Rewriting of Evangelion - Mutations

di Darik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7° Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo ***


1° Capitolo

Asuka picchiettava un piede sul pavimento da almeno un quarto d’ora.

Si reggeva sulla scopa che l’era stata assegnata per le pulizie settimanali, fissava fuori dalla finestra e non sembrava minimamente interessata a svolgere il proprio compito.

Uno dei suoi compagni di classe, di quelli assai diligenti, se ne era accorto, quindi si avvicinò con grande cautela: “Ehm, Soryu, dovresti pulire il pavimento sotto la lavagna”.

La risposta di Asuka fu uno sguardo misto d’irritazione, senso di superiorità e minaccia, che ottenne l’effetto da lei desiderato: il poveretto batté subito in ritirata.

Shinji e Mana stavano parlando tranquillamente, intenti a pulire i vetri della finestra, e si sorridevano a vicenda.

Toji, anche lui con una scopa in mano, se ne accorse. “Guarda guarda, a quanto pare abbiamo una nuova coppia di piccioncini!”

“Non c’è che dire, Shinji sceglie sempre le migliori”, incalzò Kensuke.

Udendo una serie di mugugni divertiti da parte degli altri compagni, Shinji arrossì, perché, in effetti, non si era reso conto di come potevano essere interpretati certi suoi atteggiamenti in classe.

Senza contare che lui già conviveva con Asuka e soprattutto Misato, cosa che Toji e Kensuke gli invidiavano parecchio.

Shinji fece per replicare, quando un panno sporco volò in faccia a Toji, che per la sorpresa spalancò le braccia e con il manico della scopa colpì a sua volta Kensuke in pieno viso, facendolo cadere per terra.

“Doppio centro!”, esclamò soddisfatta Mana, suscitando le risate della classe.

Una mano pallida tolse il panno dal volto stupito e bagnato di Toji.

“Oh, grazie, Ayanami”, disse il ragazzo.

L’incipiente sorriso di Suzuhara, speranzoso che dietro quel gesto di gentilezza ci fosse un’attenzione particolare dell’albina nei suoi confronti, si spense quando vide Ayanami sciacquare quello stesso panno in un secchio d’acqua, perché il suo era ormai troppo sporco, e poi continuare con le pulizie.

“Lasciamo perdere”, mugugnò Toji aiutando Kensuke a rialzarsi e tornando a lavoro, cosa che fecero anche Shinji e Mana.


La capoclasse si avvicinò a Soryu. “Senti Asuka, posso chiederti un favore?”

Asuka si destò dai suoi pensieri e le sorrise. “Dimmi pure”.

L’altra allora le sussurrò qualcosa nell’orecchio.

La proposta doveva aver scandalizzato Asuka, a giudicare dal grido che lanciò, ma Hikari la supplicò, piegando il capo e unendo le mani a mo’ di preghiera.

La rossa ci rimuginò sopra e proprio allora Shinji e Mana uscirono dalla classe con Ayanami.

“Ti farò sapere entro l’ora di pranzo”, rispose Asuka andando alla finestra e cominciando ad armeggiarci intorno.

Con un’espressione assai soddisfatta, sembrò raccogliere qualcosa di molto piccolo da una fessura, afferrò la sua cartella e uscì di corsa salutando Hikari.


“Shinji! Asuka! Sono a casa!”, annunciò Misato rientrando in tempo per l’ora di pranzo.

“Bentornata”, rispose Shinji dalla cucina.

Misato si accorse del silenzio che regnava nel soggiorno. “E Asuka?”

“In camera sua a fare chissà che cosa”.

Mostrando una certa sorpresa, Misato andò a bussare alla porta della ragazza, che solitamente a quell’ora trovava sempre davanti alla televisione del soggiorno. “Asuka, tutto a posto?”

Non giunse risposta, quindi il maggiore della Nerv aprì di poco la porta: vide Asuka stesa sul suo futon e con ancora indosso l’uniforme scolastica, le mani dietro la testa, gli occhi chiusi. La cartella era abbandonata in un angolo.

Sembrava che la giovane dormisse, ma nelle orecchie aveva le cuffie di un walkman*, quindi stava ascoltando con attenzione un nastro.

Il maggiore concluse che doveva trattarsi di musica, e sembrando tutto a posto, richiuse l’uscio.

Poco dopo Asuka si tolse le cuffie e guardò il calendario.

“Capita a fagiolo”, disse tra sé e sé recuperando il cellulare dalla cartella. “Hikari? Sì, sono io. Volevo dirti che accetto e che faremo alle quattro e mezza. Digli che o si fa così o niente! Ciao”.

“Sì! E’ davvero questo il modo migliore per cominciare un pranzo!”, esordì Misato scolandosi in un solo sorso mezza lattina di birra.

A tavola con lei c’erano anche Shinji, che per un momento la osservò rassegnato, e Asuka, del tutto disinteressata.

Misato decise di rinviare il secondo sorso. “Sembra che oggi abbiamo tutti da fare”.

“Infatti”, rispose Shinji apparendo alquanto corrucciato, soprapensiero, e cominciando a mangiare con scarso interesse.

La sua tutrice se ne accorse. “Sei ancora preoccupato per l’incontro di oggi pomeriggio?”

“Non so proprio cosa dovrei dirgli”, ammise il ragazzo.

La donna attese qualche attimo, quasi come se sperasse in un qualche intervento di Asuka, ma poi capì che la sua coinquilina intendeva solo mangiare restando in silenzio.

Quindi parlò cercando di essere sia decisa che comprensiva.

“Non posso dirti quali parole dovrai usare, queste sono faccende personali. Posso però consigliarti di andare rilassato. Vedrai che le parole ti usciranno da sole. Tu limitati a non restare in disparte, non essere troppo teso, sarebbe imbarazzante se dovessi trasalire a ogni suo movimento. Inoltre”, terminò Misato sfoderando un sorriso e uno sguardo ammiccante, “non dimenticare che questa ricorrenza è importante anche per il comandante, perciò non penso proprio che ti dirà cose spiacevoli”.

Shinji assentì e parve rincuorato. “Comunque”, aggiunse lui, “dopo l’incontro, non verrò subito a casa. Andrò a fare una passeggiata”.

A quelle parole, Misato si sporse in avanti, poggio i gomiti sul tavolo, intrecciò le mani e ci posò sopra il mento. “Ah già, negli ultimi giorni rincasi più tardi di Asuka. Spero che non combini niente di particolare durante queste passeggiate”.

Shinji sapeva che era inutile fingere, alla sua tutrice bastava guardare i rapporti dei servizi di sicurezza per sapere con chi stesse in quei lassi di tempo. Ma cosa intendeva dire con quel particolare?

“Voglio solo ricordarti che siete entrambi troppo giovani per certe cose”, spiegò il maggiore come se gli avesse letto nel pensiero. Mostrò anche un sorriso malizioso, grazie al quale fece finalmente ben capire che cosa intendesse.

Shinji sentì fortissimo il desiderio di sparire sotto il tavolo, mentre Asuka seguitava a mangiare con indifferenza.

“E tu, Asuka, non dici niente?”, domandò Misato notando quel silenzio continuo, così strano per una ragazza dalla parlantina sciolta come la Second Children.

“Su cosa?”, replicò quest’ultima continuando a mangiare e senza neppure guardare in faccia la sua interlocutrice.

Anche quel tipo di atteggiamento non poteva sfuggire alla curiosità del maggiore. “Come ‘su cosa’? Oggi pomeriggio non mi hai detto che hai da fare?”

“Figurati, esco con un tizio insignificante solo per fare un favore a Hikari”.

“Chi può dirlo? Magari dimostrerà di essere la tua anima gemella…

Asuka, sentendo quella punzecchiatura, alla fine si degnò di guardare in faccia Misato, sfoggiando un mezzo ghigno. “Se davvero ci fosse un rischio simile, allora preferisco restare zitella per sempre. D’altronde ho proprio qui in casa un ottimo esempio di zitella quasi trentenne!”

Essendo colpita e affondata da tale affermazione, Misato poté solo decidere di finirla lì, riprendendo a mangiare.

Quello era un argomento delicato, specialmente per una donna che quel pomeriggio doveva andare al matrimonio di un amico d’università, e doveva andarci insieme al suo ex-ex-ex fidanzato.


Arrivò il fatidico primo pomeriggio: Asuka, Shinji e Misato uscirono uno dopo l’altro, salutando Pen Pen che restava a fare la guardia alla casa.


Maaya, con indosso un grembiule, stava pulendo il bancone di legno, con sopra la cassa, usando uno strofinaccio.

Gli incassi giornalieri fino a quel momento erano stati esigui: pochi clienti in giro, pertanto iniziò a pensare di chiudere in anticipo, nonostante fossero solo le quattro e mezzo del pomeriggio.

Fu allora che entrarono Shinji e Mana.

“Benvenuti!”, esordì Maaya, resa raggiante da quella vista. Saltando agilmente sopra il bancone, corse a stringerli entrambi con un abbraccio assai poderoso.

“Gr-grazie”, mormorarono i due ragazzi tentando di respirare dopo quella presa mozzafiato. Maaya li fece accomodare a un tavolo e, dopo aver preso nota dell’ordinazione di Mana, passò a quella di Shinji.

“Che ti porto, cucciolo?”

“Cu-cucciolo?”, ripeté Shinji facendo una buffa faccia sorpresa.

“Sì. Non ti piace? Hai ragione, cucciolotto, suona molto meglio”, corresse Maaya con grande naturalezza.

“Ecco… veramente preferirei che non mi chiamasse in nessuno dei due modi. Mi accontento di Shinji”.

“Come vuoi”, rispose l'altra prima di annotare anche la seconda ordinazione.

Quando poi si recò in cucina, rimasti soli, Shinji e Mana cominciarono a parlare. Erano uno di fronte all’altra e il ragazzo vedeva molto bene la cucina, inclusa la proprietaria del locale che maneggiava tre grossi barilotti da birra.

Maaya si voltò fugacemente verso Shinji, come se si fosse accorta di essere osservata da lui, e tirando fuori uno strano sorriso di complicità cominciò a far volteggiare con gran naturalezza e senza alcun problema i tre barilotti, nonostante dessero l’impressione di essere assai pesanti, come fosse un giocoliere con dei birilli.

Poi rientrò un momento e collocò i tre barili sotto il rubinetto della birra alla spina, provandolo un momento e dimostrando così che quei contenitori erano pieni.

“Shinji? Ehi Shinji?”, lo richiamò Mana.

“Che… che c’è?”

“Io non ho niente. Invece tu sei rimasto a bocca aperta. Mi sembri persino un po’ impallidito. Va tutto bene?”

“Oh sì, certo”.

Maaya ci mise poco tempo ad arrivare con le pietanze. “Ecco qua. Uno alla fringuella e uno al cucciolotto. Ops, scusa, dimenticavo che non vuoi essere chiamato cosi”.

“No, non fa nulla”, rispose Shinji mettendo le mani in avanti. “E poi lo trovo un aggettivo simpatico.”

Maaya, assai soddisfatta, gli mise una mano in testa e gli arruffò capelli. “Ti ringrazio”.

I due clienti iniziarono a mangiare con gusto, parlando tra di loro, per poi uscire una volta pagato il conto.

“Eh, mi dispiace ma affibbiare nomignoli è uno dei pochi passatempi che ho”, disse tra sé e sé Maaya mettendo i soldi in cassa.

Qualche minuto dopo l’uscita della prima, una seconda coppia entrò nel locale: una bella ragazza con lunghi capelli rossicci e un ragazzo dall’espressione strana, che sembrava non capacitarsi del suo atteggiamento.

A prima vista, infatti, potevano sembrare la classica coppietta, ma era lei a trascinarlo per mano, per poi costringerlo a sedersi. Infine si sedette a sua volta, spazientita. Il ragazzo pareva non sapere proprio come comportarsi.

Maaya andò loro incontro per servirli.

“Un piatto di spaghetti!”, tuonò la ragazza.

“Ehm… ed io?”, accennò timidamente il ragazzo.

“Oh sì. Spaghetti anche per lui”.

Maaya, finito di scrivere le ordinazioni, ritornò in cucina.

Essendo dei piatti molto semplici, ci voleva poco tempo per cucinarli, e nel frattempo tentò di ascoltare cosa si dicevano i due avventori. Ma il loro silenzio era totale, e al suo ritorno vide che la ragazza si era messa sul grembo una borsetta a tracolla e armeggiava con qualcosa che stava all’interno di quest’ultima.

L’altro, invece, ogni tanto si guardava intorno, oppure teneva lo sguardo basso.

“Tipico atteggiamento di chi non sa proprio che pesci pigliare”, realizzò Maaya inarcando un sopraciglio.

Poggiò il piatto davanti al ragazzo, facendogli un sorriso, e poi servì l’altra cliente: “Eccoti gli spaghetti, chica”.

“Chica?!”, esclamò la cliente fulminando Maaya con uno sguardo inceneritore, ma senza ottenere un gran risultato, poiché l’altra sostenne con grande tranquillità quella occhiata, e lo fece fino a quando i due non cominciarono a mangiare, in un silenzio di tomba.

A quel punto Maaya se ne ritornò in cucina e rimase appoggiata alla porta, per godersi lo spettacolo di quel duo così particolare.

In realtà il giovane sembrava desideroso di parlare, ma l’atteggiamento della sua compagna prometteva fuoco e fiamme se avesse provato anche solo a fiatare.

Pareva, semmai, aver fretta: finì gli spaghetti per prima, e quando posò sul tavolo le posate, piuttosto bruscamente, il suo accompagnatore sobbalzò e fece cadere il contenuto del suo piatto in parte per terra e anche sui suoi pantaloni.

“Bah, ma guarda cosa hai combinato!”, tuonò lei.

“Ma… ma io…”, provò a obiettare lui cercando di raccogliere il piatto.

Un dito minaccioso indicò la porta dei bagni. “Niente ma! Vai a sciacquarti! Subito!”

Il poverino, rassegnato, obbedì.

Rimasta sola, la ragazza andò a sedersi al bancone. “Un bicchiere d’acqua”, chiese con fare scocciato, e fu prontamente esaudita.

“Il tuo lui non sembra andarti molto a genio”, osservò la ristoratrice iniziando a mettere in ordine tra i bicchieri che stavano sotto il bancone.

La cliente scoppiò a ridere. “Il mio lui?! Tsk, quello è un povero stupido che mi ha fatto compassione, tutto qui!”

“Se tratti così quelli di cui hai compassione, allora tremo all’idea di cosa fai a quelli che odi”.

“Si può sapere perché ti prendi tutta questa confidenza?”, domandò allora la cliente squadrandola.

“Io cerco sempre di prendere confidenza con chi viene nel mio locale. Specie se lo fa più di una volta”.

L’altra sbuffò. “Spero che non tenterai di prendere confidenza anche con quell’idiota che mi porto appresso. Quello rischia solo di attaccarti la sua stupidità. Fai attenzione!”

“Farò attenzione.” Maaya ammiccò con lo sguardo. “Ho una certa esperienza nello scegliere gli uomini”.

“Gli uomini? Per favore! Gli uomini sono soltanto degli stupidi pervertiti che pensano solo a cose sconce”.

“Guarda, il tizio che ti accompagna non mi sembra uno stupido pervertito. Magari è un bravo ragazzo”.

“Non lo è. Ne sono sicura!”

“Su che ti basi?”

“Sul mio istinto femminile. Gli uomini sono porci e basta!”

Maaya la guardò con interesse. “Ne hai avuto un esempio?”

“Certo! Una volta, ad esempio, mi stavo cambiando sotto una scala, e uno di quei pervertiti si è messo a spiarmi dalla rampa superiore!”, spiegò indignata la ragazza.

“Non è detto che l’abbia fatto per quei motivi. Forse era solo curioso di sapere cosa stessi facendo”.

“E’ impossibile!”

“Perché? Tu gli avevi detto cosa stavi facendo?”

“Be, no”.

La cliente abbassò per un momento lo sguardo. Ma solo per un momento. “Comunque sono sicura che volesse spiare una bella ragazza che si cambiava. D’altronde, solamente un ingenuo non avrebbe capito cosa stavo facendo lì sotto!”

Maaya si portò una mano al mento. “E se invece il tizio in questione fosse davvero un ingenuo?”

La cliente poggiò un braccio sul bancone, e con una mano prese a giocherellare col bicchiere, facendolo scivolare sulla superficie di legno. “In effetti, sì. E’ probabilmente la persona più ingenua che conosco”.

“Colpa dell’educazione subita in famiglia?”

“Non l’ha mai avuta una famiglia quello lì. La madre è morta quando aveva solo quattro anni, e il padre, un bastardo, l’ha abbandonato subito dopo come si fa con i cani per strada”.

“E allora che colpa ne ha lui? Se ha sbagliato a causa dei problemi per la sua situazione famigliare…”

La cliente sembrò restare scandalizzata. “Ma ha comunque sbagliato! Ed è sbagliato voler assolvere sempre!”

“Infatti. Ma se i suoi errori derivano dalle sue esperienze del passato, allora significa che la sua ingenuità non è propria della sua natura. Quindi vuol dire che non è destinato a essere così per sempre. Può migliorare. Magari con una persona forte al suo fianco”.

“Ed è qui un altro esempio della sua ingenuità! Si è messo con una ragazza ingenua come lui! Ti sembra che una coppia del genere possa funzionare?!”

“Oh no! Sono gli opposti che si attraggono!”, rispose prontamente Maaya.

“Esatto!” La giovane con i capelli rossi piantò le mani sul bancone e si sporse sempre più in avanti. “Una coppia del genere non può funzionare, non può esistere! Quegli stupidi finirebbero solo col rovinarsi a vicenda! Un ingenuo come lui ha bisogno di una compagna adatta, sempre ammesso che riesca veramente a trovare qualche disperata che lo voglia. Ha bisogno di una forte, che parli senza peli sulla lingua, che non si lasci intimidire da nessuno, che sappia alzare le mani quando occorre per difenderlo!”

“Giusto!” assentì Maaya “E magari questa compagna dovrebbe anche avere una sensibilità nascosta che gli permetta di capire veramente il ragazzo!”

“Sì. Perché hanno avuto esperienze similari!”

“Brava!” applaudì la ristoratrice: finalmente la sua sempre più infervorata cliente, che ormai sporgeva così tanto in avanti da essere quasi faccia a faccia con lei, era giunta alla giusta conclusione.

In quel momento si sentì un tenue segnale sonoro, la ragazza tornò a sedersi correttamente, guardò nella borsetta, bofonchiò un’imprecazione, lasciò alcune banconote sul bancone, corse nel bagno, degli uomini, e trascinò il suo accompagnatore fuori dal locale.

Maaya recuperò i soldi e prese a contarli. “Forse avrei dovuto aprire un’agenzia per cuori solitari. Certo che quella ragazza anziché quattordici, sembra averne solo dieci di anni. Se ne esce con discorsi così stereotipati sugli uomini…”

Quando terminò il conto, un’espressione birichina si disegnò sul suo volto, e cominciò subito a chiudere il locale.


Arrivò infine la sera, e Maaya, che aveva riaperto il suo ristorante, vide rientrare la cliente con cui aveva discusso quel pomeriggio.

La ragazza con i capelli rossi aveva un’aria sconsolata.

“Buonasera, chica”, salutò la proprietaria, intenta a pulire il bancone. “Com’è andata la giornata?”

“Male”, rispose la cliente. “Ricordi la coppia di ingenui di cui ti ho parlato? Forse sta davvero nascendo qualcosa…”

Maaya sospirò volgendo gli occhi al cielo, e la invitò a sedersi davanti al bancone, allo stesso posto del pomeriggio.

L’altra obbedì senza fare obiezioni. “Hanno passato tutto il pomeriggio insieme, e sono andati un po’ dappertutto. Per ultimo, al parco”.

“E il ragazzo che ti accompagnava?”

“L’ho mollato davanti alle giostre”.

Maaya inarcò un sopracciglio. “Capisco… Però può darsi che corri troppo. Non hanno fatto altro che parlare, tranne per quel bacio sulla guancia quando si sono salutati”.

La cliente la fissò sorpresa. “Come… come fai a saperlo?!”

“Sai, ti devo ringraziare. I soldi che mi hai dato prima erano molto più di quelli che mi dovevi. Con quell’extra, senza toccare i soldi in cassa, sono potuta andare in quella gelateria, poi in quel cinema e infine in quel parco. Il tutto è stato davvero molto divertente!”

“Tu…. Tu ci hai spiati!”

Maaya fece un sorriso birbone. “Mi sa di sì”.

La cliente strinse i pugni. “E come…. Come ti sei permessa?!”

“Adesso ti arrabbi, ma ti faccio i miei complimenti per l’autocontrollo che hai dimostrato mentre pedinavi quella coppia d’ingenui. Temevo che potessi compiere qualche sciocchezza”.

La cliente arrossì. “Non… non lo avrei mai fatto!”

“Ah no?”

Maaya con passo deciso si avvicinò alla ragazza, le strappò la borsetta a tracolla e vi frugò dentro, tirandovi fuori quello che sembrava un piccolo schermo portatile.

Cominciò a rigirarselo tra le mani. “Un mio amico era molto esperto di queste cose. Questo è un rilevatore di posizione, di quelli che si usano per le auto in caso di furto. Non m’interessa dove l’hai rubato, ti basti sapere che, avendo fatto questo, è normale sospettare che tu possa spingerti molto più in là”.

L’altra ragazza abbassò lo sguardo e fece per andarsene.

“Quell’ingenuo non si accorgerà mai di te, se non ti fai notare”, le disse infine Maaya.


Asuka sedeva nella sua camera, fremente di rabbia e rossa in volto.

Il piccolo microfono direzionale piazzato nella finestra che quegli stupidi dovevano pulire… Il rilevatore di posizione con relativo micro segnalatore rubato dall’auto di Misato, quella Ferrari che non usava quasi mai perché l’Alphine le piaceva troppo… Il pedinamento a distanza grazie al rilevatore…

“Che merdata! Che vergogna! E che ingenua che sono stata! Come ho fatto a non capire che le ho spifferato tutto davanti a quel maledetto bancone!?”

Qualcuno bussò alla sua porta.

“Chiunque tu sia, fila via!”, tuonò la ragazza.

“Asuka, sono io”, disse Shinji dall’altro lato della porta. “Volevo chiederti se avevi visto la cintura della mia divisa scolastica”.

Asuka si alzò e aprì la porta con violenza.

Shinji sobbalzò, e quando la vide infuriata, con la sua cintura in mano, temette il peggio. “Prenditela, la tua maledetta cintura!”, gridò lanciandogliela addosso. “E guai a te se mi fai fare un’altra figura vergognosa come oggi!”

“Eh? Di che parli?”

“Idiota!!”, sbottò Asuka chiudendogli la porta in faccia.

Shinji rimase interdetto, preferì non pensarci e andò a letto, passando affianco alla stanza di Misato, caduta in un sonno profondissimo dopo il suo ritorno dal matrimonio, accompagnata dal signor Kaji.

****

Qualcosa era cambiato.

Da quanto tempo si trovava lì?

Da circa sei mesi.

Era ormai da sei mesi che stava in quella cella vuota dalle pareti bianche.

Perché si trovava lì?

Perché aveva ucciso alcuni dei suoi fratelli, e gli scienziati dei suoi padri lo avevano rinchiuso non per punizione, ma perché temevano che potesse fare la stessa fine, ignorando quindi che era lui il colpevole.

Chi era lui?

Era se stesso, perché ora ricordava il suo nome e il suo passato.

Chi lo aveva rinchiuso lì?

Questo lo sapeva già da qualche tempo…

Chi lo aveva creato, deluso dal risultato finale, non credendo che sarebbe stato all’altezza.

Sarebbe uscito da lì?

Oh sì.

Ci avrebbero pensato le sue sorelle.


“Ehi, si è sdraiato”, comunicò l’addetto ai rapporti.

Il suo collega dei monitor si era alzato per prendersi un caffè, quindi lui l’aveva sostituito per un momento.

Sentendo quelle parole, l’uomo tornò subito al suo posto per controllare.

“Sì, si è sdraiato per dormire. Meglio così, vorrà dire che sta tornando normale”.

L’altro non era dello stesso parere. “Era da sei mesi che non lo faceva. Dormiva sempre restando in posizione meditativa, e chissà come faceva e a cosa pensava da sveglio”.

“Non dirmi che sei preoccupato! Non starai andando in paranoia?”, domandò l’uomo dei monitor.

“Spero di no. Dico solo che mi sembra… sospetto”.

“Sì, stai diventando paranoico”, concluse il collega.


*Forse sembrerà strano che si utilizzi un walkman in una storia ambientata nel 2015, quando già adesso i walkman manco li fanno più e gli Ipod dominano. Però io ci tengo a rispettare il più possibile la serie base, e siccome nella serie Tv si utilizzano regolarmente, ho deciso di farlo anche io.

 

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


2° Capitolo

Due uomini, vestiti con abiti neri simili a dei frac e con delle maschere bianche sul volto, chinarono profondamente il capo non appena la videro.

“Milady, il principe la sta aspettando”.

Scostarono le tende, svelando la presenza di un palchetto avente quattro posti, e solo uno era occupato.

La giovane lady fissò distrattamente il palcoscenico, ancora coperto dal sipario.

Tutti i posti a sedere di quel teatro all’italiana erano occupati da gente di alto lignaggio, le cui figure trasudavano dignità e altezzosità.

Persino quando mormoravano, lo facevano in maniera molto composta, senza attirare minimamente l’attenzione.

La fanciulla si sedette affianco al suo unico vicino, un bel giovane con fluenti capelli castani e occhi alquanto penetranti.

Indossava un abito molto elegante e vagamente militare: aveva una lunga giacca rossa, con bottoni e spalline dorate, pantaloni neri con una striscia d’oro sui fianchi, una cintura che reggeva una lunga e sottile spada, stivali di cuoio.

Il giovane si volse verso la sua ospite. “Da tanto tempo la aspettavo, ma cara”.

Prese una delle sue candide mani tra le proprie e ne baciò delicatamente il dorso.

“Anche se il suo invito mi ha molto lusingata, spero di non offenderla rivelandole che non mi sento molto a mio agio in vostra presenza, principe Lamperouge”, rispose lei con una certa freddezza.

Il principe non si scompose minimamente per quella risposta. “Devo ammettere che la mia persona non è in grado di attirare le sue graziose attenzioni. Ma sapevo che non sarebbe mai mancata a questa rappresentazione. E’ considerata una delle più strabilianti nel suo genere, dotata di sfaccettature introspettive capaci di svelare verità di cui nemmeno il più saggio è a conoscenza”.

La vide inarcare lievemente un sopracciglio. “Non ho mai sostenuto di possedere la saggezza e la verità assolute”.

“A maggior ragione, allora, deve assistere a quest’opera. Spero che la troverà illuminante, come desidero”.

Le luci calarono, il lieve e insistente mormorio degli spettatori cessò si spense e il sipario si aprì.

****

Asuka fissava con poco interesse il banco vuoto di Shinji, mentre il giovane era un momento in bagno.

Mana invece leggeva un libro.

Ormai l’intervallo stava per finire, i pranzi erano stati consumati, e i pettegolezzi cominciavano lentamente a spegnersi.

Quando Shinji rientrò, Asuka deglutì, si alzò di scatto, si diresse con decisione verso di lui, che a quella vista s’irrigidì: Asuka si fermò proprio davanti al ragazzo, fissandolo con occhi di fuoco.

“A-Asuka… cosa c’è?”

“Stamattina”, esordì in modo telegrafico, “in lavatrice, quella stupida di Misato ha messo della roba con i colori che stingono, e ha rovinato diversi miei vestiti. Oggi pomeriggio vado a comprarne di nuovi. Devi venire con me”.

“Eh? E perché?”

“Perché devo valutare gli acquisti in base alle tue reazioni. Se avrai reazioni da porco, allora vuol dire che quell’abito non devo prenderlo”.

Shinji si grattò dietro la testa e tentò di distogliere lo sguardo. “Ma… ma io non lo so… oggi pomeriggio avrei un impegno…”

“Davvero?”. Asuka si avvicinò ancora fino a mettersi faccia a faccia. “Con chi?”

Mana arrivò silenziosamente alle spalle della Second Children. “Ci sono problemi?”

“Ma te li fai una buona volta gli affari tuoi?!”, sbraitò Asuka voltandosi infuriata verso di lei.

“Ho solo chiesto se c’era qualche problema” replicò l’altra provando a tenerle testa.

“Sei tu il problema!”, esclamò Asuka mettendole una mano in faccia e spingendola con forza. Mana cadde in malo modo su uno dei banchi vicini.

Gli occhi dei presenti si puntarono su di loro.

“Asuka! Sei impazzita?!”, gridò Shinji scostandola abbastanza bruscamente per soccorrere Mana.

Asuka strinse i pugni talmente forte che le nocche divennero bianche, e se ne andò.

Si diresse verso una scalinata, dalla quale stavano arrivando due ragazzi.

“Toglietevi dai piedi!”, urlò Asuka spingendoli via proprio mentre stavano per mettere piede sull’ultimo gradino, e a causa della spinta e della loro posizione, finirono per perdere l’equilibrio e ruzzolare giù per le scale.

Il destino volle che anche Toji stesse salendo le scale in quel momento, col risultato che fu travolto dai due e insieme con loro, cadde fino alla fine della scala.

Furono prontamente soccorsi da alcuni insegnanti, che chiamarono l’infermiera scolastica.

Alla fine i due ragazzi se la cavarono con solo qualche livido.

Toji, invece, ne uscì con la gamba rotta e avrebbe dovuto portare il gesso per un mese.

Tutto questo Asuka lo seppe solo a casa, verso l’ora di pranzo: nonostante quello che aveva combinato, non si era fermata neppure un attimo, era uscita da scuola e tornata al suo appartamento.

Informarla fu compito di Misato, dopo che fu a sua volta avvisata dai professori, scandalizzati per il comportamento della loro alunna.


“Ti rendi conto di cosa hai fatto?! Ed è stata già una fortuna che Suzuhara si sia rotto solo una gamba! Le cadute dalle scale possono essere letali! Non ti sei neppure fermata per prestare soccorso! Questa è roba da sospensione per mesi! Che cosa avevi per la testa?!”

Asuka, con ancora indosso la divisa scolastica, non degnò né di uno sguardo né di una risposta la sua alterata tutrice, e continuò a fissare un punto indefinito del soggiorno.

Misato sbatté un piede per terra. “Cavolo! Mi ricordi Shinji nei primi tempi in cui è venuto qui, anzi, sei peggio! Lui almeno diceva sempre ‘sì’, tu fai scena muta!”

Il cellulare della donna squillò. “Pronto? Ah, sei tu, Shinji. Lo so che sono in ritardo per i test di sincronia. Scommetto che Ritsuko ha già cominciato il discorsetto sulle mie mancanze. Dille che arrivo tra poco. Asuka è con me. Mana e Rei sono già lì? Bene, ci vediamo alla base”.

Non appena chiuse il telefonino, udì la porta d’ingresso aprirsi e subito dopo chiudersi.

“Ma cosa… Asuka!”

La ragazza con tutta calma se ne era andata, Misato la rincorse e la bloccò afferrandola per un braccio. “Ferma lì, signorina. Dove credi di andare? Devo accompagnarti alla base per i test di sincronia”.

“Dimmi, mi servono veramente? Sono la migliore, lo sanno tutti. Io e lo 02 siamo una cosa sola, non ho bisogno di fare alcun test”, rispose Asuka senza neppure voltarsi.

“Asuka”, insisté Misato.

Infine, notando il suo totale disinteresse, lasciò che se ne andasse.

“Che tipo”, commentò il maggiore rientrando nell’appartamento.

****

Maaya stava finendo di pulire alcuni tavoli.

La giornata era andata discretamente, ormai aveva messo insieme un gruzzoletto abbastanza consistente, ed essendo il pomeriggio successivo il suo turno di riposo, avrebbe potuto divertirsi un po’.

Tanto più che il giorno prima le era capitato inaspettatamente tra le mani qualcosa di davvero intrigante.

Improvvisamente sentì una sirena d’allarme in lontananza, la ragazza corse fuori e vide un immenso oggetto sferico, di colore nero e bianco, che fluttuava silenzioso sopra la città.

“Addio turno di riposo”.

****

Il telefono prese a suonare e una donna, impegnata nelle pulizie di casa, con calma andò a rispondere.

“Pronto? Oh, Mana, tesoro. Come andiamo? E’ successo qualcosa? Solitamente telefoni tutti i sabati”.

“Avevo solo voglia di sentire la voce di una persona cara, mamma”, rispose Mana tenendo la cornetta con entrambe le mani.

“C’è qualcosa che non va?”

Qualche attimo di silenzio. “No, penso che sia solo un lieve attacco di nostalgia”.

Parlottarono del più e del meno per qualche minuto, poi Mana riattaccò con la mente già rivolta al sabato successivo.

Un istante dopo aver messo giù la cornetta, anche lei cadde in ginocchio, si strinse tra le braccia e iniziò a tremare.

“Non pensare al rosso, non pensare al rosso!”

Fu tutto inutile, si portò una mano sulla bocca, l’altra sullo stomaco e corse in bagno, preda di conati. Non uscì niente, aveva già buttato tutto fuori quel pomeriggio alla base.

“Mio Dio, il sangue, quanto sangue, un oceano… Ma che accidenti sono questi Evangelion?!”


Asuka rientrò nel suo appartamento e si buttò sul divano del soggiorno.

Guardò l’orologio digitale attaccato alla parete: ci volevano ancora cinque ore perché finisse quell’interminabile giornata.

Accese la televisione, facendo lo zapping e cercando i telegiornali.

“Mpf, non dicono niente. E pensare che per ripulire la città da quella brodaglia nera e sanguinolenta ci vorranno diversi giorni”. La bocca della giovane si piegò in un sorriso spento, poi andò a farsi una doccia.

Di solito era una sensazione molto piacevole per lei quella dell’acqua fredda che scorreva lungo la sua bella e morbida pelle.

Eppure altri pensieri la distraevano. “Davanti alla capsula non ho potuto, c’erano Misato e la novellina. E nella camera d’ospedale c’era quella lì, Miss ‘Bene, sono contenta per te’. Ma gli farò vedere io al signorino se sono pazza!”

****

Tre giorni dopo la distruzione del 12° Angelo, Shinji era tornato a casa dal centro ospedaliero della base Nerv.

Insieme con lui sembrava essere tornata la tranquillità, relativa comunque alla loro situazione.

Il ragazzo aveva anche ripreso le sue mansioni di cuoco, preoccupandosi pure di rimettere in ordine la casa, che dopo solo pochi giorni senza di lui, già rischiava di ritrasformarsi in un porcile.

Essendo stato dimesso da poco, al ragazzo erano stati concessi alcuni giorni di riposo dalla scuola.

Anche Asuka, nonostante o meglio per merito del suo status di pilota, si era beccata solo qualche giorno di sospensione per l’incidente a scuola.

Misato, invece, era presente perché aveva il turno di notte.

Quindi, dopo la colazione, avevano passato la mattinata insieme, senza problemi.

Mentre Shinji dava gli ultimi ritocchi alle pietanze, un grido risuonò per la casa e dopo pochi secondi, Asuka piombò nella cucina mostrando una maglietta rossa attraversata da strisciate blu.

“Guardate qui! Un disastro! I vestiti che si erano salvati l’altra volta si sono scambiati i colori!”

“Cavolo, i miei abiti!”, esclamò Misato correndo con Asuka nel bagno dove stava la lavatrice.

Shinji rimase imperterrito a guardare. “Be, tanto io di vestiti ho solo la divisa scolastica più altri due abiti per uscire, mentre per casa uso solo qualche vecchia maglietta e pantaloncino. In una giornata mi rifaccio il guardaroba”.

Ma le cose non sarebbero state così facili per lui, perché in cucina ritornò Asuka: appariva calma, però il suo sguardo faceva intendere come dentro di lei stesse per esplodere un vulcano. Shinji, davanti a quegli occhi, si sentì diventare piccolo, piccolo. Come al solito.

“Stavolta la colpa è tua!”, esclamò Asuka puntandogli contro un dito. “Sei tu che hai caricato la lavatrice!”

“S-sì, però ti assicuro che ho fatto attenzione a non mettere insieme vestiti che potevano scambiarsi i colori, proprio pensando a cosa era successo l’altro giorno”.

“E chi se ne frega! Il danno è fatto! Come pensi di rimediare?!”

Shinji sembrò restare sbigottito. “Ehi… non starai mica pensando che io…”

Un ghigno sadico si disegnò sul volto di Asuka. “Esatto, bamboccio. Dovrai ricomprare il guardaroba con i tuoi soldi! Pensavo di sfruttare Misato, ma lei si appellerebbe al suo essere adulta”.

“Ma stai scherzando!? Pensi che io abbia abbastanza soldi da ricomprare i vostri vestiti?!”

“No, solo i miei, di quelli di Misato non m’importa. Quella donna ha già il suo stipendio per ricomprarseli”.

Shinji era sempre più incredulo. “E… e poi... come faccio con i miei vestiti?!”

“Tsk, quegli straccetti che indossi si comprano a dieci yen in qualunque supermercato. Dopo pranzo, andremo subito a rifare il mio guardaroba”.

“Non se ne parla!”

“Senti, mammoletta: i vestiti si sono ritrovati con i colori scambiati? Rispondi sì o no”.

“Ehm… sì”.

“E chi aveva messo la lavatrice?”

“Uhm… io”.

“Quindi di chi è la colpa?”

Shinji si strinse nelle spalle. “Mia. Va bene, d'accordo, oggi pomeriggio andremo a fare shopping”.

“Ottimo. Vai a prendere il tuo portafogli, così stabilirò cosa potrò prendere subito e cosa invece ti dovrà essere addebitato”.

Asuka col braccio gli indicò la sua camera, Shinji andò rassegnato, però dopo qualche minuto, ritornò alquanto agitato. “Non… non trovo il portafogli!”

“Cheee??!! Vuoi fare il furbo?!”, rispose scandalizzata l’altra.

“Non mi permetterei mai”.

I due ritornarono nella stanza di Shinji, guardarono dappertutto e il portafogli non si trovava.

Asuka diede un pugno in testa al suo coinquilino.

“Ahio! Perché mi hai picchiato?!”, piagnucolò il ragazzo mettendosi le mani sulla testa.

“Perché per colpa tua dovrò usare i miei soldi per comprarmi il guardaroba”.


Era una coppia che poteva dare facilmente nell’occhio: lei avanzava quasi con passo di marcia, la decisione fatta persona, mentre lui era invece la personificazione della rassegnazione, ed era tirato per una mano.

D’altronde il ragazzo era anche costretto a portare quattro buste alquanto grosse.

“Ecco, lì va bene!”, indicò la ragazza puntando il dito verso un negozio.

“Ma Asuka, mi sembra che tra pantaloni, camice e magliette, tu abbia speso già abbastanza”.

“Shinji, stai zitto! Uno come te non potrà mai capire quanto gli abiti siano fondamentali per una donna!”

Asuka lo trascinò nel negozio, cominciò a contemplare le giacche, ne scelse una bianca e schioccò le dita.

“Lo so, sono il tuo manichino”, sospirò Shinji a malincuore.

La ragazza controllò su di lui la taglia dell’abito, trovandolo adatto, pagò e poi rifilò un calcio negli stinchi al suo servo tuttofare, che sopportò in silenzio: in fondo era solo il decimo calcio che gli dava perché doveva essere lei a pagare.

Una volta ripreso il cammino, era sempre Asuka a scegliere la direzione, sembrava quasi che seguisse un itinerario già deciso.

Dopo un bel po’, Shinji cominciò a trovare stranamente familiare il paesaggio.

Si guardò intorno e quindi non si avvide che Asuka si era fermata, andandole a sbattere dietro.

Risultato: un nuovo calcio negli stinchi da parte della ragazza, che aveva puntato una gelateria.

“Dopo tutto questo camminare sento caldo. Andiamo in questa gelateria”, ordinò, e Shinji fu spinto dentro e costretto a sedersi a un tavolino insieme con lei.

Quando arrivò il cameriere per prendere l’ordinazione, notò Shinji ed esclamò: “Ehilà ragazzino, di nuovo qui? Però, vedo che hai cambiato accompagnatrice, ma è carina quanto l’altra. Sei un vero dongiovanni, eh?”

“No, lei… ouch… è solo un’amica e… uhi… neppure l’altra era la mia… ahi… fidanzata”, rispose Shinji, che disperò all’idea di aver perso il portafogli: infatti, come avrebbe potuto comprare la cosa che più desiderava in quel momento, in altre parole un parastinchi?

Il cameriere fece una faccia strana, prese le ordinazioni e se ne andò.

“Quanto odio la servitù che fa commenti”, mormorò Asuka scura in volto.

Shinji incassò senza fiatare.

“Come vedi”, disse Asuka con orgoglio, “sto dirigendo tutto alla perfezione, nonostante gli intralci che tu come al solito provochi. Non si può non lodare la mia capacità organizzativa e il mio decisionismo”.

"Certo...”, assentì con perplessità Shinji.

“Cosa?! Mi credi forse pazza?!”

La risposta fu decisa: “Assolutamente no!”

Proprio allora arrivarono i gelati, che furono consumati rapidamente in un silenzio quasi tombale, e giunto il momento di pagare, Shinji si aspettò un calcio che invece non arrivò.

“In fondo il gelato è stato un’idea mia”, spiegò la ragazza pagando, per poi portare via lo schiavetto.

Nel loro peregrinare, arrivarono vicino a un cinema e Asuka vi si fermò a contemplare le locandine dei film proiettati.

Però Shinji rabbrividì: “Oh no, una maratona di film horror! Perfetti per non dormire la notte”.

“Andiamo più avanti!”, comandò Asuka, facendo tirare un sospiro di sollievo al suo accompagnatore.

Anche qui Shinji fu notato dal responsabile della biglietteria, il quale gli fece un cenno di saluto, ricambiato.

Proseguendo nel cammino, Shinji iniziò a trovare pure quella zona molto familiare, e gli divenne ancora più familiare quando udì nell’aria una musica allegra: “E’ il parco giochi!”, esclamò, e come per incanto apparvero una ruota panoramica e delle giostre.

“Forza, andiamoci!”, ordinò la su aguzzina.

“Eh? Vuoi andare al parco giochi? Non ci sei già stata? Misato mi ha raccontato che ci sei andata con un amico della capoclasse”.

Asuka mugugnò qualcosa, poi rispose: “Una cosa è andarci con un peso morto, un’altra cosa andarci con lo schiavetto. Muoviamoci!”

All’ingresso, Shinji venne salutato dal custode, e pure quest’ultimo fece commenti sul fatto che si fosse presentato in compagnia di un’altra bella ragazza.

Il Third Children, pilota della potentissima unità Evangelion 01, desiderò ancora un parastinchi.

Dopo aver fatto un giro per il parco, Shinji si fermò a contemplare con un sorriso la ruota panoramica.

“Voglio andare sulla ruota. Spicciati!”, esclamò Asuka dopo averlo osservato.

“Subito!”, rispose Shinji cercando di nascondere la sua contentezza.

Una volta dentro la cabina, cominciando il nuovo giro, ammirò il panorama, un paesaggio che continuava ad affascinarlo come durante le sue precedenti visite al parco.

Il sole stava ormai calando sulla città più avveniristica del mondo, con tutti i suoi palazzi di acciaio, in parte adibiti ad abitazione e per il resto alla custodia di armi e altri congegni per gli Evangelion.

Visti dall’alto, sembravano tutte costruzioni prive di vite e in fondo, data la loro natura ultratecnologica e militare, erano assai diversi dai palazzi delle altre città.

Eppure, aguzzando la vista, era possibile anche da lì vedere delle persone impegnate nelle loro svariate attività quotidiane.

Da quei finestrini era possibile vedere un intero mondo, quasi in miniatura.

Shinji lo guardava con grande divertimento, quasi estasiato, arrivando a poggiare le mani sul vetro per avvicinarsi e scrutare meglio.

Eppure per qualche momento guardò anche in direzione di Asuka: si era addormentata, con la testa appoggiata sulla parete affianco al suo sedile; con l’aggiunta della luce morente del sole, la ragazza era davvero uno splendore.

Shinji arrossì, picchiettandosi in testa, e tornò a guardare il panorama.

“Grazie, Asuka”.


I due rientrarono, ed era Asuka che portava le buste.

“Ti meriteresti un’altra serie di calci. Mi hai fatto portare le buste”, si stava lamentando.

“Scusa, ma la decisione di portarle è stata tua”, ribatté Shinji.

“Solo perché tu, così mollaccione, eri talmente stanco da essere caduto in avanti come un baccalà, e mi hai fatto pietà”.

“Non sono caduto, sono inciampato, anche se non so in cosa”.

“Tsk, solo adesso ti ricordi di avere un orgoglio, visto che cerchi delle scuse? Portami le buste in camera e poi fila a farti un bagno, che puzzi!”, disse lanciandogli le buste, e Shinji le afferrò al volo con scarsa grazia.

La ragazza andò in cucina a bere qualcosa e qualcuno le mise improvvisamente la mano su una spalla non appena ebbe preso un bicchiere.

“Buuu!”, gridò quel qualcuno, Asuka sobbalzò e fece cadere il bicchiere, preso subito al volo dalla persona che l’aveva spaventata.

“Mi… Misato?! Accidenti a te, mi hai fatto prendere un colpo!”

La padrona di casa la guardò divertita, e sfoderò un sorriso malizioso. “Allora, com’è andata?”

“Andata cosa?”

“La giornata con Shinji, ovvio”.

“Be, l’ho maltrattato abbastanza. Posso ritenermi soddisfatta”.

Misato andò a sedersi davanti al tavolo della cucina. “Sono contenta per te. Hai fatto il tuo primo passo verso il mondo degli adulti, anche se l’hai fatto a modo tuo”.

Asuka squadrò la sua tutrice. “Mi sembra di leggere un doppio senso nelle tue parole”.

“Il fatto è che, poco dopo che siete usciti, ho ricevuto una telefonata…”, Misato roteò gli occhi, “…e mi sono state riferite alcune cose”.

Asuka arrossì. “Quella… quella maledetta quattrocchi!”

L'altra non le badò. “E allora tutto ha cominciato a quadrare. Al primo incidente della lavatrice ci ho creduto, perché conosco la mia sbadataggine. Però il secondo era strano, solitamente Shinji a queste cose ci sta attento. Allora ho pensato che qualcuno potrebbe benissimo aver sabotato il suo lavoro domestico mentre era affaccendato in altre cose. Dopo, controllando i vestiti scambiati, ho notato che i suoi sono persi del tutto, i tuoi e i miei invece hanno subito lievi danni, diciamo che se ne sono persi due su dieci. Infine, a seguito di quella telefonata, ho frugato nella tua camera e guarda cosa ho trovato sotto il tuo materasso”.

Misato tirò fuori un portafogli. “Allora io e quella persona abbiamo attuato una sorta di inseguimento a distanza. E’ stato molto divertente vedere tu che camuffavi le tue intenzioni e Shinji, con la sua ingenuità, che ci cascava appieno”.

“Non avevate il diritto!”, urlò Asuka.

“Io ce l’avevo eccome, dato che sono la vostra tutrice, e ce l’aveva pure la quattrocchi, perché se non sbaglio questo tuo piano l’hai elaborato insieme con lei il giorno precedente l’arrivo del 12° Angelo, che ti ha costretto a rimandare”.

“Era solo per vendicarmi. Perché... perché sì!”

Misato tirò fuori un sorriso sornione. “Adesso ti stupirò con le mie doti da veggente: sono sicura che tu hai comprato solo roba unisex, quindi se la potrà mettere anche Shinji, poi tu non li vorrai più quegli abiti perché ci hai ripensato e li trovi brutti. Inoltre sono sicura che quando lui, fortuitamente, ritroverà il portafogli e ti vorrà restituire i soldi, tu sfodererai la tua grande misericordia e dirai che non deve pagarti, dato che quegli abiti se li metterà lui”.

Asuka, che non sapeva più se arrabbiarsi o imbarazzarsi, corse in camera sua.

“Eh, che bambini tutti e due. Certo che è stato un appuntamento ben strano, con un itinerario scelto in base ad un pedinamento”, terminò Misato aprendo una lattina di birra.


I boschi intorno a Neo-Tokyo 3 diventavano deserti di notte. La città era stata concepita, ufficialmente, non solo come futura capitale del Giappone, ma anche come oasi ecologica, perciò se di giorno, a determinati orari, era possibile passeggiarci, di notte era severamente vietato: sorveglianti pattugliavano i confini dell’oasi. Mentre il voler rispettare l’ambiente aveva proibito l’inserimento di luci o sensori all’interno dell’area, che quindi una volta calato il sole diventava un oscuro deserto di cui animali e piante erano gli unici padroni.

Un luogo dunque perfetto per la persona che, seduta sul ramo di un albero, contemplava il panorama notturno della città.

Una figura che un attimo dopo fu affiancata da un’altra.

“Sei in ritardo”, disse la persona seduta.

Il nuovo arrivato rimase in piedi e tirò fuori una risatina infantile. “Hihihihi! Ho avuto un piccolo contrattempo, ma è già stato risolto. E tu, hai adempiuto il tuo compito?”

La prima persona tirò fuori una piccola custodia in metallo e gliela porse. “L’attacco dell’11° Angelo è stato provvidenziale per noi. Cioè, avrei fatto tutto anche senza, ma quell’intervento mi ha facilitato l’infiltrazione nel Terminal Dogma. C’era pure un cliente inaspettato.”

“Chi?”

“Nessuno che sia rilevante”.

“Comunque ti comunico che il fratellone si è risvegliato e ha già cominciato la sua parte. Ora il piano procederà a pieno ritmo”.

“Pensi che non lo sapessi?”

“Hihihihi! Lo so che lo sapevi. Volevo solo metterti in guardia”.

“Non abbiamo più niente da dirci”, concluse la figura seduta dileguandosi nella notte.

Anche il suo interlocutore, dopo un’ultima risatina, si dileguò.

Il giorno dopo fu ritrovato il corpo di una guardia dell’oasi ecologica.

Le indagini conclusero che era precipitata accidentalmente in uno dei crepacci presenti nella zona.


Nel suo appartamento, Mana tirò fuori la sua piccola scatola.

Era piena di foto della sua famiglia. Foto diverse da quelle nell’appartamento. Quelle erano le foto dei momenti speciali.

La ragazza strinse con forza quella scatola.

Poi si guardò intorno, osservò quell’appartamento così silenzioso.

Mana iniziò a sbattere con forza un pugno contro il pavimento.

“Che ragazzo bastardo! Maledetto bastardo!”

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


3° CAPITOLO

La tensione nella sala di controllo era quasi palpabile, intanto che i tecnici si mettevano ai loro posti.

Oltre la vetrata c’era solo un buio assoluto.

Un uomo con indosso una divisa da alto ufficiale della Nerv entrò nella stanza, affiancato da una donna, in camice bianco, la cui espressione era seria e impenetrabile.

Lei e uno dei tecnici si scambiarono uno sguardo.

“Comandante Williams”, esordì la donna, “siamo pronti a eseguire il test”.

Williams, alto e con uno sguardo da duro, il corpo possente, da militare di lungo corso ormai abituato a tutto, scandì con chiarezza ogni parola: “Si dia inizio all’esperimento”.

Le prime fasi consistettero nel togliere alcuni ancoraggi, mentre dei fari si accesero illuminando il buio oltre la vetrata.

Qualcuno deglutì quando vide l’oggetto dell’esperimento finalmente visibile.

“Dottoressa Aoi”, chiese uno degli operatori rivolgendosi anche con lo sguardo alla persona dietro di lui, “é sicura che il suo sistema informatico di pilotaggio funzioni?”

“Certo. In battaglia non si può usare perché non è in grado di eseguire ordini complessi, e quindi non può adattarsi al carattere imprevedibile della realtà. Ma se si tratta di un semplice test di movimento come questo, va benissimo”, spiegò con sicurezza la scienziata.

“Il sistema di pilotaggio informatico è stato attivato. Non si riscontrano problemi”, comunicò un altro dei tecnici.

“Non si registra alcuna anomalia nei sistemi del corpo”, informò un secondo tecnico.

Non ci volle molto perché terminassero tutti i controlli di routine.

“Il gran momento è arrivato”, annunciò infine la dottoressa.

Williams annuì. “Attivare il meccanismo S2!”, ordinò infine.

Alle intense luci bianche che stavano davanti a loro, se ne aggiunse una nuova, di un vigoroso colore rosso.

Una luce così forte, che aveva anche qualcosa d’innaturale.

Tutti rimasero a fissarla, ammutoliti.

Anche la dottoressa Aoi, che però fu la prima a ridestarsi, e tirò leggermente la manica del comandante.

Williams sussultò lievemente, come se avesse ricevuto una piccola scossa. “Ehm... eseguire il primo movimento”.

Uno dei tecnici cominciò a digitare degli ordini sulla sua tastiera e dovette concentrarsi molto, perché le mani gli tremavano abbastanza.


Tre ore dopo, concluso il test, Williams e la dottoressa uscirono dalla sala di controllo, non accorgendosi dei diversi, silenziosi sospiri di sollievo alle loro spalle.

Il comandante fece un lieve inchino alla Aoi. “Le devo fare i miei complimenti, dottoressa. Non solo il suo sistema sperimentale di pilotaggio informatico funziona egregiamente, ma anche i suoi calcoli sul meccanismo S2 si sono dimostrati esatti”.

L’altra sorrise soddisfatta. “La ringrazio, comandante. Immagino che dopo questo evento, la mia immagine in questa base sia stata completamente rivalutata”.

Lei, infatti, era arrivata alla seconda divisione della Nerv, in Nevada, da appena un mese, perché facesse semplicemente da aiutante ai vari scienziati che lavoravano in quel luogo a un progetto delicatissimo.

Però quando, ricontrollando i dati equazionali e frattali sul meccanismo S2, aveva notato un errore dalle conseguenze terrificanti e lo aveva fatto notare, era stata sommersa da un mare di derisione e di altezzosi ‘resta al tuo posto, novellina’.

Tuttavia la dottoressa non si era arresa, aveva spiegato tutto al comandante Williams, il quale aveva obbligato gli scienziati della base a rifare tutti i calcoli insieme alla donna.

Alla fine i vecchi pavoni in camice bianco dovettero ammettere che quest’ultima aveva dannatamente ragione e l’errore era stato corretto: altrimenti l’elemento S2, una volta attivato, avrebbe creato una sorta di buco nero capace di risucchiare tutta la divisione Nerv chissà dove.

Così almeno aveva ipotizzato la scienziata, e dopo che l’esperimento di attivazione dell’elemento S2 era riuscito, probabilmente aveva davvero avuto ragione anche su quel disastro evitato quasi per un soffio.

“Ora può andare, dottoressa. Si occupi dell’operazione di trasferimento”, ordinò Williams.

“Subito. Anche se mi permetto di farle notare che potremmo compiere altri test, magari con un pilota umano”.

“L’ordine di trasferimento è già stato dato e accettato!”

Il messaggio era chiaro.

“Come vuole lei, comandante” rispose allora Aoi andandosene.

Williams tirò fuori un fazzoletto e si asciugò un lieve sudore sulla fronte.

“E anche questa è andata. Comunque io non voglio una cosa capace di mostruosità simili nella mia base, così come non la vogliono gli altri. Nessuno voleva pilotarlo e per quella faccenda della sincronia è importante che il pilota sia rilassato. Comunque, da domani, quel mostro dell’Eva-04 sarà affare della prima divisione in Giappone”.

****

“Molto bene, ragazzi, anche per oggi avete finito, potete uscire”.

La voce della dottoressa Ritsuko Akagi suscitò reazioni diverse nei quattro Children: Rei rimase impassibile, Shinji guardò alla sua destra, dove sapeva trovarsi lo 02. Asuka, invece, sbuffò scocciata, mentre Mana tirò un sospiro di sollievo.

I piloti uscirono dalle capsule per dirigersi verso le docce degli spogliatoi, il tutto sotto gli sguardi di Misato e Ritsuko, che li monitoravano da una sala controllo.

La scienziata sorseggiava una tazza di caffè. “Di recente i tassi di sincronia di Shinji e Mana sono molto calati. Specialmente quello del Fourth Children”.

“Si sa niente delle cause?”, domandò Misato senza togliere lo sguardo dai monitor.

“Non lo so. Comunque deve essere legato a quello che è successo durante lo scontro col 12° Angelo, e per Mana posso ipotizzare di cosa si tratti: ha paura dell’Eva”.

“Paura?”

“Sì. Del resto la distruzione di quella sfera è stata uno spettacolo sconvolgente anche per noi che siamo abituati agli Evangelion. Quindi figurati per lei”.

“Stai dicendo che Mana sarebbe diversa dagli altri?”

“Certo. Mettendo da parte Rei, Asuka pilota l’Eva per dimostrare il suo valore a tutti, Shinji lo stesso, anche se in chiave meno esibizionista, perché penso che lui voglia farsi accettare soprattutto da suo padre. Mana, invece, pilota l’Eva solo per dovere. Nulla la costringe veramente a salirci a bordo”.

“E siccome si è ritrovata coinvolta in tutta questa faccenda quasi per caso, dopo quello che ha visto l’altra volta, è tentata di mollare tutto”, concluse Misato.

“Esattamente”.

“Io non credo che si tratti solo di dovere, penso che Mana piloti per un motivo specifico, e per quanto possa andare in crisi, non credo che mollerà”, obbiettò il maggiore.

“Lo speriamo tutti”.

“Sì, come no”, borbottò Misato andandosene.

La scienziata la osservò uscire, poi si concentrò su un dossier che aveva davanti, proveniente dalla seconda divisione in Nevada.

Dopo averne sfogliate alcune pagine, attivò il citofono.


Shinji si fermò davanti all’ingresso dello spogliatoio femminile e bussò, proprio nel momento in cui la porta si aprì, rivelando la presenza di Asuka.

I due si ritrovarono uno davanti all’altra.

La sorpresa di Asuka fu abbastanza notevole. “Oh, Shinji!”

“Ehm, ciao Asuka”.

“Volevi chiedermi qualcosa?”

“Be, sai, quando siamo andati a fare, diciamo, shopping…”

Asuka ebbe un sussulto.

“Volevo…”

“Volevi?”

Shinji scrutò alle spalle di Asuka.

“Cosa fai?”, domandò quest’ultima.

“Volevo vedere se c’era Mana. La mattina di quel giorno avevo programmato con lei una delle nostre uscite. Poi, quando tu mi hai ordinato di venire con te, io l’avevo avvertita, però adesso vorrei sapere se ci è rimasta male o…”

Shinji non finì la frase perché l’espressione di Asuka passò dalla curiosità di sapere a una strana smorfia di rabbia e disgusto.

La ragazza lo scostò bruscamente e se ne andò con passi assai veloci.

“Chissà cosa le è preso”, si chiese il giovane grattandosi dietro la testa.

Nello spogliatoio era rimasta Ayanami, che stava sistemando alcune cose nella sua cartella.

Il ragazzo, non osando entrare nello spogliatoio femminile, richiamò l’attenzione della First Children agitando un braccio e chiamandola. “Ehi, Ayanami, sai dov’è Mana?”

“Poco fa la dottoressa Akagi l’ha chiamata col citofono. Non conosco il motivo”, fu la risposta impassibile.

“Capisco”, disse Shinji attendendo qualche attimo. “Senti, Ayanami…”

“Cosa c’è?”

“Ultimamente non abbiamo parlato molto. Voglio dire, non è che noi due abbiamo mai parlato tanto, però ultimamente mi sembri così assente”.

La ragazza chiuse la cartella e uscì dallo spogliatoio, dando l’impressione di non voler rispondere, finché non si fermò alle spalle di Shinji. “Tu sei un bravo ragazzo, ma non capisci. Impara prima a capire cosa accade davanti ai tuoi occhi”.

Detto questo, se ne andò, lasciando confuso il giovane Ikari.


Maaya aveva appena schiacciato la quarta mosca con un panno, per poi alzarsi dallo sgabello e cominciare a sgranchirsi le gambe, guardando il suo bel locale vuoto.

“Uffa, ma quella sfera ha spaventato proprio tutti?”

La smorfia di disappunto si tramutò in un sorriso quando vide qualcuno entrare.

“Salve salve salveee!!”, esclamò raggiante.

Mana rispose con un debole sorriso. “...salve”.

“Oh, sei tu, cara la mia fringuellina. Che gioia rivederti! Che cosa vuoi che ti prepari?”

Come risposta, Mana si sedette su uno sgabello di fronte al bancone e restò muta, con lo sguardo basso.

Maaya si fece più seria, andò a sedersi dietro il bancone in modo da fissare in faccia la sua cliente, che restava sempre con lo sguardo basso.

Restarono così per un bel po’, e siccome l’altra non sembrava voler rompere il suo mutismo, Maaya fece per alzarsi e andare a prendere un bicchiere d’acqua.

“Aspetta…”

La proprietaria del ristorante tornò prontamente a concentrarsi sulla sua cliente.

“Cosa c’è che non va?”

“Vorrei farti una domanda. Tu hai mai fatto parte di qualche gruppo?”

“Intendi in senso specifico o generale?”

“In generale”.

“Mm, sì, diciamo di sì”, rispose Maaya poggiando le braccia sul bancone e sporgendosi in avanti.

“E…”, continuò Mana rimuginando ogni parola, “…avevi una funzione in questo gruppo?”

“Diciamo ancora di sì”.

“Cosa ti capitava se non sapevi svolgerlo bene?”

“E’ un’esperienza che non ho fatto”.

Sentendo questo, Mana si rabbuiò e si alzò per andarsene.

Una mano d’acciaio si posò su una sua spalla e la fece risedere.

“Niente giri di parole!”, commentò seccamente la ristoratrice. “Sputa il rospo!”

“Il fatto è che, non so se posso parlarne con te di queste cose”.

“E’ roba che riguarda gli Evangelion, giusto? Sta tranquilla, fa conto di essere in un confessionale. D’altronde, se avessi detto in giro quello che ho saputo in passato, la cara Misato sarebbe stata licenziata all’istante”, la rassicurò con un sorriso malizioso.

Mana sospirò. “Mi hanno scelta per pilotare un Evangelion che tra poco arriverà da noi. Si tratta di un test di attivazione”.

“E allora? Mi sembra un incarico di responsabilità”.

“Sembra, ma non lo è. Sai, io non ho un’intelligenza eccezionale, sono nella media, come altri miliardi di persone nel mondo. Però a volte ho un buon intuito, e ho capito che vogliono scaricarmi”.

Maaya non si aspettava una cosa del genere. “La Nerv vuole sbatterti fuori? E perché mai?”

“Non hanno usato proprio quel termine, e non mi hanno invitata ad andarmene. Ma la dottoressa Ritsuko Akagi è stata a suo modo molto chiara. Prima ha parlato dei risultati dei miei ultimi test: il mio tasso di sincronia sta calando sempre di più, e a causa di non ben specificate ‘ulteriori cause’, c’è il rischio che tra uno o due mesi scompaia del tutto. Poi ha cambiato improvvisamente discorso e mi ha riferito che hanno deciso di farmi testare l’Eva-04. Ufficialmente perché il soggetto inizialmente selezionato per il test, un ragazzo della mia scuola, si è rotto una gamba poco tempo fa. Però…”

Maaya scosse grevemente la testa. “Ho capito. Non è un test per lo 04. E’ un test per te. Se riesce, vorrà dire che forse come pilota di Eva puoi ancora dare qualcosa. In caso contrario…”

“Esatto”, confermò Mana.

“E non si sa niente delle altre cause?”

“Oh, non ho bisogno di uno psicologo per capirle: io ho paura dell’Eva. Tu non hai visto quello che ho visto io contro il 12° Angelo. E’… è stato indescrivibile! Mostruoso!!”

Mana cominciò a tremare.

“E ho paura di questa città. Ho paura dei miei compagni”.

“Di quei cucciolotti?!”

“Purtroppo sì! Asuka sembra che da un momento all’altro voglia saltarmi addosso per divorarmi, Ayanami è fredda come un robot, anche se in fondo potrbbero pure essere delle brave ragazze. Ma Shinji…. Shinji mi sfrutta!”

“Eeehhh!!??”, esclamò sbalordita l’altra.

Mana si sporse in avanti e le sussurrò qualcosa nell’orecchio.

“Ah”, fece allora la ragazza con gli occhiali calmandosi in parte.

“Io glielo lascio fare perché sono in debito con lui. Ma non fa nulla per farmi sentire davvero a mio agio! Sembra tanto buono, ma è solo un dannato egocentrico! E della peggiore specie, perché non credo lo faccia con cattive intenzioni. Quindi non capisce cosa m’infligge. All’inizio pensavo di poter reggere questa situazione, d’altronde mi ha spiegato cosa ha dovuto subire in passato, però adesso io temo di non farcela più! Salgo a bordo di un mostro, non ho amici, sto sempre da sola, vengo sfruttata!”

Infine Mana sbatté i pugni sul bancone. “Dio, odio questo mondo della Nerv! Non riesco e non voglio farne parte! Se fossimo in un manga, io sarei uno di quei personaggi superflui che appaiono solo ogni tanto e non servono alla trama.”

“Voglio tornare a casa!”, concluse facendosi scappare qualche lacrima.

Maaya si mise a braccia conserte. “Allora cosa ti dà fastidio veramente? Se vuoi andartene, perché non lo fai? E perché mi sembra che ti abbia seccato l’idea di poter essere congedata?”

Mana fece un lieve sorriso. “Vedo che, per fortuna, non ti sfugge nulla”.

L’altra s’indicò la testa. “Cosa credi? C’è parecchia materia grigia qui dentro!”

“Il fatto”, riprese allora il Fourth Children, “è che devo pensare alla mia famiglia. Contro gli angeli, tutto può fare la differenza, quindi anch’io. E poi…”

“Questione di orgoglio?”

“… sì. Dopo aver imparato a utilizzare l’Evangelion, non ci tengo a farmi trattare come un giocattolo che viene buttato via perché non è più considerato divertente. Cavolo, sono proprio scema, vero? Prima me ne esco con discorsi strappalacrime e poi tiro fuori l’orgoglio. E come lo lego all’affetto per la mia famiglia? Sono altruista o egoista?”

Mana si mise le mani tra i capelli e scosse la testa. “Perché la vita è così complicata?”

Maaya annuì. “La situazione è ben complessa. Se resti, soffri perché ti senti un’estranea qui e te la fai sotto a salire sull’Eva. Se te ne vai, soffri perché ti sembra di abbandonare la difesa della tua famiglia e sarebbe come ammettere che sei una perdente. Comunque sono gli esseri umani a essere complicati. Ed è questo che li rende così interessanti”.

“E allora cosa dovrei fare?”

“Cercare di resistere. Tu sei qui per un motivo, e non è detto che questo motivo si debba sapere presto. Forse, se fossimo in un manga, tu sei uno di quei personaggi che solo alla fine dimostrano la loro importanza, e non c’è niente di male nell’avere un orgoglio. E’ la tua dignità di essere umano che lo crea”.

“Ma è così dura!”, obbiettò Mana.

“Ovvio che lo sia. La vita è dura, e gli esseri umani sono complessi proprio perché devono essere in grado di adattarsi a essa. Accetta la sfida, Mana, puoi farcela, non perché sei una supereroina, ma perché gli esseri umani hanno le potenzialità per affrontare qualunque cosa. Sarà una sfida difficile, però sono proprio le cose difficili che, riuscendo, danno i risultati migliori”.

Calò qualche lungo attimo di silenzio.

“Hai finito?”, domandò poi Mana.

“Oh sì, odio i pistolotti troppo lunghi”, fu la risposta.

“Allora”, il Fourth Children si strinse nelle spalle, “vorrà dire che tenterò, gli farò vedere di cosa sono capace”.

“Brava! Così mi piaci!”, esclamò gioiosa Maaya abbracciando con forza Mana, che si ritrovò col viso sprofondato nel petto, piuttosto rigoglioso, della sua consigliera.

Resistere agli abbracci di Maaya era già un notevole test di resistenza.


Il veloce treno correva nelle viscere della terra, diretto alla base della Nerv.

Il mezzo contava diversi vagoni, ma solo due passeggeri, che si concentrarono sul paesaggio sottostante non appena fu raggiunta la cupola del Geo-Front, illuminata da un’intensa luce pomeridiana, ben visibile tramite finestrini pulitissimi.

“Eccolo qui, il nostro Geo-Front. Insieme alla città sopra di noi, è un capolavoro dell’ingegno umano”, commentò il vice-comandante Kozo Fuyutsuki.

“Un ingegno piegato a un fine anch’esso molto umano, forse troppo: proteggerci dal mondo esterno brulicante di nemici”, continuò Gendo Ikari.

“Non c’è niente di sbagliato nel volersi difendere”.

“Certo. Tuttavia arriva sempre il momento in cui bisogna affrontare il nemico, e questo momento per noi potrebbe arrivare molto presto”.

“Non ti riferisci solo agli angeli, vero?”

“Esatto. L’assorbimento dello 01 significa che gli angeli stanno evolvendo rapidamente, ma questa possibilità era prevista. Così com’era previsto che la Seele iniziasse a trovare eccessiva la nostra indipendenza. E’ il misterioso elemento sconosciuto che mi preoccupa”.

“Nelle ultime settimane non si sono rilevate stranezze intorno al Fourth Children”.

Gendo poggiò un gomito sul bordo del finestrino e guardò l’esterno come se cercasse qualcosa. “Perché a quel pilota non è successo niente. Di chiunque, o di qualunque cosa si tratti, è evidente che interviene solo quando al Fourth Children accade qualcosa di spiacevole. Anche l’incidente del sasso è stato preceduto, stando a un rapporto di Rei, da un’aggressione del Second Children alla Kirishima”.

“Capisco”, fece allora Fuyutsuki. “Ma oltre a sorvegliare il Fourth, che possiamo fare?”

“Fuyutsuki”, Gendo fissò negli occhi il suo vice “secondo te cosa succederebbe se io facessi qualcosa di azzardato affidandomi soprattutto alla fortuna?”

“Penso che comincerebbe a nevicare all’inferno!”, rispose l’altro con stupore latente, che aumentò assai quando un lato della bocca di Gendo si piegò in un sorriso spavaldo.

****

L’enorme aereo militare, successore dello Stealth ma molto più grande, volava lento e maestoso, con sotto agganciata una gigantesca croce rossa.

Su di essa c’era attaccato un gigante di colore bianco tendente all’argenteo.

Il cielo era abbastanza sereno, ma all’orizzonte s’intravedevano diversi cumulonembi.

Uno dei due piloti dell’aereo attivò la radio.

“Qui Ecta 64 a Neopan 400. Confermo orario di partenza. Su questa rotta sono segnalate nubi temporalesche. Chiediamo verifica possibilità di volo”.

Dall’altra parte giunse un rumore di scariche e poi la risposta. “Neopan 400 a Ecta 64, non risulta alcun impedimento per il vostro volo. Proseguite secondo il programma”.

“Ricevuto Neopan 400, confermiamo arrivo in Giappone secondo orario prestabilito. Ecta 64, chiudo”.

 

 

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***


4° CAPITOLO

C’era chiaramente qualcosa che non andava e Shinji se ne accorse subito.

Mana, da quando era arrivata, non gli aveva rivolto la parola neanche una volta, dando l’impressione di voler persino evitare il suo sguardo.

Questo succedeva proprio quando lui aveva una cosa importante da chiederle, che comunque non riguardava il giorno precedente, quando Mana gli aveva dato buca e lui, per aspettarla, aveva persino affidato a Kensuke l’incarico di portare ad Ayanami i compiti che si erano accumulati a causa delle sue tante assenze.

Mana adesso si era messa a imitare proprio Ayanami e come lei passava molto tempo a osservare fuori dalla finestra.

Shinji si guardò intorno, in quei minuti che precedevano l’arrivo del professore: Toji era ancora bloccato a casa con la gamba fratturata, Kensuke stava leggendo qualcosa sul suo PC portatile.

Hikari stava controllando il bento che aveva portato da casa. Quante volte l’aveva fatto dal momento dell’arrivo a scuola?

Inoltre era evidente che si trattava di una porzione eccessiva per una sola persona, più probabile che fosse una per due.

Mentre Asuka era stranamente silenziosa, persa in chissà quali pensieri.

Il ragazzo fece per alzarsi, quando fu anticipato dall’entrata del professore.

L’inizio della lezione dovette far rimandare la domanda.


Giunto il momento dell’intervallo, Shinji e Kensuke salirono sul tetto dell’edificio, appoggiandosi ai parapetti per fissare il panorama.

“Non hai niente da dirmi?”, domandò Kensuke.

“Io? Di solito il chiacchierone sei tu”, ribatté Shinji con un tenue sorriso.

Kensuke abbassò lo sguardo. “Oggi non ho molta voglia di proporre argomenti”.

L’altro inarcò un sopracciglio. “Non dirmi che è ancora per la faccenda di stamattina? Guarda che la signorina Misato non può farci niente, non è lei che sceglie i piloti”.

“Lo so, lo so. Infatti, non ce l’ho con lei, la colpa è solo mia e della mia ingenuità. Però sapere che sta arrivando l’Eva-04… cosa darei per salirci!”

“Kensuke, pilotare l’Eva non è certo un sogno”, replicò seccamente Shinji.

“So anche questo, eppure il desiderio di salirci almeno una volta è più forte di me. Tu dici che non è un’esperienza meravigliosa: va bene, ma è comunque un’esperienza che voglio provare almeno una volta”.

Un rumore di passi dietro di loro li fece voltare. “Mana?”, dissero insieme i due ragazzi.

La ragazza aveva uno sguardo fiero, e fissava Shinji tenendo i pugni chiusi.

“Aida, lasciaci solo, per favore”.

Quello del Fourth Children era più un ordine che un invito, e Kensuke eseguì dopo aver guardato entrambi per un attimo.

“Mana, mi sembri diversa…”, esordì Shinji.

“Forse. O forse il diverso sei tu”, rispose lei.

“Che intendi dire?”

“L’appuntamento che avevamo oggi pomeriggio salterà. Devo partecipare al test di attivazione dello 04”.

“Dunque sei tu il pilota. Kensuke mi aveva informato dell’arrivo di quella nuova unità, però la signorina Misato non ha fatto in tempo a dirmi chi era il pilota, e mi era rimasta questa curiosità”.

Mana fece una smorfia. “Tsk, curiosità, curiosità. Per te sono solo una curiosità?”

Shinji sembrò non capire.

Lei continuò: “Ti ho detto che l’appuntamento di oggi salta, e aggiungo che non ce ne saranno più!”

“Eh?!”, esclamò Shinji quasi scandalizzato.

Mana alzò un braccio puntandogli un dito contro e cominciò a parlargli.

Asuka, dopo aver consumato il bento insieme alla capoclasse, li vide da una finestra della classe, che stava più in basso.

Non riusciva a sentire cosa dicevano, poteva solo ipotizzarlo partendo dai gesti di Mana e, quando quest’ultima ebbe finito e se ne fu andata, dallo scoramento di Shinji, rimasto a testa bassa.

“Asuka, tra poco comincia la lezione”, la richiamò Hikari.

La rossa si girò verso l’amica. “Oh sì, manda qualcuno a chiamare stupi-Shinji, sta sul tetto”.

“Ok. Ti è successo qualcosa di bello?”

“Perché me lo chiedi?”

“Be, in questo momento hai stampato in faccia un sorriso scintillante”.


Al termine delle lezioni, un’auto della Nerv passò a raccogliere Mana.

Quando la ragazza salì sul mezzo, Rei, Asuka, e Shinji la stavano fissando da una finestra dell’aula.

Mana li salutò con un gesto della mano, cui rispose in maniera fredda solo Rei.

“Bene, torniamo a casa. Ho una fame da lupi!”, esclamò Asuka dando una vigorosa pacca sulla spalla a Shinji, che rimase in silenzio a fissare l’auto con Mana che si allontanava.


“Quello che mi sta chiedendo è quantomeno una cosa insolita”.

L’uomo, che stava parlando a un cellulare, si accese una sigaretta.

“Lo so. Ma stavolta si tratta di giocare d’astuzia, quindi dobbiamo farci trovare pronti”, rispose una voce maschile dall’altra parte dell’apparecchio.

“Però non so proprio da dove cominciare”.

“Un punto di contatto c’è”.

“Potrebbero volerci settimane o mesi, prima che accada qualcosa. Ammesso che accada”.

“Succederà, ne sono certo”.

“Bussano, la richiamerò più tardi”.

L’uomo ripose il cellulare, e un istante dopo un ragazzo e una ragazza entrarono in quello che era un appartamento condominiale.

“Signor Kaji, siamo a casa!”, annunciò radiosa Asuka.


Durante il pranzo, Asuka volle mettersi affianco a Kaji, mentre Shinji stava silenzioso davanti ai due.

Kaji lo guardò: Shinji, oltre a non parlare, non aveva neppure toccato cibo. “Shinji, non mangi? Non è il solito cibo precotto di Katsuragi, sono andato a prendere queste pietanze in quel piccolo ristorante qui vicino”.

“Guarda che se quella quattrocchi di Maaya viene a sapere che hai ignorato le sue pietanze, eccezionalmente portate fuori dal suo locale, potrebbe arrabbiarsi”, aggiunse Asuka.

“Scusate, ma non ho fame adesso”, disse allora Shinji alzandosi e avviandosi verso l’uscita.

“Ma… Shinji!”, esclamò quasi scandalizzata Asuka facendo per seguirlo.

Kaji la bloccò. “Ha bisogno di stare da solo. Deve essergli successo qualcosa di brutto e temevo che potesse fare una cosa del genere, perché al contrario di te non si è cambiato”.

Asuka rimase a fissare Shinji che usciva in silenzio.

Poi riprese a mangiare tenendo lo sguardo basso.


Shinji passeggiò senza meta per un po’.

Prima si fermò a contemplare il panorama montuoso che si vedeva in lontananza.

Lo conosceva bene quel panorama, lo aveva attraversato durante la sua breve fuga dalla Nerv.

Cominciò a prendere a calci un sasso trovato per strada.

Infine iniziò a correre.

Si fermò quando arrivò davanti al ristorantino di Maaya Sakamoto, e attraverso le vetrate, la vide mentre serviva ai tavoli.

Fece un passo per dirigersi verso l’ingresso del locale, quando il cellulare che teneva in tasca suonò.

“Pronto?”

Era Kaji, e ascoltando le sue parole, Shinji divenne sempre più pallido.

“Un incidente a Matsushiro?! Ma cosa è successo?! E la signorina Misato?! Sì, vengo subito!”

Corse a perdifiato verso il suo condominio.

****

Il sole stava ormai tramontando e l’aria era satura di un colore arancione intenso.

Gli Eva-00, 01 e 02 erano posizionati intorno a delle collinette circondate da risaie e con vicino un fiume.

Una misteriosa esplosione aveva devastato la base di Matsushiro, non si aveva più alcun contatto.

Però un misterioso oggetto non identificato aveva cominciato a muoversi proprio da lì, e la sua destinazione sembrava essere Neo-Tokyo 3.

Data comunque la sua lentezza nei movimenti, si era deciso di intercettarlo quando era ancora lontano dalla città.

Perché, infatti, non approfittare della possibilità di evitare danni a una città avveniristica ma anche molto costosa da riparare?

Intanto Shinji era preoccupato, molto preoccupato, e in ansia.

“Si sa niente della signorina Misato?”, domandò.

“Nulla”, rispose Asuka attraverso la finestra olografica.

“Non si sa nulla neppure della dottoressa Akagi e di Mana”, aggiunse Rei.

“E’ davvero terribile”.

Shinji si trattenne dal dire che lo preoccupava molto anche il fatto che fosse suo padre Gendo a dirigere l’operazione.

“Obbiettivo in vista”, annunciò Rei.

Shinji alzò gli occhi e vide una sagoma umanoide giungere dalle colline davanti a lui.

A causa della luce solare che gli arrivava negli occhi, e che sembrava essere molto riflessa dallo stesso nemico in avvicinamento, il giovane non riuscì a vedere i dettagli di quella figura.

Man mano che quest’ultima si avvicinava, ne scorse i tratti.

Sussultò. “Quello è l’obiettivo? Ma quello… non è un’Eva?!”

Davanti a lui, muovendosi con passi lenti e decisi, si erigeva proprio un Evangelion: camminava stando curvato in avanti, era di colore bianco con sfumature argentee e ai lati delle spalle era ben visibile il numero 04.

“Quello… quello è l’Evangelion che dovevano testare!”

“Incredibile, è stato posseduto da un angelo”, commentò Asuka.

Shinji era rimasto sconvolto. “Dannazione! E ora cosa possiamo fare?”

“E’ semplice”, intervenne Asuka. “Lo stendiamo e salviamo la nove…”.

L’immagine della finestra olografica collegata con lo 02 scomparve, era rimasto solo il sonoro, rendendo così udibili le grida della ragazza.

“Asuka? Asuka!!”, gridò Shinji quando la finestra olografica si spense di botto.

Il ragazzo guardò davanti a sé: lo 04 era scomparso.

Lo cercò con lo sguardo e lo rivide alla sua destra mentre riprendeva la sua marcia dal punto in cui avrebbe dovuto trovarsi lo 02.

“Ma come… come ha fatto a muoversi così velocemente?!”, mormorò allibito.

Fu tentato di indietreggiare, intanto che lo 04 passava affianco alla collina dietro la quale si nascondeva lo 00.

Udì Gendo che ordinava a Rei di bloccare il nemico, vide lo 04 fermarsi, piegarsi in avanti, quasi contorcersi, per poi sollevarsi dal suolo all’improvviso: e prima che Shinji potesse seguirlo con lo sguardo, lo 04 era già atterrato dietro la collina dello 00.

Anzi, sopra l’Evangelion blu.

Shinji rimase allibito per la velocità del nemico e con orrore crescente sentì, attraverso il collegamento radio, gli operatori della base riferire che l’angelo aveva invaso il braccio dello 00, suo padre che ordinava di staccare il medesimo braccio e per ultimo il grido di dolore di Rei.

L’Eva-04, contemplò per qualche secondo il suo nemico appena mutilato, poi riprese la sua marcia.

Puntò esattamente sullo 01, facendo nascere nel suo pilota la tentazione di fuggire.

“Shinji”, gli giunse autoritaria la voce di Gendo, “sei rimasto solo tu. Abbatti l’obiettivo”.

“Ma… ma io… non…”

Lo 04 si avvicinava sempre di più.

“Non so se posso farcela da solo”.

L’ombra dello 04 aveva ormai raggiunto, quasi avvolto, lo 01.

“Chissà di cosa è capace!”

Il nemico si fermò a un centinaio di metri dall'Eva della Nerv, a Shinji tremavano sia le gambe sia le dita sul grilletto.

Lo 04 sembrò squadrare per un attimo il suo recalcitrante avversario, poi alzò la testa lanciando un urlo bestiale.

Colto di sorpresa, Shinji aprì il fuoco.

L’Eva-Angelo evitò la raffica con un ampio balzo prima verso l’alto e poi in avanti, atterrò sullo 01 colpendolo con le gambe e mandandolo a tappeto.

L’Eva della Nerv atterrò malamente di schiena, mentre il suo aggressore con grande precisione atterrava a quattro zampe tenendosi basso.

Fu così che Shinji riuscì a vedere sulla schiena del nemico la zona d’inserimento dell’Entry Plug, con il pannello di protezione esterno ancora chiuso e ricoperto da una strana sostanza vischiosa.


“Comandante, e se provassimo a espellere l’Entry Plug?”, propose Maya.

“Negativo. Anche senza l’Entry Plug, il nemico non si fermerebbe”, rispose Gendo senza tentennamenti.

I tre operatori, partendo da Ibuki fino ad Aoba, si scambiarono delle strane occhiate.

Poi Aoba fissò con la coda dell’occhio Fuyutsuki, che stava come sempre in piedi alle spalle di Ikari. Il vice-comandante si accorse dello sguardo del suo diretto subordinato, si strinse nelle spalle e scosse leggermente la testa.

Anche Ibuki vide la risposta dell’uomo, e dovette reprimere un fremito.


Disperato, Shinji tentò di rialzarsi, e le braccia dello 04 si allungarono a dismisura, afferrando lo 01 per la gola, spingendolo con forza contro una collina e cominciando a stringere sempre di più.

Il Third Children avvertì una presa micidiale intorno al suo collo, si sentì mancare il respiro.

Come se non bastasse, lo 04 si alzò iniziando ad avvicinarsi, e più si avvicinava, più la sua stretta aumentava.

“Ma…le…de…tto…”, mormorò Shinji con occhi quasi sbarrati per la paura.

Cercò di reagire, fece mettere le mani dello 01 su quelle del nemico nel tentativo di toglierle.

Sembrò riuscirci, il nemico dovette mollare la presa, finché l’Evangelion posseduto non fece sbucare altre due braccia dalle spalle, sfondando la propria corazza protettiva, e usandole per stringere nuovamente il collo dello 01. A esse si aggiunsero le prime due.

Shinji urlò per la disperazione e il suo Eva cominciò a sferrare una serie di calci poderosi al ventre dell’avversario, che con un balzo si allontanò.

Ma contemporaneamente allungò ancora le sue braccia, quindi la situazione non mutò.

Shinji ricorse al Progressive Knife nel supporto verticale sinistro: a causa delle quattro braccia che lo tenevano per il collo, fu piuttosto difficile afferrare l’arma ma ci riuscì e con un colpo secco da sinistra a destra tranciò le quattro braccia all’altezza dei gomiti.

Urlando di dolore il nemico indietreggiò, mentre fiotti di sangue sprizzarono dagli arti amputati.

Shinji cercò di riprendere fiato e non ebbe il tempo, perché il nemico non solo rigenerò gli arti amputati in pochi attimi, ma dalla schiena ne fece sbucare altri sei, che come i tentacoli di una piovra raggiunsero fulminei lo 01 afferrandolo per il collo, le braccia e le gambe.

Sugli arti, le braccia nemiche si avvolsero intorno ad essi per tutta la loro lunghezza, come serpenti intorno ad una preda, iniziando a stringere anche più di prima.

“A-aiuto!! Aiutatemi!!”, gridò Shinji, che sentì di nuovo mancarsi il fiato.


Makoto Hyuga osservò i dati del suo monitor. “Problemi nel sistema di supporto vitale!”

“I sistemi interni dell’Eva-01 sono sottoposti a una pressione eccessiva”, avvertì Ibuki. “Sono probabili seri danni”.

In pratica, ossa del collo e degli arti rotte, con seguente shock nervoso del pilota, dalle gravi conseguenze.

“Non abbiamo scelta. Useremo il Dummy System!”, ordinò impassibile Gendo.

Ibuki si girò verso il comandante. “Però il Dummy System presenta ancora numerosi problemi, e senza la supervisione della dottoressa Akagi…”

“Sconfiggere gli angeli ha la precedenza su tutto. Procedi!”, concluse seccamente Gendo.

Maya Ibuki dovette suo malgrado ubbidire.


Shinji sentiva una pressione mostruosa intorno al collo e agli arti, gli pareva quasi di morire.

Poi di blocco tutto passò, ogni luce si spense nell’Entry Plug, solo per qualche secondo.

Quando i monitor esterni si riaccesero, mostravano il mondo attraverso una coltre rosso sangue.

“Ma cosa…. Che cosa sta succedendo papà?!”


Gli occhi dello 01 s’illuminarono di un rosso intenso, il suo corpo s’irrigidì.

Gli arti del nemico esplosero all’istante, distrutti da una forza invisibile.

Il loro sangue imbrattò qualcosa d’invisibile, simile a un muro.

Lo 04 indietreggiò, i due Evangelion si fissarono mutamente per un istante.

Poi l'Angelo-Eva fece per scappare!

Cosa che gli fu impedita da una mano che lo afferrò per la testa: la bocca dell'Eva-01 si spalancò e quella mano stritolò la testa dello 04 riducendola completamente a brandelli.

Nella base Nerv tutti rimasero ammutoliti, Maya si coprì gli occhi.

Sentiva che lo 01, dominato dal Dummy Plug, non si sarebbe limitato a quello.

Mai intuizione fu più esatta.

****

Misato si sentiva le palpebre dannatamente pesanti, ma i rumori che percepiva intorno a sé e che si facevano sempre più distinti, la costrinsero ad aprire gli occhi.

Stava ormai cominciando la sera, si trovavano in un ampio spiazzo, pieno di ambulanze, lei era sdraiata su una barella, mentre tutt’intorno era un via vai di medici, infermieri e tecnici.

Misato cercò di riordinare le idee: avevano iniziato l’esperimento di attivazione dello 04, tutto sembrava andare bene, però una volta raggiunta la soglia di attivazione, era successo qualcosa.

L’Eva-04 aveva cominciato a contorcersi, sulla schiena era comparsa una strana sostanza, un grido di Ritsuko, un altro grido, ancora più forte, proveniente dallo 04.

Infine il buio.

Per quanto tempo era rimasta svenuta?

Indubbiamente ore.

E cosa era successo in quelle ore?

Mistero.

Doveva capire cosa era successo, partendo dalla prima costatazione, che era confermata dal suo essere piuttosto dolorante.

“Sono ancora viva…”

Udì il respiro di qualcuno vicino a lei. “Kaji”.

L’uomo sfoderò un sorriso di sollievo che Misato trovò molto bello. “Sei stata fortunata, Katsuragi”.

“E… e Ritsuko?”

“Non preoccuparti, le sue ferite sono più lievi delle tue”.

“Meno male.” Poi la donna ebbe un sussulto. “E l’unità 04?!”

Kaji si fece molto serio, Misato provò un brivido lungo la schiena.

“E’ stata identificata come un angelo, e abbattuta dallo 01”.

Misato sentì gli occhi riempirsi di lacrime. “E… e Mana?”

“Non conosco le sue condizioni attuali. Però…”

Kaji si avvicinò per baciarla sulla fronte, non prima di essersi guardato intorno.

Le sussurrò: “Non fidarti della versione ufficiale, neanche se ti viene raccontata da Ritsuko”.

“Che… che vuoi dire?”

Tuttavia Kaji, dopo averle dato il bacio, se ne andò.

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


5° CAPITOLO

Misato, con un tutore al braccio e alcuni cerotti sul viso, contemplava la zona dove era avvenuta la battaglia tra lo 01 e lo 04.

I tecnici della Nerv erano stati molto rapidi a portare via la maggior parte dei resti dell’Eva annientato, che sarebbero stati distrutti in seguito, salvo qualche campione da studiare in laboratorio.

Nonostante ciò, alcuni pezzi erano ancora orrendamente in bella vista, ovvero la testa e un avambraccio, che emergeva dal fiume vicino. Poi il terreno, le colline, la vegetazione circostanti erano ricoperti di sangue raggrumato color rosso scuro.

Sembrava che lì ci fosse stata una tempesta di sangue, e Misato lo sentiva, ancora appiccicaticcio, sotto i suoi stivaletti, rabbrividendo all’idea.

Scorse la figura della dottoressa Akagi, che stava osservando quella che un tempo era stata la testa dello 04: era rimasta intatta solo la base del cranio, la parte superiore era ridotta a una poltiglia in cui si mescolavano carne, ossa, lamiere e materia cerebrale.

Era davvero un mistero come facesse Ritsuko a non vomitare davanti a quella cosa maciullata.

Comunque anche Misato, quando la affiancò, non si mostrò da meno.

“E’ proprio un disastro”, esordì il maggiore.

“Già, ed è la dimostrazione che per quante precauzioni si possano prendere, la realtà si mostra sempre imprevedibile”, rispose freddamente la dottoressa.

“Quali sono le condizioni di Mana?”

“E’ ancora sotto esame medico. La sua mente è probabilmente entrata in contatto con l’angelo invasore, ed è uscita fisicamente piuttosto malconcia da questo macello. Dobbiamo già ritenerci fortunati che non abbia subito qualche mutilazione”.

“Capisco”.

Misato, cupamente, si guardò intorno.

“Invece come sta Shinji?”, domandò Ritsuko.

“Poco fa ho telefonato ad Asuka: è sempre uguale, sta chiuso nella sua stanza, seduto sul letto, a capo chino, perso in chissà quali pensieri. E cosa puoi dirmi di Rei?”.

“Tornata a casa. Tra due giorni si sarà ripresa completamente”.

Calò un lungo attimo di silenzio.

Lo sguardo di Misato si concentrò su qualcosa.

“Voglio vedere subito i filmati registrati alla base su quanto è avvenuto qui”, ordinò andandosene sotto lo sguardo di Ritsuko.


Poche ore dopo, Misato era nel suo ufficio a visionare su un PC portatile i dati della battaglia, senza poter nascondere delle espressioni di ribrezzo davanti al massacro compiuto dall’Eva-01 comandato dal Dummy System.

Infine ebbe un sussulto quando vide lo 01 stritolare l’Entry Plug dello 04 e lanciarlo lontano.

La capsula si schiantò su una cascina abbandonata che si trovava nelle vicinanze, e con quelle immagini il filmato terminò.

Uno spettacolo terribile ma anche verosimile e coerente: lo 04 era impazzito, aveva attaccato lo 01, Shinji non era riuscito a controbattere efficacemente e si era fatto ricorso al Dummy System, ancora da perfezionare ma mostruosamente efficace.

Eppure un pensiero continuava a tormentarla.

Tirò fuori il cellulare e digitò un numero della rubrica.

“Il numero da lei chiamato non è raggiungibile al momento”, dichiarò un’atona voce femminile.

“Dannato Kaji. Prima mette pulci nell’orecchio e poi sparisce senza fornire dettagli!”, sbottò la donna.

Non di meno, se aveva agito così, voleva dire che lei aveva già i mezzi per scoprire la verità.

Doveva solo saperli sfruttare, e quando sentì alcuni membri del personale Nerv parlottare tra di loro nel corridoio davanti al suo ufficio, capì a chi rivolgersi.

Lo avrebbe fatto il giorno dopo, il tempo di far calmare un po’ le acque.


Il giorno successivo Maya Ibuki si stava lavando le mani e dando una rinfrescata in faccia nei bagni del personale.

Il suo viso bello e giovane aveva però delle leggere occhiaie, una cosa prevedibile, vista la mole di lavoro extra degli ultimi due giorni.

Misato entrò nel bagno e andò anche lei al lavandino, aprendo il rubinetto al massimo.

Maya le fece un cenno di saluto prima di chiudere il suo rubinetto per andarsene.

“Non chiuderlo e resta affianco a me, senza guardarmi”, le sussurrò Misato continuando a tenere lo sguardo in avanti.

L’altra, lievemente turbata, obbedì.

“Maya, lo so che sei una persona coscienziosa. Ti prego, dimmi cosa è successo veramente durante lo scontro con il 13° Angelo”.

“Non so a cosa si riferisce”, rispose con voce tenue l’operatrice. “Le assicuro che il filmato della battaglia non è stato assolutamente ritoccato”.

Misato, tramite il riflesso dello specchio che stava sopra il lavandino, la fissò cupamente. “Io però non ho mai parlato di filmati ritoccati”.

Maya sembrò ammutolire e abbassò lo sguardo.

“Maya, capisco che vuoi essere fedele alla dottoressa Akagi, ma so bene che non approvi tutto quello che fa. Se ha nascosto la verità, e se questo riguarda la vita innocente di Mana, ha sbagliato. Dimmelo. D’altronde non stai parlando a un’estranea, ma al direttore operativo della sezione strategica della Nerv”.

Maya chiuse il rubinetto, l’acqua abbastanza calda aveva creato un po’ di condensa sullo specchio, l’operatrice sembrò col dito scribacchiare qualcosa sul vetro e se ne andò.

Passato qualche minuto, Misato chiuse l’acqua e uscì anche lei.


Due ore dopo, il maggiore della Nerv era di nuovo nel bagno.

Così diceva ciò che aveva scritto Maya sullo specchio: "Qui due ore".

Non c’era nessuno e non sarebbe stato prudente chiamare o cominciare ad aprire le porte dei wc una per una.

Sarebbero stati troppi rumori per una sola persona, capaci di allertare orecchie indiscrete.

“Andiamo, Ibuki. Devi avermi lasciato un segnale”.

Scrutando le porte, Misato vide che una non era chiusa del tutto, al contrario delle altre.

Andò in quel wc, esaminò la porta e si accorse che sul bordo sinistro di quest’ultima, in basso, era stato messo un batuffolo di cotone.

“Bingo!”

Il maggiore si guardò intorno e non vide niente.

Però c’era la tazza del water.

Lo spazio ai lati del water era troppo stretto per guardare direttamente, quindi si chinò, cercando tentoni dietro di esso con la mano, e trovò cosa voleva, strappandolo: un cd attaccato con del nastro adesivo.

Soddisfatta, la donna andò al rubinetto per lavarsi le mani e lasciò la toilette.


Misato rincasò abbastanza tardi.

L’appartamento era deserto, sul tavolo della cucina c’erano delle confezioni di ramen precotto, insomma una cena alla Asuka.

Il maggiore della Nerv sbirciò nella stanza di Shinji aprendo lievemente la porta, e lo vide a letto, girato dall’altra parte.

Incupendosi, Misato fece per bussare alla porta di Asuka, si fermò un attimo quando la sentì borbottare un "Sono stata sconfitta", poi bussò e aprì la porta.

“Ciao”, la salutò, senza entusiasmo, Asuka, che era seduta alla sua scrivania.

“Ciao. Dimmi, ci sono stati miglioramenti?”

“Macché. Meno male che almeno si è mosso per mangiare qualcosa, altrimenti sarebbe stato come avere in casa uno zombie”.

“Capisco. Senti, a proposito di quello che è successo con lo 04…”

“Le notizie sulla novellina dille a stupi-Shinji!”

Misato non insisté e chiuse la porta.

“Sono stata battuta un’altra volta”, bofonchiò la Second Children.

Una volta dentro la sua stanza, il maggiore tirò fuori il suo PC portatile e il famoso dischetto, contemplandolo come se fosse un gioiello.

“Prima di coinvolgere i ragazzi, è meglio che mi chiarisca le idee”.

****

L’Eva-01 sollevò come se fosse un peso morto lo 04, tenuto per la testa maciullata.

Da quel corpo penzolante dondolavano anche i moncherini delle tante braccia che gli erano sbucate.

Lo 01 ansimò sempre più furiosamente, mentre un ruggito gutturale gli arrivava dalla gola.

Con un fremito l’Evangelion si girò su se stesso e sbatté il nemico a terra, gli saltò addosso e cominciò ad aprirlo.

Ecco il termine esatto: aprirlo.

Perché affondo le mani nella corazza pettorale, tirò fino a strapparla via insieme alle placche che coprivano il ventre.

Come se avesse tirato la linguetta di una scatola.

Poi affondò le mani negli organi interni: cascate di sangue si sollevarono dal ventre squartato dello 04, imbrattando il luogo, e il massacratore tirava fuori gli intestini mordendoli, ne strappava lunghi tratti, li masticava con foga scuotendo la bocca da lato a lato, e per ultimo li sputava lontano.

La stessa sorte toccò alle altre parti del corpo.

A un certo punto, dallo squarcio fu tirata fuori anche una grossa sfera rossa: lo 01 la prese tra le mani e premette fino a frantumarla in mille pezzi.

Con la corazza facciale rotta nella zona della bocca, l’Eva-01 dava l’impressione di sogghignare.

Un’impressione che aumentò quando il flagello color viola e verde passò agli arti del nemico.

Braccia e gambe vennero una dopo l’altra strappate di netto, fatte a pezzi, la copertura della corazza lacerata come se fosse in atto una scuoiatura.

Infine anche quei pezzi furono gettati lontano.

Per ultimo era rimasto l’Entry Plug, ancora ricoperto da quella strana sostanza di origine angelica.

La mano dello 01 tremò nell’atto di stritolare anche la capsula.

Si udì un grido disperato provenire da chissà dove.

E come per risposta, qualcosa saltò sulla mano dell’Evangelion.

Era una macchia scura, che si rivelò essere una persona vestita di nero, avvolta in una specie di saio, come di un monaco.

La figura nera afferrò da sotto, con le braccia, le dita chiuse dello 01.

E tentò di fare proprio quello che sembrava: stava cercando di aprire quell’enorme mano.

O più probabilmente voleva allentare un poco la presa di quelle dita colossali, riuscendoci pure, per qualche secondo, perché con un calcio tolse la capsula da quella mano.

La figura saltò via, prendendo al volo l’Entry Plug nonostante fosse molto più grande.

Ma l'Eva, come irritato da quell’interruzione, con una manata colpì lo sconosciuto e la capsula, facendoli volare dentro una cascina di cui sfondarono il tetto.

Fatto questo, il gigante si fermò.

****

Misato non realizzò per quanto tempo era rimasta con gli occhi sbarrati e la bocca aperta.

Sembrava caduta in trance, e ne uscì solo quando udì Asuka accendere la tv in soggiorno.

Scuotendo la testa, il maggiore aprì un piccolo file scritto che accompagnava il filmato: “E’ stato il comandante Ikari a ordinarci di alterare il filmato. Le scene alterate sono quello che devono vedere le nostre autorità superiori. Non sappiamo niente di quella misteriosa figura, ma sembra che il comandante le abbia teso una trappola, usando la povera Kirishima come esca. Spero che sappia fare buon uso dell’informazione”.

Misato non riusciva ancora a crederci, ma comunque doveva indagare.

Si vestì con abiti più pesanti, impugnò la sua pistola di ordinanza e uscì.

Asuka, davanti al televisore, non la degnò di uno sguardo.


L’interno della cascina era pieno di detriti e polvere.

La pila di Misato illuminò anche qualche topo che scappò squittendo.

La donna si aggirò dentro il rudere con cautela, pistola in pugno.

Dopo essersi guardata intorno, osservò il pavimento e uno strano riflesso attirò la sua attenzione.

C’era qualcosa sotto quello che una volta era un tavolo e adesso era sfondato.

Raccolse l’oggetto, tolse la polvere, lo osservò.

Impallidì.

Rapidamente lasciò il rudere.


La mattina presto del giorno dopo, Misato telefonò alla base dicendo che avrebbe fatto tardi a lavoro: raccontò che il braccio fasciato aveva cominciato a farle un male cane, e che doveva assolutamente andare subito in farmacia a prendere degli antidolorifici.

Fatto questo, diede un’occhiata a Shinji e Asuka, che dormivano ancora, prese la sua pistola nascondendola dietro la giacca e si avviò a piedi verso il suo obiettivo, mostrando una strana determinazione.

Arrivò infine a destinazione ed entrò decisa in quell’edificio, trovandolo deserto.

“C’è nessuno?”

La proprietaria del luogo entrò nella stanza, trascinando a fatica un solo barilotto.

“Ciao, Misato”, esordì quella persona.

“Ciao, Maaya”.

“Non è da te venire a fare colazione qui”.

“Oggi volevo sfidarti: vediamo se oltre a pranzi e cene, sei brava anche con le colazioni”.

Maaya fletté i bicipiti di un braccio, stavolta senza batterci sopra con la mano. “Sfida accettata!”, esclamò con sicurezza.

Riprese a portare il barilotto, trascinandolo lentamente e facendolo strisciare sul pavimento.

“Uff… fammi… fammi sistemare il barile per la birra alla spina e sono... anf… subito da te”.

“Fai con comodo”, la tranquillizzò Misato, e l’operazione fu completata in poco tempo.

“Ecco. Sono a tua disposizione”.

“Bene, allora preparami una colazione all’inglese”.

La ristoratrice mimò un saluto militare. “Detto fatto. Vuoi chiedere qualcos’altro?”

Misato parve non voler rispondere, poi sospirò: “Mi piacerebbe che dessi risposta a una domanda”.

“Ovvero?”

“Dove sono i tuoi occhiali?”

Maaya piegò di lato la testa. “Come dove sono? Li ho qui, non li vedi?”, rispose indicandosi gli occhiali che indossava.

“Sì. Ma io parlo di quelli con le alette da angelo affianco alle lenti”.

“Ah quelli? Purtroppo li ho persi. Sono cose che capitano”.

Misato annuì e prese un astuccio da una tasca. “Sono forse questi?”

L’altra scrutò quegli occhiali. “Certo, il modello è quello. Dove li hai trovati?”

“In una cascina abbandonata da chissà quanto tempo, e sono usati pochissimo, in pratica nuovi”.

Calò un lungo silenzio.

Poi entrambe sembrarono odorare qualcosa.

Misato cadde per terra, addormentata all’improvviso.

Maaya invece ebbe un lieve mancamento, barcollò ma si riprese subito.

“Merda”, borbottò.

Degli oggetti entrarono sfondando le finestre nel locale, riempiendolo subito di un fumo bianco.


Le truppe speciali della Nerv avevano circondato il locale.

Blindati, auto e furgoni bloccarono le strade, una marea di soldati con il logo dell’agenzia si riversò fuori dai furgoni disponendosi con le armi spianate davanti ad ogni possibile via di fuga.

Quando il ristorante fu pieno di fumo, uno dei soldati fece segno ad altri tre con le dita di farsi avanti.

Quelli ubbidirono, avanzando cautamente con le armi in avanti ed entrando uno per volta.

Dopo pochi secondi, qualcosa o qualcuno li lanciò fuori, i tre uomini atterrarono su un prato oltre la strada dopo un volo di dieci metri.

Un oggetto sbucò fuori dalla nuvola bianca: era un tavolo.

Cui ne seguì un altro e un altro ancora.

I tavoli costrinsero i soldati a ritirarsi dietro le auto.

Infine dal fumo, con un ampio balzo, venne fuori una persona: Maaya, che atterrò a quattro zampe in mezzo ai soldati, gli si gettò addosso e iniziò a stenderli; con semplici spinte delle mani li faceva volare all’indietro per diversi metri, con potenti calci circolari dati in faccia riusciva a stenderne anche tre o quattro in una volta e con i suoi pugni abbatteva quegli uomini grandi e grossi come birilli.

Con un nuovo salto, salì sul tetto di un furgone e alcuni soldati, ripresisi dalla sorpresa e troppo indietro per essere colpiti, fecero fuoco contro di lei.

Molti proiettili particolari, simili a delle freccette, la colpirono alla schiena.

Maaya barcollò nuovamente, saltò giù, e si mise alla guida del furgone, pigiando a tavoletta l’acceleratore.

Il furgone sgommò via, i soldati lo evitarono buttandosi di lato.

Mentre guidava, la giovane si tolse quei particolari proiettili dalla schiena. “Dardi soporiferi. Bastardi, tsk!”

Poi sentì un forte dolore alle braccia e le maniche della sua maglietta cominciarono a colorarsi di rosso. “Magnifico, si sono pure riaperte le ferite. Che altro c’è ancora?”

La risposta arrivò dai tre autoblindo che le stavano venendo incontro dalla direzione opposta.

Quegli autoblindo avevano delle mitragliatrici sul tetto, e aprirono il fuoco contro il furgone distruggendone le ruote.

A causa di questo e dell’alta velocità, il furgone si ribaltò rotolando su se stesso più volte, poi, dopo aver strisciato rumorosamente per qualche metro, si fermò in mezzo alla strada.

Maaya con un calcio sfondò il finestrino e uscì incolume.

La stavano nuovamente circondando, allora guardò in direzione della montagna che troneggiava dietro tutti loro a una certa distanza.

Avrebbe potuto nascondersi in quei boschi, poteva raggiungerli.

Purtroppo quelli degli autoblindo la pensavano diversamente e tutti e tre i mezzi spararono degli oggetti cilindrici, che si aprirono a mezz’aria con un piccolo botto: erano delle spesse reti metalliche.

Piombarono su Maaya ricoprendola totalmente.

La ragazza tentò ancora di liberarsi, cominciando a dilaniare le reti.

Purtroppo i soldati l’avevano ormai raggiunta, e spararono a raffica i loro dardi.

Come se non bastasse arrivarono dei soldati con dei piccoli oggetti simili a batterie d’auto e le disposero a terra sopra alcuni lembi delle reti.

Subito tali reti furono percorse da una fortissima corrente elettrica, sprizzando scintille e costringendo i soldati a indietreggiare.

Maaya urlò come una tigre ferita, tentò ancora di liberarsi.

Un’ultima razione di dardi le diede il colpo di grazia.

Cadde a terra, preda di convulsioni.

Infine restò immobile.

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Capitolo 6
*** 6° Capitolo ***


6° CAPITOLO

Misato era chiusa in una cella buia, senza ricordare nulla su come ci fosse finita.

Rammentava che aveva chiesto qualcosa alla sua amica Maaya, poi era caduta addormentata di colpo dopo aver sentito uno strano odore.

Al risveglio era lì, immersa nell’oscurità totale.

Dei sottilissimi neon azzurrognoli, sistemati sul pavimento, disegnavano la sagoma di una branda, sulla quale il maggiore adesso riposava.

Non sapeva quanto tempo fosse passato e le avevano pure tolto l’orologio.

L’unica cosa che conosceva era l’identità dei suoi rapitori, grazie al simbolo della Nerv che brillava di un cupo rosso sangue sulla parte alta della parete di fronte a lei.


“Dove l’avete portata?”

“Non avevamo celle adatte, comandante, quindi l’abbiamo messa in una sala del vecchio laboratorio, dopo averla opportunamente modificata. Certo che le sue capacità vanno oltre quello che avevamo previsto”.

“Immagino”.

“Le consiglio una scorta di almeno cinquanta uomini”.

“Nessuna scorta”.

“Comandante!”, ribatté quasi scandalizzato l’altro, “Noi avevamo preparato le catene e la barriera elettromagnetica. Ma dopo lo scontro con il 13° Angelo, e dopo quello che è accaduto ai nostri uomini, oltre alle catene abbiamo dovuto metterle dei blocchi spessi mezzo metro sulle braccia e sulle gambe, e dobbiamo iniettarle costantemente un sedativo per tenerla buona. Ed è incredibile che resti comunque sveglia! Del resto al momento della cattura teneva in corpo tanto di quel sonnifero da stendere una sessantina di uomini, ma quella, dopo solo due ore, era di nuovo in piedi. Abbiamo anche dovuto potenziare la barriera elettromagnetica. Adesso potrebbe bloccare una mandria di elefanti imbizzarriti”.

“Nessuna scorta” ripeté il comandante, per nulla impressionato dalla descrizione appena ascoltata.

Dopo essere passati su una pedana mobile, i due uomini raggiunsero una porta, pattugliata da dodici soldati armati fino ai denti.

“Lasciateci soli”, ordinò il capo, che aveva la barba e gli occhiali.

I soldati si guardarono, e la persona che accompagnava l’uomo con la barba fece loro cenno di ubbidire.

Rimasto solo, il comandante digitò un codice su una tastiera affianco alla porta, sempre lo stesso codice che usavano dai tempi del Gheirn.

La porta scivolò di lato lentamente, rivelando la vista di una ragazza in piedi, bloccata in una posizione a x: le braccia e le gambe divaricate erano chiuse in enormi cilindri color acciaio che le ricoprivano completamente, arrivando fino all’inguine e alle spalle; i cilindri delle gambe erano fissati al suolo, quelli delle braccia erano collegati alle pareti e al soffitto da un insieme di catene grosse quanto quelle delle ancore da transatlantico.

Inoltre due sottili tubicini di plastica, pieni di una sostanza verde, partivano da un punto indefinito del soffitto per terminare proprio nei cilindri delle braccia.

Tutto intorno alla prigioniera, infine, c’era un cerchio sul pavimento, con un corrispettivo sul soffitto. Il cerchio emetteva un lieve ronzio.

L’uomo con la barba entrò e si tolse gli occhiali. “Mi senti?”

La ragazza stava con la testa abbassata, immobile.

“Non voglio credere che tu finga di essere addormentata. Non puoi essere così ingenua. Comunque, voglio presentarmi: io sono Gendo Ikari, comandante della Nerv. Adesso resta da stabilire chi sei tu, Maaya Sakamoto, sempre ammesso che sia il tuo vero nome”.

La ragazza alzò la testa, fissò Gendo e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso di sfida.


Lo stomaco di Misato cominciò a borbottare.

“Figurati se è tempo di mangiare questo. Mi stupisce semmai che non mi sia ancora venuto lo stimolo di andare in bagno. Ma che bei pensieri profondi, tsk” borbottò, stavolta con la bocca.

La porta della cella si aprì e la stanza fu invasa dalla luce, talmente forte che Misato dovette coprirsi gli occhi con il braccio sano.

Quando si fu abituata, guardò la figura che si stagliava davanti alla porta.

“Ritsuko!”

La dottoressa entrò. “Proprio io. Come ti senti?”

“Non mi posso troppo lamentare”.

“Bene. Temevo che ti fosse venuto il mal di testa”.

“A causa di quella specie di gas?”

“No. Ho pensato che tu avessi passato queste ore a darti mentalmente e con foga della stupida, per essere caduta così facilmente nella trappola dei nostri servizi di sicurezza, e per aver immaginato che i suddetti servizi non si fossero accorti di quel paio di occhiali”.

Misato scrutò la scienziata. “Era una trappola per me?”

“Nonostante il tuo talento, non sei importante fino a questo punto”. Ritsuko si aggiustò una manica del camice. “Era una trappola per la misteriosa figura incappucciata. Ma poiché tu sembravi conoscere il proprietario di quegli occhiali…”

“…mi hanno seguita. Immagino che quel gas fosse anche un’ultima prova per vedere se il bersaglio era proprio la mia amica”.

“Esatto. La sua resistenza a quel gas soporifero è stata in linea con la forza che ha mostrato durante l’incidente dello 04. Il suo show finale ha semplicemente rimarcato il tutto”.

“Dov’è adesso?”

“Non sono tenuta a dirtelo”.

“E Mana?”

“Lo stesso”.

Misato sospirò. “Puoi dirmi almeno cosa ne sarà di me?”

“Sì. Sei libera”.

Ritsuko tirò fuori da una tasca la pistola di ordinanza del maggiore, il suo tesserino Nerv e il suo orologio.

Alzandosi dalla branda per riprendere i suoi oggetti, Misato non nascose il suo stupore. “Davvero? Dopo quello che ho fatto, me la cavo con qualche ora in cella?”

“Certamente. Del resto non hai fatto niente che meriti una punizione, giusto?”

L’altra osservò la sua amica. “Non ho fatto niente?”

“Niente. Ieri e oggi non hai fatto niente d’insolito, e non ti è successo niente d’insolito. Solita routine.”

Il maggiore afferrò il messaggio.

“Ho capito”. Misato strinse a pugno la mano sana.

Ritsuko annuì. “Bene. Adesso vai in sala controllo, Hyuga ti sta aspettando per farti esaminare alcuni rapporti. Io ti raggiungerò dopo, insieme a Maya”.

Sentendo quel nome, Misato ebbe un lieve sussulto.

Richiamò Ritsuko, uscita dalla cella per prima. “Senti, l’idea è….”

“Tranquilla”, le rispose la scienziata senza voltarsi. “Anche Maya Ibuki non ha fatto niente”.


Il veloce treno sotterraneo correva verso la sua destinazione, ovvero il Geo-Front, con i tre piloti di Evangelion come unici passeggeri.

Rei stava leggendo un libro, Asuka guardava verso il finestrino, attendendo la comparsa del paesaggio del loro quartier generale, mentre Shinji stava curvato in avanti, col capo chino, le braccia appoggiate sulle gambe e le mani intrecciate.

Sembrava quasi in attesa di una punizione.

Asuka scrutò per un momento Rei. “Per essere una tipa fragilina, direi che si è ripresa molto rapidamente. Non ha più neanche un cerotto addosso”, pensò.

Poi fissò Shinji: era in uno stato davvero pietoso, non andava neanche a scuola, mostrava segni di vita solo per mangiare, e non si confidava per niente.

Anche se Asuka, a dire il vero, non gli aveva neppure chiesto che cosa avesse.

“Eh, speriamo che questa giornata porti qualche buona notizia”.


“Che cosa?! Mana dovrà restare qui tutto il tempo?!”

Finalmente Shinji sembrò uscito dal suo mutismo.

Rei rimase indifferente, solo Asuka lanciò un breve sguardo di sorpresa verso di lui.

“Sì”, rispose Misato. “A causa dell’incidente che ben conoscete, ha bisogno di essere costantemente monitorata. E’ cosciente e in buona salute, ma finché tutti gli esami non saranno stati compiuti, è meglio evitare situazioni impreviste. Non sappiamo se e come potrebbe reagire davanti a….”

Misato si accorse che Asuka si accigliava sempre più nell’osservare Shinji, perché lo sguardo di quest’ultimo s’incupiva a ogni parola della loro tutrice.

“Stavo dicendo”, riprese la donna, “che non so come potrebbe reagire se tornasse a bordo di un Evangelion. Ci vorrà tempo. Comunque andate a cambiarvi, vi aspettano i test di sincronia”.

Andati via i tre piloti, Misato si recò alla torre dei Magi, dove sapeva che avrebbe trovato Ritsuko.

Quella donna, a parte le rare volte in cui tornava a casa, aveva il suo centro gravitazionale intorno a quei supercomputer.

Infatti, la vide seduta davanti a una delle tastiere, con una cartelletta in una mano mentre con l’altra digitava dei pulsanti con la stessa velocità di una persona con quattro braccia.

Maya stava per andare dal suo superiore, ma fece dietrofront quando vide Misato, la quale andò a sedersi proprio sulla tastiera di Ritsuko.

Una voce femminile e impersonale, proveniente da qualche altoparlante, annunciò che l’operazione di collegamento interlineare X-23 era fallita.

Ritsuko rimase impassibile. “In fondo per quell’operazione avevo impiegato solo quarantatre minuti, niente di che”.

“Che autocontrollo ammirevole. Ricordo che quando ti succedevano cose simili all’università, quasi ti trasformavi in uno scaricatore di porto”, replicò Misato fissando di sbieco la dottoressa.

“Posso sapere a cosa è dovuta questa tua manifestazione d’infantilismo?”

“Lo sai il benissimo il perché!”

“Suvvia, quelle menzogne le abbiamo preparate per il bene dei ragazzi. Di sicuro non moriranno”.

“Per te è normale mentire alle persone amiche. Per me no. E come la mettiamo con Mana?”

“Nessuno le farà del male, stai tranquilla”.

Misato, oltre alla rabbia, dovette nascondere anche la sorpresa per l’impassibilità della scienziata, e decise di giocare l’ultima carta. “Per non parlare di Maaya”.

“E chi sarebbe?”

Il maggiore si sentì esplodere. “Ormai ho imparato che con te e il comandante non è più possibile neanche fidarsi dei propri occhi!”

La dottoressa le lanciò un lieve sguardo di sfida. “E dunque, cosa vorresti fare?”

Il maggiore tentò di trattenere la collera, rendendosi conto che non era il caso di sfidare ancora la fortuna. Non con Gendo Ikari.

Davanti al mutismo della sua amica, Ritsuko si lasciò scappare un sorriso soddisfatto. “Così si fa. Continua a fare il tuo lavoro come niente e non sollevare problemi”.

L’ufficiale della Nerv se ne andò fremendo, e la dottoressa riprese l’operazione di collegamento interlineare X-23.


Una volta terminato il test di sincronia, i ragazzi erano usciti dalle capsule e ora camminavano nel corridoio che conduceva agli spogliatoi separati.

“Bah, dopo tutti questi test, ho proprio voglia di una bella dormita!”, dichiarò Asuka stiracchiandosi.

Shinji teneva il solito sguardo basso.

“Però prima dovremmo chiedere a Misato dove è stata ieri. Non siamo riusciti a rintracciarla in nessun modo. Vero, Shinji?”

Shinji non rispose, facendo sbuffare Asuka.

“E’ interessante”.

Asuka si fermò di colpo, e fermò anche Shinji che aveva continuato ad andare avanti.

Il Second Children si guardò intorno, poi dichiarò: “Ma allora sei stata proprio tu a parlare, First!”

“Certo”, rispose indifferente Rei.

“Incredibile. Il fatto è che ultimamente sei così silenziosa che dai l’impressione di non esistere più. Orbene, quale evento apocalittico ti ha spinto ad aprire bocca?”

“Non sei la prima persona che nota questo mio mutismo, comunque quello che ho visto adesso, rafforza la certezza che esiste un legame tra voi due”.

“Questa si è fumata il cervello. Di che stai parlando?”

“Del fatto che poco prima la dottoressa Akagi ha detto che il tasso di sincronia di Ikari è incredibilmente calato. Dunque tu sei tornata a essere la prima, una cosa alla quale dovresti tenere molto, data la tua reazione assai infastidita quando Ikari ti aveva superato. Invece adesso, anziché esultare, non hai detto nulla”.

“Le mie reazioni non sono affari tuoi! Andiamo, Shinji!”

Asuka afferrò Shinji e lo trascinò via.

“Guarda che Ikari deve andare nell’altra direzione, non con te”, le fece notare Rei.

Asuka, alquanto imbarazzata, spinse il suo coinquilino nello spogliatoio maschile, poi mostrò il pugno all’altra ragazza, per niente impressionata, ed entrò nel suo spogliatoio.

“Ah, l’umanità”, commentò freddamente Ayanami.

Cominciarono a risuonare gli allarmi.


“Angelo in avvicinamento!”

“E’ apparso come dal nulla!”

“E’ già sopra la città!”

Le voci degli operatori si mescolavano alle sirene d’allarme e alle altre voci che riferivano miriadi di dati tecnici sulle condizioni della città, sul nuovo angelo e sull’inutilità del fuoco aperto contro di lui dalla difesa di Neo-Tokyo 3.

Misato arrivò trafelata sulla torre, insieme a Ritsuko, mentre Gendo e Kozo erano sulla loro torretta che si sollevava lentamente dal pavimento.


Lo schermo principale proiettava ogni immagine del nuovo nemico: visto davanti, il corpo dell’angelo aveva una forma tozza e quasi rettangolare, era nero con parti bianche, c’erano due moncherini al posto delle gambe mentre le braccia sembravano essere state tagliate poco sotto le spalle.

Non aveva il collo, la faccia era come una maschera bianca con tre grossi spazi neri a fungere da occhi e bocca. Sul petto, la sfera rossa del nucleo.


“Dannazione. Non c’è tempo per far passare la città in modalità difensiva!”, constatò Misato.

Gli occhi dell’angelo s’illuminarono, proprio allora si udì una tenue esplosione e le strutture della base tremarono lievemente.

Makoto Hyuga guardò uno dei suoi monitor, con i dati riguardanti le condizioni delle barriere difensive che separavano il Geo-Front della superficie. “Ha distrutto diciotto delle ventidue lastre corazzate con un colpo solo?!”, commentò allibito.

“Non potremo affrontare questo nemico in superficie. Dovremo combattere qui nel Geo-Front. Dite a Shinji e Asuka di salire subito a bordo”, ordinò Misato.

“E lo 00?”, domandò Ritsuko.

“Non mi fido a mandarlo con un braccio solo contro quell’avversario!”


Ci vollero pochi minuti perché gli Evangelion e i loro piloti fossero pronti.

Ora lo 01 e lo 02 erano vicino al lago del Geo-Front, circondati da armi, alcune già impugnate, e osservavano il punto tra le strutture della volta da dove, secondo i Magi, il nemico avrebbe fatto irruzione.

Misato attivò il collegamento radio con i due piloti. “Asuka, mi raccomando”.

“Sta tranquilla, Misato. Devo rifarmi dalla volta precedente, dunque questa volta non posso assolutamente perdere!”, dichiarò spavalda la ragazza.

“Fai del tuo meglio anche tu, Shinji”.

Il ragazzo non rispose alla sua tutrice e rimase a testa bassa.


“Shinji?”

Misato si girò verso Maya. “Ma che gli succede?”

“Il suo tasso di sincronia sta oscillando. Si alza, si riduce, è troppo instabile, non riesco a definirlo”, rispose l’operatrice.

Misato si morse un labbro. “Non sarà che…”


Un’esplosione fortissima scosse l’intera base, e una nuvola di fuoco e fumo, accompagnata da una lunga croce di luce rovesciata, comparve tra le strutture poste sulla sommità del Geo-Front.

Dopo alcuni lunghissimi secondi d’irreale silenzio, l’angelo fece la sua comparsa, scendendo lentamente in verticale, come se avesse tutto il tempo del mondo.

Appena fu a portata di tiro, Asuka aprì il fuoco con il Pallet Gun, scatenando una pioggia di proiettili contro il nemico.

Shinji non fece nulla.

“Shinji, aprì il fuoco!”, gli ordinò Misato.

Nessuna reazione.

“Shinji!”, urlò il maggiore.

A quel punto Asuka fissò con la coda dell’occhio lo 01, allungò il braccio verso quest’ultimo e gli diede un colpetto sulla testa.

“Se mi aiuti, concederò un dito di gloria anche a te, signorino!”

Shinji sembrò risvegliarsi e aprì il fuoco contro l’angelo.


“Accidenti Shinji, ti prego, riprenditi”, mormorò Misato.

Si accorse di una cosa: Maya aveva lanciato un’occhiata a Ritsuko, che aveva annuito.

Poi, partendo da Maya, anche i tre operatori si scambiarono dei rapidi sguardi.

Digitarono alcuni comandi, quindi ripresero a riferire sull’andamento della battaglia.

“Cosa significa?”, sussurrò Misato più a se stessa che agli altri.

A quel punto Ritsuko le mise una mano sulla spalla e si portò l’indice destro davanti alla bocca.

“Sappi che mi sta venendo la voglia di prenderti a pugni anziché a schiaffi”, sibilò il maggiore per poi concentrarsi nuovamente sulla battaglia.


Il fuoco dei due Evangelion sembrava inutile, l’angelo incassava senza colpo ferire.

“Dannazione! Ma perché?! Eppure il suo At-Field dovrebbe essere stato neutralizzato!”, gridò Asuka.

Lei provò altre armi, mentre Shinji, terminato il suo caricatore, rimase inerte.


“Shinji, dannazione,!”, esclamò, più preoccupata che arrabbiata, Misato.

Maya si girò verso il suo superiore. “Dottoressa, venga a vedere, presto!”

L’urgenza nella voce della ragazza fece correre subito la scienziata alla sua postazione.

Visionò i dati sullo schermo: “Che significa questo?!”, esclamò stupita.


Quando Asuka ebbe terminato i colpi dei suoi lanciamissili, l’angelo attaccò: dalle sue spalle calarono una sorta di strisce metalliche, molto sottili, che poi improvvisamente scattarono verso gli Evangelion con una velocità eccezionale, mostrandosi anche incredibilmente lunghe.

Raggiunsero in un lampo lo 02 e gli amputarono di netto le braccia all’altezza delle spalle, facendo sprizzare due grossi getti di sangue violastro dall’Eva ferito.

Asuka si teneva le spalle, fremendo per il dolore e la rabbia.

Le braccia dell’angelo tornarono alla posizione iniziale.

“BASTARDO!!!”, gridò Asuka fuori di sé.

Fu sul punto di lanciarsi correndo contro il nemico, le braccia attaccarono nuovamente, ma la ragazza si accorse che stavolta non miravano a lei, bensì a…

“SHINJI!!”

L’Eva-01 continuava a restare fermo.

Lo 02 si lanciò allora contro di esso, lo spostò e fu colpito in pieno al posto suo: perse le gambe e cadde al suolo pesantemente, in mezzo ad una cascata del suo sangue.


Nella base risuonarono le urla di dolore di Asuka.

“Interrompete la connessione, presto!”, ordinò Misato.

E le grida cessarono di botto.


L’angelo aveva riposizionato le sue braccia.

Nello 01, Shinji lo guardava impietrito,

Poi osservò lo 02, fermo a terra, in un lago di sangue color viola sporco.

Guardò di nuovo l’angelo: era girato esattamente verso lo 01.

Shinji fu tentato di fuggire.

Ma qualcosa glielo impedì.

“Shinji”, gli giunse autoritaria la voce di Gendo, “sei rimasto solo tu. Abbatti l’obbiettivo”.

“Ma… ma io… non…”

L’angelo restò fermo a osservare il suo avversario.

Delle strane parole cominciarono a uscire dalla bocca di Shinji, strane perché gli davano l’impressione di stare seguendo un copione già recitato.

“Non… so… se… posso… farcela da solo”.

L’angelo continuava a non muoversi.

“Chissà… di cosa è… capace!”

“Shinji, reagisci!”, gli ordinò Misato.

Il ragazzo fu tentato di prendere una delle armi che aveva ai suoi piedi, di reagire…

Reagire, come quella volta.

“Io ho reagito… Mana! Mana!! MANAAA!!!”

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Capitolo 7
*** 7° Capitolo ***


 

Il grido di Shinji risuonò nella base, lasciando atterriti molti dei presenti.

Un istante dopo scattò una sirena d’allarme.

L’Eva-01 si accasciò al suolo come se fosse privo di vita.

“Lo 01?! E Shinji?! Insomma, che diavolo è successo?!”, esclamò Misato.

“Il tasso di sincronia…”, mormorò Ritsuko osservando i monitor. “Il suo tasso di sincronia è…”.

Misato la affiancò. “Si è azzerato?”

“No… è… è scomparso!”

Il maggiore restò interdetto. “E qual è la differenza?”

La risposta di Ritsuko fu rimandata dall’ordine di Gendo di attivare il Dummy System.

Gli operatori furono rapidissimi nell’eseguire quel comando, Misato non ebbe niente da ridire poiché l’avversario stavolta era un angelo a tutti gli effetti, però un secondo dopo altre sirene d’allarme echeggiarono nella sala.

“Gli impulsi refluiscono! L’Eva-01 rifiuta il segnale!”, gridò Maya.

Gli occhi dell'unità s’illuminarono per un breve istante, per poi tornare a spegnersi.

“Maledizione! Dovremmo ricorrere allo 00!”, sbottò Misato. “Ma senza un braccio…”


A quel punto l’angelo riprese a muoversi, passò affianco agli Evangelion ignorandoli completamente.

Le difese interne del Geo-Front aprirono un fuoco massiccio contro l’invasore, ottenendo però lo stesso risultato degli Eva.

In quel momento un gigante blu uscì da una delle piattaforme.


“L’Eva-00?!”, esclamò stupita Misato assistendo a tutto tramite lo schermo principale.

L’Evangelion, privo di un braccio, stringeva qualcosa con quello rimasto: una bomba N2!

Cominciò a correre contro l’angelo.

Ritsuko comprese: “Un’azione suicida!”

“Rei!!”, esclamò Gendo mostrando per una volta una vera agitazione.


Lo 00, con l’ordigno N2 tenuto in avanti, raggiunse l’angelo, che si voltò e attivò alla massima potenza il suo AT-Field, bloccando così il tentativo di Rei di fargli scoppiare addosso la bomba.

La ragazza non si diede per vinta. “AT-Field, sviluppo massimo!”, ordinò con decisione al suo Eva.

Lentamente la mano che reggeva la bomba riuscì a penetrare la barriera protettiva del nemico.

Tuttavia un secondo prima che la bomba raggiungesse il suo nucleo, l'angelo lo difese con una specie di membrana protettiva.

Rei fece appena in tempo ad accennare un’espressione sbigottita prima che tutto fosse avvolto da una luce accecante.


Il quartier generale tremò come se fosse stato colpito da un terremoto assai violento, quasi tutti i membri della Nerv dovettero appoggiarsi a qualcosa, mentre un fungo di fuoco e luce raggiunse la volta del Geo-Front.

Passati molti, interminabili minuti, la luce si esaurì, seguita a ruota dalle fiamme, lasciando solo un muro di fumo biancastro, che cominciò anch’esso a dissolversi lentamente.

Man mano s’iniziò a intravedere, in mezzo ad un deserto bruciato, una sagoma umanoide.

Misato si sporse in avanti, verso lo schermo, come per vedere meglio.

Una seconda sagoma, dalla forma non umana, apparve davanti alla prima.

“Oh no!”, mormorò il maggiore, un attimo prima che le braccia affilate dell’angelo fulminee colpissero la testa dell’Eva tagliandola verticalmente in due.

Lo 00 crollò a terra, una macchia di sangue rosso si allargò sotto la sua testa.

“Le condizioni di Rei?”, domandò con ansia Misato.

“E’ svenuta ma incolume”, rispose Makoto.

“Però adesso che facciamo? Non abbiamo più gli Evangelion…”, osservò smarrito Shigeru Aoba.

Un silenzio tombale cadde sull’intera sala.

“Fate intervenire l’Eva-03!”, ordinò perentorio Gendo.

Misato lo guardò perplessa. “Lo 03? Però Mana…”

Ritsuko non sembrò invece minimamente sorpresa, raggiunse un citofono interno e usò degli strani codici numerici che l’amica non conosceva.

Una nuova esplosione scosse da cima a fondo la base, i monitor della sala controllo sembrarono quasi sul punto di spegnersi.

“Sta attaccando il Central Dogma!”, riferì Aoba.

Misato non badò molto a quella notizia, era troppo presa dal chiedersi perché si voleva usare lo 03.


L’angelo lanciò altre due raffiche esplosive dagli occhi.

Esse colpirono il soffitto del Central Dogma, posto dietro la grande piramide del Geo-Front, e lo scoperchiarono completamente.

Ora davanti all’angelo si apriva l’enorme pozzo oscuro che conduceva al cuore del quartier generale della Nerv.

La creatura iniziò a scendere in quel buio, quando si bloccò e si girò verso un punto imprecisato, allungando leggermente le sue braccia che presero a fluttuare.

Sparò una nuova raffica esplosiva, che generò una tremenda esplosione sempre accompagnata da una croce di luce.

Solo che stavolta sembrava che l’angelo avesse attaccato il nulla.


Guardando l’immagine, Misato si ricordò che in quel punto c’era una delle rampe di uscite per gli Evangelion.

“Allora…”

“Limitati a osservare”, le disse Ritsuko con una strana sicurezza.


Dalle fiamme sbucò fuori una figura nera snella e velocissima.

Tracciando un arco nel cielo, quella figura atterrò proprio sull’angelo sbattendolo al suolo.

Era l’Eva-03!

Cominciò a bersagliare di pugni il nemico.

L’angelo ritrasse le sue braccia per poi farle scattare in avanti contro l’Eva, che le scansò saltando verso l’alto.

I movimenti di entrambi erano rapidissimi, talmente veloci che un occhio umano riusciva a scorgere solo qualcosa di guizzante.

Però ancora più incredibile era lo 03, il cui balzo fu talmente alto da fargli raggiungere i palazzi della volta, posti a centinaia di metri dal suolo.

La sua posizione tuttavia era ancora indicata dal cavo di alimentazione, quindi il pilota dell’Eva provvide a staccarlo facendolo precipitare al suolo.

L’angelo si rimise in piedi e lanciò una raffica dei suoi colpi esplosivi.

La volta del Geo-Front fu avvolta da una tempesta di fuoco e di croci rovesciate, i suoi palazzi caddero fragorosamente a terra, sollevando nuvole di polvere e detriti, e facendo tremare la base come se ci fosse un terremoto.

Il fracasso terminò prima che la polvere si fosse diradata e il nemico attendeva immobile circondato dai ruderi dei palazzi precipitati.

Improvvisamente scagliò un’altra scarica di colpi, unita a un attacco di entrambe le braccia, contro uno degli edifici che aveva davanti.

Il palazzo esplose, e lo 03, riuscendo a correre sopra le braccia distese dell’angelo, si scagliò contro quest’ultimo con un pugno che fu frenato dall’attivazione dell’At-Field: nell’aria si formò un muro composto di tanti ottaedri uno dentro l’altro.

L’Evangelion si poggiò con entrambe le braccia a quella parete di energia, tentando di forzarla e mettendosi faccia a faccia col nemico: per questo l’ennesima raffica dell’angelo fu in pratica sparata sul volto dello 03.

L’esplosione fu ancora più violenta delle altre, dalla parte opposta della deflagrazione sbucò l’Evangelion, sbalzato via da quella forza immensa.

Tuttavia il gigante nero, dopo aver percorso un centinaio di metri strisciando contro il suolo, mise una mano per terra e agilmente tramutò quel volo quasi radente in una serie di perfette capriole all’indietro, fino a quando la forza della spinta non si esaurì.

Alla fine atterrò in piedi, distanziato dall’angelo di almeno un chilometro.


“Unità Evangelion 03, due minuti allo scadere dell’autonomia interna!”, comunicò Shigeru.

Maya vide qualcosa di assai strano sul monitor che controllava la sincronia dell’Eva in campo. “Dottoressa, venga a vedere!”

Ritsuko osservò quei dati: solitamente la sincronizzazione era raffigurata dai sensori tramite due linee a spirale che si avvicinavano fino a coincidere del tutto.

Ora invece le due linee erano scomparse, sostituite da un unico tracciato dove le linee si confondevano fino a rendere impossibile distinguere le onde cerebrali del pilota da quelle dell’Eva.

“Il pilota… ha elevato volontariamente la sua sincronia fino a sfiorare la contaminazione…”, pensò la dottoressa.

Che spostò lo sguardo dal monitor all’Evangelion nero.

“…per controllare quella condizione!”


Lo 03 iniziò a contorcersi in preda a degli spasmi: la muscolatura si gonfiò, al punto che la corazza sembrò quasi esplodere, l’umanoide si mise a quattro zampe, spalancò la bocca rompendo la corazza facciale; nella bocca erano spuntate due fila di denti aguzzi.

Con un urlo bestiale, il gigante si lanciò correndo come un leone inferocito contro la preda.

L’angelo attaccò con una nuova raffica ottica, l’Eva evitò i colpi esplosivi muovendosi a zig zag, con tutt’intorno un fiorire di esplosioni cruciformi.

Fu allora il turno delle braccia dell’angelo, si scagliarono in avanti, lo 03 saltò verso l’alto, alzò le braccia unendo le mani e poi le abbassò con forza.

Impattò contro l’At-Field dell’invasore, che resse solo uno o due secondi, prima di frantumarsi come un vetro colpito da un sasso.

Le mani giunte dell’Eva terminarono la loro corsa sulla testa dell’angelo, facendolo quasi sprofondare dritto nel terreno.

L’Evangelion scagliò poi, in rapida successione, una serie di pugni distribuiti lungo tutta la parte superiore del nemico.

La loro forza e la loro velocità erano incredibili. Makoto Hyuga, appassionato di fumetti, davanti a quella vista andò con la memoria a uno dei fumetti che leggeva da bambino, e che narrava le avvenute di un micidiale esperto di arti marziali con delle cicatrici sul petto, che si muoveva in un mondo post-atomico.

Con l’ultimo pugno, l’angelo fu conficcato ancora più in profondità nel suolo.

Le mani dello 03 si erano del tutto spellate e sanguinavano molto.

Comunque il nemico della Nerv non si diede per vinto, provò a scagliare altre raffiche ottiche, l’Evangelion evitò di essere colpito mettendo un piede sulla faccia dell’angelo per spingerla di lato, così da impedirgli di prendere la mira.

L’enorme umanoide tentò di afferrare il nucleo dell’avversario, che subito lo ricoprì con una membrana protettiva.

L’Evangelion allora portò il braccio destro all’indietro, come per caricare un colpo, e sferrò un pugno che sfondò letteralmente la faccia dell’angelo, facendo sprizzare sangue rosso, e penetrò nel corpo del nemico.

Le braccia dell’angelo si agitarono come tentacoli, ripiegarono su se stesse e sull’Eva, inglobandolo in una sorta di ragnatela affilata e sempre in movimento, per farlo a pezzi.

Il gigante della Nerv evitava le lame guizzanti colpendole sopra e sotto con il braccio sinistro, in modo da modificarne la traiettoria.

Poi in mezzo a quell’ammucchiata di affilatissime strisce color acciaio sbucò una gamba nera tagliata all’altezza del ginocchio.

Da un moncherino sgorgò sangue rosso, quello dello 03, che un istante dopo tirò fuori con forza il braccio che aveva conficcato nell’angelo: nella mano stringeva una grande sfera rossa.

La lanciò in aria come se fosse un pallone, la intercettò con entrambi i pugni e la distrusse riducendola in migliaia di frammenti.

Le braccia dell’angelo si afflosciarono restando inerti.

E anche l’Eva rimase immobile, chinando lievemente il capo, mentre la sua muscolatura si sgonfiava.


Shigeru, come ipnotizzato da quello che aveva visto, ci mise alcuni lunghi secondi per riprendere le sue mansioni. “U-unità Eva-03… autonomia terminata!”.

Anche Misato ci mise un po’ per staccare gli occhi dallo schermo principale, come pure buona parte dei presenti.

A risvegliarli furono le parole soddisfatte di Gendo: “Ci ha messo più tempo di quanto ci avrebbe messo l’Eva-01. Ciò nonostante è stata lo stesso un’ottima prestazione!”

Misato lo guardò con occhi interrogativi, mentre Ritsuko ordinava di iniziare il recupero dei piloti, dando la priorità a quello dello 03.

“Un momento!”, s’impuntò Misato. “Chi c’era a bordo dello 03? Non certo Mana, nessuno dei nostri piloti avrebbe potuto fare cose del genere! Quello era uno stato di berserk controllato dal pilota!”

“Misato…”, esordì Ritsuko come se fosse un rimprovero.

“Va bene. Fatele assistere al recupero di quell’unità”, ordinò allora Gendo.

Ritsuko apparve sorpresa, ma obbedì.


Poco dopo, le due donne assistettero al rientro dell’unità in una delle gabbie.

Misato e Ritsuko si trovavano sole su un’altra pedana, vicina a quella dove si sarebbe posata la capsula dell’Eva-03 e separata da uno spazio vuoto.

La curiosità, l’ansia di sapere chi fosse quello straordinario pilota avevano convinto Misato ad andare da Shinji, Asuka e Rei solo dopo aver saputo.

Curiosità e ansia aumentarono quando l’Entry Plug venne estratto dall’unità, e raggiunsero picchi elevati quando la capsula fu adagiata sulla sua pedana e subito quest’ultima fu occupata da un nugolo di soldati armati fino ai denti.

Il portello si aprì, decine di armi furono puntate.

Il maggiore impallidì quando il pilota uscì dalla capsula.

“M… Maaya?!”

La sua amica indossava uno strano Plug Suit, verde e grigio, forse uno dei primi modelli.

La ragazza la vide: “Yo!”, esordì con un simpatico sorriso, mentre un soldato, con movimenti ponderatissimi, le metteva alle mani delle manette enormi.

“Maaya… ma come… come hai fatto a…”

La giovane scosse la testa. “Non chiamarmi con quel nome. Non ha più senso ormai. Il mio nome è Mari Illustrious

Makinami”, dichiarò con una certa enfasi.

Non si poterono dire nient’altro perché i soldati la spinsero via.

Misato li seguì con lo sguardo finché non scomparvero in un grosso ascensore.

La donna strinse con forza il pugno del braccio sano, poi corse dagli altri piloti senza salutare Ritsuko.

 

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Capitolo 8
*** 8° Capitolo ***


8° CAPITOLO

Lo spettacolo era ormai arrivato a metà della storia, e il principe Lamperouge notò che la sua celebre ospite si era molto accigliata.

Quella vista lo spinse a un lieve cenno di assenso. “E’ sorprendente come lui non abbia ancora capito le sue azioni, vero?”, disse riferendosi ai personaggi dello spettacolo.

L’ospite si accigliò ulteriormente, mentre il principe percepì qualcuno alle sue spalle: era una maschera.

“Mi scusi, altezza. Una persona chiede urgentemente di lei”.

“Chiedo scusa, Milady. Le garantisco che tornerò subito”, promise Lamperouge lasciando il palchetto, ma l’ospite quasi non gli badò, presa com’era dal guardare lo spettacolo.

Nel corridoio antistante al palchetto c’era ad attenderlo una ragazza, con lunghi capelli biondo scuro raccolti in due code laterali.

La ragazza gli fece un profondo inchino.

“Che succede, Asmodeus?”, esordì lui.

“Un possibile contrattempo, altezza. La sorellona è stata catturata, ed è costretta a lavorare per loro”.

Lamperouge si massaggiò gli occhi. “Mi hai disturbato inutilmente. Sono cose che già so. Io so sempre tutto ciò che m’interessa. E già so che il suo comportamento non può lasciarmi indifferente”.

La ragazza lo fissò perplessa, poi sembrò capire e si buttò faccia a terra. “Perdono! Perdono!”, supplicò. “E’ tutta colpa di Lucifer! E delle altre! Non mi hanno avvertito su cosa stavate facendo!”

“Non importa. Comunque, per non rendere inutile questo tuo intervento, dì alle tue sorelle di andare avanti come previsto e tu sorveglia il triplo giochista, in attesa dei miei ordini”.

Asmodeus ardì sollevare la testa. “E se le dovessero fare domande?”

“Non dirà nulla. Oppure mentirà. Lui ovviamente non le crederà, ma le carte vincenti sono tutte in mano nostra. Crede di condurre il gioco ma si sta sbagliando, è una persona troppo prevedibile. Come tutti i normali, del resto”.

“Hihihihihi! Si sbaglia eccome”, sibilò la ragazza mentre il principe tornava sul palchetto.

****

“E con questo il mio rapporto è terminato”.

La voce di Gendo Ikari, seduto davanti ad un lungo tavolo, risuonò ampiamente nella sala dove erano presenti gli ologrammi dei membri della commissione per il perfezionamento dell’uomo.

I cinque uomini, seduti intorno al medesimo tavolo, si guardarono, poi si volsero verso il loro capo, l’anziano Keel Lorenz.

“I danni subiti in quest’occasione sono stati davvero ingenti”, esordì l’uomo, i cui occhi erano sempre coperti da un visore.

“Ben tre Evangelion danneggiati gravemente. Se sommiamo le spese attuali con quelle passate, abbiamo speso quanto basta per portare alla bancarotta un continente”, aggiunse il membro francese.

“Per non parlare dei danni subiti dal Geo-Front e dal quartier generale, e l’esposizione del Central Dogma”, continuò l’americano.

“Per fortuna i piloti che hai messo insieme hanno imparato il gioco di squadra. La loro azione a quattro contro il 14° Angelo è stata davvero brillante”, ammise il russo.

“Ma siamo sicuri che il Fourth Children sia affidabile?”, obbiettò l’inglese. “La sua mente è comunque entrata in contatto con quella di un angelo”.

“Come vi ho già illustrato, la mente del Fourth Children presenta una situazione delicata. Si è ripresa piuttosto bene dall’invasione dell’angelo, però deve essere evitato il più possibile ogni stress. Per questo non ho voluto che fosse interrogata da voi. Nell’ultima battaglia l’abbiamo fatta intervenire solo perché le cose si erano messe assai male”, spiegò Gendo.

“Comunque”, riprese Lorenz, “l’importante è che l’invasione del Central Dogma sia stata evitata e l’angelo sconfitto. I tuoi servizi sono molto dispendiosi, Ikari, ma almeno rendono”.

“Grazie del complimento”, rispose Gendo con un mezzo sorriso.

“Ad ogni modo bisogna terminare al più presto il nostro progetto. L’ultimo angelo è arrivato veramente molto vicino alla nostra distruzione, quindi il prossimo potrebbe essere fatale. Bisogna far bene e presto, Ikari. Non deluderci!”, terminò l’anziano uomo scomparendo in simultanea insieme ai suoi colleghi.

Rimasto solo, Gendo uscì dalla sala e raggiunse il suo ufficio, dove lo attendeva Kozo Fuyutsuki, come sempre in piedi e intento a osservare dalla grande finestra i lavori di riparazione del Geo-Front.

“Com’è andata?”

“Magnificamente. Non hanno sospettato nulla”, rispose Gendo sedendosi davanti alla sua scrivania.

“Stai giocando col fuoco”, lo ammonì Kozo. “Qui è diverso dall’invasione dell’11° Angelo. Lì ci siamo limitati a coprire un singolo evento, e loro ce l’hanno fatta passare liscia perché il nemico era stato comunque sconfitto senza che il quartier generale subisse il minimo danno. Adesso invece stiamo mentendo spudoratamente su più cose, alteriamo enormemente i fatti e nascondiamo loro informazioni che possono avere una rilevanza unica sull’andamento del progetto. Se ci scoprissero, finiremmo in meno di un istante davanti a un plotone di esecuzione, e dopo non ci concederebbero neanche una tomba”.

“Conto sul fattore imprevedibilità”, ribatté il comandante. “Non potrebbero mai concepire che nascondiamo loro fatti così gravi. Né loro possono immaginare eventi imprevisti di tale portata. Quei vecchi sono talmente fissati col loro copione, a tal punto convinti che la storia sia già stata scritta sin nei dettagli, che ingannarli si sta rivelando facilissimo. Li abbiamo in pugno.

A proposito, ricordami di fare i complimenti alla dottoressa Akagi e alla sua assistente Ibuki. La loro ricostruzione della battaglia nel Geo-Front è stata realistica, drammatica ed epica al punto giusto, e la computer grafica eccellente, come per la registrazione del combattimento contro il 13° Angelo”.

Il vice-comandante lo squadrò. “Pensi davvero di poterti fidare di quella Makinami?”

“E’ sotto controllo, non preoccuparti. Inoltre se tutto va bene, tra poco non sarà più un’incognita”.

“E cosa intendi fare con i genitori di Kirishima Mana?”

“Ho provveduto a farli informare con le stesse cose dette ai vecchi della commissione. Non hanno motivo di non crederci”.

“Tutto sotto controllo, eh? Allora lascia che ti chieda un’ultima cosa: il Third Children intende andarsene. Tu non vuoi fermarlo?”

“Quel ragazzo può fare quello che vuole”.

“Quel ragazzo ha perso il suo tasso di sincronia. Se poi decidesse di restare, cosa ne faremmo?”

“Questo dipende da lei”, finì Gendo tirando fuori un documento e iniziando a leggerlo.

Il messaggio era chiaro: adesso ho altre faccende di cui occuparmi.

Perciò Kozo riprese a guardare fuori dalla finestra.


“Hai proprio deciso?”

Shinji, con uno zaino sulle spalle e una valigia in mano, distolse lo sguardo davanti all’espressione supplichevole di Misato.

“Sì, Signorina Misato. Ora che ho anche perso il mio tasso di sincronia con lo 01, non ho più motivo di restare qui”.

“Ma non sappiamo ancora cosa è successo. Forse puoi riacquistarlo. Lasciamo fare a… Ritsuko”.

Misato pronunciò l’ultimo nome come se sputasse fuori qualcosa di molto amaro.

“Ormai ho deciso. Non voglio più stare qui. Addio, signorina Misato”, disse Shinji aprendo la porta e uscendo.

“Shinji!”, lo richiamò il maggiore, che fece per mettergli una mano sulla spalla.

“Non mi tocchi!”, chiese, anzi, comandò il ragazzo, lasciando ammutolita la sua tutrice.

“Saluti gli altri da parte mia”, concluse prima che la porta si chiudesse dietro di lui.

Rimasta sola, Misato andò nella camera di Asuka.

Stava per bussare, ma l’altra la prevenne. “Ho sentito che quell’idiota se n’è andato! E non me ne frega niente! Va a ubriacarti e lasciami in pace!”.

La donna allora si recò nella stanza di Shinji, trovandola svuotata.

Il ragazzo non aveva neppure rifatto il suo letto.

Dopo aver contemplato per diverso tempo la stanza vuota, rassegnata si cambiò e uscì di casa per recarsi alla base.


Shinji camminava sotto il sole cocente, era sudato ma non se ne curava.

Aveva anche rifiutato di essere accompagnato in auto.

Comunque non era troppo lontano dalla stazione, che già cominciava a intravedersi.

Sussultò al rumore di un clacson e prima che potesse girarsi, fu affiancato da una macchina sportiva.

“Signor Kaji!”

“Ciao, Shinji. E’ una vita che non ci si vede”, lo salutò l’uomo.

“Infatti. Comunque io adesso andrei di fretta…”

“Sono stato informato da Misato, e so anche che il tuo treno arriva tra solo un’ora. Che ne dici di fare una chiacchierata?”

“Mi scusi, ma non ho proprio voglia di stare in auto”.

“E chi ha detto che dobbiamo stare in auto? Lì c’è una piazzola”. Kaji indicò con la mano un punto panoramico.

“Non ho neppure voglia di parlare”, aggiunse Shinji.

“Fai come vuoi. Io vado a parcheggiare”.

Kaji piazzò la sua macchina nell’area di sosta, scese e si appoggiò alla portiera accendendosi una sigaretta.


Asuka stava sdraiata sul suo letto.

Le finestre erano chiuse, il pavimento disseminato di oggetti.

“Sono stata sconfitta… Sono stata sconfitta…. Sono stata sconfitta…”, mormorava a testa bassa la ragazza.

Con uno scatto si mise a sedere, come se attendesse chissà cosa.

Poi scese dal letto, afferrò la sua cartella e cominciò a sbatterla con forza crescente contro la parete.

“Sono stata sconfitta! Io! Non una, non due, ma tre volte!!! Sconfitta da degli angeli schifosi e da mocciosi di merda!!!”

A furia di colpire, ruppe la cartella, allora la scagliò per terra e uscì furente dalla sua stanza, andando in quella di Shinji.

“E’ tutta colpa tua! Lurido schifoso! Maniaco! Egoista! Inaffidabile!”, gridò tirando via le lenzuola di quel letto sfatto e rovesciando il materasso.


Kaji aspirò un tiro della sigaretta.

“Peccato che tu sia minorenne, te ne offrirei una”, disse a Shinji, seduto affianco a lui sul parafango.

“Se lo risparmi. Non la accetterei neppure se fossi maggiorenne”. Shinji guardò l’orologio. “E si sbrighi a farmi il solito discorsetto. Mancano cinquanta minuti all’arrivo del mio treno, ma il tempo passa velocemente”.

Kaji lo guardò un po’ sorpreso, poi riprese subito la sua sicurezza. “Non c’è molto da dire. Solo una domanda: perché te ne vuoi andare?”

“Ho perso la sincronia con l’Eva. Quindi non sono più utile”.

“Francamente, mi sembra più una scusa che hai scelto per giustificarti davanti agli altri. Ciò che è stato perso, può essere ritrovato, specialmente con l’aiuto di uno staff come quello di Ritsuko”.

“Posso risparmiare loro il lavoro. Ritengo che anche senza di me non cambierebbe nulla. Anzi, starebbero pure meglio”.

“Non dire così, Shinji. Dovresti avere più fiducia in te stesso”.

Shinji abbassò il capo.

“Finora hai compiuto diverse imprese, che dimostrano come tu sappia essere coraggioso”, continuò Kaji.

L’altro tentò di zittirlo, ma dalla bocca gli uscì qualche mugugno incomprensibile.

“Per salvare Ayanami, sei salito sullo 01 senza neppure sapere cosa fosse un evangelion”.

Una mano di Shinji fremette.

“Hai affrontato il 4° Angelo con la riserva energetica sul punto di scadere”.

Stavolta il fremito arrivò alle spalle.

“E sei riuscito a salvare ancora Ayanami e anche tutto il mondo quando hai sconfitto il 5° Angelo”.

Il fremito si ripeté più forte.

“Se non fosse stato per te, Asuka sarebbe morta sul fondo di quel vulcano”.

Il corpo di Shinji sussultò.

“E nelle battaglie successive il tuo apporto è stato fondamentale. Senza contare che contro l’Eva…”

“LA SMETTA!!!!”, strillò Shinji afferrando Kaji per il bavero della camicia con entrambe le mani.

“La smetta con queste cazzate! Io non sono un eroe! Perché cercate di convincermi del contrario!? Io sono solo uno sporco egoista! Salvare la mia vita è l’unica cosa che m’importa veramente! La smetta di dire che ho aiutato gli altri!”

Kaji non sembrò impressionato da quella reazione. “Se davvero avessi agito per egocentrismo, non saresti mai più salito sull’Eva dopo il combattimento col 3° Angelo, e la tua occasione per andartene l’hai già avuta, mi pare.”

La stretta di Shinji si fece più forte.

“Le motivazioni degli uomini non sono mai pure, Shinji. Ogni uomo è complesso, cosi come sono complesse le sue azioni. Comunque contro l’Eva-04…”

Shinji lanciò un urlo di rabbia e disperazione, e diede a Kaji un pugno sulla guancia.

Con quel pugno, il giovane sembrò restare come pietrificato mentre l’altro, con la testa leggermente girata di lato, lo guardò impassibile.

“Avevo visto giusto”, commentò l’uomo osservando Shinji che si lasciava cadere a terra, del tutto privo di energie.


“Stronzo! Ecco cosa si merita una merda come te!”, esclamò Asuka con perfida soddisfazione uscendo dalla stanza di Shinji.

La ragazza andò in cucina e cominciò ad armeggiare con il cibo e le padelle.

“Io non ho bisogno di niente e nessuno! Sono la grande Asuka Soryu Langley, la migliore in circolazione! So badare a me stessa, da sempre! Anche adesso, chi se ne frega se non so cucinare! Io imparo tutto! Ti ho osservato tante di quelle volte, merdoso di uno Shinji, e ho imparato a cucinare mille volte meglio di te! Adesso mi preparo un pranzetto con i fiocchi. E tu, che te ne sei andato, non lo assaggerai mai e poi mai! Peggio per te, avrebbe reso la tua vita almeno un po’ meno schifosa!”


Shinji aveva preso a singhiozzare sotto gli occhi sempre impassibili di Kaji.

L’uomo della Nerv gli mise le mani sulle spalle. “Perché, Shinji? Cosa ti è accaduto quella volta?”

Trascorse diverso tempo, come se non volesse rispondere.

Poi, dando l’impressione di doversi cavare con la forza le parole di bocca, sussurrò: “Per… quello che… ho… fatto…”

“Per quello che hai fatto? Tu hai fatto quello che dovevi, hai combattuto contro l’angelo, non è stata colpa tua quello che è successo dopo. Lo 01 era guidato dal Dummy Plug, non lo controllavi. Almeno hai fatto tutto il possibile”.

“Non è vero!”

Shinji alzò la testa, i suoi occhi grondavano di lacrime e disperazione.

“Non è vero… perché io… me ne fregavo di Kirishima in quel momento! Pensavo solo a me stesso! Non a lei! Non… Non volevo pensare a lei!”

Kaji spense la sigaretta e la buttò via.

“Che Dio mi perdoni… perdoni una persona orribile come me… Non ero mai arrivato ad una cosa del genere… Neppure nei confronti di mio padre… Solo quando ho visto l’orrore compiuto dallo 01… solo allora ho capito che stavo compiendo un orrore ancora più grande… e se non fosse stato per quella misteriosa persona… ora sarei un assassino!”

“Perché non volevi pensare a lei?”

“Per vendetta...”

“Vendetta?”

“Si… lei ha rifiutato di farmi… un favore che le avevo chiesto e a cui tenevo molto”.

Kaji rimuginò un po’. “Prima o poi, tutti cadiamo, Shinji. Ora hai scoperto quanto basso possono cadere gli esseri umani. Hai sbagliato, ed è proprio sbagliando che s’impara a non cadere più. Inoltre è proprio in questo momento che devi pensare agli altri”.

“Quali altri?”

“Quelli che ti vogliono bene”.

Shinji scosse la testa. “Chi può volere bene a una persona sporca come me?”

“Lo sai che ci sono. Loro tengono a te, e ti aiuteranno. Allo stesso modo le aiuterai tu. La vita è così, è fatta di relazioni tra tutti noi, che non siamo fatti per la solitudine”.

“Io lo so a chi si riferisce. Alla signorina Misato, a Toji, Kensuke, Ayanami… Sì, loro mi vogliono bene. Ma non possono aver bisogno di me. Sono persone in gamba, una nullità come il sottoscritto non potrebbe fare nulla per loro”.

“Non stai dimenticando qualcuno?”

Shinji lo guardò negli occhi. “Intende dire… no, è impossibile. Lei è l’ultima persona al mondo che può avere bisogno di me!”

“Perché lo ritieni impossibile? Da cosa lo deduci?”

“Lo so perché… perché sì”.

Kaji fece alzare il ragazzo e gli prestò un fazzoletto per le lacrime. “Nessuno ti costringe. Io ti consiglio solo di fare un tentativo per capire se è davvero così. Se avrai una sola prova del contrario, allora non avrai scusanti per la tua fuga, salvo che tu non voglia restare per sempre una persona sporca”.

Kaji risalì sulla sua macchina e andò via.


La sera era ormai calata, l’appartamento di Misato era silenzioso.

Fino a quando Shinji non rientrò, con un passo lento, come se rimuginasse a ogni movimento.

“E va bene, signor Kaji, tentiamo”, disse tra sé e sé sospirando.

Entrò nella sua camera, trovando il letto rifatto.

“Strano, stamattina l’ho lasciato così com’era. Sarà stata la signorina Misato?”

Avendo sete, andò in cucina, e grande fu la sua sorpresa quando vide che la tavola era apparecchiata per una persona.

Un grosso piatto, con un coperchio sopra, era stato messo al posto dove Shinji era solito sedersi.

“La mia… cena?!”

Sollevò il coperchio: i cibi nel piatto erano in parte giapponesi, ed erano i suoi preferiti, e in parte erano wurstel con verdure fritte.

“Wurstel?!”

Fu preso da un sospetto, che ritenne assurdo ma comunque lo spinse a correre nella camera di Asuka, bussò lievemente, non ricevette risposta e allora aprì lievemente la porta.

La sua coinquilina dormiva rannicchiata sul letto, e sulle mani aveva qualcosa che Shinji avrebbe riconosciuto tra mille cose diverse, perché a lui, quando muoveva i primi passi in cucina, era successo diverse volte: sulle dita di Asuka c’erano tanti cerotti.

Quella vista lo lasciò impietrito.


Quando una piccola sveglia suonò la mezzanotte, Kaji compose un numero di cellulare.

Dopo qualche attimo di attesa, dall’altra parte una persona rispose.

“Misato Katsuragi”.

“Ciao Katsuragi, sono io”.

“Kaji? Perché mi chiami a quest’ora? Che è successo?”

“Non è successo niente a casa tua che ti faccia immaginare il perché?”

La risposta di Misato giunse accompagnata dalla sorpresa. “Allora è stata opera tua? Io ancora mi stavo chiedendo come mai Shinji era ritornato, non ho osato disturbarlo perché tornando dalla base, l’ho trovato che dormiva come un ghiro”.

“Gli ho solo dato una spinta nella giusta direzione”, rispose con spavalderia Kaji, che raccontò il suo incontro con Shinji.

“Dunque le cose stanno così”, commentò il maggiore della Nerv.

“Sì. Per questo quel ragazzo ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino. Devi aiutarli, Misato. Sei l’unica vera alleata dei Children alla Nerv”.

“Non ci sei anche tu?”

Rioji Kaji guardò il suo cellulare come se volesse spegnerlo, però si fece forza. “Sì, Misato, ma per il mio futuro non c’è certezza. Posso solo prometterti che farò di tutto per tornare”.

“Che significa?”, domandò l’altra con un’ansia quasi palpabile. “Dove devi andare?”

“Meno cose sai di questa faccenda, meglio è. Ascolta, lo so che sei sorvegliata, hai peccato d’ingenuità. Per questo ti sto chiamando su una linea criptata. Ti manderò un messaggio sul cellulare con un codice che ti permetterà di entrare nei Magi senza che Ritsuko o qualcun altro se ne accorga. Da lì scoprirai quello che t’interessa sapere, è il mio ultimo regalo, sappilo sfruttare. Se poi… se poi ci dovessimo incontrare ancora, ti dirò le cose che non sono riuscito a dirti otto anni fa. Ciao”.

Kaji chiuse il contatto bruscamente.

Non era da lui chiudere il telefono in faccia alle persone, specie alle belle donne.

Però più sentiva la voce di Misato, più gli veniva la voglia di mandare al diavolo l’ultima missione per correre da lei e costruire una vita insieme.

Non poteva farlo.

Tirò fuori un foglietto con sopra il nome di una località.

“Va bene, minaccia sconosciuta. Cominciamo a giocare”.

Continua…

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