Rejected

di Arashinoharuka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo? ***
Capitolo 2: *** Ichi ***
Capitolo 3: *** Ni ***



Capitolo 1
*** Prologo? ***


"Se vuoi un'immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano — per sempre."
{George Orwell, 1984}

**

Ciaf, ciaf.

Raggiungere onii-san*, raggiungere onii-san, raggiungere onii-san, raggiungere onii-san..

Tra il mantra ripetuto mentalmente più e più volte per darsi speranza e il terrore spaventoso di cui era preda, l'azione abitudinaria di mettere velocemente un piede davanti all'altro stava cominciando a togliargli il fiato.

Un senso di nausea, dovuto al fastidio di doversi scostare i capelli dagli occhi mediamente ogni tre secondi e all'opprimente mancanza di ossigeno nella fumosa aria industriale delle stradine secondarie del distretto sud di Tokyo, s'intromise tra i suoi pensieri, interrompendo il mantra. L'acqua delle pozzanghere gli si era infilata nelle sottili scarpe da basket e il freddo pungente gli stava congelando le ossa. Ma la sua giacca rimaneva aperta. I suoi capelli continuavano a svolazzare. E lui avrebbe continuato a correre, nonostante sapesse che non aveva una singola possibilità contro la cosa che si affrettava dietro di lui con un lieve rumore metallico.

Ora: Isamu Yogoshaki**, quattordici anni, un metro e sessantadue d'altezza, cinquantasei chilogrammi di peso, giapponese. Questa è l'inutile vagonata di informazioni che accompagna il mio – vostro, nostro, come preferite – protagonista. È uno di quei ragazzini in divisa scolastica che si autopresenterebbe mentalmente nelle prime pagine dei manga, e che poi scoprirebbe di avere i superpoteri se s'infila i guanti oppure che s'innamora del/la primo/a che incrocia per strada. Per sua sfortuna, però, in questo momento la sua storia è un po' diversa. Innanzitutto, indossa vestiti sgualciti e alla buona. La Tokyo in cui vive è appena uscita perdente dal terzo conflitto mondiale, è divisa in tre distretti principali separati da mura di cemento armato ed è governata da un'oligarchia di capi industriali che crede troppo nella genetica artificiale. I suoi monumenti, i suoi grattacieli, persino i tronchi dei ciliegi sono neri, e il cielo è perennemente coperto da un'indistinguibile massa di nubi plumbee.  Chi si ribella alla situazione corrente viene inserito nei database di stato come criminale, e può venire sterminato a piacimento dai nuovi aiutanti meccanici dell'uomo, la cui pigrizia ha finalmente trionfato. In termini gergali, sono robot-mostri. Ansatsusha. Assassini.
La cosa da cui il protagonista sfigato sta scappando è uno di questi.

Raggiungere onii-san, raggiungere onii-san, raggiungere onii-san, raggiungere onii-san..
La preghiera mentale e la corsa di Isamu furono interrotte da un gelido dispositivo meccanico simile ad una mano che gli si posò pesantemente sul collo. Non gli servì nemmeno roteare disperatamente gli occhi di lato per scorgere l'ansatsusha che l'aveva fermato: ne conosceva l'aspetto perfettamente. Lo sporco reticolo che fungeva da bocca all'androide gracchiò: “Obiettivo raggiunto. Eliminazione obiettivo imminente.”, e il secondo braccio si tramutò con un'inquietante sibilo vibrante in un fucile che fu piantato tra le scapole del ragazzo paralizzato.

Prima che potesse fare un'ultimo respiro saturo di anidride carbonica, prima che potesse sperare che onii-san si salvasse, prima ancora che potesse avere il più infinitesimale istinto di tentare di ribellarsi, una lacrima rotolò goffamente sulla guancia di Isamu.

E il rumore secco di uno sparo eccheggiò tra i condomìni in disuso.

Poi, Isamu inspirò dell'aria con un suono strozzato, brillantemente realizzando che nessun proiettile l'aveva ancora colpito.


**

Il primo capitolo effettivo seguirà a breve insieme a delle NdA sensate ;u; spero che fin'ora la storia non abbia avuto alcun senso, ma mi piacerebbe comunque sentire i vostri commenti disgustati. ^^ {l'unica cosa che qui non ha senso è il mio cervello.}
* onii-san: modo giapponese per chiamare il fratello maggiore.
** Isamu Yogoshaki: il nome significa 'coraggio', mente i kanji usati per il cognome sono quelli di 'salvatore' e 'albero'.
Sayonara.
-Amethystandblood

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Capitolo 2
*** Ichi ***


Qualcuno, per favore, mi faccia essere d'aiuto. Qualcuno, per favore, mi capisca.
{Monochrome Ruler - Vanan'ice}


**

Distretto sud, zona periferica industriale

Il sistema del robot andò immediatamente in cortocircuito, e l'essere crollò a terra con un clangore di ferraglia ormai inutilizzabile. Nei secondi che seguirono, l'unico suono udibile fu il ronzìo delle componenti elettriche dell'androide che liberavano energia, finché un singhiozzo strozzato non uscì dalla gola del ragazzo che aveva di fronte questo macabro spettacolo.

Nella penombra fumosa della notte giapponese, un giovane uomo vestito di pelle nera stava in piedi con la pistola ancora puntata verso il pericolo che aveva appena eliminato, l'indice ancora premuto sul grilletto e una vaga aura di fumo di sigaretta davanti al viso.

Isamu gli si avvinghiò addosso singhiozzando prima ancora che questi potesse mettere via l'arma.

“Ha-Ha-Hayato-nii-san*!”

La sua voce suonava come quella di un bambino, o di una ragazza. Il giovane uomo appoggiò distrattamente la mano libera sui capelli castano-arancio del fratello e reinfoderò la pistola, sbuffando fumo e gettando il mozzicone finito.

“Isamu.” Pausa. Nessuna reazione.

“Isamu, calmati.” Sob, sob.

“Calmati. Quante volte te lo devo dire.” Le sue mani grandi e abituate a reggere armi mortali scostarono gentilmente il ragazzo, che alzò verso di lui gli occhi ancora pieni di lacrime. Gli occhi verde chiaro erano l'unica cosa che i due fratelli avevano in comune, e nonostante questa somiglianza, quelli del maggiore erano freddi e distaccati: si fissavano in quelli del fratello con rimprovero, mai affetto, né un cenno d'approvazione.

Hayato chiuse frettolosamente la giacca di Isamu, borbottando qualcosa riguardo alla temperatura, e gli alzò il cappuccio circondato da un misero pelame sintetico. Poi sospirò di nuovo, e, accendendosi un'altra sigaretta, aggiunse: “E smettila di comportarti come un bambino.”

Isamu deglutì a fatica. Mentre il fratello già si voltava, incapace di trattenere una conversazione per troppo a lungo, raccolse tutto il coraggio rimasto che aveva e protestò debolmente: “E tu, perché non la smetti di trattarmi come se per te fossi un peso?”.

Con uno svolazzare di ciocche nere e lembi del suo cappotto di pelle, Hayato si voltò nuovamente. “Se tu la smettessi di fare stronzate, io la smetterei di trattarti come se fossi un peso, non credi?”, rispose con veemenza, stritolando la sigaretta tra i denti.

“I—io?!”, gli fece eco Isamu, sentendosi punto sul vivo, le lacrime improvvisamente dimenticate. Sapeva, in realtà, che separarsi dal fratello e finire per farsi quasi ammazzare poteva essere ampiamente etichettato come 'stronzata'. “Sto solamente cercando di scendere a patti con il tuo modo di vivere assurdo, che cazzo!”

“Il mio modo di vivere assurdo? Isamu, non so se te ne sei reso conto, ma siamo dei bersagli per quei mostri! Quelle..cose..fatte di metallo, che vengono trattate come esseri umani più di noi, che siamo solo carne da macello! La società ci ha esclusi, ci ha rigettati, come se fossimo dei virus in una ferita! Se il governo fosse migliore, se il mondo fosse migliore, sai che non farei tutto quello che faccio ora”, ribatté il maggiore.

Aveva appena toccato il tasto più delicato e lo sapeva. La situazione socio-politica giapponese del dopoguerra era qualcosa riguardo cui litigava spesso con Isamu. Per lui, fare parte di quel gruppo di criminali che venivano chiamati i Reietti aveva un significato radicato profondamente nel suo animo: la violenza psicologica, le scelte politiche obbligate, la dignità di essere umano ridotta al minimo, l'ignoranza lasciata dilagare come un nettare prezioso, la non liberà di espressione, stampa, parola, perfino pensiero erano i dogmi fondamentali del governo che Hayato opponeva con tutte le sue forze.

Per il minore, fare parte dei Reietti significava principalmente evitare la morte. Era soltanto egoista come qualsiasi ragazzo della sua età.

“Riporti sempre indietro quell'argomento!”, osservò infatti Isamu, sempre più infastidito. “Perché invece non provi a metterti nei miei panni? Perché non provi a carpirmi? Ti rifiuti di dare a me la libertà che tu pretendi dal governo!”

Hayato si accorse di aver abbassato le prorpie difese troppo tardi: le parole lo colpirono, penetrando lentamente. Ci mise qualche secondo ad assorbirle completamente, a rielaborarle, e ad annaspare per una risposta abbastanza pungente. Non la trovò.

La sua mano volò alla grossa cintura a cui teneva appesi proiettili e la fondina della pistola più maneggevole che aveva.

“Oh.”

Sfilò quest'ultima lentamente, inserì il primo colpo in canna e mise la sicura.

“Quindi tu pensi davvero che riusciresti a sopravvivere..”

Allungò l'arma verso il fratello, tenendola al contrario e sfoderando lo sguardo più penetrante che gli riuscì di trovare.

“..Anche se fossi da solo.”

**

Laboratori centrali di Shinjuku**, sezione α

“Pain-chan***?”

La voce dell'uomo in camice bianco rieccheggiò inutilmente nella stanza vuota.

“Pain-chan!”

Non ci sono, non ci sono, non sono qui, non fatemi fare quelle cose brutte di nuovo, io non ci sono, non sono qui..

Una ciocca di capelli grigio-blu ricadde sul viso della ragazzina mentre questa faceva di tutto per stringersi il più possibile nell'angusto spazio sotto la mensola che le faceva da comodino. Il suo viso era quello di una bambina che fa i capricci perché vuole vedere la televisione, imbronciato e corrucciato.

Cercami da un'altra parte, non ci sono, non sono qui, voglio esser da un'altra parte..

“Pain-chan, avanti, vieni fuori. Ti si sente fare il broncio fin da qui.”

La ragazzina, per tutta risposta, tirò indietro i piedi che di certo il ricercatore aveva visto spuntare anche dall'altra parte della stanza.

“Pain-chan..”

Alcuni passi. Ormai non aveva molte possibilità. E le era improvvisamente venuto sonno di nuovo. “..n voglio.”

L'uomo col camice si voltò verso l'angolo da cui proveniva il mugugno incomprensibile, soddisfatto. “Come?”

“Non voglio! Voglio dormire come una persona normale! E invece ho di nuovo sonno! Non è giusto, Tanaka-san****!”, ripetè Pain più forte.

Il ricercatore si diresse verso di lei e le si accovacciò davanti. “Il sonno è la cosa più naturale per l'essere umano. Se hai sonno, devi dormire: è la naturalezza delle cose”, recitò con un sorriso rasicurante.

Pain non era stupida. “E' la quindicesima volta che vado a dormire, oggi, Tanaka-san.”

“Evidentemente hai bisogno di recuperare del sonno arretrato..”

“Anche il giorno prima. E quello prima ancora. Dormo sempre tanto, Tanaka-san..”, ribatté lei, questa volta con un tono più lamentoso.

“Avanti, non fare storie! Hai solo un metabolismo particolare. Guarda, ti si stanno chiudendo gli occhi, Pain-chan..”, cercò di persuaderla l'uomo.

“Ma..Se vado a dormire, farò di nuovo quel sogno strano, vero? Lei lo sa, Tanaka-san, se farò quel sogno di nuovo?”

Il sorriso del ricercatore ebbe un lampo di esitazione prima di pietrificarsi.

“..Quale sogno, Pain-chan?”

**

Distretto sud, zona periferica industriale

Il ragazzo dai capelli color arancia fissò il fratello, basito.

Le sue labbra pallide e screpolate erano leggermente aperte, e i suoi occhi verdi erano spalancati e umidi, dandogli una deliziosa aria di smarrimento.

Inutile dirlo, la scelta che aveva davanti era tutt'altro che deliziosa.

La pistola di Hayato lo allettava, solleticava il suo desiderio di libertà; sapeva che, in quella torbida capitale orientale che era diventata Tokio nel 2024, per un Reietto possedere un'arma era tutto. Nonostante questo, dubitava che avrebbe mai scelto la libertà insieme alla solitudine.

Perché, per sfortuna, conosceva Hayato troppo bene. E sapeva troppo bene che per lui le scelte erano solamente tra il bianco e il nero.

“Puoi scegliere se odiarmi, o venire con me. Puoi scegliere se essere una vittima che abbassa la testa e annuisce in silenzio, oppure alzare la voce. Con me.”

“Prendila”. Era un consiglio; Isamu la vedeva come una minaccia; Hayato come una sfida.

Il fratello minore esitò ancora: perché scegliere, perché non crogiolarsi ancora nell'attesa dolciastra dell'indecisione?

“Ti ho detto di prenderla!”, ed ora era un'ordine perentorio.

Isamu allungò la mano tremante verso l'arma, preparandosi a riceverne il peso e la responsabilità con riluttanza.

Perché;

“Adesso hai tutto quello che ti serve per essere una persona libera”, lo schernì Hayato.

Perché diamine non esisteva un terzo modo? Un patteggiamento?

“Ma ti avverto che il mondo si cura di te molto meno di quanto tu creda.”

Una sfumatura di grigio? Un'opportunità fortuita?

..clang.

Le labbra sottili del maggiore non si erano ancora chiuse del tutto, e Isamu non fece in tempo ad urlare: un vago clangore di passi meccanici, il fruscio di un movimento fulmineo, e uno spiacevole rumore di carne dilaniata si susseguirono in una manciata di secondi.

La scena risultò sfocata e nemmeno il sangue ebbe abbastanza tempo per fare la propria entrata trionfale, limitandosi a sgocciolare dalle tre lunghe lame che ora spuntavano dal petto di Hayato.

Quasi fosse uno scherzo, tanto che Isamu non metabolizzò immediatamente la scena che aveva davanti. Nel momento subito successivo all'azione, l'unico suono udibile fu il gracchiare dell'Ansatsusha che riportava docilmente: “Obiettivo due eliminato.”

..“SCAPPA, ISAMU!”

Siamo solo..carne da macello..?

E poi, il ragazzo metabolizzò. Talmente in fretta, che l'Ansatsusha non aveva nemmeno estratto le lame dalla ferita di Hayato quando Isamu si mosse.

Metabolizzò gli ultimi dieci minuti della propria vita, e improvvisamente capì quanto premere un grilletto potesse essere terribimente facile.

Per la seconda volta, un colpo di pistola risvegliò quei pochi animali rimasti nella zona industriale del Distretto sud; per la seconda volta, l'androide cadde a peso morto, in cortocircuito. Questa volta, Hayato crollò in ginocchio, vomitando sangue.

Isamu, tremante, balbettò: “O-onii-sa-san..!”, precipitandosi dal fratello.

“..itto..”

“Cosa?”

“Sta'..zitto!”, intimò il maggiore.

“A..Andiamo alla base, nii-san..”, propose timidamente Isamu, sfiorando con una mano la spalla tremante del fratello.

“No.”

Eh?

“Aspetta.”

Ah.

“Scu..scu..sami..”.

**

Distretto sud, zona periferica industriale, fabbrica abbandonata "TAKAMI INC."

“RAZZA DI..!”

Il pugno non tardò ad arrivare: colpì in pieno viso, forte abbastanza da spaccare un labbro e mandare lo sfortunato a gambe all'aria.

Intorno, si levarono immediatamente bisbigli concitati che portavano l'opinione della quasi folla presente.

“Una cosa del genere.. Così irrispettoso.. Ad un uomo più vecchio di lui.. Che etica distorta.. Basta che tenga Yogoshaki-san lontano da noi.”

“..Ahi. Fa male. Ehi, tu, smettila di strisciare. Vai in infermeria. E tieni la tua fogna piena di bei consigli lontana da me e dagli Yogoshaki, la prossima volta”, ringhiò il ragazzo che aveva sferrato il pugno all'uomo ancora sdraiato a terra con un'espressione stupita.

Sentire commenti spiacevoli sul maggiore degli Yogoshaki era comune, eppure il ragazzo dagli inquetanti occhi rossastri aveva sbattuto le proprie bacchette sulla tavola, alzandosi, si era diretto dal commentatore e --

“Fatti i fottuti cazzi tuoi, maiale.” “Come, scusa? Adesso quel bastardello ha anche leccapiedi esterni al fratellino? Ma non mi dire.” “RAZZA DI--”

-- probabilmente nessuno avrebbe più fiatato riguardo ai fratelli Yogoshaki davanti a Seishin Ichiro*****.

“Dovrebbe pensare a quello che dice.. Che irresponsabile.. Dovremmo vivere come una comunità pacifica.. Ah, i fratelli sono appena rientrati?”

“COME? DOVE? DA QUALE ENTRATA?!”, chiese a raffica il biondo, abbandonando l'uomo che aveva appena aiutato a rialzarsi (in fondo, era una persona civile), che rischiò di finire nuovamente a terra.

Appena gli fu indicata la risposta, Ichiro sparì dalla stanza come un tornado.

**


* Hayato: nome giapponese formato dai simboli di 'falco' e 'persona'
nii-san: modo giapponese per rivolgersi al fratello maggiore
** Shinjuku: quartiere centrale di Tokyo - l'hanno detto Zia Wikipedia e la mia insegnante di giapponese, almeno.
*** -chan: onorifico usato con le ragazze o i bambini piccoli
**** -san: onorifico usato con persone più grandi, o persone a cui si vuole mostrare rispetto, tra colleghi ecc.
***** Seishin Ichiro: il cognome significa 'spirito', mentre il nome 'primogenito'
Konnichiwa!
Ecco il primo capitolo ;u; l'ho scritto più in fretta possibile, dato che avevo postato il prologo subito dopo averlo scritto OuO senza nemmeno ricontrollarlo, infatti mi scuso per i typos. Spero che la storia sia ancora insensata, inutile e soprettutto brutta ^^" {ma si sente l'ironia quando scrivo così, si?}
I recensori sono venerati come dei. ^^
Arigato gozaimasu! Bai baaai ^^
-Arashinoharuka

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Capitolo 3
*** Ni ***


"E' stata una mia scelta premere il grilletto per la persona che devo proteggere. Fino al giorno in cui raggiungerà il suo obiettivo..Premerò il grilletto senza alcun dubbio."
{Fullmetal Alchemist - Hiromu Arakawa}


 
Distretto sud, zona periferica industriale, esterno della fabbrica abbandonata
 
Hayato si lasciò scivolare stancamente lungo la parete, nauseato dal dolore. Si trattenne dal tossire nuovamente sangue, sapendo che non poteva permettersi di avere ferite gravi: gli ultimi rifornimenti arrivati alla base scarseggiavano di farmaci e strumenti medici, risorse che ormai nei quartieri popolari di Tokyo erano quasi impossibili da trovare. Gli ospedali erano pochi e concentrati soprattutto nel distretto centrale, e i medici erano per la maggior parte suketto* attrezzati internamente.
 
Ponderò lentamente i pro e i contro dell'accendersi una sigaretta nelle sue condizioni attuali. Lanciando un'occhiata allo sguardo apprensivo del fratello minore, abbandonò l'idea.
 
La sua mano affievolì la presa sul tessuto lacerato della camicia blu scuro fino a scivolare lungo il suo torso.
 
“Quando cazzo si decidono ad aprire, quelli”, bofonchiò stizzito, pensando ai nullafacenti piazzati dietro il portone blindato che usavano come entrata della base. Isamu ripetè il codice per la richiesta di apertura della porta sul vecchissimo schermo palmare attaccato alla bell'e meglio accanto alla serratura, infastidito anche lui per l'attesa.
 
Improvvisamente, la porta si spalancò, senza che nessuno richiedesse gli identificativi dei due fratelli dall'interno: con un ringhio, un'alta figura dai capelli biondi che (letteralmente) contrastavano la forza di gravità si precipitò nella fredda aria di ottobre e si diresse immediatamente davanti al maggiore.
 
Il quale non poté fare a meno di ridacchiare stancamente sotto gli occhi dallo sguardo indefinibile di Ichiro.
 
“Ciao, Ro-kun**”.
 
“I-Ichiro-san”, balbettò il minore a mo'di saluto.
 
“C..Come..”, esitò Ichiro, fremendo. “COME TI PERMETTI DI PRESENTARTI QUI IN QUESTE CONDIZIONI, TUUUUUU!”, sbottò infine, gettandosi in ginocchio e afferrando Hayato per quello che rimaneva del colletto della camicia. “Non sai quanto avrei voluto uscire e riportare il tuo culo in questo rudere ma noooo, perché Hayato-san deve fare sempre tutto di testa sua, senza mai chiedere un aiuto a chicchessia, perché Hayato-san è convinto di essere immortale, pare!”
 
Per tutta risposta, Hayato si coprì la bocca con una mano e tossì di nuovo.
 
“Brutta razza di idiota egocentrico ed egoista”, lo insultò Ichiro, rialzandosi ed allungando una mano per aiutarlo a fare altrettanto.
 
“Oi, Ro-kun”, fece l'altro accettando l'aiuto e tirandosi in piedi a fatica, “non dovresti insultare il tuo sempai***..”
 
“E chi se ne fotte se sei il mio sempai, Hayato-san, rimani un idiota di prima categoria.” Intanto si passò un braccio del più alto attorno alle spalle per sorreggerlo e si avviò verso l'interno della fabbrica.
 
“Isamu-kun, scusami per non averti salutato”, aggiunse poi rivolgendosi al più giovane. “Stai bene?”
 
“Ah, sì, io sì”, rispose lui, affrettandosi a chiudere la pesante porta e di bloccarla con un'altro codice apposito. Dopo il tonfo della porta e il beep, beep dei tasti consumati, Isamu si voltò verso i due giovani uomini rendendosi conto che il silenzio era diventato piuttosto denso.
 
L'espressione sollevata per essere arrivati alla base ed aver subito incontrato Ichiro gli si spense lentamente sul viso. “Ichiro-san?”
 
Il biondo, sorreggendo Hayato quasi a peso morto, gli rivose un sorriso che voleva essere rassicurante. “Ehi, Isamu-kun, forse è meglio se tu intanto vai nella vostra stanza, eh? Ti raggiungo subito.” Appena tuo fratello smette di vomitare sangue, magari, eh?, aggiunse mentalmente, sperando che il ragazzino gli desse ascolto senza notare che Hayato era svenuto.
 
**
 
Laboratori centrali di Shinjuku, sezione β1

 
“Sato-sama****”, chiamò con tono piatto la voce vagamente metallica dell'androide.
 
L'uomo chiamato si voltò e il suketto sembrò trattenersi dal fare un passo indietro: l'uomo aveva il viso ricoperto da spesse cicatrici – nella porzione di pelle visibile. Lungo la fronte, il naso e la guancia sinistra si allungava una linea di demarcazione delle appendici metalliche che spariva dentro il colletto abbottonato della camicia candida.
 
Se avesse avuto un software abbastanza avanzato da permettergli di pensare in modo personale, l'androide avrebbe pensato quest'uomo mette davvero i brividi.
 
Il vitreo occhio cieco si mosse assieme a quello meccanico ad identificare l'androide. Quindi, l'uomo salutò: “β-2600”.
 
“Il server centrale della sezione β ha registrato due perdite nel settore AA-34 del distretto sud”, riportò atono l'interpellato. La vaga umanità che s'era potuta leggere per un istante nei suoi movimenti quando Sato si era voltato era di nuovo scomparsa tra un ingranaggio e l'altro.
 
“Continua.”, ordinò l'uomo.
 
“Entrambi gli androidi erano suketto guardia, sistema β di prima generazione, appartenenti al settore in cui è stata registrata la fine della loro attività di trasmissione. Oltre a questi due, non è stata trovata la traccia di possibili forme di vita artificiale ribellatesi o di impianti meccanici su forme di vita naturali di alcun genere”, eseguì l'androide, concludendo con quella che più che un’informazione era una formula fissa.
 
“In che tipo di quartiere è l'AA-34, β-2600?” chiese gelidamente Sato.
 
“..Periferico. Distretto sud. Ex quartiere di--”
 
“Certamente. E poi?”
 
“..Negli ultimi mesi sono state registrate attività umane ribelli esterne alla comunità giapponese attualmente residente a Tokyo--”
 
“Certamente. Quindi?”
 
“..Il..settore è..confinante con il Limbo--”
 
“Ma certamente. E quindi, mi è dato sapere perché sono stato consultato riguardo una questione simile?”
 
L'androide rimase in silenzio. Il sua database di parole e formule era sotto pressione e nell'aria si udiva un vago ronzio elettrico, unito ad uno spiacevole odore di macchina in sovraccarico.
 
**
 
Distretto sud, zona periferica industriale, base dei ribelli

 
Isamu era seduto sul proprio letto a soppalco, dondolando nervosamente le gambe nel vuoto. Aveva ancora il giubbotto consunto addosso: sembrava che i vecchi sistemi di riscaldamento della fabbrica avessero finalmente tirato le cuoia, oppure erano semplicemente di nuovo senza carburante. Aspettava insonne da quattro ore che Ichiro lo raggiungesse.
 
Lanciò uno sguardo nella stanza spoglia, soffermò lo sguardo sui vecchi volumi di manga ammucchiati in un angolo, sul tavolo malfermo, le sedie sfondate, l'intonaco scrostato. Sugli scatoloni che, in assenza di un armadio vero e proprio, contenevano i loro vestiti. Ma la cosa su cui i suoi preoccupati occhi verdi ripassavano più spesso era la porta, ancora chiusa.
 
Finalmente, il trasmettitore appeso al muro accanto ad essa cominciò ad emettere l'avvertimento di una richiesta dal'esterno con un gracchiante week, week, week. Isamu saltò giù dal letto e si precipitò sui tasti, esitando prima di digitare il codice che gli saltellava nella mente.
 
“Ch-chi è?!”, chiese ansioso.
 
“Seishin Ichiro”, rispose la familiare voce da fuori. Isamu si affrettò ad aprire.
 
Si accorse subito di avere un nodo in gola. “Co-cosa..come..cosa..”, balbettò, incerto su cos'avrebbe dovuto chiedere.
 
Ichiro sorrise lievemente e gli posò una mano sulla testa, scompigliandogli i capelli già abbastanza scompigliati di natura. “Non ti preoccupare, adesso è tutto stabile”, lo anticipò, omettendo qualsiasi riferimento a come fosse stata la situazione prima di 'adesso'. “Vuoi venire a mangiare qualcosa?”
 
Isamu scosse la testa. “Non ho fame..voglio vedere Hayato-nii-san..”
“..Adesso è tardi”, rispose il più gentilmente possibile Ichiro, sentendosi un perfetto cretino sotto lo sguardo insistente di Isamu.
 
“Ichiro-san.”
 
“Ok. Ok, ok, solo, non mi fissare con gli stessi occhi di tuo fratello, eh? E se fa domande, mi hai puntato contro la pistola, ok?”, crollò subito Ichiro, incapace di imporsi come faceva Hayato. Con un'espressione sconsolata si voltò per uscire dalla stanza e fare strada in direzione della stanza della vecchia fabbrica che era stata da tempo adibita ad ospedale.
 
Avevano percorso appena qualche decina di metri lungo gli angusti corridoi della base che, arrivati nel corridoio dell'entrata principale, furono investiti da un consistente gruppo di persone che si precipitavano all'interno. Isamu sembrò non accorgersi subito che la maggior parte di loro erano sporchi di fuliggine e sangue, mentre molti altri si trascinavano su arti mutilati di fresco.
 
Quando se ne accorse, fece qualche goffo passo verso Ichiro, con gli occhi spalancati.
 
“Ichiro-san..Cos'é..”.
 
Il ragazzo non rispose. Osservava la scena che gli scorreva davanti agli occhi, incapace di reagire.
 
**
 
Senza occhiali, il mondo era sfocato.
 
Così sfocato che non sarebbe stato capace di distinguere l'uno dall'altro due visi più lontani di un metro.
 
Adesso, però, l'unica cosa che vedeva erano flash colorati contro le palpebre chiuse. Anche se non ci vedeva, era convinto che aprendo gli occhi la nausea sarebbe di nuovo aumentata a livelli insopportabili.
 
L'appunto mentale di non farsi più traforare i polmoni da una lama dello spessore di una mano***** che aveva preso ormai secoli prima gli martellava in testa. Una volta esaurite l'adrenalina e la paura, il dolore non aveva più mostrato pietà; e la morfina era più introvabile dei diamanti.
 
Con la mente sorprendentemente lucida, aprì gli occhi e, trattenendo un'ondata di colpi di tosse, cominciò a contare ripetutamente i giacigli improvvisati che era costretto a chiamare 'letti dell'infermeria' che intravedeva di fronte a sé. Erano sei; li contò una, due, quattro, otto, sedici volte.
 
Trentadue. Trentatré. Si rese conto di stare scivolando nuovamente in quello che doveva essere sonno per sfinimento.
 
Improvvisamente, sentì delle voci concitate avvicinarsi. Una apparteneva certamente a Nanami-san, il medico in carica quella sera; la maggior parte delle altre erano maschili, alcune roche, altre quasi acute. Tutte erano fastidiose.
 
“..Esplosione improvvisa.”
 
“Sapevano che eravamo lì.”
 
“Ci hanno lasciati scappare..”
 
“È perché sanno che noi abbiamo lo stesso effetto di un cerotto su una ferita di arma da fuoco.” Hayato non voleva intervenire, davvero, ma le parole gli erano uscite di bocca ancora prima che il suo cervello le potesse recepire.
 
Tossì. Lo odiavano comunque, che fosse sano o in punto di morte: chi predicava sventura era odiato da chi venerava la speranza. I reietti veneravano un'illusione e odiavano chi diceva loro la verità.
 
Sperò di addormentarsi in fretta, ma le voci lo tenevano sveglio.
 
Appoggia questo corpo qui. Appoggia l'altro corpo lì a fianco. Accatasta futuri cadaveri l'uno a fianco all'altro, come se potessero infondersi forza a vicenda. Le risorse mediche della base di ribelli in cui sopravvivevano erano minime e non sarebbero state sufficienti per ulteriori feriti, chi non era in punto di morte poteva dileguarsi grazie.
 
L'illuminazione era scarsa persino dentro l'infermeria perché i rifornimenti di energia elettrica erano alimentati da una fonte solare troppo debole (che fossero di vapore acqueo o di particelle semi-radioattive, le nuvole coprivano quasi perennemente il cielo sopra Tokyo).
 
Ancora prima di poter constatare le effettive perdite dell'attacco appena fallito, qualcuno propose un secondo raid ai magazzini di approvvigionamento del Distretto Sud.
 
**
 
Era come se la guerra non fosse mai finita.
 
Certo; per gli scarni quotidiani e le informazioni manipolate distribuite dalle televisioni nazionali era tutto finito. Il Giappone era guarito a velocità incredibile e ora le cose andavano a meraviglia. Tutti sarebbero stati soddisfatti del tenore di vita decisamente alzato dalla proposta di governo dell’introdurre gli androidi di nuovissima generazione come supporto ai lavori più faticosi o impegnativi. I feriti, i mutilati, anche i semplici insoddisfatti potevano richiedere operazioni di impianto di parti corporee meccaniche e/o artificiali a prezzi generalmente raggiungibili. Le città sarebbero stato più sicure perché sorvegliate da impeccabili guardie robotiche.
 
Macchinari per la purificazione di polveri sottili e particelle potenzialmente dannose per la salute erano disseminate ovunque.
 
I ribelli si nascondevano nell’ombra: erano meno di un’organizzazione capace di provocare una guerra civile, diversi da infiltrati da altri paesi, ma più di un semplice malcontento della popolazione.
 
Erano civili eliminati dalla circolazione silenziosamente, come si scaccia una mosca che ci ronza intorno: finché stavano lontani e creavano danni infinitesimali li lasciavano fare. Senza di loro il governo non avrebbe avuto un capro espiatorio.
 
“..Yogoshaki-kun?”
 
Dal giorno dell’attacco di rifornimento fallito era passato quasi un mese. Quasi dalla stessa data, la base dei reietti si agitava nervosamente e si scervellava per pianificare un nuovo attacco: in quel momento, era in corso una riunione per organizzare la nuova squadra responsabile.
 
‘Yogoshaki-kun’ era Hayato, che a vent’anni faceva comunque parte della componente più giovane della base (suo fratello veniva chiamato semplicemente per nome. Perché non era altrettanto irascibile). A rivolgerglisi era stato Daiki Takahashi******: capelli palesemente decolorati, venticinque anni e un’irritante aria da militare addosso. Se si doveva identificare un capo in quella base, il compito sarebbe toccato a lui.
 
“C’è nessuno che si oppone a far guidare la spedizione a Yogoshaki-kun?”
 
Silenzio. Un braccio ricoperto da una manica di una felpa rossa troppo grande si alzò timidamente. “Io..”
 
Isamu venne istantaneamente fulminato dallo sguardo del fratello. “Tappati la bocca”, gli consigliò.
 
“Ma non sei ancora guarito completamente--!”
 
“Isamu..”, cominciò ad intromettersi Ichiro, con lo scopo di proteggerlo dal malumore del fratello maggiore.
 
Daiki riprese la parola, precedendolo. “Uhm, Isamu-kun”, cominciò, dando il tempo agli sguardi dei pochi presenti di spostarsi sul ragazzino. “purtroppo al momento tuo fratello è il candidato più opportuno per questa spedizione..”
 
Un mormorìo di ‘sì, sì’ si diffuse nella stanza.  
 
“Al momento è semplicemente il combattente più qualificato—“
 
“Risparmiati le tue stronzate da militare.”, lo ammonì Hayato guardandolo in cagnesco.
 
“Ok; è la persona più adatta, va bene?”, ringhiò Daiki di rimando, stringendo il pugno appoggiato sul tavolo.
 
Isamu abbassò gli occhi e i presenti ricominciarono a discutere civilmente sulle modalità dell’attacco.
 
Daiki era davvero un militare. Aveva fatto parte dell’esercito giapponese da quando aveva terminato il liceo e già a ventidue anni era diventato sergente. Prima della fine della guerra era stato incarcerato per ‘diffamazione’ – o almeno questa era la versione riportata nei file della polizia, sotto il suo nome accompagnato dalla scritta ‘latitante’, e nessuno alla base sapeva esattamente quale fosse la realtà dei fatti. Certo era che sapeva alzare la voce seppure parlasse gentilmente, e che aveva un’incredibile capacità organizzativa di cui la base di reietti aveva disperatamente bisogno; l’unico fattore che differenziava la sua ambiguità da quella di Hayato era che ci sapeva fare con le persone (e con le ragazze).
 
Al termine della riunione si decise che la nuova imboscata si sarebbe tenuta di lì ad una settimana e che vi avrebbero fatto parte Hayato, Ichiro e due degli ultimi ragazzi presenti che sapevano usare le armi.
 
Senza una parola, tutti affidarono gli approvvigionamenti della base alla persona di cui si fidavano di meno.

 
**
 
Konnichiwa!
Perdonate il ritardo dell’aggiornamento e il fatto che questo capitolo lasci a desiderare. Odio questi capitoli di ‘pausa’ tra un’azione e l’altra, nonostante siano, come dire, fondamentali. Mi dispiace di aver fatto sembrare Hayato un totale stronzo, il punto è semplicemente che lo è.. Mi dispiace anche di aver fatto passare Ichiro per quello che s’arrabbia sempre, e in questo caso no, non lo è eue
Ah e come avete potuto capire io trovo ispirazione davvero da qualsiasi cosa..è che mi piace inserire citazioni, tutto qui, anche da cose idiote, hahaha. Come i fumetti. Spero che sappiate chi dice quella frase c':
* suketto: parola giapponese che significa aiutante
** -kun: onorifico usato quando si parla con ragazzi della tua stessa età o più giovani, o con persone di rango inferiore
Ro: abbreviazione idiota di Ichiro
*** sempai: un onorifico usato con le persone più grandi, ma non adulte, per esempio ragazzi/e che frequentano la tua stessa scuola ma in anni più avanzati. Spiegherò meglio la questione nel prossimo capitolo eue
**** Sato: cognome giapponese scelto perché è abbastanza comune, significa {credo} zucchero
-sama: onorifico usato con persone di grande prestigio {che ne so, il capo del governo o qualcosa del genere, ma nei manga lo usano spesso per riferirsi al capo di un’organizzazione che viene esageratamente venerato}
***** lo so che suona davvero esagerato, ma vi assicuro che ho regolato i tempi della storia dopo aver chiesto a mio padre {che è medico} quanto una ferita del genere potesse metterci a guarire. Vi risparmio il terzo grado che ne è seguito..
****** Daiki: circa letteralmente, se scritto con i kanji giusti, significa grande gloria
Takahashi: cognome molto comune che significa {di solito} alto ponte
Ringrazio Selene K e HomicidalManiac per le recensioni ^^
Recensite recensite, mi piace ricevere commenti, anche se sono critici ^^
Matanee!
-Arashinoharuka

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