Fallen and Rise

di bice_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fallen ***
Capitolo 2: *** anger and pain ***
Capitolo 3: *** hate ***
Capitolo 4: *** goodbye ***
Capitolo 5: *** wounds ***
Capitolo 6: *** a cruel ring ***
Capitolo 7: *** looking for you ***
Capitolo 8: *** are you happy? ***
Capitolo 9: *** frenzy ***
Capitolo 10: *** i want him back - I parte ***
Capitolo 11: *** i want him back-II parte ***
Capitolo 12: *** jasmine ***
Capitolo 13: *** i promise you ***
Capitolo 14: *** and now it's time of rise ***
Capitolo 15: *** this calm is our adventure ***



Capitolo 1
*** Fallen ***


La sua faccia era praticamente distrutta.
La conosceva da troppo tempo per non sapere che in quel momento tutti i suoi punti fermi, o almeno quelli che credeva tali, si erano frantumati come un bicchiere di cristallo scaraventato a terra con troppa violenza.
Eppure il suo sguardo non voleva indugiare.
Non voleva mostrare debolezza.
Come prima, mentre portava il peso della bara, insieme agli altri uomini, insieme a lui.
Non aveva mostrato segno di cedimento, ma aveva lasciato che la sua forza facesse da maschera al dolore che la stava lacerando.
Castle si era permesso di osservarla a fondo e solo allora aveva intravisto quella vena di costante malinconia nei suoi occhi castani.
Quella tristezza che li aveva sempre caratterizzati.
Quella tristezza che negli ultimi tre anni, Castle aveva cercato di combattere, di portare via.
Quel giorno invece il dolore era l’unico grande protagonista, l’unica emozione che sembrava sopravvivere.
Appena lasciata la bara di Montgomery, Castle aveva tolto fulmineamente gli occhiali da sole per osservare la moglie del loro capitano. Del loro amico. Della loro guida.
Distrutta.
Esattamente come ognuno di loro.
Ma lei no.
Lei non avrebbe permesso agli altri di far parte di quel dolore.
Beckett aveva voluto con tutte le sue forze fare quel discorso.
Voleva rendere il ricordo di Roy Montgomery un esempio.
Per loro, per tutti, ma soprattutto per lei.
Aveva sacrificato la vita per salvare la sua.
Le parole della detective riecheggiavano nella testa di Castle come un costante ricordo di quell’hangar.
Ogni parola, ogni pausa, lo riportava allo sguardo deciso di Roy, alla sua incredulità, alla sua indecisione, al suo senso di colpa, alle grida disperate di Kate.
B:.. Una volta, il capitano Montgomery mi disse che per noi non ci sono vittorie. Esistono solo battaglie. E che alla fine il massimo che puoi sperare.. è di trovare un posto in cui prendere posizione. E se si è molto fortunati.. si può trovare una persona disposta a prendere la stessa posizione.
In quel momento, a quelle parole, Castle sentì il richiamo a cui non poteva sottrarsi.
Gli occhi di Beckett dritti nei suoi, pieni di silente riconoscenza e alla ricerca della loro intesa, trovata, coltivata e, nonostante tutto, mai perduta.
Lo scrittore la guardò con un’intensità tale da spezzare il fiato.
Lui avrebbe sempre preso la sua stessa posizione, perché lui sarebbe stato sempre accanto a lei.
Disposto a fare tutto il possibile per proteggerla, per sostenerla, per renderla felice, per liberarla finalmente da quella paura che attanagliava il suo cuore.
Il volto di Beckett si rilassò sotto quello sguardo, riscaldata da quella preoccupazione premurosa dello scrittore e continuò il suo discorso.
B: il nostro capitano avrebbe voluto che continuassimo a lottare.
Castle lasciò che il suo sguardo vagasse lontano, sperando di dare respiro ai suoi pensieri troppo affollati, ma un bagliore lo colpì.
Un riflesso.
Scrutò con più attenzione e, spontaneamente, portò i suoi occhi su Beckett che continuava a parlare ignara della nuova paura che stava invadendo il corpo dello scrittore, come un serpente attorcigliato sulle sue membra.
Tornò a guardare quel punto in lontananza e sentì l’impulso irrefrenabile di avvicinarsi alla detective.
Prima un passo, silenzioso,  fino a trovarsi sempre più vicino, fino a quando persino lei sentì la sua presenza, ma decise di ignorarla.
Ancora uno sguardo e capì che non aveva più tempo per pensare.
Un suono sordo.
Un unico rumore secco.
Castle si voltò istintivamente.
C: Kate.
Il suo corpo si mosse senza bisogno di ordini precisi.
L’uomo coprì con la sua statura Beckett, spingendola in avanti, cercando di portarla al riparo.
Le voci intorno si fecero sempre più confuse.
Lanie avrebbe voluto correre da Kate, ma Esposito glielo impedì.
Confusione.
Agitazione.
Solo questo, ma lì, lì dove c’erano solo Castle e Beckett, il tempo sembrò fermarsi.
Beckett era ancora sconvolta e portò la mano che si trovava ancora sulla schiena di Castle sul suo stomaco.
La osservò.
Sangue.
Eppure non c’era dolore.
Non sentiva nessuna sensazione.
Si osservò e non vide niente.
Finchè la paura la invase.
Alzò lo sguardo e trovò gli occhi lucidi di Castle che ormai traballava sulle braccia.
Il respiro si mozzò.
B: Rick.
Un sorriso spento si dipinse sule labbra dello scrittore.
B: o mio dio.
La donna fece appoggiare Castle sulle sue gambe, mentre gli occhi dell’uomo cercavano implacabili quelli della donna.
Beckett prese ad accarezzare il volto di Castle, sperando ancora di scoprirsi in un sogno.
B: Rick, non puoi farmi questo. Devi rimanere qui. Devi rimanere per me.
Le lacrime iniziarono ad uscire da quegli occhi tristi, mentre le mani accarezzavano frenetiche il volto di Castle.
Voleva tenerlo lì con sé.
Voleva dargli un po’ del suo calore, sperando che sarebbe bastato.
B: Rick.
C: continua a lottare Kate.
B: ti prego, stai con me.
Un sospiro mozzato, per la difficoltà nel dire quelle parole che avrebbe voluto gridare già tempo prima.
C: ti amo.
Una lacrima attraversò la sua guancia e accompagnò le sue palpebre verso il basso, lasciando Kate ad abbracciarlo con tutta la forza che aveva.
B: Rick.
B:Ti amo. Hai capito? Hai capito? Devi restare per amarmi.
Lo cullava con una delicatezza quasi materna, mentre la folla iniziò a circondarla.
Eppure lei continuava a piangere e sussurrare, pregando in fondo perché qualcuno salvasse quell’uomo diventato ormai indispensabile per il suo cuore. 



p.s. ok, non uccidetemi.. magari tirate pomodori, ma niente di appuntito.. xD
ecco un nuovo esperimento.. spero vi piaccia.. fatemi sapere...
e vi chiedo scusa in anticipo per il ritardo che avrò negli aggiornamenti!!! :D
un bacione a tutti.. :*****

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Capitolo 2
*** anger and pain ***


Aveva sentito le mani di Lanie afferrarla per le spalle ancora tremanti e allontanarla dal corpo di Rick, che sembrava troppo rigido per essere veramente quello del suo scrittore.
Proprio in quel momento però il suo cuore minacciò di fermarsi.
L’aveva raggiunto correndo, piangendo e urlando disperatamente.
Alexis.
Quell’angelo rosso.
Si era accasciata a terra, accanto al padre, scossa da violenti singhiozzi.
Beckett continuava ad osservarla in silenzio, incapace di muoversi o di spostare lo sguardo.
Ogni lacrima della ragazza era una coltellata al suo cuore.
Eppure non riusciva a mettere fine a quella sofferenza.
Alexis accarezzò ogni centimetro del volto di Castle.
A: papà. Per favore. Non lasciarmi sola. Muoio con te. Per favore.
Tutto era accaduto sotto i suoi occhi e, purtroppo, Beckett immaginava perfettamente ciò che stava provando.
Anzi, forse era stato ancor peggio della morte di sua madre.
Alexis aveva visto suo padre accasciarsi di fronte ai suoi occhi, senza poter fare niente per impedire che accadesse.
Ryan afferrò la ragazza delicatamente per le spalle e la allontanò gentilmente, mentre gli operatori dell’ambulanza caricavano Castle sulla barella, febbricitanti per l’emergenza.
Alexis continuò a chiamare suo padre e infine si accasciò tra le braccia di Martha, sconvolta come non mai.
Nessun dettaglio, nessun attimo era sfuggito agli occhi disperati di Beckett.
L: tesoro, andiamo.
Kate non rispose, ma rimase immobile, con le lacrime che continuavano a scendere sulle sue guance.
 
Gli ospedali rendevano sempre tutto così impersonale, così distaccato, così disgustosamente sterilizzato.
Le pareti bianche e l’odore di disinfettante era così intenso da annullare qualunque altro senso della detective che era rimasta immobile, di fronte alla porta dietro cui i medici erano scomparsi insieme al corpo sanguinante di Castle.
Sangue.
Abbassò gli occhi e vide le sue mani completamente ricoperte del sangue dell’uomo.
Un senso di nausea la colpì violentemente, facendole quasi perdere l’equilibrio.
Lanie la osservava con le lacrime agli occhi, insieme a Ryan ed Esposito.
Castle era ormai parte della famiglia.
Il solito zio pazzo, lo zio ricco che lascia le mance ai nipoti, che fa regali e che se gestire le situazione più imbarazzanti, capace di strappare una risata anche nei peggiori momenti.
Tutti sapevano che lui non avrebbe mollato.
O almeno lo speravano.
Lanie prese l’amica per un braccio e la accompagnò nel bagno poco distante.
Beckett sembrava diventata un’automa, incapace di parlare e di togliersi dalla mente quell’attimo appena trascorso eppure già così lontano, irrecuperabilmente passato.
L: Kate..
Continuava a fissarsi le mani, così la dottoressa le afferrò gentilmente i polsi e notò come le mani fossero scosse da tremiti continui.
Le mise delicatamente sotto il getto d’acqua gelido e la detective parve riprendersi leggermente, posando i suoi occhi pieni di tristezza e rimorso in quelli dell’amica.
Sembrava una bambina troppo cresciuta, rimasta improvvisamente sola, spaesata.
Si lasciò lavare senza emettere suono e, anche quando si trovò nell’abbraccio dolcemente consolatorio di Lanie, si sentì fuori posto, si sentì inutile, sentì di aver lasciato parte di sé fuori da quell’ospedale, esattamente nel cimitero.
L: torniamo di là?
Beckett la guardò cercando semplice conforto e annuì debolmente.
Le due donne rientrarono nel corridoio, ora decisamente molto più affollato.
Ryan ed Esposito erano stati raggiunti da Martha ed Alexis.
Sul volto delle donne era ben visibile tutto il loro dolore, eppure la detective vedeva sul viso di Alexis una traccia profonda di qualcos’altro.
Di qualcosa di diverso, di terribilmente glaciale.
Alexis si era appena seduta su una delle panche nel corridoio.
I capelli rossi le coprivano il volto, mentre i suoi occhi erano ostinatamente puntati al pavimento.
L’unica traccia di movimento era data dalle sue spalle che venivano scossi da singhiozzi regolari, silenziosi, pieni di una disperazione pienamente comprensibile.
Beckett sentì l’irrefrenabile istinto di raggiungerla, di starle accanto come se potesse essere d’aiuto, ma non sapeva quanto poteva sbagliarsi.
La donna si mosse delicatamente e con grande lentezza, fino a sedersi proprio accanto alla ragazza, che non accennò a prestargli attenzione.
Beckett si sentì terribilmente a disagio e stretta in una morsa di dolore e colpa che sembrava volerla uccidere.
Decise però di posare la sua mano tremante sul ginocchio della ragazza.
Alexis si irrigidì immediatamente a quel contatto, ma continuò a rimanere in silenzio, senza guardarla.
Beckett sospirò e iniziò a parlare quasi in un sussurro che sembrava aver paura di spezzare il silenzio che li circondava.
B: Alexis.. io..
Non appena si udì la sua voce, Alexis si bloccò, mentre stringeva il pugno così forte da rendere le nocche bianche, quasi troppo.
B: io.. mi dispiace..
Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa era giusto fare, molto probabilmente perché non esisteva niente di giusto in quel momento.
Alexis spostò il suo sguardo repentinamente, posando i suoi occhi blu sul viso della detective.
La sua espressione era gelida, contratta in una smorfia di odio e tristezza.
Si alzò di scatto, togliendo così la mano della detective dalla sua coscia.
A: ti dispiace?
Il suo sguardo non sembrava placarsi, anzi ardeva di rancore.
Beckett sapeva perfettamente cosa stava succedendo.
Alexis aveva bisogno di un perché, di un motivo, di una causa e purtroppo l’aveva ragionevolmente trovato.
Era lei.
Lei, la causa del suo dolore e della sua sofferenza.
A: credi che basti questo detective? Lo credi davvero?
Il suo tono divenne stridulo, i suoi occhi si fecero lucidi, mentre era evidente la sua forza nel trattenere le sue lacrime.
L’attenzione di tutti i presenti fu puntata sulle due donne, ma capirono che quel momento era qualcosa di necessario, che prima o poi sarebbe comunque dovuto avvenire.
Beckett sentì il calore concentrarsi sulle sue guance e gli occhi pungere come spilli.
A: credi che mio padre non sappia scrivere? Credi che è per questo che è rimasto con te per tre anni? Avete rischiato di morire, ha sempre fatto di tutto per salvare la tua vita e poi la sua. Hai lasciato che rimanesse accanto a te, senza dargli risposte, solo per saperlo vicino. Tu ti sei costruita una vita, mentre lui rimaneva lì per te. Ma tu questo lo sai benissimo, non è vero? Non è una sciocca bambina che deve dirtelo, ma questo non ha cambiato nulla. E sai perché? Perché sei solo un’egoista. Hai finto di non vedere, hai finto di non sentire, ma soprattutto hai fatto finta di non capire. Tu non meriti una persona come lui. Ha aspettato per anni, fingendosi un poliziotto che non è, pur di rimanerti accanto e tu lo hai ripagato con cosa? Con semplice indifferenza. E ora è colpa tua se rischia di morire, se è in una sala operatoria da dove non possiamo sapere se uscirà.
Il respiro delle detective era irregolare e le guance rosse come non mai.
I suoi occhi faticavano a mantenere una visuale nitida, mentre ogni singolo parte di sé andava in pezzi, lentamente, parola dopo parola.
Tutto perché sapeva esattamente che quella era la verità.
Niente di più, niente di meno.
Non esistevano scuse, non esistevano rimedi.
Ormai le lacrime uscivano libere dagli occhi di Alexis, dopo che le parole erano uscite esasperate, stridule e colme di un dolore troppo profondo.
Martha la raggiunse, sperando di fermare quel fiume di parole che stava distruggendo in maniera inverosimile le due parti indispensabili della vita di suo figlio.
La signora abbracciò la nipote, che nascose la testa tra le sue braccia, nel pieno di una crisi di pianto.
Nonostante anche lei stesse piangendo, Martha rivolse uno sguardo preoccupato alla detective, rimasta immobile, gelata da quelle parole.
Beckett deglutì con fatica, incapace di riempire correttamente i polmoni oppressi dalla colpa che la schiacciava troppo velocemente.
Martha lesse tutto il dolore provato dalla detective e, mentre una lacrima le solcava ancora una volta la guancia, le rivolse una scusa profonda, sincera, piena della comprensione che Beckett sperava di trovare in ogni modo.
M: mi dispiace. 





p.s eccomi di nuovo.. e stavolta senza un ritardo così mostruoso!!!! :)
spero vi sia piaciuta questa pazzia...
non poteva mancare la nuova versione di alexis..
beh, fatemi sapere com'è..
un bacioneeeee a tutte e grazie mille per le recensioni al primo capitolo!!! :)

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Capitolo 3
*** hate ***


Sentì la sua armatura frantumarsi violentemente, lasciando scorrere un fiume di emozioni impossibile da arginare, che cercava disperatamente un modo per riemergere.
Sapeva che sarebbe scoppiata a piangere, lo sentiva distintamente, così decise che la scelta migliore era quella di allontanarsi da lì.
Non disse una parola, perché sapeva già che la sua voce sarebbe stata incrinata, perché sapeva già che gli altri avrebbero capito.
Si allontanò in silenzio, dirigendosi verso una macchinetta del caffè che aveva intravisto in una zona dell’ospedale decisamente isolata.
Stava camminando velocemente, perché sentiva le lacrime premere senza alcun segno di pietà.
Non si accorse nemmeno della voce che ormai la chiamava per la terza volta.
Si fermò solamente quando una mano le toccò la spalla.
J: Kate!
Ora la riconosceva.
Purtroppo conosceva fin troppo bene quella voce.
Era di Josh, probabilmente la persona che meno si aspettava e che forse meno sperava di vedere.
Non riuscì nemmeno a rispondere, si limitò a voltarsi e ad evitare il suo sguardo.
J: ehy, cosa è successo?
Beckett lo guardò negli occhi e una lacrima le solcò le guance, prima di abbassare il viso.
J: Kate, che cosa è successo? Mi stai spaventando.
La detective sospirò e pronunciò della parole così flebili da risultare quasi inudibili.
K: gli hanno sparato.
Josh si ammatolì.
J: ..stiamo parlando di Castle?
Beckett non rispose, ma si limitò ad annuire.
In quel momento odiò l’uomo che si trovò di fronte con tutta se stessa.
Lo odiò perché l’aveva costretta a dirlo ad alta voce, l’aveva costretta a rendere tutto qualcosa di reale.
Lo odiò perché lui gli aveva impedito di andare più avanti con Castle, perché gli aveva impedito di riparlare del loro bacio.
Lo odiò perché sapeva perfettamente che queste erano solo delle sciocchezze.
Lo odiò perché lei non poteva incolparlo della sua codardia.
Rimase immobile anche quando le braccia forti di Josh la avvolsero in abbraccio protettivo e confortevole.
Le braccia di Kate rimasero ciondolanti lungo il suo corpo, mentre le lacrime continuavano a scendere, sentendosi soffocare dal senso di colpa verso quell’uomo così innamorato.
Si sentì in colpa per quello che stava provando in questo momento, ma soprattutto per tutto quello che non aveva provato.
Finalmente sentì che quello era il momento giusto.
Per lei.
Per lui.
Per Castle.
Poggiò leggermente una mano sul petto di Josh, allontanandolo gentilmente.
Si guardarono negli occhi e forse è lì che capirono quale era la loro strada, senza bisogno di parole, di inutili spiegazioni o risentimenti.
Josh mise fine a quel contatto visivo, sussurrando appena.
J: devo andare. In qualunque momento ricorda che ci sono. Basta che tu lo chieda e io sarò con te.
Beckett sorrise debolmente e si avvicinò al volto dell’uomo, posando le sue labbra lentamente su quelle di Josh.
Fu un contatto breve, fugace per quanto intenso ed entrambi riconobbero il sapore che lasciò.
Era quello di un addio, niente arrivederci, o forse.
Solo la certezza e l’amaro dell’addio.
La detective si allontanò, senza voltarsi, sentendosi più stanca dopo ogni passo.
Arrivò finalmente alla macchinetta e, mentre ascoltò il rumore delle monetine che arrivarono sul fondo, tornò a respirare normalmente, lasciando che la sua mente si riempisse nuovamente di ricordi ed immagini crudeli.
Afferrò la tazza fumante e il profumo la inebriò, colpendola a tradimento.
Si appoggiò alla parete e si lasciò scivolare fino a sedere a terra, dove si lasciò travolgere da quelle lacrime che ormai volevano solo scorrere indisturbate.
Si ricordò di quando Castle, dopo un’intera estate negli Hamptons, aveva finalmente riottenuto da parte sua il permesso di tornare ad essere la sua ombra.
Quella mattina si era presentato con il suo solito caffè, facendo arrivare sul suo volto un sorriso sincero, nonostante il suo tentativo di nasconderlo.
Con le braccia aveva circondato le ginocchia, mentre il suo viso e le sue lacrime erano nascosto dai lunghi capelli.
Non si accorse nemmeno dell’arrivo di Lanie che rimase per un momento ad osservarla silenziosa mentre era ancora immersa nella disperazione di chi è consapevole di essere sul punto di perdere ciò che si ha di più caro.
La dottoressa si sedette delicatamente accanto alla detective e la abbracciò senza parlare.
Lasciò che le lacrime continuassero ad uscire.
Ancora singhiozzando, Beckett ruppe quel confortevole silenzio.
B: ha ragione. Alexis ha ragione.
Lanie sospirò. Si aspettava quelle parole e si aspettava il suo senso di colpa.
L: oh, tesoro mio. Tu sai cosa significa perdere qualcuno. Alexis è spaventata, ma non è colpa tua. Richard è un uomo adulto. Sapeva cosa rischiava e cosa poteva guadagnare. Ha scelto di seguire il cuore e non la mente, Kate.
La detective continuò a piangere.
B: gli ho detto che lo amo.
Il cuore di Lanie si spezzò a quelle parole e si limitò a stringere ancora di più l’amica.
B: io devo salvarlo Lanie.
La dottoressa non capì.
L: come puoi..
La consapevolezza la colpì all’improvviso.
Voleva salvarlo da lei.
B: chiunque sia accanto a me, rischia, è in pericolo. Non posso permettere che gli accada qualcosa. Rinuncerò a lui pur di saperlo al sicuro.
L: sai che non lascerà mai il distretto Kate.
B: lo farà quando lo caccerò dalla mia vita. Anche se continuassi a vederlo al di fuori del lavoro, lo metterei in pericolo, lo farei diventare un obiettivo. Esattamente come me.
La voce della detective era pervasa da una tristezza estrema, da una sensazione di vuoto.
L: Kate, ti prego.. pensaci ok? Ti chiedo solo questo.
La detective la guardò semplicemente, senza rispondere.
Lanie la abbracciò ancora una volta.
L: tesoro, ormai il dottore starà per arrivare. Torniamo di là?
Beckett annuì e sussurrò con gratitudine.
B: grazie. 


p.s a questo punto sono consapevole di rischiare il linciaggio, ma un pò di cattiveria ci vuole giusto?????? :D
spero vi piaccia..
un bacione!!!

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Capitolo 4
*** goodbye ***


Il dottore aveva solo detto che si era stabilizzato, ma bisognava aspettare.
Aspettare che si risvegliasse. Non c’erano date, previsioni, solo speranze.
La detective si era pazientemente seduta su una scomoda sedia nel corridoio proprio accanto alla camera di Castle.
Dalla parte opposta, un po’ più distante, erano invece rimaste Alexis e Martha.
La donna lanciava spesso occhiate preoccupate verso Beckett, che non si era più mossa dalla postazione dopo il colloquio con il dottore.
Era già passato un giorno e i segni della stanchezza erano ormai troppo evidenti sui loro volti.
 
Era le 22.00 quando Martha si avvicinò silenziosamente a Kate, vedendola assorta nei propri pensieri.
M: Kate, sarà meglio che vada un po’ a casa. Si riposi.
Beckett la osservò attentamente, scorgendo quell’alone di tristezza che era impossibile da nascondere.
B: la ringrazio, ma preferisco rimanere. Sono abituata a perdere le ora di sonno. Non si preoccupi.
Le sorrise debolmente.
B: piuttosto, se vuole lei può andare a casa, tanto io non mi muoverò da qui. Vedo che Alexis è crollata. E per qualsiasi cosa vi chiamerei.
La donna sembrò studiarla a fondo, tentando di capire cosa nascondesse quel viso troppo pallido.
M: ne è sicura?
Beckett annuì.
B: si, vada. Non ci sono problemi.
M: la ringrazio moltissimo. Tornerò tra un paio di ore. Giusto il tempo di far riposare un po’ Alexis.
Non appena le donne si allontanarono, la detective si avvicinò alla porta della camera di Castle, quasi con il timore che potesse svegliarlo.
Entrò lentamente, lasciandosi conquistare dal rumore ritmico di quelle macchine attaccate al corpo dello scrittore.
Non sembrava nemmeno essere lui.
Nonostante fosse ancora buio, vedeva quanto i suoi lineamenti fossero rilassati, in maniera innaturale.
Seguì con lo sguardo tutti tubi che collegavano il corpo di Rick alle macchine e si sentì soffocare.
Si avvicinò lentamente al viso di Castle e lo sfiorò lentamente.
B: cosa stai facendo Rick?
Percorse ogni centimetro della sua guancia, studiandone anche il più piccolo particolare.
B: ti stanno aspettando lo sai? e ti sto aspettando. Devo sapere che starai bene. Mi hai capito?
Avvicinò il suo volto a quello di Castle e lo baciò delicatamente sulla guancia, sorprendendosi di non trovare più il suo odore.
Lasciò la stanza silenziosamente, tornando su quella fredda sedia e, lasciandosi cullare dai ricordi, si addormentò.
 
Quando aprì gli occhi, la luce delle finestre colpivano violentemente il suo viso.
Faticò un bel po’ per mettere a fuoco, ma realizzò poco dopo dove si trovasse.
Trovò di nuovo Alexis e Martha, ma questa volta sembravano diverse.
Martha le si avvicinino.
M: detective, si è svegliato. Richard si è svegliato!
Sorrideva con una gioia sconosciuta, una gioia che probabilmente lei non poteva ancora capire.
Beckett si sentì presa da un’emozione così forte da non riuscire a contenerla.
Si alzò all’improvviso, mentre una lacrima le solcava la guancia.
B: io.. veramente? E come sta?
M: i medici lo stanno visitando, ma presto potremo entrare.
La donna le mise una mano sulla spalla, sentendo tutta la tensione di quei muscoli.
Beckett spostò lo sguardo su Alexis, che la osservava in disparte e realizzò di nuovo cosa dovesse fare.
M: prego, se volete ora potete entrare, ma mi raccomando non affaticatelo.
La donna e la ragazza si avvicinarono con un velocità impressionante, accalcandosi sulla porta.
Beckett si limitò ad avvicinarsi al vetro che collegava il corridoio con la stanza.
Incrociò lo sguardo di Castle solo per un secondo, ma quello fu abbastanza.
Si sentì improvvisamente troppo stanca.
Lo scrittore le sorrise debolmente e lei riuscì solamente a rispondere con altrettanta semplicità.
Martha ed Alexis stavano per entrare quando si fermarono e spostarono il loro sguardo su Beckett.
La donna guardò negli occhi di Alexis.
Sorrise così debolmente da risultare solo un minimo movimento delle labbra, mentre le lacrime iniziarono a scorrere ferocemente.
Annuì semplicemente, lasciandole capire che non sarebbe entrata.
Né in quella stanza, né nella sua vita.
Solo allora abbassò il volto.
Mai Alexis si sentì più in colpa, almeno fin quando non vide la delusione negli occhi del padre, non vedendo comparire la donna alle loro spalle.
Ma cosa stava facendo?
Ah già.. stava cercando di proteggere suo padre.
 
Passarono tre giorni da quel momento.
Tre giorni in cui la detective si rintanò al distretto, sovraccaricandosi di lavoro, nonostante le offerte di aiuto dei colleghi.
Tre giorni in cui Castle venne ricoperto di attenzioni dalla famiglia.
Tre giorni in cui lo scrittore pensò incessantemente alla sua musa.
Tre giorni in cui Beckett non seppe non rivedere il flebile sorriso di Castle.
Finalmente gli agenti del distretto avevano deciso di andare a far visita allo scrittore.
Beckett non volle privarsi anche di questo, non volle privarsi del loro saluto.
Quando Ryan, Esposito, Lanie e Kate entrarono, trovarono nella stanza anche Alexis, sorridente e tranquilla.
Non appena incrociò gli occhi della donna, la ragazza abbassò lo sguardo, rabbuiandosi di colpo.
Castle notò questo silenzioso dialogo, ma preferì sorvolare.
C: ma finalmente. Allora non vi siete dimenticati di me?
R: non preoccuparti Castle. Sei sempre stato nei nostri pensieri.
Lo scrittore sgranò gli occhi, fingendo un faccia piuttosto sconvolta.
 
Rimasero a parlare per un bel po’, mentre la detective restava silenziosamente appoggiata alla parete di fronte a Castle, incrociando di tanto in tanto il suo sguardo.
A: beh, io vado a prendermi un caffè, voi venite?
C: ma non sei piccola per il caffè?
A: papà, hai un’amnesia per caso? Ho quasi 18 anni.
C: lo so, ma rimani la mia bambina.
Alexis roteò gli occhi.
A: allora?
L: si veniamo anche noi, non è vero?
Guardò eloquentemente Esposito e Ryan che però sembrarono non capire.
La donna diede così una gomitata ad entrambi.
E/R: ahio!
E: beh, si certo, veniamo subito.
La stanza si svuotò in poco tempo, mentre Lanie lanciò un ultimo sguardo preoccupato all’amica.
Castle li osservò uscire sorridendo.
C: qualcuno dovrebbe dirgli che sono veramente pessimi.
Beckett sorrise.
B: già, e per fortuna che sono dei poliziotti.
Nella stanza ripiombò il silenzio.
C: perché stai così lontano? Vieni qui.
L’uomo battè la mano sulla parte del letto, invitandola a sedersi.
La donna sembrò incerta, ma iniziò ad avvicinarsi.
Castle sorrise.
C: allora.. come stai?
Beckett lo guardò.
B: non dovrei essere io a chiederlo?
C: beh, l’ho fatto prima io, per cui rispondi.
L’uomo aveva notato la stanchezza e la tristezza sul volto della musa, stranamente contratto per il nervosismo.
B: ci sono stati giorni migliori.
Sorrise delicatamente.
B: tu piuttosto?
C: benissimo, qualche giorno e sarà di nuovo pronto e scattante per tornare al distretto.
A questa parole Beckett si gelò.
Castle la osservò attentamente e le prese la mano.
C: Kate, tutto bene?
La donna non rispose.
C: ehy?
B: Castle.. non devi tornare al distretto.
Castle sorrise quasi sollevato.
C: ma te l’ho detto.. prima mi rimetterò e solo allora tor-..
B: no, Castle.. intendevo che non devi più tornare.
La donna alzò gli occhi solo in quell’istante,  trovando lo scrittore completamente spiazzato.
C: ma.. cosa dici?
B: Rick, per favore. È arrivato il momento di chiudere questa cosa. Qualunque cosa fosse.
Castle le lasciò di botto la mano.
C: che c’è? Mmm.. ti sei stufata?
L’uomo iniziò ad alzare il tono di voce.
C: ti sei stancata del noioso scrittore che ti segue ovunque? Ti sei stancata dello stupido scrittore che si farebbe ammazzare per te?
Questo era troppo anche per lei.
Beckett iniziò a piangere, singhiozzando.
B: no, Rick, non mi sono stancata, il problema è che me ne sono innamorata.
Si alzò velocemente dal letto.
B: buona fortuna Rick.
C: Kate! Kate aspetta..
La detective era già uscita, lontana ormai da quella stanza. 




p.s. o mamma... non mi sembra vero.. ce l'ho fatta ad aggiornare!!! :D
mi scuso per il ritardo esorbitante!!!!!!
allora, come procede???
vi piace???
vi sembra un buon proseguimento???
beh, fatemi sapere.. :) sono accettati, consigli, critiche.. qualunque cosa.. ;)
un bacione..
Bea:)

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Capitolo 5
*** wounds ***


Si sentiva così debole, così impotente.
Le sue forze erano quasi inesistenti, ma niente lo avrebbe fermato.
Doveva alzarsi da quel letto e raggiungere Beckett prima che se ne fosse andata.
I lunghi fili sembravano tenerlo al guinzaglio e, nonostante il cervello imponesse ai suoi muscoli di muoversi, di fatto non si era spostato di un millimetro.
Si sforzò fino a riuscire finalmente a mettersi seduto.
Già così la testa girava vorticosamente e il respiro arrivava mozzato, quasi avesse salito una rampa infinita di scale.
Si prese qualche secondo e cercò di alzarsi, ma la ferita iniziò a tirare violentemente, quasi come se la pelle si strappasse ad ogni minimo movimento.
Sapeva di doversi fermare, ma non lo fece.
Non questa volta.
Continuò a sforzarsi, finchè una fitta più forte delle altre lo obbligò a bloccarsi, mentre le lacrime iniziavano a premere su quelle pozzanghere blu.
Il dolore era così intenso che anche il resto della stanza era diventata un realtà distante anni luce.
Notò solo distrattamente l’aprirsi della porta, finchè una voce in quel momento più stridula di quanto l’avesse mai sentita lo fece voltare immediatamente.
Alexis lo osservava con quelle iridi blu, offuscate dalla paura.
Semplice e primitiva paura.
A: papà!
Mise le sue mani sulla bocca, soffocando il pianto che stava per esplodere.
A: mettiti giù.. per favore..
Si avvicinò velocemente, abbassando lo sguardo.
A: Stai sanguinando..
Le lacrime ormai solcavano le sue guance.
A: per favore.
Castle la osservò e riconobbe tristezza e senso di colpa.
Nonostante il dolore, l’uomo strinse i denti.
C: io voglio alzarmi.
La ragazza lo raggiunse e con le lacrime agli occhi avvicinò le sue mani alle garze ormai sporche di sangue.
Le sue mani tremavano e non  seppero toccare il padre.
A: lasciala andare papà..
Alzò finalmente lo sguardo e Castle comprese quanto in quel momento fosse necessaria la sua richiesta.
La voce di Alexis si ridusse ad un sussurro, accompagnata dalle lacrime.
A: lasciala andare.
Lo scrittore sentì qualcosa rompersi definitivamente dentro il suo cuore davanti a quella visione di pura fragilità.
L’amore e il timore dietro quelle parole gli ricordarono ciò che era prima di tutto.
Un padre.
Si lasciò andare nel letto, mentre afferrando il polso della figlia, la fece avvicinare.
Alexis si sdraiò accanto al padre e lasciò che le carezze dell’uomo la calmassero come quando da bambina si svegliava in piena notte per la crudeltà del signore degli incubi.
Quel contatto fu lenitivo per entrambi, sperando che la loro vicinanza potesse bastare a curare le loro ferite.
 
Il caso sembrava ad un punto morto.
Erano passati 5 giorni dalla loro visita a Castle.
Erano passati 5 giorni da quando della vecchia Beckett erano rimaste solo le rovine.
La donna aveva passato al distretto ogni singolo giorno, ogni notte a ripassare vecchi file, a studiare nuovi risultati, a interrogare sospetti inutilmente.
Niente.
Non avevano assolutamente niente.
Beckett era entrata ormai da un po’ in caffetteria, piena di documenti e cartelle.
Esposito e Ryan entrarono silenziosamente nella sala relax, quasi con la paura di rompere quel sottilissimo equilibrio che sembrava tenere ancora in piedi la donna.
Ryan bussò leggermente sulla stipite della porta.
R: ehy Becks.
La donna si voltò con un sorriso forzato e stanco.
B: ehy.
E: allora hai deciso?
Beckett annuì silenziosamente.
B: ho bisogno di staccare un po’. Almeno un paio di settimane. Ho preso tutti i documenti, le foto. Tutto. Per qualsiasi cosa vi ho lasciato il numero del nuovo cellulare.
I due annuirono, non potendosi trattenere dal tentativo di tranquillizzare la donna.
R: li prendiamo.
E fu lì che la videro.
Gli occhi della detective tornarono vivi, illuminati da una luce che le donò un alone di sfida e di crudeltà.
Era la luce della vendetta.
L’avevano privata di sua madre, l’avevano privata del padre per troppo tempo, l’avevano privata della sua vita e, ora che stava tentando di riemergere, ora che ce l’aveva finalmente fatta, l’avevano privata dell’unica ancora di salvezza.
B: puoi giurarci. Fosse anche l’ultima cosa che faccio.
Sapevano che sarebbe ricaduta nel vortice che l’aveva inghiottita tempo fa, ma questa volta non potevano aiutarla.
Aveva bisogno dell’unica persona che stava allontanando da sé.
Beckett li baciò su una guancia.
B: mi raccomando. Conto su di voi.
E: ehy, ma dicci almeno dove vai!
La donna li guardò, ma non rispose.
Si voltò e uscì dal distretto.
 
N: allora sig. Castle è pronto?
C: mai stato così pronto Nancy. Non ne potevo più di stare chiuso qui dentro.
L’uomo sorrise alla giovane infermiera, finalmente dimesso da quel freddo ospadale.
N: oh, di sicuro ce ne siamo accorti, visto cosa aveva combinato.
L’uomo si voltò verso la giovane.
C: oh, come farò senza di te Nancy?
L’infermiera scosse la testa.
N: beh, almeno sua sorella smetterà di essere così preoccupata per lei.
Castle puntò tutta la sua attenzione su Nancy che si rese conto di aver detto più del dovuto.
C: come hai detto?
La donna non rispose.
C: sorella? 





p.s. eccomiiiiiiiiiiiii.. :D
lo so, in straritardo..
allora, allora.. come vi sembra????
vediamo un pò.. secondo voi che sta succedendo????
beh, spero vi sia piaciuto..
un bacione.. :*****

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Capitolo 6
*** a cruel ring ***


C: come hai detto?
La donna non rispose.
C: sorella?
 
L’infermiera alzò lo sguardo sull’espressione a dir poco confusa di Castle.
N: beh.. quella bella ragazza che è rimasta qui fino a quando era incosciente e che è tornata a trovarla con i suoi amici non è sua sorella?
Nella voce della ragazza c’era un sottile tremolio.
Castle sorrise palesemente.
Non riusciva a crederci.
Kate Beckett si era finta sua sorella.
C: oh si Nelly. Scusami, ma non la vedevo da anni e mi ero quasi dimenticato com’era sentirla chiamare così.
Il sollievo rilassò i lineamenti dell’infermiera.
N: a dire la verità non vi assomigliate affatto, ma quando è venuta a chiedermi di tenerla informata l’ha fatto con una tale disperazione che poteva essere solamente una persona che prova per lei un affetto veramente profondo. E pensare che ho addirittura pensato che fosse la sua fidanzata.. che stupida.
Nelly si lasciò andare ad una fresca risata, mentre Castle la osservò spaesato in un primo momento.
C: posso farle una domanda?
N: mi dica.
C: Kat-.. cioè, mia sorella.. cosa le ha chiesto esattamente?
Tutta quella storia iniziava a farsi veramente strana per l’infermiera.
N: mi ha chiesto se potevo chiamarla per aggiornarla regolarmente sulle sue condizioni di salute. Non che ce ne sia stato bisogno.
Lo scrittore non capì.
N: ha chiamato tutti i giorni sua sorella. Sempre verso le 21 e 30, senza mai aspettare che fossimo noi a contattarla in caso di cambiamenti. Mi sembrava molto preoccupata.
Castle abbassò lo sguardo.
C: oh, capisco.
N: se devo dirle la verità sono rimasta molto sorpresa.
Lo scrittore la osservò incuriosito.
C: mi scusi, perché?
N: beh, era strano che sua sorella chiedesse a noi di informarla e non a vostra madre.
Questa era effettivamente una cosa strana.
Certo, Kate non era sua sorella, ma aveva sempre avuto un ottimo rapporto con la sua famiglia.
E allora, perché non chiederlo a loro?
Era veramente successo qualcosa?
Questa sensazione non lo abbandonava.
C: vede, nella nostra famiglia ci sono stati dei contrasti e quindi..
Lasciò la frase in sospeso, sperando si riuscire a convincere la ragazza.
N: oh si, si. Capisco. Ora capisco.
Non sembrò poi così difficile, anzi quell’”ora capisco” suonava come una conferma a qualcosa che aveva già intuito da fatti precedenti.
Castle sentiva il bisogno di sapere e capì che Nancy era probabilmente la miglior fonte.
C: non si saranno mica messe a litigare qui?
Vide l’infermiera tentennare sulla risposta, fino a quando la testolina rossa di Alexis si affacciò alla sua porta.
A: ehy papà, sei pronto?
Nancy e Castle si voltarono di scatto verso la ragazza.
L’espressione dell’infermiera sembrava colpevole, mentre quella dello scrittore impaziente.
A: è..è successo qualcosa?
Nessuno dei due sembrava voler rispondere.
A: ho capito, stavi di nuovo dando fastidio a Nancy.
L’infermiera sorrise, sollevata.
N: già! Non volevo dirlo, ma tuo padre è veramente un bambino.
Alexis rivolse uno sguardo annoiato a Castle, che a sua volta, finse uno sguardo colpevole.
A: forza, io e la nonna ti aspettiamo di sotto.
L’uomo sorrise.
C: arrivo subito tesoro.
Non appena la ragazza scomparve, l’uomo tornò ad attendere la risposta dall’infermiera.
Nancy però si limitò a sorridere.
N: buona fortuna sig. Castle.
C: Nancy, per fav-..
Le parole si bloccarono, rimasto ormai solo all’interno della stanza.
Per la seconda volta quel “buona fortuna” lo aveva lasciato da solo con milioni di domande ad avvolgere la sua mente.
Castle sospirò ed uscì dalla stanza.
Prese il cellulare e per quindicesima volta compose quel numero che ormai conosceva a memoria.
Per la quindicesima volta l’unica risposta che ottenne fu la voce metallica della segreteria telefonica.
Per la quindicesima volta lasciò un messaggio: “ Kate, per favore. Ho bisogno di parlati. Ho bisogno di vederti. Per favore.”
Per la quindicesima volta riagganciò scoraggiato.
 
La casa era rimasta chiusa per anni.
La polvere era ovunque, i teli bianchi coprivano i mobili in disuso da tempo.
La detective in tuta osservò tutto ciò con aria scoraggiata.
Sospirò, ma decise di andare a correre come sempre.
Si era svegliata più tardi del solito, essendo arrivata solo a notte inoltrata.
Nonostante questo, messa la tuta, si preparò ad uscire, ma prima di aprire la porta lo sguardo cadde sul mobile alla sua destra.
Appoggiato lì c’era il vecchio telefono, spento, silenzioso.
Eppure poteva sentirlo suonare distintamente.
Si disse che non avrebbe controllato se c’erano chiamate, ma sapeva che non avrebbe resistito a lungo.
Sospirò e andò a correre.
 
Erano passati due giorni dal suo ritorno a casa e Castle se ne stava immobile ad osservare il telefono che sembrava non voler squillare.
Aveva chiamato Gina, Ryan e perfino il sindaco.
Tutti ma non lei.
Alexis entrò nello studio del padre e lo trovò a fissare lo schermo nero del suo i-phone.
A: papà, io vado a scuola.
Non ottenne risposta.
A: papà?
Castle sembrò svegliarsi.
C: scusami tesoro, ero sovrappensiero. Ci vediamo stasera allora e buona giornata.
L’uomo sorrise, ma la ragazza lo osservò preoccupata.
A: a stasera.
Non era molto convinta, ma doveva riprendere la sua vita.
Non appena la porta si chiuse alle spalle di Alexis, Castle si alzò.
Doveva andare al distretto.
Doveva vederla.
Era diventato un bisogno fisico.
Si sentì un codardo nei confronti di sua figlia.
Non sapeva perché, ma non era riuscito a dirgli che sarebbe passato al distretto.
Prese la giacca e aprì la porta di casa, teso all’idea di incontrare la sua musa.
  




p.s. eccomi!!!!!
so che non è un gran capitolo, ma è necessario per quel che viene dopo!!!
spero che comunque vi abbia incuriosito!!! :)
e bravi a tutti quelli che ovviamente aveva capito chi era la strana sorella di castle..
un bacioneeee e buon halloween a tutti!!! :D

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Capitolo 7
*** looking for you ***


Le porte dell’ascensore si aprirono, lasciando a Castle la possibilità di osservare quel luogo che era ormai diventato una seconda casa.
Era ancora mattina presto e tutto sembrava essere avvolto in una calma surreale.
Prima di passare al distretto, aveva fatto tappa nella solita caffetteria, comprando due tazze di caffè, ancora calde tra le sue mani, illudendosi che bastasse un po’ quel liquido scuro per riportare tutto alla normalità.
Osservò la sedia vuota di Beckett e gli fu spontaneo immaginarla lì, concentrata su un caso o semplicemente immersa in quelle orribili scartoffie.
Ripensò alla telefonata di poco prima a Ryan.
 
C: ehy!
R: Castle come va?
C: tutto bene. Mi sto annoiando da morire.. senti, volev-..
R: se cerchi Beckett non è ancora arrivata.
Sentì la voce dell’ irlandese lo interruppe forse troppo frettolosamente, ma non gli diede peso.
Lo scrittore dall’altra parte sospirò leggermente.
C: non c’è problema, tanto sarei comunque passato.. voglio vedere come ve la cavate! E poi la aspetterò.. così esco un po’ da casa.
Dall’altra parte ci fu un momento di silenzio.
R: ascol-..
C: scusami, Ryan, ma devo chiudere. Arrivo tra 10 minuti!
Lo scrittore riagganciò quando arrivò finalmente il suo turno alla caffetteria.
Al distretto, invece, Ryan rimase per un secondo terrorizzato da quelle parole.
R: Esposito! Abbiamo un problema..
E raggiunse il collega nell’altra stanza.

L’applauso del distretto lo riscosse dai propri pensieri.
Era un uomo famoso ed era abituato ad essere al centro dell’attenzione, ma quella che stava ricevendo aveva tutto un altro sapore.
Aveva qualcosa di gioioso, ma rispettoso allo stesso tempo.
Proveniva da persone con cui aveva passato gli ultimi tre anni della sua vita e sentì di nuovo quella sensazione di gioia pura per il semplice fatto di essere ancora lì.
Di essere ancora vivo.
Li ringraziò velocemente, sorridendo appena e si diresse verso Ryan ed Esposito, ancora appoggiati alle loro scrivanie.
Passando davanti alla sua solita postazione però si fermò per un secondo, accarezzando delicatamente il freddo piano su cui aveva passato intere settimane.
Appoggiò delicatamente la tazza di Beckett e, rivolgendo un ultimo sguardo alla poltrona sedia vuota, riprese a camminare.
Ryan ed Esposito non poterono evitare di osservarlo in preda  al doloroso pensiero di quelle due anime troppo testarde per porre fine a quella strana lontananza.
E: ehy, bro!
I due poliziotti si avvicinarono, abbracciandolo.
C: ehy, allora non avete ancora mandato a rotoli questo distretto senza di me.
Ryan sorrise e mise la sua mano sulla spalla dell’uomo.
R: fidati Castle, siamo stati più efficienti del solito. Però non c’è che dire, si è sentita la tua mancanza.
Lo scrittore sorrise.
C: su questo non avevo dubbi.
L’uomo lasciò vagare il proprio sguardo sulla lavagna stranamente bianca.
C: non avete nessun caso?
E: per il momento sembra di no.
I due poliziotti si guardarono in silenzio, riconoscendo nell’altro la stessa paura per l’arrivo dell’inevitabile domanda.
Riuscirono a spostare la conversazione sulla sua guarigione, sui suoi libri, finchè non rimase altro che uno scomodo silenzio.
C: ragazzi, ma sono già le 10?
Ryan osservò l’orologio e annuì delicatamente.
R: già.. non dirci che sei già impegnato..
L’uomo sorrise.
C: no, ma tra mezz’ora devo tornare in ospedale per gli ultimi controlli.. solo che avrei voluto aspettare Kate, visto che non riesco più a contattarla.
Il sangue si gelò nelle vene dei due poliziotti e probabilmente tutto ciò trasparì perfettamente nei loro visi.
L’espressione di Castle si tirò all’istante.
C: è successo qualcosa?
R: no, è solo che faresti meglio ad andare..
Lo scrittore li osservò sorpreso.
Sapevano quanto fosse necessario per lui incontrarla.
E allora perché spingerlo ad andare via?
Esposito sospirò e tentò di spiegargli la situazione.
E: Beckett non viene questa mattina e neanche domani o dopo domani. Si è presa due settimane di ferie.
La faccia di Castle si rabbuiò.
C: oh.. non avevo capito. E deduco voi sappiate che non è raggiungibile in alcun modo telefonicamente.
Ryan abbassò lo sguardo, in difficoltà.
R: mi dispiace, ma vedrai che un po’ di tempo servirà ad entrambi.
Castle si alzò dalla sedia, sorridendo tristemente.
C: già, magari è vero. È meglio così.. ragazzi, io devo andare.. grazie di tutto.. ah e se volete bevete quel caffè, anche se ormai sarà freddo.
Avrebbero voluto fermarlo o trovare un modo per aiutarlo.
Si chiesero se aver rispettato la parola data alla detective fosse stata  una buona idea, avendo stampate nella mente l’immagine del viso spento di Castle e l’atona voce di Beckett che si trovava a due stati di distanza da lì.
 
La visita di controllo passò piuttosto velocemente.
Nelly notò la strana espressione dell’uomo, rimasto in silenzio per tutto il tempo, ma non volle indagare.
N: perfetto, sig. Castle. La ferita sembra apposto. Ci vediamo la prossima settimana, va bene?
Lo scrittore sembrò riscuotersi improvvisamente, sorridendo leggermente.
C: certo, Nelly.
Infermiera raggiunse la porta.
N: è sicuro che vada tutto bene?
C: si, non preoccupi, niente che non passi.. prima o poi..
La donna sospirò.
N: mi dispiace..
Nello sguardo di Castle si accese però una strana luce.
C: aspetti un secondo. Ho bisogno di sapere una cosa. Quando ha chiamato l’ultima volta mia sorella?
Nelly lo guardò spaesato.
N: il giorno delle sue dimissioni.. credo..
Ogni collegamento fu veloce nella mente di Castle.
Lui aveva iniziato a chiamare due settimane prima, ma il telefono era sempre rimasto irraggiungibile.
Lei aveva chiamato l’ospedale quasi tutti i giorni invece.
Come era possibile?
Lo scrittore afferrò gentilmente la mano dell’infermiera.
C: Nelly, aspetti. Ho bisogno di quel numero.
La donna lo guardò negli occhi e vi lesse un’urgenza sconosciuta, un amore più profondo di quello fraterno.
N: non è sua sorella, non è vero?
Castle negò leggermente con la testa.
Nelly sospirò.
N: mi metterà nei guai. Ne sono sicura..
I nervi di Castle erano tesi come non mai.
N: . ma mi aspetti qui.
Lo scrittore sorrise sollevato.
C: non la ringrazierò mai abbastanza.
N: già. E mi raccomando, non dica mai che quella non era sua sorella o saremo tutti in un mare di guai. Abbiamo dato informazioni ad.. ad una sconosciuta per lei.
Castle le strinse la mano.
C: non si preoccupi. Sono solo un fratello preoccupato.
La donna scosse la testa ed uscì di corsa. 





p.s. come sempre in ritardissimo..
cooomunque.. spero vi piaccia, nonstante sia un capitolo di passaggio!!!!
un bacione a tutti..
con la speranza di tornare a pubblicare un pò più velocemente!!!

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Capitolo 8
*** are you happy? ***


Quella mattina, la luce del sole entrava timidamente dalla finestra del suo studio.
I raggi si piegavano leggermente, riflettendo su quel sopramobile di cristallo abbandonato sulla libreria da non si quanto tempo, formando un arcobaleno improvvisato.
Un mite senso di calore cercava di avvolgere anche quell’uomo, fermo alla sua scrivania.
Tra le sue mani un foglio di carta ormai spiegazzato.
Lo lasciò lì, sul tavolo e lo osservò quasi con timore.
Aveva fatto di tutto per avere quel numero di telefono e ora non aveva il coraggio di usarlo.
Si perse ancora un volta in quei numeri, come se fossero loro a dovergli una risposta.
Castle sospirò contro se stesso, contro gli eventi, contro il destino.
L’ironico e ineluttabile destino.
Si alzò dalla sua scrivania e si diresse in camera sua.
Arrivò al piano di sopra, ma un suono soffocato lo fermò.
Era davanti alla porta della madre, ma riconobbe immediatamente la voce spezzata dai singhiozzi della figlia.
Sentì una morsa attanagliarli lo stomaco e si preparò ad entrare, ma la sua mano rimase immobile sulla maniglia e non spalancò mai quella porta.
A: è solo colpa mia.
Martha teneva tra le braccia quella giovane donna come fosse un piccolo angelo prezioso.
La cullava dolcemente, quasi ritmicamente, cercando di calmarla.
A: è solo colpa mia.
M: oh bambina mia, non è così.
I rossi capelli le coprivano il volto, ormai bagnato da quelle lacrime crudeli.
A: sta male.. e mi odierà.. perché è solo colpa mia.
Martha si sentiva impotente di fronte alla repentina caduta della sua famiglia.
Sentì le lacrime farsi strada nei suoi occhi, ma si impose di essere forte.
A: sono solo un’egoista. Sono troppo debole.
M: cosa dici bambina mia?
Ogni singhiozzo era una coltellata per l’uomo al di là della porta, privo della forza necessaria per entrare.
A: non ci sono riuscita. Non sono riuscita a sopportare di saperlo in pericolo. Ho messo la mia felicità prima della sua.. ma io non ci riesco. È l’unica persona che ho e.. ho paura di essere sola.. ho paura di perdere anche lui..
Si strinse ancora di più tra le braccia di Martha.
A: sta male.. lo conosco troppo bene.. soffre.. i suoi occhi sono come quelli di Kate dopo che..
Un singhiozzo la interruppe e non continuò.
La mano di Castle era ormai diventata bianca per la presa sulla maniglia.
La abbandonò lentamente e tornò nel suo studio.
Trovò immediatamente quel foglietto che non aveva fatto altro che fissare dal giorno precedente.
Lo guardò un’ultima volta e, sospirando, lo accartocciò, gettandolo nel cestino lì accanto.
I suoi occhi seguirono quel semplice pezzo di carta cadere lentamente, i suoi occhi seguirono una parte della sua vita svanire.
Due piccole braccia lo avvolsero di sorpresa.
L’uomo si voltò, sorridendo.
Accarezzò dolcemente quei capelli rossi che amava.
C: ti va di uscire un po’?
Alexis lo guardò con quegli occhi diventati di un celeste quasi trasparente.
Poteva leggerle l’anima, ma preferì non farlo.
Codardo.
Codardo ancora una volta.
I lineamenti di Alexis si distesero a quella proposta e annuì convinta.
 
Quella casa l’aveva salvata già una volta, parecchi anni prima, e sperò che anche questa volta la risollevasse.
Le parole della piccola Castle continuavano a rimbombare nelle sue orecchie, i suoi sensi di colpa le impedivano di dormire e le sue paure le acceleravano il cuore.
Si fermò ad osservare il sole ancora non del tutto alto.
Quel posto sembrava essere lontano dal resto del mondo.
Beckett si trovò riflessa in quell’angolo di finestra e sospirò.
Chiuse gli occhi per un momento e rivisse velocemente lo sparo, il sapore amaro nella sua bocca, il senso di nausea quando in quel bagno d’ospedale aveva ancora tra le mani il sangue di Castle.
Sospirò e lasciò che le nuvole trasportasse almeno per il momento i suoi pensieri.
Il telefono squillò.
Sospirò e andò stancamente a rispondere.
 
Quella mattina il tiepido sole era accompagnato da un gentile vento di maggio.
Da quanto non camminava con sua figlia nel parco?
Chissà, forse troppo tempo.
Cosa aveva fatto fino a quel momento?
C: ci prendiamo un gelato?
La figlia lo guardò di traverso.
A: a quest’ora?
C: e allora?
Sorrise innocentemente e per Alexis fu inevitabile seguirlo.
Una mano della ragazza però lo bloccò.
A: papà..
Alexis abbassò lo sguardo.
Castle la osservò in tutta la sua fragilità.
A: sei felice?
Incatenò i suoi occhi a quelli del padre, temendo la risposta.
Lo scrittore però sorrise dolcemente e accarezzò lentamente la guancia della figlia.
C: lo sarò.. e tu? Sei felice Alexis?
Perché ora niente importava più di questo.
Perché ora non aveva bisogno di sapere altro.
Perché ora si sarebbe occupato solo di questo.
Alexis sorrise e si strinse al padre.
A: lo sarò..
Castle baciò velocemente la testa della ragazza e la chiuse nel suo abbraccio.
C: andiamo, ho voglia di gelato..
 
La passeggiata aveva chiarito più di quanto non si aspettasse.
Suo padre era andato a farsi una doccia e le fu impossibile non entrare nello studio.
Si guardò attorno, quasi come se stesse invadendo lo spazio dello scrittore.
Raggiunse il cestino e subito spiccò il foglietto che cercava.
Si guardò attorno e lo afferrò.
Non ci ripensò perché sapeva che molto probabilmente avrebbe cambiato idea.
Prese una sciarpa e si preparò ad uscire.
A: papà io devo uscire.. ci vediamo stasera ok?
Sentì la risposta di Castle attutita dal getto dell’acqua.
Alexis afferrò la porta e prima di chiudersela alle spalle sussurrò, sorridendo.
A: ti voglio bene papà. 




p.s. capitolino, ma spero vi piaccia.. :)
allora.. cosa fa secondo voi Alexis???
che ne dite???
fatemi sapere.. ;)
un bacione.. :D

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Capitolo 9
*** frenzy ***


L’abitacolo di metallo continuava a salire, traballando leggermente.
Le porte all’interno facevano da specchio all’unico passeggero di quella corsa.
I numeri rossi in alto scorrevano, insieme alla salita di quell’ascensore.
Alexis guardò il suo riflesso deformato e sospirò.
Le mani continuavano a torturare quel foglietto ormai spiegazzato, ripiegato nella tasca dei jeans.
Le orecchie fischiarono leggermente durante la salita, facendola deglutire nervosamente, nel tentativo di tornare a sentire normalmente.
I capelli le ricadevano sulle spalle, incorniciandole il volto, teso, come ogni muscolo del suo corpo.
L’ascensore si bloccò e il leggero trillo dell’abitacolo la informò che la corsa era finita.
Le porte si aprirono davanti a lei, ma si permise di rimanere immobile per qualche secondo, facendosi travolgere da quell’aria di tesa frenesia che contraddistingueva il distretto.
Uscì lentamente e un leggero brivido le attraversò la schiena.
Sentì il bisogno di incrociare le braccia sul petto, come se servisse a proteggerla da.. beh, non sapeva nemmeno lei da cosa.
Per un’intera ora aveva provato a chiamare Kate, ma non aveva ottenuto risposta.
Sapeva che non era qualcosa di casuale, sapeva che la stava evitando volutamente per proteggere se stessa, per non lasciarsi travolgere di nuovo dal dolore da cui la piccola Castle non le permetteva di fuggire.
E così Alexis aveva deciso di andare al distretto, sperando di trovare ciò che stava cercando.
Agenti andavano da una parte all’altra del distretto con una fretta che per certi versi sembrava quasi ordinata.
Da una scrivania all’altra, da un ufficio all’altro, tutti con serie espressioni professionali che lasciavano poco spazio alle persone che effettivamente c’erano dietro a quelle divise da poliziotti.
Nessuno sembrò badare a quella ragazza dai capelli rossi che osservava quel luogo con aria persa, fatta eccezione per qualcuno che la salutò velocemente con un leggero movimento del capo.
Quella sorta di indifferenza permise ad Alexis di prendersi del tempo prima di fare ciò che temeva.
Avanzò di qualche passo e vide Ryan ed Esposito alle loro scrivanie impegnati in delle ricerche, a giudicare dalle facce insoddisfatte e insofferenti.
Le fu impossibile non abbassare lo sguardo ed arrossire bruscamente, nonostante fosse così lontana.
Sapeva quale era il rapporto che i due detective avevano con Beckett e con il padre.
Erano la grande famiglia del 12°.
Sapeva che avevano sviluppato un legame di reciproco affetto e protezione, dandosi completamente per aiutare l’altro, facendo cerchio contro le difficoltà.
Perciò, sapeva anche che in questo caso avrebbero fatto cerchio.. ma contro di lei.
Fece un profondo respiro e si avvicinò lentamente, combattendo contro l’impulso di tornarsene a casa.
 
Ryan ed Esposito videro Alexis Castle non appena le porte dell’ascensore si aprirono.
Un’espressione a dir poco stupida si era dipinta sui loro visi e uno strano senso di ostilità li colse impreparati.
Fermarono i loro sguardi per un po’ sulla figura della ragazza e la videro guardarsi intorno con un’aria insicura.
La videro abbassare lo sguardo e farlo vagare nel tentativo di trovare un po’ di sicurezza.
Comprensione, vicinanza.
Ecco cosa sostituì la loro ostilità.
Ed ecco cosa li spinse a far finta di niente, cercando di rendergli tutto un po’ più semplice.
Sentirono il suo passo leggero ed insicuro arrivare proprio davanti alle loro scrivanie e alzarono lo sguardo solo quando la ragazza tossicchiò leggermente.
Alexis Castle sembrava essere diventata veramente una donna.
Certo, era ancora molto giovane e insicura, ma brillava già nei suoi occhi la fierezza di chi nella vita lotterà fino all’ultimo per ciò che desidera realmente.
Un debole sorriso si fece largo sul volto ancora leggermente imporporato per l’imbarazzo.
A: salve detective.
Portò una ciocca dietro l’orecchio e abbassò lo sguardo, mentre Ryan ed Esposito puntarono tutta la loro attenzione sulla ragazza.
A: dovrei chiedervi un favore.
 
La saletta dove si erano spostata sembrava essere una pausa alla vita del 12°.
Esposito e Ryan erano appoggiati rilassatamente ad un mobile, sorseggiando una tazza di caffè, mentre Alexis aveva preso posto sul comodo divano in pelle, stringendo tra le mani un po’ di quella cioccolata che le era stata offerta gentilmente.
R: allora Al, come possiamo aiutarti?
Il tono del poliziotto sembrava gentile e ben disposto, cosa che in qualche modo sorprese la ragazza, che non riuscì a scorgere nessuna traccia di astio nei suoi confronti.
Alexis si schiarì la gola nervosamente, continuando a fissare il liquido scuro che ormai iniziava a freddarsi tra le sue mani.
A: vedete, oggi ho provato a chiamare la detective Beckett, ma non mi ha risposto.
Esposito diede un’occhiata veloce al collega.
La ragazza li osservò, intuendo i loro pensieri e decise così di spiegare un po’ la situazione.
A: mio padre è riuscito a trovare il nuovo numero di Kate, ma.. ma sembra aver gettato la spugna. Anche se probabilmente è.. di nuovo colpa mia.
Lo disse con un filo di voce, ma questo permise ai due poliziotti di capire quale  fosse la difficoltà della ragazza e quanto grande fosse il suo conflitto interno.
Divisa tra paura e senso di colpa.
Sospirò pesantemente, ma Esposito le si avvicinò, fino a sedersi accanto a lei.
A: devo riuscire a parlare con lei.
Alzò gli occhi e finalmente apparvero quegli splendidi occhi che in quel momento ricordavano quelli decisi di Castle.
E: wow..  beh..
Esposito cercò l’aiuto del collega, in difficoltà.
R: potresti provare a chiamarla da qui.
Alexis scosse la testa.
A: sapete anche voi che sarebbe inutile. Non parlerà con me.. o almeno non ora. Io però non posso aspettare... e soprattutto loro non possono e non devono aspettare.
I due poliziotti compresero l’urgenza di quelle parole, ma cominciavano a non capire il motivo di quella visita.
E: come possiamo aiutarti allora?
Ci fu un momento di silenzio, forse troppo lunghi per tutti.
A: devo sapere dov’è la detective Beckett..
Alexis sentì Esposito muoversi nervosamente sul divano e vide Ryan irrigidirsi immediatamente.
E: non si può.
La testa di Alexis si alzò di scatto, puntando i suoi occhi in quelli dell’uomo.
E: non si può perché noi non sappiamo dov’è.. anche volendo non potremo aiutarti.
Alexis spostò lo sguardo velocemente su Ryan, quasi in cerca di una risposta diversa, ma anche quello scosse debolmente il capo.
Un sorriso radioso però si aprì improvvisamente sul volto della ragazza che si alzò di scatto, sotto lo sguardo sorpreso dei due poliziotti.
Frugò velocemente nelle tasche e trovò immediatamente il foglietto.
Lo aprì e lo poggiò senza troppa delicatezza sul tavolo, mostrando quella serie di numeri scritti in fretta su quel pezzo di carta.
A: ecco..
Esposito e Ryan si avvicinarono, osservandola senza capire.
A: potete trovarla con questo.. giusto?
Ryan spalancò gli occhi.
Gli stava chiedendo di rintracciare il numero di telefono di una delle detective di New York?
Gli stava chiedendo di farlo senza alcun motivo giuridicamente valido?
Gli stava chiedendo di farlo senza alcuna autorizzazione?
R: no, no, no.. non si può, non si può..
Parlando velocemente, alzò gli occhi sul collega, sapendo che avrebbe trovato più o meno la sua stessa espressione.
Si bloccò.
Lo sguardo di Esposito non prometteva niente di buono.
Ryan allungò il braccio, puntandolo verso il petto del collega.
R: no.. non pensare a quello che stai pensando!
E: veramente..
Ryan andò velocemente alla porta e la chiuse, guardandosi intorno.
Si avvicinò ad Esposito e, abbassando la voce, lo fece allontanare da Alexis.
R: ti rendi conto? E poi che gli diciamo? ..”Oh, beh, guardi stiamo cercando una detective che è scappata di sua spontanea volontà perché una diciassettenne la vuole riportare dal padre, non è che potrebbe localizzarci questo numero? Ah, ovviamente senza nessuna autorizzazione..”
L’uomo gli afferrò il braccio.
E: Ryan, fermati.
E: si stanno distruggendo. Lo sa lei, lo so io e lo sai tu. E sappiamo che non riusciranno a salvarsi da soli. Ora la domanda è.. vogliamo aiutare una diciassettenne che a me sembra veramente disperata a tentare di rimettere insieme i pezzi rimasti di due persone distrutte?
Lo sguardo di Ryan corse alla scrivania vuota di Beckett e al volto teso di Alexis.
Sospirò pesantemente.
Esposito sorrise leggermente.
E: ti ricordi Annie? Potremmo chiedere a lei.. non credo che, se sarai tu a chiederglielo, farà storie..
Ryan lo fulminò e tornò da Alexis.
R: ascolta, torna a casa. Vedremo cosa possiamo fare e ti facciamo sapere, ok?
Alexis fece scorrere il suo sguardo indagatore sui volti dei due poliziotti.
L’avrebbero aiutata.
La ragazza sorrise con riconoscenza.
A: grazie.
Alexis si voltò e si diresse di nuovo verso casa.
 
C: che ne dici? Stasera ci vediamo “il Signore degli Anelli”? o proponi qualcosa di più sdolcinato?
A: niente cose romantiche.. e se facessimo un horror?
Castle osservò la figlia, rilassata sul divano e saltellò come un bambino.
C: ti adoro..
L’uomo si sedette pesantemente sul divano, quando la leggera vibrazione di Alexis li avvertì dell’arrivo di un messaggio.
La figlia si alzò di scatto e aprì l’sms con una certa fretta.
215 Summer Street, Hartford, Connecticut.. Buona fortuna Al. Espo.”
Alexis fece un sorriso soddisfatto.
C: tutto ok?
La ragazza raggiunse il padre e lo baciò sulla guancia.
A: certo, allora.. che film ci vediamo? 







p.s. incredibile.. ho aggiornato!! :D
scusate per il ritardo, ma ho avuto un blocco pauroso..
spero sia venuto fuori qualcosa di buono..
fatemi sapere.. ;)
un bacione a tutti.. :****

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Capitolo 10
*** i want him back - I parte ***


A: veramente??.. non ci posso credere.. si può fare quindi?
Rise rilassatamente, perdendosi nella vista del suo quartiere, immerso in una calma insolita.
A: ci sentiamo dopo, ok?.. ti amo anche io..
Chiuse la conversazione e rimase immobile per un secondo.
Castle si era fermato sullo stipite del suo studio, osservando la figlia persa in nella conversazione.
Il corpo era ormai quello di una donna, una bellissima donna e questo lo spaventava.
Lei rimaneva il suo angelo, rimaneva quella bambina con il tutu rosa e la coroncina, rimaneva quella ragazza che parlava al telefono con il suo ragazzo arricciandosi una ciocca di capelli presa completamente dalla sua ingenuità.
Lei rimaneva ciò che amava di più al mondo e soprattutto rimaneva ciò che doveva proteggere a qualunque costo.
Immerso ancora nei suoi pensieri, non si accorse che la figlia lo stava raggiungendo sorridendo.
A: che fai? Mi spii?
Lo scrittore sembrò riprendersi ed assunse un’espressione confusa e imbarazzata.
C: no.. no.. cioè.. ero solo venuto a dirti che è pronto..
A: tranquillo papà, stavo scherzando!
La ragazza sorrise e lo abbracciò, sorprendendo non poco il padre.
Quando si staccò, sul viso di Alexis regnava ancora quel sorriso aperto e genuino, quel sorriso che era in grado di ammaliare.
Castle la osservò, scuotendo leggermente la testa, divertito dalla situazione.
C: allora, cos’è successo?
La ragazza assunse una faccia ingenua.
A: perché me lo chiedi?
Castle fece finta di pensarci.
C: mmmh.. vediamo.. magari potrebbe essere perché stai sorridendo ininterrottamente da quando è finita la chiamata con Ashley e perché mi hai quasi strangolato con un abbraccio?
Alexis lo colpì scherzosamente su una spalla.
A: ok, effettivamente qualcosa c’è.
Lo scrittore la sorpassò senza aggiungere altro e si sedette sulla sedia che aveva da poco messo vicino alla sua scrivania.
Incrociò le mani sulle ginocchia e raddrizzò teatralmente la schiena, per mostrare il suo totale interesse.
C: prego madamoiselle.. mi dica.
Alexis roteò gli occhi e lo raggiunse, quasi in imbarazzo, giocando nervosamente con le dita.
A: visto che ormai la scuola è finita.. beh.. Ashley mi avrebbe chiesto di accompagnarlo a trovare sua nonna..
Castle sorrise dolcemente.
C: beh, mi sembra una cosa carina..
La ragazza abbassò gli occhi per un secondo.
A: per una settimana.. in Connecticut.
Un attacco di tosse  improvviso però colpì l’uomo.
C: una settimana.. in Connecticut.. tu e Ashley.. da soli.. senza di me?
Le guance di Alexis si imporporarono involontariamente e iniziò a parlare a raffica.
A: no, no, ma papà, non faremo.. niente di cui tu debba preoccuparti.. passeremmo solo un po’ di tempo da quella signora che chiede sempre di noi.. però se tu non vuoi va bene lo stesso.. e poi lo capisco, sono un’egoista.. tu stai male e io penso ad andare via.. dovrei rimanere qui.. anzi, ora lo sai che faccio? Chiamo Ashley e glielo dico.
Durante quel fiume infinito di parole, Castle aveva iniziato a sorridere di fronte all’imbarazzo incondizionato della figlia.
Si alzò e afferrò le mani fredde e sudate di Alexis.
C: ehy, calmati e respira. Al non devi pensare a me. Sono adulto, anche se spesso non sembra, e sto bene. È stato un periodo difficile per tutti ed è giusto che tu vada.
Alexis non perse nemmeno un secondo e abbracciò il padre con foga, nonostante una stretta le afferrò violentemente la bocca dello stomaco.
Purtroppo aveva imparato a riconoscere quella sensazione: senso di colpa.
Ancora nella presa della figlia, Castle cercò di finire.
C: ma ricorda, non fare niente di cui possa pentirti e sicuramente qualcosa che sai che io avrei fatto. Per favore.. non voglio.. non voglio ancora diventare nonno.. oh, cosa ho detto…
Lo scrittore fece una faccia inorridita, mentre la figlia gli baciò la guancia.
A: oh grazie grazie grazie. Allora oggi mi aiuti a fare la valigia, vero? Visto che partiamo domani..
In un attimo di attonimento di Castle, Alexis era già a metà scalata e sentì solo la voce attutita del padre.
C: DOMANI?????
 
 Aveva detto tutto ad Ashley.
Non se l’era sentita di partire da sola e soprattutto non avrebbe saputo cosa fare.
Ashley aveva approfittato per passare un po’ di tempo da sua nonna e questa la fece sentire un po’ meno in colpa per aver omesso davanti a suo padre un particolare di nome Beckett dal suo racconto.
Le poltrone di quell’aereo erano piuttosto comode e il posto accanto al finestrino la rilassava.
Fin da bambina aveva viaggiato molto con il padre e vedere il mondo dall’alto la faceva sentire leggera.
In quel momento ricordò con rimpianto quella sensazione e sospirò pesantemente.
Sentì una presa delicata sulla sua mano, così si voltò sorridendo leggermente.
Ash: andrà bene, vedrai.
Alexis annuì debolmente, cercando con quel gesto di rassicurare se stessa piuttosto che il ragazzo accanto a lei.
Si avvicinò ad Ashley e poggiò la sua testa sul suo petto, sperando di dormire un po’.
 
Il piccolo aeroporto era ben diverso da quello caotico di  New York e questo gli permise di trovare facilmente un taxi.
Ashley gli aveva scritto su un foglietto l’indirizzo di sua nonna, che abitava solo a 10min dall’indirizzo di Kate.
Aveva deciso di andare da sola dalla detective.
Doveva riuscire ad affrontarlo.
Salì sul taxi e inevitabilmente iniziò a ripassare il discorso che si era preparata da.. beh, non riusciva neanche a ricordare da quanto tempo.
Il tassista aveva anche provato a iniziare un minimo di conversazione, ma, dopo le prime risposte secche della ragazza, aveva desistito.
Il viaggio fu piuttosto breve.
Il paesaggio era quasi irriconoscibile, completamente diverso dalla grigia città.
La strada era piccola e quasi desolata, gli alberi incorniciavano le case in legno che il taxi superava velocemente.
Il verde era il colore che domava, la calma era quello che emergeva, il silenzio era il rumore che prevaleva.
Piccoli steccati bianchi si affacciavano sulla carreggiata e riuscì persino ad intravedere un’altalena nel retro di una casa, immaginando in quel luogo uno spicchio di quotidianità.
Finalmente l’auto iniziò a rallentare e, con un leggero fischio di freni, si fermò di fronte ad una casa bianca piuttosto grande.
Alexis sussurrò un grazie con un filo di voce e lentamente si chiuse lo sportello alle spalle.
Si fermò per un secondo di fronte al piccolo cancello ormai quasi completamente sverniciato.
L’erba era leggermente più lunga del dovuto, il porticato piuttosto grande, ma anche quello abbandonato al crudele passaggio del tempo.
Tre scalini la portarono di fronte alla porta, controllando il numero scritto lì accanto.
215”
Sospirò e più volte il suo dito indugiò davanti al campanello, non avendo il coraggio di premerlo.
 
 
Aveva definitivamente perso la cognizione del tempo.
Beckett si trovava in quella che molto tempo prima era stata la sua stanza dei giochi.
Quando era tornata in quella casa, parecchi anni prima, aveva sostituito tutti i mobili accuratamente scelti per lei con un nudo sacco da box, in parte consumato dai sui colpi.
Sapeva che probabilmente iniziava ad essere tardi solo grazie al dolore dei suoi muscoli.
Ad ogni colpo, diventato sempre più lento e meno potente, sentiva un dolore acuto che le attraversava tutto il corpo.
Aveva sempre trovato quel bruciore qualcosa di relativamente piacevole.
Questo infatti le permetteva di tornare a sentire sensazioni che scomparivano in momenti difficili.
Le gambe sembravano essere diventate incredibilmente deboli e incerte, le braccia terribilmente pesanti.
Il sudore le ricopriva la fronte e il respiro era accelerato.
Stava lasciando andare la frustrazione, la rabbia, il senso di colpa, il dolore.
Si era rifiutata di piangere ormai e così permetteva a se stessa solo questo tipo di sfogo, che in fondo non era niente male.
Il suo corpo si fermò quando il rumore squillante del campanello la raggiunse.
Si appoggiò al sacco che continuava ancora ad oscillare.
Fece un bel respiro e gridò un semplice “Arrivo”.
Molto probabilmente era la signora Middle, una donna che viveva lì da quando era bambina e che aveva sviluppato verso di lei uno strano senso di protezione.
Continuava a portarle biscotti, marmellate o qualunque cosa commestibile.
In effetti aveva perso alcuni chili.
L’appetito era improvvisamente scomparso, sostituito da un senso continuo di nausea che la perseguitava dalla sparatoria.
Si staccò dal sacco da box e traballò leggermente sulle gambe stanche.
Scese velocemente e aprì la porta,sorridendo tranquillamente, senza prestare attenzione alla persona che si trovò di fronte.
B: sig. Middle, non mi dica che mi ha portato altri biscotti.. di questo passo ingrasserò e diventerò una specie di mongolfier-..
Quando alzò gli occhi, non vide di certo la piazzata signora e il sorrise scomparve velocemente.
Davanti a sé, solo un’imbarazzata Alexis Castle.
La ragazza la guardò timidamente.
A: ciao Kate. 





p.s. mamma mia da quanto non aggiornoo?????
troppo, troppissimo..
quindi scusatemi tantissimo...
allora, come vi sembra???? so che non succede gran che, ma teoricamente doveva essere un solo capitolo, ma mi sono accorta che era diventato troppo lungo!!!!!
quindi diciamo che lo userò per mantenere un pò di curiosità prima del confronto.. ;)
spero comunque che vi sia piaciuto..
e prometto che il prossimo sarà molto più veloce e importante..
un bacione a tutti!!! :*

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Capitolo 11
*** i want him back-II parte ***


L’ingresso era piuttosto piccolo, ma molto accogliente.
Alexis era stata fatta accomodare in salotto, accompagnata da poche parole biascicate da Beckett, scomparsa immediatamente dopo in quella che doveva essere la cucina.
La donna si era sentìita improvvisamente stanca e, nonostante sapesse benissimo di non poter fuggire, tentò ugualmente.
Si rintanò in cucina per prendere bibite fresche.
Si appoggiò pesantemente al tavolo di granito che si trovava al centro della stanza e chiuse gli occhi, sperando di togliersi di dosso quel senso di nausea che era tornata a stringerle lo stomaco.
.. “credi che mio padre non sappia scrivere? Credi che è per questo che è rimasto con te per tre anni? Avete rischiato di morire, ha sempre fatto di tutto per salvare la tua vita e poi la sua. Hai lasciato che rimanesse accanto a te, senza dargli risposte, solo per saperlo vicino.”..
Riconobbe il senso di vuoto che la accompagnava da settimane.
Riconobbe la spinta delle lacrime suoi occhi.
Ogni singola parola era una coltellata inferta con brutalità nella sua anime.
..“Perché sei solo un’egoista. Hai finto di non vedere, hai finto di non sentire, ma soprattutto hai fatto finta di non capire. Tu non meriti una persona come lui…”
Fu come riaprire una ferita che iniziava solo ora a smettere di sanguinare.
Già, perché non si era chiusa, voleva solo essere dimenticata.
.. . “E ora è colpa tua se rischia di morire”..
La visita della piccola Castle aveva sconvolto di nuovo quel precario equilibrio che aveva voluto in tutti i modi ottenere.
Sospirò, sperando che i suoi occhi non la tradissero.
 
Il salone era la stanza più grande e più luminosa dell’intera casa.
Un grande divano dominava al centro, accompagnato da una singola poltrona alla sua sinistra.
Di fronte a quello c’era un vecchio modello di tv, apparentemente in buono stato.
Una grande libreria spiccava invece nella parete opposta.
I grandi classici sembravano critici scrutatori di quella casa.
Alexis si guardò intorno, fin quando non fu nuovamente raggiunta dalla detective.
La ragazza si fermò ad osservare leggermente la donna.
Stanca.
Questa fu la prima parola che le venne in mente.
Era dimagrita un bel po’ e i lineamenti sembravano essere diventati più duri e tesi.
Distolse lo sguardo quando, al suono della voce debole di Beckett, uno strano senso di inadeguatezza la sorprese.
B: qui c’è un po’ di tè freddo..
Alexis imitò la detective, sedendosi sull’ampio divano.
La stanza rimase in silenzio per un po’, mentre le due occupatrici sembravano interessate alle loro mani più che al loro incontro.
Beckett sospirò, quasi come segno d’esasperazione.
B: ascoltami Alexis, io non so perché tu sia qui, ma voglio solo dirti che se questa è una delle geniali trovate di tuo.. di tuo padre, beh, allora puoi tranquillamente tornare a casa e dirgli che non mi sarei aspettata questi giochetti da parte sua. Mettere in mezzo sua figlia… in questa situazione.
Aveva palesemente esitato nel nominare Castle, perfino senza dover dire il suo nome.
La ragazza comunque sembrò risvegliarsi a quelle parole.
A: no, no Kate. Mio padre non sa nemmeno che sono qui.
La detective la fissò con occhi sgranati, così Alexis si affrettò a chiarire.
A: cioè.. non sa che sono qui, nel senso di qui qui.. sa che sono in Connecticut..
Il nervosismo purtroppo aveva preso possesso della sua facoltà di fare un discorso coerente.
Beckett a quel punto non seppe cosa pensare, perciò rimase per qualche secondo in silenzio.
Si torturò le mani e alla fine, nonostante tutti i suoi sforzi, non riuscì a frenare quelle parole, che sembravano essere diventate un’ossessione.
B: e.. come sta?
Fu solo un sussurro, ma bastò per dare idea dell’’importanza di quella domanda.
La ragazza osservò la donna, ancora con lo sguardo rivolto al pavimento e mai come in quel momento, fu certa di aver fatto la scelta giusta nell’andarla a cercare.
Per il momento però,decise di non rispondere.
Avrebbe avuto tempo.
A: e tu come stai Kate?
A quelle parole la detective incatenò i suoi occhi a quelli di Alexis.
Purtroppo li sentì inumidirsi e perciò si alzò, raggiungendo la grande finestra, diventata l’unica via di libertà per la sua mente.
La ragazza non potè evitare di sentire la colpa farsi strada nel suo corpo, ma si impose di non piangere.
Si impose di essere forte per entrambe.
B: perché sei venuta qui Alexis?
Non la guardò, perché mai prima di allora si era sentita così fragile e mai avrebbe immaginato di doverlo essere di fronte ad una ragazza di 17 anni.
Sentì un sospiro alle sue spalle.
Sapeva che questo momento sarebbe stato necessario ed inevitabile, perciò lasciò che tutto accadesse nei suoi tempi.
A: ecco.. sono venuta perché dovevo scusarmi.. sono venuta perché volevo scusarmi.
Alexis si alzò dal divano e raggiunse Kate, rimanendo però alle sue spalle.
A: quel giorno, in ospedale, ho lasciato che fosse il mio dolore a parlare. Ho scaricato su di te la mia angoscia e ho detto cose che non avevo il diritto di dire.
Rimase per un momento in silenzio, per darsi un po’ di forza.
A: mi sono resa conto che purtroppo essere egoisti, quando si ama qualcuno, è qualcosa di terribile, ma inevitabile allo stesso tempo e io sono stata solo una stupida ad accusarti di questo. Già.. sono stata una sciocca perché io ero la prima ad esserlo. Ti ho chiesto di allontanare mio padre, ti ho chiesto di rinunciare a lui solo perché ero io quella ad aver paura. Quando mio padre è stato colpito, l’ho visto scegliere di morire per te senza nemmeno pensare alle conseguenze, senza pensare a me, ho visto crollare tutto il mio mondo, l’unica mia ancora, l’unico punto fermo, l’unica persona che so di amare incondizionatamente. E quindi ho cercato di preservarla. Quindi si, sono stata un’egoista. Mi sono resa conto di questo solo nel momento in cui ho visto cosa ho fatto veramente.
Si avvicinò di qualche passo verso la detective, che aveva iniziato a respirare sempre più velocemente.
Alexis sorrise debolmente.
A: ho lasciato che mio padre si annullasse per rendermi felice. Il mio padre bambino, quello sempre pronto a ridere, alla battuta, a fare di tutto per ottenere un sorriso, quell’uomo speciale che era non c’è più. È come se si fosse perso. Lasciato senza punto di riferimento, è diventato l’uomo che prima odiava tanto, quello apatico e rassegnato agli eventi, rassegnato alla vita. E tutto per colpa mia.
Quelle parole avevano attirato tutta l’attenzione di Beckett che incatenò i suoi occhi a quelli di Alexis, che ora più che mai, gli ricordavano quelli di Castle.
Quel mare azzurro era però turbolento.
Dolore, preoccupazione.
Tutto concentrato in quegli specchi dell’anima.
Gli occhi di Alexis si erano infatti velati dalle lacrime, a cui però era stato impedito di uscire.
Era evidente la fatica della ragazza per continuare, ma lo fece.
A: quindi, sono qui chiederti scusa, ma sono qui soprattutto per chiederti di.. di riportarmi mio padre.. rivoglio il mio papà bambino.. lo rivoglio indietro. Rivoglio quell’uomo speciale che era, rivoglio la sua speranza, rivoglio semplicemente la sua felicità, che solo tu puoi dargli.
Ormai le lacrime scorrevano sulle guance arrossate da Alexis, mentre il tono della voce era sempre più incrinato.
A: per favore Kate. So di aver sbagliato, so di averti fatto del male, anzi, di avervi fatto del male, ma ti prego, ti scongiuro, credimi.. lui ti ama come non ha mai fatto e a quanto pare per te è la stessa cosa. Perciò non lasciare che si perda del tutto, salvalo da se stesso e riportamelo indietro.
Anche sul volto di Kate iniziavano a scendere le prime lacrime.
Come poteva essere così debole?
Non seppe darsi una risposta, ma sentì solo che quelle parole avevano fatto vibrare per la prima volta dopo troppo tempo le corde della sua anima.
Alexis la guardò attentamente, nonostante la sua vista fosse leggermente appannata dalle lacrime.
Capì di non poter fare nient’altro, così si asciugo velocemente e si voltò.
A: io rimarrò in Connecticut per una settimana e, se non disturbo, vorrei tornare qui. Tu però pensaci, ti prego.
La ragazza non aspettò una risposta e si avviò verso la porta.
Solo a pochi passi dall’uscita, sentì la voce della detective, proveniente dall’altra stanza.
B: ci vediamo domani, Al?
La ragazza sorrise debolmente.
A: a domani, Kate.
 
Si chiuse la porta alle spalle e si sentì leggera, incredibilmente e meravigliosamente leggera.
Vide il taxi attenderla proprio lì dove l’aveva lasciata.
Si avvicinò e parlò al conducente.
A: mi ha aspettato qui tutto questo tempo?
L’uomo chiuse il giornale e sorrise.
T: certo, signorina. So riconoscere quando una persona non è di queste parti ed è in difficoltà, quindi mi sono permesso di aspettarla.
A: oh, la ringrazio moltissimo.
Alexis frugò nelle tasche e tirò fuori un indirizzo.
A: potrebbe portarmi qui?
T: certo, ma….. ma questo non è l’indirizzo della sig.ra Ford?
Alexis nel frattempo era salita, aspettando di ripartire.
A: si, è la nonna del mio ragazzo, la conosce?
T: oh, si! È sempre un piacere accompagnare una persona dalla sig.ra Ford.. ha sempre pronte delle ottime crostate alla marmellata di fragola.
La ragazza sorrise, mentre l’auto partì.
Parlò tranquillamente, quando il parco del piccolo paese attirò la sua attenzione.
A: mi scusi, ma cos’è quella specie di galleria di fiori..?
T: oh, quella? Quella è la casa degli innamorati. D’estate è bellissima, non trova?
Alexis la osservò ancora per un secondo e sorrise.
Scrisse un messaggio al padre: “Papà qui tutto bene, ma la sig.ra Ford mi ha chiesto se ti andrebbe di venire. Secondo me, sarebbe una fantastica idea, così potremmo stare un po’ insieme, ti toglieresti da casa e poi potresti tenere sotto controllo me e Ashley.. ;) chiamami appena puoi. Un bacio, Al.”
 
Beckett guardò il taxi allontanarsi lentamente e finalmente si sentì pronta a dare libero sfogo alle lacrime.
Finalmente sentì nel suo cuore un brezza d’aria nuova.
Sentì la possibilità di ridare a se stessa un po’ di tranquillità.






p.s. allora????????? com'è??? vi è piaciuto????
visto, non ho aggiornato tardissimo stavolta.. :)
secondo voi che vorrà fare Alexis????
si accettano scommesse.. ;)
beh, spero vi sia piaciuto, fatemi sapere..
un bacione..


 

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Capitolo 12
*** jasmine ***


Erano le 9.30 di sera più o meno quando salì su quel taxi che lo stava aspettando davanti all’aeroporto del Connecticut.
Sua figlia aveva pensato proprio a tutto.
E così, passando lentamente tra le strette strade di quel paesino sconosciuto, ma infinitamente accogliente, Castle sorrise, chiedendosi come era riuscito a farsi incastrare.
Oh già, la voce supplicante di Alexis.
Non c’era nessun appunto da fare.. quella ragazza era la degna figlia di Richard Castle, lo specialista in espressioni da cucciolo.
T: sa, credo di averla già vista.. la sua faccia non mi è nuova.
Lo scrittore staccò lo sguardo dal finestrino e sorrise spontaneamente.
C: in effetti me lo dicono in molti.. avrò una faccia comune.
Stranamente il non essere riconosciuto da quell’uomo, non gli provocò quel tipico pizzico di fastidio dato dal suo ego smisurato, ma solo un leggero senso di sollievo.
Ebbe quasi paura di se stesso.
Sentì l’auto fermarsi lentamente, perciò rivolse tutta la sua attenzione al luogo stabilito dalla figlia.
Per un momento credette di aver sbagliato.
C: mi scusi, ma è… è proprio sicuro che sia questo l’indirizzo?
Il tassista controllò attentamente il foglietto e annuì con convinzione.
T: si si.. è proprio questo signore.. ah, e la ragazza che ha chiamato ha detto che può tranquillamente lasciare le sue valigie qui. Le porterò io dalla sig.ra Ford.
Castle lo osservò con un pizzico di sospetto, ma accettò con gratitudine.
C: la ringrazio.. allora vado a cercare mia figlia.
Il tassista sorrise.
T: buona fortuna e buona serata.
Lo scrittore lo guardò con aria scettica, non riuscendo a comprendere il significato di quel saluto.
Si chiuse la portiera alle spalle ed entrò in quel parco, illuminato solamente dagli ultimi strascichi di un tramonto ormai finito.
Si guardò intorno, lasciandosi accarezzare dalla debole brezza di giugno.
Era impegnato ad osservare quel luogo, quando un messaggio di Alexis lo avvertì del suo ritardo.
Sospirò e decise di approfittare per lasciare che una valanga di ricordi lo portasse indietro nel tempo, forse persino troppo.
Si rivide da bambino a giocare un cavallino a dondolo, si rivide su un altalena con una ragazza, si rivide da uomo a spingere Alexis, che rideva felice, con i suoi rossi capelli sparpagliati dal vento.
 Si riscosse solo quando un profumo intenso lo raggiunse.
Gelsomino.
Sorrise e quasi involontariamente seguì la scia di profumo.
Arrivò di fronte ad una “galleria”, ricoperta da milioni di piccoli fiori bianchi.
Era uno spettacolo meraviglioso, reso straordinario da quell’aroma inconfondibile.
Castle chiuse gli occhi e lasciò che tutto il suo corpo godesse di quella sensazione.
Lasciò che quel senso di leggerezza gli ricordasse il sapore della spensieratezza.
 
Era passata una settimana da quell’incontro.
Beckett e Alexis si erano incontrate più volte da allora e avevano fatto si che le lacrime, i desideri, le paure, le gioie dell’una fossero la cura per i dolori dell’altra.
Avevano permesso a fiumi di parole di uscire in un flusso infinito.
Avevano permesso a se stesse di essere ciò che non erano riuscite a diventare nel mondo reale.
Nel mondo di tutti i giorni.
Quella sera Alexis aveva insistito molto per incontrarsi in quel parco.
La detective non era più tornata lì da quanto?
Troppo, decisamente troppo tempo.
Si voltò alla ricerca della sua altalena, quella su cui ogni mattina d’estate sua madre la accompagnava.
Rivide Johanna Beckett proprio di fronte a lei, a sorridere gioiosamente insieme ad una bambina di cui ormai se ne erano perse le tracce.
Kate spostò lo sguardo immediatamente, cercando di allontanarsi da quell’immagine di una felicità troppo dolorosa per quanto irraggiungibile.
Sospirò e, con in mano un piatto pieno di biscotti della sig.ra Middle, si guardò intorno, alla ricerca della piccola Castle.
B: Alexis?
Continuò a camminare, fino a quando giunse davanti alla “Casa degli innamorati”.
Sorrise ingenuamente.
Si, era proprio lì che aveva dato il suo primo bacio.
Maicol, un ragazzo piuttosto imbranato, ma molto dolce.
Le fu impossibile non vedersi a quell’età, le fu impossibile non rimpiangere quei momenti.
Inspirò un po’ di quel profumo che l’aveva da sempre incantata e si ricordò della coroncina che sua madre le aveva fatto da bambina proprio con i fiori di gelsomino.
J: come sei bella Katy. Sembri un bellissimo angioletto.
Si ricordò del suo sorriso e del caldo abbraccio nel quale si era stretta.
Troncò di nuovo la strada che la sua mente continuava ad imporle e si avvicinò all’arco d’entrata.
A: Alexis se qui?
 
Castle sbarrò gli occhi al suono di quella voce.
Era veramente arrivato a quel punto?
Era sicuro di aver sentito la voce di Kate.
Si guardò intorno, alla ricerca disperata della donna.
C: Kate?
Ebbe in risposta solo un lungo silenzio, interrotto dal canto irregolare della cicale.
Si passò stancamente una mano sul volto e decise di entrare.
 
L’aveva sentita.
Aveva sentito una voce troppo familiare.
Stava impazzando.
Beckett chiuse gli occhi per impedirsi di piangere ed entrò nella galleria, quando scorse in lontananza una figura avanzare insicura.
B: Alexis sei tu?
Le fu impossibile evitare il tremolio della voce, ma non se ne preoccupò.
 
Lo scrittore iniziò ad avere paura per se stesso e per la sua mente, ma decise di avvicinarsi.
C’era un’altra persona, ora riusciva a vederla.
Le linee di quel corpo erano però troppo familiari, i movimenti troppo simili a quelli che amava, le spalle dritte come quelle che troppo volte si era trovato a fissare, gli occhi troppo luminosi per non essere Quegli occhi.
Il suo cuore minacciò di fermarsi e il respiro mancò per un paio di minuti.
Restò in silenzio finchè uno spiraglio di luce illuminò la faccia della persona che ormai lo stava raggiungendo.
Riuscì a dire una sola parola, con voce spezzata dall’emozione.
C: Kate..
La donna sentì ogni cellula del suo corpo reagire a quel richiamo.
Sentì ogni fibra del suo essere abbandonarsi alla vista di quell’uomo.
Sentì i suoi muscoli abbandonarsi alla tensione.
Riuscì ad incatenare i suoi occhi a quelli troppo blu dell’uomo.
Sentì il piatto dei biscotti cadere a terra, mentre lei continuava a rimanere immobile.
Sentì la sua bocca pronunciare un debolissimo “Rick..”, quasi inaudibile.
Eppure sapeva perfettamente che lui lo aveva sentito, che aveva visto le lacrime uscire dai suoi occhi senza nessun freno.
Lo sapeva perfettamente perché si ritrovò stretta tra le sue braccia, immersa in quel calore che non aveva più sentito dalla morte di sua madre.
Che non aveva più sentito da quando aveva smesso di amare.
Continuò a piangere afferrando con forza la camicia dell’uomo tra le dita, sperando di poter finalmente smettere di rinunciare a se stessa.
 



p.s. e dopo un tempo infinito eccomi di nuovo..
mi scuso per il ritardo e per il capitolo un pò corto, ma la scuola mi sta letteralmente uccidendo..quindi in attesa della santissime vacanze, vi lascio questo pezzettino, nella speranza che vi sia piaciuto.. :D
un bacione a tutti e grazie a tutti quelli che continuano a leggere, nonostante serva una pazienza infinita.. ;)

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Capitolo 13
*** i promise you ***


Castle non parlò, ma permise alle sue mani di accarezzare lentamente i capelli della donna stretta al suo petto.
Ripetè lo stesso gesto per un numero indefinito di volte, senza mai sentirsene saziato.
Ascoltò attentamente il respiro spezzato di Kate e lasciò che le lacrime della donna continuassero a uscire.
Non fece niente per fermarle perché sapeva che era il momento di affrontare le paure di una vita.
Sperò solo che il semplice essere lì, la rendesse più forte del suo passato.
Finalmente il petto di Beckett iniziò a muoversi regolarmente.
Solo allora la donna si distanziò leggermente dal petto dello scrittore, mantenendo basso il suo sguardo.
Un senso di vergogna e di fragilità la invase.
Si sentì intrappolata.
Le sue guance divennero rosse e i suoi occhi rimasero umidi, fino a quando Castle le sollevò gentilmente il mento, costringendola ad incatenare i loro occhi.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, sapendo che in quel momento stavano semplicemente godendo di quell’incontro.
La mano di Castle si abbassò lentamente, ma sul suo viso era spuntato una debole sorriso.
La detective lo osservò per un istante, prima di sentirsi costretta a distogliere lo sguardo.
B: come.. come sei arrivato qui Rick?
La voce tremava, rotta dall’emozione.
C: ero venuto a cercare mia figlia.. non immaginavo di trovare te..
L’uomo la guardò intensamente, studiando ogni particolare, riuscendo a leggere ogni espressione di quel volto.
Vedeva perfettamente i segni della sofferenza, segni che era costretto ad odiare ogni mattina davanti allo specchio.
C: e tu che ci fai qui Kate?
Il tono dell’uomo era neutro, quasi piatto.
Aveva paura di quella risposta.
Aveva paura perché la conosceva benissimo.
B: volevo solo stare un po’ lontano da New York.
La donna abbassò lo sguardo e si voltò, avvicinandosi alla parete di gelsomini illuminati dalla luna piena.
Castle rimase immobile, in silenzio.
C: non è vero.. tu sei scappata Kate.
Esitò per un momento.
C: Ma dimmi.. è servito?
Quel sussurro sembrava il grido di un animale ferito e dolorante.
Gli occhi della detective erano tornati a bruciare, ma non lasciò sfuggire nessuna delle sue lacrime.
Beckett rimase in silenzio, abbassando solo il capo davanti alla crudeltà della verità.
C: ho passato tre anni della mia vita a rincorrerti, Kate. Ho passato tre anni della mia vita a guardarti da lontano, sperando di raggiungerti un giorno, ma tu hai continuato a scappare.
Aspettò qualche secondo prima di finire.
C: Kate puoi fuggire da me anche tutta la vita, ma non puoi scappare da te stessa e dal tuo passato.
K: smettila! Basta..
La voce di Beckett era un grido strozzato.
Un grido di dolore, un grido di rabbia, un grido di frustrazione.
B: tu non capisci, vero? Guarda cosa c’è intorno a me Rick.. guarda..
Si voltò, guardando furente lo scrittore.
B: terra bruciata. Ecco cos’è. Tutte le persone che ho amato, tutte le persone che ho avuto accanto sono morte. Il mio passato è come un enorme buco nero che inghiottisce inesorabilmente tutto ciò che ho intorno. È troppo grande persino per te, per me.
Prese fiato, abbassando il tono della voce, come se tutta la sua forza e tutta la rabbia che la avevano animata fino a quel momento fossero scomparse per lasciare posto solo ad un’infinita stanchezza.
B: Quando.. quando ho capito di amarti, ho dovuto allontanarti. Quando ti ho visto praticamente morire tra le mie braccia, ho capito quanto fossi sbagliata. Sei più importante di quanto tu possa immaginare, ma ho paura. Ho paura che vengano a prendersi anche questo. Che vengano a prendere anche te.
La voce della donna era ormai ridotto ad un sussurro, mentre silenziosi singhiozzi le scuotevano le spalle.
Lo scrittore rimase a guardarla per qualche secondo, sentendo un senso di calore invadere il suo petto.
Si avvicinò in silenzio e raggiunse la donna.
Le sue braccia abbracciarono il corpo di Kate e il suo volto si fermò accanto all’orecchio della donna.
C: non lo faranno, Kate. Non lo faranno..
Il suo tono di voce assomigliava a quello che un padre usa con una bambina spaventata dai suoi incubi.
Beckett chiuse gli occhi quando il respiro dell’uomo sfiorò la sua pelle.
B: promettilo Rick. Prometti che non mi porteranno via anche questo.
Si sentiva così stupida e fragile.
Sapeva l’inutilità di quella richiesta, ma non le importò.
Le dita di Castle accarezzarono lentamente il corpo della detective.
C: te lo prometto. Non lo faranno..
Per una volta lasciò che la sua razionalità fosse messa a tacere dalla voce profonda dell’uomo che amava.
La ragione che gridava per quell’errore fu soffocata dalla volontà di credere a quelle parole.
Dalla disperata volontà di illudersi.
Beckett alzò lo sguardo e  guardò intensamente gli occhi di Castle.
Alzò le sue mani e accarezzò dolcemente la guancia dello scrittore.
E lo baciò.
Si, lo baciò come se fosse indispensabile, come se da quello dipendesse la sua resistenza.
Le loro labbra si sfiorarono cercando solo dolcezza, cercando solo un debolissimo contatto.
I loro sapori divennero uno solo per un momento, i loro respiri e i loro cuori andavano all’unisono, creando una melodia perfetta.
Conobbero in quel momento la bellezza di una sinfonia scritta solo per loro.
Si staccarono delicatamente, non abbandonando gli occhi dell’altro.
Bastava quello.
Il resto diventava semplicemente effimero.
B: vieni con me?
La voce della donna era risultata dolce, come forse non era mia stata.
Castle la osservò incantato, ancora confuso dal sapore di lei nella sua bocca.
Annuì.
Non sapeva dove lo avrebbe portato, ma non chiese niente.
L’avrebbe seguita ovunque.
Beckett gli afferrò la mano e le loro dita si intrecciarono facilmente, quasi come se quella fosse la loro posa naturale.
Uscirono lentamente dalla galleria e attraversarono il parco.
Il buio e il silenzio erano la loro compagnia, mentre la luna piena rimaneva vigile su quelle due anime perse.
La vita di quel paesino sembrava essersi fermata, il tempo sembrava aver smesso di scorrere solo per loro, solo per lasciare che le loro vite si incontrassero in quel modo surreale.
Camminarono insieme.
Camminarono mano nella mano, uno di fianco all’altro.
Gioirono, gioirono per quel minuscolo momento che sapeva di quotidiano, che sapeva di normalità, che sapeva di qualcosa che probabilmente loro non avrebbero mai vissuto a pieno.
Arrivarono a casa di Beckett.
Lo scrittore non osservò quel luogo come avrebbe fatto normalmente, troppo occupato a contemplare la bellezza della donna che finalmente sentiva di avere accanto.
Beckett lasciò andare la mano di Castle e aprì la porta.
Castle chiuse gli occhi, ma costrinse se stesso a fermare la donna.
Le afferrò delicatamente il polso, facendola girare verso il suo volto.
C: sei sicura Kate?
Gli occhi dell’uomo erano profondi come non mai, purissime pietre azzurre.
Beckett si perse per un secondo ad osservarlo e, soffocando la sua paura, si avvicinò lentamente al volto dell’uomo e lo baciò velocemente sulle labbra, senza emettere suono.
Quella era la sua risposta.
Questa volta non si sarebbe tirata indietro.
 
Solo in quella stanza, solo lì, iniziava a comprendere il significato della parola perfezione.
Il semplice sfiorare la pelle di Kate rendeva i suoi sensi intorpiditi, la sua mente sembrava liberarsi da ogni pensiero, concentrato solo sul battito violento del suo cuore.
Per la prima volta, Castle vide e sentì Beckett abbandonarsi completamente tra le sue mani.
Le dita della donna sfiorarono delicatamente la schiena dell’uomo, studiandone i dettagli, memorizzando ogni centimetro del suo corpo.
Per la prima volta, Kate non cercò di avere il controllo sugli eventi.
Per la prima volta preferì lasciarsi guidare.
Eppure, quando la punta delle dita della detective arrivarono in contatto con la cicatrice tutto si immobilizzò.
Lei si fermò.
Lui la studiò, spaventato.
Vide gli occhi di Kate assentarsi, tuffandosi in ricordi troppo vicini.
Castle provò una fitta di dolore, ma ora doveva combattere per la loro felicità, doveva combattere per se stesso, doveva combattere per lei.
Lo scrittore afferrò delicatamente la mano fredda di Beckett e la portò alla sua bocca, baciandola leggermente.
C: Kate..
La donna non prestò ascolto.
C: Kate non è stata colpa tua. Lo capisci?
Beckett alzò lo sguardo e indirizzò i suoi occhi umidi verso quelli decisi di Castle.
C: toccala. Tocca la cicatrice. Impara ad amarla, impara ad accettarla, impara a renderla qualcosa di speciale.
Con la mano ancora indecisa, la donna si avvicinò alla cicatrice e la sfiorò appena, ne tracciò i contorni, ne osservò la forma.
Castle la lasciò fare.
Continuò a baciarla con delicatezza, finchè capì che era arrivato il momento.
Finchè capì che anche Kate Beckett era pronta ad amare.
 



p.s. eccomi!!!!! diciamo che questo è il mio regalino di Natale un pò in anticipo.. :D
allora.. ammetto che ho avuto paura di questo capitolo.. perchè era voleva essere molto delicato e quindi spero vada bene con il resto della storia..
spero che vi sia piaciuto..
fatemi sapere cosa ne pensate.. ;)
un bacione..
... e TANTISSIMI AUGURI A TUTTI.. :D
mi scuso in anticipo per il futuro ritardo, visto che, molto probabilmente, le feste mi rallenteranno un pò.. :D
ciao ciao..

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Capitolo 14
*** and now it's time of rise ***


Solo una leggera luce sembrava entrare dalla finestra.
Il suo corpo era coperto da un leggero lenzuolo bianco, il suo petto era invece rimasto nudo, riscaldato dal capo e dalla mano della donna stancamente abbandonati su di lui.
Si chiese da quanto tempo non si svegliava in quel modo.
Tanto, forse troppo.
A dire la verità, molto probabilmente non lo aveva mai fatto.
Non si era mai svegliato con un cuore così gonfio d’amore, così pieno di felicità, così convinto di farcela.
Farcela nonostante tutto, nonostante le difficoltà, il dolore, la paura, l’ingiustizia della vita.
Farcela insieme.
La leggera luce gli solleticò le palpebre e quel profumo di ciliegie e semplicemente di lei gli accarezzò le narici.
I suoi occhi chiari e limpidi risposero a quel richiamo naturale e si concentrarono sul bianco corpo della donna accanto a lui.
Sembrava la perfezione, sembrava la Bellezza, sembrava finalmente la felicità.
La si cerca tutta la vita, la si brama e quando si ha così vicino si ha quasi il terrore di rovinarla.
Castle sorrise debolmente, mentre le sue dita accarezzarono quasi impercettibilmente la guancia di Kate Beckett, sua Musa, sua donna, sua metà.
Studiò il profilo dei suoi occhi chiusi, del suo naso, della sua bocca, delle sue spalle e del suo petto che si muoveva all’unisono con il suo.
Fu una bella sensazione.
Non volle svegliarla, ma le lasciò un leggerissimo bacio sulle labbra.
Si sfilò delicatamente dalla presa di Kate e, guardandola ancora per qualche secondo, scese al piano di sotto.
 
Da quanto era sveglia?
Oh, un bel po’, di sicuro da prima dell’uomo.
Aveva accarezzato la sua pelle, aveva studiato quel senso di calma che emanava in quel momento, aveva soffiato su suoi occhi solo per infastidirlo, senza successo.
Aveva sorriso davanti alla disarmante dichiarazione di resa del suo cuore.
E poi aveva visto i muscoli dell’uomo muoversi leggermente.
Decise che avrebbe aspettato.
Richiuse gli occhi e tornò a godersi il calore del petto di Castle.
Sentì il suo sguardo su tutto il suo corpo.
Una stranissima sensazione insieme a quegli occhi.
Ogni difesa costruita finì di franare, ogni strato del suo essere fu tolto per lasciare solo Kate.
 E si sentì improvvisamente inadeguata.
Ebbe paura di mostrare se stessa.
Quella che lui non aveva mai conosciuto.
O almeno era quello che lei credeva.
E poi quella carezza sulla guancia eliminò ogni timore, ogni minimo brusio nella sua testa.
Si strinse impercettibilmente più a lui, ma sentì il corpo dell’uomo allontanarsi con una delicatezza infinita.
Avrebbe voluto impedirglielo, ma non lo fece.
Sarebbe scappato così?
 
Finalmente si dedicò un po’ alla cucina.
Tutto molto.. bianco.
Sicuramente non era stata Beckett ad arredare.
Sorrise spontaneamente.
La conosceva troppo bene per non riuscire a capire che, in fondo, quel luogo era rimasto invariato dalla morte della madre, come un piccolo tempio, dove potersi illudere di tornare un po’ indietro, cercando di ricreare quelle domeniche d’agosto.
Si guardò ancora un po’ intorno e poi afferrò il telefono.
Immagino tu sapessi che non sarei arrivato ieri sera, non è vero tesoro?
Anche perché altrimenti avrei trovato la segreteria piena di tuoi messaggi.
Arrivo il prima possibile, ma ricordati che DOBBIAMO PARLARE figlia.
P.S grazie di tutto Al.
Inviò il messaggio sorridendo.
Si guardò intorno e si grattò la testa con aria confusa.
Lo distrasse solo l’arrivo della risposta della figlia.
Tranquillo padre, PARLEREMO. :P
Divertiti..
Era troppo intelligente per ingannarla.
Alexis sapeva esattamente che in quel momento Richard Castle poteva dirsi il ritratto della felicità.
Scosse la testa divertito e raggiunse nuovamente il frigo.
Incredibile.
Esisteva qualcosa di commestibile.
 
Doveva essersi appisolata mentre stringeva con forza il cuscino, perché la mano iniziava ad essere dolorante.
Non aveva più sentito alcun rumore e per certi versi questo le provocò un fastidio intenso allo stomaco.
Aprì lentamente gli occhi, abituandosi alla luce e focalizzando subito su quella parte del letto ormai vuota.
Sospirò, ma un rumore la bloccò.
Sentì solo il tintinnio di una tazza, probabilmente sulle scale, e un’imprecazione sommessa.
Castle.
Il suo imbranato e adorabile scrittore.
Non passò molto prima di veder comparire sulla porta della camera un’immagine piuttosto insolita dello scrittore.
Faccia ancora un po’ assonnata, capelli ribelli, un paio di boxer e una maglietta stropicciata.
Un sorriso radioso illuminato il volto di Kate.
Castle rimase sorpreso per quell’accoglienza, ma l’espressione della donna fu talmente dolce da contagiarlo.
C: buongiorno. Credevo dormissi ancora..
Kate si morse il labbro inferiore ancora sorridendo, estasiandosi per quel risveglio.
C: che c’è? dentifricio sulla guancia?
Lo scrittore fece un’espressione buffa e la detective non potè evitare di ridere.
B: tranquillo, niente dentifricio. E quello per chi è?
Castle rivolse uno sguardo al vassoio che aveva rimediato, quasi se ne fosse dimenticato.
C: oh, beh per me ovvio.
La donna lo guardò, scuotendo la testa divertita.
C: prego madame, questa è la sua petit-déjeuner.
B: ah però.. anche in francese. Lei mio caro scrittore ha parecchie doti nascoste.
Beckett sorrise, facendo posto all’uomo accanto a sé.
C: un attimo però..
La donna si voltò e l’uomo le rubò fugacemente un bacio.
C: mancava il bacio del buongiorno.
Beckett lo guardò maliziosamente e si avvicinò nuovamente a lui, approfondendo meglio quel bacio prima solo accennato.
Quel contatto fu più profondo e più sensuale del dovuto forse.
B: così è meglio, no?
Quando Beckett si allontanò, rise all’espressione ancora imbambolata di Castle.
B: che dici? Mangiamo?
 
Avevano finito la loro colazione e ora non rimanere che restare così.
Immobili, appoggiato l’uno all’altro.
Castle accarezzava distrattamente il braccio di Beckett, mentre i loro pensieri vagavano a migliaia di km di distanza, persi ad osservare l’ombra di quel grande ciliegio che ricopriva parte della finestra di fronte a loro.
B: ad un certo punto, ho smesso di sperare.
Castle non smise il suo movimento.
Nessuno dei due si mosse.
C: credo di averlo fatto anche io.
B: mi sentivo solo cadere,  cadere sempre più in basso, sempre più nel buio, senza appigli. Mi sono sentita così sola, così persa. È stata così tutta la mia vita dalla morte di mia madre, eppure da quando ti ho conosciuto mi era sembrato di tornare a respirare. Come se la mia caduta si fosse fermata. E invece alla fine.. ho dovuto rinunciare anche a quello. E ho ripreso la mia corsa verso il baratro. E se fosse solo un grosso errore, Rick?
Questa volta la donna cercò gli occhi di Castle, che non si fecero attendere.
C: non lo è Kate. Qualunque cosa succeda, ricordati solo una cosa.. non ho mai amato nessuno come sto amando te in questo momento, come ho fatto in questi tre anni e come farò per tutta la mia vita.. perciò fidati di me.. è ora di rialzarsi, Kate. È ora di risalire.
 




p.s. eccomi.. :D
lo so.. un ritardo mostruoso, ma le feste si sono fatte sentire..
beh, siamo arrivati alla fine.. siamo all'ultimo capitolo.. manca solo un piccolo epilogo..
allora, vi è piaciuta?????
fatemi sapere..
un bacione a tutti.. :*

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Capitolo 15
*** this calm is our adventure ***


C: ma manca ancora tanto?
Era la terza volta?
No, no.. probabilmente la quinta.
Erano partiti da solamente 5 minuti e lo scrittore non aveva fatto altro che sbuffare e lamentarsi.
Dovevano raggiungere la nonna di Ashley, ma Beckett aveva insistito per fare una passeggiata, vista la giornata meravigliosamente estiva.
Esisteva infatti una stradina secondaria, immersa in un immenso campo, ricoperto di ciliegi.
Un profumo particolare li avvolgeva e l’erba si piegava leggermente al loro passaggio.
Beckett osservò Castle, sorridendo appena e sorprendendosi per quella sensazione di calore che, dalla notte precedente, le riscaldava lentamente ogni centimetro del suo petto.
La detective scosse la testa all’ennesima lamentela e, aumentando un po’ il passo, si distanziò dallo scrittore.
B: Rick siamo partiti da 5 minuti e tu ti lamenti da 10. Mi spieghi come è possibile? Sei uno sfaticato pappamolle.
Lo scrittore si fermò all’istante, assumendo un’espressione maliziosa.
C: qui non si tratta di essere sfaticati, si tratta di essere mooolto stanchi per colpa di una donna moooooooolto esigente.
Le detective si voltò immediatamente con le guance appena arrossate e uno sguardo truce.
B: vorrà dire che questa donna mooooolto esigente ti farà riposare da ora in poi.
Fece per voltarsi, ma la risposta affrettata dell’uomo la fece scoppiare a ridere.
C: no, no, questo mai.
B: perfetto, allora muoviti.
Non passò neanche un minuto che l’uomo tornò all’attacco.
C: e poi mi fa male.
Subito Beckett rivolse un’occhiata preoccupata al volto di Castle.
B: la ferita?
Rick sorrise, scaldato improvvisamente da quella preoccupazione così spontanea e semplice.
C: no, no.. quella sta bene. È la mia milza che sta gridando pietà.
Se la mascella della detective fosse stata libera, sarebbe arrivata a terra.
Beckett roteò gli occhi e colpì la nuca di Castle con un leggero schiaffo.
B: mi chiedo perché continuo ad ascoltarti.
C: perché mi adori.
Il ghigno soddisfatto dell’uomo fece sorridere Beckett, ricordandole quanto in fondo le fosse necessario Richard Castle.
La donna si morse il labbro e si voltò.
Non lo degnò di una risposta, ma lo sguardo deliziosamente provocatorio bastò.
C: e poi sei sicura che questa strada porti dalla sig.ra Ford?
Beckett lo fulminò, bloccandosi.
B: Rick sei insopportabile.. veramente.. vengo in questo posto da quando avevo 5 anni e ho passato qui ogni estate da allora.. a 16 anni come credi che avrei potuto scappare di notte per andare da.. vabbè insomma.. conosco bene questa strada, fidati.
Castle aveva incrociato le braccia e assunto un’espressione indagatoria.
C: andare da?
B: ma niente su..
C: ti sembra il caso di raccontare di una tua vecchia fiamma al tuo uomo?
Beckett sorrise e si voltò, ma Castle le agguantò il polso, portandola gentilmente a sé, facendo aderire i loro corpi.
B: sei geloso delle mie fughe notturne di 14 anni fa?
Il volto di Castle si avvicinò a quello della detective, facendosi sfiorare appena le punte dei loro nasi.
C: mmmh.. chi lo sa..
La donna sorrise e finalmente fece toccare le loro labbra, abbandonandosi tra quelle braccia che ora sembravano il sostegno della sua vita.
Quando si staccarono, Castle aveva una faccia a dir poco soddisfatta e rilassata.
Continuando a camminare, l’uomo fece scivolare la sua mano in quella della donna, lasciando incastrare perfettamente le loro dita.
Nessuno dei due disse niente, consapevoli che proprio quegli attimi di normalità, di spensieratezza sarebbero stata la loro avventura.
 
C: non ci credo, siamo arrivati veramente allora?
Beckett si voltò con aria minacciosa e, senza degnarlo di una parola, suonò il campanello.
Castle continuò ad osservare la donna accanto a lui, rimanendo in silenzio per qualche minuto.
L’uomo riportò il suo sguardo sulla porta ancora chiusa e poi sussurrò come se niente fosse.
C: lo sai che ti amo, vero?
Quelle due parole, per quanto già dette, per quanto già adorate, colpirono la detective come un fulmine a ciel sereno.
Il tono semplicemente innocente di Castle o forse il suo pronunciarle quasi con distrazione rese la voce dello scrittore un suono meraviglioso.
Beckett infatti si voltò di scatto rimanendo immobile.
Castle la guardò e si limitò a sorridere, prima di rubarle un bacio fugace, giusto in tempo rima che la porta si aprisse.
Sig.ra Ford: ma è lei sig. Castle.. è arrivato finalmente! Che piacere incontrarla.
Una signora piuttosto anziana, ma dallo sguardo sveglio si era affacciata alla porta e sfoggiava un sorriso radioso, felice di avere compagna in abbondanza.
C: piacere mio sig.ra Ford.
Lo scrittore strinse la mano dell’anziana signora, con un’espressione rilassata, mentre alle spalle della sig.ra Ford comparvero Alexis e Ashley.
Gli occhi della piccola Castle studiarono velocemente la detective e il padre e finalmente si sciolse in un’espressione di pura felicità.
Sig.ra Ford: Alexis, ma non mi avevi detto di avere una mamma così bella e giovane..
Castle tossì imbarazzato, mentre Beckett guardò l’uomo accanto a lui in cerca di aiuto.
Alexis tentò di spiegare, mentre Ashley si copriva il volto con le mani.
A: no, signora, la detective Beckett è un’amica di papà..
L’anziana abbassò leggermente gli occhiali e studiò meglio la donna, assumendo un’espressione soddisfatta.
Sig.ra Ford: allora lei è una poliziotta.. ma che bello averla nella mia casa..
Anche per Beckett ci fu una stretta di mano energica, corrisposta con gratitudine.
Sig.ra Ford: ma su forza, entriamo.
 
La signora aveva portato ogni tipo di dolce fatto in casa, per la felicità di Castle, divenuto improvvisamente  il centro delle prese in giro delle sue due donne.
Con una faccia imbronciata aveva fatto scoppiare tutti a ridere, finalmente in un momento di totale abbandono della realtà.
Alexis si era fermata improvvisamente e la sua risata era stata sostituita da un sorriso veramente felice, nato solo dalla vista della rilassatezza del padre e dalla detective, diventata per lei un punto fermo.
La sig.ra Ford notò il cambiamento della ragazza accanto a lei e, stringendole la mano, la accompagnò nel suo sorriso.
L’atmosfera fu però interrotta dallo squillo del cellulare di Beckett.
Tutti si zittirono e Castle puntò la sua attenzione sulla donna, mentre quella continuava a fissare lo schermo immobile.
Era consapevole che rispondere avrebbe significato tornare alla vita di sempre, fuori da quell’atmosfera ovattata, da quella bolla di sapone che li cullava dolcemente in quel mondo quasi surreale.
Gli occhi di Beckett incontrarono per un momento quelli di Castle e bastò quel piccolo contatto ideale per lasciare che la detective trovasse la forza di un tempo.
Si alzò e rispose.
B: scusatemi..
Lo scrittore seguì il corpo della donna con lo sguardo, quasi a volerla accompagnare.
La detective non si fece attendere e dopo appena 5 minuti tornò in sala, con ancora il cellulare in mano e un’espressione quasi imbarazzata.
B: Rick, credo che dovremmo tornare a casa. O almeno io devo tornare, ma se tu vuoi rimanere ancora un po’ non c’è alcun problema.
L’uomo spostò i suoi occhi sulla figlia, che si limitò a scuotere la testa in modo complice.
Castle sorrise e si alzò.
C: sig.ra Ford, la ringrazio di cuore per averci ospitato e per aver ospitato Alexis, ma ora dobbiamo proprio andare. Si torna alla normalità.
La sig.ra Ford, Alexis e Ashley si alzarono e si avvicinarono ai due.
Sig.ra Ford: non si preoccupi sig. Castle, sua figlia è adorabile e lei e la sua amica ancora di più. È stato un piacere conoscerla e spero verrete a trovarmi presto.
C: lo spero, grazie ancora e arrivederci.
Castle salutò la figlia e lasciò poi il posto a Beckett che abbracciò Alexis.
B: grazie Al, io… Mi dispiace per tutto quello che ho fatto.. e spero  finalmente di riuscire a gestire tutto questo.
A: Kate, a me dispiace per tutto quello che ti ho detto, ma ora voglio ringraziarti. Grazie, Kate, me lo hai riportato indietro.. mi hai ridato mio padre.
Le due donne si staccarono e tornarono a sorridersi.
C: è ora di andare..
Lo scrittore e la detective uscirono, ma prima di incamminarsi Beckett afferrò il polso di Castle.
B: Rick, sarai con me?
Castle sorrise e sfiorò la guancia di Kate.
C: sempre.
 


p.s eccomiiiiiiiii..
lo so, vi chiederete che senso ha dopo così tanto tempo..
avete ragione, ma la scuola mi sta uccidendo.. :)
comunque, nonostante tutti i ritardi, la tristezza e il miele di questa fanfiction, spero che vi sia piaciuta.. :D
un bacione e grazie enorme a tutti quelli che hanno continuato a leggere..
un bacione..
e grazie ancora a tutti.. :D


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