Tela di diamante

di darkronin
(/viewuser.php?uid=122525)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il contorno sfumato tra sogno e realtà ***
Capitolo 2: *** C'è sempre un fondo di verità ***
Capitolo 3: *** Locked within the crystal ball ***
Capitolo 4: *** Lui ***
Capitolo 5: *** Secret Voyage ***
Capitolo 6: *** Just call my name ***
Capitolo 7: *** L'attesa ***
Capitolo 8: *** Adattarsi all'interlocutore ***
Capitolo 9: *** Qualcosa di inaspettato ***
Capitolo 10: *** Killed by Diamond and Rust ***
Capitolo 11: *** Bugiardo ***
Capitolo 12: *** E di notte... ***
Capitolo 13: *** It's a nice day to start again ***
Capitolo 14: *** Underground ***
Capitolo 15: *** La luce del sole ***
Capitolo 16: *** Il marchio del tradimento ***
Capitolo 17: *** Giochi di Specchi ***
Capitolo 18: *** Rajeth ***
Capitolo 19: *** Rabbia e paura (parte 1) ***
Capitolo 20: *** Rabbia e Paura (parte II) ***
Capitolo 21: *** In trappola ***
Capitolo 22: *** La soluzione del cubo ***
Capitolo 23: *** Paradossi ***
Capitolo 24: *** Scelte ***
Capitolo 25: *** Movimenti ***
Capitolo 26: *** Il peso della colpa ***
Capitolo 27: *** Di luci... ***
Capitolo 28: *** .... e di ombre ***
Capitolo 29: *** Ricordi ***
Capitolo 30: *** Black Shadow ***
Capitolo 31: *** Responsabilità e conseguenze ***
Capitolo 32: *** Il legame ***
Capitolo 33: *** Evviva il re ***
Capitolo 34: *** Non è tutto oro quel che luccica ***



Capitolo 1
*** Il contorno sfumato tra sogno e realtà ***


'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di A.C. H. Smith, Jim Henson, Lukas film, Columbia e Tristar Picture; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.
Per i personaggi originali, ogni riferimento a persone esistenti e/o a fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale.

Preciso, inoltre, che parto dai presupposti, dagli interrogativi e dalle allusioni, seminati in Il labirinto visto dal castello in cui, comunque, ho dato la mia personale interpretazione degli eventi, per quanto vincolata dal Missing Moments.

Buona lettura!







1- Il contorno sfumato tra sogno e realtà



Era ormai autunno. Le foglie morenti imporporavano sanguigne le strade.
Di nuovo. Era ormai il decimo anno che la scena sembrava ripetersi uguale. Ogni anno identica a se stessa. E ancora si aspettava che qualcosa cambiasse. O si aspettava di svegliarsi da un incubo. Di quelli in cui non succede nulla, quelli monotoni che ripropongono la vita così com'è, in chiave, se possibile, ancora più piatta. Simili, per certi versi, a quelli in cui i piedi affondano nell'asfalto, lasciando che il treno di turno sfumi sotto gli occhi o che la minaccia che sembra inseguire tra le ombre si faccia sempre più vicina, senza mai realmente raggiungere lo scopo.
Scese dall'autobus frastornata. Non aveva chiuso occhio quella notte. L'aspettavano solo una manciata di minuti e allora si sarebbe sfogata. Camminava sul marciapiede facendo più che mai attenzione a dove poggiava la suola di gomma, desiderosa di non fare una delle sue scivolate sulle foglie ancora umide per il recente acquazzone. Adorava quella stagione così romantica e nostalgica. Amava anche la pioggia e l'odore di bruciato che lasciava sull'asfalto, stare al chiuso con una tazza fumante sotto il naso a leggere qualche libro ma anche passeggiare per strada, nonostante i lunghi capelli neri le diventassero simili a un nido di serpi e i vestiti le si appiccicassero al corpo. Ma il momento che preferiva era quando la natura scatenava tutta la sua potenza distruttiva nei temporali. Allora spegneva tutte le luci di casa e si sedeva sulla finestra della sua camera, in contemplazione delle luci aranciate della città sotto i fulmini violacei.
Girando l'angolo pensò che, tutto sommato, l'amore per quella stagione la rispecchiava perfettamente: un lato romantico e antico, uno oscuro e moderno. E anche la sua vita aveva seguito quella dualità. In realtà, precisò a se stessa, continuava a seguirla ancora adesso.
Arrivò alla porta dell'edificio e la oltrepassò veloce: in portineria, come sempre, non c'era nessuno da salutare. Salì rapida due rampe di scale fino a trovarsi davanti una porta a doppio battente di legno laccato. La aprì piano, scivolò dentro e la riaccostò senza far rumore.
Le voci che provenivano da dietro il muro, le confermarono che c'erano già tutti. Salì cauta ancora una delle due manciate di gradini che si diramavano dalla porta, aggirando il muro, e sbucò in uno dei due corridoi di accesso superiore all'aula. Una ventina di file di sedili era alternata ad altrettanti banchi. Qua e là qualcuno era radunato in piccoli gruppetti silenziosi. Il gran chiacchiericcio proveniva tutto da un nutrito gruppo che aveva colonizzato le prime file. Individuò il suo obiettivo e, senza farsi notare, gli arrivò alle spalle.
Un paio di ragazzi la notarono quando era ormai troppo tardi: puntarono su di lei lo sguardo e il loro interlocutore, che le dava le spalle, capì che qualcosa dietro di sé non andava per il verso giusto. Non diede il tempo a nessuno di parlare, o girarsi, che mollò un sonoro ceffone giusto sulla nuca scoperta del ragazzo che, immediatamente, cacciò un urlo bestiale.
“Ma che ti prende? Razza di deficiente!” Imprecò voltandosi, sapendo già di chi si trattava.
Lei lo zittì con un'occhiata glaciale, spolverò con la mano polvere invisibile e sedette nel posto che lui aveva liberato alzandosi di scatto.
“Non ti troverai mai nessuno se continui così!” continuò quello imperterrito
“Non devo piacere a te, Matt" sibilò lei di rimando
“Sarah...cosa ti ha fatto, oggi?” chiese una delle due ragazze, la bionda coi capelli dritti come spaghetti, divertita.
“Già, che ti ho fatto?” protestò il ragazzo, tenendosi saldamente il coppino. I capelli ricci e neri non coprivano minimamente il rossore che si era esteso rapidamente su tutto il collo
Sarah alzò lo sguardo, annoiata, e poggiò, con calma affettata, un disco in copertina quadrata “Grazie, stronzo!” sibilò
“Che è?” chiese la seconda ragazza, i capelli castani e ricci “Il quarto tipo?” lesse la grafia, nera e disordinata del ragazzo, sillabando perplessa. Fissò prima uno, poi l'altra “Cos'è?” chiese ancora
“Un film, Jess! Vedi? È un DVD!” replicò Matt sarcastico
“Vuoi prenderle anche da me?” chiese lei folgorandolo “Di che parla?”
“Ah, Il quarto tipo...piaciuto?” chiese un altro ragazzo dai capelli castani spettinati intervenendo nel discorso “Non è dei migliori, concordo, però devi ammettere che...” ma tacque vedendo lo sguardo della ragazza. “Non hai dormito, Sarah?” domandò preoccupato
“E come potevo, secondo te?” replicò quella, seccata.
“Fa così paura?” domandò la bionda Gloria
“No” rispose la mora, asciutta
“Ma...” la incalzò la bionda. Matt si mise a sghignazzare e lei capì che lui aveva fatto qualcosa di sbagliato di proposito. Quindi lo menò anche lei sulla nuca, scatenando le proteste del moro
“Ma...” continuò Sarah accennando un sorriso tirato che avrebbe voluto nascondere una velata ironia “C'è il barbagianni...”
“Bene..” disse la bionda “Tu vai matta per gufi, civette e simili...” Si zittì cogliendo l'occhiata omicida dell'altra
“Il barbagianni è visto come un grigio” ghignò l'esperto cinefilo, sottolineando l'ultima parola
“Un che?” chiese la ragazza dai capelli rossicci
“Un alieno, Jess!” sibilò Sarah “Che rapisce la gente, appostandosi prima fuori dalla loro finestra! E io...anche se li consideravo inquietanti, a me piacevano i barbagianni, fino a dieci anni fa...”
La seconda parte del discorso le morì in gola e sembrò che nessuno l'avesse udita. Forse aveva parlato troppo piano.
“Matt sei uno stronzo al cubo!” dissero all'unisono le altre due ragazze alzando la testa per cercare l'interessato, per un attimo dimentiche di Sarah.
“Tanto gli alieni non esistono...solo Sam ci crede...” la consolò Jess, scostando uno dei ricci rossastri dagli occhi e battendole una pacca sulle spalle. L'interessato aprì il giubbotto esponendo alla vista una maglia nera su cui era impressa l'immagine di un paesaggio verde-azzurro e su cui svettava un disco argento e la scritta bianca I want to believe.
Sarah sbuffò e in quel momento il professore fece il suo ingresso in aula.
Solo le lezioni, che da quel momento in poi riuscirono ad assorbirne l'attenzione in modo continuativo, la distrassero dal pensiero. Si separò dal gruppo di ragazzi con cui aveva avuto il diverbio dopo la prima lezione, l'unica della giornata che seguivano tutti assieme: loro tornavano alle lezioni pratiche, lei continuava con le teoriche del corso di letteratura. A quanto ne sapeva, era la sola che seguiva l'interfacoltà di arti visive e letteratura. Poco le importava se la scelta potesse sembrare particolare: per lei erano la stessa cosa, due facce della stessa medaglia.
Rispetto a quando era bambina, il suo amore per il teatro non era diminuito ma aveva cambiato aspetto. Ora non le interessava più così tanto portare in scena un pezzo teatrale. Certo, le piaceva diventare qualcun altro. Ma odiava quel senso di costrizione dato dal ruolo, sempre identico a se stesso. A quindici anni aveva capito come la direzione o la scrittura fossero più nelle sue corde: non sarebbe stata mai più la marionetta di nessuno.... E il giorno seguente sarebbero stati dieci anni esatti.
Sbuffò e si diresse nella nuova aula che trovò insolitamente vuota a quell'ora del primo pomeriggio. Sulla cattedra c'erano, però, la giacca e il portatile del professore.
Si sedette in attesa ripensando agli eventi passati: aveva odiato essere una pedina nel gioco di quel folle e splendido uomo. Ma, a modo suo, era sicura di averne riscritto le regole.
Che si fosse trattato di illusione o realtà, ancora non lo capiva bene, quella notte era stata il punto di svolta della sua vita. Era raro, e lei lo sapeva bene, che il corso degli eventi cambiasse direzione da un giorno all'altro. Eppure da quella notte aveva improvvisamente sviluppato una sensibilità e una pazienza che non credeva di avere prima. Lentamente le aveva fatte maturare, cercando di tenere vivo quel bel sogno angosciante. L'aveva subito scritto nel suo diario. Era l'unica cosa che vi aveva scritto. Aveva occupato tutto il libretto solo col racconto di quella notte. O di quelle che le erano sembrate una decina di ore. Prima o poi, si ripeteva, vinta la timidezza, avrebbe provato a rivederlo per cercare di proporlo a qualche casa editrice: era un momento in cui il fantasy godeva di nuovo slancio. Ora, tra i suoi effetti personali, tra i suoi tesori, teneva i due libretti: il quadernino nero con gli appunti e il piccolo libricino rosso della storia che l'aveva condotta a quell'incubo, entrambi consumati dalle continue consultazioni.
Ci pensò per l'ennesima volta. Era stato davvero un sogno? Una metafora della sua crescita? Lui era davvero non reale? I conti continuavano a non tornarle: c'erano troppe incongruenze. E avrebbe dovuto essere realmente pazza per immaginarsi una trama tanto complicata. A quindici anni.
Sospirò buttando le braccia oltre il banco e poggiandovi la testa.
“Che sospirone!” ridacchiò una voce calda e pacata alle sue spalle
“Non mi prenda in giro, prof!” rispose lei senza alzare lo sguardo.
Lui le andò vicino e si sedette sulla fila di banchi davanti a dove si era stesa lei. L'odore della cioccolata del distributore automatico le arrivò quasi immediatamente, suadente, caldo e gentile. Come l'uomo che era lì con lei. Autunno e cioccolata, pensò, andavano tremendamente d'accordo. Ma lei non era più così sensibile al fascino bruno di quella bevanda. Una delle tante evoluzioni nella sua vita.
“Io non ti prendo in giro!” rispose l'altro divertito “Problemi di cuore?”
Lei lo folgorò “Prof! Le sembrò il tipo?”
Lui la guardò perplesso un attimo “Perché no?”
“Lasciamo perdere...” disse ributtandosi giù
“Senti...” cominciò lui “Qui è passato più del classico quarto d'ora accademico... Che ne dici se saltassimo lezione e ce ne andassimo a pranzo?” propose l'uomo. Gli sorridevano gli occhi, notò Sarah
“Questa proposta non dovrebbe arrivare da lei...” lo rimbeccò la ragazza, prendendo la tracolla della borsa, pronta a levare le tende.
“Ti cucino una cosa veloce, vuoi?” continuò lui andando alla cattedra a prendere le sue cose
“Non le faranno storie se pranza con una studentessa?” chiese lei guardinga
Lui ridacchiò “Oh, tranquilla, spettegolano già sul nostro conto...e poi tu non sei mica una studentessa come le altre...tranquilla, non c'è nulla di male” la rassicurò aprendole la porta.
Una volta all'aperto, Sarah trotterellò al suo fianco senza porre altre questioni.
Lo trovava, però, somigliante. Somigliante a quell'essere di cui custodiva la descrizione nella sua agendina. Non tanto nell'aspetto fisico. Neanche nel carattere. Non sapeva dire, esattamente, dove li vedesse simili. In effetti non c'era nulla di simile.
L'appartamento del professore era a cinque minuti a piedi dal campus universitario, in una tranquilla zona residenziale, composta da villettine a schiera.
Aprì la porta e lasciò che Sarah chiudesse, come se fosse abituata a quegli spazi. Lei lo seguì e si accomodò sul divanetto presente nel piccolo cucinino. “Sicuro che non vuole una mano?” Lui scosse la testa in risposta, preparando rapidamente due padelle sui fuochi. Dopo qualche magheggio, si srotolò le maniche e tornò a dedicarle tutta la sua attenzione.
“Allora...vuoi parlarmene?” chiese servendole da bere
“Mi prenderebbe per pazza” si difese lei “E chiamerebbe i suoi amici con una bella camicia bianca all'ultima moda...”
Lui rise di cuore. “Giuro che, a meno che non sia qualcosa di patologico, da ricovero immediato, accoglierò quanto mi dirai come la confidenza di un'amica...” disse sedendosi a tavola e poggiando la guancia sulle nocche della mano chiusa a pugno, pronto all'ascolto.
Lei lo guardò scettica per un paio di secondi interminabili. “E sia...ma non dica che non l'avevo avvisata!” rispose.
Così, cominciò a raccontargli gli eventi occorsi esattamente dieci anni prima.
Gli spiegò della sua situazione familiare: la madre che se n'era andata, il padre senza nerbo che si era subito risposato, il fratellastro che monopolizzava le attenzioni di tutti, la matrigna che la bistrattava come se fosse lei la quarta incomoda.
Gli raccontò della sua disperazione, quella notte, quando invocò il re dei Goblin affinché rapisse il fratellino, per scimmiottare quanto aveva letto in diversi racconti. A sottolineare la sua ossessione per quel genere di racconti, gli mostrò il libretto rosso con il titolo impresso a caratteri dorati.
Gli narrò di come lui (non lo nominò mai) fosse apparso nella camera, come avesse provato a dissuaderla, come lei avesse voluto affrontare il gioco per riavere il fratello. Come avesse fatto la conoscenza di strani personaggi e come, in modi diversi e subdoli, lui, sempre lui, avesse cercato di farla capitolare. E di come lui, poi, avesse continuato a popolare i suoi sogni.
Lui l'ascoltò con vivido interesse, senza mai interromperla.
“So benissimo che può sembrare il delirio di una pazza, che dovrebbe essere la spiegazione del mio inconscio del mio rifiuto di crescere e simili...” disse lei, concludendo “Ma non ce la faccio a crederlo davvero possibile... Insomma...se dovevo inventarmi un mondo parallelo avrei preso meglio spunto dalle mie stesse passioni, no? Invece non ho citato tante cose per me fondamentali, mi sono incasinata la vita da sola, ho fatto in modo di morire quasi di fame. E, cosa ancora più da malati di mente, ho affrontato così tante traversie che dovrei soffrire di disturbo bipolare per poter pensarne una dietro l'altra. Voglio dire...si è mai vista, che ne so, Dorothy o Alice, a cui capita qualcosa senza che prima le venga spiegato? Io ancora non so perché mi sono sognata certe cose...e in un sogno, normalmente lo si sa...” stava gesticolando disperata, mentre il professore le serviva ormai il piatto caldo sotto il naso. “Cioè...come storia non è sto gran che...sono i buchi che ci sono che mi lasciano perplessa...E' come se qualcun altro avesse attinto agli oggetti della mia camera per rimescolarli e farmi sentire a mio agio...” la voce si spense, sconsolata. Fece oscillare la testa cercando di negare il tutto. E prese le posate.
Il professore la guardò assorto per qualche minuto. Non aveva ancora toccato il pranzo. D'improvviso si alzò da tavola “Scusa un attimo...” disse scomparendo alla sua vista
“Ecco, lo sapevo...mi ha preso per matta...ma che potevo aspettarmi da uno psicologo? Lo sapevo che sarebbe finita così...” pensò sconsolata la ragazza. Non ebbe nemmeno il tempo di riflettere a fondo che l'uomo ricomparve. Reggeva in mano una piccola scatola di legno.
La poggiò accanto a sé, tamburellandoci sopra con i polpastrelli.
“Sarah...?” domandò dopo un po', incerto “Tu sai perché io insegno quello che insegno?”
Che razza di domanda era? Sarah era spaesata. “Per sgamare subito i pazzi furiosi come me?” domandò lei di rimando
Lui stirò le labbra e trattenne un sorriso. Alzò gli occhi, che aveva tenuto fissi sul piatto fino a quel momento. Da dietro gli occhiali da vista rettangolari sembrò studiarla ancora. Quindi riformulò la domanda “Cosa insegno?”
Sarah levò un sopracciglio “E lo chiede a me?”
“E io che volevo chiederti di farmi da assistente...” rimbrottò lui. “...Insegno il folklore visto attraverso la lente della psicologia per un motivo ben preciso.”
Solo allora le porse la scatola e si mise anche lui, finalmente, a mangiare. “Apri...” le disse
Lei, messo da parte il piatto ormai vuoto, aprì con cura e cautela il piccolo scrigno rettangolare e piatto: non sapeva cosa aspettarsi.
Dentro c'erano una moltitudine di schizzi. A colori e in bianco e nero, per lo più in formato cartolina, prevalentemente paesaggi. Ma, qui e lì, ci erano anche ritratti e nature morte: licheni occhiuti, yeti rossi, portali con l'effige di un robot. E poi c'era lui. Identico a come lo ricordava.
“E' lui, vero?” chiese il padrone di casa.
Sarah annuì appena. Sentiva le lacrime bruciarle agli angoli degli occhi. “E'....” stava per cascarci un'altra volta. Si morse la lingua prima di pronunciarne il nome.
Il professore notò il suo sforzo. “Sì...è lui...” confermò prendendo la scatola e svuotandola sul pianale.
“Professore...ma...”
“Ascolta...dato che abbiamo questo segreto da condividere...” la interruppe con fare complice “Che ne diresti di chiamarmi per nome e darmi del tu?”
“Ma....” fu presa così alla sprovvista che dimenticò di essere in procinto di piangere “Non posso...”
“Sì, che puoi...se vuoi non in università...ma non ci sarebbe nulla di male...hai visto Max e Katy...” disse riferendosi a un altro docente e alla sua assistente
Sarah ci pensò su “Ci proverò...” concesse allungando le mani alla monticciola di fogli
“No” tagliò secco lui, allontanando il gruzzolo di carte dalla sua portata “Fallo! E continueremo col nostro discorso...”
Sarah era in evidente difficoltà. Balbettò qualcosa di incomprensibile e quando vide come il professore la osservava divertito sbottò “Siete proprio uguali!”
“Uguali? Chi?” domandò lui confuso
“Tu, Immanuel Grimm, e lui!” Disse, sempre cercando accuratamente di evitare di pronunciarne il nome. Prese un disegno e glielo mostrò. Gli occhi rapaci del re di Goblin ora fissavano il professore con astio e superiorità dal supporto bidimensionale della cartolina.





- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -



Eccomi di nuovo qui: finalmente col mio sequel. ù_ù
(ho finito il grosso della preparazione degli esami)
Comincio col dirvi, se già non l'aveste notato, che, senza una scaletta da rispettare come nel caso di Il labirinto visto dal castello, in cui già mi dilungavo abbastanza, tendo a perdermi un po' nelle descrizioni e a raccontare gli eventi il più dettagliatamente possibile. I colpi di scena ci saranno...ma più in là...
Diciamo che il mio intento è quello di farvi ambientare al nuovo mondo di Sarah, ri-scoprirla e immedesimarvi.
Spero mi seguirete anche in questa avventura. :)
PS: non temete...non c'è nessun rivale di Jareth in vista...per il momento.... XD

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** C'è sempre un fondo di verità ***


Ok, ragazze...

XD mi avete deluso! XD

Il prof troppo cordiale non ha convinto. Posso darvi ragione: non avrebbe convinto nemmeno me. Se non avessi vissuto in prima persona esperienze simili (solo io avevo Prof. e Professoresse che ci invitavano a bere lo spritz o prendevano il caffè con noi dopo lezione e/o a casa per pranzi luculliani? E che pretendevano gli dessimo del TU? La stragrande maggioranza, ovviamente, stava in cattedra e non ti filava nemmeno a ricevimento, ma altri erano molto più aperti, grandi amiconi...che poi all'esame erano capacissimi di segarti le gambe se non sapevi. Il rapporto extra scolastico non li ha mai influenzati (strano da dire proprio in Italia...)..

Il discorso cambia radicalmente nelle facoltà “artistiche” credetemi..alcuni si offendono se li chiami Prof. perché, dicono, c'è parità tra noi e loro e sono solo due modi diversi di essere “artisti”, come da un compagno più bravo che da una mano a quello che è rimasto indietro. Soprattutto se l'approccio è di tipo anglosassone. come dovrebbe essere in questo caso, visto che la storia dovrebbe essere ambientata in America. Rendiamoci conto che -un pochino- ci trattano da trogloditi perché abbiamo ancora questa differenza medievale tu/lei. 9.9 Personalmente vorrei che fosse pure più marcata e sentita, sta benedetta differenza..ma tant'è...siamo in una fic non posso pretendere molto.
[per inciso..in Inglese c'è solo il you...quindi cmq il rapporto è paritario. Ci sarebbe anche il thou (per Tu e linguisticamente parlando sono parenti...non si sente?) ma non lo usa nessuno, perché suona arcaico...come il nostro Voi usato per una seconda persona singolare]
Inoltre...a nessuno è venuto il dubbio che i due potessero conoscersi da prima? O essere anche coetanei o quasi? E che Sarah-quindi- possa aver perso uno o due anni di studio?
Come? Gli anni di psicologia sono troppi e cmq i conti non tornano? In Italia, forse...all'estero ogni corso di studi è lungo quanto gli altri, quindi....
:) su su...date per buona la storia e non storcete il naso... :D vi ho dato le spiegazioni...e poi è una storia, dai! Stavolta non ho pretese di verosimiglianza XD (in sto capitolo mi dovrete dar buone un sacco di cose!). Tutto verrà spiegato...prima o poi... XD
PS: il discorso che farà ora Immanuel non è verità (quella verrà fuori più in là): sono solo le supposizioni di un essere umano.
PPS: perdonate sto capitolo...sarà una palla assurda ma voglio portare la stupida moretta, che ha piantato in asso il nostro amato Jay, a capire un attimo qualcosa...
PS x3: =_= sono tremenda, lo so: d'ora in poi, oltre a provare a cambiare la formattazione (che l'altra volta mi è riuscita particolarmente bene) provo a mettere le note sensibili: ci cliccate sopra e vi dovrebbe mandare su e giù automaticamente...non so perché, dopo 2 tesi, abbia tralasciato questa simpatica funzione... 9.9 la vecchiaia....





2-C'è sempre un fondo di verità



“Hai altre lezioni oltre la mia?” chiese l'uomo alzandosi per preparare il caffè
Sarah posò la cartolina che teneva in mano e alzò lo sguardo “Ho un'ora di pausa, poi ho l'ultima lezione.”
Lui annuì avvitando la caffettiera. “Bene, allora...abbiamo un paio d'ore per parlare...” Quando si voltò, e vide l'espressione contrita della ragazza, aggiunse “Non credo proprio che sia una buona idea saltare le lezioni, signorina”
Sarah si accigliò “Non ho mai saltato una lezione! Direi che questo argomento può avere la precedenza su altro...”
Lui sbuffò, prendendo un paio di tazzine dallo scolapiatti “Vediamo dove arriviamo oggi, poi decidiamo...” Lei attese, apparentemente paziente. “Dunque... tu sei convinta che sia stata tutta un'allucinazione?”
“Non proprio” replicò poco convinta “Cioè...quando invocai quelle creature, ero davvero convinta che la magia esistesse ed ero ben conscia di quello che stavo chiedendo. Ma non ne capivo le conseguenze. L'ho capito solo quando non l'ho sentito più piangere, quando ho realizzato, egoisticamente, che le colpe della sua scomparsa sarebbero ricadute su di me. Ma soprattutto, mi son resa conto della gravità di quello che avevo chiesto quando ho pensato come mi sarei sentita io al posto suo” ammise senza vergogna, avendo da tempo metabolizzato e accettato quello che aveva tentato di fare. “Da quel momento, comunque, ho evitato accuratamente di pronunciare qualunque cosa mi potesse sembrare una formula magica, un'invocazione. Non ho nominato mai i loro nomi.”
“Sì, ho notato... e credo sia stata una scelta intelligente...” concordò lui porgendole la tazzina fumante e lo zucchero
“Anche qui...” disse mostrandogli il taccuino nero “Ho subito trascritto tutto il sogno... la vicenda, le impressioni, i dettagli... ma i nomi li ho messi in minuscolo...in modo che non potessero...animarsi. 1” Il professore prese il libretto dalle sue mani e lo sfogliò assorto e compiaciuto. “Ma mi dica...dimmi...” si corresse vedendo l'occhiata che lui le lanciò “Tu credi che ci sia qualcosa di vero? Perché sei in possesso di questi disegni? Voglio dire...è stata un'allucinazione collettiva?”
Lui girò assorto il cucchiaino nel caffè amaro, più per abitudine che per bisogno di raffreddare o zuccherare la bevanda. Quando posò la posata sul piattino, con un leggero tintinnio, si decise a parlare, come se, fino a quel momento, avesse cercato di raccogliere le idee.
“Quelle illustrazioni sono molto vecchie...” esordì fissando un punto nella parete alle spalle della ragazza “...appartengono alla mia famiglia da...oh...da molte generazioni...”
Lei lo guardò perplessa. Aveva dato un solo esame ma sapeva bene che la carta non poteva conservarsi a lungo in condizioni non particolari. Infatti domandò “Conservate così? Solo in una scatola di legno?”
Lui abbozzò un sorriso “Stiamo parlando di magia...o sbaglio?” Lei arrossì e abbassò lo sguardo, imbarazzata “Vedi, quelle cartoline risalgono, più o meno, al tredicesimo secolo.” Sarah si strozzò col caffè quando realizzò cosa le avesse detto. Alzò lo sguardo stralunato sui suoi occhi neri, dai tratti impercettibilmente orientali. “D'altronde... il mio cognome dovrebbe esserti abbastanza familiare...” le sorrise con un velo di tristezza nella voce “I miei antenati...” disse sottolineando con un velo di sarcasmo il termine “... i più celebri linguisti dell'ottocento...sono noti per aver trasposto in racconti codificati molteplici fiabe, presenti capillarmente in forme diverse nel patrimonio europeo. Come aveva fatto, d'altronde, anche Perrault un secolo prima...” Sarah, che seguiva attentamente quella lezione di storia del folklore improvvisata annuì convinta, ricordando la genealogia di una semplice storia come quella di Cenerentola 2 “Ma a differenza sua...beh... hai visto il film, no?” chiese improvvisamente, come svegliandosi da uno stato di trans
“Ti riferisci a quello con Monica Bellucci?” chiese lei scettica. Era la porcata più abominevole avesse mai visto. Lui sembrò leggerle nella mente.
“Quanto viene raccontato è, più o meno, quello che successo. Realmente. O almeno così me l'hanno sempre raccontato. Ovviamente, nessuno ha mai potuto parlarne con qualcuno che non fosse membro della famiglia, per paura di venir presi per matti...” disse ridendo esponendo quell'aperta contraddizione “E' stato un segreto tramandato di padre in figlio. Una pratica, la tradizione orale, che è andata persa da tempo ma che, nonostante il passaparola, restava più affidabile della trascrizione dei manoscritti: si imparava a memoria e non erano concesse correzioni o commenti. La discussione, eventualmente, era relegata alla fine del racconto. Ma queste e altre illustrazioni son sempre state trattate con grande cura perché rappresentano il nostro patrimonio, la nostra storia.”
“Quindi i fratelli Grimm avrebbero incontrato anche...lui? E perché non l'hanno trasportato nelle loro storie? Ma soprattutto...cos'è questo?” disse mostrandogli il libretto rosso che portava sempre con sé, nonostante, in un primo tempo, l'avesse cacciato nel fondo del cassetto della propria toletta. “Sembra il canovaccio della mia avventura ma...perché ce l'ho io? È l'unica copia?”
Immanuel le prese, curioso, anche quel secondo libretto sgualcito dalle mani e cominciò a risponderle. “Buona domanda. Per quello che ne sappiamo, era stata elaborata anche un racconto al riguardo. Oltre a essere filtrata in tutte le altre. Devi sapere che non sono regni e mondi rigidamente separati tra di loro, ma interagiscono come...beh, pensa alla nostra politica estera: Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti d'America...tutti si contaminano tra loro e sono interdipendenti, ma a loro volta sono stati sovrani e autonomi” A quell'esempio, Sarah annuì, afferrando il concetto “Fondamentalmente, comunque, quel racconto andò perduto. Non si sa quando e come ma scomparve da ogni copia stampata come non fosse mai esistito...a parte questa...” disse studiandola con un sospiro irrequieto. Il desiderio di capirci qualcosa, di arrivare finalmente a capire il mistero, trapelava dal tremore con cui le sue lunghe dita voltavano le pagine. Sembrava quasi un atto d'amore reverenziale nei confronti di quel oggettino così apparentemente fragile. A Sarah ricordava gli studiosi che restauravano i manoscritti con pinze e guanti, simili ai patologi forensi. “Non sono a conoscenza di altre copie...ma come una ce l'avevi tu, un'altra potrebbe avercela chiunque altro e si scoprirebbe che è un testo diffuso capillarmente.” borbottò non credendo nemmeno lui a quello che aveva detto.
A quell'ultima rivelazione, Sarah alzò un sopracciglio, scettica “Era troppo sconvolgente? Rivelava troppo?”
“Non lo so. Ed è possibile che, oltre a quello, siano spariti altri racconti minori che non avevano calamitato così tanto l'attenzione...voglio dire...non c'è nessuna figura che spicchi a quel modo...” si alzò, porgendole i libretti, e prese le piccole stoviglie per posarle nel lavandino “Sulla motivazione...non ti saprei dire. Ma il racconto coincide esattamente con il tuo.” La fissò negli occhi con un'intensità che lei non gli aveva mai visto “In pratica, se non avessero percorso anche loro le tortuosità del...quelle tortuosità...” disse censurando all'ultimo secondo la parola labirinto “Io, probabilmente, ora non sarei qui...”
“Non capisco...” ammise Sarah “Erano fratelli..perché avrebbero dovuto percorrere il... andarci! Perché avrebbero dovuto andarci tutti e due, insieme? Se avevano maledetto il bambino la responsabilità era solo di uno dei due...”
“No...” sospirò lui, come se raccontare quelle storie l'avesse spossato “Il figlio era di entrambi. Entrambi avevano amato la medesima donna nel medesimo periodo. Ed entrambi reclamavano il bambino come proprio. Colti da ira cieca avevano invocato le creature dell'Und... le creature...” si corresse “Perché si sbarazzassero della prova del tradimento della donna amata e del rispettivo fratello. Secondo la loro logica il bambino sarebbe dovuto rimanere qui, trattandosi di una sorta di paradosso logico: se uno dei due era il padre sarebbe comunque rimasto lì.”3
“Lasciami indovinare...” lo interruppe la ragazza, affascinata
“Esatto...il bambino non era di nessuno dei due, ma di un terzo che se ne era lavato le mani.”
“Wow” commentò la ragazza buttandosi sullo schienale
“Quindi, per salvare il figliastro, affrontarono quel luogo assieme. E vinsero.” precisò penetrandola con uno sguardo “Da lì, decisero che tutte le storie che avevano raccolto e i disegni che venivano custoditi in casa meritavano la loro fiducia e la loro attenzione.”
“Ma questo non spiega perché tu insegni quello che insegni...” osservò acuta la ragazza
“Già...” ridacchiò l'uomo, sistemandosi gli occhiali con un tic involontario “Diciamo che sono sempre stato affascinato dal lato psicanalitico delle vicende narrate. Da ciò che diceva Bettelheim proprio riguardo i fratelli Grimm4. Se ci pensi, però, anche i miti e le favole antiche sembrano un ricettacolo di comportamenti umani creati apposta. Sapendo...volendo credere che fossero reali..” si corresse “Mi domandavo perché ci fosse quella pesante impronta psicologica ricorrente già riscontrata dallo psicanalista austriaco.”
“E...” lo incalzò lei
“E mi sono risposto, ma non ho prove scientifiche, ovviamente, che la soluzione a tutto, un po' come nei tuoi studi, stia in un archetipo in cui compaiono le diverse figure basiche che, come detto prima, non erano bolle impermeabili ma interagivano con altre figure, contaminandole. Le diverse storie sarebbero, secondo la mia personalissima opinione, momenti diversi di questi diversi personaggi che si sono incontrati tra loro in occasioni diverse e generando, di volta in volta, situazioni diverse. Se diamo per scontata un'esistenza pressoché eterna, ci sarà facile capire come l'amico di oggi possa diventare il nemico domani. Attenta, però: non intendo avallare la visione di Bettelheim. Penso, infatti, che la componente psicologica sia stata caricata in un secondo momento e che, primariamente, si volesse solo raccontare un accadimento incredibile: una donna rinchiusa in una torre per cento anni, l'esistenza di una fata madrina che aiuta una giovane a riscattarsi e così via. Credo che il fatto che coincidessero con determinate esigenze della protagonista fosse solo un caso. E senza casi particolari non si manifestano situazioni o esseri particolari, giusto?”
“Tutto qui?” domandò lei sbigottita. Tanto rumore per nulla: le fiabe sarebbero servite solo per informare e ricordare un'esistenza altra e magica.
“Ti pare poco?” chiese lui di rimando accigliato “Tornando a noi. Il fatto che una storia come la tua sia scomparsa dalle testimonianze umane mi lascia pensare che, nel regno fatato, gli stesse bene che noi sapessimo. Che sapessimo tutto, ma non quello.”
“E perché?” si sentiva una bambina a restare così imbambolata a bersi la lezione che lui le propinava, ma era tutto così assurdamente nuovo che era ben contenta di assorbire informazioni come una spugna
“Perché in quello si mostra un lato degli uomini che noi non vogliamo vedere: la grettezza più vile. In tutti gli altri racconti c'è l'eroe e c'è l'antagonista. Si accetta la malvagità dell'altro per abbracciare la bontà del primo. E' un umano, quello in cui ci si riconosce e quello da cui si fugge. Ma una storia del genere? L'umano è solo cattivo che fa una richiesta così orribile -il rapimento e la scomparsa di un bambino- e l'essere magico totalmente buono -che si prende cura del rifiutato- ? Potevano permettersi di sbilanciare così le cose?” chiese tamburellando i polpastrelli sulla tavola ormai sgombra
“Tutta acqua al loro mulino...” commentò Sarah
Immanuel la guardò perplesso, pesando quanto lei gli aveva detto “Non mi sembra plausibile. Gli uomini, ricorda, messi insieme sono una folla con ragionamenti diversi dal singolo individuo...dicevo...gli uomini avrebbero tollerato la consapevolezza di tanta grettezza?”
“Erano solo favole...” rispose in un'alzata di spalle lei
“Certo...e tu hai fatto rapire tuo fratello perché tanto era una favola...” la zittì lui, ora visibilmente infastidito
“Io non pensavo...non intendevo...” Sarah, come dieci anni prima, si accorse di star ripetendo le stesse parole che aveva detto, a suo tempo, a lui.
“No, certo...” replicò velenoso. Eppure lei gli aveva detto quanto si era sentita in colpa e come avesse afferrato la gravità del suo gesto. Perché ora le rigirava il coltello nella piaga? “Devi capire che all'epoca erano molto più...reali... di semplici storie inventate per diletto. La gente ci credeva...” le lanciò un'occhiata penetrante, quasi volesse dirle “E avevano ragione: l'hai constatato tu stessa
“Gli umani non avrebbero tollerato quella consapevolezza” tagliò corto lui “E rischiavano di rivoltarsi contro il mondo magico. Le cose dovevano restare in una situazione di stallo, di perfetto equilibrio tra bene e male, umano e/o magico che fosse.”
“D'accordo..” replicò lei alzando le mani in segno di resa “Ma quale potere potevano mai avere gli esseri umani su...creature magiche” calcò la parola come a evidenziarne l'evidente disparità di forze.
“Ancora non capisci?” chiese alzandosi da tavola. Le fece cenno di seguirla e scomparve in un piccolo corridoio dietro la cucina. Gli trottò alle spalle seguendolo in camera da letto. Era calda e accogliente ma, soprattutto, notò con vivo interesse, piena zeppa di libri. Ovunque: sul balcone della finestra, sopra il tower del pc da tavolo, sopra la stampante, sopra e intorno al comodino e sotto il letto, tra i vestiti appoggiati alle sedie, oltre nella più banale collocazione a libreria. D'altro canto, gongolò tra sé, era un ricercatore e un uomo dalla vasta cultura, oltre che docente. Soprattutto, le credeva. Lui estrasse un paio libri e gliene mostrò le copertine sgualcite. Sarah li prese in mano, perplessa. Spostò il suo sguardo prima sull'uno, poi sull'altro e, infine, nuovamente sul suo professore. “La storia infinita?” chiese perplessa
“L'hai mai letto?” chiese lui quasi con rabbia. Sarah non capiva il motivo di tanta acredine.
“Certo che l'ho letto!” replicò offesa restituendogli il volume, stizzita “Ma continuo a non capire”
Immanuel sbuffò, esasperato e andò a sedersi ai piedi del letto sfatto, scansando le coperte per non avere grumi sotto di sé. “E' la credulità umana ad alimentare il loro potere. Se nessuno credesse, loro diverrebbero mortali...per così dire..anche se non credo che il loro mondo crollerebbe...”
“Secondo te, Ende è stato là? Ed è tornato per avvisarci?” chiese lei. Ora non pensava più di essere pazza: aveva trovato qualcuno più pazzo di lei
“Non Ende.” precisò. “Ende ha romanzato, a mio avviso, il racconto di qualcuno...il diario, di qualcuno...”
Calò un lungo silenzio tra i due che Sarah colmò voltando il secondo libro, La guerra degli elfi, la trilogia completa, e leggendone il riassunto sulla quarta di copertina. “Quello te lo presto, così capisci cosa voglio dire...è inventato di sana pianta...Lo so...” precisò notando la reazione di lei, pronta a porgergli la domanda “..perché la simbologia e gli accostamenti che fa non sottostanno a nessun...racconto. Harry Potter, al confronto è un'enciclopedia scientifica...No...” precisò ancora, anticipandola “La Rowling non è stata da nessuna parte ma ha studiato abbastanza bene, elfi a parte...come anche la Meyer, per quanto discutibili possano essere i suoi personaggi e le sue storie melense...Ma d'altronde non ha la pretesa di scrivere di mitologia...vuole solo descrivere un principe azzurro impossibile.”
Sarah poggiò il libro vicino alla tastiera del pc e lo guardò sorridendo “Non pensavo leggessi certa roba...” disse. Lei, ovviamente, se li era divorati tutti, quei libri: precisi o meno, trattavano avventura, esseri magici e...amore.
“Bada...” le disse lui sorvolando su quella frecciata maligna “...dopo il film di ieri, potrebbe non piacerti: tratta gli elfi come fossero alieni...” precisò prima che lei lo infilasse in borsa. La mano le si bloccò a mezz'aria incerta. Poi decise che poteva affrontare la prova: bastava chiudere il libro. Forse. Perché, se pure la storia di Bastian era vera, forse non sarebbe stato sufficiente.
Immanuel guardò l'orologio e la informò che forse doveva prepararsi per andare all'ultima lezione. Lei tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans per controllare e annuì a conferma.
“Ti accompagno...” disse lui andando a prendere la giacca.
Quando furono sulla soglia, la mano di lui che stava per calare il proprio peso sulla maniglia, le domandò, all'improvviso “Come lo hai battuto?” chiese con curiosità
Lei faticò un attimo a capire a cosa si riferisse. Dopo tutto quel parlare di esseri mitologici aveva un po' di confusione in testa. Poi ricordò cosa la ossessionava. Strinse gli occhi per focalizzare la scena, richiamandola alla memoria. Pensava di aver ormai dimenticato tutto quel racconto, imparato dieci anni prima a memoria. Come pensava di aver rimosso tutto il sogno che, invece, si ripresentò ai suoi occhi fulgido come se si fosse appena svegliata.
Recitò per il professore, intanto che scendevano le scale, come in una sorta di trance, quello che si erano detti quella volta.



1     Qua siamo a livelli di grammatica base: il nome proprio deve essere con la lettera maiuscola, altrimenti è un nome comune. I nomi comuni, come sasso, cane, tavolo, non hanno alcun potere. Ma evocare un nome proprio, una carica o simile, sarebbe come evocare la persona stessa. Così ho trovato questo piccolo stratagemma per bypassare la questione dei nomi.

2    La storia di Cenerentola è diffusa in tutto il mondo. La più antica testimonianza sembra essere cinese, in cui la scarpetta è di oro massiccio. Diffusa in ogni cultura, la storia della scarpetta di cristallo è, in realtà, un errore di trascrizione che ha commesso proprio Perrault. Nell'originale europeo, infatti, l'oggetto era niente meno che un pregiata pantofolina di pelliccia di scoiattolo. Che schifo! direte voi...eppure sempre di pelle si tratta..le nostre scarpe e cinture sono in pelle...questa è pelle con pelo...e se ci pensate bene, la pelliccia come soprabito è ancor oggi sinonimo di agiatezza. (io penso a quanto potessero essere delicate e morbide...). Ma torniamo a Cenerentola... Nella versione francese originale si parlava, infatti, di pantouffles en vair e Charles Perrault, nella prima versione inglese, tradusse l'espressione come scarpette di vetro confondendo i termini francesi vair e verre (vetro) in quanto la pronuncia è molto simile. La stessa storia, come la conosciamo noi per tramite Disney, è stata poi pulita di tutte le parti truculente (sorelle che si amputano le dita dei piedi, la matrigna a cui i corvi cavano gli occhi, etc)
Ma ecco cos'è il Vair: Vair
Vair, inoltre, è anche un tipo di schema araldico, in italiano Pelliccia. Vair
In francese antico, definiva anche il colore di occhi tra il blu e il marron, non ben definibile...il nostro “griglio-blu” o “blu-verde” come anche l'eterocromia (un occhio blu e uno marron). Per associazione, passò a essere un sinonimo dell'incostanza e della volubilità.

3    Su, se ci vedete qualcosa di illogico, datemela buona cmq e sorvolate!

4    Bruno Bettelheim, psicanalista austriaco, si interessò anche alle fiabe. Nel suo libro Il mondo incantato sostiene che le fiabe dei fratelli Grimm siano rappresentazione di miti freudiani.

- - - - - - - - - - - - - - - - - -

Rieccomi...
Avete capito perché dicevo di dare per buono qualunque cosa? Sti due si son fatti un viaggione da paura... ma non son riuscita a semplificarlo ç_ç abbiate pietà
dunque..per chi comincia a disperare sulla comparsa di Jay, posso rassicurare.. :D comparirà nel prox capitolo :D
per il resto, come vi siete trovati con le note? Esperimento da riproporre???
Bene... :) vado a finire di preparare i miei bellissimi esami...
a presto ragazzi!


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Locked within the crystal ball ***


Per questo capitolo, preparatevi con Youtube aperto. Mi dispiace per chi, come me (!), ha solo un 56k e per tanto spero di essere riuscita a descrivere ugualmente le sensazioni che dovrebbe darvi la canzone.... a dopo!



3 - Locked within the crystal ball



Si rivide in quel luogo che sembrava cadere a pezzi. All'epoca non aveva capito e non si era mai soffermata neanche in seguito su tutti i dettagli. Dell'ambiente come delle sue parole...delle loro parole...cosa gli aveva detto, di preciso? Nel rievocare la scena provò una strana fitta, qualcosa di simile alla nostalgia, al desiderio, al rimpianto.

“Dammi il bambino” Aveva detto non appena era comparso sotto l'arcata.
Avanzava a passi misurati, sicuro... quasi spazientito. “Sarah bada a te, sono stato generoso fino a questo momento. Ma so essere crudele” l'aveva ammonita
“Generoso? Cosa hai fatto di generoso?” aveva chiesto con tono di scherno nella voce, irritata dalle sue menzogne.
“Tutto. Tutto!” Aveva replicato lui, furente. Subito, però, si era ammorbidito nel tentativo di lusingarla “Tutto quello che hai voluto io l'ho fatto. Tu hai chiesto che il bambino fosse preso e io l'ho preso.” Aveva spiegato cominciando a girarle intorno come un rapace che attende la morte della preda agonizzante, l'animosità che tornava a vincerlo, crescendo col procedere del discorso.“Tremavi davanti a me e io mi facevo più terrificante. Ho sovvertito l'ordine del tempo e ho messo sottosopra il mondo intero e tutto questo io l'ho fatto per te. Sono stremato dal vivere in funzione di quello che ti aspetti. Questo non è generoso?” Aveva domandato alla fine, fermandosi nel suo circolare erratico. Una sfumatura stanca e triste.
Come se nemmeno l'avesse ascoltato, lei aveva continuato con la sua recita, ricordandosi il motivo della sua presenza al suo cospetto “Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte come la tua e il mio regno...”
“Aspetta...” aveva detto lui, alzando una mano tra loro, chiedendole ancora attenzione “Aspetta, Sarah...” l'aveva quasi pregata “Guarda quello che ti sto offrendo: i tuoi sogni” nella voce uno struggimento mai sentito prima come se lei non capisse l'importanza di un dono tanto prezioso.
“E il mio regno altrettanto...” Aveva continuato imperterrita, senza calcolarlo, stanca dei suoi giochetti: voleva solo riavere il proprio fratello...quasi si maledisse per il suo gesto così stupido e avventato che non le aveva portato altro che guai.
“Ciò che ti chiedo è così poco” L'aveva interrotta ancora lui, supplichevole “Lascia solo che io ti domini... e potrai avere tutto quello che desideri” le aveva proposto ambiguo con l'aria vittoriosa di chi sa di aver proposto un patto a cui non si poteva dire di no: era un vero demonio e, anni dopo, l'avrebbe paragonato al Faust “Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo.” Teneva la sfera del patto e dei sogni sospesa sulla punta delle dita, in mezzo a loro.
Lei lo aveva guardato per un lungo istante. Poi si era illuminata, comprendendo ciò che fino a quel momento le era sfuggito “Tu non hai nessun potere su di me!”

“In quel momento lui lasciò andare la sfera. Distratta da quel movimento così improvviso non mi accorsi di nulla. Mi lanciai verso il cristallo per tentare comunque di salvarlo. Non so perché. Forse perché in fondo c'erano i miei sogni. Quando lo sfiorai, però, esplose come una bolla di sapone e mi accorsi che, dove prima lui svettava davanti a me, erano rimasti solo dei lembi di stoffa che precipitavano al suolo. Quindi mi sono ritrovata a casa”
Sarah e il professor Grimm erano ormai arrivati davanti al vicino ateneo. Erano solo le cinque ma era già buio e l'aria fresca.
“Sul serio gli hai detto questo?” chiese lui, poco dopo, come istupidito.
Sarah esitò “Sì...perché?”
Immanuel la fissò senza alcuna espressione in volto “Mi fa un po' pena...”
La ragazza lo fissò sbalordita. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, cercando qualcosa di sensato da replicare, simile a un pesce che annaspa in cerca d'acqua per sopravvivere. “PENA?” sbottò alla fine “Professore, stiamo parlando di un sogno che mi ha fatto vedere i sorci verdi... E Lei mi viene a dire che le fa pena? Ma sta scherzando?”
“Mi pareva che avessimo chiarito due questioni...” borbottò lui senza badarla più di tanto “Di darmi del tu e che non fossero panzane”
“Ma...ma.. ma...” boccheggiò “Perché?” fu l'unica domanda che riuscì a porre
“Scusa...ti ha proclamato il suo amore e tu gliel'hai gettato in faccia...sarebbe stato come se ti avessero regalato delle rose e tu le avessi cestinate...” rispose lui
“Ma io l'ho fatto!” ribatté caustica.
“Cosa?” fu il turno del professore sembrare sconvolto
“Non te l'avevo detto? Quello del primo anno...con cui ho scambiato sì e no due saluti e che un bel giorno mi ha portato in aula un mazzo di rose rosse dicendo che voleva rendermi felice. Felice...Ma cosa ne sa?” sbottò con rabbia
“Ah già...ricordo...avevo rimosso...” ammise lui sconsolato “Non lo conosco neanche, potrebbe essere un pazzo assassino... o potrei esserlo io.” disse, facendole il verso. “Poverino...con te nessuno ha speranza, insomma...” frecciò
“Non è vero che sono così impossibile!” protestò lei.
“Poco...” biascicò lui sorridendo divertito e per niente convinto.
In lontananza, le campane di una chiesa batterono l'ora con rintocchi regolari
“Accidenti, devo scappare...e comunque a pranzo con te ci sono venuta, no?” ribatté avviandosi veloce. Una domanda che era un saluto.
“Benedetta ragazza...” sospirò l'uomo interdetto.

Sarah corse a perdifiato lungo i corridoi dell'ateneo. Attraversò in volata il prato del chiostro e si infilò in una porta di vetro a doppio battente. Salì a due a due i gradini che l'avrebbero portata in aula. Una volta davanti alla porta, tirò un sospiro, si calmò ed entrò.
L'aula era vuota. Come quella del professor Grimm. Stavolta, però, non c'era nemmeno il docente1. Ma che succedeva quel giorno? Sciopero dei treni? Epidemia?
Guardò il telefono e si rese conto che era il giovedì prima di Halloween, che cadeva di sabato, quell'anno. Che festa idiota, pensò tra sé. Se ci si doveva vestire in maschera c'era il carnevale. Oppure le fiere per cosplayer. Quella festività la faceva sorridere. Certo, le piaceva avere una scusa per travestirsi e in stile horror, per giunta. Ma la cosa finiva lì. Non la entusiasmava. In realtà erano davvero poche le cose che la entusiasmavano: in cima alla lista c'erano i libri, su cui passava giornate intere, magari dimenticandosi anche di mangiare, fino ad avere la nausea. La biblioteca personale, che aveva accumulato negli anni poteva fare invidia al proprio professore e spazzava quasi tutti i campi del sapere. E le piaceva scrivere. Per se stessa. Romanzetti che teneva gelosamente rinchiusi nella memoria del suo pc. Le piaceva altresì disegnare. E ascoltare musica.
Buttò la borsa sul banco, decisa ad aspettare solo il quarto d'ora accademico per quella lezione già di per sé non molto frequentata.
Decise di ingannare l'attesa e sfilò un cd nuovo di pacca che aveva acquistato quella mattina arrivando a scuola. Era il penultimo del suo gruppo preferito: il nono, per la precisione.
Aveva scoperto quegli artisti a un anno esatto dal suo viaggio immaginifico e da allora, ogni anno, sempre puntuale, era stato sfornato un nuovo album. L'anno prima era stato l'unico anno che aveva saltato, presa com'era stata dagli esami, dal trasloco e da.... Scosse la testa, cacciando il ricordo e tornando a concentrarsi sul cd che non riusciva a scartare.
Si era detta più volte che doveva essere segno del destino e che, per lei, quell'esperienza così vecchia aveva perso ogni valore anche solo simbolico. Ma quei brani le piacevano troppo e così, quell'anno, aveva deciso di festeggiare a modo suo la scadenza della decade e della liberazione dall'incubo con un doppio acquisto. Alzò lo sguardo al soffitto, pensando che l'arrivo di “Autumn Sky”, tramite corriere, era previsto, casualmente in pieno autunno, per il giorno dopo: il giorno della data fatale. Ne era euforica. Ma nel frattempo era curiosa di sentire quello che stringeva in mano. Osservò la copertina grigio blu con la scritta rossa di “Secret Voyage” e le si strinse la bocca dello stomaco. Non sapeva dire perché ma quel mare in tempesta che si intravedeva da due scogli, da cui faceva capolino la chiglia di una nave, le stava scatenando strane emozioni. Aprì lo sportello dell'impianto audio e vi infilò il cd.
“Ti prego!” disse ad alta voce giungendo le mani in preghiera “Non farmi scherzi strani. Ci tengo a sentirlo in ordine!” quindi premette play.
Le note lente di una nenia si profusero nella sala mentre Sarah toglieva il libretto dalla tasca interna della custodia. Lo sfogliò rapidamente e lesse i titoli. Si sentiva già elettrizzata. La nenia assunse i tratti di un qualche inno nazionale anglosassone. Alla delicatezza dei flauti e alla ruvidezza dei cembali si unì la solennità degli ottoni che sembravano quasi un coro angelico. Dopo un picco di maestosa solennità, in cui si tuffò a occhi chiusi, sentendosi una regina di un altro mondo, la melodia scivolò attraverso un passaggio melanconico e appassionato, precipitando in un coro organico di morte e desolazione. Un coro monastico si levò confuso dalle nebbie notturne che lei riusciva a vedere a occhi aperti, nonostante sapesse di trovarsi in un'aula universitaria. Le capitavano spesso visioni di quel tipo e aveva sempre pensato che fosse la sua smodata fantasia a procurargliene. Ma dopo il colloquio con Immanuel non ne era più tanto sicura.
Finito il primo brano introduttivo2, i tamburi di una marcia impetuosa e il cembalo ipnotico rimbombarono intorno a lei: le ricordavano, effettivamente, le onde che si ingrossavano e si infrangevano sugli scogli, come illustrava la copertina3. Un pensiero le passò veloce nella mente, strappandole un sospiro di sollievo: lì non c'era il mare, era una terra brulla e riarsa dal sole, dai toni caldi come il deserto. La voce delicata della cantante riecheggiò nel primo ritornello lento dando tempo a Sarah di capire i tempi della canzone: non aveva ancora badato il testo. Quando le cornamuse cominciarono a fischiare e la chitarra a impennare, era pronta; il ritmo era rimasto invariato, era aumentata solo la velocità.

I feel the waves begin to rise
Far across the ocean deep within your eyes
Silently watching as they fall
I can see the future locked within the crystal ball


[Sento le onde che cominciano a ingrossarsi/ L'oceano molto lontano nelle profondità dei tuoi occhi/ Guardando in silenzio come cadono/ Posso vedere il futuro racchiuso nella sfera di cristallo]



Cantò con voce sicura e aggressiva ma il testo, in due righe, l'aveva spiazzata. Perché la prima canzone, di un cd comprato nuovo quella mattina, doveva ricordargli i suoi sogni? La profondità di occhi misteriosi che si sentiva sempre addosso, occhi che ricordava molto bene, anche se non voleva. Si chiese con rabbia perché il brano dovesse avere proprio quei contenuti. Come se non bastasse, accennava anche a fantomatiche sfere di cristallo e di ciò che esse custodivano al loro interno. Smise di cantare all'istante. Non per paura. Quelle canzoni erano sempre innocue. Voleva solo concentrarsi. Rimase in ascolto, libretto alla mano.

Strike up the lightening, hear my prayer
Feel the light electric dancing through the air
Here by the ancient castle wall
Can you see the future locked within the crystal ball

Here in the spotlight this moment is ours
No one can stop us, we’re one with the stars

Quiet by nature, standing tall
Old stone circles, they have seen it all
Caught like a ghost in yesterday, shadows down the hall
Are locked within the crystal ball



[Comincia a lampeggiare, ascolta la mia preghiera/ Senti la luce elettrica danzare attraverso l'aria/ Qui alle antiche mura del castello/ Puoi vedere il futuro racchiuso nella sfera di cristallo
Qui, sotto i riflettori, questo momento è nostro/ Nessuno può fermarci, siamo un tutt'uno con le stelle
Attutiti dalla natura, si ergono alti/ Vecchi circoli di pietra, loro hanno visto tutto/ Catturati come fantasmi nel passato, ombre giù all'entrata/ Sono intrappolate nella sfera di cristallo]



Dannazione, pensò. Quella canzone parlava forse di lei? Non era la prima volta che le succedeva di sentirsi così egocentrica ma...cavolo, sì, era lei che aveva pregato, sotto la tempesta, e che aveva sentito l'avvicendarsi del reale col magico. Ed era proprio lei a essere intrappolata nel passato da ombre e fantasmi. Erano loro, pensò con angoscia e un pizzico di sollievo...loro due! Si rimproverò del pensiero che le era balenato in mente ma... Era forse il suo futuro? Lui gliel'aveva proposto, come aveva raccontato al professore solo qualche minuto prima: uniti, nessuno avrebbe potuto fermarli, lei, la campionessa e lui, il re. Scosse la testa violentemente lasciandosi aiutare dall'assolo di chitarra elettrica per cacciare via quell'immagine troppo reale e fastidiosa: era solo un sogno! Poi si lamentava che non riusciva ad avere amicizie normali, degne di quel nome.

Fire and water, earth and sky
Mysteries surround us, legends never die
They live for the moment, lost in time, I can hear them call
They’re locked within the crystal ball



[Fuoco e acqua, terra e cielo/ I misteri ci avvolgono, le leggente non muoiono mai/ Loro vivono per il momento, perse nel tempo, Li sento che mi chiamano/ Sono intrappolati nella sfera di cristallo]



“Il mistero ci circonda e le leggende non muoiono mai? Vivono per sempre e io posso sentire che mi chiamano?” Pensò sempre più esterrefatta e arrabbiata. Sì, sì e ancora sì, dannazione.
Le cornamuse tornarono a salire, veementi, fino a spegnersi dolci mentre la voce della donna continuava a ripetere evocativa Locked within the crystal ball. Lei non era prigioniera dei propri sogni, pensò furibonda. Quella canzone aveva poco da insistere su quel tasto: lei aveva rinunciato ad essi per salvare il fratello. Certo, fantasticava, ma chi non lo faceva? La vita terrena le sembrava così squallida, gretta e monotona.
Locked within the crystal ball.
Era un'ossessione. Era la sua più recondita paura: aver scelto, all'ultimo, i propri sogni; essere rimasta così affascinata da essi da accogliere il suo invito e rimanerci incastrata come nel ballo che ogni tanto sognava ancora.
Tu non hai nessun potere su di me!
Ma era certa di averlo detto sul serio? Era certa di aver vissuto davvero quell'esperienza? E se in realtà si fosse lavata la coscienza, cambiando il finale così come lo ricordava, dopo aver fatto tutt'altra scelta? Quando si immergeva in quelle riflessioni le sembrava di impazzire tanto diventava paranoica: allora anche Immanuel sarebbe stato una sua proiezione? Che, in realtà, come diceva la tradizione orientale, lei stesse davvero solo correndo sul palmo della mano di quel dio biondo di cui aveva avuto rivelazione?4
Si riscosse e decise che non le importava. Vero o falso che fosse, quella era ormai la sua vita. E non era delle più rosee. Se si fosse trattato di un sogno, così come quella sua avventura, se la sarebbe immaginata un po' più semplice, con più sprazzi di felicità e non così tristemente deprimente.
Si mosse a grandi falcate verso l'impianto, decisa a non aspettare un minuto di più il professore dell'ultima lezione.
Decisa, ammise a se stessa, a non sentire altre parole così evocative finché non si fosse trovata chiusa al sicuro in casa sua: avrebbe riversato il cd sul lettore mp3 e l'avrebbe ascoltato con comodo, un brano alla volta, quando si fosse sentita pronta. Ritirò il cd e spense l'impianto, più seccata che mai, folgorandolo con lo sguardo “Sì, lo so...” ringhiò esasperata “Ti avevo solo chiesto di andare in ordine...” disse sbattendo l'antina di vetro e girando sui tacchi. Come in quel regno assurdo, le parole avevano il loro peso: non aveva mica chiesto che non le fossero mostrate realtà a cui cercava di scappare!
“Non sta bene distruggere un bene pubblico. E per evitare di farsi internare, eviterei di parlare da solo. Anche se il luogo sembra deserto...” disse una voce maschile e sarcastica dall'alto della gradinata. “...e la voce che possiedi è così.. melodiosa” aggiunse con un pizzico di malizia
Sarah si gelò sul posto senza osare muoversi. La vergogna di essersi fatta sentire (a cantare, senza essere preparata, come a parlare da sola) la fece arrossire fino alla punta dei capelli.
E quella voce. Le risultava stranamente familiare.
Si voltò, timidamente, verso i banchi.
Da quando era lì? Aveva controllato, quando era entrata, e non aveva visto nessuno.
Individuò la sagoma che sedeva sbracata in ultima fila. Salì un paio di gradini per vederci meglio e non far la figura della cafona. Ma il piede non procedette oltre e le rimase congelato a terra.
Quell'uomo... lei l'aveva già visto.
Dieci anni prima.
E l'aveva sconfitto.
I ricordi tornarono vividi e intensi, con un impeto tale che le fecero mancare il respiro, quasi l'avessero schiaffeggiata. Per quanto rileggesse il suo quadernetto e per quanto sognasse quei momenti, quello che stava rivivendo era tutt'altra cosa. Era come se le fossero piombate addosso solo allora quelle ore che per dieci anni non aveva mai riportato realmente alla mente. Si sentì simile a un'androide a cui, in certi film di fantascienza, vengono innestate memorie pregresse, che le vive per la prima volta tutte insieme e sulla cui non-presenza precedente non riusce ad ingannarsi.
Non c'erano dubbi.
Era lui.
Il possessore di quegli occhi magnetici che la canzone le aveva appena ricordato.
“Perché?” Si domandò.
Di quei dieci anni ricordava a mala pena i posti in cui era stata, gli insegnanti che aveva avuto e aveva talvolta odiato, gli amici con cui era uscita ogni sera, gli amori platonici e non corrisposti che aveva vissuto. Tutto era sfocato salvo qualche sprazzo di lucidità alle rimpatriate.
Ma quelle dannatissime dieci ore le erano rimaste marchiate a fuoco nella memoria. Col passare del tempo le aveva infiorettate, idealizzate, stravolte, dimenticate e richiamate.
Certo, le era successo di ricordare con precisione frammenti di sogni anche a distanza di anni. Ma quel sogno in particolare... non poteva essere vero, non avrebbe dovuto ricordarsi la sua voce, la sua fisionomia...
D'altronde, si rimproverò, quanto tempo aveva trascorso realmente con lui? Unendo tra loro i vari incontri... una mezzora? “Un paio d'ore al massimo” si concesse, ripensando all'ora trascorsa in quel ballo incantato.
Non ricordava cosa aveva mangiato la sera prima, perché quelle due ore tornavano con quella prepotenza tipica del loro proprietario?
La sua mente ebbe un sussulto e materializzò il pensiero, un nome, che fino a quel momento aveva cacciato con ogni forza: Jareth








1     Presupponendo segua un'interfacoltà tra letteratura e arti visive (un po' generico ma dire DAMS lo collocava specificamente in Italia) lascio intendere che questa sia una materia tipo canto o simile... Al DAMS ricordo che suonavano pure.... quindi non è così strano quello che succederà ora...

2     Blackmore's Night, Secret Voyage, 1. God save the Keg

3     Blackmore's Night, Secret Voyage, 2. Locked within the crystal ball

4     Viaggio in Occidente di Wu Chengen (1590) è un classico della letteratura cinese. Il Re Scimmia Sun Wukong (o Son Goku nella versione nipponica. n.d.a. Saiyuki è la traduzione del cinese Xīyóu Jì ) è uno degli accompagnatori del monaco Sanzang (o Sanzo) insieme al maiale Zhū Wuneng/Bājiè (o Cho Hakkai ) ed al demone fluviale Sha Wujing (o anche il kappa Sa/Sha Gojo/Gojyo). Il discorso di Sarah, fa riferimento a una parte della storia, in cui la scimmia, sfidata a uscire dalla mano dello stesso Buddha e convinta di aver trovato i confini del mondo, si accorge, invece, di aver sempre girato in tondo.



- - - - - - - - - - - - - -

Oggi non ho molto da dire, a parte che mi rendo conto di aver fatto frasi incasinate... =_= Necessito di lunga decantazione per notare -e trovare la giusta correzione- a certe frasi contorte... se non capite...tirate dritto XD.
Dunque, a presto!
DR

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Lui ***


4- Lui



Stava stravaccato sui sedili, nascosti dai banchi a cui si aggrappava con la mano, come se vi avesse dormito e si fosse appena svegliato.
Era bello oltre ogni dire. Dimostrava all'incirca trent'anni1 ma avrebbe potuto essere più giovane come più vecchio. I capelli biondi e lisci, in un taglio fortemente scalato (piumato, puntualizzò, lontana, la vocina della propria parrucchiera che, così, l'aveva descritto anni addietro, vedendola soffermarsi su un taglio simile), gli ricadevano esili sulle spalle. Un chiodo in pelle nera, che gli allargava spalle e torace e aumentava vistosamente il divario con la sottile vita fasciata, slanciava la figura e le dava un'impronta minacciosa. Jeans aderenti logori erano infilati, un po' fuori moda, dentro ad aggressivi stivali da biker. Sembrava una rockstar degli anni ottanta. Ma poteva sembrare anche un moderno dark con punte punk. O un emo in vena di nostalgia e vita. D'altronde, ne conosceva talmente tanti di squinternati che quell'essere sarebbe potuto benissimo passare inosservato nella fauna urbana se non fosse stato per l'incredibile aura magnetica e la bellezza innaturale che sprigionava. “Ma in un corso di laurea come il mio ci si può aspettare davvero di tutto...” si corresse pensando agli elementi che popolavano le aule e... a se stessa. Proprio lei, un'altra che non dava nell'occhio, pensò con marcato sarcasmo: amava vestirsi in chiave romantica e sognatrice, con abiti chiari e vaporosi, come in chiave più aggressiva, con audaci corsetti e accessori neri. 2
Quel giorno indossava una calda maglia di pizzo di lana nera, che lasciava intravedere il corsetto rosso al di sotto, e un paio di pantaloni in pelle con cintura a catena. E, per una volta, aveva optato per un trucco acqua e sapone che non destava neanche poi tanto interesse nella gente: sembrava solo una ragazza vestita di nero.
Per un attimo pensò che sarebbero potuti essere una bella coppia, così agghindati. Ma si riscosse da quelle fantasticherie quando lui si mosse per mettersi in piedi.
Ora le sembrava meno terrificante di quanto non avesse pensato quand'era ragazzina.
Era lui, non c'erano dubbi. L'aveva riconosciuto immediatamente, come l'aveva riconosciuto istintivamente dieci anni prima.
“Cosa ci fai qui?” domandò aggressiva, sulla difensiva, ringraziando di avere addosso quel bustino: si sentiva protetta come da un'armatura quando lo indossava
“Mia cara...” biascicò lui annoiato “E' un'aula pubblica... Aspettavo l'inizio delle lezioni...riposandomi...” ora troneggiava su di lei dalla posizione elevata ma non sembrava emanare alcuna aggressività
“Non dire scemenze!” ribatté seccata: come se nella sua vita pomposa e agiata avesse mai dovuto faticare così tanto da crollare addormentato “Non ti ho mai visto a...a lezione!” scoppiò a ridere ripetendo quella parola “Tu...a lezione?”
Quello fece una faccia annoiata e disgustata “D'accordo, hai vinto. Ho saltato tutte le lezioni. Fin'ora.” sottolineò perfido “Ma non sapevo che le assistenti dei professori fossero dei tali cani da guardia...” soffiò
“Io non sono l'assistente di nessuno” precisò lei. Ma perché lo stava facendo? Non doveva giustificargli nulla
“Mi pareva di aver capito che lo fossi del professor Grimm” la corresse lui, inclinando la testa di lato.
“Lascialo fuori da questo discorso” ora cominciava ad arrabbiarsi seriamente. Cosa ci faceva lui lì e cosa voleva da lei?
“Sì sì” disse lui alzando le mani, in segno di resa “Non è affar mio...ma...” disse cominciando a scendere i gradini che l'avrebbero portato a lei, le braccia incrociate dietro la schiena “Howlett3 non viene a lezione? Per una volta che ci vengo io...” Aveva stampato in faccia il solito ghignò sarcastico.
Per un attimo, Sarah pensò di essere caduta in un'imboscata. Lui sembrava aspettarla...forse erano in un'altra dimensione, un luogo dove lui l'aveva trasportata quando...Non riusciva a pensare a un momento in cui aveva percepito qualcosa di anomalo. Nessuna strana elettricità nell'aria, nessuno sfasamento spazio-temporale che l'avesse messa in allarme prima. Solo l'aula vuota le sembrava tale, quasi a farlo apposta.
Ma fu presto rincuorata da una voce familiare che non poteva essere un'illusione. O almeno, era quello che lei sperava
“Sarah!” Gloria era sulla soglia e l'aveva chiamata allarmata. Le si avvicinò cupa, cercando di non guardare l'uomo presente in aula “Sapevo che ti avrei trovata qui... Ho sentito dire in portineria che il professor Howlett è assente per una riunione di facoltà. Hanno diramato l'avviso in tutti i corsi ma non nel nostro, stamattina. Sospettavo che non l'avessi saputo...Anche perché, pure al corso del professor Grimm, non c'era nessuno e l'avviso non è stato letto...” disse prendendole il polso e trascinandola con sé
“Aspetta Gloria...” la fermò Sarah indicando la borsa e il cappotto sulla cattedra. Era ben felice di venir trascinata via da quell'uomo. Le due uscirono dall'aula senza salutare e sentendosi gli occhi glaciali conficcati nelle spalle come stiletti arroventati.
Gloria camminava veloce, tanto che Sarah dovette chiederle di lasciarla andare o le avrebbe staccato il braccio.
“Scusa, Sarah...” rispose imbarazzata quella
“Non è nulla...piuttosto...perché tutta questa agitazione?” chiese la mora, regolando il passo su un'andatura più tranquilla.
“Come perché?” strepitò quella guardandola con occhi spiritati. Prima che potesse procedere oltre nel risponderle, vide in fondo al chiostro gli altri membri della compagnia. Si mise a urlare senza ritegno i loro nomi, agitando convulsamente le braccia, quasi cercasse di fare di proposito quanto più baccano possibile in modo da attirare l'attenzione e far sì che nessuno strano inseguitore potesse aggredirle. Quando furono nuovamente tutti assieme, Sarah la vide rilassarsi.
“Tutti al bar! Una buona cioccolata calda è quello che ci vuole!!” Cinguettò allegra e inconsapevole la riccia Jess. Mentre si avviavano per le strade della città, Sarah riuscì a riagganciarsi a Gloria. La strattonò per un braccio, facendole rallentare il passo: era ancora, visibilmente agitata.
“Mi devi una spiegazione..” le ricordò.
La bionda la guardò, tra il confuso e l'allarmato, aggrappandosi al braccio di Matt “Quando saremo al caldo...Fammi riprendere! Te ne prego...”
“Che le hai fatto?” domandò il moro fissandole perplesso. Gloria era così coraggiosa e indipendente che quell'atteggiamento gli puzzava.
“Io niente!” disse innocente Sarah.
Attese pazientemente che la combriccola occupasse tre tavolini nel loro bar preferito. I toni aranciati del locale davano un senso di familiarità al posto e le applicazioni futuristiche non stonavano come si sarebbe potuto immaginare. Una volta che ebbero ordinato, Sarah, sedutasi tra i due ragazzi, piantò i grandi occhi verdi bistrati in quelli azzurri dell'amica4, seduta esattamente davanti a lei.
“Ora mi spieghi!” intimò.
“Cosa? Cosa?” tubarono gli altri, curiosi
“Ma cosa c'è da spiegare, scusa? Ho solo avuto paura per te!” replicò l'altra seccata e imbarazzata. “Cosa credi? Che ti avrei lasciata lì?”
Sarah era esterrefatta. Non sapeva se credere che l'amica sapesse chi fosse l'uomo che aveva incontrato o ipotizzare altre soluzioni.
“Di cosa state parlando?” domandò Jess preoccupata, affianco a Gloria.
“Quando sono andata a vedere se era in aula...” spiegò Gloria “L'ho trovata con...con lui...capisci?”
“Ahhhh con lui...” il tono e lo sguardo di Jess si fecero maliziosi. Sembrava pronta a farle un terzo grado coi fiocchi quando Gloria spense ogni entusiasmo
“Non lui, cretina! Lui!” spiegò la bionda
“Oddio...non lui lui” Jess era ora tutta spaventata e spostava lo sguardo da Gloria a Sarah come una pallina da flipper
“Proprio lui!” confermò la bionda
Sarah, Sam e Matt le guardarono come se fossero state due mentecatte
“Scusa...” chiese Sam pinzandosi le congiuntive e chiudendo gli occhi, come se un forte mal di testa l'avesse colpito all'improvviso “Chi è lui...” chiese sorridente “..e chi è lui?” ripeté con fare allarmato, facendo loro il verso.
“Ma dai! Ma dove sei quando spettegoliamo?” domandò Jess stizzita “Lui...” spiegò sorridente “..è il professor Grimm!”
Sarah la guardò come se le avessero appena versato addosso una secchiata di pesci rancidi, afferrando al volo i viaggi mentali che si erano fatte le amiche “Guardate che tra me e Immanuel...” cominciò che quelle partirono subito in visibilio con cori sospirati
“Lo chiama per nome!” dissero sognanti, dandosi gomitate nei fianchi a vicenda.
Sarah dovette trattenersi per non urlare “Non c'è nulla!” concluse dura
“Sì sì...” fece Gloria scettica “E dov'eravate questo pomeriggio che non c'era nessuno a lezione?”
“Siamo andati a pranzo...” le scappò
“Uuuuu” a quel punto anche i ragazzi si unirono al coro, ruotando sulle sedie e stendendosi sui tavolini per riuscire a osservarla meglio.
“E dove, dove?” chiese Matt sempre più curioso.
“Veramente ha cucinato lui...” spiegò Sarah, mentre le servivano il suo latte macchiato, a disagio sotto quei quattro paia di occhi che indagavano maliziosi. Si morse la lingua troppo tardi: gli amici erano già su un altro pianeta
“E cosa ti ha preparato?” chiese uno
“Ma chi se ne frega” disse un altro “...che è successo??”
“Ragazzi!” li bloccò, irritata per quelle stupide illazioni. “E l'altro Lui?”
A quel punto i due maschi si riscossero e squadrarono le ragazze che avevano eluso così abilmente la domanda
“Maccome?” sbottò la bionda “Nessuno di voi ha mai avuto il piacere di imbattersi in Mister Tenebra?” domandò. Quando i tre scossero la testa all'unisono, continuò disperata “E' l'uomo più terrificante che abbia mai incontrato. E' famoso, in università...lo evitano tutti...c'è chi giura che, dopo essergli passato vicino, forse indisponendolo, gli siano accadute una serie di disgrazie, una dietro l'altra. E quegli occhi, poi...pare che durante una rissa si sia preso un pugno così forte sull'occhio sinistro che ne ha causato la dilatazione permanente della pupilla...” disse rabbrividendo della violenza dell'uomo.
“Ah!” si illuminò Sam “Dai, Matt...è quello che noi chiamiamo lo spaventapasseri...ha i capelli tutti sparati, vero? Lunghi e biondi?” chiese alle ragazze che annuirono velocemente
“Se stiamo parlando di lui, allora è comprensibile la reazione di Gloria...” disse Matt, concentrato ad affogare la panna nella cioccolata.
“Insomma...Sarah se ne stava lì piantata a due centimetri da quel mostro e io ho avuto davvero paura che lui la stesse per menare...” riprese Gloria, agitata.
“Eravamo a due metri di distanza!” precisò Sarah, seccata.
“Non importa!” intervenne Sam “Due centimetri o due metri...con quello non è mai abbastanza! Fai attenzione!”
“Ma non hai avuto paura?” domandò Jess allibita, stropicciando i bordi dei polsini della felpa blu.
“Avrei dovuto?” chiese perplessa. Quello che aveva provato era stata principalmente irritazione. E un filo di attrazione, si concesse. Continuava a non capire l'allarme degli amici: lei l'aveva conosciuto in versione quasi abominevole, quando era più piccola. O almeno, così era apparso ai suoi occhi.
Mentre, ora, era costretta a cercare di vederlo come il buono della situazione che avrebbe offerto ricovero a suo fratello.
Inoltre, quella sera, l'aveva visto sotto una luce quasi umana. E attraente.
“Certo! Sappiamo tutti quanto sei coraggiosa ma ti prego, sorella, fa attenzione!” sbottò Matt.
“D'accordo...” concesse lei, per niente spaventata “E come si chiama Mister Tenebra? Così saprò se tagliare la corda da lezione quando vedrò il registro”
“Io il nome non lo pronuncio mica, di quello lì!” disse Gloria con fare schifato.
Maccome? Nessuno credeva nella magia. Tutti erano super tecnologici e veneravano il cavo di rame come il dio in terra... e si spaventavano davanti a un nome? Lei doveva essere spaventata dalle parole. Lei. Mica loro.
“Ok” concesse Matt “Te lo scrivo...ma poi vado in bagno a bruciarlo...non si sa mai che quello si incazzi e mi faccia nero, se mi scopre...”
Prese una salvietta dal tavolo, stappò un pennarello coi denti e scribacchiò il nome con caratteri cubitali, per esser certo di non doverglielo leggere, data la sua orrenda grafia.
Sarah prese il biglietto tra le mani per osservarlo bene, prima che Matt sparisse di volata in bagno: non le diede nemmeno tre secondi che gliel'aveva già strappato di mano. Fece appena in tempo ad alzare lo sguardo per vederlo curvare l'angolo e sparire alla vista.
Rimase perplessa a fissare il vuoto. Tra le sue mani campeggiava ancora la scritta Herrscher Gareth.
Il nome era similare... ma il cognome? Sembrava una presa in giro bella e buona. Lei sapeva solo quattro acche di tedesco, come di giapponese, francese, italiano e latino, e solo perché riguardavano le sue passioni e i suoi studi. Ma “Sovrano Jareth” era la traduzione meno improbabile e più banale che potesse aspettarsi da quell'egocentrico di un mago: sembrava quasi il nickname di un adolescente che crea un account per la prima volta.
E poi c'era quello stupido gioco infantile di somiglianze col nome di Esher.
Patetico!
Chiuse gli occhi, archiviando l'argomento. Che fosse davvero lui o meno, non voleva averci niente a che fare.
“Ma Matt quanto ci impiega?” sbottò Sam dopo cinque minuti, pronto ad alzarsi per andare a vedere la situazione. Il moro uscì giusto in quel momento, zoppicando.
“Che ti sei fatto?” chiese allarmata Jess, facilmente impressionabile
Lui saltellò fino al tavolo e una volta che si fu nuovamente accomodato sibilò un'imprecazione “Lo sapevo che non dovevo averci nulla a che fare! Ho tirato l'acqua dopo aver bruciato il foglietto e cosa mi succede? Finisco gambe all'aria nel cesso... non bastasse, urto il cestino del lavandino, sparpagliandone tutto il contenuto in giro, che a sua volta va a sbattere contro il portasapone...che casino...” cominciò, finendo, poi, per raccontare come avesse cercato di risistemare tutto alla meglio “Non mi son fatto nulla, solo una gran bella botta al ginocchio...però, per la festa non so se sarò in condizioni di partecipare...”
“Vuoi che ti porti in ospedale?” si premurò Jess già pronta con le chiavi dell'auto in mano
“No, tranquilla...ma uno strappo a casa lo accetto volentieri..così ci metto del ghiaccio...” rispose lui grato della gentilezza e seccato dell'accaduto, guardando poi Gloria di sfuggita, quasi a chiederle un permesso che lei avrebbe ovviamente concesso “Visto Sarah? Te l'avevo detto..meglio non averci nulla a che fare...solo per aver tentato di bruciarne il nome mi ha scagliato un qualche maleficio...brutto bastardo...”
La mora sollevò un sopracciglio, sempre più scettica: non poteva essersi trattato solo di una coincidenza? Suola di gomma, pavimento bagnato e scivoloso e la foga di tornare in sala...Era una spiegazione più che logica. Perché scomodare la magia?
Visto che Matt stava poco bene, decisero di salutarsi lì
“Domani non vengo...” li informò Sarah “Devo sbrigare delle commissioni e poi viene mio fratello a casa...”
Gloria la guardò di sottecchi “Non è che devi vederti con lui??” domandò maliziosa
“Può essere” rispose vaga lei “Ora scappo che mi devo preparare la cena.”
Così dicendo, voltò loro le spalle e si avviò verso casa.
Si infilò gli auricolari e accese il lettore Mp3. La canzone che le venne proposta, con una punta di cattiveria, mirava a farla sentire in colpa e ricalcava, in soldoni, quello che le aveva detto il professore poche ore prima.
Spense subito e ricacciò l'aggeggio in tasca, incurante di annodare il cavetto delle cuffie. Avrebbe contemplato il silenzio.
Eppure quella triste voce femminile, carica di quella disperazione rabbiosa di chi è stato tradito, lei la percepiva come bassa, maschile, suadente... la sua voce. Continuava a cantarle nella mente, torturandola lentamente, rievocando un ballo in maschera da sogno. E a incolparla per la sua freddezza.
I was romantic, so silly and blind
I told the world that true love had a name
But all that is left now is pity and shame

One of us is winterhearted
One of us is cold as ice
One of us is breaking hearts
And it's not me5


[Io ero romantico, così sciocco e cieco/ Dissi al mondo che il vero amore aveva un nome/ Ma tutto ciò che resta, ora, è solo compassione e vergogna
Uno di noi due ha ibernato il proprio cuore / Uno di noi due è freddo come il ghiaccio/ Uno di noi due è colui che infrange i cuori/ E non sono io]









1    E' l'età che aveva David Bowie quando girò il film: è del '47 (non so dove mi sono sognata che era del 55) quindi...nell'86 ne aveva 39...grazie Gio! ;)

2    Non sorprendetevi: dato che pare che sia l'unica ad aver fatto università alternative vi dico solo che in una semplice Lettere e Filosofia c'era veramente di tutto, compreso gente che con la neve alta un metro girava con i sandali...

3    Visto che l'originario cognome di Magneto (Lehnsherr) rischiava di far casino con Hersherr (il cognome fittizio di Jareth), l'ho cambiato col cognome, sempre di un personaggio degli X-men, Wolverine: James Howlett detto Logan. Non trovate una certa assonanza col termine Howl?

4     Mi è stato fatto -giustamente- notare, che in un primo momento affermo che Sarah è truccata Acqua e Sapone e poi dico che ha gli occhi bistrati... bene. Chiarisco: con acqua e sapone, intendo una cosa leggera (ma non troppo naturale da "sembra che non sei truccata"), un pò di mascara e un pò di eyeliner..poi dalla singola il concetto di semplice...perchè ci sono ragazze per cui già il solo mascara+kajal è troppo; con trucco pesante intendo rossetto nero e occhi da panda...da vera dark lady.
Normalmente, quando si parla di occhi bistrati si pensa agli occhi da panda... ma non è esatto: il bistro è un elemento del trucco...come l'ombretto (occhi ombrettati...dipende quanti chili ne piazzi sulla palpebra...). Io volevo rendere l'idea di occhi "non sono semplicemente truccati; la sfumatura è quella del cosmetico di un passato remoto, evidente ma non per questo inelegante. E' una parola ricercata per valorizzare un ornamento ricercato, di quelli che rendono lo sguardo simile a quello dei gatti, sornione, sofisticato, magnetico. Un trucco, insomma, connotato d'attraenza.". A me è sembrata la descrizione perfetta per Sarah. Cmq, relativamente presto, verrà anche spiegata meglio la differenza tra le sue due "anime"

5    Xandria, India, 11. Winterhearted


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -


XD Voi speravate che vi spiegassi tutto subito, vero? XD sì sì...aspettate quanto volete...le spiegazioni verranno con calma..una alla volta..abituatevi XD
:D e dunque...non ho nulla da dirvi oggi :) -ho solo finito gli esami!-
a presto!


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Secret Voyage ***


Sono abbondantemente dentro i termini del 30% consentito per le song fic, quindi credo possa valere anche per l'inserzione di testi musicali (Ho usato solo 450-500 parole circa su 700, permesse in questo caso). Chiedo scusa a tutti per la corposità del testo lirico ma, questo, mi sembrava un passaggio fondamentale. Più avanti capiremo perché. Ci saranno ancora esempi simili ma giusto accennati (qui ascolta il cd per la prima volta e ho raggiunto il massimo!). Mettervi solo i titoli delle canzoni, senza contestualizzarli non mi sembrava rendesse l'idea: così facendo ho focalizzato l'attenzione sui passaggi che mi/le interessavano. In realtà, le canzoni citate sono molto suggestive e suggerisco di ascoltarle durante la lettura. Almeno: io ero in macchina col cd e mi veniva fuori la storia già pronta con tutte le citazioni. Ma scrivere una storia traducendo liriche non avrebbe senso: a me serviva comunicare i loro stati d'animo (più avanti ci si mette anche Jareth)

Le parti in nero sono quelle che autonome rispetto alle canzoni. Quelle in blu riguardano le canzoni e, per quanto mi sia impegnata, è preferibile ascoltarle, più che leggerne la descrizione. La storia, comunque, è autonoma da questa parentesi...anzi...forse anche da tutto il capitolo...per questo aggiorno così presto, così me lo tolgo dai piedi...(cioè..non ci tornerò sopra in seguito). Perché l'ho messa se non è fondamentale? Perché la povera ebete deve fare un percorso, come l'ha fatto da piccola, per crescere! :)
Solo che, sapete come si dice...più si invecchia, più ci si fissa sulle proprie posizioni e più diventa difficile cambiare...ecco perché lei ha bisogno di una luuuunga riabilitazione...
PS: non chiedetemi nulla di Marking... ù_ù tutto sarà spiegato a suo tempo.



5- Secret Voyage




Scesa dall'autobus si concesse qualche minuto per osservare la luna piena che svettava in cielo, illuminando a giorno anche le zone prive di illuminazione. Era così bella che voleva imprimersela bene nella mente per poi disegnarla appena ne avesse avuto occasione:la metà superiore era limpida e dai contorni netti, la parte inferiore era sfumata e sgranata come se si specchiasse nel mare o come se un pennello granuloso vi fosse passato sopra carico d'acqua e ne avesse diluito la luce spostandosi verso i tetti della città. Rimase col naso all'insù finché non si accorse che faceva più freddo di quanto le fosse sembrato in un primo momento.
Una volta a casa, il tiepido calore dei termosifoni appena accesi l'accolse.
“Buona sera casa!” salutò le stanze vuote e buie entrando e lasciando gli stivali in ingresso. “Buona sera Marking!” Salutò il grosso cane nero, più simile a un lupo che a un pastore belga, che arrivò dal salotto, trotterellando. Lei affondò viso e mani nella folta pelliccia aspirandone il tepore. Lui batté la coda felice e le stampò una leccata in faccia. Sarah rise: come sempre, da che era piccola, aveva più affinità con gli animali che con gli esseri umani, con cui non riusciva ad avere un rapporto sano e sincero.
Buttò sulla poltroncina soprabito rosso e borsa e si infilò la felpa che aveva lasciato lì alla mattina, cacciando quel pensiero deprimente. Accese le luci in cucina e aprì il portatile. Mentre il computer si avviava, cominciò a tirare fuori dal frigo gli ingredienti che le sarebbero serviti per preparare la cena. Il trillo di benvenuto la informò che il sistema era operativo. Mollò tutto e, tirato fuori il nuovo cd dalla borsa, lo infilò nel pc perché convertisse i file audio in mp3, salvandoli direttamente sul lettore. Non ebbe tempo di allontanarsi che l'operazione era già conclusa.
“Una scheggia, come sempre...” si complimentò, chiudendo il monitor e avviandosi nel salottino lì accanto. Accoppiò lettore e impianto e tornò in cucina col telecomando in mano. “Mi raccomando!” disse ad alta voce “Non farmi scherzi anche tu, Iutrepi caro1! Voglio solo i nuovi brani!”
L'impianto non era dotato di comando vocale o di intelligenza artificiale: per quanto Sarah avesse selezionato la cartella da ascoltare e avesse scelto la modalità di riproduzione, sapeva che era sempre meglio specificare all'entità che viveva nei supporti elettronici, Iutrepi, cosa voleva che facesse.
Il lettore non la deluse ma fece, comunque, di testa sua. Sentendo le note dell'unica canzone, (sempre dello stesso gruppo) caricata per ultima prima di quelle appena inserite, Sarah sorrise, inquieta: tra tutte le canzoni, non era proprio il momento che le capitasse quella. “Non imbrogliare!” disse pigiando il tasto skip “Solo l'ultimo cd caricato!”
Iutrepi, per una volta obbedì mansueto, partendo esattamente dal terzo brano, laddove lei aveva spento in aula.
Sarah cominciò a tagliare gli ingredienti tendendo bene l'orecchio alla canzone. Anche quella parlava di lei, si disse. Ma, anziché esserne offesa, se ne sentì protetta2.

And when she smiles, a thousand dreams surround her
Dress them in secrets no one can hold

[E quando lei sorride, un migliaio di sogni la circondano/ Vestendoli come (o trasformandoli in) segreti, nessuno può afferrarla/i]

Chi diavolo erano? Come facevano a conoscerla così bene?

The restless heart
Cries when no one is listening
She's waiting for someone

[Il cuore irrequieto/ Piange quando nessuno è in ascolto/ Lei aspetta qualcuno]

A metà brano, due grosse lacrime decisero di traboccare dagli occhi di giada e in quel momento Sarah capì che non ce l'avrebbe fatta a prepararsi la cena. Si asciugò il volto con la manica della felpa, rimise tutto al suo posto e ciò che era già stato preparato in una vaschetta a parte per il pasto del giorno dopo. All'ultimo decise di scaldarsi una semplice tazza di latte con il microonde e in mezzo minuto aveva la bevanda fumante in mano. Vi versò dentro del caffè avanzato e spense le luci. Si sedette per terra, al buio, davanti all'impianto stereo, decisa a dedicargli tutta l'attenzione che stava reclamando da quel pomeriggio. Marking le si fece vicino e le si acciambellò alle spalle, in modo che potesse poggiarvi la schiena.
Aspettò paziente il quarto brano. Quasi avessero saputo in anticipo che il brano precedente l'avrebbe depressa, gli autori avevano messo in quella posizione un brano decisamente allegro. Neanche il testo citava nulla che potesse sconvolgerla ulteriormente. Un accenno velato ad amicizie perdute, forse. Ma nulla di straziante anche se....anche se, comunque vi era una frecciata ben camuffata anche lì3.

When the sun starts to rise
We will not hide our eyes
We'll greet her with a kiss hello

[Quando il sole comincia a sorgere/ non nasconderemo i nostri occhi/ La saluteremo con un bacio d'arrivederci]

Erano i suoi amici? Quelli dell'altro regno che le ricordavano la promessa fatta? Si erano forse ripromessi di non piangere, quella mattina, al castello, quando lei aveva proseguito da sola? Perché era proprio l'alba, ora che ci faceva caso...
No, si riscosse. Era solo una coincidenza.
Un brano melodico accompagnò le sue riflessioni finché la voce non tornò a cantare, delicata e sicura, accompagnata da tamburi e trombe4.

She's been gone since yesterday,
oh I didn't care
never cared for yesterday
fancies in the air.

No signs or Mysteries,
she lay golden in the sun
no broken harmonies
But I've lost my way.

She had Rainbow Eyes..

Love should be a simple place
whispering on the shore
No clever words you can't defend
Return never more.

[Lei se n'è andata da ieri/Oh, non mi importa/Non mi è mai importato del passato/Capricci e sogni nell'aria
Nessuna traccia o mistero/ Lei sta, dorata, al sole/ Nessuna armonia è rotta/ Ma io ho perso la mia strada/ Lei ha occhi arcobaleno
Amore dovrebbe essere qualcosa di semplice/ Sussurrando sulla spiaggia/ Alcuna argomentazione intelligente ti potrà difendere/ Non tornerà mai più]

Era... lui? Anche le canzoni si prendevano gioco di lei. E ancora si sorprese a domandarsi chi diavolo scriveva i testi. Cambiavano apposta per lei? O erano così per tutti? Poteva mai essere?
E se erano indirizzati a lei, doveva credergli? Accidenti!
Grosse lacrime scendevano ora irrefrenabili. Sarah decise di non fermarle. Erano dieci anni che cercava di non pensarci. Bel modo di festeggiare, pensò con rammarico. Piangendo! E il pensiero di un amore tanto intenso, non ricambiato (da lei!) le provocò una fitta allo sterno. Solo ora riusciva a intravedere la portata di quanta pena lui avesse provato.
Lascia solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri. Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo
Ma lei aveva mandato tutto in frantumi. Era quello che cercavano di dirgli? No... lui non era mai stato sincero e ora, chissà per quale ragione, era ricomparso nella sua vita. Tentando di piegarla con le lusinghe.
Stanca di sentire le false parole d'amore cantate dalle casse pigiò skip ancora una volta, in attesa. Non avrebbe più tollerato ingerenze da parte di un cd nella sua vita. A costo di rifilarlo sotto il tavolo come zeppa. E, se quello era l'andazzo, il pacco previsto in arrivo il giorno dopo avrebbe fatto la stessa fine.

In the midnight hour, You feel the power5
and the circle starts again.
Now question falls to you my friend:
no beginning has no end,
will we ever learn?
with the world still turn?
will the circle start again?

[A mezzanotte, senti il potere/ e il circolo ricomincia/ Ora la domanda ricade su di te, amico mio:/ nessun inizio non ha fine/ impareremo mai?/ con il mondo che continuerà a girare?/ Il circolo ricomincerà?]

E ora... chi era che parlava? Si domandò esasperata, in una lotta per la sanità mentale con un nemico invisibile. Era il labirinto? Era la magia? Era il vecchio saggio?
A volte la strada dell'andata è la strada del ritorno
Chi è che esisteva da tempo immemore e le stava dando lezioni di pazienza, di storia o di umiltà?
Il brano successivo, pur non parlando esplicitamente (e quando mai lo faceva, rimuginò indispettita), le rispose: era la magia che cercava di parlare con lei. La magia, selvaggia, libera6...la stessa che continuava a chiamarla da dieci anni.
La stessa che...
Sarah si accigliò. “Ancora?” pensò rabbiosa mentre la musica continuava, passando di pezzo in pezzo, risuonando allegra, come se il soggetto precedente fosse stato riconosciuto e cantasse, ora, la gioia della sua accettazione. Ammesso che il soggetto fosse davvero la magia, la stava informando, rimarcando per la centesima volta in tutto il disco, che era destino che un certo amore si compisse7.

Like a river flows surely to the sea
Darling so it goes
some things are meant to be
take my hand, take my whole life too

[Come un fiume scorre sicuramente al mare/ Mia cara, così va (il mondo)/ Alcune cose è destino che si compiano/ Prendi la mia mano, prendi anche la mia intera vita]


“No” rispose lei, skippando ancora per protesta mentre, nella sua mente, due entità si scambiavano i ruoli: la magia cedeva la parola proprio a lui. “Non esiste proprio!”
La sua era una menzogna, una recita...lei, la magia...ma quando mai? Figurarsi...
Lei era solo una bambina. E lui, probabilmente, un essere millenario. Si era preso gioco di lei. O almeno ci aveva provato. E lei l'aveva sconfitto. Se anche ci fosse stata attrazione da parte di uno dei due, di certo la sua sarebbe stata enfatizzata dalla bruciante sconfitta. Affascinato da una sfidante più forte di lui, voleva solo vincerla per dominarla. Non era così sciocca, ora, da non sapere come funzionavano certi meccanismi, certi rapporti tra le persone. Il suo (di lui) era tutto fuorché amore.

Wishes can come true when you wish with all your might8

[I desideri possono diventare realtà, quando desideri con tutta la tua forza]

No! Si rifiutava di prestar ascolto a quelle parole menzognere che non erano scritte per lei. Doveva convincersi di quello. Aveva già desiderato una volta, con tutta se stessa. E nella stessa occasione aveva dato per scontato che un certo Re fosse innamorato di lei. Doveva bastare. Non avrebbe più pronunciato alcuna parola al riguardo. Mai più.
Anche se, forse, il desiderio era vivo in lei. Ma finché lei non avesse parlato...forse...
La canzone continuò, riproponendole sdolcinate dichiarazioni d'amore, il contenuto troppo simile a quanto le aveva detto lui. Ma ora il soggetto non era più il re: era un contadino.
La canzone si stava facendo gioco di lei? Le stava forse chiedendo “Se fosse stato esattamente il contrario dell'uomo che ti trovasti davanti dieci anni fa, la risposta sarebbe stata diversa?
Nella sequenza di brani e nella martellante riproposizione dello stesso argomento, Sarah vedeva quasi la rabbia cieca della magia che non viene assecondata o creduta. La magia come entità viva... un po' come poteva esserlo Iutrepi... le stava parlando e lei, una mortale, osava dubitare del messaggio che questa portava con sé.
Ora si era fatta benevola, amica.
Temeva di averla spaventata? La stava pregando di ascoltare quanto aveva da dirle?9

She passes the days one after the other
She never sees, she never hears
Counting the hours, her life is a rerun
A series of failures rolled into one.

When she was young she looked towards the future
Eyes full of promise, a heart filled with joy
How had her road twisted so harshly
Can these two women be one and the same?

Once she dreamed of romance
Once she imagined she lived in a castle
Once she held the world in her hands
Once was a long time ago,
Far far away.

[Lei trascorre i giorni uno dopo l'altro/ lei non vede mai, lei non sente mai/ contando le ore, la sua vita è una replica/ una serie di fallimenti appallottolati in uno.
Quando era giovane, guardava al futuro/ gli occhi pieni di promesse, il cuore pieno di gioia/ Com'è diventata complicata la sua strada/ può questa donna essere una e la stessa?
Una volta aveva sognato romanticherie/ una volta aveva immaginato di vivere in un castello/ una volta aveva preso il mondo nelle sue mani/ Una volta che fu molto tempo fa/ molto molto lontano]

Le stava chiedendo di tornare la ragazzina che era stata? Di fidarsi? E di chi? Di quell'essere?
Basta. Era esausta. Quella lotta impari l'aveva fiaccata più di quanto potesse immaginare.
Afferrò il cellulare e compose rapidamente un messaggio. Quando stava per inviarlo, si avvide di aver sbagliato a digitare metà delle lettere che, col T9, aveva dato origine a tutt'altro tipo di frase. Non perse tempo a leggere: cancellò e riscrisse con più attenzione. Doveva assolutamente parlare con Immanuel.
L'ultimo brano echeggiò triste nell'oscurità, come se si fosse arreso, sconfitto, pregando che lei gli prestasse attenzione. Come il messaggio che aveva appena cancellato, ma registrato da una parte del suo cervello. Un messaggio che era una richiesta disperata...ma non erano parole sue...erano parole di qualcun altro. Qualcuno che cercava di attirare la sua attenzione. Aveva solo due alternative per giustificare quel errore: il cellulare soggiogato alla magia o le sue dita guidate da un cervello ormai drogato. E lei era il tipo da non credere alle coincidenze.

I have heard that eyes can reflect the soul10
And pictures tell a thousand stories
But when I look at you
Why don't I feel it's true
There's so much said in empty words

There are people talking everywhere I look
No one saying what they mean
Still they talk anyway
When there's nothing to say
There's so much said in empty words

[Ho sentito dire che gli occhi possono riflettere l'anima/ E le foto raccontare migliaia di storie/ Ma quando ti guardo/ perché non sento che è vero?/ Ci sono così tante cose nelle parole vuote
Ci sono persone che parlano ovunque io guardi/ nessuno dice quello che intende realmente/ Continuano a parlare in ogni caso/ Dove non c'è nulla da dire/ Ci sono così tante cose nelle parole vuote]


“Quello che si dice leggere tra le righe”, commentò lei sarcastica, ripensando alle parole con cui il professore aveva commentato la sua vittoria e alzandosi in piedi e andando a spegnere l'impianto prima che la canzone arrivasse anche solo a metà. Come i non detti possono lasciare adito a diverse interpretazioni: ecco perché la parola aveva un peso tale.
Non voleva più saperne della magia.
Ma non aveva chiuso il discorso dieci anni prima? Per tutta la giornata sembrava ci fosse stato il tentativo, più o meno velato e disperato, da parte del mondo magico di farsi vedere, ascoltare e credere da parte sua. Ma perché? Le sfuggiva.
Di una cosa, però, era certa: non si sarebbe fatta fregare un'altra volta dalla stessa persona. O entità. O quello che era.
Marking la seguì docile e silenzioso in bagno, dove si preparò per un sonno ristoratore, nella speranza che, davvero, il giorno dopo sarebbe tutto finito e che lui, il frutto delle sue ossessioni, sparisse dalla sua vita e che si rivelasse essere una persona comunissima a cui la sua mente aveva sovrapposto l'immagine di quel re tanto arrogante, giocandole uno scherzo di cattivo gusto.
Si stava lavando i denti, sovrappensiero, quando una constatazione le attanagliò gola e bocca dello stomaco: il giorno dopo non sarebbe cambiato proprio nulla. La consapevolezza di quello che aveva appena fatto le provocò un calo di pressione, tanto che dovette aggrapparsi alla ceramica bianca del lavandino per non franare a terra.
Quel giorno, quella sera... erano ancora all'interno del decimo anno...non ancora nell'undicesimo. Lei aveva ascoltato il cd con un anno di ritardo, ma sempre all'interno dell'arco temporale prestabilito. Digrignò i denti, stritolando le setole sintetiche tra i molari. Era stata una stupida a non pensarci prima, presa com'era dall'euforia della presunta rottura del circolo.
Quel giorno aveva anche rievocato tutta la vicenda insieme al professore e la sera prima... “Oddio, che sciocca! Proprio quando dovevo stare più attenta...”
Tutti quegli elementi, assieme, non le facevano presupporre nulla di buono. Cosa ne sarebbe stato di quel decimo anniversario e di tutto l'undicesimo anno dall'evento incriminato?
Si buttò a letto, sotto il piumino, intenzionata a leggere il libro che Immanuel le aveva prestato. Leggendo il sonno sarebbe arrivato prima, si disse convinta, lanciando un'occhiata al libro lasciato a metà sul comodino, di cui leggeva solo un paio di pagine a sera prima di addormentarsi.
Marking saltò con tutto il suo peso sul letto, scodinzolante e le piantò le zampe sulla schiena.
“No, Mark, giù!” gli disse lei inarcando la schiena “Non ci stiamo tutti e due!” Ma il cane aveva già cominciato a raspare le coperte nel tentativo di farsi largo sotto di esse. Sarah sbuffò, alzò un lembo di stoffa e il lupo si infilò di buon grado sotto. Si rigirò nel tentativo di trovare la sua posizione, quindi si acciambellò sulla pancia della padrona che fu costretta a mettersi in posizione fetale. “E va bene...” acconsentì lei, affondando la mano nella criniera nera. Il teatrino, il gioco delle parti, l'ammonizione del super-Io genitoriale residuo si ripeteva ancora una volta, come ogni sera.
Stesa su un fianco, si mise a leggere.
Dopo ben tre ore, finito il libro, decise che, forse, era il caso di dormire. Si accomodò a fianco al cane che giaceva accanto a lei come morto. Poteva fargli quello che voleva: non si sarebbe mosso.
Era sempre così, pensò, quando leggeva e non era troppo stanca: perdeva la cognizione del tempo e diventava velocissima.
Si rigirò a pancia in su. Aveva appena un po' di sonnolenza ma si sentiva inquieta, come se qualcuno la osservasse. Sorrise dell'improbabilità della cosa: aveva Marking accanto a sé. Forse era il fatto di aver saltato la cena che le dava quella strana sensazione. Ma, all'improvviso, Marking si alzò in piedi, scoprendola del tutto, ringhiando sommessamente in direzione della finestra.
Al di là di essa, un barbagianni, di un bianco scintillante contro il nero della notte, sembrava osservarla, flemmatico e assorto, da quelle che potevano sembrare le cavità oculari di un teschio. Il terrore si impadronì di lei. Forse era il film della sera precedente, forse erano state le rievocazioni di quella giornata, forse era il libro che aveva appena letto (in cui elfi silvani e omini verdi erano la stessa cosa), forse...forse quello era davvero lui che la spiava come il peggiore dei guardoni.
Si sentì girare la testa e crollò sul cuscino, il mondo circostante ovattato e confuso. Avvertì appena il frullo d'ali nella notte fredda e silenziosa. Era venuto a prenderla? Come nel film. Entità aliene grigie o esseri magici come i vampiri o come quello dei suoi sogni, cosa importava? Non c'era differenza. Quei grandi occhi la stavano studiando con il medesimo intento: rapirla.
Nella sua testa cominciò a riecheggiare la canzone che aveva scartato, con rabbia, quella sera. Non voleva sentirla e ora questa le imponeva la sua presenza. Era certa che tutti gli impianti fossero spenti. Ma allora da dove proveniva? Dalla sua testa? O era lui che cantava, ancora una volta? Il testo era così ambiguo che, per quanto lo conoscesse bene, non sapeva dire a chi fosse rivolto11.

October reminds me of my home
The cold nights I would wait all alone
Watching leaves turning from green to gold...
The waiting feels like eternity
When waiting for love to come to me
Someone to have, someone to hold...

Then once in a million years
A shining white knight will appear
Fairytales are coming true
I promise my heart only to you...

A castle stands upon a hill
Our eyes meet and time is standing still
Your smile warmed me like the first summer sun
There's color where once was black and white
There's moonbeams where there was only night
I knew then and there you were the one...

[Ottobre mi ricorda casa mia/ Le notti fredde io aspetterò tutta sola/ Guardando le foglie mutarsi da verdi in oro.../ L'attesa sembra eterna/ Quando aspetto che l'amore venga da me/ Che giunga qualcuno da avere, qualcuno da abbracciare....
Così una volta ogni mille di anni/ Apparirà uno scintillante cavaliere bianco/ Le favole diventeranno realtà/ Io ho promesso il mio cuore solo a te...
Un castello si erge sulla collina/ I nostri occhi si incontrano e il tempo sembra fermarsi/ Il tuo sorriso mi scalda come il primo sole estivo/ Ci sono colori dove un tempo c'era solo il bianco e il nero/ C'è un raggio di luna dove prima c'era solo la notte/ Ho saputo subito che tu eri quello/a giusto/a]








1    Vuole essere la storpiatura di Euterpe, la musa della musica
2    Blackmore's Night, Secret Voyage, 3. Gilded Cage
3    Blackmore's Night, Secret Voyage, 4. Toast to Tomorrow
4    Blackmore's Night, Secret Voyage, 6. Rainbow eyes
5    Blackmore's Night, Secret Voyage, 7. The Circle
6    Blackmore's Night, Secret Voyage, 8. Sister Gipsy. Gli zingari sono da tempo immemore associati alla magia.
7    Blackmore's Night, Secret Voyage, 9. Can't help falling in love (l'originale è di Elvis)
8    Blackmore's Night, Secret Voyage, 10. Peasant's Promise
9    Blackmore's Night, Secret Voyage, 11. Far far away
10    Blackmore's Night, Secret Voyage, 12. Empty Words
11    Blackmore's Night, Beyond the Sunset, 1. Once in a milion years

- - - - - - - - - - - - - -

Come dicevo...nulla di fondamentale, giusto?
Bene... a presto, con il consueto aggiornamento settimanale XD




Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Just call my name ***


Salve ragazze...Aggiorno oggi (venerdì) perché nel weekend sono impegnata col trasloco...quindi, abbiate pietà se non rispondo subito.
E se avete saltato il 5° capitolo (che mi sembrava poco interessante) non preoccupatevi XD sono io che, credendolo, appunto, inutile e barboso, l'ho caricato a metà settimana per arrivare a oggi con la vera e propria narrazione.
PS: ci saranno altre due canzoni, se volete cercarvele su YouTube.
Buona lettura!





6- Just call my name







I’ll Be There close your eyes
And you'll see me
Just call my name1

[Sarò lì, chiudi gli occhi/ e mi vedrai/devi solo chiamare il mio nome]

La radiosveglia, collegata al lettore Mp3, profuse le note sommesse in modo molto dolce. I sogni scolorivano nella realtà, il sonno nella veglia. Era come essere cullate nelle acque di un lago immerso nella nebbia.
Poi, la chitarra ruggì impetuosa, reclamando la sua attenzione.

So many nights I sat here waiting
There were times I couldn’t go on
Still my heart was anticipating
It made me be strong
Made me hold on…

There were some calling me crazy
I’ve been accused of being naïve
But I don’t need no one to save me
Cause I got you, you make me believe

I’ll Be There in the night
when you need me
Just call my name

[Così tante notti mi son seduto qui, aspettando/ C'erano giorni in cui non ce la facevo ad andare avanti/Tuttavia il mio cuore si stava affrettando/ Ciò mi ha reso forte/ Ciò mi ha fatto resistere
C'era qualcuno che mi chiamava folle/ Sono stato accusato di essere ingenuo /Ma non ho bisogno di nessuno che mi salvi/ Perché io ho te, tu mi fai credere
Io ci sarò, nella notte/ Quando avrai bisogno di me/ Devi solo chiamare il mio nome]

Irritata, Sarah schiuse gli occhi alla luce del giorno che filtrava, rifratta, in mille lame dalla finestra, a sua volta schermata dall'albero che vi svettava davanti. Si tirò a sedere svogliatamente, si volse verso il comodino e guardò l'orologio: erano le nove.

I’ll Be There close your eyes
And you'll see me
Just call my name

I don’t need to know the answers
I don’t want to understand
We were born to take the chances
I know the truth when you hold my hand…

I had waited a lifetime lost on the open sea
Praying for an angel to be sent to me

[Ci sarò, chiudi gli occhi/ E mi vedrai/ Devi solo chiamare il mio nome
Non ho bisogno di sapere la risposta/Non voglio capire/Siamo nati per afferrare le opportunità/Conosco la verità quando accetti la mia mano...
Ho aspettato una vita, disperso nel mare aperto/ pregando perché mi fosse mandato un angelo]

Quando riuscì a connettere del tutto, si accorse della canzone che Iutrepi, la fantomatica entità degli impianti stereo, le stava propinando. Si accigliò, strizzando gli occhi, infastidita. Di prima mattina, parole come quelle, parole cariche di menzogne e di promesse che non sarebbero mai state mantenute, erano le ultime che voleva sentire. Anzi, si disse spegnendolo in malo modo, quelle parole non erano neanche per lei: il semplice fatto che qualcuno giocasse coi suoi ricordi e con gli esseri che avevano popolato i suoi sogni la faceva infuriare.
Lui non avrebbe mai detto o pensato nulla del genere. Non di lei almeno.
Forse era quello che la disturbava? Era convinta di non poter essere abbastanza per lui?
No...ciò che la infastidiva di più era il pezzo che non aveva ascoltato2. E meno male: era l'anniversario. Bisognava evitare al minimo, più del solito, la possibilità di dire qualche altra scemenza.
La radio, forse non spenta correttamente, tornò a suonare.

And you tried so hard to save me
How do you save someone from themselves
All those years, wasted wishes
Drowning in the wishing well…

25 years since I woke up trembling
25 years since that terrible dream
I could see that the world was crumbling
Nothing is ever as it seems3

[E tu provasti così disperatamente a salvarmi/Come hai salvato qualcuno da se stesso/ Tutti questi anni, desideri sprecati/ Affogando nel pozzo dei desideri...
25 anni da che mi sono svegliata tremando/ 25 anni da quel sogno terribile/ Potevo vedere il mondo sbriciolarsi/ Nulla è mai come sembra]

Nulla è come sembra! Ancora?? questa frase la perseguitava! E poi non erano passati venticinque anni da quel sogno. Lei ne aveva venticinque. Di anni ne erano passati solo dieci. Dieci anni di desideri sprecati, dieci anni in cui era affogata nel pozzo dei desideri, effettivamente.
Staccò la presa di alimentazione per far tacere lo spirito di Iutrepi anche se sapeva che, se era in vena di scherzi, nemmeno quell'espediente poteva fermarlo.
“Ma che diamine!” sbottò, levandosi le coperte “E' solo frutto della mia fantasia! Perché non dovrei essere alla sua altezza, se anche fosse?” Quindi, parole antiche di dieci anni, tornarono ad affiorarle alla mente come un pugno allo stomaco.
Lascia solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri. Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo.” le aveva detto.
Ma che accidenti aveva voluto dire? Tutto e il contrario di tutto. Doveva essere davvero pazza per immaginarsi cose tanto contorte. L'alternativa era che fossero vere. E tra le due, non sapeva quale opzione fosse la peggiore. Visto che le era impossibile, al momento, cacciare quell'immagine, si mise a riflettere sul significato di quella frase che, dieci anni prima, aveva completamente ignorato.
Lui, diceva, sarebbe diventato il suo schiavo in caso lei l'avesse temuto, amato e avesse fatto ciò che lui le avesse detto. La seconda condizione sembrava la più ovvia: se fosse stato per il suo amore, che anelava, sarebbe stato disposto a fare tutto per lei, anche mettere da parte il proprio orgoglio e inginocchiarsi a lei. Ma perché temerlo? Perché fare quello che lui le avesse detto? Sembrava tanto un discorso da marito-padrone.
A meno che non cercasse di vederla nella sua regale ottica. Se si fosse fidata di lui, facendo quanto lui le avesse suggerito, senza domandare, scettica, spiegazioni su ogni cosa, allora anche lui si sarebbe fidato di lei, avrebbe fatto tutto ciò che lei gli avesse chiesto? Fece spallucce, dando per buona quella interpretazione.
Ma rimaneva ancora la prima condizione. Perché mai avrebbe dovuto temerlo? In un rapporto sano il terrore era ciò che minava alle radici la stabilità, no?
Accantonò il pensiero e si alzò, finalmente, dal letto. Si accorse solo allora che Marking stava acciambellato sotto la finestra anziché sul suo letto o nella cuccia ai piedi dello stesso.
Si infilò le ciabatte, pronta ad andare in bagno, quando un trillo al cellulare la fece tornare sui propri passi. Controllò il messaggio mentre accendeva le luci di mezza casa: era Immanuel che rispondeva a un suo presunto messaggio, dandole appuntamento per un'ora e mezza più tardi per una sorta di brunch. Guardò storto il piccolo monitor. Perché dovevano vedersi?
Poi, sotto la doccia calda, si ricordò del messaggio inviato la sera precedente. A mano a mano che l'acqua le scivolava addosso ricordò tutti gli strani accadimenti del giorno prima.
Uscendo, con il telo avvolto intorno al corpo, decise che una parte dei suoi ricordi dovevano essersi confusi con i sogni di quella notte. In realtà era andata subito al bar con i ragazzi. Non aveva mai incontrato nessuno in aula. E non c'erano stati barbagianni a spiarla fuori dalla finestra. Quelli erano ancora i postumi della visione di quel dannato film.
Ancora una volta, però, c'erano troppe cose che non tornavano e non avrebbe avuto alcun senso sognarsele. Decise che avrebbe accantonato anche quel pensiero fino a che non avesse incontrato il professore. Si infilò la biancheria e si diresse in lavanderia.
“Oggi, bucato nero!” esclamò a Marking che l'aveva raggiunta indolente “Stasera la faccio partire con la roba di Toby. Anche perché noi ora andiamo in...” disse con tono euforico mentre il cane cominciava a ramparle sulle sue gambe, lasciandovi strisce bianche di pelle escoriata, eccitato per la promessa sottintesa “...passeggiata!” Marking abbaiò un paio di volte, scodinzolando con la coda grossa e nera e piroettando su se stesso. Muoveva così tanta aria che Sarah ebbe un brivido. Corse all'armadio e cercò i vestiti per quella giornata. Da quel momento in poi, per una o due settimane, finché non avesse nuovamente finito la biancheria, si sarebbe vestita di colori chiari o pastello, in modo da riuscire a riempire una lavatrice di biancheria con colori che potevano essere lavati assieme4. Frugando tra i cassetti, le passò per le mani il completo di quando aveva fatto il suo viaggio fantastico, dieci anni prima. Le andava ancora bene, nonostante fosse passato tanto tempo. Scartò subito il pensiero di vestirsi come allora: l'obiettivo era staccarsi da quel passato. Infilò, invece, una corta gonna a portafoglio e un maglioncione avvolgente, entrambi di un grigio melangiato ghiaccio scuro, da cui faceva capolino una camicetta a fantasia rosata. Mentre infilava gli stivali grigio antracite dal tacco medio, sentì suonare alla porta: era il corriere col suo nuovo cd.
Corse a ritirare la spedizione e, mentre infilava il cappotto, riversò rapidamente il contenuto sul lettore. In cinque minuti era pronta, con Marking al guinzaglio che scalpitava per uscire. Sarebbe arrivata puntuale all'appuntamento col professore e alla loro prima colazione.



“E così lui è Marking...” commentò Immanuel quando vide la ragazza arrivare insieme alla sua guardia del corpo.
“Proprio così...Marking, seduto!” ordinò dolce. Quando il cane ebbe ubbidito, lo ricompensò con una carezza e un complimento. “Ora, scusa un secondo...” disse rivolta all'uomo posandogli una mano sulla spalla “Marking?” chiamò perché osservasse attentamente la scena “Immanuel - amico. D'accordo? Amico!” Solo allora gli diede la possibilità di muoversi. Quello, tranquillo ed educato, andò ad annusare i pantaloni del terzo incomodo, ma non mostrò alcun segno di aggressività
“Complimenti...” fu il commento del professore “Entriamo dentro? Qui si può...” disse indicando il lupo.
“Sì, anche se fa abbastanza caldo da rimanere all'aperto” rispose la ragazza “Ho bisogno di un angolino tranquillo per parlarti...” lo informò destando la curiosità del suo interlocutore.
“Mi ha sorpreso ricevere un tuo messaggio...” disse lui, rompendo il ghiaccio intanto che aspettavano la colazione. Marking giaceva ai loro piedi beatamente distrutto dalla lunga passeggiata con la padrona. Sarah annuì, silenziosa.
“Senti...posso chiederti una cosa, prima di tutto?” disse lei all'improvviso
“Sono qui per questo...” le fece notare lui cortese
“Ricordi quando ieri ti ho detto..perché ne abbiamo parlato, vero? Non mi sono sognata tutto un'altra volta?”
“Detto cosa?” chiese lui non capendo dove volesse andare a parare
“Di lui...di quello che mi ha detto e come io gli ho risposto...” rispose abbassando lo sguardo, imbarazzata
“Sì, perché?”
“Ecco...puoi darmene una tua interpretazione? Hai detto che ti ha fatto pena...non capisco perché? Voleva soggiogarmi al suo volere. Ma ammetto che ci sono due passaggi che non capisco...quando mi ha detto lascia che io ti domini e non hai che da temermi...non mi sembra il massimo del romanticismo...” spiegò parlando tutto d'un fiato, come un fiume in piena che avesse rotto gli argini: quelli della propria reticenza.
“Vedi...” cominciò lui rigirando il cucchiaino nel caffè senza zucchero “Io credo che tu abbia preso un abbaglio...No, fammi parlare...” disse Immanuel notando lo sguardo allarmato, schifato e incredulo dell'interlocutrice “Credo che lui usi un tipo di linguaggio un po' datato5...e che per questo si presti a fraintendimenti. O forse lo fa di proposito, non posso saperlo...”
“Per essere vago, è vago!” precisò caustica lei
“Vedi, penso che lui facesse riferimento al significato originale. Non voleva dominarti, ma proporsi come tua guida. Non voleva che tu lo temessi ma che tu fossi in ansia per lui. O che lo stimassi, a seconda della sfumatura che voleva intendere. Oltre a desiderare il tuo amore e la tua fiducia...”
“Sì, sulla fiducia c'ero arrivata...” disse lei, arrossendo per la sua ingenuità
“Quando me l'hai detto, sarà che sono un po' più... vecchio di te” disse sorridendo amabilmente “...L'ho subito collegato con la sua prima apparizione e ho pensato....mi ha dato l'impressione...” si corresse “...di un amante che, da bravo cavalier cortese, non può ambire a nulla di più della stima, dell'amore e della fiducia della sua bella. E la fiducia comprende il lasciarsi guidare come l'amore lo stare in pena per l'altro. A seconda della prospettiva, però, si può intendere il cedere lo scettro delle proprie scelte, in virtù della fiducia che si ripone nella propria guida, come un'abdicazione alla propria volontà. Rischiando di diventare, quindi, uno strumento nelle mani dell'altro. Hai presente anche tu i molti casi in cui le due eccezioni sfumano l'una nell'altra, no? Quanto allo stare in pensiero... beh...se io fossi innamorato di te non chiederei nulla di meglio che tu stia in pensiero per me...o che tu mi stimi...” disse serio penetrandola con uno sguardo “Il che non vuol dire per forza essere amato, ma essere considerato abbastanza importante da temerne la perdita. Infatti, poi, l'ha specificato che voleva essere anche amato. Non ha lasciato nulla di intentato...”
Sarah, allibita da quella spiegazione così semplice e lineare, era arrossita involontariamente, capendo, troppo tardi, cosa, con quale audacia e con quale umiltà lui si fosse già prostrato a lei.
Lei che aveva infierito su di lui rimarcando il concetto della propria indipendenza.
E, quindi, di quanto non gli importasse di lui.
Parole, dannatissime parole, che in quel regno avevano una potenza spaventosa. E lei, fino all'ultimo non l'aveva capito: aveva confermato ulteriormente la propria superficialità.



1    Blackmore's Night, The Village Lanterne, 11. Just Call My Name (I'll Be There)

2    La canzone infatti continua con
Now the night don't last forever / Every moment is a song / 'Cause we face the night together / Something this right can never be wrong [Ora la notte non dura per sempre/ Ogni momento è una canzone/ Poiché abbiamo affrontato la notte insieme/ Qualcosa di ciò che è giusto, non potrà mai essere sbagliato]
Interpretatela come volete: una notte passata in compagnia o una nuova avventura insieme? Inoltre anche la seconda strofa è, in realtà, chiave della soluzione della presenza di Iutrepi nella vita di Sarah

3    Blackmore's Night, The Village Lanterne, 1. 25 years

4    Ammetto: è quello che facevo quando vivevo da sola ù_ù;;;

5    Effettivamente il linguaggio usato da Jareth è un Inglese di tipo “shakespeariano”: nobile e datato, non certo gergale come quello di Hoggle. Quindi posso tranquillamente pensare (e lo farò, dandolo per scontato d'ora in poi, che vi piaccia o meno) che il suo “Fear me” si possa leggere nel senso arcaico di “regard (God) with reverence and awe” dove awe è “a feeling of reverential respect mixed with fear or wonder”. Tradotto: considerami figo e potente, ovvero, “ammirami! Devo essere il tuo campione, il migliore ai tuoi occhi”.





- - - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccomi qui. Non ho nulla da aggiungere a quanto scritto finora. A parte che spero che possiate condividere la mia interpretazione.... :)
ahh... se qualcuno fosse curioso... e so che lo siete XD e volete spoiler, vi consiglio di andare sul mio “sito” -fatto per l'esame, non pensate sia chissà che- (ho caricato il link anche nella pagina dell'autore CMC): ho caricato le foto dei disegni che faccio a lezione o in treno... mi raccomando...solo per cuori forti :)
alla prossima settimana!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** L'attesa ***


7- L'attesa


Erano ormai le undici passate e la lezione era già alla sua prima pausa.
Di Sarah neanche l'ombra.
Sbuffò indispettito e annoiato, buttato sul banco in cima alla gradinata, le gambe accavallate in maniera quasi volgare. Quelle lezioni umane erano una tale barba che si domandava come facessero a trovarle interessanti o complicate: lui le trovava tremendamente banali e ridondanti.
Notò con piacere che nessuno era andato a sedersi vicino a lui. Aveva un raggio di autonomia di due posti a sedere per ogni lato. Ghignò soddisfatto: almeno non aveva perso tutto il suo potere se riusciva a ottenere quell'effetto e a manipolare le loro menti, falsificandone, all'occorrenza, i ricordi. Gli ignari umani lo tenevano a distanza per una naturale reverenza. O paura. Ma non gli importava: per lui era lo stesso.
L'unica persona di cui gli interessasse il giudizio e l'unica su cui non avesse alcun ascendente era l'unica assente.
Strizzò gli occhi, concentrato. Magari gli era sfuggita. Magari, soggiornando tanto a lungo tra gli umani ne aveva acquisito i difetti... come la miopia: gli era già successo, in passato, di venir influenzato dalla crudeltà delle creature che aveva governato.
O, magari, da un giorno all'altro lei si era rasata i capelli tingendoli di verde per non farsi riconoscere da lui. Ma perché avrebbe dovuto scappare da lui? Non le aveva forse dichiarato il suo amore sperticato solo un anno prima?
“No..” si riscosse “Un anno nell'Underground...dieci nel mondo umano...” sbuffò ancora. Un mese equivaleva a un anno. Anche se poteva sembrare apparentemente illogico, loro avevano adottato la suddivisione dell'anno in soli dieci mesi basandosi proprio sui primi calendari umani1.
In ogni caso non aveva nulla da temere da lui. Eppure... gli sfuggiva. Continuava a fare la preda.
La lezione ricominciò e le persone che tornarono a popolare l'aula erano esattamente le stesse di prima, forse anche un numero sensibilmente inferiore. Si buttò giù, pronto a schiacciare un pisolino: essere senza poteri e vivere nel mondo e al modo degli umani era terribilmente stancante. Doveva ammettere che erano creature coriacee se quello, per loro, non era nulla più che routine. L'occhio azzurro, libero di studiare intorno da sopra la spalla, osservò i presenti da dietro la cortina dorata dei capelli lisci.
Erano tutti ugualmente banali, anonimi, privi di colore. Avrebbe identificato Sarah tra milioni di persone: lei possedeva una luce particolare, calda e dorata... lei credeva nonostante fosse anche convinta (o volesse...cercasse di convincersi) che il suo viaggio nell'Underground fosse stato solo un sogno. Credeva al punto di non pronunciare mai nulla che potesse essere ricondotto al mondo magico, aveva imparato a soppesare le parole. Ma sembrava aver sviluppato una specie di fobia per i barbagianni.
Jareth si intristì e ripensò ai loro incontri fugaci di quando era bambina., di quando ancora non sapeva chi si nascondesse dietro il rapace che ogni giorno presenziava alle sue recite. Già allora la sua presenza la metteva in agitazione. E, d'altronde, il barbagianni era comunemente associato alla morte, per via dei grandi occhi neri che sembravano ritagliati nella soffice figura bianca.
Il suo sguardo vagò per la sala, in cerca di qualcosa di interessante da osservare per far passare il tempo. C'erano altri individui buttati, come lui, sul banco a dormire. Accanto a uno di questi scorse una figura che non gli era del tutto nuova: era la ragazza che, il giorno prima, era comparsa a reclamare Sarah interrompendo la loro rimpatriata.
Richiamò alla mente quei momenti. La rivide entrare in aula, sorpresa della sua vuota desolazione. Non era stato un incontro programmato ma, si disse, doveva esserci davvero qualche filo rosso che li congiungeva.
Si diede dello stupido nel ricordare il proprio sgomento. Lui, re di Goblin, era il primo a non credere a certe sciocchezze e quell'umana l'aveva sconfitto proprio per quello: la sua fede era più forte. Non uguale, come si ostinava a sostenere. E la cosa era molto più grave di quanto potesse apparire a terzi: il re di Goblin, una creatura magica che diffida del fatto che particolari condizioni non possano non essere casuali, era in netto svantaggio su una misera umana che aveva rotto ogni schema della propria realtà sensibile per abbracciare tout court qualcosa di sconosciuto. I ruoli, ancora una volta, avrebbero dovuto essere invertiti.
Aveva riconosciuto la sua presenza ad occhi chiusi. Un anno di digiuno da quella sensazione e la fame era tornata prepotente a divorarlo. L'aveva osservata di nascosto, indeciso se rivolgerle o meno la parola. Cosa poteva dirle dopo un anno, metà del quale passato su un letto in stato di totale infermità? Cosa e come poteva dirle dei suoi poteri?
L'aveva vista infilare quel disco argentato nella fessura di una scatola nera e mettersi in attesa. Compiaciuto, si era tirato a sedere, riconoscendo quelle note. La musica che lui aveva scritto, dettato, suggerito per lei. Lei era la chiave di tutto. Anche nel periodo di incoscienza qualcuno aveva raccolto i suoi pensieri. E aveva avuto la brillante idea di inviarglieli, a intervalli regolari.
Quella canzone2, come tutte le altre, erano la materializzazione dei suoi pensieri. Lui si era perso nel mare cristallino dei suoi occhi color acquamarina come se fosse una barca alla deriva nella tempesta. Aveva voluto vedere il loro futuro nelle sue amate sfere. Ma sapeva bene che ciò che esse gli rimandavano erano solo i suoi desideri di un futuro assieme. Aveva invocato tutte le forze magiche perché lo assistessero, perché gli dessero una mano a liberarsi di quel passato che lo aveva tanto provato, fisicamente e mentalmente. Aveva scomodato chiunque, ancora una volta aveva messo sottosopra il suo intero mondo e non si era fermato nemmeno davanti alla degenza forzata. Ma alla fine, dopo ben un anno, era tornato da lei. Quando si era reso conto di quanto tempo fosse passato in realtà era ormai tardi: la stava osservando cantare. Era una donna, non più la ragazzina che aveva maledetto essere troppo giovane quando l'aveva invocato... che non aveva saputo resistere un paio d'anni. Ora il divario era colmato3. E lei era sempre più stupenda. Ne era rimasto ipnotizzato. Più dalla sua presenza, dalla sua essenza che dalla sua fisicità. Certo, aveva notato anche quella, in un secondo tempo. E ne era rimasto piacevolmente sorpreso: non avrebbe mai creduto possibile che Sarah, la sua coraggiosa e ostinata Sarah, potesse prediligere colori scuri e aggressivi come quelli. Ma perché non avrebbe dovuto? Eppure sapeva di come fosse affascinata dal mondo magico e di come, in quegli anni, si fosse avvicinata a tutto ciò che potesse ricordargli quell'esperienza. Anche se proclamava di voler solo dimenticare.
Dapprima le musiche celtiche, quindi quelle etniche in generale, poi il rock, l'heavy metal e il gothic. In tutte ritrovava passaggi nostalgici: una rullata di batteria come una cavalcata selvaggia, il clangore assordante delle chitarre come il ricordo della battaglia alle porte della città. E poi, quegli stessi generi racchiudevano al loro interno un'anima struggente che, quando si lanciavano nelle ballate, riuscivano a farla piangere di commozione. Ancora, aveva letto libri e guardato film di ogni genere, in cerca di costumi o sensazioni familiari, dai più scontati fantastici alla fantascienza, come quello che l'aveva turbata la sera precedente. La sua anima aveva fame di qualunque cosa potesse alimentarne la fantasia. E di conseguenza, anche il suo abbigliamento aveva subito pesanti influenze. I corsetti, l'uso smodato di capi in pelle, mantelle e cappotti lunghi fino ai piedi, gonne lunghe fino a terra come corte da far arrossire il più smaliziato dei Goblin, calzature come stivali morbidi rimborsati o rigidi e marziali come quelli da equitazione. Tutto, in lei, trasudava voglia di fantastico. Per non parlare della sua scelta in fatto di studi.
Addirittura, poco tempo dopo il suo viaggio nell'Underground aveva chiesto di poter prendere lezioni di falconeria, di equitazione e tiro con l'arco: il suo rapporto onesto con gli animali l'aveva aiutata ad ottenere risultati discreti ma, scoprendole essere attività meno romantiche di quanto avesse creduto, le aveva presto abbandonate. L'unica cosa sensata che lui si sarebbe aspettato da lei era che chiedesse lezioni di danza. Invece, stranamente, aveva fuggito quell'idea e aveva smesso di recitare, forse per evitare di incorrere in altri strani sortilegi, buttandosi sulla scrittura: non voleva essere una bambola in mano d'altri, la sua Sarah, voleva comandare. Sorrise al pensiero di lei, ragazzina, impettita davanti a lui. Si chiese, semmai avessero avuto un rapporto di coppia, come si sarebbero comportati due orgogliosi e indipendenti come loro. L'Underground avrebbe probabilmente tremato continuamente per le loro litigate furibonde. O forse si sarebbero ammansiti entrambi al punto da liquefare anche il più granitico dei dissuasori sotterranei.
Di una cosa sola non sapeva se essere contento o amareggiato: non aveva mai avuto nessuna presenza maschile significativa al proprio fianco nonostante qualche storia del tutto irrilevante. Sapeva, fin troppo dolorosamente, quanta influenza avessero i suoi trascorsi familiari in quella faccenda. Ma una parte di sé non riusciva a tranquillizzarsi: era forse colpa/merito suo se la ragazza non trovava nessuno alla sua altezza, nessuno abbastanza interessante da destarne la curiosità? In realtà era preoccupato anche dalle fragili amicizie che intratteneva: duravano tutte poco meno di due anni, le cambiava vorticosamente come se fosse in cerca, inconsciamente, di novità, di sensazioni fresche e di affidabilità. Cosa che veniva sempre a mancare dopo poco tempo, quando gli amici, entrati ormai in confidenza, si prendevano il lusso di sfruttarla troppo, senza darle nulla in cambio: che fossero soldi, attenzioni, confidenze. Tutti sembravano succhiarle la vitalità e quando lei se ne accorgeva, decideva di troncare i rapporti o almeno di prendere le distanze. Certo, conosceva persone da dieci anni, ma alla fine erano tutte amicizie superficiali: per quanto potesse parlare dei suoi problemi con tutti, in realtà non apriva il suo cuore a nessuno. Piagnucolava e faceva la voce grossa ma nessuno l'aveva mai vista piangere disperata né l'aveva mai vista terrorizzata o furibonda; tutti la ricordavano come una persona solare, sempre sorridente e positiva. Jareth si chiedeva se quella non fosse una maschera che lei stessa aveva indossato per paura di restare eccessivamente ferita.
L'unico essere che un po' temeva e per cui provava un po' di gratitudine era quello strano professor Grimm: c'era una strana complicità tra i due. Ma l'indagine di Jareth non riusciva ad andare oltre essendo praticamente senza poteri.
Si riscosse quando percepì che si era ormai giunti a fine lezione.
Sarah non si era vista. E non aveva la più pallida idea di come e da dove cominciare le ricerche. Poi, l'illuminazione.
Si guardò intorno: era vicino all'uscita ed era privo di impedimenti di sorta. Constatò come gli fosse relativamente semplice sgattaiolare via di lì prima di tutti gli altri per attuare uno dei suoi piani improvvisati. Così, con regale eleganza felina, si alzò in piedi poco prima del resto della classe e in breve fu in ingresso in paziente attesa.


Imbarazzo, sgomento, compiacimento...le emozioni più diverse le affollavano la mente.
Jareth si era davvero dichiarato, quella volta? La spiegazione che le aveva fornito l'uomo davanti a sé non faceva una piega e incastrava ogni tassello nel proprio scomparto, armonizzandosi con gli altri. Eppure, non lo credeva davvero possibile...A quel punto, forse, sarebbe stato meglio che il tutto fosse stato solo la proiezione del suo inconscio: lei che sognava il principe azzurro che doveva innamorarsi di lei. D'altronde, nel suo strano rapporto con gli uomini, non poteva certo desiderare una preda/cacciatore semplice e facile: lei poteva vedere l'uomo solo come il nemico. Un nemico da vincere, soggiogare...annientare. Sotto qualunque aspetto.

“Beh?” chiese il professore notando il nuovo mutismo della ragazza
“Niente...” biascicò lei, non sapendo cosa pensare realmente: se avesse accettato la realtà del suo sogno, avrebbe dovuto fare i conti con un uomo che languiva per lei; se avesse dato per buono il fatto che l'esistenza dell'Underground fosse solo un'allucinazione collettiva sua e della famiglia Grimm avrebbe dovuto far pace con la sua follia.
“Era tutto qui quello di cui mi volevi parlare?” chiese lui addentando una pasta piena di crema.
“No..in realtà no...” riuscì a dire lei, destandosi dalla trance. L'aveva chiamato per parlargli delle strane coincidenze occorse il giorno prima. Ancora una volta non sapeva scegliere: sogno o realtà? “Volevo parlarti di...giuri di non prendermi ulteriormente per matta?”
“Sarebbe un po' troppo tardi..” disse lui sorridendo “E poi, finora, tra i due il più matto dovrei essere io, che ti do spago. Ho anche dimostrato che il tuo sogno non era poi così immaginario...”
“Bene...” disse lei, stropicciando il bordo della gonna con dita tremanti e nervose, maledicendo la sicurezza che lui mostrava verso la questione “Se ti dicessi che è tornato...mi crederesti?”
Immanuel rimase con il bicchiere di spremuta sospeso a mezz'aria.
“Chi è che è tornato, scusa?” chiese, come se non avesse proprio sentito una parte del discorso
“Lui!” disse seccata
“Sei sicura?” domandò lui scettico.
“Più che certa...” disse carezzando il testone peloso che Marking le aveva posato in grembo senza difficoltà “Si fa chiamare Herrscher Gareth... o almeno così hanno detto i miei compagni del corso di arti visive.”
Immanuel annuì “Sì, so cosa vuol dire... Sovrano Gareth, eh? Un po' patetico...”
“L'ho pensato anch'io...Solo che...ecco...” era così tremendamente imbarazzata che non sapeva da dove partire
“Con calma, va con ordine. Allora...” le suggerì lui.
Sarah trasse un bel respiro, stringendo tra le mani ciocche di criniera nera e raccontò dal principio, partendo dalla strana coincidenza con cui, da dieci anni, uscivano regolarmente i cd che tanto le piacevano. Arrivò a spiegargli di come volesse ascoltare il penultimo il giorno appena passato, durante l'attesa prima dell'inizio delle lezioni del professor Howlett . Di come il giorno prima fossero stati ancora nel decimo anno e di come lui le fosse comparso innanzi. Enunciò il breve scambio di battute che era incorso tra loro, le informazioni che le avevano fornito i suoi compagni, l'incidente occorso a Matt dopo che aveva bruciato il biglietto, di come Iutrepi si ostinasse a proporgli determinate canzoni e di come, quella notte, avesse sognato un barbagianni spiarla dalla finestra.
“Avevo sognato che Marking si alzava per cacciarlo...Avevo pensato fosse frutto della mia immaginazione. Che fossi rimasta troppo impressionata da quel film, Il quarto tipo, e da questo libro...” disse facendo scivolare sul tavolino il libro che il professore le aveva prestato solo il giorno prima “E che si fosse ripetuto il copione di dieci anni fa...”
“Lasciami indovinare...a suo tempo avevi letto Sendak? Nel paese dei mostri selvaggi4?”
“Tra i tanti...solo che lì il protagonista è il bambino rapito, non la sorella cattiva che ne chiede il rapimento...Insomma...pensavo di essermi sognata tutto un'altra volta. Ma quando mi son svegliata Marking non era nei soliti posti, ma quasi di guardia davanti alla finestra.”
Il professore rimase in silenzio per un po', i gomiti puntellati sul tavolino e le mani incrociate davanti agli occhi, riflettendo su tutta la confessione mentre la ragazza portava a termine la sua colazione.
“Una domanda, se permetti...” chiese fissando la copertina del proprio libro “L'hai già finito?”
“Sì” rispose lei candidamente “Quando leggo con curiosità, e non per addormentarmi, perdo la cognizione del tempo e vado velocissima...l'ho finito in tre ore”
Immanuel la guardò sbigottito: quella era la trilogia completa e per quanto scritta con linguaggio semplice e lineare, tre ore erano un po' troppo poche.
“Mi succede sempre...” si giustificò ancora lei “A volte mi sembra quasi di tornare ...di essere un po' come Bastian...di avere davvero poteri magici che si svegliano durante la lettura...”
“Forse è perché metti a tacere uno degli emisferi cerebrali...5” bofonchiò, tossicchiando, il professore, già riconvertitosi in ricercatore “Mah...” sbuffò alla fine, tornando all'argomento principale “Fondamentalmente, vuoi sapere cosa ne penso dell'incontro di ieri, no?” disse, ricapitolando. “Sinceramente?” chiese guardando la ragazza che, lo si capiva dallo sguardo da cane bastonato, sperava (paradossalmente) che la risposta fosse una conferma della propria pazzia. “Credo che sia tutto vero e che presto ti troverai a vivere un'altra mirabolante avventura...” disse ridendo, cercando di sdrammatizzare
“Cosa può volere da me?” sbottò quella esasperata, come se non avesse minimamente colto il tono scherzoso di lui “Se teniamo buono il gioco di dieci anni fa...beh..io l'ho vinto..lui non può avanzare pretese. Semmai, sono io che potrei convocarlo, ma mi sono ben guardata, in tutti questi anni, dal pronunciarne il nome o dall'evocare qualunque immagine che potesse avvicinarsi a quel regno.”
“Questo non te lo so dire...” ammise l'altro sconsolato “Ma credo che il motivo possa essere abbastanza importante per spingerlo qui...”
Un lampo passò nello sguardo intenso della fanciulla che sibilò appena un nome “Toby!” mentre gli occhi correvano veloci sull'orologio a parete. Era già mezzogiorno. Doveva tornare a casa per le cinque del pomeriggio: fino ad allora sarebbe stato al sicuro. O almeno così sperava.
“Non credo gli farà nulla...” disse Immanuel alzandosi dal tavolo. Sarah alzò veloce gli occhi verdi su quelli neri di lui che le sorrise dolce. “E' venuto sicuramente per te...” disse prendendo anche il libro che lei aveva lasciato sul pianale “Ha contattato solo te. E si è addirittura infiltrato in università...se avesse voluto lui, sarebbe andato direttamente lì, approfittando, anche, della vostra reciproca lontananza, no?”
Quelle parole sembrarono scioglierle il nodo che le aveva chiuso improvvisamente lo stomaco. Se era lei che voleva, non c'era alcun problema: qualunque fossero le sue intenzioni, lei era pronta ad affrontarlo. Ma Toby? Non doveva permettersi nemmeno di sfiorarlo con lo sguardo o sarebbe stata la volta buona che gli avrebbe messo le mani addosso.
“Tranquillizzati...e vediamo di spicciarci con la nostra ricerca... così puoi tornare a casa per tempo...”






1    Discorso lungo e complicato. Se non mi credete, cmq, la mia fonte è Alfredo Cattabiani, Calendario, Milano, Mondadori, le pagine introduttive.
2    Tornate al capitolo 3, se non ricordate.
3    Essendo Jay una creatura millenaria, faccio finta che dimostri circa 30 anni (tutto per colpa di un errore di calcolo a inizio fic sulla reale età di Bowie nel film). Avendone lei 25-26 sono ora moooolto più simili rispetto a quando ne aveva 16...
4    E' il libro da cui fu tratto realmente spunto per il film. Nel paese dei mostri selvaggi
Dallo stesso, citato in diverse opere, è stato tratto anche un film, uscito di recente, Nel paese delle creature selvagge
5    Notoriamente, quando si disegna, legge, guida, si fa Yoga etc (intendendo con queste attività quelle in cui si entra quasi in trance tanto l'attenzione è focalizzata su quanto si sta facendo, al punto da non sentire quello che ci succede attorno, perdere la cognizione del tempo o avere difficoltà ad articolare una frase) si attiva un'area del cervello, quella destra, che normalmente rimane addormentata a favore di quella sinistra, la razionale e concreta (definire in questo modo l'attività del cervello è quanto mai riduttivo e banalizzante...ma a me serve solo spiegare una frase in una fic).




- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Bene ragazze, rieccomi qui.
:) vi è piaciuta la (non) comparsa di Jareth?
Vi annuncio già che sarà lui il protagonista di tutto il prossimo capitolo. Preparatevi.
Che altro dire? Finalmente comincio a tirare i fili e finalmente i due si stanno per incontrare di nuovo... :)
Continuate a seguirmi :*




Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Adattarsi all'interlocutore ***


Premessa dell'autrice.
Da metà del capitolo, concedetemi la licenza poetica ovvero non fatevi troppe domande...è un fantasy quindi un po' di sano distacco dalla realtà ci sta (più che altro per giustificare situazioni complesse più avanti...e dovrete darmi buone anche quelle ù_ù) ma soprattutto è una fic e non ho pretese di realismo.
Dunque...buona lettura






8- Adattarsi all'interlocutore.





La lezione era finita e, nonostante gli studenti si alzassero in ordine sparso, il vociare e il trambusto degli spostamenti creavano l'effetto di un unico ronzio omogeneo, confuso e indistinto. La massa di oltre un centinaio di studenti si stava disperdendo tramite le due porte battenti poste alle spalle della cattedra.
Ohmmioddio!” gracchiò Jess artigliando il braccio di Matt quando furono fuori, piantandosi come uno stoccafisso. Il moro stava per scacciare l'amica in malo modo, domandandole cosa avesse dimenticato quella volta o cosa le fosse preso, quando anche lui si bloccò di colpo lasciando che la gente attorno a loro li spintonasse per procedere oltre . Gloria e Sam evitarono di travolgerli e di sbattere loro addosso le porte all'ultimo momento.
Ditemi che quest'aula ha qualche uscita secondaria!” soffiò Matt, bianco in volto: aveva bei programmi per quella sera, nonostante il dolore al ginocchio, e avrebbe gradito godersi ancora qualche anno di vita prima di finire dritto di filato in obitorio.
Qualche decina di metri davanti a loro, appoggiato mollemente gambe e braccia incrociate al muro antistante alla doppia uscita dell'aula, alle scale e alle porte dell'edificio, Mr. Tenebra stava in attesa di qualcuno.
Il gruppetto aveva la strana consapevolezza che aspettasse proprio loro nonostante lo 'spaventapasseri' tenesse lo sguardo basso, quasi si fosse addormentato in piedi e loro fossero mescolati a decine di altri studenti la cui massa si apriva, prudentemente, in due ali distinte per evitare di capitare a tiro dell'uomo. Tutt'attorno a lui c'era come una voragine: nessuno osava avvicinarsi a meno di tre metri da dove si trovava il biondo e la folla defluiva come acqua che aggira uno scoglio..
Sguardo basso...” decretò quasi subito Sam quando si fu ripreso. “Andiamo tutti a sinistra...”
Speravano di farla franca, appiattiti al muro e schermati dai compagni di corso. Loro non riuscivano a vederlo, quindi, forse, anche lui non li avrebbe visti. Riuscirono a sgattaiolare in un chiostro secondario, trafitto da palizzate metalliche che sostenevano i ponteggi di un restauro. Quel sistema di ponteggi in estate proteggeva dalla calura e in inverno offriva uno spazio coperto in cui fosse possibile fumare senza violare le norme.
Ve lo dico io...” sbottò Matt una volta che si furono accomodati ansanti, non per la corsa ma per la paura, sulle panchine di marmo sottostanti il pergolato. “Quello ce l'ha con me!” urlò prendendosi la testa tra le mani e inarcandosi, drammaticamente, all'indietro. Quando si tolse le mani dalla faccia notò che i suoi amici lo guardavano con tanto d'occhi. S'afferrò la vita in una posizione di sfida “Che è? Non mi credete? Tutto perché ho bruciato il suo nome! Quello di ieri era solo un avvertimento!”
Mi dispiace deluderti ma il preavviso non è nel mio stile!” disse una voce bassa alle sue spalle, divertita. “Preferisco le entrate teatrali”
Matt sbarrò gli occhi. Le ragazze, shockate, non guardavano lui: erano rimaste paralizzate da quella presenza. Lentamente si voltò, deglutendo vistosamente, ad affrontare il suo destino e il suo aguzzino.
Jareth se ne stava beatamente in piedi alle sue spalle, un gomito appoggiato a uno dei ponteggi in una posizione rilassata ma al contempo minacciosa.
Matt si domandò da dove diavolo fosse sbucato. Quel piccolo chiostro, transennato da una recinzione verso il piccolo boschetto tutt'attorno, non aveva uscite secondarie, vi si affacciava solo un'altra aula, isolata da tutte le altre e non raggiungibile se non dal corridoio che avevano percorso loro. O li aveva sorpassati senza che se ne accorgessero o quell'uomo era dotato di poteri magici. Oppure conosceva passaggi segreti che a loro sfuggivano. Ma se li conosceva...chi diavolo era, realmente?
Accantonò velocemente tutte quelle domande, preoccupato più di salvarsi la vita che di indagare sul suo interlocutore.
Se...se ho fatto qualcosa che può averti offeso, Gareth, ti chiedo scusa....” riuscì a balbettare infine, maledicendosi per la confidenza con cui gli si era rivolto, istintivamente, in quanto compagno di studi: avrebbe dovuto usare il lei? Il voi???
Alle spalle avvertiva il sostegno morale dei suoi amici, troppo impauriti per battersela a gambe levate da quel posto.
Jareth lo guardò annoiato “Ti ho già minacciato di morte altre volte?” Quindi, sventolò una mano in aria, annoiato “Sì sì” bofonchiò “Anche se non ricordo...Sei perdonato lo stesso...” concesse “Ma solo...” precisò con un guizzò di divertimento perverso negli occhi azzurri spaiati “...se mi dici dov'è la vostra amica...”
Matt deglutì. Era evidente che cercava Sarah. “A-amica? Io non ho amiche...” blaterò terrorizzato
Ah, davvero?” disse il biondo divertito “E quelle due cosa sono?” disse indicando Jess e Gloria con un'alzata di mento “Te le porti solo a letto? Le illudi che siano qualcosa di speciale e intanto le tieni nel limbo per i tuoi porci comodi?” replicò tagliente come un rasoio.
Matt perse definitivamente ogni traccia di colorito dal volto e si sentì la schiena trafiggere da bionde occhiate assassine.
Dimmi...” disse ancora il biondo, ora più minaccioso di quanto il gruppetto avesse mai osato elucubrare nei propri incubi, staccandosi dalla parete e avanzando a passi misurati verso di lui “Ti sbatti anche Sarah?” soffiò rabbioso lasciando poco spazio all'immaginazione sulla possibile reazione violenta in caso di improbabile risposta affermativa. Sembrava conoscere la risposta meglio di tutti loro ma sembrava anche voler lanciare un avvertimento superfluo: giù le mani da ciò che è mio o non fartelo passare nemmeno per l'anticamera del cervello.
Il ragazzo avrebbe voluto scomparire seduta stante, liquefarsi e non tornare mai più in quel posto né al cospetto delle persone che aveva alle spalle: si era giocato l'amicizia di tutti in pochi minuti.
Ti rifaccio la domanda...Dov'è. La tua. Amica?” sibilò l'altro calmo e per niente irritato
Sarah?” domandò l'altro in un gemito
Precisamente...” sorrise sadicamente, compiaciuto “Lei dov'è?” chiese scandendo le parole una ad una.
Non lo sappiamo!” disse coraggiosamente Gloria alzandosi e andando ad affiancare Matt, a cui mollò un'occhiata di fuoco che lasciava intendere la minaccia poi facciamo i conti.
Davvero?” chiese sarcastico, senza distogliere lo sguardo dal suo primo interlocutore. Quindi rivolse alla bionda ogni attenzione, il suo solito ghigno stampato sulle labbra. Gloria arretrò di un passo, incurante di mostrarsi vulnerabile davanti a lui. Un misto di terrore e fascinazione le ribollivano nelle vene. Certo, era bello da mozzare il fiato ed era dotato di un fascino e un carisma ineguagliabili, ma avvertiva in lui anche un forte potere oscuro, rabbia, cattiveria e malizia. Alzò lo sguardo, cercando di sfidarlo e lo vide sorridere soddisfatto “Si vede che sei sua amica...me ne compiaccio ma... dimmi, Gloria, dove potrebbe essere?” chiese inclinando la testa di lato, l'espressione degli occhi leggermente addolcita.
Se sapeva anche i loro nomi era meglio dire la verità.
Non dirgli nulla Gloria!” rantolò flebile la voce di Jess.
Ma la bionda, in quel momento, non aveva proprio la minima intenzione di assecondare i capricci della sua amica. Quindi parlò, non per tradire Sarah ma per salvare se stessa. D'altronde, se lui la cercava e lei non sembrava esserne particolarmente intimidita, forse non rischiava nulla. Le avrebbe mandato subito un messaggio avvisandola dell'accaduto, sperando che lo leggesse e non si dimenticasse dell'esistenza del telefono come faceva sempre.
Tutto quello che ci ha detto è che oggi, forse, non si sarebbe fatta vedere in università...” sputò velenosa “Puoi cercarla dal professor Grimm. E' l'ultimo con cui ha avuto contatti...forse è in giro con lui!” osò frecciare, quasi a invitarlo a non disturbare i due piccioncini. Jareth non parve offendersi alle parole della ragazza che aveva messo la cresta.
Non sai dirmi nient'altro?” soffiò suadente lui, ora pericolosamente vicino.
Lei deglutì, rossa in volto. Nessuno le aveva mai fatto quell'effetto. Nemmeno Matt. Anzi, lui non le avrebbe proprio fatto più alcun effetto dopo quel giorno. “Essendo venerdì potresti trovarla alla stazione dei pullman...in teoria, rincasa il fratello, motivo per cui ci ha dato buca alla festa di Halloween. Come aveva già provato a fare l'anno scorso...”
Gloria, che cavolo gli stai raccontando?” sbraitò Matt pieno di livore
Taci, smidollato...” lo zittì Jareth senza nemmeno degnarsi di guardarlo. “Con un po' di ricerca potevo arrivarci da solo...” Matt ingollò il groppo che aveva in gola: tremava tutto per la paura e il nervosismo “E dimmi...Gloria...sai anche dove abita o devo andare a cercarmelo nei registri?” La bionda cedette al suo fascino e, in un rantolo di piacere per quella vicinanza, gli diede tutte le informazioni che voleva. “Grazie mille, mia cara...” l'apostrofò lui “Chissà come sarà contento Toby di rivedermi...” ghignò dando loro le spalle e allontanandosi senza più degnarli di uno sguardo. Li sentì confabulare immediatamente, concitati, e discutere su quell'ultimo nome appena pronunciato: nessuno sapeva il nome del fratello di Sarah, nessuno a parte Gloria che un giorno era andata a casa sua e ve l'aveva trovato. O quell'uomo sapeva leggere nella mente o si conoscevano davvero.



Jareth non era tornato per Toby: quell'incontro sarebbe stato un piacevole intermezzo. Trascurò di proposito il terminal dei pullman e si diresse deciso all'abitazione della ragazza: era lei che voleva e sperava di trovarla a casa prima dell'arrivo del fratello. Si era fatto indicare dalla portinaia dell'università, una donna grossa e sciatta, ben felice di poter rivolgere la parola a un giovane tanto aitante, la strada per l'abitazione della ragazza. Dopo mezzora, però, si era perso ed era stato costretto a chiedere aiuto, a più riprese, vergognandosene profondamente, a ogni donna che passasse per strada. Non era così sciocco da non sapere di avere un certo ascendente sulle donne, ma saperlo e sfruttarlo erano due cose ben diverse: si sentiva un maledetto imbroglione, più mascalzone di quanto non lo avesse ritenuto Sarah durante tutta la loro sfida.
Giunto nella via indicata si concesse del tempo per studiare la zona. Era un quartiere riservato e curato, abbastanza appartato da dare l'illusione di essere avulsi dalla città ma non abbastanza da far temere aggressioni di malintenzionati. La strada era tratteggiata da maestosi alberi rossicci che conferivano al paesaggio un aspetto quasi orientale. Infine giunse alla cancellata che raccoglieva al suo interno una decina di condomìni, raggruppati in cerchi, tra loro attigui dove, al centro di ciascuno, sorgeva una piccola rotonda erbosa che fungeva da parco giochi per una moltitudine di ragazzini: una società utopica, autonoma, che gravitava attorno alla gioventù. Erano graziosi alloggi popolari, tutto il contrario di quelli fatiscenti che aveva visto nel suo peregrinare nel mondo umano1. Il più grande dei condòmini doveva essere di poco più grande della sua età umana. I ragazzini sembravano felici ma Jareth poteva solo immaginare la tristezza che albergava in tutti loro. Ogni cosa ha un prezzo e tutto ha un suo lato negativo. Gli sembrava di rivedere il suo castello con i suoi Goblin, piccoli bambini abbandonati e indesiderati. Si riscosse e si concentrò sul citofono: dieci colonne con una mezza dozzina di nomi ciascuno. Quando trovò ciò che cercava, premette a lungo. Ma non ottenne risposta. Forse Sarah era ancora fuori casa. Meditando su quell'eventualità, si poggiò stancamente al cancelletto d'ingresso che cedette immediatamente sotto il suo peso.
Jareth cadde a terra come un sacco di patate: era aperto. Com'era possibile che fosse aperto? Lasciavano i ragazzini liberi di venire rapiti a quel modo? Umani scriteriati!
Non fece in tempo a tirarsi in piedi che un gruppetto di bambini, abbandonati i giochi, lo aveva circondato.
Jareth non sapeva se essere spaventato o cos'altro provare davanti a quel comportamento. I bambini, dopo un attimo di silenzio, cominciarono a urlare tra loro. Alcuni lo presero per le mani e tirarono, convinti di poterlo rimettere in piedi dalla loro mastodontica statura inferiore al metro: volevano solo aiutarlo. Bontà infantile. Quanto gli era mancata. Si lasciò trascinare all'interno, maledicendo la stupidità umana, dei bambini e degli adulti: se fosse stato malintenzionato2, avrebbe potuto rapire tutti quanti in un batter d'occhio. Avrebbe potuto se...
Accantonò svelto il pensiero. Non doveva pensarci in quel momento. I bambini lo fecero accomodare sotto gli alberi spelacchiati che crescevano, contorti e rachitici, in mezzo al primo agglomerato cementizio. Erano preoccupatissimi per lui e si affaccendavano per aiutarlo, porgendogli dell'acqua e la cassetta dei medicinali (con cui avrebbe dovuto arrangiarsi, dato che, a loro, i grandi ne avevano vietato l'uso).
Ma tu, signore, cosa ci fai qui?” chiese, infine, una bimba. Era castana, i capelli raccolti in due semplici codine. Avrà avuto all'incirca cinque anni. Stringeva al petto una bambola di pezza e l'abito, che le pendeva dalla spalla, era più grande di due taglie.
Io...sono venuto per trovare Sarah...la conoscete?” domandò tastandosi ancora la testa. Scivolando a terra aveva appena sfiorato l'asfalto: nulla di grave ma lui non era abituato a certi incontri ravvicinati.
Mamma Sarah?” chiese un altro bambino
La sorella di Toby?” chiese un altro ancora
Ma no, cerca la sorella di Martha!” replicò qualcun altro
Ma la sorella di Martha è brutta e cicciona! Lui è bello! E poi è troppo piccola per lui! Mamma Sarah ha l'età giusta!” replicò indispettito un piccolo drappello di maschietti
Sì sì...Cerca Mamma Sarah!” urlarono altre due bambine
Ma tu sei il suo... fidanzato?” domandò la bimba coi codini, imbarazzata. A quella domanda la reazione dei bambini tutt'attorno gli ricordò il boato dell'inizio di una battaglia: a quella possibile alternativa, tutti si erano ringalluzziti ed esprimevano la loro opinione al riguardo. Jareth ebbe il suo bel daffare nello spiegare loro che era solo un amico in visita ai fratelli Williams.
E perché chiamate Sarah, mamma?” domandò perplesso. Non gli risultava che Sarah avesse procreato così tanti marmocchi. Anzi...non gli risultava proprio che avesse vita affettiva, figurarsi di altro tipo. Quel solo, semplice pensiero, lo mandò su tutte le furie e i bambini parvero accorgersene.
Beh..” dissero nel tentativo di calmarlo “Lei ci fa da mamma...ci racconta le storie, ci spiega le cose, ci aiuta quando abbiamo bisogno...”
Non è la nostra vera mamma!” disse ridendo un'altra bambina, tremendamente perspicace, che l'aveva letto come un libro aperto.
Ma tu, che sei suo amico, cosa sai fare? Anche tu racconti storie?” chiesero in coro. Come la domanda si fu propagata di orecchio in orecchio, il brusio cessò di colpo e tutti si disposero ordinatamente davanti a lui, pronti all'ascolto.
No, no...” disse agitando una mano in preda al panico: dannati mocciosi! Ecco perché Sarah, dieci anni prima, aveva chiesto di venire esonerata dall'accudimento di uno solo di essi. “Io...” balbettò cercando qualcosa da dire loro “Faccio...sapevo fare...” si corresse “...le magie...” concluse con fare misterioso.
Un coro estasiato si levò dal suo piccolo pubblico “E perché non le sai più fare, signore?” domandò qualcuno dando voce alla perplessità degli altri
Perché...” balbettò incerto “Perché la vostra cara mamma Sarah mi ha rubato i poteri, ecco perché!” disse velenoso. Anziché spaventarli, però, ottenne l'effetto contrario e i bambini parvero apprezzare “Sarah ce lo racconta sempre...”
Racconta... cosa?” domandò il biondo accigliandosi: non sapeva se essere esterrefatto o mortalmente arrabbiato.
E' la nostra storia preferita!”
Il labirinto!”
Ha affrontato un terribile re crudele e malvagio che cercava di ingannarla con tanti trucchetti” disse un bambino alzandosi e mimando tutta l'avventura “E' stata rinchiusa nelle segrete! E anche nella Palude Puzzolente!” Jareth stava sudando freddo a sentire quel racconto: Sarah ricordava tutto, probabilmente lo odiava e aveva trovato il modo di tenere i marmocchi al riparo dall'Underground
E nella palude le è pure affogato il cavallo Artax!” strepitò un altro bambino “Ho pianto tanto quando me l'ha detto”
A quel dettaglio Jareth si ridestò come da un lungo incubo “Non c'era nessun cavallo!” replicò interdetto
Sì che c'era! L'ha detto Sarah! E poi, rimasta da sola, ha sconfitto anche il drago con la spada forgiata dagli elfi, superando un roveto che la regina delle nevi, una strega cattiva, aveva fatto crescere in cento anni” A quell'ultima puntualizzazione, il bel mago fu preso dallo scoramento: ma quale minestrone aveva mai creato Sarah nella sua testa?
Oh! Ecco Toby...” borbottò una bambina “Chiediamo a lui se non abbiamo ragione!” Un nugolo di ragazzini, urlando frasi che si andavano ad accavallare le une sulle altre, dando vita a uno schiamazzo inintelligibile, si precipitò -trascinando con sé il malcapitato Jareth- da un ragazzino biondo, sugli undici anni che, zaino in spalla e sacca in mano, stava cercando le chiavi del portone d'ingresso del proprio condominio.
Quando si trovarono faccia a faccia, il mago lo guardò ammirato: si era fatto proprio un ometto. Sperava solo che non scappasse a gambe levate, che lo riconoscesse o meno.
Ma Toby, come Sarah prima di lui, lo sorprese.
Ma noi non ci conosciamo?” domandò perplesso.
Sono venuto per tua sorella...” precisò l'adulto scatenando un coro di consenso alle sue spalle.
Vuoi aspettarla a casa?” chiese amichevole il ragazzino.
Jareth accettò di buon grado, grato di venir liberato da quello stuolo di marmocchi urlanti.
...Oh...scusa...non mi sono nemmeno presentato...Toby...” disse dandogli la mano libera dai bagagli
Jareth” rispose l'altro stringendogliela secondo il costume umano.
Sicuro che non ci siamo già visti?” domandò salendo i pochi gradini che separavano dall'ingresso “Non so perché ma mi sembra di conoscerti da sempre...Jareth...non mi sembra un nome nuovo...” commentò pensieroso “Non è che mia sorella mi ha parlato di te? Per caso sei il mio futuro cognato?” domandò candido facendo sobbalzare l'interlocutore. Perché tutti i più piccoli dovevano vederli come una coppia fatta e finita? Il loro legame era così evidente?
Il biondino, imperterrito, continuò a esporre ad alta voce le sue riflessioni “Non mi dispiacerebbe: ho l'impressione che potremo andare d'accordo. E che tu sia una brava persona. Soprattutto...che tu sia in grado di tener testa a mia sorella” disse ridendo e varcando la soglia dell'appartamento lasciando Jareth totalmente disorientato. Quell'affarino aveva davvero solo undici anni? Certo, aveva la perspicacia dei bambini e quasi la maturità degli adulti. Undici anni...non erano nemmeno poi così pochi...
Sorrise al pensiero che Toby non solo si ricordava di lui, ma ne aveva pure un'impressione positiva. Il sorriso si estese pensando che ormai aveva varcato la soglia della casa di Sarah Williams. La sua Sarah. E da lì non poteva tornare indietro a mani vuote.




- - - - - - - - - - - - - - - - - -


Bene... dopo un capitolo interamente dedicato a Jay, d'ora in poi si parlerà solo al plurale... 9.9
Cmq volevo dirvi una cosa..Ve ne accorgerete senz'altro, ma ve lo dico lo stesso. Per il carattere e le movenze di Jareth, mi son resa conto (in un secondo momento) di aver preso qualcosa anche da Capitan Jack Sparrow che di per sé è un buffone ma...vabbè, volevo solo avvisarvi che io ci vedo questi riferimenti...
:( Spero la cosa non rovini troppo il personaggio. D'altronde, problema che abbiamo tutte, il repertorio che abbiamo a disposizione è un po' limitato e l'ho allargato come ho potuto. Il mio Jareth non se ne starà svaccato sul trono tutto il tempo né parlerà a monosillabi criptici né sarà così cattivo come vorrei (pur rimanendo, per me, IC non è così tagliente, ecco): va per i fatti suoi, non riesco a raddrizzarlo...come vorrei...spero possa piacervi lo stesso.
Qua e là, inoltre, ho utilizzato come modelli anche Usui e Kurosaki, protagonisti maschili rispettivamente degli shojo manga Maid-Sama. La doppia vita di Misaki e Elettroshock Daisy che col carattere di Jay non c'entrano proprio nulla ma alcune situazioni me l'hanno ricordato (e sempre di biondi bonazzi alle prese con more cretine si tratta).
E detto questo...vado!
A presto!








1 Per darvi un'idea di cosa avevo in testa...sia esteticamente che concettualmente: mi rifaccio al pensiero di Gropius che aveva progettato una serie di condomini in modo che fossero dei piccoli mondi autosufficienti. Il tetto delle abitazioni, che erano un blocco unico (come vedrete nelle immagini), fungeva da parco giochi, piscina etc tutto per i bambini. Nei complessi erano compresi anche negozi, scuole e farmacie. Ecco..io mi sono immaginata il complesso simile a questo ma con sezioni al suo interno (come i condomini che noi tutti conosciamo) non in blocchi così massicci ...la seconda foto, al posto di un blocco unico io la vedo come 2 condomini: eliminerei la parte in testa, grigia, e a seguire, uno si uno no, i piani sfalsati (guardate i balconi)
http://www.galinsky.com/buildings/gropiusinterbau/gropius_04.jpg
http://1.bp.blogspot.com/_3NtvfFUqqLQ/SIlRj3l-rBI/AAAAAAAABls/l1okD9hLFS8/s400/Condominio%2BInterbau%2Ben%2BBerl%C3%ADn.%2B1957..jpg

2Ovviamente lui si autoesclude dal gruppo: lui li rapisce su ordinazione e ne è il “benefattore”. Comunque non torce loro un capello.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Qualcosa di inaspettato ***


9- Qualcosa di inaspettato




Sarah infilò le chiavi nella toppa e si accorse che la porta era già aperta. Toby doveva essere rientrato prima del previsto. Alle sue spalle, una decina di ragazzini irruppero nell'antistante ingresso, schiamazzando eccitati. “Non correte per le scale!” li redarguì seria e seccata
Quelli rallentarono improvvisamente la corsa, ansanti “Scusa...” dissero senza guardarla in faccia, colpevoli. Era sempre la stessa scena: lei che li rimproverava e loro che continuavano a fare quello che volevano. “Non sei arrabbiata, vero?”
“No...” disse accogliente “Ma al posto di correre all'ultimo minuto dalla tata, dovreste prendervi per tempo. Poi è normale che Mary si impensierisca e vada su tutte le furie se non vi vede... L'orologio avete imparato a usarlo...” Loro scossero veementemente la testa in un segno affermativo carico d'orgoglio. “Su...andate...con calma!” disse vedendo che erano già pronti a riprendere da dove avevano interrotto. Quelli presero a salire, piano, i gradini ma a due a due per guadagnare, comunque, terreno in breve tempo. Sarah sorrise a quella trovata e aprì la porta di casa “Sono tornata!” Salutò sorridente, ricevendo un “Ciao” entusiasta in risposta. La luce della cucina era accesa. Liberò velocemente Marking e gli diede una pacca sul dorso mormorandogli un “Vai!”. Gettò il cappotto sulla sedia in ingresso e affrettò il passo verso la sala illuminata. “Scusa il ritardo, non ho avuto nemmeno il tempo di telefonarti per avvisarti... ho dovuto fare delle commissioni insieme a...” stava dicendo quando si congelò sulla soglia, accanto al cane: anche lui si era fermato e stava ringhiando sommessamente a testa bassa, le orecchie tirate indietro, il pelo irto sulle spalle. “E tu cosa ci fai qui?” domandò gelida, senza scomporsi.
Quasi si aspettava di incontrarlo ancora.
Certo: mai si sarebbe aspettata che potesse avvenire in quel modo!
Jareth, dall'altro capo della stanza, stava poggiato sul calorifero con gambe e braccia incrociate. La salutò solo con un sorriso sghembo “I tuoi amici non ti hanno avvisato?” domandò. Lei si illuminò e cominciò a frugare freneticamente nella borsa, finché non trovò il cellulare e vide i messaggi e le molte chiamate perse.
Subito, Toby domandò, perplesso e innocente, inclinando la testa di lato “Non è un tuo amico, Sarah?”
Sarah si era quasi dimenticata di rimproverare il fratello “Toby...quante volte ti devo ripetere di non aprire agli sconosciuti?” lo redarguì calma lei, sottolineando la parola a beneficio dell'intruso e sfilandosi la borsa di dosso.
“Ma cercava te!” ribatté il ragazzino.
Sarah sospirò alzando lo sguardo al cielo, esasperata. “Toby....” stava per ricominciare che lui la interruppe.
“Non è cattivo! Mi ha anche aiutato coi compiti!” protestò convinto.
A quel punto, Sarah non poté non lanciare un'occhiata al biondo che era rimasto nella stessa identica posizione per tutto il tempo. “Tu...” disse lei, fissandolo con sguardo furente “Vieni di là con me, per cortesia...Toby...” aggiunse verso il fratello “Tu rimani qui. Qualunque cosa succeda! Intesi? Ti lascio Marking di guardia...”
“Non posso venire anch'io?” domandò avvilito
“No. Sono cose da grandi, credimi. E non è proprio il caso che tu senta cosa devo dire a questo signore...”
“Ma io sono grande, Sarah!” protestò lui, con un tono di voce che lanciava rimandi a discussioni già sostenute
“Non 'sta volta, Toby...” lo pregò, un po' più dolce.
“Anche se ti metti a urlare?” domandò allora lui
“Soprattutto se mi metto a urlare! Andiamo...” aggiunse dando a tutti le spalle. Jareth si staccò solo allora dalla parete con un movimento fluido e in poche falcate le fu alle spalle
“Ma state assieme?” domandò ancora il fratello
A quelle parole, Sarah perse un battito e si voltò verso Toby paonazza in volto “Certo che no! Cretino!”
“Mark...Sarah mi ha detto cretino...” piagnucolò il ragazzino. Il cane, per tutta risposta, lo consolò con una bella leccata che coprì tutto il viso e lo fece ridere. La ragazza si allontanò, sbattendo le porte della cucina e spalancando quelle del salotto adiacente.
“Prego, Maestà.” disse acida accennando un inchino sarcastico. Non c'era traccia alcuna di quell'irritazione camuffata da cortesia e deferenza che aveva mostrato al loro primissimo incontro, in cui si sforzava di rifiutare le sue offerte con belle parole per non sembrare sgarbata. No...lei riservava quella gelida freddezza a chi la circondava ogni giorno mentre in quel momento era davvero sé stessa, libera di esprimersi al suo peggio. Non gli stava nascondendo nulla. Maleducata come sempre.
La sala era abbastanza grande, divisa dall'arredamento in due ambienti separati: da una parte, un tavolo estensibile di legno chiaro e una libreria/cassettiera tutto intorno su cui campeggiavano strumenti e blocchi scarabocchiati, dall'altra, divanetti ramati attorno a un tappeto dalle tinte bruciate circondavano un basso tavolino d'ottone, orientate verso il televisore da cui si diramavano le appendici di un console lasciata in disordine, probabilmente dagli stessi ragazzini appena rimproverati lungo le scale.
“Prima fa lo stalker, appostandosi fuori dalla mia finestra, e ora si piazza qui?” chiese aggressiva senza dargli in tempo di mettere piede nella stanza.
Lui alzò lo sguardo perplesso, guardandola come se fosse ammattita: oltre alla domanda di per sé, qualcosa non andava nel suo discorso “Io non mi apposto fuori dalla finestra di nessuno...” Non si sedette ma si avvicinò allo schienale di una poltroncina e vi si poggiò, tornando nella posizione che già aveva in cucina.
“Sua Maestà desidera qualcosa di particolare per tendermi queste imboscate?” ringhiò ancora l'altra, altera, incrociando, come lui, le braccia al petto, per nulla convinta delle sue parole.
“Ben trovata anche a te, my dear...” celiò lui sarcastico “Da quando mi dai addirittura del Lei? Se proprio vuoi trattarmi formalmente, ti chiedo, almeno, di darmi del Voi1
Sarah lo fissò a lungo “Non mi permetterei mai di mancarLe così di rispetto...ma se insiste...Cosa ci fate Voi qui, ho chiesto?” ripeté senza farsi incantare da quegli strani occhi azzurri e senza perdere la propria combattività.
Jareth annuì soddisfatto di quella prima, microscopica, vittoria “Non è la stessa domanda che mi hai porto pochi istanti fa...ma comunque... sono qui per te, se non si era capito...”
“Perché?” ringhiò ancora lei. “Cosa volete da me?” domandò correggendosi: con lui le domande che davano per sottintesa una frase intera non valevano “Io Vi ho vinto, se ben ricordo. E, ammesso che non sia stato tutto un incubo, sono io che dovrei avanzare richieste a Voi, non viceversa...”
Lui assottigliò lo sguardo, studiandola “Sì, certo, mi hai vinto. Infatti, non sono qui per comandarti, cara...non ne ho il diritto. Vengo in pace. E' così che dite, no?”
“Benissimo. Accetto che veniate in pace. Cosa volete precisamente da me?”
Lui levò un sopracciglio perplesso “Te, ovviamente...” rispose con la massima naturalezza.
Sarah lo guardò con tanto d'occhi, incerta se arrossire per l'imbarazzo o preoccuparsi per il significato nascosto in quelle due parole.
“Eccomi, mi avete vista...” disse aprendo le braccia, mostrandosi “Che altro volete?”
Lui sbuffò “Te l'ho già detto, mi sembra. Voglio te.”
Sarah non si fece cogliere impreparata una seconda volta, quindi ribatté “Potete essere un pochino più dettagliato e dirmi, precisamente, cosa Vi serve della mia persona? Sempre che non sia troppo disturbo per Voi...”
“Nessun disturbo...” concesse lui, chinando la testa in avanti in un gesto di approvazione per le parole scelte dalla ragazza “Mi serve il tuo potere, precisamente.”
“E cosa ve ne fareste del mio potere?” chiese lei retorica per poi cambiare registro, come svegliandosi da una trance “Ferma un attimo. Quale potere? Io non ho alcun potere!”
“Oh, sì che ne hai, Sarah” la corresse lui, tirandosi in piedi “Ne hai avuto abbastanza da sconfiggermi, ricordi? Abbastanza da annullare il mio, di potere.” la informò fissandola dritto negli occhi. “Ma quello che nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva dato certi poteri” aggiunse, facendole il verso e ripetendo a memoria quanto le aveva sentito dire la sera di dieci anni prima. Vedendola sempre più confusa e come continuasse a tacere, decise di spiegarsi per evitare di tirarla troppo per le lunghe “Non è successo nulla di...diciamo eccentrico, in tutto questo tempo?” chiese vedendo che lei si illuminava, mandando a posto tessere di un complicato mosaico di cui non vedeva la soluzione “Tu, mia cara, ti sei appropriata del mio potere.”
“Prego?” chiese lei sbalordita
“Sì, in effetti, dire che te ne sei appropriata non è del tutto corretto. Diciamo che, avendo lasciato libero e privo di protezioni il tuo potere -quello che io ti avevo donato- e credendo in esso hai fatto sì che il labirinto e Goblin City riconoscessero te e rigettassero me: io non ho alcun potere su di te, giusto?” le ricordò perfido
“Io non lo sapevo...” disse rammaricata
“Come sempre, no?” rispose lui laconico “Ad ogni modo, visto che io ora sono un semplice e misero essere umano, ho bisogno di te per riprendermi ciò che è mio di diritto. Da qualunque punto tu la voglia vedere e a qualunque cosa tu voglia credere, la verità è una sola: tu hai, sicuramente, più potere di me. Al momento.”
“Scusa scusa.” lo interruppe lei “Vuoi dirmi che ora il labirinto, e anche i Goblin, ubbidirebbero a me?” Lo sgomento le aveva fatto dimenticare il proposito di mantenere le distanze.
Le lunghe dita tamburellarono brevemente sulle labbra atteggiate in una smorfia dubbiosa “Tecnicamente...” concesse lui con un gesto enfatico della mano. Sarah quasi si aspettava che una delle solite sfere gli comparisse tra le dita.
“Sarei una specie di regina?” chiese scettica con una risatina isterica
“Sarah? Non sfidarmi!” sibilò lui. Era lì con le migliori e più serie intenzioni e lei si permetteva di deriderlo?
“Altrimenti cosa?” lo provocò, tornando alla fredda distanza che aveva mantenuto fino a poco prima “Cosa mi fareste? Voi, che non avete alcun potere su di me?” sottolineò
“Non avrò potere ma sono pur sempre un uomo...” le ricordò con uno sguardo condiscendente.
“Non osereste mettermi le mani addosso...” sibilò lei di rimando, incredula
“Dipende in che ottica vuoi vederla, Sarah...io sono un gentiluomo, dopo tutto. E ammetto che l'idea di giacere con te non mi disturberebbe...” disse prendendosi il mento tra le dita e studiandola con sguardo languido. “Ma non arriverei mai a forzarti contro la tua volontà...” La vide arrossire violentemente: ovviamente lei aveva inteso l'altra interpretazione della frase. Ma lui, già dieci anni prima, si era rifiutato di cedere alla violenza nei suoi confronti. Sapeva che ne avrebbe solo rafforzato la determinazione2.
Dopo un momento di panico, Sarah riuscì a riprendere il controllo di sé “Non Vi disturberebbe, eh?” chiese sarcastica e offesa, con lo stesso tono con cui, anni prima, gli aveva chiesto cosa avesse mai fatto di generoso lui per lei. “Va bene...facciamo finta che io abbia paura di Voi, al momento, come da Vostra ultima richiesta, dieci anni fa.” Lui parve perplesso ma lasciò correre “Cosa dovrei fare, precisamente? ImporVi le mani sulla fronte e sperare di ridarVi i poteri come il più ciarlatano dei santoni?”
“Veramente...” disse, tornando a poggiarsi al divanetto “Dovresti affrontare, nuovamente, con me, il Labirinto...e dimostrare a tutta Goblin City che ho il tuo benestare per regnare. A tal fine, direi sarebbe opportuno che riprendessi a darmi del Tu, come hai sempre fatto...”
Sarah era più che spiazzata. Le cedettero le ginocchia ma fu veloce a trovare un sostegno nella poltrona accanto a quella di lui “E' uno scherzo?” rantolò sedendosi
“Ho mai detto bugie?” chiese lui retorico
“Sì” fu la sua risposta esasperata
“Posso aver omesso, my lady, ma mai mentito...” la corresse lui
Lei si prese la testa tra le mani: tutto quello che concerneva quell'essere sapeva procurarle mal di testa lancinanti per l'alto tasso di concentrazione che richiedeva.
“Invece hai mentito eccome...” sibilò, confusa, improvvisamente sopraffatta dagli eventi di quei giorni “Quando hai detto di amarmi!”
“Io non l'ho mai detto!” puntualizzò subito lui, caustico “Ho detto che se tu mi avessi amato, io sarei stato il tuo schiavo. E' diverso!”
Certo. Che sciocca che era stata a illudersi a quel modo. E perché poi? Di un sogno, tanto per cominciare, che le dava solo filo da torcere. E poi...da quando aveva cominciato a pensare a lui in quell'ottica? Due giorni al massimo...da quando Immanuel si era mostrato solidale con lui. Le sue parole l'avevano confusa!
“Non è che quello è uno dei tuoi desideri, Mà Chère?” domandò lui curioso e interessato
“Dimmelo tu... ” sibilò esausta, sprofondando nel divano “D'altronde, tu conosci tutti i miei sogni, non è vero?”
“Conoscevo” precisò ancora una volta, sondandone lo sguardo coi suoi occhi spaiati “Ora non ho la più pallida idea di cosa ti possa passare nel cervello.”
Sarah prese un paio di minuti per riflettere su quello che le era stato detto.
“E sentiamo...quando dovremmo partire?” concesse lei
“Oggi non ti andrebbe? Festeggiare così il nostro anniversario non sarebbe un'idea meravigliosa?” Le si era avvicinato e si era inginocchiato accanto a lei, un braccio appoggiato al ginocchio, per avere gli occhi alla stessa altezza.
Sarah levò lo sguardo che si piantò sul suo petto glabro. Solo allora notò l'assenza di una cosa, un dettaglio, che era rimasto, unico, quasi invariato in tutti i loro incontri nell'Underground: Jareth non portava più al collo il suo ciondolo. Che fosse stato il corrispettivo della corona o dello scettro? Che fosse da quello che dipendeva la sua magia? Spostò lo sguardo, a disagio, per posarlo sulle sue mani, intrecciate tra loro all'altezza del petto. Un altro dettaglio, che in qualche modo, fino a quel momento, aveva dato un senso di estraneità all'uomo che le stava davanti, più degli abiti umani che indossava, era l'assenza dei guanti. Guanti che aveva sempre avuto neri. O bianchi, in due particolari occasioni.
“Non possiamo partire domani? Una manciata di ore cosa possono cambiarti?”chiese trovando il coraggio di fissarlo negli occhi. Erano tremendamente vicini ma lui restava immobile, non accennava ad allontanarsi né ad abbassare lo sguardo.“Hai l'obbligo di partire subito? Puoi aspettare un paio d'ore?” chiese lei stremata
“Sì, non ho nessuno che mi insegue... davvero l'idea di festeggiare non ti sfiora? Dieci anni...un bel traguardo...”
“Sarebbero stati uno splendido traguardo se tu non fossi ricomparso nella mia vita a cavallo della ricorrenza...” sbuffò lei, rimuginando. Le sembrò che lui si fosse rabbuiato ma cacciò quell'immagine dalla sua mente con forza: lui era il subdolo Re dei Goblin. Sicuramente stava architettando qualcosa e sicuramente non le aveva detto tutto quello che c'era da sapere. “Dimmi solo una cosa..anzi..due...”
“Chiedi pure!” disse lui, più sereno ora, per l'implicita accettazione del suo incarico
“Abbiamo limiti di tempo?”
“Non abbiamo limiti di tempo...possiamo impiegarci pure un anno... Il regno di Goblin non è più come lo hai conosciuto tu, né come l'ho conosciuto io. E' cambiato ma so comunque raggiungere il castello in un paio d'ore. Sarà un raid... L'altra domanda?”
“Non è richiesto il mio sacrificio su un altare di marmo e che tu beva il mio sangue, vero? Non è richiesto nulla di truculento... o sì?”
Jareth sorrise alla domanda ingenua della donna davanti a sé “No, non devi temere per la tua incolumità: non verrai uccisa, non verrai stuprata... non verrai incatenata nelle segrete....” pronunciò l'ultima parte del discorso con un tono volutamente lascivo che sottintendeva qualche fantasia perversa.
“C'è un ma?” chiese lei sospettosa, accantonando il ricordo che lei aveva di quei luoghi.
“Nessun ma. L'unica condizione è che tu mi accompagni e che mi aiuti. Tutto lì: collaborazione tra vincitore e sconfitto”
“Mi sembra troppo facile...”
“Credimi, non lo è per niente. Anzi...in due, lo stesso semplice percorso, raddoppia i punti di attrito. E se si viene separati è pure peggio.”
Sarah si rabbuiò. Ore, giorni in sua compagnia, senza un minimo di privacy. Al momento, le stavano venendo un sacco di domande sugli abitanti del regno che aveva conosciuto. Ma decise di tenere quelle domande come argomento di conversazione per il viaggio.
“Ho un'ultima domanda...” disse con l'implicita promessa di terminare il terzo grado “Per te non sembra passato nemmeno un giorno mentre per me sono passati dieci anni...come mai? Sei immortale? Io credevo...”
“Vedo che tu e la logica continuate a non essere buone amiche. Il tempo, nei due mondi è completamente diverso: i tuoi dieci anni per me sono stati solo un anno....”
“E perché quando...ci siamo incontrati l'altra volta è stato il contrario? Il tempo scorreva più velocemente di là che di qua...”
“Dieci anni fa, mia cara ragazza, come in questa prossima avventura...” disse lui tirandosi in piedi e porgendole la mano. Ora gli occhi di Sarah erano giusto all'altezza di qualcosa che aveva completamente ignorato quando era più piccola e che adesso, nei suoi ricordi, rivedeva come tremendamente osceno tanta era la sfacciataggine con cui veniva esibito. Arrossì per il solo fatto di essersi fatta sfiorare dal pensiero e accettò la mano di lui, incredibilmente morbida e liscia. “C'eri tu...e quando c'è un umano, il tempo viene sovvertito, contratto. In quei frangenti, un'ora nell'Underground corrisponde a poco meno di mezzora qui: da alba ad alba sono solo dieci ore, nell'Underground, e non 24, quindi un'ora delle vostre ha un'equivalenza effettiva di sei per noi che però, coi giusti rapporti, valgono solo due e mezzo3. Quindi...” continuò, sicuro di averla confusa a sufficienza con tutti quei numeri “...Tornando a noi, direi che se sparisci per qualche ora, nessuno se ne dovrebbe accorgere. A meno che il tuo fidanzato non decida di cercarti...”
“Quale fidanzato?” chiese lei sbigottita e troppo vicina al biondo per allontanarlo con fermezza, come avrebbe voluto.
“Il professor Grimm...” Ghignò ancora lui.
“Ancora? Ma basta! Non stiamo assieme!” strepitò riscuotendosi
“Ah no? Comunque è inutile che ti sforzi di fare tanto la sostenuta con me: non mi interessa chi frequenti, mi basta riavere il mio regno” disse lui, spegnendo ogni speranza potesse essersi eventualmente accesa nella ragazza.
“Va bene...ora che hai ottenuto la mia collaborazione puoi pure andartene!” disse lei, improvvisamente seccata, invitandolo a uscire dalla porta del piccolo ambiente tra cucina e salotto. Sentiva che, ancora una volta, sarebbe stata uno strumento nelle sue mani e la cosa non le piaceva per niente.
“E perché dovrei?” chiese lui altero e arrogante
“Perché è buona educazione, perché io ora devo cucinare, lavarmi e andare a dormire...”
“Ma io non ho dove andare...” replicò lui piccato
“Come sarebbe a dire, scusa?”
“Sarebbe a dire che, al momento, non ho magia sufficiente per aprire un varco. Inoltre, dovrò usarne di più per portare anche te, visto che non sai come si fa e devo fare economia. Quel poco che avevo l'ho consumata due giorni fa per rientrare nell'Underground. Non mi aspettavo di trovarti...”
“Rientrare? Ma allora hai dei poteri!” Protestò Sarah inviperita
Lui la guardò con sufficienza “Sono talmente pochi e deboli che li esaurisco con poco...Avevo bisogno di lavarmi e cambiarmi. Sono pur sempre un re. Ed è già abbastanza seccante dover racimolare giacigli di fortuna una notte sì e una no, mangiare il vostro cibo e vivere le vostre vite.” sputò pieno di livore. Più della degenza, quello che gli pesava della sconfitta era l'esilio a cui era stato costretto. “E se anche avessi saputo che ti avrei incontrato, li avrei usati tutti comunque per rendermi presentabile ai tuoi occhi” pensò fissandola.
“E intendi piantare le tende da me?” protestò lei, mani sui fianchi, esasperata.
“Se non avessi accettato la mia proposta, l'avrei fatto comunque per convincerti...” replicò lui con un ghigno che non ammetteva repliche. “La responsabilità di tutto questo è solo tua.”






1    Come accennato in Il labirinto visto dal castello (non trovo più il punto in cui ne parlavo ma rinfresco qui), in Inglese esisterebbe la divisione Tu-Voi-Lei. E' simile alla nostra, con delle sfumature. Mi spiego. Il Lei è usato SOLO per Sua Maestà il Re-la Regina (Her/His Majesty). Per il resto si usa esclusivamente il Voi (l'antico Thou -non si vede la famigliarità con Tu, sia per scrittura che per pronuncia?- è stato assorbito da You, alla faccia del luogo comune inglese lingua democratica...).
Il Voi, rispetto al Lei, ha una dimensione più 'vicina' e intima... se si parla di una persona in terza persona, con questa presente, è un modo di escluderla/prenderne le distanze. Il Tu/Voi (assimilato in Inglese a un'unica forma) implica cmq un rapporto diretto faccia a faccia, quasi paritario. Già Dickens, nei suoi appunti sui viaggi in Italia, si meravigliava di come noi dessimo agli estranei del Lei (caricandoli, quindi, ai suoi occhi, di eccessiva formalità laddove loro davano del Voi...cmq torna sopra..noi diamo il Lei titolo regale alle persone che ci sono più sconosciute) mentre in famiglia, per rispetto, si usasse il Voi. Ecco spiegato perché all'inizio, Sarah, per tenere le distanze e far pesare la differenza tra loro, usi il Lei e Jareth le chieda di usare almeno il Voi (tanto in Inglese si usa cmq solo quello...ma almeno in italiano posso permettermi la libertà di giocare con questi tre modi di rapportarsi).

2    Se non fosse chiaro, Jareth col suo “sono pur sempre un uomo” intendeva dire che aveva tutte le carte in regola per sedurla -com'è riuscito a fare senza sforzo con Gloria nel capitolo precedente- e farle perdere la testa mentre lei ha percepito solo la differenza fisica data dal sesso forte (e quindi ha pensato volesse convincerla a suon di ceffoni -che male non le farebbero cmq- e successivamente, che volesse addirittura violentarla).

3    Allora, parliamo della scansione temporale nei due mondi quando c'è un umano in mezzo... Sarah è rientrata dall'avventura a mezzanotte spaccata. Ed è partita...???? Erano le 7 quando era nel parco e suonò la campana, doveva affrettarsi e arrivata a casa era in ritardo di un'ora. Erano le 7.30? poi passa sicuramente una mezzora, tra asciugarsi, litigare col padre e andare in camera a calmare il fratello.... e quindi? Il viaggio è cominciato alle 8? Facendo conti approssimativi che sia mancata da casa per 4 ore ecco come ho sviluppato i conti: l'avventura comincia col sole che sorge e termina al castello col sole che sta sorgendo (è ancora l'alba quando varcano il portone). Ergo le 10 ore (non 13, Jareth gliene ha tolte poco più di tre) della giornata Underground ricalcano le 4 ore umane in cui lei è stata assente. 10/4 = 2,5 ore (ogni ora umana corrispondevano a 2 e mezza del sottosuolo.) Ma queste non avevano certo la stessa valenza umana. Un quarto di giornata (24/4) sarebbero 6 delle nostre ore. Ecco quindi che quell'ora umana, temporalmente 2 ore e mezza d'orologio, valgono come 6 delle nostre. Pensate quante cose si possono fare dalle 8 del mattino a mezzogiorno. Ecco...tutto quello fatelo in 2, 5 ore ;) ….chiaro? (vuol anche dire che Sarah avrebbe ballato per circa 3 ore (un'intera ora Underground è dedicata al ballo)




- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Bene..sono riuscita ad arrivarci..dopo quasi 10 capitoli...ma l'importante è arrivarci...
Non ho granché da aggiungere...spero solo vi sia piaciuto. :) e preparate i fazzolettini per le emorraggie per i prossimi capitoli (mica partono immediatamente!!! :D)
PS: Mi sono accorta che è un capitolo pieno di refusi..li sto ricorreggendo man mano..chi legge immediatamente se ne sarà accorto..mea culpa
Un bacio a tutti!


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Killed by Diamond and Rust ***


10- Killed by Diamond and Rust


Sarah era incredula. Tornò in cucina scura in volto. Sopra le loro teste, uno scalpiccio caotico rimbombò per qualche secondo svanendo ovattato in fondo alle camere. Quella confusione non fece che innervosire ancora di più la ragazza.
“Ché, vi siete mollati?” domandò Toby dalla sua pila di libri notando la faccia della sorella
“Non dire cazzate, ti prego...” sbottò la mora. Ne aveva abbastanza di tutta quella situazione. “Senti...” cominciò appena più addolcita ficcandosi una mano tra i capelli imbarazzata, pentita di aver alzato la voce “...Lui...” si ritrovò a fissare il suo ospite: ne doveva pronunciare il nome? Il pensiero la spaventava.
“Jareth” Suggerì l'interessato con un sorriso tirato, poggiato allo stipite della porta, percependo il disagio della ragazza.
“Sì...” commentò Sarah balbettando “Beh, ecco...si ferma a dormire da noi...quindi, cenerà anche con noi, intesi?”
“Evvai!” esultò il fratellino.
“Fila a lavarti le mani che poi il bagno serve a noi! E non carezzare più Mark prima di cena!” urlò inseguendo la scia del fratello, già scomparso in bagno
“Serve a noi? Davvero?” chiese Jareth improvvisamente alle sue spalle “A cosa ci serve?” chiese in un soffio al suo orecchio.
“A cosa vuoi che serva? La vostra regale altezza avrà bisogno di purificarsi dal contatto con lo sporco mondo umano... e a me serve per lo stesso motivo...” Celiò sarcastica “Non avrai pensato a porcherie, spero!” domandò, furente al pensiero. L'aveva praticamente scaricata senza preamboli (e senza che ce ne fosse alcun bisogno, per inciso) e ora faceva il marpione?
“Io no di certo...” la canzonò lui, infatti. Il pensiero che lui deridesse la sua delusione, che doveva quindi essere abbastanza palese, la fece arrossire ancora una volta.
“Seguimi, che è meglio...” ordinò, ingoiando la stretta allo stomaco che l'aveva afferrata e a cui non voleva prestare ascolto. Si inoltrò nella zona notturna dell'appartamento e lo condusse nel corridoio su cui si affacciavano tre camere da letto, una lavanderia e il bagno dove Toby cantava contento a squarciagola in groppa a Marking
“Come fai poi a scendere senza toccarlo?” domandò la sorella affacciandosi alla porta. Toby fece spallucce: avrebbe pensato a come fare in un secondo momento.
“Ecco...questa è la tua stanza” disse aprendo la prima porta. L'ampia stanza all'interno conteneva una cassettiera, un armadio a tre ante e un letto matrimoniale. Il pavimento era disseminato di giochi di ogni tipo, segno che, normalmente, era usata per ospitare qualche bambino. Tutto era sui toni del bianco-azzurro. “Tu dormirai qui. La stanza accanto è la mia e l'ultima è quella di Toby. Guai a te se osi solo infilarci il naso o respirare nella sua direzione!” lo avvertì agguerrita
“Il che vuol dire che, invece, ho libero accesso a camera tua?” domandò lui sardonico avanzando verso di lei, facendola arretrare istintivamente, fino a costringerla spalle al muro.
Un pensiero balenò nella mente di entrambi: non erano nei vicoli di una fogna incastrata tra mille celle buie e umide, ma vicino a molti comodi letti morbidi e profumati; ora non erano più un uomo e una bambina, ma due adulti nel pieno della loro esuberanza, che, in modo quantomai contorto, si attraevano irresistibilmente e che sapevano bene come provocare la controparte. Erano troppo, pericolosamente, vicini. Potevano quasi sentire, con un piccolo salto di immaginazione, il corpo dell'altro appoggiato al proprio. E la cosa era destabilizzante per entrambi.
Ancora una volta, al piano di sopra, si levarono urla, grida e una mandria di elefanti sembrò essersi messa in movimento in ogni stanza. Jareth alzò gli occhi al soffitto perplesso.
“Certo che no!” rispose Sarah, approfittando di quella distrazione per ritrovare il sangue freddo e scivolare sotto il suo braccio per entrare nella propria camera. La stanza era, diversamente da quella degli ospiti, nei caldi toni del panna, con travature di legno a vista. Andò all'armadio a doppia anta scorrevole e lo aprì, cominciando a frugarvi dentro. Dopo qualche secondo, riemerse e notò che Jareth stava sul limitare della soglia “Avanti, entra!” disse sbuffando. Quell'uomo sapeva essere estenuante. Lui avanzò di un paio di passi dentro la stanza e la osservò: era spaziosa quanto l'altro ambiente. La porta si apriva tra l'armadio e i piedi del letto; una scrivania, attrezzata di ogni diavoleria elettronica, confinava con la testiera dello stesso e fronteggiava l'armadio in modo che, distesa, lei potesse allungare la mano per recuperare o poggiare un libro o un quaderno. Davanti al mobilio, posizionato ad U, c'erano ampie finestre basse che riversavano su un tappeto etnico la luce delle stelle. Lo spazio libero delle pareti era ricoperto di ripiani, rendendo claustrofobico l'ambiente: sembrava di precipitare nei condotti dei dimenticatoi ma, allo stesso tempo, si provava la sicurezza che potevano infondere le Mani Amiche. Qui e lì facevano ancora capolino piccoli poster e copertine di cd, dimenticati alla rinfusa per la stanza. Tra le due finestre, una gigantografia del labirinto di Esher, molto simile a quello in cui si era avventurata, anni addietro, alla ricerca disperata del fratello1. Lanciò un'occhiata al guardaroba: lei ci si era ributtata dentro con tutto il busto, alla ricerca di qualcosa di imprecisato. All'esterno rimanevano solo le lunghe gambe e il fondo schiena inarcato in modo terribilmente provocante, appena coperto da quel pezzo di stoffa grigio. Quando ne riemerse con un sospiro, aveva i capelli talmente spettinati che sembrava fosse stata in un pollaio fino a quel momento.
“Ecco qui...” disse, trattenendo sotto braccio qualcosa e porgendogli tre teli di spugna neri che lui guardò perplesso “Ma a palazzo come ti lavi? Non per farmi i fatti tuoi...” domandò sconcertata dalla sua reazione.
“Ho tre inservienti che mi lavano il corpo con olio di gladiolo nero2...” rispose automaticamente sollevando guardingo, con due dita, la stoffa “...e me lo asciugano con i loro capelli di ebano...” aggiunse allungando la mano ai capelli setosi di lei e portandosene una ciocca alle labbra.3
Dopo un attimo di sconcerto e imbarazzo, con un gesto secco, Sarah si riappropriò dei capelli, imbufalita: ora la prendeva anche per la sua schiava? Ma se era lei che l'aveva vinto? “Ti farai bastare quelli...” disse strappandogli di mano i teli, dimostrandone l'innocenza. Gli fece cenno di seguirla e si ritrovarono nel bagno, ora libero. Uno a uno, fece scivolare i teli nel radiatore a muro. “Quando avrai finito gli asciugamani caldi sono un toccasana...Se preferisci lavarti a pezzi...” disse indicando i diversi elementi in pendant “Piedi, inguine e corpo...per i capelli ti spiego dopo come si fa...” Mentre parlava così, andò a sistemare su un termosifone a parete altri due asciugamani bianchi “Questi sono per me” precisò acida. Quindi tornò alla doccia-vasca “Immagino tu sia abituato a fare il bagno: chiudi col tappo lì e fai uscire l'acqua così...” disse spiegando in modo pratico cosa dovesse fare. Lui la guardava divertito: sembrava stesse spiegando a un mentecatto come ci si doveva muovere in bagno. Ma lui conosceva molto bene il mondo umano, meglio di quanto lei stessa non pensasse. Gli illustrò il meccanismo che regolava il calore dell'acqua, i saponi “Non è difficile e non morirai.” quindi si congedò ma prima di chiudersi la porta alle spalle, si volse nuovamente a guardarlo “Ah...se prima di ficcarti dentro ti togli gli abiti e me li lasci fuori dalla porta te li lavo anche: ho pronta la lavatrice di nero e per domani sarebbero pronti, se la cosa non ti disgusta...Ultima cosa...” aggiunse piazzandogli in braccio un paio di indumenti “Questo è quello che ho trovato nell'armadio che può farti da pigiama...Sei abbastanza magro da entrare in questi pantaloni della mia vecchia tuta, forse...ma la maxi maglia dovrebbe andarti senz'altro...”
Lui smontò la piega dei capi e li studiò, ancora una volta, con sguardo scettico. “Grazie...” osò dire “Ma io dormo sempre nudo...” aggiunse con uno sguardo malizioso.
Se era convinto di imbarazzarla, aveva preso una colossale cantonata “Beh, vedete di farVi andar bene qualcosa, almeno per cena, Maestà. Ci sono anche bambini, di là. E cani famelici che potrebbero attaccarsi volentieri ai Vostri gioielli di famiglia.” Notando la faccia raggelata del bel biondo, Sarah si chiuse, baldanzosa, la porta del bagno alle spalle.
Jareth avvertì un'altra scossa di terremoto infantile e subito sentì anche la sua mora mettersi a urlare come un demonio a indirizzo degli abitatori del piano superiore. Sentì la porta aprirsi e un'altra aprirsi di scatto poco dopo, sbattendo, al piano superiore.
“Volete finirla! Quante volte ve lo devo dire che non si corre in casa? Dov'è Mary? Avete già cenato?” la voce della ragazza gli arrivò nitida e perentoria. Sorrise immaginandosela mettere in riga uno stuolo di quei bambini urlanti in cui era incappato solo poche ore prima.
Li sentì strepitare le loro scuse, addossandosi la responsabilità reciprocamente.
“Siete tremendi!” la sentì ridere “Però non sono mica io la vostra responsabile!”
“Mamma!!!” strepitavano allora quelli, disperati, che non capivano il tono scherzoso della ragazza “Non ci vuoi più bene??”
La sentì rassicurarli, amorevole e affettuosa come qualunque madre. “Avanti... vi preparo qualcosa di veloce! A patto che stiate buoni finché non arriva la tata...”
Un coro entusiasta, insieme a un coro di protesta, si levò a quelle parole “Non puoi rimanere tu? Sei meglio...”
“Resterei volentieri, ma oggi ho ospiti...” la sua risposta diede il LA a un coro compiaciuto “Il tuo fidanzato!!!” “Perché non lo porti qui??” “Anche Toby!!!” “Daiiii!!!!!!”
“Bambini...” la sentì dire comprensiva “Toby è stanco e anche il mio ospite. Che non è il mio fidanzato, sono stata chiara?” La risposta, come prevedibile, scatenò una reazione spropositata di malcontento generale.
Jareth sorrise tra sé. La sua Sarah era davvero una donna meravigliosa. E sarebbe stata, indubbiamente, una splendida regina.


Quando entrò in cucina, avvolto da una nuvola di profumo, indossando solo i pantaloni della vecchia tuta e coi capelli bagnati e gocciolanti, per poco Sarah non si distrasse al punto da tagliarsi un dito. Il bel ancora-per-poco-ex-mago aveva il fisico asciutto e muscoloso da nuotatore, proprio come se l'era immaginato dieci anni prima, danzando stretta a lui. Il pensiero che fosse completamente nudo, oltre quei pantaloni di cotone leggeri, la travolse mandandole il cervello in tilt. Come aveva già avuto modo di osservare nei lunghi anni successivi a quella notte, Jareth impersonava il suo personale dio del sesso. Non principe azzurro, amore romantico e struggente. Sesso e basta. Puro e semplice istinto. Che l'avesse creato lei, così, o che lui si fosse sovrapposto al modello di partenza non aveva alcuna importanza. Tutto in lui, dal carattere altero all'atteggiamento insolente al modo in cui la guardava, le ispirava solo bassi istinti. Da sempre. Inizialmente non aveva capito cosa fosse il subbuglio che l'accompagnava quando pensava a lui. O all'immagine che aveva di lui. L'aveva scambiato per amore. Ma l'amore era affetto, desiderio di protezione, rispetto, fiducia e complicità. Reciproci. E tutto quello mancava nel suo rapporto con lui. Altro che fidanzato. Ma conoscendosi, si corresse, sarebbe stata capace di sviluppare tutto ciò pur di avere accanto a sé quella dose costante di adrenalina e testosterone allo stato puro. Sarebbe stata capace di azzerare anche se stessa e il suo orgoglio, seppure per un breve periodo di tempo. E lei non voleva ridursi in quelle condizioni, a pietire l'affetto di un uomo tanto arrogante. Non voleva essere o sentirsi alla mercé di nessuno: doveva essere un rapporto tra pari.
Lei era diversa anche dalle sue amiche anche in quel tipo di rapporti: aveva bisogno di legami saldi e sicuri, che reggessero allo scorrere del tempo e cercava sempre di forzare rapporti fragili in partenza. Quando si accorgeva, dopo qualche mese, che la storia non girava bene, dal suo punto di vista, le ci voleva almeno altrettanto tempo per decidersi a mettere la parola fine sulla relazione. Pensava sempre di essere infantile, di essere legata a quell'immagine fanciullesca e distorta di cavaliere e di non riuscire, in realtà, a emanciparsi da essa. Quindi, tentava disperatamente di trovare quel qualcosa che le mancava, cercava di diventare matura dove pensava di non esserlo: lei non sarebbe stata come sua madre, non si sarebbe mai arresa.
Successivamente, dalla sua presa di coscienza sul rapporto in corso alla sua archiviazione, perdeva un sacco di tempo nel tentativo di abituare il compagno all'idea della separazione per non farlo soffrire, riempiendo il vuoto e la crudeltà che sentiva in sé di frasi ipotetiche. Ma tutti erano, irrimediabilmente, innamorati persi di lei. E questo la faceva stare doppiamente male perché sapeva cosa volesse dire separarsi non volenti da qualcuno che si amava.
Guarda che già sei mesi per troncare una storia sono troppi!” L'aveva sgridata Gloria quando l'aveva saputo. “Ti preoccupi fin troppo per gli altri
Ripensando a quanto sapeva del biondo, e alla luce delle nuove interpretazioni date alle sue parole, si disse che poteva imparare a volergli bene, a rispettarlo, a fidarsi di lui. D'altronde non aveva mai fatto nulla di apertamente scorretto.
Riapparire così, esattamente dieci anni dopo. Trovarsi nella stessa stanza, ancora una volta, tutti e tre assieme... scosse la testa per cacciare il pensiero idilliaco che andava formandosi nella sua testa. Ne era attratta e non lo negava ma avrebbero dovuto, eventualmente, lavorare molto su tutti gli altri aspetti. “Sarebbe una prova di grande maturità”
L'amore portava solo dolore: erano due facce della stessa medaglia e lei aveva già pagato abbastanza, no? Non voleva soffrire ancora. Sapeva di dover risolvere il suo rapporto insano e conflittuale con l'amore. Ma non voleva che fosse proprio con e per lui. Come emergendo da un sogno, si accorse che dalla radio della cucina provenivano malinconiche le prime note di Diamond and Rust 4.
“Iutrepi, falla finita!” sibilò seccata e la radio abbassò il volume
“Pensieri, mia cara?”disse Jareth andando a sedersi accanto a Toby, osservando cosa stava scribacchiando
Il ragazzino si aggrappò ai lunghi capelli del re e lo tirò delicatamente verso di sé “Lo sai che Sarah ha un potere?” bisbigliò all'orecchio
Jareth sorrise e stette al gioco “Nooo, davvero? Che potere?” disse a voce abbastanza alta perché lei lo sentisse
“La radio...” disse Toby lanciandole uno sguardo “Risponde sempre con le canzoni a quello che sta pensando...”
“Curioso...” disse l'altro trapassandola con un'occhiata, ripensando a come lei avesse eluso una delle sue precedenti domande5 “Ma, quindi...” tornò a confabulare “E' una strega! Va messa al rogo!”
“No che non va bruciata! Lei è buona! Non è mica brutta e cattiva...” Toby saltò in piedi, le braccia aperte a fare idealmente scudo alla sorella
“No, certo che no...” disse Jareth carezzandogli i capelli per calmarlo “Ma ricorda...”
“Nulla è come appare...” disse Sarah di spalle, sovrappensiero.
“Sì sì, lo so...” sbuffò imbronciato il biondino raccogliendo le sue cose “Vado a prendere gli altri libri...e ti porto il phon”
Rimasti soli, piombò un improvviso e pesante silenzio. La radio, pur non variando il volume, sembrava riempire tutto l'ambiente.
“E così hai paura di innamorarti, eh?” frecciò malinconico Jareth
“Io non ho paura di nulla...” replicò lei, dura, senza voltarsi, continuando a preparare la cena
“No, eh....” fu l'unico commento “Beh, se può consolarti io ne ho avuto una paura a dir poco mortale...” la informò lui con un mezzo sorriso, piantando gli occhi sulla sua figura. Lei continuava a dargli, ostinatamente, le spalle.
“Ah sì? Buon per te se l'hai superata...”
“Sì...superata, diciamo così...” ringhiò lui tamponandosi le estremità dei capelli con l'asciugamano.
“Sembra quasi che tu provi nostalgia per quello che c'è stato prima, per lo stato di cose che era...” osservò lei sempre più rigida. Ormai aveva smesso di trafficare col coltello. Ma il pane giaceva sul tagliere affettato solo per metà. Parlava forse di lei? Possibile che rivivesse quella manciata d'ore in sua compagnia con struggente languore? Che fosse davvero ancora innamorato e la sua riottosità lo facesse stare ancora più male dei suoi precedenti rifiuti? Non doveva farsi illusioni. Le aveva detto chiaro e tondo che gli interessava solo riavere il proprio regno. Eppure era così strana quella situazione: erano due estranei che si erano incrociati solo un paio di volte, dieci anni prima, e nonostante tutto c'era qualcosa di nostalgico che lo faceva apparire, ai suoi occhi, come un amico di vecchia data, come se tutti quegli anni non fossero mai trascorsi e il tempo di contatto tra loro fosse stato cento volte più ampio. Era davvero strano averlo fresco di doccia in cucina a parlare del più e del meno. O a fare confessioni di argomenti delicati e spinosi come quello.
“Figurarsi... tra le due non so cosa sia peggio...” replicò lui assorto.
Allora c'aveva preso? Lui stava male...per lei?
La radio impennò improvvisamente il volume, quasi gli stesse rispondendo in vece della ragazza.

Now you're telling me
You're not nostalgic
Then give me another word for it
You who are so good with words
And at keeping things vague

Because I need some of that vagueness now
It's all come back too clearly
Yes I loved you dearly
And if you're offering me diamonds and rust
I've already paid

[Ora mi vieni a raccontare/ Che non sei nostalgico/ Allora dammi un'altra parola per descriverlo/ Tu eri quello così bravo con le parole/ E a rendere le cose vaghe
Perché ho bisogno di un po' di quella vaghezza ora/ Tutto sta ritornando indietro troppo nitidamente/ Sì, ti amo, caro/ E se mi stai offrendo diamanti e ruggine/ Ho già pagato]

Jareth lanciò un'occhiata in tralice alla radio. Quella cambiò immediatamente brano. Sarah comunicava con quella? Avrebbe assecondato il suo gioco!
Note ancora più malinconiche e strazianti si profusero dall'altoparlante. Se Sarah credeva che le sue fossero solo parole usate per imbrogliarla, si sbagliava di grosso.

I've got more to lose, more to lose than you
Cause I'm the only one in love between us too
I know that I've been struck by lightning from above
Cause I've been killed by love 6

[Io avevo molto di più da perdere, molto di più da perdere rispetto a te/ Dato che ero l'unico innamorato tra noi due/ So di essere stato colpito da un fulmine da lassù/ Dato che sono stato ucciso dall'amore]

Jareth si accorse che qualcosa non andava: Sarah non reagiva, aveva piantato le unghie nei palmi e si poggiava sul bordo del piano di lavoro, le mani strette a pugno, quasi cercando di sostenersi.

I got a longer fall, a longer fall to take
Cause I'm a bigger fool with a bigger heart to break
You pushed me way to far, a push became a shove
And I was killed by love

[Presi una cotta tremenda (lunga caduta, gioco di parole non traducibile), la peggiore che si potesse prendere/ Dato che sono il più grande sciocco con il più grande cuore da rompere/ Mi hai cacciato via, un urto che divenne una spinta (anche qui...push e shove sono sinonimi....è come dire dalla padella alla brace)/ E son stato ucciso dall'amore]

Un'occhiata più attenta e la vide scossa da leggeri e silenziosi singulti. Piangeva? E perché?
Toby rientrò in quel momento. “Sarah, tutto ok?” domandò notando la tensione che intercorreva tra i due.
“Sì, tesoro...” disse sorridente. Non sembrava per niente una persona sull'orlo di una crisi di pianto “Senti...ora che lui ha finito, faccio la doccia...dovrei fare in tempo, prima che suoni il forno. Se suona prima, lo spegni, d'accordo? E lasci dentro...”
“Certo” disse lui quasi mettendosi sull'attenti.
“Ti affido la cucina...vedi di non bruciargli i capelli col phon, d'accordo? È delicatino. E vedi di spegnere Iutrepi...in questi giorni mi sta facendo impazzire...”



- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Bene ragazzi. Che dire? Spero abbiate apprezzato le scenette tra i due. E afferrato il modo di ragionare che ha la mia Sarah. Altri dettagli ma non tutti, in merito, verranno forniti nel prossimo capitolo.
Toby in questo frangente mi è venuto fuori più bambino del previsto. Ma non sono riuscita a fargli dire le stesse cose in modo più adulto =_= vabbè...facciamo finta che sia tutta colpa del fatto che è in quell'età di transizione tra l'infanzia e l'adolescenza che è la preadolescenza.
Vi aspetto la prossima settimana.
Ciaooo!













1    Se ve lo state domando è esattamente lo stesso poster del film: presuppongo che, cambiando casa, cmq si sia portata dietro qualcosa.

2    Non so se il gladiolo venga usato davvero in cosmetica ma io l'ho scelto per il suo valore simbolico: come l'orchidea è simbolo sessuale femminile, il gladiolo lo è per quello maschile ;)

3    Ebano inteso come colore ma anche come materiale. D'altronde il lino, il cotone e tanti altri materiali sono sempre fibre liberiane, estratte dalle piante. Ergo anche l'ebano, per quel che ne sappiamo noi del mondo magico, può essere trattato allo stesso modo e reso assorbente quanto gli altri materiali. I capelli, di per sé, asciugano ben poco anche se già nella tradizione cristiana compare la figura della Maddalena che asciuga i piedi di Cristo coi capelli... avrà un qualche principio di realtà, no?

4    Faccio riferimento al singolo originale di Joan Baez, Diamond and Rust. La stessa è stata interpretata anche dai Blackmore's Night (in chiave gipsy-folk, Ghost of a rose, brano 3), dai Judas Priest (in chiave rock, in Rocka Rolla, brano 11, in chiave hard rock in Sin After Sin, brano 2, riproposta in quest'ultima versione in Unleashed in the east, brano 6) e dai Thunderstone in chiave heavy metal.

5    Senza che andiate a guardare, la domanda in questione è “Non è successo nulla di...diciamo eccentrico, in tutto questo tempo?”

6    Alice Cooper, Along came the spider, 7. Killed by love

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Bugiardo ***


11- Bugiardo





L'acqua cadeva inesorabile, come sotto un nubifragio o sotto una cascata. Non le importava.
In quel momento il mondo sarebbe potuto crollare e lei non se ne sarebbe nemmeno accorta.
Stava in piedi, al centro del box doccia, il getto convogliato sulla sommità del capo, la testa pesante, le spalle cadenti ruotate in avanti, quasi si stesse spezzando sotto il peso di qualche forza invisibile.
Bugiardo” sibilò a denti stretti “Bugiardo” ripeté mentre calde lacrime salate confluivano nelle rigature lasciate dall'acqua che cadeva dall'alto sul suo volto.
Era tornato per rovinarle la vita. Quello era l'unico pensiero certo in tutta quella faccenda. Così come la propria solita stupidità nell'accettare subito e ingenuamente la sua sfida.
Si fece forza. Doveva uscire: ormai erano già dieci minuti che si nascondeva là.
L'avrebbe riportato a casa, si disse. Avrebbe fatto il suo dovere, si sarebbe pulita la coscienza. Solo, sperava di non compromettersi più di quanto già non fosse. Il suo cuore non avrebbe retto altri incontri ravvicinati. E la sua psiche nemmeno. Nessuno doveva avvicinarlesi. Lei non voleva nessuno vicino. L'essere umano era fatto per tradire e ferire, nonostante si prodigasse in belle parole o nel sistemare le cose a danno avvenuto.
Proprio come aveva fatto anche lei esattamente dieci anni prima. Nessuno era immune. Non doveva farsi illusioni. Gli esseri magici non dovevano essere poi tanto diversi.
La loro era la legge della Jungla, del più forte, una sorta di darwinismo sociale. Che prolificassero pure gli stupidi che non si ponevano alcun tipo di problema! Quelli come sua madre, che non pensavano affatto alle conseguenze dei loro gesti e consideravano i figli come bambole di cui ci si può stancare e mollare in un angolo.
No! Lei non avrebbe assecondato il capriccio egoistico che spingeva molti ad accoppiarsi pur di non sentire la solitudine: una scelta simile l'avrebbe portata alla limitazione delle proprie libertà, anche solo psicologiche. Finché si trattava di una storiella, poteva pure andare. Ma cose serie, come quelle che le venivano velatamente proposte ora...quelle no. Lei non voleva dover temere il tradimento da parte del proprio compagno o il suo abbandono, quindi evitava a priori ogni possibilità. Soprattutto nel caso in cui fosse diventata dipendente dal proprio compagno. E con Jareth c'era questa, non troppo remota, possibilità. Tra loro non c'era affatto parità. Forse le loro volontà erano uguali... ma lui aveva un fascino unico che sapeva ben sfruttare a proprio vantaggio mentre lei era così insicura...
Proprio per quello, negli anni, si era limitata a sognare ad occhi aperti gli amori travolgenti- che sapeva - impossibili dei propri libri. Perché la realtà era molto più deludente. Oltre che più crudele. Eppure Jareth...sì, Jareth ancora e sempre lui! Lui, solo lui, le dava l'impressione di poter vivere davvero in quel tipo di sogno. D'altronde, si corresse, lui le aveva sempre offerto i suoi sogni, quindi perché meravigliarsi? Si sentiva frustrata e malinconica per essere costretta a proteggersi in quel modo da sentimenti che potevano essere totalmente devastanti.
Respingeva con ogni sua forza un uomo che l'attraeva ma di cui non si fidava, che prometteva l'impossibile ma la trattava con freddezza. Perché non poteva essere qualcun altro a farle avere quel batticuore? Qualcuno di meno contorto!
Ma meno contorto avrebbe voluto dire, praticamente, banalità e noia assicurate.
Sembrava non essere più in grado di relazionarsi coi suoi simili...ma quando mai ne era stata capace? Aveva fatto subito amicizia con le creature dell'Underground mentre con gli umani manteneva una barriera invisibile.
Tradimento, sospetto, gelosia, violenza. L'essere umano era solo questo, ai suoi occhi.
Ma aveva il suo amato Marking che la consolava e con il quale sarebbe invecchiata. Gli animali erano più spontanei ed equi dei bambini. E non tradivano mai il padrone, il capobranco, nel quale riponevano ogni fiducia. Avrebbe tanto desiderato che, prima Merlino, ora Marking, potessero diventare persone reali per poterle stare accanto in modo adeguato.
Si diede della sciocca per avere avuto ancora ragionamenti così infantili. E realizzando che, se anche si fossero potuti trasmutare, avrebbero, probabilmente, assunto anche i tratti caratteriali umani, oltre all'aspetto, rendendo vano ogni cambiamento.
No. Lei stava benissimo così. Nessuna scocciatura ma anche nessuna avventura: se il prezzo da pagare per un piccolo brivido dovevano essere i propri cocci, ne faceva volentieri a meno.

Uscì dalla doccia e si avvolse nel grande telo bianco. Andò al lavandino per spazzolarsi i capelli e osservò la propria figura riflessa nel vetro opacizzato dal vapore. Forse era la stanchezza o gli avvenimenti della giornata ma i suoi occhi le stavano giocando strani scherzi. Nella sua testa echeggiarono nostalgiche le note di una canzone d'amore, languida e struggente. Si rivide, spaesata, in un abito da sera ottocentesco dai bagliori perlacei, avanzare tra la folla chiassosa. I lunghi capelli neri, sciolti sulle spalle nude, intrecciati di rami argentati.

As the pain sweeps through
Makes no sense for you
Every thrill has gone

Allungò una mano alla propria immagine sfocata e le punte delle dita toccarono la superficie fredda del vetro. Il sogno si dissolse: quello che era sembrato l'involucro di una bolla di sapone opalescente alla luce della luna era solo il vapore condensato che distorceva e sgranava immagini e ricordi allo stesso modo, dandogli un che di nostalgico e perfetto. Passò svelta il palmo della mano sul proprio riflesso un paio di volte, fino a sgombrarne buona parte da quelli che apparivano come artigli insidiosi delle nebbie dei propri ricordi, quasi potesse cancellarli davvero con quel semplice gesto.
Il dolore ormai non la spaventava più. Certo: cosa poteva succedere ancora? O di peggiore? Quali brividi poteva riservarle ancora la vita? A una come lei, che aveva cacciato le illusioni e i turbamenti delle novità dalla propria esistenza, che si nutriva solo di dolore, rimorso e fantasia?

But I'll be there for you
As the world falls down

Bugiardo!” ringhiò la sua mente “Bugiardo! Dov'eri quando ne avevo bisogno? Non sei mai venuto!”
Quando si accorse di essere nuovamente in lacrime, si affrettò ad asciugarsi e spazzolarsi i capelli, cercando di distrarsi da quell'improvviso impeto di rabbia. Non voleva ammetterlo ma quella era la realtà delle cose. Non si era mai illusa su di lui, su di lei...su di loro. Sarebbe stato proprio da stupidi. Ma quelle poche parole...sì, quelle l'avevano illusa. L'illusione di trovare un porto sicuro a cui chiedere asilo, ancora una volta, anche solo per una nuova sfida.
Sarò lì per te, quando il mondo attorno a te andrà in pezzi.
Come una bambina, aveva pregato dentro di sé che il suo peggiore incubo adolescenziale si materializzasse o che almeno le facesse visita di notte.
Eppure non si era presentato nessuno. Nessun barbagianni, nessun ragazzo alto e biondo.
Semplicemente era rimasta da sola, in piedi, sconvolta e travolta dagli eventi.
Per un attimo maledisse la sera di due giorni prima quando, prima di mettersi al guardare quello stramaledettissimo DVD che le aveva fatto venire gli incubi, si era lasciata prendere dalla tristezza, dalla solitudine. E da una canzone.

Half past twelve
And I'm watching the late show in my flat all alone
How I hate to spend the evening on my own
Autumn winds
Blowing outside the window as I look around the room
And it makes me so depressed to see the gloom
1

[Mezzanotte e mezza/ E sto guardando lo spettacolo in seconda serata nel mio appartamento, tutta sola/Come odio passare le serate da sola/ I venti autunnali/ Che soffiano fuori dalla finestra mentre io mi guardo attorno/ Mi deprimono così tanto da vedere l'oscurità]

Stava cucinando l'ennesimo pasto solitario quando Iutrepi le aveva proposto quella canzone che non sentiva da anni ma di cui conosceva le parole a memoria. E che, al momento, descriveva la sua situazione con un'impressionante realismo.

There's not a soul out there
No one to hear my prayer
Gimme gimme gimme a man after midnight
Won't somebody help me chase the shadows away
Gimme gimme gimme a man after midnight
Take me through the darkness to the break of the day


[Non c'è un'anima, là fuori/ Nessuno che possa udire le mie preghiere/ Datemi datemi datemi un uomo dopo la mezzanotte/ Non voglio qualcuno che mi aiuti a cacciare le ombre/ Datemi datemi datemi un uomo dopo la mezzanotte/ Che mi faccia attraversare le tenebre fino a giungere all'alba del giorno]

Sì... ricordò come avesse maledetto la propria condizione. Come avesse ripensato al viaggio di dieci anni prima. Ormai era assolutamente convinta si fosse trattato di un sogno. “But I'll be there for you As the world falls down” Lui non si era presentato, non sentiva la sua disperazione, non l'avrebbe aiutata né l'avrebbe trascinata nelle tenebre. Era stata una sciocca a sperare potesse essere qualcosa di diverso da un sogno. Poteva dire quello che voleva: la magia era solo una sciocchezza da bambini e nulla di quello che avrebbe detto si sarebbe mai avverato.

Movie stars
Find the end of the rainbow, with a fortune to win
It's so different from the world I'm living in

[Le star dei film/ Trovano la fine dell'arcobaleno, con una fortuna da vincere/ E' così diverso dal mondo in cui vivo io]

Quanto le faceva male quella constatazione, bruciava più dei suoi occhi che in quel momento si erano velati di lacrime. E alla fine, seguendo Iutrepi e le note ritmate, aveva ceduto e aveva fatto esattamente ciò che la musica diceva: era tranquilla, non c'era alcuna formula magica nascosta.

Tired of T.V.
I open the window and I gaze into the night
But there's nothing there to see, no one in sight
There's not a soul out there
No one to hear my prayer


[Stanca della TV / Apro la finestra e contemplo la notte/ Ma non c'è nulla, là, da vedere, nessuno in vista/ Non c'è un'anima là fuori/ Nessuno che possa udire le mie preghiere]

Era andata alla finestra, l'aveva aperta in modo che la brezza fredda la svegliasse dai suoi incubi. Le luci degli altri condomini erano tutte spente e i bambini erano già tutti a dormire. Gli adulti, spossati dalla vita a cui erano vincolati da quel complesso e dalla loro situazione, erano tutti addormentati. Solo lei non riusciva ad addormentarsi presto. Era davvero sola. Si era messa a cantare con voce disperata.

Gimme gimme gimme a man after midnight
Won't somebody help me chase the shadows away
Gimme gimme gimme a man after midnight
Take me through the darkness to the break of the day


[Datemi datemi datemi un uomo dopo la mezzanotte/ Non voglio qualcuno che mi aiuti a cacciare le ombre/ Datemi datemi datemi un uomo dopo la mezzanotte/ Che mi faccia attraversare le tenebre fino a giungere all'alba del giorno]


Gliene bastava uno solo, uno in particolare.
Ed era stata accontentata.
Lui le si era presentato il giorno successivo. D'altronde, cantando non aveva specificato l'ora, dopo mezzanotte, e così era stato. Ma non aveva nemmeno specificato chi è che voleva realmente. Forse si era trattato solo di un caso: lui sembrava essere nel mondo umano da molto tempo...O forse l'aveva evocato davvero...In ogni caso, per un attimo, un attimo fatale, parole e volontà erano state, finalmente, così potenti da rompere la sua corazza di ritrosia e lo schermo che separava magico ed umano. In seguito, si era completamente dimenticata di quello che aveva fatto, concentrata, com'era stata, a combattere il terrore provocato dal barbagianni del film.
Quando l'aveva visto in aula, svettare in tutta la sua altezza, i capelli biondi scompigliati sulle spalle, aveva pensato si trattasse di un'allucinazione, di uno scherzo che i suoi occhi si divertivano a giocarle. E come la prima volta che l'aveva visto, era rimasta sconvolta dalla sua bellezza e dall'aura autorevole che sprigionava.

Un leggero bussare la fece sobbalzare e la riportò alla realtà.
Era Toby che la informava di aver spento il forno e che cominciava a preoccuparsi per lei. Sarah sorrise dentro di sé. Doveva essere forte. Se non per se stessa, per Toby. Si infilò rapidamente il pigiama, che al contatto col corpo caldo e appena corroborato, sembrava fatto di aghi e non di soffice cotone.
Quando rientrò in cucina il caldo aroma delle lasagne al forno l'avvolse suadente e, per un attimo, fu in grado di cancellare le sue angosce. Non degnò Jareth nemmeno di un'occhiata né mentre serviva il pasto né mentre sedeva a tavola. Ma non poteva ignorarlo del tutto.
Toby sembrava aver sbloccato qualche ingranaggio e parlava a cascata di qualunque cosa gli venisse alla mente. E lui lo assecondava gentile e premuroso, si preoccupava dei suoi piccoli drammi e lo consigliava con saggezza e astuzia. Sembrava un padre col figlio. Forse si stava dimostrando più affettuoso e disponibile di quanto non lo fossero realmente i genitori che, intrappolati tra il lavoro e la gestione della famiglia, non riuscivano a essere troppo accondiscendenti nei confronti dei figli.
Quando finirono e si alzò per sparecchiare e servire la cioccolata calda, che aveva promesso a Toby la settimana prima, posò finalmente lo sguardo sui due biondi, cercando di restare impassibile davanti a quelle due paia d'occhi azzurri che la sconvolgevano, seppur per motivi diversi.
Toby, ascolta. Domani ritorni in collegio... noi dobbiamo partire...lo so che è una cosa improvvisa ma...” si interruppe notando il modo in cui la stava guardando il fratello. Non sembrava dispiaciuto ma, al contrario, affascinato. “Che c'è?” chiese perplessa. Quale parte di tutto il discorso non gli quadrava?
Andate a Goblin City?” chiese elettrizzato l'altro.
Sarah bevve un sorso di liquido caldo prima di afferrare cosa diavolo avesse blaterato il fratello. Quando lo fece, si ritrovò ad annaspare in cerca di aria, tossendo paonazza per il sorso andatole di traverso e che le aveva ustionato la faringe. E, in quel frangente, Sua Maestà Re Jareth restava tranquillo, come se nulla fosse successo. Anziché allarmarsi, osservava Toby con uno sguardo compiaciuto.
Scusa?” riuscì a sibilare quando la tosse si fu calmata
Sì sì” rispose entusiasta “Lui non è il re di cui mi raccontavi quando ero piccolo? Mi porti con te, questa volta? Ti prego!” era l'ennesima volta che glielo chiedeva. Negli anni le aveva chiesto più volte di accompagnarlo nell'Underground. Ma lei aveva sempre pensato si trattasse solo della fervida fantasia di un bambino alimentata dai suoi racconti. Ma ora, un paio di dettagli la lasciavano allibita. Era mai possibile che Toby avesse ricordi dell'Underground? Aveva davvero identificato il mago, come aveva fatto lei a suo tempo o era solo una sua proiezione (azzeccatissima) di un forte desiderio?
Lo sguardo sgusciò veloce su Jareth: anche lui, nonostante l'evidente ammirazione sul suo volto, sembrava perplesso.
Io l'ho sempre immaginato così...” commentò il bambino calmandola immediatamente. Folgorò il sovrano con lo sguardo, quando questi si volse a osservarla.
Che storia è che raccontavi?” chiese quello, sarcastico: era già a conoscenza del fatto che lei si dilettasse a quel modo ma ora aveva il pretesto per farla sentire in colpa. Si stava divertendo immaginando come e cosa, quale versione distorta, lei riferisse al bambino.
Se vuoi te la racconto!” si offrì il piccolo Toby “La so a memoria!” disse informando un Jareth sempre più divertito
D'accordo, Toby, fa quello che vuoi...” riprese la sorella “Ma torniamo a noi...”
Sì sì, ho capito..” rispose l'altro con aria di sufficienza “Torno in dormitorio...ma poi mi dovrai raccontare tutto!”
Ascolta, c'è un altra cosa...” continuò Sarah, glissando su quella promessa che non avrebbe mantenuto “Non so quando sarò di ritorno. Quindi, se ti serve qualcosa...”
No...” disse sbuffando come se fosse la millesima volta che gli veniva porta quell'offerta. “Non ho bisogno di nulla...state via quanto volete..io ho i miei amici lì, che non sono andati via...”
Quanto a Marking...?” soppesò osservando Jareth che la fissò negli occhi senza dire nulla “Credo...lo porteremo con noi...giusto?”
A quella richiesta di conferma, Jareth incrociò le braccia al petto “Sei sicura? Per me non è un problema....” disse alludendo alla capacità magica richiesta per spostarlo di dimensione “Ma potrebbe essere pericoloso...ricordi com'è...” La sua non era una domanda, era una constatazione.
Sarah annuì “Certo...ma lui può farcela!” rispose orgogliosa.
Piuttosto...” continuò il biondo sovrappensiero “Dimmi che hai un anello!”
Sarah e Toby lo guardarono perplessi “No, l'unico che avevo l'ho ceduto..anni fa...”
Bene, allora domani, prima di ogni altra cosa, andremo a compratene uno...” sentenziò lui poggiando il tovagliolo sul tavolo e alzandosi in piedi, decretando la fine del discorso.
Ma Sarah non era certo una ragazza che si lasciava comandare così a bacchetta: gli anni l'avevano solo indurita, da quel punto di vista “Eccerto!” sbottò alzandosi anche lei per sparecchiare “Perché me ne faccio molto! E soprattutto i soldi li tiro fuori dal cilindro, io!”
Ne hai bisogno, credi a me!” Jareth non aveva ancora fatto il callo a essere contraddetto e la fissò gelido “E non ti preoccupare per i soldi...” aggiunse dopo un attimo.
Andiamo Toby...tu devi andare a letto presto...” disse la ragazza, sorvolando sulle parole di Jareth. Le serviva un anello? E perché mai? Si fosse almeno degnato di darle una spiegazione.
Me la leggi una storia?” chiese quello mentre, con la sorella, usciva dalla stanza, lasciando Jareth da solo.
Non sei più un bambino piccolo...” sbuffò lei alla richiesta. Comprendendo di essere stata troppo sbrigativa e dura, cercò di indirizzare la frase in modo meno offensivo “Che ne dici di cominciare a leggere qualcosa di più...da grandi? Ti do il permesso di scegliere uno dei miei libri...” propose facendogli l'occhiolino
Ma Toby mise il broncio “E dov'è il divertimento?” protestò mentre lei lo faceva accomodare in camera sua.
Che poi possiamo parlarne...come fai coi tuoi compagni con i cartoni animati... ciascuno con la propria interpretazione...se te lo leggo, la magia svanisce...”
Sarah era stata abile: aveva toccato le corde giuste dello spirito competitivo del fratello.




- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Ciao a tutti...
ecco che comincio a spiegare, con la dovuta calma, il perché dell'atteggiamento freddo di Sarah nei confronti di Jay. Un po' alla volta saprete tutto.
Come diceva Saliman nel suo Labirinto di Specchi, spesso chi scrive ha il bisogno di affrontare temi che gli stanno a cuore. Nel mio caso, ho il pressante bisogno di parlare-in qualche modo già accennato in Il labirinto visto dal Castello- di come si sentano i figli di una coppia 'scoppiata'. Sento troppo spesso ragionamenti egoistici di donne (soprattutto) che se ne fregano della reazione delle loro azioni nei confronti dei bambini (in generale, la non curanza degli effetti secondari di ogni azione, mi da fastidio..il 'non ci ho proprio pensato', dandomi l'idea di persone concentrate solo e unicamente, in modo egoistico, su loro stesse. Posso capire un po' di distrazione, nessuno è perfetto..ma su certe cose riterrei opportuno andare coi piedi di piombo. E sentire delle adulte dire che pretendono siano i bambini a dover capire i comportamenti degli adulti..beh...non mi sembra corretto. Perché spesso, queste donne, solo le prime che NON hanno subito questo tipo di violenza. Sinceramente mi domando se si rendano conto di cosa succede nella mente di queste persone, anche adulte. Io ho la fortuna di avere i genitori uniti, ma ho moltissime testimonianze, non sbandierate al vento, ovviamente, di ragazzi che, per quanto di primo acchito sembrino accettare ogni situazione, in realtà soffrono per la situazione. Per un aspetto o per l'altro: perché preferirebbero cmq la famiglia unita anche se litigiosa, perché non sopportano le intrusioni di questo o quel compagno in una relazione che dovrebbe essere esclusiva coi genitori, perché sentono cmq il tradimento anche nei loro confronti da parte di un genitore che, vivendo staccato, se ne frega di loro (più o meno apertamente), e perché, fondamentalmente, non hanno un vero punto di appoggio, sentendosi quasi un peso per il genitore che cerca di rifarsi una vita.
Il problema io lo sento molto vicino, nel senso che non solo sono circondata da amici che cmq si trascinano dietro questo passato con cui hanno più o meno fatto pace, ma mi pongo nell'ottica del “e se toccasse a me? (o fosse toccato, in caso fossi stata figlia) Come mi comporterei/mi sarei comportata?”
Molti fatti di cronaca nera, tra l'altro si legano a queste situazioni familiari. Non sono a scuola per poter, in qualche modo, assistere i ragazzi, ma mi arrivano comunque testimonianze drammatiche. E in qualche modo, anche solo esternando le mie angosce e ragionando su di esse, spero di essere utile...o far riflettere...o puntare l'attenzione su una situazione che viene, spesso, data per assodata, scontata...normale. Ma i ragazzi non sono adulti, non ragionano e non sentono allo stesso modo. E spesso gli adulti sono più infantili ed egoisti dei ragazzi. Vorrei poter dire loro: Non siete soli e gli adulti non sono tutti uguali.

Dopo questa filippica chiudo...scusate, magari vi sarà sembrato un discorso falso e artificioso ma è davvero una cosa che mi angoscia e cerco, in qualche modo, nella scrittura, di esorcizzare questa paura.
(anche se non mi segue, ringrazio Ludovica, con cui, al riguardo, ho avuto una profonda discussione :* e ovviamente anche Federica <3 )

Torniamo a noi....La storia dell'anello: preciso, per chi non avesse letto la fic precedente, che do per scontato che per Jareth sia un potente talismano mentre Sarah non ne sa assolutamente nulla...a suo tempo, verrà spiegato anche questo.
:)

Ora vi lascio sennò mi ammazzate...
a presto... :) coi fuochi d'artificio XD
e ricordate...di mezzo c'è ancora una notte.. XD
ciaooooo








1 ABBA, Gimme! Gimme! Gimme! (A Man After Midnight)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** E di notte... ***


12- E di notte...





Messo a nanna Toby, Sarah tornò in cucina per finire di sistemare. Jareth era ancora lì, appoggiato al termosifone come il primo momento in cui l'aveva visto in casa.
E tu che ci fai ancora qui? Sei umano, fila a dormire!” Disse cominciando a lavare i piatti.
Hai la fastidiosa abitudine di comandare tutti...compreso il sottoscritto! Non mi piace.” commentò lui
Non devo piacere a te, o sbaglio?” rispose lei, inviperita “E comunque, ora sei mio ospite, a scrocco, e sei umano...io sto cercando di essere gentile e di preoccuparmi per la tua salute...”
Una dopo l'altra, con rapidità e sicurezza strabilianti, le stoviglie sparivano nello scolapiatti e, in breve, anche i fornelli furono immacolati.
Beh, dolcezza...vedi di cambiare atteggiamento, io sono il Re di Goblin e tu non sei affatto carina...” la rimbeccò Jareth, rimanendo comodamente a guardarla
Sentite, Maestà...” sbottò, lanciando la spugna insaponata nel lavandino “E' casa mia e faccio quello che voglio. Vuoi il mio aiuto? Questo è il prezzo: una campionessa arrogante!” sputò con livore “Ho avuto un buon maestro! La prossima volta cercatene una più mansueta, come piace a te...” ringhiò esasperata, accusandolo. Tornò subito alla sua occupazione e all'ultimo rimasto, il forno, mordendosi la lingua: bella cosa rinfacciargli che avrebbe preferito non incontrarlo dopo che era stata lei a evocarlo. E se il passato non fosse stato quello... non l'avrebbe mai nemmeno incontrato, nel bene e nel male.
Gradirei non ripetere l'increscioso evento...” rispose lui, tutt'altro che offeso. Quelle parole, percepì, avevano dato sollievo al cipiglio e sciolto appena i movimenti della controparte. Certo, aveva detto che incontrarla era stato un errore. Ma, si rese conto, aveva anche alleviato implicitamente la gelosia che in quel momento, probabilmente la stava dilaniando: non ne avrebbe cercato altre. Sarah era così limpida ai suoi occhi, un vero libro aperto.
Si staccò dal termosifone, le mani strette tra loro dietro la schiena, e cominciò a girarle attorno, studiandone ogni movimento “Vedi...Credo che, anche da umano, sarei stato un uomo poco abituato ai rifiuti...” puntualizzò, lamentevole.
Modesto...” replicò lei istintivamente
...Ben lieto di potermi cimentare con una sfida ma... con il dovuto rispetto...” Finì, poggiando le mani sulla cassa dell'elettrodomestico, intrappolandola, mentre lei richiudeva il forno.
Troppo semplice, Maestà” Erano soli. Sarah se ne rese conto solo in quel momento: era stata così presa dal rassettare che non aveva calcolato una mossa del genere da parte del biondo. Si voltò, piano, a fronteggiarlo “Vedi... Se tu fossi stato un misero essere umano, saresti già finito agonizzante a terra con un calcio nei...” si trattenne dallo scadere in volgarità, quindi alluse solo con una rapida alzata di sopracciglia e uno sguardo fugace verso il basso “...o in gattabuia!” Disse sorridendo il più malignamente che poté.
Ma Jareth non si fece spaventare “Oh sì, certo...e cosa ti trattiene dal tentare di attuare almeno la prima delle opzioni, mia cara?” disse prendendole una ciocca di capelli scuri e sistemandogliela dietro l'orecchio per poi osservarla, compiaciuto della sua opera.
Quella vicinanza cominciava a metterla in agitazione “Non...non voglio altri pesi sulla coscienza!”
Dì che non puoi...perché è quello che vuoi, vero?” Disse suadente, puntellandosi la mano, ora libera, sul fianco
Non posso perché voglio cosa, di grazia...?” chiese accigliata incrociando le braccia al petto, quasi potesse proteggersi, dal suo fascino e da se stessa, con quel semplice gesto.
Non puoi farmi del male, perché mi vuoi, non è vero? Non mi faresti mai del male...” I loro volti, i loro corpi... erano pericolosamente vicini. Di nuovo. L'ultima cosa che voleva, era che lui popolasse i suoi sogni in modo più vivido di quanto già non avesse fatto fino a quel momento.
Un pensiero, rapido come una saetta e violento come un pugno, l'abbagliò: durante la precedente esperienza lui non le aveva mai torto un capello. Si era limitato a spaventarla, aveva lasciato che si arrangiasse o che si facesse male con le sue trappole: nulla di più. Ma ancora non se la sentiva di ammettere che, forse, c'era dell'altro “Non è che quello è uno dei tuoi desideri, Mon Chéri?” disse lei, facendo il verso a quanto aveva domandato lui solo poche ore prima.
Aveva ripreso il controllo della situazione e, forte di essere -forse- sulla buona strada, lo lasciò lì, a fissare il forno lucido, mentre andava a spegnere la luce al fratello.


Solo, nella grande stanza simile a quella in cui aveva rapito Toby dieci anni prima, Jareth non riusciva a prendere sonno. Sarah l'aveva liquidato, mollandolo in cucina e lasciandogli il compito di spegnere la luce. Si era barricata in camera, lasciandogli intendere che dovesse andarsene a letto.
Era ormai mezzanotte e la luce della luna filtrava dalle veneziane, illuminando a giorno l'ambiente.
Era sotto lo stesso tetto di Sarah, a dividerli solo una fragile parete e non più i chilometri del labirinto. L'aveva studiata per tutta la sera. Nei suoi occhi aveva letto desiderio, lo stesso, immutato desiderio che le aveva visto al ballo. Ma allo stesso tempo c'era paura, freddezza, determinazione che insieme costituivano un'armatura invalicabile: faceva tanto la dura ma quel suo atteggiamento sprezzante e scostante nascondeva solo la sua fragilità e il suo sempre crescente bisogno di amore e protezione. Negli anni si era fatta divorare dalle sue paure e non dai suoi sogni. Aveva scacciato con troppa foga la sua offerta e l'idea di una troppo facile esistenza felice per gettarsi in un gorgo di difficoltà. La vita non era giusta e con lei e Toby era stata particolarmente cattiva. D'altronde, lui sapeva benissimo come la vita fosse una bilancia che alla fine pareggia sempre i conti: tutto aveva un suo equilibrio e le esperienze che lei aveva vissuto, se da una parte l'avevano ferita e traumatizzata, dall'altra l'avevano anche resa accogliente nei confronti degli altri. L'attaccamento, che i bambini dell'agglomerato le avevano dimostrato, era solo un acconto della giusta ricompensa che l'attendeva.
Sbuffò indisposto, si alzò dal letto e si affacciò sul corridoio. Dalla porta socchiusa della stanza di Sarah, la calda luce di un'abat-jour sciabolava l'oscurità: era ancora sveglia, intenta a leggere chissà quale romanzo d'avventura.
Bussò con garbo allo stipite “Senti, Sarah...?” cominciò. Ma dall'interno non avvertì alcun movimento né, tanto meno, risposta “Sarah?” chiese scostando appena la porta ed entrando. D'altronde non c'era più alcun vincolo al non oltrepassare la soglia: “Avanti, entra!” aveva sbuffato quando lui, poche ore prima, si era piantato sul limitare della stanza.
La ragazza giaceva su un fianco, il libro aperto nella conca delimitata dal ventre, la testa appoggiata sul braccio che doveva sostenerla e che invece fungeva da guanciale, i capelli neri sciolti ordinatamente alle sue spalle. Vederla così indifesa lo fece sorridere. Le prese il libro, segnando il punto in cui era arrivata, spense la luce e si sedette nello spazio prima occupato dal libro. Un ringhio sommesso giunse dall'angolo della stanza e due occhi gialli gli si piantarono addosso, aggressivi.
Jareth sollevò un sopracciglio osservando seccato il grosso cane nero “Sai benissimo che non le farò nulla di male...” sibilò. Il cane si acquietò e trottò vicino a lui, poggiandogli la grossa testa sulle ginocchia. Il mago sollevò gli occhi al cielo: non c'era nulla da fare, non poteva nascondere la sua vera indole agli animali. E ai bambini. Sbuffò piazzandogli pesantemente la mano tra le orecchie e carezzandolo. “E sai che non è di me che devi aver paura, vero?” disse lanciando un'occhiata in tralice oltre la finestra.
Sì. Lui si stava decisamente facendo i fatti loro ed essere così monitorato lo indispettiva non poco. Il cane parve capire al volo il messaggio nascosto nelle parole di Jareth e si scostò bruscamente da lui, andando ad acciambellarsi sotto la finestra. Il mago sorrise compiaciuto: quel lupo aveva già capito chi fosse il nemico comune e l'avrebbe aiutato, disturbandolo quanto bastava. Quella mossa gli diede un'idea così brillante che si mise a ridere sguaiatamente, incurante della ragazza addormentata al suo fianco. “Tu me lo permetti, vero?” disse al cane che rispose con un grugnito. Si alzò, girò su se stesso e tornò ad acciambellarsi dando loro le spalle: che facessero quello che volevano.

Jareth si chinò su di lei, accostando la bocca al suo orecchio.
Sarah...?” chiamò mellifluo “Lo so che sei sveglia...”
Per tutta risposta lei si rigirò nel letto, di scatto, dandogli le spalle. Jareth si accigliò. Quindi riprovò. “Sarah... dimmi la verità...io ti attraggo, non è vero?”.
Quella biascicò un qualcosa di indistinto e lui le chiese di ripetere “Sì sì” urlò quasi seccata, cacciandosi la coperta fin sopra la testa.
Jareth sorrise tra sé. Le scostò le lenzuola fino a scoprirle gli occhi. Quindi riprese a parlare “Perché non me lo dici?” chiese poggiando la guancia sul palmo della mano aperta. Era divertente giocare a quel modo con quella ragazza.
Perché no!” fu la risposta seccata
E ora? Che faccio?” Pensò “Mmmm...” mugugnò divertito, scoprendola piano, un centimetro alla volta, senza mai toccarla “E....non mi vuoi?” chiese sfiorando il suo collo con le labbra
No!” ribatté prontamente lei, girando la testa altrove. Le guance le si erano imporporate e il respiro si era accelerato impercettibilmente.
Chissà perché non ti credo....” Sghignazzò soffiandole all'orecchio. “Di che mi vuoi...” suggerì con cattiveria.

Quella notte Sarah sognò. Sognò a lungo, vividamente, come non le capitava da anni. Quando le prime luci del mattino filtrarono attraverso le tende, schiuse gli occhi, crogiolandosi e al contempo vergognandosi di quanto aveva sognato. Che cosa strana...lei non era il tipo da ricordare i sogni, eppure...ne era stata contenta.
Doveva essere l'effetto di quel nuovo e inaspettato incontro con il biondo sovrano che aveva reso possibile la formulazione di un sogno tanto vivido. E il tepore di Marking, acciambellato alle sue spalle, stretto contro il muro, come al solito, la cui criniera le solleticava la nuca, aveva contribuito a dare un senso realistico, troppo realistico, al proprio sogno. “Dai, Mark! Su, forza!” sbadigliò con bocca impastata “E levami la coda di dosso!” disse prendendo con poca cura l'appendice che le cingeva la pancia. Era stranamente liscia e setosa...non sembrava la coda folta e soffice del cane.
Non fece in tempo a domandarsi cosa gli fosse successo quando lo vide sbucare dalla porta e andare a darle una leccata sulla faccia, poggiando le grosse zampe pelose sul bordo del letto.
Mark!!!” strepitò Toby nell'altra stanza: cercava il cane che subito si dileguò, veloce come era comparso.
Il cervello della ragazza era in loop: se non era Marking a farle tutto quel caldo...
Alzò il piumino, cercando di girarsi su se stessa. Ma, prima di notare il braccio maschile che le cingeva la vita, notò la propria nudità.
E' stato solo un sogno! E' stato solo un sogno!E' stato solo un sogno!” continuava a ripetersi, come un mantra, mentre si voltava del tutto, sgomenta, terrorizzata, scandalizzata.
Cosa aveva combinato la sera prima?
Steso accanto a lei c'era il suo ospite, profondamente addormentato e...nudo anch'egli. Almeno dalla vita in su. Non osò spostare oltre lo sguardo, troppo confusa e imbarazzata. Ma lui le aveva detto chiaramente come dormisse a casa sua.
Il cervello continuava a non connettere: erano loro due, nudi, a letto assieme, di prima mattina. Lei aveva un perfetto estraneo, affascinante e bellissimo, nel proprio letto. Un uomo che poteva essere il sogno di qualunque ragazza, che a tratti aveva popolato anche i suoi, di sogni, in un'infatuazione adolescenziale.
Era davvero l'uomo che aveva incontrato dieci anni prima? Poteva dirlo con certezza? O era un sosia e lei aveva fatto qualche tremenda cazzata spinta dal senso di euforia per quei dieci anni finalmente trascorsi dal suo viaggio fantastico? Era così malata da voler festeggiare un anniversario immaginario? Ma anche fosse stata la stessa persona...cosa le era saltato in mente? Erano comunque due estranei. Ma era sicura di quello che era successo? Con lui non si poteva mai stare tranquilli, forse era stato solo uno scherzo di cattivo gusto.
Il sogno di quella notte le tornò prepotentemente alla mente, facendola arrossire fino alla punta delle orecchie. Doveva concentrarsi: cosa aveva fatto, senza ombra di dubbio? Non ricordava di averlo chiamato in camera né che lui vi fosse penetrato. Stava leggendo, ne era certa. Si volse appena, distogliendo l'attenzione dalle lunghe ciglia del biondo, dalla sua bocca invitante come il taglio sul pane appena cotto, dai suoi capelli dorati, fitti e fini, che gli conferivano un'aura di magnificenza anche nel sonno. Sul comodino, il suo libro giaceva chiuso in ordine, col segnalibro nel punto in cui, finalmente, i due amanti si incontravano di nuovo.
No, pensò. Doveva essere un trucco...lui le aveva manipolato i sogni, attingendo da quel libro, come aveva fatto dieci anni prima, facendole credere che fosse stato tutto vero. Ma perché? Per prendersi poi gioco di lei, sicuramente! Era così determinato a farla capitolare? La sconfitta e l'indifferenza che lei, a soli 15 anni, ignorante in materia amorosa, aveva dimostrato, gli bruciavano ancora così tanto?
Eppure, anche l'atteggiamento di Marking era stato strano. Se lui avesse fatto tutto ciò, contro la sua volontà, di sicuro il cane l'avrebbe protetta. Invece, sembrava quasi aver ubbidito a un ordine, accettando l'estraneo in camera.
Si stava arrovellando concitata su quella questione da appena un minuto che Jareth, sotto di lei, sentendosi osservato aprì gli occhi, per nulla sorpreso di trovarla e trovarsi lì.
Buon giorno, dolcezza...” disse sorridendo, senza malizia, con un certo calore nostalgico negli occhi, cercando di tirarla nuovamente a sé. Ma lei, così come lui l'aveva dipinta anni addietro, si raggelò, fulminandolo.
Cosa cavolo ci fai nel mio letto?” domandò astiosa, pronta a prenderlo a pedate per la nonchalance con cui stava reagendo a quella strana situazione.
Subito anche lui cambiò registro e si fece aggressivo “E' questo il trattamento che mi riservi dopo...” in un baleno il suo sguardo si fece malizioso, indicando i loro corpi stesi sotto le lenzuola, e un ghigno sardonico gli increspò le labbra.
Non c'è stato proprio niente! Quindi ora fila fuori di qui!” ordinò lei perentoria.
Si domandò come mai non stesse urlando, tirandosi le coperte fin sopra il naso ma riuscisse ad affrontarlo così tranquillamente senza dare in eccessive escandescenze. Ma forse la sua reazione così gelida era dovuta a una fondamentale parità: erano nudi entrambi. E proprio per quello l'avrebbe ucciso volentieri.
Strega!” Replicò lui indispettito ma fece quello che gli era stato ordinato. Si alzò bruscamente in piedi sul letto, incurante di tutto, scoprendo anche lei, che gracchiò appena per la sorpresa, cercando di riagguantare le coperte per restare coperta. Lui la scavalcò con un balzo e andò alla finestra, scrutando oltre il vetro, assorto, quasi cercasse qualcosa di preciso. Le diede le spalle per tutto il tempo necessario a che lei si ricomponesse, dopo un primo momento di esitazione. “Spero, almeno, di essere stato all'altezza delle tue aspettative, nonostante ora sia solo... umano” soffiò con una velatura di tristezza nella voce. Sarah strabuzzò gli occhi e per poco non si strozzò con la saliva: che avesse davvero fatto qualcosa di irreparabile? Quel che le faceva più male, in quel momento, era il suo tono sofferente, più straziante di quello che aveva quando lo rifiutò alla fine del loro gioco e che la faceva sentire più colpevole dello sguardo che aveva quando lei l'aveva piantato al ballo.
No, si disse, stava solo cercando di farla sentire in colpa, di piegarla al suo volere. E se invece fosse stato tutto vero? Lei l'aveva praticamente usato?
Si vergognò di se stessa e gli lanciò i pantaloni della tuta che giacevano a terra insieme alle ciabatte e al suo pigiama. “Ci sono minorenni in giro, vedi di coprirti!” disse sgusciando fuori dal letto, pronta ad andare dal fratello. Si fermò un attimo, perplessa e scostò le coperte, in cerca di qualche traccia.
E' inutile!” rispose lui senza voltarsi “Non tutte...”
Prima che lui potesse finire la frase, lei uscì di corsa dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle, colma di vergogna.
Rimasto nuovamente solo, Jareth tornò nella camera degli ospiti e si ributtò nel letto sfatto. Si fece i complimenti per il poco tatto che aveva avuto l'accortezza di usare: ora lei lo odiava realmente. Come poteva darle torto?
Conoscendola, l'avrebbe odiato ancora di più, giunti alla fine di tutta la faccenda.
La realtà era che lui la stava usando e ingannando: per tornare, per riavere i suoi poteri... e per soddisfare, in minima parte, il desiderio che aveva di lei.
Con un lieve frusciò, Marking trottò in camera, i panni puliti stretti nelle fauci. Abbattuto, Jareth trovò nel cane un'insperata consolazione e lo ringraziò con un paio di pacche sul collo. “Sì...tutto bene...” disse quasi rispondendogli “Ma ora ho il dubbio che sia stata una mossa avventata.”

Toby e Jareth consumarono insieme al ricca colazione. Sarah non si fece vedere per tutto il tempo, apparentemente impegnata a preparare i bagagli al fratello.
Quando comparve nell'ingresso era ora di uscire per andare alla stazione.
Sarah...” la chiamò Jareth prima che lei prendesse in mano le chiavi di casa “Possiamo parlare un secondo?” Vedendo il suo sguardo allarmato correre al fratello, si affrettò a specificare “Per l'anello...” rettificò seccato.
Cosa?” domandò lei, visibilmente rilassata ma minimamente intenzionata a smuoversi da lì
Voglio un foglio di carta...me lo puoi procurare?” disse allora lui, con la solita arroganza. Senza rispondergli, lei scomparve nel corridoio e poco dopo ne riemerse con un paio di fogli bianchi presi dalla risma della stampante.
Che ci devi fare?” chiese Toby incuriosito, dando voce ai pensieri della sorella
In qualche modo andrà pure pagato, no?” rispose lui piegando il foglio con cura e strappando poi lungo il segno, ottenendo tanti piccoli rettangoli bianchi che ammonticchiò con cura, piegò e mise in tasca
Non voglio nessun regalo da te!” sentenziò Sarah inviperita
Jareth la guardò di traverso “Non è un regalo! Diciamo che è un prestito...Quando sarò a casa potrai farne ciò che vorrai ma per ora ne hai assoluto bisogno!”
Toby spostava lo sguardo perplesso da uno all'altra, senza afferrare la natura del contendere: adulti!
Andiamo!” disse Sarah seccata, afferrando la mano del fratello e avviandosi giù per le scale, lasciando che Jareth li raggiungesse insieme a Marking.




- - - - - - - - - - - - - - - - - -


Bene, un capitolo più leggero, no?
:D “Non maleditemi/Non serve a niente/ tanto all'inferno ci sarò già
E se vi state chiedendo chi è Lui io ho la bocca cucita...basti sapere che è il cattivo della storia. :) al dodicesimo capitolo forse era il caso di cominciare a parlarne...quanto a quello che è successo durante la notte...lascio a voi libera interpretazione... hanno combinato o no? È stato un sogno?
Vi dico solo che io non ho ancora deciso XD
ma cmq c'è un perché ...e lo saprete solo alla fine XD
quindi...vi lascio alle vostre succulentissime uova di cioccolata...
buona abbuffata a tutti!
ciaooo

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** It's a nice day to start again ***


13 - It's a nice day to start again




Jareth aveva imposto che l'anello (perché doveva essere assolutamente ed inderogabilmente un anello: non un bracciale una collana o un paio di orecchini) fosse di materiale prezioso e non di volgare plastica, legno, osso, vetro o simili in quanto quei materiali non avrebbero avuto, a suo dire, i requisiti per convogliare al loro interno i principi magici che necessitava il fantomatico amuleto.
E non aveva voluto proprio sentire parlare di banco dei pegni: a suo dire, gli oggetti ceduti portavano in sé il rancore dell'abbandono. Un po' come i cani al canile che, più che soffrire per la solitudine, soffrivano del senso di inadeguatezza che avvertivano nell'essere stati accantonati dal loro stesso branco. Inoltre, in quel luogo non era ben chiaro chi avesse posseduto quegli oggetti in precedenza e quale fosse la storia a cui erano legati. Loro dovevano poter contare su un amuleto forte e potente, spoglio di qualunque influenza esterna a meno che non ne fosse accertata la natura benefica. Ma coi suoi poteri limitati, Jareth non era in grado di operare tale selezione e optare, quindi, per un artefatto nuovo di zecca era la scelta più saggia.
Una volta imbarcato il bambino, con tutte le raccomandazioni del caso, i due si diressero, quindi, verso la gioielleria più vicina: le commesse conoscevano Sarah per tutte le volte che aveva accompagnato amiche e amici a comprare regali e Jareth era sicuro che l'avrebbero trattata con riguardo, essendo quello il suo primo acquisto. E sarebbe stato, indubbiamente, un acquisto di un certo valore.
Nonostante la spavalderia, era comunque evidente come fosse, per lui, la prima volta che metteva piede in un posto simile: nessuno, nemmeno un claustrofobico si sarebbe innervosito a quel modo per il passaggio obbligato nell'anticamera a doppio battente. Erano gli unici clienti, quella mattina, e la commessa si precipitò subito da loro, cordiale come tutte le volte che Sarah vi era entrata.
Voglio un anello. Per lei.” disse lui senza preamboli, con la solita arroganza reale che Sarah aveva quasi dimenticato gli appartenesse. Anzi. Dopo l'atteggiamento quasi remissivo del giorno prima, ora le suonava come estremamente scortese.
La ragazza al di là del bancone tralasciò il tono cafone con cui si era espresso l'uomo, abituata a gente di ogni tipo, affascinata dai suoi occhi spaiati e dalla sua bellezza generale, invidiando profondamente la giovane mora al suo fianco. Mise a loro disposizione tutti i pezzi che avevano in laboratorio: fedine, solitari... propose loro addirittura un tirapugni firmato da una grande casa di moda.
Scegli con giudizio!” disse in un soffio, rivolto a Sarah. Anche avesse potuto portare con sé l'anello che aveva recuperato anni addietro, quello dorato con topazio incastonato che lei aveva donato al saggio come ricompensa per il suo aiuto, quello stesso non sarebbe andato bene: lei era cambiata e quell'anello non la rappresentava più.
Infatti, Sarah scartò subito gli anelli dorati, mostrando una predilezione per l'antisettico argento, il metallo di chi è emotivo, ipersensibile, alla ricerca di protezione. Alla fine scelse un anello con una forma particolare e una combinazione insolita di colori: un granato del rosso della combattività, una coppia di acquamarine dell'azzurro dell'ingenuità e dell'insofferenza ai legami e una bellissima onice nera, tipica delle personalità inquiete, attratte dall'occulto e dai meandri dell'inconscio. Lo calzò sul medio della mano destra: le stava alla perfezione e l'insieme di colori freddi ne esaltava l'incarnato.
La commessa sogghignò divertita “Va messo sull'anulare sinistro...”
Ma Sarah le rispose per le rime, infastidita, informandola che non si trattava di un anello di fidanzamento e che stava benissimo dove si trovava.
Jareth, dal canto suo approvava appieno: il medio, il dito delle persone prudenti e malinconiche, la mano destra di quelle attive, dotate di grande volontà.
No...” disse, scuotendo la testa, pronta a sfilarselo “Fammi guardare ancora...” e nel dirlo i suoi occhi già vagavano sull'espositore in cerca di qualcos'altro.
Perché?” domandò Jareth corrucciato, bloccandola nel suo intento
Perché non è il tipo di anello...adatto a me, ecco...io sono per cose più sportive, pratiche...semplici... non... pacchianate simili...” rispose imbarazzata ed estremamente onesta con se stessa “E' ingombrante..lo romperei subito!”
Allora perché l'hai provato?” domandò lui, piatto, di rimando, fissandola gelido.
Perché...era carino...mi piaceva questa forma un po' bizzarra...” disse osservando meglio il musetto della pantera che si protendeva da una delle estremità della serpentina1.
Ti avevo avvisato di scegliere con giudizio!” la rimproverò lui
Sì sì...ora lo faccio...scusa tanto se... era la prima volta che avevo il pretesto per provarlo...” ribatté lei indispettita
Cos'è che fai, ora?” domandò lui, incredulo, acchiappandola per la collottola della giacca e trattenendola dal toglierselo
Mi metto alla seria ricerca di quello giusto!” rispose lei offesa per venir trattata come una bambina
Non se ne parla neanche!” replicò il biondo, frapponendosi tra lei e la commessa “Quanto viene?” domandò sicuro.
La commessa snocciolò il prezzo a quattro cifre con noncuranza. Sarah sbiancò, più pronta di prima a rinunciare a quell'anello, anche se ormai, cosa che non avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, lo sentiva come suo.
Jareth infranse il sorrisetto divertito della commessa che certo non si aspettava di riuscire a vendere un pezzo tanto importante “Può lasciarci soli un secondo?” disse con tono di chi deve convincere la controparte che quella che si accingevano a pagare era una somma da nulla.
Quando la commessa si fu dileguata di buon grado, Sarah lo trapassò con uno sguardo carico di sconcerto “Non me lo posso permettere!” sibilò Sarah esasperata, non sapendo più come fare per farlo desistere. Marking diede un'abbaiata di disapprovazione, quasi volesse dirle di avere un po' di fiducia nell'uomo accanto a lei.
Ma è lui che ti sta chiamando quindi...ora dimmi...Fammi finire!” la zittì bruscamente vedendo come lei fosse nuovamente pronta a replicare “L'hai messo al dito istintivamente. Va benissimo! Ora fa ciò che ti dico, una volta tanto.” Stavano per mettersi a urlare e Jareth dovette fermarsi per riprendere il controllo di se stesso. “...Mostrami i tuoi soldi...” disse meccanico. Sarah ubbidì e mostrò il contenuto del suo portafogli. “Quanti di questi pezzi di carta ci vorrebbero?”
Sarah, perplessa, fece rapidamente due conti e mostrò la banconota del taglio più grande che aveva “All'incirca...una dozzina di queste...”
Jareth sbuffò come se gli avesse appena detto la cosa più stupida del mondo e a lei ricordò molto il modo in cui si era atteggiato, a suo tempo, prima di indicarle il castello in cui avrebbe trovato Toby. Tornarono al bancone e Jareth chiamò la ragazza a cui disse un semplice, compiaciuto “Lo prendiamo!”
Sarah non poteva non guardarlo come fosse un indemoniato: cosa gli stava passando per il cervello? Quell'anello non era adatto a una come lei e, in più, non avevano soldi!
Presa dal panico, non si accorse nemmeno dei magheggi del biondo: aveva estratto dalla giacca i pezzi di carta che aveva tagliato a casa e li aveva posati sul bancone, la mano aperta a raggiera a coprirli e, quando la commessa si era voltata per battere lo scontrino, credette di avere le traveggole: quelli che erano semplici pezzi di carta bianca fino a un attimo prima, ne era certa, l'istante dopo erano una mazzetta di banconote come quelle che lei gli aveva mostrato. La commessa non batté ciglio nel vedersi pagare una somma simile con tutti quei contanti. Li controllò con l'apposita macchinetta, quindi consegnò loro resto, scontrino e scatoletta.
Una volta all'aperto e abbastanza lontani, Sarah non poté fare a meno di domandare dove si fosse procurato quei soldi.
Magia...” borbottò Jareth sventagliandole la mano davanti al naso, quasi a farle marameo.


Prima di partire, Sarah aveva espresso il desiderio, che a Jareth era suonato più come un ordine, di passare a salutare i propri amici.
Il sabato mattina non c'era mai molta gente in università: c'erano le lezioni di recupero e poche lezioni ordinarie, che la maggior parte degli studenti snobbava completamente, soprattutto se veniva dalla provincia.
Al loro passaggio, com'era prevedibile, la folla di matricole si spalancò per farli passare: tra Jareth e Marking2 sembrava essere una qualche principessa con la propria, mortale, scorta.
La ragazza si sorprese a constatare come Jareth, effettivamente, pur con poteri molto limitati, avesse la capacità di mettere soggezione a chiunque.
A tutti tranne che a lei. E a Toby.
Si domandò, per l'ennesima volta, se le parole che lei gli aveva rivolto, vincendo la precedente sfida, non avessero davvero colto nel segno. Ma la domanda successiva prevedeva una serie di risposte una più inquietante dell'altra a cui, per il momento, non voleva nemmeno pensare.
Si trovarono ben presto all'aperto del chiostro. Sarah si guardò attorno, cercando i suoi compagni. Furono loro a individuarla urlando il suo nome dalla finestra dell'aula studio che si affacciava sulla piazzetta. Sgusciarono fuori dalla finestra uno dopo l'altro, correndole incontro tutti agitati. Quando la raggiunsero e notarono il biondo alle sue spalle, seduto svogliatamente in attesa, si congelarono seduta stante, senza osare nemmeno più respirare.
A quel punto, fu lei a farsi avanti.
Sarah, per l'amor di Dio!” urlò Gloria, quando fu abbastanza vicina, afferrandola per il polso e tirandola verso di loro, quasi potesse, con quel gesto, metterla al riparo. “Cosa ci fai qui con lui?”
Oddio, Gloria...!” rispose seccata per il trattamento ricevuto: non era una bambina e lei non era sua madre “E' un mio...conoscente...” disse con voce flebile, ripensando a come si fosse svegliata quella mattina
Ora si dice così?” mugugnò Jareth ad alta voce, alle sue spalle, per farsi sentire. Sarah, avvampando, lo ignorò.
Sono stata io a dirgli dove trovarti..spero non...” disse ancora la bionda, piena di sensi di colpa.
Ma la mora scosse la testa, comprensiva “E' tutto ok...” disse sorridendo “Volevo solo dirvi che...beh ecco...io oggi non vengo a lezione...e che...ecco...parto...nulla di impegnativo...” credo, aggiunse tra sé
Ma...e il piccolo Toby?” sbottò Matt inviperito
E' ripartito stamattina per il collegio...Marking, invece, viene con noi...”
NOI?” strepitarono quelli in coro “Ma mica starai partendo con lui, vero?”
Ehm...Sì...” disse, incerta, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzata
E quello cos'è?” domandò sospettosa Jess prendendole la mano con prepotenza e osservando l'anello nuovo di pacca “Di chi è?” chiese con fare cospiratorio. Sarah intese immediatamente che sospettavano, ancora, una tresca col professore e ne fu oltremodo seccata: quello l'aveva comprato con....
Mia cara, vedi di non farti scippare subito l'anello che ti ho appena comprato...” ringhiò la voce di Jareth direttamente al suo orecchio, improvvisamente vicina, facendole dimenticare il proposito di non pensarlo in veste romantica. Si voltò perplessa mentre il gruppetto, bianco in volto, arretrava impercettibilmente. “Hai finito?” chiese spazientito.
Sì, quasi...” disse fredda.
I ragazzi erano a dir poco ammirati dalla disinvoltura con cui lei gli rivolgeva la parola e con cui osava metterlo al suo posto. Ma ancor più, dal dettaglio succulento riguardante l'anello...e che anello!
Che altro devi fare?” la rimbeccò lui seccato
Sbaglio o non avevamo alcuna fretta?” lo zittì lei “Devo parlare col mio professore...” rispose infine.
Sta arrivando adesso...” piagnucolò Sam alle spalle di tutti.
A nessuno, però, Jareth compreso, era sfuggito il modo in cui Sarah aveva parlato del docente anche se non c'era stato tempo per approfondire l'argomento.
Sarah, noi torniamo a studiare, che siamo presi con l'acqua alla gola, vero?” chiese Jess al gruppo che rispose con un cenno affermativo perfettamente coordinato: tutto pur di evitare di passare un solo altro istante insieme a quell'uomo tanto terrificante.
E' stato bello conoscerti...” disse Gloria abbracciandola per ultima.
Hey..non sto andando al patibolo...parto solo per un paio di giorni...” replicò indispettita.
In quel momento, a Gloria squillò il telefono, impedendole di replicare.

It's a nice day to start again
It's a nice day for a white wedding
It's a nice day to start again

Take me back home
There is nothin' fair in this world
There is nothin' safe in this world
And there's nothin' sure in this world
And there's nothin' pure in this world
Look for something left in this world
Start again
Come on
3

[E' un bel giorno per ricominciare/ E' un bel giorno per un bianco matrimonio/ E' un bel giorno per ricominciare
Riportami a casa/ Nulla è giusto, in questo mondo/ Nulla è inattaccabile, in questo mondo/ E nulla è certo, in questo mondo/ E nulla è puro, in questo mondo/ Cerca qualcosa che dimenticato in questo mondo/ Ricomincia/ Avanti]

Sarah la guardò sconcertata. Era un caso? O Iutrepi stava completando per lei, a modo suo, la frase lasciata in sospeso? Gloria alzò gli occhi al cielo “E' per stasera... All'ultimo ho cambiato festa...” disse guardando il piccolo monitor che lampeggiava “Beh, richiamerà...Anche se l'ho cercato io...ora devo salutare te, che sei più importante!”
Gloria...tutto bene? Quando hai cambiato suoneria?” Sarah era perplessa. It's a nice day to start again. Non voleva andarsene prima di aver chiarito quei dettagli con l'amica.
Gloria le sorrise triste, spostò un attimo lo sguardo su Jareth per poi tornare a guardare lei “Non sempre, nella vita, tutto va come ci si aspetta, no? Per quanto tu provi a sforzarti...Ma tutto bene, non temere...Ne parliamo quando torni.” le disse all'orecchio in modo che solo lei la sentisse. Quindi la salutò nuovamente e scappò via con gli altri.
Dopo mi spieghi!” sibilò a Jareth mentre si avviava incontro al professor Grimm.
Buongiorno, Sarah..” la salutò lui, cordiale.
Sarah non fu poi molto sorpresa dalla reazione dell'uomo nell'incontrare Jareth. Gli tese la mano, affabile come sempre, ma quando Jareth la strinse, sbottò, con una punta di acidità, “Oh, l'eroe!” lo canzonò, per nulla intimidito “Che nome curioso...da dove deriva?” chiese facendo il finto tonto “Dallo stilista4, dalla tradizione biblica o da quella dei cicli bretoni? Oppure...dal famigerato re dei Goblin?”
E il tuo, onnipotente Manny Manolo5? Dal filosofo tedesco?” replicò indispettito il mago, senza rispondere. Qualcosa non gli quadrava nell'uomo che aveva di fronte e non solo perché sapeva dell'esistenza dei Goblin.
Lascialo perdere!” sbuffò Sarah esasperata, rivolta al moro, e quasi spintonando il biondo da parte “Resta qui un secondo, buonino, ok?” disse trattandolo come il più insulso dei marmocchi. Jareth, offeso, incrociò le braccia e si ributtò a sedere
Sarah cos'è questa storia?” domandò curioso il professore.
Sarah lo trascinò in un giro attorno al chiostro, durante il quale gli spiegò, il più sinteticamente possibile, l'evoluzione che aveva subito la situazione la sera prima, di come se lo fosse trovato comodamente appollaiato in cucina e di come avesse acconsentito a riportarlo a casa “Non vedo l'ora che sia tutto finito...in una manciata d'ore mi son già pentita di aver accettato... ma l'alternativa era che mi si piazzasse a casa vita natural durante...”
Mi raccomando...fa attenzione, allora!” la incoraggiò lui, annuendo greve alla sua esternazione.
Certo...volevo parlarti proprio per dirti di non preoccuparti se non dovessi sentirmi nei prossimi giorni...”
Hai finito?” urlò Jareth dall'altra parte del giardino, calato nella parte del peggiore dei cafoni e col tono possessivo tipico delle persone gelose. O dei sovrani viziati.
Dopo cinque minuti, durante i quali continuò a ignorarlo e a non rispondere alla domanda, Sarah fu di ritorno, visibilmente alterata. “Possiamo andare, ora!” disse astiosa vedendo come anche Marking si fosse venduto a Jareth e ne fosse diventato praticamente lo zerbino, tranquillamente steso ai suoi piedi.
Si avviarono, senza meta, per le stradine che si diramavano dal campus finché Sarah non si riscosse, mettendo da parte l'arrabbiatura. “Come ci arriviamo, nell'Underground?”

Era ora che tornassi tra noi...” le rispose l'altro ghignante per farsi poi subito serio “Stiamo andando in un posto dove nessuno possa sorprendersi se spariamo all'improvviso...siamo quasi arrivati!” Svoltarono per una miriadi di strette stradine, sempre più imbucate e di cui Sarah non sospettava nemmeno l'esistenza. Si trovarono, infine in un vicolo cieco, chiuso sul fondo da un portone inutilizzato dell'università su cui non si affacciava nessuna porta o finestra.




- - - - - - - - - - - - - - - - - -

E' stato abbastanza arrogante e cafone il caro Jareth? Spero di sì. Il mio intento è quello di mostrare come il mondo umano possa aver esasperato certe sue caratteristiche. D'altronde gli umani sono solo stupide e fragili creature...
Ad ogni modo...nel prossimo capitolo siamo definitivamente nell'Underground. :)
Quindi...a presto!!!









1 E' la pantera di Cartier. http://www.alfemminile.com/orologi-gioielli/anelli-con-animali-d23947c299626.html
Ho modificato i colori (e spalancandone le fauci) per adattarlo alla necessità. E se vi state domandando perché proprio un anello così improbabile... beh...la pantera, nei bestiari, ha un significato ben specifico: dalla bocca emana un profumo con cui ammalia e vince tutti gli animali (tranne il drago!)
Qualcuno di voi avrà notato che il simbolo di Cartier è maculato e non nero..infatti sulla pantera c'è un po' un casino. Mi spiego e parto dall'origine, cioè dal Leopardo (Panthera pardus). Ancora oggi c'è l'errata identificazione nella stessa specie di grandi felini quali Ghepardo e Giaguaro. Sinonimi, nel tempo, sono il Pardo e Pantera: il primo è usato tradizionalmente per i leopardi asiatici mentre il secondo è stato spesso esteso ad indicare altri animali della stessa famiglia, come il puma e il giaguaro, entrambi americani. Nel linguaggio corrente è usato per riferirsi specificamente alla varietà Pantera Nera. Quest'ultima non è un animale a sé stante ma descrive semplicemente ogni esemplare di leopardo che ha la particolarità di possedere il manto di colore nero (o fortemente maculato) per un eccesso di pigmentazione (melanismo).
Dunque, non è il Leopardo a essere una varietà di Pantera (come si potrebbe pensare dal nome) ma esattamente il contrario. E il simbolo di Cartier resta un Leopardo o meglio, una
Panthera Pardus.

2 In molti paesi all'estero i cani possono entrare ovunque ù_ù quindi, passare un attimo in portineria non è certo un problema.

3 Billy Idol, Billy Idol, 2. White Wedding

4 Gareth Pugh. Per gli altri nomi, rimando a Il labirinto visto dal castello, capitolo 7. Presa di coscienza

5 Sono due varianti del nome Immanuel al pari di Manuel, Emanuele, Imanol, etc. Manny, però, è spesso usato anche come dispregiativo. Manolo Blahnik, è il celebre stilista spagnolo di calzature femminili...quindi nelle intenzioni di Jay c'era anche quella di dargli dell'omosessuale (stereotipo legato al mondo della moda).
Ah, dimenticavo. Non l'ho mai messo prima ma il significato di Immanuel, “Dio è con noi”. Attenzione però. Grimm vuol dire “Chi è feroce/oscuro”. I nomi dei due celebri fratelli, Jacob e Wilhelm, invece, hanno il significato, rispettivamente “colui che tallona, sta appresso” e “guardiano determinato” (ma anche “desiderio protettivo”). Divertitevi pure con le interpretazioni.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Underground ***


14- Underground






Musiche d'arpa, flauto e di cembalo1 riecheggiavano fino ai piedi della piccola cittadella rimessa a nuovo e serpeggiavano tra le stradine divenute dei mercati all'aperto.
La vitalità contraddistingueva ora Goblin City che per lungo tempo era rimasta sepolta sotto il peso della noia e del senso di ineluttabilità conseguente alla crescente diffidenza umana nei confronti del magico.
L'arrivo, e la vittoria, di un'umana, però, aveva rivoluzionato ogni cosa. Non solo aveva dato speranza alla loro stessa esistenza ma aveva addirittura alimentato la credenza dell'avvento di un prossimo stravolgimento nel mondo magico. Tutti lo sapevano, tutti ne parlavano. Nessuno ci aveva mai creduto seriamente. Fino a che lei non aveva annullato il precedente sovrano. Non aveva solo vinto il gioco, riprendendosi suo fratello come da accordo: l'aveva schiacciato sotto la sua determinazione. E una sconfitta simile non era mai stata nemmeno concepita. L'errore di Jareth, d'altronde, era stato quello di tirare troppo la corda, conscio anch'egli di quella remota e insperata possibilità di cambiamento.
Le piccole abitazioni erano state, quindi, raddrizzate e non erano più addossate le une alle altre come tante scatole zuppe d'umidità in una cantina polverosa. Erano tanti blocchi bianchi, ordinati e asettici, disposti in cerchio alla base del castello2. Anch'esso aveva mutato aspetto: la forma scolpita nella roccia, appena abbozzata, si era evoluta in un'elegante spirale a doppia elica, la superficie liscia e ricoperta di delicate maioliche sembrava riflettere la luce del giorno, mentre di notte assumeva la consistenza traslucida delle creature marine fotoluminescenti3. Era il vero emblema, e omaggio, alla luna: come tutto, anche quell'aspetto dell'Underground viveva di luce riflessa di ciò che filtrava dall'Aboveground, dalla foggia dei vestiti alle architetture moderniste. Tutto esprimeva la dicotomia che intercorreva tra i due mondi, uno solare e vitale, uno oscuro e ctonio.
Non a caso all'Underground erano associati i luoghi altri delle credenze popolari, i regni infernali delle religioni. E solo pochi dei suoi abitanti avevano l'abilità, le conoscenze e le autorizzazioni per evadere dai confini che lo delimitavano a proprio piacimento. Tali confini erano, inoltre, sorvegliati costantemente per impedire evasioni non incontrollate nel mondo umano o, viceversa, ingerenze di quello sul mondo magico.
Dal palazzo, oltre le tortuosità del labirinto, giù in lontananza, si potevano scorgere le montagne che facevano da spartiacque tra i due mondi4: il regno di Goblin era la testa di ponte di tutto l'Underground.
Maestà, Maestà!” l'urlo rauco e sregolato di un vecchio Goblin5 spelacchiato riecheggiò nei corridoi vuoti e lucenti del palazzo. L'armatura sferragliava rumorosa assecondando i movimenti bruschi e impacciati della creatura che finiva per pattinare sulle mattonelle bianche in prossimità delle curve, a causa della velocità raggiunta nella corsa. “Maestà!” ansimò cadendo in ginocchio davanti al trono a baldacchino.
L'uomo, stravaccato sulle gambe di una bella donna discinta dai capelli corvini, lo guardò annoiato, quasi furente, mentre lasciava che lei gli arruffasse i capelli “Che vuoi?” biascicò
Maestà...il principe Jareth... con la campionessa!” sbrodolò il luogotenente togliendosi l'elmo cornuto, cercando di riprendere fiato.
Non mi dici nulla di nuovo...so benissimo dove si trova, lui, adesso...” disse seccato
No, volevo dire...Maestà...stanno varcando i confini dell'Undergound. E sono accompagnati da un grosso cane nero...”
L'uomo arricciò il naso, indispettito “Dannato cane...” sibilò. Quindi levò una mano sopra la testa, quasi volesse schermarsi gli occhi dalla luce della sala. Nella sua mano comparve un prisma irregolare dai bagliori violacei. “Toh...” sbottò tirandosi bruscamente in piedi e cacciando di malagrazia la donna che sedeva con lui “Levati!” le intimò per poi tornare al suo cristallo al cui interno si muovevano le tre figure “Riesco a vederli, finalmente...” esultò. Sentendosi addosso lo sguardo indagatore del suddito, levò gli occhi indispettito “Che c'è?”
Sua Maestà non riusciva a....” ebbe l'ardire di cominciare quello
No!” rispose seccato il sovrano, storpiando il suono prodotto, come un bambino dispettoso “Perché quello stronzo si è tenuto vicino il cane di proposito... Ed è noto che i nostri poteri, in presenza di simili creature, vengono vanificati, nell'Abovegound...ma ora...” disse cominciando a ridere sguaiatamente. “Jay, Jay...che trucchetto da poco...hai solo rimandato di qualche ora l'inevitabile...”




Un passo, un altro e un terzo ancora e, gradualmente, come le altre volte, il mondo circostante cambiò aspetto e si trovarono nell'Underground senza che potessero dire, con precisione, quando fosse avvenuto la transizione da un mondo all'altro.
Jareth si avviò giù per il pendio sabbioso lasciando che Sarah gli trottasse alle spalle.
Il paesaggio antistante il labirinto non sembrava cambiato dalla prima volta che vi era passata. Ricordava tutto come non fosse passato che un giorno.
Hoggle non era nei paraggi e la cosa la rattristò. Si disse, però, che il tempo scorreva diversamente nei due mondi e che lui non poteva sapere quando e se sarebbe arrivata davvero. Sarebbe stato, quindi, stupido pretendere che dormisse all'addiaccio per aspettare l'ipotetico arrivo di un fantasma. Al suo posto, in compenso, le piccole fatine infestavano le mura del labirinto come un nugolo di zanzare avrebbe circondato una pozza d'acqua in estate.
Questo è solo uno degli effetti della tua vittoria. E dell'abbandono del ruolo che ti spettava...” commentò Jareth leggendole nella mente. Sembrava cercare qualcosa tra la terra rossa e polverosa che scacciava con lo stivale mentre con la mano sventolava l'aria attorno a sé per liberarsi da quegli esseri fastidiosi.
Marking, intanto, si dimenava, tutto felice, all'inseguimento di quegli esserini: saltava, agitando le zampe nel tentativo di farli precipitare o sbattendo i denti in morsi che andavano a vuoto; quando ci riusciva, raspava il terreno tutt'attorno cercando di farli ruzzolare su loro stessi; ogni tanto guaiva per i morsi che riceveva lui e, allora, si accaniva con ancor più determinazione contro quegli esseri svolazzanti, girando su se stesso come impazzito, inseguendoli.
Oh, ecco..” disse il mago chinandosi a terra. Dalla polvere lo vide sollevare degli strani oggetti lucenti, lunghi quanto un braccio. Sembravano morbide piume stilizzate ma composte di qualche lega metallica particolare: rilucevano e ondeggiavano a ogni minimo movimento.
Si volse e gliene porse una. “Cominciamo con le regole” disse appendendo la sua al passante della cintura “Se ti sentissi in pericolo, per qualunque motivo, fossi anche io ad attaccarti, vedi di non esitare a usarla, intesi?” lei lo guardò scettica. “E' un pugnale6. Ed è stato forgiato dalle mie piume7.” la informò orgoglioso. “Puoi portarla pure al collo, miniaturizzata, fai tu. Comunque, quando...” cominciò che lei lo interruppe bruscamente.
Piume? Non mi sembra proprio tu abbia piume!” il tono scettico e canzonatorio della ragazza mandò Jareth su tutte le furie.
La trapassò con un'occhiata gelida. “Dimmi, Sarah...” la sfidò incrociando le braccia al petto “Tu sai, vero, che i maghi hanno un sembiante e/o un familiare?”
Certo che lo so!” rispose sulla difensiva.
Sai la differenza tra i due?” domandò ancora lui. Ancora una volta, dubitava seriamente che quella ragazza ne sapesse abbastanza per affrontare l'Underground.
I familiari sono..diciamo.. gli aiutanti animali8...mentre il sembiante è la forma animale che può assumere un mago o uno stregone9. Anzi...normalmente i rapaci notturni sono considerati universalmente sembianti specifici degli stessi. Altre razze magiche sarebbero associate ad altri animali in base alle caratteristiche della loro specie o dei loro poteri...”
Altre razze...” soffiò Jareth stizzito “Vediamo di non confondere i maghi con le creature che loro stessi governano...” Sarah lo guardò dubbiosa, non capendo il motivo di tanto risentimento “Complessivamente hai risposto correttamente..dunque non ti resta che un passaggio...se io sono un mago, avrò anche un sembiante, giusto?” Lo sguardo della mora, a quelle parole si fece preoccupato “Un sembiante alato...da cui le mie piume...ti tornano i conti, mia preziosa?” disse con un velo di derisione nella voce.
Il barbagianni....” mormorò lei mentre i ricordi del passato le si rovesciavano addosso “Prima che Toby venisse rapito...” alzò su di lui lo sguardo stralunato “...sotto il temporale... e quando sono ritornata a casa...Eri tu?” Il sorriso compiaciuto dell'uomo davanti a sé fu una risposta più che eloquente. Ora si spiegava la paura che da dieci anni l'accompagnava alla vista di quel particolare animale: il terrore di poter perdere ancora qualcuno a lei caro, di dover affrontare una sfida al di sopra delle sue capacità... “E io...anche se li consideravo inquietanti, a me piacevano i barbagianni, fino a dieci anni fa...aveva detto solo due giorni prima ai suoi compagni di corso. Non aveva mai associato razionalmente le due figure...
Le sue elucubrazioni furono interrotte dalla voce dell'uomo davanti a sé “Quando la impugnerai desiderando che diventi un'arma, si indurirà.” Aveva ripreso “Altrimenti resterà morbida come ora....”
Io non diventerò mai un'assassina...” replicò velenosa lei, studiando l'arma, incerta sul da farsi, già dimentica della spiegazione sulla doppia natura di lui.
Sì, certo...” disse l'altro senza prestarle troppa attenzione “Ne riparleremo... Ad ogni modo, il possesso di un'arma e la possibilità di doverla sguainare per difenderti non ti trasformano automaticamente in omicida. Anche se ferisci, amputi, deturpi...Non. Uccidi.” scandì. “Dunque...” disse tornando all'argomento di partenza, considerando quello chiuso “...Sempre a causa tua, siamo obbligati, guarda un po', ad attraversare il labirinto.” sentenziò puntellandosi le mani sui fianchi, guardando il muro che li separava dal dedalo di strade.
E io cosa c'entro, adesso?” sbottò la ragazza che si sentiva accusata ingiustamente mentre rigirava il pugnale tra le mani. Il desiderio che si rimpicciolisse e si potesse appendere al collo venne improvvisamente esaudito sul flusso dell'emotività mossa da quell'accusa.
Tu, mia cara ragazza, hai scelto di entrarci...” vedendo la sua espressione confusa, mentre si infilava l'arma al collo, decise di specificare “Hai solo 13 ore per superare il labirinto prima che il frignante marmocchio diventi uno di noiripeté a memoria “Non ti ho mai detto di entrarci. Potevi benissimo aggirarlo. Come hai fatto alla fine: sei passata dalla Palude all'Isola dei Sogni, raggiungendo la città dalla parte che non affacciava sul labirinto”
Ma io credevo...” disse lei strabuzzando gli occhi
Come sempre... Dai molte, troppe cose per scontate, no? Ora capisci cosa voglio dirti?” disse allargando le braccia esasperato. Stare nel mondo degli umani l'aveva reso meno criptico e più incline a fornire spiegazioni, seppur col tono e la gestualità imperiosa di chi non accetta di essere contraddetto “Fidati e fa ciò che ti dico: conosco questo posto come le mie tasche. Non agire mai di tua iniziativa: consultami sempre, prima!”
Lei incrociò le braccia al petto in segno di sfida “Nonostante tutto, però, ce l'ho fatta. Da sola, nella mia stupidità e nella mia istintività.”
Senti...” stava perdendo la pazienza ma cercava di mantenere i nervi saldi: avevano un labirinto da risolvere assieme e litigare non era un buon presupposto per farlo serenamente “Al di là del fatto che le cose, ora, siano cambiate...Pensi davvero che ce l'avresti fatta se io non fossi intervenuto?”
E quando mai l'avresti fatto? Sentiamo, sono proprio curiosa!” lo sfidò lei, mani ai fianchi, mento in alto
Chi pensi abbia mandato il nano nelle segrete? Io, se ancora non l'avessi capito.” Disse marciandole contro e prendendo poi a girarle attorno come un rapace che aspetta ansioso che la preda cessi di lottare inutilmente con la morte “E chi, di nuovo, ha lasciato che, sempre il nano, venisse a salvarti dai Firey? E vogliamo parlare della sfera in cui ti avevo inglobata, per proteggerti e portarti al sicuro, entro le mura del castello?” Sputò sbattendo nervosamente le mani lungo i fianchi.
Quella lo guardò perplessa, non riuscendo ad afferrare a cosa potesse fare riferimento.
Il ballo, Sarah...” specificò irritato. O stare nell'Underground l'aveva rincretinita o davvero non aveva mai collegato le cose che lui ora le stava ricordando.
Lei sembrò sorpresa, quasi le venissero aperti gli occhi verso un arcobaleno per la prima volta. Ma subito la sua espressione si indurì “Tu!!! Sei stato Tu??? Ecco perché Hoggle era tanto...disperato!” sbraitò, ricollegando, in un attimo, tanti diversi dettagli a cui non era riuscita a dare una corretta visione d'insieme “Io...non ho ricordi di cosa sia successo prima del ballo, ma suppongo tu mi abbia drogata in qualche modo! Mi avevi fatto dimenticare tutto! E l'avevi costretto ad aiutarti...” sottolineò schifata
Ovvio che non ricordi come siano andate le cose: ho interferito con la tua memoria a breve termine. Ma...” Lui le riservò un'occhiata glaciale “Sbaglio o a suo tempo avevi capito una cosa: che nulla, al mondo, ti è dovuto e che tutto ha un prezzo? Quello lo era per la tua incolumità. Non sarei stato il solo a doverci fare i conti anche se, al momento, ero l'unico che poteva intervenire e, te lo concedo, esercitare una qualche influenza su di te” Aveva detto una mezza verità. Ma lei non poteva saperlo: lui aveva tentato di condizionarla intenzionalmente. “Dunque...ti riformulo la domanda che già ti posi a suo tempo...non ero stato generoso?”
Ma lei non demordeva “Se volevi vincere potevi lasciare che marcisse nelle segrete!” disse pensando che il suo discorso nascondesse qualche imbroglio: lui non poteva volere l'incolumità del proprio avversario e rammaricarsi anche di dover cedere in cambio la memoria, e quindi la volontà, di quest'ultimo. Si sentiva presa in giro come nel loro ultimo scontro, nella sala in rovina.
Proprio non capisci, eh?” era stremato dal litigare con lei. Non sarebbero mai usciti da quell'impasse. Decise di lasciar perdere. Non era il tipo, ma Sarah sembrava essere più ostinata di lui e lui sapeva benissimo chi dei due avesse realmente ragione. Contento di quell'ovvia, per quanto tacita, vittoria, si avviò verso le mura. Avrebbe avuto modo di farle capire che si sbagliava su tutta la linea
Ancora una cosa...” disse sbuffando e ritrovando la sua sfrontata arroganza. Si fermò e si volse nuovamente verso la sua accompagnatrice. Con un gesto fluido, come solo lui sapeva fare, infilò la mano nella giacca e subito la estrasse, stretta a pugno. “Palmi in alto!” Ordinò tendendo il braccio verso la ragazza. Lei lo guardò scettica, senza muoversi. “Non c'è alcun trucco!” le disse aprendo il pugno e lasciando che quanto aveva in mano scivolasse veloce verso il suolo. Uno scintillio dorato balenò nell'aria prima che Sarah potesse capire cosa fosse. La catenina, intrecciata tra le dita di lui, sosteneva il medaglione a mezza luna che gli aveva sempre visto al collo, la cui forma ritornava su tutti i dettagli che lo riguardavano.
Che cos'è?” chiese lei, avviluppata dalla paura
Tu sai cos'è.” le rispose inclinando per un secondo la testa verso l'oggetto che dondolava placido tra loro, negli occhi un'espressione amorevole, quasi nostalgica.
Lei arretrò di un passo: era lo stesso atteggiamento imperioso che aveva avuto quella sera, in camera dei suoi genitori, quando le aveva proposto un equo scambio tra il fratello e i propri sogni. “No” rispose lei in un rantolo
Lo devi tenere tu...” disse offrendoglielo. “Tu sei la campionessa e solo a te spetta il diritto di indossarlo. Io non potrò nemmeno toccarlo, una volta che avremo varcato quella soglia” disse indicando un portone comparso dal nulla.
Perché?” domandò lei, incuriosita e impaurita
Perché mi brucerebbe all'istante...” rispose serio “Per quanto tu possa non sopportarmi, mia diletta, non credo vorresti vedermi morto. Tu non vuoi diventare un'assassina, giusto?”
Lei esitò, come aveva esitato anni prima alla sua profferta.
Sarah...” ringhiò lui come cercasse di svegliarla da una sorta di trance in cui non era caduta: gli sembrava di avere ancora a che fare con una bambina, anziché con una donna.
Perché, allora, adesso puoi tenerlo in mano?” domandò scettica. Se c'era una cosa che aveva imparato dieci anni prima era quella di porre tutte le domande, possibilmente corrette, fintanto che ne avesse avuto il tempo. Il suo completare i tasselli mancanti con ragionamenti umani, logici, non sembrava essere un metodo affidabile. Tutto, nell'essere umano, funzionava come nella teoria della Gestalt10, il cervello, l'occhio, l'orecchio: ogni organo compiva voli pindarici da uno stimolo all'altro senza mai vedere o sentire realmente tutto quello che invece era frutto di campionamenti, completati e collegati a modo loro, seguendo il tracciato di quanto era già noto. Ma lì, nell'Underground, nulla era come appariva. Si domandò se anche il modo di vedere le cose potesse essere diverso.
Jareth sbuffò. Odiava la pignoleria e la curiosità inutili. Ma forse, si disse, le avrebbe fatto bene vedere. Si riappropriò del pendente e si slacciò la giacca, scoprendo il torso nudo.

Qui non corro grossi rischi solo perché siamo fuori dal labirinto.” scandì feroce allargando la catena sopra la testa “Guarda bene.” così dicendo lasciò che il monile gli scivolasse addosso.




- - - - - - - - - - - - - - - - - -

Bene, eccoci giunti finalmente a destinazione...e al vero inizio del viaggio.
Vi ho presentato, sommariamente, anche il cattivo (se non si fosse capito...parlo del tipo comparso all'inizio XD)
E la prossima volta si entra nel labirinto. Preparatevi.
Ciaooo







1Non intendo lo strumento a corde, anche detto salterio, ma l'antenato dei piatti

2Per darvi un'idea, ho preso spunto dal quartiere modernista di Weissenhof (WeissenhofSiedlung) a Stoccarda, diretto da Ludwig Mies van der Rohe (1927)
http://1.bp.blogspot.com/_VRJgso9Cyew/RYGdP5nKnrI/AAAAAAAAAJ8/CAzMZfY-ipk/s1600-h/S_Weissenhof.jpg
Così forse non dice molto ai non addetti ai lavori (io ancora continuo a rifiutarmi di apprezzare -dal punto di vista estetico- sti cubi bianchi, per quanto le idee che stanno dietro al tutto mi piacciano molto...sì...sono un'ignorantona, ma chissene..l'arte non è proprio a portata di tutti ù_ù e io ammetto di essere una capra che cerca di evolversi).
La parodia che ne fecero i nazisti forse sì: enfatizzarono le critiche già mosse al complesso che doveva rispecchiare l'idea di quel periodo/movimento (efficienza, pulizia.....cercate su wiki e fate prima) e, vuoi il caso, vuoi gli archetipi insiti nella mente umana, vuoi che semplice+bianco+disposizione a schiera desse come effetto finale un'abbastanza prevedibile sensazione di esotico, finì per attirarsi le ire di chi ci vedeva solo lo scimmiottamento di elementi preesistenti e, a loro dire, inferiori (cultura africana, sia mai!). Fatto sta che a me piace di più nella versione caotica della parodia :) e così l'ho voluta sfruttare (anche perché i Goblin erano, e saranno rimasti, caotici)
http://www.thearchetypalconnection.com/images/NaziArabVillageSpoofWeissenhofHousingComplex27Low.JPG
Tenete bene a mente questo tipo di ambientazione. D'altronde, medioevo non è mica solo l'Europa del nord con i cavalieri biondi, il castello, le dame, le giostre, il drago etc.... una parte importante nella cultura del periodo -architettura compresa- è rappresentata proprio dal mondo arabo ;)

3Alta la metà o anche meno, la immaginavo come questa, la presunta KobraTower in Kuwait. http://www.viaggidiarchitettura.it/news/archivio-news/dettaglio-articolo/articolo/kuwait-cobra-towers/
La sommità, d'altronde, mi ricorda quest'altra immagine, delle mie amate Clamp
http://www.zerochan.net/398424
Li vedete quegli spuntoni a destra??? ecco...per me la punta della torre termina così e non monca come nella foto di prima! Sarà l'ambientazione, sarà la forma...io il nuovo palazzo lo voglio che sia una commistione tra quello vecchio e questi altri aspetti...Preciso...non è stato raso al suolo ma si è evoluto...come se fosse cresciuto...Siamo nell'Underground e tutto è possibile..anche che i palazzi siano entità vive ù_ù
D'altronde il castello di Jareth era un po' buttato lì se ci fate caso...non ha una struttura ben definita... liscio e strutturato un po' alla buona in alto ma sembra iniziare ad avvitarsi su se stesso sul fondo...quindi... =_= o facevo un castello come quello di Biancaneve o non ne uscivo..io quella porcheria non volevo tenerla...

5Ovviamente...è lo stesso Goblin che nel film avvisa Jareth dell'arrivo di Sarah al castello, prima che lui li mandi tutti in città a combattere

6Ho ripreso, pari pari, le spade che vengono utilizzate all'inizio di Dark Crystal http://www.thealmightyguru.com/Reviews/DarkCrystal/Images/Skeksis.jpg

7L'idea di forgiare amuleti direttamente dalle piume l'ho presa in prestito da Black Bird di Kanoko Sakurakoji

8Più precisamente creature demoniache che servono gli stregoni e sono i messaggeri che li tengono in contatto con le forze del male. Spesso sono animali, come i gatti o i corvi nella tradizione medievale, o serpenti e granchi giganteschi, in quella africana.

9E' noto come le streghe si possano mostrare come giovani e belle fanciulle, brutte vecchie o animali a seconda dell'esigenza.

10Se qui (http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/63/Reification.jpg/260px-Reification.jpg) vedete un triangolo poggiato su tre cerchi, un serpente attorcigliato su un palo, una palla con aculei e il mostro di lockness...questa è ciò che studia la Gestalt, in parole povere: in realtà sono 2 pacman neri, 2 “yin/yan”, delle forme triangolari di varie dimensioni e tre segmenti d'arco. Il resto lo aggiunge (interpreta e contestualizza) il cervello

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** La luce del sole ***


15- La luce del sole





Guarda bene.” le aveva detto, calando il medaglione.
E Sarah aveva obbedito, curiosa.
Come gli si fu posato sulla pelle nuda, questa cominciò a sfrigolare e a fumare. Jareth riuscì a resistere solo pochi istanti dopo i quali fu costretto ad afferrare la parte di catena a cui era agganciato il pendente e ad allontanarselo di dosso. “Soddisfatta?” disse dando uno strattone. La catenina si spezzò nel punto di maggior sollecitazione e ricadde come un nastro privo di vita sul dorso della mano del mago.
Sarah era rimasta imbambolata, paralizzata dall'orrore. Cos'era stato? Sembrava quasi che il medaglione fosse stato rovente. Quando lui glielo tese, nuovamente, lei lo accettò titubante.
Al contatto con la pelle era freddo e liscio. Ma allora perché sul corpo dell'altro aveva avuto quella reazione? Alzò gli occhi e si trovò calamitata dal petto di lui. Una cicatrice a mezza luna rovesciata, perfettamente centrale, si stagliava opalescente sulla pelle già diafana del biondo. Ingollò il groppo che le si era formato in gola e abbassò lo sguardo, vinta dalla vergogna per la propria testardaggine. Tutto aveva un prezzo: secondo Jareth, quello era il giusto prezzo da pagare perché lei si fidasse di lui.
Fa...fa male?” domandò dopo un paio di minuti, durante i quali si era rigirata l'oggetto tra le dita, notando diversi dettagli che le erano sempre sfuggiti ma che erano stati accantonati da un evento, per lei, sconvolgente: appena l'aveva accettato, le estremità recise della catena si animarono come dotate di vita propria, si mossero, cercandosi l'un l'altra, fino a trovarsi e fondersi tra loro.
Il punto di rottura era scomparso. Maglie magiche, perché stupirsi?
Lui diede un'alzata di spalle “Se ti marchiassi a fuoco, urleresti?” rispose avviandosi al portone. Non le aveva risposto direttamente. Quando mai lo faceva?
Certo che faceva male, cretina!” passò nella mente di entrambi.
Sara si avviò dietro la sua guida e si fece scivolare il medaglione al collo. Era pesante e freddo al contatto con la sua pelle nuda e sembrava quasi darle un senso di protezione.
Ultima cosa, fondamentale...” disse Jareth poggiando una mano sul pesante portone, intarsiato con motivi che potevano sembrare orientali, e porgendole l'altra “Non lasciare mai la mia mano...”
Come se fosse stata sotto ipnosi, obbedì docile, senza recriminare.
Quella mano, delicata e forte, avvolse la sua con gentilezza e fermezza. Senza dar troppo peso a quel gesto, Sarah riuscì solo a constatare come fosse più grande della sua e come risultasse forte solo restando rilassata: le ossa tendevano la pelle del dorso, solcandola come artigli pronti a sgusciare fuori; dalle nocche rosate, come monti innevati al tramonto, si snodavano lunghe dita curate da pianista. La pelle era liscia e morbida ma non viscida, come se fosse stata immersa a lungo in qualche crema delicata, mantenendone inalterata la tonicità.
Mano nella mano, varcarono la soglia del nuovo labirinto, affiancati dal grosso cane nero.
Inizialmente non sembrava fosse cambiato granché.
Al posto di pareti di mattoni in porfido gonfi di umidità, Sarah si trovò a contemplare un viale di maioliche bianche, finemente cesellate, con decori floreali astratti nei toni del rosso e del viola. La nostalgia che le si allargò nel petto fu dirompente. Costrinse Jareth a fermarsi accanto a lei per qualche minuto. Era uno spettacolo da sogno: le sembrava di vedere un viale di betulle cariche di rosse foglie autunnali appena spruzzate di neve in cima.
Da piccola aveva sempre pensato che l'autunno, coi suoi colori, i suoi paesaggi, il suo profumo peculiare, che ogni volta la inondavano con quei sentimenti struggenti, fosse opera delle fate, che fosse la stagione delle magie. Si era sempre aspettata che qualche creatura bellissima ed eterea facesse capolino da quel tipo di vegetazione. Sicuramente era stata influenzata dalle immagini di Cicely Mary Barker1 che sua madre le aveva regalato prima di scappare di casa. Per i primi tempi aveva quasi creduto che le fate l'avessero rapita o che fosse scappata lei nel loro regno, inseguita da chissà quale mostro. Ma il suo papà non si era dimostrato il cavaliere in armatura scintillante. Quando era scomparsa dalla loro vita, lui non aveva battuto ciglio: non aveva dato in escandescenze, come forse aveva sperato la Sarah bambina, anche se sapeva non essere caratteristica del padre, né si era messo a piangere né....non aveva avuto alcuna reazione. La vita era continuata come se Linda non fosse mai esistita. Ciò non aveva fatto altro che accrescere nella piccola la convinzione che fosse stata una creatura fatata: il padre, mortale, non poteva conservarne il ricordo, ma lei, figlia e meticcia, sì. Era cresciuta cullata da quell'idea.
Finché non era cresciuta abbastanza e, gradualmente, aveva abbandonato il luogo sicuro delle proprie illusioni.
Infine, era giunta Karen. Era stata lei a trascinarla di peso nella realtà. E l'arrivo di Toby non aveva fatto che radere al suolo quel poco di speranza, che sapeva essere sciocca e inutile, che le era rimasta.
La madre l'aveva abbandonata. Senza nemmeno un addio. E il padre, se non aveva avuto alcuna reazione, forse non l'aveva nemmeno mai amata. Forse si erano sposati perché lei era rimasta incinta, la mentalità bigotta li aveva costretti a prolungare qualcosa che sarebbe scivolato naturalmente nell'oblio, avevano cercato di piacersi ma...
Forse lui ...non aveva mai amato neanche lei, la figlia di quella donna. Più volte aveva provato a mettersi nei panni del padre: trovarsi il peso di una figlia non voluta, di una donna non desiderata. Sarah si sentiva morire ogni volta che ci pensava. Ma d'altronde, Robert aveva accettato di tenerla, non l'aveva schiaffata in un orfanotrofio o agli assistenti sociali. E allora che facesse il suo dovere di padre fino in fondo e si prendesse cura di questa figlia disgraziata e abbandonata a se stessa.
Solo dopo l'avventura nell'Underground Sarah aveva davvero capito che quello che il padre aveva fatto per lei era il massimo dello slancio che poteva aspettarsi da lui. E, in qualche modo, aveva fatto pace con quel passato. Anche se il tarlo di non essere realmente ben voluta l'aveva sempre tormentata. Non aveva mai avuto occasione di parlare, realmente, di tutto quello con lui. E con Karen. Era calato uno strato di comprensione, velo dopo velo, nel non detto, e le due parti in causa avevano capito le rispettive posizioni e i rispettivi disagi.
Il portone si richiuse alle loro spalle e il ricordo svanì, veloce come era giunto e come le aveva attraversato la mente.
Levami una curiosità...” disse Sarah riscuotendosi e tirando su col naso, fregandosene di mostrarsi così vulnerabile davanti a Jareth: che pensasse quello che preferiva. “La regola della mano destra2 qui non vale, vero?”
Jareth la guardò perplesso levando un sopracciglio. Non aveva la più pallida idea di cosa potesse essere ciò di cui lei parlava. “Le regole valide nel tuo mondo qui perdono ogni significato..” si limitò a dire puntando lo sguardo nella parete davanti a sé. Senza aggiungere altro, prese a marciare sicuro, trascinandosela dietro.
Sarah, pensando fosse impazzito, cominciò a dimenarsi e a cercare di sciogliere la presa. “Sei ammattito?” strepitò sfilandosi dalla stretta ferrea. Jareth si bloccò immediatamente e si volse a folgorarla con sguardo assassino “Non.Mollare.Mai.La.Mia.Mano” scandì “Non avevi promesso che avresti fatto tutto quello che ti avessi detto?”
Non mi hai detto proprio nulla” replicò lei “Ti sei lanciato contro il muro come un pazzo...”
Jareth la studiò per un lungo minuto. Poi, come quando lei aveva preteso di sapere dov'era stato condotto suo fratello, sbuffò e agitò una mano in aria “Hai ragione” concesse. “Fa quello che ti dico e anche quello che non ti dico. Seguimi e basta!”
Lei incrociò le braccia al petto, in segno di protesta “Potevi drogarmi e portarmi direttamente in spalla, già che c'eri!”
Sarah... non farlo più! Non hai neanche la più pallida idea di quello che abbiamo rischiato con quel tuo gesto avventato!” ringhiò lui gelido, mani sui fianchi, mento alto, fiero.
E tu mettimi a parte dei tuoi brillanti piani!” replicò lei indispettita.
Una risata divertita proruppe intorno a loro. Marking drizzò il pelo, le orecchie erano tirate sulla collottola, le fauci scoperte e gli occhi ridotti a due fessure: era in stato di massima allerta. Ma la ragazza pensò si trattasse solo dell'uomo davanti a sé. Lui, però, era serio e compito. Sembrava anche leggermente innervosito. “Bene bene...” disse la voce. Ancora una volta Sarah si voltò verso Jareth: si stava concentrando per fare il ventriloquo e prenderla in giro? “Chi ben comincia è a metà dell'opera, no?” continuò la voce. Sarah accantonò l'ipotesi di uno scherzo. Parole. Doveva fare attenzione a quello che veniva detto. “Se continuate di questo passo non ci arriverete proprio mai, al castello”
Direi che, da bravo padrone di casa, potresti mostrarti...la stai spaventando...” commentò il biondo per nulla impressionato
Hai ragione, che tremenda scortesia...” li canzonò la voce “Sei la benvenuta nel mio regno, Principessa. Come sempre...”
Sarah si guardò attorno sconcertata. Perché non lo vedeva? A quale illusione ottica era soggetta, quella volta?
Là!” disse solo il biondo, senza muoversi. Lei seguì il suo sguardo. In alto, molto in alto. Appollaiato sulla merlatura, la schiena poggiata a un obelisco, stava un uomo. Sembrava essere la copia negativa del suo accompagnatore: lunghi capelli neri gli ricadevano ordinatamente sulle spalle, mentre Jareth li portava spettinati come la chioma di un leone selvatico; l'incarnato era caldo, del colore della terracotta, dava una sensazione di benessere e salute solo a vederla; il corpo era drappeggiato da ampie vesti bianche che terminavano a sbuffo sul polso e sulle caviglie ma erano trattenuti da un'alta cintura rossa. Infine, notò che era a piedi scalzi. Molto bizzarro. Ma forse, così, era più semplice arrampicarsi sulle mura.
L'uomo non la guardò neanche, preso più a osservare il paesaggio.
La trovava una cosa strana. Non era curioso di sapere chi fosse l'intruso? Chi avesse vinto il re di Goblin?
Scendi di lì” ordinò Jareth, stanco.
No no...io rimango qui...è così bello...si vede tutto il labirinto.. mi invidi, vero?” l'uomo sorrise voltandosi verso di loro. “E poi i tuoi comandi non valgono nulla..” cantilenò facendo ondeggiare l'indice come un metronomo. Solo allora Sarah si sentì bruciare dalla sua occhiata rovente: occhi rossi la stavano osservando come in cerca di una conferma e non con l'avidità della novità. Erano innaturalmente rossi, come rubini, come tizzoni ardenti, come sangue fresco; non di quella calda sfumatura ambrata che possono assumere gli occhi scuri colpiti da luce diretta. Tra le sopracciglia, un segno verticale, rosso anch'esso, attraversava la fronte con la precisione di un bisturi. Era indubbiamente bello e diede a Sarah l'impressione di vivere un deja-vù. Si scrollò di dosso quella sciocca idea: non aveva incontrato nessun umanoide nel suo precedente viaggio, se non al ballo. Ed era più che certa di non averlo visto tra i partecipanti. Ammesso, e non concesso, che quel ballo fosse reale. Sotto il peso del suo sguardo si sentì avvampare di imbarazzo: era mai possibile che tutte le creature umanoidi nell'Underground fossero così vergognosamente attraenti? Jareth interruppe il contatto visivo frapponendosi tra loro.
Cosa sei venuto a fare?” domandò aspro
Ma Jareth... perché sei così freddo con me? Non è colpa mia, lo sai...” le sue labbra si stesero in un ghigno osceno che fece rabbrividire la ragazza per la violenza che sottaceva. Non sapeva dire perché, ma quasi si aspettava che dalle labbra gli sgusciasse fuori una schifosa lingua biforcuta, lunga, bavosa e violacea.
Era un'idea in totale contrasto con la calma e con la perfezione di quell'uomo: aveva visto, decisamente, troppi film dell'orrore.
Torna al castello...tanto puoi osservarci comunque...” disse il biondo, spazientito.
L'altro si imbronciò “Non vuoi che mi intrometta nel tuo rapporto con la nostra dea Luciferina. Ti ho capito, sai?” sembrava un bambino che fa i capricci e punta i piedi.
Non hai capito un accidenti...” sbottò l'altro
Se non la vuoi, la prendo io, più che volentieri...” propose l'altro.
Ancora una volta, Sarah pensò di avere le traveggole. Le era sembrato che il braccio dell'uomo si fosse impercettibilmente allungato verso il basso. E in modo innaturale, come se fosse stato composto di un meccanismo periscopico e fluido. E poi il ghigno. Le era sembrato che il taglio della bocca si fosse allargato, scoprendo denti aguzzi, andando da un orecchio all'altro.
Eppure non provava paura. Forse si era abituata alle stranezze di quel luogo.
Serve a me!” ringhiò ancora l'altro pronto a sguainare il pugnale.
Il moro si adombrò “Sei stato furbo...” disse accennando all'arma. Poi, tornando al discorso principale, continuò beffardo “Una principessa così solare per un re tanto lunatico. Che bella accoppiata...” e ridendo sguaiatamente svanì alla vista.
Quando Marking diede un'abbaiata, carica di soddisfazione, scosse la testa, cacciando la sciocca, quanto infondata idea che le era venuta in mente. Se non fosse stato un estraneo, Sarah avrebbe giurato che nel suo tono ci fosse anche una punta di gelosia. Ma gelosia per chi?
Jareth sembrò rilassarsi. Le diede uno strattone, la guardò dritta negli occhi e, l'indice della mano libera alzato a monito, disse “Mai più, intesi?” Quindi si avviò attraverso il muro, come sua intenzione sin dall'inizio.
Questa volta, la parete non era un tromp d'oeil come il passaggio che le aveva rivelato Monsieur le Ver dieci anni prima: era una vera e propria parete che loro attraversarono come fossero stati due fantasmi. Per un attimo, Sarah pensò che si trattasse di un ologramma. Ma subito si ricordò di quando, nella sala di Escher, il presunto fantasma di Jareth l'aveva trapassata. Era stato veramente lui? O era una proiezione? Ma nell'Underground le normali leggi fisiche e logiche non funzionavano. Poteva essere che lì fosse possibile l'esistenza dei supersolidi3? Poteva essere che le regole erano le stesse del mondo umano, solo viste sotto un'altra prospettiva? Sì, poteva essere.
Camminavano in silenzio. I passi riecheggiavano nei condotti di pietra. Come se si fosse svegliata da un sogno, si ricordò che aveva un sacco di domande per il biondo al suo fianco.
Nonostante ciò, partì dalla più recente e banale.
Senti... chi era quell'uomo? E perché mi ha chiamato dea Luciferina?” chiese arricciando il naso “Il mio titolo non dovrebbe essere Campionessa o qualcosa del genere?” Dopo un attimo d'esitazione, raddrizzò il tiro, orgogliosa “O direttamente Regina, avendo battuto un re..”
Jareth si fermò e la guardò, incerto se parlarle dopo lo scherzetto di poco prima. “Sarah? Sai qual è il significato del tuo nome?”
Sì, certo...Principessa...” disse sprezzante, braccia incrociate al petto. Voleva mantenere una posizione di parità tra loro ma si sentiva comunque in difetto e, serrare le braccia a quel modo, le permetteva di mantenere anche una certa distanza.
Non è corretto...” sbuffò Jareth “Tu, metaforicamente, sei la figlia del dio Ra, la figlia del Sole” Vedendo il suo sguardo farsi allarmato, si affrettò a precisare “Vieni dall'Aboveground, il regno del sole, quello vero. Da qui, dunque, la semplificazione in principessa. Ma tu hai davvero il potere di illuminare tutto l'Underground...se ancora non tene fossi accorta...come Lucifero, la stella del mattino, l'ultima stella a sparire in cielo con l'arrivo del sole. E la prima a comparire la sera, ma col nome di Venere....” nella voce una sfumatura triste, orgogliosa e ammirata insieme, nel ricordo di come aveva soggiogato chiunque, durante la sua visita precedente.
Mentre parlava, aveva mosso il dito indice a destra e a sinistra come a negare quello che stava affermando. Ma, anche, un gesto che ricordava quello dei bambini quando cercano di pulire un vetro opacizzato dal proprio alito.
Sarah ci impiegò un po' a capire cosa stesse accadendo: pensava le stesse mostrando una scena del passato. Invece, l'aria così sferzata si era tramutata in uno specchio frastagliato e l'immagine che le rimandava era la sua. Solo che era l'immagine di sé vestita da antica regina egizia: capelli raccolti in mille treccioline sottili, fitte e compatte, sormontate da una corona d'oro di forma zoomorfa alata; al collo, una pesante collana a disco in oro e zaffiri, tratteneva i veli di lino dell'abito a tunica che coprivano appena la sua figura. Sarah rimase sbigottita. Si sentiva come quando, al ballo, si era vista riflessa in uno dei molti specchi della sala antica. Inoltre, le mani, coperte di gioielli, stringevano i tipici segni del potere: scettro pastorale e flagello nekhekh4. Jareth ghignò nel vederla vestita da dea.
Toglimi subito questa roba di dosso!” ordinò lei, riscuotendosi.
Sei sicura?” domandò lui perplesso, levando un sopracciglio
Ovvio! Non siamo a Carnevale né ho intenzione di procedere conciata così!” ringhiò lei. Il pensiero che nell'Aboveground fosse Halloween non la sfiorò nemmeno.
Come desideri” sbuffò lui distogliendo lo sguardo e cercando di nascondere un sorriso sornione.
E ora cos'hai?” chiese lei, inviperita e offesa da quel suo comportamento, portandosi le mani ai fianchi in atteggiamento di sfida. Solo che i palmi andarono a incontrare la propria pelle nuda, al posto della ruvidezza confortevole dei jeans. Subito cacciò un urlo e cercò di coprirsi alla meglio, rendendosi conto di essere rimasta completamente nuda. Si dimenò come un lombrico nel tentativo di coprirsi, per poi optare a raccogliersi in posizione raggomitolata a terra. Da quella posizione lo folgorò con sguardo omicida.
Sai, mia cara...” cominciò lui divertito “Potrebbe essere una buona idea. Il tuo bel corpo è un'arma di distrazione di massa, una carta davvero vincente... Non ho idea di come potrebbero reagire gli abitanti del labirinto davanti alle tue grazie. Potrebbero restare sconcertati e ammirati o saltarti addosso in preda ai più bassi istinti, però....”
RIDAMMI SUBITO I MIEI VESTITI” urlò lei
Ne sei sicura?” chiese deluso “E' un vero peccato...” aggiunse schioccando le dita. Il rumore di una stoffa che si depositava a terra fece voltare la ragazza che riconobbe nell'indumento la sua sottoveste da notte estiva color verde salvia.
Gli altri miei abiti!” ringhiò, folgorandolo
Sei piena di pretese, tesoro...” disse lui e uno ad uno tutti gli abiti dell'armadio di lei cominciarono ad apparire e a rovesciarlesi addosso
Non puoi sbolognarmi solo sottovesti, babydoll e pagliaccetti!” urlò dopo un po', esasperata
La colpa è tua che non mi dici cosa vuoi...hai un guardaroba così vasto che ci si potrebbe perdere. E ritrovarsi a Narnia...”
A che?” chiese lei scettica
Ignorante come sempre!” commentò lui indispettito “Allora, cosa desideri?”
Cominciamo con i jeans...No, non questi!” disse quando le comparvero degli shorts cortissimi, tagliati e sfrangiati. “Allora...” meditò “...azzurri, lunghi, leggeri, con un decoro sulla tasca posteriore...” rispose stanca, preparandosi mentalmente a una lunga trattativa avendo intuito che erano solo all'inizio di un nuovo, divertente, giochetto di cui il biondo aveva appena scoperto le potenzialità: mandarla definitivamente fuori dei gangheri.


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Ciao a tutti!
Spero di non avervi incasinato troppo le idee con le mie spiegazioni pseudo-scientifiche...in caso, spero abbiate tirato dritto, sorvolando su quanto detto XD. O meglio..spero che ne capiate meno di me, per dar tutto per buono XD
A presto!







2 Ne avevo già accennato in Il labirinto visto dal castello: “Il procedimento consiste nell'appoggiare la mano destra (o la sinistra) alla parete destra del labirinto (o rispettivamente alla parete sinistra) all'entrata del labirinto, e scegliere l'unico percorso che permetta di non staccare mai la mano dalla parete scelta, fino a raggiungere una delle eventuali altre uscite, o il punto di partenza. Nel caso particolare di una sola uscita, l'algoritmo conduce a un vicolo cieco, dal quale si ritorna al punto di partenza semplicemente continuando a seguire la parete prescelta. ” fonte Wikipedia
3 Ok, vedo di spiegare il concetto in modo semplice. Perdonate la spiegazione fatta coi piedi ma non è la cosa più semplice da riassumere.
Proviamo a partire dall'ABC. In natura la materia esiste in 3 stati d'aggregazione: solido, liquido e aeriforme. Il super solido è uno stato particolare d'aggregazione dell'elio 'solido' che si comporta come un liquido, a bassissime temperature. I liquidi si compenetrano tra loro perdendo le caratteristiche di partenza. Le eccezioni, tipo olio+acqua, non sono supersolidi perché non si fondono tra loro, mantenendo ciascuno la propria identità ma non sono solidi. Il supersolido è …. come se due pettini passassero uno tra i denti dell'altro o due squadre (i cui componenti siano gli atomi) si fondessero tra loro -come nelle parate- per uscirne identiche a prima...apparentemente si sono fusi ma rimangono autonomi... =_= l'ho detto che non è semplice. Cmq.. da qui l'idea di poter passare attraverso i muri, compenetrandoli.
4 Flagello e pastorale (il bastone ritorto) http://tom-huissot.com/ie/img/48.jpg

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Il marchio del tradimento ***


16- Il marchio del tradimento






Il gioco della caccia ai vestiti andò avanti per un altro po', finché Sarah non si accorse che le mancava qualcosa di basilare: la biancheria intima.
Questa la scelgo io!” disse Jareth con tono che non ammetteva repliche, srotolando i capi dal palmo delle proprie mani “Pizzo nero...adoro il nero, dovresti saperlo...”
Quella roba è per...” stava per replicare lei che lui la zittì con uno sguardo in tralice
Per le occasioni speciali? Quali, di grazia, che non ne hai mai avute?” il tono di voce era freddo, tagliente, canzonatorio. Poteva quasi sembrare geloso ma a lei suonò più come un insulto. “Direi che una nuova gita nell'Underground è più di un evento speciale...” disse tornando a sorridere malizioso.
Rossa di vergogna, Sarah accettò l'unica biancheria che lui fosse disposto a recuperarle dall'armadio. “Ora, però, rimetti apposto questo casino...o meglio: rimetti al proprio posto tutti gli indumenti che non userò qui e ora!” Un batter di ciglio e nel corridoio erano rimasti solo loro due, il cane e una manciata di oggetti. “Ora voltati! Mi devo vestire..”
Fece come gli era stato chiesto, ma commentò “Tanto ho già visto tutto...” e nel dirlo ricominciò a disegnare in aria con le dita linee verticali, una accanto all'altra
Chi se ne frega! Non ....EHI!” protestò accorgendosi che lui stava facendo comparire altri nastri riflettenti “Non vale! Togli subito quegli specchi da lì!”
Non avevi detto che non potevo!” protestò debolmente lui
Beh, te lo sto dicendo adesso! Fa sparire quegli specchi e non cercare altri mezzi per spiarmi mentre mi vesto, come i licheni occhiuti o le tue sfere! Dannato maniaco! Usassi la tua magia per cose più serie..”
Quante volte lo devo ripetere che ho poteri solo per fare queste ridicole sciocchezze?”
Non direi tanto ridicole...” fu il commento esasperato della ragazza.



Un chiacchiericcio fastidioso attirò la sua attenzione.
Era appoggiato pigramente alla balconata esterna della sala delle udienze e, sotto di sé, qualcuno faceva di tutto per non farsi sentire. Poveri stolti. Pensavano fosse sordo?
Poteva percepire tutto nel raggio di chilometri. Talvolta, la finezza delle sue percezioni, era di una scomodità tremenda. Certo, bastava schermarsi dai suoni indesiderati. Ma quelli, per quanto indesiderati, l'avevano incuriosito e allertato.
Fece un cenno a un paio di Goblin rigidamente impettiti dietro le tende all'interno della sala, stirò un ghigno cattivo e si dissolse tra le colonnine tortili della balaustra.
Cospiratori... li avrebbe presi alle spalle senza che potessero accorgersene.



Ora Sarah vestiva comodi jeans, sui quali si inerpicavano morbidi stivali bassi di camoscio, e una camicia sahariana color panna con collo alla coreana. Le maniche erano state rimboccate fin sul gomito e il fondo rimborsato in vita da una cintura di cuoio, decorata con motivi spiraliformi. Dopo una prima prova generale e conseguenti discussioni puerili per mediare ulteriormente le due visioni di come dovesse vestirsi, Jareth aveva acconsentito a cambiare il suo favorito intimo nero con un più discreto ed elegante avorio, che non risaltava sotto la blusa: un sobrio completo di bustier senza spalline e culotte di pizzo.
Sarah, però, si era rifiutata categoricamente di indossare anche la guepierre, imbragatura troppo scomoda per lei sotto jeans così aderenti. Sulla questione avevano bisticciato un bel po'. Alla fine lei, vestita solo di biancheria, si era seduta imbronciata, gambe e braccia incrociate in segno di protesta, al centro del corridoio piastrellato di rosso e bianco.
La situazione, come anche il suo atteggiamento, avevano del surreale. Jareth non sapeva se ridere del suo comportamento infantile o se essere affascinato dall'adulta disinvoltura che mostrava nel coprirsi il busto con la casacca, in attesa di potersi infilare i pantaloni. Era chiaro che Sarah non era disposta a procedere oltre se non fornita di comode e calde (e antiestetiche) calze maschili di cotone, perciò, dopo un po', decise di cedere.
In quel frangente era lui a dover essere accondiscendente: lei era la sua accompagnatrice, la condizione per cui avrebbe potuto avanzare. E lei sapeva di avere il coltello dalla parte del manico.
Ripresero il cammino, sempre, assolutamente, mano nella mano. Tra loro era caduto uno spesso muro di imbarazzo che Jareth, però, si affrettò ad abbattere mentre svoltava sicuro a una biforcazione della strada
Direi che ora è il mio turno, per le domande...” cominciò. Non era un favore, quello che le stava chiedendo, ma praticamente un ordine. Lei non parlò. Rimase ostinatamente muta senza concedergli la soddisfazione di abbassarsi a rispondergli. Jareth continuò indefesso “Il cane..” disse girando appena gli occhi azzurri “Perché hai scelto un nome tanto ridicolo?”
Punta nel vivo, Sarah non poté non rispondergli “Non è affatto ridicolo...” sibilò
Ah no? Marchiare non mi sembra, in effetti, qualcosa di ridicolo...” replicò lui passandosi la mano libera sul petto.
Sarah sbuffò “Io sarò ignorante, ma tu non sei da meno.” disse alzando lo sguardo su di lui, chiedendo la sua attenzione “Marking” disse rivolta al cane “Mark King” ripeté scandendo le parole “Re Marco...possibile che tu non sappia chi sia?”
Ah...ti riferivi a lui...1” fu l'unico commento del biondo. Come avrebbe mai potuto arrivarci? “E come mai hai dato un nome simile a un cane? Senza offesa...” disse volgendosi subito a scusarsi con il lupo che trottava dietro di loro, tranquillo. Quello sbadigliò vistosamente, quasi dicendogli che non gliene fregava nulla di lui e di quelle scemenze.
Perché....” cominciò Sarah irritata. Le si stava risvegliando l'animo da maestrina petulante “...Re Marco è l'unico buono. Quando ero più piccola ero convintissima che fosse il cattivo della situazione, che ostacolasse i due amanti e che i due non facessero nulla di male...”
Nulla di male?” Jareth scoppiò in una risata incontrollata “Ma se non si facevano scrupoli...nel giardino dove potevano essere beccati da tutti?” Ogni parola era seguita da un colpo di tosse strozzata
Sarah si accigliò “A parte quello...ero sinceramente convinta che i due poveretti stessero vicini, separati dalle armi di lui” disse alzando gli occhi al cielo, quasi citando un passo dell'opera “E che manco si baciassero: non le capivo certe frecciatine volgari da adulti!” sentenziò raggelandolo con un'occhiata “Non mi passava proprio per il cervello una porcata simile. Ma a parte quello, non avevo afferrato appieno quanto Re Marco potesse starci male, quanto potesse ferirlo il comportamento delle persone a cui teneva di più, di cui si fidava, nonostante tutti cercassero di avvertirlo... E lui ha anche perdonato il tradimento...a modo suo. Quindi, rispondendoti... potrei dire che il marchio del tradimento ti resta addosso per tutta la vita...è un augurio che faccio al mio cane...di sopravvivermi, anche se so che non è possibile...” disse triste guardando la bestia nera che si portava appresso.
Quindi, se tu fossi stata Isotta avresti agito diversamente?” domandò lui, sorpreso, valutando quanto già sapeva al riguardo della ragazza ma che gli aveva parlato col cuore in mano.
Col nuovo significato? Certo!” fu la risposta secca a cui non aggiunse altro
Ma dimentichi che erano drogati...” disse il mago
Questo non li giustifica. Potevano restare innamorati e viversi un amore platonico o comunque essere sinceri e agire diversamente. Credo che Marco l'avrebbe capito: suo nipote era sempre stato onesto, fino a quel momento...E poi cosa vuol dire, scusa? Non mi pare che una pozione possa farti fare quello che non vuoi. Come l'ipnosi. Enfatizza solo il tuo vero animo. O no? Altrimenti anch'io, quella volta, non mi sarei mai dovuta risvegliare.” e nel dirlo, folgorò Jareth con uno sguardo glaciale e rancoroso.
Sì, può essere...non ho mai indagato...Ma dimmi, Sarah, dalla tua superiorità, allora, condanni anche Ginevra, ovviamente?” Chiese aspro, una punta di sarcasmo e cattiveria nella voce. Stava intenzionalmente rigirando il coltello in una piaga che sapeva mai rimarginata completamente. Gli faceva piacere quel suo accanimento, quella sua veemenza nel difendere la nobiltà degli intenti. Ma doveva anche cercare di farle accettare, ancora una volta, ancora più a fondo, che il mondo non andava come ciascuno avrebbe desiderato. Doveva solleticarne l'animo giusto con quelle frecciate velenose, che facevano male anche a lui, ma che, al momento opportuno, sarebbero servite allo scopo. Allo stesso tempo, doveva cercare di avvicinarla a sé e farle capire come il cattivo non è sempre tale. Ma forse, a quello, c'era già arrivata da sé.
Sì...lei si è comportata pure peggio. Perché Tristano era il cavaliere di Re Marco. Era una cosa limitata a loro tre. Ma Ginevra ha coinvolto tutti i seguaci di Arthur Pendragon. Insieme hanno portato Camelot alla distruzione. Non tutto va come vogliamo, no? Però lui proprio non se lo meritava. E' stato ingiusto che sia finito tutto così...per colpa di due cretini...” concluse lei scuotendo la testa al pensiero. “Altro che Carretta della Vergogna. Fossi stata in lui...” tacque per la rabbia. Proprio non tollerava i tradimenti. Jareth stirò un sorriso malinconico e beffardo, osservando come la mano di lei si fosse serrata sulla sua, inconsciamente: sì, la ragazza poteva diventare molto violenta, se provocata a dovere. E questa era un'ottima constatazione, per lui. “Certo...forse il problema è stato proprio quello...E' stato sempre troppo buono...e anche quello ha un prezzo...”
E tu riusciresti a essere amica di un traditore?” domandò senza guardarla “Sei amica di Hoggle, che ha tradito sia te che me...ma...riesci a tollerare anche questo tipo di tradimento?”
Certo che no!” ringhiò ancora lei. Lo vide sorridere compiaciuto “Nel caso di Hoggle...è stato una scelta sofferta e combattuta...e motivata... Quando è tornato da me, dopo avermi tradito, era costernato. Questi non...” cominciò, per poi illuminarsi e tacere l'argomento, visto che si stava cacciando in un ginepraio da sola: a rigor di logica, amore e amicizia avrebbero dovuto avere egual peso in un comportamento simile. Eppure lei trovava più semplice governare il primo che affogare il secondo, il quale era nettamente superiore, per valore e importanza al primo. Servendo un principio di più ampio respiro, consentiva di effettuare le scelte più corrette nel lungo termine e meno egoistiche, evitando di farsi prendere dagli istinti. “Perché me lo chiedi?”
Credo possa interessarti sapere che il tuo amichetto Matthew appartiene alla categoria...” buttò lì con noncuranza. Con la coda dell'occhio la vide rimanere raggelata all'informazione e lasciò che ci ragionasse, mandando al loro posto una serie di nuove tessere di un puzzle più piccolo ed esterno al loro viaggio. “Sei stato tu?” domandò infine alzando di nuovo lo sguardo su di lui
Jareth annuì appena “Era fin troppo palese che quei due si divertissero alle spalle di quella bella ragazza...sono stato costretto a smascherarlo solo per mettere in chiaro una questione tra me e lui...” rispose stirando un sorriso di vittoria
Cioè?”
Che non doveva permettersi di allungare le mani su un tesoro già riservato ad altri...” e nel dirlo, strinse appena la stretta sulla mano di lei
Io sarei il tesoro?” chiese ridendo di cuore “Devo solo riportarti a casa...e quando tornerò faremo i conti...” aggiunse pensando a una punizione adeguata all'amico: aveva mentito a lei, che aveva chiesto esplicitamente solo rapporti sinceri non solo nei suoi confronti, e aveva ferito Gloria. “Che c'è ora?” domandò irritata sentendosi osservata.
Jareth aveva uno sguardo stranamente divertito “Niente...pensavo a come, dieci anni fa, il prode cavaliere del Lago fosse il tuo preferito...”
Non capivo nulla, allora...” sputò con livore e mordendosi subito le labbra, come a trattenere la frase già sfuggita. O, forse, era solo il nervosismo legato a quel pensiero.
Davvero?” chiese retorico e divertito. La tentazione di sbatterla al muro e vedere quale pensiero le avrebbe attraversato gli occhi, se rabbia, paura o desiderio, vedere se era in grado di tener fede alle parole presuntuose con cui si era espressa fino a quel momento, fu molto forte. Si trattenne e svoltò in un nuovo vicolo senza darle la possibilità di rispondere. In parte temeva che lei non avrebbe capito le sue intenzioni: non per immaturità ma per come erano andate le cose tra di loro in quei pochi incontri. Prima avrebbe dovuto operare un lungo lavoro di riabilitazione della propria immagine. La conversazione si chiudeva lì. Per il momento.



Bene bene bene...” ghignò divertito comparendo, con un drappello di guardie armate, alle spalle dei tre che complottavano sotto il suo castello. “Ma guarda un po' chi abbiamo qui...?”
Sua Maestà...” disse il nano butterato esibendosi in uno dei suoi migliori inchini. D'appresso, uno scoiattolo lo imitò sfilandosi il berretto.
Corre voce che voi tre...quattro se contiamo anche il tuo nobile destriero...” precisò sarcastico l'uomo svettando sui due piccoletti “Siete i più vicini alla campionessa del labirinto...e di conseguenza al precedente sovrano...”
Non vorrei contraddirla, Maestà, ma noi siamo amici solo della damigella che un anno fa affrontò e vinse suo...” cominciò il nano.
Prima che il suo compare potesse interromperlo per aggiungere dettagli, sproloquiando, il sovrano si chinò alla loro altezza e li zittì bruscamente con un gesto secco della mano, ipnotizzandoli con la danza dei suoi lunghi capelli setosi che ondeggiavano al minimo movimento.
Da Hoggle me lo potevo aspettare ma... Didymus...tu eri uno dei più fidati di Jareth...e poi gli hai voltato le spalle...” disse corrucciato e amareggiato “Quanto a te, Troll...” disse alzando lo sguardo dalla sua posizione rannicchiata “...eri stato accolto a Goblin City come ogni altro reietto...e ti sei rivoltato contro il tuo benefattore...non mi sembra che abbiate tenuto un comportamento molto corretto...”
Noi...” Hoggle ingoiò a vuoto “Stavamo solo dicendo che...”
Che volete detronizzarmi, non è così?” disse scattando in piedi, furibondo “Arrestateli”
Maestà!” implorò Didymus “Ci era stato detto che...”
Didymus...con quelli come te siamo stati magnanimi, fino adesso. Il tuo comportamento ha gettato infamia sui pochi superstiti della tua specie. Potrei farti giustiziare seduta stante per alto tradimento!” tuonò l'uomo
Se è questo che Sua Maestà ritiene giusto...” disse lo scoiattolo chinandosi in avanti in segno di resa incondizionata. Alle sue spalle, Ambrosious guaì tremando, allarmato per la sorte del padrone. Ludo tuonò, impotente, la propria disapprovazione.
Il sovrano lo guardò infastidito.
Maestà, non abbiamo mai dato adito a questo tipo di illazioni...la prego di ripensarci...” piagnucolò Hoggle inginocchiandosi davanti a lui “Abbiamo servito fedelmente il sovrano fino a che...”
Non sapevo fossi alle dipendenze di un ratto2, Boggle3” lo canzonò l'altro sistemandosi con accuratezza maniacale la sciarpa sulla spalla “Ma hai ragione...voi avete ubbidito agli ordini, non vi siete mai tirati indietro. Avete agito di vostra iniziativa laddove quel sovrano incapace aveva lasciato libertà di interpretazione...E sia...” disse facendo un cenno ai Goblin armati che si mossero all'unisono per circondare i tre che non capivano come avessero potuto finire in quei pasticci: un attimo prima parlavano concitati del ritorno della loro amica, quello dopo erano accusati di alto tradimento “Per ora, la vostra punizione sarà soltanto...” biascicò tamburellando le lunghe dita artigliate sulle labbra carnose. Diede loro le spalle, avviandosi su per le scale, seguito dai suoi uomini. Un cristallo nero comparve al suo fianco, seguendolo oscillando.



Senti...” domandò Sarah dopo un po'.
Quanto tempo era passato? Un'ora? Due? Di più? Di meno? Aveva già perso la cognizione dello scorrere del tempo.
Perché io ti devo tenere la mano e Marking, invece, non ha alcun bisogno di stare a contatto con te?”
Perché sei tu la sfidante che mi ha vinto e con cui devo fare il percorso. Posso lasciare la tua mano solo se le nostre volontà coincidono. Se entrambi decidiamo di fermarci per parlare. Ma scattare in avanti offesa o piantarmi in asso non son comportamenti intelligenti, ora come ora. Tu sei umana e lui è un animale...” rispose paziente lui.
Ma viene dal mio mondo...” protestò lei
E' un animale. Lui non è soggetto alle regole del labirinto, potrebbe risolverlo da solo. Ma...” la zittì, precedendo la sua replica “...non può stare davanti a noi due. Deve seguirci. Come ogni buon cane dovrebbe fare, tra l'altro...”
Vuoi dire...” disse Sarah, sfilando rapidamente la mano da quella di lui “Che se faccio così... e faccio due passi...A me può succedere qualcosa e a lui no?”
Sarah!” ringhiò Jareth occhi spiritati e furenti. Con un solo passo la riacciuffò e, livido di rabbia, la strattonò nuovamente al suo fianco.



O-oh!” fischiò il sostituto di Jareth avvicinandosi al cristallo frastagliato: ogni sfaccettatura gli rimandava una visione diversa del frammento di labirinto che seguiva. Era appena rientrato dalla spedizione punitiva e ora si stava stravaccando nella sala del trono che aveva un aspetto completamente diverso da quando era il biondo a regnare. Era ampia e spaziosa, come immersa in una bolla d'aria intrappolata all'interno della pietra nera e su di essa affacciavano una serie di quattro balconate da cui si intravedeva il corridoio dietro di esse. Le ringhiere erano massicce sculture fluenti. A un primo sguardo potevano sembrare arabeschi orientali ma osservando con più attenzione, come nella logica del labirinto, vi si scorgevano le fattezze di mostruose facce: cavità oculari e orali erano le aperture su cui si innestavano o da cui pendevano fredde fruste4. Ghignò divertito ma visibilmente irritato, scoprendo i canini acuminati. “La cosa si farà senz'altro interessante...” valutò portandosi una mano artigliata al mento. Ciò che era sfuggito all'osservazione di Sarah, ma che l'aveva istintivamente allarmata, era la natura bestiale dell'uomo. Come il biondo, infatti, anche il nuovo sovrano del Labirinto aveva un sembiante in cui poteva mutare a piacimento la propria forma. Un sembiante completamente diverso, antitetico a quello del precedente sovrano. “Goditi questo momento, Jareth, perché sarà il primo e l'ultimo...”




- - - - - - - - - - - - - -

Buona sera a tutti!
Spero non vi siate persi nella spiegazione del nome di Marking.... :) ci tenevo a farle fare questo ragionamento per arrivare a farle dire il “non capivo niente”...bella mia, capivi e capisci ben poco, mica solo di mitologia...
Non ho grandi cose da dirvi, a parte dirvi che nel capitolo 14, nota n°6, le piume prese da Dark Crystal, ho corretto la fonte dell'immagine, avendone trovata una più grande....

Concludo informandovi che nella mia suprema follia mi son lanciata anche con l'originale, che aggiornerò meno frequentemente della fic. Se siete curiosi... eccovi il link
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1051162&i=1

In ogni caso, ci risentiamo tra una settimana...
Alla prossima! ;)






1Il mito di Tristano e Isotta è un casino. In soldoni, il cavaliere finisce al servizio del proprio zio (Re Marco) che decide di sposarsi con la figlia del re avversario (o meglio, la proprietaria del capello dorato!), Isotta la bionda (perché poi c'è pure Isotta dalle bianche mani) a cui Tristano ha ucciso lo zio. Per sistemare tutto perché finisca al meglio, la regina affida all'ancella un filtro magico. Peccato che finisca a Isotta e Tristano (che lo scambia per vino) e non a Isotta e Re Marco. Isotta si sposa cmq, ma da quel momento si innescano una serie di inganni che vengono subodorati dal resto della corte fino a quando i due non vengono beccati in flagrante. Per vedere il resto della trama, simile ad alcuni miti classici, vi rimando a Wikipedia.

2Ci si riferisce all'epiteto che Hoggle aveva usato per Jareth, nel film, ai cancelli di Goblin City, dopo aver mandato in tilt in cancello-robot

3Esitare-trasalire.

4Per l'architettura dell'interno, rimando ancora a Dark Crystal, gli interni del castello degli Skeksis (http://alienationmentale.files.wordpress.com/2012/01/skeksis2.jpg) , ma anche all'architettura di Gaudì, in particolare Casa Battlò (http://it.wikipedia.org/wiki/Casa_Batll%C3%B3)

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Giochi di Specchi ***


17- Giochi di specchi




Non se ne accorse subito, ma gli sembrò che qualcosa fosse cambiato: avvertiva una leggera tensione elettrica nell'aria. All'improvviso ebbe la certezza che fosse successo qualcosa. Abbassò lo sguardo sulla ragazza al suo fianco. Non sembrava cambiato nulla.
Tirò un impercettibile sospiro di sollievo.
Cos'hai da fissare con tanta attenzione?” domandò Sarah, inviperita per quel trattamento.
Nulla di cui ti debba preoccupare...” rispose Jareth secco. “Ma vedi di non lasciare più la mia mano, intesi? Almeno, non a quel modo” disse, rimproverandola, agguantandola e mettendosi a marciare, trascinandola per strada come una bambina. C'era qualcosa che non andava, ne era certo. Il suo sesto senso gli diceva di tenere i sensi all'erta.
E' questo che intendevi, quando dicevi che avrei dovuto fare tutto ciò che avessi detto?” domandò la ragazza, il tono di voce pacato e neutrale ma in qualche modo provocatorio.
Esattamente, signorinella...” la redarguì appuntando lo sguardo all'orizzonte
Lascia che io ti domini...” continuò lei, rievocando il ricordo “Cosa intendevi dire?”
Sarah...” disse stanco delle sue domande fattesi in qualche modo improvvisamente provocanti. “Non...” cominciò, girando lo sguardo finalmente su di lei. Rimase interdetto. Lei lo stava guardando con i grandi occhi verdi spalancati, quasi smaniosi. Era indubbio che esprimessero desiderio ma a Jareth i conti continuavano a non tornare. Era solo lui a vederla in quel modo? A volerla vedere così? Doveva darsi una regolata
...sfidarmi?” terminò lei, sorridendo feroce “Altrimenti cosa, Re dei Goblin?” chiese facendoglisi vicina e affilando lo sguardo “Sei un po' ripetitivo, o sbaglio?” chiese ancora inclinando la testa di lato, lasciando che i capelli corvini le scivolassero dalle spalle, scoprendo il collo bianco e flessuoso.
E' il repertorio del cattivo a essere limitato e ripetitivo...” rispose lui, confuso, fissandole la gola come ipnotizzato
Davvero?” chiese sarcastica, quasi non gli credesse. Come quando lui le aveva detto di saper essere anche generoso.
Jareth era stupefatto. I begli occhi spaiati erano sgranati, il volto esangue: che cosa le stava prendendo? Perché era palese... O no? Che fosse lui? Stava ingigantendo tutto? Certo. Lei non aveva fatto altro che respingerlo in ogni modo, molto goffamente. Era lampante come lei lo desiderasse e, al tempo stesso, non volesse ammetterlo. Ma non si aspettava certo che si facesse così intraprendente, come aveva sempre sperato lui.
Sarah accorciò ulteriormente le distanze, i due corpi ormai erano così vicini che ciascuno poteva avvertire il calore dell'altro. Lo studiò attentamente, quasi divertita. Quindi, fece l'ultima cosa che Jareth si sarebbe mai aspettato. Ma anche la prima che lui avrebbe desiderato, da lei.

Quando le labbra della ragazza sfiorarono le sue, le mani artigliate alla giacca, il fianco provocatoriamente appoggiato al suo ventre, reagì d'istinto.


Jareth si avventò su di lei come un rapace a caccia. La schiacciò col suo corpo contro la parete solida del labirinto e quasi le mandò la testa a sbattere contro il laterizio.
Co...cosa ho fatto, adesso?” replicò imbarazzata sotto quella pericolosa vicinanza. Sapeva benissimo cosa aveva combinato: gli aveva disubbidito dopo che lui l'aveva già redarguita una volta.
Sarah...” la voce di Jareth era arrochita e la ragazza non riusciva a capire il perché di quella strana sfumatura: stanchezza? disperazione? “Perché? Perché non puoi fare quello che ti dico, una volta tanto?”
Sarah abbassò lo sguardo sulle proprie mani intrecciate. “Cosa posso mai rischiare?” domandò in un soffiò. Temeva anche solo di respirare, preoccupata che lui potesse avvertire i tuoni che il suo cuore le faceva rimbombare in petto a causa di quella vicinanza.
Tutto. Tutto!” disse quasi rabbioso “Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo” aggiunse sollevandole il volto con una mano sotto il mento in modo che gli occhi di lei incontrassero i suoi
Sì, sì, ho capito l'antifona...” disse sempre più imbarazzata, sperando di riuscire a distogliere lo sguardo
Perché tremi?” chiese lui, innocentemente. Spostò la mano dal suo volto alla parete alle sue spalle e la mano libera corse a quelle di lei che si intrecciavano nervosamente.
Non...non sto tremando.” Ribatté lei punta sul vivo.
Sì...ma io non mi sono fatto così terrificante...” replicò con un sorriso sghembo sulle labbra. “Hai le mani gelate...” constatò “Hai freddo?”
No..” riuscì ad alitare lei. Doveva cercare di mantenere il sangue freddo. Il re di Goblin si stava sicuramente divertendo un mondo a metterla così in difficoltà “Grazie, Vostra Maestà...ma avrei addirittura caldo...” rispose con azzardo
Certo...” rispose lui svelto e sicuro “Finché ti intabarri in questi camicioni...” disse sbottonandole i primi due bottoni della casacca. La stava spogliando, senza che la loro pelle si sfiorasse mai, neanche per errore, e lei non reagiva? Si stupì di se stessa per la libertà d'azione che gli stava concedendo. Quando si fermò, Sarah si sentì quasi delusa. “Non è che hai la febbre?” domandò ancora lui, poggiando la propria fronte su quella della ragazza.
Era snervante. Riusciva a mantenere così bene il controllo di sé. Forse, davvero, come aveva sempre sospettato, non gli interessava nulla di lei. O forse, da bravo sovrano viziato, si aspettava che fosse lei a fare la prima mossa. Stanca di lottare quel desiderio che aveva di lui, chiuse gli occhi, conscia che lui aveva appena fatto lo stesso.


Il bacio fu lungo e famelico, quasi osceno per la tensione che i due corpi avvinghiati tra loro esprimevano. La sensazione delle stecche rigide sul corpo morbido e caldo di lei sotto le proprie mani e il profumo della sua pelle, imprigionato nei lunghi capelli scuri, lo inebriavano.
Ma Jareth si staccò improvvisamente, allontanandola bruscamente. Si passò, veloce una mano sugli occhi maledicendo la propria debolezza. Non riuscì nemmeno a schiarirsi le idee che Sarah gli si avvicinò ancora. Le sottili mani bianche guizzarono rapide ad aprirgli la giacca, insinuandosi all'interno. “Sì...Questa giacca, ad esempio...” gli soffiò all'orecchio con un sorriso divertito, rispondendo da sé alla domanda che gli aveva posto poco prima “Non limita il tuo proposito di dominio?”
Sarah...” disse lui, voltandosi in modo da non incrociarne lo sguardo “Cosa ti ho detto prima?”
Lei si bloccò, interdetta “Che mi offrivi i miei sogni...” sottolineò maliziosa
No.” disse lui, nella voce una rabbia mal celata “Non allora...adesso...cosa ti ho appena detto?” domandò trapassandola con uno sguardo di fuoco
Sarah non sapeva come comportarsi “Di non sfidarti?” domandò
Esatto” disse rancoroso puntandole l'indice contro, avanzando e costringendola ad arretrare “Non sfidarmi!”
Io non...” stava per ribattere che lui la zittì di nuovo
Taci! Lo stai facendo!” precisò. Aveva bisogno di pensare e alla svelta. Tutto ciò che sapeva era che quella assatanata davanti a sé non era la ragazza per cui era andato nel mondo umano e con cui era entrato nel labirinto. Chi poteva essere, tra tutte le creature e le entità del sottosuolo?
La donna si mise in attesa, le braccia incrociate al petto.
Sarah...dammelo!” disse, dopo un po', tendendo il braccio verso di lei.
Cos'è che desideri, mio signore?” disse lei, tornando nello stato di malizia di poco prima. Si portò le mani alla camicia e cominciò a sbottonarla dal fondo
Jareth si accigliò. Era stanco di quella farsa. Quella non era Sarah. Quella era l'immagine che lui avrebbe voluto che Sarah avesse. L'irritazione che provava era segno che la Sarah dei suoi sogni l'avrebbe presto stancato. Lui non voleva il proprio sogno: era arrendevole e fin troppo facile da conquistare. Lui voleva Sarah. Con tutte le complicazioni del caso “Dammi il mio medaglione, la mia collana!”
Ma tu hai detto...” protestò lei, portando la mano al petto.
Dammela!” sibilò lui in un tono che non ammetteva repliche “Dammi la collana, Sarah!”
La ragazza, riluttante, gli consegnò il monile che il biondo afferrò al volo e con sicurezza se lo fece scivolare al collo.


Le sembrò che quel momento potesse durare per sempre.
Jareth si era dimostrato inaspettatamente dolce. L'aveva cercata a lungo, con baci delicati a fior di labbra intervallati da calde carezze alla guancia, prima di intrappolarla seriamente tra le sue braccia. Le aveva dato tempo e modo di sottrarsi a lui. Quando non l'aveva respinto ma, anzi, aveva allungato le mani verso la sua nuca e le aveva affondate nei lunghi capelli dorati, allora lui l'aveva stretta a sé, facendole scorrere le lunghe dita, forti e delicate al contempo, lungo la schiena e fin sul collo, in un abbraccio avvolgente. Non l'aveva forzata, cercando di insinuarsi in lei, non le aveva fatto pressione con il bacino. Era tutto, semplicemente, perfetto. Quella perfezione la confondeva: sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in ciò che stava accadendo ma non aveva la forza, né tanto meno la volontà, di respingerlo.
Quando si separarono, per la distanza di un dito, le parve di riemergere da una lunga apnea sui fondali oceanici. Schiuse gli occhi e li piantò in quelli di lui.
Cosa stai facendo?” domandò alla fine, riuscendo a riacquistare un minimo di sicurezza nella voce. Sicurezza che non aveva certo nel resto del corpo, che tremava ancora più vistosamente e sul punto di crollare a terra per l'emozione
Non era quello che volevi, Sarah?” chiese lui senza indietreggiare
Hai detto di non aver alcun potere...” replicò lei allibita e ferita
Non ci vuole la magia per saperti leggere...” rispose lui di rimando “...è così evidente...” rimarcò tornando ad avvicinarsi.
Ma lei, quella volta, riuscì a opporsi “Non ti ho chiesto nulla...”
Ma vedo...” ricominciò lui imperterrito “E tutto quello che hai voluto io l'ho fatto. Sempre.”
Incantarsi davanti a una vetrina di bei vestiti ad ammirarli non vuol dire che io possa desiderarne realmente uno...” sentenziò lei. C'era decisamente qualcosa che non andava. Jareth non era mai stato accondiscendente. “Non fingere di essere generoso.”
Questo non è generoso?” domandò lui piccato piantando le mani nella parete alle sue spalle.
No, non lo è. Come non lo è stato dieci anni fa. Che i tuoi interessi, ora, coincidessero con i miei è un altro paio di maniche. Tu hai fatto quello che comodava a te.” rispose lei fissandolo sicura. “Non confondere le cose, non è corretto!”
Mia cara...” cominciò lui prendendole una ciocca di capelli e portandosela alle labbra, in un gesto intimo e familiare “...E' così sbagliato volerti bene? Desiderarti?”
No, si disse Sarah. Quello non era Jareth. Doveva essere successo qualcosa. Ripensò a quella strana sensazione di disagio che aveva subito accantonato, il leggero sfrigolio elettrico nell'aria. Proprio quando si erano lasciati le mani! Si guardò attorno. Eppure Marking era lì con loro, pancia all'aria a godersi il sole del labirinto, e sembrava non considerarli.
Jareth non avrebbe mai detto quelle cose in modo così diretto. Lui girava attorno al problema come un avvoltoio sulla preda. Se proprio fosse stato affascinato da lei, avrebbe cercato di farla capitolare per prima. Non si sarebbe mai esposto in quel modo e con quella schiettezza. Lui amava tenderle tranelli logico-linguistici, amava vederla in difficoltà. E amava prendersi ciò che considerava suo di diritto, come Toby e, in quel caso, lei. L'immagine di loro due nudi a letto le tornò violenta alla mente. No, non le aveva chiesto niente e si era alzato offeso: nella sua mente distorta lei gli apparteneva. Lui si divertiva a provocarla e lei non avrebbe dovuto rifiutarlo, anche se quel comportamento, probabilmente, ne gonfiava il godimento e l'orgoglio. Ma non sarebbe mai stato così gentile e disponibile.
Chi sei?”domandò allora
My dear...chi vuoi che sia se non...?” riprese lui, imperterrito con tono canzonatorio, interrompendosi quando vide cosa lei gli faceva oscillare davanti agli occhi.
Mettitela!” ordinò
Ma...” lui sembrava spiazzato “Cara...ti ho detto cosa può farmi, hai visto...mi odi a tal punto?”
Ho detto di mettertela!” disse cacciandogli in mano la collana.
Quello la fissò, la catenina che fluiva dalle sue dita. Chiuse gli occhi e gliela riconsegnò a malincuore “D'accordo...hai vinto...” ammise “Non sono Jareth...”


Jareth si aspettava di provare un dolore lancinante già assaporato ma non accadde nulla. Sembrava quasi avesse indossato il vuoto.
Bene...” disse davanti alla constatazione di quello che aveva subodorato “...caro il mio Specchio... come vedo il mio intuito, ancora una volta, mi ha guidato bene...”. Si era fatto fregare da uno specchio, constatò stizzito. Lui che era il padrone di tutte le superfici riflettenti, che le usava a suo piacimento, era rimasto intrappolato in una di esse.
La ragazza sbuffò indispettita e tornò a incrociare le braccia al petto “Ben fatto, Principe di Goblin...” Lo squadrò in tralice, quindi, continuò “Davvero non ti interessa continuare un altro po'?” disse tirando un po' lo scollo della camicia invitandolo a sbirciare oltre. Jareth l'incenerì con un'occhiata
Dov'è Sarah?” domandò
E' qui con te...” rispose la ragazza di rimando. Jareth serrò le mascelle. La domanda non era quella giusta ma lo specchio aveva comunque risposto: Sarah era lì, con lui. Ma erano, entrambi, intrappolati in una realtà esterna da quella reale.
E dimmi, Specchio, quali sono le condizioni per cui io e la vera Sarah possiamo liberarci dal tuo sortilegio??”
La finta Sarah rispose con un sorriso compiaciuto


Sarah avrebbe volentieri mollato un ceffone a quel disgraziato per il tiro mancino che le aveva giocato “Di grazia...” sibilò furiosa “Gradirei sapere chi ho baciato poc'anzi...”
Io sono il tuo Jareth, cara campionessa del Labirinto” rispose quello con sguardo ammaliatore “Sono ciò che hai sempre desiderato, un riflesso del tuo inconscio...io sono uno Specchio”
Uno Specchio?” domandò lei
Dopo un attimo di silenzio, l'uomo chinò impercettibilmente la testa “Sì... direi che dovresti ormai conoscere le proprietà di noi superfici riflettenti...non ci limitiamo a mostrare... noi materializziamo i sogni...” Sarah non poté fare a meno di arrossire. Ma se a sapere così in dettaglio cosa celava in cuore era uno specchio e non Jareth, si disse, poteva mettersi tranquilla. Lui non l'avrebbe mai saputo. O no?
Dunque, caro Specchio, puoi dirmi anche cosa devo fare per riavere il mio accompagnatore?”
Quale accompagnatore?” domandò il finto Jareth inclinando la testa di lato “Hoggle? Monsieur le Ver? Ludo? Sir Didimus?” chiese, assumendo di volta in volta le diverse sembianze per tornare di nuovo al biondo “Jareth?”
Sarah si morse la lingua. Le domande! Doveva imparare a formularle correttamente se voleva sopravvivere in quel regno “Quali sono le condizioni perché io riesca a ritornare nella situazione subito antecedente al tuo incontro?”
Non tornerai mai in quella situazione.” precisò lo Specchio “Nemmeno se riavvolgessimo il nastro del tempo...Per quanto sia passato poco tempo, tu sei cambiata...” disse passandosi un dito sulle labbra sorridendo.
Arrossendo, Sarah cercò di riformulare la domanda “In quale modo posso liberarmi di te e ritrovare colui che è stato sovrano di Goblin City fino al mio arrivo?”
Lo Specchio sollevò le sopracciglia, soddisfatto della domanda


Le Vostre Maestà saranno libere di proseguire nel loro percorso solo quando diventerete un'unica persona...” disse mostrando la superficie lucente di uno specchio finemente intagliato comparso dal nulla. Solo quando, in pratica, reale e riflesso avrebbero coinciso.



- - - - - - - - - -

Rieccomi qui, fanciulle.
Allora...vi è piaciuto il non-bacio? :) sono sadica? Sì, grazie, già lo sapevo...
Per il resto...lo so che la trama è un po' un casino, in sto capitolo. Date buona la teoria e tirate dritto (o se avete soluzioni migliori suggerite pure...). Perché in partenza volevo far sì che il reale di Sarah coincidesse col riflesso di Jareth e viceversa. Ma diventava troppo contorto. Semplificando in questo modo, comunque, è un pasticcio lo stesso: due originali identici, che quindi possono specchiarsi nella stessa superficie....non lo so...credo di essermi persa pure io... @_@
Odio quel fenomeno in cui due specchi che si riflettono continuano a farlo all'infinito. Non se ne esce.
Precisato ciò, vi lascio!
Alla prossima settimana
PS: la prossima volta ne saprete di più anche sul cattivo. Promesso!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Rajeth ***


18- Rajeth




Jareth sbiancò. Non mostrò nulla allo specchio, anche se, probabilmente, sapeva tutto ciò che gli si agitava dentro. “Ragiona, razza di pusillanime...qualche mese nel mondo umano e ti fai fregare da questi doppi sensi...” strizzò gli occhi, poggiandovi sopra una mano per cacciare l'immagine che gli era balenata in mente. Quando li riaprì, la copia di Sarah gli stava davanti praticamente nuda, coperta appena dai capelli corvini e da una sottoveste di pizzo nero.
Sta lontano!” sibilò arretrando. Lo specchio scoppiò in una risata sguaiata, buttando la testa all'indietro e con essa, la cascata nera di capelli.
Tu non hai alcun potere su di me...” precisò quando l'ilarità si fu finalmente spenta. Jareth assottigliò gli occhi. Quella non era una donna, quindi non poteva sperare di metterla a tacere imprigionandole le mani nella morsa delle sue: poteva pure rivelarsi dieci volte più forte di lui. Doveva ragionare alla svelta. Come dovevano diventare un'unica persona? E perché?
Chiuse ancora gli occhi, deciso a ignorare lo specchio. Ecco, sarebbe partito da lì. Lui doveva ignorare uno specchio. Cosa faceva uno specchio?
Rifletteva l'immagine di una persona. Se lui e Sarah fossero diventati la stessa persona, originale e copia riflessa si sarebbero potuti guardare negli occhi attraverso lo spazio, il varco rappresentato dallo stesso. Le loro scelte dovevano essere le stesse. Ciò voleva dire avere una profonda conoscenza dell'altro e una perfetta padronanza delle risposte che ci si poteva aspettare. Ma se si fossero messi, ciascuno, a pensare a cosa avesse pensato l'altro in base a quello che il partner avesse immaginato, sarebbe diventato un gioco da ricovero psichiatrico. Sarebbe stato come guardare due specchi che si riflettevano a vicenda. Sarebbe stato come perdersi nell'infinito, come girare a vuoto sul nastro di Moebius. Lo osservò, inciso sul suo medaglione. Doveva cambiare prospettiva.
Per gli umani quello era il simbolo dell'infinito. Ma era anche un otto. E allora? Come poteva aiutarlo quella constatazione?


Sarah allibì. Come potevano fondersi? Andò allo specchio e ne sfiorò la superficie. Era fredda, come quella di tutti gli specchi. Cosa si aspettava? Che fosse d'acqua o di argento vivo e potesse immergervi la mano e sbucare dall'altra parte? Alzò lo sguardo sull'immagine che quello le offriva di sé. Si osservò attentamente. Certo era arrossata ma c'era qualcosa, o forse era solo nella sua mente, che la faceva sembrare un po' più adulta, un po' più donna. Scosse la testa e cacciò l'immagine del bacio: quello non era Jareth. Doveva pensare nel modo corretto. Quando ci si guarda allo specchio, la persona che si riflette è la stessa che sta dinnanzi allo specchio. Era forse quello il punto focale? Forse...la questione non riguardava solo lei. Il labirinto lo stavano affrontando insieme. E insieme dovevano risolverlo. Quindi era probabile che anche Jareth, in quel momento stesse affrontando la stessa prova. Stessa prova, stesse risposte ma due persone diverse. Dovevano diventare un tutt'uno nel senso che avrebbero dovuto, non solo imparare come ragionava l'altro, ma riuscire a giungere, pur separati alla medesima risposta.
Tutto qui?” domandò alla fine del suo ragionamento “Non mi poni nessuna domanda?” chiese scettica all'uomo davanti a sé “Non mi poni davanti a qualche scelta?”
Dovrei?” chiese inclinando la testa di lato “Ma non è mio compito..io sono solo uno specchio. Rifletto ciò che ho davanti, medito e rimando semplicemente l'immagine che ho davanti così com'è...”
Mi stai dicendo che siamo stati divisi da una semplice lastra riflettente?” chiese sconvolta “Ma allora non mi basta tornare indietro?”
Desolato, mia cara...siete entrati in un'altra dimensione...” la informò lui. Andando a poggiarsi con la schiena contro il vetro. Lo sguardo di Sarah corse al cane: lui era stato probabilmente escluso da tutto quello.
E quindi come faccio se non mi dai uno spunto per partire?”


Jareth passeggiava avanti e indietro davanti allo specchio, inquieto. Cosa doveva fare? Cosa doveva vedere? Ma soprattutto... come si sarebbe comportata Sarah? Si fermò, cercando di focalizzarsi sulla ragazza. Dieci anni prima non faceva che chiedere aiuto a chiunque, anche a chi le tendeva il tranello. Ripensò alle doppie porte del vicolo cieco e ai battenti delle porte della foresta proibita.
Chiedere aiuto, ecco cosa doveva fare, tanto per cominciare. Poteva sembrare una sciocchezza, ma ora che si trovava costretto, non sapeva come formulare, correttamente, la domanda.
E cosa poteva mai chiedergli? “Come possiamo adempiere alla tua condizione se non mi poni davanti una qualunque scelta? Così è come essere da soli. E da soli non avremmo bisogno di immedesimarci uno nell'altra” borbottò Jareth verso la ragazza che, nel frattempo, si era accomodata provocante e volgare su una copia del suo trono.


Tutto deve partire da qui...” disse lo specchio portandosi, lascivo, un dito al petto, a indicare il cuore “Per il resto vi dovrete arrangiare...” ghignò


A questo potevo arrivarci da sola” replicò Sarah, perdendo la pazienza: quello specchio la esasperava tanto quanto Hoggle al loro primissimo incontro. Jareth come avrebbe reagito in quel frangente? Sarebbe rimasto calmo ma visibilmente alterato. “Non mi serviva certo l'aiuto di un inutile specchio che pensa di essere tanto furbo solo perché riflette. Non hai la più pallida idea di cosa mi passi realmente per il cervello" disse avvicinandoglisi e puntellandosi, come era solito fare l'uomo davanti a sé, con una mano alla parete e come avrebbe tanto voluto fare anche lei, mostrandosi aggressiva.


A questo potevo arrivarci da solo” replicò Jareth, perdendo la pazienza e piantando una mano nello schienale, trafiggendo quell'insulso specchio con i suoi occhi di ghiaccio. Era stanco di quei giochetti. “Non mi serviva certo l'aiuto di un inutile specchio che pensa di essere tanto furbo solo perché riflette. Non hai la più pallida idea di cosa mi passi realmente per il cervello" disse tagliando le parole con acredine. Ma Sarah? Era il tipo che avrebbe puntellato le mani così? Sperò che lo facesse, almeno per imitare lui.


L'immagine seducente offerta dallo specchio svanì lentamente e con esso tutto il regno fittizio che si era andato a creare. Tutto piombò nell'oscurità, illuminata solo dalla specchio che rimandava l'immagine chiara della persona davanti a sé. Piano piano, come in una sorta di morphing digitale, l'aspetto di Jareth e quello di Sarah trasmutarono uno nell'altro. Il vetro sotto le loro dita si assottigliò sempre più, dando loro quasi l'impressione che fossero stati sempre in contatto. Ma Jareth si rese conto che qualcosa era cambiato non appena sfiorò davvero la pelle della compagna. Un flusso sommesso e sinuoso di energia si infilò in lui, scorrendogli nelle vene. Era il potere di lei che, quasi per osmosi, tornava a lui.
Elettrizzato da quel contatto, certo della presenza davanti a sé, ruotò il polso e afferrò quello di lei in una stretta salda: non l'avrebbe più lasciata. Era euforico che entrambi avessero avuto l'intuizione giusta, che entrambi fossero riusciti a essere così in sincrono con l'altro. La tirò a sé, quasi stesse sguainando una spada, e la baciò deciso, cogliendola di sorpresa, stringendola a sé per i fianchi con la mano libera. Quella era Sarah, quella era la ragazza che voleva, non il fantoccio arrendevole e sadico che aveva lui nel cervello. Le forzò la lingua tra i denti e quando lei si arrese la strinse ancora più forte. Voleva imprimersi nella mente il suo odore, il suo sapore, la sua fisicità. Lei, non la copia. Voleva cancellare quella prima, per quanto orgasmica, esperienza di lei. Ma nella concitazione del momento non riuscì nel suo intento, troppo impegnato a pensare al suo obiettivo finale per assaporare realmente quello che stavano facendo.

Sarah, dopo un primo momento di sorpresa (“era appena passata attraverso lo specchio? O no? Quello era il vero Jareth? O un'altra illusione?”), uno di gioia e abbandono per quel gesto così intimo, così loro, solo loro (finalmente), lo cacciò con forza, quasi offesa, quando lui, dopo averle lasciato andare il polso, le aveva piazzato, poco signorilmente, una pesante palpata sul seno.
Che diavolo ti salta in mente?” disse mollandogli un sonoro ceffone sul bel volto e riprendendo rapidamente il controllo di sé, vergognandosi per come si fosse lasciata andare a quel maniaco lolitomane. Quello era Jareth. Il vero, arrogante, prepotente, dispotico re di Goblin, non il cavalier servente che aveva desiderato ma che le era parso anche tremendamente noioso. E se Jareth credeva di poter aver tutto da lei solo perché aveva la luna storta aveva capito male. Che fosse contento o meno per il loro ritrovarsi non gliel'avrebbe perdonata.

Il biondo rimase perplesso e agghiacciato da quella sequenza di eventi: cosa aveva appena fatto lui? E cosa si era permessa di fare quella stupida isterica?
Non posso farci niente...” rispose voltandosi piano verso di lei “..Quando mi saltano i nervi non sono più padrone delle mie azioni.” Si passò la mano sulla guancia offesa tanto per constatare l'entità dei danni, quindi avanzò verso di lei, minaccioso “Il punto è che io sono un tipo tremendamente possessivo.” Le afferrò la mano con un gesto di rabbia e, quasi strattonandola, fece in modo di averla di nuovo vicina a sé “Atteggiamenti come quelli di poco fa, non li tollero” scandì fissandola, sperando che il concetto le entrasse in testa.1
Beh” replicò lei offesa “Non sono la tua serva.” puntualizzò tirando il braccio, non per liberarsi ma per decretarne il possesso “Vedrò di fare attenzione ma sappi che neanch'io tollero certi atteggiamenti”
Bene” rispose lui asciutto e intimamente deluso



Lontano dai loro sguardi, il nuovo sovrano di Goblin City, rideva sguaiatamente, divertito da tutto quel bisticciare. Era piegato in due con le lacrime agli occhi dal troppo sbellicarsi. “Finalmente hai trovato pane per i tuoi denti...Ma vedi di non toccarla troppo...potrebbe esserti fatale...”
Non dovresti parlare così di lui...” biascicò la donna che gli stava sdraiata a fianco. Aveva lunghi capelli mogano ricciuti, il corpo armonioso e ben proporzionato fasciato in un abito color lavanda.
Lui la baciò distrattamente, continuando a seguire gli eventi nel labirinto “Miriam, Miriam2” disse sovrappensiero, prendendole una ciocca di capelli tra le dita e giocherellandoci un po', proprio come lei stava facendo coi suoi. “Puoi lasciare in pace i miei capelli?” domandò un po' seccato: la donna aveva l'odiosa abitudine di arruffargli i capelli in nodi indistricabili.
Lei, però, riprese a scompigliarglieli con più foga di prima. L'altro difetto che aveva era che faceva sempre, e solo, il contrario di quanto le veniva detto. “Miriam, per cortesia...puoi continuare a intrecciarmi i capelli?” domandò allora lui, alzando gli occhi al soffitto. Subito la donna cominciò a carezzarlo e a sciogliere i groppi.
Sono carini, non è vero?” disse lei, osservando, affascinata, la scena nel cristallo.
Carini?” sputò velenoso il re “Carini?” quasi urlò mentre affondava la mano nelle onde scure dei suoi capelli e glieli afferrava con rabbia, costringendola a guardarlo. Gli occhi neri di lei non erano minimamente impressionati da quella scenata. “Spero che Jareth muoia nel tentativo di arrivare qui!” sibilò.
Solo allora Miriam sembrò ridestarsi come da un sogno “Ma avevi detto...”
Cretina!” sibilò mollandola di colpo “Lui era il re rivoluzionario... Il mio compito è mantenere l'attuale stato delle cose. Quindi...” le labbra gli si stesero in un ghigno osceno. “Se gli ridessi il suo trono tanto facilmente...dove sarebbe l'aspetto conservatore della mia carica? E dove starebbe Sarah, se ci fosse lui, sul trono?”
Mi hai...usata?” alitò la donna. Era allibita. Di colpo, tutto l'amore che poteva aver avuto negli occhi, era sparito, sostituito da una vacuità innaturale.
Vedila come vuoi...” fu la risposta criptica del re. “Sei libera di andartene, se la cosa...” disse indicando la vastità e la ricchezza del castello con un gesto plateale delle braccia “...non ti interessa.”
Miriam esitò, incerta, ma alla fine, tornò a sdraiarsi accanto al sovrano che riprese a carezzarla, gentile “Brava....”
Era particolarmente soddisfatto di sé: riusciva a gestire e sfruttare un essere tanto complicato come lei, un Lauro3, una delle etnie elfiche più ingestibili tra le creature magiche.
Non so mai....” cominciò, mentre lo sguardo scivolava lascivo sulle sue curve “...se sia merito del mio fascino, della tua devozione a Jareth o della tua natura così adorabilmente complicata...”
Lei si volse a guardarlo negli occhi rossi. Allungò una mano al collo del re, tirandolo verso di sé. I lunghi capelli neri e lisci dell'uomo sembravano quasi proteggerli dalla realtà esterna. “Tutt'e tre...” disse lei allungando appena il collo per baciarlo. Da lui si sarebbe aspettata un comportamento più aggressivo, nei suoi confronti, in quei momenti. Invece, il re si dimostrava particolarmente sensibile, o totalmente disinteressato, per pensare di pretendere qualcosa in più. D'altronde lo sapeva bene: lei era solo un surrogato. Lo era sempre stato. Anche con Jareth4.
Lo scalpiccio nella sala li distrasse e l'uomo si ritrasse appena, quel tanto che bastava a vedere, attraverso la tenda di rami d'ebano dei propri capelli, il nuovo venuto.
Vostra maestà, chiedo scusa per il disturbo...” una voce, dal centro della sala, lo interruppe.
Se sai che mi disturbi perché ti fai vedere, Boggle5?” domandò irritato l'uomo alzando il volto di scatto. I capelli disegnarono un arco perfetto nel frustare l'aria attorno al volto del giovane “Per me resterà sempre un grande mistero perché lui...” il tono di voce improvvisamente disgustato “...non ti abbia mai spedito nella Palude...” L'osservazione era rivolta, implicitamente, anche alla donna che poco prima gli si era ribellata.
Ci ha provato...” borbottò Hoggle osando alzare il capo
Cosa fai?” ringhiò l'altro scattando in piedi e sollevando una nuvola di drappi bianchi bordati da una greca rossa mentre la sua donna cercava di ignorare quell'atteggiamento poco accorto nei suoi confronti. “Guarda per terra, immonda creatura!” sibilò avanzando verso di lui “Devi strisciare innanzi al tuo Re...ricordati che non tollererò oltre i tuoi modi. Vi ho lasciato un po' di tempo per adeguarvi, dopo il lassismo di Jareth. Ora basta!” Così dicendo gli calò sulla testa un piede avvolto in una morbida ciabattina di velluto dai bordi dorati per fargli capire come dovesse stare davanti a lui. “Allora...che vuoi? Mi hai interrotto sul più bello!”
Volevo dirVi che noi avremmo finito con...” cominciò l'altro che il sovrano lo interruppe, volgendosi al trono senza più considerarlo, i lunghi capelli neri che scivolavano sulle spalle come onde di un mare in tempesta.
Quando si fu seduto, sbracato più lascivamente del suo predecessore, e si fu tirato nuovamente addosso la donna, si illuminò “Direi che ora potete venire a lucidare la balconata....mi piacerebbe risplendesse come uno specchio di ematite...” disse scoppiando in una risata sguaiata mentre Hoggle si allontanava senza mai voltargli le spalle. Era un compito impossibile: quello era cemento grezzo.


Camminavano in un silenzio carico di tensione e imbarazzo. Ad accompagnarli, solo il suono delle suole dei loro stivali sul lastricato.
Jareth non poteva non fare un parallelismo su quanto era appena avvenuto tra loro e quello che era accaduto in passato. Lei, dopo averlo accolto in un primo momento, lo aveva respinto ancora, per la seconda volta. In modo più deciso, consono alla donna che era. Non è che gli garbasse eccessivamente l'indole manesca e isterica della ragazza, ma era il prezzo per averla così combattiva. L'unica differenza era il pubblico: solo Marking aveva assistito alla scena e non l' intera corte. Forse. Perché anche lui li stava sicuramente osservando. Le ragnatele che facevano capolino negli angoli più nascosti del loro percorso erano tutti abitati. E quegli abitanti erano l'equivalente di ciò che erano stati per lui i licheni occhiuti. Ragni. Ragni dotati di una miriade di occhietti rossi terrificanti. Quei cosi non erano che la conferma dei suoi gusti decisamente discutibili.
Inoltre, per quanto ne sapeva, poteva aver invitato tutti a corte per denigrarlo pubblicamente. Lui aveva riso di Sarah, divertito da tanto ardire, solo coi propri Goblin. Ma anche quella era un'inesattezza. Lui si era angustiato tutto il tempo e i suoi piccoli sudditi l'avevano capito immediatamente.
Il ricordo del ballo, però, gli fece scattare una curiosità.
Come hai fatto a capire che non ero io?” domandò lui, rompendo il muro che era calato tra loro.
Perché...” Sarah tacque, improvvisamente a disagio “Beh, eri stranamente gentile...” disse sorvolando in che modo lo fosse stato “E tu?” chiese allora lei, incuriositasi a sua volta.
Eri obbediente, sottomessa, docile...come una bambina” rispose lui rivedendosela praticamente nuda davanti, tutt'altro che una bambina. Dovette sforzarsi per non voltarsi a guardarla nel tentativo di sovrapporre le due immagini. “Finalmente facevi quello che ti veniva detto” sputò.
A quelle parole, a Sarah tornò in mente tutto il discorso che le aveva fatto il professore non molto tempo prima. E se lui fosse stato davvero interessato a lei come un uomo può esserlo di una donna e non solo come una valida avversaria? Ma no, cosa pensava. All'epoca era poco più di una bambina. Immanuel doveva essersi sicuramente sbagliato. Ma se, per assurdo, fosse stata, invece, l'ipotesi corretta? Da quando lo era stato, precisamente?
Certo...il loro ultimo incontro, nella stanza di Escher o in quella in rovina, poteva prestarsi a quel facile fraintendimento...ma prima?
Prima...c'era stato il ballo...quella splendida allucinazione...ammettendo che fosse reale e lui fosse sincero...
Più si arrovellava sulla sua presunta infatuazione e sulla sua possibile origine, più si accorgeva che, cercando di essere onesta, doveva retrocedere fin quasi al loro primissimo incontro. Ma ancora non si conoscevano ed era quindi impossibile...E trovava difficile che potesse essersi preso una cotta tanto potente in una manciata di ore.
Tutta quella situazione era assurda...
Quello era il prezzo per la tua incolumità … Ti riformulo la domanda: non ero stato generoso? …Proprio non capisci, eh?” Le aveva detto prima di entrare nel labirinto. Cos'è che non capiva? Perché non riusciva a vedere l'ingiustizia che vedeva lui? Dov'è che si era dimostrato generoso?
Poteva dirsi certa di essere importante per lui? No. D'altronde, erano praticamente due sconosciuti: a lei non sarebbe dovuto interessare nulla di lui, forse avrebbe dovuto anche provare fastidio per tutte le libertà che lui si sentiva in diritto di prendere.
Eppure, nonostante sapesse, coscientemente, tutto quanto, lo sentiva quasi come un vecchio amico con cui non si hanno rapporti da anni e con cui, una volta incontrati nuovamente, tutto ricomincia come se il tempo trascorso fosse stato solo un sogno.
Il dubbio del confine tra reale e immaginario, si assottigliò ancora una volta: di cosa poteva essere assolutamente certa? Cosa aveva vissuto realmente? E cosa aveva probabilmente solo sognato?
Nulla, ammise con sconforto: erano dieci anni che quella domanda la angustiava. Allora, tanto valeva viversela con un po' più di leggerezza, sperando fosse tutto un sogno. Un lungo e interminabile sogno.
Eppure quel sogno continuava a complicarsi sempre più.
Quello strano figuro, ad esempio. Affascinante, sensuale ma ambiguo. Non riusciva a spiegarsi quel misto di attrazione e repulsione che aveva provato nei suoi riguardi, eppure...
Chi è quell'uomo? Non mi hai ancora risposto...” disse lei, riprendendo con le domande e rendendosi conto che Jareth aveva eluso la questione.
Il biondo ex re esitò un attimo fermandosi davanti a una doppia palizzata di mani indicatrici “Lui.... è... mio fratello, Shath6-Rajeth...” disse in un bisbiglio che Sarah faticò a percepire “Fratello gemello...” precisò dopo un po'. Quindi la distrasse domandandole se avesse preferenze per il bivio multiplo da cui dovevano districarsi. Lei scrollò le spalle e si avviò, subito seguita dai suoi accompagnatori.
Ecco cos'era quella sensazione di deja-vù...” mormorò sorpresa abbassando lo sguardo sulle loro mani intrecciate. Jareth era tornato a indossare i suoi soliti guanti scuri subito dopo l'episodio dello specchio, con gran stupore della ragazza.
Ora, più pensava a Jareth e suo fratello Rajeth più ne notava le somiglianze: lo stesso naso aquilino, lo stesso taglio ferino degli occhi, la stessa linea sottile delle labbra. Erano due gocce d'acqua, speculari e negative l'una dell'altra. Solo che l'altro era una goccia di petrolio in cui rischiavi di morire affogato se bagnavi solo la punta delle dita. “Però...ha un che di indiano o arabo...non trovi? Sia il nome7, sia l'aspetto...” borbottò tra sé richiamando l'immagine di quello strano figuro esotico, i suoi colori, le morbidezze in cui era drappeggiato il suo corpo flessuoso.“Dove....?” stava per domandare. Ma lui aveva alzato una mano a fermare sia lei che il cane.
Lo sguardo tagliente era perso in fondo al cunicolo alberato del labirinto in cui avrebbero dovuto svoltare. Qualcosa era fuori posto. Lo studiò ancora qualche secondo, quindi gli voltò le spalle: erano finiti in un vicolo cieco. Se avessero svoltato l'angolo avrebbero rischiato di attivare qualche trappola.
Una a testa...” precisò, senza perdere di vista il suo obiettivo. Era certo che, non appena si fosse distratto, sarebbe successo qualcosa: per quello che ne sapeva lui, le mattonelle potevano pure saltar loro addosso da un momento all'altro, travolgendoli in un'onda di schiuma bianca.



- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -


Ed ecco svelata anche la natura di Rajeth! Finalmente, non ne potevo più di sto segreto e di indicarlo sempre come 'lui'.
Vi chiedo scusa per il ritardo del post ma sono ricominciati i laboratori in modo serio e ho perso la settimana a cercare materiale e fare le prove.
PS: se non si fosse capito, nel prossimo capitolo scatta un'altra trappola XD
baci a tutti!








1     Tutta questa battuta di Jareth è stata copiata pari pari dal dialogo tra Usui e Ayuzawa in “Maid-Sama. La doppia vita di Misaki” di Hiro Fujiwara vol. 5, pagg.20-21. Quando l'ho letta ho dovuto inserirla <3
2    Goccia del mare, L'amata per eccellenza dal Signore ma anche Cara ad Amon, dove Amon è il dio egizio creatore del mondo, paragonabile al Dio dei tre grandi monoteismi (a cui fa riferimento l'origine del secondo significato) ma anche a Brahma all'interno della Trimurti indiana. Come vedremo tra poco, però, lui è più assimilabile alla figura di Visnù, il conservatore.
3    Si dice che le piccole scocciature di ogni giorno siano causate dagli Elfi, chiamati in questo caso Elfi dispettosi.
I grovigli nei capelli degli uomini, così come quelli nelle criniere dei cavalli, sono conosciuti come nodi d'Elfo.
Nei paesi del tarantino è conosciuto un Elfo particolare, il Lauru, che vive tra le pareti domestiche. E' alto tre o quattro centimetri, ha gli occhi neri e lucenti, i capelli ricciuti ed il corpo armonioso e ben proporzionato. Di carattere affabile e bontempone, è al contempo capriccioso e bizzarro tanto da decidere di aiutare un membro della famiglia a danno di un altro, soffrendo spesso di simpatie ed antipatie. Può inoltre provocare incubi notturni, spostare gli oggetti di casa e romperli, arruffare i capelli dei bambini mentre dormono, far imbizzarrire i cavalli e far ammalare gravemente e misteriosamente le persone fino a farle morire. Pare che, per liberarsi del Lauru, qualora diventi particolarmente insopportabile e dispettoso, esista un solo rimedio: appendere sopra la porta di casa un paio di corna di bue o di montone. Il Lauru è infatti terrorizzato dalle corna e quindi si trasferirà sicuramente fra altre pareti domestiche.
4    :) tanto per darvi un'idea..è la donna che balla con Jareth, quella in viola che lui non caga minimamente per vedere Sarah alle prese con gli scherzi della nobiltà.
5    Inorridire, rimanere di stucco, allibire.
6    Shath-Sheth-Shith sono tutte versioni dell'originale Seth. Non potendo usarlo come nome, in quanto già di proprietà di Fede, ho optato per quello che meglio si accostava a Rajeth, che è il nome vero e proprio. Seth, infatti, nella sua accezione ebraica vuol dire “sostituto, messo al posto di”. La storia narra che Seth fu il terzo figlio mandato ad Adamo ed Eva per compensare la perdita di Abele. Quindi, più che nome vero e proprio, indica la funzione del personaggio, motivo per cui non cambia assolutamente nulla ai fini del racconto.
7    Ora...il nome di Rajeth è nato un po' a caso, capirete poi come e perché, ma è realmente un nome indiano. Tra l'altro rimanda alla regione del Rajstan. Rimanda, inoltre, a un'altra leggenda, legata alla Rajeta (che è roba nostrana!), per cui devo ringraziare Giovanna. Ma di questo parleremo più avanti.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Rabbia e paura (parte 1) ***


19- Rabbia e Paura (parte I)





Jareth cercò nei recessi della propria mente una domanda che fosse il meno impegnativa possibile. Ma gli mancavano così tanti tasselli della vita della ragazza che non sapeva da dove cominciare dato che, in precedenza, non l'aveva mai persa di vista per più di pochi giorni. Mai un anno intero. “Dov'è finito l'altro cane?” domandò sovrappensiero, adocchiando Marking “Merlin, giusto?” chiese per avere conferma. Gli era sempre sembrato che la ragazza avesse un altro cane, un bobtail, a cui era molto affezionata. Ma la prolungata degenza e la conseguente cacciata nel mondo umano, forse, gli avevano alterato la memoria.
Il cuore di Sarah saltò un battito e si fermò di botto. Il nome del suo vecchio cane le faceva ancora male da morire. Marking se ne rese conto e, da dietro, la spintonò con la sua grossa testa, invitandola ad affondare le dita nella sua criniera nera.
Come sai di Merlin?” balbettò inebetita. Se era tutto vero, lui non avrebbe dovuto saperne nulla: lui era entrato in casa solo dopo la sua chiamata, in casa c'erano solo lei e Toby e alla fine era stato sconfitto.
Non rispondere a una domanda con un'altra domanda!” la zittì Jareth guardandola impaziente
Merlin...” Sarah scosse la testa con violenza e alzò lo sguardo “Avevi detto che ci saresti stato!” sputò velenosa verso di lui
Prego?” Il sopracciglio arcuato, il tono della voce perplesso al limite del sarcasmo: il mago non sapeva proprio di cosa stesse parlando
I'll be there for you, when the world falls down!” ringhiò e ritrasse violentemente la mano dalla sua per coprirsi gli occhi, improvvisamente colmi di lacrime “Maledetto bugiardo! Tu non c'eri! Non c'eri! Non c'era nessuno!” Urlò, i pugni scivolarono veloci lungo i fianchi, quasi cercasse di tenersi insieme e non crollare sotto i singulti. Jareth non sapeva da che parte prenderla. Era del tutto impreparato a una reazione simile. “Quando Merlin è stato investito, tu dove diavolo eri? Eh? Quando per la disperazione di averlo perso ho smesso di mangiare e quasi pensavo al suicidio, eh?” La rabbia della ragazza era come un fiume in piena: aveva rotto gli argini e finché non avesse buttato fuori tutto quello che covava in seno da troppo tempo, non si sarebbe mai calmata “Dov'eri? A giocare con le tue dannatissime sfere di cristallo, vero? Ti divertivi a vedermi finalmente distrutta! Sei disgustoso!”
Jareth non provò nemmeno a dirle che si sbagliava, a calmarla o a fare qualunque mossa. Lei l'avrebbe reputato comunque colpevole, l'avrebbe aggredito. Allora, tanto valeva dimostrarsi all'altezza dell'aspettativa: algidi.
Ma no, non era abbastanza, per te, vero? No... scommetto che c'è il tuo zampino dietro a tutto!” continuò Sarah, imperterrita, in un triste monologo in cui lo rendeva mandante di tutta la sua sfortuna “Dovevi togliermi anche quel po' di famiglia che mi restava. Macchine, sempre macchine, dannatissime macchine. Perché non mi hai preso anche Toby, già che c'eri? Ah no... lui no..lo volevi per te, vero? Scommetto che adesso lui è a palazzo coccolato e viziato...magari anche drogato...mentre io sono qui con un...” le labbra si piegarono all'ingiù in una smorfia di disprezzo, la mano protesa in avanti che gesticolava frenetica alla ricerca della parola giusta “...Un surrogato mal riuscito di sua Santità che deve divertirsi un'ultima volta alle mie spalle per poi vendicarsi del tutto, uccidendomi tra mille sofferenze...”
Uno schiocco sordo frustò l'aria e il silenzio calò improvvisamente.
Poteva sopportare tutto, che gli muovessero le peggiori accuse, anche venire descritto come un assassino...qualunque cosa...ma non quello. Non che lui volesse la sua morte.


Interessante...” biascicò Rajeth, con rabbia, al di là del cristallo frammentato, strizzandolo nel proprio pugno fino a mandarlo in frantumi. Quel deficiente! Avrebbe pagato tutto con gli interessi. Se prima poteva solo scherzare sull'idea di farlo fuori, ora avrebbe voluto distruggerlo seduta stante. Si costrinse a riprendere la calma e, dopo poco, schioccò le dita “Chi diavolo è, adesso, questo Toby?”

Sir Didymus fu al suo fianco in un balzo, abbandonando, prontamente, il proprio lavoro di lustra-pietre “E' il fratello della ragazza, vostra grazia...il fanciullo che vostro fratello rapì su richiesta di lei...” Non riuscì a finire la frase che quello agitò in aria la mano, seccato, congedandolo e ricacciandolo alle sue umili mansioni.
Mmm....” rimuginò il moro “Mostramelo!” ordinò al cristallo dopo una breve riflessione. In una delle sfaccettature del cristallo comparve il ragazzino biondo che varcava le soglie del suo istituto. Il Re assottigliò lo sguardo, studiando prima uno poi gli altri. Infine, con un sorriso bieco, che andava da una parte all'altra del volto, decise di dedicarsi un po' al trastullo appena scoperto.



I, I'm underground” stava canticchiando Toby mentre si avviava alla sua stanza lungo corridoi col panna, silenziosi, ritmicamente segnati, tra una colonna e l'altra, da due porte dello stesso legno scuro del soffitto e del pavimento protetto dal lungo nastro chiaro di un tappeto di moquette. Nessuno si era meravigliato nel vederlo ricomparire così presto nel collegio in cui aveva deciso di andare a stare contro il volere di sua sorella. Gli era sembrata la cosa più sensata da fare e non aveva mai capito perché lei strepitasse a tutto andare su questioni di responsabilità e dovere: avevano ereditato una fortuna inaspettata, dalla scomparsa dei genitori, che avrebbe coperto le spese per la sua istruzione senza costringere nessuno dei due a cercarsi un lavoro. Inoltre, mamma Karen già ventilava l'idea di iscriverlo in qualche prestigioso istituto e quello aveva un'ala riservata agli orfani, con attività supplementari per colmare il vuoto quando gli altri rientravano dalle loro famiglie.
Sarah, nel giro di pochi anni, non avrebbe comunque più attinto a quel capitale. In qualche modo Toby capiva che le pesasse essere dipendente dai genitori, i quali avevano rifiutato ogni possibile compromesso con un lavoretto part-time, e ancor più dalla loro eredità: smaniava per rendersi indipendente e poter garantire lei per entrambi, senza appoggiarsi a nessuno. Il ragazzino si era dimostrato più assennato della sorella: che senso aveva esaurirsi districandosi tra scuola e lavoro se poteva concentrarsi totalmente sugli studi? Si sarebbe gettata anima e corpo nel lavoro in un secondo momento!
Inoltre, spettava loro, di diritto, un alloggio nei condomini del cosiddetto Child Village, dove i fratelli maggiori facevano da balia a tutti i marmocchi: una comunità di mutuo soccorso di orfani, una piccola Isola-che-non-c'è, dove i bambini più piccoli erano seguiti da una schiera di maestre a domicilio, evitando loro spostamenti inutili. Nel pomeriggio, uno stuolo di tate presiedeva ogni condominio che fungeva, per lo più, da dormitorio. I più grandi avevano il compito di prestare loro un po' d'attenzione, come potevano e in base alla loro attitudine e ai loro impegni, in caso maestre e tate venissero a mancare. Alcuni appartamenti erano poi riservati agli orfani abbastanza autonomi come lui e sua sorella. Ma la maggior parte delle stanze dei condomini restava un'unica grande camerata, dove una tata era responsabile per ogni piano durante la notte mentre di giorno, i più piccoli, si ritrovavano divisi per età a seguire le lezioni.
La città era famosa per questa idea così innovativa ed era il campione di studio per molti sociologi, psicologi, educatori. Nato da un esperimento del primo dopoguerra, la formula aveva avuto successo ed era stata rinnovata di anno in anno: i bambini senza famiglia crescevano più sereni tra pari, nella loro stessa condizione, che non con famiglie nuove che cercavano di cancellare i ricordi della precedente. Era facoltà degli orfani segnalare la disponibilità ad essere adottati o meno. Ma la maggior parte, a differenza della situazione negli orfanotrofi ottocenteschi, preferiva di gran lunga quella comune così libera e senza costrizioni, una grande famiglia di sciagurati in cui tutti si capivano a vicenda.
Così, su proposta di Toby, avevano affittato la loro villetta neocoloniale, a cui erano troppo legati affettivamente per riuscire a riprendersi, ed avevano traslocato su suggerimento del Signor Grimm, lo psicologo da cui l'aveva portato la sorella dopo la sciagura che li aveva colpiti.
In ogni caso, nonostante lei avesse la patria potestà su di lui, era riuscito a convincerla a lasciarlo andare nel convitto. Ed era riuscito anche a farle piacere l'idea di non averlo tra i piedi.
Il dettaglio del collegio, in realtà, non piaceva a nessuno dei due. Però, lui non voleva esserle di peso e, ammorbidita su un fronte, era stato facile farle accettare anche il resto: in collegio, potendoselo permettere, avrebbe ricevuto un'adeguata istruzione e sarebbe stato seguito forse anche meglio che non a casa dai genitori. Sarah non doveva, a suo avviso, distrarsi: prima finiva, prima sarebbero tornati a una parvenza di normalità e alla loro vecchia casa. Se poi avesse portato anche un fidanzato a casa, gli sarebbe sembrato di essere nuovamente una famiglia. E il Signor Grimm, che di tanto in tanto andava ancora a trovare, aveva un figlio poco più grande di Sarah, lo sapeva perché ne avevano parlato, e Toby, da piccolo, aveva fantasticato su un possibile matrimonio: non gli sarebbe dispiaciuto entrare a far parte della famiglia del Signor Grimm e poterlo considerare come un nuovo padre. D'altronde anche Sarah aveva due mamme. Anche se lei non ne sembrava troppo contenta. Sorrise all'idea di sua sorella per mano a qualcuno. Ma non si stupì nell'immaginarla affianco a quel uomo biondo che era piombato il giorno prima a casa loro. Gli piaceva ancor più del Signor Grimm e aveva, inoltre, un non so che di familiare.
Sister, sister, please take me down...” quella canzone gli piaceva tremendamente.
Ricordava ancora la prima volta in cui l'aveva sentita. Un pomeriggio d'inverno, rovistando tra gli scatoloni ammassati in soffitta alla ricerca di non ricordava nemmeno più cosa, aveva trovato un vecchio LP che era appartenuto, probabilmente, a sua sorella: sulla copertina campeggiava il primo piano dell'eccentrico cantante, tanto amato da Sarah fino a un certo periodo. Poi di colpo, così gli aveva detto la madre, aveva smesso di assillarli cantando a squarciagola. Karen aveva pensato che, come ogni buona adolescente, avesse esaurito l'entusiasmo per l'artista e si fosse buttata in una nuova ossessione. Invece, aveva notato che continuava ad ascoltare tutte quelle cassette e quei dischi senza, però, più cantare. Nulla sembrava essere cambiato. Ascoltava tutto, come prima. Tutto tranne una canzone, che piaceva anche alla madre. Si trattava di un singolo, gli aveva detto. Ed eccolo tra le sue mani: era certamente quello. Era insolito, rispetto alle altre copertine, non sembrava nemmeno lui. Anzi, Toby era sicuro non fosse lui, anche se si assomigliavano molto: al posto del vistoso trucco colorato, dei corti capelli arancioni e di tutine scintillanti dalle fantasie optical, David Bowie lo guardava serio da dietro una sfera di cristallo, lunghi capelli biondi, spettinati, fasciato in quella che sembrava una tuta integrale di pelle nera.1 Era un'immagine inquietante e seducente allo stesso tempo. Sotto di essa il nome e il titolo “Underground” quasi sparivano. Facendo una rapida ricerca su internet aveva poi scoperto che era stato un flop tremendo ma, probabilmente, proprio per quello, a distanza di anni, sarebbe valso una fortuna. Sul retro, c'era la foto di un barbagianni in volo. Strano, si era detto, come poteva essere che Sarah avesse qualcosa con l'effige di quell'animale? Lei odiava i barbagianni da che lui aveva memoria. Incuriosito l'aveva portato in soggiorno e l'aveva infilato nell'impianto stereo, provvisto di giradischi.
Il fruscio, caratteristico di quel tipo di supporto, era stato subito coperto dalla spolverata di triangolo, dando l'idea di qualcosa di quasi sovrannaturale, ma subito riportato alla corposità terrena del suono di un sassofono e di una fisarmonica.
No one can blame you
For walking away
Too much rejection
No love injection
Life can be easy
It's not always swell
Don't tell me truth hurts, little girl
'Cause it hurts like hell

[Nessuno può biasimarti/ per essertene andata/ troppi rifiuti/ nessuna iniezione d'amore/ La vita può essere facile/ non è solamente crescere/ non dirmi che la verità fa male, piccola donna/ perché brucia più dell'inferno]

Non sapeva dire perché, ma era convinto che quella canzone parlasse di sua sorella. Spesso, l'entità da lei battezzata Iutrepi si era divertita a giocare coi testi delle canzoni in un dialogo continuo con Sarah. Ma lei, a differenza di quello che fuoriusciva dall'altoparlante, non era mai scappata, anche se le bruciava al terra sotto i piedi
But down in the underground
You'll find someone true
Down in the underground
A land serene
A crystal moon,

[Ma giù nel sottosuolo/ troverai qualcuno di vero/ giù nel sottosuolo/ una terra serena/ una luna di cristallo]

Era certo che l'Underground fosse il mondo di cui parlava nelle sue storie. Ed era altrettanto sicuro che lei ci fosse stata: la sua reticenza verso certe cose o certe pratiche ritenute magiche. Ma la mamma l'aveva sempre canzonato, lodando la sua fervida fantasia così simile a quella della sorella. Poi, però, la canzone sembrava rivolgersi a due persone distinte: che una parlasse di lui?
Daddy, daddy, get me out of here
I, I'm underground
Heard about a place today
Where nothing never hurts again
Daddy, daddy, get me out of here

[Papà, papà, portami fuori da qui/ sono sottoterra/ ho sentito di un posto, oggi/ dove nulla ti può ferire ancora/ papà papà, portami fuori da qui]

Questo proprio non lo capiva...chi poteva essere imprigionato là sotto, senza volerlo? O comunque stare là e volersene andare? Lui no di certo...
I'm, I'm underground
Sister, sister, please take me down
I'm, I'm underground

[Sono sottoterra/ sorella, sorella, per favore, portami giù/ sono sottoterra]

Quante volte l'aveva assillata perché gli raccontasse quella storia? e ogni volta lei cambiava qualche particolare. Riusciva a leggerle negli occhi una strana luce, come se davvero avesse visitato i posti di cui parlava. Allora perché solo lei? Anche lui voleva vivere un'esperienza come quella!
Gli tornò alla mente come, quel giorno di qualche anno prima, Sarah fosse sbucata all'improvviso in salotto. Non aveva urlato come al suo solito. Aveva marciato dritta verso l'impianto, l'aveva scansato in malo modo, quasi aveva distrutto il giradischi nel tentativo di fermarlo. Quindi aveva fatto la cosa che più di ogni altra aveva sconvolto il bambino: aveva spaccato l'LP, che si era frammentato in due grosse mezzelune nere, facendo piovere una miriade di altre piccole schegge. Poi, calma, anzi, gelida, l'aveva guardato e aveva sibilato, con gli occhi ridotti a due fessure “Mai più!”.
Il ricordo gli fece provare un brivido lungo la schiena. Sarah, se voleva, sapeva essere terrificante come i mostri di cui raccontava. Quella volta aveva capito che non era il caso di farla arrabbiare perché non poteva sapere cosa l'avrebbe spinta a fare la rabbia.
Arrivato davanti a camera sua, decise di cacciare quel ricordo. Avrebbe atteso sue notizie da bravo fratello diligente. Infilò le chiavi nella toppa della porta della propria camera e non si accorse subito della fitta ragnatela che aveva imperlato il tutto. Solo quando, dopo diversi tentativi, abbassò lo sguardo esasperato su ciò che faceva, si rese conto del groviglio bianco che impediva alla chiave di girare. Neanche un giorno e la sua stanza era già invasa dalla polvere? Forzò con la spalla e quasi cadde all'interno, sotto il peso dei bagagli. La stanza sembrava in ordine anche se negli angoli, effettivamente campeggiavano delle belle tele bianche di cui non si era mai accorto prima. Probabilmente, quello nella toppa, era il nido di qualche ragno che vi era migrato dal soffitto in cui era prolificato grazie alla sua disattenzione.
Aveva tutto il fine settimana per toglierle ma prima l'avrebbe fatto e meno si sarebbe sentito a disagio. Gli sembrava quasi di essere spiato da occhi invisibili. Buttò i bagagli sul letto e, senza spogliarsi del giaccone, andò a cercare la scopa allungabile che teneva dietro l'armadio per le emergenze, quindi si arrampicò sulla scrivania tendendosi nel tentativo di rimuoverle.
Non lo farei se fossi in te” disse una voce calda, divertita, alle sue spalle.
Toby sobbalzò per lo spavento e, prima di perdere l'equilibrio e di cadere con la faccia sulla moquette, riuscì a percepire una nota familiare nella voce. Quando si rialzò tutto dolorante, quasi si aspettava di trovarsi davanti il cantante bardato da guerriero Jedi di cui aveva ascoltato la voce fino a pochi istanti prima. Invece, seduto comodamente sul suo letto, c'era uno strano figuro in bianco: sembrava uno sceicco o qualcosa del genere. Ne fu quasi deluso. L'uomo lo scrutava con aria divertita e curiosa, la testa reclinata di lato. Era un atteggiamento che al ragazzino non sembrava nuovo.
Chi..chi sei?” balbettò. Quando era entrato? Da dove veniva? Perché era lì?
Poco ma sicuro, era forestiero. E Toby poteva giurare, sfidando le logiche del buon senso, che si trattasse di qualche essere magico.
Il moro arricciò le labbra, offeso “Arrogante come tua sorella e come quell'idiota di mio fratello...” commentò “Ha anche i miei occhi...” disse facendo il verso a qualcuno. Quindi si alzò e con due falcate raggiunse il bambino. Gli alzò il volto con un gesto secco della mano nuda e lo studiò. “Sì...” disse schifato “Non solo quelli, comunque...” quindi lo mollò e tornò a sedersi incrociando le gambe lunghe e affusolate. “E così tu saresti l'oggetto di tanto contendere, eh?” commentò tirandosi su e poggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sul palmo delle mani. “Interessante...” e con un movimento fluido si fece comparire dei cristalli neri tra le dita della mano libera. Toby era terrorizzato: tremava da capo a piedi e non sapeva cosa fare. Quell'uomo emanava una potente aura autoritaria. “Ti interessa un gioco? Un gioco divertente...quello che tua sorella ti ha sempre negato...” disse, quindi, seducente offrendogli i cristalli.
Cosa gli aveva sempre detto Sarah? “Non parlare con gli sconosciuti e non accettare mai nulla da loro”. Era una regola che valeva anche se se li fosse trovati in camera? “No, grazie...” disse comunque, timidamente
Oh, suvvia! Cosa credi, che non lo sappia?” rispose divertito l'altro “Tu hai sempre chiesto a tua sorella di portarti nell'Underground...giusto? E lei non ti ha mai accontentato..e lo sai perché? Perché ti ritiene troppo piccolo per affrontare un luogo così...per adulti..” disse sarcastico, puntando sui suoi punti deboli “E tu ti sei dimostrato così maturo nei suoi confronti...anche la scelta di venire qui...” disse indicando la stanza “Dimmi, Toby...non ti sei sentito ferito quando è andata nell'altra stanza a parlare con Jareth, ieri sera? E quando ti ha improvvisamente rispedito qui? Io credo di sì...tu le vuoi così bene, quasi la adori.. e lei invece cosa fa? Ti abbandona...di nuovo!” disse falsamente dispiaciuto.
Come...di nuovo?” domandò d'impulso il bambino, stringendo i pugni. Sapeva che sua sorella non era scappata. Aveva una cosa importante da fare, aveva cercato in tutti i modi di tenerlo a casa, di non lasciarlo solo in collegio: lei non l'aveva mai abbandonato.
Oh...” fece Rajeth portandosi una mano alla bocca, quasi a voler frenare le parole di troppo che gli erano uscite “Non te l'ha mai detto?” domandò ancora, sempre con lo stesso tono, negli occhi, però, la luce divertita del tranello che stava tessendo “Questo...” disse facendosi comparire tra le mani un libro di fiabe, Nel paese dei mostri selvaggi “Mio caro ragazzo...lei ha già provato una volta a disfarsi di te...
Toby deglutì a vuoto, calde lacrime gli bruciavano agli angoli degli occhi “Non è vero...” disse con poca convinzione. La sola idea che sua amata sorella potesse aver tentato di fare una cosa del genere lo ripugnava. Ma la paura inconscia dell'abbandono, insita in ogni bambino, specie se rimasto orfano, era più forte dei bei ricordi dei momenti passati con Sarah. Che era la sua sorellastra, doveva ricordarselo. Quindi, forse, era possibile che lei l'avesse odiato...ma..no...lui era lì...come avrebbe potuto se lei....
Rajeth lesse quel conflitto interiore e decise di assestare il colpo definitivo. Uno dei cristalli si involò dalla sua mano e si stese in una specie di schermo. Frammenti di vita del ragazzino scorsero veloci, a ritroso, su quel supporto, quasi fosse un DVD mandato indietro a velocità impressionante. Finché tutto non si fermò in una stanza buia.



- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Oh dunque... ecco che è ricomparso Toby :) aspettate e vedrete XD
volevo solo dirvi che Nel paese dei mostri selvaggi è il libro che realmente ha dato spunto a Labyrinth. Mi pareva di averlo già detto, ma ripetermi male non fa. Nella mia storia, ovviamente, non c'entra nulla col libretto rosso: è un libro realmente in commercio come il cd di Bowie che qui spaccio, però, come un'intromissione magica. Il cd, come il film, a suo tempo furono davvero catastrofici. Che altro dire? Nulla...vi aspetto la prossima settimana per la seconda parte di questo episodio ;)
Ciaoo








1 http://www.astrolog.org/labyrnth/movie/proof.gif

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Rabbia e Paura (parte II) ***


20- Rabbia e Paura (parte II)



La scena prese a svolgersi nella vecchia camera dei suoi genitori. Era buia e i vagiti di un bambino riempivano, assordanti, i vuoti lasciati dai tuoni del temporale circostante.
La luce si accese e una voce, che riconobbe immediatamente, sbottò irritata “E tu sta zitto!”
Subito, una giovanissima Sarah marciò nella stanza e recuperò da terra il pupazzo preferito di Toby, Lancillotto. “Ti odio!” sibilò. Toby sapeva che sua sorella poteva essere crudele, quando si metteva d'impegno. Ma quella ragazzina isterica, poco più grande di lui, non poteva essere lei.
Gli occhi gli bruciavano tremendamente e la vista era ormai già appannata: a chi è che aveva rivolto quelle parole? A un bambino biondo in pagliaccetto rosso e bianco...quel bambino era lui. Ne era certo. “Qualcuno mi salvi, qualcuno mi porti via da questa casa orrenda!” La sua amata sorella...odiava la sua famiglia? No, non era possibile...lei era sempre sorridente... certo, i bisticci con mamma Karen erano all'ordine del giorno ma...credeva fosse normale amministrazione.
Che cosa vuoi, una favola, eh? Ok!” le sentì dire mentre si sedeva con rabbia sul letto “Allora, c'era una volta una ragazza tanto carina che la sua matrigna lasciava sempre a casa col bambino. E il bambino era tanto viziato e la ragazza era praticamente una schiava.” Quella era una storia che non le aveva mai sentito raccontare...era nuova...anche se gli suonava familiare...e crudele “Ma quello che nessuno sapeva era che il re dei Goblin si era innamorato della ragazza e le aveva dato certi poteri. Così, una notte, quando il bambino fu oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo aiuto i Goblin. Di le tue parole magiche le dissero i Goblin. E porteremo il bambino a Goblin City e tu sarai libera. Però lei sapeva che il re dei Goblin avrebbe tenuto il bambino al castello per tutti i secoli dei secoli trasformandolo in un Goblin. E così lei soffriva in silenzio. Finché una notte che era stanca da una giornata di faccende, che era ferita dalle dure parole della sua matrigna e sentiva che non ne poteva più....” Si era interrotta, forse temendo di averlo spaventato più del boato dei tuoni. L'aveva preso in braccio, amorevole, e l'aveva cullato, implorandolo di zittirsi “O dico le parole. Ah, non sia mai...non devo dirle!" la sentì rimproverarsi, sbuffando, con un velo di senso di colpa nella voce. “Io desidero....Non ne posso più!” Aveva cominciato per poi rimettersi a urlare mentre il bambino, se stesso da piccolo, circa dieci anni prima, continuava imperterrito a strillare “Re dei Goblin, Re dei Goblin! Ovunque tu ti trovi adesso porta via questo bambino lontanissimo da me!” Aveva gridato, quasi cercando di invocare un qualche demone, sollevando il marmocchio sopra la sua testa “No Toby, no...” Sarah aveva ripreso a cullare ancora il bambino, nuovamente divorata dai sensi di colpa “Smettila!” lo supplicò. “Mi piacerebbe davvero sapere cosa dire perché i Goblin ti portino via...” gli confessò esasperata. Come colpita da un'illuminazione o come se avesse sentito un suggerimento, la vide irrigidirsi e spalancare gli occhi. "Comando...e voglio..." quindi, sospirò e ripose il bambino a letto, lo coprì con cura e si allontanò.
Toby trasse un sospiro di sollievo. La sua Sarah non aveva mai detto nulla per nuocergli. Gli voleva bene. Era solo stanca. Tutta quella visione era stata solo uno scherzo di pessimo gusto. Sollevò gli occhi, pronto a sfidare quelli sanguigni del suo ospite che questi lo guardò divertito e, quasi gli avesse letto nel pensiero, disse, ghignando e guardando lo schermo frastagliato “Non è ancora finita”.
Toby non fece in tempo a perdere il proprio sorriso baldanzoso e domandarsi cosa intendesse dire, quando udì sua sorella pronunciare le parole più terribili che avesse mai udito in vita sua. “Desidero proprio che i Goblin ti portino via...all'istante”


Nonostante il guanto, la punta delle dita bruciava come avesse toccato il fuoco. Non avrebbe mai creduto di arrivare a tanto, di arrivare ad alzare le mani su di lei. Eppure, nonostante avesse imparato a controllarsi sempre di più, da quel loro primissimo incontro, in cui aveva perso la testa, la sua pazienza aveva raggiunto ora il limite ed era traboccata violenta, come una frusta che, raggiunto il punto critico, si spezza o torna al punto d'origine sotto la spinta centrifuga accumulata restando in tensione.
Sarah si volse piano verso di lui, incredula, offesa, delusa...non degnò la guancia colpita del minimo interesse. Piantò lo sguardo furente su quello altrettanto irritato dell'ex sovrano.
Aveva osato colpirla.
Il pensiero, e l'unicità legata all'evento, era l'unico che i due condividessero. Ma nessuno dei due sembrava voler notare la cosa presi, ciascuno, dall'affronto ricevuto.
Fu Jareth a rompere il silenzio rabbioso.
Non..dire più...simili bestemmie!” sibilò rancoroso. Negli occhi di Sarah non si era ancora estinta quella scintilla violenta e vitale che l'aveva animata. In essi, Jareth leggeva solo odio. Odio per lui.
La ragazza stava per replicare quando Marking diede un potente latrato, richiamando la loro attenzione. “Non ti preoccupare, Mark...” ringhiò Sarah spostando appena lo sguardo su di lui. Ma il cane andò a prenderle la mano con le fauci, tirando gentilmente. Vedendo che la padrona non reagiva, tornò ad abbaiare con prepotenza, chinandosi sulle zampe anteriori e scodinzolando. Sarah reclinò la testa, perplessa: voleva giocare? Ma il cane non si arrese e, subito, dopo aver quasi starnutito o scosso la grossa testa in segno di disapprovazione, puntò Jareth. Gli rampò sui jeans cercando di elevarsi quanto più possibile, portando il muso al suo torace. Diede un'annusata. Quindi lo guardò negli occhi e abbaiò nuovamente, con insistenza. Le orecchie e le pupille ruotarono verso un punto imprecisato alle proprie spalle. Vedendo che anche Jareth non reagiva, tornò a guardarlo e abbaiò ancora.
Mark, cosa c'è?” chiese Sarah, accucciandosi quasi per richiamarlo e mettendo da parte, momentaneamente, la rabbia verso il suo interlocutore. Quello andò scodinzolando dalla mora, gli si strusciò sulle gambe come avrebbe fatto un gatto, quindi puntò il corridoio da cui erano venuti.
Sembra che ci stia dicendo di tornare indietro...” commentò Jareth, mani ai fianchi “Ma lo stavamo già facendo...” disse perplesso. Si guardò alle spalle. Tutto era come prima.
C'è qualcosa che potrebbe averlo messo in allerta?” domandò la ragazza, cercando di cooperare “Nella mia precedente visita, al vicolo cieco corrispondeva un trabocchetto...”
Non ho visto né percepito nulla del genere...” rispose stanco il biondo cercando di pensare velocemente “Intanto mettiamoci in cammino...” disse raggiungendola con poche falcate.
Quando le fu a fianco, un lieve ticchettio ne attirò l'attenzione. Sbarrò gli occhi e afferrò velocemente la mano di Sarah “Corri!” le disse mentre anche il cane ubbidiva all'ordine, allungandosi sul terreno come una molla, sfiorandolo appena con le zampe. Sarah non replicò. Dopo il primo strattone, che la colse impreparata, si mise a competere col sovrano. Prendendola come una sfida non si sarebbe fatta prendere dal panico che aveva percepito nella voce di lui.
Ora lei poteva avvertire anche lei lo strano ticchettio. Sembravano un'infinità di insetti, le cui zampine avessero calzato tacchi a spillo, che correvano sulle mattonelle. O il reparto corrispondenza di una multinazionale di inizio secolo, con le segretarie indaffarate sui tasti della macchina da scrivere.
Dannazione!” ringhiò il biondo “L'angolo Mark!” ordinò “Se passi quello siamo tutti in salvo”
Con la coda dell'occhio, Sarah scivolò sull'uomo accanto a sé. Il volto concentrato e tirato, i lunghi capelli biondi che frustavano l'aria tutt'attorno. Ma, al di là della sua figura, vide quello che stava succedendo: le mattonelle stavano ruotando su se stesse, come le linguette dei vecchi avvisi aeroportuali e ferroviari analogici, ora sostituiti da quelli digitali a led.
Una dopo l'altra, a velocità impressionante, le tessere diventavano rosse, nascondendo la faccia bianca. Come artigli, i segni sanguigni graffiavano la superficie candida, conquistando terreno più velocemente di quanto loro riuscissero a correre: li stavano intrappolando.
Ma Marking era quasi arrivato, doveva solo svoltare l'angolo prima che una qualunque delle ultime tessere diventasse rossa.


Toby quasi crollò al suolo, sconvolto da quella visione. Ma, da bravo ragazzino tenace quanto la sorella, rialzò lo sguardo sull'uomo davanti a sé. Stirò un sorriso forzato e sarcastico, da vera peste impertinente. “Io sono qui. E anche mia sorella!”
Rajeth si accigliò. “Dannato ragazzino insolente” pensò con rabbia. Quindi, sfoggiò, anche lui, il migliore dei sorrisi canzonatori, identici a quelli di suo fratello. “Ah...non avevo notato...”
Io non sono stato rapito! E mia sorella era solo esasperata... se non sapessi che quello ero io, al suo posto avrei lanciato il bambino fuori dalla finestra, quindi... tu menti!” Disse incrociando le braccia al petto e alzando il mento, orgoglioso della propria mente logica.
Non sei curioso di vedere com'è andata davvero? Sei davvero così sicuro di quello che hai detto?” lo sfidò l'uomo, abbassando lo sguardo sulle proprie unghie perfettamente curate, in cerca di qualche difetto. Avvertì l'esitazione del biondino davanti a sé e, prima che potesse rispondere, alzò lo sguardo su di lui mentre, in contemporanea, ripartiva il filmato.
Toby sentì chiamare il proprio nome dalla sorella con voce angosciata, la vide sbiancare non trovandolo nella sua culla e quasi saltò quando le finestre della camera dei genitori si spalancarono.
Ma quando vide quell'uomo comparire tra le tende frustate dal vento, il suo cuore saltò un battito. Lui lo conosceva. L'aveva lasciato solo qualche ora prima. Ed era, paradossalmente, immutato, in quelli che, a conti fatti, risultavano essere stati dieci anni.
Il biondo, affascinante e carismatico Jareth stava là, sghignazzando divertito della paura di Sarah, proprio come ora Rajeth rideva della sua.
Oh....lo conosci, per caso?” chiese Rajeth, falsamente sorpreso, inclinando la testa di lato, quasi a sporgersi, incuriosito, a osservare ciò che mostrava il frammento scuro. “Scommetto che lui e tua sorella se ne sono andati di recente, abbandonandoti!” sottolineò con cattiveria
Non mi hanno abbandonato!” Strepitò Toby, colpito nel vivo. La paura dell'abbandono divorava anche lui quanto la sorella.
Ah no?” Chiese tornando a fissarlo con quegli occhi dannatamente rossi. All'esitazione del ragazzino, si alzò in piedi, svettando in tutta la sua altezza, quasi volesse schiacciarlo con la sua verità “Sai chi è quello?” chiese indicando il frammento
Il...il Re di Goblin?” balbettò l'altro cercando di trattenere le lacrime per una verità che gli veniva sbattuta in faccia e che lui non voleva accettare.
Il moro sorrise compiaciuto e lo guardò con affetto
Mostrami il resto...” Pretese il ragazzino dopo un attimo “Io sono qua! Deve esserci una spiegazione...non possono...davvero...” essere in combutta.
Maledetto ragazzino..ostinato quanto la sorella!” ringhiò Rajeth tra sé, rabbuiandosi “E dire che hanno solo metà sangue in comune...” Se gli avesse mostrato come si era conclusa, realmente, la vicenda, Rajeth non sarebbe mai riuscito a ottenere il suo scopo. Doveva agire d'astuzia....
Sorrise della propria furbizia quando la soluzione gli si presentò, facile e seducente, alla mente.
Se proprio vuoi farti del male...” disse sospirando, ributtandosi sul letto per godersi la scena e ruotando il polso sotto lo schermo, quasi a far progredire in avanti, velocemente, il nastro del tempo.
La musica echeggiò leggera prima che comparissero le immagini, dapprima confuse, quindi distorte e infine vorticose. Una sala gremita di gente in maschera, che ballava strizzata in abiti settecenteschi.

I'll paint you mornings of gold
I'll spin you Valentine evenings
Though we're strangers till now
We're choosing the path between the stars
I'll leave my love between the stars


[Dipingerò di oro le tue mattine/Prolungherò le tue serate romantiche/Sebbene ora siamo estranei /Abbiamo scelto il sentiero tra le stelle /Lascerò il mio amore tra le stelle]

Quella voce gli suonava stranamente familiare, come se l'avesse già udita in passato. Eppure la ricordava più giocosa, non così struggente d'amore.
Ed eccolo, Jareth, immerso in un tripudio di ventagli piumati, fissare dritto negli occhi una dama dai lunghi capelli neri sciolti su un lungo e opalescente abito bianco...sua sorella!
Rajeth gliela mostrò mentre accettava l'invito dell'uomo, mentre volteggiavano, assieme, scintillanti nei loro abiti preziosi, in perfetta armonia nella sala gremita di gente, dissonanti rispetto a ciò che li circondava. Lui le parlava, come se la conoscesse da sempre, nonostante avesse appena detto che erano, in fondo, due estranei e che avevano scelto un percorso insieme, per il quale lui era disposto a rinunciare a tutto. Le parlava di come avesse coscienza che, per lei, il dolore non rappresentasse più nulla. E lei lo guardava rapita, come un'innamorata.
Oh sì, Toby aveva già visto quello sguardo nelle sue compagne di classe, che rincorrevano questo o quel ragazzo il quale, sistematicamente, non se le filava neanche di striscio. Allora andavano da lui, a sfogarsi: quando parlavano del lui di turno, sembravano illuminarsi. Solo che a Toby, in realtà, quelle confessioni non interessavano minimamente e capiva benissimo quei poveretti, braccati come volpi nelle battute di caccia. Cosa poteva esserci di interessante in una cosa sdolcinata come l'amore?
Riportò la sua attenzione sulla scena. Jareth non era da meno della sorella. Sembrava consolarla e rassicurarla: ogni affanno era passato.
Gli mancò il respiro: Jareth si poneva come l'eroe liberatore di sua sorella...l'aveva liberata dalla sua presenza, dalla schiavitù a cui, quel bambino e quella famiglia, l'avevano condannata... Non era divertente, diceva...cosa? Fargli da babysitter? Poteva anche dar loro ragione ma... ma...arrivare a invocare un demone? Era stato così terribile?
Le lacrime ruppero la resistenza delle sue lunghe ciglia chiare e, nella loro corsa, gli rigarono le guance esangui quando la consapevolezza lo colpì come un pugno allo stomaco.
Lui era indesiderato! Come aveva potuto essere così cieco e illudersi che la sorellastra lo amasse come una sorella vera? Che fosse contenta di quello stato di cose? Le aveva fatto un regalo recludendosi in collegio.

But I'll be there for you

As the world falls down

Ora non gli importava nemmeno più capire come e perché lui e sua sorella fossero rimasti nel loro mondo. Lui, Jareth, le aveva giurato la sua fedeltà: sarebbe tornato sempre, se lei ne avesse avuto bisogno. Ma cosa era successo di così grave da richiedere una nuova evocazione? Perché non gliene aveva parlato? Lo riteneva ancora troppo piccolo per capire? Eppure, era cresciuto di colpo anche lui...e in un anno si era dimostrato più assennato di lei in più di un'occasione. Immaginava sua sorella, nella solitudine della casa, durante la settimana, tracciare cerchi in terra con stelle e simboli esoterici, in una lunga veste nera e richiamare quell'uomo. La vide baciarlo, avvolti entrambi in spirali di fumo, con sguardo carico di cupidigia che non le apparteneva, lieta del suo ritorno.
Da quanto tempo, ormai, viveva in casa loro? Perché quel giorno, ne era sicuro, lui sembrava conoscere esattamente ogni aspetto della loro abitazione, anche se Sarah aveva urlato arrabbiata suo indirizzo, apparentemente sorpresa di trovarlo lì. Che fosse stata solo una recita? A lei piaceva recitare. O era, forse, rivolto a lui? Era lui l'indesiderato? O, forse, era sorpresa davvero...non voleva che lui lo incontrasse e gli aveva detto di allontanarsi nel fine settimana. Sì... era la soluzione più plausibile.

Vedendolo in lacrime, Rajeth seppe di averlo in pugno. L'amore fraterno era una scemenza inventata per tenere unite due metà altrimenti pronte ad distruggersi a vicenda, tanto era fragile il legame.
Rajeth sapeva di aver bisogno di quel ragazzino, di dover riuscire a convincerlo, in un modo o nell'altro, a seguirlo. Non importava in quali condizioni: bastava che restasse vivo abbastanza a lungo e doveva esserlo nell'Underground. Ma era meglio che fosse vivo, se non voleva giocarsi ogni chance. Ora, doveva solo predisporlo a pronunciare le giuste parole.
Dunque, mio caro..” disse facendo scomparire lo schermo in un'infinità di schegge violacee. “Ora mi credi?” Il ragazzino annuì appena “E vuoi rimanere qua, in attesa di tua sorella? Pensi che tornerà?” Chiese perplesso, reclinando la testa sul dorso della mano. Toby rimase in silenzio non sapendo cosa rispondere “Vedi...a me Jareth sta parecchio antipatico...lo sai che mi ha rubato il trono? Il legittimo re ero io. A me hanno tolto il regno. A te il calore di una famiglia. Non vuoi riavere ciò che è tuo? O meglio...vendicarti di quei due che ti hanno ingannato intenzionalmente con così tanta costanza e abilità?”
No...” Toby riuscì a essere fermò solo in principio “No...non voglio vendetta...non voglio che sia fatto qualcosa di male a mia sorella. Ma sì... rivoglio una famiglia...anche se non posso riaverla tutta...almeno mia sorella...non puoi...” cominciò guardandolo speranzoso e supplichevole “...cancellarle la memoria di quanto io sia stato cattivo da piccolo? Non puoi cancellare il suo odio per me?” voleva quasi aggrapparsi alle sue vesti, ma si trattenne dal mostrarsi così infantile. Una richiesta simile era già abbastanza “So che non è una bella cosa ma..io le voglio bene...mi basta che torni e non mi odi...non si può fare?”
Certo che si può...” disse Rajeth, rassicurante, carezzandogli quei capelli biondissimi, troppo simili a quelli del fratello “Ma...prima di farlo...non vuoi vedere anche tu il mondo che lei conosce così bene e che a te ha sempre negato?” domandò con malizia: aveva la vittoria in pugno.
Posso davvero?” chiese il ragazzino, le lacrime magicamente sparite dai suoi occhi azzurri come acquamarina.
Certo...non era il tuo desiderio?” domandò l'uomo inclinando la testa. “Sono qui per questo...ho sentito solo ora la tua richiesta...”
Il ragazzino si illuminò “Parli di Underground?”
Rajeth annuì, serio. “Quindi...cosa desideri?” domandò
Il ragazzo lo guardò, cercando la risposta nei suoi stranissimi occhi sanguigni e ipnotici.
Take me to the Undergound!” disse ispirandosi alla canzone.
Rajeth si alzò in piedi, sorridendogli amichevole. Quindi, levò il braccio sinistro, a cui il mantello sembrava essersi agganciato e con cui avvolse veloce il ragazzo, nascondendolo alla vista.
Se avesse avuto l'aspetto di suo fratello e se fosse stata notte, in quel momento, Rajeth avrebbe potuto essere scambiato per un classico vampiro. Invece, si limitò a sibilare di contentezza, torcendosi su se stesso come uno straccio che viene strizzato dall'acqua in eccesso. Il vortice bianco e rosso si estinse rapidamente, come può esaurirsi una lingua di fuoco senza più propellente, lasciando la stanza nell'ordine in cui l'aveva trovata il ragazzino entrando.


- - - - - - - - - - - -

Ragazzi. Oggi non ho molti commenti (sono un po' stanca da queste settimane di fuoco che mi hanno impegnato fin tutta oggi, tra correzione compiti -vere gallerie di orrori..si impegnassero un minimo..potessi, giuro, darei tutti 2 e non solo per la grammatica- preparazione elaborati per i corsi, laboratori e workshop di scrittura creativa -)
Quindi perdonate se il capitolo è un po' raffazzonato ma l'ho ricontrollato solo ora (e non più volte come faccio di solito) =_= e spero solo non ci siano orrori vistosi (su H e congiuntivi penso di non aver fatto boiate già nella bozza...conoscendo quanto ci tengo alla precisione per la mia lingua madre ù_ù) Sicuramente i pensieri saranno abbastanza contorti. Pace...
Spero di far meglio la prossima settimana: finiscono metà dei corsi (ma sarò sotto esame... che gioia). A presto!



Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** In trappola ***


21. In trappola





Dannazione!” urlò la voce maschile innalzandosi dalla profonda oscurità “Quanto sono stato stupido!” le parole erano accompagnate da una serie di colpi, presumibilmente calci e pugni contro la parete.
Tutto intorno era buio profondo. Nero pece, impalpabile, come se gli occhi fossero stati bendati. Non il più piccolo bruscolino di luce filtrava da...da qualche parte. Anche aspettare, nella speranza di adattare la vista a tutto quel buio, era una soluzione solo momentanea. Sembrava quasi impossibile essere immersi in una tale oscurità. Ciechi. Erano diventati ciechi. Avrebbero dovuto fare affidamento solo sugli altri sensi. Ammesso che non fosse solo un tremendo incubo.
Deve esserci un'uscita!” ringhiò ancora la voce.
Datti una calmata...mi stai innervosendo!” replicò seccata una voce femminile. Seguì un latrato d'approvazione. “Su, siediti qui...”
Qui dove, Sarah?” replicò sarcastico un isterico Jareth
Se segui la mia voce ci arrivi...calmati e vedrai che riusciremo a trovare una soluzione” continuò lei, piatta. Dopo l'ennesima imprecazione, roteando gli occhi al cielo, riprese “Non avevi detto che non avevamo fretta?”
Non avevi detto che non avevamo fretta?” ripeté lui, facendole il verso “No, non ne abbiamo, ma ciò non significa che sia contento di restarmene chiuso in...in non so dove!”
Fa un po' come vuoi...” fu la risposta serafica di lei “Basta che non fai casino...”
Che vuoi dire?” ringhiò ancora lui, muovendosi su e giù lungo la parete, tastandola, bussandoci sopra ogni due centimetri, nel tentativo di trovare una falla
Che sono stanca e dormo...abbiamo camminato a lungo... questo si chiama riposo forzato” precisò lei. Jareth la sentì muoversi, un fruscio leggero sulle mattonelle e lo sprimacciamento del cane che si accomodava a terra. “E questo buio concilia...buonanotte...”
Jareth spalancò gli occhi per la sorpresa. Dormire? Dove? Per terra? Ma cosa le frullava per la testa? Li raggiunse a tentoni e si accasciò anch'egli. Marking ringhiò di disapprovazione: era chiaro che non voleva essere usato anche da lui come cuscino. Poggiò la testa al muro e chiuse gli occhi. “Che stupidaggine...” pensò “Come si fa a dormire in questa situazione?”



L'abbaiare furioso di Marking li svegliò di soprassalto.
Quanto tempo era passato? Non sapevano dirlo.
Non sapevano dire nemmeno se avevano davvero chiuso gli occhi.
Era evidente che qualcosa, però, era cambiato: le pareti di quello che sembrava un cubo erano ora tassellate a scacchiera da grandi quadrati neri e rossi. Questi ultimi emettevano un leggero brillio, che aumentava e diminuiva secondo un ritmo costante, quasi seguendo un qualche battito cardiaco.
Che sta succedendo?” chiese Sarah allarmata.
Sospetto nulla di buono...” Jareth digrignò i denti: quello non era il suo labirinto. Era quello contorto e perverso di Rajeth. Mentre lui si limitava a porre sfide, il fratello tendeva vere e proprie trappole. Motivo per cui non avrebbe mai voluto addormentarsi. Si alzò e andò alla parete opposta, misurandola a passi. Qualunque cosa avesse in mente quel demonio del fratello, non avevano molto spazio di gioco.
Perché...” domandò perplessa Sarah mentre lui cominciava a misurare l'altro lato della scatola in cui erano rinchiusi “...ti stai riducendo?”
Eh?” chiese lui sovrappensiero “Di cosa parli?”
Prima...” disse indicando il punto da cui era partito con la seconda misurazione “Eri grande...il giusto...ora sei... più piccolo...non che sei ringiovanito...sei in scala...”
Jareth si guardò attorno perplesso. Non percepiva magia nell'aria. Né gli sembrava di essere cambiato in qualche modo. Tornò al punto di partenza osservando come, effettivamente, le mattonelle andassero restringendosi gradualmente.
Spazientito, affondò le mani sui fianchi facendo passare le dita tra i passanti dei jeans: non riusciva proprio a capire cosa stesse succedendo.
Ma certo!” si illuminò dopo un attimo “Si tratta solo di un'illusione ottica...1 Privo di magia non riesco a distinguere subito trucchi banali come questo...” Alzò lo sguardo su Sarah che lo guardava come fosse matto. “Semplicemente, mia cara, questo non è un quadrato...pardon...non è un cubo...” disse tornando da lei “Lì...” indicò il primo punto, alla propria destra, spostandosi poi a sinistra “C'è un disegno a scacchiera più fitto, che si allarga man mano che la parete sprofonda...non è un angolo retto...”
Ma...il soffitto...prima sembrava quasi ti bastasse alzare il braccio per toccarlo...” protestò lei
Anche il soffitto non è parallelo al suolo...man mano che si procede a sinistra, si alza, dando l'illusione che sia alto il doppio...”
Diciamo che mi fido...” disse scettica la ragazza “Ma....secondo te c'è da allarmarsi di questa luce improvvisa?”
Secondo te?” domandò lui serissimo. “Direi che la prima cosa fa fare è cercare di uscire di qua...”
Da dove cominciamo?” chiese lei, affidandogli il comando della missione. Sorrise. Al posto di sentirsi i pericolo, si stava galvanizzando. Pensava a quella sfida come a un'avventura, una prova della loro abilità. Un po' come quando, da bambina, in compagnia di sua madre, si perdeva o doveva far fronte a una situazione inaspettata. All'epoca era tutto un gioco. Ma quel senso di sfida divertente che saltava fuori nelle situazioni più critiche, le era rimasto incollato addosso.
Jareth sorrise compiaciuto di quel passaggio di consegne. Lei cominciava a fidarsi di lui, seppur in minima parte. Nonostante tutto. “A caso” rispose andando alla parete più vicina.
Vi poggiò ma mano e la piastrella sotto di essa si dissolse Al di là di essa, però, simile all'oblò di un acquario, si intravedeva un fondale marino.
Facile” commentò Sarah estasiata da quella vista
Troppo facile” replicò il mago ritirando la mano. La piastrella tornò a opacizzarsi. Posò la mano su un altra mattonella. Al di là di essa si vedeva lo spazio siderale.
Curiosa, anche Sarah si avvicinò al muro per provare quello strano, nuovo gioco: sembrava il tabellone della ruota della fortuna, i vetri olografici del film Total Recall o la versione gigante del gioco Memory. Dietro una mattonella trovò la versione gigante del proprio giardino: rimase a fissare lo scenario, inebetita, in cui farfalle colorate sembravano jumbo jet2. Ritrasse la mano solo quando vide una formica che marciava come un carrarmato nella sua direzione. Jareth, nel frattempo, aveva aperto finestre su un mondo preistorico e su uno in cui lo sguardo si perdeva tra dune rosse di sabbia, costellate, qua e là, da piccoli scogli neri tra i quali sbucavano, di quando in quando, grossi vermi con bocca tripartita da tenaglie a becco3. Andarono avanti così per un po', tra mondi sospesi tra nuvole dorate e cieli rossastri, altri rocciosi immersi in mari viola e sovrastati da cieli verdi o sospesi su lande grigie e lunari. Finché non si fermarono su una visione totalmente bianca.
Direi che questo è il meglio che possiamo aspettarci...” bofonchiò Jareth.
Prese la daga che gli pendeva al fianco e quella subito si indurì. Quindi ne piantò la punta sil lato del quadrato come fosse un pannello da divellere.
Come se fosse un organismo, la scatola ebbe un sussulto che fece perdere l'equilibrio a tutti e tre i prigionieri.
E'....è viva?” chiese Sarah, più affascinata che spaventata. Marking abbaiò quasi in risposta.
Sembrerebbe...” commentò Jareth perplesso. “E se è vero, è il caso di muoversi...” Si rimise in piedi e piantò la daga con più forza di prima. La scatola sussultò violentemente ma, quella volta, il biondo si era aggrappato preventivamente all'arma.




Una sferzata di vento movimentò l'aria all'interno di quell'ambiente così immobile e asettico. Alte pareti intonacate di bianco avvolgevano, claustrofobiche, una semplice lastra orizzontale che sembrava poter fungere da panca come da giaciglio. Non una finestra bucava la superficie liscia e uniforme. La luce sembrava diffondersi dal nulla.
Questa è la tua stanza...” disse con voce melliflua Rajeth indicando lo spazio angusto in cui, a mala pena, riuscivano a stare entrambi.
Toby si guardò attorno perplesso “A me sembra più una prigione...” borbottò il biondino alzando lo sguardo sul soffitto che si perdeva in lontananza. Sembrava di essere all'interno di un camino e di venir quasi risucchiati verso l'esterno4.
Perspicace...” fu il commento dell'uomo. Quando Toby si voltò per chiedergli spiegazioni, quello non c'era più: era solo in quel piccolo ambiente soffocante. Al posto dell'uomo, per terra, c'era solo un piccolo Cubo di Rubik classico, tre per tre, già completato.
Dove sei?” domandò il bambino, spaesato
La voce dell'uomo ghignò tutto intorno. Gli arrivava chiara e indistinta, esattamente come la luce che illuminava lo spazio. “Risolvi il cubo...” disse mentre quello si sollevava da terra e si scomponeva a una velocità tale che l'occhio umano non poteva seguirne i movimenti. “... e sarai libero...”
Mi avevi detto che mi avresti portato nell'Underground!” protestò Toby mentre il piccolo cubo arlecchinato cadeva a terra
E ho mantenuto la mia parola...Siamo nell'Underground, come da te richiesto...” ridacchiò divertito Rajeth “Non hai specificato dove volevi essere portato.”
Sei un maledetto bugiardo!” strepitò il ragazzino pestando il pavimento in un moto di rabbia
O-oh-oh” ridacchiò ancora, compiaciuto, il suo carceriere “Maledetto sì...ma non bugiardo, mio caro...”
Come no...” pensò tra sé il ragazzino “Sta a vedere che anche la storia su mia sorella è una cazzata!” Si tolse il piumino che aveva ancora addosso e lo buttò sul pianale di marmo. Quindi si buttò a sedere per terra, gambe incrociate, fulminando con lo sguardo quel piccolo cubo colorato. “Figurati se mi faccio fregare..magari è una trappola...come quelle di cui mi parlava Sarah...” ringhiò, acido, al nulla
Oh... dimenticavo, carino...” aggiunse la voce, cogliendolo di sorpresa e facendolo sobbalzare. “Hai solo tre ore e mezza per arrivare alla soluzione... dopodiché diventerai...uno di noi...” la voce si spense, echeggiando.
Che cavolo vuol dire? Ehi! Rispondimi!!” urlò irritato il ragazzino. Non ricevendo risposta, si decise ad affrontare la sfida. Non voleva restare più dello stretto necessario confinato là dentro. Avrebbe ritrovato sua sorella e avrebbero fatto i conti....
Sua sorella...forse era anche lei nell'Underground. D'altronde...se Jareth era il Re di Goblin, doveva trovarsi lì. Lei aveva promesso di riaccompagnarlo a casa. E forse, l'uomo in bianco, il fratello del re, voleva usare Toby come ricatto. O voleva offrirlo in segno di pace.
Quale che fosse la sorte che aveva in serbo per lui, non gli piaceva essere nelle mani di qualcun altro.
Afferrò il cubo magico e cominciò a ruotare le pareti. Ottenere una prima facciata di colore uniforme era un gioco da ragazzi...la sfida si complicava dopo.



La scatola si era mossa così violentemente che, per quanto Jareth avesse piantato la daga in profondità e per quanto si tenesse saldamente agganciato, era finito addosso a Sarah, gambe all'aria.

Come nel cestello di una lavatrice, erano rotolati di parete in parete, fino a che tutto non si era fermato, lasciandoli aggrovigliati in un ammasso di arti intrecciati tra loro.
Le giostre sono meno...” stava dicendo Sarah, tirandosi in piedi, quando sentì, sotto di sé, le imprecazioni di Jareth. “Sbaglio o sei diventato molto umano dall'ultima volta che ci siamo visti?”
Sarah...” ringhiò lui. “Non sfidarmi” pensò. Ma sarebbe stato ripetitivo, così come aveva detto lo specchio. Quindi la spostò solamente e si rimise in piedi “E ora dov'è finito?”
Marking abbaiò un paio di volte per poi sedersi e mettersi a ululare. Jareth lo guardò seccato. Cosa voleva dirgli?
Il soffitto, Mark?” chiese Sarah, dolce. Ma il cane abbaiò ancora, quindi raspò per terra. Ci si era seduto sopra.
Bravo cane!” disse il biondo riprendendo l'arma in mano, dopo aver controllato che si trattasse della mattonella giusta. “Sarebbe il caso di segnarla in qualche modo, per non perderla di nuovo...” disse guardando Sarah
Quella incrociò le braccia al petto “Se mi avessi la sciato la mia roba, prima di metterti a giocare coi miei vestiti, ora, forse, avrei un rossetto o una matita a portata di mano...”
Quasi a darle ragione, Marking latrò. Quindi fece il tentativo di tirare su la zampa posteriore.
Non esiste!” strepitò la mora, spaventandolo al punto da fargli reclinare indietro le orecchie “A cuccia!” lo sgridò indicando uno degli angoli della stanza “Fare la pipì qua dentro...te la tieni, Mark!”
A modo suo ci stava offrendo una soluzione...” lo giustificò Jareth a braccia incrociate dietro di lei, per niente impressionato da tutta quella storia “Bah...credo che l'unica sia, per l'appunto, marcarla...” Così dicendo, piantò la spada nella mattonella su cui aveva, precedentemente posato il piede. Come se avesse punto un organismo, la scatola sobbalzò nuovamente. Ma il biondo aveva piantato i piedi a lato della mattonella, pronto a tutto “Stavolta non mi freghi!” ghignò divertito. Ma la mattonella prese a correre in avanti, trascinandosi dietro il bel sovrano che imprecava e scatenava l'ilarità della mora. Quando, finalmente, la mattonella si fu fermata nel centro del soffitto, Jareth si ritrovò schiacciato lungo disteso sopra la testa della ragazza. “Non ridere, dannazione!” disse tirandosi in piedi.
Perché non cadi?Anzi...prima non ci riuscivi a...” domandò lei, tentando di raggiungerlo con un salto.
Non siamo nella sala della nostra sfida finale...Non posso andarmene a zonzo da un piano all'altro a mio piacimento...” disse lui alzandosi in piedi a andandole incontro. Piantò i suoi begl'occhi spaiati in quelli verdi di lei, pericolosamente vicini. Se fossero stati sullo stesso piano “Ci dev'essere una forza esterna che agisce...o forse è la spada che ha fatto sì che si creasse attorno a sé un campo gravitazionale...”
E quindi?” chiese lei, quasi offesa, incrociando le braccia al petto
Quindi prima apro questa porta, meglio è per tutti” ringhiò rivolto alla mattonella.
Stava per infilare le dita nello spazio che si era aperto sotto la placca che un violento scossone lo fece finire, nuovamente, gambe all'aria contro Sarah e Marking.
Si rialzò e osservò come la spada, ora, fosse piantata in uno spigolo del soffitto, apparentemente irraggiungibile “Rajeth, ti odio!” urlò con quanto fiato aveva in corpo, dopo aver tentato di raggiungerla con un paio di salti.
La voce sadica del fratello riecheggiò nell'ambiente, paralizzandoli sul posto
Che carini che siete, così ...affannati...o si dice affiatati? Non ricordo mai...”
Che tu sia maledetto!” ringhiò Jareth
E tu con me, mio caro fratello” disse materializzandosi davanti a loro. Galleggiava avvolto in tutti quei drappi bianchi e li guardava divertito, tenendo la testa poggiata sul palmo della mano. La mollezza della posa, ricordò a Sarah un'illustrazione del dio Vishnu, vista chissà dove. Anzi...a ben pensarci... lui e Jareth sembravano proprio Vishnu e Shiva5 “Dimmi Sarah...che ne pensi del mio labirinto” disse andandole vicino, ignorando il biondo ma riciclandone il repertorio.
Sta lontano da lei” sbottò l'altro parandosi tra loro due. Rajeth lo guardò annoiato. Reclinò il capo e una misteriosa forza afferrò lui e Marking e li schiacciò contro la parete, liberandogli il passaggio.
Dicevamo, mia cara...?” chiese guardandola fisso e sorridendo, come se fosse stata solo una mosca ad interromperli.
Non dire nulla di stupido!” rantolò Jareth, sopraffatto da quella forza misteriosa che lo teneva schiacciato, che gli impediva ogni movimento e che si era fatta più pressante.
Possiamo farcela...” disse Sarah in un soffio, mordendosi da lingua. Mai avrebbe ripetuto le parole sbagliate.
Possiamo, eh...” ripeté Rajeth divertito e seccato al contempo. “Pensi che Jareth collaborerebbe con te...se la posta in palio fosse... Toby?” domandò piantando una mano sulla parete alle spalle di lei
Il sangue era defluito dal volto della ragazza che, ora, aveva gli occhi sbarrati dal terrore “Che vuoi dire?”
Se...diciamo ipoteticamente...tuo fratello fosse qui, nell'Underground...dici che ti aiuterebbe a risolvere il labirinto? O lascerebbe trascorrere le ore che rimangono a vostra disposizione?”
Ore?” Sarah quasi urlò “Non avevi detto che non c'erano limiti di tempo?” strillò isterica verso il biondo
Oh, sì...era così...” rispose il moro, divertito “Ma, vedi, mia cara...Ora Toby è qui... e per lui...è ancora valida la vecchia regola...”
Hai solo 13 ore prima che il frignante marmocchio diventi uno di noi...per sempre...?” domandò Sarah ricordandosi le parole che Jareth aveva usato in quell'occasione
Esatto...ma tu ne hai già usate un paio...” disse il moro sorridendo e staccandosi da lei per cominciare a fluttuargli davanti agli occhi, avanti e indietro, come se meditasse qualcosa “Jareth quante te ne aveva sottratte quella volta? Tre e mezzo, mi pare...dico bene?” chiese alzando la voce, rivolto al fratello “Pensi di farcela, Sarah?” chiese con tono di chi non ammette risposta negativa.
Lei ingollò il groppo che le aveva stretto la gola e annuì.
E pensi che lui” disse indicando il fratello con un cenno del capo “Ti aiuterebbe? Non pensi che potrebbe rallentarti? Infondo...era quello il suo obiettivo fin dall'inizio, no?” chiese, ricalcando i suoi già cocenti dubbi. Rajeth si stava divertendo un mondo a seminare così tanta zizzania.
Non ascoltarlo!” rantolò Jareth
Taci, una buona volta...” sbuffò il moro seccato. Un lamento sommesso arrivò dalla parete e non si udì più una parola da parte di Jareth.
Credo...che mi aiuterebbe, sì...prima rivuole il suo trono.” fu la risposta abbastanza convinta di Sarah
Bene...” disse compiaciuto Rajeth “E...pensi di farcela? O vuoi barattare il rilascio di tuo fratello? Cosa mi daresti in cambio?” chiese lascivo allungando una mano verso il volto di lei.
Niente!” rispose quella, schiaffeggiandogli la regale mano e sfidandone gli occhi rossi “Vincerò secondo le regole.”
Rajeth parve rabbuiarsi “Ricorda...mia cara...hai solo tre ore e mezza...prima anche lui diventi mio, come te...Ti aspetto, mia diletta...” concluse con un sorriso sardonico e svanendo nel nulla


- - - - - -

Oggi ho postato un po' prima :) dovrò festeggiare in qualche modo l'esame di economia, no? E anche il fatto che -forse- mi passano l'esame di antropologia dalla precedente laurea (o lauree...non so mai)... certo..scoprirlo prima (della laurea e possibilmente prima di sostenerlo) mi avrebbe fatto risparmiare tanti magoni (i libri son ben felice di essermeli presa tutti, in compenso) ...ma meglio tardi che mai... :) sono felicissima, non potete capire quanto!
Bene...detto ciò, come avrete capito, sono in fase paranoia da esame... T_T specie per colpa del laboratorio che mi sta mandando fuori di testa...me la son proprio cercata... e ancora penso a prendermi una terza laurea (dato che studio per piacere, visto che lavoro non se ne trova da nessuna parte)...devo avere qualche serio problema XD
Vabbè....la pianto di divagare...Inoltre volevo annunciarvi che -in teoria, se i personaggi non mi fanno strani tiri- abbiamo passato il giro di boa... sto scrivendo i capitoli finali...






1 Tanto per intendersi...la scatola in cui sono chiusi, è simile a questa...non è photoshop, è solo un'illusione ottica ;) http://archivioromanolil.blog.tiscali.it/files/2006/09/11396c33b08.580.0.jpg

2L'idea è presa da “Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi”, film disney dell'89

3Il riferimento è, ovviamente, a Dune (libro di Frank Herbert del '65 e film dell'84 di Lynch), uno dei miei preferiti <3 Lo ficco un po' ovunque ogni volta che posso.

4Liberamente ispirata alla Tzara House di Adolf Loos, a Parigi. La struttura labirintica della casa ruota tutta attorno a questo sgabuzzino-pensatoio. Dall'esterno sembra che ci siano solo 3 piani ma in realtà, in un solo piano, sono concentrati anche 4 cambi direzionali. Questo è lo spaccato...buon puzzle a tutti!
http://24.media.tumblr.com/uesUZ3ti4o04un3kDYIVhVMLo1_400.jpg http://26.media.tumblr.com/uesUZ3ti4o04v7kyJQaa8gAoo1_400.jpg

5Un'idea potete averla a quest'indirizzo http://www.exoticindiaart.com/artimages/the_holy_trinity_brahma_vishnu_mahesh_audio_cd_icn040.jpg Shiva è quello in basso, Vishnu è in alto a destra, col copricapo e la pelle blu. Il vecchio a sinistra è Brahma.

Pur non essendomi ispirata alla Trimurti (o forse, inconsciamente sì, visto il mio retaggio infantile) la somiglianza è evidente...e forse non è così casuale.... no..mi sa proprio di no..quindi attendete altri sviluppi XD
Cmq mentre Vishnu, lo “splendente” (e qui mi riaggancio alla già citata Rajeta...capirete sempre tutto alla fine!) è di carnagione scura (e per ora non vi dirò altro sennò è spoiler...anche se non ho molto da copiare al riguardo..giusto una cosina...osservate qual'è l'animale che veglia sul sonno di Vishnu e qual è il suo ruolo nella trimurti), Shiva è di carnagione chiara (bianco brillante). Inoltre, quest'ultimo è detto il distruttore, è colui che “porta via” ma anche il “dispensatore di felicità”, è “il sovrano” “generoso, che esaudisce ogni desiderio”, “dai capelli arruffati”, “il coronato di luna”, “signore del sonno”, “signore del desiderio”(è associato al culto del fallo, come Dioniso e Osiride), “signore della danza”, “vagabondo nella notte”

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** La soluzione del cubo ***


22. La soluzione del Cubo





Un refolo di vento ed erano nuovamente soli all'interno della scatola a scacchi rossi e neri.
Cosa vuol dire?” urlò Sarah esasperata.
Ma l'uomo non c'era più.
Corse, quindi, da Jareth che era piombato a terra come peso morto non appena il gemello era svanito “Cosa voleva dire?”
Sei forse sorda?”disse il biondo mettendosi carponi, lentamente, nel tentativo di ritrovare l'equilibrio.
Cosa c'entro io? Io non voglio rimanere legata a questo mondo!” protestò “E poi... non era un discorso che valeva solo per me? ...se ero stata io a desiderare che scomparisse...?”
Jareth stirò un sorriso stanco “Qualunque umano soggiorni troppo a lungo in questo posto, indipendentemente dalle responsabilità e dalla volontà, diventa uno di noi....e tu, come Toby, avevi già trascorso una decina di ore nell'Underground...”
E perché non me l'hai detto prima di partire?” Urlò mollandogli uno scappellotto sui capelli biondi.
Jareth era abbastanza seccato dalla violenza insita nella ragazza e ne aveva abbastanza di quei modi isterici. Stava per risponderle a tono quando, alzando lo sguardo, la trovò rannicchiata davanti a sé, stretta in un abbraccio nervoso, che singhiozzava contro le ginocchia.
Cercò, quindi, di risponderle nel modo più delicato possibile “Lo davo per scontato...non abbiamo limiti di tempo. Noi due assieme...anche perché, teoricamente, non dovevamo incontrare intoppi.. Ma tu ne hai.”
Un'ora e mezza...” biascicò lei con occhi vitrei
Se riusciamo a finire... e dovessimo aver sforato...potrei patteggiare per te...” La vide strabuzzare gli occhi, terrorizzata “Posso cercare...” riprese “...di barattare il mio tempo umano col tuo...” disse e vide che lei non lo seguiva: lo scrutava in cerca di una risposta. “Da umano, io avrei tredici ore, a mia disposizione. Appena avrò abbastanza magia, ma soprattutto, appena saremo fuori di qui, posso far sì che...che...” come spiegarlo con parole semplici? “Tredici” disse indicando se stesso “e Tre...” disse indicando lei “Sedici. Se ripartissi le sedici ore su entrambi, ce ne resterebbero otto e togliendone due o tre a testa, a farla grande, quelle che abbiamo usato finora...ce ne rimarrebbero cinque o sei. Di più non posso fare.”
Lei chinò la testa, vinta da quell'ovvia constatazione. “E...” disse balbettando “...cosa vuoi in cambio...” alzò lo sguardo e lo piantò in quello di lui. Non si sarebbe tirata indietro.
E in ogni caso, meglio stipulare patti con Jareth, che sapeva essere onesto, che con Rajeth.
Il biondo rimase interdetto da tanta determinazione. Ma stirò un sorriso sollevato. Quella era la Sarah che conosceva. “Ci penserò...” disse rimettendosi in piedi
D'accordo!” disse lei risoluta. Non c'era più alcuna traccia della paura che l'aveva squassata fino a pochi istanti prima.
Non fecero in tempo a riprendersi che l'ennesimo scossone li ributtò tutti a terra.




Al diavolo!” Urlò Toby, scagliando il cubo contro la parete davanti a sé.
Tre ore e mezza. Che scemenza...perché imporgli un limite temporale, poi? Che senso aveva?
Più rifletteva su quello che era successo più capiva di essersi fatto prendere per il naso.
Ripensò a sua sorella e a come l'aveva vista rapita al ballo. Che anche lei fosse stata ingannata? Se dieci anni prima erano rientrati sani e salvi nel loro mondo forse, in quel particolare momento, era sotto l'influsso di qualche potente incantesimo. Sì: Jareth l'aveva stregata e lei era riuscita a ribellarsi. Forse si era pentita di quello che aveva fatto...
Eppure non riusciva a trovare alcun senso nella ricomparsa del biondo nelle loro vite. Cosa le aveva detto per convincerla?
Cercò di rivalutare tutta la situazione: lei era arrabbiata con lui; lui sembrava essere certo di riuscire a convincerla e, comunque, non sembrava malintenzionato nei loro confronti.
A meno che.... a meno che lei non si fosse innamorata di lui e non avesse pensato che lui la stesse prendendo in giro. Gli passò davanti agli occhi, in un flash, il suo nuovo film mentale: sua sorella, sedotta e abbandonata da quell'uomo indubbiamente malvagio...un uomo...che probabilmente aveva un harem, ecco... lei non sopportava di non essere l'unica ed era tornata indietro.
Si rese conto con rammarico che, forse, il suo rapimento era stato solo il pretesto, la leva per convincere Sarah a seguirlo nell'Underground. Ma ora, lui, era tornato promettendole di essere davvero l'unica.
Sì. Doveva essere andata così.
E lui non avrebbe lasciato sua sorella nelle grinfie di quel viscido essere, così come lei non aveva abbandonato lui. Erano pur sempre fratelli. Anche se a metà.
Raccattò il cubo e lo squadrò truce.
Quindi si illuminò.
Aveva trovato la soluzione. Forse...



Se non fossero stati pieni di contusioni e scombussolati da tutto quello sbattimento, la situazione sarebbe anche potuta sembrare interessante: Sarah stava spalmata sul suo petto, le gambe intrecciate alle sue. Si affrettò a scansarla con poca grazia. Fosse mai che pensasse che avesse doppi fini, in quel momento.
La spada giaceva piantata a poca distanza. Rotolò su se stesso e ne impugnò l'elsa. Un ghigno gli si stampò in faccia. Si affrettò a far scivolare la mano sotto la piastra e cominciò a tirare.
Vuoi una mano?” chiese Sarah con pesante sarcasmo, rimettendosi in piedi dopo lo spintone ricevuto
Shh!” Jareth si arrestò improvvisamente e le fece cenno di tacere. Un ronzio leggero stava gradualmente montando “Cos'è?” domandò guardando la ragazza, leggendo nei suoi occhi la stessa domanda. Si guardarono intorno perplessi.
Fu Marking, ancora una volta, a trovare per loro la soluzione. Andò alla parete, abbaiò e cominciò a raspare. Di tanto in tanto, saltellava indietro, abbaiava nuovamente e ricominciava a raspare.
Sarah alzò lo sguardo tutt'attorno “Le pareti si stanno restringendo...” osservò notando come i quadrati sparissero quasi avvolti dagli angoli tra le pareti.
Non solo quelle...” osservò Jareth notando che tutti e sei i lati si stavano rimpicciolendo. Senza perdere altro tempo, cominciò a tirare disperatamente finché non riuscì a scardinare il pannello.
Fila dentro!” ordinò a Sarah. Lo spazio si era ridotto a meno di un paio di metri per lato. Visto che la mora stava per mettersi a discutere, la prese per un braccio, strattonandola “Cammina...se non vai tu, il cane non può passare...”
Avevi detto...” protestò, spaventata che a uno dei due potesse succedere qualcosa.
Cos'è? Improvvisamente cominci a darmi retta?” celiò sarcastico. Infondo era quasi commosso che lei, finalmente, si degnasse di ascoltarlo. Le porse, quindi, la mano “Sarò il tuo cavaliere, per una volta...dato che non posso essere il tuo re...” disse baciandole il dorso della mano e facendola arrossire immediatamente per quel gesto così inaspettato. Sarah si lasciò condurre dentro il buco, largo appena per farla passare, senza mai mollargli la mano. “Non temere...” le disse “Non dovresti aver problemi di gravità, di là...” così dicendo le sorrise, invitandola a mollare la presa di una delle mani per lasciare a Marking lo spazio per tuffarsi anch'egli. Ormai restava meno di un metro per manovrare. Jareth temeva quasi di non farcela, rannicchiato com'era. Strisciando, tenendosi al bordo dell'apertura con la sola mano libera, si lasciò cadere dentro. Un attimo prima stava mettendo la testa nel buco, come in una capriola, l'attimo dopo era poggiato a un'impalpabile superficie bianca su quello che sarebbe dovuta essere la parete esterna del pavimento. Solo che, al posto di essere prono, si trovava seduto. E sopra la sua testa stava la finestrella nera. Tolse la mano dallo spazio di confine e la botola sparì, probabilmente implosa su se stessa. Sarah galleggiava davanti a lui, come nuotando a dorso in una piscina vuota e invisibile.




Puff...
Un leggero odore di zolfo si sprigionò dalle mani di Toby, accompagnando il sottile rivolo di fumo che si innalzava pigramente davanti ai suoi occhi mentre il Cubo di Rubik scivolava al suolo in una miriade di coriandoli colorati e trasparenti.
Ho vinto...Giusto?” chiese alzando la testa al soffitto
Ma manco per niente, piccolo imbroglioncello...” soffiò divertita la voce di Rajeth “Hai barato!”
Non hai detto che non si poteva!” precisò Toby offeso, nonostante il senso di colpa che cercava di ignorare. Aveva fatto ciò che ogni bambino, spazientito dal rompicapo, avrebbe fatto: aveva staccato le tante tesserine mancanti al completamento del gioco e le aveva riposizionate sulle facciate. Applicata anche l'ultima, il piccolo cubo aveva cominciato a restringersi per poi scoppiare in un tripudio di colore.
Aveva gettato la sua unica possibilità di uscire da quel posto. Tutto ha un prezzo gli diceva sempre Sarah. Ecco...la sua libertà aveva il semplice prezzo di non barare. L'aveva capito troppo tardi.
E ora come faccio?” protestò, di nuovo rivolto al soffitto lontanissimo. Passarono i minuti e non ricevette risposta. Era stato abbandonato. “Che culo!” sbottò andando a buttarsi sul pianale di marmo. “Che cavolo....?” borbottò seccato tirandosi via, da sotto il sedere, il piumino che aveva lanciato poco prima: si era seduto su qualcosa di rigido. Lo guardò truce, quindi frugò nelle tasche, ricordandosi il contenuto di ciascuna: in una stava il suo prezioso e ingombrante portafortuna, nell'altra il suo lettore Mp3. Lo fissò accigliato, non sapendo cosa fare. Poi, si accorse dei suoni che provenivano, bisbigliati, dalle auricolari. In un primo momento gli era sembrato di aver le visioni ma subito si era ricordato della funzione dell'oggetto che aveva tra le mani. Si portò le cuffiette al viso per sentire quale brano stesse suonando.

Many times I've felt alone1
I've felt alone
But that's all behind
One thing I know
I know
One thing is that

I know I have to go

[Alcune volte mi sono sentito solo/ Mi son sentito solo/ Ma tutto questo l'ho lasciato alle spalle/ So solo una cosa/ So/ Una sola cosa ed è.../ So di dover andare]

Maccerto! Perché non ci aveva pensato subito? Iutrepi!
Era nel mondo della magia, no? E se Sarah aveva ragione, Iutrepi era un'entità magica. E anche se non lo fosse stata, le parole avevano il loro peso...poteva usarle come formule magiche. Sorrise, compiaciuto del proprio acume. Alzò il volume al massimo e accompagnò le note canticchiando sommessamente

Got no dough
Should I stay or should I go
Gotta get away
Don't want to stay
Leavin' tomorrow by subway

[Non ho dubbi/ Dovrei restare o dovrei andare?/ Devo andarmene!/ (Non voglio restare) / Lasciando il futuro dai sotterranei]

Toby non fu poi molto sorpreso dal veder comparire, sotto i suoi piedi, i bordi di quella che doveva essere una botola. Afferrò il giubbotto, si legò in vita le maniche e si affrettò a scivolare via da quel posto.



Tutto quel bianco, che si stendeva all'infinito, ovunque intorno a loro, senza permettere di orizzontarsi, cominciava a infastidire gli occhi.
Come mai hai scelto proprio questa....assurdità...?” domandò Sarah senza alcun sarcasmo nella voce “Tra tutte quelle che abbiamo visionato?”
Perché spero di riuscire a ricevere un aiuto...” rispose Jareth accomodandosi su una poltrona invisibile, accavallando le gambe e incrociando le braccia dietro la nuca.
Aiuto? E come?” disse lei allargando le braccia. Erano immersi in un vuoto luminoso di cui non si riusciva a vedere la fine.
Non ti fidi già più di me?” domandò sarcastico levando un sopracciglio
E' che non abbiamo tempo...non ho tempo...” precisò, nuotando fino a lui dopo un lungo giro d'ispezione e piantando le mani sui fianchi, esasperata.
Jareth si esibì in un'espressione infastidita e annoiata “Giusto, mia preziosa...Forse è il caso di accelerare un po' i tempi...” disse reclinando il capo indietro come se volesse dormire.
Un lungo fischio si propagò nel silenzio irreale di quel non luogo.



E ora dove sono finiti?” domandò Rajeth accigliandosi. Il box era andato in frantumi. E loro non erano più all'interno nel momento della deflagrazione.
Non basta aspettare lo scadere del tempo prestabilito?” domandò Miriam allungando languidamente le mani affusolate per intrecciarle nei lunghi capelli scuri del sovrano
Sì, tesoro...” le rispose lui distrattamente, baciandole le punta delle dita “Ma dimmi... nel qual caso dovessero arrivare fino a noi...” disse abbassando lo sguardo su di lei, gli occhi rossi maliziosi brillavano di una strana luce malvagia “...non vorresti far trovare al tuo amato Jareth un banchetto per ristorarsi dalla fatica?”
Miriam scattò a sedere, illuminata all'idea “Ma certo, mio Sire! Hai detto che abbiamo tre ore di tempo, vero? Mi concedi il permesso di andare a dare istruzioni alla servitù?”
Ma certo, mia diletta...e ricorda...se ti serve qualche ingrediente particolare...non esitare a chiedermelo...te ne procurerò in abbondanza, dovessi dissanguarmi...” Rajeth accompagnò i movimenti della mora con sguardo compiaciuto, sorridendole calorosamente. Lasciò che si allontanasse in fretta dalla sala ora deserta e silenziosa. “Povera stupida...sei così facilmente manipolabile... più di quanto non pensi...” mormorò soddisfatto “Va...e prepara pure l'ultima cena del mio amato fratello...Ci sarà da morire...dalle risate...” Un ghigno perfido gli increspò le labbra. “Oh...peccato...dimenticavo che ora Jareth è mortale e forse la sua cucina potrebbe risultargli solo un po' pesante”. Più pensava al suo piano perfetto meno riusciva a contenere la sua contentezza. Tornò al suo cristallo, ora vuoto e noioso e decise che, finché la situazione non si fosse sbloccata e non gli avesse mostrato qualcosa di interessante, ammesso che non fossero già morti, avrebbe dormito. Non c'era nulla di più snervante di una vuota attesa che portasse a una vittoria già annunciata.2


Sembrava di essere in una di quelle strane installazioni espositive d'arte, dove gli spigoli della stanza sono smussati per rendere impossibile percepire la profondità del luogo e in cui i suoni sono ovattati a qualunque distanza. Erano passati, sicuramente, diversi minuti da che Jareth si era messo a fischiare. Ma non era cambiato nulla. Spazientita, Sarah l'osservò sprezzante. “Cosa sarebbe dovuto accadere, di grazia?”
Il mago, inizialmente, non la badò, meditando perplesso “Mmmm...strano...”
Cosa non sarebbe strano?”chiese ancora lei irritata, mani ai fianchi
Maccerto...Forse...se provassi tu...” disse studiandola serio. I suoi occhi di ghiaccio la percorsero da capo a piedi, come ipnotizzati. “Fare un tentativo non costa nulla...” disse battendosi le mani sulle ginocchia e tirandosi in piedi. “Allora...ti spiego come fare...”disse raggiungendola “Apri le braccia...come se stessi invocando che so io...” cominciò “...me?” domandò malizioso. Quella avvampò all'istante, ma fece finta di nulla, e lui continuò, curioso di vederne le reazioni “Bene... ora..fischia...o canticchia se ti viene meglio...qualunque melodia... Sei brava a cantare..io canterei, fossi in te...” Ora la studiava divertito e compiaciuto, il solito sorriso stampato sulle labbra: era una lampante frecciata al loro nuovo primo incontro.
Tutto qui?” ribatté lei senza farsi toccare da quelle parole “Come una formula magica?”
Precisamente!” disse lui tornando a svaccarsi su un trono immaginario.
Devo... dire le mie parole magiche?” chiese sarcastica, guardandolo truce, rievocando vecchi ricordi d'infanzia. Belle spiegazioni esaustive le stava fornendo.
Oh, beh...certo...” disse lui sgranando gli occhi, falsamente sorpreso “...Ora ti devi impegnare seriamente, mia preziosa creatura...” E nel ghigno che stirò, ancora una volta, Sarah lesse la sfida. Tra loro tutto si riduceva sempre a quello. Lui che la sfidava, lei che gli rispondeva a tono, sfidandolo a sua volta. Era un serpente che si mordeva la coda. Gli diede le spalle, imbarazzata, le braccia lungo i fianchi, cercando qualcosa di sensato da dire. Non sapeva nemmeno chi o cosa dovesse invocare. Doveva restare sul vago? Doveva dire alla creatura di affrettarsi? Optò per l'unica canzone che le veniva in mente. Avevano poco tempo e lei non poteva certo buttarlo nel cercare una singola canzone. Scelse accuratamente la parte che le interessava. Chiuse gli occhi e cantò con voce sommessa, quasi struggente il solo ritornello. Lo cantò una volta e alla fine ricominciò come in loop, chiudendo gli occhi, cercando di dimenticarsi delle due presenze al suo fianco e sperando che, lasciandosi trasportare, il canto suonasse una richiesta d'aiuto autentica.


Save my life, Save my life3
I need you to save my life

Save my life, Save my life
Let me feel you breathing
In your hands- In your hands
Is the heart of mine
Save my life


[Salva la mia vita/Ho bisogno che tu salvi la mia vita/Salva la mia vita/ lascia che avverta il tuo respiro/ Nelle tue mani/ C'è il mio cuore/ Salva la mia vita]





- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Ciao ragazzi,
Oggi aggiorno decisamente presto, prechè poi nel wend vorrei aggiornare anche l'originale (cominciano a essere troppi capitoli anche di là ed è il caso di non tirarla troppo per le lunghe). Che altro dire? sapete che non mi vengono in mente grandi cose? Cmq per ogni cosa, son sempre qui. 
A presto!







1Kiss, Dressed to Kill, 4. Getaway

2Allora, l'ho già accennato in precedenza (non riesco mai a ritrovare le note messe in precedenza..quindi chiedo eventualmente scusa...e saltate a piè pari questa perché ho il timore di averla messa tipo già tre volte), ma mi sembra ora opportuno chiarire chi sia Miriam. Ho voluto far combaciare quell'immagine con la figura del Lauru o Lauri (folletto Pugliese, più specificatamente tarantino, noto anche con il più generico Elfo Dispettoso). Si tratta di un elfo che vive tra le pareti domestiche, alto fino ai 30 cm, gradevole, armonioso e proporzionato che somiglia a un bimbo di 2 o 3 anni, ha gli occhi neri, i capelli ricciuti e un sorriso malizioso sempre pronto. Di carattere affabile e bontempone, è al contempo capriccioso e bizzarro (specie di notte) tanto da decidere di aiutare un membro della famiglia a danno di un altro, soffrendo spesso di simpatie ed antipatie. Può inoltre provocare incubi notturni, spostare gli oggetti di casa e romperli, arruffare i capelli dei bambini, come alle ragazze graziose, mentre dormono, annodare code e criniere degli animali (che pure amano alla follia ma a cui non risparmiano ogni tipo di scherzo) in un groviglio di nodi indissolubili, noti col nome di nodi d'elfo), strappare via le coperte di colpo ai bambini che dormono far imbizzarrire i cavalli e far ammalare gravemente e misteriosamente le persone fino a farle morire (!). E' un folletto particolarmente dispettoso e fa, spesso, solo il contrario di quanto gli viene detto. Pare che, per liberarsi del Lauru, qualora diventi particolarmente insopportabile e dispettoso, esista un solo rimedio: appendere sopra la porta di casa un paio di corna di bue o di montone. Il Lauru è infatti terrorizzato dalle corna e quindi si trasferirà sicuramente fra altre pareti domestiche. Ora...nel film lei indossa, come tutti, delle corna..faccio finta che si tratti di una caratteristica propria della creatura.

3Xandria, Salomé – The Seventh Veil, 1. Save my life

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Paradossi ***


Premessa dell'autrice.
Da questo capitolo le note non saranno più sensibili (che se ci cliccate sopra, insomma, non andrete più direttamente a destinazione) perhcè con NVU non ho ancora capito come funziona la cosa. Come facevo prima? scrivevo con Open Office (nel regolamento è sconsigliato usare Word...e scrivendo con OO mi sembra che i codici sorgente non siano affatto superiori di quando riformatto tutto con NVU) ma in un eccesso di zelo, ho deciso di copiare e incollare tutto sul blocco notes (come suggerito dal regolamento) e correggere solo successivamente la formattazione con NVU (lo sto facendo anche coi capitoli già postati)...però così perdo i collegamenti...
Spero capirete. (e spero anche di essere sufficientemente brava nelle descrizioni da essere autonoma dalle note, che metto per puro scrupolo e dovere di completezza).
Buona lettura


23.     Paradossi





Uno schiocco assordante, quanto improvviso, sferzò l'aria immobile del mare latteo in cui erano immersi. Subito, un rombo basso e cupo aveva riempito l'aria con le sue poderose vibrazioni, nemmeno fosse stato uno scatolone, pieno di chincaglierie, che venisse sballottato dalle montagne russe: sembrava l'effetto di quegli aerei che rompono il muro del suono in sorvolo troppo ravvicinato.
“Direi che ci sei riuscita...” commentò Jareth direttamente nel suo orecchio, comparendole alle spalle. Come dieci anni prima, lei sobbalzò e arrossì per quell'inaspettata vicinanza.
“A parte questo rombo assordante, a me non sembra sia cambiato nulla...” replicò lei spostandosi lateralmente di un passo, tanto per non avercelo appollaiato sulla spalla come un avvoltoio.
Jareth non sembrò infastidito da quel comportamento e, quando parlò, non si rivolse a lei “Schrodinger, amico mio...grazie di aver risposto all'appello della signorina...” Disse posando una mano nel vuoto davanti a sé. Sarah si accorse solo allora che il rombare era cessato di colpo. Sembrava esserci qualcosa di compatto che frenava realmente l'avanzata della mano del suo accompagnatore ma, agli occhi di Sarah, sembrava solo l'ennesimo, splendido, trucco da prestigiatore. Anzi, più precisamente, da mimo. “Sì è lei, la campionessa” continuò lui poggiandosi di schiena a quel nulla trasparente. Quando alzò lo sguardo su di lei, notò il suo sconcerto, che subito dopo vide mutare in disgusto, allarme, paura e terrore. Quindi la vide rilassarsi. “Ben fatto...” disse con tono di rimprovero e dando un paio di poderose pacche a quel qualcosa che sembrava non esistere. “Ti chiedo scusa a nome suo, Sarah...non aveva cattive intenzioni...”
“Di cosa. Stai. Parlando?” domandò lei, ancora agitata
“Ma del tentacolo di Schrodinger...” rispose serafico lui “Non voleva molestarti...” disse sorridendo.
“Quale tentacolo?” la domanda suonò ancora più allarmata di prima
“Non lo vedi?” domandò lui perplesso
“Cosa dovrei vedere?” replicò stizzita Sarah, passandosi le mani dove qualcosa di viscido le era strisciato addosso. Un tentacolo gigante avrebbe giustificato la sua sensazione di venire avvolta dalle spire di un serpente.
“Puoi allontanarti e riavvicinarti piano, in modo che riesca a capire i tuoi confini?” chiese Jareth al fantomatico Schrodinger. Affiancò Sarah mentre un vento improvviso sferzava loro i capelli in faccia. “Là...” disse puntando il dito direttamente davanti a sé. Lentamente, un puntino bianco sullo sfondo bianco si allargò fino ad acquisire le dimensioni di un'auto a un paio di metri dall'osservatore. “Ora dista un centinaio di metri...” specificò il biondo con un cenno d'assenso verso quel nulla. Il punto si avvicinò ancora, lentamente fino ad arrivare a pochi metri da loro. Era gigantesco. Aveva le dimensioni di una nave da crociera. Gli occhi, posti ai lati erano due oblò neri simili alle cabine di una ruota panoramica.
Schrodinger non era altro che una strana balena troppo cresciuta, bianca come lo spazio infinito in cui nuotava, con una leggera criniera che incorniciava il muso all'altezza delle branchie e da cui si diramavano due antennine mentre due lunghi tentacoli si dipanavano da sotto la mandibola. Inoltre, le pinne anali erano così corte da risultare quasi un doppione di quelle pettorali, a cui erano subito attaccate le lunghissime pinne ventrali1. Il cetaceo sembrava sorriderle nonostante la sua probabile aria spaventata e perplessa.
Schrodinger avvicinò cauto un tentacolo in modo che fluttuasse all'altezza del petto della ragazza. Lei lo guardò confusa, quindi spostò lo sguardo sul suo accompagnatore e sull'enorme bestione bianco davanti a sé, che non la oscurava con la sua ombra per il semplice motivo che non c'era alcuna luce direzionata.
“Sospetto che tu stia cercando di fare amicizia, giusto?” domandò poggiando la propria mano sull'appendice compatta. Non fece in tempo a sfiorarlo che si ritrovò il tentacolo avvinghiato al polso e, quasi immediatamente, stretta nuovamente nelle sue spire e spalmata contro la sua guancia.
“Va bene, Schrody...l'hai salutata...” borbottò Jareth issandosi alla loro altezza senza il minimo sforzo: sembrava volare “Ora lasciala!” ordinò con tono perentorio “No, non sono geloso ma mollala! Potresti farle male, razza di idiota! Neanche ti rendi conto della differenza che corre tra voi e noi...” disse prendendo, delicatamente ma con fermezza, la mano di Sarah nella sua e guidandola lontano dal bestione.
“Non mi ha fatto male!” protestò Sarah riappropriandosi della mano che continuava a essere oggetto di contesa tra loro. “E' stato come...affondare in un marshmallow...un dolcetto soffice e gommoso del mio mondo...” precisò cercando i grandi occhi neri della balena.
Schrody gracchiò qualcosa di inarticolato, dimenando la coda e la testa in modo tale che sembrava far perno, felice, sul ventre.
Jareth arricciò le labbra, offeso “No, tranquillo... non me la prendo mica...ha detto solo che sei cibo! Sai...nel suo mondo le balene si mangiano!” sibilò astioso “Almeno io non corro quel rischio...”
Le pinne della balena sembrarono precipitare al suolo, ammesso di poterlo chiamare in tal modo, quasi a esprimere tutta la sua tristezza e la sua afflizione.
Jareth non diede il tempo a Sarah di replicare a quell'incomprensione e calamitò prepotentemente su di sé l'attenzione “Devi aiutarci...sì: io sono senza poteri, dovresti saperlo...” La balena gracchiò ancora una volta, seria e ubbidiente “Non ti sto chiedendo di ribellarti al tuo re! Solo... è così impossibile che tu non ti accorga di... tre clandestini? Siamo insignificanti e nascosti bene...non hai mai le pulci?” Schrodinger gracchiò a lungo con veemenza in risposta “Ah, come vuoi, allora...”
“Che dice?” domandò Sarah, che per tutto il tempo era rimasta docilmente estranea alla conversazione, il viso sprofondato, volontariamente, nel corpo bianco e spugnoso dell'essere
“Non lo senti?” domandò perplesso il mago alzando un sopracciglio. Alla risposta negativa della ragazza, accennata solo la testa, il biondo sbuffò, chiudendo gli occhi e coprendoseli con la mano guantata. “E ora cosa c'è che non va?” domandò quasi rivolto a sé stesso. Schrodinger gracchiò un'altra volta, quasi gli stesse esponendo una sua teoria. “Non posso correre il rischio...se si togliesse l'anello...” disse guardando la ragazza: quella spiegazione era esplicitata più per lei che per loro due “... anche tu potresti diventare aggressivo. Ti ricordo che ha il potere di entrambi concentrato in sé. Non sa gestire il suo, figurati il nostro...” a quelle parole Sarah abbassò lo sguardo, imbarazzata. Stavano parlando solo di poteri magici: perché era a disagio come se avesse parlato di...loro figlio? Il pensiero di portare in sé qualcosa di lui, una parte di lui, anche se non fisicamente come poteva esserlo una cellula che si moltiplicava, espandendosi nel suo corpo, le annebbiò la vista.... Ma qual era la differenza tra una cellula e la magia? Solo perché era impalpabile non voleva dire che non esistesse. E, d'altronde, anche quella minima parte di lui sarebbe sembrata inesistente, se vista ad occhio nudo... “Probabilmente, se lasciasse nuovamente libero il suo potere potrebbe fare quello che più le comoda, ma attirerebbe anche una valanga di sciagure. L'altra volta...” disse, calcando la voce in modo da farla sentire colpevole. Per qualcosa che lei non sapeva di aver fatto “... perché la signorina doveva uscire dal tracciato sicuro del labirinto per finire nelle zone selvagge...” puntualizzò rancoroso “...è stata aggredita prima dai Firey e poi dai relitti dell'Isola dei Sogni2: tutti che volevano appropriarsi del suo potere...” Jareth incrociò le braccia al petto, sbuffando, lieto di essere, finalmente, riuscito a chiarire l'importanza di quel dannato anello. Com'era prevedibile, la vide accendersi d'irritazione. Finalmente avrebbe potuto dirle in faccia quanto fosse stupida.
“La discarica?” domandò lei “In quel postaccio ci sono finita per colpa tua!” replicò fredda ricordando cosa le avesse rivelato prima di inoltrarsi nel labirinto, solo poche ore prima.
“No, mia cara...” ribatté lui, pronto allo scontro, apparentemente tranquillo con la solita aria menefreghista. “Tu sei scappata dal ballo...Io stavo portando te al sicuro entro le mura del castello...” prima che potesse elaborare una qualche risposta, lui continuò “...Quando sei finita nella Palude, speravo ci rimanessi per il tempo necessario a far scadere il tempo a tua disposizione. Come davanti ai paradossi irrisolvibili. Invece, no! Hai imparato a usare quel poco di cervello che ti ritrovi, e hai fregato Didymus. Errore mio, lo concedo, non avevo previsto potessi aggirare il vincolo in quel modo. Ma il piccolo scoiattolo non ti sarebbe stato di nessun aiuto, nell'Isola dei Sogni, e nemmeno lo yeti peloso: chiunque sarebbe finito loro prigioniero. Ho costretto Hoggle a darti quella dannatissima pesca perché sapevo che da me non avresti mai accettato nulla...” nemmeno protezione “Quindi ho cercato di trasportarti in tutta sicurezza al castello: le mie sfere sono infrangibili dall'esterno...” Vide Sarah boccheggiare per la sorpresa, per la rabbia...chissà cosa stava pensando in quel momento. Non gli interessava, quindi proseguì imperterrito “Ho spedito Hoggle a recuperarti prima che i Firey ti staccassero la testa, smaniosi del tuo potere e incapaci di controllarsi, a differenza dei Goblin.” sputò con livore, i bei lineamenti tirati ma la posa del corpo sempre flemmatica. Si raddrizzò, quasi a sfidarla ancora una volta “...Dimmi Sarah...non ero stato generoso? Tu, la mia avversaria...cercavo di metterti in salvo quando sarebbe stato tutto a mio vantaggio che tu ti perdessi...paradossale, non trovi?” Si sentiva forse umiliata? Imbarazzata? Semplicemente stupida?
“Io. Non. Ho. Poteri!” fu l'unica cosa che replicò sibilando: avrebbe voluto dirgli, con strafottenza, che lei, Hoggle, l'aveva perdonato perché era stato sincero. Avrebbe anche voluto chiedergli spiegazioni della pesca, del ballo che, quindi, non era stato un sogno...tante domande le affollavano la mente mentre i tasselli del suo puzzle assumevano forme nuove e andavano a incastrarsi in modi e in posti inaspettati.
“Oh, sì, mia cara...tu ne hai, ne hai sempre avuti...Te l'ho già detto...Il re dei Goblin si era innamorato della ragazza...” le ricordò fissandola serio “...e le aveva dato certi poteri...Inoltre...non avrai dimenticato cosa dicesti, quel pomeriggio, al parco...? Fu l'unica volta che lo dicesti in mia presenza....” suggerì freddo. Rabbia, frustrazione, speranza, desiderio gli ballarono negli occhi
“Tu non ci sei mai stato al par... il barbagianni! Tu eri quel barbagianni? Mi seguivi ovunque?” domandò confusa. L'unica volta che aveva intuito la possibilità di un collegamento tra loro era stato al termine della loro sfida, quando l'uccello era volato fuori dalla finestra del pianterreno della sua vecchia casa, ma era stata troppo presa dall'ansia per suo fratello. Da allora il suo fastidio nei confronti di quell'animale era andata crescendo e la sua testa aveva solo ipotizzato un legame col mago, facendo leva sul fatto che il rapace avesse picchiettato alla finestra della camera dei suoi genitori, prima che lui vi facesse irruzione, sotto la pioggia torrenziale, la sera del rapimento del fratello. Jareth taceva, in attesa, e lei abbassò lo sguardo, cercando dentro di sé la risposta che lui le stava chiedendo in quel momento. Era la frase che le sfuggiva sempre! “Non hai alcun....” ma lui alzò la mano per farla tacere e lei tacque, ubbidiente.
“Proprio così...dopo che me l'hai detto in quell'occasione, io non ho potuto più farti nulla. Non direttamente. Potevo solo tentarti. O convincerti con la forza...ricordi il serpente? Gli spazzini? Ho presto capito che la forza non faceva che aumentare la tua determinazione mentre io volevo solo che tu ti arrendessi per rimanere, con Toby, nell'Underground... Cercare di sedurti è stato del tutto inutile...non ricordo nemmeno quanti tentativi...”
“Avevo quindici o sedici anni!” protestò lei, quasi a giustificarsi, intervenendo nel suo monologo
Lui fece un gesto stizzito con la mano e cominciò a camminarle intorno come un avvoltoio, come faceva sempre quando era nervoso, le mani incrociate dietro la schiena “L'unica cosa che potevo fare era cercare di confonderti con le parole e sperare che tu sbagliassi da sola. E poi...non contenta di aver vinto, hai dovuto distruggere tutto, tutto...” disse scuotendo la chioma dorata “...replicando quanto io ti fossi indifferente...” a quelle parole Schroedinger gracchiò, triste e offeso e lui si fermò, guardandola con amarezza “Sì, fu senza cuore...”
“Menti!” sibilò lei
“Te lo ripeto, perché sei dura di comprendonio...Posso averti detto mezze verità. Non ho mai mentito...” Il tono era perentorio e calmo, quasi esausto: l'ultima disperata offerta di chi non viene creduto, ormai rassegnato all'inutile tentativo estremo. “Ma per tornare a noi...ti informo che hai cominciato a essere in pericolo da quando hai dato il tuo braccialetto di insulsa plastica al nano...Inutile ma sempre di amuleto si trattava...Per questo ero così alterato, nei corridoi sotterranei...per non parlare di quando hai gettato il tuo anello al vecchio...ero furibondo: chiunque, da quel momento, sarebbe stato tentato di farti del male... e se tu ora ti spogliassi di quell'anello saresti in grave pericolo perché hai nelle tue mani il potere di entrambi e non sai cosa fartene... per fare un esempio che tu possa comprendere, sarebbe come dare a un bambino, che a stento sa andare sul triciclo, una Ferrari...Quindi...” disse tagliando di netto la loro discussione “Schroedinger ci offre un passaggio. Il presuntuoso dice che Rajeth non potrà dirgli assolutamente nulla, vista la disparità di dimensioni tra noi e lui, né fargli alcunché, vista la sua natura di saltatore...”
Sarah ingoiò la rabbia e la frustrazione ancora una volta: voleva solo tornare in un luogo che fosse riconoscibile. Per litigare avevano tempo “Saltatore?” domandò, vinta dalla curiosità
“Le balene come lui, viaggiano nello spazio e attraverso le dimensioni, rendendo indeterminata la probabilità della loro esistenza”3 spiegò il biondo “Rajeth non ha i mezzi per trovarlo, visto che, loro stessi, hanno problemi a rintracciarsi. Al punto da rischiare l'estinzione...” Vedendo che lei non capiva, precisò “Quelli della sua razza possono rimanere al massimo due giorni nello stesso spazio, altrimenti la probabilità della propria esistenza diventerebbe fissa... Fu proprio questa la causa della loro estinzione: hanno ottenuto il potere di viaggiare ma la probabilità di incontrare i propri simili si è abbassata infinitamente”4
Sarah spostò lo sguardo sul cetaceo. Vi leggeva, ora, una profonda rassegnazione. E riusciva a capire il sibilo accusatorio che aveva emesso durante il resoconto di Jareth: lei (cioè, lui, come l'aveva definita il mago) era praticamente sola al mondo e l'accusava di insensibilità nei loro confronti. Esattamente, pensò mentre una morsa le attanagliava la bocca dello stomaco, come lei aveva fatto in passato nei confronti degli adulti. Ricordò il fervore e la rabbia con cui accusava il mondo di non capire il disagio che le provocavano certi atteggiamenti. Ora, la stessa accusa era rivolta a lei e ancora una volta si sentì colpevole per esser stata tanto cieca quella volta, dieci anni prima.
“Ma...” balbettò nel tentativo di cacciare il disagio che provava difronte ai suoi due taciti accusatori “Come abbiamo fatto, allora, a rintracciarlo noi?”
“Che domanda sciocca...” sbuffò Jareth esasperato “Noi non siamo della sua specie...se lo chiamiamo ci sente...e può decidere se risponderci o meno...”
“Ma io non sapevo chi stessi chiamando...” protestò la mora lasciando che il tentacolo bianco le scivolasse sulle spalle, amorevole.
“Ma Shrody è un esemplare particolarmente curioso...molto sensibile al fascino che l'essere umano rappresenta. Avvertirne la presenza in una dimensione normalmente inusuale costituisce una potente attrattiva. Ora, mia preziosa...vogliamo andare o hai bisogno di altre spiegazioni?” chiese Jareth con un ghigno canzonatorio.



Go down go down
to the Queen of Chinatown
she'll pick you up when you're feeling down
Go down go down
to the Queen of Chinatown
and she'll soon blow your blues away5

[Va giù, va giù/ dalla regina di Chinatown/ lei ti rimetterà in sesto quando sarai giù/ Va giù, va giù/ dalla regina di Chinatown/ e subito lei soffierà via ogni tua tristezza]


Cuffie nelle orecchie, Toby scendeva veloce la stretta scalinata tortuosa, scavata nella pietra scura, che si era srotolata sotto i suoi piedi, al di là della botola. Sembrava una discesa infinita dato che, ormai, Iutrepi gli aveva proposto già tre canzoni diverse. E cominciava anche a fare freschino. Saltellando sui gradini a ritmo di musica, si slacciò la giacca, se la infilò nuovamente e cacciò le mani in tasca. Trovò il suo portafortuna e cominciò a giochicchiarci in un tic nervoso che aveva da...non ricordava nemmeno quando aveva cominciato a manipolare a quel modo l'oggetto per calmarsi. Non aveva null'altro con sé e cominciava a sentire un po' di fame. Forse era quasi ora dello spuntino. Per una volta avrebbe saltato: mica sarebbe morto. Inoltre, prima si sarebbe allontanato dalla sua prigione, prima avrebbe potuto pensare lucidamente al cibo. Volse lo sguardo dietro di sé, per fare un calcolo approssimativo di quanto fosse sceso in profondità e notò che, alle sue spalle non c'era alcun gradino. Sembravano essersi dissolti nel nulla. Anzi, sembrava che una parete divisoria fosse calata a tagliargli la via d'andata. Tornò a guardare il muro della scala a chiocciola davanti a sé e notò che era sparito. Era sicuro di essere entro cinte murarie eppure... ora vedeva solo una strana distesa boscosa sfiorargli la punta delle scarpe da ginnastica. Le sagome leggere si stagliavano nere contro il cielo purpureo.
Mentre raggiungeva il suolo, si accorse della presenza, tra le fronde, di tante piccole lanterne rosse, simili a tanti ciclamini carminio, che prima sicuramente non c'erano. Si avvicinò a una di esse e la guardò dal basso all'alto con curiosità: quelle luci gli ricordavano le insegne dei ristoranti etnici dove, qualche volta, era andato con sua sorella. “Ma d'altronde, la canzone me l'aveva detto...” pensò, dandosi dello stupido. Spense il lettore e se lo infilò nella tasca interna della giacca, per evitare che il freddo gli consumasse inutilmente la batteria. Quando alzò nuovamente lo sguardo, pensò di essere soggetto ad allucinazioni acustiche, dato che continuava a sentire musica. Anche se di tipo diverso. Tese l'orecchio e si accorse che il tintinnio ritmico a cinque tempi che sentiva non era altro che la corsa leggera, sincronica, di un piccolo drappello di strane creature: sembravano grovigli di altre già esistenti riassemblate assieme secondo un gusto raffinato e delicato che dava continuità e unità all'insieme. Il dottor Frankenstein, al confronto era un dilettante. La memoria gli suggerì un nome, visto tra i testi scolastici: Chimera. Ma non era proprio come le aveva sempre immaginate. I graziosi musini da serpentello6 erano coronati da una peluria lanuginosa, appuntita e spettinata come tante antenne, che digradava sui corpi bianchi come il latte fino alle lunghe code da lucertola che frustavano l'aria. Le zampe, lunghe ed esili terminavano con zoccoli dorati, avvolti da morbide fiammelle rossicce7.
Dietro di loro, una piccola portantina, un piccolo scrigno impreziosito da fitti decori fitomorfi, avanzava fluttuando nell'aria, priva di conducente o di sostegno.
Toby osservò incantato il piccolo drappello sfilargli sotto il naso e quasi non si accorse che la cabina si era fermata, senza produrre alcun rumore, davanti a lui.


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccoci arrivati in fondo.
Chiedo ancora scusa per la questione delle note...
E chiedo scusa anche per il ritardo con cui aggiorno...sono presa dai progetti finali e ho perso la concezione del tempo, non avendo più lezioni che mi scandiscano la settimana... pietà!
Che dire? spero si sia capito il discorso dei poteri magici di Sarah e anche del barbagianni...sì, ok, noi lo sappiamo che barbagianni=Jareth. Però per la piccola adolescente (anche un pò di coccio) che lo vede na volta sola in vita sua, ci sta che non abbia veramente colto il collegamento. Anche perché, ripeto, il pennuto compare solo in 3 occasioni: al parco, alla finestra, a labirinto risolto e, lei non lo vede,  a fine film. Ora...dubito seriamente che chicchessia tenga conto di tutti i dettagli che possono essersi ripetuti prima dopo o durante un dato evento e li colleghi per forza... figuriamoci in un evento come quello che fu l'avventura nell'Undergroung che di carne al fuoco ne mise molta...per il tempo che le era concesso...Voglio dire...interroghiamoci pure sul perchè gli orologi cambiassero ogni volta che comparissero in scena...lì per lì io non ci avevo fatto caso...).
Vabbè...forse sono l'unica... ma non credo sia così strano...
Per ora non ho altro da aggiungere.
Spero vi sia piaciuto anche questo
e a presto!







1     Schrody front Schrody back
2    Riprendo, pari pari la nota del cap. 5 di Il labirinto visto dal castello “E' chiamata Isola dei sogni la discarica pubblica di Tokyo, costituita solo di rifiuti.”
3    Quest'ultimo dialogo, come l'immagine della precedente nota, è presa pari pari dal 18° volume di Oh, mia Dea! di Hosuke Fujishima (pag.93). Volevo avvalermi di uno dei paradossi logici che non fosse, ancora, quello del mentitore (usato per le due porte del film). Stavo ragionando su come cercare di manipolare alcuni di essi per inserirli in una fic, quando mi sono ricordata che già in questo manga (a sfondo scientifico, in cui si fa largo uso di mitologia norrena) si parlava proprio del Paradosso del gatto di Schrödinger. Il concetto, ostico (almeno per me che non vado oltre alle equazioni matematiche di X che può essere sia un numero che un altro) era già stato elaborato e reso più accessibile. Ho deciso, quindi, di usare il loro gatto, rivisitato in balena, come personaggio e anche la situazione: lo spazio infinito in cui si muove questa balena e la natura dei suoi spostamenti. Inoltre, l'idea di usare un cetaceo era un vecchio pallino che mi è sempre rimasto da quando vidi Il mistero della pietra azzurra (Fushigi no Umi no Nadia) dove una balena bianca Ilion, che comunica in modo telepatico con la protagonista, è l’ultimo esemplare (di ventimila anni di età) rimasto in vita delle balene che gli antichi Atlantidi sfruttarono in numerosi esperimenti, atti a creare la razza perfetta da schiavizzare
4    Stesso volume, pag. 137-138
5    Amanda Lear, I'm a Photograph, 6. Queen of China-Town
6    Dato che non tutti i serpenti sono brutti e dall'aspetto aggressivo, il tipo che intendo io è questo
7    In realtà ho fatto un po' un miscuglio di speci: la chimera classica, uccisa da Bellerofonte, aveva corpo di capra, testa di leone e coda di serpente/drago. In Cina c'è la variante Long Ma (il leone drago) spesso accomunato al Bixie o al Qilin (il nipponico Kirin, il drago cavallo): sono tutte creature ibride e spesso si confondono tra loro. Quest'ultimo, cmq, tornerà più avanti (piccolo spoiler) quando si parlerà di unicorni, dato che il Kirin è considerato tale.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Scelte ***


24. Scelte





Il viaggio in groppa a Schrodinger fu relativamente breve. Viaggiarono stretti e protetti nei suoi tentacoli a una velocità folle: senza alcun punto di riferimento visivo, la percezione era data dalla violenza con cui sventolavano i loro capelli e dal fatto che, per riuscire a respirare, fossero addirittura costretti a dare le spalle alla loro meta.
La balena, spiegò Jareth, viaggiava oltre la barriera del suono. Quell'informazione dette una spiegazione al boato che aveva sentito Sarah dopo averlo convocato.
Il loro viaggio si interruppe tanto di colpo quanto lo era stata la partenza.
Davanti a loro, nel bianco infinito, si ergeva maestosa la facciata di una cattedrale gotica.
Scivolarono ad altezza dell'ipotetico terreno su cui sorgeva la facciata e Sarah si affrettò a girare l'angolo dell'edificio. Avvicinandosi aveva notato come non comparissero altri lati dell'oggetto, che presupponeva tridimensionale. Aveva, quindi, pensato si trattasse di un cartellone di tipo pubblicitario. Invece, girandovi attorno l'aveva visto scomparire sotto i suoi occhi, come se fosse un foglio di carta trasparente. Una volta al di là, voltandosi, vedeva solo Jareth, Marking e Schrody ma non l'edificio.
“L'entrata è qui!” sbuffò Jareth, mani ai fianchi. “Siamo in una non-dimensione in cui solo loro possono arrivare. Al di là di quella soglia c'è una dimensione a noi molto più familiare, in cui possiamo muoverci liberamente e usare anche la magia, in caso ne fossimo provvisti...”
Sarah ritornò sui suoi passi mentre Jareth si accomiatava dalla balena. Attese in disparte per lasciare un po' di privacy ai due amici. Marking le si sedette accanto con aria solenne.
In breve tempo, Jareth la raggiunse. Le prese la mano con una delicatezza inusuale tanto da farle pensare che Shrody l'avesse strigliato per i suoi modi maleducati. Quasi l'avesse interpellata, la balena cantò brevemente, in modo che anche lei potesse udirla. Quando lei sollevò gli occhi incuriosita, si impennò e scomparve nel bianco, lasciando dietro di sé solo una folata di vento.
“Vogliamo procedere?” chiese Jareth, girandole attorno e costringendola a fare altrettanto.
Davanti a loro il pesante portone scuro intarsiato. Dietro, il nulla. Non avevano altra scelta che procedere.


Un'infinità di piccole schegge nere e taglienti si dipanavano sul pavimento bianco in un ventaglio di striature, come sabbia smossa da una corsa, laddove il cristallo era andato in frantumi.
Rajeth era furibondo, assolutamente fuori di sé. Nel giro di pochi minuti, in cui si era distratto, aveva perso di vista sia suo fratello e la sua accompagnatrice sia il suo piccolo erede, la sua chiave al trono. E quello che più lo infastidiva era che non si trovavano da nessuna parte. Dove diavolo potevano essersi cacciati gli uni e l'altro?
Il moro si aggirava per la sala principale, rimasta vuota a causa del suo palpabile nervosismo, imprecando, ora strappando tendaggi ora lanciando a terra pesanti soprammobili.
A terra, intanto, le schegge cominciarono, lentamente, a gonfiarsi e a rimpicciolirsi, fino a diventare piccole sfere di diverse dimensioni1. Come argento vivo, rotolarono su loro stesse fino ad ammucchiarsi nel punto di impatto, cominciarono ad amalgamarsi tra loro. In pochi minuti una sfera nera giaceva immobile nel pavimento immacolato.
Quando il sovrano ebbe sbollito un po' la propria rabbia, tornò sui propri passi e recuperò la sfera direttamente da terra. Un gesto molto umano, constatò con sarcasmo: Jareth se la sarebbe fatta volare in mano. Jareth era un mago molto potente. Tra i più potenti che avesse mai incontrato, a dire il vero. Ma tutto sommato, e paradossalmente, era debole. Perfetto nella tecnica, nella strategia e nella pianificazione era invece un disastro dal punto di vista emozionale: si lasciava ancora sopraffare dalle proprie emozioni, dall'irritazione, dalla gelosia, da quella bontà che cercava di nascondere con ogni mezzo, per essere all'altezza del suo titolo... Se si fosse saputo che non era poi così cattivo, il suo ruolo e la sua autorità sarebbero state messi in discussione: il potente e malvagio Re di Goblin era in realtà una mammoletta. Da quel punto di vista, manipolarlo, far ricadere su di lui ogni colpa, assecondare la maledizione che gravava su di loro, era sempre stato un vero spasso. Da quand'è che la cosa non gli bastava più? Si domandò, osservando la propria immagine riflessa e distorta nella sfera. Era liscia, perfetta: come suo fratello. Ma era nera come la pece in cui un candido uccello bianco non può far altro che dimenarsi convulsamente, cercando inutilmente di liberarsi. Acqua contaminata dall'olio nero che dipinge sulla sua superficie vergine, con tratto veloce e sicuro, i suoi capricci. Striature di catrame che ondeggiano come capelli al vento.
Sarah...
Il pensiero della ragazza gli fece affondare la presa sull'oggetto che subito si deformò e cristallizzò in un poliedro irregolare. Era brutto, asimmetrico, tagliente...come lui. Subito, però, il cipiglio irritato si distese. Ciò che vedeva riflesso, oltre la propria silhouette erano le sue prede. “Ecco dove erano finiti...” ghignò.


L'interno della cattedrale era, in realtà, un'immensa biblioteca, stracolma di volumi di ogni tipo2. Il sogno di qualunque lettore. E, ovviamente, anche di Sarah. I tomi erano disposti ordinatamente su lunghi scaffali che si inseguivano a scacchiera, dando l'illusione di file infinite che venivano inghiottite dal buio in cui si diramavano. Per terra, notò uno strano segno in cui tutti e tre trovavano la propria collocazione: lei e Jareth erano, ciascuno, all'interno di una goccia, una parte di un otto o di un infinito. Quel simbolo continuava a comparire ovunque nel regno. Ma essendo nell'Underground, nella terra della magia e del paradosso, si disse che forse era naturale trovarvi la rappresentazione bidimensionale del nastro di Moebius. Marking, invece, stava seduto composto su una croce. O un più. Erano a più infinito? Di cosa? Lei e la matematica non erano mai andate molto d'accordo ma ora le sfuggiva completamente il senso di quel glifo inciso nella pietra.
Jareth sbuffò impaziente, notando lo sconcerto della ragazza accanto a sé. “Sarà meglio affrettarci” disse cominciando ad avanzare e sentendola subito irrigidirsi. Si volse a guardare cosa potesse averne attirato l'attenzione.
Alla loro destra era comparso un piccolo desco, caricato in modo spropositato di volumi, incartamenti, fascicoli, timbri, penne d'oca, calamai... Una debole luce e un borbottio sommesso filtrava da quella montagna di roba e la sommità, di quella che doveva essere la testa del bibliotecario, ondeggiava freneticamente da un capo all'altro dello spazio angusto.
Sarah avanzò di un passo, vinta dalla curiosità, per osservare l'addetto alla custodia e catalogazione di tutti quei volumi. La stretta ferrea di Jareth si fece più salda e quasi le sembrò che la strattonasse. Ma non vi badò e si sporse a curiosare.
Quello che si affaccendava su mille carte, illuminate da una candela rovesciata, era uno strano topo pelato col muso che terminava in una sorta di becco rigido e sulle cui narici erano sormontati delle pince-nez.
“Andiamo via...” disse il mago, quasi pregandola “Prima che si accorga di noi...” aggiunse quando lei si volse a guardarlo.
Non avevano molto tempo. Non per se stessa. Di quello le importava relativamente poco. Ma Toby! Non aveva permesso una volta che rimanesse a Goblin City, non l'avrebbe certo fatto ora che non aveva nulla da perdere se non lui.
Quindi annuì e, silenziosa, seguì la sua guida a passo svelto. I libri scorrevano veloci al loro fianco. Con rammarico Sarah lasciò che la curiosità per i titoli incisi sulle costine scivolasse via con loro, in quel flusso vertiginoso.
“Quando saremo fuori da qui, sarò io a raccontarti una storia...” sghignazzò Jareth dopo un po' per tirarle su il morale. La vedeva intristirsi man mano che procedevano per l'impossibilità di fermarsi anche solo a vedere cosa contenesse quella vasta biblioteca. Erano, ormai, ben lontani dal bibliotecario. “Come compensa per avermi aiutato a riavere ciò che è mio...” cominciò lui rallentando “Ti darò la possibilità di assorbire, se lo vorrai, tutta la conoscenza di questi libri.” Così dicendo si fermò: erano all'interno di un tracciato perfettamente circolare.
Neanche il tempo di batter ciglio e si ritrovarono, nuovamente, nel labirinto.
Più precisamente in una piazzetta in cui confluivano diverse strade. In lontananza si intravedeva il castello. Ora che lo osservava meglio, Sarah notò che sembrava leggermente diverso: più chiaro, dalla linea più morbida e sinuosa... Che fosse cambiato anche quello, insieme al labirinto stesso?
“Come abbiamo fatto a tornare?” domandò distrattamente
Jareth levò gli occhi al cielo. Quella stupida non avrebbe mai capito nulla di logica “Perché è vero che quella biblioteca è in continua espansione ed è infinita...ma ha avuto un'origine. Più precisamente con l'elaborazione...diciamo grafica... che gli uomini hanno prodotto nel corso dei millenni...” Sarah allora capì perché l'origine, il punto di fuga avesse quel tondo inciso a terra: era il punto zero, da cui tutto aveva avuto origine. E il bibliotecario doveva restare all'estremità, infinita, perennemente in espansione, per catalogare ogni nuovo tomo. Jareth si mosse e lei lo seguì frastornata: riusciva a orientarsi nonostante non sapessero dove fossero finiti?
“E non sei curiosa di sapere perché ti ho trascinata via dalla biblioteca? Oltre alla mancanza di tempo?” domandò il biondo con tono orgoglioso, quasi la volesse impressionare: sapeva che lei pendeva dalle sue labbra e questo gli dava una sensazione di potenza e superiorità. Sarah lo guardò perplessa e curiosa, quindi lui proseguì “C'era una volta il responsabile di una grande biblioteca, così grande che il numero dei volumi al suo interno tendeva all'infinito. A costui venne affidato il compito di compilare i cataloghi della stessa, che sarebbero stati, a loro volta, infiniti. Egli, cominciò quindi una prima catalogazione per titoli. Successivamente si prodigò in quella per autori. Poi si cimentò in quella per argomenti, per continuare stilandone di ogni tipo, a partire dal numero di pagine, ai materiali e così via. Visto che i cataloghi si moltiplicavano, egli provvide a redigere il catalogo di tutti i cataloghi. Nel cominciare a fare ciò, gli venne un dubbio, tutt'ora irrisolto... La maggior parte dei cataloghi, infatti, non riportavano sé stessi. Per eccesso di zelo, lo scrupoloso bibliotecario decise, a quel punto, di imbarcarsi nel catalogo di tutti cataloghi che non includono sé stessi.” Recitò con fare teatrale. Quando riprese a parlare era divertito “ Ora, però, chiede aiuto a chiunque entri nella sua biblioteca, facendolo diventare matto.”Sarah si era persa a metà strada di tutto il discorso. Aveva capito solo che in quel luogo era conservato, più o meno, tutto lo scibile umano, magico o meno che fosse. E invidiava profondamente chiunque avesse libero accesso a tutto quel sapere.
Jareth sorrise, freddo e cinico “Dimmi Sarah...se avesse chiesto aiuto a te, cos'avresti risposto?”
“Non so neanche la domanda!” protestò
“Quel nuovo catalogo...Avrebbe dovuto contenere se stesso?”
“Io...così, su due piedi..non saprei...sì e no...”
“Appunto...” rispose lui rizzandosi di colpo e fissando lo sguardo all'orizzonte “Così saremmo rimasti intrappolati in un paradosso. Da cui non sarebbe stato possibile uscire. A meno di non finire ancora nei dimenticatoi...E lì, morire tragicamente assieme...” aggiunse con enfasi drammatica che non gli apparteneva. La stava prendendo in giro? Forse no, a giudicare da quello che disse in seguito. “Perché mio fratello non è certo generoso quanto il sottoscritto...non avrebbe mandato nessuno a prenderci...anzi...” si fermò nuovamente, fissandola negli occhi “Forse tu ti saresti salvata comunque...”
Sarah avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse dire con quelle parole ma qualcosa nel suo sguardo che scattò oltre la sua spalla, allarmato, la fece desistere.


Dalla graziosa portantina, da cui proveniva un aroma speziato e dolce, era emersa una figurina minuta, addobbata di drappi lucenti che riassumevano tutti i toni del blu, e si era chinata alla sua altezza. Toby non riusciva a capire se si trattasse di un uomo o di una donna ma notò che aveva lunghe unghie dorate. Una frangia lunghissima e scintillante, che quasi gli copriva la bocca, impedendone l'identificazione, era divisa in tante ciocche decorate da quelle che sembravano perle di lago. Ai lati della testa, due semplici fermagli neri ovoidali. Nell'insieme poteva sembrare una riproduzione ridimensionata del copricapo degli imperatori cinesi della dinastia Han come anche un copricapo formato da un polpo, i cui tentacoli avessero avuto le ventose bianche.
“Ti sei perso, ragazzino?” domandò con voce piana e neutra
Non parlare con gli sconosciuti...” recitava, martellante, la voce della sorella nella propria mente. Toby scosse solo la testa. Si sentiva come incatenato sul posto da una forza invisibile.
La creatura inclinò la testa di lato e mosse la mano, vuota, come a offrirgli qualcosa “Posso fare qualcosa per te?”
Toby scosse nuovamente la testa.
Il suo interlocutore si raddrizzò elegantemente e incrociò le braccia al petto “Bene, Toby...” nella voce c'era una nota divertita “Pensi di riuscire a raggiungere, da solo, tua sorella? La Campionessa?” sottolineò, quasi a rimarcare la differenza che intercorreva tra loro.
“E tu come...?” stava per domandare quando si tappò la bocca. Chi è che aveva davanti a sé?
“Mio caro...io sono solo uno Ierofante 3...diciamo uno dei controllori dell'Underground: controllo che nessuno infranga le leggi. Non hai nulla da temere da me. Quanto a tua sorella...chi non la conosce? Lei e il suo coraggio dimostrato nell'affrontare il labirinto un anno fa, solo per salvare te dalle grinfie di Re Jareth... Oh sì...perché lei affrontò lui e le insidie che lui aveva posto sul suo cammino. Lei si batté coraggiosamente per riportarti nell'Aboveground. E' così che noi, creature fatate, ultraterrene, aliene, chiamiamo il mondo umano.” Lo informò con un sorriso carico di affetto. “Quale strana idea ti eri fatto di lei...” disse ridendo. E non era una domanda.
Toby si sentì avvampare: aveva effettivamente dubitato della sorella, ma...
“Oh, certo... ha avuto il suo momento di debolezza...” lo Ierofante sembrò leggergli nella mente “...Ma ha rimediato all'errore, mi pare. Ti ha sempre trattato con dolcezza...o sbaglio? D'altronde... sai anche quanto possa esserle pesata la situazione in cui venne a formulare quel desiderio scellerato. Ma...detto ciò, ancora non vuoi aiuto nel ritrovarla?”
Nulla è ciò che sembra, gli ripeteva sempre Sarah. Lei non era stata la sorella senza macchia che aveva sempre creduto. Jareth non era un buon amico di sua sorella e tanto meno era una persona buona e cristallina. Rajeth non era il suo salvatore. E lo Ierofante poteva non essere quello che diceva di essere. Non sapeva neppure cosa potesse essere... e quindi, magari, un essere terribilmente forte o violento o....
Come doveva comportarsi?
“Vuoi che ti porti da lei?” propose ancora la creatura, chinandosi ancora su di lui, sinuosa.
Non accettare passaggi dagli sconosciuti! Gli urlò la voce di sua sorella. Ma il buon senso gli disse anche di cercare di mediare l'irruenza che gli bombardava la testa.
“Preferirei...provarci da solo...voglio essere alla sua altezza...” disse con voce incerta. Dovette suonare, comunque, abbastanza convincente perché lo Ierofante si raddrizzò di scatto e abbassò la mano artigliata che gli tendeva.
“Ottimo...” sorrise compiaciuto “Degno del gradito al nostro signore...” notando la faccia perplessa di Toby, anche la creatura si incupì “Non... lo sai?”
“C'è qualcos'altro che dovrei sapere?” Domandò il bambino, incuriosito.
Lo ierofante tornò a sedersi nel suo trasportino, le lunghe gambe nude ancora protese all'esterno. Poggiò tutto il peso sulle braccia bianche, coperte da bracciali, tese dietro la schiena. Prima di rispondergli, sembrò soppesare le parole “Tu sei... il pomo della discordia... l'ago della bilancia...”
“Chi mi ha dalla sua parte, vince?” domandò sempre più confuso “Che valore posso mai avere io?”
“Oh, ne hai, credimi...ma...no... tu... sulle tue spalle grava una pesante responsabilità. E nemmeno io sono autorizzato a interferire con essa. Posso dirti solo questo. Tutto dipende da te. Dalle scelte che farai. C'è gente che in questo momento sta affrontando i propri demoni per te. Chi per portarti in salvo ancora una volta, chi per averti al proprio fianco, chi per distruggerti... Perché è in te, e anche in tua sorella, che si trova la chiave per cambiare una situazione...oserei dire..atavica...”
“Che vuoi dire?” chiese il ragazzino più confuso di prima vedendo che quello si ritraeva all'interno dello scrigno
“Niente di più di quello che ho detto...Sta a te trovare gli elementi per operare una scelta corretta, mio giovane amico.” rispose sorridendo ieratico “Ovviamente, ogni scelta è corretta solo per chi la opera. Ferirai sempre qualcuno. Ed è plausibile che, per fare ciò che ritieni giusto, tu ferisca qualcuno a cui vuoi bene. Devi essere tu a decidere cosa, tra due, vale di più. Tienilo bene a mente. E fino ad allora, esplora questo mondo, fatti una tua idea e non berti quella confezionata per te da qualcun altro. Sii sempre scettico e curioso. E se non dovessi avere tempo a sufficienza, ragiona. Sei un ragazzino in gamba...” Così dicendo, la porta dello scrigno si chiuse.
“Dimenticavo...” disse la voce dello Ierofante mentre il trasportino cominciava a muoversi. “Mi chiamo Thu Lhu e se dovessi mai avere bisogno di me, in futuro, mi puoi trovare a Ryeh, la città infondo al mare, dove si trova il gran consiglio che monitora tutti i regni magici”4
Così come era apparso, il piccolo corteo sparì. Quasi l'alito di vento, che seguì quelle parole, avesse spento le fiammelle delle chimere e avesse fatto sparire, con loro, tutta l'esperienza appena vissuta lasciandogli il retrogusto tipico dei sogni.







1    Essendo il volume rimasto invariato, la sfera di una scheggia lunga e stretta non sarà certo grande come il lato più lungo ma sarà una sorta di media tra le varie dimensioni e quindi, il lato più lungo sarà quello la cui variazione risulterà più evidente.

2    Liberamente ispirato, come luogo, a Indiana Jones e l'ultima crociata.

3    Ierofante è un termine che designa la grande autorità e il grande prestigio di cui gode una determinata figura, che possono esercitare una certa influenza (Sacerdote, politico etc)

4    Cthulhu è una creatura cosmica creata dalla fantasia dello scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft. Ho riusato la città di R'lyeh, costruita al loro arrivo sulla terra e nella quale fu imprigionato quando le stelle furono allineate correttamente. Città che poi affondò nell'oceano in cui rimane tutt'ora in attesa, sognando. E attraverso il sonno contatterebbe gli umani. Inoltre, si narra che gli ierofanti del culto vivano sperduti tra certe montagne della Cina, dove tramano ai danni dell'umanità.
Dunque, utilizzando questa "creatura" (per chi avesse saputo della sua natura) volevo mettere la pulce nell'orecchio in modo moooolto blando (se viene bene, sennò è lo stesso) del fatto che tutta questa vicenda-dialogo non sia stata solo un sogno.



- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Eccoci qua.
Spero non sia stato troppo noioso (per me lo è stato) e che si sia capito abbastanza bene ogni passaggio.
Per il paradosso di cui stava per cadere vittima Sarah, si tratta del paradosso del bibliotecario. Volevo usare un altro paradosso come nel Film. Ma sono tutti così logici da essere solo matematici. Questo è uno dei pochi che si può sfruttare per avere spunti.
:) vi lascio con una bella notizia. In teoria il racconto termina al capitolo 34. Lo devo ancora scrivere ma non è che mi siano rimaste molte cose da dire, ormai...quindi... :)
preparatevi. E se vi sembra che qualcosa non quadri, non temete. Fa tutto parte di un piano più grande che troverà risposta solo alla fine XD
muahahahah mi sento molto cattiva.
A presto!


Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Movimenti ***


25. Movimenti




Sarah avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse dire con quelle parole ma qualcosa nel suo sguardo la fece desistere.
Forse tu ti saresti salvata comunque...
Perché Rajeth avrebbe dovuto risparmiarla se non l'avesse fatto col fratello? Quale passaggio le sfuggiva?
Di colpo Jareth si fermò e ciò la riportò al presente: davanti a loro, il percorso sembrava scivolare in una pozzanghera fangosa e non sembrava esserci alcun modo di poter procedere oltre.
“E' inutile” le disse avanzando di un passo. Lei non capì la sua affermazione finché non si volse a guardare il percorso da cui erano arrivati. Un muro bloccava la strada come le era già capitato dieci anni prima con il vicolo cieco del paradosso delle doppie porte. Tanto per vivacizzare un attimo l'ambiente, dall'alto piovevano rampicanti simili all'edera canadese. Le foglie vermiglie, appena spruzzate di verde, le davano la strana sensazione di essere velenose. Oltre a un'inspiegabile angoscia per una loro probabile e inusuale motilità, quasi fossero stati tentacoli di un calamaro gigante. Se ne allontanò, seguendo l'esempio del biondo.
“Non dicevi di conoscere questo posto come le tue tasche?”
“Il percorso è giusto...” puntualizzò subito lui, seccato per quella mancanza di fiducia “E' stato solo disseminato di questi...trabocchetti...”
“E come mai è così cambiato?”
“Questo è il labirinto di Rajeth. Io ne ho visto la pianta prima di venire sbattuto nel tuo mondo. Ho subito capito quale fosse l'unica via per arrivare al castello...Ma non sapevo ci fossero anche queste...cose!” precisò scandalizzato, come se nel suo, di labirinto, trappole e trabocchetti non fossero mai esistiti “A meno che... non le abbia aggiunte successivamente...” borbottò tra sé, valutando quell'idea per niente improbabile
“Ma scusa...tu hai detto...sì, insomma...non dovrei essere io la... regina? E, quindi, il labirinto non dovrebbe rispondere a me?”
“Tecnicamente...ma, a parte che non sai e non vuoi sapere come gestire il tuo potere, ora sei nuovamente una concorrente. E Rajeth il regnante. Quindi comanda lui.”
“Ma se non vuole che vinciamo, perché non ci attacca direttamente? Ho capito che le mie parole avevano avuto, come effetto collaterale, la tua impotenza nei miei confronti. Ma... io non ho mai incontrato Rajeth prima di entrare in questo labirinto...”
Jareth sorrise della sua ingenuità “Mia cara, Rajeth non può farti nulla, come non potevo io. Anche se per un motivo ben diverso. Tu resti comunque la campionessa. Quanto a me, resto comunque il sovrano in carica. Lui è solo il mio sostituto. Sarebbe impensabile che il secondo possa nuocere al primo così facilmente. L'Underground sprofonderebbe nel caos. Bisogna preservare ciò che c'è di giusto. Se vuole, deve sporcarsi le mani...letteralmente”
A quelle parole, Sarah rabbrividì. Il biondo era stato fin troppo esplicito pur non pronunciando nulla di sconvolgente: Rajeth avrebbe dovuto ucciderli “Quindi...tutte queste trappole...?” domandò confusa
“Sono state create al fine di indurci a ritirarci dalla corsa al trono. O ad autoeliminarci dal gioco. Pensa cosa sarebbe successo se non fossimo riusciti ad andarcene per tempo da quella specie di scatola in cui ci siamo trovati rinchiusi? O se fossimo rimasti intrappolati nei nostri sogni, all'interno dello specchio?” Jareth parlò, tenendo sempre lo sguardo fisso sul mare di sabbia e fango davanti a sé.
“Quando tutto questo sarà finito, ricordati che a me non frega niente di portarti via il posto. Quindi spero mi userai la cortesia di non aggredirmi inutilmente...”
Jareth, a quelle parole, sorrise malizioso, riportando lo sguardo sulla sua accompagnatrice “E se volessi aggredirti per altri motivi?”
Sarah impallidì, tentata da una fuga che le era preclusa. Abbassò lo sguardo, imbarazzata. Quindi lo riportò, con ostentato coraggio sugli occhi spaiati di lui “Preferirei evitassi...”
Soddisfatto di quella non-risposta, Jareth sorrise e annuì, stingendole la mano nella sua “Sta bene...” disse, focalizzando nuovamente l'attenzione davanti a sé


Il sole danzava allegro tra il fogliame verde degli alberi. I fiori bianchi sembravano soffice manna divina caduta dal cielo ma, se il clima fosse stato leggermente più fresco, si sarebbe potuto pensare a della neve fuori stagione. Ai piedi degli stessi, una fittissima erba dalle foglie minuscole, ricopriva le radici come la brina primaverile. Qua e là, le impronte di una mezzaluna interrompevano la perfezione del prato.
Un leggero frusciare destò l'attenzione del guardiano preposto alla sorveglianza. Tese le orecchie, in ascolto. Il fruscio, costante e ininterrotto, proveniva dai rami di uno degli alberi appena oltre il confine.
Aguzzò la vista e subito si rilassò “Maestà! Mi avete spaventato...” proruppe quello a metà tra la predica e il compiacimento
“Bellfast, mio caro..chi credevi potesse essere?” sibilò la voce del sovrano, nascosto dal mare di petali bianchi
“Lei e suo fratello avete la cattiva abitudine di venire a rubare i frutti delle fate...sia chiaro che non chiudiamo un occhio con tutti...”
“Lo so lo so, non ti preoccupare mio fidato... Ora...se ti levi di lì...io scenderei anche a terra...” puntualizzò seccato Rajeth dall'alto della chioma bianca.
“Oh...perdonate...” disse Bellfast tirandosi indietro e chinando il capo, remissivo.
Il fruscio delle foglie divenne un brusio e Rajeth atterrò come piovuto dal cielo nella piccola radura tra una pianta e l'altra. In una mano, distesa lungo il fianco, stringeva una specie di sciarpa bianca e opalescente, nell'altra un frutto succoso.
“Ma...Maestà...” sbiancò il guardiano, risollevando lo sguardo velato da una bianca criniera “...Quel frutto non è adatto a ...”
“Che c'è? Vuoi dire a me cosa posso o non posso fare?” domandò gelido Rajeth
“No, certo che no...solo..mi preoccupo per Lei...” rispose Bellfast abbassando lo sguardo e piegandosi su se stesso
Rajeth soppesò le sue parole “Certo...” borbottò infine “Come se non sapessi che tutti preferite e adorate quel... quel... mio fratello!” concluse senza aver trovato un epiteto adatto all'ex sovrano.
“Maestà...” sorrise debolmente l'altro in un moto di compassione verso quel giovane uomo che si sentiva detestato da tutti “...tutto ciò non è affatto vero...”
“Bellfast....non contraddirmi...” ribatté il moro con un'occhiata inceneritrice. Quello tacque solo per evitare altri dibattiti inutili. Rajeth sapeva essere più cocciuto e cieco del fratello. “Dunque...” disse cominciando a camminare su e giù per quel prato così ben curato “...Tu ubbidiresti a qualunque mio ordine...vero?”
“Ma certo, Maestà...” rispose quello senza la minima esitazione
“Anche se ti venisse richiesto di contribuire alla morte di uno o più concorrenti?” domandò freddo, tagliente e crudele, studiandone attentamente le reazioni. “Chiunque sia il concorrente?”
“Certo, Maestà!” disse senza batter ciglio “Ognuno è artefice del proprio destino. Qualunque mia azione potrebbe portare alla morte di chiunque. Tutti siamo assassini, indirettamente, come tutti siamo salvatori. La colpa sta nell'intenzionalità del gesto. Se dovessi soppesare ogni mia azione finirei per non muovermi più, nel timore che il minimo gesto porti conseguenze dannose ad altri. E forse anche la stessa immobilità sarebbe, essa stessa, dannosa...”
Rajeth annuì compiaciuto: era proprio una risposta degna di Bellfast. Fece roteare in aria il frutto maturo. Sarebbero caduti ai loro piedi nel modo più semplice...proprio come quel frutto.


A uno sguardo ravvicinato, si poteva scoprire come il fango che bloccava la strada non fosse altro che sabbia. Per la precisione, sabbia liquida.
“Sabbie mobili?” domandò Sarah sbigottita e perplessa. Com'era possibile che ci fosse qualcosa di simile laddove tutto era piastrellato? Sentì Jareth, al suo fianco, irrigidirsi. Probabilmente conosceva quel tipo di trappola “Dai, su...tranquillo..possiamo guadare lo stesso...non è come nei film...” disse sorridendogli come se avesse avuto davanti Toby, spaventato. “Guarda...c'è pure una corda...”
Jareth si morse le labbra “Va avanti tu...” le disse lasciando la presa della sua mano.
“Non ti fidi?” domandò scettica e offesa. “E non sei stato tu a dire che dovevamo avanzare assieme?” disse riprendendogli la mano e cominciando a tirare.
Alle sue spalle, dal muro oltre le sabbie mobili, si alzò la risata cristallina di tre donne. Sarah si voltò immediatamente. Dalle piastrelle erano emerse le figure stilizzate di tre gufi1.
Come ogni volta, la ragazza era più che certa non ci fosse nessun disegno o incisione simile. L'Underground continuava a cambiare incessantemente, come un organismo.
Le tre figure si staccarono dal muro e avanzarono, aleggiando sul mare fangoso. Giunte abbastanza vicine ai tre, reclinarono il capo, mostrando, sotto il becco del rapace, occhi grandi e di un arancione tanto intenso da sembrare innaturali. La bocca, se c'era, era coperta dall'alto collo della veste bianca e nera che indossavano.
“Sua Maestà sa cosa l'aspetta se dovesse provare ad attraversare le sabbie...” gracidarono all'unisono le tre figure.
La ragazza le fissava, perplessa e sbalordita. Poi, ricordandosi una lontana lezione, soffiò una domanda incredula “Siete fate?”
Quelle risero ancora “La campionessa ha infine colto il nostro legame parentale con le Parche...Rispetto a coloro che cercano di abbattere i muri del labirinto, noi siamo, esattamente, un gradino sotto le nostre genitrici...”
"State decidendo quanto vivremo ancora?” domandò ingoiando il groppo che le si era formato in gola
“Oh no, nostra giovane campionessa...noi non abbiamo questo potere...” disse una
“Noi siamo solo una loro estensione...possiamo mostrarvi dove siete e quale sarà, presumibilmente il vostro futuro, in base a ciò che è stato...” disse un'altra
“Perché sappiamo bene come, per quanto si cerchi di cambiare, alla fine, rimaniamo sempre gli stessi... una persona retta continuerà a comportarsi in modo corretto e un disonesto...puoi star certo che non diventerà un santo dalla sera alla mattina...”
“Facciamo una previsione...poi sta al singolo decidere come comportarsi...e in quali condizioni presentarsi alle Parche...”
“Allora perché parlate di Jareth come se la sua vita fosse già segnata?” sbottò rancorosa, senza nemmeno rendersi conto di quello che aveva fatto
Quelle non parvero sorprendersi, mentre al diretto interessato ghiacciò il sangue nelle vene “Non gliel'avete ancora detto, Maestà?” domandarono soltanto, in coro
“Detto cosa?” sibilò lei spostando lo sguardo, convulsamente, dalle une all'altro.
“Del maleficio che grava su di lui...e sulla sua stirpe...” proclamarono le tre
“Se non me l'ha detto, vuol dire che la cosa non mi riguarda.” sentenziò dura, avanzando di un passo. Jareth mentiva sempre, e sempre con uno scopo preciso. Ma d'altronde, si disse, perché avrebbe dovuto ingannarla? Era una cosa che riguardava lui e la sua stirpe. Lei, a ben vedere non c'entrava nulla: erano questioni di famiglia e, quindi, private.
“Oh, sì che Vi riguarda...ora...” dissero quelle
“Fatevi da parte!” ringhiò. Avrebbe guadato le sabbie mobili. Non c'era poi nulla di pericoloso, in realtà.
Sapeva poco o nulla di reologia2, ma ne sapeva abbastanza per non farsi fregare su cose pratiche come quella. Afferrò la corda, avvolgendola intorno al braccio e assicurandosela alla vita. Quindi avanzò finché non finì con lo sprofondare nella melma.
Non si fece prendere dal panico, sapeva (o almeno sperava di sapere) quello che stava facendo. In ogni caso, non avrebbe dato a quelle tre arpie la soddisfazione di vederla esitare. Sapeva che, tanto per cominciare, le sabbie mobili non erano mai troppo profonde. Ma stava pensando all'Aboveground. Fece mentalmente spallucce: le cose, lì, non potevano essere sempre il contrario di quello che erano nel suo mondo.
Aspettò di smettere di sprofondare e quando, finalmente, si accorse che il fango non saliva più oltre le ginocchia, alzò lo sguardo sprezzante e soddisfatta. Il problema più grande, nelle sabbie mobili, sapeva essere dovuto all'alta viscosità delle stesse e al fatto che, se strattonata violentemente, la persona immersa potesse essere addirittura smembrata. E le cause più probabili di morte, in caso di mancato intervento, erano la fame e la disidratazione. Ma lei aveva la sua bella corda, pensò soddisfatta: senza muovere le gambe, si sarebbe trascinata fino all'altra riva. Bastava non disturbare quella strana sostanza ed essa sarebbe rimasta solida e compatta, evitando, in quel modo, il pericoloso effetto ventosa3.
Era un gioco da ragazzi: un po' lungo e laborioso, ma fondamentalmente facile.


Toby si era rimesso in marcia, calciando i sassi che trovava sul suo cammino. Si era ricacciato le cuffie nelle orecchie, cercando di capire qualcosa di quello che gli aveva detto quella strana creatura. Dopo pochi minuti, si rese conto di star vagando alla cieca. Se inizialmente voleva solo fuggire dalla sua prigione, ora voleva ritrovare sua sorella. Ma non aveva la più pallida idea di come fare. Cacciò le mani in tasca in un moto isterico. Calciare, urlare, picchiare gli alberi, non sarebbe servito a fargliela trovare. Doveva comportarsi da adulto e cercare, razionalmente, una soluzione. Eppure, fu in quel gesto impaziente che la soluzione gli saltò all'occhio. Il suo amuleto porta fortuna ora sembrava...caldo. Normalmente era freddo come una pietra qualunque. Al massimo tiepida, quando stava a contatto col corpo per lungo tempo. Ma mai, neanche quando se lo dimenticava sotto il sole cocente dell'estate, l'aveva percepito in quel modo. Lo estrasse dalla tasca per osservarlo, alla ricerca di una giustificazione per quello strano fenomeno.
La sfera nel suo pugno emetteva un tenue bagliore pulsante. Toby inclinò la testa di lato, non capendo cosa stesse succedendo. Gli sembrò di vedere qualcosa muoversi all'interno della sfera. Avvicinò la sfera e strizzò gli occhi per distinguere il movimento all'interno di quella luce. Di colpo il bagliore scomparve. Si spense come si può spegnere una lampadina. Lentamente, nel buio, affiorò, distorta, l'immagine di Jareth. Era vestito esattamente come gliel'aveva mostrato Rajeth. Teneva davanti a sé una sfera identica a quella che aveva Toby.
Nel cuore del ragazzino crebbe la curiosità. Perché loro due avevano una cosa simile in comune? Ma lasciò da parte ogni pensiero quando sentì la voce dell'uomo espandersi dal suo amuleto.
Io ti ho portato un regalo...” diceva la voce dell'uomo con suadente cortesia.
Ed ecco la voce di sua sorella irrompere incerta, diffidente e curiosa. Una voce immatura rispetto a quella calda tonalità sicura che aveva ora che restava pur sempre, riconoscibilissima, la voce dell'unica sorella che aveva. “Cos'è?
E' un cristallo...” rispose lui, mettendo in evidenza ciò che sarebbe stato scontato per chiunque. Ma, notò Toby, aveva eluso la domanda. Cos'era realmente quella piccola sfera di cristallo? Quella che entrambi tenevano in mano? Vedeva solo Jareth. E lui sembrava fissare direttamente entro la sfera e, di conseguenza, dritto negli occhi di Toby. Forse, si disse, lui stava vedendo quell'esperienza attraverso gli occhi della sorella. “Niente di più...” concluse. Quasi a confonderli (lui e sua sorelle), pur rivelandole ovvietà, agitò il cristallo tra le mani con movimenti rapidi, ipnotici e suggestivi degni di un giocoliere. “Ma se lo fai girare in questo modo e ci guardi dentro, ti mostrerà i tuoi sogni. Ma questo non è un dono per una ragazza comune che si preoccupa per un bambino frignante”. Ecco...era lui il bambino frignante. Gli bruciava tremendamente sapere che anche Jareth l'aveva trovato insopportabile. Eppure, solo la sera prima, l'aveva trovato talmente accogliente e paziente da desiderare di essere suo figlio. O suo fratello. O comunque di essere importante per lui. Forse, proprio quel desiderio gli rendeva, ora, tutto più difficile. “Lo vuoi?” disse l'uomo di là dal vetro come se fosse l'ennesima volta che poneva quella domanda, offrendolo in modo seducente e impositivo, sottintendendo che, lasciarselo scappare, sarebbe stata una pessima scelta. Ma Toby già lo aveva, il suo cristallo...ah già, si disse...stava parlando con sua sorella. Dieci anni prima. Lui lo fissò serio, dritto negli occhi con i suoi spaiati, attraverso il vetro. “Quindi dimentica il bambino!
Toby trasecolò. Fino a quel momento aveva voluto vedere solo il buono che c'era in quell'uomo. Aveva sperato che Rajeth mentisse. Invece...ecco uscire direttamente dalla sua bocca parole atroci. Lui aveva sedotto sua sorella. Aveva sfruttato la sua vulnerabilità. E probabilmente l'aveva fatto anche la sera prima. Cosa le aveva detto per convincerla a seguirlo? E perché l'aveva vista danzare abbracciata a lui? Com'era stato possibile che lei, a quel punto sicuramente sottomessa a lui, riuscisse a riportare entrambi nel mondo umano?
Non posso” la voce di Sarah echeggiò come uno sparo nel silenzio della notte. Lei si era rifiutata? Aveva scelto lui al posto de....dei suoi sogni? Di una vita serena? “Apprezzo davvero quello che vuoi fare per me...” La voce le tremava ancora, forse per la paura, forse per la lotta interiore che stava combattendo. Quello era il suo solito tono, quando voleva rifiutare una gentilezza che non le era affatto gradita ma temeva di offendere la controparte. Sì...quella era la Sarah che lui conosceva e che, quindi, in dieci anni, non era mai cambiata. “Ma io voglio indietro mio fratello...sarà così spaventato...
Le lacrime gli offuscarono la vista. Sua sorella aveva scelto davvero lui. Non avrebbe mai più dubitato di lei. Con vista appannata, vide il volto di Jareth trasfigurarsi in una maschera di rabbia appena trattenuta e temette per lei. Anche se, razionalmente, sapeva che non le sarebbe successo nulla..lei era lì...quindi non doveva esserle successo nulla di grave...
Sarah!” Sibilò lui profondamente seccato. Toby si rese conto dell'offesa che la sorella gli aveva appena rivolto. Se lui era davvero innamorato era stato come se lei avesse gettato i doni di lui nella spazzatura davanti ai suoi occhi. E non tutti gli innamorati si deprimono. Alcuni, particolarmente possessivi, poco inclini a ricevere dei rifiuti (e sembrava il caso di Jareth) si indispettiscono al punto da diventare violenti. Lo vide levare il braccio con la sfera che si tramutò in un serpente in un battito di ciglia. Si avvicinò l'animale al volto e lo srotolò tra le mani, con gesti sicuri e decisi ma delicati. Quindi tornò a guardarlo. “Non sfidarmi...” l'avvertì tagliente lanciando il serpente contro la sfera.




1     gufi

2    Scienza che studia gli equilibri raggiunti nella materia deformata per effetto di sollecitazioni

3    Per chi non ci avesse capito nulla...Le sabbie mobili non sono piante carnivore che ti mangiano inesorabilmente... sei impantanato e ci vuole molta forza per uscirne, ma non è impossibile.

- - - - - - - - - - - - - - - - - -

Eccomi di nuovo qui!

Volevo solo dirvi che per le tre strane figure apparse nel labirinto ho fatto un miscuglio della figura mitica delle Parche, Moire e Norme. Quanto all'origine del legame con le fate, esso deriva dal latino Fatum (destino) in quanto erano coloro che presiedevano al Fato.
L'immagine, di cui vi ho messo il link, è opera di Olbrich, su disegno di Koloman Moser, e si trova sulle paraste dei fianchi del palazzo sede della Secessione Viennese. I gufi sono qui abbinati a corone d'alloro e il binomio sembrerebbe significare il passaggio dall’inconscio a una conoscenza superiore del proprio io attraverso il sonno della notte (i gufi). Sia le Gorgoni sia il gufo erano attributi di Pallade Atena, dea della saggezza, della vittoria e dei mestieri. Ergo, aspettatevi qualcosina....
Quanto a Rajeth...capito qual è il suo sembiante? E chi possa essere il guardiano? E il frutto? Che frutto sarà? Attendete!
PS: spero non vi siate meravigliate per l'oggettino che Toby teneva in tasca... :D ammetto che non è molto pratico...ma io nelle mie tasche tengo ben di peggio XD


Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Il peso della colpa ***


26. Il peso della colpa






Per lo spavento, come se la stesse vivendo in prima persona, Toby lasciò andare la sfera per proteggersi dal serpente che gli veniva lanciato contro. La sfera cadde con un tonfo sordo mentre nell'aria si spegneva la risata sguaiata del suo possessore.
Il biondino ci impiegò qualche istante a capire e ricordare che non si trattava di niente di reale. Ammesso che si potesse parlare così di quel posto. Il suo bizzarro amuleto aveva ripreso a brillare morbidamente, come una lampada a risparmio energetico prima di entrare a regime.
“Al posto di star lì a lampeggiare e a farmi vedere il passato, sai che potresti anche degnarti di mostrarmi la strada più veloce per raggiungere mia sorella?” borbottò offeso. Non ci stava capendo nulla di quel mondo assurdo.
Ma se lo fai girare in questo modo e ci guardi dentro, ti mostrerà i tuoi sogni...” aveva cantilenato la voce del mago. Ed ecco che, quasi l'avesse davvero ascoltato, la sfera si mosse. Cominciò a rotolare, attratta da una forza invisibile, arrestandosi quando raggiunse i cinque metri di distanza dal ragazzo. Com'ebbe mosso un passo, quella riprese a rotolare spensierata: voleva essere seguita.
Toby scosse la testa, divertito: era come inseguire Marking dopo avergli lanciato un bastoncino. Quello si fermava apposta, zampe anteriori protese in avanti, coda svettante e scodinzolante dietro, quando lui, ansante, si accasciava a terra per recuperare fiato. Ora sembrava la stessa cosa. Decise di procedere a passo sostenuto e di non mettersi a correre subito, dato che non aveva la più pallida idea di quanto potesse essere lontana la sua meta. Nel frattempo, voleva capire come mai possedesse una sfera che, a giudicare da quello che era accaduto, doveva appartenere a quel regno e non certo al suo mondo. Inoltre, voleva capire perché, nonostante quello che aveva visto, non riuscisse a togliersi dalla testa l'idea di un Jareth estremamente premuroso e dolce. Da lui si sarebbe aspettato tutto: che fosse un amante dolce e attento, capo carismatico, serio e affidabile, un mago (perché no?) estremamente potente, magari un po' buffone e che, probabilmente nascondeva la sua vera natura sensibile dietro una corazza di strafottenza e arroganza...un po' come gli eroi dei suoi fumetti1. Tutto si aspettava da lui. Tranne che potesse essere davvero crudele.
Mentre Rajeth, che si era presentato amichevolmente, gli aveva dato, da subito, l'impressione di qualcosa di forzato, innaturale e subdolo.
Ma allora perché la sfera gli avrebbe rimandato proprio quella versione di Jareth? Era effettivamente il crudele re dei Goblin che tutti credevano? O c'era qualcosa di più?
Lo Ierofante aveva parlato di maledizioni e scelte da prendere... com'era collegato lui a quel regno? Sì, certo, era stato rapito e vi aveva soggiornato per...per quanto tempo? Ecco un altro dettaglio di cui non sapeva nulla. Ma in ogni caso...come poteva riguardarlo una qualunque situazione di quel mondo?
Quasi a rispondergli, dalla sfera proruppe, nuovamente, la voce di Jareth. “Guarda, Sarah...” Questa volta suonava dolce, e gentile, come aveva sempre immaginato dovesse essere in realtà. Toby si avvicinò alla sfera che si era fermata nuovamente, in modo da permettergli di vedere la scena che si svolgeva al suo interno. Questa volta, il suo punto di vista doveva essere all'interno della sfera stessa, perché Jareth aveva le mani impegnate a tenere sospeso un bambino in pagliaccietto a righe bianche e rosse...lui! Jareth lo stava...cullando? Cosa diavolo era mai successo dieci anni prima? Più vedeva spezzoni del suo passato, meno capiva com'erano andate effettivamente le cose. “E' questo che cerchi tanto?” domandò lui con una punta di irritazione nella voce.
Improvvisamente gli fu tutto più chiaro: Jareth voleva lui. E stava facendo di tutto perché Sarah non lo raggiungesse. Si comportava come un bambino viziato che ha ottenuto il gioco che tanto desiderava e che, quindi, si permetteva di schernire gli amici che non potevano permetterselo ma lo desideravano forse anche più di lui “Tanta pena per una cosa così piccola...” disse guardando il fagottino che teneva in braccio. Toby si vide sorridere, inerme e ingenuo, a quell'uomo, battendo contento le manine, cercando quasi di parlargli, emettendo gorgoglii inarticolati. “Ma non per molto...” riprese l'uomo, convinto, col cipiglio di chi non ammette replica. “Lei presto si dimenticherà di te, mio caro fanciullo” gli comunicò compiaciuto. Nella voce, c'era un senso di vittoria che trapelava strisciante anche da come osservava la scena all'interno della sfera, dove doveva comparirvi l'immagine di sua sorella.
Toby sbiancò ancora una volta e lasciò che la sfera riprendesse a rotolare. Si raddrizzò e la seguì meccanicamente. Jareth voleva lui e aveva fatto di tutto perché Sarah demordesse. Eppure...quelle parole gli suggerivano un'altra, ulteriore, lettura della vicenda. Voleva che lei si dimenticasse di lui, questo era chiaro. Ma perché? Qual'era il suo vero obiettivo? Era lui, all'epoca infante, o era lei? Voleva che perdesse la memoria perché così non avrebbe avuto nessuno a reclamare il suo trofeo o... perché finalmente lei si sarebbe arresa a lui e avrebbe accettato le sue offerte, quei sogni che le aveva proposto nella camera da letto dei loro genitori?
Il ballo. Un'intuizione gli disse che la scena che Rajeth gli aveva mostrato doveva essere necessariamente successiva a quella appena indicata dalla sfera. Sarah non era in sé. Ma in qualche modo era riuscita a gabbare il mago.
Tornò alle immagini che aveva appena visto e si rimise a pensare. Forse, Jareth, aveva desiderato entrambi? “Perché è in te, e anche in tua sorella, che si trova la chiave per cambiare una situazione... oserei dire..atavica...” aveva detto lo Ierofante. Quella sarebbe stata l'unica soluzione per un comportamento tanto ambiguo.


Si era allungata, prona, su quel mare fangoso, in modo da diventare quasi parte della scia che avrebbe lasciato dietro di sé tirandosi a riva. Muovendosi lentamente era riuscita, in pochi minuti a guadagnare già un metro. Non molto, in realtà, ma date le particolari condizioni in cui si trovavano, Sarah non poteva che essere soddisfatta.
Jareth era rimasto al sicuro con sguardo vacuo. Al suo fianco Marking si era seduto in docile attesa. “Non avrai paura di sporcarti, vero?” domandò Sarah quando notò che lui non la seguiva.
Le tre strane creature sghignazzarono di nuovo, volteggiando sopra di lei, quasi danzassero. “Sua Maestà non può attraversare questo posto...” la informarono divertite.
“Cos'è questa storia?” ringhiò a indirizzo del biondo.
Lui si limitò a fissarla senza dire una parola.
Le tre risero ancora “Come avete svoltato l'angolo, Sua Maestà ha capito che non c'era niente da fare...per lui...per questo ha mandato avanti Voi...perché almeno Voi vi poteste salvare.”
Sarah non afferrò subito le parole che le erano state rivolte. Ma quando riuscì a elaborare il pensiero, sbiancò e il suo cuore perse un battito.
“Sua Maestà sapeva che questo posto sarebbe stato la Sua tomba...” gracchiò un'altra ancora, roteando la testa verso l'ex sovrano, facendole compiere un giro di 180 grandi.
“Di cosa stanno parlando?” urlò allora lei, imprigionata nel fango, all'uomo che sembrava versare in uno stato catatonico
“Per quanto Sua Maestà non si arrenda davanti alcun ostacolo, nelle condizioni in cui si trova, è ben conscio di non poter far nulla.” cinguettò ancora una voce sopra la sua testa. Ma Sarah, troppo confusa, non la stava più seguendo. Troppe idee, dettagli che andavano a incastrarsi tra loro, le stavano tenendo la mente impegnata.
“Va, Sarah... riprenditi Toby...” borbottò lui. Sembrava il fantasma di se stesso.
“Se non mi guidi tu, che senso ha?” urlò disperata “No so dove andare e da sola di certo non posso vincere Rajeth”
Lui sbuffò e distolse lo sguardo. Per un attimo le sembrò che fosse tornato il solito arrogante di sempre. “E va bene...” borbottò portandosi le mani alla vita, in tono di sfida. Quindi avanzò di un paio di passi, finché la melma non cominciò a trascinarlo a fondo, e piantò gli occhi sulla punta degli stivali ormai inglobata dalla melma. Sprofondava a una velocità impressionante ma Sarah era relativamente tranquilla: per quanto potesse essere più pesante di lei, anche lui avrebbe finito per galleggiare. Erano leggi fisiche a cui non si poteva scappare.
Le regole valide nel tuo mondo qui perdono ogni significato...” le aveva detto all'ingresso del labirinto. All'improvviso, una morsa di terrore le attanagliò la gola. Perché continuava a scivolare dentro quella pozzanghera? Ormai le sabbie gli lambivano le cosce e la discesa non accennava ad arrestarsi.
“Perché?” domandò angosciata alle creature
“Perché le sue colpe sono più pesanti delle tue...” dissero all'unisono con voce che alla ragazza sembrò rammaricata
“Cosa vuol dire?” domandò concitata: doveva capire e alla svelta
“Questo posto misura la profondità delle tue colpe...E' raro che qualcuno possa oltrepassarlo senza sporcarsi. Solo gli animali, che non hanno concezione del bene e del male...”
“Voi siete un essere umano...è normale che siate contaminata....inoltre, vi siete macchiata di una colpa molto grave, ma avete anche cercato di porvi rimedio, per quanto fosse in vostro potere...”
“Sua Maestà il principe Jareth...” conclusero “...è gravato dalla colpa dei suoi antenati, una colpa che non si può rimuovere pur con le migliori intenzioni. Conscio di ciò, ha cercato di rimediare, per quanto fosse in suo potere. Ma come sapete anche Voi, la genetica è qualcosa che non si può cancellare...”
“Residui della colpa originaria...”
“Li avete provati anche voi....”
“Crudeltà, cinismo, menefreghismo... per quanto, letti all'interno di un ordine di grandezza diverso dal qui e ora, possano assumere un diverso significato, il suo comportamento non cambia, nella realtà oggettiva dei fatti...”
Sarah non aveva seguito nemmeno una parola di tutto quel bombardamento. Aveva afferrato un solo concetto, semplice e lapidario. Per qualche motivo, che lei ignorava, lui sarebbe sprofondato fino a morire e ne era consapevole sin da quando, svoltato l'angolo, erano rimasti intrappolati tra quella pozza e la parete del labirinto. E aveva scelto di morire dandole una lezione pratica, perché potesse capire, piuttosto che attendere una morte lunga e indecorosa. Era pur sempre un Re nell'animo anche se, al momento, l'unico titolo di cui poteva fregiarsi era solo quello principe ereditario. Un re, che preferiva una morte rapida, coraggiosa e dignitosa.
Morire affogati, per asfissia, lentamente: una delle morti più atroci. E lui stava affondando con sguardo sereno.
“No!” urlò Sarah angosciata. Lentamente prese a muoversi a ritroso, cercando di raggiungerlo. Non sapeva perché, ma sentiva che avvicinarsi a lui era la cosa giusta da fare. Aveva visto abbastanza morti nella sua giovane vita e, ora che poteva, di certo non sarebbe rimasta a guardare senza fare nulla. Annaspò, cercando, nel contempo, una soluzione quando infine la trovò “Caricate metà della sua colpa su di me!” disse alle tre creature.
Quelle parole riuscirono a risvegliare Jareth dal suo stato di atarassia. “Che diamine stai dicendo?”
Lei non lo badò e si rivolse alle figure che aleggiavano sulle loro teste “Lui ha barattato il suo tempo umano col mio...non è possibile fare lo stesso?” le scongiurò
“Ci rincresce, Campionessa...” dissero quelle, meste “Non è in nostro potere una simile operazione...”
“Solo lui, può farlo...ma avrebbe già provveduto, se avesse voluto salvarsi la vita...”
“Stupido cretino!” ringhiò lei esasperata a indirizzo del biondo a cui le sabbie arrivavano ormai a mezzo busto “Si può sapere cosa aspetti?”
“Campionessa...” la interruppero quelle “E' più che probabile che, anche effettuando un simile travaso, moriate in due...la sua colpa è più grande di quanto Voi possiate immaginare...”
“Finché non proviamo non lo sapremo mai!” disse piantando gli occhi, ora di un verde intenso, in quelli azzurri di lui. Riuscì, finalmente, a raggiungerlo e, sempre muovendosi lentamente, pur nell'agitazione del momento, si mise a cercare la sua mano. Dovette chinarsi per trovarla, dato che lui teneva le braccia, ostinatamente, lungo i fianchi “Dammi parte della tua colpa!” Esigette
“Non vedo perché dovrei farlo...” replicò lui seccato. Erano in una situazione disperata e lui continuava a fare l'arrogante.
“Dammela e basta!”
“Hanno ragione...morirai anche tu...e non potrai salvare Toby...” disse fissandola intensamente
“Da sola non ci riuscirei comunque!” fu la prima risposta che le venne in mente
Lui sghignazzò “Maccome...non eri tu quella che nonostante tutto ce l'ha fatta, da sola, nella sua stupidità e nella sua istintività?” disse richiamando alla mente quello che lei gli aveva rinfacciato alle porte del labirinto, solo poche ore prima.
“Mi rimangio tutto...” strepitò lei “...dannazione...” disse armeggiando col braccio di lui che si opponeva come un peso morto “Collabora! Stringi la mia mano...”
“E' tutto inutile, quel che è detto, è detto...ed è un tale peccato...” borbottò. Il fango era ormai arrivato al mento. E lui non accennava a perdere quel dannato sorrisetto indisponente
“C'è il trucco...” si illuminò allora Sarah “Una volta che sarai stato inglobato tutto, verrai risputato fuori da là sotto? C'è un passaggio e in realtà hai le gambe già libere!!!” Stava farneticando, se ne rendeva conto. Ma non riusciva a concepire un tale comportamento davanti alla morte.
Lui scosse la testa e chiuse gli occhi. Pochi istanti ancora e anche il più lungo dei suoi biondi capelli sarebbe stato assorbito da quella poltiglia.
“Togliti i guanti, maledizione!” sbraitò la mora mentre la mano di lui scivolava tra le sue. Lui non si mosse. In un gesto disperato cercò, allora, di toglierglielo lei. Ma l'umidità dell'indumento e delle sue stesse mani sporche di sabbia non le consentivano una presa salda. Più volte il braccio scivolò sulla fanghiglia e più volte lei lo riprese svelta, nel tentativo di trattenerlo. Si rendeva conto di come fosse un gesto davvero inutile: ormai, il braccio che sbucava dal terreno era in linea retta col resto del corpo.
Tentò con la forza della disperazione, finché non riuscì. A quel punto, emergeva solo la mano, raccapricciante, dal suolo umido. Affondò il braccio destro fino a incontrare il suo avambraccio e vi si aggrappò con tutte le sue forze, nella speranza di riuscire a riportarlo in superficie. Erano passati solo pochi istanti...un minuto al massimo....poteva ancora sperare di riuscire a riportarlo in superficie e di riattivarne la respirazione...aveva una manciata di minuti a disposizione. Non molti, ma sufficienti a farla sperare.
Disperata, fece l'ultimo tentativo che le rimaneva, prima di perdere definitivamente il contatto e, con la mano libera, corse a stringere quella di lui, che stava finendo di seguire il corpo in fondo al fango.






1    Faccio riferimento a Dark Schneider di Bastard!! (ora distruggo un mito: un mago un po' cazzone, sensibile al fascino femminile -per chi non l'avesse mai letto dico solo che se ne va in giro tutto nudo per buona parte del racconto cercando di farsi le diverse donne che incontra, pur restando fedelissimo a una sola-, crudele e malvagio, esplicito in modo imbarazzante....ed è dichiarato come sia liberamente ispirato proprio a Jareth, già solo nell'aspetto) e a Ryo Saeba di City Hunter (distruggiamo un altro mito: lo sweeper sempre allupato che sembra non prendere mai nulla sul serio ma freddo e puntuale nel suo lavoro... e vergognosino dei propri sentimenti...e ripeto...parlo di City Hunter, perchè Angel Heart l'ha completamente demolito come personaggio, anche se era chiaro che non era uno spin off o un sequel ma una sorta di what if?). Sono entrambi Shonen Manga (cioè fumetti per ragazzi, prevalentemente di genere avventuroso, sportivo....) per un pubblico “adulto” ma che sicuramente un ragazzino come Toby avrebbe letto (io alla sua età li leggevo ù_ù)




- - - - - - - - - - - - - - -

Ok, dato che tanto, per ora, ho finito gli esami, io rimango in incognito fino alla prossima settimana, nascondendomi di negozio in negozio per non farmi trovare: so che avete tanta voglia di farmi fuori. Inutile dire che la colpa non è mia, ma sua, di Jareth che fa così lo stronzo, vero? Ma abituatevi...per quanto all'inizio del prossimo capitolo vedrete risolversi questa vicenda, vi darò continuamente motivi per darmi la caccia. Mi sa che preparo un bel tragitto around the world per non farmi trovare... XD
Spero vi piaccia comunque.
E ricordatevi che Jareth è un bastardo nel midollo...fino alla fine! ù_ù;;;; 
PS: anche questa settimana ho aggiornato prima per poter aggiornare anche l'originale, domani... un mesetto di affiancamento mi ci vuole, per non rimanere completamente orfana di questi miei personaggi. Portate pazienza per i capricci di quest'autrice sciagurata XD
Ora comincio a correre sul serio, ciaooo
alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Di luci... ***


27. Di luci...






Un intenso bagliore l'accecò nell'istante in cui le due mani libere si sfiorarono. La pozza di sabbie mobili svanì all'istante, come evaporata all'esposizione di un'intensa fonte di calore direzionata. Il sole aveva preso a brillare in tutta la sua potenza distruttiva, aveva scacciato tutte le ombre e gli impedimenti, rivelando la voragine che quel trabocchetto camuffava.
I due corpi, rimasti sospesi a mezz'aria, scomparvero all'improvviso entro il pozzo nero, quando la luce si spense, esausta.
Sarah, esaurite tutte le sue energie, aveva reclinato il capo, addormentandosi di colpo. Al contrario, Jareth aveva riaperto gli occhi, compiaciuto. Un sorriso di sfida gli aveva increspato le labbra e, nella caduta, ruotando su se stesso, si portò alle spalle della ragazza, abbracciandola, quasi a volerla difendere. O a complimentarsi con lei, sussurrandogli qualche complimento all'orecchio.
Dietro di loro, Marking aveva sbadigliato annoiato. Si era alzato e si era tuffato nella stessa voragine in cui erano precipitati loro.
Rajeth sbatté gli occhi un paio di volte per riprendere a vedere normalmente.
Ora, tutto il bianco della sala gli dava un tremendo fastidio, ma immergersi nel buio sarebbe stato pure peggio: sarebbe stato assalito da lampi violacei per la retina ancora fortemente impressionata.
Suo malgrado, rise sguaiatamente “Che sceneggiata, Jay...Sei proprio uno spasso...Un po' quella poverina mi fa pena...” disse in un sospiro comprensivo “Ma tanto, alla fine, stai cadendo dalla padella alla brace...E stai andando direttamente dove io volevo che voi andaste...”
Si fece comparire tra le mani il frutto che aveva sottratto nel giardino di Bellfast e lo addentò. Era quasi ora. Masticò, svogliatamente la polpa semiliquida e zuccherina e ripensò alla reazione del guardiano.
Maestà..non dovete...” era sbiancato come un cencio quando aveva capito le intenzioni del sovrano
Ma è proprio quello che voglio...ottenere i poteri di questo frutto...” gli aveva risposto sorridendo “La morte...”
Ma io non intendevo...” aveva replicato Bellfast
Oh, lo so...e infatti non sarà la mia morte a cui concorrerai...io sarò la morte per qualcun'altro...” aveva spiegato, confondendolo.
Bellfast, come tutti i suoi sudditi, era una creatura ingenua e fedele. Fedele al re del momento. Non alla persona che ricopriva il ruolo. Questo era chiaro.
D'altronde, non era concepibile che restassero fedeli, ad esempio, a un sovrano che fosse stato destituito, quale era stato quell'incapace di suo fratello. I re servivano a governare. Loro vedevano la meta che il regno doveva raggiungere. Loro avevano le capacità e i mezzi per operare scelte e prendere decisioni. Non stava certo al popolino contestare. A loro bastava venissero soddisfatte le esigenze primarie. Tutto il resto non li riguardava. Se le scelte sbagliate dei sovrani avessero avuto ripercussioni anche sulla vita del popolo, allora si avrebbe avuto la prova dell'incapacità a regnare di quest'ultimo. Ma per il resto, egli poteva anche perseguire fini personali tramite il suo ruolo. Chi non lo faceva, d'altronde?
Era inconcepibile che qualcuno fosse rimasto fedele a Jareth: sarebbe stato considerato alto tradimento.
Eppure, per gli stessi motivi, lui non poteva nuocere direttamente, tramite il suo ruolo, all'ex sovrano, legittimo erede al trono. Né alla sua accompagnatrice.
Per avere il sacro diritto al trono, si sarebbe dovuto sbarazzare di entrambi.
O...beh...c'erano anche altre soluzioni alternative. Ma non sarebbero state altrettanto soddisfacenti. O forse sì. Schiuse gli occhi alla luce tenue della sala. Effettivamente, la trappola che aveva teso loro puntava più verso una delle tante soluzioni che non alla radicale eliminazione dei suoi concorrenti.
Ucciderli entrambi.
Uccidere solo Jareth e fare sua la campionessa.
Condividere con loro il trono.
Poteva lasciarli vivi e vegeti, imprigionati e drogati in modo che facessero esattamente quello che lui avesse voluto.
La prima era certamente la soluzione più semplice e meno laboriosa. Era già sufficiente l'impiccio rappresentato da Toby, condizione sine qua non... ma non sarebbe mai riuscito a portarlo a pieno compimento. Non l'avrebbe sopportato.
La quarta sarebbe stata divertente ma impegnativa, costringendolo a un continuo controllo del livello di incoscienza dei suoi prigionieri
Quanto alla terza...era totalmente fuori discussione. No...avrebbe scelto la quarta via, un ibrido.
Avrebbe anche potuto sperimentare l'ebrezza della conquista umana per poi eliminarli tutti e due una volta che si fosse assicurato il potere. Sbuffò all'idea di come, davanti a un dilemma, si aprissero una ramificazione tendenzialmente infinita di scelte.
In ogni caso, sarebbe stato interessante vedere la reazione di Jareth davanti a quello che aveva in serbo per loro: vedere quali sarebbero state le differenze tra i comportamenti di due persone così simili tra loro, due gemelli.
Sempre ammesso che Jareth non stesse recitando anche nei confronti dei sentimenti che trasparivano per la ragazza. Suo fratello, da quel punto di vista, era un vero enigma. Forse per gli anni di reggenza, forse per l'indole naturale, era diventato un così abile attore che non si capiva il confine tra la recita e la realtà. Aveva imparato a padroneggiarsi e a smussare gli angoli taglienti del suo carattere altero, anche se non al meglio.
Rajeth fece spallucce. Che gli importava della complessità di suo fratello? Ognuno, a modo suo, era contorto in egual modo.
Ora non gli restava che ritrovare Toby. Il regno in cui cercare era molto vasto e si trattava di un'impresa tutt'altro che semplice. Ma, sorrise, sapeva già quale poteva essere la sua meta finale e, quindi, non aveva poi molto da preoccuparsi: gli sarebbe piovuto spontaneamente tra le braccia.




Macchie grigie di diverse gradazioni danzavano davanti ai suoi occhi, leggere, senza fretta, turbinando tra loro, inseguendosi, senza mai ripetere gli schemi. Una musica, dolce e lontana, riecheggiava triste e nostalgica. Lentamente riuscì a distinguere le parole. Era una canzone che le suonava molto familiare.

There's such a fooled heart
Beating so fast in search of new dreams
A love that will last within your heart
I'll place the moon within your heart

Un dondolio impercettibile sembrava accompagnare il canto e cullarla come una zattera alla deriva sul mare piatto. Gradualmente i colori si fecero più nitidi e sfumature scure si declinarono in tonalità di bianchi sprammati.

As the pain sweeps through
Makes no sense for you
Every thrill has gone
Wasn't too much fun at all
But I'll be there for you-oo-oo
As the world falls down

Era forse in paradiso? Davanti a sé vedeva solo una distesa di petali candidi che ondeggiavano mossi da un tenue venticello.
Non ricordava cosa fosse successo. Aveva...cercato di salvare Jareth. Fino a quel punto la sua memoria arrivava tranquillamente. Ma poi? Non ricordava nient'altro che il panico stringente che l'aveva attanagliata.

Falling
As the world falls down
Falling
Falling in love

E ora? Dovevano essere morti. Perché non si sentiva più angosciata. Era in un posto stupendo, cullata da quella voce melodiosa che sapeva appartenere a lui. Chiuse gli occhi e per un istante se lo immaginò come un angelo del paradiso, gigantesche ali dorate da barbagianni, i capelli platino scomposti sulla pelle d'alabastro, vesti candide che avrebbero lasciato poco spazio all'immaginazione e ingannato sulla sua reale natura. E gli occhi chiari, mortali e imperscrutabili come il ghiaccio.

I'll paint you mornings of gold
I'll spin you Valentine evenings
Though we're strangers till now
We're choosing the path between the stars
I'll leave my love between the stars

No. Se ci fosse stato lui, tra quelle nuvole di fiori, non sarebbe certo stata in paradiso. Lui non poteva che essere l'incarnazione di Lucifero, l'angelo più bello e amato da Dio e da questi cacciato per la sua arroganza e la sua presunzione. Sì. Perché Jareth era anche terribilmente arrogante.
Suo malgrado sorrise di quel desiderio sciocco e infantile.
La voce si interruppe e, quando lei riaprì gli occhi, allarmata, domandò divertita “E' così piacevole il mio canto, mia cara?”
Sarah girò la testa di scatto, verso la fonte di quel suono beffardo e incrociò lo sguardo di lui, a un paio di spanne da sé. Fece per tirarsi su di scatto per capire cosa fosse successo che un peso delicato sulla spalla la trattenne dov'era.
“Non farei movimenti bruschi, se fossi in te. Sei svenuta, non ricordi?” disse lui con voce piatta
“Cosa è successo?” domandò allora la mora cercando di orizzontarsi, lasciando che lo sguardo vagasse tutto attorno. Era stesa sotto alberi in fiore, presumibilmente peri o ciliegi, con la testa appoggiata sul ventre piatto di lui.
“Sei svenuta.” ripeté lui, come se stesse fornendo un'informazione ovvia e scontata. All'occhiataccia di lei, capì di dover fornire qualche spiegazione in più “Hai toccato la mia pelle con la tua...e per quanto l'anello sia un amuleto potente, non lo è a sufficienza per impedire che il corpo mio deprivato cercasse e riuscisse a riappropriarsi del proprio potere. Voi la chiamate osmosi...”
“Come abbiamo fatto con le ore...abbiamo diviso a metà ciò che era in comune...” Rimuginò lei strizzando gli occhi, cercando di ricordare “Ma...prima potevo toccarti senza problemi...” disse incerta, ripensando a come si fossero tenuti per mano nella prima parte del labirinto. Cercò di non pensare al bacio che c'era stato, ma il pensiero corse inevitabilmente anche alle sue labbra.
“Una volta affrontato lo specchio, tu sei diventata più cosciente di...tutto questo..” disse alzando gli occhi alla chioma dell'albero “...e hai cominciato a obbedirmi. Quindi a fidarti di me...”
“Non vedo la connessione...” ribatté lei, alzando lo sguardo al fogliame.
“Vincendo lo specchio hai accettato le regole di questo posto e hai cercato una soluzione per eluderle. In qualche modo, parte del tuo potere ha cominciato a prendere corpo. Obbedendo alle mie indicazioni, dandole quindi per buone, e fidandoti di me, hai aperto il processo di reintegrazione della mia persona al suo ruolo. Più ti fiderai di me più io tornerò quello che ero prima. Sei tu a dare o togliere a me il potere, ricordi? In quanto fae, come ci chiamate voi, dotato di poteri magici superiori, la mia natura mi porta ad assorbire la magia e le peculiarità altrui attraverso le mani. Certo posso controllarmi ma... al momento sarei come un bambino che impara da zero o una spugna asciutta: rischio di non sapermi più gestire. Motivo per cui ho sempre portato i guanti. Non posso e non voglio venir contaminato da ciò che mi sta intorno. Sarebbe un gesto molto egoistico, non trovi? Inoltre perderei la mia individualità, assorbendo ora qui, ora lì. Fidandoti di me, in quell'occasione mi hai ridato una minima parte dei miei poteri e ciò vuol dire che sono diventato pericoloso, per te.”
“Ma io non ho notato nulla...” replicò la ragazza, sbalordita
“Ma basta che l'abbia notato io. E ho fatto bene. E' una cosa che va fatta gradualmente e tu ne hai perso involontariamente il controllo.Quando mi hai tolto il guanto e mi hai toccato, io ti ho prosciugato le forze. E' stato un orgasmo...” disse senza aver la benché minima intenzione di farla arrossire “In così breve tempo sei maturata così tanto...” disse suadente carezzandole la guancia “Sarei curioso di sapere fin dove può arrivare la tua potenza... se solo accettassi il tuo ruolo...” Nella voce c'era una nota di tristezza così profonda che a Sarah si strinse il cuore. Poche ore in sua compagnia e tutto il muro che si era costruita negli anni stava crollando a pezzi “E' il caso di muoversi...non ci rimane più molto tempo...” aggiunse distogliendo lo sguardo.
La fece mettere seduta sul prato mentre lui si tirava in piedi di scatto. Aspettò che lei si sentisse meglio, quindi le porse le mani e la fece alzare lentamente.
C'era troppa, pericolosa vicinanza tra loro e Sarah fece per scostarsi da lui, imbarazzata. Il movimento improvviso le diede il capogiro e Jareth fu veloce a sostenerla, stringendola a sé.
“Non fare movimenti azzardati, sei ancora debole...E sei in carenza di zuccheri...” disse perentorio. Sarah si lasciò abbracciare, posando il capo sul suo petto. Era una sensazione così piacevole. Si sentiva protetta, al sicuro...amata. Le sembrava impossibile aver pensato a quel gesto come una gabbia contenitiva dove, con altri uomini, si era sempre sentita prigioniera. Percepì, oltre la cortina assertiva, una sincera preoccupazione. Era maledettamente maldestro e preoccupato: non riusciva proprio a essere gentile. E più si atteggiava a burbero dispotico, più lei notava le sottigliezze delle sue gentilezze nascoste. Avrebbe potuto amarlo? Ora era decisamente convinta della fattibilità della cosa.
Eppure, in un recesso angolino della sua mente, qualcosa le diceva di stare in guardia, di non fidarsi di quell'uomo. Almeno, non sotto quell'aspetto.
Si umettò le labbra, impacciata e imbarazzata. Quindi alzò lo sguardo su di lui. “Non posso prendere uno di questi frutti?” Nonostante tutto, il desiderio di ricambiare la sua stretta e di lasciarsi andare, ignorando l'allarme che le risuonava dentro, era pressante.
Jareth la guardò divertito, ben conscio dell'attrattiva che poteva esercitare su di lei non come essere magico ma come semplice uomo. “Sembri una cerbiattina spaventata” la canzonò facendole scivolare una mano tra la cascata di capelli. Le scivolò sul collo e avvicinò impercettibilmente il volto al suo.
Sarah era sicura. Lo sentiva anche se non c'erano prove oggettive. Lui stava per baciarla. O era lei che gli si stava lanciando addosso? Come in trance non riusciva a frenare quello che prevedeva sarebbe successo.
Ma il ringhio sommesso di Marking le venne in aiuto e riportò entrambi alla realtà. Il cane era teso, pronto al salto, aveva il pelo dritto sulla schiena come non l'aveva mai visto, le orecchie piatte sulla nuca, gli occhi spalancati e le fauci scoperte.
Tesero le orecchie e avvertirono, in lontananza, lo scalpiccio di un animale lanciato al galoppo.
“Dannazione, Bellfast!” sbottò Jareth “Ci mancava solo lui...”
Il biondo non aveva la più pallida idea se fossero sul confine o nel cuore del frutteto e non aveva, quindi, il minimo piano per fuggire di là.
Il suono prodotto dagli zoccoli sul prato sembrava la materializzazione di passi di danza delle stelle cadenti o giochi infantili di gocce di rugiada. Il nuovo arrivato rallentò il ritmo fino a che non divenne un sommesso trottare. Infine si arrestò a una decina di metri da loro.
Il ringhio di Marking si abbassò di un'ottava, facendosi profondo e gutturale.
Accanto a uno dei molti alberi, il guardiano del giardino svettava fiero e altero.
Gli zoccoli rasparono sul terreno come avrebbe fatto un toro nell'arena, nervoso, pronto a lanciarsi sulla banderilla del torero. Jareth non provò nemmeno a parlare al guardiano: in quel momento era accecato dalla profanazione del suo giardino, del giardino proibito delle fate in cui ogni invasione andava punita con la morte.
Come in una giostra medievale, Bellfast si inclinò in avanti, protendendo la sua arma verso il nemico. Quindi, come se qualcuno avesse fatto loro cenno, i due contendenti si lanciarono l'uno contro l'altro.



- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Eccomi qui. Visto? Jareth non è mica morto...figurarsi...ha la pellaccia dura, quello...
E...avete visto? c'è stato un bacio mancato..ehhh troppo semplice sennò XD
Cmq...volevo ragguagliarvi un attimo sulla scelta del mio frutto. Sulla famosa pesca mi sono già espressa (e incavolta) nell'altra fic.
Qui ho scelto la pera perchè è emblema di due cose antiteche tra loro. Da una parte è simbolo tipicamente erotio che ricorda le forme femminili, dall'altro è simbolo di lutto. Il pero era consacrato alla luna (simbolo femminile) e a Era, moglie di Zeus, associato ad Afrodite ma era sacro anche ad Atena, nella sua accezione di dea della morte. Fino a non molto tempo fa, nel cantone svizzero di Argovia, si piantava un melo quando nasceva un maschio, un pero se il neonato era femmina. In Cina è segno di lutto per i fiori bianchi ma anche nel nostro medioevo ha assunto un aspetto sinistro, forse per il fatto che il legno è fragile, marcisce e si spezza facilmente. O anche per via dei vermi che ne amano il frutto.
Altre leggende e detti popolari lo associano ad esseri maligni, all'impiccagione e alla vecchia. E' associato anche all'avidità e a chi fa previsioni proiettando nel futuro i propri desideri al posto dei dati reali.
Detto questo... ;) preparatevi per i capitoli finali (per i quali sarò, ovviamente, altrove)
a presto!


Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** .... e di ombre ***


28. … e di ombre.





Sarah represse un urlo, coprendosi la bocca con le mani, gli occhi colmi di orrore.
Nella sua immaginazione quelle creature erano semplici e indifese, bellezze rare che andavano protette dallo sterminio. Lo shock di vederne un esemplare, e scoprirlo così aggressivo, un po' come le era successo per le fate, dieci anni prima, o i delfini1, nel suo mondo, solo qualche tempo prima, la paralizzò dal disgusto e dal terrore.
Bellfast era un magnifico esemplare di unicorno, gli zoccoli dorati facevano capolino tra le frange delle zampe caprine e pelose che si innestavano su di un corpo snello e slanciato. La linea dorsale era dritta e scattante, sottolineata da una criniera lanuginosa che digradava sul dorso fino a ricomparire, come una baionetta piumosa, sul limitare della coda a frusta. Il muso aveva i lineamenti duri, orecchie piccole e lanceolate da daino oltre a occhi sottili e dorati che lampeggiavano di collera incontrollata.
Più di tutto, Sarah temeva per l'incolumità del proprio animale che sembrava, anch'egli, fuori controllo. Temeva che quel pugnale dorato, il corno che svettava dalla fronte della controparte, potesse trafiggerne e straziarne le carni. Temeva che la bestia potesse prendere a calci il suo cane: sapeva quanto potessero essere devastanti i calci di equidi, bovidi e cervidi2. Temeva la follia assassina negli occhi di entrambi.
Li vide schivare colpi di corno, morsi, calci, zampate per trovarsi, infine, rampanti, a cercare di infilzarsi e mordersi la giugulare a vicenda3.
“Intervieni...” le soffiò nell'orecchio Jareth.
Lei lo guardò smarrita “E come?”
“Dammi l'anello...e fidati del tuo potere...” disse porgendole la mano, in attesa del gioiello. Lei spostò freneticamente lo sguardo tra lui e i due animali, che continuavano a caricarsi a vicenda. Trasse un profondo respiro, quindi si sfilò l'anello e lo porse all'uomo. Quasi avesse improvvisamente freddo alla mano, se la portò al petto e la coprì con quella libera. Inspirò a fondo ancora una volta, cercando di calarsi nei panni della vincitrice, della regina o di qualunque altra cosa potesse essere, e si avviò a passo svelto e sicuro, mento proteso alla sua destinazione, braccia serrate lungo i fianchi. Si concentrò su quanto le aveva detto Jareth, su quelle che potevano essere le sue capacità. Di certo la sua voce era uno strumento potente e le parole altrettanto. Non doveva agire d'istinto. Mai, nell'Undeground, sarebbe stata la scelta peggiore. Come davanti una bestia feroce. Anche nell'Aboveground. Fermezza, sicurezza, calma.
“Fermati!” disse cercando di imitare bene il tono di colui a cui stava rubando le parole “Fermati, prima che sia troppo tardi!”
A quelle parole i due contendenti si quietarono di colpo. Bellfast cambiò immediatamente obiettivo e di diresse velocemente verso la ragazza, strettamente marcato da Marking. Giunto davanti a Sarah, piantò gli occhi dorati sulla sua mano come se fosse cibo. Sembrava mansueto ma la ragazza sentì il lupo ringhiare sommessamente, quasi a monito dell'altro quadrupede. Sorrise della premura del suo protettore: poteva pure permettersi di ferirsi un minimo, pur che lui fosse al sicuro dalla battaglia a cui aveva assistito. Si chinò, veloce, e gli posò una mano sotto il muso e una sulla sommità del capo, carezzandolo vicino al corno e poi giù, lungo la criniera. Il guardiano sembrò cadere immediatamente in trance, come addormentato, andando a poggiarsi sulle sue gambe.
Marking si tranquillizzò e si acciambellò per terra, il muso nascosto dalla coda.
“Che è successo?” domandò spiazzata
“E' il tuo potere4...” fu la risposta asciutta del biondo che andò a ridarle l'anello. Quindi si rivolse al guardiano in stato comatoso. “La finisci, una buona volta, di cercare di incornare me e quelli che sono al mio seguito?”
“Sì, signore...” biascicò quello, inebriato.
“Bene...procediamo!” disse senza più badare l'ormai troppo mansueto Bellfast. Marking si stiracchiò e trottò dietro al biondo “Sarah, muoviti!” le ordinò lui, già avviato verso l'uscita di quel giardino.
Sarah si rialzò lentamente, scusandosi con la bestia perché avevano ormai poco tempo. Le girava ancora la testa e si sentiva stanca nonostante la lunga dormita. “Senti...” bisbigliò all'orecchio del maestoso unicorno “Non è che mi lasceresti prendere una di queste pere? Non ho pranzato e ho fame..” si giustificò
“Come?” biascicò l'animale rialzandosi anch'egli “Oh, sì certo, graziosa fanciulla...tutto quello che volete...”
Sarah quasi non lo lasciò finire di rispondere che subito si fiondò sul frutto più vicino. Lo staccò e diede un morso famelico. Era dolce, sugosa e zuccherina...si sentiva già meglio dopo un solo morso. Eppure... possibile che i suoni si fossero fatti improvvisamente ovattati? Vide Bellfast riscuotersi dal proprio torpore e sgranare gli occhioni dorati. Vi lesse terrore e lo vide subito precipitarsi nella direzione dov'era sparito Jareth.
Sarah si guardò attorno: non vedeva nulla di pericoloso. Fece spallucce e mangiò un altro boccone. Chissà cosa aveva visto da metterlo tanto in allarme. Ed ecco che Jareth ricompariva tra gli alberi in fiore, il volto livido e angosciato, e correva verso di lei.
Sarah sorrise: ora stava bene, non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Ma ecco che la vista cominciò ad annebbiarsi, facendola sprofondare in un buio impalpabile. Era caduta in qualche tranello senza rendersene conto?
La mano! Non stava dando la mano a Jareth...
Ma...se lui non se n'era ricordato, forse non doveva essere un dettaglio così importante, in quel luogo. Forse...erano usciti dal labirinto, come quando, la volta precedente, era finita nella Palude dell'Eterno Fetore, ed erano di nuovo liberi di viaggiare separatamente. Ma allora che stava succedendo?



Rajeth non aveva aspettato altro.
Come Sarah ebbe addentato la pera, si materializzò davanti a Jareth e Marking. Un sorriso di vittoria gli illuminava gli occhi.
“Direi che siamo giunti alla resa dei conti, non trovi?” domandò avvicinandoglisi come avrebbe fatto con la propria preda
“Di cosa parli? Abbiamo addomesticato Bellfast...” precisò fissandolo dritto negli occhi
Rajeth rise di gusto “Mio caro e ingenuo fratello...credi davvero che non avessi previsto tutto questo?” domandò avvolgendogli le spalle in un abbraccio “Mmmm” continuò arricciando le labbra, sovrappensiero “Non avrai dimenticato anche tu i poteri dei frutti delle fate...?” Quindi lo lasciò andare, scivolandogli addosso come un serpente “Oh!” disse con espressione più preoccupata che potesse fare, portandosi le mani al volto “Le pere, Jareth...sei sicuro che Sarah non ne abbia mangiato?”
La mente del biondo si annebbiò di colpo. Sarah. Era in carenza di zuccheri. E lui non l'aveva messa in guardia...aveva preferito stuzzicarla. Non avrebbe mai... c'era anche Bellfast...lui le avrebbe impedito...
“Signore! Signore!” urlò l'unicorno arrivando al galoppo “Signore...Oh...Maestà...” disse inchinandosi davanti a Rajeth, protendendo una zampa in avanti e piegando l'altra sotto il torace.
“Cosa c'è Bellfast?” domandò Rajeth con tono neutrale
“I loro signori devo affrettarsi...ho...ho commesso un imperdonabile errore..io...” blaterò agitato l'animale
“Sarah!” soffiò Jareth, senza dargli il tempo di finire. Scansò suo fratello, aggirò il cavallo e corse nella direzione da cui era venuto.
“Prego Sua Maestà perché abbia clemenza di me...io....” continuò imperterrito il guardiano, sprofondando davanti a Rajeth
“Sì sì, vai...posso anche capire, stupida capra! Sparisci...” disse con un movimento enfatico del braccio. Il quadrupede, testa china a terra, arretrò fino a scomparire dalla vista del sovrano “Mi hai solo fatto un favore, Bellfast” ghignò il moro.
Al suo fianco, Marking rumoreggiò con disapprovazione “Scusa per prima...” disse carezzandogli la testa “Ma ricordati che tu appartieni a me...e posso fare di voi sudditi quello che voglio. Quanto a Sarah, non preoccuparti...non le verrà torto un capello...Per Jareth non garantisco...” Così dicendo, si avviò dietro al fratello, lasciando il grosso cane a rimuginare.



Le cime degli alberi stormivano, agitate da un vento improvviso. Tutt'attorno era calato un silenzio innaturale. Anche prima c'era silenzio ma... era un silenzio vivo, naturale. Ora sembrava che fosse successo qualcosa e che tutto e tutti fossero in attesa di un evento specifico. Istintivamente, Toby sapeva che tutto ciò non lasciava prospettare nulla di buono. Si affrettò dietro alla sua sfera sperando di arrivare quanto prima da sua sorella. In lontananza intravedeva l'architettura spiraliforme di quella che era, probabilmente, la sua destinazione.



Come Bellfast l'aveva raggiunto, trovandolo piegato su se stesso, Jareth aveva cominciato a urlare in preda a una rabbia cieca “Stupido cavallo! Dov'è finita? Perché non le hai impedito di mangiare quel frutto? Dovrei staccarti il corno solo per questo!”
“Non farai proprio niente di tutto ciò!” lo bloccò Rajeth, indispettito, braccia e gambe incrociate, schiena appoggiate mollemente all'albero più vicino “Non è un tuo suddito. Fagli qualcosa e mi autorizzi a ucciderti, Jay... lui resta il sacro guardiano del giardino delle fate...”
“Che ne hai fatto?” sibilò rancoroso il biondo.
Il moro, per tutta risposta, si limitò a sogghignare inclinando il capo.
Irritato da quel comportamento, Jareth si alzò e marciò verso di lui fregandosene di tutto e di tutti, pronto a colpirlo. Gli avrebbe cancellato quel ghigno divertito dalla faccia. Quando pensava che la sua faccia assumeva le sue stesse espressioni, si riempiva di disgusto. Levò il braccio e già lo stava lanciando contro il suo obiettivo quando, complice il mancato contraccolpo a cui si era preparato, che lo sbilanciò, si accorse di essere solo. Solo e immerso nel buio più totale. Eppure vedeva distintamente il proprio corpo, i piedi, le mani, i capelli che fluttuavano sul petto. Ma tutt'attorno...c'era il nulla. Né il frutteto, né Rajeth, né Bellfast...niente e nessuno.
Strinse gli occhi, raddrizzando la schiena, pronto a un qualunque tiro mancino del fratello. Cosa stava tramando?
Era preparato a tutto.
Tranne che a un attacco di quel genere.



Avanzava lentamente in quel buio privo di sostanza. Senza punti di riferimento a cui aggrapparsi. Sembrava quasi che tutto attorno quel mondo buio vorticasse furiosamente. Ovattato, in lontananza, il suono di arpa e cembali, canti festosi e avvolgenti.
Chiuse gli occhi per un attimo, confusa e dimentica di tutto, riempiendosi i polmoni del particolare profumo che impregnava ogni cosa: gelsomino, glicine, acacia, vaniglia, sandalo...
Si corresse: voleva dimenticare, lasciare ogni affanno, quasi ad abbandonare ciò che era stata per rinascere a nuova vita. Ricominciare tutto da capo... La musica, intanto, si faceva sempre più incalzante. Il desiderio di essere presente nel luogo da cui proveniva quella musica le si allargava in petto come una goccia di inchiostro caduta in un bicchiere d'acqua limpida.
A cosa stava voltando le spalle? Non le importava già più. Tutto ciò che voleva era vivere in un posto che fosse sempre immerso in suoni simili, a metà strada tra le musiche medievali e quelle arabe... vivere in una corte gitana, piena di colori, di gioia, di giochi d'acqua, di scherzi e risate... di amore. Erano i suoi sogni? Era un altro tranello?
Non riusciva a ricordare chi potesse averle teso una trappola simile né perché dovesse fare attenzione.
“Lady Sarah!” voci femminili attorno a sé sembravano chiamarla
“E' Lady Sarah!” risero altre avvicinandosi.
“C'è la festa, Lady Sarah, deve cambiarsi!”
Si sentì prendere per mano e trascinare da un'euforia dilagante. Un sorriso spontaneo le venne alle labbra. Improvvisamente si ritrovò esposta alla luce e riuscì a vedere tutto ciò che la circondava. Quelli, indubbiamente, non erano i suoi sogni. Erano una suggestione molto piacevole, una valida alternativa al suo mondo ideale. Dove si trovava?
Non era la luce calda del giorno, come avrebbe immaginato, ma quella della sera. La luna e un'infinità di stelle, che in città non aveva mai visto, trapuntavano il cielo e illuminavano la piccola corte di una morbidezza nostalgica e lattiginosa.
Si era aspettata una sala chiusa e decorata con mosaici dorati bizantini, afosa per il caldo proveniente dal sole all'esterno, stracolma di tappeti polverosi, dove l'unica cosa da fare fosse stare distesi a consumare il minimo delle energie bevendo cocktail fruttati e dissetanti.
Invece, si ritrovava in un posto più simile al vecchio Prince of Persia5, la giusta ambientazione de Le mille e una notte.
Ancora una volta, ebbe la conferma che quelli non potevano essere i suoi sogni, i suoi desideri: non era quella, per lei, la giusta associazione tra musica e paesaggio. Se fosse stato un film, le due cose sarebbero state completamente scollate tra loro.
Quindi la domanda giusta da porsi era che luogo fosse quello. Perché tutti sembravano conoscerla da sempre? O era lei che non ricordava?
Eppure era vestita come una di quelle ragazze. Anzi no... era vestita molto più riccamente di tutte loro messe assieme. Una specie di sari indiano le avvolgeva il corpo in morbide onde del colore dei fiori del rigoglioso giardino, una sfumatura tra il carminio e il ciclamino. Un abbassamento dorato, ricamato con fittissime perline di vetro, impreziosiva tutto il capo. I polsi, come le caviglie e le orecchie, erano appesantiti da cerchi colorati e sonanti. I lunghi capelli corvini erano raccolti in una morbida treccia a cui erano appesi, qui e lì, dei graziosi e fragranti fiori bianchi simili al glicine.
Si lasciò trascinare per i corridoi illuminati da raffinate torce a petrolio fin dentro un ampia stanza che sembrava illuminata a giorno. Il lucernario del soffitto lasciava che la tenue luce lunare filtrasse nell'ambiente e andasse a riflettersi nella miriade di tessere specchianti.
Le ancelle, così le classificò Sarah nella propria mente, presero ad affaccendarsi sul suo corpo, spogliandola di quanto avesse indosso, coprendola di olii profumati, dispiegando metri di stoffe raffinate e lucenti. La trattavano un po' come una bambola, un po' come una regina. Si prendevano cura di lei con amore, desiderose solo di renderla il più bella possibile.







1    Storia vecchia, riportata di recente all'attenzione del grande pubblico... 

2    Non è un errore che abbia scritto boviDe, EquiDe etc perché intendevo parlare in generale di Famiglie animali: la famiglia dei bovidi comprende le sottofamiglie delle antilopi, delle gazzelle, dei caprini (sotto cui si trovano, a loro volta, le capre domestiche e il camoscio), i buoi (le mucche); sotto la famiglia dei cervidi si trovano alci, daini, cervi e caprioli; sotto gli equidi, i cavalli, gli asini e le zebre.
L'Unicorno, o Liocorno, è un animale mitico in cui si sono viste, nel corso dei secoli, somiglianze con diverse famiglie animali. Comunemente, si pensa sia un cavallo col corno, mentre si è ipotizzata l'identificazione con un rinoceronte, col celebre Narvalo, il cui corno veniva spacciato per vero alicorno [è il corno senza il quale l'animale muore, ricercato perché si pensava rimettesse in forze i moribondi e proteggesse dagli avvelenamenti (o più genericamente purificava l'acqua per cui si polverizzava, ottenendo pozioni contro i veleni), dall'epilessia, convulsioni, etc;], con un orice (ha due corna molto vicine tra loro che sarebbero state scambiate per un corno unico), un Okapi o con l'anomalia di qualche cervide (frequenti in natura). Ma le sue rappresentazioni grafiche lasciano pensare più alla deformità di qualche capride. Infatti, l'arte medievale spesso raffigurava l'unicorno con zoccoli divisi, una barba e un tipo di coda che lo rendeva più simile a una capra che a un cavallo.
In leggende non europee ha il corpo bianco, la testa rossa e gli occhi azzurri (non entro nello specifico perché, come già accennato per il corpo di guardia dello Ierofante, ci addentriamo nel campo delle contaminazioni tra culture: dall'Unicorno europeo si passa a Qilin o Kirin, Yali, Sin-You, Anggitay, Indrik, Camahueto, Shadhavar, all'estinto Elasmotherium fino a tornare alla Chimera nostrana.)

3    Oltre ad aver sfruttato la caratteristica aggressiva dell'animale (ebbene sì, i bestiari lo descrivevano anche come bestia feroce che poteva essere ammansito in un solo modo, che è quello per cui è più conosciuto...vedi la prossima nota. Ad ogni modo è anche mansueto: non calpesta e non uccide gli altri esseri viventi) e la naturale di risposta di un cane/guardiano, in realtà ho preso pari pari dallo stemma araldico della cittadina di Belstaff (da cui, ovviamente, il nome, al quale ho aggiunto una L e anagrammato la seconda parte, tanto per avere una cosa simile a “campanella veloce”: nella mia testa gli zoccoli, toccando il suolo, trillano cristallini).
Il nome deriva dal gaelico Beal Feirste, ossia "l'estuario del Farset". E nell'araldica civica c'è un ippocampo (metà cavallo, metà pesce) cornuto. Da qui l'adattamento -mio- ad animale terrestre, dato che, oltre a questo caso, l'unicorno terrestre si trova piazzato un po' ovunque, nell'araldica anglosassone, spesso accompagnato da un leone/pantera. Quindi, ho sì interpretato, ma non mi son scostata molto dalla tradizione.

4    Spiegazione, che Jareth non fornisce: è stato il potere lasciato libero e da cui sarebbe stato attratto l'animale o la natura stessa di Sarah, di fanciulla, a ipnotizzare Bellfast? A voi la scelta, sapendo che:
-la pantera, effige dell'anello che faceva da filtro, rappresenta l'essere imbattibile per natura, che attira a sé (o è amica di) tutti gli altri animali col suo dolce profumo, tranne il drago (il male supremo con cui deve scontrarsi);
-l'unicorno poteva essere ammansito solo da una vergine, simbolo della purezza.
Quindi si tratterebbe, da parte di Bellfast, di esser stato incantato dalla voce, di brama del potere della ragazza, di semplice reverenza davanti a un essere superiore che ammalia tutti, di addomesticamento da leggenda o di paura per la propria vita (ricordate quello che ho detto del corno)?
Scegliete la combinazione che preferite XD
Un buon riassunto della mitologia al riguardo, cmq, se siete curiosi, potete trovarla qui

5    Non parlo delle repliche successive e tamarre...ma di questo, l'originale del 1989!






- - - -

Prima che qualcuno chieda conferma: sì, sono fuori dal labirinto e quindi non serve più che si tengano per mano (le sabbie mobili li hanno catapultati all'esterno). Il discorso è ribaltato rispetto al film: lì davo per buono il fatto che entro le mura fosse protetta e all'esterno in pericolo; qui, al contrario, il pericolo corre dentro le mura sotto forma di trabocchetti ed ecco la necessità di tenersi per mano.
Come annunciato ci avviciniamo sempre più alla resa dei conti (no, non sarà un coupe de théâtre ma sarà una guerra di nervi e tensione...logorante per chi legge che si concluderà, definitivamente solo nell'ultimissimo capitolo! Non date nulla per scontato!). Su, ancora 6 capitoli e sarà tutto finito...forse! XD
Alla fine, credo non vi serviranno i forconi per venirmi a stanare in Argentina ;)
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Ricordi ***


29. Ricordi




Musica e risa sguaiate riempivano vorticosamente l'aria tutt'intorno. Sbatté le palpebre un paio di volte, per essere certo di non star dormendo. Era buio. Lo stesso buio in cui era caduto appena Sarah era svanita. Gli tornò prepotente alla mente l'ultima cosa di cui avesse ricordo. Un bacio, non voluto, famelico e possessivo, impostogli da qualcuno di cui non conosceva il volto. Quanto era passato da allora? E da quando era stato inghiottito da quel buio solido? Pochi minuti? Ore? E cosa era successo? Non riusciva a orizzontarsi né a muoversi e, quindi, non riusciva nemmeno a fare ipotesi. Eppure il volume andava aumentando progressivamente e sentiva su di sé, sempre più insistentemente, le occhiate divertite, curiose, maliziose, talvolta anche compassionevoli, e le risate di scherno di una folla numerosa
“Ti diverti?” domandò melliflua la voce di Rajeth
Cercò di rispondergli, tentato di sputargli dritto in un occhio, ma si avvide che ogni movimento gli era impedito. Eppure, suo fratello non avrebbe dovuto avere alcun potere su di lui. Che l'avesse incatenato?
“Se te lo stai domandando, mio caro, questo è l'effetto che il mio sangue può avere su un mortale. Sai...l'ha preparato appositamente Miriam per te. Ti ricordi di Miriam, vero?” La voce divertita gli girava intorno, confondendolo. “La cara, povera Miriam, non aveva altro desiderio che avere un tuo bacio. Prima di morire si intende. Così...visto che invece su di lei il mio sangue ha avuto tutto il potere distruttivo che avrebbe su qualunque altro abitatore dell'Underground. Ritieniti fortunato... Perché, stupidamente, le avevo detto di rovesciare il mio potere, che lo rendesse mortale per te!”
Nell'oscurità, Jareth batté gli occhi, pietrificato dalla notizia. Miriam? Era lei che l'aveva baciato? Ed era...morta? Com'era possibile? Erano cresciuti insieme e.... e sapeva che Rajeth non era il tipo da scherzare su queste cose. La memoria corse involontariamente all'ultima occasione in cui l'aveva vista, il ballo incantato in cui aveva intrappolato Sarah e usato lei come suo surrogato. Almeno, per la prima parte di quell'ora magica. Non si era mai reso conto di quello che agitasse la sua amica, se poteva chiamarla così, lui che amici non ne aveva realmente. O forse, l'aveva visto e non aveva voluto indagare, troppo preso a osservare Sarah, la ragazza che doveva essergli destinata.
Rajeth, invece, da esterno qual'era, aveva capito subito e non si era fatto scrupoli a usare quella debolezza per i propri fini. Un bacio tanto desiderato, un bacio d'addio che non porta altro che morte. E la paralisi per lui. Ora capiva cos'era stato quello strano sapore amaro che aveva percepito nella saliva di lei: aveva bevuto uno dei suoi intrugli insaporiti dal veleno di Rajeth. Cacciò il pensiero di essere stato la causa di quella morte. Miriam non era stupida: se l'avesse voluto davvero morto non avrebbe certo esitato, dato che avrebbe saputo certamente come fare, in barba a tutte le leggi del sottosuolo. Fondamentalmente l'aveva aiutato, nel suo modo contorto di vedere la realtà, da buon Lauro qual'era.
Lentamente, cominciò a percepire forme indistinte di corpi attorno a sé. Le luci sciabolavano a sprazzi su quell'ammasso di gente: sembrava di essere in una discoteca umana. Ruotò gli occhi fino a incrociare quelli del fratello e capì che c'era qualcosa fuori posto.
Rajeth era vestito a festa, con una ricca casacca smanicata e lunga fino a terra che si apriva sul petto nudo e sui pantaloni rimborsati, a vita oscenamente bassa. Tra le clavicole, faceva bella mostra di sé il pendente del regnante in seconda. D'oro e d'argento, quella goccia rovesciata, a cui mancava la parte superiore (la falce che lo designava re di Goblin City) per completare la Vesica Piscis1, originale e matrice di entrambi i pendenti, svettava come la luna nelle notti senza stelle sulla sua pelle scura. Il suo sorriso smagliante risultava quasi fastidioso alla vista.
Nonostante la baldanza sul suo viso, Jareth percepiva in lui un certo nervosismo e, tutt'attorno, un senso d'aspettativa, come se tutti sapessero che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di estremamente interessante che nessuno aveva intenzione di perdersi.
Ed ecco quel qualcosa che tutti aspettavano: dal buio più nero emerse una figura femminile avvolta in strati di vaporosi veli di chiffon, la pelle eburnea era circondata da un alone luminoso, merito, forse, di qualche olio speziato. Jareth la vide avanzare dal fondo della sala, seria ed estranea a tutto quello che le accadeva attorno.
Non sembrava nemmeno la stessa persona al fianco della quale aveva camminato fino a poco tempo prima. Vederla vestita degli abiti scelti da suo fratello gli provocò una dolorosa stretta allo stomaco. Nella sua semi nudità era bellissima e conturbante, sembrava una regina persiana anzi...sembrava...la mortale Salomé. E lui si sentiva come Giovanni Battista. Come lui, aveva perso la testa per una ragazzina dotata di un tremendo potere. Soprattutto, quello di decretare la sua morte. Una ragazzina che era diventata una donna più fragile di quello che si sarebbe mai aspettato ma la cui determinazione e onestà erano rimaste invariate nonostante tutto.
Ovunque si potessero posare, sul collo, sulla vita, lungo i polsi come tutte le bordature dell'indumento, gioielli dorati e sonanti impreziosivano la sua figura, dandole un'aura solenne e magnifica che avrebbe atterrito e incantato chiunque.
Rajeth si allontanò da lui e andò incontro alla ragazza. Le cinse la vita e si portò una mano alle labbra, stringendola delicatamente. Le bisbigliò qualcosa all'orecchio e lei sorrise appena, quasi imbarazzata, lusingata...compiaciuta. Non era il suo solito modo di arrossire, quando lui la colpiva nel vivo, turbandola nel profondo. Era così dolce e struggente il modo in cui lei si era comportata che sembrava essere...l'imbarazzo di un amore platonico ricambiato. Lei e Rajeth non stavano nemmeno male assieme.
Cercò di cacciare il pensiero molesto ma, vederli così, uno affianco all'altra, non poteva che alimentare la gelosia che sentiva montargli dentro. Avrebbe voluto scomparire davanti a quella evidenza e al tempo stesso tirare un pugno sul muso del fratello e strappargli Sarah di mano. Ma non poteva fare nulla di tutto ciò, bloccato com'era.
Fu, anzi, costretto a vederli scomparire tra la folla, in un giro di danza vorticoso e sensuale, che non aveva nulla a che vedere col suo valzer volutamente lento e provocante. In quel momento erano due anime libere che si rincorrevano.
Preso nei suoi pensieri non si accorse che il vociare di sottofondo era sparito in un violento silenzio. Se ne rese conto solo quando la voce di Rajeth lo raggiunse telepaticamente, direttamente dentro la sua testa.
“Ora ricorda, Sarah...” disse con voce ipnotica. “Ricordati....di me...”
“No!” Jareth urlò, istintivamente. Qualunque cosa avesse in mente il fratello, non era un bene, per lui. Ma dalla sua bocca non emerse alcun suono. La folla della stanza scomparve in un batter d'occhio e si ritrovò a pochi metri dai due.
Rajeth le tendeva la mano, invitandola ad avvicinarglisi, ad andare verso di lui. Lei fluttuava in aria, come distesa sulla superficie d'acqua. La vide chiudere gli occhi e sprofondare nei ricordi.
Il panorama mutò d'improvviso. Si ritrovò vicino alla vecchia casa di Sarah.
L'acqua scendeva leggera e fastidiosa, in quella forma adatta a bagnare i campi nel profondo e a infastidire gli esseri umani. Tutt'intorno regnava una calma irreale.
Poi, un urlo squarciò il telo di quella perfezione. La scena si spostò rapidamente, lasciando le scie dietro di sé di ciò che c'era, per focalizzarsi su una strada asfaltata. E su una figura, ammantata in un impermeabile giallo, raggomitolata a terra.
“Noooo!” urlò la voce di una giovane donna. Da sotto il cappuccio nero scivolò fuori una matassa intrecciata di lunghi capelli neri. “No...svegliati...Merlin...ti prego...ti prego..” Allora Jareth capì. E gli si strinse il cuore. “Merlin...non dormire...ora ti porto in ospedale...dal veterinario...non morire, Merlin...ti prego...non...” la voce era rotta dal pianto che cercava di trattenere. Per quella ragazzina, sollevare da sola quel tipo di cane sarebbe stato impossibile “Merlin...guardami...sono Sarah...Merlin!” urlò abbracciando la massa di pelo grigio “Merlin...” continuò a ripetere affondando la bocca nel pelo dell'animale e prendendo a dondolare su se stessa, quasi a volerlo cullare, rassicurare.
Il cane era evidentemente morto: la lingua ormai bluastra che pendeva tra le zanne, gli occhi sbarrati, il sangue che colava da una delle narici e l'assenza di alcun movimento toracico ne erano la prova. Non poteva affatto trattarsi di una morte apparente in cui spesso cadevano gli animali dopo un urto violento. Merlin era morto. Ecco perché Sarah, nel labirinto, si era infuriata tanto a una sua, apparentemente ingenua, domanda.
L'impotenza lo vincolava a vedere un evento già avvenuto, quando avrebbe voluto solo correre ad abbracciarla e cancellarle l'orrore che aveva negli occhi, affogandone il pianto sul suo petto. Ma anche se avesse provato a muoversi, oltre a essere vincolato nella realtà, egli non avrebbe potuto comunque modificare alcunché, aumentando la sua frustrazione. Strinse i pugni lungo i fianchi, pronto a ingoiare ogni boccone amaro che quell'operazione gli avesse proposto.
“Re di Goblin...” la sentì biascicare tra le lacrime, le spalle scosse dal pianto “...aiutami...” Jareth serrò la mascella. Quando era successo tutto quello? Lui dov'era? Perché non accorreva? Poi si ricordò di essere stato incosciente per mesi. Mesi che nell'Aboveground erano stati anni. “Re di Goblin!” urlò ancora la ragazza, rovesciando la testa indietro “Aiutami!” Il volto segnato dal dolore e rigato dalle lacrime di una giovane Sarah di circa vent'anni, si espose alla pioggia che continuava a cadere, incurante di tutto. “Aiutami...” ripeté. L'immagine tremolò sotto di sé, come un televisore durante una tempesta, la cui antenna fosse colpita da un fulmine.
“Ricorda, Sarah...ricorda...” incitò ancora, gentile, la voce del fratello.
L'immagine si stabilizzò e proseguì nella sua narrazione.
Qualcuno apparve, in effetti, al cospetto di Sarah. La mano libera infilata nel lungo trench avorio, l'altra stretta sul manico di un largo ombrello rosso. Restò immobile a fissarla per un po'. Quindi la coprì e si inginocchiò davanti a lei “Hai bisogno di una mano?” domandò gentile.
La ragazza alzò gli occhi annacquati e vacui. La delusione era riuscita a scavalcare il dolore “I...io....” mormorò abbassando lo sguardo “Sì...credo di sì...”
“Allora reggi...” disse detto l'uomo, passandole l'ombrello. Lei era rimasta incerta a fissarlo, come se non capisse bene le sue intenzioni. Quindi lo afferrò tremante. Lui le passò subito anche il soprabito, si rimboccò le maniche della maglia e, con gesti esperti, infilò le braccia sotto il corpo dell'animale. Quindi si tirò in piedi con un movimento fluido “Apri il bagagliaio, per cortesia...” Disse avviandosi verso un'auto sportiva nera parcheggiata lì vicino. Gli interni erano di pelle rossa, così come i freni a disco visibili tra i raggi dei cerchioni. Sarah armeggiò impacciata con lo sportello che, infine, si aprì di scatto, rivelando un vano foderato di tanti sacchetti di plastica. Lui ci adagiò il corpo, richiuse e con tono concitato la invitò a salire. Il motore già rombava sotto il cofano quando Sarah, inebetita, aveva chiuso la portiera. Erano partiti a razzo in una serpentina veloce e sicura tra il traffico della cittadina che, in pochi anni, aveva decuplicato il suo parco macchine. Solo quando erano già in marcia la ragazza si avvide dell'adesivo che campeggiava in un angolo del parabrezza: la croce azzurra veterinaria.
“Abiti lì vicino?” domandò lui scalando la marcia e inserendo la freccia, preparandosi al sorpasso. Sarah aveva annuito appena “Dopo chiamerai casa, allora...”
L'auto si fermò improvvisamente, ma non inchiodando, davanti alla clinica della zona. Scese velocemente, imitando l'uomo che l'aveva condotta fin là e che stava già estraendo Merlin dal bagagliaio. L'ultima volta che ce lo aveva condotto era stato per l'annuale richiamo. E ricordava distintamente che il medico era un signore un po' burbero sulla cinquantina. Alzò lo sguardo sul suo accompagnatore che stava aprendo la porta con una spallata. Lo seguì in una delle stanze asettiche dove lo vide deporre il corpo. Con movimenti rapidi e sicuri, afferrò la propria attrezzatura e lo esaminò.
Sarah rimase tutto il tempo appoggiata alla parete, pregando che confutasse la sua diagnosi. Ma quando lui sbuffò appoggiandosi al tavolo di metallo capì che non c'era nulla da fare. Si sentì mancare e cercò istintivamente l'appoggio della sedia più vicina. “Mi dispiace” le disse lui. Rimase con lo sguardo fisso su un punto imprecisato della parete davanti per qualche secondo, quindi si ridestò e con una calma che non si sentiva, si alzò, si avvicinò al tavolo, carezzò appena la testa di quello che era stato il suo fedele compagno di giochi. Fissò poi lo sguardo in quello rosso del medico “Non devo firmare qualche carta per denunciarne...il … decesso?” disse senza quasi farsi interrompere dai singhiozzi. Lui annuì e sparì dalla porta, lasciandoli soli. Sarah aggirò il tavolo per poter guardare meglio un ultima volta il suo amico. Si poggiò al tavolo freddo, cercando la forza per non crollare.
Il medico aspettò che avesse finito di piangere, quindi rientrò nella stanza porgendole fazzoletti, telefono cordless e documenti.
“Se vuoi scrivo io...intanto che tu telefoni” le disse indicando il telefono con uno sguardo. Uscì in strada a telefonare, tirò su col naso e guardò il cielo plumbeo, cercando la forza per affrontare quella conversazione. Era una zona relativamente tranquilla e appartata.
Chiamò suo padre direttamente al lavoro.
“Sarah, cosa c'è?” domandò Robert quando sentì la voce incrinata della figlia
“Papà...io ...sono in ambulatorio...Merlin...Merlin è stato investito...” disse scoppiando nuovamente in singulti “Ha attraversato la strada insieme a me, come sempre...un pochino dietro, forse, ma...non si sono fermati...non c'erano macchine...ho guardato bene! Lo giuro!”
“Sarah...shhh Sarah ascoltami...vengo subito a prenderti...ma, ascoltami: se quello che mi hai detto è vero, vuol dire che andavano davvero veloci. E che al posto di Merlin, ora, potresti esserci tu, stesa su un tavolo d'obitorio”
“Sarebbe stato meglio!” replicò lei disperata “Non posso vivere senza Merlin...era ...tutto per me... papà!!” urlò piangendo
L'uomo, dall'altra parte del telefono tacque, potendo solo immaginare il dolore della figlia che si era attaccata così tanto a quel cane.
“Te ne prenderò un altro...” disse nel tentativo di calmarla
“Non lo voglio un altro! Voglio Merlin...e me l'hanno portato via, papà...” il suo era un pianto disperato, straziante. Non resistendo oltre, Robert riagganciò promettendole di essere da lei in mezzora.
Sarah rientrò esausta nella clinica. Trovò il medico che l'aspettava, paziente.
“Le chiedo scusa...” disse porgendogli il telefono
“Non ti preoccupare...non sei la prima né l'ultima. E' normale essere sconvolti...” le disse facendola accomodare in un'altra stanza che sembrava un ufficio: era attrezzato di raccoglitori, computer e stampante ad aghi. Dal bollitore prese un bicchiere d'acqua e glielo porse insieme a delle bustine di tè. Sarah si sentì avvampare per quella gentilezza. Ringraziò e accettò. Stava per chiedergli altro quando lui la anticipò
“Va un po' meglio?” lei annuì grata in risposta “Se ti stai preoccupando delle formalità, non devi proprio pensarci...è compito nostro anche quello. E potrai venire quando vuoi. A trovarlo” specificò “La tua è una zona residenziale, non puoi certo metterti a scavare buche profonde tre metri...lo terremo noi...”
“Grazie, Dottore...” rispose. Quell'uomo le stava dando tutto ciò che avrebbe sempre desiderato dalle persone attorno a sé: un po' di comprensione e un briciolo di attenzione. Sembrava trattarla come una persona viva, non come un numero qual'era quando andava a fare la spesa, in posta, a scuola...
A scuola le avevano detto quanto potessero essere freddi i veterinari in quelle occasioni, abituati com'erano a scene di quel tipo. Aveva sempre temuto quel momento e, fortunatamente, non si era imbattuta in uno di quegli algidi figuri che trattavano la morte di animale d'affezione come una pratica seccante. Quel dottore era diverso, era...umano.
Lui ridacchiò, nervoso e divertito “Chiamami Rajeth...sono di poco più grande di te...”


La scena prese ad avvolgersi velocemente in avanti. Jareth vide la sua Sarah chiusa nella sua camera da letto, raggomitolata nel letto a baldacchino. Aveva rispolverato un paio dei suoi pupazzi e vi aveva dormito abbracciata per lunghe notti. La vide dimagrire visibilmente, tornare alla clinica più e più volte, spesso tentata di saltare anche le lezioni dell'ultimo anno, tanto....
La vide guardare i tabelloni dei voti, scoprire di non essere stata promossa e rimanere imperturbata dalla cosa: se l'aspettava. Il dolore di quella perdita le aveva impedito di concentrarsi adeguatamente sullo studio. La vide assorbire come un muro di gomma le lamentele di Karen. E la vide tornare ancora, ancora e ancora, nell'unico luogo che le aveva dato un po' di conforto in tutta la sua vita.
La vide rifiutarsi di avvicinare altri animali, terrorizzata all'idea di soffrire ancora in quel modo.
Ma la domanda che più di ogni altra gli affollava la mente era una sola: come faceva suo fratello Rajeth, reggente in seconda a Goblin City, a comparire così di frequente nell'Aboveground? E come faceva a essere così ben integrato in quel mondo?




1    Tanto per capire a che forma di partenza faccio riferimento: Vesica Piscis
Per il talismano in sé, andate a rivedervi quella specie di sito che ho: ci sono Rajeth e Sarah. Su di lui non si vede granché, mentre su di lei si vede il medaglione (di Rajeth) rovesciato, con la goccia in alto. L'idea è quella che da un unico amuleto a forma di mandorla (o vesica piscis) se ne siano ottenuti due diversi. Se prolungate idealmente le punte del falcetto di Jay, ottenete la goccia rovesciata di Raj (più il calco di quello di Jay, per permettere l'aggancio tra loro dei due amuleti)



- -
- - - - - - - - - - - -

Ok, sì, lo so. Non è chiarissimo cosa è successo a Jareth, vero? bene, sono contenta, perchè è una cosa voluta. Ovvero... vediamo se riesco a spiegarmi. In molti casi la mia idea è più cinematografica che letteraria, quindi alcune descrizioni non riesco a renderle bene, perchè le vedo più  come suggestioni e spiegarle nel dettaglio appesantirebbe il tutto. Miriam era solo un personaggio di contorno che, di proposito, non avevo approfondito.  
:( vabbè, non riesco a spiegarmi, ma spero che la cosa sia più o meno chiara... e anche cosa è successo nel racconto (tra un capitolo e l'altro...un piccolo Missing Moment).
Ma veniamo alla storia principale... A Jareth non succede nulla di brutto (per ora XD). Ma Rajeth gli gioca un brutto tiro. Cosa avrà in mente? Eh eh eh eh eh
continuate a leggere e lo scoprirete.
(ricordatevi che sarà un'escalation di cose poco piacevoli-per voi- e che, comunque, nulla è come appare. E Jareth è un fetente imbroglione di prima categoria. E suo fratello non sarà certo da meno, vero? XD ok, emigro! ciaooo)
Baci!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Black Shadow ***


30. Black Shadow




Una risata divertita si propagò nella sua testa mentre le immagini scorrevano veloci in avanti.
“Jareth mi sorprendi...” echeggiò Rajeth, divertito “Che problemi ti poni? Secondo te io cosa ho fatto per tutti e trecento gli anni del tuo regno?” domandò con acredine “Trecento anni di esilio forzato? Ho vissuto in giro per i vari regni, in particolar modo nell'Aboveground. Tu venivi istruito a corte e io, in quanto tuo sostituto, dovevo pur conoscere il mondo con cui, forse, avrei avuto a che fare, un giorno lontano... Tu ti lamenti per qualche mese passato in superficie senza i comfort della magia! La tua ombra si è creato una vita, ha acquisito conoscenze... E quando Sarah ha invocato il re di Goblin... beh... in quel momento tu giacevi infermo privo di conoscenza. Il mio ruolo era solo temporaneo, dovevo adempiere solo al minimo indispensabile. Non ero ancora re a tutti gli effetti, come quando sei stato spedito nell'Aboveground... Avevo i miei impegni... Far comparire la mia auto, quindi, era uno scherzo da ragazzi e narcotizzare gli umani ogni volta che Sarah si recava in ambulatorio ancora più semplice... Forse..” disse facendo il finto tonto che raggiunge l'illuminazione “...ti stai domandando proprio come facessi a sapere quando lei vi si recasse? Quando mi ha convocato, sono rimasto sinceramente sorpreso. Chi può essere il folle che chiama due volte il re di Goblin? La riconobbi subito, nonostante fosse cresciuta e ne rimasi affascinato: lei era riuscita a batterti, era bella come si diceva e... beh... ero curioso di capire che persona potesse essere e direi che, osservandola... da umano ad umana... credo di essermi innamorato di lei... per questo lunghissimo anno l'ho seguita sempre, arrivando quasi a non chiudere mai occhio: l'ho vista crescere e fiorire. Direi di avere quasi più diritto di te, ad averla. Potrei anche proporti un baratto... che ne dici? Ti lascio il regno, in cambio. Ti avviso, se la risposta dovesse essere negativa... preparati ad affrontarmi davvero come un nemico. Non mi farei scrupoli... fratello. Non temere... non pretendo una risposta immediata. Ti lascio ancora un po' di tempo per riflettere...”
Quindi il nastro si interruppe ancora.


Era una calda sera d'estate.
Sarah aspettava impaziente davanti alla solita clinica in un semplice e grazioso abitino di cotone tutto balze e trine. Sembrava più grande, ora... non molti anni prima del loro nuovo incontro.
“Scusa, ci ho messo un po'...” l'aveva salutata Rajeth comparendo dal nulla. Armeggiò un attimo con le chiavi, chiudendo la porta di ingresso.
“Non ti ho sentito arrivare...” rispose la giovane con un sorriso divertito
“Sono magico, io” rispose l'altro di rimando
“Potrei aspettarmi di tutto da te...” fu la risposta sempre più divertita della ragazza.
Andavano tremendamente d'accordo, sembravano davvero amici di vecchia data. E stavano davvero molto bene, assieme.
“Non dire cose di cui potresti pentirti...” la redarguì lui, tra il serio e il faceto
“Ho più paura di quello che credi, di ciò che mi esce di bocca...” rispose lei
Rajeth, chino sulla serratura, le lanciò uno sguardo indecifrabile.
“E ora cosa ho detto?” domandò la ragazza, perplessa
“Meglio che non te lo dica...” rispose lui con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
“Dai...non puoi dirmi così! Ora sono anche più curiosa!” si imbronciò lei, piantando le mani sui fianchi, indispettita “E poi cos'è quella sacca? E' enorme! Dove devi andare?”
“Ma non puoi stare un po' buona e aspettare i tempi della gente?” la folgorò Rajeth esasperato dalla sua curiosità. Lei rise di rimando e lui sbuffò. “E va bene... tanto non te lo posso nascondere a lungo...” bofonchiò chinandosi sulla sacca nera. Aprì la zip con movimento fluido e ne estrasse un fagottino altrettanto scuro “Non so se sei pronta ma...beh...” disse esponendo alla luce del sole morente quanto stringeva in braccio. A terra raggomitolato su se stesso c'era un cucciolo di lupo nero. Le porse il guinzaglio di cuoio “Se lo vuoi... è tuo... mia preziosa...”
Sarah si era inginocchiata a osservare meglio quella piccola cosina nera che si stava svegliando e stiracchiando. Il riflesso degli occhi gialli dell'animale calamitò il suo sguardo. Con la coda dell'occhio notò che la codina aveva preso a spazzare velocemente il terreno. Diede un piccolo abbaio, si mise in piedi, quindi le si arrampicò su per la gamba, saltellando per raggiungere col musino umido la sua faccia.
“Allora?” domandò ancora Rajeth, impaziente e preoccupato “Guarda che altrimenti lo tengo io...”
“Posso davvero?” domandò lei con occhi lucidi
“Beh...credevo che dopo Merlin...” rispose lui
“Certo che lo voglio! E'... è troppo carino!” e così dicendo lo abbracciò d'istinto per strapazzarlo di coccole. Il cucciolo, non ancora abituato a quel tipo di atteggiamento, si divincolò dalla presa, fino a cadere con un tonfo sordo a terra. Si rialzò e abbaiò violentemente, codino a uncino che svettava in cima al sedere, muso e zampe anteriori protese in avanti, quasi a sfidarla.
Rajeth, dopo aver riposto il trasportino nella sua auto, si sedette per terra, aspettando che i due familiarizzassero. Sarah non si fece problemi a buttarsi per terra col cane, carponi, nonostante l'abitino carino.
“Dai...vi accompagno a casa...” disse Rajeth tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi. Si avviarono a piedi verso il quartiere residenziale, fianco a fianco, col cagnetto che già tirava al guinzaglio
“Però poi tu devi tornare da solo...” protestò Sarah, più d'una volta
“Non ti preoccupare” rispose lui con un alzata di spalle “Oggi vado dai miei...”
“Davvero? E abitano in zona?” aveva domandato la ragazza, ignara di tutto
A due passi...” aveva detto ridendo Rajeth e un insulto era passato nella mente di Jareth
“E... lui da dove viene?” domandò la ragazza, dopo qualche metro, indicando il cane
“Oh... un mio... amico... ha avuto la cucciolata... e questo era un po' sotto peso e non potevano tenerlo... sai, la caccia...” disse con fare allusivo.
Allora Jareth si ricordò: poco prima che fosse dimesso e spedito nel mondo umano -i tempi coincidevano alla perfezione- Garmr1, che con i suoi figli presiedeva i confini di tutto l'Underground, aveva figliato ancora una volta. Uno dei cuccioli era sparito, ritenuto troppo debole per sopravvivere. Quindi era stata opera di Rahjeth; lui l'aveva portato nell'Aboveground. Un ragionamento sensato e molto umano: i pochi mesi che avrebbe potuto vivere nel sottosuolo sarebbero stati anni umani, durante i quali avrebbe avuto tutto il tempo di rimettersi in forze.
Stavano camminando tranquillamente in silenzio quando per qualche motivo, Sarah sentì il bisogno di prendere Rajeth per mano. Chinò la testa, visibilmente imbarazzata.
“Grazie” sussurrò “Grazie per tutto...” disse alzando lo sguardo su di lui “..per essermi stato dietro ed esserti preso così cura di una ragazzina tanto problematica...”
“Non sei poi molto più giovane di me..” replicò lui distogliendo lo sguardo in evidente difficoltà
“Ecco... una cosa che non ho mai capito... di che anno sei? Perché quando ci siamo conosciuti, praticavi già...” domandò dubbiosa
“Avevo appena cominciato... ero solo un apprendista sbarbatello fresco fresco della facoltà di medicina... avevo...” esitò, facendo rapidamente due conti. Non riusciva in alcun modo a farli quadrare, quindi improvvisò “Sai... io ero un piccolo genio..”
“Scusa tanto se mi son fatta bocciare!” replicò lei indispettita “E non mi hai ancora risposto...”
“Se ti dicessi che ora ne ho ventisette2?”
Lei si incupì “Sì... sei un piccolo genio...” borbottò.
“Su su...hai appena cominciato l'università e già ti deprimi?” Ridacchiò lui.
Passarono davanti a un locale, dalla cui porta aperta uscivano le note melodiose del live che si svolgeva all'interno. Riconobbe subito la musica arabeggiante e l'interferenza che essa cercava di esercitare: Jareth, consciamente o meno, cercava di riaffiorare nei suoi, di lei, ricordi.
Istintivamente, le strinse la mano: non gliel'avrebbe ceduta così facilmente.
“Cosa c'è?” domandò perplessa la mora, notando il suo comportamento strano

In the shadow of the moon,3
She danced in the starlight
Whispering a haunting tune
To the night...

[All'ombra della luna/lei danzava alla luce delle stelle/sussurrando una melodia incancellabile/ alla notte]

“Reciti ancora di notte, sotto la luna4?” domandò di getto, roso dalla gelosia, dopo aver sentito le prime parole della canzone.
La sentì irrigidirsi “Come...come lo sai...?” aveva gli occhi sbarrati dalla paura

Velvet skirts spun 'round and 'round
Fire in her stare
In the woods without a sound
No one cared...

[Gonne di velluto danzano girando, girando/ il fuoco nel suo sguardo fisso/ nel boschetto privo di suoni/ nessuno se ne interessa]

“Me l'hai raccontato tu una sera... forse eri sbronza... dicesti che era la tua valvola di sfogo...” rispose Rajeth cercando di parare il colpo e ricacciare la gelosia, mentre la pensava abbracciata al fratello “Questa non era la tua preferita?”
Lei accennò una risposta affermativa “Non credevo potesse..interessarti... o che, addirittura, potessi ricordartene...”

Through the darkened fields entranced,
Music made her poor heart dance,
Thinking of a lost romance...
Long ago...

[Attraverso l'entrata dei campi oscuri/ la musica fa danzare il suo cuore/ pensando a un amore perduto/ molto tempo fa]

“Io so tutto di te... molto più di quello che immagini...” le aveva risposto lui dopo un attimo. Le si era avvicinato, spinto a muoversi da quella melodia e da quella voce di sirena che sentiva così familiare e affine.
Si chinò su di lei e la baciò, delicato a fior di labbra, quasi un bacio consolatorio, nulla di possessivo.
Nonostante tutto.
Quando si rese conto di quello che stava facendo, pensò che lei si sarebbe ritratta subito. Invece, con sua grande sorpresa, lei non si era allontanata.

Feeling lonely, feeling sad,
She cried in the moonlight.
Driven by a world gone mad
She took flight...

[Sentendosi sola, sentendosi triste/ lei piangeva alla luce della luna/ Guidata da un mondo ammattito/prese il volo]

Una lacrima, però, le aveva solcato la guancia.
Lui si era scansato immediatamente, sentendosi colpevole. Ma lei l'aveva trattenuto, stringendogli la mano di rimando: non gli permetteva di lasciarla. Si sentì in dovere di rassicurarla e assecondò la canzone. La conosceva fin troppo bene. Ricalcò le parole. Offrendogli se stesso.

"Feel no sorrow, feel no pain,
Feel no hurt, there's nothing gained...
Only love will then remain"
She would say.

[“Non sentire afflizione, pena/ ferite, nulla è garantito... / solo l'amore rimarrà”/ avrebbe voluto dire]

Lei si liberò dalla sua stretta e Rajeth pensò di aver rovinato tutto, di aver passato il segno. Ma le esili e tremanti dita della ragazza lo riagguantarono, andando ad intrecciarsi tra i lunghi capelli scuri. Lo tirò a sé e lo baciò.
La musica in sottofondo scemava verso la fine e loro sembravano essere intrappolati in una bolla insonorizzata e invisibile al mondo.


“Scommetto che la cosa ti infastidisce parecchio” La voce di Rajeth soffiò, improvvisamente, troppo vicina al suo orecchio. “Eravamo una splendida coppietta, non trovi?” disse ancora l'altro, canzonandolo. “Peccato che di lì a poco le cose sarebbero precipitate...”
Così dicendo, il nastro prese ad avvolgersi, nuovamente, a gran velocità. Non si soffermò su nessun dettaglio in particolare e si interruppe quasi subito.
Era il primo pomeriggio di una bella giornata primaverile.
La scena si svolgeva, ancora una volta, in strada al centro di un incrocio dove le lamiere contorte di un paio d'auto sembravano essere spaccature del terreno da cui fosse fuoriuscita la lava sottostante. Tutt'attorno, a mo' di cordone di sicurezza, gazzelle della polizia, camionette dei pompieri e ambulanze. Dietro quella barriera di nastri gialli e neri e di mezzi di soccorso, una grande folla si accalcava, curiosa. Appena oltre il nastro di plastica che delineava il perimetro oltre il quale i civili non potevano avvicinarsi, Sarah avanzava lentamente verso le auto sventrate. A terra diversi teli coprivano altrettanti corpi.
Si chinò, esitante. Prese un gran respiro e quando si sentì pronta, sollevò un lembo di tessuto. Immediatamente girò la testa altrove. Un poliziotto la affiancò, dicendole che non era necessario che lo facesse da sola e tutto in una volta. Ma lei si era subito riscossa e si era diretta verso il secondo corpo che le era stato indicato. Ripeté l'operazione. La reazione fu la medesima anche se riuscì a sostenere la vista della donna morta un po' più a lungo. Coprì di nuovo con cura. Con una calma che non le apparteneva, alzò lo sguardo sull'uomo in divisa e annuì soltanto “Sono loro...”
Una donna la avvicinò e la prese per le spalle, guidandola verso la volante che aspettava con i lampeggianti che giravano a vuoto, senza emettere un sibilo. Sarah fu portata in centrale dove dovette deporre e fornire tutti i dati per il decesso e la tumulazione dei due adulti.
Quei funzionari furono così freddi, sbrigativi...burocratici, da non permettere alla ragazza di elaborare il proprio lutto. Forse, si sarebbe giustificata poi, il suo sangue freddo era determinato dal fatto di non aver assistito alla tragedia in prima persona. Forse, era stata vaccinata dalla morte di Merlin. Ma quei corpi stesi sull'asfalto non le sembravano minimamente quelli dei propri genitori. Erano più simili a bambole di cera, con un colorito così emaciato da far pensare solo a delle bambole abbastanza fedeli ma per niente somiglianti.
Quando uscì dalla centrale, si avviò a casa, meditabonda. Doveva dirlo a Toby e doveva scegliere con cura le parole. Ora sarebbero stati da soli. Loro due e basta. E lei, la più grande, non poteva permettersi il lusso di dare in escandescenze come aveva fatto con Merlin, doveva assorbire con amore tutto il dolore che il fratello avrebbe espresso. Sapeva come ci si sentiva e sapeva di cosa si aveva bisogno in quel momento. Svoltato l'angolo, però, non poté impedirsi di farsi venire un groppo in gola. Forse, aveva realizzato solo in quel momento cosa comportasse realmente tutto quello che era successo. La sua, la loro vita era stravolta. Era vero che non andava a confidarsi con nessuno dei due adulti, ma... se avesse voluto, avrebbe sempre potuto. Ora non avrebbe avuto nessuno a casa che l'aspettasse e le chiedesse come stesse, nessuno da cui, eventualmente, farsi consolare e carezzare la testa. Nessuno con cui prendersela, alzare la voce o sbattere la porta qualora fosse stata irritata.
“Re di Goblin...” biascicò implorante “Aiutami! Aiutami...ti prego...” aveva detto accasciandosi contro un muro e raggomitolandosi su se stessa. Attorno a lei, la vita continuava come nulla fosse accaduto. Nessuno partecipava del suo dolore, nessuno era interessato alla sua sofferenza. Nessuno sembrava minimamente notare una ragazza distrutta sul ciglio della strada. Tutti tiravano dritto, quasi infastiditi da quella scena pietosa.
E nessun essere magico in abiti svolazzanti era comparso dinnanzi a lei.
Nessuno l'avrebbe aiutata. Quella era la vita reale e doveva rimboccarsi le maniche per uscirci: non c'erano scorciatoie fantastiche.
Alzò lo sguardo quando un frusciare di foglie aveva agitato l'albero vicino, quasi sperando che la sua fantasia infantile finalmente si realizzasse. Ma tra i rami, non c'era nessuno.
Chinò la testa, vinta dalla tristezza e dall'abbandono. “Che tu sia maledetto!” sibilò rancorosa. Si rialzò in piedi, cacciò le lacrime e si diresse verso casa.
Quando si fu allontanata, dall'albero si srotolò un lungo pitone nero la cui lingua sferzò l'aria in segno di disapprovazione. Gli occhietti verdi dardeggiarono alla luce del sole, seguendo la direzione imboccata dalla ragazza.
Le immagini mostrarono, quindi, sommariamente, Sarah che tornava a casa e parlava con Toby, lo consolava e lo faceva piangere. Ripresero a scorrere normalmente nel momento in cui si chiuse la porta della camera da letto alle spalle, sul calar del sole.
Lo scampanellio alla porta le fece fare le scale di corsa. Si precipitò alla porta e quando aprì, Rajeth era lì, trafelato. Senza dirle nulla, la abbracciò di slancio, comunicandole tutta la sua solidarietà “Mi dispiace...” le disse all'orecchio “Mi dispiace tanto...”
Lei si tirò indietro, come indebolita da quel contatto. Con occhi lucidi cercò i suoi “Come... come hai fatto a saperlo?”il sospetto e la rabbia la travolsero. Forse era davvero un essere magico. Quella somiglianza non poteva essere casuale. Ma allora perché aveva tardato tanto? Poteva davvero essere lui, sotto mentite spoglie, come aveva pensato anni prima, che giocava a fare l'essere umano? Ma perché essere così crudele, allora? Perché giocare con lei a quel modo?
“La mia radio è sintonizzata con quella delle forze dell'ordine...” disse lui solamente, perplesso dalla sua reazione.
Sentendosi una sciocca, lei si rituffò nel suo abbraccio caldo e protettivo “Perché non c'eri tu, oggi, al posto di quella manica di... di... oddio... erano così freddi... così... non gliene fregava nulla... un morto per loro è come... non è altro che un numero da aggiungere agli archivi...”
“Ti hanno trattata così male?” domandò preoccupato, avanzando in casa sua senza chiederle nemmeno il permesso
“No...quello no...mi hanno offerto anche da bere ma... non capivano...erano come seccati della mia... emotività... io..io...ho cercato di essere il più forte possibile...di...di non scoppiare a piangere..di non ...farmi tremare la voce come adesso...ma....” Non riuscì a dire altro che l'abbraccio di lui la soffocò
“Ecco perché odio gli esseri umani...” ringhiò Rajeth tra sé





1    Diciamo, in soldoni, che Garmr è il corrispettivo norreno di Cerbero

2    La vicenda si svolge, nello specifico, quando Sarah ha 21 anni. Vedo di farvi uno schema di quello che ho io nel cervello.
Ricordo che per conti errati (ma tanto nelle opere di fantasia è sempre così...si usano attori pure vecchi per ruoli di giovincelli) avevo deciso, a inizio della fic, che Jareth (e quindi anche Rajeth) ne abbia una trentina. Sarah -ve lo ricordo- ne ha 25-26.
Dunque, quando morì Merlin, Sarah ne aveva 19. Di conseguenza, Rajeth, al loro primo incontro, deve dire di averne avuti 24. Un piccolo genio potrebbe effettivamente essersi laureato per quell'età.
E cmq è una fic, fatevelo andare bene come ragionamento! XD già lui si è incasinato....perché avendo, in realtà, 300 anni, ciclicamente è costretto a ricominciare da zero il proprio percorso formativo per riuscire a sopravvivere nel mondo umano.

3    Blackmore's Night, Shadow of the moon, 1. Shadow of the moon

4    La cosa casca a fagiolo, dato che nel libro ispirato al film  “al chiar di luna […] sotto le stelle […] la ragazza si allontanò lentamente dagli alberi verso il centro della radura dove luccicava uno specchio d'acqua […] alla luce del crepuscolo






- - - - - - - - - - - - - - - - - -
E direi che con questa, ho chiuso la serie di disgrazie che hanno offuscato il passato di Sarah e Toby.
Ho chiarito anche, una volta per tutte, cosa agitasse Rajeth sin dall'inizio? :) una gran bastardata, lo so. Ma lui, sin dall'inizio, non era minimamente interessato a far del male a Sarah...
Dai...tra un mese sarà tutto finito, promesso!



Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Responsabilità e conseguenze ***


31. Responsabilità e conseguenze.




Il nastro corse ancora una volta avanti e mostrò i funerali dei signori Williams. In prima fila, Toby e Sarah ricevevano le condoglianze di amici, conoscenti, parenti e colleghi.
Di Rajeth nemmeno l'ombra.
Si incontrarono una sera, qualche giorno dopo. Lui le aveva dato appuntamento alla clinica tramite un sms. Quando si incontrarono, era vestito completamente di nero, come lei, come la notte, come il cane che lei si era portato appresso: il colore del lutto e dell'addio.
“Mi dispiace non essere stato presente...” si giustificò tenendo lo sguardo basso.
“Non..non preoccuparti...” aveva risposto con un sorriso tirato “Avrai avuto il tuo daffare...e per me hai fatto tantissimo...” disse affondando le mani nella criniera del cane già grande
“Io... credo di doverti salutare...” disse senza riuscire a guardarla negli occhi “Ho...ho avuto anch'io dei... problemi...a casa... non posso più sottrarmi ai miei doveri di capofamiglia... devo ritornare in pianta stabile e prendere in mano...”
Lei non l'aveva fatto finire “Certo...non...non ti preoccupare...capisco...”
“Non è stato un capriccio, fare il veterinario, incontrare te... voglio che questo tu ce l'abbia ben chiaro... sempre!” disse prendendole le mani e puntando su di esse lo sguardo rovente “...Non ti ho mai mentito... solo che ora... devo... tornare...”
Lei annuì, perplessa, anche il suo sguardo puntato sul dorso delle loro mani intrecciate “Ma...così, all'improvviso?”
“Così va la vita...” aveva risposto lui in un soffio “Oggi ci sei...domani...” Una goccia aveva bagnato le loro mani. Non era prevista pioggia per quella sera. Rajeth alzò gli occhi al cielo e si accorse che quella che l'aveva bagnato non era altro che una lacrima. “Non... non volevo dire...” balbettò impreparato.
“Scusami...” rispose lei, asciugandosi gli occhi “E' che... rimarrò davvero sola... se te ne vai anche tu...”
Lui serrò la mascella e strinse forte le mani di lei nelle sue “Se potessi, ti chiederei di venire con me... Ma non posso... non ancora... anzi...”
“Non preoccuparti per me... capisco...” disse con voce rotta. Certo, capiva, ma non voleva né poteva accettare anche quella separazione
“Perdonami, Sarah...” fu l'unica cosa che le disse prima di baciarla per l'ultima volta. Le mani affusolate affondavano tra i capelli scuri, all'altezza delle tempie “Davvero..che tu possa perdonarmi... mia preziosa” disse quando si staccò da lei, posandole un bacio sulla fronte. Lei lo abbracciò con trasporto ma la cosa non fece che ferirlo di più. Chiuse gli occhi e si costrinse a fare il suo dovere. Una luce accecante inondò la zona disabitata vicino all'ambulatorio.
Quando Sarah riaprì gli occhi, ancora umidi di pianto, era sola. Guardò il proprio cane, perplessa.
“Che giro lungo abbiamo fatto, eh..? Forse è il caso di rientrare... si è fatto tardi...” gli disse rivolgendogli un sorriso triste e incamminandosi sulla strada del ritorno



Piombarono, improvvisi, l'oscurità e il silenzio. Jareth era confuso e spaesato. Cosa voleva dire tutto quello a cui aveva assistito?
“Se te lo stai domandando...sì...le ho cancellato la memoria che aveva di me in tutti questi anni...” disse Rajeth emergendo dal buio. Drappeggiato di bianco, con voce tanto profonda, sembrava quasi uno spettro. “Perché?” domandò dando voce alla domanda inespressa. A quel punto anche la figura di Sarah si manifestò, immobile mentre tutti i veli del suo vestito le fluttuavano intorno. “Per il semplice motivo che io sono il tuo dannato sostituto! Non mi è concesso portare modifiche allo stato di cose in atto finché ci sei tu. Da essere umano avrei potuto fare quello che preferivo. Ma ora...questo...” disse mostrandogli il proprio pendente “Mi vincola alla tua persona. Finché sei vivo tu e finché non torni sul trono o finché non muori, io non posso fare nulla! Non potevo nemmeno rimanere nell'Aboveground perché dovevi venirci tu. Io sono sempre stato subordinato a te.”
“Cosa vuoi che faccia?” riuscì a domandare Jareth, l'effetto del narcotico stava svanendo
“Scegliere. Tra il regno e lei.” rispose senza batter ciglio
“Non pensi che la scelta dovrebbe spettare a lei? Non è un pacco che puoi passarti di mano in mano senza tener conto della sua volontà.” replicò freddo l'ex re di Goblin
“Dopo quello che hai visto...ancora non capisci?” sputò velenoso il moro “Credo che per lei sarebbe imbarazzante dover rifiutare uno dei due, non credi? Anche se ho una mezza idea di colui che verrebbe scelto... ”
“Cosa vuoi fare? Scegliere tu per lei?” sputò divertito Jareth, sfidandolo
“Precisamente...” bofonchiò il fratello
“Così non contravvieni agli ordini? Tu non puoi cambiare lo stato di cose... non finché ci sono io. Se mi uccidi modifichi lo status quo. Avresti dovuto pregare che morissi durante quest'anno... di malattia o in un incidente nel mondo umano...”
“E chi lo dice che intendo infrangere gli ordini?” replicò indispettito il moro
“Se tu ti spogliassi della tua carica, sarebbe comunque una grave mancanza... Se me la cedessi, altrettanto...” precisò il biondo
“Infatti voglio combattere ad armi pari, io...basta che lei accetti il suo ruolo di regina e allora potremo arrangiarci tra noi...” disse mellifluo
“E come pensi di fare, sono proprio curioso...” replicò Jareth
“Fratello...” rise il moro avviandosi verso Sarah e prendendola tra le braccia “Dimentichi quanto possa essere potente un mio bacio?”
Prima che il biondo potesse dire nulla, Rajeth si era già avventato sul collo della ragazza. Un dolore lancinante colpì, però, tutti e tre “Così siamo tutti nella stessa barca... mal comune... è come se non ci fosse per nessuno, giusto?”
“Non stiamo parlando di matematica!” replicò Jareth immobile, impossibilitato anche a portarsi una mano alla spalla dolorante “Cosa le hai fatto?” ringhiò mentre Rajeth si andava a sistemare ai suoi piedi, in attesa.
“Vi ho indotto un sogno lucido. In cui lei sceglierà di prendere il proprio posto. O di cedere a te il comando senza che io debba per forza intervenire...” fu la risposta del moro, prima che si girasse su un fianco, cercando di dormire.
“Vi? Che vuol dire?” domandò confuso il biondo
Rajeth sbuffò e si voltò “Da sola di certo non può sognare nulla... mando anche te nella stessa dimensione... ovviamente non ricorderete nulla di quanto accaduto qui e ora, non saprete di essere in un sogno indotto... sennò potresti condizionarla... vi ricorderete tutto al risveglio, non temere! Io vi aspetto qui.”
“Tu non hai alcun potere...” ringhiò Jareth pensando di essere preso per il naso
“Oh, sì certo... io non posso nulla... ma se tu passeggi sopra l'erba dello smarrimento1, caro mio... non posso che approfittarne...” sghignazzò Rajeth incrociando le braccia al petto.
Jareth abbassò lo sguardo e si rese conto di essere sospeso su un praticello ben curato e di starci fluttuando sopra. “Vedi di non gettare al vento il regalo del tuo adorato fratellino...” Gli sentì dire mentre le palpebre si erano fatte improvvisamente pesanti e la vista annebbiata. Subito dopo, il nulla.


Aprì gli occhi di scatto appena una brezza leggera gli accarezzò la pelle. Si sentiva attanagliare lo stomaco in una morsa d'angoscia. Strano. Era tutto così calmo, sotto quei bellissimi alberi in fiore. Forse era stato il sogno. Sì, doveva essere così. Erano precipitati nel buco e dovevano aver dormito. Peccato non ricordasse cosa avesse sognato.
Carezzò distrattamente i capelli aggrovigliati della mora stesa su di lui. Aveva, stranamente, deciso di farlo. Non aveva più alcuna esitazione e non aveva la minima intenzione di aspettare l'eternità perché lei capisse.
Sarah si mosse insonnolita e schiuse gli occhi, trovandosi quelli di lui piantati addosso, nessuna espressione particolare sul bel volto candido. Fu forse questo a non farla scattare immediatamente lontana da lui “Che è successo?” domandò soltanto, sconcertata
“Hai... abbiamo dormito...” rispose lui dopo un po', incerto “Non ricordo molto bene...” Lei distolse lo sguardo. Qualcosa la preoccupava. “Che hai?”
Sarah esitò, incerta “Ho fatto un sogno...uno strano sogno. Mi ha ricordato cose che avevo dimenticato...” A quelle parole Jareth storse le labbra e tacque, altrimenti avrebbe dovuto darle troppe spiegazioni. Sapeva benissimo a cosa si stava riferendo: anche lui aveva una spiacevole sensazione al riguardo e più di un sospetto. “Mi ero quasi dimenticata di uno dei miei ex...non che nessuno lo sia mai stato davvero...erano più delle fantasie, in particolar modo questa...” borbottò tra sé e sé
“Sì, certo, quella la chiami fantasia...” sibilò infastidito lui, rivedendo, in un flash che credette frutto solo della propria immaginazione, Rajeth baciarla. E in un modo troppo tenero per appartenere al fratello
“Sei geloso?” lo canzonò lei, scettica, girandosi a guardarlo
“Non dovrei?” replicò lui seccato cercando di evitare il suo sguardo curioso
“Non vedo perché dovresti esserlo, semmai...” rispose tornando a osservare la danza di luci e ombre delle foglie e dei fiori sopra di loro. Stare stesa così, a parlare e discutere con lui non gli dispiaceva affatto. Aveva un ché di nostalgico. Di familiare.
Non avevano alcuna fretta.
O forse sì? Fece spallucce. Quella calma non poteva nascondere nessun tranello
“Certo che se a te non sbattono le cose in faccia proprio non le capisci, vero?” ringhiò lui seccato, infilandole una mano sotto la testa, per farla alzare. O almeno per darsi modo di togliersi e di smettere di essere usato come cuscino. “Anzi... non capisci nemmeno quando la gente mendica la tua attenzione, prostrato ai tuoi piedi...”
“Perché sei arrabbiato adesso?” replicò lei, girandosi e inarcandosi sulle mani per osservarlo meglio.
Jareth si passò stancamente una mano sugli occhi, esasperato dalla sua stupidità “Vieni a parlare a me del tuo ex...”
“Oh, giusto, scusate, Maestà...dimenticavo che questi possono essere discorsi troppo triviali per un uomo della vostra levatura...” replicò lei ributtandosi a terra, supina “Volevo solo condividere con te quello che mi era successo... poi mi accusi di non parlarti...”
“Non è per il mio rango che sono infastidito...” replicò lui poggiandosi al tronco dell'albero in cerca di sostegno “Tu proprio non capisci quanto la tua... stupidità possa essere snervante...”
“Sarò anche stupida, ma ho capito che hai un'alta considerazione della sottoscritta...” replicò in risposta lei, tirandosi a sedere. Si era stancata di rimanere buona buona a prendersi parole da quel biondo arrogante “Spicciamoci ad arrivare a destinazione, così potrai liberarti del peso che ti trascini dietro.” Sì, avevano una meta. Ma nessuna fretta, purtroppo.
“Invece non ci muoviamo da qui fintanto che non avrai capito di cosa sto parlando!” disse con tono freddo e tagliente lui, penetrandola con un'occhiata di fuoco “E poco mi frega di esaurire il tempo a tua disposizione... Quello che ho sempre voluto, in realtà, era che tu diventassi una di noi, per sempre...”
Sarah si alzò, furente, mani piantate sui fianchi, a fronteggiarlo “E cosa ti avrei fatto io perché tu, potente mago dell'Underground, potessi essere così infastidito da un'adolescente da volerla addirittura tramutare in Goblin?”
“Chi ha mai parlato di trasformarti in Goblin?” replicò lui piccato
“Ma quella volta tu hai detto...”
“Quella volta, come ora, mia cara, non ho specificato a quale razza, tu e Toby, sareste entrati a far parte... davo per scontato che sapessi la differenza tra maghi, goblin, fate, nani, troll... e fae più in generale...” Vedendo che lei rimaneva a guardarlo a bocca aperta, decise di continuare “Diventeresti solo un essere magico... alla peggio, un essere intermedio come noi maghi. Non mi permetterei mai di trasformarti in un'orrida creatura...”
“Ma... allora... i goblin...? I bambini rapiti...?” Sarah sembrava confusa, come se ogni sua certezza fosse crollata di colpo
Jareth sbuffò “I goblin sono una delle tante razze fae, come chiamate voi gli esseri fatati in generale. I bambini rapiti vengono adottati dalle famiglie che ne fanno richiesta. Vivono sereni, normalmente mescolati a tutte le altre creature. Tu stessa non hai avuto problemi a relazionarti con un nano, un troll e … uno come Sir Dydimus...” le fece notare “Il fatto di essere umani non è che un dettaglio, come da te lo sono i capelli biondi o mori. La differenza, però, tra umani e fae, sta nel fatto che i secondi hanno trascorso qui almeno 13 ore. Precisamente, sotto la mia custodia. Io sono l'intermediario tra il mondo umano e il mondo magico. I goblin sono i miei assistenti.
Altri maghi hanno compiti simili, non sono certo da solo a sbrigare tutto il lavoro. Almeno... era vero un tempo, quando le richieste erano incessanti. Figli bastardi di nobili a cui avrebbero solo rovinato la reputazione, figli di famiglie povere che non potevano sfamarli, figli di donne troppo giovani per essere madri, il più delle volte con storie agghiaccianti alle spalle che era meglio non trasmettere al nascituro. Su di noi grava la rabbia di coloro che non riescono a riprendersi ciò che cedono troppo facilmente come quella di coloro di noi che aspettano con ansia un erede e non vedono soddisfatte le loro richieste. E' un compito ingrato. Vedi... il ciclo di vita dei fae si è alterato a causa della mancanza di fiducia del genere umano. Per preservare la specie, la vita si è improvvisamente allungata vistosamente. Ma la fertilità è crollata. Gli esseri umani, da sempre, hanno rappresentato un ottima opportunità di rimescolare il patrimonio genetico, rendendolo più forte e variegato, aggiungendo, con esso, le caratteristiche tipiche degli umani...” Sarah continuava a fissarlo inebetita, rapita da quella spiegazione “Certo... normalmente i bambini vengono dati a razze compatibili, antropomorfe, come gli elfi, tanto per fare un esempio... Ma... tu sai come si diventa maghi, vero?” domandò all'improvviso.
Sarah scosse la testa. Erano i demiurghi tra il mondo della magia e il mondo umano. Dubitava fortemente che si trattasse di qualcosa di innato, che andassero a scuola e si applicassero dietro a un calderone dopo aver ricevuto una lettera un bel giorno d'estate.
Jareth assottigliò gli occhi. Ormai non aveva più senso tacerle la verità. Era una buona occasione per spiegarle tutto “Qualunque umano può diventare mago, basta che si assuma la responsabilità delle proprie azioni, in quanto diviene intermediario tra Underground e Aboveground: è come se si venisse adottati, si resta umani ma con alcuni dei poteri tipici del Piccolo Popolo. Il mago è l'unico che Garmr lascia passare senza nemmeno controllare. Il suo potere può derivare da un rituale...” tacque un attimo vedendo l'espressione divertita della ragazza “Tu stessa ne hai usato uno, per richiamarmi, dieci anni fa..” precisò, mettendola a tacere e continuando nella sua spiegazione “Il potere può anche essere concesso da quello che un umano può ritenere un semplice animale. Che in realtà nasconde un altro mago, in realtà. E questo, ancora una volta, fa al caso nostro. Io ti donai dei poteri, poteri con cui si sarebbe stabilito un legame, tra noi. Ma lo feci sotto le mentite spoglie del mio sembiante. Come ogni buon intermediario, il mago è anche guida per i suoi assistiti. Un Virgilio o una Beatrice per il povero poeta. Il mago non, ripeto NON, punisce. Guida, mette alla prova. Non è mai ostile all'umano”
“E cosa c'entra questo con me? E con Toby?” alitò lei, avida di conoscenza nonostante non condividesse appieno il giudizio così magnanimo sull'operato del biondo.
A quella domanda, Jareth esitò. Ora metteva in dubbio l'urgenza che avvertiva nel volerle rivelare ogni cosa. Sospirò e rispose “Su di noi...” sillabò piano “Grava una maledizione, che ci trasciniamo dietro da molte generazioni. Io e Rajeth apparteniamo alla settima, precisamente. E, nella nostra duplice natura gemellare siamo una strana anomalia. La maledizione che ci ha colpiti ci ha confinati all'interno di questo ruolo ingrato che nessuno vuole. Rapire i bambini ed essere considerato da tutti il cattivo, anche dalla propria gente, può essere più difficile da sopportare di quanto non si pensi. La colpa di cui si macchiarono i nostri antenati fu estremamente grave per il ruolo che ricoprivano. I maghi, essendo intermediari interrazziali dovrebbero essere al di sopra delle parti, non solo umane e magiche, ma anche tra forze benigne e maligne.” Sarah annuì. Fino a quel punto la spiegazione era stata semplice “Ci sono numerose dispute nell'Underground. Elfi di Sinadon2 contro Elfi dei Tumuli3, Grogach4 e Kornandonnezed5 contro i Sostituti6. Noi, o meglio, coloro i quali non sono stati colpiti da maledizioni invalidanti come la nostra, dobbiamo supervisionare gli scontri, fornire consigli e aiuti indipendentemente dalle proprie simpatie, cercando di mantenere inalterati gli equilibri cosmici. A ogni aiuto fornito è sempre contrapposto un equo pagamento... nulla è gratuito, in nessun regno, né da voi, né da noi e neanche tra gli animali”
“Myrddin Emrys e Uther Pendragon7...” biascicò Sarah illuminandosi.
Jareth annuì “Esattamente.”
“E quale sarebbe stata la vostra colpa?” domandò Sarah rimettendosi a sedere sul prato, ansiosa di ricevere quante più spiegazioni fosse riuscita a strappargli di bocca
“Si rifiutarono di aiutare un collega provato da uno scontro. Per semplice vanità. Bada, la vanità è un peccato superiore all'invidia, allo schierarsi apertamente per una parte e anche al desiderio di morte dell'avversario. La vanità è grave perché non ha reale ragion d'essere, è fine a se stessa.”
“E quindi?” lo incalzò, insoddisfatta della risposta
“Come credo tu sappia, i maghi hanno, solitamente, un sembiante alato. In particolare rapaci notturni, considerati da sempre animali sacri agli dei della conoscenza...”
“Come Atena...”
“...Sì...Atena era la dea della conoscenza e della strategia guerresca... I rapaci notturni, a differenza di quelli diurni, come l'aquila e il falco, vedono nella notte ciò che sfugge all'occhio normale. Per contro, proprio perché fuggono la luce del giorno, sono considerati -da alcuni- maligni. Quindi...” riprese il filo del discorso come se fosse stata una lezione di quelle a cui aveva assistito nei suoi pochi mesi umani “I rapaci sono la nostra forma animale. Non per tutti, ovviamente, ci sono delle eccezioni. La forma di Rajeth è il serpente. Anch'esso, però, considerato portatore di grande saggezza, animale femminile e maschile insieme, oscuro e tentatore venefico come generatore di vita... Rajeth è la mia ombra, il mio sostituto. Lui, come il serpente, non può morire. Non prima di me, almeno.”
“Il serpente è vitale per via della muta della pelle....” Sarah si inserì nel discorso inconsapevolmente, come se fosse stata in trance “E il cervo allo stesso modo...”
“Precisamente.” confermò il biondo annuendo “Se anche dovesse morire, rinascerebbe. Per potermi sempre sostituire. Ma questo, ti dicevo, è un caso particolare.”
“La colpa... non mi hai detto cosa si rifiutarono di fare, per vanità, i tuoi avi...” lo interruppe Sarah
“Giusto.” annuì lui recuperando i fili del discorso “A questo mago, il cui sembiante era uno scricciolo, rimasto gravemente ferito in non mi ricordo più quale scontro epocale tra creature mitologiche, tutti i maghi donarono le proprie piume affinché potesse ricomporsi, guarire e, infine, tornare alla sua forma umana. Solo una coppia non collaborò, troppo altera e sprezzante, chiusa nella torre d'avorio della propria saggezza superiore. Il barbagianni, il cui piumaggio era troppo bello, elegante e candido per essere insozzato dal corpo martoriato dalle bruciature e confuso nel nuovo piumaggio arlecchinato composto dall'unione di tutti. Questa renitenza comportò l'immediata messa al bando e punizione per loro e le generazioni successive8...”
“Così, in effetti, la tua strafottenza trova una sua giustificazione...” borbottò tra sé la ragazza. Quando lui la folgorò con uno sguardo per l'interruzione, corse a tapparsi la bocca con la mano, promettendo, a gesti, di non interromperlo più.
“Chi lanciò la maledizione impose un lungo tempo di riflessione e una condizione perché si potesse risolvere il tutto. Ovviamente allo scadere delle sette generazioni le condizioni sono particolarmente favorevoli...” riprese lui, guardandola, ora, con dolcezza “Ognuno dei nostri predecessori ha provato a infrangere la maledizione. Tutti hanno fallito. Ma si era notata una regola generale che si ripeteva immancabilmente.
La nostra storia comincia nel 1700, quando nascemmo io e Rajeth. Eravamo gemelli, figli di seconde nozze di qualche nobile, così particolari, così speculari... i nostri genitori ci dettero al re dei Goblin: nostra madre pare non avesse una gran vocazione a crescere marmocchi e si accontentava del figliastro, già grande, che si era ritrovata. In realtà nostro fratello maggiore, che all'epoca avrà avuto otto anni, affrontò il labirinto e vinse. Ma una volta che ci ebbe riportato a casa, i vecchi ci consegnarono nuovamente al re. I nostri nomi, ovviamente, non sono quelli che ricevemmo alla nascita. Non fummo nemmeno battezzati, troppo strani per essere qualcosa di non demoniaco. Non era mai capitata una situazione simile. Normalmente, se non potevano essere mantenuti, i bambini venivano abbandonati nei boschi, cibo per i lupi, o nelle ruote delle chiese. Quest'insistenza umana convinse nostro padre a tenerci. Nostro padre adottivo, intendo. Ancora una volta, un bambino salvato dalla sua vita umana fu designato come erede. Nostro fratello, invece, condusse la sua vita umana, trasmettendo le sue conoscenze ai figli e ai figli dei figli. Fino ad arrivare ai fratelli Grimm...”
“Conosco la storia...” confermò Sarah ripensando alle parole del suo professore, alle carte coi disegni, rimaste immutate nel corso dei secoli
“Al bambino, privo di alcun legame di sangue, passò il bagaglio di conoscenze che consegnò immutato ai suoi discendenti...”
“Ancora non capisco cosa c'entriamo io e Toby...” borbottò la mora
Jareth sbuffò, nervoso “Tra tutti i bambini che vengono ceduti e recuperati e l'altro bambino che gareggia per lui, c'è sempre un qualche tipo di legame: in quell'occasione il testimone della trasmissione delle conoscenze viene passato da una famiglia a un'altra: dai Grimm al figliastro che ne portò comunque il nome. Quando l'evento si verifica a cavallo della successione, come nel vostro caso – Toby è il tuo fratellastro, non appartiene propriamente al tuo ramo di discendenza – il bambino salvato diventa automaticamente il legittimo erede al trono... mentre chi rimane continua a trasmettere la conoscenza” Concluse tacendole la notizia forse più importante
“Da me a Toby? E a me come c'è arrivato? Ma soprattutto, mio fratello dovrebbe avere l'ingrato compito di accollarsi il peso di una posizione come la tua?” strepitò la mora, incredula “Non lo permetterò mai”
Jareth sbuffò ancora “Normalmente sono i bambini stessi che chiedono di farsi rapire, intorno ai dieci anni... ora dimmi...Toby quanti anni ha, precisamente? Ti ha mai fatto richieste simili?”
Il sorriso sicuro del biondo gelò il sangue nelle vene di Sarah facendole dimenticare il proprio ruolo in tutta quella vicenda. Gliel'aveva chiesto? Allo sfinimento. Aveva cercato in tutti i modi di ingannarlo, ma Toby era furbo. E testardo.
“Ora...” disse mettendosi le mani sui fianchi, soddisfatto “Visto che io sono stato onesto con te... puoi fare altrettanto?” domandò asciutto. Era un baratto, nulla di più
“Cosa vuoi?” chiese distrattamente lei, impegnata a rimuginare su quelle informazioni. Qualcosa non le quadrava. Qual'era il legame tra loro e i Grimm? Solo il fatto che fossero gli strizzacervelli che li avevano avuti in cura alla morte dei genitori?
“Tornare all'argomento di partenza... la tua assoluta insensibilità per certi argomenti...” disse andando ad inginocchiarsi davanti a lei e piantando le mani sul prato sottostante, intrappolandola vis-à-vis col proprio corpo in quella posizione.








1    Nelle leggende e nella tradizione folkloristica dei celti, degli anglosassoni e degli irlandesi si parla di un'erba piccolissima e sconosciuta ai più, che veniva seminata dai folletti introno ai luoghi da loro frequentati. Chi avesse calpestato quella particolare erba avrebbe cominciato a vagare per le campagne perdendo qualsiasi senso dell'orientamento.
In questo caso, ho scelto che Jareth vagasse senza meta tra la dimensione reale e quella onirica, confondendole tra loro.

2    Creati da Alan Garner, protagonisti del romanzo La luna di Gomrath, a differenza di quelli descritti da Tolkien, sono di bassa statura (meno di un metro e venti), robusti ma con arti lunghi e aggraziati. Vestono abitualmente corte tuniche, strette da una cintura e prive di maniche. Di norma camminano a piedi nudi. Alcuni di loro indossano mantelli bianchi fatti con piume d'aquila, ma più per sottolineare il proprio rango che per proteggersi. La loro arma preferita è l'arco e si servono di piccoli cavalli bianchi per spostarsi.

3    Specialisti nella lavorazioni dei metalli, conoscono a menadito tutti i segreti delle vecchie rune magiche. La loro origine è antecedente a quelle dell'uomo; infatti si dice che la loro stirpe abbia accompagnato l'evoluzione umana fin dalla nascita dei primi mammiferi sulla Terra. Hanno la particolarità di poter cambiare aspetto a loro piacimento. La pelle è bluastra, ma come i camaleonti può rapidamente mutare colore

4    Folletto dalle dimensioni di un piccolo bambino. Solitamente passeggia nudo, col corpo peloso, le spalle larghe, una grossa testa e il corpo flessibile per la mancanza di colonna vertebrale. E' molto servizievole e disponibile ad aiutare gli uomini nei lavori domestici e nella cura dei campi

5    Folletti tipici del folklore bretone. Tutte le creaturine che appartengono a questa classe si caratterizzano per le piccole corna – che non sempre hanno sulla testa ma che talora portano appese alla cintura. Abitano nei pressi di qualche albero. Malgrado abbiano una statura veramente minuscola, la tradizione vuole che siano capaci di spostare le enormi pietre dei dolmen e dei menhir. Creature dolci e poetiche, amano danzare al chiaro di luna suonando nei corni. Di fatto sono gli ultimi sopravvissuti delle antiche popolazioni pagane. Le corna di cui sono dotati li collegano a Cernunnos, il misterioso dio cervo dei Galli che si ritiene sia stato una divinità di morte e resurrezione

6    Noti anche come Changeling. Uno dei desideri più nascosti tra il Piccolo Popolo è quello di possedere e allevare un bambino. A tale proposito si racconta di scambi di neonati o di bambini in tenera età con piccoli folletti o piccole fate. Questo succede perchè molti folletti si dilettano a scambiare i loro piccoli, in genere brutti e deformi, con quelli, più belli e aggraziati, degli uomini. Sono vegetariani ma non disdegnano il latte materno. Si affezionano molto ai genitori umani adottivi, sono silenziosi e inclini alla meditazione e amano la compagnia di ragazzine con cui intrattengono rapporti molto particolari, finché le fanciulle crescono e preferiscono i ragazzi 'normali'
(in tutto questo, i libri di Amanda Hocking sono abbastanza accurati nel seguire le linee guida della leggenda anche se mescola la razza dei Sostituti con quella dei Troll e con Trylle non meglio identificati -che non sono i Troll-)

7    La leggenda...ok, UNA delle leggende, perché la storia di Artù, Tavola Rotonda, Mago Merlino è un guazzabuglio incredibile (come molte opere del periodo, nata in risposta alla mitologia che girava su Carlo Magno in Francia) di diverse versioni e spesso con fonti divergenti tra loro, diciamo che la versione più nota è quella in cui si narra come Uther Pendragon, re di Bretagna (nord della Francia, se qualcuno fosse convinto che la zona trattata sia la Gran Bretagna...), di ritorno dall'ennesima vittoria sui nemici sassoni, si ferma a pernottare presso un suo alleato, Gorlois di Cornovaglia. Lì perde la testa per la moglie di quest'ultimo, Igraine. Qua entra in gioco il mago e consigliere: nonostante sia combattuto tra l'amicizia e l'amore, Uther si fa trasformare in Gorlois, riesce a giacere con la donna (mentre il vero duca viene ucciso dall'esercito del re) e a farne la sua sposa. Il prezzo per avere la donna, però, è la cessione al mago del figlio frutto di quella notte, Artù (che quindi è realmente figlio di Uther ma tutti pensano sia di Gorlois...e il tema del figlio bastardo tornerà a più riprese)

8    Questa leggenda è ben spiegata in A. CATTABIANI, Volario, Milano, Mondadori, 2000, pagg 365-367. Inoltre, il barbagianni, oltre a rapire i bambini, rappresenta il diavolo, il ladro e l'adultero. Si dice che avvistarne uno sia presagio di tempesta e dell'arrivo di una banda di malandrini.....vi suona vagamente familiare?





- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Bene, ci stiamo avvicinando, sempre più, inesorabilmente, alla fine. A conti fatti, posterò l'ultimo capitolo prima della partenza per lo stage :3  sempre di partenza si tratta XD
Spero non sia stato troppo pesante, come capitolo, ma dovevo assolutamente spiegare, finalmente, in cosa consisteva la maledizione.
Bene...alla prossima settimana..
ciao!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Il legame ***


32. Il legame





Non voleva. Non voleva assolutamente lasciare che l'occhio le cadesse dove una strana gravità le stava attirando lo sguardo. La giacca aperta lasciava intravedere le clavicole sagomate sotto la linea sinuosa del collo. Si sentiva una maniaca. Deglutì a vuoto diverse volte prima di riuscire a spostare l'attenzione sui suoi occhi azzurri spaiati. Il suo sorrisetto divertito la irritò al punto da farle dimenticare ogni pulsione e ogni cosa gli avesse appena raccontato.
“Sarah...sii onesta una volta tanto...”
Se si fosse allungato di pochi centimetri avrebbe potuto baciarla con facilità. Ma evidentemente non era interessato, dato che rimaneva immobile in quella posizione senza abbassare lo sguardo o provare il minimo imbarazzo. “Riguardo cosa?” balbettò incerta, nel tentativo di guadagnare tempo
“Secondo te perché mi da così fastidio che tu parli del tuo ex? A parte perché assomiglia terribilmente a Rajeth” domandò in un soffio che sembrò insinuarlesi direttamente nell'orecchio. La vide sbiancare: evidentemente non si era resa conto della cosa. Nel sogno...sembrava davvero Rajeth. Ma doveva trattarsi di una sovrapposizione che aveva fatto il suo cervello “Sarah, Sarah...Tu non mi hai mai infastidito...” alzò una mano per zittire la sua protesta “...Se ti ho preso di mira, dieci anni fa, ho avuto le mie buone ragioni...” la stessa mano, già sospesa in aria, si allungò a sfiorarle la guancia “Possibile che tu non capisca? Ti ho sempre osservato. Solo l'ultimo anno mi è stato...impossibile...”
“Cos'è che non capisco?” borbottò lei, imbarazzata, cercando di fare la voce grossa
Jareth esitò “...Sai essere davvero crudele... vuoi costringermi a dirlo... non è abbastanza chiaro?”
“Cos'è che dovrebbe essere chiaro? Che ti diverti a prendermi in giro? Quello sì, è molto chiaro. Se non sei esplicito è perché quello che vuoi dire è una menzogna. E visto che qui le parole hanno il loro peso...” Le era tornata la grinta e pur di non lasciarsi ingannare era pronta a ferirlo.
Il biondo allungò la mano alla sua nuca e la afferrò saldamente, pur con dolcezza, costringendola a guardarlo negli occhi “E' perché mi vergogno, razza di stupida! Non è uno dei tuoi giochi da ragazzi...” Sospirò, cercando il coraggio per parlarle, prima di continuare “Quando, quella volta...dicesti che io non potevo nulla, su di te...” rantolò angosciato “Avevi ragione... è un dato di fatto. Ma... ti sei mai domandata perché tutto quello fosse vero?” chiese scrutandola “Perché, invece, tu avessi, eccome, potere su di me? Almeno...abbastanza da sconfiggermi? Hai mai pensato a cosa abbia voluto dire venire sconfitto?” Lei scosse la testa, improvvisamente cosciente di non aver mai valutato veramente a fondo quello che era accaduto quella volta. “Tu hai vinto semplicemente perché mi hai fatto capitolare in tutti i sensi. Non solo perché sei riuscita a riprenderti tuo fratello...Io...ero già...innamorato di te...” disse piano, quasi temesse di farle male con quella rivelazione “...ero già in tuo potere. Solo tu potevi decidere le sorti del gioco. Se mi avessi accettato, saremmo rimasti in parità. Invece...” sbuffò tirandosi rapidamente indietro e tornando a fronteggiarla, inginocchiato davanti a lei che, invece, restò praticamente distesa sotto la sua mancanza di peso “...Ti sono rimasto del tutto indifferente. Qualunque cosa avessi fatto tu non avresti mai ceduto... Non ti sei fatta abbindolare dalle mie lusinghe come qualunque altra donna. E questo, sinceramente, mi piace...”
“Quindi se mai cedessi non ti piacerei più?” domandò lei scettica, in un impeto di rabbia. Resasi conto dell'ambiguità delle parole usate, arrossì e chinò il capo.
Lui sembrò non notarlo e rispose alzando gli occhi alla chioma degli alberi mentre si sedeva “Non cambierebbe nulla... non credo che il carattere testardo svanirebbe così, per magia...” Tacque, immerso nei propri pensieri, non sapendo più come continuare. Sarah rimase interdetta dalla rassegnazione che sentiva increspargli la voce. “Dimmi, Sarah...” soffiò lui sempre guardando altrove, le braccia puntellate dietro la schiena “...Davvero non posso piacerti nemmeno un pochino? Mi detesti a questo punto? Eppure abbiamo già chiarito come io non abbia fatto altro che tentare, maldestramente, di assecondare i tuoi capricci. Non sei certo una persona facile e non credo che lusingarti sarebbe servito a nulla...” Quindi inclinò la testa di lato, guardandola da sopra la spalla “Giunti a destinazione, le nostre strade si divideranno per sempre...non ti importunerò più...”
Sarah dovette sbattere gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto delle parole del biondo. Passarono diversi istanti in cui cercò di afferrare le sue parole. Improvvisamente la testa le si era svuotata e i suoni si erano fatti ovattati. Chiudere con Jareth per sempre. Era quello che aveva sempre desiderato. Allora perché si sentiva così in ansia?
“Io non ti detesto...” rantolò alla fine “Sei dispotico e tirannico, arrogante e presuntuoso, tagliente e crudele ma... ammetto che non sei cattivo...”
“Grazie dei complimenti...” ridacchiò lui senza perderla di vista: si contorceva le mani, agitata “Allora non sarà un problema... per quel poco di tempo che ci rimane ti chiedo di amarmi.” Sarah avvampò incerta sul significato da dare a quella parola. Ogni entusiasmo od imbarazzo si smorzò di colpo quando sentì il seguito “E' ciò che voglio in cambio per barattare il mio tempo col tuo...”
“Non ho ancora barattato nulla con te!” precisò subito lei, sulla difensiva, imbarazzata per aver creduto potesse far sul serio e offesa per la richiesta tanto meschina che la riduceva a mero oggetto “Volevo sapere il tuo prezzo ma non mi pare di essere già in debito...o sbaglio?”
“No, non sbagli...” sospirò lui. C'aveva provato. Lei si era fatta scaltra, non cascava più nei suoi giochi logici di parole “Ma se non mi detesti...” disse incalzandola a completare la frase “Non vedo quale possa essere il problema ad accontentarmi...”
“Io...io non sono sicura di saperlo...” ammise abbassando lo sguardo sulla casacca, prendendo a lisciarne nervosamente l'orlo. Non riusciva a mentire. Non con lui. Sì, gli piaceva, non poteva negarlo: gli piacevano i loro battibecchi, il suo modo di guardarla sprezzante che stimolava in lei la parte competitiva. Ma non voleva dargliela vinta. Non così.
“Davvero?” sibilò lui, per niente convinto “Non è, piuttosto, che non vuoi saperlo? Perché potrebbe mettere in crisi il tuo sistema di certezze?” Le sue parole la costrinsero ad alzare lo sguardo, ad affrontarlo “Tu hai paura di me” constatò “Non osi nemmeno pronunciare il mio nome... hai il terrore di poter dipendere da me... o semplicemente temi quello che può provocarti, pronunciarlo” le soffiò come all'orecchio, facendola sobbalzare e arrossire
“Cosa c'entra il discorso fatto finora con il tuo nome?” ringhiò lei, indietreggiando, nuovamente sulla difensiva.
“C'entra! Perché ciò che non ha nome non esiste e ciò che non esiste non ha nome. Finché riuscivi a evitare di chiamarmi per nome, voleva dire che io, per te, non esistevo. E quindi, non avevo alcuna importanza...alcun potere, su di te...Io ti ho sempre chiamato per nome, dimostrandoti la mia vulnerabilità. E nonostante tutto, hai infierito...”
“E quando mai le cose sarebbero cambiate...?” Domandò angosciata. Lui era ben attento a tutte le parole e, se lei aveva commesso una leggerezza simile, di certo non si era sbagliato. Lui era il suo specchio. E in quel momento si limitava a sorridere con tristezza.
“Mi correggo... non hai paura di me... hai paura di te stessa...” sciorinò con un sorriso sarcastico, superiore, piantando lo sguardo nel suo, evitando la domanda “Hai paura di amare e venire ferita Ancora. Soprattutto da me. Ma... mi sembrava di esser stato abbastanza chiaro... io ti voglio accanto a me. Sempre. E a meno che tu non mi odi a morte...” disse tirandosi in piedi “...per quello che è successo dieci anni fa... Parlando con franchezza, non vedo perché non potresti prendere in considerazione la mia proposta... anche indipendentemente dal mio pagamento. Quella era solo una scusa, un asso che mi riservavo di giocare quando avessi visto che non c'erano altre strade da percorrere per arrivare al tuo cuore.” disse tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
Cosa voleva davvero? Tornare alla sua monotona quotidianità? A quel mondo che non aveva nessun brivido da offrirle, eccezion fatta quelli dolorosi?
“Perché tu menti...” disse di getto, quindi precisò, vedendo come lui continuasse a sogghignare, indagandola con quegli occhi così bizzarri “...non fai che ridere di me! Come posso crederti?” concluse accettando il suo aiuto, intontita da quel fiume di parole.
“Mia cara... uscirei dal ruolo del bel cattivo, se cominciassi a mostrarmi ferito, vulnerabile e ansioso.. non ti pare?” Sarah rimase interdetta e Jareth l'aiutò ad alzarsi. Tirò, volutamente, con troppa energia e lei inciampò e gli rovinò addosso. “La mia abilità è quella di sedurre, tentare...” le sue parole scivolarono veloci e invitanti all'orecchio. Ma immediatamente, come una doccia fredda che spegne i bollenti spiriti, lui si allontanò, anche se non fisicamente “E con te ho sempre fallito...” sussurrò contro il suo collo, vinto.
Sospirò, affranto, e il suo alito caldo la fece fremere, imbarazzata, quasi il suo cervello avesse frainteso la situazione “Mi arrendo, Sarah... Io ti libero... Va pure da Rajeth...” disse staccandosi da lei e ponendo, tra i loro corpi, mezzo metro di distanza, raccordato solo dalle sue braccia sulle spalle di lei. “Va da lui... Forse aveva ragione... E alla fine non importa chi vincerà...” Detto ciò si staccò definitivamente e le diede le spalle.
Sarah era inebetita. Finiva tutto così? Lui si arrendeva? Non...non lottava per conquistarla? Ma...che razza di atteggiamento da perdente era mai quello? Stupido re viziato! Non otteneva ciò che desiderava e metteva il broncio? Scappava con la coda tra le gambe? Ma che lottasse un pochino! Avrebbe volentieri pestato il suolo sotto gli stivali per il nervosismo dovuto da quel comportamento infantile. Ma subito le si gelò il sangue nelle vene.
Forse...aveva lottato! Lui era abituato ad avere tutto subito. E aveva perso tempo con lei. Troppo tempo... E lei cos'aveva fatto in tutta quella situazione? Aveva opposto un muro impenetrabile. Non aveva lasciato il minimo spiraglio. Era ovvio che si fosse arreso. Solo un masochista si sarebbe accanito...Perché era quello che voleva... che lui la seducesse totalmente, che continuassero quell'eterno inseguimento fino a cadere, entrambi esausti e consapevoli. Ma c'erano dei limiti. E le sue fantasie si infrangevano con la realtà dei diversi gradi di sopportazione.
Allora le arrivò il contraccolpo delle ultime parole del biondo. Lui aveva ceduto, si era arreso, aveva ceduto il passo a qualunque altro uomo si fosse fatto avanti per reclamarla, anche il suo stesso fratello. E la cosa implicava una più subdola accettazione di lei come una qualunque estranea. Lui non avrebbe mostrato segni di gelosia, non avrebbe cercato di difenderla.
Era sola.
Ancora.
La vista le si appannò, sentì il sangue pulsarle improvvisamente nelle orecchie e avvertì le lacrime pizzicare gli angoli degli occhi. “Non può finire tutto così...” alitò “Non può!” urlò trafiggendo la schiena dell'uomo che stava cominciando ad allontanarsi.
Jareth si fermò e si volse, lentamente e non completamente, a scrutarla. Sorrise mesto “Sì che può. Questa non è una delle tue storie, Sarah. E' la vita. E la vita non è fatta di continui colpi di scena, di finali rosei, programmati, in cui ogni tassello incastra al posto giusto. La vita è fatta di alti e bassi. Alcuni sembrano vette e altre voragini, rispetto ad altipiani e leggere depressioni. Prometto solo che non ti importunerò più, alla fine di tutto questo, se tu vorrai così...”
Vederlo così arrendevole era straziante. Non sembrava nemmeno lui. Dov'era il suo bel re arrogante, che arrivava, si prendeva quanto richiesto in un attimo di disattenzione ma non lo rendeva nemmeno dopo le più terribili prove? Dov'era l'uomo affascinante e conturbante dotato di una particolare magia?
Quello davanti a lei era solo un uomo. Un normale, comunissimo uomo. Di cui ne aveva visti a centinaia. E lei, unica cosa di cui fosse certa, in tutta la sua esistenza, non avrebbe mai voluto una persona del genere accanto, né come compagno di viaggio, né, tanto meno, come compagno di vita.
Lo raggiunse con un paio di falcate e il suo corpo agì prima ancora che lei potesse formulare un pensiero cosciente. Lo schiaffeggiò sul bel volto, ancora, sicura di destarne la rabbia, di farlo rinsavire. Ma lui incassò in silenzio e tenne la testa voltata. Non un accenno di rammarico o di collera. La coltre dei capelli dorati rendeva indecifrabile ogni espressione.
“Si può sapere cosa ti succede?” urlò afferrandolo per il bavero “Non sei tu, questo...” il suo sguardo percorse, disgustato, la figura vestita di pelle, da capo a piedi e poi ancore su, fino a piantarsi nel suo, sfuggente. “Ridammi il mio Jareth!” disse baciandolo aggressivamente, quasi a strapparlo dalle fauci dell'oblio con le proprie. Si sentì pervadere da un'ondata di calore. Sembrava quasi che qualcosa le si agitasse dentro e scivolasse da lei lasciandola stordita per il contraccolpo, dopo essersi infranta sulla battigia. Era questo quello che si provava a baciare qualcuno di cui si era perdutamente innamorati e di cui si temeva la perdita? Era mai stata presa da qualcuno allo stesso modo, al punto di arrivare a negare i propri sentimenti? E da avere la presunzione, nonostante non lo conoscesse affatto, di poter dire di amarlo? Non era una cotta momentanea, lo sapeva. Non le sarebbe andata via tanto facilmente. Ogni suo gesto aveva il potere di distruggere le sue sicurezze o di riempirla di soddisfazione per aver atteso le sue aspettative. Forse era semplicistico, perché non si era mai cimentata seriamente nella vita di coppia. Ma era abbastanza sicura che, eventualmente, lui potesse essere quello giusto per cui impegnarsi a limare il proprio carattere.
“E questo cosa sarebbe?” replicò lui staccandosi praticamente subito
“Non lo so...” ammise lei, frastornata e confusa dal proprio gesto istintivo “Un tentativo, forse...”
“Tentativo?” domandò lui inclinando la testa di lato, senza allontanarsi
“Di rompere il maleficio o qualunque cosa sia... nelle fiabe funziona...” rispose convinta ma con voce incerta. Non riusciva a capire se lui ne fosse stato infastidito, lusingato o cos'altro.
Scoppiò in una risata fragorosa e si portò una mano alla fronte, quasi potesse, in quel modo, trattenere l'ilarità “E a che pro? Ti ho appena detto che non siamo in una delle tue storie... nella vita non va tutto come ci si aspetta...”
Lei si zittì, delusa e imbarazzata “Riportarti da me. Ritrovare l'uomo...il mago...” si corresse svelta “...che mi desiderava così tanto da cercare di imbrogliarmi, rifilandomi i miei stessi sogni. Almeno ci ho provato...”
“Cosa te ne fai di uno del genere?” domandò ancora lui
“Nulla, a ben vedere... è solo che quella è la persona che mi piace e con cui voglio scontrarmi ancora...anche lo scontro è comunicazione...e non ne ho col fantoccio che ho davanti in questo momento...” disse, stizzita, indicandolo con un cenno della mano
“Ti piace? Non colgo il significato o il valore che potrebbe avere il suddetto fantoccio...” disse in tono sarcastico. Finalmente.
In un impeto di rabbia per la sua immensa stronzaggine, gli vomitò addosso tutto quello che pensava di lui “Sai com'è... quando la presenza di una persona affolla i tuoi sogni, diventando l'unica presenza sicura della tua vita nonostante non sia più ricomparso anche se veniva invocato spesso e volentieri, e improvvisamente si trasforma nell'ombra di se stesso, la cosa ti fa vagamente incazzare. Più di quanto non facesse la sua arroganza! Ma d'altronde, parafrasando un tuo pari Un disonesto puoi sempre confidare che sia disonesto. Onestamente è dagli onesti che devi guardarti, perché non puoi mai prevedere quando faranno qualcosa di incredibilmente stupido1.” Gesticolava fuori controllo, ormai a ruota libera
“Dunque...” la interruppe lui portandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio “Stai praticamente dicendo che da me ti aspetti qualche tiro mancino? Quanta poca fiducia...”
“Ho appena detto esattamente il contrario. Che ti conosco troppo bene perché tu mi dia a bere questa pagliacciata, di quello che batte in ritirata... Tu non sei uno che accetta facilmente le sconfitte!”
“Mmm” mugugnò lui portandosi un dito alle labbra, scrutandola attentamente “E quindi?”
“E quindi niente: piantala di fare lo scemo!”
“Altrimenti?” chiese lui abbassandosi al suo livello facendosi sempre più vicino
“N..non....” non saprei. L'aveva messa con le spalle al muro un'altra volta “Non rispondo delle mie azioni” e delle mie parole.
“Interessante...” sghignazzò divertito sfiorandole le labbra con le sue “Molto...”
Sarah si lasciò vincere e lo baciò a sua volta, senza rabbia e con una strana emozione che le si agitava dentro, simile alla nostalgia.
Ma si separarono quasi subito, anche se per lo spazio di un soffio “Ammettilo...” Le suggerì lui, le pupille dilatate coperte dalle lunghe ciglia bionde
Lei deglutì a fatica. Si era resa conto di cosa stava combinando, se ne vergognava, avrebbe voluto poter tornare sui propri passi... ma non si mosse di un millimetro “Cosa?” riuscì a domandare alla fine
“Che ti faccio un certo effetto...”
Lei sbuffò e si allontanò definitivamente. Ma non troppo. Si mise solo alla giusta distanza per poterlo mettere a fuoco nella sua interezza “Sì. Tu hai potere su di me, più di quanto non vorrei ammettere...”
Jareth le sorrise compiaciuto e le strinse le mani “Hai lasciato che dettassi le regole del gioco, hai fatto quello che ti dicevo, anche se non sempre. Hai praticamente detto di amarmi. E mi temi... direi che il quadro è completo...” Disse guardandola dritto negli occhi.
Sarah sorrise, imbarazzata e mormorò qualcosa in assenso. Ormai l'aveva detto e lui non sembrava esserne infastidito. Stava già crogiolandosi in quella sensazione di accettazione quando lui concluse la frase, lasciandola pietrificata dalla sorpresa “Non è vero, Rajeth?”



Il libro si chiuse con uno scatto secco. Un sospiro scoraggiato accompagnò la deposizione del volume sulla pila di quelli già consultati. Il tintinnio degli occhiali sul pianale di fòrmica e lo scricchiolino metallico delle molle tese della poltrona ripiegate all'indietro seguirono il peso del corpo che vi si abbandonava esausto.
In tutti quei libri, recuperati il giorno prima in diverse biblioteche e librerie, non c'era traccia concreta a cui appigliarsi per riuscire a penetrare il mondo che Sarah aveva descritto.
Immanuel si alzò, stropicciandosi gli occhi affaticati e andando a servirsi di una cioccolata calda. L'inverno era alle porte anche se quel giorno, il giorno della partenza di Sarah per un luogo a lui sconosciuto, era decisamente soleggiato. Indugiò appena sul pensiero, augurandole una piacevole passeggiata. A conti fatti sarebbe rientrata relativamente presto.
Tornò al tavolo e studiò, dall'alto, le piccole colonne mozze di testi impilati gli uni sugli altri. Si appoggiò alla libreria alle sue spalle, appuntando lo sguardo sulla porta chiusa dello studio, sorseggiò la sua bevanda un paio di volte, quindi afferrò un nuovo libro e lo sfogliò rapidamente. In appendice, tra gli allegati, c'erano degli schemi riassuntivi. Si perse a guardarli, senza realmente studiarli. Finché la sua attenzione non fu risvegliata da un nome. Quello era il nome di suo padre, imprigionato nello schema di un albero genealogico. Accanto era segnalata la voce di una donna: Linda Grimm.
Il nome gli suonava stranamente familiare eppure non aveva mai avuto occasione di incontrare questa zia e ogni rara volta che aveva chiesto al padre informazioni in merito aveva visto erigersi un muro di doloroso silenzio.
Un campanello gli suonò alla vista di quel nome e cercò una nota esplicativa. Andò al computer e googlò il nome della donna: Linda Grimm, alias Linda William.
Se non era diventato improvvisamente deficiente, anche quel cognome gli suonava molto, troppo, familiare. Dirottò la ricerca affinché gli venissero mostrate le foto relative al nome.
Ed eccola finalmente comparire, in centinaia di ritagli di giornali, foto di rito, sul palcoscenico, sul monitor sfarfallante in dotazione dell'università. Non c'era possibilità di fraintendimento. Quella giovane così simile a Sarah, una Sarah con indosso vestiti e un trucco di un'altra generazione, ammantata di una patina d'altri tempi, era Linda Grimm in Williams.
Sua zia.
E madre di Sarah.
“La madre di Sarah?” biascicò cercando di afferrare un concetto facile, a portata di mano ma al contempo sfuggente. Erano cugini!
Possibile che suo padre non se ne fosse reso conto? O che avesse rimosso i ricordi legati alla sorella? La cosa non l'avrebbe sorpreso più di tanto. Ma... a pensarci bene... l'aveva mai incontrata, Sarah? Fece rapidamente mente locale e constatò come, il più delle volte, Toby fosse arrivato e tornato da solo, dopo scuola. Le volte che la ragazza l'aveva accompagnato, era sempre rimasta ad attenderlo nel parco antistante il centro, col caldo e col freddo, un libro sempre con sé per ingannare l'attesa. La ragazza col libro, avevano preso a chiamarla le portinaie pettegole. Ed era lì che si erano conosciuti, che avevano scoperto di avere appena cinque anni di differenza, dove era nata una timida simpatia, forse reciproca ma troncata sul nascere quando avevano scoperto di frequentare la stessa università, con ruoli invertiti, ai lati opposti della barricata. Cacciò il ricordo e tornò a pensare al padre. No, si disse, Fred Grimm non conosceva Sarah Williams e, quindi, non l'aveva ricondotta a sua sorella.
Guardò ancora, prima il libro poi il monitor, inebetito. Sarebbe stato così semplice ritrovarla, trent'anni prima, se solo avessero voluto e saputo dove guardare. E se avessero avuto gli strumenti giusti.
Linda era stata furba. Aveva lasciato la Germania ed era emigrata in quella stessa città dove lui aveva finito per andare a insegnare e dove anche suo padre l'aveva infine seguito, una volta rimasto vedovo. Si era data, senza riserve, alla sua passione, la recitazione e il balletto, attività, da quel che gli diceva suo padre, molto mal viste in una casa conservatrice come la loro, specialmente a quei tempi. Erano davvero dei conservatori: tramandavano le stesse storie, immutate nella forma e nel contenuto di generazione in generazione. Era una forma mentis che bevevano nel latte materno e che era difficile da estirpare.
Linda e Fred erano nati nei primi anni 40 in una Germania che già si accingeva a epurare se stessa e il mondo e a infilarsi nel lungo tunnel della Seconda Guerra Mondiale. I nonni, sospettando tempi difficili, si erano trasferiti preventivamente nei loro possedimenti inglesi, come molti altri connazionali, e da lì avevano continuato le loro attività antropologiche. Negli anni '60, in piena rivoluzione giovanile, Linda aveva esternato con violenza la propria opposizione alla struttura costrittiva che dominava la loro dinastia. A circa vent'anni lui era fidanzato e lei, forse ispirata al modello femminile indipendente che veniva proposto in quegli anni, non trovava nessuno da portare a casa. Era una zitella, con tutta l'ignominia che quell'appellativo, all'epoca, si portava appresso e si appiccicava sull'interessata e sulla sua famiglia. Fu così che, di lì a poco, Linda scappò di casa, portando con sé il libretto rosso con scritta oro, la sua coperta di Linus, unica traccia della sua famiglia di origine, e fece perdere le sue tracce.
Ricollegando tutti i dati in suo possesso, Immanuel riuscì a immaginare gli anni a seguire: la donna girovagò per una mezza dozzina d'anni e, alla fine, verso i trent'anni, anche lei era crollata sotto la scure dell'amore. O presunto tale, da quello che gli aveva confidato Sarah. Sposò un uomo buono che le diede una vita agiata e serena, un nuovo cognome, oltre alla possibilità di continuare a calcare le scene. Ma Linda era volubile di carattere e si stancava presto delle cose, del marito come della figlia. E come aveva abbandonato la sua famiglia di origine, abbandonò anche quella che aveva voluto mettere in piedi lei, vinta dalla passione, probabilmente momentanea anch'essa, per un collega.
Chiuse la finestra del motore di ricerca e tornò al suo muro di carta. Girò su se stessa una colonna di libri sbilenca e osservò i titoli sulle costine. Quindi passò a quella successiva: sotto il Dizionario Esoterico e sopra l'Enciclopedia del Piccolo Popolo2 stava il fascicoletto intitolato “Le giuste parole”. In quarta di copertina c'era scritto che si trattava di sortilegi quindi... perché non provare?
Immanuel aprì direttamente all'indice tematico e cercò la voce Re di Goblin, che rimandava all'omonimo Popolo. Lesse le righe relative agli incantesimi e si sorprese di come quelle parole gli suonassero stranamente familiari. Dove le aveva già sentite?
Sarah! Ancora lei, certo. Solo due giorni prima gli aveva rivelato tutta quella vicenda fantastica da manicomio. Le parole, che aveva letto nel suo libretto rosso, quello che doveva essere appartenuto a Linda, e che successivamente aveva riportato anche nella sua agendina nera, erano le medesime. Ne era certo. Richiamando a sé il racconto, decise di fare un tentativo. Se le sue supposizioni erano giuste, l'espediente avrebbe funzionato anche con lui.
“Desidero che i Goblin mi portino dove si trova Sarah, all'istante!”



1    Chi non riconosce le parole di Cap. Jack Sparrow de “I pirati dei Caraibi”?

2    Sono libri realmente esistenti: del primo ho solo delle fotocopie, fatte anni fa nella biblioteca universitaria (!) l'altro ce l'ho dai tempi delle medie, credo...cmq ha almeno 15 anni!


- -
- - - - - - - -

Premetto che odio gli anglicismi, in particolar modo "googlare" =_=  e ho ritenuto opportuno doverlo utilizzare, tanto più che è un neologismo entrato di diritto nei dizionari, insieme all'obrobrioso "bloggare".
Vabbè...veniamo a noi: Ragazzi, siamo agli sgoccioli!
Spero di non essermi incasinata coi conti delle date di Linda. Il ragionamento è semplice: Sarah nell'86 aveva 16 anni. Quindi era nata nell'70. A quell'età Linda aveva circa 30 anni e quindi doveva essere nata negli anni 40 (decido io! PS: negli anni 50 si era Zitelle - quasi scacciate da tutta la società- se intorno ai VENTI anni non si era almeno Fidanzate - che non vuol dire impegnate... fate caso, la differenza c'è pure su Facebook: fidanzate vuol dire che entro un anno o due ci si sarebbe sposate e che, quindi, il moroso era andato a parlare coi genitori e si stavano organizzando le cose; impegnate è il passo subito prima che va dalla cotta allo stare assieme anche da dieci anni ma senza aver deciso di metter su famiglia)
Comunque, sottigliezze (per me non sono tali) linguistiche a parte... :D cosa avrà in mente il caro Jareth? Lo saprete solo tra una settimana (non è detto XD) vi preannuncio che il prossimo capitolo avrà rating ROSSO perché non si sa mai qual è il livello di sensibilità del singolo -siete avvisati-
Dopo di che :3 resterà l'ultimo e vi sarete liberati di me.
Bacioni a tutti!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Evviva il re ***


33. Evviva il re


->Avviso ai lettori: dalla seconda metà, ritengo opportuno che questo capitolo abbia rating Rosso. Non ci sono descrizioni dettagliate ma la vicenda potrebbe infastidire i più sensibili. Quindi, chiunque lo desiderasse può saltare la parte e aspettare tranquillamente il capitolo conclusivo. <-

Vi saluto qui e vi do appuntamento alla prossima settimana per l'ultimo capitolo.
E ricordate: nulla è come sembra.




Tutto cambiò all'improvviso.
Ma prima dei suoi occhi, furono le sue orecchie a registrare il mutamento. I passi allegri non suonavano più ovattati e distanti: un rimbombo leggero che sapeva di umidità anticipò ciò che gli occhi, così abituati all'oscurità di quella strana notte boschiva, ancora non riuscivano a inquadrare. La strada bianca, polverosa e accidentata che stava percorrendo in una leggera corsa, trottando dietro alla piccola sfera opalescente, divenne improvvisamente un lungo corridoio di pietra scura, solido, liscio e compatto.
Toby si fermò di colpo, lasciando che la sfera continuasse a rotolare per inerzia. Dov'era finito? Perché così all'improvviso?
Non ebbe il tempo di interrogarsi ulteriormente sulla natura del luogo che, dal fondo del tunnel, sentì arrivare delle urla isteriche molto simili a quelle di sua sorella quand'era all'apice del nervosismo. Di quando, cioè, sarebbe stato meglio essere ovunque, tranne che a portata di mano.
Riprese il cammino e si affrettò a raggiungere la sfera. La recuperò al volo e se la infilò nuovamente in tasca, dove avrebbe dovuto rimanere dall'inizio. Arrivato in fondo al corridoio si ritrovò affacciato su una grande balconata il cui parapetto era traforato da oblò così grandi che lo facevano sembrare solo un accessorio estetico più che una struttura funzionale. Sotto di sé, c'era una vasca ovale scavata nel terreno e uno scanno avente come schienale un paio di corna zigrinate. Qualcosa, in quel posto, gli sembrava vagamente familiare. Poi si ricordò delle immagini che erano apparse, distorte, nella sfera. Lui era già stato lì, anche se nelle immagini l'ambiente era più scuro e tetro mentre ora aveva un aspetto pulito, ordinato... sano.
Alle sue spalle avvertì un leggero movimento d'aria. Si voltò lentamente e, dal corridoio da cui aveva appena fatto capolino lui stesso, vide comparire un uomo dai capelli scuri con la tipica aria del secchione. O del prof. Attorno all'uomo, una schiera di ometti grigi e verdastri sembravano scortarlo, stretti attorno alle sue gambe.
Qualcosa, nell'intero quadretto, stonava. Forse perché era già stato lì. In ogni caso, si sarebbe aspettato un comportamento più chiassoso e caotico, da parte di quelle creature ora stranamente silenziose, ordinate e compite. E tristi. Qualcosa nei loro sguardi gli diceva che erano abbacchiati e che attendessero, come lui, un qualche evento cruciale. Spostò nuovamente lo sguardo sull'uomo che, a sua volta, lo scrutava interrogativo. Quindi, si volsero entrambi ad osservare il gruppo nella sala sotto di loro.



Allucinazioni. Era indubbio. Doveva avere avuto allucinazioni acustiche. Ne era più che convinta. Non poteva spiegarsi in altro modo.
“Non è vero, Rajeth?” aveva detto
Eppure, alzando lo sguardo spaurito e confuso sul suo accompagnatore, aveva notato il mondo circostante cambiare vorticosamente aspetto. Si era allontanata da lui d'impulso.
“Non è vero, Rajeth?”
Qualcosa non quadrava... tante cose non lo facevano. A partire dai loro vestiti. Perché mai lei si trovava vestita come un'odalisca e lui, invece, era tornato agli abiti stravaganti e appariscenti di dieci anni prima? Rajeth... un nome che ora, stranamente, le suonava troppo familiare ed evocava dolcezza e dolore. La testa le scoppiava, affollata di pensieri.
“Cosa vuol dire?” domandò in un alito angosciato concentrandosi sul qui e ora. Erano forse in combutta? Da Jareth avrebbe dovuto aspettarsi un tiro mancino simile. Ma perché? Non lo capiva, gli stava restituendo il suo trono. Quale motivo aveva per ingannarla?
“Che ora sono di nuovo il Re, non è vero, fratello?” disse il biondo andando a fronteggiare il moro. Sulle labbra un sorriso di vittoria, ma non di sfida, nei suoi confronti. Aveva vinto. Anzi, avevano vinto: i due fratelli. Non loro due. Non lui e lei.
Sarah batté le palpebre un paio di volte per schiarirsi la visione, fattasi improvvisamente confusa.
“Ma...” balbettò, incapace di articolare un suono concreto. Strinse i pugni e digrignò i denti, frustrata “Cosa significa?” strepitò infrangendo quel muro di confusione che la circondava.
Jareth si voltò, andando ad affiancare il fratello, guardandola perplesso, come se fosse stupida “Te l'ho appena detto, my dear. Mi hai reso i miei poteri e quindi il mio ruolo. Rajeth è ora esentato dal fare le mie veci.” disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo
Lascia solo che io ti domini. Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che ti dico e io diventerò il tuo schiavo” recitò lei come inebetita “Giusto? Mi hai condotto fin qui, comportandoti a quel modo solo per...” era incredula e non ce la faceva nemmeno a terminare la frase “Ti dissi, dall'inizio, che ti rendevo i tuoi poteri e il tuo trono. Che io non li volevo!” Disse alzando la voce di un'ottava
“Ma non funziona semplicemente così...” replicò lui incrociando le braccia al petto “Ad ogni modo, ora che sono nuovamente re, posso essere il tuo schiavo...dimmi, Sarah, c'è qualcosa che desideri particolarmente?” La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi, nervosa. Avrebbe voluto rispondergli che avrebbe tanto desiderato ammazzarlo di botte per il suo comportamento scorretto. Ma tacque. “Non trovi divertente il fatto che, proprio perché ho riavuto i miei poteri ora possa servirti al meglio?” Jareth era convinto della bontà delle proprie azioni. Rise, insieme al fratello, quasi non fossero mai stati avversari.
“Già che ci siamo tutti...” si intromise Rajeth “Direi che possiamo anche spicciarci a chiudere tutta la faccenda...” e con un movimento del capo indicò il balcone dove Toby e Immanuel stavano rannicchiati a osservare, apparentemente non visti, la scena. Detto fatto i due comparvero, inspiegabilmente e improvvisamente, accanto a Sarah.
“Allora...” continuò il moro fissando Immanuel “Tu sei stato chiamato qui come testimone. Dovrai documentare fedelmente, come compito della vostra famiglia...”disse sottolineando l'aggettivo e lasciando che lo sguardo vagasse sui tre componenti, cui faceva riferimento “...da generazioni, quello che accadrà oggi.”
L'uomo lo guardò perplesso. Avrebbe voluto puntualizzare che non era stato chiamato ma che aveva macchiato la propria anima logica e laica con un atto di stregoneria.
Toby protestò debolmente dicendo di non conoscere quell'uomo e Rajeth sbuffò impaziente
“Ma veniamo a te, piccola peste! Lo sai che non si parla senza il permesso dei grandi?” ridacchiò folgorando Toby coi suoi occhi rossi “Ad ogni modo, tanto per rispondere alla vostra domanda...” disse guardando Sarah “Lui è vostro cugino, non lo sapevi? In realtà cugino di Sarah, tu sei solo un parente acquisito, come è regola, in questi casi. Ma...volevo farti i miei complimenti: sei riuscito a liberarti...”
“Tu sei un bugiardo!” sbottò il bambino dimenticando ogni rispetto per gli adulti: quei due disgraziati erano tutto fuorché gente matura e responsabile. Non si parla senza il permesso dei grandi? Beh, stava parlando con lui e l'aveva pure interpellato, quindi... “Hai mentito spudoratamente! Credi che io ti creda?”
“Che gli hai fatto?” sibilò Jareth al fratello guardandolo in tralice
“Solo giocato le mie carte al meglio...” gli rispose l'altro sorridendo
“So tutto!” Bluffò il biondino. Si frugò nelle tasche, ne estrasse la sfera e la mostrò con orgoglio agli astanti
“E quella?” domandò scettico Rajeth levando un sopracciglio. Sarah gli aveva fatto eco sbalordita
“E' il mio portafortuna...ce l'ho sempre avuto...” aggiunse guardando la sorella di sottecchi. Lei, a sua volta, si girò verso Jareth che le sorrise compiaciuto. Allora ricordò che nella sala di Escher lui, dopo averla accusata di insensibilità, gli aveva mostrato il lattante lanciandogli una di quelle dannate sfere. Poi aveva perso di vista il marmocchio...e la sfera! L'aveva rivisto direttamente nella culla. “Mi ha mostrato cos'è successo realmente!”
“Ma davvero?” ridacchiò Rajeth per nulla impressionato. “Va bene, allora... possiamo fare veramente in fretta... Devi scegliere...”
“Lo so...” ringhiò il bambino “Me l'ha detto … una persona importante...” aggiunse vedendo lo sguardo scettico dei due fratelli
“Benissimo, allora!” Continuò Jareth “Allora avrai già la tua idea... chi scegli?”
Il bambino rimase interdetto, sospettando, all'improvviso, un tranello. Chi avrebbe scelto...per cosa?
Per sua fortuna, Immanuel decise di intervenire, per la prima volta, proprio in quel momento “Scegliere cosa? Dovere di cronaca...” precisò quando si accorse di aver calamitato su di sé tutta l'attenzione
Jareth sbuffò “Ora che siamo in condizione di parità, il prescelto deve indicare il legittimo erede del titolo che governerà, in sua assenza, fino al compimento dei diciott'anni. Da quel momento, la discendenza tornerà a lui.”
“E per quale motivo è così importante?” incalzò il professore, il cui spirito di ricercatore si era appena ridestato
“Perché nelle mani di uno c'è, oltre il titolo effettivo seppur a tempo determinato, la vita dell'altro. Le leggi che verranno promulgate fino ad allora potrebbero compromettere la sua ascesa, arrivando a modificare il regolamento. Siamo vicini allo scioglimento della maledizione e bisogna ristabilire l'ordine.” rispose Rajeth stancamente
Toby, che in tutto quel lasso di tempo non aveva mai abbassato lo sguardo, fingendo abilmente di essere a conoscenza di tutte le implicazioni della sua scelta, parlò con voce sicura e impaziente, quasi la spiegazione fornita non fosse altro che un'inutile perdita di tempo. “Ovviamente, non scelgo nessuno di voi due ciarlatani” disse stizzito.
I due fratelli sorrisero bonariamente alla sua esternazione, probabilmente pensando fosse troppo giovane e sprovveduto per poter prendere una decisione tanto importante. “Tu devi scegliere...non puoi esimerti...”
“Allora scelgo...” Toby soppesò la scelta che aveva già in testa, a suo parere la migliore in assoluto “Sarah! Lei è la mia tutrice e continuerà a curare i miei interessi fino alla maggiore età. Lei ha i requisiti e le conoscenze per governare questo posto in mia vece”
“Ma sei impazzito?” sbottò la sorella, resasi conto di quello che aveva appena detto il bambino. Istintivamente, strinse il medaglione che aveva ancora al collo, l'emblema del potere. Medaglione che non era ancora tornato a Jareth, il suo legittimo proprietario.
“Ciò che è detto è detto...” biascicò mesto Jareth “Come dice giustamente il ragazzino, Sarah ha i requisiti adatti.” con un ampio movimento del braccio constatò la realtà dei fatti. Immediatamente, Sarah si rese conto che il suo vestito era cambiato ancora una volta. Non che a Jareth servissero gesti particolari per fare magie. Era semplicemente più scenografico e teatrale.
Si sentiva la schiena nuda, accarezzata solo da qualche ciocca di capelli, evidentemente raccolti in un elegante chignon fermato da una tiara che le pizzicava la cute. Le braccia scivolarono sul lucente raso avorio dandole una sensazione di freschezza. Mai come in quel momento avrebbe desiderato uno specchio.
“Io non voglio saperne di questo potere!” replicò poco convinta.
“Desideri avere qualcuno al tuo fianco che regga tutto questo peso?” domandò sardonico Rajeth
“Qualcuno che sia...abituato?” rincarò il biondo re di Goblin mentre Rajeth metteva il muso e arricciava le labbra, probabilmente infastidito per quell'ingerenza
“Ora sarei io a dover scegliere?” rispose con un ghigno nervoso
“Non preoccuparti...se l'imbarazzo della scelta è tale, possiamo vedercela tra noi...” replicò Jareth mellifluo. “Non ho ragione?” chiese senza nemmeno voltarsi
“Proprio così” confermò Rajeth con un sorriso tirato e triste, le parole che si incastravano in gola.



Si udì un sibilo frustare l'aria. Quindi il rumore lacerante di carni che vengono straziate. Il crepitare di ossa disarticolate o tranciate. Lo zampillìo di un liquido in pressione che schizza fuori dal proprio contenitore.
Sarah, sconcertata, abbassò lo sguardo sul proprio abito candido. Era macchiato di spruzzi rossi, caldi e freschi. Il terrore le annebbiò la vista e i ricordi di corpi martoriati in una pozza di sangue ritornarono violenti alla memoria, mozzandole il respiro. Il suo corpo sembrava essere in bilico tra due reazioni ugualmente forti ma così diverse: vomitare o svenire.
I due fratelli avevano eliminato il terzo incomodo per vedersela tra di loro? Ma lei non la voleva quella responsabilità!
Alzò lo sguardo, cercando gli occhi dei suoi assassini. E incontrò quelli azzurri, spaiati e sbarrati di Jareth. Avrebbe voluto urlargli i peggiori insulti, di come si sentisse stupida a essersi fidata così di lui. Avrebbe voluto sbattergli in faccia un “E io cosa avevo sempre detto? Tu mi volevi morta dall'inizio!”.
Qualcosa nello sguardo dell'altro la fece demordere. Qualcosa nel suo improvviso pallore verdastro le disse che c'era un dettaglio che non aveva ancora messo a fuoco.
Dolore.
Non aveva provato alcun dolore fisico. Quindi... le armi magiche non facevano male come quelle umane? Jareth non aveva assestato un colpo abbastanza preciso da tranciarla in due di netto e non aveva potuto riappropriarsi di quel potere che lui stesso, a quanto aveva detto, le aveva donato chissà quando? Era preoccupato per quello? Di perdere qualcosa che era suo e che, come tutte le creature dell'Underground, a detta sua, smaniavano per ottenere?
No. Era qualcos'altro.
Ma lo capì troppo tardi.
Quando lui si accasciò al suolo, rivelando l'orribile squarcio che lo percorreva dalla base della nuca fino alla cintola. Gli eleganti abiti azzurri erano neri del suo sangue, i suoi capelli impastati in nodi grumosi. Il taglio, non riusciva a vederlo bene... non voleva vederlo, in realtà. Doveva avergli trapassato la cassa toracica o il corpo molle delle viscere perché arrivasse fino a lei.
Incapace di ragionare, paralizzata da un nuovo orrore, alzò meccanicamente lo sguardo sul moro che ora svettava davanti a lei.
Rajeth avanzava a passi misurati, sicuro e tranquillo, come se non fosse successo nulla. Come se suo fratello non fosse appena morto. Come se lui non lo avesse appena ucciso.
Nella mano, se ne accorse solo in quel momento, brillava una strana spada zigrinata, simile a un kriss1. La lama, ma a ben vedere anche l'elsa, era di una strana pietra scura, paradossalmente luminosa quanto un diamante ma per niente trasparente. Quella che reggeva in mano era uno squarcio di sublime oscurità.
“Il diamante nero2 è decisamente resistente...non trovi?” disse rimirando la lunga lama sottile mentre calpestava il cadavere del fratello, come se fosse stato soltanto un'estroflessione del terreno. “Dunque, mia cara...vogliamo procedere?” disse inginocchiandosi davanti a lei. Le prese la mano, rigida lungo i fianchi, e se la portò alle labbra, fissandola con mal celato desiderio.
Quegli occhi rossi, così innaturalmente rossi, le davano solo fastidio, in quel momento. Ma sentiva anche una profonda attrazione. Come poteva averli amati, trovati caldi e rassicuranti un tempo?
“Capisco come puoi sentirti...” disse lui, sbuffando e rialzandosi “Ma ho solo anticipato le sue mosse. Mors tua, vita mea. Avevo previsto che Toby non avrebbe scelto nessuno di noi due... e ho anticipato le sue mosse. Anche perché c'ero io, prima di lui. Mi sarebbe proprio seccato farmi portare via, ancora una volta, ciò che è sempre stato mio...”
“Non mi toccare...” sibilò Sarah liberando il polso dalla sua mano “Assassino...”
“Quante storie...” sbuffò il moro
“E non sono un oggetto!” replicò ancora la ragazza, cercando in se stessa la forza per non crollare. Toby e Immanuel, alle sue spalle, insieme a Marking, non si muovevano, forse intrappolati da qualche muro invisibile.
“Tutto quello che vuoi, mia preziosa...” disse allargando le braccia
“E non usare le sue parole!” ringhiò, tremante di rabbia
Lui si voltò a scrutarla con sufficienza “Non mi era sembrato che ti dispiacesse le usassi...quando stavamo assieme...” sputò velenoso
“Non siamo mai stati assieme!” replicò lei più piccata
“Ah no, certo...solo perché non te l'ho mai chiesto. Se con te non si è più che espliciti la cosa non gira!” ringhiò infastidito “Degno della principessa...Ma, se la memoria non mi gioca strani scherzi... quella volta tu non ti sei tirata indietro, anzi...” La cattiveria con cui le rinfacciò il passato la stordì permettendo a Rajeth di continuare “E' stato già abbastanza...” si volse di lato, mordendosi le labbra e arricciando il naso in cerca del termine che meglio esprimesse i suoi sentimenti “...frustrante... vederti fare la civetta con lui per tutto questo tempo...” ringhiò rancoroso “Fare a lui gli occhi dolci, arrossire alle sue parole...baciarlo, addirittura...” Quando tornò a posare lo sguardo su di lei la vide confusa. Quindi aggiunse “I tuoi sogni... quelli che hai rivissuto poco fa... non erano sogni.” la informò con una nota nostalgica nella voce. Sembrava avesse un groppo in gola per l'emozione “Quelli...erano il nostro passato, Sarah. Tuo e mio.” Aveva moderato i toni e ora la guardava con così tanta dolcezza e struggimento da farle quasi dimenticare l'orribile azione di cui si era macchiato.
“Potevi evitarmi tutto questo...affrontare ancora il labirinto!” rispose lei sulla difensiva, confusa da quel cambiamento repentino
“Non potevo, come non potevo restare con te nell'Aboveground. Queste sono le responsabilità di chi è chiamato a regnare.” la informò ancora, paziente “Inoltre, il mio labirinto era diverso da quello di Jareth. Il suo mette il concorrente nelle condizioni di affrontare difficoltà esterne al sé. Ne testa le capacità -logiche, adattive, emotive- obbligandoti a evolvere e maturare per poter procedere. Se tu hai vinto, è perché eri una persona tutto sommato completa. Nel mio labirinto, invece, devi affrontare te stesso. I tuoi desideri, le tue paure e la tua coscienza” Sarah ricordò il primo incontro con lo specchio, il cubo claustrofobico e lo spazio interdimensionale e le sabbie mobili. “Un bravo regnante...” continuò Rajeth “Deve saper affrontare se stesso. Deve sapersi mettere da parte per uno scopo più grande. Nel tuo caso, dovevi solo rendere i poteri a Jareth. E anche lui, ovviamente, doveva dimostrarsi nuovamente degno di ambire al titolo.” E Sarah rivide il biondo mentre affondava, in un'irreale compostezza regale, nella melma fangosa, di come l'ansia l'avesse attanagliata. L'aveva creduto morto già quella volta. Probabilmente, si disse, come nei romanzi che tanto amava, il protagonista non era morto davvero. Era solo svenuto o era in uno stato di morte apparente. Doveva esserci il trucco! Quello era un mondo magico, tutto era possibile e niente era come sembrava. Ripeté quelle parole nella sua testa fino a convincersi della loro verità. Jareth non poteva andarsene in un modo tanto poco grazioso.
Ma un nuovo senso di panico la invase. E se, invece, fosse morto davvero? Se quel senso di sicurezza fosse solo la confusione di quando voleva credere che un personaggio tanto amato non fosse davvero morto? Il duro contraccolpo sarebbe arrivato solo alla fine dell'avventura. Ma qual'era la fine della sua avventura? Avrebbe mai scoperto la verità? Anche avesse visto il corpo decomporsi immediatamente sotto i suoi occhi, avrebbe pensato a un qualche trucco. Maledisse quel mondo assurdo in cui nessuna regola poteva essere data per buona e definitiva. Qual'era la verità?
Rajeth lesse il conflitto nei suoi occhi. Stirò un sorriso e quando parlò, Sarah pensò di vivere un incubo “Mia cara... è tutto vero. Tu sei regina e Jareth...” disse dando un calcio sul costato del cadavere in modo da voltarlo supino “E' solo un uomo. Un mago non è altro che un uomo con poteri illimitati. Non è immortale. E' solo dieci volte più longevo. E ora è morto stecchito.”
Il calcio al corpo inerme. Gli arti, che si mossero in modo innaturale, troppo fluido e scomposto. Lo squarcio sul petto. La pelle tirata sugli zigomi. Gli occhi sbarrati.
L'orrore della morte si palesò in tutta la sua sconvolgente essenza. Il rifiuto dell'accaduto, protratto fino a quel momento, e il rifiuto dell'azione dell'uomo che le porgeva la mano amorevole, così stridente con il contesto, esplosero violentemente nel petto della ragazza, squarciandolo di un dolore incommensurabilmente più straziante di qualunque altro sentimento avesse mai provato in vita sua.
Jareth era morto.







1    Uno dei miei punti deboli e ricorrenti sono le armi. Certe armi in particolare. Non ricordo nemmeno più quando nacque il mio amore per il Kriss, questo pugnale malese a doppia lama ondulata. E' terribile!

2    Per saperne di più Carbonado e Diamante Nero.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Non è tutto oro quel che luccica ***


34. Non è tutto oro quel che luccica






Il grido angosciato che sgorgò spontaneo dalle sue labbra fu accompagnato da un violento terremoto. All'interno dell'ambiente chiuso, si levò uno strano vento innaturale che andò a condensarsi attorno alla sua figura, facendo danzare le vesti e i capelli. Come il fiume che scorre verso la cascata, così il vento saliva a lambirne la figura.
Rajeth scoprì il volto che aveva protetto, in un gesto istintivo, col braccio. Toby e Immanuel erano raggomitolati in un angolo della sala, protetti dalla folta pelliccia di Marking
“Datti una calmata!” ringhiò il moro rizzandosi nella tempesta, facendosi improvvisamente scudo con la magia, le vesti che pendevano di nuovo placide. Le afferrò il polso e la costrinse a un bacio non voluto. Lei lo respinse subito, furibonda “Ricorda cos'eravamo” le disse ferito da quel comportamento “Ricorda chi ti è stato vicino per tutto questo tempo.” Disse tornando ad avvicinarla
“Stammi lontano...” sibilò lei, stravolta
“Io ho vissuto nel tuo mondo, io so cosa vuol dire... Jareth non ti avrebbe mai amata davvero. ”
Il dolore per la perdita dell'uomo ai suoi piedi le si riversò addosso, travolgendola come una frana incontrollata. Urlò di dolore, ancora una volta. Il vento esplose da lei, cambiando direzione, distruggendo tutto nel suo turbinare. “Non dirlo mai più!” gli intimò
“Ho detto solo la verità, Sarah. Sei libera di credere quello che preferisci. Ma lui ti ha solo usata” replicò Rajeth svettando controvento
“Anche tu!” ringhiò lei e il vento si fece più compatto e tagliente. Il moro barcollò sotto il peso delle sferzate di rabbia e quando ritrovò la posizione eretta, era coperto di tagli sanguinolenti
“Cosa vuoi fare? Uccidermi per vendicarti? Non sei il tipo, Sarah!” replicò sarcastico.
Il vento esplose un'altra volta, violentissimo, scagliandolo contro il trono e mandandolo a gambe all'aria. Poi, com'era comparso, il vento si quietò. “Io non sono come te!” ringhiò, gli occhi ridotti a due fessure glaciali.
Nel silenzio carico di tensione che ne seguì, una risata sguaiata proruppe alle loro spalle, facendoli sobbalzare entrambi per la sorpresa.
Steso a terra, in un lago di sangue, Jareth teneva gli occhi coperti dalla mano guantata.
“Ti ho appena ucciso..” sibilò irritato il fratello
“Errore!” lo canzonò l'altro “Hai pensato a tutti i dettagli, tranne il più significativo...” disse l'altro tirandosi a sedere a fatica. Gli scappò un gemito di dolore. Si guardò le vesti sozze e lacere e una smorfia di riprovazione gli attraversò il volto.
“A cos'è che non avrei pensato...” sbottò l'altro incrociando le braccia al petto, offeso
“A lei...l'hai sottovalutata...” disse Jareth osservando Sarah, che lo guardava a sua volta, ipnotizzata.
“Non capisco dove ho sbagliato...” sibilò l'altro strizzando gli occhi
“Lei è la mia donna, hai poco da fare...” sghignazzò il biondo, tendendo la mano alla ragazza. Che non si mosse.
“Lei amava me! Morto tu, c'ero io a sostituirti!” ringhiò l'altro “Ancora una volta” precisò
“Amava... hai ragione. Si tratta del passato.” precisò il biondo “La tua presunzione ti ha fatto perdere di vista un piccolissimo dettaglio.”
“Taci!” Sbraitò lanciandogli addosso con rabbia. Ma nulla si levò dalle sue mani. Anzi, un tremendo capogiro lo costrinse a inginocchiarsi a terra. Ansava in cerca di ossigeno e la visione si era fatta scura, con sprazzi violacei laddove la luce si infrangeva su oggetti chiari e luminosi. “Cosa..?” Rajeth era perplesso. Cosa gli stava succedendo? Dov'erano finiti i suoi poteri?
Jareth rise in risposta, divertito e sollevato “Non ti agitare troppo. Dimentichi quanto può essere distruttivo il suo potere? Ringrazia che si sia trattenuta e ti abbia solo privato delle forze. Per ridarle a me!”
Rajeth alzò gli occhi dalle proprie mani e lo squadrò rabbioso “Lei non può...”
Jareth lo interruppe “Perché? Ragiona, cretino!” lo rimproverò
“Tu non le hai fatto nulla, quella notte!” ringhiò indispettito
Il biondo stirò un sorriso comprensivo “Marking ha schermato davvero bene il tuo potere... Così sei convinto che non le abbia fatto nulla, eh...” disse lasciando scivolare sulla donna impietrita un'occhiata lasciva
“Non sei il tipo!” precisò il moro
Il Re di Goblin batté le mani sulle cosce e si tirò su “Se è questo che pensi...Allora più che del rancore della mia donna...” sottolineò “...forse avresti dovuto temere il potere di una vergine innamorata...” Arricciò le labbra e continuò “Quello che non avevi proprio calcolato è che potesse essersi davvero innamorata di me, giusto? Perché una vergine è potentissima...”
“Ha ammansito Bellfast, ne è la prova concreta...” ribatté l'altro
Jareth gli diede ragione con un cenno della testa “Ma ha anche un potere smisurato, che non sa tenere a bada e che avrebbe stordito quel pusillanime di un ciuchino anche se avesse perso la sua purezza... Potere che potrebbe esserle rimasto in corpo, dopo avermelo riconsegnato tutto, solo se avesse giaciuto con me. Il fatto che, vergine o meno, sia innamorata di me, del morto che tu hai così vilmente offeso, ha amplificato la sua rabbia. Non l'avevi calcolato...” sorrise comprensivo. “Sottraendo a te tutti i poteri per riportare in vita me... direi che l'unico vincitore sono io. Non trovi?” Rajeth tacque, buttandosi a sedere, le braccia buttate a penzoloni sulle ginocchia. “Potrei risparmiarti la vita...” sogghignò il biondo, avvicinandosi a Sarah e prendendole la mano “Se lei lo vorrà...” aggiunse baciandogliela. Come ridestatasi da un lungo sonno, la ragazza batté le palpebre un paio di volte, guardandolo smarrita “Bentornata...” disse lui, contento e soddisfatto. Le prese il mento con la mano libera, carezzandole la guancia in piccoli cerchi e avvicinandosi per baciarla.



Il suono secco di un ceffone risuonò in aria. I due fratelli rimasero sbigottiti. Non ebbero il tempo di riprendersi che Sarah aggirò il sovrano, dirigendosi a passo svelto verso il fratellino. Lo prese per mano, carezzò Marking e fissò Immanuel, lasciando a intendere che dovessero mettersi in piedi.
“Sarah?” domandò Jareth confuso, correndole appresso e afferrandola per il polso, affinché si girasse.
“Non osare toccarmi...” sibilò ritraendosi “Mi hai usata, brutto schifoso...”
“Non è vero...” protestò lui “Sapevo che avresti reagito così e ne ho approfittato per farti confessare...”
“Cosa? Che sono una stupida? Che, anche se sapevo non avrei dovuto, mi sono fidata di un essere subdolo come te?” rantolò nella foga di insultarlo “Sì, bravo, bella scoperta... a far innamorare la gente con belle paroline sono capaci tutti...” disse fissando anche Rajeth “Siete proprio fatti della stessa pasta..” commentò amara.
Jareth e Rajeth si guardarono, perplessi “Guarda che nessuno ti ha mentito...” protestarono in coro. Ma lei non li badò e tornò dalla sua famiglia. Li prese per mano e fissò, gelida, i due maghi “Non voglio vederti mai più...” disse con tutta la rabbia che aveva in corpo “Guai a te se oserai farti vedere. Potrebbe essere la volta buona che deluda le vostre aspettative e mi trasformi in assassina!” Ringhiò furiosa.
Di colpo la sala si svuotò. Dei terrestri non c'era più alcuna traccia.



“Che bel casino...” commentò Rajeth
“Sta zitto, idiota!” replicò Jareth con un sorriso divertito sulle labbra
“Al mio posto avresti fatto lo stesso.” precisò il moro.
Il biondo sbuffò, mani ai fianchi. Si voltò e andò a dargli una mano a rimettersi in piedi “Sì... anzi, l'ho fatto...” soffiò.
“E ora che facciamo?” disse l'altro osservando la distruzione lasciata dalla ragazza: i drappi pendevano inerti e laceri dai loro supporti, le balconate erano franate riempiendo la sala di polvere e macerie.
“Per prima cosa, sistemiamo...” mormorò angustiato Jareth. In un baleno, tutto tornò al suo aspetto originario e caotico.
Rajeth storse il naso “Preferivo la mia versione pulita e ordinata...” commentò
“Avrai tempo per metterti a lucidare i pavimenti nel tuo regno...” rispose il biondo
“Ti ricordo che io non ho un regno” protestò l'altro incrociando le braccia al petto e soffocando una smorfia di dolore. “Non più, almeno”
Jareth si volse e, in un batter d'occhio, lo rimise in sesto “Tu hai sempre avuto un regno tutto tuo, nascosto in un anfratto nell'Aboveground, che porta il tuo nome..”replicò calmo il biondo
“Com'è che io non ne ho mai saputo nulla?” ribatté sarcastico l'altro
“Perché l'ho scoperto durante quest'anno di malattia... Mamma e papà ne hanno parlato davanti a me, convinti che fossi del tutto incosciente...” si giustificò lui, andando a sbracarsi sul suo trono pacchiano. Batté le mani tra loro e, quando le riaprì, un immagine tridimensionale aleggiava sui suoi palmi. Un piccolo regno, incastonato tra montagne cristalline bagnate da uno splendido lago argentato. Avvicinandosi, come volando su di esso, si intrufolarono tra le stradine, si immersero nei profumi e nei colori del luogo. “Che te ne pare? E' il Rajstan e l'emblema del re...” disse posando un dito sulla pietra che era incastonata nell'amuleto al collo del fratello “E' la Rajeta, guarda un po'...1”Il moro rimase a osservare inebetito il piccolo diorama tra le mani del fratello “Mi dispiace, Rajeth... ho dovuto vincere. Se volevo consegnarti le chiavi di questo posto, non avevo altro modo... Si sarebbe manifestato solo allo scioglimento della maledizione...” disse con un sorriso stanco.
Rajeth si rialzò di scatto, piantando le mani sui fianchi “Non dire cazzate! Tu l'hai fatto per lei, non certo per me. E comunque la maledizione non è sciolta nemmeno per niente...”
“Diciamo che ho preso due piccioni con una fava... me ne vuoi?”
“Mi hai imbrogliato, re degli imbroglioni!” sbuffò esasperato
“Lo prendo per un complimento!” sorrise il biondo “Quanto alla maledizione... direi proprio che ci siamo, invece...”
“Non avrai discendenza da lei, come non l'avrò io, mettitela via... adesso trasmetteremo le nostre colpe per altre sette generazioni...Siamo intrappolati nelle tele che avevamo tessuto per imprigionarci a vicenda” borbottò l'altro “Continueremo questa cosa del rapire bambini per farci da sostituti. E per ogni bambino preso, un suo familiare, con cui non avrà che minimi legami di sangue continuerà a perpetrare le conoscenze dell'Underground...”
“Ma se per te si è attivato il regno...” commentò Jareth levando le sopracciglia “...inoltre la conoscenza è andata frammentata. Ci sono i Grimm, da una parte, detentori del sapere tradizionale, dall'altra Sarah con quel dannato libretto e Toby che verrà da me tra qualche anno... come le concili queste cose?”
Rajeth rimase a rimuginare “Effettivamente... Allora spiegami come farai ad avere una discendenza. E da lei, poi...Non che sia necessario, lo sappiamo benissimo ma sarebbe una prova...”
“Mio caro...” sorrise compiaciuto “Lei non mi odia affatto...”
Rajeth lo guardò schifato “Avevi previsto anche questo?”
Il biondo mosse la testa, pensieroso “Non proprio così... sapevo che il giochetto non le sarebbe piaciuto e mi avrebbe posto qualche condizione... ma, tutto sommato, non dovermi far vedere non è nemmeno la più terribile delle punizioni...” ghignò compiaciuto
“Sei un maniaco!” sbottò l'altro “E la porterai all'esasperazione, già lo so...”
Al posto del regno comparve una sfera luminosa e Jareth stirò un sorriso “Oh, sì...ormai è solo questione di tempo. Basterà un colpetto per farla capitolare...”



Una folata di vento scompigliò i fogli non ancorati sulla scrivania. La stanza sembrava soffocante e troppo piccola per contenere tutta quella gente.
Sarah tirò un sospiro di sollievo e si andò a buttare sulla prima poltroncina che trovò. Lo studio di Immanuel era caldo e accogliente come lo ricordava. Alzò lo sguardo sull'orologio a muro: era passata solo poco più di un'ora.
Un'ora qua, tre ore là. Eppure le pareva fosse passata un'eternità.
“Potrei avere dei problemi, Sarah...” disse il professore, riportandola alla realtà.
Quella aprì gli occhi, stanca “Non ti sei assentato che pochi minuti...cugino...” lo canzonò
“Parlavo di Marking...” disse comprensivo.
“Lo porto fuori io!” si offerse Toby, ritrovando l'entusiasmo.
“Fa attenzione!” lo ammonì la sorella
“Passerò inosservato... se è altro che ti spaventa... non ti preoccupare... abbiamo il figlio di Grarmr qui, no?”disse carezzando il grosso cane nero. Sarah lo lasciò uscire senza insistere più di tanto.
Non fece in tempo a salutarlo e riposare un attimo gli occhi che qualcuno bussò allo studio del professore. Immanuel la guardò perplesso. Lei gli fece cenno di aprire pure: avrebbe improvvisato una giustificazione, se gli fosse stata richiesta.
Dalla porta si affacciò il volto preoccupato della sua bionda amica Gloria “Professore, chiedo scusa...” cominciò senza accorgersi di Sarah “Volevo chiederle se lei sa nulla di...Sarah!?” sbalordì nel constatare la sua presenza “Ma… che ci fai vestita così elegante? E non eri andata via con Mister Tenebra?” Sarah le lanciò un'occhiata carica di rancore “Ok, ho capito, sto zitta...”
“Me ne stava giusto parlando...” si intromise Immanuel “Pare che le cose non siano andate proprio benissimo...”
“Quindi sei andata a recuperare tuo fratello, l'hai portato qui e gli hai affidato Marking per poter parlare... ok.. scusa... torno fuori... quando vuoi...” disse stringendosi nelle spalle, felice della propria giustificazione.
“No, Gloria!” la invitò stancamente la mora “Scusa... sono io che dovrei chiederti di Matt...”
“E' un cretino!” rispose quella in un'alzata di spalle
“Gloria... visto che... sono a casa... vuoi passare Halloween con me e Toby? Vuoi venire anche tu?”disse rivolgendosi al professore.
Gloria sbiancò a quella confidenza “Certo che fai in fretta a riprenderti...”
Sarah la guardò perplessa, non capendo la frecciata
“Siamo cugini...” si giustificò Immanuel che, invece, aveva colto perfettamente. “E se per te non è un problema....” disse rivolgendosi a Sarah “...io vengo volentieri”
La bionda si rilassò visibilmente, guardando, improvvisamente, con occhi nuovi, quell'uomo non molto più grande di loro. “Quasi quasi...L'idea di andare con sconosciuti tanto per farlo indispettire non è che mi piacesse molto. Facciamo un pigiama party?” domandò scettica.
Sarah la folgorò con lo sguardo “Nemmeno per idea! Qualcosa ci verrà in mente...”
“Fatta!” esultò la bionda “Allora posso andare tranquillamente a lezione... a stasera...” disse facendole l'occhiolino “Io porto il dolce.”
Chiusa la porta, Sarah si rilassò visibilmente “Basta che non le venga l'idea di fare una seduta spiritica... non credo lo reggerei, oggi... non sono in vena...”
Immanuel sghignazzò “No... credo proprio di no...”
Neanche fossero stati nel mezzo di un'evocazione, la radio si accese autonomamente con un tonfo sordo. Dal gracchiare statico si levarono lentamente le note di una canzone ritmata
Sarah sbiancò. Iutrepi. Perché le faceva questo scherzo? Perché ora? Cosa voleva ancora da lei?

And tonight I wanna lay it at your feet 2
'Cause girl, I was made for you
And girl, you were made for me

I was made for lovin' you baby
You were made for lovin' me
And I can't get enough of you baby
Can you get enough of me

Tonight I wanna see it in your eyes
Feel the magic …
[E stanotte lascerò tutto ai tuoi piedi/ perché, ragazza, io fui creato per te/ e, ragazza, tu fosti creata per me.
Io fui creato per amarti/ tu fosti creata per amare me/ e non posso averne abbastanza di te/ puoi, tu, averne abbastanza di me?
Stanotte, voglio vederlo nei tuoi occhi/ senti la magia...]



Sarah non perse tempo, afferrò il telecomando e spense brutalmente la radio. “Creato per me, un corno!” sbottò. Stava ancora imprecando quando quella, ostinata, si riaccese

Still written in the stars3
And written in your eyes
the prophecy fulfills
the dream that never dies
[Rimane scritto nelle stelle/ e scritto nei tuoi occhi/ la profezia è compiuta/ il sogno che non morirà mai]


La ragazza lanciò un'occhiataccia all'elettrodomestico, andò al muro, senza scomporsi eccessivamente, e staccò la presa dalla corrente. Tutto ciò era veramente fastidioso.
“E' sempre così?” domandò Immanuel, un ciglio alzato perplesso, lo sguardo perso davanti a sé. Chissà cosa stava pensando?
“Non sempre...” rispose sollevata.
Un lieve raschiare dagli altoparlanti la rimise in allerta

Hell is living without your love4
Ain't nothing without your
Touch me
Heaven would be like hell
Is living without you
[Vivere senza il tuo amore è l'inferno/ non è niente vivere senza/ toccami/ il paradiso potrebbe essere come l'inferno/ E' -così- vivere senza di te...]


Profondamente irritata, la ragazza si stava armando di santa pazienza per andare a recuperare la radio dal suo ripiano, in alto, pronta a lanciarla fuori dalla finestra. Forse intuendone le intenzioni, quella cominciò a cambiare freneticamente una frequenza dopo l'altra

Call me, call me, my love5
You can call me any day or night
Call me
[Chiamami, mio amore/ puoi chiamarmi sempre, giorno o notte/ chiamami!]

You know my name6
[Tu conosci il mio nome]

I'm a wild child, come and love me I want you7
My heart's in exile I need you...
[Sono un bambino selvaggio, vieni e amami, io voglio te/ Il mio cuore è in esilio, ho bisogno che tu...]

...my love for you is burning like the sun 8
Oh everything I do, I do it just for you
My sexy, sexy lover, oh tell me there's no other
Tell me there's no other, deep in your heart
[Il mio amore per te brucia come il sole/ Oh, tutto quello che faccio, lo faccio solo per te/ Mio sexy sexy amore, dimmi che non c'è nessun altro/ Dimmi che non c'è nessun altro, in fondo al tuo cuore]



Sarah ebbe un moto di disgusto verso la radio. Arricciò le labbra, infastidita. Non gli aveva mai dato corda, ma in quel momento non ce la fece più a trattenersi e la stazione scartò, risintonizzandosi con un fastidioso raschiare, tagliente e caustica, in una risposta sarcastica.

What is Love?9
Baby, don't hurt me!
Don't hurt me, no more
[Cos'è l'Amore? Carino, non ferirmi! Non ferirmi, mai più]


Poseguì, poi, con velocità e ritmi quasi epici, assecondando la propria rabbia

I need a hero.10

I'm holding out for a hero 'til the end of the night.
[Ho bisogno di un eroe/ io sto cercando un eroe fino alla fine della notte]



Quindi scivolò più agguerrita, furiosa e inferocita.

You come on strong with a great big smile
11
But your teeth are as sharp as a crocodile
You promise me the moon and the stars and the sun
But you never did nothin'for anyone
Can't look me in the face or straight in the eye
I'd buy the movie rights for your alibi
I wonder how low you will go
I wonder how high your head will blow
You're psychopathic liar
Your soul is on fire
You're bluffin'with nothin'
While the stakes are gettin'higher
Why trust you
You never made a dream come true
Why trust you
Give me one good reason, one good reason why

You come to me all teary-eyed
With your big tall tale way up to the sky
Begging on your knees for another chance
But everybody knows that's a song and a dance
There used to be a time when you were the best
You had the fastest tongue in the west
Ya gave a look and a line like nobody else
You'd try to sell the Bible to the devil, Himself
You sadistic little liar
You're walking on the wire you're bluffin'up with nothin'
And the bills are gettin'higher

The noose is getting tighter
Your face is turning whiter
[Ti fai avanti con un gran bel sorriso/ ma i tuoi denti sono affilati come quelli di un coccodrillo/ Mi hai promesso la luna e le stelle e il sole/ ma tu non fai mai niente per gli altri/ Non riesci a guardarmi in faccia o dritto negli occhi/ Potrei comprare i diritti cinematografici per i tuoi alibi/ Sono curiosa di sapere quanto in basso ti spingerai/ e quanto in alto sbatterà la tua testa/sei un bugiardo spicopatico/ La tua anima è sul fuoco/ Bluffi col nulla/ mentre la posta in gioco si fa sempre più alta/ perchè dovrei crederti?/ non hai mai realizzato nessun sogno/ perché crederti?/ dammi una buona ragione, una sola buona ragione/
Vieni da me in lacrime/con la tua bella favola, così enorme che arriva al cielo/ elemosini sulle ginocchia un'altra opportunità/ Ma ora tutti sanno che quella è la solita canzone e danza/ usata ai tempi di quando eri il migliore/ Hai la lingua più veloce del West/Tu tiri un'occhiata e una linea come nessun'altro/ potresti provare a vendere la Bibbia al diavolo stesso/ Tu piccolo sadico bugiardo/ cammini sul filo bluffando con nulla/ e il conto si allunga
Il cappio si fa stretto e la tua faccia sbianca
]



La radiò ruggì rabbiosa, lasciandosi per ultima quella minaccia. Sentiva di star usando il suo potere in modo molto consapevole. Allo stesso modo, sperava che quelle parole gli arrivassero forti e chiare. Pensava di aver finalmente chiuso la faccenda quando, dopo un attimo di incertezza, la radio cantò con rammarico

Have I said all I can say?12
You're my everything
You make me feel so alive
If I die tomorrow
[Ho detto tutto ciò che potevo dire?/ Tu sei il mio tutto/ Tu mi fai sentire così vivo/ Se domani morissi...]


Basta! Era stufa di perdere tempo ed energie con uno del genere.
Ora si metteva anche a minacciare il suicidio? Che facesse! Stupido viziato!
Abbandonò i suoi intenti distruttivi, per non fare il suo gioco, salutò Immanuel, rimandando a quella sera le chiacchiere e uscì sbattendo la porta. Sentiva che quello non era altro che l'inizio di un'altra lunga, estenuante, partita.



“Non ti sembra di aver esagerato?” domandò Immanuel accigliato, buttato contro lo schienale, meditabondo e per nulla sconvolto da quel gioco a rimpiattino tra la ragazza e la radio “Non mi sembri proprio in fin di vita... anche se lei ha minacciato di ucciderti già due volte...”
Jareth sorrise sornione, appoggiato alla finestra davanti alla scrivania del docente. Era divertente spiare le reazioni di Sarah dal vivo senza che questa potesse vederlo a sua volta. “Tu dici?” disse con aria innocente
“Comunque, mi sembra molto poco corretto quello che stai facendo...” Lo redarguì ancora l'uomo
Jareth arricciò le labbra pensieroso “Lei ha detto che non voleva più vedermi... non che non la dovessi più importunare o altro.”
“Conoscendoti, comunque, la sfilza delle cose che avrebbe dovuto dirti di non fare, avrebbe dovuto tendere a infinito... perché tu, lo stratagemma per aggirare i vincoli, lo trovi sempre, non è vero?” Domandò esausto. Aveva tanto di quel materiale su cui lavorare che sarebbe campato di rendita per il resto dei suoi giorni “Non intendi lasciarla in pace, vero?”
Jareth sorrise malizioso e soddisfatto “Quel che è detto è detto...”












- - - - - - - -

E qui si conclude la nostra avventura. Tutto è bene quel che finisce bene...
scusate lo scherzone dello scorso capitolo ma era una cosa che quel demente aveva in testa dal primissimo capitolo ù_ù;
Spero vi sia piaciuta.
Il finale è aperto a un eventuale seguito che non ho ancora in mente.
Se mi verranno idee decenti e se vorrete, ci proverò.
Ma per ora, meglio chiudere qui.
:)
Baci a tutti!







1    In realtà ho fatto un po' un minestrone, come accennato in precedenza: il Rajstan di per sé non c'entra proprio nulla con la fic. L'ho usato solo per il nome e per l'origine che rimanda all'aspetto di Rajeth (che è anagramma del nome Jareth).
Ma la leggenda all'origine di tutto è quella di Dolasilla da cui ho estratto solo alcuni dettagli, in modo che l'origine non fosse rintracciabile. Gli elementi che ho preso sono: la Rajeta, pietra “meravigliosa, raggiante e invincibile” (a casa mia, pietra che risponda a queste caratteristiche è il diamante) del mago Spina de Mul che aspetta solo la sua legittima regina e originaria del Lago d'Argento, dalle cui canne si potevano produrre delle punte invincibili (che, ancora, mi rimanda al diamante); l'armatura in pelo di Marmotta bianca di Dolasilla su cui gravava la maledizione, relativa al cambio di colore della stessa) e il nome attribuito, prima al re traditore, poi al passo che lo ricorda, Falzarego: Falso Re. Il diamante poteva starmi bene come pietra per Rajeth ma era troppo simile al cristallo di Jareth. Quindi l'ho reso nero, raro e invincibile, con proprietà specifiche diverse dal cristallo. D'altronde era il cattivo, quindi...
Da qua il titolo. Quello che ha fatto Rajeth non era che tessere una tela per imprigionare i suoi rivali.

2    KISS, Dynasty, 1. I was made for lovin' you

3    Blackmore's Night, Fires at midnight, 1. Written in the stars

4    Alice Cooper, Trash, 9. Hell is living without you

5    Blondie, Call Me

6    Chris Cornell, You know my name

7    W.A.S.P., The Last Command, 1. Wild Child

8    Modern Talking, Alone, 2. Sexy, Sexy Lover

9    Haddaway, What is love

10    Bonnie Tyler, Secret Dreams and Forbidden Fire 9. Holding out for a hero

11    Alice Cooper, Trash, 4. Why trust you

12    Mötley Crüe, Red, White & Crüe, disco 2, 15. If I die tomorrow

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=938832