Banette e il Bambino

di Il_Bardo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Custode Nero pece ***
Capitolo 2: *** Il Fumo dell'Incubo ***
Capitolo 3: *** La Fanghiglia ***



Capitolo 1
*** Il Custode Nero pece ***


«Un'alluvione sta invadendo quasi completamente i limpidi cieli di Unima, nemmeno gli aerei di ponentopoli riescono a resistere alla furia della natura, ...»
Era la voce di un giornalista in TV che stava descrivendo quello che stava accadendo quella sera.
A casa sua, a soffiolieve, un ragazzo dai capelli corti e sfilati color verde, stava per fuggire da un passato nero come la pece.
Stava ascoltando la televisione, mentre la voce del giornalista veniva soffocata dai rimbombi dei tuoni. Freneticamente girava per casa sua, preparando pozioni e tutto quanto potesse servire per il suo viaggio, mettendoli dentro uno zaino verde anch'esso.
Si diresse in garage, aprì la porta e si posizionò esattamente davanti ad un banco da lavoro, sul quale si trovava un braccio meccanico.
Ingranaggi di ogni genere, si intersecavano e costellavano quel braccio meccanico. La zona dell'arnese che sarebbe rimasta sopra la mano dell'utilizzatore, era protetta da falangi di accaio puro, e sul dorso di queste era inserito un display rotondeggiante.
"Poké-Pulsar" o solo "Pulsar", così l'aveva chiamato il suo inventore, che per costruirlo era partito da un vecchissimo progetto, trovato nella casa di suo nonno materno. Su quel pezzo di carta, il progetto della Cleptatrice, proveniente dalla lontana regione di Auros, fece saltare in mente l'idea al ragazzo, di costruirne una versione di tale marchingegno tutta per se, ma per scopi molto diversi:
Tale braccio meccanico, era in grado di svolgere molteplici funzioni, dalla più basilare, ovvero a contenere virtualmente tutte le pokéball dell'allenatore, a caricarle nel palmo della mano tramite forze elettromagnetiche per poi spararla, come un vero e proprio proiettile, e caricando la sfera, di una singolare energia elettrica quasi identica al Plasma, che sviluppava in modo nettamente superiore le capacità dei pokèmon che vi uscivano dalla sfera lanciata.
Un piccolo ventargenteo equivaleva ad una piccola tempesta di polvere.
Prese il pulsar sotto braccio e richiuse la porta scorrevole del garage, dirigendosi di seguito verso l'ingresso di casa. Nel mentre che attraversò il salotto, un fulmine ruppe la temporanea quiete nella tempesta, e provocò un blackout sia a soffiolieve che a quattroventi, nelle vicinanze.
Si infilò le scarpe da corsa bianche con striature rosse e verdi e indossò il suo giacchetto nero laccato. Tirò poi fuori una pokéball da un cassetto di un mobile nell'ingresso, e lasciandolo cadere a terra ne lasciò uscire una Zebstrika, che con l'energia elettrostatica illuminava seppur di poco, almeno l'ingresso.
Una volta pronto nei minimi dettagli, zaino verde sulla schiena, giacchetto nero perfettamente abbottonato e scarpe allacciate in maniera perfetta, posizionò il braccio meccanico sul suo arto destro, si avvolse il capo in un cappuccio di tessuto collegato alla giacca e aprì velocemente la porta, poi si voltò di spalle per rivedere Zebstrika.
Si tese verso di lei e le accarezzò il mento, coccolandola come un addio.
Sorrise, e uscì rapidamente, richiudendo però delicatamente la porta, continuando a sorridere a quella creatura rimasta sola.
Appena chiusa la porta perfettamente, si voltò di nuovo, e corse via, dirigendosi a quattroventi.
Mentre la sua silhouette grigia per la poca luce che filtrava in quelle nubi ancora cariche di pioggia, si allontanava, qualcosa si mosse sotto la tettoia di casa sua.
Evidentemente lui non vi aveva badato, ma una sagoma nera iniziava a disegnarsi sulla parete, sotto il tetto, evidentemente per ripararsi dalla pioggia.
Era un banette, la cerniera disegnava un sorriso immotivato sul suo volto, che si mosse verso il ragazzo in fuga, rompendo la sua impassibilità.
Come un serpente si districava nel sottobosco, quello spettro sembrava un angelo custode intento a seguirlo, ma era Nero.
Quel ragazzo stava scappando da un passato nero come il corpo dello strano Banette ad Unima?
fuggiva per il terrore di dover affrontare il suo passato, o era intento a trovare altrove un modo per sopraffarlo?
Vista la sua indole fredda e solitaria, per le poche persone che avevano avuto l'occasione di incontrarlo, Solo una cosa di lui sapevano, o forse nemmeno quella :
Il suo nome, era Brandon.

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Capitolo 2
*** Il Fumo dell'Incubo ***


I suoi passi erano oramai incisi su una lastra di marmo.
Non sarebbe più tornato a casa, conosceva il suo obbiettivo, forse non alla perfezione, ma di certo rimanere a Soffiolieve non lo avrebbe aiutato per mettere a tacere quelle strane voci spettrali che ronzavano nella sua mente come tarli instancabili, mentre questi ultimi rodevano il legno, quelle voci rodevano la sua anima.
Era oramai a Quattroventi, una città vicina a soffiolieve, detta anche " l'atrio delle scelte ": da lì partivano strade per ogni destinazione di Unima, da lì gli allenatori sceglievano la loro e continuavano il loro viaggio.
Lui aveva deciso di proseguire verso Levantopoli, passando attraverso Quattroventi.
Sentiva una voce più acuta ogni volta che rivolgeva il pensiero sulla città o la sentiva nominare da qualcuno.
Passeggiava fiacco nella piazza di Quattroventi, il braccio meccanico sembrava pesare avvinghiato al suo corpo, nonostante avesse una corporatura robusta ed agile.
Lo sguardo era perpendicolare al suolo, serio e imbrigliato in mille pensieri e preoccupazioni.
Mentre passeggiava, il sole si era già eretto nel cielo  e l'alba era già passata ed i primi abitanti del luogo uscivano dalle loro casette situate ai lati della piazza che era una specie di punto comune dove tutti si incontravano, sia per comprare prodotti nelle bancarelle del mercato ai bordi della piazza stessa, sia per incontrarsi e dar vita a lotte amichevoli a volte anche piuttosto interessanti. Non era raro trovare lì degli artisti di strada, che si esibivano in innumerevoli acrobazie aiutati da pokémon psico.
Brandon arrivato da sud di Quattroventi, proveniente da Soffiolieve, aveva già passato il mercato, le case di quelli del luogo e anche la maggior parte degli artisti.
Volse lo sguardo orizzontamente solo quando un fumo rosa iniziò ad appannargli la vista, fino a quel momento  sempre rivolta al suolo. In un angolo un po nascosto di Quattroventi, dove la luce faticava ad arrivare per via delle case delle zone sopraelevate, c'era un uomo.
Sembrava ai suoi occhi essere un artista come tutti gli altri ed infatti lo era, ma non si stava esibendo, al contrario era fermo e seduto a braccia incrociate, ma davanti a lui, la gente c'era comunque, attratti da qualcosa che sicuramente stava producendo quel fumo rosa.
Il ragazzo decise dunque dopo attimi di titubanza di avvicinarsi  con una fanciullesca curiosità, mettendo per pochi momenti da parte il suo groviglio di pensieri e il suo umore serio.
Dopo pochi passi già il fumo si infittiva e scorgendo tra le teste della poca folla raccolta a corteo davanti a quell'uomo perennemente seduto a terra in un angolo, volteggiava gentilmente un Munna rosa perlaceo, le cui macchie violacee del pelo formavano macchie simili a fiori. La sua piccola proboscide era la fonte di tutto quel fumo rosa, prodotto in gran quantità.
Girò la testa a destra e a manca per capire come mai quel fumo era talmente apprezzato dagli spettatori, non fece in tempo a riflettere che una nube piuttosto fitta sempre del classico colore rosa gli si avvicinò. Capì che quel Munna gliela aveva lanciata e vide anche gli altri averne una vicina alla faccia.
Mentre lui stava fermo ad osservarla con uno sguardo di innocente curiosità, gli altri la controllavano gesticolando con le mani, come stessero accarezzando una sfera di cristallo.
Il fumo in un certo senso era comunque influenzato da quei  movimenti, buoni solo a far scena, infatti seppur di poco le nuvole si mescolavano e rimescolavano, come per doversi rinnovare e lì M notò la straordinaria capacità che quel munna aveva:
Quelle nuvole di fumo rosa consentivano letteralmente di sognare ad occhi aperti, ricalcando con mano fedele i sogni che quella persona avrebbe fatto in futuro o aveva già fatto in passato.
" Forse devo 'accenderla' ?... " pensò ancora incuriositò il ragazzo.
Passati pochi secondi di indecisione decise anche lui di provare a osservare i suoi sogni: alzò all'unisono entrambe le mani, seppur quella destra faceva una lieve fatica per il Pulsar attaccato con lacci metallici, ed iniziò a girare e rimescolare la nuvola...
Poco prima di girare la nuvola iniziava a sbiadire ma non appena la toccò con le sue mani il colore tornò vivido e il fumo si arrotolava, sembrando incanalato in un turbinio infinito.
I suoi sogni sembravano in procinto di apparire dunque davanti ai suoi occhi spalancati per la curiosità, ma non ottenne nulla da quell'esperienza, anzi, una cicatrice, che sembrava essere una ferita proveniente da un passato di cui non aveva la minima idea e o  il minimo ricordo.
Diversamente dagli altri, con il passare dei secondi il fumo mentre si addensava, iniziava a colorarsi di una tonalità che andava dal rosa al rosa scuro, passando poi fino al violaceo e diventando infine nero, nero come il carbone.
Le sue voci riapparvero nella sua mente e non solo, perchè sembravano provenire anche dalla nuvola, 'incarnate' sotto la forma di corde color cenere sbiadita che provenivano dal centro della nuvola oramai completamente nera, come per uscirne e cercavano di raggiungerlo. Ogni voce proveniva da un filo diverso nonostante avessero lo stesso tono e sull'estremità di ogni filo, una faccia di un sorriso maligno ed orrendo si dipingeva.
" Perchè si sta trasformando in un incubo?... "  pensò sconvolto.
Il ragazzo spaventato a morte, colto come una spada che trafigge un disarmato non potè fare altro che potrarre le mani in avanti e con forza disperdere la nuvola di fumo agitandole, riuscendoci.
Quel fumo nero scomparve, così come quei fili, ma il ricordo di quegli incubi e di quelle voci più forti di come erano sempre state, sembravano aver aperto una cicatrice da poco richiusa, nella sua anima.
Spaventato dall'accaduto, cadde all'indietro nel tentativo di allontanarsi da quel luogo che era ormai ai suoi occhi il teatro di quella sventura e si rifugiò in una zona sopraelevata della piazza, sedendosi in modo composto su una panchina per evitare di attirare attenzioni su di se, consapevole della sua indole timida e diffidente.
Vide anche un uomo vestito in una strana maniera allontanarsi con una bandiera di svariati colori sotto il braccio.
Nel mentre, quel Banette che aveva addocchiato quel ragazzo la sera prima durante la tempesta, era fermo impassibile come il suo solito, nascosto sulla parete in penombra di uno dei palazzi di Quattroventi, che gettava proprio sulla zona della piazza sopraelevata.
La sua bocca era un ghigno immotivato, come sempre, ma se qualcuno lo avesse visto avrebbe pensato che quella bocca ghignava per un motivo ben preciso.
Si scollò dalla penombra della parete, attraversò i boschi e il sentiero che collegavano Quattroventi a Soffiolieve, ritornando nella cittadella da cui era già partitò, ma la sorpassò, giungendo fino alla spiaggia del mare che costeggiava ad est la stessa Soffiolieve.
Arrivato su quella riva, non si fece cruccio e si inabissò non troppo in profondità, fino a che non riusciva a scorgere qualche pokèmon acquatico girovagare.
Arrivato ad una profondità dove i pokèmon marini costituivano un traffico di corpi di colori di ogni genere piuttosto considerevole, aprì la cerniera che fungeva come fosse la sua bocca.
Era scritto su ogni enciclopedia che si rispettasse e su ogni pokèdex di ogni singolo allenatore:
Un Banette non può aprire la sua bocca, altrimenti la sua anima fuggirebbe dal corpo.
Sembrava non importarsene nonostante fosse consapevole anche lui del rischio di perdere la vita se avesse tenuto la cerniera aperta troppo a lungo, ma continuò imperterrito.
Una fila di creature simili a meduse della sua stessa grandezza si ' schierarono ' davanti a lui, come per rispondere ad una sorta di richiamo da lui fatto facendo sfuggire i lamenti della sua anima.
Richiuse la cerniera, affaticato e iniziò a volgere lo sguardo su tutti i Frillish che gli avevano risposto. Poi, dava una seconda occhiata uno ad uno i frillish ancora fermi con i suoi occhi,come per  implorare e chiedere l'aiuto a qualcuno.
Molti frillish se ne andarono e solo due ne rimasero, uno blu e uno rosa, il colore esprimeva il loro sesso.
Banette li fissò e loro continuavano ad essere indecisi e pensierosi con lo sguardo rivolto al fondale.
Il frillish rosa scuotè il capo e se ne andò rattristato, come scosso per una prova non superata ma per propria volontà.
Rimase il Frillish blu ancora titubante, ma pochi secondi dopo alzò lo sguardo che sembrò dire " non posso aiutarti.. " e invece, con una grinta improvvisa ricambiò lo sguardo di Banette.
 Banette fece dunque una cosa che nessun'altra creatura si sarebbe aspettato.
Aprì la cerniera che chiudeva a metà il suo dorso, tirandone fuori una strana fiamma nerastra che posò poi davanti a Frillish. Mentre si richiudeva la cerniera alle spalle con la mano sinistra ancora libera, il frillish con uno sguardo che simboleggiava la sua gratitudine e stupore, accolse fra i suoi tentacoli spettrali quella fiamma nera, facendola sua.
Era una parte dell' ' energia ' che l'anima di Banette produceva, come tutte le anime, ovvero parte delle amicizie, degli amori e degli affetti e di tutte le sue buone emozioni che Banette aveva provato nei confronti di qualcun'altro in passato, un pokémon, un umano, nessuno poteva saperlo all'infuori di lui.
Era una ricompensa quella, una Spontanea ricompensa per quel Frillish che tra i tanti ebbe la solidarietà di aiutarlo, Banette si era spinto fin sotto il mare per trovare un pokémon spettro che avrebbe potuto supportarlo, proteggendo Brandon, il ragazzo  cui Banette sembrava avere a cuore, anche se non aveva mai incontrato prima in vita sua. Sembrava non volersi rivelare agli occhi di Brandon..
Fuoriuscirono entrambi dall'acqua e velocemente levitarono di fretta tornando fino a Quattroventi con una grande foga attraversando il fogliame che saliva dalle chiome degli alberi, forse sperando che il sedicenne non se ne fosse andato.
Arrivati sulla piazzola, Banette fece un cenno per indicargli il suo protetto, e poi svanì tornandosene nella penombra dello stesso palazzo di prima, per osservare come si sarebbe evoluta la situazione.
Frillish oltre che pokémon d'acqua, era per metà spettro e gli consentiva quindi di rimanere anche fuori dall'acqua, svolazzando come un vero e proprio fantasma.
Si avvicinò con un lieve accenno di insicurezza al ragazzo che il banette gli aveva indicato, Brandon, che stava continuando a camminare per proseguire il suo viaggio verso Levantopoli, dove le voci spettrali nella sua mente si facevano più vivide e acute.
Lo raggiunse e colpì con delicatezza la sua schiena per attirare su di sè l'attenzione.
Una volta che Brandon si voltò, mostrò un volto felice ma ' graffiato ' dalla timidezza e sventolò i tentacoli per far capire qualcosa all'umano.
« Vuoi che io ti catturi?.. »
Lui confermò la supposizione con continui scuotimenti, « Sei tu che vuoi venire con me..?  »
 ma mentre pronunciò la seconda domanda si voltò, come se la risposta No gli fosse già stata data, anche se invece sapeva che la creatura gli avrebbe risposto Si, ma non voleva immettere nel suo viaggio creature che più avanti se ne sarebbero potute pentire, vista la difficoltà che sapeva lo avrebbe aspettato.
Il Frillish blu, con occhi leggermente accecati d'ira raccolse le forse e lanciò nella sua direzione un funestovento, folate di vento violacee che lo colpirono con forza e lo fecero cadere in avanti, sbalzato dall'urto.
Si rialzò e si voltò indietro, con la stessa ira del pokémon, ma ben più seria.
« Non ti voglio con me, più avanti potresti pentirtene amaramente della tua scelta!!.. »Nell'istante stesso che pronunciò l'ultima sillaba lo stesso timbro di voce di quelle che gli ronzavano in testa, per una volta nella sua vita pronunciò un sussurro con un senso compiuto, mentre prima producevano solo lamenti : «  ..Quell''amaramente', non esiste..  »
Frillish aveva comunque la determinazione nel suo sguardo ma si riavvicinò senza ostilità verso Brandon.
C'era un ponte tra lui e quel pokémon, che sembrava trasportare le loro emozioni e le loro parole, risparmiando loro il viaggio della voce:
Con quell'intesa, capì qualcosa in quel Frillish, che lo spinse a caricare quella Velox Ball sul palmo del Pokè-Pulsar predendola dal suo zaino per catturarlo, sapendo che la sua determinazione avrebbe protetto il ragazzo anche nel suo nero futuro.
Seguirono attimi di silenzio, poi riportò fuori il pokémon dalla velox ball e la immagazzinò virtualmente ponendola sopra al display rotondeggiante del suo congegno ' Pulsar '.
Decise dunque di riavviarsi verso il piccolo tunnel che lo conduceva alle porte della città di Quattroventi, un tunnel corto e simile all'entrata di una metropolitana per la tipologia di pareti, ma che aveva dall'altro lato il sentiero immerso nel verde che procedeva verso Levantopoli.
Una volta fuori, con Frillish al suo fianco nel silenzio più assoluto, volse lo sguardo all'orizzonte e quella coincidenza sembrò essere la medicazione esatta alla ferita aperta da quell'incubo avvenuto nella piazza di Quattroventi : Un altro suo coetaneo forse di un anno in più, con capelli lunghi e verdi di una tonalità di verde identica alla sua, un cappello nero e bianco sul capo, con alcuni gadget attaccati sulla cintura o su una collana. La maglia bianca limpida fece risaltare lo sguardo di quel ragazzo in lontananza che se ne stava andando, ma che  guardò indietro notando lo sguardo del sedicenne che lo osservava da lontano.
Gli occhi di entrambi si scambiarono uno sguardo di un attimo che ne durò dieci, simile ad una persona che osserva la propria figura riflessa, ma loro erano due persone diverse, ma simili oltre che per i capelli verdi,  anche un ideale, che loro avevano in comune, e che più tardi li avrebbe fatti incontrare...

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Capitolo 3
*** La Fanghiglia ***


« Frillish, concludiamo... ho di meglio da fare che starmene qui con questo 'allenatore' da quattro soldi ed inesperto »
Il frillish bluastro recepì l'ordine ed istantaneamente si sospirò a mezz'aria, pronto a lanciare l'ultima mossa. L'aria si faceva viola, coprendo di un velo di malinconia e tristezza l'ambiente primaverile e felice che li circondava.
Le spire di quel vento, che come un manto avanzavano verso lo scoiattolo dagli occhi rossi, si intrecciarono come la trama di una stoffa pregiata, formando una folata nerastra che, per l'impatto, respinse all'indietro il Patrat.
Si rialzò con un piccolo balzo, per poi zampettare rapidamente e fiondarsi sul frillish intento a prendere il respiro.
Gli incisivi producevano uno strano scintillio, simile alle scintille della forgia di un fabbro.
Scintille continue e repentine che si generavano e si spegnevano istantaneamente, sparse verso ogni dove.
A piedi pari fece un ultimo e lungo balzo per arrivare al Frillish, che scansandosi a sinistra, ne approfittò per colpirlo con un tentacolo, estrandone al contempo l'energia per recuperare.
Chinandosi in avanti volteggiò nell'aria fino ad arrivare rapidamente alle spalle del Patrat che inerme stava per subire l'ultimo attacco.
Il Frillish volteggiò un'ultima volta in verticale fino a riprendere la posizione eretta e generare continuamente bolle, bolle azurrine che riflettevano il cielo e si agglomeravano un una bolla più grande e un verso lamentoso e debole segnò la fine di quella lotta.
Il Frillish, vincitore venne richiamato nella sua sfera prontamente sparata dal poképulsar nelle sue vicinanze, evitando di ferirlo, ma semplicemente per 'riassorbirlo' all'interno.
Si coprì con il cappuccio nero e proseguì sdegnando l'allenatore di un saluto.
Le secche foglie marroni dell'autunno precedente rimpinguavano le chiome folte di nuove tenere foglie, che risplendevano al sole primaverile con tonalità di verdi  chiari.
I Petali dei fiori al suolo venivano sospinti dal vento, creando una vera e propria 'nevicata' primaverile.
Non era raro vedere qualche whimsicott volteggiare leggiadro, approfittando della brezza marina e non più gelida come lo era in inverno, proveniente dal mare vicino a Soffiolieve.
Mentre alle spalle di Brandon i più alti edifici di Quattroventi sparivano tra la boscaglia rinata, proseguiva verso Levantopoli.
Nemmeno lo sbocciare della primavera lo rendeva felice e non era altro che un punto nero navigare in quel verde mare di foglie e petali dei colori più disparati che ispiravano allegria, ma non per lui.
"come si chiamava.. ah sì N... quel tizio con quegli strani capelli verdi.. non è certo qualcuno che si vede tutti i giorni, ma non sembra nemmeno essere di queste parti. proverò a saperne di più di lui."
I primi tetti di Levantopoli si intrevedevano oltre il limite delle chiome delle conifere nei dintorni e riusciva ad individuare anche l'uscita da quel piccolo boschetto che a lui niente ispirava.
Gioia di rinascita, la natura risvegliarsi da un sonno gelido, argomenti a lui sempre interessati, ultimamente non gli facevano nè caldo nè freddo.
Passo dopo passo, il rumore delle sue scarpe che passavano sul terriccio morbido si mescolarono ad una dolce e calda melodia, proveniente dalla cittàdella in cui si stava recando.
I Suoni dei sassolini di ghiaia dello sterrato parevano i tamburi di quella musica che a poco a poco era sempre più udibile. Quando le fronde lasciarono spazio ai palazzi più o meno alti che svettavano a Levantopoli, si accorse che proveniva da un musicista, un uomo dai capelli lunghi e poco curati, con un paio di occhiali neri inforcati sul viso rinsecchito.
Le lenti nere rendevano difficile a Brandon capire dove posasse lo sguardo quel musicista che però era sicuro si fosse accorto del suo arrivo dal percorso 2°. Si trovava ai lati delle colonne all'entrata del  centro pokèmon di Levantopoli, proprio dove si doveva recare e per la timidezza deglutì a fatica, essendo costretto a passare proprio nelle sue vicinanze, e non aveva uno sguardo allegro nei suoi confronti...
Entrò nell'edificio mentre fortunatamente il cappuccio bloccava la visuale.
Quando entrò rilassò ogni singolo muscolo irrigidito per la tensione, intanto che attendeva la cura per il suo frillish fece un sospiro di sollievo piuttosto forzato.
Riprese in mano la pokéball e tornò sui suoi passi, ma non ebbe modo di alzare lo sguardo una volta uscito, che un tizio ingiacchettato di nero gli passò davanti, correndo verso una strada che portava alla periferia.
Diede qualche occhiata nelle circostanze e notò un cartello indicare il luogo in cui quell'uomo era corso. Doveva essere il cantiere dei sogni, un vecchio cantiere in costruzione per un laboratorio, ma i lavori non furono mai portati a termine.
Ripensò se quel tizio fosse collegato al malvivente di Quattroventi, ed in effetti la situazione era molto simile, quasi la stessa.
Vedendo la porta della palestra della città chiusa per ferie, non poteva fare altro che concludere la giornata catturando un'altro poco di buono, magari utilizzando i soldi della ricompensa per pagarsi un tetto sotto il quale dormire per le notti successive.
Camminò a passo accellerato verso quel luogo, inghiottito dalla boscaglia presente anche nei dintorni di quel quartiere.
Si districò tra i rami di qualche fitto cespuglio, notando una scena acquanto inconsueta :
Due membri del Team Plasma, la famosa banda di esaltati che si divertiva a portare scompigliò nei vicoli delle più grandi città di Unima, a terra, sanguinanti.
Il cappuccio azzurro che portavano era lacerato, e ferite da taglio dalle quali scorrevano piccole goccie di sangue ancora fresco, ricoprivano i loro bracci e torace.
A terra inermi, con davanti un Patrat, anch'esso ferito, aveva sicuramente subito la stessa sorte dei suoi 'compagni'.
Il tizio davanti a loro, che aveva causato quella carneficina era inusuale, mai visto:
Portava una giacca lunga e grigia, perfettamente abbottonata, abbinata ad un cappello color indaco che ne copriva in gran parte il volto, anche la lontananza giocò a sfavore di quello sconosciuto, rendendo a Brandon difficile la memorizzazione.
Il tizio che aveva inseguito, sempre vestito nella stessa identica maniera, aveva con sé, tenuto con entrambe le mani, un apparecchio che aveva una forma simile ad un radar, ma con comandi sicuramente differenti.
Sicuramente quell'apparecchio non apparteneva a lui.
Spostandosi non visto tra i cespugli, una delle colonne del cantiere mostrò ai suoi occhi il vero autore della carneficina : un Palpitoad, un rospo blu ricoperto da pustole azzurrine, più o meno imponente, si ergeva sopra le figure provate delle reclute a terra sanguinanti e del loro Patrat privo di sensi.
Brandon strinse la mano, mentre il  tessuto produceva uno strano rumore.
Un ghigno intravisto nell'ombra facciale di quell'uomo fu la goccia che fece traboccare il vaso della sua pazienza.
Uscì allo scoperto avventatamente, puntando il braccio meccanico verso quegli estranei.
La rabbia aveva preso controllo del suo corpo, mentre si preparava a sparare il colpo caricato, il suo Frillish.
I due uomini sussultarono alla vista di quel macchinario, cosa che lasciò perplesso anche lui.. "sanno qualcosa del Pulsar?!..." la voce scomparì poco dopo nella mente vuota libera e pronta a fare spazio alla rabbia che imperversava come un fiume in piena.
Indicarono lui come bersaglio al loro Palpitoad, che girandosi ebbe tempo di generare un cerchio d'acqua a metà del corpo che si espandeva come un vero e proprio vortice, fino a ricoprirlo d'acqua in ogni lato.
« Lancia quell'acqua, poi impastala alla fanghiglia! sbrigati bestiaccia!! »
Eseguì senza fiatare nemmeno un verso, lanciò l'acqua che dal nulla ingrandiva man mano il suo volume, fino ad originare un'inondazione vera e propria di un fiume durante una tempesta.
La radura del cantiere lì intorno era zeppa d'acqua, che il Palpitoad caricò completamente verso il ragazzo e il Frillish che uscì dopo il rimbombo dello sparo misto a rumori di piccole scintille elettriche.
Continuava a generare acqua, che sgorgava dal cerchio a mezz'aria intorno ai fianchi, con il passare dei secondi, l'acqua si trasformava in fango, addensandosi e mescolandosi fino ad una poltiglia che aveva ricoperto quasi tutte le fondamenta del cantiere, e inzuppato i paraggi.
Mentre quella marea di fango misto ad acqua si dirigeva verso dei due compagni, Brandon impartì fulmineo l'ordine a frillish, utilizzare un bollaraggio per diluire il fango e aprirsi un varco nella fanghiglia.
Eseguì sicuro di se, mentre il ragazzo riattaccò a correre verso i due del team plasma per soccorrerli.
Certo, un uomo di una quarantina d'anni, un malvivente, non aveva paura di picchiare un sedicenne che si immischiava nei suoi affari, tentò quindi di bloccarlo con qualche pugno, che Brandon prontamente schivò lateralmente.
« Frillish, atterralo con un funestovento, all'istante! »
Il pokèmon smise di produrre bolle e prima di essere sommerso dall'acqua densa e melmosa, lanciò una folata viola che velocemente arrivò verso l'uomo e lo sobbalzò, lasciandolo cadere a terra, insieme al suo assistente.
si avvicinò al due tizi del Team Plasma e tese loro la mano per aiutarli a rialzarsi, prima che l'altro uomo avesse avuto il tempo di anticiparli e stenderli tutti e tre.
Prese il patrat ancora svenuto fra le braccia e li aiutò a fuggire, recandosi dietro al frillish, che sembrava non trovarsi in grande difficoltà.
Il tizio riuscì ad alzarsi, ma subito un altro funestovento di frillish, impartitogli dall'allenatore lo atterrò di nuovo.
« Frillish, utilizza assorbimento e colpiscilo ripetutamente. voglio che tu gli assorba fino all'ultima goccia delle forze nel suo corpo! » Così fece, fluttuando veloce vicino a lui e tentando di colpirlo ripetutamente con i tentacoli, agitandoli ripetutamente.
Le macchie verdi stavano a significare che la mossa aveva avuto effetto e non sempre apparivano.
A destra e a manca, colpo dopo colpo riusciva a centrarlo, anche se non sempre e atterrarlo definitivamente, facendolo sobbalzare per qualche metro in dietro utilizzando Ombra Nottura, generando un ologramma due volte più grande del suo corpo, interamente d'ombra.
Palpitoad rialzandosi sbuffava per l'ira, agitandosi per generare tanta altra acqua e fango,  era spietato come chi lo comandava, che dietro di lui gli impartiva ordini.
Ne aveva generata molta in breve tempo, un'onda alta una buona quantità di metri si era eretta poco sopra le fronde più alte degli alberi nei dintorni.
Si stava ereggendo come fosse stata presa da una mano gigantesca ed invisibile, tirata verso il cielo. Non era altro che Palpitoad che aspettava il momento per rilasciarla e seppellirli sotto il fango.
Spietato, fino alla fine. Non fece attendere nemmeno una decina di secondi e l'onda riabbassandosi e chinandosi verso di loro, presagiva una fine tragica e sicura, per loro.
L'onda fangosa sommerse tutte le vicinanze, sembrando un mare in una foresta, fanghiglia alta pochi metri stava sommergendo ovunque fosse passata l'onda precedentemente, mentre quest'ultima si occupava di sommergere ciò che rimaneva.
Fuggirono, correndo in preda al panico, mentre l'adrenalina pulsava nelle loro vene, altro non potevano fare!
In quelle situazioni, tre feriti, un Frillish non ancora resistente ed esperto, un allenatore agli inizi ma sicuro di sè, cosa avrebbero potuto fare?!
Era quello che si chiedeva nella sua mente, urlando per la rabbia, ma la risposta arrivò leggera come sospinta dal vento.
Dietro le fronde, lì intorno, la stessa nera figura, apparve, mentre il nero del suo piccolo corpo si sovrapponeva alla corteccia di un'albero.
Ridacchiò con un ghigno che non prometteva certo nulla di buono, poi tese la mano verso Brandon, il ragazzo che sembrava intendesse proteggere per qualche motivo arcano.
Appena tese la minuscola mano, l'onda si immobilizzò.
Brandon alzò gli occhi notando quadrati trasparenti volteggiare sia a nord, che a sud, che ad est ed ovest.
Era proprio una distortozona, provocata da qualche pokémon per rallentare l'ondata.
Brandon sentì le sue gambe nettamente più leggere e ne approfittò per fuggire rapidamente il più distante possibile.
Il Banette, quella figura nera fra i cespugli, volteggiò fino a poter tenere d'occhio bene quello che accadeva dentro ed intorno alla distortozona che aveva evocato. Alzando la mano destra il fango che era nettamente più lento, ma si muoveva, si fermò del tutto.
Iniziò a riunirsi tutta la fanghiglia completamente, in un globulo rotondeggiante che dopo aver levitato per pochi secondi nell'aria, cadde a terra, spappolando la poltiglia rinchiusa.
"uno psichico..." pensò Brandon e i due del team plasma, ma non riuscivano a capire chi lo aveva utilizzato, non vedevano pokémon nelle vicinanze, ma solo i due loschi personaggi defilarsi tra i cespugli dopo aver ritirato il palpitoad misteriosamente a terra esausto.
Nell'osservarli, vide l'apparecchio che teneva il tizio nella sua tasca, alzarsi e fuoriuscirne, controllato da qualcosa, senza che l'uomo se ne accorse.
L'apparecchio volteggiò fino ad arrivare proprio davanti a Brandon che lo prese e lo assicurò nello zaino.
I Membri del team plasma, osservavano esterrefatti l'accaduto, commentando solo « Una lotta pokèmon, ma a me è sembrata un qualcosa simile ad una tempesta..."
Infondo non erano poi tanto esaltati questa banda di persone, pensò Brandon.
Indicarono il patrat che aveva già ricevuto le cure mediche, senza che nessuno dei tre, né Brandon ne quei due glele avessero sistemate, poi continuarono a parlare  « Abbiamo capito di aver sbagliato. Ma non possiamo, tenercelo, facci il favore di prendertene tu cura. ».
Senza avere il tempo di scegliere si o no, gli gettarono la pokéball del Patrat oramai guarito ma addormentato, e fuggirono, amareggiati.
Essia... pensò.
Raccolse la sfera e il patrat esausto e tornò indietro, ma nel mirare i dintorni lo vide.
Quel piccolo pokémon spettro che da tanti giorni prima lo seguiva e lo aiutava, come un custode, ma che sicuramente lo proteggeva da molto più tempo, per la prima volta si accorse di lui, e nel vederlo, gli riaffiorò un ricordo che non seppe spiegare.
Il Banette nel vedere che era stato visto, smise di ghignare, abbassò le mani e si dileguò nell'ombra delle fitte chiome.

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