My sweet Tomboy

di Kaderin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***



Capitolo 1
*** 1 ***




L’acqua calda le carezzava dolcemente il corpo e tutta la lunghezza dei suoi capelli corvini riflessati di un blu cobalto.
Akane era così orgogliosa di quella folta chioma che la faceva sentire così femminile.
Durante quegli anni di combattimenti, incontri e avventure, i suoi capelli si erano naturalmente allungati conferendole un aspetto più maturo e femminile.
Ricordando la volta in cui Ryoga, per sbaglio, mozzò la coda cobalto dei capelli della ragazza, le vennero i brividi. Aveva atteso anno dopo anno di raggiungere una lunghezza simile a quella della sorella Kasumi, per compiacere a quel suo primo lontano amore, se così lo si può definire.
 
Al solo pensiero di quanto fossero infantili le sue attenzioni verso il dottor Tofu, un sorriso divertito misto a uno sguardo un po’ imbarazzato, coloravano il suo volto.
Ma i motivi, anzi IL motivo per cui ora Akane curava tanto i suoi capelli era un altro. Arrossì violentemente a quel pensiero, al pensiero di lui.
Ranma.
 
 
Insolitamente parecchi mesi prima, Akane rifiutò decisa l’avvento delle forbici sui suoi capelli da parte della dolce Kasumi, che puntualmente ogni tot di tempo li spuntava facendoli mantenere della stessa lunghezza, l’intera famiglia che aveva assistito alla decisa negazione della piccola Tendo ne rimase allibita. Ranma in primis.
 
Dopo pranzo e quell’involontario annuncio, tutti i componenti della famiglia si erano allontanati a riprendere i soliti ‘impegni’ quotidiani, tranne i due futuri consorti.
“Davvero non vuoi tagliarli più?”
Era sembrato davvero sorpreso dalla decisione della fidanzata.
“Si, non c’è un motivo preciso, è solo che sono stufa di portarli così.”
Era un po’ arrossita da tutto quell’interessamento da parte del ragazzo, le era parso davvero insolito e non c’erano venature ironiche nascoste in quella sincera domanda, anzi piuttosto una mal celata curiosità.
 
Inavvertitamente l’espressione di Ranma diventò corrucciata, forse aveva notato il suo imbarazzo ed era pronto a beffeggiarla nuovamente, come di routine.
Lei stava già pensando a qualche dolce parolina da dedicargli di rimando.
 
“Dimmi la verità non è che vuoi far colpo su un ragazzo… insomma ha iniziato a piacerti qualcuno?”
 Rimase spiazzata da quella provocazione, non era proprio la presa in giro che si aspettava ma non era andata molto lontano dalle sue previsioni.
 
*Il solito idiota!
 
Irata dai sospetti che il fidanzato nutriva in merito a quel cambiamento, ma soprattutto perché aveva paura di dover andare incontro alla reale motivazione, che a stento riusciva a riconoscere a malapena a se stessa, gli inveì contro.
“Sei un vero idiota Ranma! Ma che razza di idee ti vengono in mente… e poi anche se fosse, non sono affari tuoi!”
Lo schernì guardandolo in cagnesco.
Il ragazzo infastidito da cotanta riservatezza prese volutamente a farla innervosire.
“Giusto, credo che tu abbia ragione vita larga. Figuriamoci se il tuo sex appeal può permetterti di avvicinarti a qualcuno… tsk! Impresa ardua.”
 
Ella sapeva che il ragazzo riusciva a essere maledettamente tagliente con le sue parole e di sortire sempre l’effetto desiderato, e quando esagerava, lo faceva alla grande, soprattutto con lei.
“Ma come ti permetti razza di deficiente!”
Un ceffone colpì il volto di un Ranma al quanto distratto dal ripetitivo tuffo della carpa nel laghetto di casa Tendo.
Lo colpì cosi forte da fargli quasi perdere l’equilibrio. In un secondo fu di nuovo perfettamente in piedi a urlarle contro qualche carineria da fidanzato modello, in merito ai suoi modi poco femminili, mentre vedeva la schiena della fidanzata sparire su per le scale probabilmente diretta in camera sua.
 
***
 
Uscì con un balzo aggraziato dalla vasca e dopo aver avvolto un telo intorno al corpo, si chinò ad asciugare qualche goccia d’acqua evasa dalla vasca durante a sua uscita.
In quell’istante la porta scorrevole del bagno cigolò nell’aprirsi, scoprendo mano a mano la sagoma maschile di un brunetto semi nudo coperto solo da un asciugamano legato in vita, con una buffa espressione imbarazzata che gli imporporava quel bel suo viso.
 
Divertita da ciò che stava accadendo, ricordò con un sincero sorriso sulle labbra le impacciate scuse che aveva appena udito uscire dalla bocca di Ranma, non appena si accorse che il bagno era ancora occupato dalla ragazza…
 
“Perdonami Akane, non volevo!”
 
…le stesse pronunciate alla porta della sua camera, il pomeriggio di un anno e mezzo fa.

 
 

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Capitolo 2
*** 2 ***


***
Ho deciso di precisare un piccolo particolare, credo di continuare a scrivere questa ff prevalentemente sotto il  punto di vista di Akane, nonostante in un primo momento abbia pensato di fare a turno per dare vita anche ai pensieri di Ranma ma credo sia più interessante e divertente per me in quanto donna immergermi di più nello scriverla.
Ora vi lascio al capitolo, buona lettura. Kade.

***
 
 
L’ultimo anno di liceo, si sa dovrebbe essere più impegnativo degli altri, segna la maturità dell’allievo sotto diversi punti di vista.
Ma queste normali considerazioni non possono essere accostate alla stravagante personalità del fidanzato. Lui non aveva nulla di normale, già a partire dal nome. Figurarsi approfondire il resto.
 
I suoi nervi erano già provati da ore, dato il poco interesse che Ranma metteva negli studi, a causa della brillante idea di aiutarlo a studiare quel tanto che basta affinché venisse promosso con una misera sufficienza.
I loro insegnanti avevano proposto ad Akane un metodo apparentemente semplice e poco impegnativo per raggiungere l’eccellenza nel voto finale che sarebbe scaturito alla fine del ciclo degli studi superiori: aiutare quel baka a finire questi, in maniera più o meno dignitosa.
L’importante doveva essere ‘finirli’.
Dopotutto si sa, Ranma eccelleva quasi in tutto, appunto, tranne che nell’ambito scolastico.
Ma Akane era sicura che alla fine ce l’avrebbe fatta.
Probabilmente con un arto rotto, ma sommariamente senza troppi sacrifici o ulteriori sofferenze, che fossero di natura fisica o psicologica.
 
“Non ne posso più, andiamo ad allenarci in palestra, ti prometto che ti farò vincere stavolta!”
Lesse negli occhi di Ranma sornioni e languidi, per uno stupido istante la speranza che essa cedette di fronte uno sforzo simile, di così tanto altruismo.
Illusioni.
La mora con una risata stanca e infastidita, lo terrorizzò prima, per poi lasciarlo senza una benché minima speranza di cedimento.
 
Si alzò accostò le tende della finestra, chiuse la porta e si adagiò comodamente sul suo letto con un libro dalla rigida copertina in mano, lasciandolo per modo di dire, solo con il suo quaderno e la fioca luce della abat-jour sovrastante la sua scrivania.
 
“Ascoltami bene, devi solo ripetere lo stesso procedimento che mi hai visto fare prima con quella serie di equazioni, non è difficile. Ma non lo capirai mai se non provi a farne una da solo. Concentrati, non è impossibile.”
Con rinnovata acidità, dovuta soprattutto all’esaurirsi delle sue energie lo congedò.
 
Sapeva bene lui però, come catturare la sua attenzione, anche se riconosceva non essere il modo ideale e più consono per farlo, quello.
 
“Sei cattiva! Sei rimasta una perfida e chiatta ragazzina, senza un minimo di sentimenti verso il prossimo… Non troverai mai una persona sana di mente che voglia sposarti, se non cambierai, te ne rendi conto? Non sei neanche carina!”
 
Era rimasto attonito a guardarla, mentre facendolo apposta, con noncuranza lei sfogliava le pagine di quel libro, ma dopo aver sentito quelle parole i suoi occhi guizzarono su di lui quasi a volerlo fulminare.
Era abituata ormai a quelle sue solite frasi monotone e tutte uguali, ma erano comunque un chiaro affronto alla sua persona.
 
Se poi si vuol mettere in conto l’essere pronunciate dal ragazzo di cui si è innamorate.
 
Ma doveva ammettere a se stessa che anche quella parte del suo carattere l’attraeva, le piaceva anche questo suo ambiguo modo di attirare la sua attenzione. Una cosa era sicura almeno, lo faceva solo con lei. Era una sorta di trattamento esclusivo, per quanto lo si possa ritenere tale, che lei sapeva quasi per certo significasse qualcos’altro oltre che ad essere apparentemente delle semplici offese.
Dopotutto anche lei gli riservava lo stesso trattamento.
E sapeva quale significato criptato dava a quelle mancate lusinghe.
 
“Tu invece credi di essere migliore di me non è così? Beh smontati carino perché ti sbagli di grosso… E forse quando te ne renderai conto sarà troppo tardi…” 
Le era sfuggita qualche parola di troppo, e rendendosene conto si pietrificò quasi boccheggiando sperando che l’altro non l’avesse notato.
La precisazione, suo malgrado, non mancò ad arrivare.
 
“Troppo tardi per cosa…?”
Stette una manciata di secondi a riflettere su cosa potesse rispondere senza compromettersi ulteriormente. Ma una semi verità era tutto ciò che riuscì a dire. 
“Per cosa… per renderti conto che stai sprecando il tuo tempo Ranma.”
 
Il ragazzo aveva l’aria perplessa. O quella di chi sa fin troppo bene il fatto suo.
“Sprecare il mio tempo a fare cosa?”
 
Continuava ancora con quelle stupide domande. Era terribilmente irritante.
 
Il codinato girandosi verso di lei, iniziò a scrutarla di sottecchi. Aveva l’aria di chi si fosse messo in difficoltà per ciò che aveva chiesto e su ciò che avrebbe potuto sentirsi rispondere, ma senza perdere quel cipiglio che lo contraddistingueva.
 
Non se l’aspettava però, non una così diretta risposta.
 
*Premuto un tasto dolente Ranma?!
 
Il suo aguzzo ingegno però, sorprese un po’ entrambi nel rispondergli prontamente sviando l’ostacolo.
“Sprecare il tuo tempo ad insultarmi! Non dovresti STUDIARE Ranma? Tu che dici…”
“Akane per oggi finiamola qui, ma prometto che domani ti sorprenderò.”
 
Aveva l’aria di risultare troppo serio, purtroppo, e soprattutto sincero.
Ma ciò che la fece desistere dal rimproverarlo fu quel suo impercettibile sorriso.
Non sorrideva con la bocca sorrideva con l’intero viso.
Anche quando pareva non farlo, Ranma per lei sorrideva semplicemente guardandola.
 
“Cosa stai leggendo testona?”
Balzò sul letto con una grazia degna di un artista marziale dei suoi livelli, facendo svolazzare semplicemente parte del lenzuolo su cui si accasciò e con un movimento decisamente svelto e volutamente esibizionista strappò dalle sue mani il libro.
 
Pride and Prejudice
 
“Razza di scemo mi hai fatto perdere il segno, contento?!”
Gli pronunciò l’ultima parola a pochi centimetri dal viso, pronta a sua volta a strapparglielo dalle mani.
 
Ranma non glielo permise.
Alzando il braccio in aria impedendole di riprenderselo, Akane perse l’equilibrio trascinandosi a terra insieme al fidanzato.
 
Qualche spanna più in la giaceva il libro aperto in due verso la pavimentazione in legno della camera di Akane, ma qualche spanna prima i ragazzi erano distesi in terra… l’una sull’altro.

 
 
 

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Capitolo 3
*** 3 ***


La mora per poco non finì col viso a baciare il pavimento. Fortunatamente l’agile corpo di Ranma evitando di sbattere a sua volta in terra, con un braccio sollevò il busto sorreggendo se stesso e la fidanzata, e con l’altro le cinse la vita assicurandola al proprio petto.
 
Ritrovato un minimo cenno d’equilibrio Akane cercò di issarsi in piedi, sperando che non si notasse l’imbarazzo che regnava sulle sue gote. Ma non vi riuscì.
Qualcosa le impediva i movimenti.
Un braccio. Del codinato.
Istintivamente alzò lo sguardo verso di lui, i suoi occhi le fecero tremare i propri.
 
Ecco, era in situazioni del genere che non sapeva proprio come cavarsela ad uscirne ‘illesa’. Ovviamente colui che dovrebbe preoccuparsi di li a poco, di questo problemino, doveva essere il fidanzato non lei, ma la sua preoccupazione era rivolta verso la sua incolumità mentale.
 
Il problema era solo uno. Sapeva uscirne solo in un modo. Gli avrebbe dato del maniaco, del pervertito molto più probabilmente e con un ceffone l’avrebbe spedito chissà in quale vicinato cittadino.
 
Ma non poteva continuare con queste manfrine. E poi se l’era già prefissato.
Avrebbe smesso di fare il maschiaccio. Anzi stava già cercando di smettere.
 
“Che fretta hai?”
 
Rimase allibita da tali parole, non sapendo bene come decifrarle, intenderle.
Poi un leggero dolorino prese a pulsarle lungo la caviglia destra, attorcigliata ad una gamba del fidanzato, e riuscì a distogliere l’attenzione da quelle.
 
“Ahi… non riesco a muovermi Ranma!”
Incontrò nuovamente il suo sguardo. Come lei si era imporporato, e non poco, ma anch’egli stava ‘resistendo’ a qualche misteriosa reazione composta da insulti o magari altro.
Glielo si leggeva in faccia.
 
Inconsciamente ringraziò i Kami per questo.  
 
“Lascia che ti aiuti!”
Con forza la strinse a se mentre si rialzò da terra. La adagiò facendola sedere sul letto, e prese a voltarsi stirando la casacca con le mani, con insolita urgenza.
 
Stava perdendo tempo.
 
Akane collegò subito quella gestualità a cosa realmente equivalesse.
Tra l’altro si era posto anche di spalle.
Doveva far calmare i bollenti spiriti, probabilmente.
L’avrebbe cercato anche lei un diversivo, doveva ammetterlo.
 
La mora si sentì improvvisamente presa da un esilarante spirito, pensando alle bizzarre reazioni del ragazzo, sfociando in una risata. Il fidanzato si voltò di scatto.
 
“Sei per caso impazzita adesso?”
“Il solito scemo.” Si rabbuiò.
“E allora spiegami cosa ti ha fatto ridere. Scema!”
 
Riprese a ridere, leggermente più forte di prima.
Ranma stava perdendo le staffe la stava guardando in cagnesco, possibile che si sia accorto che rideva di lui?!
Non lo faceva così perspicace.
 
Finì di ridere, capendo il malumore del fidanzato e lo fissò semplicemente sorridendo.
Ranma rimase di stucco, era pronto a fronteggiare qualsiasi attacco da parte della fidanzata, ma non uno simile, ne era certa. E nello scoprire tutto ciò, ne rimaneva sempre più divertita…e lusingata.
 
“Scusami, hai ragione tu a volte. Sono davvero maldestra.”
Il proprio sguardo si intristì un po’, diciamola tutta, giocandoci anche, ma in effetti si riconobbe in quelle sue stesse parole, non volendo tuttavia dirgli il vero motivo per cui era scoppiata a ridere.
 
“Avanti vieni qui, ti porto da tuo padre e credo che questo pomeriggio dovremmo far una visitina al dottor Tofu.”
 
Accennò un no con la testa, mentre Ranma ormai, apparentemente non volendo più a tornare di un colorito normale, si agitò per quanto possibile in maniera impercettibile, ma evidente.
 
“Posso farcela da sola, grazie.”
Quasi a dimostrargli per forza che non si sarebbe comportata come una delle sue altre fidanzate, pronte a tutto pur di tuffarsi tra le sue braccia, ma coscienziosa di non riuscire a sorreggersi in piedi per molto, lo fece comunque.
 
Come previsto dopo qualche secondo barcollò finendo di nuovo per cascare sul soffice materasso.
 
“Lo vedi, fai fatica a camminare! Figuriamoci se riesci a scendere le scale senza romperti una gamba. Si sei maldestra Akane, è già un passo avanti il fatto di averlo accettato.”
 
L’imbarazzo del ragazzo stava, purtroppo, svanendo lasciando il posto alle sue solite fattezze da duro e scontroso, mentre lei accettò con evidente disappunto l’essere soccorsa dal carismatico dongiovanni, avente come futuro sposo.  
  
 
 
 
Lo so potrebbe sembrare monotono come inizio e in effetti lo riconosco, ma sto cercando di far arrivare i due ad una certa situazione.
Nel corso della storia ci sarà una notevole sorpresina, ho in mente un seguito non molto comune e l'idea mi sta ispirando parecchio! Spero quindi di invogliare anche voi a leggerla.
Spero che anche questo cap sia stato gradito, per ora mi diverto a seminare imbarazzo complicità e un tocco di romanticismo che anche se in quantità maggiori che nell’anime non guastano mai.
 
A presto, Kade. 

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Capitolo 4
*** 4 ***


“Mmm no non così, schiaccialo un altro po’…”
 
Un tonfo sordo, quello di un pugno ben assestato ad un cuscino, precisamente, riecheggiò per la stanza.
 
“Ok ok così può andare.”
“Finalmente!”
Stizzito il ragazzo, le sistemò il piede infortunato su quel soffice lembo di tessuto mal trattato da egli esso qualche secondo prima, per poi lasciare la stanza congedandola, senza conferire parola.
 
Nonostante sbuffasse in continuazione c’è da dire che non la lasciava in balia di se stessa, neppure un attimo. Ma a quale prezzo…
Sembrava sempre indeciso su cosa fare quando la vedeva in difficoltà, quasi a sembrare che pensasse sempre ad altro quando si scontravano.
Questi suoi rari momenti di diffidenza non le piacevano affatto, sembrava quasi volerle nascondere qualcosa. 
 
Lo seguì con lo sguardo vedendolo scomparire nel giardino oltre il laghetto.
Non voleva assillarlo, anzi alla fine lo avrebbe anche ringraziato per le sue premure, ma non gliene lasciava mai il tempo.
 
La caviglia della mora necessitava amorevoli cure che non avrebbe mai ricevuto.
Dopo la brusca caduta in camera sua, e in seguito ad un’accurata visita del dott. Tofu, le fu saldamente fasciata, ricoprendo anche l’intero piede.
Le fu diagnosticata una distorsione.
La sua solita fortuna. Anzi, accortezza gli avrebbe suggerito qualcuno.
Un cipiglio nervoso iniziò a pulsarle sulla fronte dedicandosi per un attimo al pensiero di quel qualcuno.
Sempre il solito idiota, pensò.
 
Adesso secondo quanto detto dal dottore per ben due lunghe settimane sarebbe dovuta stare a riposo. Inutile dire che metteva continuamente sotto sforzo l’arto, camminando semi normalmente grazie all’aiuto di una stampella e di un codinato, continuando ad andare a scuola e senza mancare a nessuna delle sue attività extracurriculari. Forse in effetti stava giocando col fuoco, sarebbe potuta cadere e implicarsi naturalmente altri problemi, ma preferiva non pensarci.
In ogni caso avrebbe preso la situazione di petto. 
 
“Hai litigato un’altra volta con Ranma, eh Akane?”
Si era quasi dimenticata che a qualche centimetro da lei stessero giocando l’ennesima partita a shogi suo padre e Genma.
 
Ma non si stancavano mai?
 
“No papà sta tranquillo. Piuttosto quando torna Kasumi dal mercato?”
 
“Eccomi Akane, ti serviva qualcosa?”
Dicesi tempismo.
Il dolce sorriso della sorella maggiore riuscì a distrarla, le ricordava tanto la solarità e l’altruismo della madre, sempre amorevole con tutti.
Un po’ la invidiava per questo suo bonario ‘mi scivola tutto di dosso’.
 
“Kasumi, vuoi che ti aiuti con la cena? Mi sento un po’ inutile ultimamente… e poi sono stufa di starmene seduta qui.”
In un primo momento le sembrò che la sorella trasalì a quelle parole, ma accennò un si col capo, e avvicinandosi alla sorellina l’aiutò a sollevarsi.
 
“Akane mi devi promettere però che ti impegnerai solo con l’insalata oggi, d’accordo?”
Toccò a lei trasalire stavolta, anche Kasumi si preoccupava quando sentiva le parole cucina e Akane, nella stessa frase.
Come avrebbe potuto dimostrare a tutti loro un giorno che sarebbe migliorata con l’esperienza se quest’ultima non gliela facevano mai adottare?
 
Arrivarono in cucina e mentre Kasumi dopo alcuni minuti aveva già metà cena quasi pronta, a saltare in padella, lei non ricordava neppure dove si trovasse il tagliere per affettare l’insalata.
Giornata decisamente no.
 
Con non poca pazienza e dopo diversi tentativi, riuscì a portare in tavola qualcosa di commestibile, preparato con le sue mani.
Fu una piccola soddisfazione personale, soprattutto dopo esser venuta a sapere che avrebbe cenato con loro anche la madre di Ranma.
Fiera di se stessa quasi stesse portando tra le mani un trofeo, si avvicinò al tavolo e vi poggiò la ciotola contenente il cibo, con poca, dovuta al goffo e al momento unico modo di camminare che le imponeva la distorsione, grazia.
 
Nabiki sudò freddo di fronte quella visione.
“L’hai preparata tu Akane?”
Alla domanda della media delle Tendo, seguì lo sguardo di tutti incentrarsi su di lei.
 
“Non guardatemi così, vi assicuro che è buona…”
 
Se solo fosse stato possibile, a lato della testa di ciascuno sarebbe apparsa un’enorme gocciolina di disappunto. Lo sguardo di tutti tranne quello della signora Nodoka, comprensivo e materno, esplicava esattamente quel tipo di espressione. Scettica.
 
“Diciamo digeribile! Mi ha aiutato Kasumi e l’abbiamo anche assaggiata, non siamo svenute stavolta. Almeno di lei dovreste fidarvi, ingrati.”
 
“Smettila di frignare, non puoi biasimarci se non ci fidiamo, io sono la prova vivente di un miracolo se non sono ancora morto, dopo aver ingerito diverse volte qualcosa preparato da te.”
 
“Figuriamoci se non intervenivi tu con qualche idiozie delle tue per offendermi!”
“Dico semplicemente la verità, comunque grazie ma per oggi io passo la mano. Kasumi potrei avere altro riso per favore?”
 
La più grande delle sorelle accolse la sua richiesta e nel giro di pochi minuti ebbe finito anche la seconda porzione di riso.
 
Irata all’inverosimile non solo per esser stata offesa ma per esserlo stata davanti a tutta la sua famiglia, strinse i pugni guardandolo decisamente male, e non riuscendo a sopportare oltre quell’espressione da sbruffone che aveva dipinta sul volto, l’impatto di quelli sul tavolo fu tra i più violenti, facendo sobbalzare anche i piatti con le portate.
 
Ranma la fissò infastidito, abituato a quelle reazioni da parte sua, quando all’improvviso dagli occhi di lei scappò una lacrima traditrice. L’asciugò subito col bavero della manica, chinando la testa e ignorandolo.
 
“Akane ma…”
“Sta zitto per piacere!”
“Sempre la solita violenta, non ti aiuto più se continui a rispondermi male…”
 “Sai che me ne faccio io del tuo aiuto? Un bel nie…”
 
“Cara non prendertela così, mio figlio non è stato carino con te ma io so che ti vuole molto bene. Cerca di capirlo e non prendertela. I Saotome sono fatti così che ci vuoi fare.”
 
La signora Nodoka si intromise bonariamente, e mentre scandì l’ultima farse contemplava lo spettacolo poco fine che stava dando il marito, ingerendo con foga qualsiasi portata di cibo che gli capitasse tra le mani.
 
“Tsk… Certo… Se non ci fossi io a badare a lei.”
Quando lo disse la frase risuonò al pari di un sospiro. Avrebbe voluto ribattere volentieri ma gettò la spugna, dove sarebbero arrivati? A fare a botte, forse. E nelle sue condizioni non le conveniva granché.
   
Dopotutto aveva ragione sua suocera, erano dei casi persi, padre e figlio, ma non poteva fare a meno che arrabbiarsi ogni qualvolta Ranma interveniva negativamente a fomentare critiche nei suoi riguardi.
Era il suo fidanzato diamine avrebbe dovuto difenderla ogni tanto, spezzare qualche lancia in suo favore, starle vicino in certo modo, ma invece no.
Sembrava proprio non essere quello il destino del suo fidanzamento con Ranma.
 
 
***
La cena procedette come di consueto, dopo qualche arringa però si riuscì a ritrovare tranquillità.
Ranma si era allontanato quasi subito dopo essersi rifocillato, dicendo che si sarebbe diretto in palestra, mentre il resto dell’allegra combriccola continuava a bivaccare.
Nel corso della serata, si unirono al banchetto un porcellino nero e un vecchietto dall’aria fin troppo astuta per un uomo della sua età, che accomodandosi di fianco la signora Saotome si complimentò con lei per cotanta bellezza.
La donna sorrise apprezzando il complimento, sotto lo stupore altrui, non avendo assistito alle abitudinali avance da maniaco del vecchio, verso la donna.
 
Ma dopotutto se avesse oltraggiato una signora così per bene, sarebbe stato un gran sciagurato .
Se ne rese conto da se. Ma soprattutto Ranma non glielo avrebbe permesso.
Probabilmente mise in conto anche l’ira del ragazzo, che si sarebbe scagliata contro di lui, nel caso in cui ne avesse approfittato.
 
“Temo si sia fatto tardi, vi ringrazio per l’ospitalità, ora ritorno a casa. Ci vediamo presto, buonanotte a tutti!”
 
“Arrivederci signora Nodoka.”
Echeggiarono in coro i componenti della famiglia Tendo.
Genma con fare un po’ impacciato porse un braccio alla moglie, che sorridendo accettò l’invito, e insieme si diressero all’uscita.
Stettero qualche minuto a parlare di fuori, e i soliti impiccioni si misero ad origliare nascosti dalla porta.
 
“Genma, è sempre tua moglie ma spero non tu faccia nulla di avventato, non sei più un ragazzo. Eh eh eh…”
Il commento del vecchio urtò non poco gli altri, appostati a mo di ninja per non farsi scoprire.
Se avesse urlato un’altra volta li avrebbero sorpresi ad origliare e sicuramente non avrebbero fatto una bella figura agli occhi di Nodoka. Chissà cosa avrebbe pensato di loro.
Avrebbe pensato giusto però.
 
Akane disgustata da quella scena, essendone spesso la vittima, prese tra le braccia il suo P-chan e salì in camera.
 
“P-chan aspettami qui, vado in bagno a cambiarmi, lavo i denti e arrivo subito.”
Scoccò un bacino sul buffo musetto dell’animale, e lo lasciò ad aspettare sul letto.
Il maialino iniziò a singhiozzare non appena la ragazza lasciò la stanza, probabilmente dalla commozione per il bacio inaspettatamente ricevuto.
 
Un ombra si levò alla finestra della camera dipinta di giallo, il maialino percependo la presenza iniziò a grugnire dal posto in cui si trovava. L’ombra si acquattò iniziando a maneggiare i cardini della finestra. Una folata di vento e l’intruso entrò.
 
“Ma tu guarda! Ti lascio solo per sbaglio con la mia fidanzata e tu ne approfitti subito eh, porco!”
Il maialino iniziò ad agitarsi nella stretta delle mani di Ranma.
Fortunatamente la ragazza entrò giusto in quell’istante, allibita di trovarsi di fronte una scena del genere.
 
“Ranma cosa stai facendo, così lo soffochi!”
“Macché, ha la pellaccia dura il porco!”
 
Akane afferrò in tempo P-chan, saltellando per varcare velocemente la distanza che la separava dal suo animaletto, prima che il piccolo svenisse tra le mani del fidanzato.
 
“Ma che ti è preso?”
“Dovrei chiederlo io a te.”
“Di cosa stai parlando?”
“Hai BACIATO un’altra volta quel maiale!”
 
Akane stentava a crederci, era geloso persino di un porcellino.
Che stava stringendo amorevolmente al seno.
P-chan rinvenendo all’abbraccio della ragazza, approfittò della vicinanza tra i due, si liberò dalla stretta di Akane e saltò sul viso del ragazzo graffiandolo con i suoi piccoli artigli.
 
“Ah ma allora vuoi farti male, eh Ry…”
Anticipando le intenzioni di Ranma, P-chan prese a mordergli il naso, facendolo urlare di dolore.
 
La ragazza per la prima volta sembrò prendere le sue difese dal maialino, allontanandolo.
Gli tastò il naso per valutarne le condizioni e gli prese il viso tra le mani, voltandolo prima da un lato, poi dall’altro. E lui glielo lasciò fare osservandola, stranamente, in silenzio.
 
“P-chan sei stato cattivo, non si fanno queste cose. Vuoi abbassarti ai livelli della sua gelosia?”
Pronunciò il rimprovero guardandolo intensamente negli occhi.
 
Quando le labbra di Ranma si serrarono all’improvviso contro le proprie.

 
 
 




[Continua...]

 
Mmm… credo di dovervi delle piccole precisazioni prima di lasciarvi così. :)
Allora parto col dire che non è tutto come sembra, ma non voglio svelare altro. Questo capitolo è stato scritto volutamente più lungo degli altri, inserendo nel contesto anche la famiglia Tendo e la ristretta Saotome, parti integranti del manga. Voglio avvicinarmi a questi piccoli particolari.
Vorrei che risultasse tutto più vicino a quella che è la natura dell’opera della Takahashi, per
questo dedicherò d’ora in avanti più righe anche a ciò e chi li circonda.
Con questo concludo, spero che il cap venga gradito quanto i precedenti, e/o se necessita di accorgimenti, correzioni, mi auguro che non manchino.
 
A presto,
un abbraccio Kade.

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Capitolo 5
*** 5 ***


La sua mente stava faticando a metabolizzare l’accaduto.
La rigidità impadronitasi delle lorolabbra, rendeva la situazione a dir poco ridicola.
Due fidanzati, promessi sposi, apostrofati così dai loro genitori è ovvio, ma pur sempre tali, dopo anni di un difficile e a tratti inverosimile fidanzamento, finalmente erano arrivati al punto fatidico nel quale le loro labbra si stavano incontrando consapevolmente.
E per consapevolmente di intende senza l’intromissione di qualche assurdo intruglio cinese, altrettante eguali pozioni o trasformazioni feline.
No.
Come poteva non risultare ridicola una storia simile.
 
Non le sembrava vero.
E in effetti a conti fatti, non lo era. Non era un vero bacio, un normale bacio, quasi non poteva neppure definirsi tale.
E poi nessun indizio, non si era neanche creata quell’atmosfera da poterci lontanamente sperare, infatti.
Ma a dispetto di tutte le leggi logiche, fisiche e morali, grazie alle quali cercava di darsi una spiegazione, ebbene si, si trovava a 0 cm dal viso del suo ragazzo.
 
I loro visi si erano scontrati, letteralmente.
Stava cercando di dare una definizione a quel contatto, perché non era un bacio, Kami non lo era.
Ma non ne trovò.
Era successo tutto troppo in fretta, Ranma inoltre non le aveva dato nessun segno per capacitarla di ciò che stava accadendo, per cui c’era da dedurre che il tutto era accaduto a loro insaputa.
Questa era la spiegazione.
Non che Ranma prendesse spesso iniziative simili. Per carità.
 
Una piacevolemorbidezza, e un familiare odore, che non le risultava nuovo ma non sapeva comunque come ben identificarlo, erano tutto ciò che la sua mente riusciva a percepire in quel momento però.
Come se non bastasse l’equilibrio del ragazzo stava estinguendosi.
Lo capì, sentendosi un po’ strattonare dalle sue braccia.
 
Il colpo ricevuto in testa da P-chan, fu così sfortunatamente forte da spingerlo letteralmente sulle labbra della fidanzata.
Sicuramente non era quello l’intento dello sfortunato Ryoga, che ancora sotto forma della sua maledizione vedeva la scena con occhi sgranati ma senza guardare realmente.
La sua mente chissà dov’era finita.
Altre lacrime più copiose di quelle precedenti, presero a sgorgare da quegli occhioni.
Sicuramente non aveva previsto che ciò successe. Tutto aveva giocato a suo (s)favore, fino a qualche istante prima. Ranma però era talmente imbambolato dallo sguardo di Akane e dalle sue mani, che non percepì neppure l’aura furente del maialino volta a colpirlo per rompere quello strano momento di enfasi che si era creato tra di loro.
 
Istintivamente il ragazzo si aggrappò alla vita di lei con le braccia.
Quella stretta quasi le fece male. Ma non aveva interrotto il contatto.
Ancora con il viso tra le mani, Akane lo scostò da se e in quella buffa maniera ancora abbracciati rimasero per qualche istante a guardarsi l’un l’altra.
Sempre lei a prendere l’iniziativa, abbassò il capo, cercando di sfuggire ancora una volta alla situazione.
Lo sentì deglutire a fatica, quasi dovesse mandar giù un pugno di sabbia.
Probabilmente stava pensando a come uscire vivo da quella assurda situazione.
Sperò vivamente che non ci fosse nessuno appostato da qualche parte a riprendere la scena.
 
Le sue braccia cedettero, cadendo lungo i fianchi.
Quegli interminabili attimi le sembrarono anni.
E cosa ancor peggiore non era lucida, non lo era affatto.
Nella sua testa si contrapposero due lei, l’Akane violenta e maschiaccio che conoscevano tutti, pronta a spedirlo in qualche costellazione sovrastante la cittadina di Nerima, e motivi ne avrebbe avuti tanti, e poi quell’altra Akane.
Non aveva tempo per riflettere, doveva fare qualcosa. Sicuramente avrebbe lasciato campo libero all’Akane violenta, come faceva sempre. Era la scelta più facile, e d’altronde si conosceva bene.
Non sarebbero rimasti così ancora per molto, e quando iniziava a godersi quei momenti, sopraggiungeva troppo presto la loro fine.
Non era pronta a lasciare tutto questo stavolta, avrebbe voluto starsene così, nell’assurdità di quel momento, stretta a lui ancora un po’.
 
Accostò il capo nell’incavo della sua spalla, lasciandosi andare per una volta.
Una lacrima bagnò l’abituale casacca rossa indossata da Ranma. Una sola però.
Non voleva pensare al dopo, o a qualche secondo prima, e tutto il tempo passato sotto lo stesso tetto a non far altro che litigare, mentre le cose che avrebbe voluto condividere con lui erano ben differenti.
Lo sentì fremere a quell’accomodante gesto da parte sua.
Il suo respiro si fece irregolare, lui se ne accorse, probabilmente come di consueto, sapeva di esserne la causa.
 
Ranma lasciò la presa. Lei allungò istintivamente le braccia al collo.
“Aspetta…”
“Non vado da nessuna parte.”
Lo vide abbassarsi per poi afferrarla saldamente, prendendola tra le braccia, e dirigendosi verso il materasso.
Vi si adagiò con lei in grembo.
Akane non accennava a voler lasciare la presa. Ormai si era esposta, era nei guai fino al collo, perché non sguazzarci liberamente un altro po’, si disse.
Sollevò parte delle coperte e la infilò dentro con accurata attenzione, a causa della caviglia infortunata probabilmente.
Ranma non era tipo da gesti romantici.
Quelle movenze si addicevano più a Kuno.
 
“E’ tardi Akane, sarai stanca, è meglio che riposi ora…”
 
Come poteva sperare di avere un futuro con lui, se lo spaventava anche un erroneo bacetto.
Già. Era stanca. Arrivati a questo punto, forse non poteva sperarci più di tanto, davvero.
 
Ma suo malgrado, non riusciva mai a stufarsi abbastanza da avere la forza di mettere un punto a quell’assurda storia. Non ci sarebbe mai riuscita, lo sapeva.
Non fino a quando avrebbe trovato un altro idiota alla pari o peggio di Ranma, s’intende.
E al momento il fidanzato batteva tutti sulla piazza.
 
Ranma si trovava sulla soglia della porta, aperta solo a metà.
Sembrava avesse difficoltà ad oltrepassare quell’innocuo confine tra la sua camera e il corridoio.
Che avesse percepito qualche forza maggiore, da spingerlo a tornare indietro e richiudersi quella porta alle spalle? Impossibile.
Purtroppo lo conosceva fin troppo bene.
 
“Hai detto che non te ne saresti andato…”
 Lo vide voltarsi molto lentamente.
“Ho bisogno di un po’ d’aria… credo che me ne starò sul tetto per un po’.”
“Si ho capito… Beh buonanotte allora.”
Tornò sotto, al sicuro, lasciando che le coperte la nascondessero completamente da qualsiasi cosa si trovasse all’esterno.
Anche dal suo sguardo, soprattutto da quello.
Senti la porta chiudersi, dopo qualche dozzina di secondi e dopo un ‘Notte ‘Kane’ sussurrato dietro di questa.
 
Che fosse stato un invito, l’informarla dove fosse andato?
Di solito non lo anticipava a nessuno, lasciava che tutti, compresa lei, scoprissero dove si trovasse se volevano in qualche modo, disturbarlo, in quei suoi momenti.
 
Era tutto così insolito che proprio non riusciva a pensare ad altro.
Altra notte insonne, a pensare a quello scemo. Stava diventando un vizio?
Non era una novità per lei, ma non era stata pronta ad affrontare gli sviluppi di una simile serata.
Non era la prima volta che baciava Ranma, fortunatamente i Kami gli avevano fatto dono di ciò un paio di volte, entrambe non sufficientemente importanti da riuscire a segnare una svolta in tutto quel casino.
Ma le ricordava benissimo come se fossero appena successe.
Forse perché una sorta di quelle è realmente appena successa.
 
Come poteva dimenticare momenti così rari quanto importanti.
Era successo solo due volte, anzi potrebbero dirsi una e mezzo.
Si perché la prima volta, nonostante Ranma credeva di essere un gatto, l’aveva baciata senza esitazione, dopo averla prescelta, ma tutto ciò non poteva essere rilevante. Ranma non era in sé.
Ma la seconda volta, durante la recita scolastica mentre impersonavano uno Romeo e l’altra Giulietta, era stata proprio lei a mettere del nastro adesivo sulla bocca dello sfortunato Romeo, che per la prima volta aveva acconsentito a baciarla coscientemente.
Era solo una recita si, ma ricordava così bene la smorfia di Ranma nello scoprire di aver baciato solo del nastro adesivo. Era rimasto indubbiamente deluso.
 
Si sorprese a riscoprirsi felice nel ricordare quei momenti.
Un’altra lacrima le solcò il viso.
 
Perché doveva rovinare sempre ogni qualsiasi momento di intimità che difficilmente si andava a creare tra di loro, perché?
 
Le scoppiava la testa a furia di pensare e ripensare a quello stupido, tanto una risposta alle sue domande non l’avrebbe mai trovata.
Decise di alzarsi dal letto e scendere in cucina a prepararsi del the caldo, nella speranza che quello le avrebbe conciliato facilmente il sonno. Chissà.
Lasciando il materasso, si ricordò di aver trascurato un piccolo particolare. P-chan.
Deve essersi dileguato insieme a Ranma, perché sfuggirono insieme, al suo sguardo quasi contemporaneamente.
L’aveva lasciata da sola anche il suo porcellino.
Ma questa scoperta le fece meno male, sapeva che P-chan, comunque, sarebbe ritornato da lei se ne avesse avuto bisogno. Succedeva sempre, e non si preoccupò più del necessario.
Lo stesso però non si poteva dire dell’altro.
Impose a se stessa di non pensarci più. Basta.
 
Troppo silenzio vigeva in quella casa di matti, e non era un buon segno.
Dov’era finito Happosai?
Possibile che si sia congedato di già, senza causare problemi agli artisti marziali che vi vivevano?
Sicuramente no.
Forse sarà di ronda a sequestrare ingiustamente biancheria intima alle donne del quartiere, e a loro insaputa, pensò.
Il brivido dell’avventura, diceva che lo faceva per quello. Che maniaco bugiardo!
 
A due soli scalini di distanza il suo orecchio captò dei rumori provenire proprio dalla cucina, e a mo di ninja si acquattò alla parete confinante con quella, e riuscì a fatica a scorgere una scura sagoma femminile alla presa con i fornelli e una teiera.
Poteva essere una delle sorelle forse, che per il suo stesso motivo stava preparandosi qualcosa.
Si era sicuramente una di loro.
Ma perché non aprire la luce, si domandò.
Altre ipotesi prendevano vita tra i sospetti che già aveva.
Entrando in cucina premette di scatto l’interruttore, facendo sobbalzare una ragazza dai lunghi capelli color lavanda, che per poco non fece cadere a terra la teiera e il suo contenuto.
 
Sobbalzò anche lei a dire la verità. Shampoo non risultava mai essere una visita gradita, o di cortesia. Cercava sempre qualcosa quando si presentava li da loro, anzi qualcuno.
E l’essersi presentata nel pieno della notte a scaldare chissà cosa in quella teiera, non era di certo un particolare innocuo o irrilevante. Stava cercando di combinare qualcosa.
 
Ci mancava solo lei, pensò. 
 
“Shampoo… quale onore! Come mai qui?”
Stizzite si guardarono entrambe con astio, era logico che non andassero molto d’accordo.
“Ciao Akane, sono venuta a trovare il mio futuro sposo, è ovvio.”
“A quello c’ero arrivata carina. Ma mi dispiace informarti che Ranma non è in casa.”
 
Shampoo sorpresa le si avvicinò scrutandola negli occhi.
“Bugiarda. L’ho visto che era in casa.”
Akane arrossì violentemente, non per l’affronto di Shampoo, ma perché nel giro dell’ultima ora Ranma era stato con lei.
Che li avesse visti? No non poteva essere, a quest’ora avrebbe già tentato di ucciderla, se avesse saputo, o visto qualcosa.
 
Oppure semplicemente era ritornato in camera sua, a dormirci su, e per ciò Shampoo ha potuto vederlo.
L’idea che Shampoo stesse preparando qualsiasi piano o pozione, per accalappiarselo magari mentre dorme la fece infuriare. Già il semplice fatto di trovarsi lì in casa sua per fare i suoi porci comodi, non lo mandava giù.
 
“Beh allora forse mi sbaglio.”
Doveva giocare d’anticipo, Shampoo era furba, ma lei poteva esserlo di più.
Allungò una mano verso un bicchiere e lo riempì d’acqua con nonchalance, mandò giù velocemente e la congedò con un cenno della mano, sorridendole falsamente.
 
“Dove stai andando Akane?”
Il tono severo della sua voce le dette non poco fastidio, ma soprattutto il fatto che stesse sospettando qualcosa.  
“Dove vuoi che vada, a dormire!”
“Bene allora… sogni d’oro.”
La derise, silenziosamente ma lo fece. Quanto le dava ai nervi!
 
Salì velocemente le scale, ma prima di entrare in camera sua si diresse verso un’altra porta.
 
All’interno della stanza buia, due futon stavano distesi in terra.
Uno vacante, l’altro schiacciato da un grosso panda che dormiva stringendo tra le zampe uno pneumatico.
Di fronte scene del genere riusciva ancora a stupirsi.
La sua sete di curiosità però, fu presto saziata, scoprendo che l’unica finestra della stanza era semiaperta, e lasciava entrare gelidi spifferi di vento.
Il panda tuttavia, parve non accorgersene, forse a causa della folta pelliccia.  
Avanzando silenziosamente e facendo attenzione a non svegliare l’animale la richiuse. 
Pensò che se Shampoo fosse entrata, avrebbe dedotto le sue stesse conclusioni, e poi non avrebbe voluto rischiare di far prendere a quel delizioso panda un raffreddore.
 
Lasciò la camera da letto del fidanzato, per recarsi nella propria.
Vi entrò e chiuse la porta dietro di se.
Prese dall’armadio una mantellina, e avvolgendosela sulle spalle aprì la finestra.
 
Una leggera brezza semi invernale accompagnava il cadere delle foglie ingiallite dalle intemperie e dalla stagione.
Uno strano odore le giunse subito alle narici, l’aria ne era satura, lo riconobbe e arrossì.
Alzando lo sguardo ancora un po’,seguendo la scia che rilasciava quell’odore, scorse in lontananza diversi comignoli accesi che fumavano, tracciando nuvolette ovattate nel cielo.
 
Ranma doveva essersi impregnato di quell’odore cinereo, perché come sempre quando entrava in camera sua, il più delle volte, lo faceva usufruendo dell’anonimato che offriva il tetto di casa Tendo.
Altro, apparentemente inutile, particolare, che non sfuggì alla sua attenzione.
Si sporse uscendo completamente al di fuori della finestra, che con garbo richiuse di fronte a lei, si voltò e lo vide.
In realtà con la coda dell’occhio lo aveva già individuato, non era la prima volta che lo sorprendeva in quel posto, e a dire personale, al quanto ambiguo tra l’altro, essendo l’unico tratto di tetto confinante con l’unica finestra dell’ala est della casa. La sua finestra.
Era anche la più nascosta e difficilmente si ci poteva arrivare, non avendo punti rialzati che ne facilitavano l’ascensione.
Pareva tutto così implicito e studiato, e solo ora se ne stava rendendo conto.
 
Dopo pochi attimi si rese vulnerabile uscendo allo scoperto, lui non accennò a voltarsi.
Rimase pietrificato nella posizione in cui si trovava.
Prese posto accanto a lui, guardando di fronte a se, senza batter ciglio, quando egli finalmente prese a guardarla.
Sorrideva.
Lo vide spalancare la bocca, per poi chiuderla velocemente, impacciato.
 
“Akane, credo che ti debba delle…”
“Sh. Sono solo venuta ad avvisarti che Shampoo ti sta cercando.”
Sgranò gli occhi, palesemente a disagio, rivolgendole uno sguardo di scongiura, deglutendo rumorosamente.
 
“Non le ho detto dove ti trovavi tranquillo.
  Le ho semplicemente detto che probabilmente non ti avrebbe trovato in casa.”
 
“Spero abbia capito l’antifona sinceramente…”
“…e se ne sia tornata a casa! Non vorrei altre interruzioni stasera…”
Si voltò anche lei, guardandolo sorridente, cercando di mantenerlo quel maledetto sorriso.
“Akane io…”
 
“Non fraintendermi, era in senso generico, tra qualche minuto spero di andare a letto tranquilla, senza l’angoscia di dovermi aspettare un attacco, da qualcuna delle tue pretendenti, da un momento all’altro.”
“Non è colpa mia, se si comportano come delle scellerate, io non vorrei affatto che ti attaccassero continuamente, non credere che mi faccia piacere.”
“Questo lo so.”
“E allora?”
 
Stava iniziando ad alterarsi, come suo solito.
Non riusciva a confrontarsi con qualcuno per più di pochi minuti. Specie con lei.
L’orgoglio riusciva sempre a vincerlo.
 
“Idiota, e secondo te perché non si danno mai per vinte eh?”
“Sempre a incolparmi, tu!”
Ecco, stavano litigando. Di nuovo.
 
Sbraitavano l’una contro l’altro, non conoscevano altro modo di dialogare.
“Ma quando ti deciderai a crescere eh? Prenditi le tue responsabilità, per una volta!”
 
Il ragazzo si ammutolì, con un espressione irata e imbarazzata allo stesso tempo.
Erano giunti al dunque finalmente.  
Ma la cosa più importante fu che per la prima volta sembrava averlo capito anche lui, il punto della situazione.
Si limitò a guardarla senza proferire parola, con quell’espressione imbronciata, e un lieve rossore ad animargli il viso, già arrossato per l’aria fresca che si infrangeva sul suo viso.
 
“Ti chiedo scusa… per tutto.”
Ci risiamo, pensò.
 
“Sempre a scusarti. Non sai dire nient’altro baka? Delle tue scuse cosa vuoi che me ne faccia ormai.”
“Ascolta non ho voglia di litigare con te di nuovo, per stasera chiudiamola qui!”
 
Si sentì quasi un peso in quel momento.
Lei che cercava di risolvere le cose, veniva trattata così alla fine.
Forse sbagliava metodo, forse non è così che bisognava prenderlo.
Ogni tentativo che cercava di portare a termine, finiva miseramente in un litigio catastrofico.
Aveva finito per non provarci più, o raramente. Come in questa occasione.
 
“Se non ti dispiace, tornerei dentro, fa freddo qui fuori, converrebbe anche a te entrare.”
Sempre a preoccuparsi per lui… doveva piantarla.
 
Era quasi in piedi sulle tegole, trovando equilibrio, quando sentì le gelide dita di Ranma sfiorargli la caviglia.
“Fa freddo anche a me, ma…”
“Vuoi che ti porti una coperta? Devo averne una in più nel cassetto sotto…”
“No. No, è solo che, vorrei… vorrei che, restassi ancora un minuto.”
 
Non aveva osato alzare lo sguardo per parlarle in faccia. Questo la diceva lunga.
Sorrise, più a se stessa che a lui, e allentando lo scialle dalle sue spalle, sedendosi, lo allungò verso quelle del ragazzo.
Alzò di scatto il capo sentendo quell’inaspettato calore avvolgerlo, trovando accanto a lui un Akane diversa.
Erano così vicini, da sentire il suo cuore mancare un battito. E rise.
Strinse a se un braccio del ragazzo.
“Dovresti fare il gentiluomo Ranma, e avvolgermi tra le tue braccia, proprio come si aspetterebbe che tu facessi, qualunque ragazza.”
“Ma non sto per abbracciare una qualunque ragazza. Sono in compagnia di un maschiaccio violento e che non sa cucinare. Credi le faccia piacere, oppure mi scambierebbe per un maniaco, pestandomi a morte?”
Sbuffò, vedendo i connotati di lui addolcirsi, e inaspettatamente scoppiare a ridere.
 
“Non lo so… scemo!”
Lo strattonò tirandolo per il codino, e lui, per quanto possibile si avvicinò ancora un po’.
 
Forse aveva ragione, lui conosceva per la maggiore il maschiaccio violento che lei dimostrava di essere ogni qual volta qualcuno le si avvicinasse troppo.
Era arrivato il momento di liberarsene.
E stava iniziando nel modo migliore, pensò, quando si sentì avvolgere la vita da un braccio del codinato.
Chissà quanto sarebbe durato quell’idilliaco momento.
Ma si preferì non pensarci, altrimenti, si sarebbe rovinato tutto quello che si era costruito, così faticosamente.
 
Un pensiero fece capolino tra gli altri, già presenti a far confusione nella sua testa.
Fortuna che si era appena lavata i denti. 

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Capitolo 6
*** 6 ***


Eccomi di nuovo qui, lietissima di informarvi, che, dopo averci pensato e ripensato ho deciso di scrivere una manciata di capitoli (quelli finali probabilmente), esaudendo il desiderio comune di alcune lettrici, ovvero, dal punto di vista di Ranma.
Piccolo pensiero a chi continua a seguirmi recensendo la mia storia, e a chi lo fa, anche silenziosamente.
Cambiamento spero, andato a buon fine e con discreti risultati.
Ora vi lascio alla lettura.
Un abbraccio, Kade.

 
 
 

 
La luce, che filtrava dalle fessure delle serrande, iniziava ad infastidire la calma quiete soporifera, che regnava all’interno del suo inconscio, ancora addormentato.
Gli occhi, nonostante le palpebre ancora chiuse, iniziavano a percepire la luminosità che vi era all’esterno.
Tutto ciò non poteva che fargli preavvertire l’arrivo di una certa personcina, che si sarebbe accinta a svegliarlo, come di routine, anche quella mattina, sfoggiando una delle sue dolci maniere.
E lui, a dirla tutta, non aspettava altro.
 
Il suo rapporto con Akane era cambiato.
E per accorgersene in prima persona, doveva esser stato un cambiamento radicale.
Infatti, non si picchiavano più con la frequenza di una volta. Anzi, sarebbe esatto precisare che, non lo picchiava, ma aveva sostituito quelle movenze, con altre, di natura decisamente opposta.
Quasi faticava a riconoscerla a volte, pur conservando, comunque, la sua naturale indole.
Ma non gli dispiaceva affatto, anzi.
 
I minuti scorrevano veloci, e per assicurarsi che tutto fosse apposto, e che si sarebbe svolto come ogni santo giorno, ogni tanto sollevava le palpebre, dando una svelta occhiata intorno.
La casa era stranamente silenziosa quel dì, e tutta quella calma non lasciava presagire nulla di buono.
 
Di una cosa era sicuro però. Non si sarebbe mosso dal suo comodo futon, per nessunissima ragione al mondo.
Che i guai fossero in arrivo, poteva capirlo dalla rottura della sua solita quotidianità, di cui non fu succube quella mattina, e poi era certo di un’altra cosa.
Perché andare incontro ai guai, quando sanno già benissimo loro, dove trovarti?
Avrebbe ronfato ancora un po’.
Sentiva che ne avrebbe avuto bisogno, in un prossimo futuro, non molto lontano.
 
Erano passati circa una ventina di minuti, ma lui si era tranquillamente riaddormentato.
 
Pesanti passi, poco delicati, provenienti dalle scale, che proseguivano verso l’ultima stanza del piano superiore dell’abitazione, lo ridestarono dalla breve pennichella.
Era arrivata.
 
“Ranma, Ranma avanti svegliati.”
La sua voce era stranamente incerta, e non aveva quella solita vitalità nello svegliarlo.
Era successo qualcosa, quello era palese.
Facendo finta di essersi appena svegliato, schiudendo prima un occhio e poi l’altro, la guardò ancora muto, dal basso della sua posizione.
 
“Lo so che eri sveglio, cosa credi, che non ti conosca?”
Il sorrisetto malizioso di Akane, lo fece sorridere, e con agilità si sistemò in posizione seduta, di fronte a lei.
 
“Mi stavo preoccupando sai… Niente scuola oggi?”
“Fai bene a preoccuparti! E no, niente scuola oggi, i nostri genitori sono spariti.”
 
Non lo disse con la dovuta preoccupazione che di solito manifestava in circostanze simili, anzi aveva un’espressione abbastanza scocciata.
Il perché era, forse, che conosceva la causa di questa sparizione.
 
Accettando già il fato che l’avrebbe aspettato, qualunque esso fosse, acquisì lo stesso sguardo della fidanzata, nel capire che ne avevano fatta un’altra delle loro.
 
“Cos’hanno combinato?”
 
 
***
Happosai quella notte, aveva dato sfogo alle sue più perverse voglie, svaligiando l’intero vicinato femminile, dei propri indumenti intimi.
L’intero consiglio condominiale del quartiere, quella mattina si era presentato alla porta del Dojo, alquanto irritato e assetato di giustizia.
Sapevano bene che il ladro frequentava casa Tendo, e i rapporti che intercorrevano con Soun, essendo suo discepolo, e che probabilmente l’avrebbero trovato lì.
Erano anche a conoscenza della rinomata dote da artista marziale del capofamiglia, e di un certo inquilino, suo fedele compagno, scappato anch’egli poche ore fa.
 
Indignate, le persone truffate, reclamavano a gran voce la propria biancheria, sospettando che probabilmente si trovava, nascosta dal vecchio, da qualche parte all’ interno della casa.
Ma fu impossibile spiegare, per i giovani di casa Tendo, che quella stessa mattina non solo era sparito il ladro con l’intera refurtiva, ma addirittura anche i due uomini che avrebbero dovuto risolvere il malinteso.
 
Tralasciarono l’aver trovato una lettera, recante il come, il perché, e il quando, della loro fuga, includendo nel messaggio l’avvertenza d’aver portato gentilmente Kasumi con loro, ‘affinché non morissero di fame, o denutriti’.
Era già tutto abbastanza squallido e imbarazzante, questo non necessitava d’esser fatto presente.
 
Dopo diversi tentativi di negoziato, non avendo ciò che il quartiere reclamava, si era giunti ad un'unica ed inevitabile soluzione.
Avrebbero dovuto risarcirli, in assenza delle dovute restituzioni.
 
“Giuro che appena lo vedo, lo uccido con queste stesse mani, quel depravato.”
Il moro sprizzava collera da ogni poro, ed era estremamente serio.
Dopo essersi chiusi adeguatamente all’interno dell’abitazione, con lunghe assi in legno a sbarrare il portone del Dojo, le sorelle Tendo rimaste, e il codinato organizzarono il da farsi.
 
“Devono essermi rimaste alcune tue foto Akane, se non ricordo male.
Devo proporle a Kuno, frutteranno bene.”
 
“Nabiki!”
Inutile descrivere la reazione della piccola di casa Tendo. 
Ma scorse un leggero rossore sulle guancie della ragazza, che fece indignare anche lui.
Si, era un maschiaccio, con la vita larga e il sex appeal di un cetriolo, come negarlo, ma lo infastidiva e non poco, che un’altro apprezzasse apertamente Akane, più di quanto non facesse lui.
Quella sfacciataggine comune ai fratelli Kuno, lo irritava incredibilmente.
Era una mancanza di rispetto, anche nei suoi confronti.
 
Non che i suoi modi gentili fossero al pari di chissà quali lusinghe, o risultassero più rispettosi di quelli dei suoi altri pretendenti, ma almeno aveva una sorta di priorità su di lei, era il suo fidanzato.
Si, bella scusa, pensò.
 
Distolse l’attenzione da quei pensieri e voltandola su di lei, la scrutò, cercando di capire cosa stesse pensando. Che accettasse di ricorrere a un compromesso simile non era da lei, ma non poteva sottovalutare il potere persuasivo di Nabiki.
Anche se alla fine, avrebbe fatto ugualmente di testa sua. Era sfacciatamente prevedibile.
 
“Potresti fare delle foto tu Ranma, sia in versione maschile, che come Ranko, riscuoteresti il doppio!”
“Nakibi ma che stai…”
Il suo orgoglio ora iniziava a risentirne, e anche Akane gli parve fortunatamente, contrariata nell’intervenire.
 
 “Ma sei impazzita, non lo farò mai. Argomento chiuso, pensiamo a qualcos’altro.”
 
La subdola psiche di Nabiki era costantemente incentrata a come sfruttare meglio il prossimo.
E lui ne sapeva, malauguratamente, fin troppo.
“Dai, pensaci almeno. Potremmo vendere quelle di Ranko a Kuno, e le tue a sua sorella.”
A volte gli incuteva una sincera e profonda paura.
Al solo pensiero di ciò che avrebbero potuto farci quei due pazzi, con le sue foto, un brivido gli percorse la spina dorsale, esaurendosi lungo tutto il suo povero codino facendolo drizzare.
 
“Ranma, Nabiki non ha tutti i torti, risolveremmo questa faccenda in un batter d’occhio.”
 
Guardò Akane con sguardo sorpreso misto a incredulità.
Come poteva sostenere la sorella in quell’assurda pretesa?
Sapeva inoltre che se si sarebbero unite a confabulare contro, per lui sarebbe stata la fine.
Durante il corso della sua permanenza in casa Tendo, a volte, si era soffermato a pensare come potessero essere sorelle quelle due.
Tranne che in alcuni rari momenti, e questo era uno di quelli.
 
Dopo avergli svuotato una tazza di the in testa, ormai freddatasi durante il loro ultimo screzio, Akane era riuscita ad ottenere ciò che aveva confabulato con la sorella.
E il perché di come gliel’avesse permesso, ancora non gli era molto chiaro.
Riconobbe che Akane aveva un potere su di lui, e avrebbe fatto meglio a non sottovalutarlo in futuro.
Si sentì un perfetto idiota. Ai piedi di un maschiaccio.
 
 
 
Vergognandosi fino al midollo per ciò a cui aveva acconsentito, si isolò per una manciata di minuti, immergendosi in un rilassante bagno caldo.
Aveva tutti i muscoli tesi, soprattutto quelli delle spalle, aveva davvero bisogno di sciogliere i nervi per un po’.
Gli spettava.
 
Il solleticare di alcune goccioline d’acqua alla base dell’attaccatura della sua particolare treccina, lo stuzzicava piacevolmente.
Centimetro dopo centimetro stava sprofondando in quell’avvolgente, e rustico, bacino d’acqua calda.
Il cervello stava iniziando ad inviare alle terminazioni nervose e agli arti, le dovute segnalazioni, affinché non finisse annegato in quella vasca.
Non sarebbe stata un’eroica fine, per un’artista marziale del suo livello, proprio per niente.
 
Il cigolio della porta in legno, trascinata da un lato all’altro delle fessure per l’apertura, fu il primo suono che le sue orecchie percepirono dopo esser riemerso dall’acqua.
 
Ryoga. Nel bagno. Che diamine era andato a fare? Probabilmente si era perso.
Invece no. Era proprio li per lui.
 
Un pugno ben assestato nel centro esatto del suo cranio, lo fece riassopire.
Intelligente il porcellino.
L’aria satura di vapore, e l’influenza che aveva su di lui in quel momento, già provato dal calore, furono abbastanza efficaci a procurargli un bel capogiro. Stava nuovamente perdendo i sensi.
“Ma tu guarda che idiota!”
 
Afferrandolo per la cima dei suoi capelli corvini, l’amico, lo tirò fuori dalla vasca, per poi lanciargli in malo modo un asciugamano, affinché coprisse le sue nudità.       
 
 
***
“Tu non vuoi che Akane legga la lettera non è così? Se solo dovesse lasciarsi suggestionare, sarebbe capace di raggiungerlo. Li ho visti insieme Ranma, e quel tipo non scherza.”
 
L’assurda vicenda che gli aveva appena raccontato Ryoga aveva un insolito tempismo, a capitare proprio in un periodo del genere.
Shinnosuke, il ragazzo dell’acqua miracolosa, reclamava la ‘sua’ Akane attraverso quella lettera.
Lettera che se fosse dipeso da lui, avrebbe bruciato all’istante.
 
In uno dei suoi molteplici viaggi, ai confini del Giappone, Ryoga, si era malauguratamente imbattuto, di nuovo, in quello sciagurato villaggio, abitato da creature fantastiche.
In una sorgente non molto distante da quello, sgorgava un’acqua miracolosa, capace di far cambiare sapore anche a ciò che preparava Akane, se fosse stato cucinato con quella.
La fonte di quell’acqua riuscì a salvare anche lo stesso Shinnosuke da morte certa.
Anzi se proprio si vuol essere precisi, era stato lui a salvarlo, insieme ad Akane.
 
Riconoscendo lo sventurato viaggiatore, Shinnosuke lo ospitò per qualche notte al riparo dagli animali notturni, visibilmente pericolosi data la stazza.
E in cambio gli chiese semplicemente di portare a destinazione una lettera.
Inutile precisare che quando Ryoga capì a chi fosse indirizzata, non seppe resistere alla tentazione di sapere.
E anche lui non resistette ad aprirla.
 
Voleva portarla via.
In quella lettera aveva riportato che il suo povero nonno l’aveva lasciato un paio di mesi prima, e vivere da eremita, completamente solo in un posto del genere, non era stato semplice.
Aveva bisogno di qualcuno accanto, e l’unica persona che avrebbe voluto al suo fianco, per la quale provasse un sentimento, il più vicino possibile all’amore, era proprio la sua fidanzata.
 
Rileggeva con foga quelle poche righe, scritte da una mano incerta, che per molto tempo non aveva toccato foglio, ne penna.
Nella sua immaginazione stavano prendendo vita, immagini di lei con un altro, mentre coronavano il loro sogno d’amore.
Adirato per la sola idea di ciò che sarebbe potuto accadere, il foglietto tra le sue mani iniziò prima, pian piano a strapparsi, e poi essere completamente stracciato da un impeto più violento, finendo per toccare terra sotto un’altra, più misera, forma.
Coriandoli. Ecco quale fu il destino di quella lettera.
 
“Ranma, non me l’aspettavo una tua così brillante iniziativa. Avevo pensato piuttosto che avresti dato ugualmente ad Akane, quella lettera.”
Ryoga fece per congratularsi, quando Ranma, lo colpì con un cazzotto ben assestato sulla tempia, facendolo scivolare.
 
 
 
“Ragazzi tutto bene?”
Il tonfo causato dalla caduta del ragazzo doveva essersi sentito forte e chiaro dal piano inferiore, per destare l’interesse di Akane.
 
 
 
“Ma sei scemo o cosa? Non l’ho fatto apposta. Anche se non mi vada giù quello che c’è scritto sulla lettera, Shinnosuke verrà comunque qui a farci visita. E se teniamo allo scuro Akane da questa faccenda, quando lo scoprirà ci farà a fettine.”
“Non mi interessa, me ne tiro fuori, dopotutto hai commesso tu la nefandezza. Non io. Per me siamo più che apposto.”
Ryoga lo schernì dall’alto della sua spalla, voltandosi verso la finestra pronto ad abbandonarlo con quella gatta da pelare. E si sa quanto piacciano i gatti al codinato.    
 
“Ryoga aspetta. Fino a prova contraria, Shinnosuke ha lasciato la lettera nelle tue mani. Potrei negarmi tutto ciò che avrai da ridire contro di me, di fronte la tua amata Akane. Io potrei benissimo non saperne niente.”
 
Il ragazzo si voltò di scatto fulminandolo.
“Giochi sporco amico, questo non è leale!”
“Non lo è neppure lavartene le mani in questo modo.”
Stava finalmente riacquistando la sua solita, celata, sicurezza di fronte imprevisti di quel genere.
Era un maestro anche in quello, si compiacque solo.
 
“Akane non ti crederà.”
Disse convinto P-chan, ma altrettanto preoccupato.
“Non darlo per scontato Ryoga.”
 
L’insicurezza nell’espressione dell’altro maledetto, fu la prova più che tangibile, che ne sarebbe uscito pulito tanto quanto lui, nel guaio che aveva causato. O meglio, complicato.
 
“E quindi proporresti di dirle la verità? Che figura ci facciamo, eh razza di imbecille?”
Non aveva tutti i torti il porco. E non si preoccupava tanto della ‘figura’, ma della fine che avrebbe fatto la sua povera, cara pelle, una volta scatenata l’ira della dolce fidanzata.
 
“Beh hai ragione.”
 
Passarono lunghi, anche se pochi, minuti sul pavimento del bagno, entrambi quasi in trance, a pensare come sistemare la faccenda, quando Ryoga, apparentemente colto da un idea, alzò con sguardo sicuro l’attenzione su di lui, ancora perso nei meandri dei suoi pensieri.
 
“Ma vestiti idiota!”
 
 Ridestatosi dall’ennesimo colpo in testa scambiato con Ryoga, si erano spostati in camera sua a cercare silenziosamente una soluzione al problema, quando Nabiki richiamò la loro attenzione dal piano inferiore.
 
“Ranma, Ryoga scendete, abbiamo visite.”
Si guardarono esalando un lungo ed esasperato respiro, non immaginando che Shinnosuke sarebbe arrivato di già.
Dopotutto conoscendo Ryoga e la lentezza dei suoi ritorni, poteva essere passato un mese dal loro incontro.
 

A volte arrivava a pensare che su di lui, vertessero non una, ma ben due maledizioni.
Non si sarebbe certo meravigliato, dopo tutto quello che aveva e stava passando, se questa sua ipotesi un giorno, non molto lontano, fosse risultata veritiera. 

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Capitolo 7
*** 7 ***


 
Un grosso livido pulsante, e visibilmente gonfio, si innalzava fiero, sulla regione frontale della testolina, del loro inaspettato ospite.
Elemento comune, anzi unico, che attirò l’attenzione dei giovani presenti.
Era quasi più grosso della sua testaccia, notò con repulsione.
 
Nabiki represse un ghigno di derisione, nonostante l’oggetto delle sue risate, al momento, non avrebbe potuto di certo controbattere l’affronto.
 
Giunti al piano inferiore, i due nemici amici furono colti alla sprovvista, trovandosi di fronte uno scenario del tutto differente, da ciò che avevano previsto.
Una giovane ragazza con un’uniforme delle medie, seguita a iosa da quello che probabilmente doveva essere il resto del suo istituto, esibiva, tenendo a debita distanza dal proprio, il corpo privo di sensi del vecchio Happosai, tenuto per la collottola.
 
“E così sei stato beccato vecchiaccio…”
Quella frase fu quasi un sussurro.
Perlomeno uno dei tanti problemi, sembrava essere a metà della propria soluzione.
Il vecchio era stato trovato, e una volta averlo fatto rinsavire, si sarebbe fatto spiegare dove tenesse la biancheria rubata la notte scorsa, e avrebbe restituito il bottino.
Senza che la sua immagine, così, ne risentisse.
 
Akane sbucò in mezzo ai due ragazzi, all’altezza delle loro spalle.
“Ma tu guada…”
Anche lei rise divertita per un attimo, gustandosi la scena, poi tornò seria e quasi pensando ad alta voce, parve riflettere su un piccolo particolare, a lui sfuggitogli.
 
“Ma…  I nostri padri, e… Kasumi?”
Scambiò uno sguardo sconsolato con la mora, che parve aver posto unicamente a lui quell’interrogativo, e fece spallucce non sapendo cosa pensare di quell’assurda situazione.
“Ce ne occuperemo una volta risolta la faccenda del maniaco. Non temere per Kasumi, in fondo dovrebbe essere al sicuro protetta da due uomini.”
Cercò di rassicurarla, senza però far mutare dal suo volto, quello sguardo apprensivo in uno meno coinvolto.
 
 
 
 
 
“I ragazzi del nostro istituto l’hanno sorpreso a rubare dei costumi olimpionici femminili, e prima che svenisse per le botte, ha detto di recarci qui, perché avremmo trovato un certo Ranma Saotome, che fa da mandante ai suoi lavoretti.”
 
Dalla folla agitata si innalzò un’altra voce.
“Allora… dov’è quel depravato?”
Le ragazze in uniforme si sporsero in posizione d’attacco, pronte a far polpette chi si sarebbe rivelato il colpevole.
 
 
Sentì il viso andare in fiamme, una gamba era già propensa a mezz’aria, per scagliarsi contro di lui, nonostante fosse ancora incosciente.
Con che fantasia andava a raccontare in giro certe cose?
Sentì un braccio bloccato, e quando abbassò lo sguardo verso colei che lo tratteneva, vide Akane ammonirlo, guardandolo male.
Ponendosi di spalle, davanti a lui, non lasciò il suo braccio, ma fece scendere la mano, da quello fin alla propria, cingendo le sue dita, mentre precisava a quegli scolari qual’era in realtà la situazione.
 
Chiariti i convenevoli la casa si svuotò.
 
Un rossore di natura diversa, ora, persisteva e infestava sul suo volto.
Ma fece finta di niente, ricambiando semplicemente la pressione di quella stretta, e sperando che il sangue defluisse dalla sua faccia, il più veloce possibile.
Odiava mostrarsi così vulnerabile, soprattutto con lei, ma puntualmente, quella stupida reazione involontaria lo tradiva.
 
La secondogenita imbavagliò il vecchio, e lo rinchiuse nella stanza degli ospiti.
“Me ne occuperò io di lui!”
Nabiki li congedò, strizzando un occhio per poi lasciarli e dirigersi altrove.
Il suono di uno scatto fotografico provenne dalla manica della sua giacchetta, ma parve che nessuno se ne accorse, considerando che l’attenzione era focalizzata altrove.
 
 
 
L’eterno disperso fissava le loro mani intrecciate, scioccato quasi, non sapendo come reagire a ciò che era palesemente più di una sconfitta per lui.  
Alzò lo sguardo verso Ranma, e un moto di improvvisa collera colorò il suo volto di un intenso rosso scarlatto.
 
Notò che Akane si imbarazzò per quello, e velocemente lasciò la presa, trovando all’improvviso interessantissime, le punte dei suoi capelli.
Lui la guardò con fare sornione, quasi a farle pesare l’averlo lasciato.
Ed era così, infatti. Una delle poche volte che non si era ritratto da qualche accortezza da parte di lei, ecco che Ryoga ce la metteva tutta per rovinargli la festa.
 
“I- io… tolgo il disturbo!”
Meccanicamente, Ryoga, iniziò ad incamminarsi verso quella che era in realtà la cucina e non l’uscita in giardino.
 
Sussurrò un qualcosa all’orecchio della fidanzata, la quale accennò un si con la testa.
 
 
 
 
Cercava di attirare la sua attenzione chiamandolo con i più svariati nomignoli, ma Ryoga non accennava a fermarsi.
Possibile che ancora non si era accorto che girovagava per la casa senza mai uscirne?
Accelerando il passo riuscì a raggiungerlo, trattenendolo per un braccio.
Quando l’amico si voltò, schiaffeggiò quel tocco, incenerendolo con lo sguardo, se avesse potuto.
 
“Ryoga l’uscita è da tutt’altra parte.”
 
“Oh certo, vuoi che non interrompa la vostra intimità standovi tra i piedi.”
Quasi lo gridò.
“Ma quale intimità.”
Mimò uno ‘Shh’ accostando un dito sulle labbra, pensando che probabilmente Akane avrebbe potuto sentire le sue grida.
 
“Non mi aspettavo che Akane avrebbe mai fatto un gesto del genere. Non in pubblico almeno, cosa le hai fatto bastardo?”
 
Lo prese per il collo del suo classico indumento cinese, gridandogli quelle parole a un centimetro dalla faccia, con un’accesissima fiammella di rabbia ribollente nelle sue iridi.
Iniziò a pensare che stesse delirando, che avesse perso completamente la ragione.
‘Cosa le hai fatto?’
Ma che domanda era, cosa avrebbe potuto mai farle?
 
“Ei ma sei impazzito, lasciami idiota.”
“Rispondimi. Akane è sempre stata una ragazza pudica, l’hai soggiogata e fatta tua, per averti difeso e stretto la mano in quel modo, eh maniaco? Dimmi la verità o ti uccido!”
 
Ryoga non parve neppure guardarlo, aveva il suo viso di fronte, ma fissava chissà quale immagine nella sua mente. Lo si poteva dedurre chiaramente dallo sbarramento dei suoi occhi.
Aveva seriamente qualche rotella fuori posto, pensò.
Non aveva minimamente preso in considerazione che Akane, potesse provare qualcosa di sincero per lui.
Doveva farlo calmare o chissà cos’avrebbe pensato ancora, e quell’assurdo malinteso non avrebbe mai avuto fine.
 
Notò che i suoi canini, mentre sbraitava, sembravano addirittura più appuntiti del solito, non era di certo un bel vedere.
E sicuramente non erano accuse comode, quelle che gli aveva lanciando.
 
Con uno spintone Ryoga, lo allontanò, e poi, voltandosi nella direzione in cui provenivano alcuni fasci di luce si avvicinò all’apertura della finestra più vicina e visibilmente raggiungibile.
Senza dire una parola si dileguò, saltando di tetto in tetto, scomparendo dal suo campo visivo.
Proprio come avrebbe fatto egli stesso.
 
Si dispiacque per Ryoga, sempre pronto a fraintendere.
O forse, il problema in quel caso fu proprio che aveva visto giusto, per una volta.
Non giudicò quella rabbia però, sapeva che amava Akane quanto l’amava lui, probabilmente.
Se si fosse trovato dall’altra parte non sapeva come avrebbe potuto reagire.
Lanciò un ultimo sguardo nella direzione in cui l’amico scomparve, per poi ritrarsi dallo spazio aperto della finestra.
 
Perché risultava così impossibile per gli altri accettare quella situazione? Perché?
Era stanco di dover lottare e nascondere i propri sentimenti.
Perché il problema non era stato solo negarli a se stesso, per un certo periodo, ma ora consisteva anche nel dover affrontare la verità alla luce di innumerevoli controversie.
Fatte tutte di carne, ossa, e tecniche marziali da non sottovalutare.
 
Se non fossero stati innamorati della stessa persona, avrebbe giurato che Ryoga sarebbe stato un ottimo amico per lui. A volte sentiva il bisogno anche di una presenza del genere al suo fianco.
Non aveva mai goduto di fortune simili, anzi.
Era quasi cresciuto senza nessuno.
Senza una madre, senza un amico, senza una compagna per troppo tempo.
Solo con un gigantesco panda, e conosciuto qualche bizzarra personalità durante i loro molteplici allenamenti.
E tutto ciò aveva temprato il suo carattere per quello che era. Si meravigliava a volte di non essere cresciuto con lo stesso stampo di suo padre.
 
Sentiva però, che da tre anni a quella parte, era cambiato tutto.
Ma fondamentalmente non era cambiato niente.
 
Si ricordò che qualcuno lo stava aspettando, e a malincuore lasciò momentaneamente da parte il porcellino maledetto.
“Al diavolo Ryoga!”
 
  
  
***
Ritornato da Akane, era deciso a raccontarle della visita del loro viaggiatore al villaggio di Ryugenzawa.
L’avrebbe saputo presto o tardi, e nasconderlo lo rendeva complice di qualcosa, di cui sapeva, ne avrebbe pagato unicamente le conseguenze. Come al solito.
 
“Devo dirti una cosa, hai un minuto?”
Cercava di sembrare il più naturale possibile, non sapendo ancora cosa le avrebbe detto di preciso.
 
“Possiamo rimandare a più tardi? Abbiamo un contrattempo, e credo di aver bisogno del tuo aiuto.”
Lo sguardo enigmatico di Akane lo turbò il necessario per farlo sospettare che fosse successo qualcos’altro di inatteso.
 
Si fece guidare da lei fino alla palestra, e una volta spalancato il portone in legno del piccolo edificio, restò immobile, riconoscendo le fattezze e la fisicità di colui il quale avrebbe voluto parlare ad Akane, proprio qualche minuto fa.
Il tempismo quest’oggi faceva da padrone, pensò.
Il ragazzo di spalle, si voltò rivolgendo un sorriso alla persona che aspettava, per poi mutarne la natura, in uno di circostanza, scoprendo che non era tornata da sola. 
 
“Oh ciao Ranma!”
“Ciao Shinnosuke. Come va? …come mai da queste parti?”
Finse cordialità. Dote che, quando proprio non riusciva ad avere, era impossibile non accorgersene.
C’era sempre quel tocco di sarcasmo, nella sua voce, a puntellare ogni parola, rendendola sfacciatamente derisoria.  
 
“Bene Ranma, grazie. E a te?”
“Oh non c’è male…”
 
“Potrei parlare un secondo con Akane?”
Si stava avvicinando con passo lento, verso di loro, senza distogliere mai lo sguardo dagli occhi della fidanzata. Quell’atteggiamento spavaldo che dimostrava, come quelle volte in cui aveva Akane vicino, lo mandò in bestia, e pensò a quel soggiorno passato nel suo villaggio per riportare a casa, la mora.
Altro impiccio che la sua mente catalogò come ‘fastidioso’. Per non usare un altro aggettivo.
 
“Certo fai pure.”
Istintivamente si avvicinò ad Akane, più di quanto già non fosse, quasi torreggiando su di lei con le spalle, ponendosi tra di loro.
“Da soli preferibilmente, se non è un problema.”
 
Cercò nello sguardo di Akane un minimo consenso per non lasciare il dojo, in quel momento.
Ma quegl’occhi nocciola, lo guardarono sicuri e con fierezza, accennando un assenso col capo, che stava però a significare, che se la sarebbe cavata anche senza di lui.
Si voltò molto lentamente, catturando finalmente l’attenzione di Shinnosuke e non interruppe quel contatto visivo, finché non fu completamente di spalle, pronto a girare i tacchi ed andarsene.
 
Prima di allontanarsi troppo, sfiorò con il dorso della mano le nocche di lei, allungando quella carezza fino alle dita snelle e affusolate, che inaspettatamente sentì irrigidirsi, per poi lasciarle con la stessa velocità che le carezzò.
Il tutto non era durato che una manciata di secondi.
 
“Vi aspetto in casa, è quasi ora di cena. Non metteteci troppo.”
 
Nessuno dei due rispose apertamente.
Immaginò lui continuare a guardarlo in cagnesco, e lei immobile in quella posizione, per l’inaspettato gesto da parte sua.
Sentì il rumore del tacco delle scarpe di Akane muoversi, e battere due volte sul pavimento in legno.
Si voltò nuovamente verso di loro, vedendo, come aveva previsto, che anche lei si era voltata nella sua direzione. E gli sorrideva.
 
Ora fu sicuro che qualsiasi cosa Shinnosuke le avrebbe detto, non si sarebbe rivelato un problema.
Akane non era così stupida da lasciarsi tutto alle spalle, per correre con Shinnosuke in quello sperduto villaggio, come aveva sospettato Ryoga.
 

 
 
 
 

 
Allora, allora… Vi confesso che mi sono divertita a scrivere questo capitolo, pregustando già quale sarà il seguito nell’ottavo. Il prossimo infatti sarà quello decisivo per i nostri adorati protagonisti, ma attenzione, non quello finale. Prima dovranno sistemarsi un po’ di cose, in generale.
Cos’altro aggiungere, spero vi sia piaciuto, e che mi facciate sapere cosa ne pensiate! :)
Alla prossima,
Kade.  

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Capitolo 8
*** 8 ***



La cena si stava facendo attendere da più di una quindicina di minuti.
Nabiki aveva avuto il buon senso di ordinarla, senza correre il rischio di un avvelenamento premeditato, causa della sofisticata cucina di Akane.
Perché il rischio che lei si rovinasse un unghia, affinché potessero provare a ingerire qualcosa di commestibile, era lungi dalle sue preoccupazioni.
 
Ma non si lamentava di certo, non era quello il fulcro dei suoi pensieri.
Bastava che non gli avrebbe fatto pagare il conto, quello si, sarebbe stato un problema.
Anche la sola ombra di un misero yen l’aveva abbandonato, presumibilmente saltando casualmente nei risparmi del suo vecchio, ora finito chissà dove.
 
L’indice della sua mano destra puntellava, nervosamente, con un rumore soffocato, sulla superficie legnosa del tavolo, mentre con l’altra sosteneva il capo pendente, grazie all’aiuto del gomito a far d’appoggio.
Di fronte a lui Nabiki. 
Una matita tra le labbra stava sospesa e rischiava di cadere, mentre ripetutamente pigiava i numeri di una vecchia calcolatrice, e ogni tanto appuntava in quel suo solito taccuino, quelli che probabilmente potevano essere stati gli incassi, entranti nella sua saccoccia, dell’ultima settimana.
Era meticolosa con le sue preziose riserve di denaro.
 
Alzava lo sguardo verso l’orologio appeso alla parete, ripetutamente.
19:45
Quanto ci stavano mettendo a conversare quei due?
 
Quando si accorse di aver sollecitato l’irritazione di Nabiki, col suo tamburellio, con nonchalance allungò una mano verso il telecomando dell’apparecchio elettronico e l’accese.
A quell’ora non poteva beccare altro, che un notiziario dopo l’altro, analizzando lentamente ogni canale.
 
Che seccatura.
 
“Però… è proprio un bel ragazzone quel vostro amico.”
Nabiki parlò, senza alzare lo sguardo dai suoi conteggi.
Ranma trasalì a quel commento.
 
Avrebbe voluto restare lì ad ascoltare le smancerie che sarebbero uscite dalla bocca di Shinnosuke.
Lo aveva sempre trovato un tantino fuori luoghi con le sue parole.
O semplicemente la gelosia gli faceva percepire questo.
 
“Perché non ci provi Nabiki, magari trovi finalmente marito.”
Ammiccò dicendolo.
Quel commento suonò anche alle sue orecchie stranamente offensivo.
Con un tono che non gli si addiceva poi molto.
La sua stizza era quasi palpabile. Era palesemente irritato. E Nabiki non aiutava con i suoi commenti.
Ma dopo alcuni secondi si pentì di averla quasi beffeggiata, non ricevendo alcuna risposta dalla ragazza che di solito non avrebbe mancato a rispondergli di rimando.
 
Non voleva ferirla. Era quasi sul punto di scusarsi con lei, quando questa lo provocò, facendogli rimangiare qualsiasi puro pensiero, avesse potuto avere, sulla sua persona. 
 
 
“Peccato. Ci avrei provato volentieri a far colpo su di lui, ma ho la netta sensazione che non abbia occhi per nessun’altro, accetto la nostra cara Akane.”
 
Gli occhi di Ranma si ridussero a due fessure, con le quali iniziò a guardarla con vero e proprio risentimento.
Nabiki semplicemente riprese a ignorarlo, volgendo nuovamente attenzione ai suoi denari.
 
 
Due ombre camminavano in giardino, a pochi passi dall’uscio che davano all’aperto del loro soggiorno.
Con la fioca luce che emanava il televisore, verso l’esterno, presero a poco a poco le sembianze dei due ritardatari.
Akane teneva lo sguardo basso, mentre lui di tanto in tanto le lanciava delle occhiate, cercando di catturare l’attenzione dei suoi occhi.
 
Quegli atteggiamenti non gli piacquero. Lei era evidentemente in imbarazzo, mentre lui sembrava non aver gettato la spugna, dopo il presunto ben servito di Akane.
Perché sicuramente Akane… l’avrà respinto!
Giusto?
 
La mora prese posto vicino il fidanzato e seguita a iosa da Shinnosuke, si sedettero tutti e due dallo stesso lato del tavolo, insieme a Ranma.
Il suo stomaco brontolò per la fame… e qualcos’altro.
 
Dopo alcuni secondi di imbarazzante silenzio in cui tutti quanti, compresa la mediana delle Tendo, si scambiarono occhiate furtive, Akane cercò di rompere quel ghiaccio.
“Allora la cena non è ancora pronta?”
“Ho ordinato quattro portate di Ramen, ma la consegna è in ritardo…”
 
 
“Shinnosuke perché non cerchiamo di far compagnia a Nabiki. Non è educato lasciare in disparte una ragazza, non trovi? E poi… si sta piuttosto stretti
Enfatizzò quell’ultima parola, scandendone efficacemente ogni sillaba.
 
“Hai ragione Ranma, valle a fare compagnia, sei così attento a premuroso. Scommetto che lo faresti più che volentieri”
 
Si guardarono in cagnesco, digrignando i denti come due cani rabbiosi.
Aveva sempre la risposta pronta quel damerino, pensò.
Non solo era estremamente irritante il solo vederlo seduto accanto a loro, ma sentirgli dire quelle cose, quasi a prendersi gioco di lui… avrebbe voluto tanto, dargliele di santa ragione.
E sentiva che lo scontro era piuttosto vicino, continuando di questo passo.
 
Ora era del tutto in forma, nessuno si sarebbe intromesso tra di loro.
O comunque non lo avrebbe più permesso. Era ora di reclamare ciò che gli apparteneva.
Si sorprese dei suoi stessi pensieri, tanto possessivi.
 
La mano sinistra di Akane si poggiò delicatamente sulla sua spalla, voltandosi verso di lui, ma il tono delle parole che uscirono dalla sua bocca era decisamente adirato.
 
“Sapete che vi dico, farò compagnia io a Nabiki. Non preoccupateVi.”
Più che adirata, era furibonda.
 
Li scansò in malo modo, alzandosi dal proprio posto andando a raggiungere la sorella.
Alcuni pesanti rintocchi al legno del grande portone del casato, destarono tutti dalla confusione generale che si era creata.
 
“Vado io.”
Disse Akane più che seccata, ma contenta probabilmente, che finalmente avrebbero tenuto occupate quelle loro boccacce.
 
“Finalmente si mangia.”
Sospirò.
 
 
 
Lo schiamazzo di un amazzone giunse alle sue orecchie.
Seguito subito dopo da un urlo, di isteriche offese poco fini, della fidanzata, rivolte all’altra ragazza sulla porta.
 
Nabiki aveva ordinato senza ombra di dubbio al Neco Hanten.
Fortuna delle sue fortune.
 
Le iridi nei suoi occhi si rimpicciolirono con pura angoscia.
Si alzò velocemente, correndo nella direzione in cui provenivano le urla, quasi sicuramente Akane si sarà scontrata involontariamente, o quasi, con Shampoo.
 
E tra le due la differenza era abissale.
Akane sarebbe stata quella che ci avrebbe rimesso di più, se si fossero scontrate!
 
Nello stesso istante in cui calpestò i ciottoli della ghiaia ai margini del piccolo sentiero che conduceva all’entrata principale, accanto a lui correva Shinnosuke.
L’espressione corrucciata e preoccupata sul suo volto lo infastidirono ulteriormente.
Egli doveva correre dalla fidanzata in pericolo, non lui.
 
“Ei non c’era bisogno che ti scomod…”
Tutto ciò che vide, prima di finire a terra con un certo peso addosso, fu una familiare chioma fluente di capelli color lavanda sulla sua faccia.
 
Maledizione.
 
“Nihao, wo de ai ren*!” 
L’affascinante amazzone strusciò il viso alla guancia del ragazzo, gettandogli le braccia al collo. Con timore riverenziale allungò il collo e lo sguardo verso Akane.
La furia omicida della fidanzata non si era ancora riversata su di lui. Il che era più che anormale.
Anzi dire anormale era un eufemismo.
 
Mancò di contare un piccolo particolare però, che di solito in ricorrenze del genere, mancava.
Shinnosuke.
 
La braccia dell’ospite infatti, circondavano con premura la vita e avvolgevano la piegatura delle ginocchia della fidanzata, caduta a causa dell’irruzione poco delicata della cinesina.
 
“Ti sei fatta male anata**?”
Il viso di Akane si colorò uniformemente di un rosato che contrastava amabilmente col colore delle sue iridi nocciola, mentre adagiava quello sguardo imbarazzato sul ragazzo che la sorreggeva.
 
Inerme tra le braccia dell’amazzone, rimase pietrificato guardandoli.
Le attenzioni di Shinnosuke le avevano fatto passare in secondo piano la gelosia nei suoi confronti?
Aveva anche un certo sentore di quanto, tra tutte le sue pretendenti, Shampoo fosse quella più agguerrita e parallelamente la più temuta da Akane.
 
Per tanto, o i suoi occhi gli stavano giocando un brutto scherzo, oppure davvero lei sembrava essersi dimenticata della presenza dell’amazzone così pericolosamente vicina a lui.
 
Sentì un enorme vuoto dilagare all’interno del suo corpo, paradossalmente all’altezza del cuore.
Quel ragazzo era entrato nella loro casa da poco più di un ora e già era riuscito ad attirare l’attenzione quasi esclusivamente su di lui.
E sconvolgere la solita quotidianità di quella famiglia.
 
Forse si stava sbagliando. Forse le convinzioni che segretamente covava all’interno del suo subconscio non gli erano poi così d’aiuto a concretizzare i suoi sentimenti. Lo stavano portando ad un lento e inaspettato crollo emotivo, più che altro.
 
Dopotutto perché Akane avrebbe dovuto respingere Shinnosuke? Era un bravo ragazzo, non le avrebbe fatto mancare niente, e l’avrebbe trattata egregiamente bene, fino all’eccesso, forse. Ma chi non l’avrebbe fatto? Persino un tipo strambo come Kuno, se avesse avuto la possibilità l’avrebbe fatta sentire una regina, a modo suo, nonostante Akane non avesse uno dei caratteri più cordiali che esistano.
 
Solo lui, incredibilmente superbo e altezzoso in parecchie, troppe occasioni, aveva sottovalutato la cosa.
Con quanta sicurezza si era auto convinto che nel cuore di Akane potesse aver trovato spazio solo lui?
 
Akane nel corso della loro storia aveva cercato di palesare più e più volte i suoi sentimenti, questo non poteva negarlo. Ne con se stesso, ne se si fosse presentata l’occasione di parlarne con lei.
Non lo avrebbe fatto, no. Non avrebbe aspettato oltre, questa volta.
Ma non era l’unica cosa che si sentiva finalmente pronto a dichiarare. Perché era vero Kami, ricambiava anche lui quei stessi sentimenti. Solo lo faceva maledettamente male.
 
Che idiota.
 
Shinnosuke non attese una risposta da Akane, e sollevandosi da terra con lei tra le braccia si diresse a tavola. Tra i due ragazzi serpeggiava un’ aria di rivalità, non propriamente espressa.
Una tensione quasi tattile.
 
All’improvviso colse qualcosa trafiggerlo, giungendo fin a quel vuoto, colmandolo leggermente.
Lei era l’unica capace di riempirlo con qualunque cosa. Fosse rabbia, gioia, dolore, a volte addirittura amore…
Akane finalmente si era ricordata di lui, voltando la testa e indugiando mentre lo guardò.
Fece per aprire la bocca, cercando di pronunciare qualcosa ma la richiuse all’istante.
 
 
“Shampoo grazie per la cena, ci vediamo eh…”
Scollandosi, letteralmente, la cinese di dosso riuscì ad accompagnarla fuori. Per dirigersi nuovamente a tavola.
 
Nabiki come se nulla fosse scartò dalle confezioni cartacee i piatti con all’interno la loro cena.
Li distribuì discretamente veloce in corrispondenza di ogni postazione.
“Ragazzi un altro secondo e avremmo dovuto riscaldarlo questo Ramen!”
 
 
 
 
 
 
***
La cena non si era svolta nel migliore dei modi.
Un imbarazzante silenzio si era alzato durante la consumazione del pasto.
Akane non aveva rivolto la parola a nessuno, tranne che a Nabiki per chiederle distrattamente dell’acqua.
 
Quell’atteggiamento lo agitava. Non era un comportamento che poteva addursi alla fidanzata.
Per lo meno Shinnosuke seppe stare al proprio posto, una volta tanto.
Almeno quello.
 
Non divorò selvaggiamente la sua porzione, o elemosinata dell’altra a una delle ragazze, come faceva di solito. Doveva parlare con Akane, o ne sarebbe dipeso anche della sua alimentazione.
 
Quella ragazza era riuscita a sconvolgerlo intimamente. E non era la prima volta.
Il che era discretamente preoccupante, dal suo punto di vista.
Ma quell’impellente bisogno di sentirla, era inaspettatamente più bruciante di qualsiasi altra sua necessità, al momento.
 
Quando la vide allontanarsi dal tavolo pensierosa, come primo istinto, si alzò anche lui.
Shinnosuke lo scimmiottò, camminando nella stessa direzione in cui era andata Akane.
“Se permetti avrei bisogno di parlarle… privatamente.”
“Non mi sembra urgente il tuo bisogno, ho notato che ti diletti a interagire anche con altre ragazze.”
 
Doveva sbarazzarsi di quella palla al piede. E al più presto.
Avrebbe avuto bisogno di diverso tempo nell’immediato futuro. E un terzo incomodo non era previsto.
 
“Oh guarda Shinnosuke cos’è quello lì?”
Indicando un punto inesatto sopra le loro teste.
“Uh… cosa?”
 
Con un sorriso diabolico, silenziosamente percorse le scale alla velocità della luce.
Come aveva previsto Akane era in procinto di entrare in camera sua. La prese per il polso, facendola entrare e seguendola chiuse la porta a chiave, alle sue spalle.
 
“Dobbiamo parlare…”
 
Non si era accorto di tenere strettamente vicino a se il corpo della fidanzata, e quando si accorse di aver involontariamente adagiato una mano sul sedere di questa, lei non gli diede altro tempo per assimilare ciò che aveva fatto.
 
Il vaso contenente un misero e solitario fiore che si trovava solitamente sopra la scrivania, ora era in una piccolissima percentuale sparso sulla sua testa, insieme alla moderata quantità di acqua che conteneva.
 
“Sei davvero un porco, lo sai?”
 
 
Odiava trasformarsi in ragazza. Poi in momenti come quelli, soprattutto.
Tra tutte le maledizioni, era convinto che la propria fosse la più nefanda, con la quale convivere.
Soprattutto per un uomo innamorato, che poi completamente uomo non era.

 
 
 
 
 

 
 
________________________________________________________________________
*wo de ai ren =mio amato
**anata = tesoro
 

 
Ok il capitolo forse è un po’ troppo incentrato sui pensieri di Ranma, e carente in alcune cose, tipo sconvolgenti accadimenti. Volevo allungarlo scrivendo e inserendo direttamente qui il seguito della vicenda, ma poi ho pensato che sarebbe stato troppo lungo come capitolo, e si sarebbe perso un po’ il succo, e sarebbe stato pesante leggere tutto in una volta. xD
Come potete capire dalla fine del capitolo, che ho deciso di porre in un momento come questo, il seguito sarà quasi interamente incentrato sul famoso ‘discorso’ che si sta preparando a fare Ranma.
 
Siate clementi, non ho avuto molto tempo a causa dell’Uni :( Ma non fatevi problemi nel recensire.
Scrivere questa storia mi allieta estremamente. 
Esponetemi pure tutto ciò che ne pensate a riguardo. :)
A presto,
Kade.

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Capitolo 9
*** 9 ***


 
“Mi hai fatto male stupida!”
Si massaggiò il bernoccolo che già faceva capolino tra la sua folta, fulva chioma.
 
 
“Ti sta bene, razza di maniaco! Sempre ad approfittartene stai…”
Faceva la sostenuta, ma lui l’aveva colto quel filo di piacere che lei ne aveva ricavato. Ne era rimasta colpita ma non del tutto offesa.
C’avrebbe scommesso qualsiasi cosa, che se l’avesse fatto qualcun altro dei suoi spasimanti, avrebbe provato vergogna. Non imbarazzo, come con lui.
 
Lo gratificò, quella piccola conquista.
E senza accorgersene sorrise. Aveva voglia di attirarla a sé e abbracciarla, per quello, ma non poteva. Sia perché l’avrebbe nuovamente picchiato, e sia perché ora aveva le sembianze di una ragazza. E poi non erano proprio in uno di quei momenti, diciamo… idilliaci.
In quel momento la sua priorità era tornare ragazzo.
 
“Dobbiamo parlare io e te, ma prima mi serve dell’acqua calda.”
 
Akane lo guardava interdetta, con le braccia conserte.
 
La rossa si sporse fuori dalla finestra, balzò fuori e dopo una manciata di lunghi secondi, nei quali si sentì scorrere dell’acqua in bagno, lo rivide ragazzo, bussare ai vetri.
 
Akane spalancò la finestra, richiudendola silenziosamente dopo che lui entrò all’interno della stanza.
“Uscendo dalla porta avresti fatto prima, il bagno è a due passi.”
Glaciale lo mortificò, vanificando il lavoro perfetto che aveva fatto nel tornare normale nel giro di pochi secondi e attraversare parte della casa. Dall’esterno tra l’altro.
 
In imbarazzo, alzò fiero il mento in procinto di controbattere.
La voce di Shinnosuke si udì di colpo, vicinissima oltre la porta.
Una mano di Ranma scivolò sulle labbra di Akane impedendole di rispondere qualsiasi cosa, la sentì irrigidirsi a quel contatto poi capendo le sue reali intenzioni, si afflosciò accigliandosi.  
 
Con forza si levò quei sigilli dal viso, e voltandosi verso di lui lo guardò in cagnesco.
Si lo sapeva, si stava comportando come un perfetto idiota, e il fato non lo aiutava.
Avvicinandosi nuovamente a lei, con le dovute precauzioni le sussurrò qualcosa all’orecchio.
“Lasciagli credere di esserti addormentata, vedrai sarà molto meglio.”
 
La intravide arrossire, poi accennò un lieve assenso con capo e come da parola, non aprì bocca.
Quando sentì i passi del ragazzo ritornare al piano inferiore, si permise di far scattare l’interruttore della luce, piombando dall’oscurità in cui stavano, alla nitida luce del lampadario giallo.
 
Percepiva il nervosismo della ragazza. Traspariva dalla sua pelle, avrebbe detto, tanto era palese.
Il suo sguardo poi non lasciava fraintendimenti di alcun genere.
 
“Allora cosa vuoi?”
Gentile come sempre, pensò.
 
Ma stavolta non sarebbe stato dolce neppure lui.
 
“Dimmi che diavolo ti ha detto quello.”
Esordì non proprio alla grande, i suoi zigomi erano sul punto di infiammarsi per tanta veemenza, ma non lo permise. Finalmente un po’ di autocontrollo.
Pensò di aver un’espressione truce in viso, per come era cambiato lo sguardo di Akane su di lui.
Bene. Forse si sarebbero presi sul serio per una volta.
 
La mora indugiava, era visibilmente confusa, come se le cose da dire si dibattessero antecedenti la sua bocca, pronti a far cazzotti, per il primo che sarebbe uscito fuori di li.
 
“Perché ti interessa?”
Le sue orecchie non erano preparate a sentire quello. Si sarebbe aspettato un bel monologo assaporando ogni minima sfumatura di voce e di espressione sul suo volto. Non delle spiegazioni.
 
“Non vuoi dirmelo Akane? Va bene fai come vuoi.”
 
Lentamente fece per avvicinarsi alla finestra. Poi qualcosa lo trattenne per la casacca.
“Aspetta testone…”
Chiuse le palpebre, soddisfatto per i risultati di quella finta resa. Avrebbe dovuto adoperarla più spesso, si disse.
Tornato di nuovo di fronte la ragazza, aspettò che lei iniziasse a parlare.
 
“Mi ha fatto una proposta. Ma non intendo accettarla. Ne ora, ne mai.”
La sua voce era estremamente calma, troppo per lei.
Immaginava già quale tipo di proposta avesse potuto farle, ma preferiva sentirgliela dire direttamente.
“Cosa ti ha detto?”
 
La vide sedersi con cautela sul piumino che ricopriva il grosso materasso, leggermente incavato a causa del peso inaspettato.
Voleva vederla in faccia, e sedersi accanto a lei non gli andava, prese posto sulla poltroncina della scrivania girandola, verso di lei.
 
“Ha detto di amarmi e di non aver paura di aspettare, affinché il mio sentimento per lui maturi.
Ha confessato di volermi sposare, un giorno.”
 
Lo sapeva. Lo sapeva benissimo. C’avrebbe scommesso.
Perché tutta quella sorpresa allora? L’aveva colpito sentire quelle parole uscire direttamente dalle labbra di Akane, e doveva dirla tutta. Lo spaventava il fatto che da quelle stesse labbra potessero uscire parole che lui non avrebbe sopportato ascoltare.
Con un movimento impercettibile della testa, ma che lei intuì, fece si che proseguisse con le parole.
 
“Gli ho detto semplicemente di essere di innamorata.”
Si corresse subito, arrossendo, quasi a doversi capacitare di averlo detto davvero.
“Di essere già innamorata.”
 
Riprese a toccare quelle sue ciocche di capelli ribelli sulle spalle, a farle quasi da manto.
Lui, dal canto suo sentiva di aver quasi stritolato il piccolo bracciolo in pelle, sotto il suo palmo.
Akane gli aveva lanciato una provocazione bella e buona.
Ha detto di non voler accettare la sua proposta di matrimonio, quando sarà, ma aveva lasciato aperto un interrogativo ancora più astruso.
 
Doveva sapere. Voleva sapere.
Una patina di madido sudore iniziò a imperlargli la fronte e il collo.
In parte si aspettava una risposta del genere, era perfettamente da Akane. Ma, d’altronde, era anche tipicamente nell’indole della fidanzata lasciarlo sul filo del rasoio in quel modo.
 
Avanti idiota, chiediglielo. Chiedigli di chi è innamorata. Fallo.
 
No. Non era bravo con le parole. E lo sapevano entrambi.
La ragazza lo scrutava con quegli occhi, dal basso della sua frangia blu cobalto.
Amava di lei anche i riflessi dei suoi capelli.
Addosso a lei aveva tutto, dannatamente un impressione diversa.
Era proprio cotto. Stracotto.
 
Ma il desiderio di lei, stava valicando quasi tutte quelle difese che aveva issato su, per proteggersi.
La rivide abbassare lo sguardo. Il cuore gli si fermò. Un pensiero invase la sua mente.
Se non l’avesse fatto ora, non c’avrebbe mai più provato. Il cuore e il suo stomaco stavano lavorando in subordinazione, maledettamente bene, e prima di perdere i sensi, avrebbe tanto voluto farlo.
 
Si. Lei sembrava predisposta a non arrabbiarsi. Sentiva lo stesso bisogno che sentiva lui?
Lo sperava, perché si stava spingendo oltre quella poltroncina, spostando il peso del suo corpo sul piede destro, pronto ad attraversare quella stanza. Col cuore in gola.
E sperava che, prima di averla raggiunta, fosse ritornato al suo posto.
 
Come se il tempo stesse rallentando, molto lentamente, la vide issare la testa completamente, e il suo petto, affatto scarno o piatto, come insisteva a dirle, si sollevava e abbassava a ritmo del suo respiro. Improvvisamente accelerò, forse realizzando quello che stava per succedere. 
 
Era a un passo da lei, e la vide inquietarsi sul letto, e quando fece per alzarsi, subito le bloccò i polsi, impedendole di alzarsi.
E soprattutto una volta commessa quella scelleratezza, sicuro di venir punito in un modo o nell’altro, almeno avrebbe evitato che le manine di Akane gli finissero in faccia, bruscamente.
 
“Ranma io…”
Indugiò quando le sentì pronunciare il suo nome a una distanza così breve, dal suo stesso viso.
Ormai era troppo tardi, per voltarsi come un codardo e scappare via.
Tutto quello che si era prefissato di dirle orai era andato a farsi benedire, insieme a tutte le buone intenzione di parlarle. Il suo cervello non ricordava più cosa avrebbe dovuto dirle.
Si stava sconnettendo del tutto. O forse, molto probabilmente, era lui ad averlo volutamente messo fuori gioco.
 
Piegò di lato la testa, si lasciò scappare un gemito mentre guardava le labbra lucide di Akane.
Istintivamente si leccò le sue, a pregustare quel momento.
Le avrebbe assaggiate.
Cosa stava facendo? Che i Kami l’aiutassero se fosse sopravvissuto a ciò che stava per azzardare.
 
La mora serrò le labbra e indietreggiò, per quanto poteva essere possibile allontanarsi. Per la prima volta la guardava così attentamente e da vicino, che riuscì a memorizzare ogni centimetro del suo volto. Era perfetta, nessuna imperfezione a contrastare l’armonia di quel visino che lo guardava spesso, arrabbiato. O forse non riusciva a scorgerne, a causa del rossore uniforme che la colorava.
 
Si avvicinò nuovamente, riducendo lo spazio che li divideva.
Tre centimetri, gli occhi di lei si allargarono allarmati.
Due centimetri, ora era lui a esalare l’ultimo lungo respiro.
Uno, un solo centimetro, e poi sarebbe stato felicissimo di averle prese di santa ragione, una volta finito. Almeno le avrebbe prese, consapevole, e per qualcosa di cui valeva la pena rischiare.
 
Le loro labbra stavano per sfiorarsi. Inalò il profumo del suo respiro, stranamente fruttato.
Forse mischiato alla fragranza dello shampoo di Akane, che aleggiava anche su di lui da qualche secondo.
 
Le mani di Akane si liberarono, improvvisamente, aumentando lo distanza ‘di sicurezza’.
Il cuore di Ranma mancò un battito. Oh, no.
No maledizione.
Perché si è allontanata, e perché come uno stupido gliel’ha lasciato fare?
 
“A- Akane…”
Come una maschera di cera, l’espressone quasi terrorizzata di Akane si sciolse.
“Fattelo dire… Sei proprio un baka!”
Sorrideva? Era un sorriso quello?
Non ci capiva più niente.
 
Akane lo agguantò delicatamente con entrambe le mani, e non oppose resistenza quando lo attirò con decisione verso le sue labbra.
Quando finalmente la incontrò, sentì le sue mani scivolargli intorno al collo, stringendolo affettuosamente mentre faceva aderire il busto al suo.
Istintivamente le sue braccia la avvolsero sorreggendola, mentre lui si fece leva con un ginocchio sulla superficie morbida del letto.  
 
Qualsiasi cosa fosse successa, fu grato ai Kami e anche a lei, di quello che gli stava facendo provare.
Come l’aveva creato, lei ruppe quel contatto. A malincuore mentre lei cercava di allontanarsi, lui non la lasciava andare completamente, rimanendo parzialmente a contatto ancora un po’.
La sentì ridere contro le sue labbra e si convinse anche lui a lasciarla andare.
 
Raggiunta una giusta distanza, la guardò estasiato. Sentiva la testa leggera, e che sorrideva come un idiota, mentre lei continuava a sogghignare guardandolo, con quella buffa espressione colorata.
Iniziò a ridere anch’egli, contagiato dall’ilarità di Akane.
 
“Sei bella Akane.”
La ragazza ammutolì di colpo. Abbassò la testa e si coprì il viso con le mani.
Oh, perfetto, cosa aveva fatto ora? Le aveva fatto un complimento e lei reagiva così.
 
“Akane io… Guardami dai.”
 
Non era destino che si capissero a parole. Quello era evidente.
 
“Non prendermi in giro. Non sei costretto a fare il carino con me, dopo averti… ecco…”
“Ma che stai dicendo? Non volevo prenderti in giro. Io… lo penso veramente, stupida!”
“Oh ti prego, devo avere un aspetto orribile, e poi lo so, sai… io non sono come le altre… io non sono… carina come loro, quindi per favore, almeno sii sincero, se proprio sei in vena di galanterie.”
 
Ma come diavolo poteva farla ragionare, quella stupida?
La insultava e ovviamente non andava bene, le faceva un complimento, che tra l’altro gli era costato un po’ del suo solito orgoglio, e non gli credeva. Certo, d’altronde come darle tutti i torti. Una vita passata a litigare e insultarsi, non avrebbe potuto far altro che portare a questo.
 
“Akane te lo dico una volta sola, quindi stammi bene a sentire, perché non sono sicuro di riuscire a  ripetertelo una seconda volta!”
Finalmente stava tacendo e lo guardava attenta, fisso in volto.
 
“Ecco… io, io l’ho sempre pensato quello che ti ho detto.”
“Quindi mi stai dando ragione! Ah non ne posso più, sparisci.”
Se avesse potuto, sarebbe sprofondato volentieri in qualsiasi cosa, purché non avesse fondo.
 
“No, no aspetta scema, mi riferisco all’ultima cosa che ti ho detto. Tu… si insomma, mi sei sempre piaciuta Akane.”
Non si sarebbe mai aspettato che quelle parole, potessero scivolargli via di bocca con tale facilità. Suonavano così naturali e ovvie che non trovò neppure il tempo di arrossire, colpito dalla loro veridicità.
 
Scattò a sederle di fianco, scrutando dall’alto la sua espressione esterrefatta, mentre si portava le mani dietro la nuca, fingendo indifferenza.
Quell’attesa, in cui lei non spiaccicò neppure un misero grazie, sembrò eterna.
Le cose non stavano andando come lui si aspettava. Non erano neppure iniziate come se l’era immaginate. Tanto valeva finire coerentemente.
 
“Ok beh, tornando a quel discorso…”
 
“Io invece, credo di amarti, Ranma.”
 
 
 
Il suo petto si gonfiò così tremendamente tanto, d’orgoglio, che tutto ciò che i suoi sensi percepirono qualche secondo più tardi, fu una sublime sensazione di serenità prima di piombare nella buio più cupo che potesse aspettarsi.
 
Il suo sistema nervoso, lo aveva supportato egregiamente, più di quanto si aspettasse.
Era giusto che si riposasse, ora.
 

Le avrebbe confessato di amarla quando avrebbe riacquistato i sensi.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve!
Allora, temo ci siano diversi errori, e non ho potuto soffermarmi a rileggere e correggere, purtroppo. Già ho protratto a lungo la pubblicazione di questo capitolo, e ho preferito inserirlo ora, prima di perdere ulteriore tempo.
Spero sia stato gradito, e soprattutto all’altezza delle aspettative. :)
Fatemi sapere,
un forte abbraccio a tutti i lettori!
Kade.  

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Capitolo 10
*** 10 ***


Salve mie/ei carissimi lettori/lettrici.
Mi scuso tantissimissimo per il mio lungo periodo di assenza, e l’altrettanto ritardatario aggiornamento! Purtroppo, famiglia, impegni vari e soprattutto lo studio, mi hanno tenuta lontana. :( Ma di tanto in tanto ho trovato il tempo di arrangiare questo capitolo, che ahimè non lo credo all’altezza delle aspettative, come (permettetemi di dirlo *.*) il più atteso della storia. Ho letto tutte le recensioni, e sono davvero molto soddisfatta di questo mio umile lavoretto. Davvero, lo avete reso una soddisfazione per me.
Inoltre ho notato che sono cresciuti i numerini delle views, dei seguiti, dei ricordati, ecc.
Non ho altro per voi che dei semplici e sinceri GRAZIE.
Vi lascio comunque subito alla lettura. Inutile ricordarvi che sono sempre molto lieta di leggere le vostre recensioni, per cui, non siate avidi di parole e ditemi tutto quello che ne pensate! :*
Buona lettura,
Kade.
   
 
 
 
 
 
 

 
Il frusciare di qualcosa, molto vicino alle sue mani ridestò di colpo i suoi sensi, mettendone in allerta l’intero sistema neuronale. Tuttavia non si mosse.
Il solo pensiero di balzare in piedi, gli causò una fitta di dolore alle tempie.
 
Si sentì sfiorare il dorso delle mani, da qualcosa di caldo al tatto e subito dopo da una freschissima sensazione carezzevole, trascinatasi fin sulle spalle.
Erano lenzuola quelle. Fresche e immacolate lenzuola, di uno studio medico.
Capì subito dove si trovava, e chiaramente non era disteso su di un futon in casa loro.
Si perché, riconobbe quasi implicitamente, il profumo e la rara delicatezza solita di quelle mani, che lo accudivano malgrado l’inesperienza.
 
Prima di aprire gli occhi, e lasciare quell’oscuro mondo ovattato, in cui aveva giaciuto per quello che ne sapeva, probabilmente per qualche ora, ruotò la testa verso la presenza accanto a lui.
Alla sua destra.
 
“Ciao.”
Quel sussurro, fu pronunciato a non più di qualche centimetro dal suo orecchio.
Arrossì involontariamente, non appena ripercorse con la mente gli ultimi ricordi, dell’ultima e sorprendentemente intensa serata, trascorsa in casa Tendo.
 
Tuttavia non badò molto all’imbarazzo vigente sul suo volto. L’unica altra cosa che riuscì ad esprimere il suo viso, fu l’estasi, provata in seguito a quell’ultima frase sentita pronunciare dalla donna che amava.
 
Io invece, credo di amarti, Ranma. 
 
 
Kami, sperò di non svenire nuovamente e, per fortuna, le sue preghiere furono ascoltate.
Akane lo guardava con una strana espressione, che corrucciava quegli occhi e il suo sguardo solitamente innocente, e privo di ombre.
 
Ma certo, che odiota. Lei aveva confessato di amarlo, o almeno gli disse di crederlo.
E lui, era svenuto. Riconobbe che non aveva tutti i torni quando gli dava dell’imbecille.
Lo era sul serio, diamine!
 
“Devono essersi preoccupati, per avermi portato dal Dott. Tofu, vero ‘Kane?”
Le sue parole tradivano un velo di agitazione e irrequietezza. Ma Akane parve tranquillizzarsi, dopo averlo sentito riprendere parola.
I suoi lineamenti si rilassarono, infondendole quella solita aria sbarazzina.
 
“A dire il vero sei rimasto privo di sensi quasi per un’intera giornata… e lì mi sono preoccupata.”
Lo disse con un sorriso, ma si colorò ugualmente di un po’ di sano rossore.
“Vedi scemo, sono le sei del pomeriggio. Continuando di questo passo avremmo dovuto rianimarti con una scarica da duecento, in serata.”
 
Una fragorosa risata riempì il piccolo locale infermieristico.
 
“Vieni qui.”
Scostò una mano avvolta dalle lenzuola, e fece per avvicinarla al viso di lei, ma questa si ritrasse bruscamente.
Qualcuno aveva spalancato la porta in legno, e con un colpo di bacino l’aveva completamente aperta, sorreggendo tra le mani due vassoi traboccanti di cibo.
Il buon, caro, e sempre contento di vedere, Dottor Tofu.
 
Akane posò due occhi sbarrati, grandi così, sui vassoi, alzandosi immediatamente accorrendo ad aiutare il dottore in difficoltà. O per come gli era sembrato, più che contenta di allontanare l’attenzione su di loro.
 
“Dottore non si preoccupi. La prossima volta mi chiami, la aiuterò volentieri.”
“Oh no Akane, stai già facendo tanto, occupandoti di Ranma. Figliolo, non ti ha lasciato un minuto da quando sei entrato in questa stanza.”
 
Il sorriso a trentadue denti di Tofu, piegò la sua direzione verso la mora, che imbarazzata si voltò di scatto verso i vassoi adagiati sul piccolo tavolino.
Ranma notò che, la superficie in legno, era già parzialmente occupata da altri due vassoi completamente intatti. E quello che contenevano, sarebbe dovuto essere il loro pranzo.
Akane non aveva toccato cibo.
 
Con un leggero sforzo ordinò ai suoi arti di muoversi, e puntellando i gomiti sulla morbida superficie del materasso, riuscì a sedersi.
 
“In effetti ho un certo languorino, grazie dott. Tofu.”
Con un inchino appena accennato, Tofu liberò il tavolino dai vecchi vassoi e li lasciò nuovamente soli.
 
“Come ti senti?”
La mora gli porse la cena.
Una minestra ancora fumante, con accanto due varietà di pane integrale e un grappolo d’uva sigillato da uno strato di cellofan.  
 
Senza troppi complimenti, e neanche rispondergli, afferrò un panino e lo ingurgitò come una caramella.
Il suo stomaco reclamava ciò di cui per troppe ore, ‘gli era stato tolto’.
Di seguito, si portò la scodella fumante alle labbra e dopo una manciata di secondi la riadagiò nel suo spazio ai piedi del letto.
 
“Cos’hai, non hai fame Akane?”
Lo sguardo della ragazza vagò dal vassoietto fin alla sua faccia, per un paio di volte.
“Sei incorreggibile.”
 
Sicuramente era in ottime condizioni fisiche, e il riprendere di tutte le funzioni umane, era un incommensurabile sintomo di guarigione.
Finalmente aveva colmato quell’enorme vuoto che sentiva all’interno dello stomaco, ma sinceramente non era del tutto soddisfatto. Aveva ancora fame. Come se non mangiasse da una settimana.
Aveva timore a chiederle di cedergli anche la sua cena.
Comunque, non la privò del suo cibo, nonostante non ne avesse toccato neppure una mollica.
 
Era chiaramente tesa, e in pensiero per qualcosa. E lui, quel cosa, sapeva bene cosa potesse essere.
 
“Scusa” la attirò verso di se semplicemente sorridendole, e continuò “…siediti qui Akane”
 
Con un gesto della mano la invitò a sedersi sul letto, accanto a lui, facendosi da parte, verso il muro confinante.
 
Akane si sedette, e lo fronteggiò con uno sguardo ora, forse troppo duro, e non più indulgente a dispetto di qualche minuto prima.
Non voleva correre troppo con lei. Ma non sapeva cos’altro fare.
Dirle a voce ciò che avrebbe voluto, era fuori discussione, avrebbe peggiorato le cose senza ombra di dubbio.
Lo faceva sempre, quando ci provava.
E poi…sembrava che se la cavasse meglio a fatti che a parole.
 
Stava per succedere tutto molto velocemente, ma come un incontro finito male, sentì congelare il sangue nelle vene, quando scorse quel lampo negli occhi di Akane.
 
“Oh no, non ci provare nemmeno!”
Aveva capito tutto. Era sempre stata sveglia, ma mai avrebbe immaginato tanto.
E questo lo intrigò ancora di più.
Ora non voleva baciarla per sfuggire a quella situazione imbarazzante, lo voleva fare perché qualcosa più forte di lui e della sua maledizione lo spingeva a farlo.
Qualcosa legato all’affetto che per troppo tempo aveva celato nei suoi confronti, pensò.
 
O forse qualcosa di strettamente primitivo, che legava un uomo ad una donna.
Mosse convulsamente la testa, scacciando quei pensieri impuri dal suo lobo frontale, stava diventando sul serio un maniaco, pensò.
Ma il suo battito cardiaco dopo aver accelerato la sua corsa, a causa di quei pensieri, ancora non si era ridestato.
Maledizione, che gliene andasse bene una, ogni tanto.
 
“Ranma, ti senti bene?”
Le mani di Akane lo accarezzarono sul collo, e dopo una veloce passata sulla fronte, agguantarono le sue guancie.
Che l’avesse fermato perché voleva baciarlo lei?
Quando la vide avvicinarlo verso le sue labbra, tenendolo ancora saldamente stretto, iniziò a crederlo sul serio.
Ma quando la sua bocca si adagiò lieve sulla sua fronte capì che quelle attenzioni non erano dovute all’attrazione nei suoi confronti.
Non in quel momento, almeno.
 
“Sei troppo accaldato, credo tu abbia la febbre, testone.”
Se continui a starmi così vicina non preoccuparti della febbre, ma di altro.
 
Lo spostamento d’aria, che avvertì qualche secondo prima dell’impatto, avrebbe dovuto avvertirlo, da buon artista marziale qual’era. Invece era completamente in balia degli eventi.
Di lei, precisamente. Che lo colpì così forte, da fargli riacquistare tutti quanti i sensi, all’istante.
Oh, oh… non lo aveva soltanto pensato. Lo aveva proprio detto?!
Che idiota. Era davvero un grandissimo idiota. Potendo, si sarebbe colpito anche egli stesso, ma molto, molto più forte.
 
“Aspetta Akane, scusa, scusa non volevo, davvero, io…”
“Ci sento bene, sai, razza di stupido!”
Il suo sguardo tradiva rabbia, ma la sua voce…emozione. A lui decisamente familiare.
 
“Beh comunque, ti chiedo scusa, non so come abbia potuto dire una cosa del genere, sul serio, io non…”
“Smettila, con me non attacca. Piuttosto, vado dal dottore a chiedere se può dimetterti. Credo che dopotutto, non sia febbre la tua. Ne parleremo più tardi di quello.”
 
Ecco come rovinare tutto nel giro di sole ventiquattro ore. Quali ventiquattro ore, di meno!
Eccelleva davvero in tutto, soprattutto inidiotologia. Un campione in materia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***
Quell’aria dicembrina pizzicava piacevolmente i sensi. Le era sempre piaciuto l’inverno ma mai quanto quell’anno.
Sentiva che stava per cambiare tutto… eppure qualcosa, o meglio, qualcuno rimaneva sempre l’idiota di un tempo. Il suo personalissimo idiota.
 
Sorrise a quel pensiero, e dal basso della sua posizione rimase quasi impietrita e senza fiato, guardandolo camminare, come faceva sempre, sui bordi delle inferriate che costeggiavano l’impetuosa fluidità stagionale del torrente.
Era cresciuto, e dannatamente bene anche.
 
Le parve di guardarlo per la prima volta, dopo tanto tempo. Come se si fosse saltata quel cruciale passaggio dell’ ascensione, dall’età adolescenziale a quella adulta.
Ciò che aveva di fianco era un uomo, non più il ragazzino combina guai di qualche anno fa.
Sentì la gabbia toracica farsi, fastidiosamente pesante.
Aveva dichiarato i propri sentimenti a quell’uomo. E adesso anche lei, non era più una ragazzina.
Qualunque fosse la risposta, che ancora non aveva ricevuto, l’avrebbe accettata a testa alta.
 
Il tragitto dallo studio del dott.Tofu fino a casa loro, non le era mai sembrato più ostile e insolitamente lungo. Di solito, in una decina di minuti si riusciva a colmare la distanza tra le due abitazioni.
Erano all’incirca una ventina di minuti, invece, che vagavano per Nerima, si accorse.
 
“Ranma, ma…”
“Shh, zitta e seguimi.”   
 
Non aveva neppure notato che ora le stava camminando di fianco, le prese una mano, e le parve che la strinse stranamente forte.
Amava in maniera così smisurata quei suoi minimi gesti d’affetto che le riservava, che avrebbe potuto vivere in eterno anche solo di quelli. Erano al quanto rari, da parte del codinato, soprattutto perché non li riservava mica a tutti.
 
Ad un tratto si fermarono di botto. Ranma era fermo a un passo avanti a lei. Per qualche secondo, come se il tempo si fosse fermato, fissò senza un apparente motivo la schiena del ragazzo, ma senza realmente vederla.
Anche quella strana pausa sembrava del tutto naturale.
La sua meticolosa testolina, parve non accorgersi del tempo che stavano perdendo, dell’aria fattasi forse un po’ troppo sferzante e gelida, e che l’unica parte del suo corpo non curante del freddo era proprio quella mano che le stringeva, ancora, Ranma con tanta urgenza.    
 
Le braccia di Ranma all’improvviso l’avvolsero, e automaticamente alzò anche le sue.
 
In quel momento ebbe l’assoluta certezza che la sua vita sarebbe dipesa sempre da quella di Ranma.
Non c’erano sistemi, non c’erano spiegazioni, a ciò che sentiva in quel momento.
Nulla del genere aveva provato prima di allora. Una sensazione tanto familiare, quanto insolita e  inaspettata.
E non aveva la minima idea di cosa stesse provando, di cosa si trattasse, ma le infondeva qualcosa di estremamente bello dentro.
Che paradosso. Tutto in loro era un paradosso. 
 
Ma cosa importava ora,Kami, che buon odore aveva.
Quel genere di odore speziato e virile, che lo aveva sempre contraddistinto.
Che non si sarebbe mai stancata di sentirlo addosso, pensò.
 
“Stai tremando… torniamo a casa.”
“No! Non voglio, non ho freddo.”   
 
Ranma prese le distanze, accorciandole subito dopo, pigiando le labbra sulle sue.
Come era iniziato però, con la stessa velocità finì.
Si allontanò quel tanto, da avere una perfetta visione in prima fila, della sua espressione esterrefatta, pensò. Che coraggio.
Altro che ‘sexappeal di un cetriolo’, era messa molto peggio in quel momento.
Pensava seriamente di avere un’espressione ebete stampata in faccia.
 
Non che le importasse qualcosa, ovviamente. Sperò solo che, almeno lui non si fosse accorto del turbine idiota in cui vorticavano i suoi pensieri, adattandosi al suo viso con estrema fedeltà.
 
“Cercherò di essere il più sincero possibile, quindi ti prego… non interrompermi.”
 
Prima in su, poi in giù mosse la testa.
Lui continuò, mentre il suo cuore intraprese una folle corsa verso chissà cosa.
Ma l’avrebbe ascoltato. Fosse anche l’ultima cosa che avesse fatto.
 
“Allora, voglio che tu sappia che non voglio legarmi a te tramite una stupida promessa fatta dai nostri genitori. Non ti sposerò, se il futuro della palestra è quello a cui loro puntano unicamente. Non voglio costringerti a prendere una decisione simile e una responsabilità ancor maggiore, sposandomi.
Siamo troppo giovani, e non voglio privarmi di esperienze che solo la mia giovinezza può offrirmi, a tutto c’è il giusto tempo. Questo ecco… ritenevo giusto dovertelo dire.”
 
Non voleva sposarla. Chiaro e limpido come il cielo, quella notte.
Messaggio ricevuto Akane. Crogiolati pure nel dolore ora, avanti!
 
 
“Poi beh, lo sai… non sono sicuro di riuscire a dirti quello che vorresti sentire. Non lo so perché, ecco… io… soltanto non riesco! Non vorrei che tu fraintenda però, insomma, ne abbiamo passate tante insieme, e noi…”
  
Forse non riusciva a terminare la frase a causa di quell’impellente bisogno di torturarsile dita.
Quando si trovava in certe difficoltà lo faceva sempre…
 
Fu allora, che tutti i pezzi di quel curioso puzzle tornarono misteriosamente in ordine combaciando alla perfezione. Una pigra lampadina, rimasta per fin troppo tempo senza il giusto guizzo luminoso, stava prendendo letteralmente fuoco, all’interno della sua psiche.
  
Dedicando anch’ella l’attenzione a quella rotazione ipnotica dei pollici, capì ciò che da tempo forse, il codinato cercava di dirle.
 
Quante paranoie si era fatta, quante risate insieme, quanti pianti da sola.
Tutto, nel bene o nel male li aveva portati proprio lì dov’erano ora. Se quello era il risultato di tanti sforzi e sacrifici, allora ne era valsa davvero la pena. Sarebbe stata disposta a rifare mille volte gli errori commessi, le litigate con lui, e tutto il resto.
 
Ranma ricambiava il suoi sentimenti.
Ne era certa, il corpo di Ranma le parlava. Come aveva sempre fatto, ineffetti.
Perché c’ha messo così tanto tempo a capirlo?          
 
“Akane, insomma io…”
O la va o la spacca!
“Lo so, ti amo anche io baka.
 
Con rinnovato vigore, lo trasse a se, e quando sfiorarono un altro bacio, sentì le labbra del fidanzato incresparsi, contro le sue, impennandosi ai lati verso l’alto.
 
Poi la baciò ancora, ancora e ancora, finché non proruppe in una risata grossolana.
E più che una risata le parve un urlo belluino, quello che gli si liberò dal petto.
Aveva vinto una sorta di battaglia contro se stesso, e quello era il suono della vittoria.
Vittoria che apparteneva in parte, anche a lei. A entrambi.
 
Ancora stretta dalle sue braccia, alzò il viso per guardare il suo sguardo allegro e, per la prima volta, apparentemente felice. Quell’ombra di disappunto sempre in agguato, pronta a imbronciare anche la più naturale delle sue espressioni, era sparita. Era davvero scomparsa.
Ed ora, il suo sguardo ricordava vagamente l’eccitazione di un bambino appena entrato in un negozio di caramelle.
 
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò, assaporandolo di nuovo.
Poi senza dire una parola staccò le labbra dalle sue, portandole alla fronte, poi sul naso, per poi tornare sulle labbra.
 
“Ho sempre pensato di volerlo fare, non chiedermi il perché.”
Sorridendo gli svelò l’anomalia di quel gesto, arrossendo un po’.
Anche se, era al freddo doveva il resto del rossore sulle sue gote.
 
“Tu puoi farmi quello che vuoi… e per informazione, non voglio che ti giustifichi.”
“Oh, che gentiluomo che è diventato il mio scemo.”
 
La riprese tra le braccia stringendola forte, e la sollevò da terra di qualche centimetro, prima di farle rimettere piede sull’asfalto.
“Torniamo a casa ora, Nabiki potrebbe preoccuparsi…”
 
 
 
Bip Bip.
Un’accesa lucina rossa lampeggiò un paio di volte, prima di ritornare nell’oscurità in quel vicolo, catturando in quell’ultimo istante di scarna appariscenza, la loro attenzione.
 
All’unisono, due voci esclamarono con lapidaria certezza il nome di colei che li avrebbe rovinati.  
Nabiki!
Nabiki!
  

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Capitolo 11
*** 11 ***


Salve gente.
Credo che vi debba un po’ di spiegazioni riguardo l’andamento della storia. Ormai l’avrete capito che sta giungendo al termine, e a malincuore presto dovrò abbandonare questo progettino portato avanti con gioia e piacevole impegno, supportata da tutti voi, lettori recensori e non. Mi avete sempre spronata a continuare, e spero di essermi migliorata nel corso dei vari capitoli.
Dunque, meglio se non mi dilungo troppo, volevo solo precisare alcune cose, allora: dal precedente capitolo, fino all’ultimo, ho deciso di alternare la narrazione sotto il punto di vista di entrambi i nostri eroi, contando non più di altri tre capitoli da qui alla fine definitiva della storia.
Così, giusto per avere più gusto io nel raccontarla e voi nel leggerla, penso sia relativamente positivo sentire entrambe le campane ora che i giochi stanno volgendosi al termine, e poi vi ricordo che abbiamo lasciato qualche personaggio, diciamo così, in sospeso.
I cambiamenti di ‘ruolo’ saranno anticipati dai soliti politici asterischi. (***)
Con questo vi abbandono lasciandovi alla lettura.
Un fortissimo abbraccio,
Kade.  

 

 
 
 
 
Strano, molto strano. Nabiki a quest’ora sarebbe già uscita allo scoperto.
Non che fosse passato poi molto tempo, all’incirca solo un paio di minuti.
Ma la situazione non la convinceva affatto, e da ciò che lasciava trasparire l’espressione di Ranma, non convinceva neppure lui.
 
“Aspetta qui, vado a controllare.”
In un secondo il ragazzo sparì dietro l’angolo del vicolo più vicino, dal quale l’ignoto spettatore aveva, probabilmente, filmato tutta la scena.
Che imbarazzo!
In che razza di situazioni dovevano trovarsi sempre. Che avessero mai vissuto una giornata all’insegna della normalità? Mai.
 
L’aria gelida sferzava continuamente raffiche di vento poco gentili contro il suo viso, facendole lacrimare gli occhi, per lo sforzo di doverli tenere aperti e ben all’erta. E come se non bastasse, la preoccupazione iniziò a montare dentro il suo stomaco a mo di una bomba innescata e pronta a esplodere.
 
Non le sarebbe dispiaciuto far sapere alla città intera di aver marchiato il territorio.
Si sa, il signor Genma, promise in sposo suo figlio alla metà delle giovani di Nerima, proprio come nel suo caso, e non si era spinto solo ai confini nazionali.
Sarebbe stata una bella conquista, non preoccuparsi e soprattutto non doversi ingelosire più del necessario, per salvaguardare ciò che ora, era ufficialmente suo. Ma non in quel modo.
Sventolare ai quattro venti quei momenti di intimità, decisamente molto personali non lo trovava giusto. Necessitavano anche loro di una privacy, ed era giunto il momento di farla rispettare.
Anche da sua sorella.
 
Soprattutto da lei.
 
 
 
 
 
 
***
Il sangue gli pompava nel petto come un idrante impazzito, e non solo a causa delle intense emozioni appena vissute, ma anche dalla rabbia che subito dopo pochi istanti si era impossessata di lui nel vedere la lucina rossa del Rec di una videocamera, sparire nell’oscurità della notte complice del guardone, o di chiunque si trattasse.
 
Ma un vago sospetto lui già l’aveva. E l’aveva anche apertamente manifestato, urlando quel nome alla cieca, un attimo prima, all’unisono con la sua fidanzata.
 
Ora era davvero stufo di tutto quel magna magna, fruttato grazie alle sue disgrazie o ai suoi momenti più delicati, grazie al quale Nabiki Tendo poteva vantare un regime economico degno di un usuraio.
Quando è troppo, è troppo.
L’avrebbe affrontata, e se fosse stato necessario le avrebbe sfasciato quell’inutile aggeggio col quale si divertiva a rovinargli la vita, più di quanto già non fosse.
 
Corse verso quell’unico indizio, ma appena svoltò l’angolo si trovò in un vicolo cieco, confinante solo su un lato da un abitazione costernata da inferriate arrugginite, e a prima occhiata parecchio spoglia e malandata.
 
Sparire così dal nulla non era il modus operandi tipico di sua cognata, soprattutto perché non aveva una dimestichezza al pari di un artista marziale, in questo genere di cose.
Quello era senza dubbio opera di qualche combattente, o comunque di qualcuno molto agile a svignarsela.
 
E per quanto lo facesse a malincuore, dovette eliminare dalla lista dei sospettati Nabiki.
Nonché unica a vigere all’interno di quella, al momento.
Senza tralasciare il fatto che conoscendola, li avrebbe subito ricattati per non far divulgare una simile notizia.
Tutti, potevano solo lontanamente immaginare i danni che avrebbe causato.
 
Si guardò alle spalle e intorno un paio di volte, prima di decidere che sarebbe stato meglio tornare indietro da Akane e tornarsene a casa. In ogni caso avrebbe appurato di persona, una volta dentro, che Nabiki non gli nascondesse nulla.
 
Ritornato dalla mora, lei lo perforò con lo sguardo vedendolo ritornare senza quel qualcosa, in mano. Non erano affatto buone notizie, proprio no.
 
“Ranma credo che chiunque ci abbia spiato, non centri molto con Nabiki…”
Avevano fatto lo stesso ragionamento a quanto pare.
 
“Già, credo che centri qualcuno dei nostri spasimanti, non mi viene in mente nessun altro a cui potrebbe interessare una cosa sim…”
Lampo di genio. Un dubbio peggiore iniziò a insinuarsi nel suo cervelletto.
Ma quale lampo, un abbaglio! Un meraviglioso e lungimirante abbaglio.
 
Era da un po’ di tempo che i loro genitori non si facevano vivi.
E non a caso, quell’uscita di scena, gli ricordava tanto le loro famose e innumerevoli ritirate, guidate dal buon senso e una alta dose di fifa blu.
Degna di due idioti, qual’erano.
 
“Ranma stai bene?”
“…giuro sul mio onore che li ammazzo!”
 
Di volata, prese la mano di Akane e si incamminò verso casa, con un enorme interrogativo in testa e un fastidioso dubbio legato a questo.
Era ora che si decidessero a tornare a casa quegli imbroglioni, e al loro ritorno non avrebbero ricevuto il bentornato. Per niente.
 
Ed ecco che sulla sua personale lista nera di sospettati, si incisero a fuoco due bei nomi.
 
Genma Saotome
Soun Tendo
 
 
 
 
 
***
Quando tornarono a casa l’imbarazzo ritornò a incombere sulle loro teste.
Nabiki li aspettava per cena in salotto, come sempre, senza aver spiccicato una sola parola.
Di riflesso mollarono la presa l’uno dalla mano dell’altra, e guardandosi per un istante negli occhi Ranma fu veloce abbastanza da farle un occhiolino e farle capire che sarebbe salito al piano di sopra. Probabilmente a fare un bagno.
 
Istintivamente si imporporò, dandosi dell’idiota mentalmente.
Le pareva di comportarsi come una bambina, ma certi effetti gliel’avrebbe sempre fatti, pensò.
 
Con nonchalance cercò di pensare ad altro, provando ad intraprendere con sua sorella una sorta di conversazione.
Anche se non le avrebbe detto assolutamente niente di ciò che era successo con Ranma, sentiva il bisogno di confessarsi con qualcuno.
Ma era a corto di orecchie sincere e che non fossero doppiogiochiste, al momento. 
 
Shinnosuke aveva lasciato casa la sera prima, poco dopo che il fidanzato svenisse, la informò subito Nabiki. Non che per lei avesse avuto importanza, ma si sentì un po’ cattiva a non averci neppure pensato di chiedere di lui, le era completamente passato di testa.
 
Ma soprattutto aveva lasciato completamente sola Nabiki in casa per due giorni quasi.
Non era da lei.
 
“Oh si certo. Mi stavo chiedendo infatti come mai la casa fosse così silenziosa.”
Ottima idea, rimarca pure il punto Akane.
 
Nabiki alzò lo sguardo su di lei, e sorridendo beffardamente, il suo viso lasciò spazio nuovamente alla sua solita maschera di indifferenza.
“Non ti meraviglierai ancora per molto.”
“Di cosa stai parlando?”
“Presto te ne accorgerai da sola Akane…”
 
Così dicendo, la lasciò sola nel salone. Per la prima volta dopo un sacco di tempo rivide quella stanza stranamente vuota, e non vuota perché non ci fosse nessuno al suo interno insieme a lei, in quel momento. Ma vuota nel senso più etimologico e profondo della parola.
Non la ricordava con un tale senso di vuoto dal lontano anno in cui la sua cara mamma morì.
 
Non voleva rivivere quelle sensazioni di opprimente tristezza proprio in quel momento. Dovrebbe essere al settimo cielo per quello che le era successo. Invece, non si sentiva ancora del tutto tranquilla.
Come se ci fossero ancora questioni irrisolte, che non le permettevano di vivere serenamente il suo nuovo stato sociale. Ora era ufficialmente fidanzata con la persona che amava.
E per ufficialmente, era inteso in senso strettamente universale. Non più legati a patti, favori, o matrimoni combinati. In realtà, nonostante ora stessero insieme consapevolmente il matrimonio era l’ultima cosa a cui avrebbero pensato.
 
Che ironia, pensò.
Quel matrimonio combinato li aveva fatti incontrare, conoscere, al fine di rispettare e giungere al compimento del patto tra i loro genitori. Ed ora che il loro amore era stato dichiarato, Ranma le aveva apertamente detto che di matrimonio non ne voleva sentir parlare.
E lei inconsapevolmente, era stata assolutamente d’accordo con lui.
 
Era stata una costrizione, per la loro unione. Ed ora che il loro rapporto era passato al livello consenziente, non ne avevano più tutto questo urgente bisogno.
 
Col tempo se i Kami avessero voluto, sarebbero arrivati anche dei degni eredi di una palestra di arti marziali. Ma meglio non correre troppo con la fantasia. Akane ne aveva sapeva qualcosa.
Ora le cose dovevano essere viste in maniera diversa. Senza irruzioni di fantasie infantili a rovinare ogni cosa.
 
No, non più. Con una nuova consapevolezza, e relativa forza d’animo si preparò mentalmente a ciò che avrebbero passato di lì a poco, per preservare la loro relazione.
 
Era risaputo e al quanto scontato che le varie fidanzate di Ranma e i suoi corteggiatori, non avrebbero preso bene la notizia.
Ma dopotutto perché farlo sapere subito in giro?
Aveva bisogno, anzi, voleva proprio godersi un altro po’ di sano e fuggiasco anonimato insieme al suo lui.
 
E a proposito, salì le scale in fretta e furia, controllando bene che Nabiki non la seguisse.
Dopo esserci passata più volte davanti, e dato un’occhiata fugace all’interno della cucina e le altre stanze, notò che sua sorella si stava dirigendo verso l’uscita del Dojo.
Forse a causa di qualche sua commissione, ritiro di denaro o…
 
Un lampo di astuzia e cinica adrenalina la spinsero a dirigersi velocemente in camera della sorella.
Se fosse stata lei ad averli filmati lì fuori, l’arma del delitto dovrebbe trovarsi proprio nella sua camera.
 
Macinando le scale a due a due, si trovò al piano superiore, e sorpassata la porta della sua stanza, trovò quella di Nabiki completamente aperta.
 
Ranma l’aveva anticipata, e piegato in avanti su di un cassettone accanto uno stereo, stava travasando quello che probabilmente era il contenitore del peccato di sua sorella.
E per peccato, era inteso che si trattasse di una raccolta ben dettagliata di tutte le loro fotografie. Alcune numerate e ordinate a mazzetti, legate insieme da un fine elastico. Quei gruppetti di carta riguardavano rigorosamente la ragazza col codino e Akane, durante il giorno, le lezioni scolastiche e gli allenamenti. Alcune erano anche decisamente vecchiotte. Probabilmente riserve, in caso rimanesse a secco.
 
E ci avrebbe scommesso, tutte destinate ad essere vendute ad un unico cliente, pensò.
Kuno.
 
Con ribrezzo a quel pensiero, sfiorò la spalla di Ranma per attirare la sua attenzione.
Il ragazzo un attimo pria di voltarsi trasalì, pensando di essere stato beccato dalla sorella sbagliata.
Con un sospiro, le baciò inaspettatamente la fronte. Un gesto stranamente gentile da parte sua che le rianimò le farfalle nello stomaco. Ma poi gli sorrise, entusiasta.
Doveva abituarsi a quelle effusioni, e perché no, ricambiarle.
 
“Trovato niente?”
“Purtroppo no.”
 
Si chinò affianco a lui aiutandolo a rimettere apposto il tutto all’interno di quel contenitore di plastica che Nabiki usava a mo di scrigno segreto. Per una volta la sua cara e innocente sorellina non centrava niente. Probabilmente, non sospettava nemmeno gli sviluppi degli ultimi giorni.
Meglio così.
 
“Per la cronaca comunque, non mi va che Nabiki tenga delle tue foto per venderle a chissà chi!”
“Oh… è gelosia quella che sto sentendo?”
Scoccandole un occhiata maliziosa, il codinato richiuse con un rumoroso scatto il pesante cassettone in legno.
 
Una volta finito, si alzarono contemporaneamente, ma lei rimase a una buona spanna più in basso di lui. Che il ragazzo usò a suo vantaggio per prenderla in giro, trascinandola con una spinta fuori dalla stanza, per poi circondarle la vita con le braccia.
 
“Non ti facevo così premuroso devo ammetterlo.”
Lo guardò da sopra la spalla, e sorridendo sorniona gli strinse le mani che le circondavano quella rinomata vita larga, tra le sue.
 
Ranma stava per risponderle qualcosa di carino, dato il rossore sulla sua faccia ma all’improvviso il suo sguardo mutò il colore dei suoi occhi.
Da quel caldo mare qual’erano, in un attimo si trasformarono in anemica composizione vitrea priva di fondo.
 
Notò in fine che non stava guardando lei direttamente ma qualcosa alla sua stretta destra.
O precisamente, qualcuno.
Si voltò anche lei e i suoi occhi indugiarono per qualche secondo sulla figura, che li guardava sorridente e solare come sempre, mentre con una scopa in mano spazzolava l’entrata della stanza degli ospiti. Ovvero quella in cui Ranma e suo padre dormivano.
 
All’interno un grosso panda vi ronfava rumorosamente, ad essere precisi.
Possibile che non si erano neppure accorti che fossero tornati?
Eppure Nabiki l’aveva avvisata qualche minuto fa, in un certo senso.
 
“Salve ragazzi…  oh quanto siete carini!”
Nel dirlo si portò una mano sul viso socchiudendo gli occhi.
Kasumi, non uno spettro. È Kasumi, si ripeteva mentalmente.
 
Accennando entrambi un saluto col capo alla primogenita delle Tendo, si mollarono alla svelta e rispettivamente uno entrò nel bagno, e l’altra di corsa si rifugiò nella sua camera.
 
Altro che un po’ di anonimato. La festa era già finita. 

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Capitolo 12
*** 12 ***


Non aveva mai disdegnato tutto quel calore, e le multiple nuvolette di vapore che si alzavano dalla vasca colma d’acqua bollente. Anzi, il tutto, era un autentico toccasana per lui, e anche per il suo vecchio, a pensarci.
L’unica sana abitudine che quell’idiota di un genitore gli aveva trasmesso.
Ma adesso, trovarsi in quella vasca, dopo gli ultimi sviluppi del caso non riuscì a calmarlo nemmeno un po’.
 
Era un autentico fascio di nervi, le cose con Akane andavano bene, come lamentarsi?!
Ma il ritorno dei loro genitori, e l’ignoto testimone delle loro prime paroline di affetto reciproche, erano i primi problemi che quel nuovo capitolo della sua vita gli stava ponendo di fronte.
E il perché era relativamente chiaro. Entrambe le cose, secondo le sue idee, potevano tranquillamente combaciare alla grande.
 
E comunque, anche se si stesse sbagliando, le cose non potevano che peggiorare con quei due guastafeste tra i piedi, e la sua neo-relazione con Akane.
Non gli andava giù che le cose si potessero mettere nuovamente male con lei, il che era probabile e lui decisamente pronto all’evenienza, non era mai stata una novità quella, però a pensarci bene era stufo marcio di tutti quei problemi. Per cosa poi? Per l’insolenza altrui il più delle volte.
 
No. Doveva fare qualcosa, altrimenti non avrebbe trovato pace.
 
Finito il bagno si rivestì e con cautela decise di prendere la situazione di petto con suo padre e fece ingresso nella loro stanza, pronto a tutto.
Genma aveva stranamente ripreso la forma umana, e ciò voleva dire solo una cosa. Era pronto a far scaldare quella sua insolente linguaccia.
Con un teatrale, e disinvolto inchino, Ranma salutò il suo vecchio con tanto di pacca non tanto amorevole sulla spalla, prima che quello si girasse.
 
Stava tranquillamente leggendo un manga al chiarore di un lampione, vicino la loro finestra, appostato lì sotto con le gambe incrociate.
“Finalmente ci si rivede, eh papà?”
“Figliolo, è stata dura dover scampare alle insidie riservateci dal nostro caro maest…”
 
Con un calcio degno di un talentuoso giocatore di football, usò la preziosa testolina del genitore a mo della solita palla ovale destinata a eseguire un touchdown vincente.
Se solo si fossero trovati nel bel mezzo di una partita.
Peccato che non lo fossero, e soprattutto che quell’aggeggio rotondo e calvo non si mosse poi di molto dal collo di suo padre, facendolo semplicemente schiantare contro il pavimento, favorendo la lettura ad una distanza decisamente ravvicinata, dal suo manga.
 
Avrebbe dovuto ringraziarlo, per tanta premura. Invece, come previsto, inveì contro di lui nella solita serie di turpiloqui che usavano scambiarsi di frequente.
 
“Dove diamine sei stato per tutto questo tempo?”
“Non sono affari tuoi Ranma.”
“Ah no, e per caso dimmi, da quanto siete tornati?”
“Mmm qualche ora fa, perché tanto interesse? Ti sei preoccupato per me, oh che figlio adorabile che mi ritrovo…”
 
Si avventò su di lui, con la pretesa di affondargli il collo e la testa nella fitta rete di parquet che costituiva il pavimento, in un finto abbraccio, per ricambiare il gesto affettuoso di poco fa nei suoi confronti probabilmente.
Ma Ranma conosceva fin troppo bene il suo vecchio, e quel guizzo di sfida nei suoi occhi lo tradirono, prima di avventarsi sul figlio.
 
Con un cazzotto dritto dritto sulla tempia di quel padre degenere, lo mise ko, regalandogli un biglietto di sola andata nel mondo dei sogni. Pensò bene che perdere del tempo ancora con lui non avrebbe aiutato molto le sue ricerche, così uscì dalla stanza per dirigersi verso quella di Akane.
 
Bussò lentamente un paio di volte, prima di decidere che forse, sarebbe meglio dare un’occhiata dentro dato che non ricevette risposta.
Ma la stanza della mora era vuota. Probabilmente sarà andata di sotto a mangiare un boccone. Dopotutto era da un po’ di tempo, a quanto gli parve, che non avesse messo cibo nello stomaco.
Causa sua, ovviamente.
 
Con quella convinzione si diresse al piano sottostante, dove effettivamente trovò la fidanzata, il padre e la sorella intenti in una accesa conversazione.
Soun, inequivocabilmente in lacrime, si protendeva sulle ginocchia della figlia, mentre quella cercava disperatamente di mandare giù qualche boccone di riso.
 
Sullo sfondo una Nabiki divertita fissava la scena, anche se non capiva il perché di quella nuova recita. Lo si leggeva nei suoi occhi. Ma non parve fare domande. E neppure Akane lo fece, in chiara difficoltà, e quando si girò verso di lui lo implorò sommessamente di liberarla da quella situazione.
 
Scese velocemente le scale, catapultandosi in sala da pranzo.
“Soun… allora come va?”
Il tono della sua voce faceva trasparire finto interesse, e poca convinzione.
Akane lo incenerì con lo sguardo.
 
“Bambina miaaaaa… sono così contento, oh la mia piccola bambina sta diventando una donna!”
 
Era tutto chiaro.
I loro genitori sapevano. Sapevano tutto, ma qualcosa non quadrava.
Nabiki era stranamente calma, quasi indifferente, Akane normalmente scocciata, Kasumi doveva trovarsi in cucina a ultimare la cena da portare in tavola, e in quanto a suo padre, gli era sembrato che mostrasse un comportamento davvero insolito, nonostante sospettasse che sapessero tutto.
Forse li avevano spiati, durante quei giorni in ‘viaggio’.
Ma rimaneva ancora l’incognita di quella famosa telecamera, appostata dentro quel vicolo a riprenderli.
 
Intanto, ai margini del muro di cinta che costeggiava l’abitazione e il dojo, qualcosa si mosse in maniera impercettibile. Movimento che, nonostante tutto il baccano all’interno della casa, al codinato non sfuggì.
 
Saltò con un unico preciso movimento verso quell’inatteso ospite.
 
 
 
***
La faccia tramutata inconsapevolmente in Oni, di suo padre, le incombeva con troppa vicinanza di fronte la propria, travasando litri e litri di lacrime.
Non sopportava più tutto quello spettacolino, cosa che ancor di più la irritò fu il comportamento di Ranma.
Se ne è andato via. Di corsa per giunta. Che codardo.
Di cosa si spaventava?
Ormai il guaio era fatto, e entrambi ne erano responsabili con lo stesso grado di colpevolezza.
 
Allontanando bruscamente Soun si alzò, e uscì fuori nel piccolo giardino che ornava il lato esposto della sala da pranzo. Era sparito.
I nervi iniziarono a saltarle uno ad uno. Non solo suo padre dava segni di cedimento mentale e fisico, ora quel deficiente si prendeva anche il lusso di svignarsela a suo piacimento lasciandola, lì, da sola in quella situazione.
 
“Papà calmati non è successo assolutamente niente. La tua bambina è rimasta tale, tranquillo.”
Con quelle parole congedò sua sorella, una statua non curante delle intemperie emotive del padre, al suo confronto, e lo stesso Soun ora stranamente zittito e al quanto allibito.
 
Attraversò velocemente il corridoio, arrivando alle scale.
Per un attimo si fermò. In un angolo del piano cottura della cucina, Kasumi stava fischiettando un motivetto allegro e finendo di tagliuzzare delle verdure.
Quanto la invidiava.
Una lacrima le scivolò lungo il viso, esaurendosi sul colletto della camicia, lasciandovi un piccolo alone bagnato. Le ricordava tanto la loro defunta madre. Sarebbe stata orgogliosa nel vederla prendersi cura della casa e di tutti loro, in maniera così magnanima e senza interessi.
 
Riguardo a lei invece cosa avrebbe pensato?
Il vuoto si dilagò tra i suoi pensieri, non sapeva assolutamente cosa pensare per la prima volta, riguardo sua madre.
Prima che le lacrime le inondassero il viso, corse su per le scale, diretta in camera sua e destinata a restarvi fin, almeno, il giorno dopo.
 
Palesemente sgraziata, chiuse la porta sbattendola con violenza, e sentì la solita paperella di plastica dall’altra parte, battere un sonoro tonfo sulla superficie liscia della porta. 
Con lentezza estenuante si adagiò sul letto, restando seduta e lasciò che le lacrime uscissero liberamente.
 
Non successe. O almeno, non come si era aspettata. Solo un paio di solitarie lacrime fecero capolino, fuoriuscendo da i suoi dotti lacrimali.
Quant’era patetica, pensò.
Covando nuova rabbia, verso se stessa ora, si diresse verso la finestra con l’intento di andare a cercare quel disgraziato del fidanzato. E, come al solito, scaricare su di lui la rabbia.
 
Prima che riuscisse a scavalcare il piano in marmo del davanzale della finestra, due braccia robuste la trattennero dallo scappare. Guardò in basso dove quelle la afferrarono, e con una crescente preoccupazione notò che non si trattava di Ranma.
 
Un acuto degno di un assolo lirico, si levò a gran voce dalla sua gola, frastornando probabilmente i timpani del suo assalitore.

 
  
 
 






 
Ok è un tantino corta, e me ne scuso davvero! Non so sto avendo un tilt… spero possiate non volermene.
Dubbi, domande, perplessità saranno chiarite nelle recensioni, se continuate a farmi sapere cosa ne pensate. Sarò lieta di leggervi e rispondere a tutti!
Ora scusate, ma vado di fretta purtroppo, come sempre ultimamente.
Vi saluto tutti, con un forte abbraccio,
Kade

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