By the new moon to the full moon. ~

di SunriseNina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Prologo. ***
Capitolo 2: *** #1: Novilunio. ***
Capitolo 3: *** #2: Luna crescente. ***
Capitolo 4: *** #3: Primo quarto. ***
Capitolo 5: *** #4: Gibbosa crescente. ***
Capitolo 6: *** #5: Plenilunio. ***
Capitolo 7: *** #6: Eclissi lunare. ***



Capitolo 1
*** ~ Prologo. ***


Una breve introduzione ai capitoli che state per leggere:







Per iniziare, grazie di aver iniziato a leggere la mia FanFiction, e spero che vi piaccia.
E’, come penso si sia capito, una serie di capitoli legati alle figure di L e Light .
Devo parlare un attimo dell’ambientazione perché possiate avere le idee

chiare: i capitoli, denominati con le fasi lunari che vanno
dal
novilunio al plenilunio,
sono i racconti delle notti che i due si ritrovano a passare ammanettati.
In questo momento della narrazione, vi ricordo che Light non è consapevole di essere Kira.
L verrà chiamato Eru (dalla pronuncia giapponese), o Ryuuzaki.
Non hanno riferimenti cronologici esatti, il parallelismo tra la luna e l’effettivo giorno che sta trascorrendo non è giusto, e altri particolari che
rendono il tempo della storia vago ed ambiguo;
ho dovuto lasciar correre su questo aspetto, e spero così facciate anche voi …
Se ve lo state chiedendo, NO, non è un’accozzaglia di scene Yaoi senza trama e/o filo logico.

Prediligo lo Shonen-ai ♥ 

Detto questo, spero in recensioni positive! 
(... anzi, spero di ricevere recensioni, in primo luogo xD)






Nina.

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Capitolo 2
*** #1: Novilunio. ***


«Non è umanamente possibile!» borbottò Light, tirando la manica della camicia impigliata nella manetta.
«Mi dispiace per il piccolo inconveniente» disse Eru «Provvederò il più preso a far cucire delle cerniere sulle braccia delle nostre magliette. Intanto, per ora tutto quello che puoi fare è tagliarla.»
Il ragazzo cercò di ribattere, poi sbuffò:«Va bene, ma muoviti.»
Ryuuzaki tagliuzzò la manica di Light fino a raggiungere la spalla; cercò di sfilargli la maglietta, ma Light gli prese il polso, irritato: «So svestirmi da solo, grazie
Eru annuì senza scomporsi e, con un veloce ed abile strappo, lacerò la propria manica, per poi togliersi l’intera maglia sfilandola per le gambe. Light lo osservò, poi lo imitò con qualche difficoltà: «E ora come ci mettiamo le maglie dei pigiami?» chiese con tono scocciato.
«Non le mettiamo.» disse Eru con semplicità, infilandosi dei lunghi e sproporzionati pantaloni neri sulle gambe striminzite.
Light sospirò. Che situazione.
Posò l’occhio sul corpo magro e cereo di Ryuuzaki: sotto la pelle pallida si intravedevano le costole del torace, e il ventre piatto si alzava lievemente con il respiro del ragazzo; la schiena era ricurva, e conferiva l’ennesimo particolare inquietante ad Eru.
«Ti muovi tanto nel sonno?» chiese Light.
«Non lo so. Di solito dormo, quindi non riesco a controllare quante volte io mi muova. Sarebbe interessante rimanere svegli e al contempo dormire, per vedere quello che facciamo. Cosa ne pensi, Light?»
«Interessantissimo» lo schernì il ragazzo, sedendosi sul bordo del letto «Devo essere davvero affascinante, mentre dormo…»
«Se è così, ti osserverò. Non dormo molto, in qualsiasi caso. Almeno saprò cosa fare, durante l’insonnia.» osservò Eru con franchezza.
«Spero tu stia scherzando!» si infervorò Light «Misa non ha tutti i torti, sei un maniaco…» borbottò, infilandosi sotto le lenzuola «Io sto a sinistra, sappilo.»
Eru annuì, acconsenziente, e sgusciò tra le coperte accanto a lui.
Rimasero fermi qualche istante: si guardarono negli occhi, le teste appoggiate ai due guanciali, le mani di Eru che giocherellavano con la cucitura del cuscino torturandola tra i polpastrelli. Quelle mani bianche, ossute e dai movimenti delicati e leggeri fecero rabbrividire Light, che scattò seduto: «Spengo la luce. Buonanotte, Ryuuzaki.»
«Buonanotte, Light.» disse lui con un sorriso. Un sorriso tenero e posato. Light scostò turbato lo sguardo dalle labbra chiare di Eru, allungò la mano verso l’abatjour sul comodino e la spense: la stanza fu invasa dalle tenebre, attenuate solo da delle flebili luci delle stelle.
Light scivolò nuovamente sotto le coperte. Vedeva gli occhi spalancati di Eru rilucere nella notte, inquietanti e dilatati: «Novilunio.»
Light si girò, guardò la finestra: sì, luna nuova. L’oscurità dominava il firmamento.
 «Già.» annuì, tornando a guardare il viso del ragazzo tra il buoi della che li separava «Niente luna. Si prepara a risorgere.»
«È come se morendo abbandonasse tutti i suoi peccati per poi rivivere splendente e pura come sempre.» osservò Eru con voce sussurrata.
Light si irrigidì: in qualche modo, cercava di dargli un messaggio. Ma come doveva spiegargli che  non era Kira? Non ci avrebbe mai creduto. Chiuso nel suo mondo fatto di investigazioni, sofisticati computer e delizie d’alta pasticceria, Ryuuzaki era convinto di una sola verità: la propria.
«Sono molto stanco…» sbadigliò Light, in realtà fremente da capo a piedi «’Notte, Ryuuzaki.»
Si girò dall’altro lato, dando le spalle al ragazzo. Chiuse gli occhi, tentò invano di dormire sonni tranquilli. Mille pensieri gli invasero la testa, voci e ricordi inesistenti gli attanagliavano la mente, corrompendo i suoi sogni e rendendo quella notte un incubo straziante.
Spalancò gli occhi, madido di sudore: dalla sveglia lampeggiavano nel buio le 02:47.
Sbuffò, esasperato, passandosi la mano sulla fronte imperlata, quando sussultò: aveva una mano appoggiata alle costole.
Si spostò con uno scatto convulso e vide Eru che, profondamente addormentato, aveva allungato il braccio sopra di lui. Rabbrividì, imbarazzato, e delicatamente spostò la mano del ragazzo dalla sua piazzola; Ryuuzaki aveva le dita gelide, come se fosse un cadavere.
I brividi sulla schiena di Light aumentarono.
Una strana angoscia gli invase il ventre: quella figura con cui condivideva il letto, gelata e immobile, a torso nudo, lo inquietava. Gli posò la mano sulla fronte e sulle guance: la sua pelle era tiepida e vellutata, come quella dei bambini. Sorrise involontariamente, poi si sdraiò nuovamente nel letto nella posizione precedente.
Dopo pochi istanti, Ryuuzaki mugolò e, rigirandosi, gli mise un braccio intorno alla vita e lo strinse a sé. Light sentì il viso avvampare e il corpo tremargli; il petto era invaso dal battito del cuore, veloce e frequente. Deglutì a fatica, cercò di divincolarsi, ma Eru lo teneva fermo nella sua morsa. “Ma non dormiva pochissimo?!” si chiese, maledicendolo. Sentiva il corpo contro quello del ragazzo, i piedi nudi uno sull’altro, le gambe che si sfioravano tra i tessuti dei pantaloni, i bacini a pochi centimetri di differenza –pochi imbarazzanti centimetri di differenza-, il respiro di Ryuuzaki ansimargli sul collo.
Light si diede per vinto, e cercò di non badare a quella strana e ambigua posizione: forse per l’effettiva stanchezza, forse per la protezione che il braccio di Eru dava al suo ventre che si alzava e si abbassava, forse per il fatto che tutti i pensieri sembravano essersi dissolti dalla sua mente, Light si addormentò. 

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Capitolo 3
*** #2: Luna crescente. ***


Light chiuse con un colpo secco la zip della manica. Eru lo guardò con i grandi occhi sporgenti: «Ti trovi bene con questi?»
«Decisamente meglio» ammise Light «Grazie, Ryuuzaki.» aggiunse, un po’ titubante.
Si massaggiò il polso, constatando che il segno rossastro era diventato più evidente: quella manetta lo torturava giorno e notte, il solco si faceva più profondo e doloroso. Era sì e no una decina di notti che dormivano insieme, sotto le stesse coperte, tiepidi del corpo dell’altro.
All’inizio Light lo aveva trovato imbarazzante, se non degradante; ma si era abituato. Bastava chiudere subito gli occhi, cercare di non dare troppa importanza ai movimenti di Eru, a quando gli si addossava contro, o quando muovendosi nel sonno gli poggiava una mano sul busto, sul collo, sulle spalle. Bastava abituarsi. E cercare di nascondere quel vago brivido, quel leggero tremore che gli dava sentire il respiro sommesso di Ryuuzaki, vederlo inerme ammanettato a lui nel cuore della notte.
Lanciò uno sguardo al ragazzo; il suo pigiama era, se possibile, ancora più largo e liso dei vestiti che utilizzava solitamente: i larghi e leggeri pantaloni neri e la maglia blu oltremare a dir poco smisurata la cui larga scollatura gli lasciava scoperta la clavicola sinistra, visibile sotto la pelle. Era scarno, curvo, come se non fosse stato altro che uno scheletro la cui anima non aveva mai abbandonato il corpo deceduto: le carni erano scomparse e la pelle era diventata come un cencio slavato, mentre le ossa avevano imperterrite continuato a sostenerlo.
«Tutto bene, Light?» chiese il ragazzo, inclinando la testa.
«Certo» mentì lui «Sono stanco, andiamo a dormire.»
Eru annuì, si infilò sotto le coperte, si accoccolò e chiuse gli occhi con un leggero sorriso sul volto.
«Come fai ad avere delle occhiaie simili» chiese Light, perplesso «Se dormi sempre come un sasso?»
«Io non dormo. Non completamente. È un dormiveglia infinito. La mia mente non può riposarsi del tutto, almeno una parte di me deve rimanere vigile.»
Light sussultò, invaso da un tremendo dubbio: quindi Eru era consapevole di toccarlo in continuazione durante la notte? No, non era possibile. Che cosa stupida. No, probabilmente non capiva i propri movimenti.
Sollevato dalle proprie ragioni che allontanarono quella prospettiva malsana, Light spense la luce dell’abat-jour. La camera non calò completamente nel buio: come Ryuuzaki aveva preteso fin dal primo giorno, non avrebbero mai chiuso le persiane. Sembrava rincuorato di avere un interno firmamento a vegliare sui suoi sonni alterati.
«Cresce. Si sta purificando.» sussurrò elettrizzato Eru.
Light ruotò il collo verso la finestra: un sottile spicchio di luna era intravedibile poco sopra ai grattacieli che si stagliavano nella città addormentata.
«Ancora con questa ridicola storia?» lo apostrofò, più acido di quanto avrebbe voluto «Proprio tu, con una mente così razionale, elabori una teoria tanto ottusa.»
«Ognuno ha i suoi difetti. I suoi punti deboli.» osservò calmo Eru.
“Sì” pensò Light “E tu stai solo aspettando il mio, vero? Stai aspettando che il tuo presunto Kira faccia una mossa falsa e cada nella tua trappola. Idiota.”
«Dormiamo, ora. Domani sarà una lunga giornata…» disse Light, sistemando bene il cuscino sotto il capo.
«Le giornate sono sempre di 24 ore.» disse Eru, ma abbassò velocemente lo sguardo quando Light gli scoccò un’occhiata furente.
«’Notte, Ryuuzaki.»
«Light?»
Il ragazzo sospirò, sistemandosi un ciuffo nocciola dietro l’orecchio: «Cosa c’è?»
«Tu vuoi bene a tuo padre?»
«… Cosa? Soichiro? Certo, che domande sono!» disse Light, agitandosi dubbioso sul motivo di quella domanda «In fondo è mio padre, no? È normale tenere alla propria famiglia.»
«Davvero?»
Light rimase in silenzio qualche secondo, poi il suo tono di voce si fece più basso e titubante:«Ryuuzaki… i tuoi genitori?»
«Sono cresciuto in un orfanotrofio.»
«Mi dispiace, non volevo offenderti, non…»
«Non lo sapevi. Normale. Non preoccuparti.»
Light annuì, imbarazzato. Eru fece scivolare le dita sottili lungo il cuscino del ragazzo, rimanendo a poca distanza dal viso del giovane Yagami, che sebbene infastidito non si scompose: «Light?»
«Sì?»
«Vuoi bene a Misa?»
Light tentennò: «Io… Ecco, personalmente no. Non tanto, almeno. Ma non sono così insensibile da spezzarle il cuore. Tiene tantissimo a me.»
«Già.»
«Perché questo interessamento? Ti piace Misa Misa?» disse sorridendo ironico.
«No, assolutamente.» la sua voce esitò, le sue dita fremettero appoggiate al guanciale davanti agli occhi di Light «Di sicuro non lei
Un silenzio glaciale invase la stanza. Light strabuzzò gli occhi, mentre la gola gli si annodava e le membra gli si contorcevano:«Ryuuzaki, cosa stai… Cosa stai dicendo?» cercò di ridere, ma emise un suono più simile a un rantolo.
Eru si avvicinò a lui, fino a che i loro ginocchi non si sfiorarono al di sotto delle coperte.
«Ryu… Ryuuzaki?»
La mano di Eru passò lentamente sulle sue guance, tracciando i lineamenti del suo viso con la punta dei polpastrelli, massaggiandogli il pomo d’Adamo con il pollice. Light trattenne il respiro: quelle mani erano inaspettatamente e innaturalmente calde. Gli occhi di Eru, li vedeva alla fioca luce lunare, sembravano risplendere d’un’emozione insolita e inaspettata. Mosse le gambe, facendo sfregare le ginocchia contro quelle del ragazzo:«Ryuuzaki, cosa stai facendo?!» la sua voce era colma di una nota stonata, a disagio, ma nonostante ciò Light non riusciva a muoversi dalla posizione in cui era.
«Light» la voce di Eru era roca e, a tratti inquietanti, bramosa «… Scusami
Il giovane Yagami tentò di chiedere spiegazioni, ma gli fu impossibile: presto le sue labbra furono immobilizzate da quelle della bocca dell’altro.
Light, paralizzato, sentì il cuore scalpitare nel petto come non mai; Eru lo obbligò a schiudere le labbra con la punta umida della lingua, e presto gli invase la bocca inspirando profondamente.
Light cercò di scostarsi, di separarsi da quel bacio –perché era quello che stava succedendo, un bacio tra ragazzi- ma qualcosa gli impediva di farlo. Quel suddetto qualcosa, lo realizzò in pochi attimi, era la sua stessa volontà.
Improvvisamente, quel bacio gli parve piacevole; quelle labbra erano dolci, come velate di cannella, il sapore della bocca di Eru era inebriante come le sue mani che si stavano avvinghiando al suo torace. Light, lasciandosi alle spalle ogni inibizione, chiuse gli occhi e si lanciò con più foga in quel bacio, passando le mani tra i folti e disordinati capelli corvini del ragazzo. Le gambe di Eru gli si aggrapparono ai polpacci, avvicinando a dismisura i loro corpi: Light, senza smettere di baciare Eru se non per pochi secondi di boccheggi affannati, gli esplorò il corpo con le mani ansiose e desiderose: passando senza difficoltà sotto la larga maglietta gli tastò la pancia, il magro petto, gli strinse i capezzoli tra i polpastrelli di indice e pollice con delicatezza mentre l’altro sussultava ad ogni suo gesto. Scese con la mano lungo la pancia, con la punta delle dita gli sfiorò lievemente i pantaloni sull’inguine, fremendo eccitato. Eru strinse la presa della gambe e poggiò le mani sulle natiche di Light, saggiandole con le mani ossute. Abbandonò le sue labbra e gli percorse il collo e la spalla con dei leggeri e caldi baci. La vista di Light si offuscò di piacere, e proprio a quel punto il ragazzo sembrò riprendere conoscenza: era Ryuuzaki il corpo che stava stringendo, che stava assaporando con passione. Non era possibile, non poteva accadere, non doveva accadere. Quel ragazzo quasi gobbo, esile e ostinatamente bizzarro non poteva essere davvero l'oggetto di quell'inaspettato godimento.
Allontanò bruscamente Eru, fissandolo ansimante. I loro corpi erano sudati e bollenti. I due non parlarono: si limitarono a deglutire per inumidire le gole secche e a sdraiarsi compostamente nella loro piazzola, il più distanti possibili uno dall’altro.
Light continuava a sentire il cuore battere con impetuosità. “Smetti, ti prego”, implorò a sé stesso.
Chiuse gli occhi, sperando infinitamente di svegliarsi e di scoprire che nulla di ciò era davvero successo, ma che era stato tutto un sogno. Un immorale sogno.
Pensò alla luna, alla sua purificazione, al suo lento processo che l’avrebbe portata al plenilunio.
In quel momento, gli sembrava di sprofondare nell’oblio del lato oscuro della luna.

Quella notte, per lo meno, nessuna mano si appoggiò a lui durante il sonno.
































































____________________________________
Spero di essere rimasta sufficientemente IC.
Non so da dove mi sia saltato fuori un Light a tratti bigotto xD, ma penso che in fin dei conti non sia così impossibile, anzi.
Spero vi sia piaciuto questo capitolo :D Al prossimo! u.u




Nina.

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Capitolo 4
*** #3: Primo quarto. ***


Non aveva avuto il coraggio di proferir parola a riguardo di quella notte per quattro giorni: cercava di rimanere freddo, apatico, di non lasciare lo sguardo scivolare sul corpo di Ryuuzaki. Non gli parlava, se non per motivi strettamente lavorativi, dormiva al bordo del letto ignorando il fastidio della sua posizione e il freddo che gli intorpidiva le punte scoperte dei piedi; inoltre, nel disperato tentativo di dormire profondamente, aveva iniziato a bere ingenti quantità di tisane per conciliarsi il sopore.
Quella sera stava preparando l’ultima camomilla della giornata: la tazza appoggiata al comodino, colma di acqua bollente, esalava sottili fili di vapore che danzavano nell’aria prima di dissolversi. Light vi immerse la bustina, e l’acqua prese velocemente un colorito giallastro che andava intensificandosi.
«Non capisco come possano piacerti. Certo, niente da togliere al tè, ma la camomilla è poco più che acqua vagamente colorata. Insapore.» disse Eru con la sua disarmante sincerità.
Sì, ecco com’era lui. Sincero. E soprattutto disarmante. Davanti alle sue parole, qualsiasi genere di maschera o macchinazione crollava in frantumi.
«A me piace, e questo basta.» Ligt tirò fuori la bustina impregnata d’acqua e la gettò nel cestino. Non era vero. Quell’odore gli dava un accenno di nausea e, alla lunga, Light la trovava addirittura disgustosa.
«Perché la bevi senza zucchero?»
Lo aveva dimenticato in cucina, e non voleva alzarsi dal letto. Si stupì della sua stessa pigrizia.
«Non lo so.»
«Non sei il tipo che fa le cose senza motivo.»
Light si stizzì:«Ryuuzaki, ti hanno mai detto che quando una persona risponde “Non lo so” spesso è perché in realtà non lo vuole dire?» chiese retoricamente.
«Perché non vorresti dirmi una cosa così futile?»
«Proprio perché lo è. Futile. Non ho voglia di rispondere e non capisco perché ti interessa.»
«Trovo i particolari affascinanti.»
«Ci mancherebbe, che investigatore saresti altrimenti?» disse Light scuotendo leggermente la testa, con un sorrisetto di superiorità tipico di chi si ritrova a spiegare delle ovvietà a degli elementi suoi inferiori.
«Non tutti gli investigatori trovano i particolari affascinanti» disse Eru, sedendosi sulla sponda opposta a quella su cui era seduto Light «La maggior parte li trova importanti, al massimo interessanti. Io li trovo affascinanti. I particolari spiegano il mondo, Light.»
«Davvero?» chiese lui, scettico, portandosi alle labbra la tazza.
«Certo. In questo momento, ad esempio, stiamo parlando dandoci le spalle, perché proviamo imbarazzo.»
Light tossì, sputacchiando un poco di camomilla bollente.
Si voltò lentamente: Eru rimaneva a fissare il muro davanti a sé. Light posò la tazza, intrecciò le dita preso da un’insolita agitazione: sentiva la gola vibrargli e il petto farsi troppo stretto per il cuore palpitante.
«Ryuuzaki.»
«Sì?»
«Voltati. Per favore.»
I due, a movimenti esitanti, si sedettero sul letto a gambe incrociate, uno di fronte all’altro. La sottile catena che li congiungeva si snodava tra le pieghe del lenzuolo stropicciato.
«Ryuuzaki, ho bisogno di sapere una cosa.» Light cercava di non guardarlo negli occhi, quegli occhi grandi e adulatori, infantili e allo stesso tempo maliziosi, neri come la pece, come l’oscurità, come l’ignoto.
«Quello che vuoi, Light.» Eru si grattò con indolenza il collo, inclinando di lato la testa.
«Cosa… cosa significava?» sentiva il viso avvampare, come in preda alle fiamme.
«Cosa?»
«Oh, non fare il cretino! Hai capito di cosa parlo!» sbottò Light con voce accusatrice «Vuoi farmelo ripetere? Ti rende così felice?! Va bene, Ryuuzaki!» gesticolò alzando la voce «Sto parlando della notte scorsa, in cui ci siamo baciati
Eru si immobilizzò: «Oh, quello
«Sì, quello.» Light corrucciò la fronte «Ryuuzaki, davvero. Voglio capire. Devo capire. Io non sono… come posso dire…»
«Gay?» disse Eru con la sua voce inalterata.
«Sì, sì esatto.» disse Light, provando un brivido ambiguo al pensiero di quella parola.
«Ti farò una domanda indiscreta, Light» disse Eru passandosi sciattamente la mano tra i capelli «Lo hai mai fatto con una ragazza?»
«Non sono cose che ti riguardano!» esclamò Light, infervorandosi.
«Chiedevo. Dico solo che non puoi esserne totalmente certo. Tanto più se non hai mai provato, no?»
«L’ho fatto con Misa. Poche volte. È una ragazza insistente.» ammise Light. Non aveva buoni ricordi di quelle notti, oggettivamente, e riesumarli non lo facevano stare meglio «Ma sentiamo un po’, e tu? Mi sembra la cosa più importante perché, vorrei ricordarlo, non sono stato io a zittirti con metodi poco ortodossi. Voglio una spiegazione.»
Fissava il volto di Ryuuzaki: il ragazzo sembrava essersi perso nei meandri di qualche sua fantasia o congettura, dall’aria svanita del suo sguardo: «Light, mi è difficile esserti sincero.»
«Sei in dovere di esserlo. Me lo devi.»
«Lo so.»
«Allora parla, diamine!» sbottò Light.
«Non so bene come dirlo, Light.» il giovane Yagami trattenne il respiro, con l’impressione che il tempo rallentasse «Sei speciale.»
«In… altre parole?» chiese Light, innaturalmente impaziente.
 Per la prima volta Eru sembrò essere a disagio; abbassò lo sguardo e mormorò: «Sei unico. Vorrei che fossi mio e di nessun altro. Come se fossi un oggetto. Immagino che questo, nelle relazioni umane, si traduca in una specie di innamoramento, no?»
«Non ti è mai piaciuta neanche una ragazza?» chiese Light, cercando di capire dove fosse il problema.
«Il punto non è che non mi è mai piaciuta nessuna ragazza. Il punto è che non mi è mai piaciuto nessuno, Light. Maschio, femmina, cane o quel che vuoi» sembrava aver perso la sua solita e metodica calma «Tu. Solo tu. Kira. E questo mi è sempre sembrato impossibile, nonché inaccettabile e controproducente. Quindi non te l’ho detto, né ne ho tenuto conto nella mia lotta contro di te.»
«Io non sono Kira!» urlò Light.
«Non so se fingi incredibilmente bene, o sei riuscito a rimuoverlo dalla memoria in qualche modo…» riflettè Eru ad alta voce.
«Aspetta un secondo: questa cosa delle manette era intenzionale? Era per questo?» sibilò disgustato.
«No, assolutamente.» disse Eru «Era tutto programmato per tener d’occhio Kira, non certo per quello che è successo tra noi.  Anzi, è stato abbastanza d’intralcio il mio sofisticato sistema di controllo. Ho dovuto fare molta attenzione ad eliminare i file delle registrazioni ad infrarossi notturne.»
Al solo pensiero di quelle telecamere, Light si sentì svenire dalla vergogna: e se suo padre in qualche modo li avesse visti? Che avrebbe detto? Dio, non osava immaginarlo.
«Mi dispiace.» disse Eru «Non volevo metterti a disagio. Pensavo che avrei resistito alla convivenza, ma ho poco calcolato la visuale… umana della situazione in cui ci saremmo ritrovati.»
Light non sapeva cosa pensare. Aveva la bocca socchiusa, la gola roca, il respiro a malapena percettibile. I suoi occhi si perdevano nel viso sottile e preoccupato di Eru, nelle sue mani delicate, nella sua pelle color del latte che manteneva quel sinistro pallore anche nella luce calda delle abatjour. Riusciva a vedere solo i suoi ciuffi corvini che gli velavano la fronte, le chiare labbra socchiuse, il suo corpo curvo verso di lui in quella posa –seduto a gambe incrociate- che gli era così innaturale. Elle era il macroscopico insieme di piccoli particolari, piccoli affascinanti particolari.
«Andiamo a letto. Non ti infastidirò. Te lo giuro.»
«Ryuuzaki…»
«Non mi azzarderò mai più a…»
Eru spalancò gli occhi, immobilizzato dall’abbraccio soffocante di Light: lo sentiva sussultare e singhiozzare sommessamente, aggrappato a lui come in cerca di un’ancora di salvezza.
«Light?»
«Per favore, taci.» la sua voce era un misto di un ordine e di una supplica sussurrata e lacrimosa. Le sue dita strinsero il pigiama di Eru, il petto di Light si avvicinava e si allontanava da quello del ragazzo che, titubante, lo abbracciò a sua volta con tenerezza: «Light?»
«Sì?»
«È… è così che ci si sente? Questo calore? È questo essere innamorati?»
Light annuì impercettibilmente. Sì, era proprio quel calore che in quel momento si sprigionava dolce e appassionante dal suo cuore emozionato.
I due si scostarono, tenendo le mani ferme sulle spalle dell’altro: «Ryuuzaki?»
«Light?»
«Quanta possibilità c’è che i video degli infrarossi vengano visti da altri?»
«Un 12,8% di possibilità. All’incirca.»
Light alzò le spalle: «Accettabile.» si avvicinò ad Eru e lo baciò. Rimasero fermi qualche secondo, le labbra che a malapena si toccavano,  i respiri che si intrecciavano; Eru gli prese il mento con la mano e Light lasciò che la lingua dell’altro gli sgusciasse in bocca. Chiuse gli occhi, lasciando che fossero i movimenti di Eru a guidarlo, mentre un piacere elettrizzante gli invadeva il corpo mettendolo in fibrillazione. Come poteva quel ragazzo provocargli tutto ciò, non lo sapeva: sapeva solo che amava i lenti movimenti delle sue dita sul suo viso, le lingue avvinghiate, i gemiti difficilmente soffocati quando per sbaglio si mordevano un labbro.
Light lo tirò addosso a sé, ricadendo sul materasso, petto contro petto, continuando imperterriti a baciarsi per un tempo che sembrò infinito. Eru lasciò il viso di Light e gli rotolò affianco, nella sua piazzola: le sue mani magre e pallide iniziarono a passare lentamente sul corpo del ragazzo, a saggiarne ogni singolo centimetro di pelle.
«R-ryuuzaki…»
«Devo smettere?» chiese lui, immobilizzandosi.
«…No» disse Light. Doveva dormire, ne aveva il bisogno fisico, ma come poteva far interrompere il ragazzo senza sentire il desiderio riaccendersi con veemenza dentro di sé?
«Sei stanco?»
«Fa niente, davvero…»
«No, rilassati.» disse Eru, scivolando via dalla sua maglietta «Dormiamo. Va benissimo.»
I due si accoccolarono sotto le coperte, stringendosi le mani.
«’Notte, Light.»
«’Notte, Ryuuzaki.»
Eru sembrò voler ribattere a quel nome fasullo, ma ci ripensò. Gli diede un veloce bacio sulla guancia, poi si rannicchiò nuovamente nella sua posizione.

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Capitolo 5
*** #4: Gibbosa crescente. ***


Un ticchettio snervante dominava la camera da letto.
Light, ignorando tutti i suoi sani principi sull’igiene personale e sull’etichetta, si mangiucchiava con foga l’unghia del pollice destro. Morse con troppa forza una pellicina, e da essa fuoriuscì una goccia di sangue che scivolò sul polpastrello, lasciando una sottile scia rossastra sul dito del ragazzo.
Stranamente, anche Ryuuzaki sembrava più preoccupato del solito: le sue lunghe dita parevano trattenersi dal fremere, e deglutiva continuamente, fatto notabile dal collo sussultante.
Quel ticchettio continuava imperterrito: Light gettò uno sguardo inquisitore all’orologio appeso al muro.
Le dodici meno venti.
Mancava poco all’inizio del giorno fatidico.
Il ragazzo si osservò il polso solcato da un segno quasi violaceo causato dalla pressione contro il metallo: alla luce dell’alba avrebbe abbandonato le manette.
Sentì il fruscio delle coperte, e vide Eru già coricato, raggomitolato su se stesso con la testa appoggiata al cuscino e il pollice appoggiato alle labbra, come in preda a qualche riflessione. Light, senza dire nemmeno una parola, scivolò accanto a lui.
«E così la nostra convivenza giunge al termine.»
«A quanto pare, Ryuuzaki.» Light sente un insolito amaro in bocca a pronunciare quelle parole «Meglio così. Finalmente riavremo entrambi un po’ della nostra privacy. Doverci scomodare ogni volta che l’altro deve andare in bagno e restare con lui non è proprio il massimo.»
Eru annuì. Era irrequieto. Light lo sentiva, ormai aveva iniziato a comprendere i suoi movimenti, i suoi piccoli scatti, il linguaggio del suo corpo.
«Light, mi fai un favore?»
«Sì, Ryuuzaki?» il ragazzò sentì l'ansia crescergli in petto.
«Non mi hanno mai raccontato una storia della buonanotte.»
«Una… storia della buona notte?» chiese Light con un’espressione perplessa.
«Sì» la voce di Ryuuzaki era seria in modo strabiliante e incomprensibile agli occhi del giovane Yagami «Una storia della buonanotte. Le favole, hai presente? Quelle con i principi, le principesse, gli eroi e i draghi, i castelli irraggiungibili, gli incantesimi e le magie.»
Light non riuscì a non trattenere un risolino: «E io cosa dovrei fare? Raccontarti una storia?»
Eru annuì, strusciando un lato del capo contro il cuscino.
Light aveva la bocca schiusa in un’espressione incredula: una favola. Chi era, la balia di Ryuuzaki? Eppure, sapeva che se non lo avesse fatto, quei due occhi color della pece non lo avrebbero abbandonato per tutta la notte, e al sol pensiero rabbrividì.
Si sedette, appoggiando la schiena alla testata del letto: non conosceva nessun tipo di favola. Aveva dimenticato ormai da anni quelle che aveva origliato quando sua madre cullava Sayu per farla addormentare: millantavano storie inverosimili su cavalieri dalle bionde e impeccabili chiome e destrieri dalle candide criniere, che galoppavano in cerca di donzelle dalle labbra rosse come mele e guance sode e vellutate come pesche mature.
Non importava, avrebbe improvvisato.
«Dunque» iniziò, congiungendo le mani «C’era una volta una principessa. Di solito iniziano così le storie, almeno. Una principessa vittima di un sortilegio, imprigionata nel castello di un potente mago…»
«Quale sortilegio?» chiese Eru, avvicinandosi a lui.
«Non saprei… Cosa pensi che abbia?»
«Schizofrenia.»
«Quella è una malattia, non un sortilegio.»
«Ah» disse, un po’ deluso «Allora non sapeva volare.»
«Non essere cretino, Ryuuzaki» gli intimò Light, snervato da quella pagliacciata «Le persone non sanno volare! Non puoi toglierle qualcosa che non ha!»
«Non c’è molto da togliere ad una ragazzina imprigionata allora… non ha felicità, né amici, né genitori. Non puoi togliere qualcosa a una persona che non ha nulla.»
«Senti, facciamo come vuoi tu. Va bene, la principessa non sa volare, e non lo saprà fare mai. Il mago la trattava come una schiava, era la sua serva, e...»
«Come faceva ad essere una principessa, se era una serva?» chiese Eru.
«Certe cose si sanno e basta.» tagliò corto Light, deglutendo a fatica: il ragazzo, rannicchiato accanto a lui, stava giocherellando con il bordo della sua maglietta, solleticandogli la pelle della pancia. Anche solo quel leggero, vago contatto con le sue dita gli fece aumentare il battito cardiaco e la sudorazione.
«Dicevo» continuò, cercando di diminuire quel disagio «Il mago la trattava come una schiava, e lei non poteva fuggire da quella fortezza: era impossibile per chiunque. Un giorno…»
«Ma se era impossibile per tutti, nemmeno il mago poteva scappare?» chiese Eru, sedendosi improvvisamente accanto a lui «Non è stata una mossa intelligente da parte sua creare una roccaforte così inaccessibile da essere controproducente, non trovi, Light?»
«Hai ragione, Ryuuzaki. Ora posso continuare con la storia?» chiese Light con una punta di stizza.
«Certo.»
Eru, dalla sua proverbiale postura seduta, appoggiò la testa sulla spalla del giovane Yagami. Light sussultò impercettibilmente: sentiva il tepore del suo corpo mescolarsi al proprio, i capelli corvini dell’altro accarezzargli morbidi il collo. «A-allora, stavo dicendo…» Light sentiva il respiro diventargli impossibile, e la gola farsi roca e secca. Eru si sistemò meglio sulla sua spalla, e Light sentì il cuore sussultare stretto tra le costole. «Dicevo. Solo un principe avrebbe potuto spezzare l’incantesimo e fare in modo che la ragazza potesse scappare via con lui: per farlo, avrebbe dovuto urlare il nome della principessa alla luna piena specchiata nell’acqua del pozzo che c’era accanto al fossato.» «Complicato.» osservò Eru. Light sentì il suo respiro caldo propagarglisi sul collo, le labbra a pochi centimetri dalla sua pelle.
Ansimò involontariamente, e per pochi istanti aspettò una reazione di Eru; ma il ragazzo restò fermo, anzi, sembrò non accorgersi minimamente del gemito dell’altro.
Lievemente confortato, Light stava per continuare, quando Eru lo interruppe:«Perché il mago la trattava male? Non aveva nessun altro. Lei era l’unica della sua vita. Perché trattare male l’unica che vivesse con lui, che avrebbe potuto essergli amica?»
«Di solito, Ryuuzaki, il rapporto tra carcerato e carceriere non è certo rose e fiori.» neanche a volerlo, dicendolo fece tintinnare le manette. Avvampò in viso, vergognandosi come non mai.
Ryuuzaki alzò la testa di scatto: «Light, tu non mi odi, vero?»
«Io…»
Li vedeva. Anche attraverso le tenebre, li vedeva. Due grandi occhi sporgenti che lo guardavano, rilucenti di una richiesta tremendamente simile ad una supplica . Poteva sentire le sue mani tremare e le sue labbra stringersi fino a sbiancare.
«Ma no che non ti odio, tranquillo.» Light lo strinse a sé, istintivamente. Il cuore scalpitava impazzito nel suo petto, gli riempiva le orecchie di un rumore sommesso stranamente simile a quello dell'orologio al muro, solo più intenso. «Io ti…»
Si zittì immediatamente, irrigidendosi: era forse impazzito? Cosa stava dicendo? No, assolutamente no.
«Cosa, Light?»
«Nulla.»
«Stavi dicendo qualcosa.»
«Non è vero.»
«Non mentire.»
Il viso di Light si arrossò: «Nulla, davvero. Dimentica. Straparlavo.»
Eru sembrò tentennare, indeciso sul da farsi, nell’oscurità, come se qualcosa lo trattenesse:«Allora ti dirò io qualcosa, Light.» gettandosi alle spalle qualsiasi genere di inibizione, Ryuuzaki fermò l’altro tenendogli le spalle e intanto gli sedette a cavalcioni addosso, in ginocchio con le gambe divaricate sopra il corpo di Light: «Ryuuzaki, cosa stai…?!» Le sue parole furono interrotte da un bacio passionale, energico, quasi prepotente. Eru non gli sfiorava dolcemente il corpo, lo aveva braccato, come un ragno cattura le sue piccole prede nelle insidie della tela. Era la sua marionetta, il suo giocattolo, e non sembrava avere intenzione di essere delicato: le sue mani erano animate da un desiderio carnale crudo, animale, mentre gli percorrevano il torace e il bacino senza che Light potesse opporre resistenza:«Ryuuzaki…» la sua voce era preoccupata, supplicante.
«Cosa stavi dicendo, Light Yagami?» gli prese il mento, con fare inquisitore. Light fu attraversato da una sensazione di angoscia: non era il Ryuuzaki che conosceva, a stringergli il mento tra le dita. Non era così veemente, impaziente e incontrollato.
Ne aveva paura.
«Cosa stavi dicendo?»
«T-te l’ho detto» balbettò lui con difficoltà «Scemenze. Straparlavo, non sapevo cosa stessi pensando, lascia perdere.»
«Te lo dico io cosa stavi dicendo…» sussurrò Eru, posizionando le labbra a pochi centimetri dal pomo d’Adamo dell’altro.
Light fremette, in uno stato di sottile terrore.
Eru iniziò a baciarli il collo, scendendo fino al petto e risalendo, scendendo e risalendo, lentamente, come gustandosi con un incomparabile piacere ogni singolo attimo in cui le sue labbra toccavano la pelle tiepida e liscia dell'altro. 
«Stavi dicendo “Ti amo”.»
«Ryuuzaki, non dire idiozie, io non…»
«Era ”Ti amo”, non negare…»
Light trattenne un lamento, quando sentì la mano di Eru farsi largo sotto i suoi pantaloni.
«Ryuuzaki, ti prego…»
«Giurami che non era vero. Fallo, dai.»
«Non toccarmi così, non… non mi piace.» sussurrò imbarazzato, strizzando gli occhi. Un calore asfissiante gli risalì dal basso ventre fino al collo.
«Non cambiare discorso.»
«Mi metti a disagio, davvero!»
«Ti amo
Light sbarrò gli occhi: «Ryuuzaki, non scherzare con queste parole…» cercò di allontanarlo dimenando la mano davanti a sé, quando gli prese la guancia e subito la ritrasse.
Si sfregò le punte delle dita tra loro, incredulo: «Ma tu stai… stai piangendo
Eru si immobilizzò:«No.» sembrava aver ripreso la sua proverbiale voce atona.
«Stai piangendo, Ryuuzaki.»
«Anche se fosse?»
«Stai calmo, ti prego. Sdraiati qui, accanto a me, dormiamo…»
«No!»
Ryuuzaki si scostò, indietreggiando fino al bordo del letto; poi, con una fretta incomprensibile, tornò a baciare Light.
Il ragazzo lottava contro l’altro, che per la troppa veemenza gli mordeva il labbro e la lingua, e al contempo con sé stesso, perché, per quanto selvaggio, era pure sempre di Ryuuzaki che si parlava, o meglio, di un bacio con Ryuuzaki.
Light cercava di mettere a tacere quei brividi, quella sensazione di estasi che lo attraversava come una scossa elettrica.
«Piantala, ti ho detto! Perché tutto questo, cos’hai?!» era al limite della disperazione.
«Non ho più tempo, capisci?» Eru sputò quelle parole, probabilmente pentendosene.
Light sillabò come disgustato la frase dell’altro:« Non hai più tempo.»
L’altro sbiancò, diventando ancor più pallido sotto la luce fioca della luna che giocava con le ombre sul suo viso.
« Ma certo. Io sono la tua principessa, non è così? Appena si romperà l’incantesimo, potrò volare via. Non puoi permettertelo, vero?»
«Light…»
«Avanti, che aspetti? Perché non obbligarmi a un altro mese con le manette, puoi. Sei tu il capo. Sono sospetto, sei sicuro che io sia Kira, perché non lo fai? Perché non mi sbatti in prigione, sono la tua marionetta, non è così?»
L’altro taceva, senza sapere che dire.
«Ryuuzaki, è mezzanotte passata. La giornata è finita. Toglimi le manette, ora.»
Eru cercò di controbattere: aprì la bocca, poi la richiuse senza emettere un singolo suono.
Si mosse, accese la abat-jour. I loro occhi si riabituarono in alcuni secondi alla luce. Scesero i freddi scalini dell’enorme palazzo a piedi nudi, fino a quando arrivarono in un salotto pomposamente addobbato in cui ogni tanto Misa e Light si incontravano in compagnia del terzo incomodo; Eru spostò con difficoltà un quadro appeso a una parete, rivelando una piccola cassaforte: con mano abile compose il codice numerico ed essa si aprì con un cigolio. Allungò la mano e prese tra le mani una piccola chiave insolitamente bronzea e con essa fece scattare la manettadi Light, che si sganciò immediatamente dal suo polso.
Al ragazzo sembrò di ricominciare a respirare, come se fosse stata un cappio stretto intorno al suo collo. Si sentiva in imbarazzo, come se senza di essa fosse nudo: cercando di non incrociare lo sguardo di Eru, Light gli fece segno di uscire:«Penso che dormirò qui sul divano. Esci, per favore.»
«Ci son un sacco di camere che potresti…»
«Ho detto esci, per favore.» disse lui, alzando il tono di voce.
Eru sgattaiolò via a testa bassa con il suo incedere bizzarro; solo quando sentì la porta sbattere pesantemente, Light si lasciò cadere tra i cuscini color porpora del sofà con il viso tra le mani: non capiva più nulla.
Era confuso, umiliato, pieno di vergogna, triste e arrabbiato. Sentiva il battito cardiaco diffondersi ovunque, tanto che sembrava che tutto il suo corpo palpitasse in preda a quei sentimenti tormentosi.
Light, allontanando le mani dal viso, le vide umide: singhiozzava sommessamente un pianto d’ira e di disarmante confusione.
Sfregando le dita tra loro, si disse che anche Eru quella notte aveva pianto: voleva forse dire che si sentiva come lui?
Solo? Sperduto?
Come se tutto il mondo stesse girando vorticosamente intorno a lui, rendendogli impossibile capire qualsiasi cosa accadesse?
Trascinato dal destino nell’abisso di un sentimento incolmabile?
Lanciò uno sguardo alla finestra: da uno scorcio tra le tendine era visibile la luna, prossima ad essere piena.
Light si sentiva esattamente così: incompleto.

























































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Ho cercato quanto più possibile di rimanere IC. Con Eru è stato PARECCHIO difficile, infatti penso di essere stata un po' OOC, con lui. Con Light spero di aver fatto un lavoro migliore.
Al prossimo (e ormai ultimo) capitolo :3




Nina.

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Capitolo 6
*** #5: Plenilunio. ***


Light allungò la mano verso la parete e con la punta delle dita toccò l’interruttore: la camera calò nell’oscurità.
Si rigirò alcune volte sotto le coperte: si sentiva libero, senza scomode cerniere sulle braccia, senza quella maledetta manetta, senza doversi districare dalla catena che univa lui e Ryuuzaki ad ogni movimento.
Eppure si sentiva alla deriva: fin troppo libero.
Nulla gli impediva di muoversi, di scivolare in fondo al letto, nulla lo brancava e lo immobilizzava contro il cuscino, nessuno gli respirava a pochi centimetri dal viso: ed era inquietantemente angosciante. Sentiva che in un momento qualsiasi sarebbe caduto vittima del sonno, e nessuno sarebbe stato lì con lui, ad aiutarlo a riemergere dai meandri dei suoi incubi.
Scrutò la stanza nell’oscurità: era così diversa da quella in cui aveva dormito negli ultimi mesi. Era più piccola, dalla forma più allungata, l’armadio era nell’angolo opposto, la finestra accanto alla testata, in modo che lui non potesse vedere il firmamento attraverso le sottili tende. Ormai non riusciva a dormire con le persiane chiuse, ma solo con la luce lunare a rischiarare vagamente l’oscurità, come era solito dormire Eru.
Light si alzò, sentendo un brivido per il freddo della stanza smuovergli le spalle; uscì dalla camera e, muovendosi con cautela, si diresse verso la cucina dell’enorme complesso di camere. Aveva un’impellente bisogno di mangiare, di colmare quel vuoto – in realtà più psicologico che fisico- che gli invadeva il ventre.
Il frigorifero, come sempre, era stipato di dolci pronti per essere divorati dall’insaziabile sebbene magrissimo detective. Light, restando accecato per pochi attimi dalla luce al neon della stanza, prese una fetta avanzata di torta e si sedette al tavolo, mangiucchiandola con lentezza, senza forchetta, prendendone pezzettino per pezzettino tra la punta delle dita e portandoseli alla bocca.
Era una delle preferite di Eru: pan di spagna, un leggero strato di crema pasticcera all’interno, panna in alto e una fragola costellata di zucchero all’apice.
Il frigorifero emetteva un ronzio sommesso, il pavimento marmoreo era gelido sotto i piedi nudi di Light.
Nel complesso, era un quadro impressionante: sembrava un condannato a morte che si gusta la sua ultima notte di vita, consapevole però dell’incombere dell’alba.
Eppure, la sua ultima notte era stata quella prima, no? Si era liberato delle accuse, era finalmente tornato ad essere libero.
Suo padre era stato entusiasta, e come lui Misa, sua madre, Sayu, Matsuda e tutti gli altri.
La principessa era finalmente riuscita a volare via, il principe aveva urlato il suo nome alla luna nel pozzo, e lei aveva spiegato le sue ali angeliche verso il cielo.
Le infondate accuse di Eru erano crollate come castelli di carte: come mai stava così male, allora?
Light appoggiò la mano sul tavolo, smettendo di sbocconcellare la torta.
 
No, non aveva fame.
Lo sapeva benissimo, ma non voleva convincersene.
“Light, idiota” si disse “Per quanto continuerai a negarti la felicità in questo modo?”
 
 
 
Eru si rivoltò nel suo letto: improvvisamente, quell’unica piazza sembrava incredibilmente piccola, e quelle lenzuola tremendamente fredde, senza il tepore di Light.
Mise la mano sotto il cuscino, consapevole che non si sarebbe per nulla addormentato. Che serviva, ormai, far finta di dormire? Non dormiva quasi mai. Perché era ancora lì tra quelle coperte, quando sapeva benissimo che non avrebbe chiuso occhio e che si era sforzato di assopirsi durante quei mesi solo per avere un motivo per il quale stare accanto a Light?
Che errore madornale. Imperdonabile.
Chiuse le palpebre: sotto esse delle vaghe sfumature danzavano nell’oscurità, si univano e si allontanavano, si allargavano, scomparivano, come uno sbiadito spettacolo pirotecnico. Si era sempre chiesto come facesse la gente a dormire tranquillamente, quando chiudendo gli occhi non si ottengono mai le tenebre più totali. C’era sempre qualcosa che si ribellava, che doveva mandare a monte quella buia tranquillità, un vago guizzo bluastro o di chissà quale altro colore. Un po’ come il suo cuore, sotto certi aspetti, osservò l’investigatore.
Un vago barlume, una scintilla pericolosa ed ardente.
Sentimenti.
Maledetti e spaventosi sentimenti.
La luce del lampadario appeso al soffitto si accese, la porta cigolò; Eru tese le orecchie e puntò lo sguardo verso essa: non ci credeva.
Il ragazzo in piedi sorrise, porgendogli un piattino di plastica: «Vuoi un po’ di torta?»
 
Il tempo sembrò interrompersi bruscamente, mentre pochi particolari si imprimevano indelebilmente nei ricordi di Ryuuzaki: la sua mano appoggiata sul lucido pomello della porta, il piattino bianco leggermente inclinato dal peso del dolce, il sorriso accennato sul volto titubante di Light.
Eru si stropicciò gli occhi, accecato: «Light… Come mai…»
L’altro alzò impercettibilmente le spalle e ripeté la domanda: «Vuoi un po’ di torta? È la tua preferita. Non ce n’è altra, è l’ultima fetta.»
Con la bocca schiusa per lo stupore, Eru annuì: afferrò il piatto, lo poggiò davanti a sé sul letto, si accovacciò nella sua abituale posa e iniziò a sbocconcellarla lentamente, in riflessione. Si voltò improvvisamente verso l’altro: era ancora lì, in piedi, a guardarlo mordicchiandosi il labbro: «Spegni la luce, per favore. Mi da fastidio.»
L’altro obbedì, e nel momento in cui spense l’interruttore Eru accese la fioca luce dell’abat-jour: «Qualcosa non va, Light?»
«Io…» si sedette accanto ad Eru, appoggiandogli con garbo la mano sul braccio «Non avevo finito di raccontarti la storia, ieri. Ho pensato che volessi sentire come finiva.»
Eru aprì la bocca per rispondere, ma le parole erano incatenate in fondo alla gola da una sensazione di ansia e sbigottimento.
«Un giorno la principessa riuscì a spiccare il volo, e fuggì...» la mano di Light risalì fino al collo dell’altro, scivolando lentamente sopra la manica «fuggì lontano dal castello, lontano dal mago, lontano dal suo miserabile passato…» appoggia entrambe le mani sulle spalle dell’altro, avvicinandosi sempre più «Il mago era disperato. Aveva perso tutto quello per cui avesse mai vissuto, aveva perso la sua principessa… una ragazza bella, dalle guance come boccioli di rosa e dalla pelle vellutata…» cinse il collo di Eru con le braccia, andando a rigirare tra le dita i ciuffi corvini della nuca «La sua voce era come il canto degli usignoli, sai? E lei, con le sue movenze, con il suo corpo minuto e fragile come un fringuello in gabbia, era… bellissima.» l’enfasi che mise su quest’ultima parola lo fece rabbrividire da solo; dallo sguardo di Eru, capì di avere gli occhi umidi.
«Non è un lieto fine.» osservò Ryuuzaki, i cui razionali pensieri non potevano essere soffocati da niente e nessuno, in qualsiasi momento.
Light si avvicinò al suo orecchio con un sorrisetto: «Perché non è la fine.»
Si allontanò nuovamente dal suo viso, mantenendo però lo sguardo fisso negli occhi dell’altro, come per volersi perdere in quei pozzi pieni di tenebra: «Non passò molto tempo, però, che accadde una cosa straordinaria, straordinaria davvero. Una sera il mago si stava addormentando, come al solito, da solo, quando sentì un picchiettio proveniente dalla finestra. Si voltò, e vide che la principessa alata si librava in aria all’altezza della sua finestra, e bussava sul vetro. Era tornata
«Perché? Perché avrebbe dovuto tornare?» la voce di Eru era intrisa di una curiosità radicata nel profondo del cuore.
«Per un sacco di motivi…» mormorò Light «Per la sua pelle così piacevole al tatto…» gli passò le mani sulle guance, seguendo con la punta delle dita il profilo del mento «Per quel suo corpo così strano e affascinante nella sua stranezza…» le sue mani andarono a posarsi sul petto di Eru; Light socchiuse le palpebre, come nutrendosi del battito accelerato dell’altro sotto il palmo caldo «Per quelle sue piccole manie, per i suoi capelli, per il suo sorriso, per i suoi occhi, per la sua voce, per… per quanto era bello.» Strinse i fianchi di Ryuuzaki, obbligandolo a stendere le gambe piegate e a rivoltarsi su un fianco, incrociando le ginocchia con Light. Toccarono con i piedi il piattino di torta, e con un colpetto lo spostarono più in là.
Il ragazzo passò la mano tra i suoi capelli spettinati: «Perché era l’unica persona che aveva mai fatto davvero parte della sua vita, e di cui mai avrebbe potuto fare a meno.»
«Light…»
«E sai cosa successe?» aumentò la stretta sul bacino dell’altro, sentendo il battito del cuore propagarsi per tutto il corpo «La principessa ormai aveva trovato… il suo vero principe
Congiunsero le labbra all’unisono con lentezza, gustandosi ogni secondo in cui le loro bocche giocavano tra loro, ogni attimo in cui i loro corpi pressati e avvinghiati venivano percorsi da quel brividi eccitati simili a deboli scariche elettriche che correvano per il loro sistema nervoso.
Eru si scostò da Light, lasciandolo ancora con la bocca aperta e gli occhi socchiusi: «È irreale.»
«Le favole sono così.»
«Perché sei qui, Light?»
La sua voce aveva un che di inquisitore; Light si intimorì, ma rialzò presto il mento: «Devo avere un motivo per stare con te?»
«Non siamo in una favola. Le persone non tornano a caso. È una questione di causa ed effetto, e l’effetto del ritorno non può esserci senza una causa primaria.»
«Non siamo nemmeno in un rigido schema investigativo.» il tono di Light rimane stranamente dolce, quasi provocante.
«Ripeto: perché sei qui, Light?»
«Riformulo la domanda che ho fatto prima in modo che sia più chiaro…» mise le mani sulle sue natiche, bramose ed affamate «Devo avere un motivo per stare… con la persona che amo?»
Gli occhi di Eru si spalancarono, sbigottiti; il suo labbro inferiore tremava, dandogli l’aria di un animale spaurito: «Stai… stai scherzando, vero? Mi stai prendendo in giro? Qual è il tuo subdolo piano, Kira?!»
«Non dire stupidaggini!» la voce di Light era rotta da un pianto improvviso «Io… io sono venuto qui solo per questo! Perché devi sempre rigirare la realtà, non capire la verità quando ce l’hai a un palmo dal naso!» Light si era messo in ginocchio, prendendo il viso dell’altro «Vuoi sapere la causa? Quella specie di computer che hai al posto del cervello ha bisogno del nesso causa-effetto?! E va bene, se proprio vuoi saperlo!» le lacrime ormai gli solcavano le guance fino a cadere tra le lenzuola «Sono qui perché ti ho cercato, perché ti sto cercando da una vita, e ti ho sempre avuto davanti agli occhi, e me ne sono reso conto solo stanotte! Mi sono reso conto che scappare da te è solo farmi male da solo, perché ti amo, ti amo così tanto che non credo possa essere umano amare così tanto una persona! Perché fai così, Ryuuzaki?! Ieri sembravi pronto a saltarmi addosso, e ora mi guardi come se fossi un assassino!»
«Stai calmo.» Light si interruppe bruscamente, ansimando e singhiozzando flebilmente. Eru gli baciò la guancia destra, si passò velocemente la lingua sulle labbra, sussurrò: «Salato»; poi gli baciò quella sinistra, gli zigomi, il mento, cancellando i segni di quel pianto di rabbia con una tenerezza angelica. Si alzò anche lui, prese per le mani Light, e lasciandosi cadere lo costrinse a cedere e a piombare sul materasso schiacciato dal suo corpo.
L’altro si raddrizzò, sollevandosi leggermente dal corpo dell’altro, appoggiandosi a gomiti e ginocchia: «Ti devo chiedere scusa, Light» la voce di Eru arrivò come un eco lontano alle orecchie del giovane Yagami «Scusa. Solo non pensavo che fosse possibile. Non pensavo che potessi rimediare tu al mio errore di ieri sera. Come si dice… troppo bello per essere vero.»
La sua voce, sebbene apatica come sempre, lasciava trapelare quell’emozione, quello stupore, quella contentezza tipica di un bambino.
«Ryuuzaki…»
«Shh. Le parole non servono. Abbiamo detto entrambi abbastanza. E non penso che tu sia tornato qui solo per un semplice scambio di opinioni.»
Eru sorrise teneramente e gli diede un bacio lento e delicato sulla fronte, socchiudendo le palpebre.
Light si chiese come potesse leggergli l’anima così a fondo, come potesse comprendere i suoi pensieri ancor meglio di lui stesso. Mentre le loro labbra si univano, con la tacita intenzione di non lasciarsi mai più, le loro mani si esploravano i corpi caldi e sudati sotto i vestiti, sfilandoseli a vicenda.
Light trattenne un risolino involontario: «Dormi… dormi senza biancheria intima?»
«Se non c’è nessuno nella stanza insieme a me. Sono più comodo senza mutande.»
«Ok, non approfondiamo l’argomento.» disse Light, inarcando un sopracciglio, con il suo solito tono di acida superiorità. Eru si passò la lingua sulle labbra: «Sai di torta.»
Light strinse il corpo ormai nudo dell’altro al proprio: «Hai intenzione di mangiarmi?» chiese, sorridendo.
«No, mangerò direttamente la torta.»
Eru si mise seduto, afferrò il piattino di plastica in bilico sul bordo del letto e si mise a masticare il dolce avanzato. Light non sapeva come comportarsi. Era davvero incredibile, quel ragazzo: solo lui poteva interrompere un tale momento  –quella che si poteva definire una situazione dallo sviluppo interessante- per mangiare una fetta di dolce.
Eppure, non poteva fare a meno di notare quanto fosse bello, anche in quella sua posa scomposta, con la schiena nuda e ricurva. Era magro, ma abbastanza muscoloso per non essere anoressico, e la sua pelle era pallida e liscia come una pesca.
«Vuoi un po’?» bofonchiò Eru, tendendogli il piatto. A parte qualche rimasuglio e alla grossa fragola, non era rimasto nulla.
«La fragola, grazie.»
«La fragola è mia.» lo guardò Eru con aria severa.
«Metà e metà?»
Ci rifletté: «Si può fare.»
Prese il frutto e lo tenne tra gli incisivi, aspettando una reazione da parte dell’altro. Light, inizialmente confuso, sogghignò: «Cos’è, un qualche giochetto perverso di voi detective maniaci?» Ciononostante gattonò fino all’altro e addentò la fragola, sfiorando le labbra di Eru.
Masticarono lentamente, guardandosi negli occhi, seduto uno davanti all’altro: «Sei bellissimo.»
Al sentire quelle parole, Light sentì il o cuore battere insistentemente nel petto, fino a soffocarlo e fargli male. Abbracciava il corpo dell’altro con lo sguardo, rabbrividendo d’eccitazione e di freddo.
Freddo. Non lo aveva notato fino a poco prima.
Si sfregò le braccia per riscaldarsi, e il gesto non sfuggì al detective: «Hai freddo, Light?»
Non fece neanche in tempo a rispondere che l’abbraccio di Eru gli fece perdere l’equilibrio, e ruzzolarono nuovamente sulle coperte: «Ehi, che fai?» chiese Light con un sorriso, passandogli le mani tra i capelli.
Eru strinse le ginocchia intorno a lui, pancia contro pancia, scatenando dei bollori irrefrenabili nel basso ventre dell’altro: «Ti riscaldo.»
Si baciarono a lungo, nutrendosi uno del corpo dell’altro, avvinghiati, inscindibili, mescolando i sapori delle loro bocche. Light mise le mani sui fianchi di Eru, e l’altro lo guardò con uno sguardo penetrante: «Sicuro?»
«Cosa sono tornato a fare, altrimenti?» cercò di sembrare spavaldo, ma in cuor suo aveva una paura tremenda. Paura di fare qualcosa di sbagliato, paura di provare dolore, timori su timori che si scontravano come onde di un mare in tempesta nel suo petto.
«Sai che puoi tornare quando vuoi.»
«Perché rimandare a domani quello che puoi fare oggi?»
«Non ho detto il contrario. Ho detto che puoi tornare quante volte vuoi.»
Light lo guardò alla fioca luce dell’abat-jour: era complicato. Presto avrebbe dovuto tornare a casa, stare con Misa...
«Non sarà facile, lo so» disse Eru, leggendogli apparentemente nel pensiero «Ma se vorrai, sarò qui. Non vorrei mai nessun’altro.»
Sentiva il suo respiro caldo, le pelli premute come a voler divenire una sola entità, i corpi intrisi di piacere.
«Ryuuzaki…»
«No, non Ryuuzaki» la voce di Eru era colma di un segreto inconfessato «Io…» avvicinò le labbra all’orecchio di Light. Dopo alcuni secondi, quest’ultimo sussurrò dolcemente: «E’ un nome bellissimo. Come te.»
Eru gli allungò la lingua nell’orecchio, facendolo gemere: «Grazie, Light.»
Il ragazzo gli tastava bramoso le natiche e gli mordicchiava la spalla.
«Perché siamo ancora qui a parlare?» chiese Light con un sussurro malizioso.
«Spegni quell’abat-jour.»

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Capitolo 7
*** #6: Eclissi lunare. ***



I know you’re somewhere out there
Somewhere far away
I want you back
I want you back
  ~
At night when the stars
light up my room
I sit by myself
Talking to the moon
Try to get to you
In hopes you’re on
the other side
Talking to me too
Or am I a fool
who sits alone
Talking to the moon
~

 

























Light camminava a testa alta, sul viso un’espressione di malefica soddisfazione.
«Bah. Odio i funerali. Sono noiosi.» disse Ryuk, librandosi a mezz’aria accanto a lui.
«Non ti annoierai, d’ora in poi» disse Light, mentre il suo sorriso si allungava in un ghigno «Ce n’è voluto, ma ce l’abbiamo fatta. Sapevo che Rem avrebbe ceduto.»
«Certo che hai rischiato, eh, Light?»
Il giovane Kira rimase perplesso da quella domanda; si voltò verso lo Shinigami, corrucciando le sopracciglia: «Che vuoi dire?»
«Come facevi a sapere che Rem avrebbe ceduto, o che Eru non avrebbe rivelato che tu sei Kira?»
«Che domande sono, Ryuk? Comunque, era ovvio che Rem ci sarebbe cascata. Proteggere quell’idiota di Misa era la sua unica ragione di vita. E inoltre Eru non sapeva per certo che io fossi Kira.»
«Ma lo aveva capito fin dall’inizio, no? E quando Rem gli aveva detto della possibilità di falsificare i quaderni, era ormai sicurissimo della sua teoria. Si capiva.»
Lo Shinigami rivolse il suo volto spaventoso e scrutatore a Light:«Perché non ha detto niente, Light? Lo sai…» Ryuk ridacchiò. I suoi bulbi oculari dalle iridi color del sangue nascondevano un segreto che non vedevano l’ora di rivelare.
«Cosa stai dicendo, Ryuk?» il tono di Light voleva essere furioso, ma sembrò più una supplica. Il cuore aumentò il battito cardiaco, in preda ad un presentimento che andava radicandosi nella sua mente.
«Dovresti sapere bene che i muri per noi Shinigami non sono barriere… E cancellare le registrazioni delle telecamere non ha certo impedito a me di vedervi.»
Scoppiò in una risata fragorosa e perfida: «Oh, che carini eravate! Com’era la storiella, Light? La principessa, il mago cattivo, il pozzo… E tutti quei “ti amo”, “sei bellissimo”!» la risata gli impedì di parlare per alcuni secondi «E quando hai spento la lampada, ti si sentiva gemere come una donnetta anche a due chilometri di distanza!»
«Piantala!» sibilò Light, paonazzo in viso, mentre le budella gli si contorcevano per la vergogna.
«Ehi, calmo» disse Ryuk, riprendendosi dalle risate «Ovviamente non era mia intenzione. Figurati, che schifo. Ero tornato a dare un'occhiata a come procedesse il tuo piano, mi annoiavo, come sempre. Sto solo dicendo che sei stato stupido a non usare subito il suo nome sul Death Note, senza dover tirare in ballo anche Rem e Misa. Insomma, ormai lo sapevi, come si chiamava.»
«Come mi hai simpaticamente ricordato poco fa, Ryuk, l’ho fatto perché avevo la certezza che Eru non avrebbe osato incolpare il suo amato Light…»
«E perché tu non hai usato il suo nome appena hai ripreso coscienza?»
«Non sarebbe stato leale!» disse Light, rosso in viso.
«LEALE?!» Ryuk scoppiò nuovamente a ridere, tenendo la mano ossuta sulla pancia «Balle. Sei la persona più disonesta e subdola che conosco.»
«Questa discussione termina qui.»
«Sei mai tornato da lui?»
Light guardò il viso di Ryuk che, se ne fosse stato capace di piangere dalle risate, in quel momento avrebbe avuto il viso pieno di lacrime. Un viso pieno di lacrime come sarebbe stato il suo, se solo fosse stato ancora in grado di farsi sottomettere dai sentimenti.
«No. Mai. E non ho mai avuto voglia di farlo.»
Che bugia.
«Andiamo, ora. Ci aspettano al quartier generale, anzi. Mi aspettano.»
 
 







Che bugia.
Che enorme, tremenda bugia.
Era quasi tornato, una volta. La sera prima della morte di Eru.
E Ryuk lo sapeva. Non poteva non aver sospettato nulla, quando Light gli aveva espressamente chiesto di rimanere nella sua camera insieme ad un paniere di mele rosse e succulente. Si era fermato davanti alla porta, aveva afferrato il pomello lucido, poi era tornato nella sua camera a testa bassa.
Ma non importava più nulla. Eru era morto, e questo bastava.
 
 







“Sai perché non hai usato il suo nome. Fino all’ultimo hai sperato che si salvasse.”

 “Non è vero!” si dimenò il ragazzo: dove si trovava? Il buio dominava ogni spazio dove si posasse il suo sguardo.
“Sì che è vero…” quella voce interiore, quel brandello di anima umana che era ciò che rimaneva di Light in Kira, rimbombava nel cranio del ragazzo, facendolo contorcere per lo sforzo di tenerla lontana dalla mente “Non avresti nemmeno avuto il coraggio di farlo tu, vero? No, sarebbe accaduto tutto per colpa di Misa e per mano di Rem… Il segreto del suo nome era tutto ciò che di vero rimaneva del vostro amore…”
“Amore un corno! Non era vero nulla! Sei solo una chimera!” Light cercò invano di lottare contro sé stesso, ma gli era impossibile e doloroso.
“Non sei riuscito a varcare quella porta perché ti vergognavi… Non gli avresti voluto mentire… Prova a dire la verità almeno a te stesso… Avevi voglia delle sue labbra, ma sapevi di non meritarle. Lo avevi appena condotto al patibolo. Quel nome era tutto ciò che rimaneva del vostro sentimento, la chiave, l’unico segreto che era rimasto a suggellare il vostro patto, l’unico vero e intoccabile ricordo delle sue carezze…”
“Non volevo che si salvasse! No! Io, Kira, volevo solo la sua morte!”
E Light cosa ne dice?
Il ragazzo si girò istintivamente, come richiamato da una forza oscura: nelle tenebre vi era un ragazzino nudo come un verme, raggomitolato in terra, il naso sporco e le guance rigate di lacrime, le braccia e le cosce coperte di graffi e lividi violacei. Con un profondo terrore, Kira riconobbe lo stesso viso delle foto incorniciate alla parete del salotto, vecchi ricordi di una giornata a pescare con suo padre, quando aveva appena undici anni.
“Questo… questo è quello che rimane di me?” Kira si avvicinò al bambino, ma lui si ritrasse, intimorito. Lentamente, il ragazzino alzò gli occhi fino ad incrociare il suo sguardo: ”Sei stato tu…” i suoi occhi color nocciola erano cisposi ed umidi, come reduci da un pianto straziante.
Kira cercò di ribattere a quella voce inquisitrice, ma il bambino continuò: ”Sei tu che lo hai fatto morire… Sei tu, maledetto… E io che avevo tenuto il suo nome qui…” premette con il pugno contro il petto nudo; si vedeva la rabbia montargli in corpo e sgorgargli in viso, facendogli avvampare le guance e corrucciare la fronte “Pensavo che fosse al sicuro, e invece… ora non mi serve più a niente!”
Light per poco non vomitò: lanciando grida furiose, il bambino infilò le unghie nel petto e iniziò a strapparsi la pelle, la carne, si ruppe le ossa piegando le costole tra le mani con agghiaccianti scricchiolii, coprendosi le mani di schizzi vermigli; agguantò il proprio cuore, lo strappò dal petto senza smettere di strillare; lo alzò verso Kira, che osservava disgustato il piccolo organo palpitante dal quale sgorgava una fiumana di sangue scuro e viscoso.
Sangue, sangue ovunque: si diramava per il pavimento, divorando gli spazi di quell’oscurità. Troppo sangue.
Kira si guardò intorno: le pareti di quella stanza scura si rimpicciolivano. Sentì una sensazione di bagnato sull’orlo dei pantaloni, e vide che il livello del liquido rossastro si stava alzando a velocità incredibile, pompato dal cuore che il ragazzino stringeva in mano.
“Light!” urlò, disperato, mentre il sangue gli raggiungeva la vita inzuppandogli i pantaloni “Fermati!”
“Non è mio, non posso fermarlo” sibilò il bambino, con un’espressione inquietante e a tratti perversa “Non è il mio cuore. Non è  me che hai ucciso.”
Davanti agli occhi stralunati e terrorizzati di Kira, il bambino diede un lento bacio al cuore coperto di venuzze sussultanti, e quando si allontanò da esso aveva le labbra scarlatte, tremendamente simili a due petali di rosa coperti brillanti di rugiada –Kira si chiese, in un fugace attimo di lucidità, come potesse aver pensato un simile paragone-.
Light sorrise, trasformando la faccia in una maschera di sadica contentezza; il livello del sangue gli raggiunse le spalle, poi il collo, fino a sommergerli il viso e a farlo scomparire, mentre lui rimaneva con quel sogghigno immutato sul volto.
Kira batteva le pareti, cercava di arrampicarsi per i muri, ma lo spazio sembrava farsi sempre più piccolo e opprimente; annaspava sul punto di rigettare anche le interiora, lottando per non annegare in quel liquido denso e dal sapore ferroso... Iniziò a scivolargli in gola, a riempirgli i polmoni… la vista si offuscava…
 
 

Light si svegliò di soprassalto: era caduto dal letto. Madido di sudore, con il respiro ansante, si guardò intorno: era nella sua camera. Si tastò il corpo: nessuna traccia di sangue.
Un incubo.
Solo un incubo.
Scivolò sotto le coperte, cercando invano di riprendere sonno: ogni qualvolta che era sul punto di assopirsi, vedeva due occhi fissarlo nell’oscurità.
Due occhi grandi, spalancati, neri come le ali di un corvo, oscuri come l’ignoto, inquietanti come l’oltretomba da cui provenivano.
“Calmo, è morto. Non  c’è più. È tutto finito.” Si disse.
Eppure, in una remota e sofferente parte della sua anima, quella frase lo ferì con la violenza di una pugnalata.
Prima o poi avrebbe smesso. Prima o poi, ne era certo, quei sentimenti reconditi si sarebbero spenti.

Ma, fino a quando ciò non sarebbe successo, le ultime braci dell’ardore che aveva divampato in lui, appiccato dall’amore di Eru, gli avrebbero fatto patire le pene dell’inferno.











































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Capitolo completamente diverso dagli altri, ma non penso si possa definire "fuori luogo".
Poniamoci una domanda che, a mio parere, è quanto meno scontata: i sentimenti di Light che fino fanno, una volta che quest'ultimo riprende conoscenza?
Può davvero dimenticare tutto così, senza pensarci nemmeno su?
Spero che questa piccola, come si può definire, allegoria sui sentimenti di Light/Kira sia stata convincente e vi sia piaciuta.




Nina.

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