei tuoi giochi da ragazzi...”
Sospirò, cercando il coraggio per parlarle, prima di
continuare “Quando, quella volta...dicesti che io non potevo
nulla, su di te...” rantolò angosciato
“Avevi ragione... è un dato di fatto. Ma... ti sei
mai domandata perché tutto quello fosse vero?”
chiese scrutandola “Perché, invece, tu avessi,
eccome, potere su di me? Almeno...abbastanza da sconfiggermi? Hai mai
pensato a cosa abbia voluto dire venire sconfitto?” Lei
scosse la testa, improvvisamente cosciente di non aver mai valutato
veramente a fondo quello che era accaduto quella volta. “Tu
hai vinto semplicemente perché mi hai fatto capitolare in
tutti i sensi. Non solo perché sei riuscita a riprenderti
tuo fratello...Io...ero già...innamorato di te...”
disse piano, quasi temesse di farle male con quella rivelazione
“...ero già in tuo potere. Solo tu potevi decidere
le sorti del gioco. Se mi avessi accettato, saremmo rimasti in
parità. Invece...” sbuffò tirandosi
rapidamente indietro e tornando a fronteggiarla, inginocchiato davanti
a lei che, invece, restò praticamente distesa sotto la sua
mancanza di peso “...Ti sono rimasto del tutto indifferente.
Qualunque cosa avessi fatto tu non avresti mai ceduto... Non ti sei
fatta abbindolare dalle mie lusinghe come qualunque altra donna. E
questo, sinceramente, mi piace...”
“Quindi se mai cedessi non ti piacerei
più?” domandò lei scettica, in un
impeto di rabbia. Resasi conto dell'ambiguità delle parole
usate, arrossì e chinò il capo.
Lui sembrò non notarlo e rispose alzando gli occhi alla
chioma degli alberi mentre si sedeva “Non cambierebbe
nulla... non credo che il carattere testardo svanirebbe
così, per
magia...” Tacque, immerso nei propri pensieri,
non sapendo più come continuare. Sarah rimase interdetta
dalla rassegnazione che sentiva increspargli la voce. “Dimmi,
Sarah...” soffiò lui sempre guardando altrove, le
braccia puntellate dietro la schiena “...Davvero non posso
piacerti nemmeno un pochino? Mi detesti a questo punto? Eppure abbiamo
già chiarito come io non abbia fatto altro che tentare,
maldestramente, di assecondare i tuoi capricci. Non sei certo una
persona facile e non credo che lusingarti sarebbe servito a
nulla...” Quindi inclinò la testa di lato,
guardandola da sopra la spalla “Giunti a destinazione, le
nostre strade si divideranno per sempre...non ti importunerò
più...”
Sarah dovette sbattere gli occhi un paio di volte prima di rendersi
conto delle parole del biondo. Passarono diversi istanti in cui
cercò di afferrare le sue parole. Improvvisamente la testa
le si era svuotata e i suoni si erano fatti ovattati. Chiudere con
Jareth per sempre. Era quello che aveva sempre desiderato. Allora
perché si sentiva così in ansia?
“Io non ti detesto...” rantolò alla fine
“Sei dispotico e tirannico, arrogante e presuntuoso,
tagliente e crudele ma... ammetto che non sei cattivo...”
“Grazie dei complimenti...” ridacchiò
lui senza perderla di vista: si contorceva le mani, agitata
“Allora non sarà un problema... per quel poco di
tempo che ci rimane ti chiedo di amarmi.” Sarah
avvampò incerta sul significato da dare a quella parola.
Ogni entusiasmo od imbarazzo si smorzò di colpo quando
sentì il seguito “E' ciò che voglio in
cambio per barattare il mio tempo col tuo...”
“Non ho ancora barattato nulla con te!”
precisò subito lei, sulla difensiva, imbarazzata per aver
creduto potesse far sul serio e offesa per la richiesta tanto meschina
che la riduceva a mero oggetto “Volevo sapere il tuo prezzo
ma non mi pare di essere già in debito...o
sbaglio?”
“No, non sbagli...” sospirò lui. C'aveva
provato. Lei si era fatta scaltra, non cascava più nei suoi
giochi logici di parole “Ma se non mi detesti...”
disse incalzandola a completare la frase “Non vedo quale
possa essere il problema ad accontentarmi...”
“Io...io non sono sicura di saperlo...” ammise
abbassando lo sguardo sulla casacca, prendendo a lisciarne nervosamente
l'orlo. Non riusciva a mentire. Non con lui. Sì, gli
piaceva, non poteva negarlo: gli piacevano i loro battibecchi, il suo
modo di guardarla sprezzante che stimolava in lei la parte competitiva.
Ma non voleva dargliela vinta. Non così.
“Davvero?” sibilò lui, per niente
convinto “Non è, piuttosto, che non vuoi saperlo?
Perché potrebbe mettere in crisi il tuo sistema di
certezze?” Le sue parole la costrinsero ad alzare lo sguardo,
ad affrontarlo “Tu hai paura di me”
constatò “Non osi nemmeno pronunciare il mio
nome... hai il terrore di poter dipendere da me... o semplicemente temi
quello che può provocarti, pronunciarlo” le
soffiò come all'orecchio, facendola sobbalzare e arrossire
“Cosa c'entra il discorso fatto finora con il tuo
nome?” ringhiò lei, indietreggiando, nuovamente
sulla difensiva.
“C'entra! Perché ciò che non ha nome
non esiste e ciò che non esiste non ha nome.
Finché riuscivi a evitare di chiamarmi per nome, voleva dire
che io, per te, non esistevo. E quindi, non avevo alcuna
importanza...alcun potere, su di te...Io ti ho sempre chiamato per
nome, dimostrandoti la mia vulnerabilità. E nonostante
tutto, hai infierito...”
“E quando mai le cose sarebbero cambiate...?”
Domandò angosciata. Lui era ben attento a tutte le parole e,
se lei aveva commesso una leggerezza simile, di certo non si era
sbagliato. Lui era il suo specchio. E in quel momento si limitava a
sorridere con tristezza.
“Mi correggo... non hai paura di me... hai paura di te
stessa...” sciorinò con un sorriso sarcastico,
superiore, piantando lo sguardo nel suo, evitando la domanda
“Hai paura di amare e venire ferita Ancora. Soprattutto da
me. Ma... mi sembrava di esser stato abbastanza chiaro... io ti voglio
accanto a me. Sempre. E a meno che tu non mi odi a morte...”
disse tirandosi in piedi “...per quello che è
successo dieci anni fa... Parlando con franchezza, non vedo
perché non potresti prendere in considerazione la mia
proposta... anche indipendentemente dal mio pagamento. Quella era solo
una scusa, un asso che mi riservavo di giocare quando avessi visto che
non c'erano altre strade da percorrere per arrivare al tuo
cuore.” disse tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
Cosa voleva davvero? Tornare alla sua monotona quotidianità?
A quel mondo che non aveva nessun brivido da offrirle, eccezion fatta
quelli dolorosi?
“Perché tu menti...” disse di getto,
quindi precisò, vedendo come lui continuasse a sogghignare,
indagandola con quegli occhi così bizzarri “...non
fai che ridere di me! Come posso crederti?” concluse
accettando il suo aiuto, intontita da quel fiume di parole.
“Mia cara... uscirei dal ruolo del bel cattivo, se
cominciassi a mostrarmi ferito, vulnerabile e ansioso.. non ti
pare?” Sarah rimase interdetta e Jareth l'aiutò ad
alzarsi. Tirò, volutamente, con troppa energia e lei
inciampò e gli rovinò addosso. “La mia
abilità è quella di sedurre,
tentare...” le sue parole scivolarono veloci e invitanti
all'orecchio. Ma immediatamente, come una doccia fredda che spegne i
bollenti spiriti, lui si allontanò, anche se non fisicamente
“E con te ho sempre fallito...” sussurrò
contro il suo collo, vinto.
Sospirò, affranto, e il suo alito caldo la fece fremere,
imbarazzata, quasi il suo cervello avesse frainteso la situazione
“Mi arrendo, Sarah... Io ti libero... Va pure da
Rajeth...” disse staccandosi da lei e ponendo, tra i loro
corpi, mezzo metro di distanza, raccordato solo dalle sue braccia sulle
spalle di lei. “Va da lui... Forse aveva ragione... E alla
fine non importa chi vincerà...” Detto
ciò si staccò definitivamente e le diede le
spalle.
Sarah era inebetita. Finiva tutto così? Lui si arrendeva?
Non...non lottava per conquistarla? Ma...che razza di atteggiamento da
perdente era mai quello? Stupido re viziato! Non otteneva
ciò che desiderava e metteva il broncio? Scappava con la
coda tra le gambe? Ma che lottasse un pochino! Avrebbe volentieri
pestato il suolo sotto gli stivali per il nervosismo dovuto da quel
comportamento infantile. Ma subito le si gelò il sangue
nelle vene.
Forse...aveva lottato! Lui era abituato ad avere tutto subito. E aveva
perso tempo con lei. Troppo tempo... E lei cos'aveva fatto in tutta
quella situazione? Aveva opposto un muro impenetrabile. Non aveva
lasciato il minimo spiraglio. Era ovvio che si fosse arreso. Solo un
masochista si sarebbe accanito...Perché era quello che
voleva... che lui la seducesse totalmente, che continuassero
quell'eterno inseguimento fino a cadere, entrambi esausti e
consapevoli. Ma c'erano dei limiti. E le sue fantasie si infrangevano
con la realtà dei diversi gradi di sopportazione.
Allora le arrivò il contraccolpo delle ultime parole del
biondo. Lui aveva ceduto, si era arreso, aveva ceduto il passo a
qualunque altro uomo si fosse fatto avanti per reclamarla, anche il suo
stesso fratello. E la cosa implicava una più subdola
accettazione di lei come una qualunque estranea. Lui non avrebbe
mostrato segni di gelosia, non avrebbe cercato di difenderla.
Era sola.
Ancora.
La vista le si appannò, sentì il sangue pulsarle
improvvisamente nelle orecchie e avvertì le lacrime
pizzicare gli angoli degli occhi. “Non può finire
tutto così...” alitò “Non
può!” urlò trafiggendo la schiena
dell'uomo che stava cominciando ad allontanarsi.
Jareth si fermò e si volse, lentamente e non completamente,
a scrutarla. Sorrise mesto “Sì che può.
Questa non è una delle tue storie, Sarah. E' la vita. E la
vita non è fatta di continui colpi di scena, di finali
rosei, programmati, in cui ogni tassello incastra al posto giusto. La
vita è fatta di alti e bassi. Alcuni sembrano vette e altre
voragini, rispetto ad altipiani e leggere depressioni. Prometto solo
che non ti importunerò più, alla fine di tutto
questo, se tu vorrai così...”
Vederlo così arrendevole era straziante. Non sembrava
nemmeno lui. Dov'era il suo bel re arrogante, che arrivava, si prendeva
quanto richiesto in un attimo di disattenzione ma non lo rendeva
nemmeno dopo le più terribili prove? Dov'era l'uomo
affascinante e conturbante dotato di una particolare magia?
Quello davanti a lei era solo un uomo. Un normale, comunissimo uomo. Di
cui ne aveva visti a centinaia. E lei, unica cosa di cui fosse certa,
in tutta la sua esistenza, non avrebbe mai voluto una persona del
genere accanto, né come compagno di viaggio, né,
tanto meno, come compagno di vita.
Lo raggiunse con un paio di falcate e il suo corpo agì prima
ancora che lei potesse formulare un pensiero cosciente. Lo
schiaffeggiò sul bel volto, ancora, sicura di destarne la
rabbia, di farlo rinsavire. Ma lui incassò in silenzio e
tenne la testa voltata. Non un accenno di rammarico o di collera. La
coltre dei capelli dorati rendeva indecifrabile ogni espressione.
“Si può sapere cosa ti succede?”
urlò afferrandolo per il bavero “Non sei tu, questo...”
il suo sguardo percorse, disgustato, la figura vestita di pelle, da
capo a piedi e poi ancore su, fino a piantarsi nel suo, sfuggente.
“Ridammi il mio
Jareth!” disse baciandolo aggressivamente, quasi a strapparlo
dalle fauci dell'oblio con le proprie. Si sentì pervadere da
un'ondata di calore. Sembrava quasi che qualcosa le si agitasse dentro
e scivolasse da lei lasciandola stordita per il contraccolpo, dopo
essersi infranta sulla battigia. Era questo quello che si provava a
baciare qualcuno di cui si era perdutamente innamorati e di cui si
temeva la perdita? Era mai stata presa da qualcuno allo stesso modo, al
punto di arrivare a negare i propri sentimenti? E da avere la
presunzione, nonostante non lo conoscesse affatto, di poter dire di
amarlo? Non era una cotta momentanea, lo sapeva. Non le sarebbe andata
via tanto facilmente. Ogni suo gesto aveva il potere di distruggere le
sue sicurezze o di riempirla di soddisfazione per aver atteso le sue
aspettative. Forse era semplicistico, perché non si era mai
cimentata seriamente nella vita di coppia. Ma era abbastanza sicura
che, eventualmente, lui potesse essere quello giusto per cui impegnarsi
a limare il proprio carattere.
“E questo cosa sarebbe?” replicò lui
staccandosi praticamente subito
“Non lo so...” ammise lei, frastornata e confusa
dal proprio gesto istintivo “Un tentativo, forse...”
“Tentativo?” domandò lui inclinando la
testa di lato, senza allontanarsi
“Di rompere il maleficio o qualunque cosa sia... nelle fiabe
funziona...” rispose convinta ma con voce incerta. Non
riusciva a capire se lui ne fosse stato infastidito, lusingato o
cos'altro.
Scoppiò in una risata fragorosa e si portò una
mano alla fronte, quasi potesse, in quel modo, trattenere
l'ilarità “E a che pro? Ti ho appena detto che non
siamo in una delle tue storie... nella vita non va tutto come ci si
aspetta...”
Lei si zittì, delusa e imbarazzata “Riportarti da
me. Ritrovare l'uomo...il mago...” si corresse svelta
“...che mi desiderava così tanto da cercare di
imbrogliarmi, rifilandomi i miei stessi sogni. Almeno ci ho
provato...”
“Cosa te ne fai di uno del genere?”
domandò ancora lui
“Nulla, a ben vedere... è solo che quella
è la persona che mi piace e con cui voglio scontrarmi
ancora...anche lo scontro è comunicazione...e non ne ho col
fantoccio che ho davanti in questo momento...” disse,
stizzita, indicandolo con un cenno della mano
“Ti piace? Non colgo il significato o il valore che potrebbe
avere il suddetto fantoccio...”
disse in tono sarcastico. Finalmente.
In un impeto di rabbia per la sua immensa stronzaggine, gli
vomitò addosso tutto quello che pensava di lui
“Sai com'è... quando la presenza di una persona
affolla i tuoi sogni, diventando l'unica presenza sicura della tua vita
nonostante non sia più ricomparso anche se veniva invocato
spesso e volentieri, e improvvisamente si trasforma nell'ombra di se
stesso, la cosa ti fa vagamente incazzare. Più di quanto non
facesse la sua arroganza! Ma d'altronde, parafrasando un tuo pari Un disonesto puoi sempre
confidare che sia disonesto. Onestamente è dagli onesti che
devi guardarti, perché non puoi mai prevedere quando faranno
qualcosa di incredibilmente stupido1.”
Gesticolava fuori controllo, ormai a ruota libera
“Dunque...” la interruppe lui portandole una ciocca
di capelli dietro l'orecchio “Stai praticamente dicendo che
da me ti aspetti qualche tiro mancino? Quanta poca fiducia...”
“Ho appena detto esattamente il contrario. Che ti conosco
troppo bene perché tu mi dia a bere questa pagliacciata, di
quello che batte in ritirata... Tu non sei uno che accetta facilmente
le sconfitte!”
“Mmm” mugugnò lui portandosi un dito
alle labbra, scrutandola attentamente “E quindi?”
“E quindi niente: piantala di fare lo scemo!”
“Altrimenti?” chiese lui abbassandosi al suo
livello facendosi sempre più vicino
“N..non....” non
saprei. L'aveva messa con le spalle al muro un'altra volta
“Non rispondo delle mie azioni” e delle mie parole.
“Interessante...” sghignazzò divertito
sfiorandole le labbra con le sue “Molto...”
Sarah si lasciò vincere e lo baciò a sua volta,
senza rabbia e con una strana emozione che le si agitava dentro, simile
alla nostalgia.
Ma si separarono quasi subito, anche se per lo spazio di un soffio
“Ammettilo...” Le suggerì lui, le
pupille dilatate coperte dalle lunghe ciglia bionde
Lei deglutì a fatica. Si era resa conto di cosa stava
combinando, se ne vergognava, avrebbe voluto poter tornare sui propri
passi... ma non si mosse di un millimetro “Cosa?”
riuscì a domandare alla fine
“Che ti faccio un certo effetto...”
Lei sbuffò e si allontanò definitivamente. Ma non
troppo. Si mise solo alla giusta distanza per poterlo mettere a fuoco
nella sua interezza “Sì. Tu hai potere su di me,
più di quanto non vorrei ammettere...”
Jareth le sorrise compiaciuto e le strinse le mani “Hai
lasciato che dettassi le regole del gioco, hai fatto quello che ti
dicevo, anche se non sempre. Hai praticamente detto di amarmi. E mi
temi... direi che il quadro è completo...” Disse
guardandola dritto negli occhi.
Sarah sorrise, imbarazzata e mormorò qualcosa in assenso.
Ormai l'aveva detto e lui non sembrava esserne infastidito. Stava
già crogiolandosi in quella sensazione di accettazione
quando lui concluse la frase, lasciandola pietrificata dalla sorpresa
“Non è vero, Rajeth?”
Il libro si chiuse con uno scatto secco. Un sospiro scoraggiato
accompagnò la deposizione del volume sulla pila di quelli
già consultati. Il tintinnio degli occhiali sul pianale di
fòrmica e lo scricchiolino metallico delle molle tese della
poltrona ripiegate all'indietro seguirono il peso del corpo che vi si
abbandonava esausto.
In tutti quei libri, recuperati il giorno prima in diverse biblioteche
e librerie, non c'era traccia concreta a cui appigliarsi per riuscire a
penetrare il mondo che Sarah aveva descritto.
Immanuel si alzò, stropicciandosi gli occhi affaticati e
andando a servirsi di una cioccolata calda. L'inverno era alle porte
anche se quel giorno, il giorno della partenza di Sarah per un luogo a
lui sconosciuto, era decisamente soleggiato. Indugiò appena
sul pensiero, augurandole una piacevole passeggiata. A conti fatti
sarebbe rientrata relativamente presto.
Tornò al tavolo e studiò, dall'alto, le piccole
colonne mozze di testi impilati gli uni sugli altri. Si
appoggiò alla libreria alle sue spalle, appuntando lo
sguardo sulla porta chiusa dello studio, sorseggiò la sua
bevanda un paio di volte, quindi afferrò un nuovo libro e lo
sfogliò rapidamente. In appendice, tra gli allegati, c'erano
degli schemi riassuntivi. Si perse a guardarli, senza realmente
studiarli. Finché la sua attenzione non fu risvegliata da un
nome. Quello era il nome di suo padre, imprigionato nello schema di un
albero genealogico. Accanto era segnalata la voce di una donna: Linda
Grimm.
Il nome gli suonava stranamente familiare eppure non aveva mai avuto
occasione di incontrare questa zia e ogni rara volta che aveva chiesto
al padre informazioni in merito aveva visto erigersi un muro di
doloroso silenzio.
Un campanello gli suonò alla vista di quel nome e
cercò una nota esplicativa. Andò al computer e
googlò il nome della donna: Linda Grimm, alias Linda William.
Se non era diventato improvvisamente deficiente, anche quel cognome gli
suonava molto, troppo, familiare. Dirottò la ricerca
affinché gli venissero mostrate le foto relative al nome.
Ed eccola finalmente comparire, in centinaia di ritagli di giornali,
foto di rito, sul palcoscenico, sul monitor sfarfallante in dotazione
dell'università. Non c'era possibilità di
fraintendimento. Quella giovane così simile a Sarah, una
Sarah con indosso vestiti e un trucco di un'altra generazione,
ammantata di una patina d'altri tempi, era Linda Grimm in Williams.
Sua zia.
E madre di Sarah.
“La madre di Sarah?” biascicò cercando
di afferrare un concetto facile, a portata di mano ma al contempo
sfuggente. Erano cugini!
Possibile che suo padre non se ne fosse reso conto? O che avesse
rimosso i ricordi legati alla sorella? La cosa non l'avrebbe sorpreso
più di tanto. Ma... a pensarci bene... l'aveva mai
incontrata, Sarah? Fece rapidamente mente locale e constatò
come, il più delle volte, Toby fosse arrivato e tornato da
solo, dopo scuola. Le volte che la ragazza l'aveva accompagnato, era
sempre rimasta ad attenderlo nel parco antistante il centro, col caldo
e col freddo, un libro sempre con sé per ingannare l'attesa.
La ragazza col libro, avevano preso a chiamarla le portinaie pettegole.
Ed era lì che si erano conosciuti, che avevano scoperto di
avere appena cinque anni di differenza, dove era nata una timida
simpatia, forse reciproca ma troncata sul nascere quando avevano
scoperto di frequentare la stessa università, con ruoli
invertiti, ai lati opposti della barricata. Cacciò il
ricordo e tornò a pensare al padre. No, si disse, Fred Grimm
non conosceva Sarah Williams e, quindi, non l'aveva ricondotta a sua
sorella.
Guardò ancora, prima il libro poi il monitor, inebetito.
Sarebbe stato così semplice ritrovarla, trent'anni prima, se
solo avessero voluto e saputo dove guardare. E se avessero avuto gli
strumenti giusti.
Linda era stata furba. Aveva lasciato la Germania ed era emigrata in
quella stessa città dove lui aveva finito per andare a
insegnare e dove anche suo padre l'aveva infine seguito, una volta
rimasto vedovo. Si era data, senza riserve, alla sua passione, la
recitazione e il balletto, attività, da quel che gli diceva
suo padre, molto mal viste in una casa conservatrice come la loro,
specialmente a quei tempi. Erano davvero dei conservatori: tramandavano
le stesse storie, immutate nella forma e nel contenuto di generazione
in generazione. Era una forma
mentis che bevevano nel latte materno e che era difficile
da estirpare.
Linda e Fred erano nati nei primi anni 40 in una Germania che
già si accingeva a epurare se stessa e il mondo e a
infilarsi nel lungo tunnel della Seconda Guerra Mondiale. I nonni,
sospettando tempi difficili, si erano trasferiti preventivamente nei
loro possedimenti inglesi, come molti altri connazionali, e da
lì avevano continuato le loro attività
antropologiche. Negli anni '60, in piena rivoluzione giovanile, Linda
aveva esternato con violenza la propria opposizione alla struttura
costrittiva che dominava la loro dinastia. A circa vent'anni lui era
fidanzato e lei, forse ispirata al modello femminile indipendente che
veniva proposto in quegli anni, non trovava nessuno da portare a casa.
Era una zitella, con tutta l'ignominia che quell'appellativo,
all'epoca, si portava appresso e si appiccicava sull'interessata e
sulla sua famiglia. Fu così che, di lì a poco,
Linda scappò di casa, portando con sé il libretto
rosso con scritta oro, la sua coperta di Linus, unica traccia della sua
famiglia di origine, e fece perdere le sue tracce.
Ricollegando tutti i dati in suo possesso, Immanuel riuscì a
immaginare gli anni a seguire: la donna girovagò per una
mezza dozzina d'anni e, alla fine, verso i trent'anni, anche lei era
crollata sotto la scure dell'amore. O presunto tale, da quello che gli
aveva confidato Sarah. Sposò un uomo buono che le diede una
vita agiata e serena, un nuovo cognome, oltre alla
possibilità di continuare a calcare le scene. Ma Linda era
volubile di carattere e si stancava presto delle cose, del marito come
della figlia. E come aveva abbandonato la sua famiglia di origine,
abbandonò anche quella che aveva voluto mettere in piedi
lei, vinta dalla passione, probabilmente momentanea anch'essa, per un
collega.
Chiuse la finestra del motore di ricerca e tornò al suo muro
di carta. Girò su se stessa una colonna di libri sbilenca e
osservò i titoli sulle costine. Quindi passò a
quella successiva: sotto il Dizionario
Esoterico e sopra l'Enciclopedia
del Piccolo Popolo2 stava il
fascicoletto intitolato “Le
giuste parole”. In quarta di copertina c'era
scritto che si trattava di sortilegi quindi... perché non
provare?
Immanuel aprì direttamente all'indice tematico e
cercò la voce Re di Goblin, che rimandava all'omonimo
Popolo. Lesse le righe relative agli incantesimi e si sorprese di come
quelle parole gli suonassero stranamente familiari. Dove le aveva
già sentite?
Sarah! Ancora lei, certo. Solo due giorni prima gli aveva rivelato
tutta quella vicenda fantastica da manicomio. Le parole, che aveva
letto nel suo libretto rosso, quello che doveva essere appartenuto a
Linda, e che successivamente aveva riportato anche nella sua agendina
nera, erano le medesime. Ne era certo. Richiamando a sé il
racconto, decise di fare un tentativo. Se le sue supposizioni erano
giuste, l'espediente avrebbe funzionato anche con lui.
“Desidero che i Goblin mi portino dove si trova Sarah,
all'istante!”
1 Chi non riconosce le parole di Cap.
Jack Sparrow de “I
pirati dei Caraibi”?
2 Sono libri realmente esistenti: del
primo ho solo delle fotocopie, fatte anni fa nella biblioteca
universitaria (!) l'altro ce l'ho dai tempi delle medie, credo...cmq ha
almeno 15 anni!
- - -
- -
- -
- -
-
Premetto che odio gli anglicismi, in particolar modo "googlare" =_=
e ho ritenuto opportuno doverlo utilizzare, tanto
più che è un neologismo entrato di diritto nei
dizionari, insieme all'obrobrioso "bloggare".
Vabbè...veniamo a noi: Ragazzi, siamo agli sgoccioli!
Spero di non essermi incasinata coi conti delle date di Linda. Il
ragionamento è semplice: Sarah nell'86 aveva 16 anni. Quindi
era nata nell'70. A quell'età Linda aveva circa 30 anni e
quindi doveva essere nata negli anni 40 (decido io! PS: negli anni 50
si era Zitelle - quasi scacciate da tutta la società- se
intorno ai VENTI anni non si era almeno Fidanzate - che non
vuol dire impegnate... fate caso, la differenza c'è pure su
Facebook: fidanzate
vuol dire che entro un anno o due ci si sarebbe sposate e che, quindi,
il moroso
era andato a parlare coi genitori e si stavano organizzando le cose; impegnate
è il passo subito prima che va dalla cotta allo stare
assieme anche da dieci anni ma senza aver deciso di metter su famiglia)
Comunque, sottigliezze
(per me non sono tali) linguistiche a parte... :D cosa avrà
in mente il caro Jareth? Lo saprete solo tra una settimana (non
è detto XD) vi preannuncio che il prossimo capitolo
avrà rating ROSSO
perché non si sa mai qual è il livello di
sensibilità del singolo -siete avvisati-
Dopo di che :3 resterà l'ultimo e vi sarete liberati di me.
Bacioni a tutti!!!
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Capitolo 33 *** Evviva il re ***
33. Evviva
il re
->Avviso
ai lettori: dalla seconda metà, ritengo opportuno
che questo capitolo abbia rating Rosso. Non ci
sono descrizioni dettagliate ma la vicenda potrebbe infastidire i
più sensibili. Quindi, chiunque lo desiderasse
può saltare la parte e aspettare tranquillamente il capitolo
conclusivo. <-
Vi
saluto qui e vi do appuntamento alla prossima settimana per l'ultimo
capitolo.
E
ricordate: nulla è come sembra.
Tutto
cambiò all'improvviso.
Ma
prima dei suoi occhi, furono le sue orecchie a registrare il mutamento.
I passi allegri non suonavano più ovattati e distanti: un
rimbombo leggero che sapeva di umidità anticipò
ciò che gli occhi, così abituati
all'oscurità di quella strana notte boschiva, ancora non
riuscivano a inquadrare. La strada bianca, polverosa e accidentata che
stava percorrendo in una leggera corsa, trottando dietro alla piccola
sfera opalescente, divenne improvvisamente un lungo corridoio di pietra
scura, solido, liscio e compatto.
Toby
si fermò di colpo, lasciando che la sfera continuasse a
rotolare per inerzia. Dov'era finito? Perché così
all'improvviso?
Non
ebbe il tempo di interrogarsi ulteriormente sulla natura del luogo che,
dal fondo del tunnel, sentì arrivare delle urla isteriche
molto simili a quelle di sua sorella quand'era all'apice del
nervosismo. Di quando, cioè, sarebbe stato meglio essere
ovunque, tranne che a portata di mano.
Riprese
il cammino e si affrettò a raggiungere la sfera. La
recuperò al volo e se la infilò nuovamente in
tasca, dove avrebbe dovuto rimanere dall'inizio. Arrivato in fondo al
corridoio si ritrovò affacciato su una grande balconata il
cui parapetto era traforato da oblò così grandi
che lo facevano sembrare solo un accessorio estetico più che
una struttura funzionale. Sotto di sé, c'era una vasca ovale
scavata nel terreno e uno scanno avente come schienale un paio di corna
zigrinate. Qualcosa, in quel posto, gli sembrava vagamente familiare.
Poi si ricordò delle immagini che erano apparse, distorte,
nella sfera. Lui era già stato lì, anche se nelle
immagini l'ambiente era più scuro e tetro mentre ora aveva
un aspetto pulito, ordinato... sano.
Alle
sue spalle avvertì un leggero movimento d'aria. Si
voltò lentamente e, dal corridoio da cui aveva appena fatto
capolino lui stesso, vide comparire un uomo dai capelli scuri con la
tipica aria del secchione. O del prof. Attorno all'uomo, una schiera di
ometti grigi e verdastri sembravano scortarlo, stretti attorno alle sue
gambe.
Qualcosa,
nell'intero quadretto, stonava. Forse perché era
già stato lì. In ogni caso, si sarebbe aspettato
un comportamento più chiassoso e caotico, da parte di quelle
creature ora stranamente silenziose, ordinate e compite. E tristi.
Qualcosa nei loro sguardi gli diceva che erano abbacchiati e che
attendessero, come lui, un qualche evento cruciale. Spostò
nuovamente lo sguardo sull'uomo che, a sua volta, lo scrutava
interrogativo. Quindi, si volsero entrambi ad osservare il gruppo nella
sala sotto di loro.
Allucinazioni.
Era indubbio. Doveva avere avuto allucinazioni acustiche. Ne era
più che convinta. Non poteva spiegarsi in altro modo.
“Non
è vero, Rajeth?” aveva detto
Eppure,
alzando lo sguardo spaurito e confuso sul suo accompagnatore, aveva
notato il mondo circostante cambiare vorticosamente aspetto. Si era
allontanata da lui d'impulso.
“Non
è vero, Rajeth?”
Qualcosa
non quadrava... tante cose non lo facevano. A partire dai loro vestiti.
Perché mai lei si trovava vestita come un'odalisca e lui,
invece, era tornato agli abiti stravaganti e appariscenti di dieci anni
prima? Rajeth... un nome che ora, stranamente, le suonava troppo
familiare ed evocava dolcezza e dolore. La testa le scoppiava,
affollata di pensieri.
“Cosa
vuol dire?” domandò in un alito angosciato
concentrandosi sul qui e ora. Erano forse in combutta? Da Jareth
avrebbe dovuto aspettarsi un tiro mancino simile. Ma perché?
Non lo capiva, gli stava restituendo il suo trono. Quale motivo aveva
per ingannarla?
“Che
ora sono di nuovo il Re, non è vero, fratello?”
disse il biondo andando a fronteggiare il moro. Sulle labbra un sorriso
di vittoria, ma non di sfida, nei suoi confronti. Aveva vinto. Anzi,
avevano vinto: i due fratelli. Non loro due. Non lui e lei.
Sarah
batté le palpebre un paio di volte per schiarirsi la
visione, fattasi improvvisamente confusa.
“Ma...”
balbettò, incapace di articolare un suono concreto. Strinse
i pugni e digrignò i denti, frustrata “Cosa
significa?” strepitò infrangendo quel muro di
confusione che la circondava.
Jareth
si voltò, andando ad affiancare il fratello, guardandola
perplesso, come se fosse stupida “Te l'ho appena detto, my
dear. Mi hai reso i miei poteri e quindi il mio ruolo. Rajeth
è ora esentato dal fare le mie veci.” disse come
se fosse la cosa più ovvia del mondo
“Lascia
solo che io ti domini. Non hai che da temermi, amarmi, fare
ciò che ti dico e io diventerò il tuo schiavo”
recitò lei come inebetita “Giusto? Mi hai condotto
fin qui, comportandoti a quel modo solo per...” era incredula
e non ce la faceva nemmeno a terminare la frase “Ti dissi,
dall'inizio, che ti rendevo i tuoi poteri e il tuo trono. Che io non li
volevo!” Disse alzando la voce di un'ottava
“Ma
non funziona semplicemente così...”
replicò lui incrociando le braccia al petto “Ad
ogni modo, ora che sono nuovamente re, posso essere il tuo
schiavo...dimmi, Sarah, c'è qualcosa che desideri
particolarmente?” La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi,
nervosa. Avrebbe voluto rispondergli che avrebbe tanto desiderato
ammazzarlo di botte per il suo comportamento scorretto. Ma tacque.
“Non trovi divertente il fatto
che, proprio perché ho riavuto i miei poteri ora possa
servirti al meglio?” Jareth era convinto della
bontà delle proprie azioni. Rise, insieme al fratello, quasi
non fossero mai stati avversari.
“Già
che ci siamo tutti...” si intromise Rajeth “Direi
che possiamo anche spicciarci a chiudere tutta la
faccenda...” e con un movimento del capo indicò il
balcone dove Toby e Immanuel stavano rannicchiati a osservare,
apparentemente non visti, la scena. Detto fatto i due comparvero,
inspiegabilmente e improvvisamente, accanto a Sarah.
“Allora...”
continuò il moro fissando Immanuel “Tu sei stato
chiamato qui come testimone. Dovrai documentare fedelmente, come
compito della vostra
famiglia...”disse sottolineando l'aggettivo e lasciando che
lo sguardo vagasse sui tre componenti, cui faceva riferimento
“...da generazioni, quello che accadrà
oggi.”
L'uomo
lo guardò perplesso. Avrebbe voluto puntualizzare che non
era stato chiamato ma che aveva macchiato la propria anima
logica e laica con un atto di stregoneria.
Toby
protestò debolmente dicendo di non conoscere quell'uomo e
Rajeth sbuffò impaziente
“Ma
veniamo a te, piccola peste! Lo sai che non si parla senza il permesso
dei grandi?” ridacchiò folgorando Toby coi suoi
occhi rossi “Ad ogni modo, tanto per rispondere alla vostra
domanda...” disse guardando Sarah “Lui è
vostro cugino, non lo sapevi? In realtà cugino di Sarah, tu
sei solo un parente acquisito, come è regola, in questi
casi. Ma...volevo farti i miei complimenti: sei riuscito a
liberarti...”
“Tu
sei un bugiardo!” sbottò il bambino dimenticando
ogni rispetto per gli adulti: quei due disgraziati erano tutto
fuorché gente matura e responsabile. Non
si parla senza il permesso dei grandi? Beh,
stava parlando con lui e l'aveva pure interpellato, quindi...
“Hai mentito spudoratamente! Credi che io ti creda?”
“Che
gli hai fatto?” sibilò Jareth al fratello
guardandolo in tralice
“Solo
giocato le mie carte al meglio...” gli rispose l'altro
sorridendo
“So
tutto!” Bluffò il biondino. Si frugò
nelle tasche, ne estrasse la sfera e la mostrò con orgoglio
agli astanti
“E
quella?” domandò scettico Rajeth levando un
sopracciglio. Sarah gli aveva fatto eco sbalordita
“E'
il mio portafortuna...ce l'ho sempre avuto...” aggiunse
guardando la sorella di sottecchi. Lei, a sua volta, si girò
verso Jareth che le sorrise compiaciuto. Allora ricordò che
nella sala di Escher lui, dopo averla accusata di
insensibilità, gli aveva mostrato il lattante lanciandogli
una di quelle dannate sfere. Poi aveva perso di vista il marmocchio...e
la sfera! L'aveva rivisto direttamente nella culla. “Mi ha
mostrato cos'è successo realmente!”
“Ma
davvero?” ridacchiò Rajeth per nulla
impressionato. “Va bene, allora... possiamo fare veramente in
fretta... Devi scegliere...”
“Lo
so...” ringhiò il bambino “Me l'ha detto
… una persona importante...” aggiunse vedendo lo
sguardo scettico dei due fratelli
“Benissimo,
allora!” Continuò Jareth “Allora avrai
già la tua idea... chi scegli?”
Il
bambino rimase interdetto, sospettando, all'improvviso, un tranello.
Chi avrebbe scelto...per
cosa?
Per
sua fortuna, Immanuel decise di intervenire, per la prima volta,
proprio in quel momento “Scegliere cosa? Dovere di
cronaca...” precisò quando si accorse di aver
calamitato su di sé tutta l'attenzione
Jareth
sbuffò “Ora che siamo in condizione di
parità, il prescelto deve indicare il legittimo erede del
titolo che governerà, in sua assenza, fino al compimento dei
diciott'anni. Da quel momento, la discendenza tornerà a
lui.”
“E
per quale motivo è così importante?”
incalzò il professore, il cui spirito di ricercatore si era
appena ridestato
“Perché
nelle mani di uno c'è, oltre il titolo effettivo seppur a
tempo determinato, la vita dell'altro. Le leggi che verranno promulgate
fino ad allora potrebbero compromettere la sua ascesa, arrivando a
modificare il regolamento. Siamo vicini allo scioglimento della
maledizione e bisogna ristabilire l'ordine.” rispose Rajeth
stancamente
Toby,
che in tutto quel lasso di tempo non aveva mai abbassato lo sguardo,
fingendo abilmente di essere a conoscenza di tutte le implicazioni
della sua scelta, parlò con voce sicura e impaziente, quasi
la spiegazione fornita non fosse altro che un'inutile perdita di tempo.
“Ovviamente, non scelgo nessuno di voi due
ciarlatani” disse stizzito.
I
due fratelli sorrisero bonariamente alla sua esternazione,
probabilmente pensando fosse troppo giovane e sprovveduto per poter
prendere una decisione tanto importante. “Tu devi
scegliere...non puoi esimerti...”
“Allora
scelgo...” Toby soppesò la scelta che aveva
già in testa, a suo parere la migliore in assoluto
“Sarah! Lei è la mia tutrice e
continuerà a curare i miei interessi fino alla maggiore
età. Lei ha i requisiti e le conoscenze per governare questo
posto in mia vece”
“Ma
sei impazzito?” sbottò la sorella, resasi conto di
quello che aveva appena detto il bambino. Istintivamente, strinse il
medaglione che aveva ancora al collo, l'emblema del potere. Medaglione
che non era ancora tornato a Jareth, il suo legittimo proprietario.
“Ciò
che è detto è detto...”
biascicò mesto Jareth “Come dice giustamente il
ragazzino, Sarah ha i requisiti adatti.” con un ampio
movimento del braccio constatò la realtà dei
fatti. Immediatamente, Sarah si rese conto che il suo vestito era
cambiato ancora una volta. Non che a Jareth servissero gesti
particolari per fare magie. Era semplicemente più
scenografico e teatrale.
Si
sentiva la schiena nuda, accarezzata solo da qualche ciocca di capelli,
evidentemente raccolti in un elegante chignon fermato da una tiara che
le pizzicava la cute. Le braccia scivolarono sul lucente raso avorio
dandole una sensazione di freschezza. Mai come in quel momento avrebbe
desiderato uno specchio.
“Io
non voglio saperne di questo potere!” replicò poco
convinta.
“Desideri
avere qualcuno al tuo fianco che regga tutto questo peso?”
domandò sardonico Rajeth
“Qualcuno
che sia...abituato?”
rincarò il biondo re di Goblin mentre Rajeth metteva il muso
e arricciava le labbra, probabilmente infastidito per quell'ingerenza
“Ora
sarei io a dover scegliere?” rispose con un ghigno nervoso
“Non
preoccuparti...se l'imbarazzo della scelta è tale, possiamo
vedercela tra noi...” replicò Jareth mellifluo.
“Non ho ragione?” chiese senza nemmeno voltarsi
“Proprio
così” confermò Rajeth con un sorriso
tirato e triste, le parole che si incastravano in gola.
Si
udì un sibilo frustare l'aria. Quindi il rumore lacerante di
carni che vengono straziate. Il crepitare di ossa disarticolate o
tranciate. Lo zampillìo di un liquido in pressione che
schizza fuori dal proprio contenitore.
Sarah,
sconcertata, abbassò lo sguardo sul proprio abito candido.
Era macchiato di spruzzi rossi, caldi e freschi. Il terrore le
annebbiò la vista e i ricordi di corpi martoriati in una
pozza di sangue ritornarono violenti alla memoria, mozzandole il
respiro. Il suo corpo sembrava essere in bilico tra due reazioni
ugualmente forti ma così diverse: vomitare o svenire.
I
due fratelli avevano eliminato il terzo incomodo per vedersela tra di
loro? Ma lei non la voleva quella responsabilità!
Alzò
lo sguardo, cercando gli occhi dei suoi assassini. E
incontrò quelli azzurri, spaiati e sbarrati di Jareth.
Avrebbe voluto urlargli i peggiori insulti, di come si sentisse stupida
a essersi fidata così di lui. Avrebbe voluto sbattergli in
faccia un “E
io cosa avevo sempre detto? Tu mi volevi morta dall'inizio!”.
Qualcosa
nello sguardo dell'altro la fece demordere. Qualcosa nel suo improvviso
pallore verdastro le disse che c'era un dettaglio che non aveva ancora
messo a fuoco.
Dolore.
Non
aveva provato alcun dolore fisico. Quindi... le armi magiche non
facevano male come quelle umane? Jareth non aveva assestato un colpo
abbastanza preciso da tranciarla in due di netto e non aveva potuto
riappropriarsi di quel potere che lui stesso, a quanto aveva detto, le
aveva donato chissà quando? Era preoccupato per quello? Di
perdere qualcosa che era suo e che, come tutte le creature
dell'Underground, a detta sua, smaniavano per ottenere?
No.
Era qualcos'altro.
Ma
lo capì troppo tardi.
Quando
lui si accasciò al suolo, rivelando l'orribile squarcio che
lo percorreva dalla base della nuca fino alla cintola. Gli eleganti
abiti azzurri erano neri del suo sangue, i suoi capelli impastati in
nodi grumosi. Il taglio, non riusciva a vederlo bene... non voleva
vederlo, in realtà. Doveva avergli trapassato la cassa
toracica o il corpo molle delle viscere perché arrivasse
fino a lei.
Incapace
di ragionare, paralizzata da un nuovo orrore, alzò
meccanicamente lo sguardo sul moro che ora svettava davanti a lei.
Rajeth
avanzava a passi misurati, sicuro e tranquillo, come se non fosse
successo nulla. Come se suo fratello non fosse appena morto. Come se lui non lo
avesse appena ucciso.
Nella
mano, se ne accorse solo in quel momento, brillava una strana spada
zigrinata, simile a un kriss1. La lama,
ma a ben vedere anche l'elsa, era di una strana pietra scura,
paradossalmente luminosa quanto un diamante ma per niente trasparente.
Quella che reggeva in mano era uno squarcio di sublime
oscurità.
“Il
diamante nero2
è decisamente resistente...non trovi?” disse
rimirando la lunga lama sottile mentre calpestava il cadavere del
fratello, come se fosse stato soltanto un'estroflessione del terreno.
“Dunque, mia cara...vogliamo procedere?” disse
inginocchiandosi davanti a lei. Le prese la mano, rigida lungo i
fianchi, e se la portò alle labbra, fissandola con mal
celato desiderio.
Quegli
occhi rossi, così innaturalmente rossi, le davano solo
fastidio, in quel momento. Ma sentiva anche una profonda attrazione.
Come poteva averli amati, trovati caldi e rassicuranti un tempo?
“Capisco
come puoi sentirti...” disse lui, sbuffando e rialzandosi
“Ma ho solo anticipato le sue mosse. Mors
tua, vita mea. Avevo
previsto che Toby non avrebbe scelto nessuno di noi due... e ho
anticipato le sue mosse. Anche perché c'ero io, prima di
lui. Mi sarebbe proprio seccato farmi portare via, ancora una volta,
ciò che è sempre stato mio...”
“Non
mi toccare...” sibilò Sarah liberando il polso
dalla sua mano “Assassino...”
“Quante
storie...” sbuffò il moro
“E
non sono un oggetto!” replicò ancora la ragazza,
cercando in se stessa la forza per non crollare. Toby e Immanuel, alle
sue spalle, insieme a Marking, non si muovevano, forse intrappolati da
qualche muro invisibile.
“Tutto
quello che vuoi, mia preziosa...” disse allargando le braccia
“E
non usare le sue
parole!” ringhiò, tremante di rabbia
Lui
si voltò a scrutarla con sufficienza “Non mi era
sembrato che ti dispiacesse le usassi...quando stavamo
assieme...” sputò velenoso
“Non
siamo mai stati assieme!” replicò lei
più piccata
“Ah
no, certo...solo perché non te l'ho mai chiesto. Se con te
non si è più che espliciti la cosa non
gira!” ringhiò infastidito “Degno della principessa...Ma, se
la memoria non mi gioca strani scherzi... quella volta tu non ti sei
tirata indietro, anzi...” La cattiveria con cui le
rinfacciò il passato la stordì permettendo a
Rajeth di continuare “E' stato già
abbastanza...” si volse di lato, mordendosi le labbra e
arricciando il naso in cerca del termine che meglio esprimesse i suoi
sentimenti “...frustrante...
vederti fare la civetta con lui per tutto questo tempo...”
ringhiò rancoroso “Fare a lui gli occhi dolci,
arrossire alle sue parole...baciarlo, addirittura...” Quando
tornò a posare lo sguardo su di lei la vide confusa. Quindi
aggiunse “I tuoi sogni... quelli che hai rivissuto poco fa...
non erano sogni.” la informò con una nota
nostalgica nella voce. Sembrava avesse un groppo in gola per l'emozione
“Quelli...erano il nostro passato, Sarah. Tuo e
mio.” Aveva moderato i toni e ora la guardava con
così tanta dolcezza e struggimento da farle quasi
dimenticare l'orribile azione di cui si era macchiato.
“Potevi
evitarmi tutto questo...affrontare ancora il labirinto!”
rispose lei sulla difensiva, confusa da quel cambiamento repentino
“Non
potevo, come non potevo restare con te nell'Aboveground. Queste sono le
responsabilità di chi è chiamato a
regnare.” la informò ancora, paziente
“Inoltre, il mio labirinto era diverso da quello di Jareth.
Il suo mette il concorrente nelle condizioni di affrontare
difficoltà esterne al sé. Ne testa le
capacità -logiche, adattive, emotive- obbligandoti a
evolvere e maturare per poter procedere. Se tu hai vinto, è
perché eri una persona tutto sommato completa. Nel mio
labirinto, invece, devi affrontare te stesso. I tuoi desideri, le tue
paure e la tua coscienza” Sarah ricordò il primo
incontro con lo specchio, il cubo claustrofobico e lo spazio
interdimensionale e le sabbie mobili. “Un bravo
regnante...” continuò Rajeth “Deve saper
affrontare se stesso. Deve sapersi mettere da parte per uno scopo
più grande. Nel tuo caso, dovevi solo rendere i poteri a
Jareth. E anche lui, ovviamente, doveva dimostrarsi nuovamente degno di
ambire al titolo.” E Sarah rivide il biondo mentre affondava,
in un'irreale compostezza regale, nella melma fangosa, di come l'ansia
l'avesse attanagliata. L'aveva creduto morto già quella
volta. Probabilmente, si disse, come nei romanzi che tanto amava, il
protagonista non era morto davvero. Era solo svenuto o era in uno stato
di morte apparente. Doveva esserci il trucco! Quello era un mondo
magico, tutto era possibile e niente era come sembrava.
Ripeté quelle parole nella sua testa fino a convincersi
della loro verità. Jareth non poteva andarsene in un modo
tanto poco grazioso.
Ma
un nuovo senso di panico la invase. E se, invece, fosse morto davvero?
Se quel senso di sicurezza fosse solo la confusione di quando voleva
credere che un personaggio tanto amato non fosse davvero morto? Il duro
contraccolpo sarebbe arrivato solo alla fine dell'avventura. Ma
qual'era la fine della sua avventura? Avrebbe mai scoperto la
verità? Anche avesse visto il corpo decomporsi
immediatamente sotto i suoi occhi, avrebbe pensato a un qualche trucco.
Maledisse quel mondo assurdo in cui nessuna regola poteva essere data
per buona e definitiva. Qual'era la verità?
Rajeth
lesse il conflitto nei suoi occhi. Stirò un sorriso e quando
parlò, Sarah pensò di vivere un incubo
“Mia cara... è tutto vero. Tu sei regina e
Jareth...” disse dando un calcio sul costato del cadavere in
modo da voltarlo supino “E' solo un uomo. Un mago non
è altro che un uomo con poteri illimitati. Non è
immortale. E' solo dieci volte più longevo. E ora
è morto stecchito.”
Il
calcio al corpo inerme. Gli arti, che si mossero in modo innaturale,
troppo fluido e scomposto. Lo squarcio sul petto. La pelle tirata sugli
zigomi. Gli occhi sbarrati.
L'orrore
della morte si palesò in tutta la sua sconvolgente essenza.
Il rifiuto dell'accaduto, protratto fino a quel momento, e il rifiuto
dell'azione dell'uomo che le porgeva la mano amorevole, così
stridente con il contesto, esplosero violentemente nel petto della
ragazza, squarciandolo di un dolore incommensurabilmente più
straziante di qualunque altro sentimento avesse mai provato in vita sua.
Jareth
era morto.
1
Uno dei miei punti deboli e ricorrenti sono le armi. Certe armi in
particolare. Non ricordo nemmeno più quando nacque il mio
amore per il Kriss, questo
pugnale malese a doppia lama ondulata. E' terribile!
2
Per saperne di più Carbonado e Diamante
Nero.
|
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Capitolo 34 *** Non è tutto oro quel che luccica ***
34.
Non è tutto oro quel che luccica
Il grido angosciato che sgorgò spontaneo dalle sue labbra fu
accompagnato da un violento terremoto. All'interno dell'ambiente
chiuso, si levò uno strano vento innaturale che
andò a condensarsi attorno alla sua figura, facendo danzare
le vesti e i capelli. Come il fiume che scorre verso la cascata,
così il vento saliva a lambirne la figura.
Rajeth scoprì il volto che aveva protetto, in un gesto
istintivo, col braccio. Toby e Immanuel erano raggomitolati in un
angolo della sala, protetti dalla folta pelliccia di Marking
“Datti una calmata!” ringhiò il moro
rizzandosi nella tempesta, facendosi improvvisamente scudo con la
magia, le vesti che pendevano di nuovo placide. Le afferrò
il polso e la costrinse a un bacio non voluto. Lei lo respinse subito,
furibonda “Ricorda cos'eravamo” le disse ferito da
quel comportamento “Ricorda chi ti è stato vicino
per tutto questo tempo.” Disse tornando ad avvicinarla
“Stammi lontano...” sibilò lei, stravolta
“Io ho vissuto nel tuo mondo, io so cosa vuol dire... Jareth
non ti avrebbe mai amata davvero. ”
Il dolore per la perdita dell'uomo ai suoi piedi le si
riversò addosso, travolgendola come una frana incontrollata.
Urlò di dolore, ancora una volta. Il vento esplose da lei,
cambiando direzione, distruggendo tutto nel suo turbinare.
“Non dirlo mai più!” gli
intimò
“Ho detto solo la verità, Sarah. Sei libera di
credere quello che preferisci. Ma lui ti ha solo usata”
replicò Rajeth svettando controvento
“Anche tu!” ringhiò lei e il vento si
fece più compatto e tagliente. Il moro barcollò
sotto il peso delle sferzate di rabbia e quando ritrovò la
posizione eretta, era coperto di tagli sanguinolenti
“Cosa vuoi fare? Uccidermi per vendicarti? Non sei il tipo,
Sarah!” replicò sarcastico.
Il vento esplose un'altra volta, violentissimo, scagliandolo contro il
trono e mandandolo a gambe all'aria. Poi, com'era comparso, il vento si
quietò. “Io non sono come te!”
ringhiò, gli occhi ridotti a due fessure glaciali.
Nel silenzio carico di tensione che ne seguì, una risata
sguaiata proruppe alle loro spalle, facendoli sobbalzare entrambi per
la sorpresa.
Steso a terra, in un lago di sangue, Jareth teneva gli occhi coperti
dalla mano guantata.
“Ti ho appena ucciso..” sibilò irritato
il fratello
“Errore!” lo canzonò l'altro
“Hai pensato a tutti i dettagli, tranne il più
significativo...” disse l'altro tirandosi a sedere a fatica.
Gli scappò un gemito di dolore. Si guardò le
vesti sozze e lacere e una smorfia di riprovazione gli
attraversò il volto.
“A cos'è che non avrei pensato...”
sbottò l'altro incrociando le braccia al petto, offeso
“A lei...l'hai sottovalutata...” disse Jareth
osservando Sarah, che lo guardava a sua volta, ipnotizzata.
“Non capisco dove ho sbagliato...”
sibilò l'altro strizzando gli occhi
“Lei è la mia donna, hai poco da
fare...” sghignazzò il biondo, tendendo la mano
alla ragazza. Che non si mosse.
“Lei amava me! Morto tu, c'ero io a sostituirti!”
ringhiò l'altro “Ancora una volta”
precisò
“Amava... hai ragione. Si tratta del passato.”
precisò il biondo “La tua presunzione ti ha fatto
perdere di vista un piccolissimo dettaglio.”
“Taci!” Sbraitò lanciandogli addosso con
rabbia. Ma nulla si levò dalle sue mani. Anzi, un tremendo
capogiro lo costrinse a inginocchiarsi a terra. Ansava in cerca di
ossigeno e la visione si era fatta scura, con sprazzi violacei laddove
la luce si infrangeva su oggetti chiari e luminosi.
“Cosa..?” Rajeth era perplesso. Cosa gli stava
succedendo? Dov'erano finiti i suoi poteri?
Jareth rise in risposta, divertito e sollevato “Non ti
agitare troppo. Dimentichi quanto può essere distruttivo il
suo potere? Ringrazia che si sia trattenuta e ti abbia solo privato
delle forze. Per ridarle a me!”
Rajeth alzò gli occhi dalle proprie mani e lo
squadrò rabbioso “Lei non
può...”
Jareth lo interruppe “Perché? Ragiona,
cretino!” lo rimproverò
“Tu non le hai fatto nulla, quella notte!”
ringhiò indispettito
Il biondo stirò un sorriso comprensivo “Marking ha
schermato davvero bene il tuo potere... Così sei convinto
che non le abbia fatto nulla, eh...” disse lasciando
scivolare sulla donna impietrita un'occhiata lasciva
“Non sei il tipo!” precisò il moro
Il Re di Goblin batté le mani sulle cosce e si
tirò su “Se è questo che pensi...Allora
più che del rancore della mia
donna...” sottolineò “...forse avresti
dovuto temere il potere di una vergine innamorata...”
Arricciò le labbra e continuò “Quello
che non avevi proprio calcolato è che potesse essersi
davvero innamorata di me, giusto? Perché una vergine
è potentissima...”
“Ha ammansito Bellfast, ne è la prova
concreta...” ribatté l'altro
Jareth gli diede ragione con un cenno della testa “Ma ha
anche un potere smisurato, che non sa tenere a bada e che avrebbe
stordito quel pusillanime di un ciuchino anche se avesse perso la sua
purezza... Potere che potrebbe esserle rimasto in corpo, dopo avermelo
riconsegnato tutto, solo se avesse giaciuto con me. Il fatto che,
vergine o meno, sia innamorata di me, del morto che tu hai
così vilmente offeso, ha amplificato la sua rabbia. Non
l'avevi calcolato...” sorrise comprensivo.
“Sottraendo a te tutti i poteri per riportare in vita me...
direi che l'unico vincitore sono io. Non trovi?” Rajeth
tacque, buttandosi a sedere, le braccia buttate a penzoloni sulle
ginocchia. “Potrei risparmiarti la vita...”
sogghignò il biondo, avvicinandosi a Sarah e prendendole la
mano “Se lei lo vorrà...” aggiunse
baciandogliela. Come ridestatasi da un lungo sonno, la ragazza
batté le palpebre un paio di volte, guardandolo smarrita
“Bentornata...” disse lui, contento e soddisfatto.
Le prese il mento con la mano libera, carezzandole la guancia in
piccoli cerchi e avvicinandosi per baciarla.
Il suono secco di un ceffone risuonò in aria. I due fratelli
rimasero sbigottiti. Non ebbero il tempo di riprendersi che Sarah
aggirò il sovrano, dirigendosi a passo svelto verso il
fratellino. Lo prese per mano, carezzò Marking e
fissò Immanuel, lasciando a intendere che dovessero mettersi
in piedi.
“Sarah?” domandò Jareth confuso,
correndole appresso e afferrandola per il polso, affinché si
girasse.
“Non osare toccarmi...” sibilò
ritraendosi “Mi hai usata, brutto schifoso...”
“Non è vero...” protestò lui
“Sapevo che avresti reagito così e ne ho
approfittato per farti confessare...”
“Cosa? Che sono una stupida? Che, anche se sapevo non avrei
dovuto, mi sono fidata di un essere subdolo come te?”
rantolò nella foga di insultarlo “Sì,
bravo, bella scoperta... a far innamorare la gente con belle paroline
sono capaci tutti...” disse fissando anche Rajeth
“Siete proprio fatti della stessa pasta..”
commentò amara.
Jareth e Rajeth si guardarono, perplessi “Guarda che nessuno
ti ha mentito...” protestarono in coro. Ma lei non li
badò e tornò dalla sua famiglia. Li prese per
mano e fissò, gelida, i due maghi “Non voglio
vederti mai più...” disse con tutta la rabbia che
aveva in corpo “Guai a te se oserai farti vedere. Potrebbe
essere la volta buona che deluda le vostre aspettative e mi trasformi
in assassina!” Ringhiò furiosa.
Di colpo la sala si svuotò. Dei terrestri non c'era
più alcuna traccia.
“Che bel casino...” commentò Rajeth
“Sta zitto, idiota!” replicò Jareth con
un sorriso divertito sulle labbra
“Al mio posto avresti fatto lo stesso.”
precisò il moro.
Il biondo sbuffò, mani ai fianchi. Si voltò e
andò a dargli una mano a rimettersi in piedi
“Sì... anzi, l'ho fatto...”
soffiò.
“E ora che facciamo?” disse l'altro osservando la
distruzione lasciata dalla ragazza: i drappi pendevano inerti e laceri
dai loro supporti, le balconate erano franate riempiendo la sala di
polvere e macerie.
“Per prima cosa, sistemiamo...” mormorò
angustiato Jareth. In un baleno, tutto tornò al suo aspetto
originario e caotico.
Rajeth storse il naso “Preferivo la mia versione pulita e
ordinata...” commentò
“Avrai tempo per metterti a lucidare i pavimenti nel tuo
regno...” rispose il biondo
“Ti ricordo che io non ho un regno”
protestò l'altro incrociando le braccia al petto e
soffocando una smorfia di dolore. “Non più,
almeno”
Jareth si volse e, in un batter d'occhio, lo rimise in sesto
“Tu hai sempre avuto un regno tutto tuo, nascosto in un
anfratto nell'Aboveground, che porta il tuo
nome..”replicò calmo il biondo
“Com'è che io non ne ho mai saputo
nulla?” ribatté sarcastico l'altro
“Perché l'ho scoperto durante quest'anno di
malattia... Mamma e papà ne hanno parlato davanti a me,
convinti che fossi del tutto incosciente...” si
giustificò lui, andando a sbracarsi sul suo trono pacchiano.
Batté le mani tra loro e, quando le riaprì, un
immagine tridimensionale aleggiava sui suoi palmi. Un piccolo regno,
incastonato tra montagne cristalline bagnate da uno splendido lago
argentato. Avvicinandosi, come volando su di esso, si intrufolarono tra
le stradine, si immersero nei profumi e nei colori del luogo.
“Che te ne pare? E' il Rajstan e l'emblema del
re...” disse posando un dito sulla pietra che era incastonata
nell'amuleto al collo del fratello “E' la Rajeta, guarda un
po'...1”Il moro rimase a osservare
inebetito il piccolo diorama tra le mani del fratello “Mi
dispiace, Rajeth... ho dovuto vincere. Se volevo consegnarti le chiavi
di questo posto, non avevo altro modo... Si sarebbe manifestato solo
allo scioglimento della maledizione...” disse con un sorriso
stanco.
Rajeth si rialzò di scatto, piantando le mani sui fianchi
“Non dire cazzate! Tu l'hai fatto per lei, non certo per me.
E comunque la maledizione non è sciolta nemmeno per
niente...”
“Diciamo che ho preso due piccioni con una fava... me ne
vuoi?”
“Mi hai imbrogliato, re degli imbroglioni!”
sbuffò esasperato
“Lo prendo per un complimento!” sorrise il biondo
“Quanto alla maledizione... direi proprio che ci siamo,
invece...”
“Non avrai discendenza da lei, come non l'avrò io,
mettitela via... adesso trasmetteremo le nostre colpe per altre sette
generazioni...Siamo intrappolati nelle tele che avevamo tessuto per
imprigionarci a vicenda” borbottò l'altro
“Continueremo questa cosa del rapire bambini per farci da
sostituti. E per ogni bambino preso, un suo familiare, con cui non
avrà che minimi legami di sangue continuerà a
perpetrare le conoscenze dell'Underground...”
“Ma se per te si è attivato il regno...”
commentò Jareth levando le sopracciglia
“...inoltre la conoscenza è andata frammentata. Ci
sono i Grimm, da una parte, detentori del sapere tradizionale,
dall'altra Sarah con quel dannato libretto e Toby che verrà
da me tra qualche anno... come le concili queste cose?”
Rajeth rimase a rimuginare “Effettivamente... Allora spiegami
come farai ad avere una discendenza. E da lei, poi...Non che sia
necessario, lo sappiamo benissimo ma sarebbe una prova...”
“Mio caro...” sorrise compiaciuto “Lei
non mi odia affatto...”
Rajeth lo guardò schifato “Avevi previsto anche
questo?”
Il biondo mosse la testa, pensieroso “Non proprio
così... sapevo che il giochetto non le sarebbe piaciuto e mi
avrebbe posto qualche condizione... ma, tutto sommato, non dovermi far
vedere non è nemmeno la più terribile delle
punizioni...” ghignò compiaciuto
“Sei un maniaco!” sbottò l'altro
“E la porterai all'esasperazione, già lo
so...”
Al posto del regno comparve una sfera luminosa e Jareth
stirò un sorriso “Oh, sì...ormai
è solo questione di tempo. Basterà un colpetto
per farla capitolare...”
Una folata di vento scompigliò i fogli non ancorati sulla
scrivania. La stanza sembrava soffocante e troppo piccola per contenere
tutta quella gente.
Sarah tirò un sospiro di sollievo e si andò a
buttare sulla prima poltroncina che trovò. Lo studio di
Immanuel era caldo e accogliente come lo ricordava. Alzò lo
sguardo sull'orologio a muro: era passata solo poco più di
un'ora.
Un'ora qua, tre ore là. Eppure le pareva fosse passata
un'eternità.
“Potrei avere dei problemi, Sarah...” disse il
professore, riportandola alla realtà.
Quella aprì gli occhi, stanca “Non ti sei
assentato che pochi minuti...cugino...” lo canzonò
“Parlavo di Marking...” disse comprensivo.
“Lo porto fuori io!” si offerse Toby, ritrovando
l'entusiasmo.
“Fa attenzione!” lo ammonì la sorella
“Passerò inosservato... se è altro che
ti spaventa... non ti preoccupare... abbiamo il figlio di Grarmr qui,
no?”disse carezzando il grosso cane nero. Sarah lo
lasciò uscire senza insistere più di tanto.
Non fece in tempo a salutarlo e riposare un attimo gli occhi che
qualcuno bussò allo studio del professore. Immanuel la
guardò perplesso. Lei gli fece cenno di aprire pure: avrebbe
improvvisato una giustificazione, se gli fosse stata richiesta.
Dalla porta si affacciò il volto preoccupato della sua
bionda amica Gloria “Professore, chiedo scusa...”
cominciò senza accorgersi di Sarah “Volevo
chiederle se lei sa nulla di...Sarah!?” sbalordì
nel constatare la sua presenza “Ma… che ci fai
vestita così elegante? E non eri andata via con Mister
Tenebra?” Sarah le lanciò un'occhiata carica di
rancore “Ok, ho capito, sto zitta...”
“Me ne stava giusto parlando...” si intromise
Immanuel “Pare che le cose non siano andate proprio
benissimo...”
“Quindi sei andata a recuperare tuo fratello, l'hai portato
qui e gli hai affidato Marking per poter parlare... ok.. scusa... torno
fuori... quando vuoi...” disse stringendosi nelle spalle,
felice della propria giustificazione.
“No, Gloria!” la invitò stancamente la
mora “Scusa... sono io che dovrei chiederti di
Matt...”
“E' un cretino!” rispose quella in un'alzata di
spalle
“Gloria... visto che... sono a casa... vuoi passare Halloween
con me e Toby? Vuoi venire anche tu?”disse rivolgendosi al
professore.
Gloria sbiancò a quella confidenza “Certo che fai
in fretta a riprenderti...”
Sarah la guardò perplessa, non capendo la frecciata
“Siamo cugini...” si giustificò Immanuel
che, invece, aveva colto perfettamente. “E se per te non
è un problema....” disse rivolgendosi a Sarah
“...io vengo volentieri”
La bionda si rilassò visibilmente, guardando,
improvvisamente, con occhi nuovi, quell'uomo non molto più
grande di loro. “Quasi quasi...L'idea di andare con
sconosciuti tanto per farlo indispettire non è che mi
piacesse molto. Facciamo un pigiama party?”
domandò scettica.
Sarah la folgorò con lo sguardo “Nemmeno per idea!
Qualcosa ci verrà in mente...”
“Fatta!” esultò la bionda
“Allora posso andare tranquillamente a lezione... a
stasera...” disse facendole l'occhiolino “Io porto
il dolce.”
Chiusa la porta, Sarah si rilassò visibilmente
“Basta che non le venga l'idea di fare una seduta
spiritica... non credo lo reggerei, oggi... non sono in
vena...”
Immanuel sghignazzò “No... credo proprio di
no...”
Neanche fossero stati nel mezzo di un'evocazione, la radio si accese
autonomamente con un tonfo sordo. Dal gracchiare statico si levarono
lentamente le note di una canzone ritmata
Sarah sbiancò. Iutrepi. Perché le faceva questo
scherzo? Perché ora? Cosa voleva ancora da lei?
And tonight I wanna lay
it at your feet 2
'Cause girl, I was made
for you
And girl, you were made
for me
I was made for lovin'
you baby
You were made for lovin'
me
And I can't get enough
of you baby
Can you get enough of me
Tonight I wanna see it
in your eyes
Feel the magic
…
[E stanotte
lascerò tutto ai tuoi piedi/ perché, ragazza, io
fui creato per te/ e, ragazza, tu fosti creata per me.
Io fui creato per
amarti/ tu fosti creata per amare me/ e non posso averne abbastanza di
te/ puoi, tu, averne abbastanza di me?
Stanotte, voglio vederlo
nei tuoi occhi/ senti la magia...]
Sarah non perse tempo, afferrò il telecomando e spense
brutalmente la radio. “Creato per me, un corno!”
sbottò. Stava ancora imprecando quando quella, ostinata, si
riaccese
Still written in the
stars3
And written in your eyes
the prophecy fulfills
the dream that never dies
[Rimane
scritto nelle stelle/ e scritto nei tuoi occhi/ la profezia
è compiuta/ il sogno che non morirà mai]
La ragazza lanciò un'occhiataccia all'elettrodomestico,
andò al muro, senza scomporsi eccessivamente, e
staccò la presa dalla corrente. Tutto ciò era
veramente fastidioso.
“E' sempre così?” domandò
Immanuel, un ciglio alzato perplesso, lo sguardo perso davanti a
sé. Chissà cosa stava pensando?
“Non sempre...” rispose sollevata.
Un lieve raschiare dagli altoparlanti la rimise in allerta
Hell is living without
your love4
Ain't nothing without
your
Touch me
Heaven would be like hell
Is living without you
[Vivere
senza il tuo amore è l'inferno/ non è niente
vivere senza/ toccami/ il paradiso potrebbe essere come l'inferno/ E'
-così- vivere senza di te...]
Profondamente irritata, la ragazza si stava armando di santa pazienza
per andare a recuperare la radio dal suo ripiano, in alto, pronta a
lanciarla fuori dalla finestra. Forse intuendone le intenzioni, quella
cominciò a cambiare freneticamente una frequenza dopo l'altra
Call me, call me, my love5
You can call me any day
or night
Call me
[Chiamami,
mio amore/ puoi chiamarmi sempre, giorno o notte/ chiamami!]
You know my name6
[Tu
conosci il mio nome]
I'm a wild child, come
and love me I want you7
My heart's in exile I
need you...
[Sono
un bambino selvaggio, vieni e amami, io voglio te/ Il mio cuore
è in esilio, ho bisogno che tu...]
...my love for you is
burning like the sun 8
Oh everything I do, I do
it just for you
My sexy, sexy lover, oh
tell me there's no other
Tell me there's no
other, deep in your heart
[Il mio amore per te
brucia come il sole/ Oh, tutto quello che faccio, lo faccio solo per
te/ Mio sexy sexy amore, dimmi che non c'è nessun altro/
Dimmi che non c'è nessun altro, in fondo al tuo cuore]
Sarah ebbe un moto di disgusto verso la radio. Arricciò le
labbra, infastidita. Non gli aveva mai dato corda, ma in quel momento
non ce la fece più a trattenersi e la stazione
scartò, risintonizzandosi con un fastidioso raschiare,
tagliente e caustica, in una risposta sarcastica.
What is Love?9
Baby, don't hurt me!
Don't hurt me, no more
[Cos'è
l'Amore? Carino, non ferirmi! Non ferirmi, mai più]
Poseguì, poi, con velocità e ritmi quasi epici,
assecondando la propria rabbia
I need a hero.10
I'm holding out for a
hero 'til the end of the night.
[Ho bisogno di un eroe/
io sto cercando un eroe fino alla fine della notte]
Quindi scivolò più agguerrita, furiosa e
inferocita.
You come on strong with a great big smile11
But your teeth are as
sharp as a crocodile
You promise me the moon
and the stars and the sun
But you never did
nothin'for anyone
Can't look me in the
face or straight in the eye
I'd buy the movie rights
for your alibi
I wonder how low you
will go
I wonder how high your
head will blow
You're psychopathic liar
Your soul is on fire
You're bluffin'with
nothin'
While the stakes are
gettin'higher
Why trust you
You never made a dream
come true
Why trust you
Give me one good reason,
one good reason why
You come to me all
teary-eyed
With your big tall tale
way up to the sky
Begging on your knees
for another chance
But everybody knows
that's a song and a dance
There used to be a time
when you were the best
You had the fastest
tongue in the west
Ya gave a look and a
line like nobody else
You'd try to sell the
Bible to the devil, Himself
You sadistic little liar
You're walking on the
wire you're bluffin'up with nothin'
And the bills are
gettin'higher
The noose is getting
tighter
Your face is turning
whiter
[Ti fai avanti con un
gran bel sorriso/ ma i tuoi denti sono affilati come quelli di un
coccodrillo/ Mi hai promesso la luna e le stelle e il sole/ ma tu non
fai mai niente per gli altri/ Non riesci a guardarmi in faccia o dritto
negli occhi/ Potrei comprare i diritti cinematografici per i tuoi
alibi/ Sono curiosa di sapere quanto in basso ti spingerai/ e quanto in
alto sbatterà la tua testa/sei un bugiardo spicopatico/ La
tua anima è sul fuoco/ Bluffi col nulla/ mentre la posta in
gioco si fa sempre più alta/ perchè dovrei
crederti?/ non hai mai realizzato nessun sogno/ perché
crederti?/ dammi una buona ragione, una sola buona ragione/
Vieni da me in
lacrime/con la tua bella favola, così enorme che arriva al
cielo/ elemosini sulle ginocchia un'altra opportunità/ Ma
ora tutti sanno che quella è la solita canzone e danza/
usata ai tempi di quando eri il migliore/ Hai la lingua più
veloce del West/Tu tiri un'occhiata e una linea come nessun'altro/
potresti provare a vendere la Bibbia al diavolo stesso/ Tu piccolo
sadico bugiardo/ cammini sul filo bluffando con nulla/ e il conto si
allunga
Il cappio si fa stretto e la tua faccia sbianca]
La radiò ruggì rabbiosa, lasciandosi per ultima
quella minaccia. Sentiva di star usando il suo potere in modo molto
consapevole. Allo stesso modo, sperava che quelle parole gli
arrivassero forti e chiare. Pensava di aver finalmente chiuso la
faccenda quando, dopo un attimo di incertezza, la radio
cantò con rammarico
Have I said all I can
say?12
You're my everything
You make me feel so alive
If I die tomorrow
[Ho detto
tutto ciò che potevo dire?/ Tu sei il mio tutto/ Tu mi fai
sentire così vivo/ Se domani morissi...]
Basta! Era stufa di perdere tempo ed energie con uno del genere.
Ora si metteva anche a minacciare il suicidio? Che facesse! Stupido
viziato!
Abbandonò i suoi intenti distruttivi, per non fare il suo
gioco, salutò Immanuel, rimandando a quella sera le
chiacchiere e uscì sbattendo la porta. Sentiva che quello
non era altro che l'inizio di un'altra lunga, estenuante, partita.
“Non ti sembra di aver esagerato?”
domandò Immanuel accigliato, buttato contro lo schienale,
meditabondo e per nulla sconvolto da quel gioco a rimpiattino tra la
ragazza e la radio “Non mi sembri proprio in fin di vita...
anche se lei ha minacciato di ucciderti già due
volte...”
Jareth sorrise sornione, appoggiato alla finestra davanti alla
scrivania del docente. Era divertente spiare le reazioni di Sarah dal
vivo senza che questa potesse vederlo a sua volta. “Tu
dici?” disse con aria innocente
“Comunque, mi sembra molto poco corretto quello che stai
facendo...” Lo redarguì ancora l'uomo
Jareth arricciò le labbra pensieroso “Lei ha detto
che non voleva più vedermi... non che non la dovessi
più importunare o altro.”
“Conoscendoti, comunque, la sfilza delle cose che avrebbe
dovuto dirti di non fare, avrebbe dovuto tendere a infinito...
perché tu, lo stratagemma per aggirare i vincoli, lo trovi
sempre, non è vero?” Domandò esausto.
Aveva tanto di quel materiale su cui lavorare che sarebbe campato di
rendita per il resto dei suoi giorni “Non intendi lasciarla
in pace, vero?”
Jareth sorrise malizioso e soddisfatto “Quel che è
detto è detto...”
- - - - - - - -
E qui si conclude la nostra avventura. Tutto è bene quel che
finisce bene...
scusate lo scherzone dello scorso capitolo ma era una cosa che quel
demente aveva in testa dal primissimo capitolo
ù_ù;
Spero vi sia piaciuta.
Il finale è aperto a un eventuale seguito che non ho ancora
in mente.
Se mi verranno idee decenti e se vorrete, ci proverò.
Ma per ora, meglio chiudere qui.
:)
Baci a tutti!
1 In
realtà ho fatto un po' un minestrone, come accennato in
precedenza: il Rajstan di per sé non c'entra proprio nulla
con la fic. L'ho usato solo per il nome e per l'origine che rimanda
all'aspetto di Rajeth (che è anagramma del nome Jareth).
Ma la leggenda all'origine di tutto è quella di Dolasilla
da cui ho estratto solo alcuni dettagli, in modo che l'origine non
fosse rintracciabile. Gli elementi che ho preso sono: la Rajeta, pietra
“meravigliosa, raggiante e invincibile” (a casa
mia, pietra che risponda a queste caratteristiche è il
diamante) del mago Spina de Mul che aspetta solo la sua legittima
regina e originaria del Lago d'Argento, dalle cui canne si potevano
produrre delle punte invincibili (che, ancora, mi rimanda al diamante);
l'armatura in pelo di Marmotta bianca di Dolasilla su cui gravava la
maledizione, relativa al cambio di colore della stessa) e il nome
attribuito, prima al re traditore, poi al passo che lo ricorda,
Falzarego: Falso Re. Il diamante poteva starmi bene come pietra per
Rajeth ma era troppo simile al cristallo di Jareth. Quindi l'ho reso
nero, raro e invincibile, con proprietà specifiche diverse
dal cristallo. D'altronde era il cattivo, quindi...
Da qua il titolo. Quello che ha fatto Rajeth non era che tessere una
tela per imprigionare i suoi rivali.
2 KISS, Dynasty, 1. I was made for lovin' you
3 Blackmore's Night, Fires at midnight,
1. Written in the stars
4 Alice Cooper, Trash, 9. Hell is living without you
5 Blondie, Call Me
6 Chris Cornell, You know my name
7 W.A.S.P., The Last Command,
1. Wild Child
8 Modern Talking, Alone, 2. Sexy, Sexy Lover
9 Haddaway, What is love
10 Bonnie Tyler, Secret Dreams and Forbidden Fire
9. Holding out for a
hero
11 Alice Cooper, Trash, 4. Why trust you
12 Mötley Crüe, Red, White &
Crüe, disco 2, 15. If I die tomorrow
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