Se tu non ci sei

di PuccaChan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


L’uomo posò la penna sulla scrivania e si accese l’ennesima sigaretta. Si passò una mano tra i capelli argentei, aspirando nervosamente, e fissò il foglio bianco con gli occhi socchiusi.
Quel foglio lo stava mettendo seriamente in crisi; era seduto lì da oltre un’ora e ancora non era riuscito a scrivere nulla.
Da che aveva memoria non era mai successo che lui, Usami Akihiko, scrittore di lunga fama, che dopo essere stato il più giovane vincitore del prestigioso premio Naomori aveva collezionato un successo dopo l’altro, facendo la fortuna sua e della casa editrice che pubblicava i suoi lavori, si trovasse a corto d’ispirazione.
Si alzò, rassegnato, e si avvicinò alla finestra. In realtà, il motivo per cui non riusciva a scrivere era semplicissimo: non capitava mica tutti i giorni di dover scrivere una lettera d’addio.
Akihiko sospirò: non avrebbe mai pensato di ridursi a tanto, di essere così vigliacco da preferire di lasciare una lettera piuttosto che dire le cose faccia a faccia. Ma come avrebbe mai potuto dire alla persona che amava con tutto sé stesso che aveva intenzione di porre fine alla loro relazione?
“Misaki…” sussurrò piano, mentre gli occhi gli si velavano di lacrime.
Uscì dallo studio e cominciò a vagare senza meta di stanza in stanza, per quella casa così piena di ricordi, in cui tutto gli parlava di lui.
In realtà, l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto fare era lasciarlo. Si sentiva il cuore spezzato già in quel momento, senza aver fatto ancora nulla. Ma era necessario, lo sapeva. Non riusciva più sentirsi sereno, non riusciva più a lavorare come prima; solo, non poteva dirglielo di persona. Questo no, non ce l’avrebbe mai fatta. Il solo pensarci era troppo, troppo doloroso…
“Sono a casa!”
Akihiko sobbalzò nel sentire la voce di Misaki. Ma come, era già tornato? Guardò l’orologio a muro e vide che in effetti erano le 20 passate.
“Bentornato,” mormorò scendendo le scale mentre il ragazzo, carico di buste, si dirigeva a passo spedito in cucina.
“Oh, non puoi capire che giornata infernale ho avuto, Usagi-san! Il mio editore capo è un demone travestito da brava persona! E pensare che quando l’ho conosciuto era tanto gentile… oggi mi ha spedito in giro praticamente per tutta la Marukawa, non sono stato fermo un attimo!”
“Beh, il lavoro di un novello editore è così,” rispose Akihiho, sorridendo suo malgrado nel vedere il viso imbronciato di Misaki.
“Uff… quasi quasi preferivo essere ancora uno studente, almeno avevo l’unica responsabilità di studiare per gli esami! Il mondo dei lavoratori è decisamente più difficile!” Mentre parlava, Misaki svuotava le buste della spesa. “E tu che hai combinato oggi? Hai scritto qualcosa?” Si bloccò e si girò verso Akihiko, che non aveva risposto e se ne stava lì accanto a lui con gli occhi bassi.
“Usagi-san…? Ehi, non mi hai sentito?”
“Ah… scusami, stavo pensando a una cosa” rispose Akihiko guardandolo. “Senti, Misaki… ti dispiace venire di là in soggiorno? Devo parlarti.”
Senza aspettare che gli rispondesse, Akihiko si diresse verso uno dei divani rossi e si sedette. Aveva i nervi a fior di pelle, ma ormai non aveva più senso rimandare. Il fatto che non era riuscito a scrivergli quella lettera doveva per forza essere un segno del destino. E del resto Misaki non si meritava una meschinità simile, ricevere una notizia tanto importante per mezzo di uno squallido pezzo di carta.
“Cosa c’è?” chiese il giovane raggiungendolo sul divano.
Akihiko alzò gli occhi su di lui, su quel ragazzo con il quale aveva trascorso gli ultimi 4 anni della sua vita, e come sempre si sentì travolgere da un’ondata di tenerezza e amore. Avrebbe tanto voluto baciarlo, e poi accarezzare il suo corpo in ogni più remoto angolo, e poi… No, non doveva distrarsi.
“Misaki, io… ho preso una decisione molto importante.”
Pausa. Misaki continuava a guardarlo, in apparenza tranquillo.
“Tu forse non capirai, adesso… ma un giorno lo farai sicuramente… e ti renderai conto che è stata la decisione migliore, per tutti e due…”
S’interruppe di nuovo; gli tremava la voce.
“Ehi, Usagi-san… così mi fai preoccupare. È successo qualcosa di brutto, per caso?” fece Misaki, avvicinandosi un po’ a lui e prendendogli una mano.
“N—no… niente di brutto, tranquillo” rispose Akihiko sfilando via la mano dalla stretta di lui, così all’improvviso che Misaki strabuzzò gli occhi per la sorpresa.
“Usagi-san… ma che ti prende?”
Una lacrima rotolò giù per la guancia di Akihiko; se l’asciugò in fretta strofinandola con la manica della camicia. “Io me ne vado, Misaki. Non voglio più stare con te” disse tutto d'un fiato, fissando il pavimento.
“Cosa…?”
“Questa storia è diventata troppo… troppo dolorosa per me. Devo fare tutto io senza quasi ricevere nulla in cambio. Io prendo l’iniziativa, io ti dico che ti amo… te ne ho parlato tante volte, tu dicevi di aver solo bisogno di tempo, e io credevo di essere d’accordo…”
“… Usagi-san…”
“Ha ragione lui, mi dicevo. È un ragazzino, l’ho praticamente trascinato in questa relazione, devo dargli il tempo di abituarsi… ma sono passati 4 anni, Misaki, lo sai? Io e te stiamo insieme da 4 anni, e non è cambiato quasi niente. Adesso non ce la faccio più. Sono stanco.”
Misaki non rispose; Akihiko si sentiva i suoi occhi addosso. “E così… anche se per me non cambia nulla, anche se io ti amo ancora… devo lasciarti. Questa relazione mi fa soffrire troppo. Non riesco a lavorare. Non è giusto continuare a farti pressioni, ma non è nemmeno giusto che io debba sentirmi così… per questo devo andarmene.”
Akihiko si alzò in piedi, allontanandosi dal divano. Misaki continuava a tacere.
“Parto stasera stessa. Ti lascerò tutto il tempo di trovare un’altra sistemazione, ma quando tornerò non voglio più trovarti qui. Chiederò ad Aikawa di farmi sapere quando avrai lasciato questa casa…”
“ADESSO BASTA! STA’ ZITTO!” urlò improvvisamente Misaki, alzandosi dal divano per aggrapparsi a lui. “U—Usagi-san... tu non puoi lasciarmi! Non puoi! Hai ragione, è tutta colpa mia, sono un idiota! Ma tu… tu lo sai quello che sento per te… lo sai! I—io non riesco a dirtelo, ma non vuol dire che i miei sentimenti non siano veri…”
Akihiko stringeva convulsamente le labbra. Non riusciva a guardarlo in faccia, se l’avesse fatto sapeva che si sarebbe sciolto in lacrime.
“Misaki… lasciami, per favore.”
“No… no… non ti lascerò finché non mi dirai che non è vero… non è vero che vuoi lasciarmi… Usagi-san, ti s—supplico…” singhiozzò il ragazzo.
“Non fare così, te ne prego, Misaki… non rendermi le cose più difficili… ormai ho deciso, e qualunque cosa tu possa dire non mi farà cambiare idea…”
“Ma… m—ma io giuro che cambierò! T—te lo giuro, Usagi-san… dammi un’altra possibilità! S—solo… non lasciarmi, ti prego… n—non lasciarmi!”
Eccolo che balbettava, gli succedeva sempre quando era nervoso… Akihiko si sentì stringere il cuore in una morsa d’acciaio. Chiuse gli occhi, lasciando che due lacrime scorressero lente sulle sue guance; poi li riaprì e guardò il viso piangente del ragazzo. Era così indifeso, sembrava addirittura più giovane dei suoi 22 anni… “Misaki… è necessario. Devo farlo, capisci? Sto male, sono scontento… sento che questo stato d’animo si ripercuote anche su di te, e non è giusto…”
Misaki continuava a piangere, aggrappato alla sua camicia, scuotendo lentamente la testa.
“Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile… non credo che avrei potuto essere più felice di quanto non sia stato insieme a te. Non lo dimenticherò mai, Misaki.. e ti sarò per sempre grato di questo.” 
Akihiko stava stringendo il viso di Misaki tra le mani e ormai lasciava che le lacrime scorressero liberamente sul suo viso. “Non… non cercare di trovarmi, non ci riusciresti. Non ho detto a nessuno dove andrò.”
Akihiko si staccò rapidamente da Misaki, il quale si afflosciò sul pavimento come se tutta la sua energia se ne fosse andata nel momento esatto in cui le sue mani lo avevano lasciato.
“Usa—Usagi-san…”
“Addio… Misaki.”
Akihiko afferrò la giacca, aprì la porta e uscì senza voltarsi indietro. Una volta in strada si mise a correre senza meta, piangendo disperatamente. Era finita… finita davvero. L’aveva fatto per davvero.
E adesso?
Continuò a correre finché non rimase senza fiato e sentì un dolore acuto nel fianco. Cominciò a piovere. Guardò in alto nel cielo: non c’erano molte nuvole, e le stelle brillavano raggianti contro la superficie imperscrutabile della volta spaziale. Le stelle, loro sì che non avevano problemi; se ne stavano lassù indifferenti, a milioni di chilometri di distanza, compiendo indisturbate il loro viaggio finché non si spegnevano e morivano... 
Una volta ripreso fiato Akihiko continuò ad avanzare, la testa china, i passi incerti, lasciando che le gocce di pioggia che gli cadevano sul viso si mescolassero alle sue lacrime.

 

****

Bene. Adesso quanto mi odiate da 1 a 10? Coraggio, votate pure senza timori, non mi offendo! :D
Scherzi a parte, so benissimo che Usagi e Misaki hanno tantissime fan che amano la loro storia d'amore e credono fermamente che il loro legame non finirà mai; una volta ero così anch'io, ma ultimamente devo dire che non sopporto più Misaki e mi piacerebbe che Usagi gli desse una bella lezione, giusto per pungolarlo un pò e per fargli ammettere finalmente quello che prova per lui... non che questo mio desiderio abbia qualche relazione con questa storia, comunque. Voglio dire, se adesso state pensando che Usagi se ne sia andato per scherzo vi sbagliate di grosso; in questo momento lui è convintissimo di non voler stare più insieme a Misaki e non vuole nemmeno più vederlo. 
Ciò che succederà in seguito... lo scoprirete solo leggendo! In effetti devo ancora scoprirlo pure io... tutte le mie storie nascono un pò per caso e non cessano mai di essere "lavori in corso"! Comunque, non disperate: finchè c'è amore, c'è speranza... e adesso, dopo avervi instillato quest'ultimo dubbio, vi saluto.  A presto!

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Capitolo 2
*** 2. ***


Misaki si rimise lentamente in piedi. Per quanto tempo era rimasto steso lì a terra, a piangere e ripetere ossessivamente il suo nome? Non lo sapeva; aveva perso la cognizione del tempo nel momento stesso in cui Usagi era uscito da quella porta. Uscito, per non tornare mai più… no, non riusciva a crederci! Doveva essere tutto un terribile incubo, non poteva esserci altra spiegazione… ma purtroppo era sveglissimo. E continuava anche a piangere, avvertiva chiaramente quel liquido bruciante che sgorgava inarrestabile dai suoi occhi e gli scorreva giù lungo le guance.
Stringendosi le braccia sul corpo, si diresse a passi incerti verso le scale; salì e andò nella camera di Usagi. Nel vedere il suo letto pieno di orsetti di peluche  ebbe un’altra crisi: vi si gettò sopra ricominciando a piangere disperato. “Usagi-san… Usagi-san…” Rimase a lungo sdraiato a stringere il cuscino di Usagi, inspirando forte per stordirsi con il suo odore, finché non riuscì più a percepirlo.
Era proprio lì che era iniziato tutto, in quella stanza. Misaki ricordava perfettamente quel giorno: era andato in quella casa per avere ripetizioni scolastiche, e così aveva conosciuto quell’uomo affascinante, colto e famoso; anche se non se n’era reso conto in quel momento, era già caduto vittima del suo fascino. Ricordava il momento in cui l’aveva visto per la prima volta: lui si era appena svegliato, ma lo sguardo assonnato e i capelli arruffati non intaccavano minimamente la sua avvenenza. Ricordava i suoi occhi di quell’incredibile sfumatura di viola che lo squadravano curiosi, i suoi capelli del colore della luna, e infine le sue mani… le sue mani che esploravano il suo corpo, sicure, esperte, e lui che non riusciva a sottrarsi al loro incantesimo… a ripensarci adesso, probabilmente non aveva mai voluto sottrarvisi. Probabilmente lo aveva amato subito, dal primo istante, ma era stato così stupido da lasciarsi sopraffare dai dubbi e non lo aveva mai voluto ammettere.
Misaki si mise seduto sospirando rumorosamente. Forse cominciava ad essere più calmo, ora che si era sfogato. C’era un pacchetto di fazzoletti di carta sul comodino e ne prese uno per asciugarsi il viso bagnato e soffiarsi il naso.
Usagi aveva ragione: stavano insieme da 4 anni (la sua mente, come sempre, per un attimo si ritrasse imbarazzata davanti a quel pensiero) e non era cambiato assolutamente nulla. Lui aveva continuato a respingerlo e trattarlo male; era ovvio che Usagi si fosse stancato. Nessuno avrebbe potuto sopportare per tanto tempo una situazione simile. Usagi era stato anche troppo paziente, gli aveva offerto tutto il suo amore… e lui lo aveva ripagato solo con cattiverie e indifferenza. Faceva malissimo ammetterlo, ma era la verità.
Perché era stato così stupido? Di cosa aveva paura? Della reazione di suo fratello, di quelle della gente? Ormai era troppo tardi. Usagi se n’era andato e non sarebbe tornato mai più…
NO! Non può finire così!” gridò il ragazzo alla stanza vuota.
Non poteva essere. Se n’era andato da un momento all’altro, senza prendere nemmeno una valigia… o magari le aveva già spedite da qualche parte? Col cuore in gola Misaki si mise a rovistare furiosamente negli armadi e nei cassetti, ma le cose di Usagi sembravano essere ancora tutte al loro posto. Allora non poteva essere andato molto lontano, senza alcun bagaglio… però non si poteva mai dire; Usagi era la persona più imprevedibile che Misaki avesse mai conosciuto ed era capacissimo di prendere e partire dall’oggi al domani, tanto i soldi non erano mica un problema per lui. Misaki sorrise tristemente al ricordo di tutte le volte in cui si era trovato costretto ad arginare quel suo lato esuberante, per evitare guai sia a lui sia a quelli che gli stavano intorno… e in quel momento fu colpito da un’idea.
“Ma certo! Aikawa-san!” esclamò.
Lei doveva per forza sapere qualcosa. Per forza! E poi, Usagi aveva detto che le avrebbe chiesto di fargli sapere quando lui avrebbe traslocato… a quel pensiero sentì di nuovo le lacrime premere in fondo ai suoi occhi per uscire, ma si sforzò di ricacciarle indietro.
Aveva pianto abbastanza; adesso doveva assolutamente parlare con la redattrice.

 
~~~
 
Un’ora dopo Misaki mise giù la cornetta del telefono, del tutto scoraggiato.
Aikawa non aveva saputo dirgli nulla: sapeva ovviamente che Usagi era partito, ma effettivamente lui non le aveva detto dove stesse andando. La donna aveva chiesto se fosse successo qualcosa, e Misaki aveva tremato internamente: sforzandosi di mantenere un tono di voce normale, aveva risposto che andava tutto bene. Aikawa aveva accettato di buon grado la sua risposta e poi aveva riattaccato.
Preso dallo sconforto Misaki aveva addirittura commesso un atto impensabile: aveva telefonato a casa Usami. Mentre il telefono squillava si era sentito prendere dall’ansia di sapere chi sarebbe venuto a rispondere; fu quindi un enorme sollievo per lui quando sentì la voce familiare e rassicurante di Tanaka, il maggiordomo.
Purtroppo anche quella telefonata si era rivelata un buco nell’acqua, dato che Tanaka non sapeva nemmeno che Usagi fosse partito. Gli promise di non dire nulla al signor Usami, e quella per Misaki fu un’ottima notizia; non aveva proprio voglia di sorbirsi l’ennesima predica da parte dell’anziano uomo d'affari, il quale era sempre stato convinto che per suo figlio non sarebbe mai venuto nulla di buono dal rapporto con Misaki.
Il ragazzo trasalì al suo stesso pensiero. Alla fine le parole di Usami Fuyuhiko si erano rivelate profetiche: lui aveva sempre fatto soffrire Usagi, non si era mai impegnato seriamente nella loro relazione, e così l’aveva perso per sempre…
Misaki si sforzò d’inghiottire il groppo doloroso che gli serrava la gola, cercando di non scoppiare di nuovo in lacrime. Andò ad accoccolarsi sul divano, stringendo l’orso Suzuki forte contro il suo petto.
Aveva anche pensato di telefonare al suo vecchio professore di letteratura all’università, Kamijo Hiroki, visto che lui e Usagi erano amici di lunga data, ma poi aveva lasciato perdere. Non aveva senso importunare anche un’altra persona; e comunque era sicuro che nemmeno il professor Kamijo sapesse nulla.
Misaki voltò il peluche verso di sé in modo da guardarlo in faccia. “Cosa posso fare, Suzuki-san…?” mormorò tristemente.
Naturalmente l’orso non poteva rispondere a quella domanda. I suoi occhi non erano altro che bottoncini di plastica neri, freddi e indifferenti.
Il silenzio che regnava in casa era quasi assordante.
Misaki chiuse gli occhi cercando di frenare le lacrime; ma due di esse, ribelli e pesanti come macigni, rotolarono ugualmente giù per le sue guance.
“Usagi-san… dove sei…?”

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Capitolo 3
*** 3. ***


“E’ permesso?”
Aikawa Eri fece capolino nella casa, dopo aver aperto con le sue chiavi. Mosse alcuni passi all’interno e si guardò in giro. “Misaki-kun…? Sei qui? Sono io, Aikawa…”
Silenzio.
Nessuno in vista.
Aikawa entrò in soggiorno: era tutto in disordine. C’erano libri, riviste e orsetti di peluche sparsi un po’ dovunque, e odore di chiuso. La cucina sembrava essere in condizioni migliori; il frigo però era desolatamente vuoto. Non c’era proprio niente, nemmeno una bottiglia d’acqua.
Aikawa sospirò preoccupata. Era passata una settimana dalla telefonata di Misaki, e da allora non l’aveva più visto né sentito. Kirishima-san, il suo editore capo, le aveva detto che non stava nemmeno più andando al lavoro, adducendo alcuni problemi familiari; e adesso lei credeva di sapere perfettamente che tipo di problemi fossero.
La redattrice salì al piano di sopra e arrivò nella stanza di Misaki, trovandola vuota. “Misaki-kun, ci sei?” provò a chiamare di nuovo, sempre più preoccupata. Dove poteva essere?
“Aikawa-san.”
La donna sobbalzò al suono improvviso di quella voce dietro di lei; si girò trafelata e i suoi occhi si spalancarono di sorpresa. “Misaki-kun…”
Era proprio Misaki che le era arrivato alle spalle chiamandola… ma, allo stesso tempo, non sembrava più lui. Aveva i capelli arruffati, una camicia di almeno 2 taglie più grande della sua ed era terribilmente pallido; i suoi occhi verdi erano circondati da occhiaie violacee, come se non dormisse da giorni, e quegli stessi occhi, un tempo brillanti e vivaci, erano adesso spenti, come senza vita. Aikawa lo fissò a bocca aperta, trattenendo il respiro senza accorgersene.
“Scusi. Non volevo spaventarla. Ero di… di là, e non l'ho sentita entrare,” mormorò Misaki puntando il pollice dietro la spalla, per indicare la camera di Akihiko.
“No… non importa. È colpa mia che sono entrata senza permesso… ma, Misaki-kun… hai un aspetto orribile! Da quant’è che non dormi? E… come sei dimagrito! Stai mangiando?”
“Oh, in realtà non ho per niente fame in questo periodo… ma sto bene, non si preoccupi…”
“Non stai bene affatto!” lo interruppe Aikawa, alzando la voce. “Adesso ti fai una bella doccia mentre io preparo il tè. Guarda, ho portato i bignè della tua pasticceria preferita! Ti va di fare merenda insieme?” Gli sorrise speranzosa, ma Misaki la guardava inespressivo, come se non si rendesse ben conto di quello che gli stava dicendo.
“Forza, forza! Vai a lavarti! Nel frattempo io preparo tutto!” riprovò lei spingendolo in bagno.
“Ok…” fece il ragazzo, lasciandosi condurre senza protestare.
Aikawa sospirò di sollievo sentendo l’acqua della doccia che scorreva. Poi andò nella sua stanza per prendere dei vestiti: anche lì regnava la più grande confusione, ma riuscì comunque a scovare un paio di boxer, dei jeans e una felpa puliti. Glieli appoggiò sul letto e si guardò intorno, desolata; il Misaki che conosceva lei non avrebbe mai lasciato la casa in quelle condizioni. La situazione doveva essere più grave del previsto.
 

~~~

Stava versando il tè nelle tazze quando Misaki apparve in cucina. Aikawa si voltò verso di lui e gli sorrise, rasserenata; sembrava stare un po’ meglio, per lo meno non aveva più quell’aspetto terribilmente dimesso che l’aveva tanto turbata prima.
“Sei arrivato giusto in tempo, Misaki-kun! Vieni a sederti e mangia un dolcetto” gli disse in tono allegro. Misaki ubbidì e si sedette al tavolo, prendendo un bignè alla crema e dandogli un piccolo morso. Poi bevve un sorso di tè.
“Allora? Ti piacciono?” gli chiese.
“Sì... certo. Sono buoni come sempre. Grazie, Aikawa-san” rispose Misaki a bassa voce, facendole un sorriso così pieno di tristezza che Aikawa dovette girarsi verso il lavandino per non scoppiare in lacrime. Dopo essersi ripresa andò a sedersi davanti a lui; Misaki aveva abbassato la testa e stava fissando la sua tazza di tè. Cosa poteva dirgli?
“Allora, Misaki-kun… il tuo capo mi ha detto che non stai andando al lavoro…”
“E’ così. E mi sa che non ci tornerò mai più.”
“Cosa?” fece lei, sorpresa. “Ma eri così contento di aver ottenuto il lavoro alla Marukawa…”
“Sì, è vero. Ma ormai non me ne importa più niente. Non ha più… importanza…”
La voce di Misaki si spense in un sussurro. Aikawa fissò quella testolina china davanti a lei, sentendosi il cuore stringere di pena. Allungò una mano verso di lui e gli fece alzare il viso; Misaki la guardò con gli occhi lucidi di lacrime.
“Misaki-kun… ti va di parlare?”
“… Di cosa?”
“Beh… lo sai.”
Misaki sollevò per un attimo le sopracciglia in un gesto di stupore, ma non disse nulla. Aikawa non poté fare a meno di sorprendersi; perfino in un momento del genere, davanti all’evidenza, lui si tirava indietro?
“Misaki-kun… puoi parlare di tutto quello che vuoi con me, davvero. Sono qui per ascoltarti. Sono molto preoccupata per te. Sei cambiato, non mangi, non dormi, non vai al lavoro… lo so che è tutto a causa sua.”
Misaki continuava a tacere; aveva iniziato a piangere silenziosamente.
“In effetti… lo so da molto tempo.” Aikawa sorrise teneramente nel vedere un’ombra di panico passare negli occhi del ragazzo. “Perché ti stupisci? Cosa credi, che sia una sciocca?” aggiunse, fingendosi offesa.
“N—no… certo che no…” rispose Misaki tirando su col naso; Aikawa frugò nella borsa che aveva appoggiato sul tavolo e gli porse un pacchetto di fazzoletti di carta.
“Non c’è niente di cui vergognarsi, Misaki-kun. Assolutamente niente. Io sono dalla vostra parte, tua e di Usami sensei, lo sono sempre stata. E mi è tanto dispiaciuto sapere della sua decisione… ma sai cosa mi è dispiaciuto ancora di più? I motivi che l’hanno spinto a compiere questo passo.”
Misaki, che si stava asciugando gli occhi, rimase con la mano sospesa a mezz’aria. Aikawa fece un respiro profondo e lo trattenne per un istante, nervosamente; quello che stava per dire avrebbe potuto essere ancora più doloroso per lui… ma era necessario. Doveva dirglielo.
“Usami sensei mi ha raccontato tutto. Mi ha detto che se n’è andato perché stare con te ultimamente era troppo doloroso per lui. Mi ha detto di come il tuo atteggiamento aggressivo e negazionista non sia cambiato di una virgola in tutto questo tempo… e di come lui ne avesse il cuore spezzato.”
Aikawa parlava lentamente, scegliendo con cura le parole e cercando di ferire il ragazzo il meno possibile; nonostante tutto, però, lo vide sussultare come se qualcuno lo stesse ferendo a morte, e vide i suoi occhi che tornavano a riempirsi di lacrime. Gli prese le mani e gliele strinse forte. “Misaki-kun… sei innamorato di Usami sensei?”
Misaki avvampò di colpo e abbassò di nuovo la testa, senza rispondere. Aikawa aspettò qualche secondo ma, visto che lui continuava a tacere, sospirò e riprese: “Misaki-kun… non te lo sto chiedendo per farmi gli affari tuoi. Ma voglio che adesso tu me lo dica. Io ti sono vicina e sarò sempre tua amica, andrà tutto bene, credimi. Ti prego, rispondi. Sei innamorato di lui?”
Misaki alzò di nuovo gli occhi, sforzandosi evidentemente di non piangere, e assentì leggermente. “… Sì… lo amo…”
“E allora… perché non glielo hai mai detto?”
“Io… io non lo so! N—non lo so a cosa pensavo! Lui… lui non faceva che ripetermelo continuamente, tutti i giorni, e io pensavo che era dannatamente fastidioso… però poi, quando lui mi… t—toccava, era la sensazione più bella che avessi mai provato in vita mia… e avrei tanto voluto dirgli che lo amavo anch’io… e che non desideravo altro che stare sempre con lui… ma non ci riuscivo! Mi mettevo sempre a pensare ai miei genitori, a mio fratello, anche a lei, Aikawa-san… e così non ci riuscivo! E mi dispiace, m—mi dispiace tanto…!”
Il tono di voce di Misaki si era alzato progressivamente mentre parlava, ma verso la fine s’incrinò e lui ricominciò a piangere a dirotto. “Mi dispiace… vorrei tanto rimediare… v—vorrei che lui fosse qui, ma non c’è… e io… io non so più che cosa fare! Che ne sarà di me, Aikawa-san…? Io… non posso vivere senza di lui… s—senza Usagi-san, non conta più niente per me…”
Misaki appoggiò la testa sul tavolo, continuando a singhiozzare. Aikawa aveva ascoltato senza più dire una parola: si sentiva sull’orlo delle lacrime anche lei. Si alzò in piedi, scostando la sedia rumorosamente, e si avvicinò a Misaki passandogli un braccio intorno alle spalle. “Oh, Misaki-kun… quanto mi dispiace! Io… io non immaginavo che tu stessi così male! Gli avevo promesso di non dirti nulla, ma adesso non posso più tacere…”
Misaki smise istantaneamente di piangere e alzò il viso per guardare la redattrice.
“Che… che sta dicendo, Aikawa-san…?”
“Mi dispiace così tanto! Io so dove si trova Usami sensei…”
Stavolta fu il turno di Misaki di scattare in piedi, e lo fece così improvvisamente che rovesciò addirittura la sedia. “Dov’è? Me lo dica, la prego!” esclamò, afferrandole le mani e fissandola. Aikawa ricambiò lo sguardo del ragazzo e sospirò.
“Misaki-kun… te lo dirò, perché non voglio più vederti ridotto in questo stato. Ma tu devi promettermi che ripeterai al sensei le stesse, identiche parole che hai detto adesso a me… e devi giurarmi che non lo farai soffrire mai più.”
“Glielo giuro, Aikawa-san… glielo giuro su quello che vuole!”
 

~~~

Più tardi Aikawa si congedò, non senza prima essere scesa al konbini più vicino per fare un po’ di spesa a Misaki ed essersi accertata che si fosse calmato. Misaki l’accompagnò alla porta, abbracciandola calorosamente.
Bene. Adesso che sapeva dove si trovava Usagi, non doveva fare altro che raggiungerlo. Del resto, anche Usagi una volta aveva fatto qualcosa di simile per lui… Misaki si sentì l’ennesimo groppo alla gola a quel ricordo, ma lo ricacciò indietro coraggiosamente e sorrise, per la prima volta dopo tanti giorni.
“Sto venendo da te, Usagi-san…”
Ma non subito. Prima, c’era qualcun altro con cui avrebbe dovuto parlare.


****
 

Eccomi qui con il nuovo capitolo! A dire il vero non ne sono pienamente soddisfatta, ma tan'tè... fatemi sapere cosa ne pensate, e niente paura: nel prossimo episodio vi svelerò finalmente dov'è finito il nostro beneamato sensei! Devo però anticiparvi che NON sarà da solo... suvvia, non fate quella faccia! Se siete delle brave e solerti lettrici, che leggete sempre l'introduzione prima di passare alla storia vera e propria, avrete notato che ho inserito un "nuovo personaggio"; se invece non lo siete, beh... peggio per voi.
^_*

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Capitolo 4
*** 4. ***


Akihiko contemplava assorto il paesaggio fuori della finestra. Quel giorno il cielo era un po’ nuvoloso, come si confaceva ad un novembre inglese, ma la campagna era comunque piacevole da osservare.  E poi a Tokyo non aveva molte occasioni di vedere alberi e verde a volontà.
“Stai elaborando qualche nuova trama per i tuoi libri?” disse in quel momento una voce alle sue spalle.
“Mi stavo semplicemente godendo il panorama, Thomas” rispose Akihiko sorridendo al suo interlocutore.
“Capisco. Non è male, vero? È per questo che non sono mai riuscito a schiodarmi di qui.”
L’uomo chiamato Thomas ricambiò il sorriso e andò a sedersi in poltrona davanti ad Akihiko, attraversando la stanza con eleganti falcate.  Era un uomo decisamente attraente, dai capelli biondo-rossastri, gli occhi azzurri, il naso regolare e le labbra carnose.  
Le loro famiglie erano vicine di casa prima che la famiglia Usami si trasferisse in Giappone, quando loro due avevano 10 anni, ed erano sempre stati grandi amici.
Da bambini erano praticamente inseparabili, andavano a scuola insieme, studiavano insieme e giocavano insieme. Thomas, in un certo senso, era sempre stato affascinato dal suo amico straniero: non aveva mai conosciuto nessuno come lui, nessuno che fosse così intelligente e così misterioso. Akihiko parlava raramente di sé, ma nonostante tutto la sua compagnia era sempre piacevole. Ecco perché, quando gli aveva detto che sarebbe andato a vivere in Giappone, Thomas ne aveva provato grande dolore. Ricordava ancora quel giorno, come se fosse accaduto appena ieri...

~~~

La scuola era finita e loro camminavano verso casa insieme, come sempre, quando di punto in bianco Akihiko gli aveva dato quella notizia. Il cuore di Thomas si era praticamente fermato per un tempo che gli era parso lunghissimo: lui era il suo migliore amico, non poteva andarsene! Come avrebbe fatto senza di lui?
Per una settimana non si erano più visti; Thomas non aveva il coraggio di rivedere Akihiko, troppo addolorato dalla partenza imminente e troppo triste al solo pensiero. Però non poteva proprio lasciarlo partire senza nemmeno salutarlo, e così quella mattina si era fatto forza ed era andato a casa sua.
La partenza della famiglia Usami era fissata di lì a poche ore. Thomas aveva trovato il suo amico seduto sul letto in camera sua, con un’espressione molto triste; vicino al muro c’erano due grandi valigie, già chiuse e pronte per il viaggio.
“Thomas!” esclamò Akihiko, balzando in piedi alla sua vista.
“Ciao, Akihiko.”
“... Sono contento di vederti.”
Thomas rimase per un po’ sulla porta, senza riuscire a muovere un solo passo; dal canto suo, anche Akihiko sembrava incapace di muoversi.
“Credevo fossi arrabbiato con me” riprese Akihiko.
“Perché dovrei essere arrabbiato con te?” chiese Thomas, sorpreso.
“Per non avertelo detto prima. Sai, del trasferimento…”
“Ah… ma da quanto lo sai?”
“Dal mese scorso.”
Thomas sollevò le sopracciglia: perché non gli aveva mai detto niente, se lo sapeva da tutto quel tempo?
“Non riuscivo a dirtelo, non mi andava di pensarci… almeno finché non fosse stato inevitabile. Scusami.” mormorò Akihiko in quel momento, come se gli avesse letto nel pensiero.
“Oh… è tutto ok, davvero. Non sono arrabbiato,” gli rispose Thomas sforzandosi di sorridere; poi si avvicinò e si sedette sul letto, e allora anche Akihiko fece altrettanto.
“E così… si parte, eh? Sarai elettrizzato!”
“Già… più o meno.”
“Dove andrete a stare?”
“Tokyo.”
“E’ proprio la capitale del Giappone, vero? Dev’essere fantastica!”
“Papà dice che è una grande metropoli. Non so se riuscirò ad abituarmi.”
“Ce la farai di sicuro, vedrai. Forse sarà dura i primi tempi, ma prima che tu te ne accorga ti chiederai: ma come ho fatto a vivere finora in quell’angolo sperduto d’Inghilterra?” Thomas rise per sottolineare quell’ultima affermazione, ma Akihiko non si unì alla sua risata. Continuava a starsene lì accanto a lui, a testa bassa, fissando i suoi bagagli. Thomas rifletté per un attimo che non doveva essere stato facile rinchiudere tutta la sua vita in quelle due sole valigie; lui forse non ci sarebbe mai riuscito, il pensiero di aver potuto dimenticare qualcosa di molto importante non gli avrebbe dato pace.
Con suo sconcerto, si accorse di una piccola lacrima che scivolava indiscreta lungo la guancia del suo amico.
“Ehi, Akihiko... andiamo, non essere così triste. Altrimenti fai intristire anche me…”
Improvvisamente Akihiko si girò verso di lui e gli afferrò una mano, fissandolo negli occhi. “Thomas… facciamo un patto,” disse con decisione.
“Un… patto?”
“Io e te saremo amici per sempre, e non ci perderemo mai di vista. D’accordo? Promettilo, Thomas.”
Thomas lo fissò per qualche secondo, a bocca aperta. Guardò quegli occhi dal colore incredibile che non lasciavano i suoi nemmeno per un secondo; si era sempre chiesto che colore fosse: blu? Azzurro? Indaco? Perfino adesso, che lo conosceva da tanto tempo, non riusciva a dirlo: non aveva mai visto un colore simile in tutta la sua vita, i comuni mortali non potevano semplicemente avere occhi così belli…
Senza pensare a quello che faceva, Thomas si sporse in avanti e premette le sue labbra su quelle di Akihiko; lui non oppose nessuna resistenza.
“… Che cosa fai?” sussurrò Akihiko quando si separarono, osservandolo con una certa curiosità.
Thomas rimase per un attimo senza fiato; che cosa aveva fatto? E perché? Non avrebbe saputo dirlo; però sapeva con certezza assoluta che lo avrebbe rifatto altre mille volte… “Oh, ehm… io ho… ho solo cercato di tirarti su di morale…” balbettò, imbarazzatissimo. “E’… un trucco, sai! Per aiutarti a scacciare i cattivi pensieri… ti è dispiaciuto?”
Formulò quella domanda in un sussurro, senza riuscire a guardarlo.
“Uhm… no, non direi. Anzi, credo proprio che abbia funzionato. Adesso mi sento molto meglio” disse Akihiko. Thomas lo guardò stupefatto, e il suo amico gli sorrise.
“Dici davvero?”
“Sì, certo. Grazie, Thomas.”
Rasserenato, Thomas rispose al sorriso. Era bello vedere Akihiko sorridere di nuovo.
“Ehi, non hai ancora risposto alla mia richiesta” fece Akihiko dopo un po’.
“Cosa? Oh, sì, il patto! Ehm… te lo prometto, Akihiko.”
“E io lo prometto a te. Ti scriverò sempre, e quando sarò più grande tornerò a trovarti.”
“Anch’io voglio venire a trovarti! E ti scriverò ogni giorno!”
“Beh… non esagerare.”
“Ok… allora ogni settimana.”
I due bambini si misero a ridere allegramente; poi si abbracciarono stretti.
“Ti voglio bene, Thomas.”
“Anch’io ti voglio bene, Akihiko…”

 

~~~

E avevano mantenuto la promessa. Gli anni erano passati, ma loro due si erano sempre tenuti in contatto. Finita la scuola superiore, Thomas aveva deciso di diventare un traduttore e così si era trasferito per un anno a Tokyo per studiare la lingua. L’anno successivo anche Akihiko aveva ricambiato la visita, trattenendosi però molto di meno poiché aveva già iniziato a pubblicare i primi racconti e cominciava quindi ad essere sommerso dagli impegni.
Thomas era stato felicissimo del successo del suo amico. Ricordava che da bambino prendeva sempre i voti più alti della classe, quando la maestra assegnava i temi; una volta aveva addirittura spedito un suo componimento ad un concorso scolastico, e aveva anche vinto il primo premio. Certo, considerando che Akihiko era sempre stato un ragazzo molto riservato, era strano che avesse acconsentito a lanciarsi nel campo della scrittura; era un po’ come se aprisse il suo cuore al mondo intero. Ma era anche un’ottima cosa: i suoi libri erano così belli e così ricchi di significato che meritavano di essere divulgati il più possibile.
Attualmente, con il suo permesso, Thomas ne stava giusto traducendo alcuni nella speranza di farli accettare da qualche casa editrice inglese.
Guardò sorridendo il suo amico, che in quel momento se ne stava in silenzio, forse perso in quel suo mondo fantastico dove andava a rifugiarsi per dare alla luce i suoi libri. Osservò il suo profilo un po’ aristocratico, il ciuffo di capelli che gli ricadeva sempre sugli occhi, la mano affusolata che sorreggeva il mento… non era cambiato granché, nonostante gli anni. E questo era decisamente un sollievo.
Akihiko voltò la testa verso lo stereo, che si trovava vicino alla porta; Thomas l’aveva acceso quando era entrato nella stanza e in quel momento stava trasmettendo un bellissimo brano.
“Come si chiama questa canzone?” gli chiese.
“Ma come, non la conosci? Non ascoltate musica in Giappone?” fece Thomas stupito.
“Ammetto di non essere molto ferrato in materia.”
“Sono i Pink Floyd. Shine on you crazy diamond. Adoro questa canzone.”
“Sì, è davvero molto bella” mormorò Akihiko, inclinando leggermente la testa.
Per qualche istante rimasero in silenzio, ascoltando il brano. “Allora, pensi di rivelarmi finalmente il motivo che ti ha portato qui?” disse infine Thomas.
“Devo avere un motivo per voler vedere il mio vecchio amico?” rispose Akihiko, calcando con ironia sulla parola vecchio.
“Non darti tante arie, abbiamo esattamente la stessa età. Anzi, tu sei addirittura più grande di me di ben 2 mesi e 12 giorni!”
“Mi hai beccato.”
“Comunque, dico sul serio. Non dico che non mi faccia piacere vederti, ci mancherebbe; però sei arrivato qui all’improvviso, senza nemmeno una valigia e senza avvisarmi…”
“Una buona carta di credito al giorno d’oggi fa miracoli.”
“Akihiko… avanti, smettila di svicolare. Cos’è successo? A me puoi dirlo, lo sai.”
Quando Thomas aveva aperto la porta e se l’era ritrovato davanti, quattro giorni prima, lì per lì aveva creduto di sognare. Non si vedevano da parecchio, ma Akihiko gli aveva sempre telefonato ogni volta che pensava di andare a trovarlo. Cosa ci faceva lì così all’improvviso? Lo aveva osservato attentamente in quei giorni, senza cercare di mettergli fretta; sapeva per esperienza personale che, se Akihiko non aveva voglia di parlare, semplicemente non lo faceva. E qualunque insistenza era inutile.
“Sei sempre riuscito a leggere in me come in un libro aperto, Thomas,” disse finalmente Akihiko con un sorriso. “A dire il vero, questo lato di te era piuttosto fastidioso; eri l’unico che capisse sempre quello che mi passava per la testa.”
“Beh, sono davvero lusingato. E in effetti… ho sempre saputo che ti dava fastidio. Per questo era divertente.”
I due amici risero brevemente, poi tornarono seri.
“C’entra per caso il lavoro?”
“No.”
“La famiglia?”
“Non proprio.”
“Allora un ragazzo.”
Non era una domanda. Akihiko non gli aveva mai nascosto le proprie tendenze sessuali, e viceversa; di fatto, le condividevano in pieno.
“Lui è… era qualcuno di molto importante per me.”
“Quanto è durata?”
“Quattro anni.”
“Non me ne hai mai parlato” sussurrò Thomas sorpreso.
“Lo so.” Akihiko sorrise dolcemente. “Non è mai stato facile per me parlare di lui. Avevo paura di… poterlo contaminare, in un certo senso. È quasi come se fosse una creatura ultraterrena…”
“Devi averlo amato proprio tanto, da come ne parli…” disse Thomas dopo un po’. Akihiko non aggiunse nulla.
“… E deve anche averti ferito molto.”
Lo vide trasalire leggermente. “Sì, è vero… ma non l’ha fatto consapevolmente, credimi.”
Thomas continuò a tacere, lasciando che Akihiko proseguisse nel discorso quando ne avesse avuto voglia.
“Lui… forse era troppo per me” disse infatti dopo un po’. “O magari io ero troppo per lui… non stavo più bene, ultimamente. Non riuscivo nemmeno più a lavorare. Non ho avuto scelta.”
“Capisco…”
“No, non penso che tu possa capire.”
Forse aveva ragione. Aveva mai amato così, lui? Fino al punto di non riuscire a parlare della persona amata senza che ogni parola traboccasse letteralmente d’amore? Perché era questo che sentiva, ascoltandolo. Era chiaro come il sole.
Akihiko alzò gli occhi e li fissò in quelli di Thomas, e lui si sentì il cuore in subbuglio proprio come quel giorno di oltre 20 anni prima.
“Spero solo… che tu abbia preso la decisione giusta.”
Akihiko sorrise di nuovo: un sorriso amaro e struggente.
“Lo spero anch’io. Anche se, a dire il vero… non sono mai stato meno sicuro di qualcosa in tutta la mia vita.”

 

****

Rieccomi da voi con il nuovo capitolo! Come promesso, vi ho riportato il nostro amatissimo sensei... e abbiamo anche fatto un salto nel suo passato! Spero vi piaccia, anche perché l'ho scritto un pò di fretta: mi è venuta una botta d'ispirazione nell'ultima ora e mi sono data subito da fare per finirlo! Datemi i vostri pareri, magari sono sempre in tempo a cambiare qualcosa... Ah, dimenticavo! Se non la conoscete, vi consiglio vivamente di ascoltare la canzone che nomino nel capitolo: per me è una delle più belle nella storia della musica. ^_*

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Capitolo 5
*** 5. ***


“Misaki!”
Il ragazzo si voltò verso colui che lo aveva chiamato e sorrise. “Niichan!”
“Ehi!” Takahiro lo raggiunse di corsa sulla pensilina ferroviaria e lo abbracciò affettuosamente. “Allora, come stai? Hai fatto buon viaggio?”
“Sì, grazie. Sei da solo?”
“Già, Manami e Mahiro ci aspettano a casa. Andiamo!” Takahiro prese il borsone del fratello e si avviò.
“Lascialo a me, niichan, posso portarlo io.”
“Non c’è problema. E poi mi sembra che tu abbia un’aria un po’ stanca…”
“Oh… sai com’è… il lavoro!”
“Sì, capisco. Il mio fratellino è diventato adulto ormai… eh, come passa il tempo!”
Misaki non poté fare a meno di sorridere al sospiro melodrammatico del fratello. Non sarebbe cambiato mai, lo avrebbe sempre visto come il suo fratellino piccolo e innocente; ma era proprio per questo, per la sua purezza e semplicità d’animo, che gli voleva tanto bene.
“Ma perché non è venuto anche Usagi? Cavolo, non lo vedo da mesi!” disse improvvisamente Takahiro, facendogli prendere un colpo.
“Oh, ehm… ecco, aveva una scadenza importante e non poteva proprio assentarsi…”
“Mmm… sempre con queste scadenze! Beh, pazienza…”
Takahiro non aggiunse altro e Misaki sospirò piano senza farsi scorgere.
Mentre parlavano erano arrivati al parcheggio della stazione: montarono entrambi in macchina e partirono verso la casa di Takahiro. Una volta arrivati Manami uscì loro incontro per salutare Misaki e accompagnarlo in casa, e qui venne accolto dal piccolo Mahiro, che trotterellò felice verso di lui.
“Ecco il mio nipotino!” esclamò Misaki prendendolo in braccio. “Caspita, quanto pesi… come sei cresciuto!”
“Tio, tio!” farfugliò il bimbo tutto sorridente. Ben presto però si stancò di stare in braccio e cominciò ad agitarsi finché Misaki non lo rimise a terra, dove partì a tutta velocità sgambettando per la stanza. Non era da molto che Mahiro aveva imparato a camminare e non si stancava mai di girare per casa; a volte l’equilibrio lo tradiva e faceva qualche capitombolo, ma si rimetteva sempre in piedi senza mai lamentarsi.
Misaki osservò il figlio di suo fratello con gli occhi traboccanti d’affetto. Non riusciva ancora a credere che Takahiro fosse già padre! Di sicuro i loro genitori sarebbero scoppiati di felicità, se l’avessero visto. Usagi invece non aveva particolare interesse per i bambini, ma era sicuro che prima o poi Mahiro sarebbe riuscito a conquistare anche lui; era troppo carino!
I suoi occhi si rattristarono per un attimo: stava pensando a Usagi proprio come se stessero ancora insieme, e invece non era più così. Non era nemmeno sicuro che sarebbero mai tornati insieme. Chissà cosa stava facendo in quel momento…?
“Dammi pure il borsone, Misaki, te lo porto in camera. E sedetevi a tavola, il pranzo è quasi pronto.”
“Oh… grazie, Manami.”

 

~~~

Una volta finito il pasto Manami portò Mahiro a fare un sonnellino, lasciando soli i due fratelli a chiacchierare tra loro.
“Wow, che mangiata! Manami è sempre un’ottima cuoca” sospirò Misaki.
“Mi fa piacere sapere che la reputi alla tua altezza!” sorrise Takahiro.
“Ma dai, non sono poi così bravo…”
“Vuoi scherzare? Se non ci fossi stato tu a cucinare per me, credo che a quest’ora il mio stomaco sarebbe devastato per l’abuso di pasti precotti!”
Misaki scoppiò a ridere a quella battuta e Takahiro si unì a lui.
“Ti ricordi la prima volta che hai cucinato?”
“Certo! Avevo messo la cucina praticamente sottosopra e avevo anche paura che l’omelette fosse una schifezza… come in effetti era!”
“Sono andato fuori di testa quando ho visto tutto quel casino… ma in realtà mi preoccupavo solo che potessi esserti fatto male. E poi non era proprio una schifezza…”
“Tanto lo so che l’hai mangiata solo per essere gentile.”
“Beh, forse dovevi farla cuocere un po’ meno… ma il punto era che avevi fatto qualcosa per me, e ne ero davvero felice.”
Takahiro appoggiò la mano sulla testa di Misaki, proprio come faceva quando era ancora un bambino, e lo accarezzò affettuosamente. “Non so proprio come avrei fatto se non ci fossi stato tu con me, fratellino.”
“No… in realtà sono io che non ce l’avrei mai fatta senza di te… sono io che ti ringrazio, niichan.”
Misaki si strofinò nervosamente le mani. La sua visita al fratello aveva anche un altro scopo… e adesso era arrivato il momento di tirarlo fuori. “Niichan… hai presente quando ti ho telefonato per dirti che venivo a trovarti?”
“Sì, certo.”
“E… ti ricordi che ho anche detto che dovevo parlarti di una cosa molto importante?”
“Oh, adesso che mi ci fai pensare… sì, è vero. Beh, allora dimmi!”
Misaki lanciò un’occhiata a suo fratello e trasse un respiro profondo. “Sì. Ok.”
Abbassò gli occhi, poi li rialzò, sospirando di nuovo. “Ok… sì.”
“Misaki, ma che ti prende?” fece Takahiro, perplesso.
“Non è per niente facile dirlo… non so come fare…”
“Ehi… calmati, adesso. Tu puoi dirmi tutto, lo sai. Quindi dillo e basta.”
Misaki tornò a guardare suo fratello, con aria disperata. Takahiro lo guardò stupito.
“Misaki…”
“Io e Usagi-san stiamo insieme!”
E dopo che ebbe urlato quelle parole, fu come se il tempo e lo spazio si dilatassero all’infinito. Per un po’ non ci fu altro che silenzio; Misaki non sentiva più nemmeno la pendola in corridoio che scandiva i rintocchi.
Non aveva il coraggio di guardare in faccia suo fratello.
“Misaki…”
“Scusami se non te l’ho detto prima! Perdonami! Non volevo agire alle tue spalle! Io… non so spiegare bene com’è successo, ma è successo… e sai una cosa, niichan… non ero mai stato più felice in vita mia… ma adesso è finita. Usagi-san mi ha lasciato.”
“Che cosa…? Misaki…”
“Mi ha lasciato… ecco perché non è venuto con me. Comunque, forse è meglio così… io l’ho fatto soffrire tantissimo, sai…? Sono stato un vero idiota… quindi, se adesso dovessi dire che mi odi, non fa niente. Avresti ragione tu, io sono… una persona orribile! Non merito il tuo affetto. Non so fare altro che nascondermi e vergognarmi di… di quello che sono… quando invece non c’è niente di cui vergognarsi. Essere amato da Usagi-san… è stato il più bel dono che potessi avere dalla vita… e l’ho sprecato… l’ho sprecato!”
La voce di Misaki venne soffocata dalle lacrime. Chinò la testa e si mise a piangere a dirotto. Takahiro lo osservò a lungo senza dire niente e, quando Manami si affacciò preoccupata in soggiorno, le fece segno che andava tutto bene e di tornare dal bambino.
Dopo un po’, quando gli sembrò che il fratello fosse più calmo, Takahiro parlò. “Perché non me lo hai mai detto, Misaki?”
Il ragazzo alzò gli occhi lacrimosi su di lui. “Non lo so, il perché…”
“Credevi che non avrei capito? Che mi sarei arrabbiato con te?”
Misaki annuì brevemente, senza dire nulla.
Takahiro sospirò, e dopo un po’ disse: “Beh… devo dire che è una notizia piuttosto… sorprendente. Però non posso nemmeno dire che non me l’aspettavo.”
“Come…?” mormorò Misaki.
“Oh, andiamo, fratellino. Anche dopo esserti laureato, non hai mai voluto lasciare la sua casa… e poi, ti ricordi quel periodo in cui credevo di dover tornare a Tokyo? Io volevo che venissi a vivere con me, ma Usagi mi fece tutto un discorso su quanto invece tu desiderassi rimanere con lui… e poi, soprattutto, non dimentichiamoci del fatto che Usagi è gay…”
“M
ma come, sapevi anche questo??” esclamò Misaki, ormai completamente stupefatto.
Takahiro lo fissò con aria strana, come se gli avesse fatto la domanda più assurda del mondo, poi scoppiò a ridere. “Ma, Misaki, perché ti stupisci tanto? È ovvio che lo sapessi! Lui è mio amico da quasi 20 anni. Non me lo ha mai detto chiaro e tondo,  ma a un certo punto l’ho capito da solo. Anche perché sospetto che avesse una piccola cotta per me: dopotutto mi stava sempre appiccicato…”
A questo punto anche Misaki si mise a ridere. Una piccola cotta, certo…! Suo fratello era proprio sempre lo stesso.
“E così, insomma, avevo dei sospetti anche su di te” riprese Takahiro. “Non ti ho mai detto nulla perché non volevo metterti fretta. Volevo che ti confidassi con me solo quando ti saresti sentito pronto; e, a quanto pare, adesso l’hai fatto.”
Takahiro sorrise dolcemente a suo fratello. “Misaki… per me non cambia assolutamente nulla; lo sai, vero? Non sentirti in colpa per non avermelo detto finora: capisco perché hai agito così. E comunque, sei sempre mio fratello. E io ti voglio bene con tutto il cuore.”
A questo punto Misaki lo interruppe gettandosi tra le sue braccia. Piangeva ancora, ma stavolta erano lacrime di gioia. “Niichan… anch’io ti voglio tanto bene. Grazie…!”
“Per cosa?”
“Per essere mio fratello… e per essere così come sei…”
Takahiro lo strinse forte tra le sue braccia, accarezzandolo sulla schiena per calmarlo. “Ehi, spiegami una cosa… che vuol dire che Usagi ti ha lasciato?”
“Vuol dire… che se n’è andato di casa. Ha anche detto che non vuole vedermi mai più…”
“Oh, Misaki… mi dispiace tanto. E quindi non sai dov’è?”
“Sì, me l’ha detto Aikawa-san, la sua redattrice… Usagi-san è in Inghilterra.”
“Caspita… ne ha fatta di strada. Ma, un momento… Inghilterra? Se non ricordo male ha un vecchio amico d’infanzia che vive lì…”
“Già. Si chiama Thomas Landon.”
I due fratelli si sciolsero finalmente dall’abbraccio e tacquero per qualche momento, entrambi pensierosi.
“Misaki,” mormorò Takahiro dopo un po’, “cosa aspetti ad andare subito da lui?”
“E’ proprio quello che voglio fare… ma c’è un problema. È un po’ imbarazzante…”
“Ho capito: ti serve un prestito. È soprattutto per questo che sei venuto a trovarmi, confessa!”
“No, non è vero! Io volevo vederti e parlare con te, e vedere la tua famiglia! E poi ti giuro che ti restituirò tutto fino all’ultimo yen… non appena potrò…”
“Ok, ok” fece Takahiro ridendo. “Stavo solo scherzando! Naturalmente ti presterò tutto il denaro di cui avrai bisogno.”
“Grazie, niichan” sorrise Misaki, sollevato. “Sai… non vedo l’ora di rivederlo. Mi manca così tanto…”
“Lo immagino, fratellino... e allora sali sul primo aereo, corri da lui e diglielo!”

 

****


Rieccomi da voi, miei amati lettori... stavolta vi ho fatto aspettare più del solito! Ma il fatto è che la storia sta veramente arrivando ad un punto cruciale e devo ammettere che la cosa mi mette non poca pressione; mi ci sto affezionando e vorrei scriverla bene più che posso... voi continuate sempre a farmi sapere cosa ne pensate, i vostri commenti sono davvero preziosi per me!
Credo di potervi già anticipare che la prossima volta assisteremo finalmente al sospirato incontro tra Misaki e Akihiko... come andrà a finire?? E non dimentichiamoci di Thomas, che è sempre lì accanto al suo amico per sostenerlo con tutte le sue forze... ma siamo sicuri che lo fa solo da "amico"? Io, al posto vostro, qualche dubbio me lo porrei...
Alla prossima! ^_*

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Capitolo 6
*** 6. ***


Thomas distolse gli occhi dallo schermo del computer e si stiracchiò con voluttà. Era proprio arrivato il momento di fare una pausa. Stava lavorando alla traduzione di uno dei romanzi di Akihiko, La custodia della luna, ed era così preso che era rimasto seduto a scrivere per oltre 2 ore; non c’era da stupirsi che adesso si sentisse tutto indolenzito.
“Ehi, Akihiko, ti va un caffè?” disse dirigendosi in cucina; Akihiko era seduto sul divano con il cellulare in mano, e aveva un’aria alquanto imbronciata.
“Non dovresti bere tè, da buon inglese?”
“Spiacente, ma io preferisco il caffè. Comunque posso preparatelo subito, il tè, se vuoi.”
“No grazie, sto bene così.”
Thomas si mise a far bollire l’acqua per la sua bevanda e continuò: “Come mai quella faccia scura?”
“La mia redattrice ha telefonato per l’ennesima volta” sbuffò Akihiko. “Ovviamente non ho risposto.”
“Ovviamente!” fece Thomas sarcastico. “Dovresti proprio farlo, però; magari è preoccupata per te. Dopotutto sei qui da quasi 2 settimane, non hai avuto contatti con nessuno…”
“Io sono abbastanza sicuro che voglia solo sapere quando ho intenzione di riprendere il mio ultimo manoscritto. Fosse stato per me non mi sarei nemmeno portato dietro questo coso,” affermò Akihiko, raggiungendolo e indicando il cellulare, “ma lei ha giurato che se non l’avessi fatto sarebbe venuta fin qui personalmente a darmi il tormento. E così non ho proprio potuto esimermi.”
Thomas ridacchiò nel vedere l’espressione tragica dell’amico. “E’ un mondo difficile quello della letteratura, eh?”
“In realtà io e Aikawa, è questo il suo nome, lavoriamo benissimo insieme. È davvero una donna molto in gamba, ed è stato soprattutto grazie alla sua mediazione con gli alti papaveri della casa editrice che ho potuto prendermi questa… vacanza. A volte non so proprio come farei senza di lei.”
In quel momento, quasi come per una sorta di telepatia telematica, il cellulare squillò di nuovo. Akihiko lo fissò innervosito. “Altre volte invece vorrei non averla mai conosciuta! Non posso crederci!”
“Dammi retta, rispondile. Senti almeno cos’ha da dirti!”
“Uff… so già che me ne pentirò!”
Akihiko avviò la comunicazione, ma l’interlocutore non gli permise di dire nemmeno una parola perché cominciò subito a sbraitare; era proprio Aikawa, e gridava così forte che Thomas riusciva a capire quasi tutto quello che diceva.
“SENSEI! LEI VUOLE LA MIA MORTE! COME HA POTUTO NON RISPONDERMI AL TELEFONO PER 12, E DICO BEN 12 GIORNI! LEI E' SENZA CUORE, MI FARA' AMMALARE…!”
“Scusami, Thomas, vado a parlare in camera mia” borbottò Akihiko, dileguandosi su per le scale seguito dalle risate dell’amico.
Dopo che si fu versato il caffè Thomas tornò alla scrivania nel salotto e si sedette, prendendo in mano il romanzo. La copertina era molto consumata, il che era naturale dato che l’aveva letto e riletto moltissime volte; era veramente un libro stupendo.
La storia, ambientata agli inizi del secolo scorso, parlava di un uomo e una donna che si conoscono da bambini sui banchi di scuola e subito s’innamorano, ma purtroppo le circostanze della vita li dividono; finiscono in diverse parti del mondo e non si rivedono più per anni, ma riescono sempre a tenersi in contatto tramite le lettere e a mantenere vivo il loro amore. Niente lieto fine, però: i due amanti organizzano un incontro clandestino, ma vengono scoperti da una donna che nel frattempo si è innamorata del protagonista maschile e, accecata dalla gelosia, pugnala a morte la rivale sotto gli occhi del suo innamorato.
Thomas provava mille emozioni diverse ogni volta che leggeva quel libro, il che naturalmente era l’ennesima prova delle straordinarie capacità di Akihiko. Era come se si sentisse trasportato nelle pagine e se vivesse lui stesso quelle avventure… e poi, aveva molte cose in comune con i due sfortunati protagonisti: anche lui era profondamente legato a una persona che non aveva mai potuto avere.
Almeno fino a quel momento.
Thomas alzò la testa dalle pagine e chiuse gli occhi, riflettendo. Come sarebbe stato bello se Akihiko fosse rimasto lì con lui! Perché no, dopotutto? Avrebbe potuto benissimo scrivere anche lì per poi spedire i suoi lavori in Giappone, anche se, col suo talento, poteva facilmente trovare una casa editrice disposta a pubblicarli anche in Inghilterra. E ci sarebbe stato il suo amico Thomas al suo fianco. Lui non lo avrebbe mai trattato con freddezza, non lo avrebbe mai fatto sentire non amato, ma gli avrebbe aperto il suo cuore e pian piano sarebbe riuscito a far breccia nel suo… Akihiko si sarebbe reso conto prima o poi che lui lo amava davvero, che lo aveva sempre amato e desiderava solo renderlo felice. E allora non avrebbe più sofferto inutilmente e si sarebbe dimenticato di quell’ingrato ragazzo che gli aveva spezzato il cuore… come diavolo si chiamava?
In quel momento qualcuno suonò alla porta; Thomas si riscosse bruscamente dai propri sogni a occhi aperti e andò ad aprire.
Si ritrovò di fronte un ragazzo che non aveva mai visto prima, con un grosso borsone e i lineamenti chiaramente orientali.
“Ehm… mi scusi” cominciò lo sconosciuto in un inglese stentato. “Sto cercando Landon Thomas-san… abita qui?”
“Sei giapponese?” gli chiese Thomas per tutta risposta.
“Sì! Lei parla giapponese?” esclamò l'altro, sollevato nel sentirlo esprimersi nella propria lingua.
“In effetti sì… posso sapere chi sei e perché cerchi Thomas Landon?”
“Mi chiamo Takahashi Misaki e… a dire il vero, non sono qui per lui… sto cercando un’ altra persona. Si chiama

“Usami Akihiko” lo interruppe Thomas freddamente.
Misaki non rispose nulla sul momento, e per qualche secondo rimasero a fissarsi in silenzio.
“Quindi è lei… Landon Thomas…”
“Già, sono proprio io. Chiamami pure Thomas, e dammi del tu.”
Gli tese la mano e Misaki gliela strinse, un po’ stupito. “Lei… tu sai perché sono qui.”
“Sì, infatti.”
“Allora… lui dov’è?”
C’era una nota di supplica così evidente nella sua voce che Thomas per un attimo ne fu colpito. L’intera faccenda era sorprendente, a dire il vero: ecco lì alla sua porta il famoso Misaki Takahashi, venuto dall’altra parte del mondo apposta per cercare Akihiko… non poteva esserci altra spiegazione. Davvero notevole, doveva ammetterlo. “Non è qui” rispose, chiudendosi la porta alle spalle.
Misaki lo fissò immusonito: era evidente che non ci credeva. “So per certo che è venuto qui. Me l’ha detto la sua redattrice, Aikawa-san.”
“Intendevo dire che al momento non c’è. È uscito per fare due passi stamattina presto e non è ancora tornato.”
Misaki si guardò intorno scoraggiato. “Puoi dirmi dov’è andato? Io… devo assolutamente parlargli…”
“Non lo so proprio. Del resto non deve mica rendere conto a me di ogni sua mossa.” Thomas incrociò le braccia e lo osservò attentamente. Quel ragazzo era piuttosto diverso da come l’aveva immaginato. Sembrava un ragazzo normalissimo, carino ma niente di eccezionale, e aveva un’aria talmente ingenua… cosa mai poteva aver visto Akihiko in lui? Si ricordò improvvisamente di quando il suo amico gli aveva svelato il motivo della sua visita; ricordò i suoi occhi pieni di dolore, la sua voce incrinata dalla sofferenza…
“Io so tutto di te” disse gelido; Misaki lo guardò stupito. “Akihiko mi ha raccontato tutto. Mi ha detto che gli hai spezzato il cuore.”
Il ragazzo trasalì vistosamente a quelle parole e abbassò gli occhi, avvilito; Thomas non poté evitare di provare un certo piacere a quella vista.
“Io… non è come credi tu,” tentò di difendersi. “E’ tutto molto complicato per me…”
“Cosa ci può essere di complicato nell’avere un uomo che ti ama con tutto sé stesso, che ti ha accolto in casa sua e ti ha sempre aiutato? Io ho capito benissimo che tipo sei: una volta ottenuto tutto quello che volevi da lui, hai fatto sì che ti lasciasse per avere la coscienza pulita…”
“Cosa?! No, non è vero! Io non ho mai voluto approfittarmi di Usagi-san…”
Thomas alzò un sopracciglio; cos’era quel soprannome ridicolo?
“Io… ho capito di aver sbagliato, e voglio dirglielo…” continuò il ragazzo con un filo di voce.
“E’ troppo tardi ormai.”
“Che… che vorresti dire?”
“Che adesso ci sono io con lui.” Thomas scandì le parole lentamente, fissandolo con freddezza, e vide i suoi occhi diventare due pozze tremolanti di lacrime. “Io sono suo amico da anni e lo conosco più di quanto tu creda. Quindi so esattamente cos’è meglio per lui. Akihiko sarà felice con me, finalmente. Con te invece non lo era, e lo sai anche tu.”
Due lacrime corsero silenziosamente lungo le guance di Misaki.
“Se lo ami veramente… devi lasciarlo andare. Lui ha preso una decisione, e la cosa migliore che tu puoi fare è rispettarla.”
Misaki alzò la testa di scatto alle sue ultime parole. “F
forse…” cominciò con una vocina tremante che, malgrado tutto, andò dritta al cuore di Thomas. “Forse… è vero.”
“Bene. Mi fa piacere che l’hai capito. Allora… credo che non abbiamo altro da dirci.”
Thomas si voltò e aprì la porta per rientrare, quando Misaki lo richiamò. “Thomas-san…?”
Si girò a guardarlo.
“Ti prego… rendilo felice.”
“Certo… lo farò” rispose Thomas sorpreso, a bassa voce.
Misaki sorrise brevemente tra le lacrime, quindi si voltò e corse via. Thomas restò a guardarlo finché non lo vide salire su un taxi e partire.
Rientrato in casa, tornò a sedersi alla scrivania e si rimise al lavoro; ma non riusciva più a concentrarsi. Quell’incontro lo aveva scosso più di quanto non avesse creduto. Inizialmente era stato furioso con il ragazzo, ma poi… qualcosa era cambiato. Lui era convinto di aver agito per il meglio: voleva solo la felicità di Akihiko ed era sicuro di riuscire a dargliela. Però…
In quel momento Akihiko rientrò nella stanza e si lasciò cadere sul divano; aveva l’aria sfinita. “Ah… questa telefonata mi ha tolto almeno dieci anni di vita! E’ venuto qualcuno? Mi è sembrato di sentir suonare il campanello…”
Thomas si alzò e andò a sedersi accanto a lui. “Era solo un venditore porta a porta. Com’è andata?”
“Secondo te? Malissimo. Quel demone di donna mi ha ordinato di tornare subito a Tokyo e di rimettermi al lavoro, altrimenti avrà la mia testa su un piatto d’argento. E non dubito che possa riuscirci.”
Thomas si mise a ridere e all’inizio anche Akihiko rise, ma subito tornò serio. “E’ solo che… sai… non so se sono pronto a rientrare così presto.”
Thomas gli posò una mano sulla spalla. “Lo capisco. A questo proposito, Akihiko… devo dirti una cosa.”
“Certo, dimmi.”
Akihiko lo guardò negli occhi; a Thomas si mozzò il respiro. Doveva avercelo scritto in faccia, perché lui sembrò notarlo. “Non ti senti bene, per caso?” gli chiese preoccupato.
“Non preoccuparti, è tutto a posto” sorrise Thomas. “Akihiko, ho pensato a una cosa… perché non rimani a vivere qui?”
Akihiko spalancò gli occhi. “Thomas, ma che dici…?”
“Sì, lo so che sembra ridicolo. Ma riflettici bene: visto che non hai voglia di tornare a Tokyo, puoi benissimo vivere e scrivere qui. Io potrei aiutarti a trovare un buon editore.”
“Ma…”
“E poi, soprattutto… mi prenderei cura di te, Akihiko.”
Akihiko tacque; Thomas deglutì cercando di riorganizzare le idee. “Io… non ti farei mai soffrire. Ho sempre pensato a te, per tutto questo tempo… ho sentito tanto la tua mancanza quando sei partito, ma ho sempre sperato che fossi felice. E invece non lo sei; non posso ignorarlo.”
“Thomas, ascoltami…”
“No, ascoltami tu. Akihiko… resta qui con me. Saremo felici, vedrai. Ti darò tutto l’amore di cui hai bisogno, tutto il mio amore… è una promessa…”
Thomas si avvicinò ad Akihiko e gli sfiorò le labbra con le proprie…

 

****

Sì, lo so che nell'ultimo aggiornamento vi avevo promesso che qui ci sarebbe stato finalmente l'incontro tra Misaki e Akihiko... cosa volete che vi dica? La storia ha preso tutt'altra direzione e io non ho potuto fare altro che adeguarmi! Però non manca molto, ve l'assicuro... abbiate solo un pò di pazienza!
Ah, tra l'altro il titolo del romanzo che nomino nel capitolo l'ho preso dalla 2° puntata della 1° serie dell'anime di SIH... la trama invece è totalmente inventata da me (vi piace??).
Alla prossima! ^_*

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Capitolo 7
*** 7. ***


“Thomas… no.”
Akihiko si tirò indietro non appena sentì il contatto delle sue labbra sulle proprie, come se si fosse scottato. Ma stava per succedere davvero? Impossibile. Era tutto sbagliato.
Seguì un lungo momento di silenzio assoluto.
“Scusami” mormorò alla fine Thomas.
Il silenzio si prolungò.
“Beh, a quanto pare la tua risposta è questa.”
Akihiko non seppe cosa rispondere: il più dispiaciuto era  proprio lui. Si girò a guardare il suo amico. “Thomas… tutto questo non ha niente a che fare con te. Voglio dire… non è colpa tua. Sono io che ho sbagliato. Ho sbagliato a venire qui, ad approfittarmi della tua ospitalità…”
“Non è così, non dirlo…”
“Sì, invece. Sono piombato qui senza minimamente pensare a te o ai problemi che potevo darti, sono stato un egoista. Sono io che devo scusarmi con te, Thomas…”
Tacquero di nuovo entrambi. Akihiko poteva sentire i propri pensieri che gli vorticavano in testa e cozzavano da tutte le parti. “Sei innamorato di me?” gli chiese piano.
Thomas lo guardò a lungo prima di rispondere. “Io credo di non aver mai amato davvero nessuno” cominciò. “Non ho problemi a conoscere gli uomini, esco spesso e so come divertirmi, se capisci cosa intendo… però finisce sempre tutto lì. Non che la cosa mi dispiaccia, sono libero di decidere della mia vita e mi sta bene così. Però… ecco, credo che il tuo ritorno mi abbia fatto ripensare prepotentemente a quel giorno… quando io e te ci siamo baciati per la prima volta. Te lo ricordi?”
Akihiko annuì senza parlare. Come poteva dimenticarlo? Quello era uno dei suoi ricordi più preziosi. Da bambino, appena trasferito a Tokyo, se lo coglieva la nostalgia per la sua vecchia vita gli bastava riportare alla mente la sensazione di dolcezza delle labbra del suo amico per sentirsi subito meglio.
“Nessun altro bacio è mai stato come quello. Il mio primo bacio, dato a una persona a cui tenevo veramente tantissimo” riprese Thomas appoggiando una mano sulla sua, quasi con esitazione. “Ho sentito tremendamente la tua mancanza quando sei partito, per mesi e mesi. E riaverti qui adesso… mi è sembrato come se mi fosse stata offerta una seconda occasione...” La voce di Thomas si spense in un sussurro.  
“Io non posso innamorarmi di nessuno” disse Akihiko dopo un po’.
“Non puoi o non vuoi?” gli chiese Thomas guardandolo negli occhi.
Lui sostenne il suo sguardo e considerò la domanda a lungo, prima di dire: “Forse entrambe le cose. Sai, la mia storia con Misaki è ancora così recente… è sempre nei miei pensieri, non sono ancora riuscito a staccarmi da lui… ma non è solo questo. La verità è che non ho più la forza né la voglia di tornare a innamorarmi. Amare qualcuno vuol dire consegnarsi senza riserve all’altra persona, far sì che lei disponga dei tuoi sentimenti e ne abbia cura… ma se non lo fa, essi s’infrangono ed è quasi impossibile ricomporli…” Fece una pausa e guardò il suo amico, che lo osservava con attenzione. “Non so se riesci a capire quello che sto cercando di dirti…”
“Sì… forse,” rispose Thomas; sentì che Akihiko ricambiava la sua stretta di mano, e allora sorrise. “Ho capito. Non dovevo farlo. Sono stato un insensibile e non ho tenuto conto dei tuoi sentimenti, e di questo mi dispiace veramente. Puoi perdonarmi e considerarmi ancora tuo amico?”
“Come ti viene in mente di chiedermelo?” si stupì Akihiko. “Non mi sognerei mai di mettere in discussione la nostra amicizia.”
Thomas si mise a ridere apertamente e Akihiko si unì a lui. Era bello avere un amico come Thomas che lo capiva al volo e con cui poteva parlare di qualunque cosa, anche se vivevano tanto lontani.
“Ehi, posso farti una domanda?”
“Sì, certo.”
“Ti va di parlarmi di Misaki? Se però non ne hai voglia non fa niente… lo capirei.”
Akihiko sentì il cuore balzargli in gola. Parlare di Misaki… e cosa poteva dire? “Cosa vuoi sapere?”
“Beh… che tipo è? Cosa ti piaceva di lui?”
“Cosa mi piaceva di Misaki… non è facile dirlo,” cominciò Akihiko. “Lui era… tante cose diverse. Lo sai come ci siamo conosciuti? È il fratello minore del mio migliore amico dei tempi del liceo, di cui sono stato innamorato perso. Io  gli davo ripetizioni.”
“Dici davvero?”
“Sì. Un bel giorno Takahiro, è questo il nome di suo fratello, ci ha annunciato che stava per sposarsi. Ovviamente il mio cuore è andato in frantumi: in quel momento ho capito che non c’erano più speranze per me. Allora Misaki mi ha preso in disparte e si è messo a piangere.”
“Come, a piangere?”
“Singhiozzava come un bambino, avresti dovuto vederlo. E ce l’aveva a morte con suo fratello, diceva che era insensibile ed egoista. Piangeva per me, per il mio cuore infranto. Vedi, Misaki è quel tipo di persona; ti dà tutto sé stesso e anche di più, e la cosa più bella è che non se ne rende nemmeno conto. E così, nel vedere le sue lacrime, ho iniziato a pensare: Possibile che questo ragazzo che conosco appena sia davvero quello giusto per me? Potrei riuscire ad amarlo? E… beh, l’ho fatto. L’ho amato davvero moltissimo, la mia vita è ricominciata da quando l’ho incontrato, e forse… non ho ancora smesso di amarlo. Almeno credo…” Akihiko chinò la testa, perso nelle sue riflessioni.
“Secondo me non hai bisogno di crederlo; lo sai che è vero,” disse Thomas.
“Cosa…?” mormorò Akihiko, tornando a guardarlo.
“Ma sì, è proprio così. Guardati, ti sei animato tutto mentre parlavi di lui. Dici che non eri più felice, che non riuscivi a lavorare… e cos’hai fatto in questi giorni? Sei stato felice? Sei forse riuscito a scrivere qualcosa? Non mi pare.”
“Ma io…”
“Akihiko.” Thomas si sporse verso di lui per guardarlo bene in faccia. “Tu ami ancora quel ragazzo. E dentro di te stai pensando di aver fatto un’enorme, imperdonabile stronzata a lasciarlo, e vorresti tanto ripensarci. Ma sei troppo orgoglioso per ammetterlo, vero?”
Akihiko sostenne il suo sguardo e rispose: “Io… onestamente non lo so. Se solo avessi un segno… una prova che valga davvero la pena tentare di rimediare a ciò che è stato…”
A quelle parole Thomas spalancò gli occhi e la bocca, mentre un lieve rossore gli saliva alle guance; quindi chinò la testa e si mise a ridere sommessamente.
“Ehi, che ti succede?” fece Akihiko.
“Vuoi una prova, eh?” rispose Thomas tornando serio e sollevando gli occhi azzurri su di lui. “Bene, posso dartela io. Anche se sono quasi sicuro che dopo mi massacrerai di botte, ma tant’è… me lo sarò meritato. Hai presente il campanello di prima?”
“Sì?”
“Non era un venditore porta a porta. Era Misaki.”
Akihiko impallidì all’istante e strabuzzò gli occhi; le sue iridi viola si allargarono a dismisura. “Che… cosa…?”
“Era qui. È venuto per te. E io l’ho mandato via.” Thomas si stropicciò nervosamente le mani, non aveva il coraggio di guardarlo in faccia.
“Che cosa gli hai detto?” sussurrò Akihiko.
“Che non eri in casa. E che comunque ormai.. c’ero io con te.”
“Gli hai davvero detto questo?”
“Sì.”
“E… lui cos’ha risposto?”
“Mi ha chiesto di renderti felice.”
Akihiko si accasciò all’indietro appoggiando la schiena sul divano, con un lungo sospiro.
“Mi dispiace, Akihiko. Io credevo… volevo essere io a prendermi cura di te, come ti ho già detto. Ma quando l’ho visto sulla porta, devo ammettere che le mie convinzioni hanno iniziato a vacillare… e poi, adesso so per certo che non sono io quello che riuscirà a renderti felice. Potrai esserlo soltanto con lui.”
Akihiko girò lentamente la testa verso di lui, ma non disse nulla.
“Avanti, dimmi che non vuoi vedermi mai più. Dimmi che sono una merda, prendimi a pugni, se vuoi. Ma ti prego, Akihiko… dì qualcosa.”
Akihiko tacque ancora per un pò, poi cominciò a bassa voce: “Thomas… ti rendi conto che quello che mi hai appena detto è molto grave?”
“Sì.”
“Dovrei proprio prenderti a pugni, come hai detto tu.”
“Assolutamente.”
“Ma non lo farò.”
“Non… lo farai?” fece Thomas sbalordito.
“No. Non alla luce di quanto è successo prima. Io capisco perché l’hai fatto, Thomas, e non ce l’ho con te, davvero. Tu sei mio amico e ci eravamo promessi di restare sempre amici, no? E io tengo in grande considerazione le promesse. In questo momento, a dire il vero… riesco solo a pensare a quanto sono felice.”
Akihiko gli fece un sorriso bellissimo, e Thomas si sentì scaldare il cuore come sempre; i sorrisi di Akihiko erano così splendenti. Si alzò dal divano e cominciò a camminare avanti e indietro, parlando a ruota libera.
“Lui è venuto fin qui per me! Lo capisci? Non me lo sarei mai aspettato… ah! Devo vederlo subito!”
“Certo che devi,” rispose Thomas, alzandosi dal divano e sorridendogli. “Non ho idea di dove possa essere andato, ma… farò tutto quel che potrò per aiutarti.”
Akihiko raggiunse il suo amico e lo abbracciò, cercando di mettere in quell’abbraccio tutto l’ affetto che sentiva per lui.
“Thomas… grazie di tutto.”

 

~~~

Il cielo di Tokyo era grigio e deprimente come solo un freddo pomeriggio di Dicembre poteva essere. Misaki appoggiò la fronte sul vetro della finestra e sospirò, guardando il traffico che scorreva nella via sottostante.
Erano passati 3 giorni da quando era rientrato dall’Inghilterra: il viaggio peggiore di tutta la sua vita. Dopo l’incontro con Thomas, era salito sul primo taxi e si era fatto accompagnare direttamente all’aeroporto; non aveva prenotato alcun albergo, speranzoso com’era che quando avrebbe visto Usagi-san tutto sarebbe tornato magicamente a posto come se non fosse mai successo… che ingenuo. E una volta lì aveva anche dovuto aspettare 9 ore prima di riuscire a imbarcarsi sul primo volo per Tokyo.
Adesso ci sono io con lui.
Quella frase pronunciata freddamente da quell’uomo biondo e affascinante gli riecheggiò nel cervello per l’ennesima volta. Non riusciva a pensare ad altro e perfino sull’aereo aveva pianto per ore come un ragazzino, facendo preoccupare seriamente le hostess e inducendole a condurre da lui quella giovane specializzanda in psichiatria… la quale, poveretta, non aveva trovato niente di meglio che offrirgli alcune pillole di Valium che lei stessa prendeva per combattere la paura di volare. Almeno lo avevano aiutato a smettere di singhiozzare e ad addormentarsi.
“Misaki, sicuro di aver preso tutto?” chiese in quel momento Takahiro.
“Sì, è tutto qui” disse il ragazzo voltandosi verso il fratello, il quale stava chiudendo con il nastro adesivo l’ultimo scatolone. Era infatti tornato nell’appartamento di Usagi-san per liberarlo finalmente di tutte le sue cose, proprio come lui gli aveva chiesto. Anche se forse non ci sarebbe più tornato…
Adesso ci sono io con lui.
Misaki tirò su col naso e Takahiro lo guardò preoccupato. “Ehi, fratellino,” sussurrò affettuosamente, posandogli una mano sulla testa, “stai tranquillo, abbiamo quasi finito. Adesso ce ne andiamo.”
“Sì… grazie, niichan” mormorò Misaki con voce rotta.
Prese un borsone e una delle scatole, mentre Takahiro si caricava delle altre due, e scesero al piano inferiore.
Misaki diede un’ultima occhiata in giro e di nuovo le lacrime si affacciarono agli angoli dei suoi occhi. Quanto gli sarebbe mancato quel posto! Era stato così felice lì dentro e anche così disperato; lo avrebbe sempre associato al ricordo di Usagi-san, com’era naturale che fosse... ma adesso doveva andare avanti. Ci sarebbe mai riuscito…?
“Ehm, allora… sei certo di non aver dimenticato nulla?” chiese Takahiro.
“Niichan, forse è la centesima volta che me lo chiedi,” rispose Misaki sbuffando. “Te l’ho già detto, ho preso tutto.”
“Oh, bene, bene. No, perché in caso contrario possiamo aspettare ancora un po’ e controllare meglio…”
Misaki sollevò un sopracciglio. A dire il vero, era da quando erano arrivati che suo fratello si comportava in modo strano: continuava a dirgli di fare attenzione e di non avere fretta… che cos’era tutta quella scena? “Si può sapere che ti prende?” gli chiese.
In quel momento suonarono al campanello; Takahiro sussultò visibilmente, ma Misaki parve non farci caso. Chi poteva essere?
“Vado io!” esclamò Takahiro correndo a premere il pulsante del citofono. “Apro anche il portone esterno, così chiunque sia entrerà più facilmente… tu aspetta lì, mi raccomando!”
“Ma certo che aspetto qui, dove vuoi che vada?” rispose Misaki stringendosi nelle spalle.
Probabilmente era Aikawa-san che veniva a dargli una mano: gli aveva telefonato a casa di Takahiro il giorno dopo il suo ritorno per sapere com’era andata, e quando aveva saputo la cattiva notizia si era praticamente sciolta in lacrime. Poi gli aveva detto di contare sul suo aiuto per il trasloco, salvo poi mandargli un sms per avvisarlo che aveva degli impegni di lavoro… forse era riuscita a liberarsi in tempo.
Misaki udì la porta d’ingresso che si apriva e si chiudeva, e allora posò i bagagli sul pavimento e andò ad affacciarsi. “Niichan, chi

Si bloccò, a bocca aperta e occhi spalancati, come se avesse visto un fantasma.
“Ciao, Misaki” disse Akihiko.

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Capitolo 8
*** 8. ***


** E io che pensavo che il capitolo precedente fosse troppo lungo... beh, sappiate che è niente in confronto a questo! Il fatto è che siamo arrivati al gran finale e non mi andava di tirarla troppo per le lunghe; spero che apprezzerete il pensiero, perciò armatevi di santa pazienza, e... ci risentiamo in fondo alla pagina! **
 

****

 

Misaki rimase a fissarlo a bocca aperta per alcuni, interminabili secondi. Sbatté parecchie volte le palpebre in rapida successione: non credeva ai suoi occhi. Akihiko era lì davanti a lui, più bello che mai, come un’apparizione. Non stava sognando… oppure sì?
“Sembri diverso… sei dimagrito?” chiese Akihiko in un sussurro, distendendo le labbra in un lieve sorriso.
Non era un sogno, no. Era proprio lui, era davvero la sua voce e quello era proprio il suo sorriso…
“Oh… ah!” si riscosse il ragazzo. “N
non mi aspettavo che tornassi così presto… me ne vado subito, ero venuto appunto a prendere la mia roba… scusami…” Misaki si voltò e rientrò in soggiorno quasi di corsa, cercando invano di calmare i battiti furiosi del suo cuore. Afferrò la borsa e lo scatolone e fece per andarsene… ma quando si girò Akihiko era davanti a lui; lo aveva seguito senza che se ne accorgesse.
“Non voglio che tu te ne vada” gli disse l'uomo, guardandolo negli occhi.
“P
perché?” mormorò Misaki.
“Dobbiamo parlare.”
“Beh… ma di cosa? Ci siamo già detti tutto, mi pare… e poi tu adesso hai già trovato qualcun altro… qualcuno che… che…”
“Misaki,” lo interruppe Akihiko. “Lo so che sei venuto in Inghilterra.”
Il giovane deglutì rumorosamente, distogliendo gli occhi dai suoi. “L
lui… mi ha detto che non c’eri.”
“Sì… lo so.”
Misaki strabuzzò gli occhi, sempre evitando di guardarlo: il suo cuore ricominciò a battere più velocemente.
“Misaki… dimmi perché sei venuto lì,” riprese Akihiko.
“Io… non ha importanza,” rispose il ragazzo con un filo di voce. “P
pensavo… non lo so nemmeno io cosa pensavo. È stato meglio così, che non ti abbia trovato… ti avrei soltanto disturbato. Comunque sia, ecco… adesso prendo la mia roba e ti lascio in pace…”
Gli lanciò una breve occhiata: Akihiko lo osservava tranquillamente, senza tradire la minima emozione. “Perché?”
“Ma… cosa vuoi dire? Sei tu che mi hai detto di farlo…”
“Sì. Ma prima ti ho fatto una domanda, e tu non hai risposto.”
“… Cosa vuoi che ti dica?”
Come mai era tornato con tutti quei perché? Che senso aveva? Proprio quando stava cominciando a pensare che poteva farcela, che forse poteva veramente andare avanti senza Akihiko, ecco che lui tornava solo per confondergli le idee… Misaki fece cadere a terra la borsa e lo scatolone e cominciò a parlare a ruota libera, alzando progressivamente il tono di voce. “Vuoi che ti dica che volevo vederti perché mi mancavi da morire? Che volevo dirti che sono stato un idiota a lasciarti andare via? Ok, te lo dico adesso! Sono stato un idiota, non ho capito niente di te, di noi! Ma tanto ormai… tutto questo non conta più nulla! Perché adesso… adesso c’è lui con te, e io… io non c’entro più niente qui!”
Si fermò perché era rimasto senza fiato; cominciò a prudergli una guancia, e lui vi passò sopra una mano e si accorse che era bagnata di lacrime. Se le asciugò nervosamente con la manica della felpa.
“Misaki…”
“Ora devo andare.”
“Aspetta.”
“No! Lasciami andare!”
Akihiko lo afferrò per le spalle e lui cercò di liberarsi, anche se la sua vicinanza era semplicemente meravigliosa… Si divincolò con forza, ma l'altro continuava a tenerlo stretto; allora cominciò a colpirlo sul petto con deboli pugni, singhiozzando. “Usagi-san… perché mi fai questo? E’ già abbastanza difficile per me… l
lasciami… ti prego…”
“Sciocco ragazzino… possibile che non hai ancora capito?” Akihiko gli mise un dito sotto al mento e lo costrinse ad alzare gli occhi; il suo viso era vicinissimo. “Se davvero vuoi che me ne vada, lo farò… ma devi dirmelo adesso. Perciò dillo, ora o mai più. Perché sappi che se non lo farai… non ti libererai più di me. Per tutta la vita.”
Akihiko sorrise di nuovo nel notare la sua espressione confusa e stupefatta, e gli passò delicatamente il pollice sotto agli occhi per asciugare le lacrime. “Allora… qual è la tua risposta?”
Misaki aprì e richiuse la bocca un paio di volte: non riusciva ad emettere alcun suono, e non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Gli tremavano le ginocchia. Prese un respiro profondo e finalmente mormorò con un filo di voce: “No… non te ne andare…”
E allora Akihiko lo baciò, e non ci fu nient’altro nella testa di Misaki se non la sensazione delle sue labbra sulle proprie, e la sua lingua che s’intrecciava alla sua, e le sue mani così grandi e calde che lo accarezzavano sui capelli, sul viso, sul collo, e il suo profumo… dopo un po’ Akihiko si staccò da lui e gli sorrise: “Hai smesso di piangere… vedo che funziona sempre” disse.
Misaki capì subito a cosa si riferiva: anche la prima volta che si erano baciati lui stava piangendo e Akihiko gli aveva detto che in quel modo avrebbe smesso… o qualcosa del genere. Adesso non era importante ripensare al passato, l’unica cosa che contava era il presente. Misaki si gettò di nuovo tra le sue braccia baciandolo appassionatamente, e sentì che Akihiko ricambiava in pieno i suoi sentimenti; forse anche troppo, perché quasi subito sentì una mano che s’infilava sotto la sua felpa… “Ah…! Usagi-san… aspetta, n
non possiamo… c’è mio fratello…”
Si era completamente dimenticato di lui; dov’era finito? Poteva benissimo rientrare da un momento all’altro…
“Non preoccuparti, è andato via” sussurrò Akihiko contro il suo collo, “gli ho detto che mi sarei occupato io di te…”
“C
cosa…? Ehi! Non mi starai mica dicendo che lui era d’accordo con te?”
L’uomo si raddrizzò e lo guardò perplesso: “Ma come, non dirmi che non avevi capito nemmeno questo!”
Misaki avvampò e Akihiko si mise a ridere di cuore. “Sei proprio un ragazzino… ma è per questo che ti amo. Non cambiare mai, Misaki… resta sempre così come sei. Me lo prometti?”
Misaki guardò i suoi occhi che di colpo erano tornati seri, e proprio lì, in quel momento, trovò finalmente tutte le risposte: certo che non sarebbe cambiato, avrebbe fatto tutto quello che lui gli avrebbe chiesto se questo avrebbe significato stare insieme per sempre, perché se Akihiko se ne andava di nuovo lui era certo di non poter più vivere: senza di lui non c'era né cielo, né mare, né il calore del sole, né i sorrisi dei bambini, né tutto quanto di bello c’era al mondo. “Sì… te lo prometto.”
Akihiko sorrise e riprese subito a baciarlo, come se non potesse sopportare di rimanere nemmeno un istante di più senza quel contatto.
“U
Usagi-san… aspetta… devo dirti ancora una cosa…”
“Me la dirai dopo… ormai abbiamo tutto il tempo che vogliamo.”
“N… no! Io non voglio mai più perdere tempo! È troppo importante… devo dirtelo adesso.”
Riuscì finalmente a scostare l’uomo e lo guardò negli occhi. “Usagi-san…” cominciò esitante; e poi si fermò. No, no, NO! Non di nuovo quel familiare senso di vergogna e d’impotenza, non quel blocco un’altra volta… non era giusto!
“U
Usagi-san…”
“Sì Misaki, sono qui, ti sento.”
Akihiko incrociò le braccia e lo fissò in una certa ironica maniera; Misaki ricambiò lo sguardo con aria seccata. “Ehi, n
non guardarmi in quel modo…”
“Quale modo, scusa?”
QUEL modo! Quello con cui ti prendi sempre gioco di me!”
“Ma non mi sto prendendo gioco di te, sto semplicemente aspettando di sentire cos’hai da dirmi.”
Misaki prese un altro respiro profondo. “Ok… bene… sì, allora… ecco…”
Akihiko tornò a stringerlo tra le sue braccia. “Dai, su… ce la puoi fare…” sussurrava la sua voce divertita al suo orecchio. Misaki si aggrappò convulsamente alle sue spalle.
“Usagi-san… io ti… amo…”
Sentì che Akihiko intensificava la sua stretta. “Piccolo mio… anch’io ti amo tanto.”

 

~~~

Non era cambiato proprio nulla: la sensazione dei suoi baci, il tocco delicato delle sue mani sul suo corpo, l’odore della sua pelle.
“Usagi-san… aah…”
“Misaki… dimmi cosa vuoi che faccia…”
Anche la sua voce in quei momenti era sempre la stessa: bassa e terribilmente sensuale, che gli s’infiltrava nel cervello e lo faceva impazzire di desiderio.
“Voglio… te,” mormorò a fatica, “fai… quello che vuoi, basta che… che lo fai…”
Arrossì tremendamente pronunciando quelle parole, sentiva chiaramente la pelle della sua faccia che scottava; per fortuna la camera (la loro camera) era immersa nella penombra. Akihiko non perse tempo e continuò a baciarlo e accarezzarlo dappertutto; Misaki si morse le labbra per non mettersi a urlare di sbrigarsi, che non ce la faceva più, e stringendo convulsamente i pugni sulle lenzuola. Finalmente, Akihiko penetrò lentamente in lui.
“Ehi… stai tremando…”
“S
sto bene… non preoccuparti…”
Non era dolore (ovviamente) né timore; era semplicemente la troppa emozione, perché era passato così tanto tempo che gli sembrava quasi di vivere una nuova prima volta… Akihiko lo baciò di nuovo stringendolo forte, poi cominciò a muoversi pian piano.
“Aahh… Usagi… san…”
“Misaki… sapessi quanto mi sei mancato…”
Le spinte aumentarono d’intensità e Misaki smise di trattenersi, lasciandosi andare a quella marea di emozioni travolgenti. “Usagi-san…! Ti amo… ti ho sempre amato… e ti amerò per sempre…!”
Dopo, giacquero insieme l’uno nelle braccia dell’altro, occhi negli occhi e senza più dire nulla, perché tanto non c’era molto altro che le parole potessero aggiungere; c’erano solo due persone che finalmente si erano ritrovate in un’unione che, lo sentivano entrambe, non avrebbe mai avuto fine.

 

EPILOGO.



“Usagi-san! Il campanello!” urlò Misaki dalla cucina. Non poteva andare lui ad aprire, impegnato com’era nelle decorazioni della torta di Natale. Voltò la testa verso le scale, aspettandosi di sentire da un momento all’altro i passi di Akihiko che scendevano diretti alla porta d’ingresso, ma invece c’era un silenzio di tomba.
“Ehi, Usagi-san! Si può sapere che stai combinando?”
Probabilmente era troppo immerso nel suo nuovo libro per potersi curare di ciò che succedeva nel mondo reale; Misaki sospirò mentre il campanello trillava di nuovo e, rassegnato, lasciò perdere la torta e andò ad aprire.
“Buon Natale, Misaki!” esclamò Takahiro con un gran sorriso, entrando in casa e abbracciando calorosamente il fratello, seguito dalla moglie Manami e dal piccolo Mahiro.
“Buon Natale anche a voi!” rispose Misaki chinandosi a baciare la cognata sulle guance e prendendo in braccio il nipotino.
“Ah, Misaki. Sono arrivati?” chiese in quel momento Akihiko, sbucando alle sue spalle.
Il ragazzo si voltò e gli scoccò un’occhiata assassina. “Certo, come puoi vedere! Ti avevo anche chiesto di andare ad aprire, ma immagino sia pretendere troppo dal signor-famoso-scrittore Usami Akihiko!”
L’altro non si scompose per niente e rispose con aria di superiorità: “E’ ovvio, soprattutto quando sono in vista di una scadenza importante. Non l’hai ancora imparato?”
“E tu quando imparerai che le scadenze non sarebbero così pressanti se solo non ti riducessi a scrivere tutto all’ultimo minuto?!”
“Su, su, non litigate, è Natale!” intervenne Takahiro dando una pacca sulle spalle di Akihiko per salutarlo.
Mentre i nuovi arrivati si accomodavano in casa e Misaki tornava ad occuparsi della torta, il piccolo Mahiro trotterellò in direzione di Akihiko e si fermò davanti a lui, osservandolo con curiosità; l’uomo lo guardò a sua volta, fissandolo tutto serio dall’alto della sua statura, e dopo un po’ chiese: “Allora, cos’hai da guardarmi così? Non ti ricordi chi sono?”
In quel momento il bambino stese un ditino paffuto verso di lui e gridò gioiosamente: “Unagi!”
Akihiko strinse le labbra e si accigliò: non bastava il fatto che i bambini non gli fossero particolarmente simpatici e che fosse stato costretto a diventare il padrino di uno di loro (ma solo perché si trattava del figlio di Takahiro, altrimenti non avrebbe acconsentito per nulla al mondo), ci mancava solo che il suo figlioccio non sapesse neanche pronunciare correttamente il suo nome! Era semplicemente inaccettabile, e perciò fece qualcosa che non aveva mai fatto prima (e che probabilmente non avrebbe fatto mai più): piegò un ginocchio a terra e prese il bimbo, sollevandolo da sotto le ascelle, quindi si raddrizzò e guardandolo bene in faccia disse con calma: “No. Non è così che mi chiamo.”
Intanto dalla cucina Misaki si accorse della strana manovra e, conoscendo perfettamente i sentimenti di Akihiko nei confronti dei bambini, subito si allarmò: “Ah! Usagi-san, lascia stare mio nipote!”
Corse quindi da lui con l’intenzione di impedirgli di sgridare Mahiro o qualunque altra cosa avesse in mente di fare; rimase perciò di stucco quando lo sentì dire: “Io mi chiamo Usagi. Ascolta attentamente: U - sa - gi. Avanti, prova tu.”
Mahiro lo osservò tutto concentrato per un bel po’, e finalmente ripeté: “U… sagi! Usagi!”
“Bene, molto bravo.” Akihiko lo mise giù e gli fece alcune carezze impacciate sulla testa.
“Usagi! Usagi!” continuava intanto a ripetere il bimbo, attaccato ai suoi pantaloni.
“Ehm… sì, certo… sei proprio un bravo bambino. Ma adesso vai dalla mamma, su.”
Il bimbo corse dai genitori e Takahiro esclamò commosso: “Ma… ma questo è un miracolo! Noi non eravamo mai riusciti a fargli pronunciare la lettera esse! Usagi, lo sapevo che eri il padrino perfetto per nostro figlio! Grazie di cuore!”
“Oh, beh… per così poco…” si schermì lui; Misaki lo raggiunse e insieme osservarono il quadretto familiare.
“Sai, forse non sei poi così negato con i bambini come pensavo; magari la prossima volta che Manami e Takahiro hanno bisogno di un babysitter potresti andarci tu al posto mio.”
“Levatelo dalla testa. E poi te l’ho già detto una volta: tu devi uscire nel mondo esterno il meno possibile. Il resto del tuo tempo dev’essere dedicato esclusivamente a me.”
Misaki alzò le sopracciglia e spalancò gli occhi, esasperato. “Non posso credere che tu sia sempre così possessivo! Per tua informazione sono abbastanza grande per fare quello che mi pare e… MMM!”
Akihiko lo zittì con un bacio; Misaki si scostò da lui quasi immediatamente. “Ma… ma sei pazzo? Non fare certe cose davanti a mio fratello...!” bisbigliò senza fiato.
“Non badava a noi. E poi il tuo discorso mi stava annoiando” ribatté semplicemente Akihiko.
“Oh, guarda, sei… sei incredibile!”
“Nel senso buono del termine, però. Giusto?”
Misaki lo guardò di traverso ma, nel vedere i suoi occhi che gli sorridevano pieni di tenerezza, si rilassò. “Vorrei evitare di esaltare ancora di più il tuo ego, però… sì. Nel senso buono.”
Dopo un po’ Misaki si voltò verso la finestra ed esclamò: “Guarda, Usagi-san! Sta nevicando!”
“Sì, lo vedo” rispose Akihiko mettendosi dietro di lui e avvolgendolo tra le sue braccia. “Natale con la neve è ancora più bello, vero?”
“Hai ragione…”
In quel momento il cellulare di Akihiko squillò segnalando un sms ricevuto; lui lo prese e lesse il messaggio. “Ah…”
“Chi è?”
“E’ Thomas.”
Il cuore di Misaki saltò un battito nell’udire quel nome. Ovviamente non lo avevano più sentito da quel giorno né parlato di lui, ma era comunque sempre presente nei suoi pensieri. Le sue parole tornavano ogni tanto a tormentarlo, e a volte si svegliava nel cuore della notte in preda all’ansia per accertarsi che Usagi fosse veramente lì nel letto accanto a lui, e allora si raggomitolava nel suo abbraccio fino a  riaddormentarsi.
“E, ehm… che cosa vuole?” chiese con un filo di voce, cercando di non far trapelare la minima emozione; non voleva che Akihiko si accorgesse che lui pensava ancora a quella storia e che magari si offendesse.
“A quanto pare una casa editrice inglese ha accettato di pubblicare la traduzione del mio libro fatta da lui. Te ne ho parlato, ricordi?”
“Oh… dici davvero? Ma è… è fantastico, Usagi-san! Sono davvero felice per te!” Misaki si voltò verso di lui con un gran sorriso, finalmente rasserenato.
“Dice anche che ti manda i suoi saluti e che spera tu non ce l’abbia più con lui” aggiunse Akihiko.
“I suoi saluti… certo, come no,” borbottò Misaki, non riuscendo a evitare di mettere il broncio.
“Avanti… non dirmi che sei geloso.”
“E… e se anche fosse? Credi di essere il solo ad avere il diritto d’ingelosirsi?”
“Quanto meno credevo di essere il solo incline alla gelosia irrazionale.”
“Ah, quindi pensi pure che sono irrazionale?”
Akihiko si mise a ridere sommessamente e gli diede un bacio dolcissimo sulla fronte. “No, penso che tu sia adorabile. E il fatto che sei geloso di me mi lusinga profondamente, ma… puoi stare tranquillo. L’unica vita che voglio è in questa casa, e l’unica persona che amo e che mai amerò è proprio qui… tra le mie braccia.”
Misaki fissò i suoi occhi che lo guardavano riflessi nel vetro; il suo cuore batteva così velocemente per la felicità che ormai era solo più un battito d’ali, come quello dei colibrì. Strinse forte le braccia di Akihiko con entrambe le mani. “Usagi-san?”
“Sì?”
“Ti prego... non lasciarmi mai più.”
Akihiko poggiò delicatamente il mento sulla sua testa e gli sorrise dal vetro. “Mai più, amore mio… te lo giuro.”

 

FINE.

 

Aahh... bene, eccoci giunti alla fine della storia! Spero che non abbia deluso le vostre aspettative, ci tenevo molto perchè so che mi avete seguito con passione e assiduità... e di questo vi sono davvero grata. Vi ringrazio tutti per le vostre parole e il vostro sostegno, e grazie anche a coloro che sono semplicemente passati di qua a dare una sbirciatina... spero che la mia storia vi sia piaciuta e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto! ^_*
PuccaChan.

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